Franz Kafka (1883 - 1924) - S.I.O.e.Ch.CF.
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<strong>Franz</strong> <strong>Kafka</strong><br />
(<strong>1883</strong> - <strong>1924</strong>)
Dino Felisati, Giorgio Sperati<br />
Tormento e contraddizioni<br />
di una esistenza disperata<br />
Figura 1. Copertina della prima edizione<br />
de “La Metamorfosi”. (1915)<br />
Nasce a Praga il 13 luglio <strong>1883</strong>, da<br />
ebrei tedeschi. La sua famiglia è di<br />
cultura germanica, ma l’appartenenza<br />
al ghetto la esclude dal rapporto<br />
con la minoranza tedesca presente a<br />
Praga. Il padre governa la famiglia<br />
con autorità. “Di fronte all’intolleranza<br />
e alla tirannia dei miei genitori,<br />
vivo nella mia famiglia più estraneo<br />
di uno straniero” egli scrive, e<br />
infatti si sente doppiamente straniero:<br />
nella sua famiglia e nella sua<br />
città.<br />
Nel 1901, dopo aver frequentato<br />
per due settimane il corso di chimica<br />
e per sei mesi quello di germanistica,<br />
passa alla facoltà di giurisprudenza,<br />
263
considerata meno impegnativa,<br />
che gli consente di trovare<br />
un impiego e di cominciare<br />
a scrivere. Si laurea<br />
all’Università tedesca di<br />
Praga il 18 giugno 1906. In<br />
quest’epoca pare si manifestino<br />
i primi segni della<br />
tubercolosi polmonare che<br />
sarà la causa della sua morte<br />
prematura all’età di 41 anni.<br />
Due anni dopo viene assunto<br />
dalla Arbeiter-Unfall<br />
Versicherungs Anstalt (Istituto<br />
delle Assicurazioni Infortuni<br />
sul Lavoro, filiale<br />
praghese delle Assicurazioni<br />
di Trieste) che gli consente<br />
Figura 2. Statua bronzea di <strong>Kafka</strong> a Praga.<br />
di avere il pomeriggio libero<br />
per dedicarsi alla scrittura. Ma la stanchezza lo obbliga al riposo e<br />
pertanto il lavoro intellettuale viene rimandato alla notte.<br />
Compaiono insonnia e intolleranza verso i rumori. Il quadro clinico<br />
si arricchisce di foruncolosi, astenia, stipsi e disturbi neurovegetativi.<br />
Si cura con diete crudo-vegetariane. Nel 1912 scrive al suo<br />
amico Max Brod di avere sfiorato il suicidio. Nel 1909 e nel 1913<br />
soggiorna a Riva del Garda in una Casa di Cura raccomandata per il<br />
trattamento della neurastenia, disturbi di assimilazione, affezioni di<br />
cuore e dei polmoni. Alcuni anni dopo ha i nervi a pezzi, è tormentato<br />
da cefalee e vive in uno stato di profonda depressione psichica<br />
che tende all’autodistruzione. Il 9 agosto 1917 la malattia tubercolare<br />
si manifesta attraverso un’emottisi. Così egli ne parla: “Erano<br />
circa le quattro del mattino. Io mi sveglio, mi meraviglio della strana<br />
quantità di saliva in bocca, la sputo ma poi decido di accendere<br />
la luce. E così comincia. Crleni, non so se è scritta bene, ma è<br />
un’espressione efficace per questo sgorgare dalla gola. Pensai che<br />
264
non dovesse smettere più. Come facevo a tappare la sorgente se non<br />
l’avevo aperta. (…) Ecco dunque la situazione di questa malattia<br />
spirituale, la tubercolosi”. 4<br />
Cinque anni prima aveva conosciuto Felice Bauer con la quale<br />
aveva intrattenuto una fitta corrispondenza (sono gli anni de La<br />
Metamorfosi e Il Processo). Nel 1919 incontra Julie Wohryzeck, ma<br />
pochi mesi dopo la lascia perché ha conosciuto Milena Jesenka. I<br />
suoi amori sono lo specchio della sua insicurezza, della sua mente<br />
alterata: egli ha paura di perdere la sua libertà, ma nello stesso<br />
tempo teme di rimanere solo.<br />
La tubercolosi si aggrava: viene successivamente ricoverato a<br />
Merano, ove la febbre diventa continua ed elevata, la tosse secca e<br />
stizzosa. Da Merano inizia la corrispondenza con Milena Jesenka<br />
che sarà fonte di preziose informazioni sul suo stato di malattia fisica<br />
e mentale. Traspaiono evidenti “la mania autodistruttiva, il bisogno<br />
di fustigarsi e di umiliarsi, il senso della propria nullità e impotenza”.<br />
6<br />
Nel 1920 viene ricoverato<br />
in un sanatorio di montagna.<br />
La sofferenza è tale che<br />
chiede al dr. Klopstock di<br />
praticargli una iniezione<br />
mortale di oppio: “mi uccida<br />
o lei è un assassino”. Ma per<br />
fortuna si riprende e torna a<br />
Praga. Qui conosce Dora<br />
Dyamant (16 giugno 1923).<br />
Con lei va a vivere a Berlino.<br />
Nel febbraio <strong>1924</strong> il suo<br />
stato di salute peggiora,<br />
viene ricoverato a Vienna,<br />
nella clinica del prof. Mar-<br />
kus Hajek: il processo tubercolare<br />
ha ormai invaso la<br />
Figura 3. Tomba di <strong>Kafka</strong> e della sua famiglia nel<br />
cimitero ebraico di Praga.<br />
265
Figura 4. Markus Hajek. fu uno dei più noti rinologi<br />
e laringologi del suo tempo.<br />
laringe. Viene trasportato<br />
nel piccolo sanatorio di<br />
Kierling ove il prof. Neumann<br />
pratica l’alcolizzazione<br />
del nervo laringeo superiore.<br />
5<br />
In mancanza di una terapia<br />
eziologica contro il bacillo<br />
di Koch, in quegli anni si<br />
poteva ricorrere unicamente<br />
a cure palliative. Per le localizzazioni<br />
specifiche della<br />
laringe, responsabili di violente<br />
crisi di tosse pertussoide<br />
e di dolori intensi dovuti<br />
a interessamento delle aritenoidi,<br />
che rendevano difficoltosi<br />
l’alimentazione ed il<br />
riposo del paziente, venivano<br />
eseguite infiltrazioni per<br />
via cervicale del nervo larin-<br />
geo superiore con soluzione di cocaina 1% più alcool a 60-80 % ed<br />
eventualmente stovaina 1%. Le infiltrazioni avevano un benefico<br />
effetto sulla sintomatologia, ma dovevano essere ripetute ogni 8-10<br />
giorni. Le condizioni generali di <strong>Kafka</strong> erano però talmente compromesse<br />
che, dopo pochi mesi, il 3 giugno<strong>1924</strong> sopravvenne la morte.<br />
L’opera di <strong>Kafka</strong> e il suo rapporto con la malattia<br />
<strong>Kafka</strong> è scrittore complesso, addirittura assurdo, difficile da capire<br />
se non si penetra nei meandri della sua personalità. Affiorano<br />
alcuni elementi come possibile chiave di lettura della sua opera.<br />
Innanzi tutto è figlio di ebrei da tempo inseriti in ambiente germanico,<br />
quindi in parte staccati dalle loro tradizioni originarie, ma non<br />
266
accettati proprio perché ebrei. In secondo luogo, pesa nello sviluppo<br />
caratteriale del giovane <strong>Kafka</strong> il rapporto con la famiglia, con un<br />
padre autoritario che certamente non facilita il corretto sviluppo di<br />
una delicata personalità. In terzo luogo intervengono disturbi di tipo<br />
psicologico, che sfociano nella nevrosi, complicati da alterazioni<br />
psicosomatiche, ai quali si associa una malattia organica, la tubercolosi<br />
polmonare. L’approccio alla sua opera non può prescindere<br />
dalla psicologia. <strong>Kafka</strong> conosce l’opera di Freud ed egli stesso pratica<br />
l’analisi ricordando episodi della sua infanzia, ricostruendo il<br />
rapporto con i genitori, in particolare col padre. 1<br />
La malattia fisica non entra nelle opere, mentre quella mentale è<br />
ben rappresentata, spesso dai personaggi principali maschili, i più<br />
autobiografici. Infatti i protagonisti<br />
del Castello, del<br />
Processo o di America sono<br />
cupamente soli, afflitti da<br />
sensi di colpa che li schiacciano<br />
e li condannano ad<br />
un’esistenza disperata e ai<br />
margini della società, proprio<br />
come il loro creatore.<br />
Con lui condividono un’importante<br />
caratteristica: l’esitazione.<br />
Sono incapaci di<br />
scegliere, sono condannati<br />
ad una non-vita. Lo stesso<br />
<strong>Kafka</strong> nei suoi diari dice di<br />
essere un non-nato, condannato<br />
a morire senza avere<br />
vissuto. La malattia fisica<br />
invece non è rappresentata<br />
nelle opere, di tubercolosi<br />
non si parla mai, anche se,<br />
leggendo tra le righe, tanti<br />
personaggi ci sembrano dei<br />
Figura 5. Frontespizio della cartella di <strong>Kafka</strong> in<br />
occasione del suo ricovero presso la Clinica Laringologica<br />
di Vienna diretta dal Prof. Hajek.<br />
267
condannati a morte, che avanzano ignorando il loro male; dei malati<br />
che proseguono incuranti e incurabili. Un altro tema molto importante,<br />
al pari della malattia, è l’ebraismo che non è mai citato esplicitamente<br />
in nessuna opera, ma del quale possiamo leggere tra le<br />
righe molti richiami. 2<br />
I protagonisti dei romanzi sono uomini sani, che però vengono<br />
fiaccati dai loro mali mentali, come per esempio l’agrimensore K.<br />
nel Castello: nel momento supremo, quando il funzionario Brugel lo<br />
può aiutare miracolosamente, l’agrimensore è talmente privo di<br />
energie che crolla addormentato. Il tema dell’insonnia e dell’impossibilità<br />
di dormire ritorna a più riprese. I personaggi kafkiani, come<br />
il loro autore, non hanno pace nemmeno nelle attività quotidiane e<br />
più elementari, quali il mangiare e il dormire.<br />
Per quanto nelle opere di <strong>Kafka</strong> non si parli esplicitamente di<br />
malattia, va detto però che talvolta emerge il problema del corpo<br />
come elemento estraneo da sé, basti pensare al racconto La metamorfosi,<br />
in cui il protagonista è trasformato in un orrendo insetto. In<br />
altri racconti compaiono grottesche figure dalla stazza enorme,<br />
come il padre de La condanna o la cantante Brunelda, o viceversa<br />
figure magre e minuscole, come l’artista digiunatore, alter-ego di<br />
<strong>Kafka</strong> che muore di inedia.<br />
L’intera opera è la traduzione del senso di estraneità di <strong>Kafka</strong><br />
rispetto al mondo esterno, del suo desiderio e nello stesso tempo dell’impossibilità<br />
di vivere la realtà quotidiana come chiunque, di partecipare<br />
al godimento degli affetti e degli avvenimenti che la vita<br />
offre. E vive questo stato di disagio come una colpa, nella convinzione<br />
di esserne egli stesso la causa. Si rifugia pertanto nel suo<br />
mondo, quello della letteratura, vivendo una condizione di alienato<br />
dalla società. “Spesso i suoi racconti o i suoi romanzi hanno la caratteristica<br />
dei sogni, come se nella notte, mentre scriveva, fissasse<br />
sulla carta le sue fantasie, le sue allucinazioni”. 3<br />
Quanto alla tubercolosi, essa viene considerata qualcosa di buono,<br />
qualcosa che gli crea situazioni in cui può vivere l’esistenza che più<br />
gli è propria. Non è la malattia fisica ad essere forte e grave, ma la<br />
malattia mentale che, per non sopraffare l’individuo con la forza del<br />
268
suo tormento, trova una via d’uscita nella malattia fisica. <strong>Kafka</strong> scrive<br />
a Milena: “Ecco: il cervello non riusciva più a tollerare le preoccupazioni<br />
e i dolori che gli erano imposti. Diceva: ‘Non ne posso<br />
più; ma se c’è ancora qualcuno cui importi di conservare il totale, mi<br />
tolga un po’ del mio peso, e si potrà campare ancora un tantino’.<br />
Allora si fecero avanti i polmoni, che – tanto – non avevano nulla da<br />
perdere. Queste trattative tra il cervello e i polmoni, che si svolgevano<br />
a mia insaputa, devono essere state spaventevoli.” 6<br />
E a Milena scrive ancora: “Sono malato di mente, la malattia polmonare<br />
non è altro che lo straripare della malattia mentale”. <strong>Kafka</strong><br />
definisce la tubercolosi polmonare di cui soffre addirittura malattia<br />
spirituale. 4 Sulla lettura che <strong>Kafka</strong> dà del rapporto tra la sua malattia<br />
fisica e quella mentale, secondo gli psicoanalisti si tratta di una<br />
ambiguità che fa parte del discorso poetico. <strong>Kafka</strong>, come Freud,<br />
vede la malattia da un punto di vista psicoanalitico, ma la interpreta<br />
poeticamente alla luce della sua immaginazione, mentre Freud<br />
impiega un rigoroso metodo scientifico.<br />
<strong>Kafka</strong> non è una persona qualsiasi, egli è un diverso, vive in uno<br />
stato di angosciosa solitudine, straniero a tutti, non è inserito né<br />
nella sua città, né nel suo popolo, né nella sua famiglia, né mai troverà<br />
una donna con cui dividere la sua vita. Questa sua diversità si<br />
esprime sotto forma di malattia mentale. Egli quindi attende con<br />
ansia e accoglie positivamente la malattia fisica, che scarica parte<br />
della sofferenza interiore sul corpo e che sottolinea la sua diversità<br />
e unicità. Secondo <strong>Kafka</strong> un diverso e un solitario non può essere<br />
sano, si deve distinguere anche nel corpo.<br />
L’idea di suicidio<br />
Si è detto sopra che <strong>Kafka</strong> ebbe l’idea del suicidio nel 1912.<br />
Nonostante fosse continuamente insoddisfatto di sé e della sua vita<br />
da perenni sensi di colpa, non sembra che egli abbia mai pensato<br />
seriamente al suicidio. L’unica occasione in cui meditò seriamente<br />
questa scelta fu in seguito ad un battibecco in famiglia, durante il<br />
269
quale l’adorata sorella Ottla (l’unica persona che riusciva a comunicare<br />
davvero con lui e a sbirciare un poco nella sua anima) prese le<br />
parti dei genitori contro di lui. Questo fatto, brusco e inaspettato, lo<br />
spinse a meditare una scelta altrettanto brusca e netta. Peraltro, nella<br />
sua vita, le delusioni patite furono sempre calcolate e aspettate, determinate<br />
dalla sua continua indecisione; facevano parte della sofferenza<br />
prolungata e quotidiana dello scrittore, non furono straordinarie<br />
e improvvise come nel caso del litigio con la sorella. 1<br />
In questo quadro di sofferenza giornaliera entra un’altra forma di<br />
suicidio, più velata, ma altrettanto terribile: la lunga malattia che<br />
appare come una forma di lento e accettato suicidio. <strong>Kafka</strong>, afflitto<br />
com’è dai sensi di colpa, non può dare un taglio netto alla sua vita,<br />
deve espiare prima di morire. Ecco quindi le cure che non vengono<br />
seguite, il rifiuto del cibo o comunque un’alimentazione scarsa e<br />
disordinata. Rientra in questo quadro la difficoltà a rapportarsi con<br />
il corpo, spesso sentito come elemento estraneo da sé, che lo ostacola<br />
con i suoi problemi e la sua stanchezza, sottraendolo all’amata<br />
attività letteraria. Sappiamo inoltre dai suoi epistolari quale fosse la<br />
sua paura verso il corpo altrui e verso il rapporto carnale con le<br />
donne. 2 I temi morte-sofferenza-espiazione sono mirabilmente trattati<br />
in uno dei suoi racconti più agghiaccianti, La colonia penale. I<br />
condannati a morte subiscono una lunga tortura, sulla loro pelle vengono<br />
incisi con un’erpice segni che inizialmente sono indecifrabili,<br />
ma che a lungo andare si svelano ai loro occhi insieme alla sofferenza<br />
della carne. Ormai agonizzanti, riescono a decifrarli: è la spiegazione<br />
della loro colpa, che li fa morire tra le sofferenze, ma “anche<br />
al più ottuso si dischiude l’intelligenza. Comincia a diffondersi dagli<br />
occhi. È una vista che spingerebbe qualcuno a mettersi accanto al<br />
condannato sotto l’erpice”. Forse è questo che spera di ottenere<br />
<strong>Kafka</strong>, con il suo lento e sofferente suicidio: che gli si schiuda la<br />
verità, che arrivi a comprendere il significato della sua vita e della<br />
sua sofferenza. Ma ciò non avverrà certo nella dolorosa agonia, così<br />
come il comandante del racconto appena citato, perirà sotto l’erpice<br />
e nei suoi occhi “non si poteva cogliere alcun segno della promessa<br />
trasfigurazione”.<br />
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Bibliografia<br />
1. Brod M. “<strong>Franz</strong> <strong>Kafka</strong>” Praga 1937<br />
2. Hackermüller R.“Das Leben,das mich stort” Vienna 1984<br />
3. Martinelli Seltzer L.: “<strong>Kafka</strong>: introduzione all’opera”, in: “Wege zur deutschen<br />
Literatur” Firenze, 2001<br />
4. Laura Montani “<strong>Kafka</strong> e la malattia come significante” in “Il corpo e il testo” – PSY-<br />
CHOMEDIA (Home page Italiana), ARTE E RAPPRESENTAZIONE, Letteratura<br />
5. Skopec M., Majer E. H. “Geschichte der O.R.L. in Osterreich” Vienna 1998<br />
6. Sterpellone L.: “<strong>Franz</strong> <strong>Kafka</strong>” in “Pazienti illustrissimi…” Roma 1985.<br />
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