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Corrispondenza<br />
La Redazione ringrazia i Lettori per l’interesse dimostrato per questa Rubrica, e invita i Soci Collaboratori ad inviare<br />
i loro scritti all’indirizzo E-MAIL: <strong>rivista</strong>.unuci.org.<br />
Solo i pezzi di interesse generale e rispondenti ai requisiti richiesti - max. due cartelle di 30 righe ciascuna - saranno<br />
valutati per la eventuale pubblicazione.<br />
Falciato da ordigno infame - e...<br />
già era la pace!<br />
Riportiamo l’elaborato del S.Ten. Vasc. Ernani Andreatta<br />
vincitore del 1° premio del 6° concorso narrativa<br />
2008 Ten. Vasc. Luigi Risso MAVM sul tema:<br />
“Gli eroismi: ieri e oggi”.<br />
Era il 24 Luglio 1945 e la guerra era finita da poco. Al<br />
tempo di questi miei ricordi avevo dieci anni, ma l’episodio<br />
che sto per raccontare è ancora nitido nella mia<br />
mente. Silvio Santini, soprannominato “Muneggia”<br />
(perché originario di Moneglia) era un pescatore del<br />
quartiere degli Scogli, situato all’estremo ponente di<br />
Chiavari. Santini era andato a pesca col figlio piccolo,<br />
Elio di nove anni, e si era seduto sul grande scoglio del<br />
Gruppo del Sale, caratteristico per la sua forma e posizionato<br />
tra Chiavari e Zoagli. Buttavano su e giù la lenza<br />
ed avevano quasi riempito il secchiello di pesci da<br />
scoglio, ottimi per la zuppa, perché a quel tempo il mare,<br />
ricchissimo di pesci, spesso dava i frutti desiderati.<br />
Poco al largo c’era un peschereccio di Santa Margherita<br />
Ligure, che invece di spostarsi lentamente con le reti<br />
era sempre fermo, quasi fosse ancorato. Ad un tratto<br />
l’attenzione di Santini e di suo figlio fu attratta dal richiamo<br />
di uno di bordo che, con gesti e grida chiedeva<br />
aiuto per ricuperare le reti che si erano impigliate sul<br />
fondo. Santini, vista la chiara richiesta di aiuto non<br />
esitò a buttarsi in mare per raggiungere a nuoto il peschereccio<br />
in difficoltà.<br />
A posteriori, si disse che Silvio Santini sapesse, ancor<br />
prima di arrivare a bordo, che non era uno scoglio a<br />
trattenere le reti sul fondo, perché conosceva bene quei<br />
fondali, e sicuramente intuì che si trattava di qualcosa<br />
d’altro... tuttavia fu pronto a “dare una mano”. Per risalire<br />
alle motivazioni che spinsero il Santini a compiere<br />
questo gesto e capirne i risvolti psicologici e umani, ripercorro<br />
qualche tratto della storia del rione Scogli.<br />
Dai primi decenni dell’ottocento si cominciarono a costruire<br />
e a varare velieri maestosi e non si può tacere<br />
che la loro costruzione, portata avanti senza l’ausilio<br />
dell’energia elettrica e dei perfezionati macchinari<br />
odierni, era il risultato della grande abilità e delle<br />
straordinarie capacità delle maestranze e delle fatiche<br />
di quelli che dovevano modellare il legno soltanto con<br />
la forza delle loro braccia e col solo aiuto dei piccoli<br />
UNUCI 1/2<br />
Gennaio/Febbraio <strong>2009</strong><br />
utensili di allora: pialle, ascie, seghe, sgorbie ecc.. Il<br />
cantiere al tempo era ubicato esattamente al centro di<br />
Piazza Gagliardo e questa spianata antistante le case<br />
si popolava di segantini, maestri d’ascia, calafati, chiodatori<br />
o semplici apprendisti e di legname naturalmente,<br />
che si trovava sparso dappertutto. E così l’attuale<br />
Piazza Gagliardo, era comunemente chiamata “Ciassa<br />
di Barchi”. I Barchi, in gergo, erano appunto i grandi<br />
velieri del tempo. I titolari del cantiere navale, prima<br />
Francesco Gotuzzo detto “Mastro Checco” poi Luigi, il<br />
figlio, ed Eugenio il nipote detto “Mario”, permettevano<br />
che le donne del rione raccogliessero gli scarti del<br />
legname adoperato per le costruzioni, la cosiddetta<br />
“buscaglia” con la quale era possibile cucinare e scaldarsi.<br />
In pratica, da decine e decine d’anni si era formata<br />
una tradizione, un uso: le donne, la sera, non appena<br />
uscivano gli operai, entravano nel cantiere per<br />
raccogliere questi scarti nei loro capienti grembiuli.<br />
Questa consuetudine non consentiva l’uso di carretti o<br />
ceste o altri contenitori: si doveva portare a casa soltanto<br />
quello che si poteva “stivare” dentro al grembiule.<br />
Naturalmente, per scaldarsi e cucinare, c’erano anche<br />
altre fonti di approvvigionamento come il taglio di<br />
qualche albero nei boschi o nella pineta circostante o<br />
la raccolta della “ramaglia” che a seguito dei violenti<br />
temporali invernali il fiume Entella o il torrente Rupinaro,<br />
portavano in mare e che le onde spingevano sulle<br />
spiagge. Poi, verso gli anni 1930/35, le costruzioni navali<br />
di grandi velieri finirono e il quartiere degli Scogli<br />
si trasformò quasi per incanto in borgo di pescatori, a<br />
parte qualche figlio di maestro d’ascia o calafato che<br />
diventò piccolo artigiano nella costruzione di gozzi o<br />
“lancette” o qualche altro che cercò fortuna all’estero.<br />
Nelle persone del rione rimase questa radice del grande<br />
valore umano che era la solidarietà, anche tra “padrone<br />
e operai” o, in termini attuali, “imprenditore e<br />
collaboratori”. Il tempo scorreva lento ma insesorabile<br />
e talvolta capitava nelle famiglie che qualcuno si ammalasse<br />
di polmonite che a quei tempi era una malattia<br />
spesso letale dato che la famosa pennicillina arrivò<br />
dopo la fine della guerra. L’unico modo per curare la<br />
polmonite era quello di somministrare all’infermo un<br />
“impiastro”, notte e giorno, in continuazione. Ciò rendeva<br />
necessario che al capezzale del malato si alternassero<br />
più persone e per molti giorni, ma tutte le<br />
donne e gli uomini del quartiere prestavano volonta-