3_Testi a confronto - Edu.lascuola.it

3.
Dedica di Meleagro a Diocle
Meleagro (Gadara 140 – Coo 70 c. a.C.) fu l’ideatore della più antica raccolta di
epigrammi, la Corona, che, ampliatasi nel corso del tempo, si configurò
nell’Antologia Palatina.
Musa diletta, per chi questi frutti canori tu rechi?
Chi tessé questo serto di poeti?
Fu Meleagro: l’autore compose lo splendido omaggio,
come ricordo per l’insigne Diocle 1 .
(Antologia Palatina, IV, 1, vv.1-4, trad F.M. Pontani, Einuadi, Torino 1978)
Calchi del carme 1
La composizione di Ausonio (310-395) indirizzata all’amico Depranio (chiamato
affettuosamente “filio”), riprende l’incipit del carme di Catullo, per introdurre il
dedicatario dell’opera.
Ausonio Drepanio Filio
«Cui dono lepidum novum libellum?»
Veronensis ait poeta quondam
inventoque dedit statim Nepoti.
At nos inlepidum, rudem libellum,
1

urras quisquilias ineptiasque,
credemus gremio cui fovendum?
Inveni, trepidae silete nugae,
nec doctum minus et magis benignum,
quam quem Gallia praebuit Catullo.
Hoc nullus mihi carior meorum,
quem pluris faciunt novem sorores,
quam cunctos alios, Marone dempto.
«Pacatum haut dubie, poeta, dicis?»
Ipse est. Intrepide volate, versus,
et nidum in gremio fovete tuto.
Hic vos diligere, hic volet tueri:
ignoscenda teget, probata tradet:
post hunc iudicium timete nullum. Vale.
Ausonio al figlio Depranio
«A chi donare questo nuovo leggiadro libretto?» ha detto un tempo il poeta di Verona e,
trovato subito Nepote, glielo dedicò. Ma questo libretto non leggiadro, non curato,
queste scipitaggini, questi rifiuti, queste frottole, a chi le affideremo perché se le riscaldi
in petto? Ho trovato (fate tacere i vostri lamenti, o sciocchezzuole) un tale altrettanto
saggio e più benevolo di quello che la Gallia fornì a Catullo. È il più caro dei miei amici
e le nove Muse lo stimano sopra tutti gli altri, salvo Virgilio. «È evidente che parli di
Pacato, o poeta?». È proprio lui. Volate intrepidi, versi miei, e fatevi un caldo nido al
riparo del suo petto. Egli vorrà amarvi, proteggervi. Coprirà le vostre imperfezioni,
renderà pubblici i vostri meriti. Dopo di lui, non abbiate timore di nessun critico. Addio.
(Traduzione A. Pastorino)
1 Diocle è identificabile nella persona del filosofo di Magnesia, vissuto nel I sec. a.C
2

L’umanista Cristoforo Landino (Firenze 1424-1492) dedica la propria opera
Xandra a Leon Battista Alberti, scrivendo una composizione nella quale l’autore
stesso si rivolge al libricino.
Ad Leonem Baptistam Albertum
Ibis, sed tremulo, libelle, gressu,
nam cursus pedibus malis negatur;
verum ibis tamen et meum Leonem
Baptistam, Aonidum decus sororum 2 ,
antiqua Aeneadum videbis urbe 3 .
Quid stas? Quid trepidas, libelle ínepte?
Cur non sumis iter? Timesne tanti
forsan iudicium viri subire?
Nil est quod timeas. Legit poetas
doctos ille libens salesque laudat
leves et placidos probat lepores;
sed nec raucidulos malosque vates,
quamvis molliculi nihil bonique
candoris teneant, fugit severus;
laudat, siquid ìnest tamen modeste
laudandum, reliquum nec usque mordens
coram carpit opus, bonusque amice
secreta monet aure nigriora,
quae tolli deceant simulque verti
albis carmìna versibus. Suumque
2 Aonidum … sororum: le Muse.
3 Aeneadum … urbe: si tratta di Roma, ove l’Alberti soggiornò a partire dal 1443.
3

non hunc grande sophos decensque lusus,
quamquam utroque valet nimis diserte,
non Alberta domus facit superbum:
cunctis est facilis gravisque nulli.
Hic te, parve liber, sinu benigno
laetus suscipiet, suisque ponet
libris hospitulum. Sed, heus, libelle,
audin, nequitiae tuae memento!
Quare, si sapies, severiores,
quos ille ingenuo pios pudore
multos composuit, relinque libros,
et te Passeris illius querelis,
doctis sive Canis iocis Hiberi,
argutae lepidaeque sive Muscae
extremum comitem dabis: superque est
istis si potes ultimus sedere.
A Leon Battista Alberti
Andrai, o mio piccolo libro, ma con passo esitante, perché non puoi correre, dato che
mal ti reggono i piedi; ma tuttavia andrai a visitare il mio Leon Battista, gloria delle
sorelle Aonie, nell'antica città degli Eneadi. (5) Perché non ti muovi? perché, sciocco
libretto, hai paura? Perché non ti metti in cammino? Temi forse il giudizio di un così
illustre personaggio? Non hai nulla da temere. Egli sceglie i poeti migliori e loda gli
scherzi leggeri, (10) approva le innocue arguzie; ma non fugge nemmeno, arricciando il
naso, i cattivi poeti dalla voce sgraziata, benché i loro versi siano frivoli e piuttosto
sfacciati; fa dei complimenti, se vi è qualcosa che anche poco si possa lodare, (15) e non
4

fa mai delle critiche in pubblico: solo da buon amico, in segreto, indica le cose più
brutte, togliendo le quali si può trasformare un componimento mal riuscito in una bella
poesia.(20) Non lo rendono superbo le opere di sapienza, non i componimenti
elegantemente scherzosi, benché in entrambi i generi sia eccezionalmente dotato, non
l'appartenere alla famiglia Alberti. Con tutti è cortese, con nessuno è scostante.
Egli, mio piccolo libriccino, ti accoglierà affettuosamente (25) e ti porrà come un ospite
minore in mezzo ai suoi libri: ma, attento, libriccino, ricordati dei tuoi difetti! Per cui, se
sarai saggio, eviterai le opere più austere che egli in gran numero compose con pietà e
pudicizia, (30) e ti accoderai come ultimo compagno ai lamenti di Passero, o alle dotte
facezie del Cane ibero, o all'arguta e garbata Mosca 4 : ed è già troppo (35) se potrai
sedere come ultimo tra queste opere.
(Traduzione L. Gualdo Rosa)
Il dialogo con l’opera poetica si fa struggente nel caso di Ovidio, esiliato a Tomi
sul Mar Nero: il tono dolente del commiato introduce il primo libro dei Tristia (1,
vv.1-16).
Parve - nec invideo - sine me, liber, ibis in urbem:
ei mihi, quod domino non licet ire tuo!
Vade, sed incultus, qualem decet exulis esse:
infelix habitum temporis huius habe.
Nec te purpureo velent vaccinia fuco:
non est conveniens luctibus ille color.
Nec titulus minio, nec cedro charta notetur,
candida nec nigra cornua fronte geras.
Felices ornent haec instrumenta libellos:
fortunae memorem te decet esse meae.
5

Nec fragili geminae poliantur pumice frontes,
hirsutus sparsis ut videare comis.
Neve liturarum pudeat. Qui viderit illas,
de lacrimis factas sentiet esse meis.
Vade, liber, verbisque meis loca grata saluta:
contingam certe quo licet illa pede.
O mio piccolo libro, senza di me - e non ne sono geloso andrai a Roma: poiché, ahime!
al tuo padrone non è permesso andarvi. Va’, ma dimesso, come s'addice al libro di un
esule: indossa, infelice, l’abito della circostanza. Il mirtillo non ti colori di rosso
porpora: quel colore non si addice alla disgrazia. Il titolo non si distingua per il minio ne
i fogli per l'olio di cedro; e tu non portare corna bianche sulla fronte nera. Questi fregi
adornino pure i libri sereni: a te si addice rammentare la mia sorte. I due margini non
siano levigati da friabile pomice, perché tu appaia trascurato, coi capelli arruffati. Non
vergognarti delle cancellature. Chi le vedrà si accorgerà che sono state fatte dalle mie
lacrime. Va’, o libro, e a nome mio saluta quei cari luoghi: li toccherò almeno con
l’unico piede concesso.
4 Passeris … Canis Hiberi … Muscae: titoli di componimenti dell’Alberti.
(Traduzione F. Della Corte)
6