Comunicazioni orali e Poster sul Monitoraggio biologico - Giornale ...
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G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl, 17-112 © PI-ME, Pavia 2004<br />
www.gimle.fsm.it<br />
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER<br />
SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 19<br />
E.P. Abbritti 1 , N. Murgia 1 , N. Orazi 1 , M. dell’Omo 1 , T. Pierini 2 , G. Abbritti 1 , G. Muzi 1<br />
Effetti del cromo esavalente <strong>sul</strong>la cellularità polmonare di addetti<br />
alla cromatura galvanica<br />
1 Sezione di Medicina del Lavoro e Tossicologia Professionale e Ambientale, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Perugia<br />
2 Medico Competente<br />
RIASSUNTO. Il cromo metallico ed i composti del cromo trivalente<br />
ed esavalente sono largamente impiegati in ambito industriale. L’esposizione<br />
professionale a cromo (Cr), anche a basse concentrazioni, può causare<br />
flogosi delle vie aeree e asma bronchiale. Evidenze sperimentali suggeriscono<br />
che l’espettorato indotto è una metodica valida per analizzare<br />
gli indici cellulari e biochimici di infiammazione polmonare. Allo scopo<br />
di ottenere informazioni <strong>sul</strong>l’infiammazione polmonare causata dall’esposizione<br />
professionale a Cr sono stati valutati gli effetti su 11 lavoratori maschi<br />
addetti alla cromatura galvanica ed i ri<strong>sul</strong>tati confrontati con quelli ottenuti<br />
in un gruppo di 9 soggetti non esposti. Tutti i partecipanti, non fumatori<br />
e non affetti da patologie polmonari in atto, sono stati sottoposti a<br />
spirometria e a valutazione dell’espettorato indotto. I parametri spirometrici<br />
sono ri<strong>sul</strong>tati normali. Nei campioni di espettorato la concentrazione<br />
leucocitaria totale (82,98 ± 49,00 x10 4 cell/ml vs 68,89 ± 22,71<br />
x10 4 cell/ml) e la concentrazione assoluta dei neutrofili (53,08 ± 34,79<br />
x10 4 cell/ml vs 40,45 ± 12,52 x10 4 cell/ml) sono ri<strong>sul</strong>tate maggiori negli<br />
esposti rispetto ai non esposti. I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti, anche se non statisticamente<br />
significativi, anche a causa del modesto numero di partecipanti allo<br />
studio, potrebbero indicare la presenza di iniziali alterazioni flogistiche.<br />
Parole chiave: cromo esavalente, cellularità polmonare, flogosi delle<br />
vie aeree.<br />
ABSTRACT. EFFECTS OF HEXAVALENT CHROMIUM ON LUNG CEL-<br />
LULARITY IN CHROMATE WORKERS. Chromium and tri- and hexavalent<br />
chromium compounds are widely used in industry. Occupational exposure<br />
to chromium, even though at lower concentrations than current<br />
TLV, may cause airway inflammation and bronchial asthma. Eleven male<br />
chromate workers have been evaluated using induced sputum technique,<br />
and the re<strong>sul</strong>ts have been compared to a group of 9 non-exposed<br />
subjects. Members of both groups, non-smokers and those currently<br />
unaffected by lung disease, have been submitted to lung function tests<br />
and to sputum induction. Lung function values were normal. Total<br />
leukocyte concentration and absolute neutrophils concentration, evaluated<br />
on induced sputum, were higher in exposed than in non-exposed<br />
subjects (82,98 ± 49,00 x10 4 cell/ml vs 68,89 ± 22,71 x10 4 cell/ml;<br />
53,08 ± 34,79 x10 4 cell/ml vs 40,45 ± 12,52 x10 4 cell/ml), but the differences<br />
were not statistically significant. These re<strong>sul</strong>ts, although obtained<br />
from only a few exposed workers, may indicate early inflammation<br />
alterations in the airways.<br />
Key words: hexavalent chromium, lung cellurarity, airway inflammation.<br />
Introduzione<br />
Il cromo metallico è largamente impiegato nell’industria. I<br />
principali bersagli del Cr sono cute e mucose. L’esposizione a Cr,<br />
a concentrazioni anche inferiori agli attuali TLV, può provocare<br />
infiammazione delle mucose bronchiali e asma nei lavoratori<br />
esposti (1). Studi citologici di campioni ottenuti mediante BAL e<br />
biopsia bronchiale hanno evidenziato che i composti del Cr possono<br />
essere rilevati nei tessuti polmonari degli esposti e indurre<br />
modificazioni degli indici cellulari di flogosi (2). Numerosi studi<br />
hanno evidenziato che l’espettorato indotto è una metodica valida,<br />
già utilizzata per analizzare gli indici cellulari e biochimici di<br />
flogosi polmonare nello studio dell’asma bronchiale, della bronchite<br />
cronica, delle esposizioni a tossici ambientali e professionali<br />
e dell’effetto di alcuni farmaci <strong>sul</strong>l’infiammazione delle vie<br />
aeree (3, 4, 5, 6).<br />
Questo studio è stato condotto allo scopo di ottenere informazioni<br />
<strong>sul</strong>l’infiammazione polmonare causata dall’esposizione<br />
professionale a Cr alle concentrazioni attualmente presenti negli<br />
ambienti di lavoro.<br />
Materiali e metodi<br />
Allo studio hanno partecipato 11 lavoratori maschi addetti alla<br />
cromatura galvanica (età media ± DS: 43,7 ± 7,2 aa) con<br />
un’anzianità lavorativa media pari a 9,6 ± 6,4 aa, ed un gruppo di<br />
9 soggetti non esposti (età media: 30,8 ± 4,5 aa). Tutti i partecipanti,<br />
non fumatori e non affetti da malattie respiratorie in atto,<br />
sono stati sottoposti a dosaggio del Cr urinario, spirometria ed<br />
espettorato indotto. I campioni di espettorato sono stati quindi<br />
raccolti e processati seguendo metodiche validate (7).<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Tutti i partecipanti allo studio presentavano valori spirometrici<br />
normali.<br />
Nei campioni di espettorato la concentrazione leucocitaria<br />
totale (82,98 ± 49,00 x10 4 cell/ml vs 68,89 ± 22,71 x10 4<br />
cell/ml) e la concentrazione dei neutrofili (53,08 ± 34,79 x10 4<br />
cell/ml vs 40,45 ± 12,52 x10 4 cell/ml) sono ri<strong>sul</strong>tate maggiori<br />
negli esposti rispetto ai non esposti, pur non raggiungendo la significatività<br />
statistica.Non è emersa alcuna correlazione significativa<br />
tra anzianità lavorativa, concentrazione urinaria di Cr<br />
(fine turno lavorativo, 7,59 ± 4,60 µg/g creat) e indicatori di flogosi<br />
presi in esame.<br />
Discussione<br />
I ri<strong>sul</strong>tati di questo studio, pur mostrando un aumento della<br />
concentrazione dei leucociti e dei neutrofili nei lavoratori esposti,<br />
non sembrano sufficienti a supportare l’ipotesi che l’esposizione<br />
professionale a basse concentrazioni di Cr provochi alterazioni<br />
degli indici cellulari di flogosi nell’espettorato indotto.<br />
Questo studio è il primo in cui l’espettorato indotto viene impiegato<br />
per studiare la flogosi polmonare indotta da Cr. Questa<br />
tecnica è stata utilizzata nella valutazione dell’asma bronchiale<br />
e di altre patologie bronco-polmonari, anche conseguenti all’esposizione<br />
a tossici professionali (3,4,5,8), dimostrando in alcuni<br />
casi sensibilità paragonabile a quella del BAL e della biopsia<br />
bronchiale (9).<br />
L’inalazione di Cr, anche a concentrazioni al di sotto degli<br />
standard consentiti, può provocare infiammazione a livello tracheobronchiale<br />
(1). Park et al hanno rilevato un aumento della<br />
reattività bronchiale alla metacolina in soggetti sottoposti a esposizione<br />
controllata a sali di Cr (10).<br />
Kondo et al, in uno studio condotto su biopsie bronchiali di<br />
lavoratori esposti, hanno rilevato un accumulo di Cr nelle regioni<br />
bronchiolo-alveolari e subpleuriche maggiore che in quelle più<br />
prossimali dell’apparato respiratorio, dove peraltro è presente a
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livello delle biforcazioni bronchiali (11). Studi condotti su animali<br />
hanno evidenziato che l’inalazione di Cr provoca un incremento<br />
dei linfociti e dei macrofagi alveolari e zone di modesta<br />
infiltrazione interstiziale, per lo più costituita da linfociti, neutrofili<br />
ed eosinofili (12,13).<br />
I ri<strong>sul</strong>tati di questo studio potrebbero indicare che l’esposizione<br />
a basse concentrazioni di Cr non sia tale da indurre<br />
effetti infiammatori rilevabili con l’espettorato indotto<br />
in un limitato numero di esposti. Tuttavia, l’aumento della<br />
concentrazione leucocitaria totale e dei neutrofili, soprattutto<br />
considerando l’accurato controllo dei possibili fattori di<br />
confondimento, potrebbe indicare la presenza di iniziali alterazioni<br />
flogistiche.<br />
Bibliografia<br />
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particles, nitric acid vapour, and ozone on respiratory tract in-<br />
C.M. Ansalone 1 , G. Sarcletti 2 , V. Crespi 2 , D. Cavallo 3 , R. Borchini 2 , M. Ferrario 1,2<br />
RIASSUNTO. Vengono riportati i ri<strong>sul</strong>tati preliminari delle associazioni<br />
tra i valori medi delle concentrazioni di sevoflurano (SF) e protossido<br />
d’azoto (PA) nei campioni urinari di 65 soggetti professionalmente<br />
esposti a basse concentrazioni ed i valori medi ambientali degli stessi<br />
anestetici rilevati in 12 sale operatorie nel 2004 in un ospedale lombardo.<br />
I dati raccolti hanno dimostrato che la variabilità statistica spiegata dai rilievi<br />
biologici è superiore per il SF rispetto al PA. Il coefficiente di correlazione<br />
lineare è ri<strong>sul</strong>tato di 0,47 per il PA e di 0,63 per il SF. L’ampiezza<br />
degli intervalli di confidenza sta ad indicare la considerevole variabilità<br />
dei dosaggi biologici. Una ulteriore standardizzazione delle variabili<br />
individuali e della tecnica analitica potrebbero migliorare ulteriormente<br />
le associazioni riscontrate.<br />
Parole -chiave: sevoflurano, monitoraggio <strong>biologico</strong>, esposizione<br />
professionale, personale ospedaliero.<br />
ABSTRACT. BIOLOGICAL MONITORING OF OCCUPATIONAL EXPO-<br />
SURE TO LOW SEVOFLURANE CONCENTRATIONS: A NEW TECHNIQUE FOR<br />
MEASURING URINARY SEVOFLURANE. This paper reports the preliminary<br />
re<strong>sul</strong>ts of the association between biological and environmental measurements<br />
of exposure of two of the most frequently used anesthetics:<br />
sevoflurane (SF) and nitrous oxide (N2O). Environmental measurements<br />
of SF and N2O were performed in twelve operating theaters of a<br />
university hospital in northern Italy. Urine samples were simultaneously<br />
collected from 65 surgical staff. SF and N2O determinations were<br />
done using gas-chromatography with an ECD detector. All environmental<br />
measurements were within threshold limit values, confirming<br />
flammation and pulmonary function. Proceedings of the American<br />
Thoracic Society 1997.<br />
5) Pavord ID, Sterk PJ, Hargreave FE et al. Clinical applications of assessment<br />
of airway inflammation using induced sputum. Eur Respir<br />
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asthma medications. Br J Clin Pharmacol 2001; 52: 121-128.<br />
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Eur Respir J 2002; 20(Suppl. 37): 19s-23s.<br />
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lavage versus sputum induction for assessment of ozone-induced<br />
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10) Park HS, Yu HJ, Jung KS. Occupational asthma caused by chromium.<br />
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11) Kondo K, Takahashi Y, Ishikawa S et al. Microscopic analysis of chromium<br />
accumulation in the bronchi and lung of chromate workers.<br />
Cancer 2003 Dec; 98 (11): 2420-29.<br />
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Environ Res 1987 Dec; 44(2): 279-93.<br />
13) Johansson A, Wiernik A, Jarstrand C et al. Rabbit alveolar macrophages<br />
after inhalation of hexa- and trivalent chromium. Environ<br />
Res 1986 Apr; 39 (2): 372-85.<br />
Messa a punto di un metodo di misura del sevoflurano urinario per<br />
il monitoraggio <strong>biologico</strong> della esposizione a basse concentrazioni<br />
1 Scuola di Specializzazione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi dell’Insubria, Varese<br />
2 Medicina del Lavoro e Preventiva, AO Ospedale di Circolo Fondazione Macchi di Varese, Varese<br />
3 Dipartimento di Scienze Chimiche e Ambientali, Facoltà di Scienze, Università degli studi dell’Insubria, Como<br />
low-dose exposures. Correlation coefficients between biological and<br />
environmental mean values were 0.47 for N 2 O and 0.63 for SF. Only<br />
part of the environmental SF and N 2 O variability could be explained<br />
by the corresponding biological measurements. Further standardization<br />
of the duration and conditions of individual exposure and the<br />
adoption of individual environmental sampling may further improve<br />
the associations.<br />
Key words: sevoflurane, biological monitoring, occupational exposure,<br />
health care workers.<br />
Introduzione<br />
Il sevoflurano (SF) è un etere alogenato introdotto tra i gas<br />
anestetici in Italia dal 1985, in associazione con il protossido d’azoto<br />
(PA). Ha bassa solubilità ematica, che consente rapidi induzione<br />
dell’anestesia e risveglio; bassi coefficienti di ripartizione<br />
sangue-aria alveolare e sangue-tessuti, che contribuisce a conferire<br />
potenza narcotica elevata, facile dosaggio e rapide modificazioni<br />
della profondità dell’anestesia (4).<br />
La maggior parte del SF è eliminata nelle urine tal quale.<br />
Solo il 5% del SF subisce biotrasformazione epatica, con ossidrilazione<br />
ad opera dell’isoenzima CYP 2E1 e formazione di<br />
fluoraldeide (quindi di acido formico) e di alcool esa-fluoroisopropilico<br />
e liberazione di ioni fluoro (5,6). Ad elevate con-
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centrazioni ematiche, il SF ha dimostrato<br />
tossicità epatica, depressione<br />
respiratoria e cardiovascolare,<br />
convulsioni ed ipertermia maligna<br />
(4). Il SF reagisce con la Soda<br />
Lime [NaOH 5%, Ca(OH)2 95%],<br />
utilizzata per assorbire la CO 2 nei<br />
circuiti di anestesia, producendo il<br />
Composto A, riconosciuto nefrotossico<br />
nei ratti. Nell’uomo sono<br />
state segnalate lesioni reversibili<br />
del tubulo renale, anche a basse<br />
concentrazioni (5,7). Per il monitoraggio<br />
<strong>biologico</strong> dei soggetti professionalmente<br />
esposti sono spesso<br />
utilizzati i fluoruri nelle urine, che<br />
presentano bassa specificità. Più<br />
recentemente è stato proposto il dosaggio urinario dell’alcool<br />
esa-fluoro-isopropilico e del sevoflurano tal quale (2,5,8). Con<br />
il presente contributo si riportano i ri<strong>sul</strong>tati preliminari delle associazioni<br />
tra i valori medi delle concentrazioni di SF e PA nei<br />
campioni urinari di 65 soggetti professionalmente esposti a basse<br />
concentrazioni ed i valori medi ambientali degli stessi anestetici<br />
riscontrati in 12 sale operatorie, rilevati nel 2004 in un<br />
ospedale lombardo.<br />
Materiali e metodi<br />
Determinazioni ambientali: I monitoraggi ambientali sono<br />
stati eseguiti in 12 sale operatorie nei mesi di febbraio-marzo<br />
2004, tramite monitor Brüel-Kjaer per analisi dei gas, dotato<br />
di spettroscopia fotoacustica a raggi infrarossi, come sistema<br />
analitico, e di microfono come trasduttore di misura. Per la presente<br />
analisi sono stati utilizzati i rilievi medi relativi all’intera<br />
seduta operatoria (1). Il campionamento è avvenuto posizionando<br />
il sensore a circa 150 cm di altezza, in prossimità del<br />
campo operatorio.<br />
Raccolta e conservazione dei campioni urinari: I campioni<br />
di urine sono stati raccolti al termine della seduta operatoria o<br />
dopo almeno tre ore dall’inizio dell’intervento. La raccolta dei<br />
campioni urinari è stata condotta al di fuori del comparto operatorio,<br />
nel minor tempo possibile (entro 5 minuti), utilizzando<br />
contenitori con 0.2 ml di acido solforico 9N, immediatamente sigillati.<br />
I campioni raccolti sono stati conservati a 4°C ed analizzati<br />
entro una settimana. Le determinazioni di SF e PA sono state<br />
effettuate in gas-cromatografia con la tecnica dello spazio di<br />
testa e rilevazione ECD, secondo il metodo proposto da Buratti et<br />
al. (2), parzialmente modificato. Si è utilizzato un gas-cromatografo<br />
Perkin Elmer 8500 dotato di rivelatore a cattura di elettroni.<br />
Come gas di trasporto (carrier) e di make-up è stato utilizzato<br />
azoto puro. La linearità delle determinazioni è stata valutata tramite<br />
sequenze scalari di standard (Sevorane - Abbott) da 10 a<br />
1000 µg/L. Il limite di rilevabilità per il SF è di 1,0 µg/L. I dosaggi<br />
sono stati effettuati presso il Laboratorio di Tossicologia<br />
della UO di Medicina del Lavoro e Preventiva dell’Ospedale di<br />
Circolo di Varese.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
In Tabella I sono riportati i valori medi ambientali del SF e del<br />
PA, per le singole sale operatorie sottoposte a controllo, il numero<br />
di campioni di urine raccolte ed i valori medi urinari (e relativo<br />
errore standard) dei dosaggi di SF e PA. Un soggetto con riconosciuta<br />
infezione delle basse vie urinarie e con campioni raccolti<br />
in due sale operatore è stato escluso per il dosaggio di PA.<br />
Tabella I. Valori ambientali e biologici di protossido di azoto e sevoflurano registrati<br />
La variabilità statistica spiegata (R 2 ) dei rilievi biologici è ri<strong>sul</strong>tata<br />
superiore per il sevoflurano rispetto al protossido di azoto.<br />
Il coefficiente di correlazione lineare di Pearson è ri<strong>sul</strong>tato di<br />
0,47 per il PA e di 0,63 per il SF.<br />
Discussione<br />
I vantaggi della determinazione del SF tal quale sono rappresentati<br />
dalla elevata specificità, dalla possibilità di poterlo<br />
determinare con la medesima colonna del PA. Per contro lo<br />
svantaggio principale è rappresentato dalla necessità di avere<br />
elevate sensibilità dello strumento di rilevazione (2, 3). L’ampiezza<br />
degli intervalli di confidenza riscontrati indica la considerevole<br />
variabilità dei dosaggi biologici, che possono risentire<br />
di numerosi fattori, quali i tempi e le modalità di stazionamento<br />
in sala operatoria, oltre che delle variabilità intra-individuale e<br />
analitica. Una ulteriore standardizzazione delle variabili individuali<br />
e della tecnica analitica, potrebbero migliorare ulteriormente<br />
le associazioni con i livelli ambientali, incluso l’utilizzo<br />
di campionatori personali.<br />
Bibliografia<br />
1) Accorsi A, Barbieri A, Raffi GB, Violante FS. Biomonitoring of exposure<br />
to nitrous oxide, sevoflurane, isoflurane and halothane by automated<br />
GC/MS headspace urinalysis. Int Arch Occup Environ<br />
Health 2001; 74: 541-548.<br />
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dell’esposizione professionale a gas e vapori anestetici: determinazione<br />
di protossido d’azoto, alotano e isofluorano nell’urina. Med<br />
Lav 1993; 84: 66-73.<br />
3) Cassano F, De Marinis G, Bavaro P, Dentamaro A, Basso A, Giacomantonio<br />
A, Rubino G, Ricci G, Aloise I, Minenna MT. Esposizione<br />
professionale ad anestetici inalatori: 10 anni di misure in ospedali pugliesi.<br />
G Ital Med Lav Erg 2003; 25(3 Suppl.): 279.<br />
4) Desogus GF. Esposizione occupazionale ad anestetici volatili e neurotossicità.<br />
G Ital Med Lav Erg 2003; 25(3 Suppl.): 412.<br />
5) Imbriani M, Zadra P, Negri S, Alessio A, Maestri L, Ghittori S. <strong>Monitoraggio</strong><br />
<strong>biologico</strong> dell’esposizione professionale a sevoflurane. G<br />
Ital Med Lav Erg 2003; 25: 137-141.<br />
6) Cottica D, Bartolucci GB, Grignani E, Locatelli C, Sala C, Scapellato<br />
ML, Sesana G. Gas anestetici. Minoia C, Perbellini L., (Eds.)<br />
<strong>Monitoraggio</strong> ambientale e <strong>biologico</strong> dell’esposizione professionale<br />
a xenobiotici. Volume 4. Morgan Edizioni Tecniche, Milano, 2001,<br />
pp. 32-36.<br />
7) Proietti L. Anestesia a bassi flussi ed inquinamento ambientale. G<br />
Ital Med Lav Erg 2001; 23: 14 -17.<br />
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Saia B, Bartolucci GB. Esposizione professionale a gas anestetici in<br />
alcuni ospedali del Veneto. G Ital Med Lav Erg 2002; 24: 447-450.
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
22 www.gimle.fsm.it<br />
A. Baccarelli 1,2 , A. Pesatori 1 , D. Consonni 3 , D.Patterson Jr. 4 , M. Bonzini 1 , B. Marinelli 1 , J. A. Grassman 5 ,P.A. Bertazzi 1 , M.T. Landi 2<br />
Metodologie molecolari e genetiche nello studio degli effetti di agenti<br />
occupazionali ed ambientali: l’esempio del “Seveso Molecular<br />
Epidemiology Project”<br />
1 Dipartimento di Medicina del Lavoro “Clinica L. Devoto”, Università degli Studi di Milano, Milano<br />
2 Genetic Epidemiology Branch, Division of Cancer Epidemiology and Genetics, National Cancer Institute, NIH, DHHS, Bethesda, MD, USA<br />
3 Unità Operativa di Epidemiologia, Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento, Milano<br />
4 Division of Environmental Health Laboratory Science, National Center for Environmental Health, Centers for Disease Control and Prevention, Atlanta,<br />
GA, USA<br />
5 Health and Nutrition Sciences, Brooklyn College, CUNY, Brooklyn, NY, USA<br />
RIASSUNTO. Nel 1997 la IARC ha classificato la 2,3,7,8tetraclorodibenzo-p-diossina<br />
(TCDD) come un cancerogeno per l’uomo<br />
<strong>sul</strong>la base di sufficienti evidenze da esperimenti animali e limitate evidenze<br />
da studi epidemiologici. Un ruolo chiave fu attribuito alla presenza<br />
di un meccanismo di azione ben definito che richiede l’attivazione del<br />
recettore Aryl-hydrocarbon (AhR). Studi sperimentali negli animali ed in<br />
vitro indicano che i livelli cellulari di AhR diminuiscono in seguito al legame<br />
recettoriale della TCDD. Approssimativamente 20 anni dopo l’incidente<br />
di Seveso, abbiamo osservato livelli diminuiti di trascrizione di<br />
AhR nei soggetti esposti che erano correlate ai livelli di TCDD plasmatica.<br />
Questi ri<strong>sul</strong>tati suggeriscono la presenza di un fenomeno di down-regulation<br />
di AhR, comparabile a quello osservabile in molti altri sistemi<br />
recettoriali. Questi ri<strong>sul</strong>tati dimostrano per la prima volta che i meccanismi<br />
di regolazione indotti da TCDD nel sistema AhR osservati precedentemente<br />
in studi sperimentali si verificano in maniera simile anche nei<br />
soggetti esposti. I nostri dati sono fondamentali per estrapolare all’uomo<br />
gli effetti conseguenti alla attivazione del sistema AhR osservati in modelli<br />
sperimentali.<br />
Parole chiave: 2,3,7,8-Tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), recettore<br />
Aryl-hydrocarbon, esposizione ambientale.<br />
ABSTRACT. MOLECULAR AND GENETIC METHODS FOR STUDYING<br />
THE EFFECTS OF OCCUPATIONAL AND ENVIRONMENTAL AGENTS: THE SE-<br />
VESO MOLECULAR EPIDEMIOLOGY PROJECT. In 1997, IARC classified<br />
2,3,7,8-tetrachlorodibenzo-p-dioxin (TCDD) as carcinogenic to humans,<br />
based on sufficient evidence from animal data and limited evidence from<br />
human data. A key role in the IARC classification was played by the welldefined<br />
mechanism of TCDD action involving the activation of the Arylhydrocarbon<br />
Receptor (AhR). Experimental animal and in-vitro studies<br />
indicate that AhR levels decrease following TCDD binding. Nearly 20<br />
years after the Seveso accident, we found a decrease in AhR mRNA levels<br />
in TCDD-exposed subjects. AhR transcript levels were correlated<br />
with plasma TCDD concentrations. Our re<strong>sul</strong>ts may reflect a down-regulation<br />
of AhR, similar to that observed in most receptorial systems. We<br />
demonstrated, for the first time in humans, that TCDD-related regulation<br />
of the AhR pathway, previously observed in experimental studies, may also<br />
occur in exposed subjects. Our data are important for extrapolating<br />
AhR-mediated effects from experimental models to humans.<br />
Key words: 2,3,7,8-tetrachlorodibenzo-p-dioxin (TCDD), Aryl-hydrocarbon<br />
Receptor, environmental exposure.<br />
Introduzione<br />
Nel 1997 la IARC ha classificato la 2,3,7,8-Tetraclorodibenzo-p-diossina<br />
(TCDD) come un cancerogeno di classe 1<br />
(cancerogeno per l’uomo) <strong>sul</strong>la base di sufficienti evidenze da<br />
esperimenti animali e limitate evidenze da studi epidemiologici.<br />
Un ruolo chiave fu attribuito dalla commissione alla presenza<br />
di un meccanismo di azione ben definito che richiede<br />
l’attivazione del recettore Aryl-hydrocarbon (AhR) per mediare<br />
gli effetti tossici della TCDD. I componenti molecolari del<br />
sistema AhR sono simili negli animali e nell’uomo. AhR è un<br />
recettore nucleare che, in presenza di TCDD, forma un eterodimero<br />
attivo con il cofattore ARNR ed induce la trascrizione<br />
di enzimi, quali il citocromo P4501A1 (CYP1A1) e P4501B1<br />
(CYP1B1) coinvolti nel metabolismo di xenobiotici. La<br />
espressione prolungata di questi enzimi può provocare un aumento<br />
di lesioni del DNA a causa della generazione di metaboliti<br />
genotossici e di radicali reattivi dell’ossigeno. Gli effetti<br />
<strong>sul</strong> sistema AhR della esposizione a diossine non è mai stata<br />
studiata nell’uomo in vivo. Abbiamo disegnato e condotto uno<br />
studio molecolare per indagare lo stato di attivazione del sistema<br />
AhR su un campione di soggetti rappresentativo della popolazione<br />
esposta a TCDD in seguito all’incidente di Seveso e<br />
di una popolazione di controllo non esposta. Abbiamo campionato<br />
casualmente 62 soggetti della popolazione delle zone altamente<br />
contaminate (A+B) e 59 dalla zona circostante non<br />
contaminata (non-ABR) (1). Nei soggetti di zona A e B, i livelli<br />
di TCDD plasmatici erano ancora elevati con concentrazioni<br />
che arrivavano fino a 90 ppt (2).<br />
Materiali e metodi<br />
I soggetti dello studio sono stati reclutati tra il dicembre 1992<br />
ed il marzo 1994. I livelli di mRNA dei geni AhR, ARNT,<br />
CYP1A1 e CYP1B1 e della attività EROD CYP1A1-dipendente<br />
sono stati misurati in linfociti periferici (3, 4). Alcuni dei marcatori<br />
del sistema AhR, come l’espressione di CYP1A1 e l’attività<br />
EROD, sono presenti solo a livelli estremamente bassi in linfociti<br />
non coltivati. Abbiamo quindi utilizzato, in aggiunta a linfociti<br />
non coltivati, linfociti coltivati con mitogeno o con mitogeno +<br />
10 nM TCDD. I livelli di mRNA di AhR, ARNT, CYP1A1, and<br />
CYP1B1 sono stati misurati tramite quantitative competitive reverse<br />
transcription PCR (RT-PCR).<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Livelli dei markers del sistema AhR nelle differenti condizioni<br />
cellulari: Nelle cellule non coltivate, abbiamo analizzato<br />
soltanto AhR, ARNT e CYP1B1. I livelli medi di mRNA erano<br />
1.19 x 10 6 copie per AhR, 0.47 x 10 6 copie per ARNT e 0.11 x 10 6<br />
copie per CYP1B1. L’espressione di ARNT non è stata misurata<br />
in cellule coltivate perché la quantità di cellule disponibili era limitata.<br />
Tutti gli altri markers, che includevano AhR, CYP1A1,<br />
CYP1B1 e EROD, sono stati potentemente indotti quando le cellule<br />
sono state coltivate con mitogeno o con mitogeno + TCDD.<br />
TCDD plasmatica e il sistema AhR: Nei soggetti con più<br />
alta esposizione a TCDD, i livelli di mRNA di AhR (in tutte le<br />
condizioni cellulari utilizzate) e di ARNT tendevano ad essere<br />
più bassi. Abbiamo utilizzato tecniche di analisi statistica multivariata<br />
per correggere i ri<strong>sul</strong>tati per la presenza di fattori indivi-
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 23<br />
Figura 1. Associazione tra livelli<br />
di TCDD plasmatica e markers<br />
del sistema AhR in cellule non<br />
coltivate (riquadri in nero) ed in<br />
cellule coltivate con mitogeno e<br />
TCDD (10 nM, riquadri in bianco),<br />
in un gruppo di soggetti<br />
campionati casualmente dalla<br />
popolazione delle zone ad alta<br />
contaminazione (A+B) e della<br />
zona circostante non contaminata<br />
(non-ABR) di Seveso. La<br />
correlazione tra i markers è<br />
espressa utilizzando la statistica<br />
t ed i valori di p del test di Wald<br />
ottenuti da modelli di regressione<br />
multipla aggiustati per età,<br />
sesso, espressione di actina e<br />
data dell’esperimento (cellule<br />
non coltivate) o espressione di<br />
actina, vitalità cellulare postcultura,<br />
gruppo sperimentale,<br />
data dell’esperimento e crescita<br />
cellulare. Figura adattata da<br />
Baccarelli et al. (4)<br />
duali o di laboratorio potenzialmente in grado di alterare i ri<strong>sul</strong>tati<br />
(Figura 1) (3). L’associazione negativa tra TCDD plasmatica<br />
ed AhR era statisticamente significativa in linfociti non coltivati<br />
(t = -2.28, p = 0.03). La TCDD plasmatica non era significativamente<br />
associata ai livelli di ARNT, CYP1A1 e CYP1B1. I<br />
livelli di TCDD erano negativamente associati alla attività<br />
EROD (t = -2.61, p = 0.01).<br />
Associazione tra i markers all’interno del sistema AhR: In<br />
cellule non coltivate, abbiamo osservato una forte correlazione<br />
statistica tra l’espressione di AhR e ARNT (t=4.20; p
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
24 www.gimle.fsm.it<br />
A. Basile 1 , A. Simonelli 2 , R. Moccaldi 3 , G. Spagnoli 4 , A. Acampora 2 , N. Sannolo 1<br />
Studio preliminare mediante spettrometria di massa per la misura della<br />
dose biologicamente efficace nell’esposizione professionale ad acrilammide<br />
1 Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Medicina del Lavoro, Tossicologia ed Igiene Industriale, Seconda Università degli Studi di Napoli<br />
2 Dipartimento di Medicina Pubblica e della Sicurezza Sociale, Università degli Studi di Napoli, “Federico II”<br />
3 Servizio Medico Competente del CNR, Roma<br />
4 Dipartimento di Igiene del Lavoro, Centro Ricerche ISPESL, Monte Porzio Catone, Roma<br />
RIASSUNTO. L’Acrilammide (AA) è una molecola reattiva molto<br />
utilizzata nell’industria chimica; è un agente neurotossico, è mutagena ed<br />
è classificata dalla IARC come probabile cancerogeno per l’uomo. Il metabolismo<br />
ossidativo della AA porta alla formazione del metabolita epossidico<br />
glicidamide (GA) che è responsabile degli effetti mutageni e carcinogeni.<br />
Sia l’AA che la GA formano addotti con macromolecole biologiche.<br />
In questo lavoro sono stati caratterizzati gli addotti emoglobinici<br />
dell’AA formati in vitro, con lo scopo di sviluppare un metodo analitico<br />
sensibile per la rivelazione e la quantificazione degli addotti peptidici dell’AA,<br />
basato su metodiche analitiche di spettrometria di massa tandem<br />
accoppiata alla cromatografia liquida. È stata preliminarmente effettuata<br />
la caratterizzazione degli addotti sia <strong>sul</strong>la globina intera, utilizzando uno<br />
spettrometro di massa Q-Tof, sia <strong>sul</strong>la miscela triptica, evidenziando la<br />
forte alchilazione del residuo di cisteina 93 della β-globina.<br />
Parole chiave: acrilammide, glicidamide, addotti all’emoglobina.<br />
ABSTRACT. PRELIMINARY STUDY USING MASS SPECTROMETRY FOR<br />
MEASURING DOSES WHICH ARE BIOLOGICALLY EFFECTIVE IN TREATING<br />
OCCUPATIONAL EXPOSURE TO ACRYLAMIDE. Acrylamide (AA) is a reactive<br />
molecule extensively used in the chemicals industry; it is a neurotoxic<br />
agent, causes germ cell mutagenicity and it is classified by the IARC as<br />
a probable cancerogen for humans. Oxidative metabolism of AA leads to<br />
its epoxide metabolite, glycidamide (GA) which is responsible for mutagenic<br />
and carcinogenic effects. Both AA and GA form adducts with biological<br />
macromolecules. This paper describes the characterization of the<br />
hemoglobin adduct of AA formed in vitro with the purpose of developing<br />
a sensitive method for the detection and quantification of peptide adducts<br />
of AA based on tandem mass spectrometry coupled with LC. A preliminary<br />
characterization of adduct was performed both on whole globin<br />
chains by ESI-Q-T of mass spectrometer and on a tryptic mixture of peptides,<br />
explaining the strong alkylation of cystein 93 residue of β-globin.<br />
Key words: acrylamide, glycidamide, hemoglobin adducts.<br />
Introduzione<br />
L’Acrilammide (2-propenammide, AA) è un monomero utilizzato<br />
principalmente come prodotto intermedio nell’industria<br />
chimica per la produzione di poliacrilammide. L’AA viene anche<br />
usata per la preparazione in loco di gel di poliacrilammide per la<br />
separazione elettroforetica di macromolecole biologiche e come<br />
agente di consolidamento del suolo. La poliacrilammide è utilizzata<br />
principalmente nel trattamento delle acque reflue, nella lavorazione<br />
della carta e dei minerali, come additivo cosmetico e<br />
come ammendante (1). Ulteriore fonte di esposizione è la dieta in<br />
quanto l’AA si forma durante la cottura di alcuni cibi, come ri<strong>sul</strong>tato<br />
della reazione di Maillard tra amminoacidi e zuccheri riducenti<br />
(2).<br />
L’esposizione professionale o sperimentale all’AA determina<br />
una neuropatia caratterizzata da atassia, perdita di peso e danno<br />
neuronale. L’AA è stata anche indicata come potenziale agente<br />
mutageno e tossico per la riproduzione. L’AA è metabolizzata al<br />
corrispondente epossido glicidamide (2,3-epossipropinammide,<br />
GA) che è stata dimostrata essere mutagena e cancerogena. L’AA<br />
è classificata dalla IARC come probabile cancerogeno per l’uomo<br />
(gruppo 2A).<br />
Poiché l’AA può provenire sia da fonti esterne che dalla dieta,<br />
ri<strong>sul</strong>ta necessario caratterizzare adeguatamente l’esposizione<br />
ai fini di una corretta stima del rischio per la salute. Allo scopo di<br />
individuare un biomarcatore basato su una matrice facilmente ottenibile<br />
e rappresentativa dell’effettiva esposizione, la nostra attenzione<br />
si è rivolta agli addotti emoglobinici. La strategia analitica<br />
consiste in un’indagine preliminare su tutti i siti alchilati lungo<br />
la sequenza delle globine, seguita dalla individuazione della<br />
porzione maggiormente alchilata identificabile in un peptide facilmente<br />
ottenibile che possa essere adottato quale biomarcatore<br />
da quantificare nel monitoraggio <strong>biologico</strong>.<br />
Materiali e metodi<br />
Sono stati utilizzati reagenti di elevato grado di purezza: AA,<br />
>99%, Biorad; tripsina Sigma-Aldrich. Campioni di sangue di soggetti<br />
sani non fumatori e non esposti professionalmente ad AA sono<br />
stati utilizzati per esperimenti di incubazione in vitro. L’analisi è stata<br />
condotta in cromatografia liquida ad alta risoluzione avvalendosi<br />
di HPLC della Kontron Instruments e della Agilent, usati tal quali o<br />
in modalità on line con gli spettrometri di massa. Lo spettrometro di<br />
massa utilizzato per l’analisi delle globine alchilate è un ibrido singolo<br />
quadrupolo-tempo di volo Q-Tof (Waters); quello utilizzato per<br />
l’analisi del digerito triptico delle globine è un electrospray dotato di<br />
analizzatore a trappola ionica LCQdeca (Thermo).<br />
L’incubazione emoglobina-acrilammide è stata condotta aggiungendo<br />
una soluzione acquosa di AA al lisato eritrocitario in<br />
modo da avere rapporti molari di incubazione Hb:AA di 1:1, 1:10<br />
ed 1:100. Le catene globiniche sono state frazionate mediante<br />
RP-HPLC ed analizzate con spettrometria di massa normale e<br />
tandem. Le globine sono anche state sottoposte ad idrolisi triptica<br />
e la ri<strong>sul</strong>tante miscela peptidica è stata analizzata mediante<br />
LC/ES/MS per individuare i peptidi alchilati. Analisi<br />
LC/ES/MS/MS sono state condotte sui peptidi modificati al fine<br />
di identificare il sito amminoacidico alchilato.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Le analisi MS di globine incubate con AA hanno permesso di<br />
stabilire che in seguito ad interazione Hb-AA si formano addotti<br />
covalenti e stabili e che la β-globina é la catena più alchilata. L’analisi<br />
mediante ES/MS/MS <strong>sul</strong>la globina intera e <strong>sul</strong>l’idrolizzato<br />
triptico individuano nel peptide 83-95 della β-globina la porzione<br />
maggiormente alchilata. La cisteina 93 è ri<strong>sul</strong>tata essere il sito<br />
di alchilazione. Il peptide N-terminale della β-globina ri<strong>sul</strong>ta<br />
meno alchilato (su Val 1) rispetto al peptide a cisteina.<br />
Discussione e Conclusioni<br />
I metodi analitici finora disponibili per la determinazione degli<br />
addotti emoglobinici con l’acrilammide sono riconducibili a<br />
due categorie: la degradazione di Edman modificata per l’N-al-
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 25<br />
chile e l’idrolisi proteica acida (3, 4). Mediante degradazione di<br />
Edman viene selettivamente estratta e quantificata l’estremità Nterminale<br />
della proteina alchilata sotto forma di derivato pentafluorofeniltioidantoinico<br />
rilevabile mediante GC/MS. Attraverso<br />
l’idrolisi totale, invece, si determinano gli amminoacidi alchilati,<br />
senza che si abbia alcuna informazione circa la loro posizione in<br />
sequenza. La degradazione di Edman modificata per l’N-alchile,<br />
pur presentando il vantaggio di determinare selettivamente l’amminoacido<br />
N-terminale modificato, non considera la possibile<br />
presenza, all’interno della sequenza globinica, di residui eventualmente<br />
più alchilati rispetto alla valina N-terminale. Qualora<br />
l’amminoacido N-terminale non fosse il residuo maggiormente<br />
reattivo, alchilato anche a bassi livelli di esposizione, il monitoraggio<br />
basato <strong>sul</strong> dosaggio del solo residuo amminoacidico Nterminale<br />
potrebbe non rivelare o sottostimare la quantità di addotto<br />
realmente presente e quindi non consentire l’accurata valutazione<br />
dell’esposizione ad AA. Questa considerazione, unitamente<br />
alla scarsa informazione derivante dalla determinazione<br />
degli amminoacidi modificati rilasciati in seguito ad idrolisi totale<br />
(metodo che non permette di distinguere gli addotti che si originano<br />
per addizione dell’AA con quelli formati per addizione di<br />
acrilonitrile), hanno spinto il nostro gruppo di ricerca allo sviluppo<br />
di una metodica innovativa per una più corretta determinazione<br />
degli addotti emoglobinici originatesi per esposizione ad AA.<br />
Questo metodo, basato <strong>sul</strong>la preliminare indagine strutturale re-<br />
RIASSUNTO. Il presente studio mira alla valutazione dell’influenza<br />
dei polimorfismi genetici del citocromo P450 (CYP1A1), glutatione Stransferasi<br />
µ (GSTM1) e θ (GSTT1) sui livelli dell’1-idrossipirene urinario<br />
(1-IP) in lavoratori esposti ad idrocarburi policiclici aromatici (IPA).<br />
Sono stati indagati 355 lavoratori di 3 batterie della cokeria di uno dei più<br />
grandi stabilimenti siderurgici d’Europa, inclusi gli addetti alla manutenzione<br />
ed alle pulizie industriali. Il valore mediano di 1-IP era pari a 1.05<br />
µMol/Mol creat. . È stata osservata una differenza significativa tra i 5 gruppi<br />
di lavoratori in studio, con i valori più alti nel gruppo dei manutentori<br />
(mediana 1,71, range 0,06-14,69 µMol/Mol creat ). Il 25% dei lavoratori in<br />
studio ha riportato valori di 1-IP eccedenti il valore limite proposto di 2.3<br />
µMol/Mol creat. . Non è stata osservata differenza in relazione all’abitudine<br />
al fumo. I lavoratori con genotipo GSTT1 null hanno mostrato livelli di<br />
1-IP più alti rispetto al wild type (p=0,06). Sono necessari ulteriori studi<br />
per chiarire meglio il ruolo di GSTT1 sui livelli di 1-IP.<br />
Parole chiave: esposizione, IPA, cokeria, indicatori biologici, polimorfismi<br />
genetici.<br />
ABSTRACT. ASSESSMENT OF PAH EXPOSURE IN COKE-OVEN<br />
WORKERS AND EVALUATION OF THE INFLUENCE OF METABOLIC POLY-<br />
MORPHISMS ON EXPOSURE BIOMARKER. This study aims to investigate the<br />
influence of genetic polymorphism of the cytochrome P450 1A1<br />
(CYP1A1), glutathione S-transferases µ (GSTM1) and θ (GSTT1) on the<br />
urinary levels of 1-hydroxypyrene (1-HOP) in workers exposed to<br />
polycyclic aromatic hydrocarbons (PAHs). 355 coke-oven workers exposed<br />
to PAHs were selected from the 3 batteries of the coke-oven plant of<br />
one of the largest European steel plants. Maintenance workers and indu-<br />
lativa all’interazione AA-Hb, individua nel peptide maggiormente<br />
alchilato il biomarcatore da quantificare nel monitoraggio <strong>biologico</strong><br />
dei soggetti esposti ad AA. In particolare, il peptide alchilato<br />
individuato quale biomarcatore dell’esposizione ad AA è il<br />
peptide 83-95 della β-globina.<br />
Ringraziamenti<br />
Lo studio in corso è parte di un progetto di ricerca codice<br />
B71/DIL/03, finanziato dall’ISPESL dal titolo: “Valutazione del rischio<br />
da esposizione professionale ad AA monomero attraverso la determinazione<br />
della dose biologicamente efficace”.<br />
Bibliografia<br />
1) Friedman M. Chemistry, Biochemistry, and Safety of Acrylamide. A<br />
Review. J. Agric. Food Chem 2003; 51: 4504-4526.<br />
2) Mottram DS, Wedzicha BL, Dodson AT. Acrylamide is formed in the<br />
Maillard reaction. Nature 2002; 419: 448.<br />
3) IARC Monographs on the evaluation of carcinogen Risk to humans:<br />
some industrial chemicals. 1994 IARC, Lyon, no 60.<br />
4) Bergmark E, Calleman CJ, He F, Costa LG. Determination of hemoglobin<br />
adducts in humans occupationally exposed to acrylamide.<br />
Toxicol. Appl. Pharmacol. 1993; 120: 45-54.<br />
L. Bisceglia 1 , G. de Nichilo 1 , M.E. Grassi 1 , T. Giannini 1 , P. Chiumarulo 1 , G. Elia 2 , N. Schiavulli 1 , G. Assennato 1<br />
Valutazione dell’esposizione professionale ad IPA in lavoratori<br />
di cokeria e dell’influenza di polimorfismi metabolici sui livelli<br />
dell’indicatore di esposizione<br />
1 Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica - Università degli Studi di Bari, Bari<br />
2 Fondazione “S. Maugeri”, Cassano Murge (Bari)<br />
strial cleaners were included. The median value of urinary 1-HOP was<br />
1.05 µMol/Mol creat . The difference between the groups was statistically<br />
significant, with the highest value observed in the maintenance group<br />
(median 1.71, range 0.06-14.69 µMol/Mol creat ). It is remarkable that 25%<br />
of the workers exceeded the proposed benchmark guideline value of 2.3<br />
µMol/Mol creat . No statistical difference was found in relation to smoking<br />
habits. Workers with GSTT1 null genotype had higher 1-HOP levels than<br />
those with wild type (p=0.06). Further observations are needed to clarify<br />
the role of GSTT1 with regard to the 1-HOP levels.<br />
Key words: exposure assessment, PAHs, coke-oven workers, biomarkers,<br />
genetic polymorphisms.<br />
Introduzione<br />
Il presente studio è finalizzato alla valutazione dell’esposizione<br />
professionale ad idrocarburi policiclici aromatici (IPA)<br />
in lavoratori di cokeria mediante un programma di monitoraggio<br />
<strong>biologico</strong> che prevede la misurazione dei livelli urinari<br />
dell’1-idrossipirene (1-IP) quale indicatore di dose interna, verificando<br />
l’affidabilità di tale biomarcatore nel discriminare<br />
differenti situazioni operative comportanti diverse condizioni<br />
di esposizione (1). Si è proceduto inoltre alla valutazione dell’eventuale<br />
influenza di selezionati polimorfismi metabolici<br />
del citocromo P450 1A1, e della glutatione S-transferasi µ<br />
(GSTM1) e θ (GSTT1) sui livelli del biomarcatore, in quanto
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
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la variabilità inter-individuale nella suscettibilità alle sostanze<br />
cancerogene sembra dipendere in larga misura da fattori che<br />
intervengono nella sequenza di metabolizzazione di tali composti<br />
(2, 8, 9, 10).<br />
Materiali e metodi<br />
Sono stati arruolati 355 lavoratori professionalmente esposti<br />
ad IPA in quanto operanti nella cokeria di uno dei più grandi stabilimenti<br />
siderurgici europei. La cokeria consiste di 3 batterie,<br />
denominate A, B e C, costruite in differenti epoche: la batteria A<br />
è stata costruita negli anni 1964-1970 e fino alla sua chiusura -<br />
avvenuta nell’agosto 2002 e disposta a seguito di indagini giudiziarie<br />
- non è mai stata oggetto di interventi di manutenzione; la<br />
batteria B è stata costruita negli anni ’80 e la batteria C alla fine<br />
degli anni ’90. Era atteso che tale situazione corrispondesse ad un<br />
miglioramento delle tecnologie che ri<strong>sul</strong>tasse in un abbattimento<br />
dei livelli ambientali di IPA e che questo si riflettesse nell’andamento<br />
dei livelli medi di idrossipirene urinario. Sono stati inclusi<br />
nello studio anche i lavoratori addetti alla manutenzione degli<br />
impianti e alla pulizia industriale.<br />
Al fine di controllare il ruolo di eventuali fattori confondenti,<br />
ai lavoratori è stato somministrato da personale medico addestrato<br />
un questionario standardizzato per la raccolta di informazioni<br />
circa l’abitudine al fumo e il consumo di cibi cotti alla brace.<br />
I campioni biologici sono stati raccolti alla fine del turno lavorativo.<br />
La determinazione dell’idrossipirene urinario è stata<br />
eseguita mediante il metodo HPLC/Fluorescenza descritto da<br />
Jongeneelen.e coll. (3). I polimorfismi metabolici sono stati valutati<br />
su linfociti di sangue periferico con tecnica PCR e successiva<br />
ibridazione con oligopeptidi normali e mutati secondo i metodi<br />
descritti da Hayashi e colleghi (4) per CYP1A1, da Brockmoller<br />
e colleghi (5) per GSTM1 e GSTT1. L’analisi statistica<br />
univariata e multivariata è stata condotta dopo log-trasformazione<br />
dei valori di 1-IP, utilizzando il software STATA vs 8 (Stata-<br />
Corporation).<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Il valore mediano di 1-IP è ri<strong>sul</strong>tato pari a 1.05 µMol/Molcreat<br />
. È stata osservata una differenza statisticamente significativa<br />
tra i 5 gruppi di lavoratori in<br />
studio, con i valori più alti riscontrati<br />
nel gruppo dei manutentori<br />
(mediana 1,71, range<br />
0,06-14,69 µMol/Molcreat ), seguito<br />
dai lavoratori della batteria<br />
C (mediana 1.12, range<br />
0.13-9.27 µMol/Molcreat ), batteria<br />
A (mediana 1,10, range<br />
0,13-31,04 µMol/Molcreat ),<br />
batteria B (media,a 0,91, range<br />
0,09-14,25 µMol/Molcreat ), e<br />
quindi dal gruppo dei pulitori<br />
(mediana 0,71, range 0,08-3,36<br />
µMol/Molcreat ) (Fig.1). Applicando<br />
i valori di riferimento<br />
indicati da Jongeneelen (6, 7) è<br />
notevole che il 25% dei lavoratori<br />
superasse il terzo livello<br />
proposto pari a 2,3 µMol/Mol-<br />
Figura 1. Valori di 1-IP per<br />
reparto di appartenenza<br />
creat , corrispondente al TLV USA di 0,2 mg/m3 di BSM e stimato<br />
corrispondere ad un rischio relativo di tumore polmonare di<br />
1,3: in particolare tale limite era superato dal 35% dei manutentori,<br />
dal 29% dei lavoratori della batteria A, dal 23% dei lavoratori<br />
delle batterie B e C e dal 16% dei pulitori. Globalmente, il<br />
41% dei lavoratori superava il secondo livello di Jongeneelen di<br />
1,4 µMol/Mol creat , corrispondente al livello di non effetto genotossico.<br />
Per quanto riguarda le mansioni, i manutentori hanno<br />
mostrato i livelli di 1-IP più elevati (mediana 4,42, range 3,25-<br />
5,58 µMol/Mol creat ), seguiti dagli operatori macchina della batteria<br />
C (mediana 4,31, range 1,29-5,27 µMol/Mol creat ), e dagli<br />
addetti a coperchi della batteria A (mediana 3,28, range 0,14-<br />
7,06 µMol/Mol creat ). Non è stata riscontrata differenza statisticamente<br />
significativa in relazione all’abitudine al fumo. Non sembrano<br />
esercitare influenza sui livelli dell’indicatore di dose i polimorfismi<br />
metabolici CYP1A1 e GSTM1. Èstato osservato che<br />
i lavoratori con genotipo GSTT1 deleto mostravano livelli più<br />
elevati di 1-IP dei soggetti con genotipo normale e che tale differenza<br />
si poneva ai limiti della significatività statistica<br />
(p=0,06). Il modello di regressione lineare multipla ha mostrato<br />
che le concentrazioni di 1-IP erano associate con il polimorfismo<br />
GSTT1, anche dopo aggiustamento per fumo, reparto di appartenenza<br />
e mansione.<br />
Conclusioni<br />
Il programma di monitoraggio <strong>biologico</strong> appare uno strumento<br />
efficace per l’implementazione di procedure di “exposure<br />
assessment”, <strong>sul</strong>le quali fondare successive strategie di intervento<br />
e prevenzione. L’indicatore di dose interna utilizzato, l’idrossipirene<br />
urinario, sembra in grado di discriminare nelle condizioni<br />
operative osservate differenti livelli di esposizione. I polimorfismi<br />
metabolici indagati non sembrano di per sé in grado di spiegare<br />
significativamente la variabilità interindividuale osservata:<br />
ulteriori valutazioni sembrano necessarie per chiarire il ruolo del<br />
GSTT1. Sono in corso ulteriori indagini che prevedono, accanto<br />
al monitoraggio <strong>biologico</strong>, l’implementazione di un programma<br />
di monitoraggio ambientale effettuato mediante campionatori<br />
personali e determinazione dell’esposizione cutanea con pads, in<br />
modo da definire una strategia integrata di valutazione dell’esposizione<br />
professionale ad IPA.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 27<br />
Bibliografia<br />
1) Dor F, Dab W, Empereur-Bissonnet P et al. Validity of biomarkers in<br />
environmental health studies: the case of PAHs and benzene. Crit<br />
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2) Vineis P, Malats N., Lang M et al. Metabolic Polymorphisms and susceptibility<br />
to cancer. IARC 1999; 148: 109-121.<br />
3) Jongeneelen FJ, Anzion RBM, Henderson PTH. Determination of<br />
hydroxylated metabolites of polycyclic aromatic hydrocarbons in<br />
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4) Hayashi S et al. Genetic linkage of lung cancer associated MspI polymorphisms<br />
with amino acid replacement in the heme binding region of<br />
the human cytochrome P4501A1 gene. J Biochem 1991; 110: 407-411.<br />
5) Brockmoller J, Gross D, Kerb R, Drakoulis N, Root I. Correlation<br />
between trans-stilbene oxide glutathione conjugation activity and the deletion<br />
mutation in the glutathione S-transferase class Mu gene detected<br />
by polymerase chain reaction. Biochem Pharmacol 1992; 43: 647-650.<br />
RIASSUNTO. Approssimativamente 20 anni dopo l’incidente di<br />
Seveso abbiamo condotto uno studio caso controllo su 101 soggetti che<br />
hanno sviluppato cloracne in seguito all’esposizione a 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina<br />
(TCDD) e 211 controlli, per definire la relazione di<br />
dose-risposta ed identificare fattori di suscettibilità agli effetti della diossina.<br />
I soggetti con elevati livelli plasmatici correnti di diossina (>10 pg/g<br />
lipidi) avevano un rischio circa 4 volte più elevato di cloracne. Il rischio<br />
di cloracne era maggiore nei soggetti con elevata TCDD plasmatica e età<br />
più giovane all’incidente (≤8 anni) o con colore chiaro dei capelli. Lo stato<br />
di salute dei soggetti cloracneici a venti anni dall’incidente non era differente<br />
da quello dei controlli.<br />
Parole chiave: cloracne, diossina, suscettibilità, incidente di Seveso.<br />
ABSTRACT. SUSCEPTIBILITY TO DIOXIN AMONG INDIVIDUALS<br />
FROM SEVESO SUFFERING FROM CLORACNE. Approximately 20 years after<br />
the Seveso accident, we designed a case-control study on 101 subjects<br />
who developed chloracne after exposure to 2,3,7,8-tetrachlorodibenzo-pdioxin<br />
and 211 controls from the same area, to establish the dose-exposure<br />
relation and to identify dioxin susceptibility factors. Subjects with<br />
elevated plasma TCDD levels (>10 pg/g fat) showed an almost 4 times<br />
higher risk of developing chloracne. Chloracne risk was higher in<br />
subjects with high TCDD plasma levels, young people (≤8 years) and/or<br />
those with fair hair. The health status of chloracne cases twenty years after<br />
the accident was not different from that of control subjects.<br />
Key words: chloracne, dioxin, susceptibility, Seveso accident.<br />
Introduzione<br />
Tra il settembre 1976 ed il febbraio 1978, 193 soggetti esposti<br />
in seguito all’incidente di Seveso a 2,3,7,8-tetraclorodibenzop-diossina<br />
(TCDD) hanno presentato segni e sintomi di cloracne<br />
(1, 2), la patologia cutanea tipicamente associata ad esposizione<br />
occupazionale a idrocarburi alogenati (3). Di questi 193 soggetti,<br />
170 (88%) avevano meno di 15 anni di età al momento della diagnosi.<br />
La patologia è stata diagnosticata in meno dello 0.1% dei<br />
6) Jongeneelen FJ. Biological exposure limit for occupational exposure<br />
to coal tar pitch volatiles at cokeovens. Int Arch Occup Environ<br />
Health 1992; 63(8): 511-6.<br />
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8) Brescia G, Celotti L, Clonfero E et al. The influence of Cytochrome<br />
P450 1A1 and Glutathione S-transferase M1 genotypes on<br />
biomarker levels in coke-oven workers. Arch Toxicol 1999; 73 (8-<br />
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9) Apostoli P, Neri G, Lucas D, Manno M, Berthou F. Influence of genetic<br />
polymorphisms of CYP1A1 and GSTM1 on the urinary levels<br />
of 1-hydroxypyrene. Toxicol Lett 2003; 144(1): 27-34.<br />
10) Alexandrie AK, Warholm M, Carstensen U, Axmon A, Hagmar L,<br />
Levin JO, Ostman C, Rannug A. CYP1A1 and GSTM1 polymorphisms<br />
affect urinary 1-hydroxypyrene levels after PAH exposure. Carcinogenesis<br />
2000; 21(4): 669-76.<br />
M. Bonzini 1 , A. Baccarelli 1,2 , A. Pesatori 1 , D. Consonni 3 , D. Patterson Jr. 4 , M. Rubagotti 1 , N.E. Caporaso 2 , P.A. Bertazzi 1 ,<br />
M.T. Landi 2<br />
Suscettibilità a diossina in soggetti cloracneici della popolazione di Seveso<br />
1 Dipartimento di Medicina del Lavoro “Clinica L. Devoto”, Università degli Studi di Milano, Milano<br />
2 Genetic Epidemiology Branch, Division of Cancer Epidemiology and Genetics, National Cancer Institute, NIH, DHHS, Bethesda, MD, USA<br />
3 Unità Operativa di Epidemiologia, Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento, Milano<br />
4 Division of Environmental Health Laboratory Science, National Center for Environmental Health, Centers for Disease Control and Prevention, Atlanta,<br />
GA, USA<br />
soggetti della coorte di Seveso, che include individui con differenti<br />
livelli di esposizione. Fattori di suscettibilità individuale<br />
possono aver contribuito a determinare quali dei soggetti esposti<br />
hanno sviluppato cloracne. Approssimativamente 20 anni dopo<br />
l’esposizione, abbiamo disegnato uno studio caso-controllo per<br />
valutare i livelli di esposizione, alla luce di dati epidemiologici e<br />
clinici, al fine di identificare fattori di suscettibilità a diossina e<br />
definire la relazione tra TCDD e cloracne.<br />
Materiali e metodi<br />
Nel periodo 1993-1998, abbiamo reclutato 101 casi di cloracne<br />
(56 maschi, 45 femmine) e 211 controlli (108 maschi, 103<br />
femmine) provenienti dalla stessa area. Le diagnosi di cloracne<br />
erano state formulate <strong>sul</strong>la base di criteri standard (4). Intervistatori<br />
specificamente addestrati per lo studio hanno somministrato<br />
a tutti i soggetti un questionario strutturato ed hanno determinato<br />
le loro caratteristiche pigmentarie. I livelli di TCDD nel plasma<br />
sono stati misurati utilizzando gas-cromatografia ad alta risoluzione/spettrometria<br />
di massa ad alta risoluzione (5). I campioni di<br />
3 casi e 16 controlli non erano adeguati e sono stati esclusi dalle<br />
analisi basate <strong>sul</strong>le misurazioni plasmatiche. I livelli di TCDD<br />
plasmatica sono stati categorizzati in due gruppi: ≤10 pg/g lipidi<br />
(equivalente a parti per trilione, aggiustati per lipidi) o >10 pg/g<br />
lipidi. Il cut-off di 10 pg/g lipidi è usato comunemente per separare<br />
i livelli elevati da quelli di background.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Caratteristiche dei soggetti e stato di salute<br />
I soggetti cloracneici avevano tra 6 mesi e 46 anni di età al<br />
momento dell’incidente (mediana: 8 anni). Lo stato di salute dei
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cloracneici non era differente da quello dei<br />
controlli. Allo stesso modo, i figli dei soggetti<br />
con cloracne non presentavano una<br />
frequenza di condizioni patologiche superiore<br />
a quella dei figli dei controlli.<br />
Distribuzione dei livelli di TCDD plasmatica<br />
I livelli di TCDD plasmatica variavano<br />
da background a 475.0 pg/g lipidi ed erano<br />
superiori a 10 pg/g lipidi in 78 (26.6%) dei<br />
293 soggetti con campioni di plasma adeguati<br />
per la misurazione. La frequenza di<br />
malattie e di interventi chirurgici non erano<br />
associate ad elevati livelli di TCDD plasmatica.<br />
La residenza in prossimità al luogo<br />
dell’incidente era un fattore determinante<br />
di elevati livelli di TCDD (Tabella I).<br />
Quando confrontati con i soggetti dell’area<br />
non-contaminata, i residenti in zona A alla<br />
data dell’incidente presentavano una probabilità<br />
66 volte più alta di avere valori di<br />
TCDD plasmatici >10 pg/g lipidi<br />
(OR=65.9, 95% CI: 16.6-262.1). I soggetti<br />
di zona B e R avevano OR per TCDD >10<br />
pg/g lipidi rispettivamente di 25.8 (95%<br />
CI: 7.0, 95.0) e 3.2 (95% CI: 0.5-18.4). I<br />
soggetti di età superiore a 8 anni all’incidente<br />
avevano una probabilità di elevata<br />
TCDD plasmatica di circa 3 volte più alta<br />
(OR=2.7, 95% CI: 1.4-5.2) rispetto ai soggetti<br />
più giovani. In aggiunta, la frequenza<br />
di elevati livelli di TCDD plasmatica era<br />
maggiore nelle donne e nei soggetti con<br />
elevato Body Mass Index (BMI).<br />
Cloracne e livelli plasmatici di TCDD<br />
La presenza di cloracne era di circa 4<br />
volte più frequente nei soggetti con TCDD<br />
plasmatica >10 pg/g lipidi (OR=3.7, 95%<br />
CI: 1.6-8.8, aggiustato per zona di residenza<br />
ed età all’incidente, e per sesso) (Tabella<br />
II). Ventuno casi di cloracne e 12 controlli<br />
avevano TCDD plasmatica >50 pg/g<br />
lipidi con OR=20.4 (95% CI: 5.1-81.0) per<br />
cloracne in confronto ai soggetti con<br />
TCDD ≤10 pg/g lipidi. Il rischio di cloracne<br />
era più alto nei soggetti più giovani (Tabella<br />
II). I soggetti con TCDD elevata ed<br />
età di 8 anni o più giovane avevano OR=7.4 (95% CI: 1.8-30.3)<br />
per cloracne. Il rischio era significativamente più basso nei soggetti<br />
con età superiore ad 8 anni (OR=1.3, 95% CI: 0.6-3.1;<br />
p=0.02 per l’interazione tra età e TCDD plasmatica). Il rischio di<br />
cloracne non era significativamente associato al colore degli occhi,<br />
dei capelli, della cute o alla sensibilità all’esposizione solare.<br />
Tuttavia, in presenza di livelli di TCDD plasmatica >10 pg/g lipidi<br />
i soggetti con colore chiaro dei capelli avevano un rischio<br />
più elevato di cloracne (OR=9.2, 95% CI: 2.6-32.5) rispetto ai<br />
soggetti con colore scuro (OR=2.1, 95% CI: 0.7-6.1, p=0.04 per<br />
l’interazione tra TCDD plasmatica e colore dei capelli).<br />
Conclusioni<br />
La relazione tra cloracne ed esposizione a TCDD è ancora<br />
oggetto di intensa discussione. Alcuni ricercatori hanno suggeri-<br />
Tabella I. Determinanti di livelli elevati (>10 pg/g lipidi) di 2,3,7,8tetraclorodibenzo-p-diossina<br />
(TCDD) misurati in casi di cloracne e in controlli<br />
non cloracneici della popolazione di Seveso negli anni 1993-1998<br />
Tabella II. Odds Ratio per cloracne in soggetti con livelli elevati<br />
(>10 pg/g lipidi) di 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD) plasmatica<br />
misurata al momento dello studio*<br />
to in passato che la cloracne sia un effetto sentinella che compare<br />
prima di altri effetti sistemici. Altri hanno proposto che la cloracne<br />
sia associata ad esposizioni molto intense, ben al di sopra<br />
dei livelli necessari per indurre altri effetti sistemici (3). Nel nostro<br />
studio, la frequenza e la distribuzione di condizioni patologiche<br />
era simile nei casi di cloracne e nei controlli. Molti soggetti<br />
cloracneici avevano livelli plasmatici di TCDD simili a quelli<br />
dei controlli, indicando che la soglia per la presentazione della<br />
cloracne può essere differente nei soggetti esposti e dipendere da<br />
fattori di suscettibilità individuale. Abbiamo identificato un rischio<br />
maggiore di cloracne nei soggetti di età inferiore ad 8 anni<br />
ed in quelli con colore chiaro dei capelli.<br />
In conclusione, i livelli correnti di TCDD plasmatica erano<br />
correlati alla presentazione di cloracne. Questa associazione può<br />
essere modificata dall’età e da caratteristiche di pigmentazione.<br />
La tossicità della diossina appare confinata in questi soggetti agli<br />
effetti acuti dermatotossici.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 29<br />
Bibliografia<br />
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morbidity and mortality in the population exposed to dioxin after the<br />
“Seveso accident”. Ind. Health 2003; 41: 127-138.<br />
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exposure: a 20-year mortality study. Am.J Epidemiol. 2001; 153:<br />
1031-1044.<br />
I. Borrelli 1,2 , M. Triggiani 3 , N. Sannolo 3 , G. Marone 2<br />
RIASSUNTO. Obiettivo: Valutare gli effetti dell’idrochinone sui<br />
basofili umani. METODI: i basofili sono stati separati e purificati e successivamente<br />
incubati per tempi variabili e con concentrazioni crescenti<br />
di idrochinone (HQ). Le cellule sono state quindi stimolate con diversi<br />
agonisti. La secrezione di istamina è stata determinata attraverso una tecnica<br />
fluorimetrica. RISULTATI: Nessun effetto è stato osservato esponendo<br />
i basofili ad HQ; in presenza di Anti-IgE con una concentrazione<br />
di 10 -4 M di HQ è presente una inibizione della secrezione di istamina<br />
(circa 25%); utilizzando invece come stimolo l’A23187 l’effetto inibente<br />
si osserva alla concentrazione di 3x10 -5 M; nei basofili stimolati con<br />
FMLP non sono stati osservati effetti. Non si sono avute differenze <strong>sul</strong><br />
livello di inibizione del rilascio di istamina dei basofili stimolati con Anti-IgE<br />
esponendo le cellule a tempi variabili. Conclusioni: l’idrochinone<br />
interferisce con i meccanismi metabolici e biochimici dei basofili. Il tipo<br />
di interferenza osservato non è collegato al tempo di esposizione. La<br />
riduzione della secrezione di istamina può quindi, con l’esposizione cronica,<br />
interferire con i meccanismi di infiammazione cronica delle vie aeree<br />
negli esposti a benzene.<br />
Parole chiave: idrochinone, basofili, immunotossicologia, istamina.<br />
ABSTRACT. TOXICOLOGICAL STUDIES ON THE EFFECTS OF HIDRO-<br />
QUINONE AND BENZOQUINONE ON HUMAN BASOPHYLS. The aim of the<br />
study was to evaluate the effects of the Hydroquinone (HQ) on human basophils.<br />
Methods: the basophils were separated and purified and subsequently<br />
incubated for varying times with increasing concentrations of HQ.<br />
The cells were therefore stimulated with different agonists. Histamine secretion<br />
was determined using the fluorimetric technique. Re<strong>sul</strong>ts: no effect<br />
was observed by exposing the basophils to HQ; by using Anti-IgE with a<br />
concentration of 10 -4 M of HQ an inhibition of the histamine secretion is<br />
present; by using A23187 with a concentration of 3x10 -5 M an inhibition<br />
effect was observed; with FMLP no effects were observed. No difference<br />
was observed by exposing cells to different times of incubation with HQ.<br />
Conclusions: the HQ interferes with the metabolic mechanisms and biochemists<br />
of the basophils. The type of interference observed is not connected<br />
to the period of exposure. The reduction of histamine secretion<br />
with chronic exposure is capable of interfering in chronic inflammation<br />
mechanisms of the upper respiratory tract in subjects exposed to benzene.<br />
Key words: hydroquinone, basophils, immunotoxicology, histamine.<br />
Introduzione<br />
L’obiettivo del lavoro di ricerca qui illustrato consiste nello studio<br />
degli effetti dell’idrochinone sui meccanismi cellulari di rilascio<br />
dei mediatori chimici che hanno la capacità di regolare i processi infiammatori<br />
ed in particolar modo l’infiammazione allergica.<br />
3) Silbergeld EK. Chemicals and chloracne. In: Marzulli FN, Maibach<br />
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human serum on a whole-weight and lipid basis for 2,3,7,8-tetrachlorodibenzo-p-dioxin.<br />
Anal.Chem. 1987; 59: 2000-2005.<br />
Studi tossicologici sugli effetti dell’idrochinone e del benzochinone<br />
sui basofili umani<br />
1 Cattedra di Igiene Industriale, Seconda Università degli Studi di Napoli<br />
2 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma<br />
3 Cattedra di Immunologia, Università degli Studi Napoli Federico II<br />
Negli esperimenti effettuati abbiamo preso in considerazione<br />
primariamente le cellule umane granulocitarie (basofili) con lo scopo<br />
di registrare gli effetti <strong>sul</strong> rilascio di istamina. L’analisi dei dati<br />
ci condurrà ad elucidare i meccanismi di azione dell’idrochinone al<br />
fine di comprendere meglio attraverso quali meccanismi si innescano<br />
i processi di infiammazione e di danno imputabili al benzene.<br />
Materiali e metodi<br />
Determinazione del rilascio dell’istamina. Il sangue venoso è<br />
stato ottenuto da donatori del Centro Trasfusionale del II Policlinico<br />
di Napoli, Università Federico II. La separazione per la purificazione<br />
dei leucociti dai globuli rossi è stata ottenuta sottoponendo<br />
il buffy coat a gradiente di destrano e EDTA, utilizzato per evitare<br />
la coagulazione, per circa 45’ a circa 22°C. Lo strato superiore<br />
del gradiente è stato prelevato e lavato per 3 volte in Pipes 1X<br />
in un volume di 50 ml. Il Pellet è stato poi risospeso in PCG e la<br />
sospensione cellulare è stata trasferita in tubi Falcon di polipropilene<br />
da 3 ml; i tubi così ottenuti, aventi un VF di 1 mL sono stati<br />
messi a temperatura costante in bagnetto a 37°C. Dopo un<br />
prewarm di 5’ è partito l’esperimento aggiungendo 100 µL di HQ<br />
a varie concentrazioni (da 10 -7 M a 10 -4 M) e dopo un’esposizione<br />
variabile (da 10’ a 120’) è stato aggiunta la stimolazione (100 µL)<br />
effettuata attraverso Anti-IgE, FMLP ed A23187, si è testato anche<br />
l’effetto dell’idrochinone senza alcuna stimolazione. Dopo il tempo<br />
prestabilito è stato fermato l’esperimento e si sono centrifugati<br />
i tubi (1000 x G, + 4°C, 5’); il supernatante così ottenuto è stato<br />
raccolto per la determinazione del rilascio di istamina attraverso<br />
una tecnica fluorimetrica. La percentuale di rilascio di istamina è<br />
stata calcolata dal rilascio totale di istamina dalle cellule lisate con<br />
acido perclorico al 2%, meno l’istamina rilasciata spontaneamente<br />
dalle cellule non stimolate. Tutti gli esperimenti sono stati effettuati<br />
su donatori differenti e sono stati tutti condotti in duplicato.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
La prima serie di esperimenti è stata effettuata per valutare se<br />
la secrezione di istamina veniva influenzata dalla presenza di HQ<br />
senza utilizzare alcuna stimolazione con azione attivante la secrezione<br />
di istamina dei basofili. L’idrochinone, usato a concentrazioni<br />
variabili da 10 -7 M a 10 -4 M, non ha nessun effetto <strong>sul</strong>la<br />
secrezione di istamina. A questo punto abbiamo deciso di valuta-
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
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re se in seguito a stimolazione, praticata attraverso l’utilizzo di<br />
Anti-IgE, A23187 e FMLP, si potessero vedere degli effetti <strong>sul</strong> rilascio<br />
dell’Istamina, dopo avere esposto i basofili per un ora ad<br />
HQ con concentrazioni tra 10 -7 M a 10 -4 M.<br />
La Figura 1 mostra i valori della media dei ri<strong>sul</strong>tati degli<br />
esperimenti effettuati con Anti-IgE. Gli effetti dell’HQ sono presenti<br />
alla concentrazione di 10 -4 M con una IC superiore al 25%<br />
(Figura 1 bis). La Figura 2 mostra gli esperimenti con l’A23187:<br />
in questo caso gli effetti inibitori mostrano una inibizione già presente<br />
alla concentrazione di 3x10 -5 M con una IC superiore al<br />
25% e a 10 -4 M una IC superiore al 50% (Figura 2 bis).<br />
Alla prova con la stimolazione con FMLP non sono stati osservati<br />
effetti (Figura 3).<br />
La Figura 4 mostra i ri<strong>sul</strong>tati ottenuti esponendo i Basofili ad<br />
Idrochinone per tempi variabili tra 10’ e 120’. Dall’analisi dei ri<strong>sul</strong>tati<br />
si evince come il tempo di esposizione non influisca <strong>sul</strong> livello<br />
di inibizione del rilascio di istamina dei Basofili stimolati<br />
con Anti-IgE.<br />
Discussione<br />
Questi studi indicano che i Basofili sono cellule bersaglio<br />
dell’Idrochinone, infatti il meccanismo cellulare indagato, la se-<br />
Figura 1. Effetti dell’Idrochinone <strong>sul</strong> rilascio dell’Istamina nei<br />
Basofili umani stimolati con Anti-IgE. Per ogni valore è riportato<br />
l’errore standard<br />
Figura 1 bis. Andamento dell’inibizione del rilascio di<br />
Istamina da parte dei basofili dopo esposizione a concentrazioni<br />
crescenti di Idrochinone (HQ) e stimolazione<br />
con Anti-IgE. La IC 25% viene superata alla concentrazione<br />
di 10 -4 M<br />
crezione di istamina, viene ad essere influenzato dalla presenza<br />
di idrochinone nei terreni di cultura utilizzati. La popolazione<br />
cellulare scelta, i Granulociti Basofili, è stata selezionata nel nostro<br />
studio in quanto essi hanno un ruolo fondamentale nei meccanismi<br />
di difesa dell’organismo, ed essi attraverso mediatori<br />
chimici, come l’istamina, sono in grado di attivare fini meccanismi<br />
di difesa a livello delle vie respiratorie.<br />
La prima osservazione importante è che l’idrochinone è in<br />
grado di interferire con i meccanismi metabolici e biochimici<br />
dei basofili, e che quindi non è un metabolita inerte <strong>sul</strong> sistema<br />
immunitario in generale, e sui Basofili in specifico. Abbiamo<br />
osservato, alla concentrazione di 10 -4 M, che vi è una inibizione<br />
superiore al 25% della secrezione di Istamina per cellule trattate<br />
con Anti-IgE e A23187, mentre nessun effetto è stato osservato<br />
quando si è utilizzato come stimolo FMLP. Un dato importante<br />
è stato quello che al variare con il tempo di esposizione<br />
di Idrochinone non si è riscontrata nessuna differenza con il<br />
tipo di inibizione.<br />
Innanzi tutto bisogna evidenziare come l’Istamina, contribuisca,<br />
insieme ad altri mediatori, nell’attivazione e nel mantenimento<br />
dei meccanismi della clearance mucociliare e della secrezione<br />
di muco, attraverso i quali si attivano i processi che permettono<br />
l’azione di eliminazione di sostanze estranee sia biologiche<br />
che chimiche dall’albero respiratorio, impedendo così l’ac-<br />
Figura 2. Effetti dell’Idrochinone <strong>sul</strong> rilascio dell’Istamina nei<br />
Basofili umani stimolati con A23187. Per ogni valore è riportato<br />
l’errore standard<br />
Figura 2 bis. Andamento dell’inibizione del rilascio di Istamina<br />
da parte dei basofili dopo esposizione a concentrazioni<br />
crescenti di Idrochinone (HQ) e dopo stimolazione con<br />
A23187. La IC 25% viene superata alla concentrazione di<br />
3*10 -5 M e sale oltre il 50% a 10 -4 M
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Figura 3. Effetti dell’Idrochinone <strong>sul</strong> rilascio dell’Istamina nei<br />
Basofili umani stimolati con FMLP. Per ogni valore è riportato<br />
l’errore standard<br />
cumulo di agenti tossici. È quindi questo uno dei meccanismi di<br />
tossicità del benzene che può innescarsi a livello polmonare, ovvero<br />
la riduzione dell’efficacia del meccanismo di clearance, con<br />
una riduzione dei meccanismi fisiologici di rimozione e protezione<br />
delle vie aeree. Il perpetuarsi di questa riduzione dei meccanismi<br />
di protezione può quindi, nel tempo, con l’esposizione<br />
cronica, tipica del Benzene, contribuire al danno tessutale e quindi<br />
all’infiammazione cronica delle vie aeree.<br />
Conclusioni<br />
In questo lavoro si è potuto utilizzare un modello altamente<br />
rappresentativo per elucidare i meccanismi di azione dell’infiammazione<br />
cronica delle vie aeree, infatti abbiamo potuto utilizzare<br />
per gli esperimenti cellule umane prelevate da donatori sani. Abbiamo<br />
quindi potuto mettere in luce con quale meccanismo l’I-<br />
RIASSUNTO. L’obiettivo di questo studio era esaminare i profili di<br />
un gruppo di lavoratori di un reparto di manutenzione di una azienda aeronautica<br />
esposti a trichloroethilene (TCE) dopo il 2001/59/ce ed il DL n.<br />
197 06/14/2002.<br />
Parole chiave: monitoraggio <strong>biologico</strong>, trichloroetilene, biomarkers.<br />
ABSTRACT. ASSESSING CHEMICAL EXPOSURE IN THE WORKPLACE:<br />
THE ROLE OF BIOLOGICAL MONITORING IN WORKERS EXPOSED TO TRICH-<br />
LOROETHYLENE. The objective of this study was to examine the profiles<br />
of a group of workers exposed to trichloroethilene (TCE) in a group of<br />
aircraft maintenance workers in the wake of European Directive<br />
2001/59/CE and DL n. 197 06/14/2002.<br />
Key words: biological monitoring, trichloroethylene, biomarkers.<br />
Figura 4. Andamento dell’inibizione del rilascio di Istamina<br />
da parte di Basofili umani in tempi differenti di esposizione<br />
ad Idrochinone. Per ogni valore è riportato l’errore standard<br />
drochinone agisca, scoprendo che la sua azione si estrinseca con<br />
un meccanismo inibitorio <strong>sul</strong>la secrezione di istamina, e che questa<br />
azione si può manifestare con una riduzione dei meccanismi<br />
di difesa e di clearance mucociliare delle vie aeree, che con il perpetuarsi<br />
dell’esposizione può comportare danno tissutale nelle<br />
vie respiratorie.<br />
Bibliografia<br />
M. Bova 1 , A. Capri 1 , F. Cardoni 2 , S. Simonazzi 2 , G. Ricciardi-Tenore 1<br />
1) Brugnone F et al. Benzene in environmental air and human blood.<br />
Int. Arch. Occup. Environ. Health, 1998; 71: 554-559.<br />
2) Spadaio G et al. Nuove prospettive <strong>sul</strong> ruolo dei basofili umani nella<br />
risposta immunitaria. Giorn it allergol immunol clin, 2001; 11:<br />
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3) Carbonelle P et al. Effects of the Benzene Metabolite, Hydroquinone,<br />
on Interleukin-1 Secretion by Human Monocytes in Vitro. Toxicol<br />
Appl Pharmacol, 1995; 132: 220-226.<br />
Valutazione dell’esposizione a sostanze chimiche: il ruolo<br />
del monitoraggio <strong>biologico</strong> in lavoratori esposti a TCE<br />
1 ALITALIA Gruppo, Servizio di Medicina Aeronautica e del Lavoro<br />
2 Dipartimento di Medicina Legale e delle Assicurazioni, Medicina del Lavoro, 1a Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Roma “La<br />
Sapienza”<br />
Introduzione<br />
Con il decreto n. 197 del 14 giugno 2002 del Ministero della<br />
Salute è stata recepita in Italia la Direttiva 2001/59/CE, che<br />
prevede la riclassificazione del tricloroetilene (TCE) da “cancerogeno<br />
di categoria 3” a “cancerogeno di categoria 2” (sostanza<br />
che può essere considerata come potenzialmente cancerogena<br />
per l’uomo). La nuova classificazione del TCE comporta<br />
per le aziende, e di conseguenza per tutte le figure professionali<br />
che concorrono alla salvaguardia della sicurezza e<br />
della tutela della salute dei lavoratori esposti, una puntuale verifica<br />
delle condizioni di igiene del lavoro e di sorveglianza sa-
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
32 www.gimle.fsm.it<br />
nitaria ed una chiara definizione del livello di “rischio residuo<br />
per la salute” (anche ai sensi e per gli effetti del disposto ex<br />
artt. 72-quater, 72-quinquies, 72-sexies e 72-decies, del D.Lgs.<br />
626/94, così come modificato ed integrato dal D.Lgs.<br />
25/2002).<br />
Lo scopo di questo contributo è di riportare pertanto i dati relativi<br />
al risk assessment effettuato su un gruppo di lavoratori di<br />
un’industria aeronautica esposti a TCE, ed altresì di verificare<br />
l’utilità e la validità del monitoraggio <strong>biologico</strong> come fattore determinante<br />
per la sicurezza degli operatori.<br />
Materiali e metodi<br />
Sono stati studiati 22 soggetti maschi, di cui 8 fumatori e<br />
14 non fumatori, con un’età media di 37 anni (range 24-55 aa)<br />
ed un’anzianità lavorativa media di 11 anni (range 2-35 aa),<br />
appartenenti ad un reparto in cui si effettuano su due turni nelle<br />
24 ore delle operazioni di incollaggio su lamiere e strutture<br />
in honey comb metallico, con presenza di vasche contenenti<br />
TCE, trattamenti quali primer attivatore incollaggi e film adesivi,<br />
ed uso di altri prodotti contenenti sostanze classificate come<br />
cancerogene quali i cromati. Gli ambienti di lavoro dei reparti<br />
in questione sono dotati di sistemi “mobili” di aspirazione<br />
localizzata per le diverse postazioni operative e di impianti<br />
di captazione centralizzata (velocità di cattura: 9m/sec); le vasche<br />
contenenti TCE, inoltre, sono provviste di una serpentina<br />
per il raffreddamento dei vapori, pannello di chiusura, nonché<br />
di un sistema di aspirazione lungo i bordi. Tutti i lavoratori, nel<br />
corso dell’esposizione, sono altresì regolarmente dotati di idonei<br />
DPI per le vie respiratorie e per la cute (maschera protettiva<br />
a carboni attivi, schermo protettivo in plexiglass, guanti in<br />
tela, camice usa e getta).<br />
Dal momento in cui il TCE è stato classificato ex lege come<br />
R45, pure a fronte dei bassi livelli di esposizione ambientale già<br />
rilevati, si è ritenuto opportuno procedere anche alla determinazione<br />
del tricloroetilene tal quale e dell’acido tricloroacetico<br />
(TCA) nelle urine (come contemplato per i BEI individuati dall’ACGIH).<br />
Per tutti i soggetti esaminati sono stati raccolti i dati<br />
anamnestici, ritenuti utili per individuare ed interpretare<br />
eventuali interferenze analitiche (abitudine al fumo, dieta, trattamenti<br />
farmacologici, etc.); al contempo si è proceduto alla<br />
con<strong>sul</strong>tazione delle cartelle sanitarie e di rischio, per la revisione<br />
sia dei dati obbiettivi che di quelli scaturiti dalle indagini<br />
integrative chimico-cliniche previste dallo specifico protocollo<br />
di “sorveglianza sanitaria” comprendente: visita medica, esami<br />
chimico-clinici annuali (emocromo, glicemia, azotemia, creatinemia,<br />
acido urico, colesterolo tot. e HDL, trigliceridi, bilirubina<br />
tot. e diretta, GGT, AST, ALT, fosfatasi alcalina, proteine totali,<br />
albumina, es. urine completo), ECG ed audiometria biennali,<br />
RX torace triennale (1).<br />
Tenuto conto che Raaschou-Nielsen et al., nello studio condotto<br />
su un gruppo di operatori esposti a TCE pubblicato nell’ottobre<br />
del 2002, hanno individuato la “proteinuria” e la “piastrinopenia”<br />
come indicatori di danno precoce in corso di esposizione<br />
prolungata ad alte dosi di TCE, (2) si è proceduto con particolare<br />
attenzione alla revisione dei dati relativi a tali parametri<br />
- oltre ad osservare altre eventuali alterazione a carico del sistema<br />
emopoietico e renale - raccolti nel corso degli ultimi tre anni<br />
di sorveglianza sanitaria <strong>sul</strong>la popolazione lavorativa oggetto di<br />
questo contributo.<br />
Raccolta e conservazione dei campioni: i campioni di<br />
urina sono stati raccolti all’inizio ed alla fine del turno di lavoro,<br />
suddivisi in due aliquote, e congelati a -20° C fino al momento<br />
della determinazione analitica (metodo: GC e colorimetrico).<br />
Le indagini ambientali (campionamento statico con po-<br />
stazione fissa e campionatori passivi) sono state mirate a valutare<br />
l’eventuale esposizione dei lavoratori a concentrazioni di<br />
vapori di TCE.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Per quanto concerne il “monitoraggio <strong>biologico</strong>”, i ri<strong>sul</strong>tati<br />
dei dosaggi del TCE e del TCA nelle urine dei soggetti presi in<br />
esame sono tutti collocati al di sotto del limite di rilevabilità della<br />
metodica analitica impiegata (2,5µg/L - 1mg/L).<br />
I ri<strong>sul</strong>tati degli esami clinici, strumentali e di laboratorio, non<br />
hanno messo in evidenza alcuna alterazione correlabile all’esposizione<br />
al tricloroetilene nel gruppo di lavoratori indagato; la revisione<br />
delle cartelle cliniche degli addetti al reparto honey comb<br />
negli ultimi tre anni, infatti, non ha mostrato alcuna modificazione<br />
in senso patologico nell’arco di tempo considerato, ad eccezione<br />
di un solo caso che presentava una proteinuria riconducibile<br />
alla patologia diabetica a cui era affetto, mentre i valori delle<br />
piastrine erano compresi nel range di normalità (150.000-<br />
400.000 µ/l).<br />
Anche i dati ottenuti dalle indagini di “monitoraggio ambientale”<br />
hanno confermato l’accettabilità dell’esposizione, ri<strong>sul</strong>tando<br />
contenuti nell’ambito del relativo TLV-TWA (170mg/m 3 ,<br />
pari a 25 ppm); il valore limite di esposizione professionale per il<br />
TCE, d’altro canto, non ri<strong>sul</strong>ta attualmente inserito nella prima lista<br />
contenuta nell’Allegato VIII-ter, ex art. 72-ter, D.Lgs. 626/94<br />
(così come modificato ed integrato dal D.M. Lavoro del<br />
26.02.2004).<br />
Conclusioni<br />
Nell’aggiornamento dell’elenco delle malattie professionali<br />
contenuto nel D.M. Lavoro del 27.04.2004 (G.U. n. 134<br />
del 10.06.2004), il TCE ri<strong>sul</strong>ta inserito nella Lista I (elevata<br />
probabilità di origine lavorativa), alla voce 32 quale fattore<br />
causale per effetti “deterministici”; mentre per effetti di tipo<br />
“stocastico” al TCE viene riconosciuta alla voce 15 la capacità<br />
cancerogena nel contesto della Lista II (limitata probabilità<br />
di origine lavorativa)(3). L’applicazione di “indicatori<br />
biologici di esposizione”, quali il TCE ed il TCA urinari, congiuntamente<br />
alle determinazioni ambientali, ri<strong>sul</strong>ta innanzitutto<br />
necessaria per una corretta ed obbiettiva definizione sia<br />
del risk assessment che del “rischio moderato” per esposizioni<br />
a basse dosi di sostanze chimiche (a conferma, tra l’altro,<br />
della validità di tutte le misure collettive ed individuali di<br />
protezione adottate). Trattandosi poi di un cancerogeno di categoria<br />
2, si ritiene opportuno prevedere anche per il tricloroetilene<br />
la definizione della dose biologicamente efficace,<br />
mediante la determinazione degli “addotti alle proteine”, in<br />
sostanziale applicazione comunque del disposto ex art. 63 del<br />
D.Lgs. 626/94 per la valutazione dell’esposizione a sostanze<br />
cancerogene.<br />
Bibliografia<br />
1) Cardoni F, Simonazzi S, Bova M, Ricciardi-Tenore G, Attività di sorveglianza<br />
sanitaria e caratterizzazione dell’esposizione a basse dosi<br />
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2) Greent A, Dow J, Ong C, et al., Biological monitoring of kidney<br />
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G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 33<br />
G. Brambilla 1 , F.M. Rubino 1 , S. Pulvirenti 1 , C. Verduci 1 , S. Fustinoni 2 , M. Buratti 2 , A. Colombi 1<br />
Considerazioni <strong>sul</strong> ruolo dei coniugati mercuro-tiolici nella tossicità<br />
cardiovascolare del metallo<br />
1 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Clinica L. Devoto, Università degli Studi di Milano, Sezione Ospedale San Paolo<br />
2 Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento<br />
RIASSUNTO. Nell’ambito di studi volti a definire i meccanismi<br />
molecolari coinvolti nell’azione tossica del mercurio sugli apparati cardiovascolare,<br />
nervoso, renale e immunitario, viene discusso il ruolo <strong>biologico</strong><br />
dei coniugati tiolici che il metallo è in grado di formare con i composti<br />
della griglia metabolica del glutatione e con i gruppi tiolici delle<br />
proteine funzionali, con particolare riferimento ad un loro coinvolgimento<br />
nella perturbazione dei sistemi di signalling intracellulare (formazione<br />
di S-nitroso ed S-glutationil emoglobina) dell’apparato cardiovascolare.<br />
Parole chiave: mercurio, composti tiolici, meccanismi tossicità, effetti<br />
cardiovascolari.<br />
ABSTRACT. CONSIDERATIONS ON THE ROLE OF MERCURY THIOL<br />
CONJUGATES IN THE CARDIVASCULAR TOXICITY OF MERCURY. Within the<br />
framework of current studies aimed at highlighting the molecular basis of<br />
the toxicity of mercury for the cardiovascular, nervous, renal and immune<br />
systems, we discuss the biological role of mercury conjugates with<br />
glutathione compounds and with functional proteins, with reference to<br />
their ability to disturb the redox signalling pathways based on S-nitrous<br />
and S-glutathionyl hemoglobin.<br />
Key words: mercury, thiolic compounds, cardiovascular effects.<br />
Introduzione<br />
Il mercurio è un metallo la cui tossicità per l’uomo coinvolge<br />
organi bersaglio quali il sistema nervoso centrale e il rene. Sono<br />
state inoltre espresse preoccupazioni nei confronti dell’eventuale<br />
coinvolgimento del mercurio quale agente tossico corresponsabile<br />
della comparsa di alterazioni patologiche a carico del<br />
sistema nervoso centrale e del sistema neuro-immunitario in soggetti<br />
portatori di otturazioni dentarie in amalgama di mercurio e<br />
in bambini sottoposti a vaccinazione con vaccini contenenti composti<br />
organomercuriali quali agenti conservanti antibatterici. Recentemente<br />
inoltre è stato rivalutato il suo possibile ruolo nell’eziopatogenesi<br />
di alcune malattie cardiache. Lo studio delle forme<br />
chimiche attraverso le quali il mercurio è distribuito nell’organismo<br />
ed esercita le azioni tossiche selettive su recettori cellulari<br />
specifici degli organi bersaglio rappresenta un attivo campo di ricerca<br />
(1,2). In particolare, le forme coniugate del mercurio con i<br />
composti appartenenti alla griglia metabolica del glutatione, costituiscono<br />
i metaboliti di trasporto epatobiliare sia della specie<br />
metilmercurio (MeHg + ) che dello ione mercurico (Hg 2+ ) e sono<br />
responsabili dell’accumulo irreversibile del metallo all’interno<br />
delle cellule del tubulo renale prossimale, causa prossima della<br />
nefrotossicità del mercurio.<br />
Tossicità nei confronti del sistema cardiovascolare<br />
Già Ramazzini, alla fine del XVII secolo, aveva descritto la<br />
morte per ‘sincope’ di lavoratori esposti a vapori di mercurio nella<br />
fabbricazione di specchi e nella doratura dei mobili attraverso<br />
la spalmatura di amalgami d’argento o d’oro <strong>sul</strong>le superfici e la<br />
successiva evaporazione del mercurio ad elevata temperatura.<br />
Numerosi lavori recenti concorrono a razionalizzare queste osservazioni,<br />
suggerendo un ruolo specifico del mercurio nella patologia<br />
cardiovascolare.<br />
È stato infatti osservato un accumulo selettivo di mercurio<br />
(concentrazioni di 1-800 µg/g di tessuto) in campioni di tessuto<br />
miocardico prelevato dal ventricolo sinistro di pazienti affetti da<br />
miocardiopatia dilatativa, mentre quelli di pazienti affetti da altre<br />
patologie degenerative del muscolo, quale l’infarto miocardico, e<br />
di soggetti normali mostravano valori di 0,05-0,5 µg/g (3). La<br />
perfusione del cuore di ratto con un tampone contenente Hg 2+ a<br />
concentazione nanomolare è ri<strong>sul</strong>tata in grado di ridurre la forza<br />
di contrazione del muscolo (4); questa osservazione può essere<br />
posta in relazione con l’attività inibitoria mostrata dallo ione nei<br />
confronti dell’ATP-asi Na + -K + -dipendente ouabaino-sensibile<br />
(5). Recenti studi pongono in evidenza il ruolo di un pool di emoglobina<br />
collocato in prossimità della membrana cellulare dell’eritrocita<br />
nel regolare la vasodilatazione periferica attraverso la<br />
formazione reversibile di coniugati nitroso-tiolici tra il residuo<br />
tiolico della cisteina β-93 e l’ossido di azoto (NO) circolante (6),<br />
responsabile del mantenimento del tono vascolare. Ri<strong>sul</strong>ta pertanto<br />
possibile che la quota intraeritrocitaria di Hg 2+ possa perturbare<br />
questo sistema, in quanto in grado di degradare i nitrosotioli<br />
(7) e di competere per il legame a queste molecole di emoglobina,<br />
anche attraverso la formazione di specie con connettività<br />
Hb-( 93 Cys)S-Hg-SGlutatione, che è a sua volta potenzialmente in<br />
grado di mimare gli effetti dell’analogo glutationil-emoglobina,<br />
una forma post-traduzionale fisiologicamente presente e i cui livelli<br />
ri<strong>sul</strong>tano incrementati in condizioni di stress ossidativo cellulare<br />
(8).<br />
Reattività dello ione Hg 2+ con composti bio-organici contenenti gruppi<br />
tiolici liberi<br />
Il mercurio dà origine a ‘sali’ con amminoacidi, peptidi e proteine<br />
contenenti residui di cisteina, secondo il processo descritto<br />
nell’equazione 1 seguente:<br />
Hg2+ + R1-SH ↔ R1-S-Hg + + H +<br />
R1-S-Hg + + R2-SH ↔ R1-S-Hg-S-R2 + H +<br />
(1)<br />
ovvero: Hg2+ + 2 R-SH ↔ R-S-Hg-S-R + 2 H +<br />
I valori delle costanti di equilibrio per sistemi contenenti il<br />
glutatione o la penicillamina sono ri<strong>sul</strong>tati estremamente elevati<br />
(superiori a 10 30 ), tali da dover ammettere che, in ambiente <strong>biologico</strong><br />
ed in presenza delle concentrazioni fisiologiche di gruppi<br />
tiolici liberi, non possano sussistere in pratica ioni Hg 2+ liberi. Il<br />
trasporto dello ione Hg 2+ tra i diversi compartimenti biologici<br />
avviene quindi attraverso lo scambio dei loro residui tiolici<br />
(equazione 2):<br />
R 1 -S-Hg-S-R 1 + R 2 -SH ↔ R 1 -S-Hg-S-R 2 + R 1 -SH (2)<br />
Alcuni aspetti della reattività dei coniugati mercuro-tiolici<br />
sono stati inoltre desunti <strong>sul</strong>la base delle reazioni di frammentazione<br />
osservate mediante spettrometria di massa (9). In particolare,<br />
è stata evidenziata la possibilità che specie mercuro-cisteiniche<br />
diano origine a intermedi alchilanti di tipo epi<strong>sul</strong>fonio, in<br />
grado di modificare irreversibilmente le strutture biologiche. È<br />
possibile pertanto ricondurre, almeno in termini ipotetici, il mec-
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
34 www.gimle.fsm.it<br />
canismo dell’azione tossica selettiva del mercurio all’interazione<br />
tra Hg 2+ e specifici bio-tioli che partecipano a sistemi di signalling<br />
cellulare, quali non solamente i gruppi tiolici funzionali degli<br />
enzimi, ma anche le proteine nitrosilate e glutationilate, nonché<br />
alcuni mediatori neuroendocrini di natura peptidica, quali la<br />
vasopressina e l’ossitocina, coinvolti in una vasta serie di fenomeni<br />
biologici di regolazione.<br />
Conclusioni<br />
In conclusione, le conoscenze oggi in via di acquisizione <strong>sul</strong>la<br />
reattività del mercurio nei confronti di amminoacidi, peptidi e<br />
proteine contenenti gruppi tiolici liberi o ponti disolfuro possono<br />
rendere ragione, almeno in termini speculativi, degli effetti biologici<br />
del metallo su organi ed apparati dell’organismo umano<br />
noti per essere bersagli elettivi della sua azione tossica.<br />
Bibliografia<br />
A. Caglieri 2 , M.V. Vettori 1,2 , M. Goldoni 1,2 , R. Alinovi 2 , D. Poli 1,2 , S. Ceccatelli 3 , A. Mutti 2<br />
RIASSUNTO. In questo lavoro vengono presentate le variazioni dei<br />
livelli di indicatori specifici di stress ossidativo misurati in una coltura<br />
cellulare neuronale (SK-N-MC) esposta a stirene e 7,8-ossido (SO), 0.3<br />
e 1mM per 16 ore. Il trattamento con SO provoca un significativo aumento<br />
della perossidazione lipidica associato all’incremento dei livelli di<br />
ossidazione del DNA e delle proteine. Inoltre l’esposizione a SO determina<br />
la diminuzione dell’attività della GST, il calo di GSH (solo alla concentrazione<br />
più alta) e l’incremento dell’attività dell’HO-1.<br />
Parole chiave: stress ossidativo, danno al DNA, stirene 7,8-ossido,<br />
cellule neuronali.<br />
ABSTRACT. OXIDATIVE STRESS IN HUMAN NEURONAL CELLS INDU-<br />
CED BY STYRENE 7,8-OXIDE. In this study, we report the alterations of several<br />
markers of oxidative stress measured in a neuronal cell line (SK-N-<br />
MC) exposed to styrene 7,8-oxide (SO), 0.3 and 1 mM for 16 h. SO treatment<br />
induced a significant increase in lipid peroxidation associated with<br />
an increase in the oxidation levels of DNA and proteins. In addition, SO<br />
exposure caused the reduction in GSH levels (only at the 1 mM dose),<br />
GST activity and an increased heme oxygenase (HO-1) activity.<br />
Key words: oxidative stress, DNA damage, styrene 7,8-oxide, neuronal<br />
cells.<br />
Introduzione<br />
Lo stirene è un composto organico volatile molto utilizzato<br />
a livello industriale. L’esposizione a stirene provoca alterazioni<br />
neurocomportamentali nei lavoratori, quali perdita di memoria,<br />
fatica, cambiamenti d’umore e modificazioni neurologiche<br />
che talvolta diventano permanenti (1-3). Ad oggi i meccanismi<br />
dei danni provocati <strong>sul</strong> sistema nervoso centrale (SNC)<br />
dallo stirene non sono stati completamente identificati. Lo stirene<br />
7,8-ossido (SO), il principale metabolita dello stirene, è<br />
citotossico per linee cellulari neuronali in vitro (4-6). In un recente<br />
lavoro è stata dimostrata l’azione tossica dello SO in cellule<br />
di neuroblastoma umano (SK-N-MC) ed in una cultura pri-<br />
1) Sirois & Atchison: Neurotoxicology 1996; 17: 63-84.<br />
2) RK Zalups: Pharmacol Rev 2000; 52: 113-43.<br />
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4) Souza de Assis G, Cunha Silva CE, Stefanon I, Vassallo DV. Comp<br />
Biochem Physiol C 2003; 134: 375-83.<br />
5) Bhattacharya S, Bose S, Mukhopadhayay B, Sarkar D, Das D,<br />
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J, Gernert K, Piantadosi CA. Science 1997; 276: 2034-37.<br />
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8) Bursell SE, King GL. Clin Chem 2000; 46: 146-46.<br />
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Colombi A. J Am Soc Mass Spectrom 2004; 15: 288-300.<br />
Analisi dello stress ossidativo indotto dallo stirene 7,8-ossido<br />
in cellule neuronali umane<br />
1 Centro Studi e Ricerche ISPESL, Università degli Studi di Parma<br />
2 Laboratorio di Tossicologia Industriale, Università degli Studi di Parma<br />
3 Institute of Environmental Medicine, Karolinska Institutet, Stockholm, Svezia<br />
maria di granulociti cerebellari (7). Queste linee cellulari esposte<br />
a diverse concentrazioni di SO manifestano contrazione<br />
cellulare, riarrangiamenti cromatidici ed attivazione di alcune<br />
proteasi (calpaina e caspasi), eventi caratteristici della “fase<br />
esecutiva” dell’apoptosi (7). Scopo dello studio è di chiarire i<br />
meccanismi dell’azione citotossica dello SO nella linea cellulare<br />
SK-N-MC ipotizzando che l’esposizione provochi stress<br />
ossidativo e questo possa determinare l’attivazione di enzimi<br />
specifici per la morte cellulare. Poiché il trattamento delle cellule<br />
SK-N-MC con SO 0,3 e 1 mM per 16 ore determina l’attivazione<br />
di segnali apoptotici come il riarrangiamento cromatidico<br />
e l’aumento dell’attività delle caspasi (7), queste stesse<br />
concentrazioni sono state scelte per valutare anche i parametri<br />
di stress ossidativo.<br />
Materiali e metodi<br />
Per chiarire quali siano gli eventi intracellulari che determinano<br />
la morte delle cellule neuronali, sono stati valutati i seguenti<br />
indicatori specifici per i diversi bersagli cellulari dello stress ossidativo<br />
nella linea di neuroblastoma umano SK-N-MC:<br />
1. le sostanze reattive dell’acido tiobarbiturico (TBARS), come<br />
parametro del danno ossidativo alle membrane cellulari;<br />
2. i gruppi carbonilici e gruppi <strong>sul</strong>fidrilici per valutare l’ossidazione<br />
proteica;<br />
3. i livelli di 8-idrossi-2’-desossiguanosina (8-OHdG), indicatore<br />
del danno al DNA;<br />
4. l’espressione e l’attività dell’eme-ossigenasi (HO-1) come<br />
esempio di una risposta al danno ossidativo mediato dalla regolazione<br />
genica.<br />
Sono stati inoltre stimati altri indicatori per valutare la capacità<br />
di “scavenging” delle cellule: i livelli di glutatione intracellulare<br />
(GSH) e l’attività della glutatione S-transferasi(GST).
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 35<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Nella Tabella I sono riportati i valori dei parametri<br />
cellulari stimati dopo esposizione delle cellule<br />
SK-N-MC a SO 0,3 e 1 mM. Si evidenzia un significativo<br />
aumento della perossidazione lipidica<br />
(TBARS) associato all’incremento dei livelli di ossidazione<br />
del DNA e delle proteine. Le dosi utilizzate<br />
influenzano in modo significativo la capacità di<br />
difesa della cellula diminuendo l’attività della Glutatione<br />
S-Transferasi, mentre il calo di GSH è evidente<br />
solo quando le cellule SK-N-MC vengono<br />
esposte alla concentrazione più alta (1 mM). L’esposizione<br />
a SO determina inoltre una crescita dell’attività<br />
dell’eme ossigenasi 1 (HO-1). È bene sottolineare<br />
che le dosi nominali a cui ci riferiamo sono<br />
quelle misurate nel medium iniziale (0,3 e 1 mM<br />
SO) che corrispondono, dopo il periodo di incubazione<br />
di 16 h, a 0,15 e 0,51 mM rispettivamente.<br />
Discussione e conclusioni<br />
Sebbene sia stato ampiamente dimostrato come lo stress ossidativo<br />
contribuisca in modo significativo a rendere effettiva<br />
l’azione di molti agenti neurotossici, poca attenzione è stata posta<br />
<strong>sul</strong> ruolo delle Sostanze Reattive dell’Ossigeno (ROS) nel<br />
meccanismo di neurotossicità dello SO nelle culture cellulari in<br />
vitro. In questo lavoro vengono presentate le variazioni dei livelli<br />
di indicatori specifici di stress ossidativo misurati in una<br />
linea neuronale esposta a SO. Valutando complessivamente<br />
questi parametri, si comprende come la neurotossicità dello SO<br />
si manifesti mediante l’ossidazione di diversi bersagli cellulari.<br />
È evidente, inoltre, come lo stress ossidativo sia provocato dall’esposizione<br />
a SO alle stesse concentrazioni che determinano<br />
la morte cellulare per apoptosi. In un recente studio è stato valutato<br />
quanto lo stress ossidativo sia determinante nella “fase<br />
iniziale” dell’apoptosi indotta dallo SO. Ri<strong>sul</strong>tati preliminari<br />
dimostrano che il pre-trattamento con un antiossidante specifico<br />
riduce l’attivazione delle caspasi e quindi la morte cellulare<br />
per apoptosi (8). Alla luce di questi ri<strong>sul</strong>tati si può quindi concludere<br />
che lo stress ossidativo svolga un ruolo determinante<br />
nella “fase iniziale” dell’apoptosi indotta da SO in cellule di<br />
neuroblastoma umano.<br />
Ringraziamenti<br />
Questo studio è stato finanziato dalla Comunità Europea (contratto<br />
QLK4-1999-01356).<br />
RIASSUNTO. Scopo della ricerca è stato indagare il possibile utilizzo<br />
dell’escrezione urinaria di idrocarburi policiclici aromatici (IPA)<br />
non metabolizzati, come indicatori specifici di esposizione a IPA. Lo studio<br />
è stato condotto su 24 esposti a fumi di bitume e 6 esposti a fumi diesel.<br />
I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti mostrano che l’escrezione urinaria di IPA permette<br />
Tabella I. Variazioni dei parametri di stress ossidativo in seguito<br />
all’esposizione delle cellule SK-N-MC a SO<br />
Bibliografia<br />
1) Jéngaden D, Simon JF, Habault M, Legoux B, Galopin P. Study on<br />
the neurobehavioral toxicity of styrene at low levels of exposure. Int<br />
Arch Occup Environ Health 1993; 64: 527-531.<br />
2) Viaene MK, Pauwels W, Veulemans H, Roels HA, Masschelein R.<br />
Neurobehavioural changes and persistence of complaints in workers<br />
exposed to styrene in a polyester boat building plant: influence of exposure<br />
characteristics and microsomal epoxide hydrolase phenotype.<br />
Occup Environ Med 2001; 58: 103-12.<br />
3) Mutti A, Mazzucchi A, Rustichelli P, Frigeri G, Arfini G, Franchini<br />
I. Exposure-effect and exposure-response relationship between occupational<br />
exposure to styrene and neuropsychological functions. Am J<br />
Ind Med 1984; 5: 275-286.<br />
4) Boccellino M, Cuccovillo F, Napolitano M, Sannolo N, Balestrieri C,<br />
Acampora A, Giovane A, Quagliuolo L. Styrene-7,8-oxide activates<br />
a complex apoptotic response in neuronal PC12 cell line. Carcinogenesis<br />
2003; 24: 535-40.<br />
5) Dypbukt JM, Costa LG, Manzo L, Orrenius S, Nicotera P. Cytotoxic<br />
and genotoxic effects of styrene-7,8-oxide in neuroadrenergic Pc 12<br />
cells. Carcinogenesis 1992; 13: 417-24.<br />
6) Kohn J, Minotti S, Durham H. Assessment of the neurotoxicity of<br />
styrene, styrene oxide, and styrene glycol in primary cultures of motor<br />
and sensory neurons. Toxicol Lett 1995; 75: 29-37.<br />
7) Daré E, Tofighi R, Vettori MV, Momoi T, Poli D, Saido TC et al Dare<br />
E, Tofighi R, Vettori MV, Momoi T, Poli D, Saido TC, Mutti A,<br />
Ceccatelli S. Styrene 7,8-oxide induces caspase activation and regular<br />
DNA fragmentation in neuronal cells. Brain Res 2002; 933: 12-22.<br />
8) Daré E, Tofighi R, Nutt L, Vettori MV, Emgård M, Mutti A, Beccatelli<br />
S. Styrene 7,8-oxide induces mitochondrial damage and oxidative<br />
stress in neurons. Toxicology, in press.<br />
L. Campo, L. Addario, L. Scibetta, M. Buratti, V. Foà, O. Longhi, P. Cirla, I. Martinotti, S. Fustinoni<br />
Nuovi indicatori per il monitoraggio <strong>biologico</strong> dell’esposizione<br />
a idrocarburi policiclici aromatici: gli IPA urinari<br />
Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano e ICP, Milano<br />
di discriminare le due casistiche e inoltre di osservare una differenza tra<br />
campioni raccolti prima e dopo l’esposizione anche a bassi livelli di esposizione<br />
ambientale.<br />
Parole chiave: idrocarburi policicicli aromatici, escrezione urinaria,<br />
esposizione professionale.
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
36 www.gimle.fsm.it<br />
ABSTRACT. URINARY POLYCYCLIC ARO-<br />
MATIC HYDROCARBONS (PAH) AS NEW BIO-<br />
MARKERS FOR THE BIOMONITORING OF EXPOSURE<br />
TO PAH. The aim of the research is the development<br />
of new biomarkers of polycyclic aromatic<br />
hydrocarbons (PAH) exposure, namely the determination<br />
of unmetabolised compounds in urine.<br />
Urine samples were obtained from 24 workers<br />
exposed to bitumen fumes and from 6 workers<br />
exposed to diesel exhaust. The re<strong>sul</strong>ts show that,<br />
even at low levels of PAH exposure, urinary PAH<br />
are suitable for discriminating the two groups<br />
and, also, samples obtained before and after the<br />
work shift.<br />
Key words: polycyclic aromatic hydrocarbons,<br />
urinary excretion, occupational exposure.<br />
Introduzione<br />
Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono una famiglia<br />
di composti organici ad alto peso molecolare, la cui struttura contiene<br />
due o più anelli benzenici condensati. Gli IPA si formano durante<br />
processi di pirolisi o di combustione incompleta di materiali<br />
organici e sono perciò presenti nell’ambiente in modo ubiquitario,<br />
sia in fase vapore che adsorbiti <strong>sul</strong> particolato atmosferico.<br />
Nelle aree urbane la fonte principale di questi composti è rappresentata<br />
dagli scarichi autoveicolari, mentre altre fonti di esposizione<br />
a IPA, oltre quelle professionali, sono il fumo di tabacco e<br />
il consumo di cibi affumicati o cotti alla griglia (1). La IARC classifica<br />
alcuni IPA come probabili o possibili cancerogeni per l’uomo<br />
(2A o 2B) (2). Per il monitoraggio <strong>biologico</strong> dell’esposizione<br />
a IPA viene storicamente usato l’1-idrossipirene, il principale metabolita<br />
urinario del pirene, un composto sempre presente nelle<br />
miscele aerodisperse di IPA. La composizione delle diverse miscele<br />
di IPA varia però in funzione dei differenti processi di combustione,<br />
e l’1-idrossipirene può quindi fornire solo una stima indiretta<br />
della esposizione complessiva a IPA (3,4). Scopo di questo<br />
lavoro è stato indagare il possibile utilizzo dell’escrezione urinaria<br />
di IPA tal quali come indicatori specifici di esposizione a IPA.<br />
Materiali e metodi<br />
Sono stati indagati due gruppi di lavoratori caratterizzati da<br />
diversa esposizione a IPA: 24 esposti a fumi di bitume (gruppo A)<br />
e 6 esposti a fumi diesel (gruppo B). Nessuno di questi era fumatore.<br />
Ai soggetti è stato chiesto di astenersi dal consumo di cibi<br />
ad elevato contenuto di IPA il giorno precedente e il giorno<br />
stesso della raccolta del campione <strong>biologico</strong>. Per ciascun soggetto<br />
sono stati raccolti tre campioni di urina: uno all’inizio del turno<br />
di lavoro del primo giorno della settimana lavorativa (BL) e<br />
gli altri due, uno a inizio (IT) e l’altro a fine turno (FT) di un giorno<br />
scelto nella seconda metà della settimana lavorativa. La determinazione<br />
di IPA urinari è stata effettuata, dopo campionamento<br />
degli analiti nello spazio di testa tramite microestrazione<br />
in fase solida (SPME), mediante gascromatografia accoppiata alla<br />
spettrometria di massa (GC/MS). Sono stati così quantificati:<br />
naftalene, acenaftene, acenaftilene, fluorene, fenantrene, antracene,<br />
fluorantene e pirene urinari.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Gli IPA sono stati trovati nelle urine di tutti i soggetti indagati.<br />
I composti presenti in maggiore quantità sono naftalene, fenantrene,<br />
pirene e fluorene. In Tabella I si riportano i valori di<br />
escrezione osservati nei soggetti suddivisi in base alla mansione<br />
lavorativa. L’escrezione urinaria di pirene, fluorantene, fenantre-<br />
Tabella I. Valori di escrezione di alcuni IPA urinari misurati a fine turno<br />
nei due gruppi di soggetti indagati<br />
ne e acenaftilene del gruppo A è ri<strong>sul</strong>tata più elevata di quella osservata<br />
nel gruppo B. Nel gruppo A, inoltre, per tutti gli analiti si<br />
osservano valori crescenti delle concentrazioni passando dal<br />
campione BL, o IT, al campione FT. Questa tendenza non è stata<br />
invece osservata per i soggetti del gruppo B.<br />
In Figura 1 è riportata a titolo d’esempio la distribuzione dei<br />
valori relativi al fenantrene urinario nei due gruppi di soggetti indagati.<br />
I valori di escrezione dei diversi IPA sono ri<strong>sul</strong>tati tra loro<br />
correlati (r > 0.42, p
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 37<br />
Ringraziamenti<br />
Lo studio è stato possibile anche grazie al contributo ISPESL<br />
per il progetto “Nuovi indicatori per il monitoraggio <strong>biologico</strong><br />
dell’esposizione a idrocarburi policiclici aromatici” (contratto<br />
n°B/47/DML/03.)<br />
Bibliografia<br />
1) Brandt H.C.A.Watson W.P. Monitoring human occupational and environmental<br />
exposures to polycyclic aromatic compounds. Ann. Occup.<br />
Hyg. 2003; 47: 349-378.<br />
2) International Agency for Research on Cancer. Polynuclear Aromatic<br />
compounds, Part 1. Chemical, environmental and experimental data.<br />
RIASSUNTO. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare<br />
l’esposizione a benzene dei lavoratori di una grande industria petrolchimica<br />
e determinare quale indicatore <strong>biologico</strong> di esposizione tra benzene<br />
urinario, acido trans,trans-muconico (t,t-MA) e acido S-fenilmercapturico<br />
(S-PMA) sia meglio correlato con l’esposizione ambientale. I dati del<br />
monitoraggio ambientale e <strong>biologico</strong> hanno evidenziato una contenuta<br />
esposizione a benzene (medie: benzene ambientale 0,022 mg/m 3 ; benzene<br />
urinario 1,22 µg/L; t,t-MA 81,9 µg/g creat; S-PMA 2,80 µg/g creat). Significative<br />
correlazioni sono state riscontrate tra l’esposizione ambientale<br />
e gli indicatori biologici, ma con notevole dispersione dei dati. Per livelli<br />
di benzene così bassi il monitoraggio ambientale sembra essere il<br />
metodo migliore per valutare l’esposizione individuale.<br />
Parole chiave: esposizione ambientale, acido trans,trans-muconico,<br />
acido S-fenilmercapturico, benzene urinario.<br />
ABSTRACT. COMPARISON BETWEEN DIFFERENT METHODS OF ASSES-<br />
SING OCCUPATIONAL EXPOSURE TO BENZENE. The aim of the study was to assess<br />
the benzene exposure of workers in a large petrochemical plant and to<br />
determine which biological exposure index, urinary benzene, trans,transmuconic<br />
acid (t,t-MA) or S-phenylmercapturic acid (S-PMA), showed a better<br />
correlation with the individual exposure. The environmental and biological<br />
monitoring data show that benzene exposure is low (means: benzene<br />
in air 0.022 mg/m 3 ; urinary benzene 1.22 µg/L; t,t-MA: 81.9 µg/g creat.;<br />
S-PMA: 2.80 µg/g creat.). Significant correlations have been found between<br />
exposure to benzene and biomarkers, but with significant scattering of the<br />
data. For such low levels of benzene in the air, environmental monitoring<br />
seems to be the best method of evaluating individual exposure.<br />
Key words: environmental exposure, trans,trans-muconic acid, Sphenylmercapturic<br />
acid, urinary benzene.<br />
Introduzione<br />
Il benzene, appartenente alla famiglia degli idrocarburi aromatici,<br />
è il solvente organico per eccellenza e trova applicazione<br />
sia come materiale di base per la sintesi di altri composti chimici<br />
(come solvente del lattice nell’industria della gomma, solvente<br />
di inchiostri nei processi di stampa, nella produzione di verni-<br />
In: Evaluation of the carcinogenic risk of chemicals to humans, vol.<br />
32. Lyon: IARC.<br />
3) Sedar Zhao Z.H,Quan W.Y, Tian D.H. Experiments on the effects of<br />
several factors on the 1-hydroxypyrene level in human urine as an indicator<br />
of exposure to polycyclic aromatic hydrocarbons. Sci. Total<br />
Environ. 1992; 113: 197-207.<br />
4) Buckley T.J, Lioy P.J. An examination of the time course from human<br />
dietary exposure to polycyclic aromatic hydrocarbons to urinary<br />
elimination of 1-hydroxypyrene. Br. J. Ind. Med. 1992; 49: 113-124.<br />
5) Waidyanatha S, Zheng Y, Rappaport S.M. Determination of polycyclic<br />
aromatic hydrocarbons in urine of coke coven workers by headspace<br />
solid phase microextraction and gas chomatography-mass<br />
spectrometry. Chemico-biological Interactions 2003; 145: 165-174.<br />
6) Serdar B, Egeghy P.P, Waidyanatha S, Gibson R, Rappaport S.M.<br />
Urinary biomarker of exposure to jet fuel (JP-8). Environmental<br />
Health perspectives 2003; 111: 1760-1764.<br />
M. Carrieri 1 , E. Bonfiglio 1 , G. Cancanelli 2 , O. Nardelotto 3 , A. Pasqua di Bisceglie 1 , S. Serraino 1 , G. Gori 1 , M.L. Scapellato 1 ,<br />
I Maccà 1 , G.B. Bartolucci 1<br />
Confronto tra differenti metodi di valutazione dell’esposizione<br />
occupazionale a benzene<br />
1 Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Padova<br />
2 Syndial, Medicina e Igiene Industriale, Milano<br />
3 Syndial, Servizio Sanitario, Porto Marghera (VE)<br />
ci e di materiali plastici, ecc.). Una stima OSHA negli ambienti<br />
di lavoro indica che circa 2 milioni di lavoratori sono esposti al<br />
benzene. Scopo del nostro studio è stato quello di misurare, attraverso<br />
tecniche di monitoraggio ambientale e <strong>biologico</strong>, l’esposizione<br />
a benzene dei lavoratori di una grande industria petrolchimica.<br />
Per il monitoraggio <strong>biologico</strong>, l’obiettivo è stato in particolare<br />
quello di valutare l’utilizzo di diversi indicatori biologici<br />
di esposizione: il benzene tal quale e i suoi metaboliti, gli acidi<br />
trans,trans-muconico (t,t-MA) e S-fenilmercapturico (S-<br />
PMA), dosati su campioni urinari raccolti a fine turno.<br />
Materiali e metodi<br />
Lo studio è stato condotto dosando il livello individuale di<br />
esposizione a benzene rispettivamente di 151 lavoratori (59 fumatori<br />
e 92 non fumatori). Il prelievo dei campioni ambientali è<br />
stato eseguito con l’ausilio di dosimetri personali diffusivi (Radiello®),<br />
la cui affidabilità <strong>sul</strong> campo è stata precedentemente<br />
validata (1), collocati in prossimità della zona respiratoria dei<br />
soggetti monitorati. Il campionamento è stato effettuato per l’intera<br />
durata del turno lavorativo. La determinazione quantitativa<br />
del benzene ambientale è stata condotta per via gascromatografica<br />
previo desorbimento chimico dell’analita con solfuro di carbonio<br />
(2 ml) direttamente nella cartuccia del Radiello®. Le analisi<br />
sono state effettuate con gas-cromatografo equipaggiato con<br />
rivelatore a ionizzazione di fiamma (FID).<br />
Su tutti i soggetti è stata valutata l’escrezione urinaria del solvente<br />
tal quale e dei suoi metaboliti t,t-MA e S-PMA su campioni<br />
raccolti al termine della giornata lavorativa. Il dosaggio del<br />
benzene urinario è stato effettuato in gascromatografia-FID con<br />
metodo dello spazio di testa; il dosaggio del t,t-MA è stato effettuato<br />
con una metodica HPLC e rivelatore UV mentre la determinazione<br />
dell’S-PMA è stata effettuata con metodica immunoenzimatica<br />
in chemiluminescenza. La concentrazione dei due<br />
metaboliti è stata espressa in funzione della creatinina urinaria.
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
38 www.gimle.fsm.it<br />
Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />
I livelli di benzene ambientale<br />
riscontrati sono ri<strong>sul</strong>tati decisamente<br />
contenuti rispetto al<br />
TLV dell’ACGIH (2) e quindi<br />
anche rispetto al limite italiano,<br />
nonché a quanto riscontrato in<br />
passato per questa categoria professionale<br />
(3, 4). In Tabella I<br />
vengono riportate le medie aritmetiche,<br />
le mediane ed il range<br />
dei livelli di esposizione a benzene<br />
dei soggetti, differenziati<br />
inoltre tra fumatori e non fumatori,<br />
da cui si evidenzia come l’abitudine<br />
al fumo non comporti<br />
alcun incremento dell’esposizione:<br />
il valore medio lievemente<br />
superiore è infatti imputabile ad<br />
un singolo valore elevato, di<br />
0.534 mg/m 3 , che è però attribuibile<br />
all’esposizione lavorativa.<br />
Come per l’esposizione ambientale,<br />
anche i livelli urinari dei metaboliti sono ri<strong>sul</strong>tati sostanzialmente<br />
contenuti se confrontati coi corrispondenti limiti biologici<br />
di esposizione (BEI).<br />
Al fine di valutare la validità degli indicatori biologici abbiamo<br />
messo a confronto le concentrazioni ambientali di benzene<br />
con i relativi livelli di escrezione dei due metaboliti, nonché con<br />
l’escrezione urinaria del solvente tal quale. Abbiamo evidenziato<br />
una correlazione bassa ma statisticamente significativa tra l’esposizione<br />
ambientale e l’escrezione urinaria del solvente<br />
(r=0,39; p
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 39<br />
P. Carta 1 , C. Flore 1 , A. Ibba 1 , M.G. Tocco 1 , G. Aru 1 , S. Caracoi 2 , F. Sanna Randaccio 1<br />
Esposizione ambientale a metalli in residenti in un’area industriale<br />
della Sardegna<br />
1 Dipartimento di Sanità Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Cagliari,<br />
2 ASL N° 7, Carbonia<br />
RIASSUNTO. Lo studio riporta i valori di dose interna di piombo, di<br />
cadmio e di mercurio osservati in un campione di residenti del comune di<br />
Portoscuso, situato a meno di 2 Km da un importante polo industriale<br />
comprendente anche una fonderia di piombo e zinco, a confronto con i dati<br />
osservati in altri due comuni distanti oltre 20 Km dal polo industriale. I<br />
ri<strong>sul</strong>tati mostrano che a Portoscuso i livelli ematici ed urinari dei metalli<br />
studiati ed in particolare del piombo, sono, specialmente nelle donne, significativamente<br />
superiori a quanto osservato negli altre due località. Il risiedere<br />
a ridosso del polo industriale di Portoscuso ed in particolare l’assunzione<br />
di vino sfuso di produzione locale e non controllato per il suo<br />
contenuto in piombo, così come il fumo di sigaretta rappresentano i fattori<br />
più rilevanti che spiegano le differenze osservate tra i tre comuni studiati<br />
relativamente alla dose interna di piombo. L’effetto residenza appare rilevante<br />
anche per la dose interna di cadmio, su cui è particolarmente evidente<br />
l’effetto del fumo di tabacco, e per quella di mercurio su cui ha un<br />
ruolo significativo il consumo di pescato locale ed in particolare di tonno.<br />
Parole chiave: piombo inorganico, cadmio, mercurio, inquinamento<br />
ambientale.<br />
ABSTRACT. ENVIRONMENTAL EXPOSURE TO METALS IN AN INDU-<br />
STRIALISED AREA OF SARDINIA, ITALY. Blood lead and cadmium concentration<br />
and urinary cadmium and mercury excretion were analysed in a<br />
sample of inhabitants of Portoscuso, a town less than 2 km from a lead<br />
and zinc smelting works in Sardinia, and were compared to those observed<br />
in a control group of subjects living in two towns located more than<br />
20 km from the industrialised area. Compared to the control group, blood<br />
and urinary levels of the analysed metals, and the blood lead concentrations<br />
in particular, were significantly higher among females in Portoscuso.<br />
In the multivariate analysis of individual data, living near the lead and<br />
zinc smelting works and particularly the consumption of local home-made<br />
wine, as well as cigarette smoking, were found to be the main factors<br />
underlying increases in the blood lead levels. Living in Portoscuso together<br />
with cigarette smoking were found to be the main factors causing<br />
increases in individual blood and urinary levels of cadmium, while urinary<br />
mercury was strictly dependent on the consumption of locally caught<br />
fish, particularly tuna.<br />
Key words: inorganic lead, cadmium, mercury, environmental pollution.<br />
Introduzione<br />
Dai ri<strong>sul</strong>tati di numerose indagini (1-3) svolte a più riprese<br />
nel territorio del centro abitato di Portoscuso e frazioni limitrofe<br />
appare evidente il rilevante impatto ambientale, dell’attività delle<br />
principali industrie primarie insediate nel polo di Portovesme<br />
con particolare riguardo all’inquinamento da metalli pesanti.<br />
Le sorgenti di inquinamento sono costituite dai camini degli<br />
stabilimenti e dalle aree di stoccaggio e movimentazione delle<br />
materie prime (operazioni di scarico dalle navi, abbancamento<br />
<strong>sul</strong> molo, carico e trasporto su autoarticolati) e delle scorie ubicate<br />
sia all’interno degli stessi stabilimenti che in discariche o bacini<br />
di decantazione. I metalli pesanti si ritrovano come componenti<br />
del particolato aerodisperso e tendono a depositarsi <strong>sul</strong>le<br />
superfici del terreno o dei vegetali e quindi nella catena alimentare.<br />
Il carico inquinante da metalli, ed in particolare da piombo,<br />
derivante dal traffico automobilistico nell’area di Portoscuso è da<br />
considerare meno importante rispetto a quello derivante dalle<br />
sorgenti industriali.<br />
Il presente studio è complementare alle indagini ambientali<br />
svolte in questa area industriale nei comparti aria, acqua e suolo ed<br />
è basato <strong>sul</strong>l’analisi della dose interna di alcuni metalli (Piombo,<br />
Cadmio e Mercurio) in un campione di adulti della popolazione generale<br />
non professionalmente esposta a metalli residente nel comune<br />
di Portoscuso, situato a meno di 2 chilometri dal polo industriale<br />
di Portovesme, a confronto con gruppi di controllo residenti<br />
in altri due comuni distanti circa 20 Km dal polo industriale.<br />
Materiali e metodi<br />
Gli accertamenti comprendevano:<br />
a) un prelievo di sangue venoso per la determinazione dei valori<br />
ematici di piombo (PbE µg/dl), di cadmio (CdE µg/dl) e dei<br />
valori dell’ALA-Deidratasi (ALAD mu/ml eritrociti);<br />
b) la raccolta di un campione di urine per la determinazione dell’escrezione<br />
urinaria di cadmio (CdU) e di mercurio (HgU) i<br />
cui valori sono stati espressi in unità di concentrazione per<br />
grammo di creatinina (µg/g di creatinina), contestualmente<br />
misurata <strong>sul</strong>lo stesso campione di urine;<br />
c) l’applicazione di un questionario per la rilevazione di informazioni<br />
<strong>sul</strong>le abitudini di vita (fumo, alcol, consumo di vino sfuso<br />
di produzione locale, dieta prevalente, consumo di pesce, hobbies),<br />
<strong>sul</strong>la storia occupazionale, <strong>sul</strong>le caratteristiche abitative.<br />
Le determinazioni di PbE, CdE e CdU sono state effettuate<br />
mediante spettrofotometro in assorbimento atomico (VARIAN<br />
SpectrAA-300) fornito di fornetto di grafite (Zeeman GTA), autocampionatore<br />
e lampade a catodo cavo specifiche. Il mercurio<br />
nelle urine è stato determinato tramite spettrofotometria di assorbimento<br />
atomico dei vapori freddi di Mercurio (Cold Vapor Atomic<br />
Absorption Spectrometry, CVAAS). L’ALAD è stata determinata<br />
con metodo colorimetrico ed i valori sono stati espressi in<br />
milliunità per ml di eritrociti.<br />
Per l’analisi statistica sono stati utilizzati test non parametrici, il<br />
test T di Student e l’analisi della varianza per il confronto tra gruppi<br />
e tecniche di regressione multipla e logistica stepwise per valutare la<br />
relazione tra gli indicatori biologici di dose ed il fattore residenziale,<br />
controllando per l’età, il fumo di sigaretta, il consumo di alcol, e per<br />
variabili categoriche desunte dall’analisi del questionario.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
La popolazione studiata comprende 212 soggetti di età compresa<br />
tra i 18 e gli 88 anni, 102 femmine (età media 47,5 + 11,9)<br />
e 110 maschi (età media 48,2 + 11,1) di cui 108 residenti stabilmente<br />
a Portoscuso (70 femmine e 38 maschi), 53 residenti a S.<br />
Antioco (18 femmine e 35 maschi) e 51 residenti a Villaperuccio<br />
(14 femmine e 37 maschi). All’interno di ciascun campione studiato<br />
l’età è ri<strong>sul</strong>tata confrontabile tra femmine e maschi, così come<br />
non si sono osservate sostanziali differenze di età tra i residenti<br />
di Portoscuso e il gruppo di controllo. La prevalenza degli ex fumatori<br />
e dei fumatori è ri<strong>sul</strong>tata in ciascun gruppo decisamente<br />
più elevata tra gli uomini così come più elevato ri<strong>sul</strong>ta il valore<br />
medio dell’indice cumulativo di fumo espresso come Pacchetti-
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
40 www.gimle.fsm.it<br />
Anni (P-A). Il consumo di vino sfuso prodotto localmente in proprio<br />
ri<strong>sul</strong>ta in modo statisticamente significativo più frequente tra<br />
i residenti a Villaperuccio ed in particolare tra gli uomini, che riferivano<br />
tale abitudine nel 56.8% dei casi intervistati.<br />
Nella Tabella I si possono osservare i valori centrali ed il range<br />
della piombemia e dell’ALAD rilevati nei tre gruppi analizzati,<br />
separatamente per le donne e gli uomini. All’interno di ciascun<br />
gruppo le differenze tra i due sessi sono ri<strong>sul</strong>tate statisticamente<br />
significative: PbE più basso ed ALAD più elevato nelle donne rispetto<br />
agli uomini.<br />
Nel complesso dei casi i valori individuali di ALAD sono ri<strong>sul</strong>tati<br />
ben correlati con i valori di piombemia (r: 0,51, P
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 41<br />
Il consumo di vino sfuso locale non influenza statisticamente<br />
la significatività del modello che nel complesso spiega il 45% della<br />
varianza totale dei valori individuali di tale parametro (P
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
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ABSTRACT. IODIOCYCLOPHOSPHAMIDE AS A POSSIBLE INTERNAL<br />
STANDARD IN THE ANALYSIS OF ANTINEOPLASTIC DRUGS USING MASS SPEC-<br />
TROMETRY. Cyclophosphamide is one of the most widely used antineoplastic<br />
agents in therapy and the evaluation of occupational exposure requires<br />
the dosage of the molecule in complex matrices. An internal standard<br />
is necessary for quantitative analysis in order to obtain analytical re<strong>sul</strong>ts<br />
which are free from errors in the processing phases. This study<br />
shows the synthesis and characterization of mono- and di-iodiocyclophosphamide,<br />
which are suggested as optimal internal standards. The re<strong>sul</strong>ts<br />
show that both the molecules have the same instrumental behaviour of the<br />
analyte. Therefore, monoiodide is particularly suitable for LC/MS analysis,<br />
while diiodide is appropriate for GC/MS analysis.<br />
Key words: iodiocyclophosphamide, internal standard, antineoplastic<br />
drugs, mass spectrometry.<br />
Introduzione<br />
La valutazione dell’esposizione professionale a ciclofosfamide<br />
(CP), farmaco antiblastico largamente adoperato in terapie tum<strong>orali</strong>,<br />
prevede il dosaggio della molecola tal quale in matrici<br />
complesse (1, 2). Dopo estrazione, gli analiti sono rivelati mediante<br />
cromatografia liquida/spettrometria di massa (LC/MS) (3)<br />
oppure, previa derivatizzazione, in gas cromatografia/spettrometria<br />
di massa (GC/MS) (4, 5). La quantificazione prevede l’uso di<br />
standard interni che rendano i ri<strong>sul</strong>tati indipendenti da qualsiasi<br />
errore di processamento. Attualmente, in alternativa alla ciclofosfamide<br />
deuterata (standard interno ottimale ma molto costoso)<br />
sono state proposte due molecole: ifosfamide (IP) e trofosfamide<br />
(TP). L’IP, usata anche come farmaco antitumorale in terapie pediatriche,<br />
è essa stessa fonte di inquinamento ambientale e di potenziale<br />
assorbimento da parte dell’operatore durante l’allestimento<br />
del farmaco; la TP, pur essendo strutturalmente simile alla<br />
CP, mostra diverse proprietà chimico-fisiche: scarsa solubilità<br />
in acqua e differente comportamento cromatografico. Inoltre, non<br />
avendo funzioni nucleofile libere, non ri<strong>sul</strong>ta derivatizzabile;<br />
quindi, l’analisi GC/MS non è ottimale, in quanto non tiene conto<br />
della resa di reazione. La ricerca di uno standard interno adatto<br />
al dosaggio della CP ha determinato la necessità di sintetizzare<br />
una molecola strutturalmente analoga alla ciclofosfamide, sostituendo<br />
uno o più atomi di cloro presenti nella molecola con un<br />
altro alogeno: qui è riportata la sintesi e la caratterizzazione di ciclofosfamide<br />
mono e diiodurata (CPI e CPI 2 ).<br />
Figura 1. Spettri di massa LC/MS full scan. a) ciclofosfamide; b) ciclofosfamide monoiodurata; c) ciclofosfamide diiodurata.<br />
Spettri di massa degli ioni prodotto derivanti dalla frammentazione degli ioni quasi molecolari della ciclofosfamide (d); ciclofosfamide<br />
monoiodurata (e); ciclofosfamide diiodurata (f)<br />
Metodi<br />
La iodurazione della ciclofosfamide é stata condotta facendo<br />
reagire la CP con ioduro di sodio in diversi rapporti stechiometrici<br />
(1:4, 1:10) per 4h a 55°C. Dopo allontanamento del solvente di<br />
reazione, il residuo è stato estratto adoperando solfato di sodio come<br />
agente essiccante e la miscela di sintesi purificata in cromatografia<br />
a fase inversa con una colonna C 18 . Le frazioni relative ai<br />
prodotti di reazione (CP, CPI, CPI 2 ) sono state raccolte ed analizzate<br />
in LC/MS (direttamente) e GC/MS (previa derivatizzazione<br />
degli analiti con anidride eptafluorobutirrica), e mediante colonna<br />
capillare di uso generale. Entrambe le analisi hanno previsto l’utilizzo<br />
di spettrometri di massa a trappola ionica dotati di sorgenti<br />
di ionizzazione electrospray ed elettronica, rispettivamente.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Gli spettri di massa fullscan relativi all’analisi LC/MS presentano,<br />
per gli ioni quasi molecolari della CP e della CPI, la tipica intensità relativa<br />
dei picchi isotopici, dovuta alla presenza di atomi di cloro nella<br />
struttura, rispecchiandone l’abbondanza naturale; la CPI 2 , priva di cloro,<br />
dà luogo ad un unico segnale. Gli spettri di massa tandem mostrano<br />
un’analogia tra le tre molecole (perdita di 28 Da dallo ione quasi molecolare);<br />
tuttavia, la CP e la CPI presentano una netta similitudine. Al<br />
contrario, la CPI 2 mostra uno spettro di massa degli ioni prodotto dif-
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 43<br />
Figura 2. Ionizzazione elettronica. Spettri di massa full scan di ciclofosfamide (a); ciclofosfamide monoiodurata (b); ciclofosfamide<br />
diiodurata (c). Analisi EI/MS 2 . Spettri di massa degli ioni prodotto. Ioni precursori: d) ciclofosfamide: [M-CH 2 Cl] + ,<br />
m/z 407 e 409; e) ciclofosfamide monoiodurata: [M-I] + , m/z 421 e 423; f): ciclofosfamide diiodurata: [M-I] + , m/z 513<br />
ferente (Figura 1). Nell’analisi GC/MS la ciclofosfamide dà luogo ad<br />
un frammento corrispondente alla perdita di un radicale clorometilico<br />
dalla molecola. La CPI e la CPI 2 frammentano in maniera analoga; tuttavia,<br />
la monoiodurata contiene, nella propria struttura due alogeni diversi;<br />
quindi, perde sia un radicale clorometilico sia uno iodometilico,<br />
originando due frammenti a diversi valori di m/z. Inoltre, la presenza<br />
dello iodio influenza la frammentazione; pertanto, entrambe le molecole<br />
subiscono ulteriori processi di frammentazione con perdita di radicali<br />
iodoetilici e, nel caso della monoiodurata, anche cloroetilici. La<br />
monoiodurata presenta, quindi, rispetto alla diiodurata, un elevato numero<br />
di frammenti ionici. Gli spettri di massa tandem mostrano in tutti<br />
e tre i casi perdita di 195 Da con formazione dei frammenti contenenti<br />
un atomo di cloro e/o un atomo di iodio. CPI e CPI 2 , inoltre, formano<br />
ulteriori segnali dovuti a processi di riarrangiamento (Figura 2).<br />
Discussione<br />
In teoria la sostituzione di uno o più atomi di cloro presenti<br />
nella molecola di ciclofosfamide con un altro alogeno dovrebbe<br />
portare alla formazione di strutture del tutto analoghe, senza mutare<br />
in maniera rilevante le proprietà chimico-fisiche dell’analita.<br />
Fra gli alogeni, è stato scelto lo iodio, in quanto la iodurazione è<br />
di facile realizzazione e poco costosa; quindi, consente una semplice<br />
e rapida preparazione del prodotto da adoperare quale standard<br />
interno in analisi routinarie di monitoraggio. Entrambi i prodotti<br />
iodurati ottenuti hanno la maggior parte dei requisiti necessari<br />
alla definizione di standard interno; infatti, mostrano proprietà<br />
chimico-fisiche di solubilità, reattività e comportamento<br />
cromatografico simili a quelle della ciclofosfamide; sono del tutto<br />
assenti dalle matrici reali, ambientali o biologiche e sono facilmente<br />
sintetizzabili in quantità notevole. Uno standard interno<br />
ri<strong>sul</strong>ta ottimale quando mostra una risposta strumentale quanto<br />
più possibile analoga a quella dell’analita; la risposta strumentale<br />
è caratterizzata dal pattern di frammentazione (perdita di frammenti<br />
analoghi) e, quindi, dal numero di segnali presenti nello<br />
spettro di massa e dalla loro intensità relativa. Dai ri<strong>sul</strong>tati si<br />
evince che: la CPI può essere ottimale per analisi condotte mediante<br />
LC/MS; la CPI 2 qualora si utilizzino tecniche di GC/MS.<br />
Bibliografia<br />
1) Della Morte R, Belisario MA, Farina C, Martire G, Staiano N, De Lorenzo<br />
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mutagenic metabolites. Boll Soc Ital Biol Sper 1982; 58: 1061-1067.<br />
2) Bagley CM, Bostick FW, De Vita V. Clinical pharmacology of cyclophosphamide.<br />
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3) Minoia C, Turci R, Sottani C, Schiavi A, Perbellini L, Angeleri S,<br />
Frigerio F, Draicchio F, Apostoli P. Risk assessment concerning hospital<br />
personnel participating in the preparation and administration of<br />
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4) Sannolo N, Miraglia N, Biglietto M, Acampora A, Malorni A. Determination<br />
of Cyclophosphamide and Ifosphamide in urine at trace levels<br />
by Gas Chromatography/Tandem Mass Spectrometry. J Mass<br />
Spectrom 1999; 34: 845-849.<br />
5) Sessink PJM, Scholtes MM, Anzion RBM, Bos RP. Determination of<br />
Cyclophosphamide in urine by gas chromatography-mass spectrometry.<br />
J Chromatog B 1993; 616: 333-337.
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
44 www.gimle.fsm.it<br />
D. Cavallo 1 , C.L. Ursini 1 , M. Gismondi 2 , S. Iavicoli 1<br />
Valutazione degli effetti genotossici ed ossidativi indotti su cellule<br />
esfoliate della mucosa orale dall’esposizione ad IPA in lavoratori<br />
operanti nel settore aeroportuale<br />
1 ISPESL, Dipartimento Medicina del Lavoro, Monteporzio Catone, Roma<br />
2 Servizio di Medicina del Lavoro di Aeroporti di Roma, Roma<br />
RIASSUNTO. Il personale operante nel settore aeroportuale è occupazionalmente<br />
esposto a diversi idrocarburi policiclici aromatici (IPA)<br />
prodotti dal combustibile degli aeromobili e dai motori diesel e benzina<br />
dei mezzi operanti <strong>sul</strong>le piste. Scopo del nostro studio è stato valutare gli<br />
effetti precoci genotossici ed ossidativi in personale aeroportuale professionalmente<br />
esposto a miscele complesse di IPA (n=16) rispetto ad un selezionato<br />
gruppo di controllo (n=12), utilizzando il test del micronucleo<br />
e il Comet test (CT) modificato con l’uso dell’enzima Formamidopirimidin-glicosilasi<br />
(Fpg) su cellule esfoliate della mucosa orale. I ri<strong>sul</strong>tati<br />
hanno evidenziato nel gruppo degli esposti un più alto valore medio della<br />
frequenza di micronuclei in percentuale (0,080) rispetto ai controlli<br />
(0,071). Il CT modificato con Fpg ha mostrato negli esposti un valore medio<br />
più elevato del tail moment TM (il prodotto della lunghezza della coda<br />
della cometa per la relativa intensità di fluorescenza calcolato su 50<br />
comete scelte random), sia in cellule trattate con l’enzima TMenz (114,52<br />
vs 89,81 dei controlli) (p=0,12) che fornisce un parametro di danno ossidativo<br />
al DNA, sia su cellule non trattate con l’enzima TM (90,22 vs<br />
81,85) (p=0,24) che fornisce un parametro di danno diretto al DNA. La<br />
presenza di danno ossidativo al DNA è stato valutato in ciascun soggetto<br />
considerando il rapporto TMenz/TM. Quando tale rapporto era superiore<br />
a 2 il soggetto era considerato portatore di danno ossidativo. È stata individuata<br />
la presenza di danno ossidativo nel 12,5% dei soggetti esposti rispetto<br />
all’assenza di danno ossidativo nel gruppo di controllo. I ri<strong>sul</strong>tati<br />
dimostrano l’elevata sensibilità del CT nel valutare il danno precoce sia<br />
diretto che ossidativo al DNA. Inoltre, suggeriscono l’utilizzo delle cellule<br />
esfoliate della mucosa orale, ottenute mediante procedura non invasiva,<br />
per valutare l’esposizione professionale a miscele di sostanze chimiche<br />
inalabili a basse dosi poiché rappresentano il tessuto target per<br />
questo tipo di esposizione ed appare essere un utile strumentoper studiare<br />
popolazioni cronicamente esposte ad IPA.<br />
Parole chiave: Idrocarburi policiclici aromatici, danno ossidativo al<br />
DNA, test del micronucleo, comet test, esposizione professionale.<br />
ABSTRACT. ASSESSMENT OF GENOTOXIC AND OXIDATIVE EFFECTS<br />
IN AIRCRAFT MAINTENANCE WORKERS OCCUPATIONALLY EXPOSED TO<br />
POLYCYCLIC AROMATIC HYDROCARBONS (PAH). Airport personnel are<br />
occupationally exposed, on flight lines and during aircraft routine maintenance<br />
procedures, to several polycyclic aromatic hydrocarbons (PAH)<br />
produced by jet fuel, diesel fuel or kerosene combustion. The aim of this<br />
study was to evaluate early genotoxic and oxidative effects in airport<br />
personnel (No.=16) occupationally exposed to complex mixtures of<br />
PAH in comparison to a selected control group (No.=12). We used a micronucleus<br />
test and an Fpg modified Comet assay to study early genotoxicity<br />
and oxidative DNA damage on exfoliated buccal cells. The exposed<br />
group showed a higher mean value of micronuclei frequency (%)<br />
with respect to controls (0.080 vs 0.071). For the exposed group, the Fpg<br />
modified Comet test revealed a higher value of mean tail moment TM<br />
(the product of comet relative tail intensity and length, calculated on 50<br />
randomly selected comets) both for enzyme treated cells TMenz (114.52<br />
vs 89.81), which provide a parameter of oxidative DNA damage, and for<br />
cells untreated with enzyme TM (90.22 vs 81.85), which provide a parameter<br />
of direct DNA damage. The presence of oxidative DNA damage<br />
was evaluated in each subject using the TMenz/TM ratio. When this ratio<br />
was higher than 2.0, the subject was estimated to have oxidative<br />
DNA damage. We found the presence of oxidative DNA damage in<br />
12.5% of those exposed with respect to the absence of oxidative damage<br />
of controls. These re<strong>sul</strong>ts demonstrate the high degree of sensitivity<br />
of exfoliated buccal cell for indicating early genotoxic effects of PAH<br />
exposure and confirm the high sensitivity of the Comet assay for assessing<br />
early direct and oxidative DNA damage. The re<strong>sul</strong>ts obtained on<br />
exfoliated buccal cells suggest the use of this sampling, obtained using<br />
a non-invasive procedure, for assessing the occupational exposure to a<br />
mixture of chemicals at low doses since they represent the target tissue<br />
for this exposure and appear to be a useful tool in the study of populations<br />
chronically exposed to PAH.<br />
Key words: polycyclic aromatic hydrocarbons (PAH), DNA oxidative<br />
damage, micronuclei, Comet test, occupational exposure.<br />
Introduzione<br />
I lavoratori operanti nel settore aeroportuale possono essere<br />
esposti durante le attività di rifornimento del carburante, di manutenzione<br />
routinaria degli aeromobili, di operazioni di parcheggio/traino<br />
di aeromobili e di carico-scarico bagagli, a diversi IPA<br />
provenienti dai vapori del combustibile per aerei e dai prodotti di<br />
combustione del carburante così come dalla combustione di motori<br />
diesel e benzina dei mezzi operanti <strong>sul</strong>le piste utilizzati prevalentemente<br />
nelle operazioni di carico-scarico bagagli. Tale tipo<br />
di esposizione che consiste di miscele complesse di sostanze inalabili<br />
presenti in basse dosi, tra cui alcune notoriamente cancerogene,<br />
non è stata ancora adeguatamente caratterizzata e i pochi<br />
studi presenti in letteratura (1) riguardano prevalentemente l’aviazione<br />
militare che utilizza un diverso tipo di carburante (2).<br />
Il presente lavoro si propone quindi di valutare i potenziali<br />
effetti genotossici precoci dell’esposizione a tali complesse miscele<br />
di IPA mediante l’utilizzo di metodiche molto sensibili quali<br />
il Comet test (CT) (3) modificato con Fpg che consente di valutare<br />
il danno sia diretto che ossidativo al DNA, applicandolo su<br />
cellule di sfaldamento della mucosa orale. Sullo stesso tipo cellulare<br />
è stato inoltre utilizzato il test dei micronuclei per valutare<br />
la possibile specificità di effetto genotossico all’organo bersaglio<br />
nell’esposizione inalatoria di miscele complesse a basse dosi.<br />
Materiali e metodi<br />
Lo studio è stato condotto su 16 lavoratori aeroportuali addetti<br />
alle operazioni di manutenzione degli aeromobili e al carico-scarico<br />
bagagli con età media 46,1 + 8,5 anni e su un gruppo<br />
di controllo (n=12) costituito da personale amministrativo della<br />
stessa struttura con età media 39 ± 6,2 anni. A ciascun soggetto è<br />
stato chiesto il consenso informato e somministrato un questionario<br />
conoscitivo anamnestico. Il test dei micronuclei è stato effettuato<br />
su cellule di sfaldamento della mucosa orale mediante<br />
colorazione con arancio di acridina. È stata quindi calcolata per<br />
ciascun soggetto la frequenza di micronuclei spontanei su almeno<br />
2000 cellule esfoliate. Sullo stesso tipo cellulare è stato valutato<br />
il danno sia diretto che ossidativo al DNA mediante test della<br />
cometa modificato con l’uso dell’enzima Fpg. Tale test prevede<br />
la determinazione mediante uno specifico software del valore<br />
di Tail moment (dato dal prodotto dell’intensità di fluorescenza<br />
per la lunghezza della coda della cometa) su 50 comete per cia-
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 45<br />
scun soggetto, sia su cellule trattate con<br />
l’enzima (TMenz), parametro che indica il<br />
danno ossidativo al DNA, sia su cellule non<br />
trattate con Fpg (TM) che indica il danno di<br />
tipo non ossidativo al DNA. Per ciascun<br />
soggetto è stata definita la presenza o meno<br />
di danno ossidativo al DNA in base al valore<br />
del rapporto tra TMenz e TM: se tale rapporto<br />
era >2 il soggetto era definito portatore<br />
di danno ossidativo.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti hanno evidenziato (Tabella I) un valore significativamente<br />
superiore della frequenza di micronuclei (%)<br />
nelle cellule esfoliate della mucosa orale degli esposti rispetto ai<br />
controlli (0,080 vs 0,071; p= 0,04). Il CT ha evidenziato negli<br />
esposti rispetto ai controlli un incremento del valore medio di tail<br />
moment sia per le cellule trattate con l’Fpg (specifico per le basi<br />
ossidate) TMenz (114,52 vs 89,81) (p= 0,012) sia per le cellule<br />
non trattate con l’Fpg TM (90,22 vs 81,85; p=0,024). Inoltre è stato<br />
evidenziato nel gruppo degli esposti il 12.5% di casi con danno<br />
ossidativo al DNA rispetto all’assenza di danno nei controlli.<br />
Discussione<br />
I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti sembrano suggerire una elevata sensibilità<br />
delle cellule esfoliate della mucosa orale nell’evidenziare danni<br />
di tipo genotossico quali induzione di micronuclei e danno sia<br />
diretto che ossidativo al DNA indotti da sostanze presenti nella<br />
miscela di IPA a cui sono esposti i soggetti in studio, in quanto<br />
rappresentano il primo sito d’interazione delle sostanze inalabili.<br />
Tali ri<strong>sul</strong>tati mostrano che i test utilizzati rappresentano buoni<br />
indicatori biologici di danno precoce al DNA e potrebbero dare<br />
utili indicazioni in termini di prevenzione e gestione del ri-<br />
Tabella I. Ri<strong>sul</strong>tati relativi al test del micronucleo (MN) e al comet test (Tail<br />
moment) su cellule di sfaldamento della mucosa orale di personale aeroportuale<br />
schio nell’esposizione professionale a miscele di sostanze potenzialmente<br />
cancerogene. In particolare evidenziano l’elevata<br />
sensibilità del CT nel valutare il danno precoce sia diretto che<br />
ossidativo al DNA.<br />
In conclusione, i ri<strong>sul</strong>tati di questo studio suggeriscono l’utilizzo<br />
delle cellule esfoliate della mucosa orale, ottenute mediante<br />
procedura non invasiva, per valutare l’esposizione occupazionale<br />
a miscele di sostanze chimiche inalabili a basse dosi poiché<br />
rappresenta il tessuto target per questo tipo di esposizione ed appare<br />
essere un utile strumento per studiare popolazioni cronicamente<br />
esposte ad IPA.<br />
Bibliografia<br />
A. Colombi 1 , F. M. Rubino 1 , M. Buratti 2 , S. Fustinoni 2 , C. Verduci 1 , L. Neri 1 , G. Brambilla 1<br />
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airport personnel. Mutat. Res.440: 195-204, 1999.<br />
2) Carlton GN, Smith LB. Exposures to jet fuel and benzene during aircraft<br />
fuel tank repair in the U.S. Air Force. Appl Occup Environ Hyg,<br />
15 (6): 485-191, 2000.<br />
3) Collins, A.R., Duthie, S.J., Dobson, V.L.,. Direct enzymic detection<br />
of endogenous oxidative base damage in human lymphocyte DNA.<br />
Carcinogenesis 14: 1733-1735, 1993.<br />
Il metabonoma e il metaboloma come indicatori di dose e di effetto<br />
nella moderna tossicologia industriale<br />
1 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Clinica ‘L.Devoto’, Università degli Studi di Milano, polo ‘Ospedale San Paolo’<br />
2 Azienda Ospedaliera ‘Istituti Clinici di Perfezionamento’, Milano<br />
RIASSUNTO. Vengono discusse le potenzialità delle moderne tecniche<br />
di indagine biochimica denominate metabonomica e metabolomica<br />
nell’ambito della tossicologia industriale contemporanea, in riferimento<br />
al loro impiego nello studio della relazione che agenti stressori legati ai<br />
mutati stili di vita e di lavoro possono avere nel modificare in senso patologico<br />
le condizioni dei soggetti.<br />
Parole chiave: invecchiamento, metaboliti endogeni, lavoro a turni.<br />
ABSTRACT. METABONOME AND METABOLOME AS DOSE AND EF-<br />
FECT INDICATORS IN CONTEMPORARY INDUSTRIAL TOXICOLOGY. This<br />
paper briefly describes the potential of the metabonomic/metabolomic<br />
approach in present-day industrial toxicology as a tool for studying<br />
the relationship that occupational stressors linked to changed working<br />
and living conditions can have on the health status of exposed<br />
workers.<br />
Key words: ageing, endogenous metabolites, shiftwork.<br />
Introduzione<br />
L’impiego estensivo delle moderne tecniche di chimica e biochimica<br />
analitica e l’introduzione della bio-informatica per l’interpretazione<br />
sinottica dei dati prodotti hanno determinato lo sviluppo<br />
di nuove discipline nell’ambito della farmacologia industriale<br />
ad elevata resa (high-throughput), volte ad identificare<br />
nuovi bersagli farmacologici e potenziali effetti avversi dei candidati<br />
farmaci già <strong>sul</strong>la base della sperimentazione in vitro. La loro<br />
applicazione si è estesa anche alla biologia cellulare, attraverso<br />
l’impiego estensivo delle tecnologie ‘-omiche’, fondate <strong>sul</strong>l’analisi<br />
differenziale di caratteristiche quali la presenza di eterogeneità<br />
nel DNA cellulare (genomica), della sua trascrizione in<br />
RNA (trascrittomica), della biosintesi delle proteine (proteomica)<br />
ed infine del metabolismo cellulare (metabonomica) (1).
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
46 www.gimle.fsm.it<br />
Metabonomica, metabolomica e tossicologia industriale.<br />
L’approccio metabonomico misura l’entità della perturbazione<br />
indotta <strong>sul</strong>l’insieme dei processi metabolici di un sistema <strong>biologico</strong><br />
da parte di agenti chimici endogeni o xenobiotici o da stimoli<br />
fisici. Queste informazioni vengono desunte dal confronto,<br />
effettuato mediante analisi multivariata, delle concentrazioni di<br />
un numero molto elevato di prodotti del metabolismo cellulare di<br />
base ed intermedio, in funzione dell’entità dello stimolo applicato<br />
e del suo variare nel tempo. Ciò consente di esprimere indicatori<br />
sinottici di effetto, in funzione della variazione dose-dipendente<br />
del livello non di un singolo prodotto (o gruppo di prodotti<br />
biochimicamente omogenei), come nell’approccio tradizionale<br />
(2), ma del complesso dei prodotti del metabolismo cellulare, il<br />
cui funzionamento è influenzato, in verso inibitorio o stimolatorio,<br />
dalla dose dell’agente tossico considerato.<br />
L’approccio metabonomico non si limita tuttavia allo studio<br />
delle modificazioni del metabolismo di base, ma si estende anche<br />
alle modificazioni indotte nella funzionalità delle strutture biologiche<br />
dai mutamenti nella loro composizione o struttura chimica<br />
(ad es., delle membrane cellulari: lipidomica; localizzazione intracellulare<br />
delle proteine: glicomica) e ai processi di modulazione<br />
dell’attività enzimatica e recettoriale posti in evidenza attraverso<br />
le modificazioni post-traduzionali delle proteine (fosforilazione,<br />
prenilazione, tiolazione, formazione non-enzimatica di addotti<br />
covalenti: proteomica post-traduzionale).<br />
L’approccio metabolomico rappresenta un settore specializzato<br />
della metabonomica e identifica la griglia completa dei<br />
prodotti di biotrasformazione, di norma dello xenobiotico cui il<br />
sistema <strong>biologico</strong> è esposto. I livelli assoluti e i rapporti quantitativi<br />
dei suoi metaboliti rispecchiano, in funzione della dose e<br />
del tempo, la presenza di genotipi mutanti a maggiore o minore<br />
efficienza catalitica degli enzimi responsabili delle singole tappe<br />
della biotrasformazione: il ruolo del metaboloma nella moderna<br />
tossicologia industriale ri<strong>sul</strong>ta pertanto duplice, in quanto<br />
esprime un indicatore sinottico sia di dose sia, in termini parziali,<br />
di suscettibilità.<br />
Da questo punto di vista, il ruolo delle nuove discipline ‘omiche’<br />
nell’ambito della tossicologia industriale è ancora, in<br />
larga misura, confinato all’epidemiologia molecolare, che studia<br />
l’influenza delle differenze individuali dei geni codificanti<br />
gli enzimi del metabolismo di prima e seconda fase <strong>sul</strong>la dose<br />
biologicamente attiva degli xenobiotici, con lo scopo di prevedere,<br />
a parità di dose assorbita, il maggiore o minore rischio di<br />
comparsa di malattia associato al possesso, da parte del singolo<br />
soggetto, di geni che codificano enzimi con funzionalità ridotta<br />
o aumentata (tossicogenomica), ovvero, nei termini della tossicologia<br />
tradizionale, all’esistenza della suscettibilità individuale<br />
(3, 4). Nei termini della relazione globale tra la dose esterna<br />
(concentrazione ambientale dell’agente lesivo) e gli eventi ad<br />
essa causalmente correlati (intesi come dose interna biologica-<br />
mente efficace; entità / frequenza degli effetti biologici reversibili<br />
ed effetti dannosi conseguenti), il ricorso alla tossicogenomica<br />
può concorrere nel definire solo in parte l’entità della dose<br />
interna (approccio metabolomico), ma non la natura e l’entità<br />
delle modificazioni che, a livello individuale, l’esposizione<br />
all’agente chimico provoca nella fisiologia cellulare (approccio<br />
metabonomico).<br />
L’utilità di impiegare l’approccio metabonomico/metabolomico<br />
nella tossicologia industriale risiede nella possibilità di<br />
prendere in esame effetti multipli, derivanti dall’esposizione dell’organismo<br />
umano a stimoli di natura eterogenea, non necessariamente<br />
esprimibili in funzione di un singolo agente chimico caratterizzato<br />
in termini molecolari.<br />
Conclusioni<br />
Le peculiari caratteristiche dell’approccio metabolomico/metabonomico<br />
lo rendono applicabile ai numerosi problemi<br />
che il mutamento degli scenari lavorativi pone alla Medicina<br />
del Lavoro, caratterizzati più che dall’esigenza di prevenire gli<br />
effetti lesivi conseguenti all’esposizione a singoli xenobiotici<br />
di origine industriale o alle ‘basse dosi’ di agenti chimici dotati<br />
di proprietà cancerogene o neurotossiche, dalla necessità di<br />
promuovere la salute in collettività lavorative il cui invecchiamento<br />
fisiologico deve essere procrastinato dalla necessità di<br />
prolungare nel tempo il loro ruolo sociale. In questo caso, l’esposizione<br />
alle sostanze lesive è quella che consegue ai composti<br />
naturalmente originati dal metabolismo umano e della<br />
flora batterica simbionte nelle diverse condizioni determinate<br />
dagli eventi fisiologici del ciclo di vita umano, dalle abitudini<br />
di vita dei singoli soggetti e da condizioni lavorative stressanti<br />
o fisiologicamente anomale, quali il lavoro a turni, che la<br />
moderna organizzazione sociale rende inevitabili ed il cui ruolo<br />
nel mantenimento dello stato di salute è ora indagabile con<br />
approcci integrati e globali.<br />
Bibliografia<br />
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G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 47<br />
C. Colosio1 , S Birindelli1 , L. Campo2 , S. Fustinoni2 , G. De Paschale3 , M. Tiramani1 , S. Visentin1 , M.Maroni1, 4<br />
<strong>Monitoraggio</strong> <strong>biologico</strong> dell’esposizione professionale a mancozeb<br />
in agricoltura<br />
1 International Centre for Pesticides and Health Risk Prevention, Azienda Ospedaliera L. Sacco, Polo Universitario, Milano<br />
2 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Milano<br />
3 Azienda Sanitaria Locale di Pavia<br />
4 Università degli Studi di Milano<br />
RIASSUNTO. Questo studio, condotto per misurare i livelli di<br />
escrezione urinaria di etilentiourea (ETU) in un gruppo di 46 agricoltori<br />
esposti a mancozeb e in 36 controlli, ha mostrato un incremento significativo<br />
della concentrazione urinaria di ETU nei campioni raccolti a fine<br />
turno (mediana: 10 µg/g creatinina). I livelli basali dei lavoratori e i controlli<br />
non hanno mostrato differenze, con valori mediani inferiori a 1 µg/g<br />
creatinina. Le esposizioni più elevate sono state osservate negli assistenti<br />
degli elicotteristi, negli addetti all’applicazione con trattore aperto e<br />
negli addetti al rientro.<br />
Parole chiave: mancozeb, etilentiourea urinaria, esposizione professionale<br />
ABSTRACT. BIOLOGICAL MONITORING OF OCCUPATIONAL EXPOSU-<br />
RE TO MANCOZEB IN AGRICULTURE. This study, carried out to measure the<br />
levels of urine excretion of ethylenethiourea (ETU) in a group of 46 agricultural<br />
workers exposed to mancozeb and 36 controls, has shown a statistically<br />
significant increase of ETU excretion in workers, after the<br />
workshift (median: 10 µg ETU/g creatinine); baseline determinations in<br />
workers and controls did not show any statistically significant difference,<br />
with median values less than 1 µg ETU/g creatinine. The highest levels<br />
of exposure were observed, respectively, in helicopter assistants, tractor<br />
applicators and re-entry workers.<br />
Key words: mancozeb, ethylenthiourea excretion, occupational exposure.<br />
Introduzione<br />
I fungicidi etilenbisditiocarbammati (EBDC) subiscono un<br />
metabolismo complesso, con principale produzione di etilentiourea<br />
(ETU), alla quale sono state attribuite, nel modello sperimentale,<br />
proprietà cancerogene e teratogene (1). Gli effetti<br />
cancerogeni sono conseguenti all’inibizione della sintesi di ormoni<br />
tiroidei, con iperincrezione di TSH e gozzo, talora evolvente<br />
in neoplasia (2). In lavoratori esposti sono state sporadicamente<br />
osservate alterazioni tiroidee, ma non neoplasie (2, 3).<br />
Recentemente, la IARC ha rivalutato l’ETU, trasferendola da<br />
classe 2B a classe 3, poiché gli effetti can-<br />
cerogeni osservati erano conseguenti ad<br />
una peculiare suscettibilità dei roditori e insorgevano<br />
solo per dosi gozzigene (2). Dato<br />
che l’ETU viene prevalentemente escreta<br />
con le urine, è stata proposta come indicatore<br />
per il monitoraggio <strong>biologico</strong> dell’esposizione<br />
ad EBDC (4, 5). Scopo dello<br />
studio è stato misurare i livelli di esposizione<br />
ad un EBDC, il mancozeb, di un gruppo<br />
di viticoltori dell’Oltrepò Pavese, impegnati<br />
in diverse mansioni tipiche.<br />
Materiali e metodi<br />
Lo studio è stato condotto su 46 viticoltori<br />
e 36 controlli. Tra i lavoratori, che prestavano<br />
la loro opera in 11 aziende agricole e<br />
4 basi di elicotteri, 2 svolgevano attività di pesatore, 18 erano trattoristi,<br />
18 addetti al rientro, e 8 erano elicotteristi (piloti e “uomini<br />
a terra”). Per ogni lavoratore è stato raccolto un campione di urine<br />
prima dell’inizio della campagna di applicazioni; un secondo campione<br />
è stato raccolto al mattino del giorno di lavoro successivo all’ultima<br />
applicazione della stagione, mentre un solo campione è<br />
stato raccolto nei soggetti di controllo. I campioni sono stati congelati<br />
subito dopo la raccolta. L’analisi è stata effettuata in GC-MS<br />
con detector ad impatto di elettroni (5), con limite di rilevabilità di<br />
0,5 µg/g creatinina. L’analisi statistica dei ri<strong>sul</strong>tati è stata realizzata<br />
utilizzando il programma “SPSS per Windows”.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />
Le concentrazioni urinarie di ETU a fine-turno erano significativamente<br />
più elevate sia rispetto ai campioni basali, sia rispetto<br />
ai controlli; questi ultimi non mostravano valori di concentrazione<br />
urinaria di ETU significativamente diversi da quelli basali<br />
dei lavoratori (Tabella I). I valori di escrezione urinaria di ETU<br />
(post esposizione), suddivisi per mansione, illustrati in Tabella II,<br />
mostrano che le mansioni comportanti i livelli di esposizione più<br />
elevati sono quelle di “uomo a terra”, assistente dell’elicotterista,<br />
e trattorista. Per quanto concerne quest’ultimo gruppo, l’elaborazione<br />
dei dati ha mostrato i livelli più elevati nei trattoristi che<br />
hanno fatto uso di trattori aperti, mentre i soggetti equipaggiati<br />
con trattore condizionato non hanno mostrato livelli di concentrazione<br />
urinaria di ETU più elevati dei controlli. Anche gli addetti<br />
ad attività di rientro sono ri<strong>sul</strong>tati esposti a mancozeb.<br />
Conclusioni<br />
L’indagine ha portato a conclusioni significative: in particolare,<br />
la concentrazione urinaria di ETU si conferma un buon in-<br />
Tabella I. Escrezione urinaria di ETU negli agricoltori e nei controlli<br />
(µg/g creatinina)<br />
Tabella II. Livelli di escrezione urinaria di ETU nei diversi gruppi di lavoratori,<br />
a fine turno (µg/g creatinina)
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
48 www.gimle.fsm.it<br />
dicatore di dose per il monitoraggio <strong>biologico</strong> dell’esposizione<br />
professionale ed ambientale a mancozeb, ed il suo impiego potrà<br />
a breve essere introdotto in attività di sorveglianza sanitaria condotte<br />
su base routinaria. Dati preliminari ottenuti da altri nostri<br />
studi suggeriscono che i valori di riferimento per questo indicatore<br />
possono essere indicativamente compresi tra 1,21 - 1,54 µg/g<br />
creatinina (95%, intervallo di confidenza), con valori al 95° percentile<br />
di 3,84-6,2 µg/g creatinina (95%, intervallo di confidenza).<br />
Le attività di applicazione di antiparassitari connesse alla<br />
coltura della vite comportano esposizione dei lavoratori addetti.<br />
Tra questi, l’”uomo a terra” che assiste l’elicotterista preparando<br />
le miscele, mostra i livelli di esposizione più elevati. Tale dato<br />
può essere attribuito all’elevato numero di miscelazioni effettuato<br />
in una giornata ed all’impiego di miscele più concentrate rispetto<br />
a quelle destinate all’applicazione a terra. Per quanto concerne<br />
i trattoristi, i livelli di esposizione dipendono in modo pressoché<br />
esclusivo dal tipo di trattore impiegato, ri<strong>sul</strong>tando non significativamente<br />
diversi da quelli dei controlli negli utilizzatori<br />
di trattore chiuso e condizionato. Anche gli addetti alle attività di<br />
rientro possono essere esposti: tale dato indica la necessità di verificare<br />
con attenzione i tempi di rientro, e di dotare questi soggetti<br />
di guanti protettivi. I dati raccolti da questa indagine po-<br />
tranno essere utilizzati nella definizione di “profili di esposizione/rischio”<br />
per i viticoltori.<br />
Bibliografia<br />
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5) Fustinoni S, Campo L, Colosio C, Birindelli S, Foà V. A gas chromatography/mass<br />
spectrometry method for the determination of urinary<br />
ethylenethiourea in humans. (Sottoposto per pubblicazione a:<br />
Journal of Chromatography B).<br />
A. Cristaudo 1 , R. Foddis 1 , A. Vivaldi 1 , R. Buselli 1 , V. Gattini 1 , G. Guglielmi 1 , F. Cosentino 1 , F. Ottenga 1 , E. Ciancia 2 ,<br />
R. Libener 3 , R. Filiberti 4 , M. Neri 4 , P.G. Betta 3 , M. Tognon 6 , L. Mutti 5 , R. Puntoni 4<br />
Studio del ruolo combinato dell’amianto e di SV40 nella patogenesi<br />
del mesotelioma maligno<br />
1 Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Ortopedia e Traumatologia, Medicina del Lavoro, Università di Pisa<br />
2 Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale S.Chiara, Pisa<br />
3 Dipartimento di Oncologia, unità di Patologia, Azienda Sanitaria Ospedaliera, Alessandria<br />
4 Istituto Nazionale per la Ricerca <strong>sul</strong> Cancro, Unità Epidemiologia ambientale, Genova<br />
5 Ospedale S.Pietro e Paolo, ASL 11 Borgosesia e S.Maugeri Fondazione di Ricerca e Cura, Pavia<br />
6 Dipartimento di Morfologia e Embriologia, Sezione di Istologia ed Embriologia, Università di Ferrara<br />
RIASSUNTO. Sono riportati i dati preliminari di uno studio casocontrollo<br />
condotto su 11 mesoteliomi maligni (MMs) e 18 uroteliomi della<br />
vescica (BUs). Sequenze di DNA del Simian Virus 40 (SV40) sono state<br />
riscontrate in 7 MMs (63,6%) e in 6 BUs (33,3%). Una esposizione ad<br />
amianto è stata accertata in 8 pazienti con MM (72,7%) ed in 4 con BU<br />
(22,2%). Nel nostro studio, l’associazione tra SV40 e MM ri<strong>sul</strong>tava positiva<br />
quando valutata nell’ambito dell’intera popolazione in studio (OR<br />
9,0; CL 0,5-143,8), ma non quando era valutata tra i pazienti senza esposizione<br />
ad amianto (OR 0,9; CL 0,06-12,5). L’associazione tra amianto ed<br />
MM era chiaramente positiva se valutata nell’intera popolazione in studio<br />
(OR 9,3; CL 1,6-52,7). La forza di tale associazione era ancora più alta<br />
se valutata nel gruppo dei pazienti SV40 positivi (30,0; CL 1,4-611,8).<br />
I ri<strong>sul</strong>tati del nostro studio suggeriscono che l’SV40 giuochi un ruolo come<br />
cofattore dell’amianto nella patogenesi del MM.<br />
Parole chiave: SV40, asbesto, mesotelioma maligno.<br />
ABSTRACT. STUDY OF THE COMBINED ROLE OF ASBESTOS AND<br />
SV40 IN THE PATHOGENESIS OF MALIGNANT MESOTHELIOMA. The preliminary<br />
re<strong>sul</strong>ts of a case-control study on asbestos exposure and SV40 in<br />
11 malignant mesotheliomas (MMs) and 18 bladder urotheliomas (BUs)<br />
are reported. SV40 DNA was found in 7 (63.6%) MMs and in 6 (33.3%)<br />
BUs. A history of asbestos exposure was established in the cases of 8 MM<br />
patients (72.7%) and 4 BU patients (22.2%). In our small scale study,<br />
SV40 was positively associated with MMs from asbestos-exposed patients<br />
(OR 9.0, CL 0.5-143.8), but not with MMs from patients without<br />
asbestos exposure (OR 0.9, CL 0.06-12.5). The association between asbestos<br />
and MM in the whole population under study was clearly positive<br />
(OR 9.3, CL 1.6-52.7) and the strength of the association was higher<br />
when evaluated for SV40-positive MMs (30.0, CL 1.4-611.8). Our study<br />
suggests that SV40 plays a role as a co-factor with asbestos in MM pathogenesis.<br />
Key words: SV40, asbestos, malignant mesothelioma.<br />
Introduzione<br />
Nonostante la frequente associazione con una pregressa<br />
esposizione ad asbesto, il cui ruolo eziopatogenetico è indiscusso,<br />
solo una relativamente piccola frazione di esposti sviluppa un<br />
mesotelioma maligno (MM) (1). Questa osservazione associata<br />
alla tipica lunga latenza (2) del MM suggeriscono, così come per<br />
molti altri tumori, un’evoluzione multistadiale ed una patogenesi<br />
multifattoriale.<br />
Negli ultimi anni, numerosi sono stati gli studi mirati ad individuare<br />
potenziali co-fattori dell’asbesto. L’individuazione di<br />
fattori di rischio che possano identificare più precisamente gruppi<br />
di persone a maggior probabilità di sviluppare un MM sia nell’ambito<br />
degli ex esposti ad amianto, che rappresentano sicuramente<br />
la maggior parte dei soggetti a rischio, ma anche nel gruppo<br />
dei non esposti che pure svilupperanno un MM è divenuto l’obiettivo<br />
di diversi gruppi di ricerca.<br />
Da circa dieci anni un virus chiamato Simian Virus 40<br />
(SV40) si è guadagnato credibilità scientifica come potenziale
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 49<br />
agente co-cancerogeno dell’amianto (3-6). SV40 è un virus a<br />
DNA appartenente ai Polyomavirus, sottogruppo della famiglia<br />
Papovavirus. Il suo genoma codifica due oncoproteine, il Large T<br />
antigen (Tag) e lo Small t antigen (tag), che sono responsabili di<br />
numerose attività intracellulari orientate verso la perdita del controllo<br />
cellulare e l’acquisizione di una capacità replicativa tipica<br />
dei fenotipi tum<strong>orali</strong>. Sebbene l’ospite naturale del virus SV40<br />
sia la scimmia, la presenza del virus è stata dimostrata anche nella<br />
specie umana, in alcuni tumori ed in misura minore, in portatori<br />
sani. Numerose sono le evidenze biologiche a favore di un<br />
ruolo eziopatogenetico dell’SV40 nello sviluppo del MM (biologia<br />
molecolare e esperimenti su animali) (3,7,8). L’epidemiologia<br />
classica, invece, non ha ad oggi fornito dati univoci <strong>sul</strong> ruolo dell’SV40.<br />
Alcune difficoltà intrinseche all’argomento come la lunga<br />
latenza naturale della malattia e l’inevitabile imprecisione nella<br />
definizione dei soggetti esposti ad SV40, <strong>sul</strong>la base di un presunto<br />
contatto con vaccini contaminati dal virus possono spiegare<br />
i ri<strong>sul</strong>tati di questi studi.<br />
Il presente lavoro presenta i ri<strong>sul</strong>tati di uno studio basato su<br />
un approccio combinato di epidemiologia biomolecolare mirato a<br />
valutare l’associazione fra esposizione ad amianto e SV40 nel determinismo<br />
del MM.<br />
Materiali e metodi<br />
Sono stati reclutati 11 casi di MM (37,9%) e 18 controlli di<br />
urotelioma (62,1%) della vescica (BU). Casi e controlli non differivano<br />
significativamente per età media alla diagnosi (69,2 anni,<br />
DS +/- 12,9 per i casi; 71,3 anni, DS +/- 9,2 per i controlli),<br />
né per distribuzione di sesso: i casi erano 8 maschi (72,7%) e 3<br />
femmine (27,3%) ed i controlli erano 15 maschi (83,3%) e 3<br />
femmine (16,7%). Il protocollo per l’estrazione del DNA, l’amplificazione<br />
di un segmento della regione regolatrice (R.Reg.) virale<br />
e le metodiche di visualizzazione dell’amplificato sono descritte<br />
in letteratura (9).<br />
Informazioni dettagliate su esposizioni occupazionali o non<br />
ad asbesto sono state acquisite attraverso un questionario specifico<br />
somministrato telefonicamente ai pazienti, quando possibile, o<br />
a stretti familiari, qualora il paziente fosse deceduto. La classificazione<br />
dell’esposizione ad amianto è stata effettuata in accordo<br />
con i criteri adottati da alcuni Registri Regionali del Mesotelioma<br />
ed approvati dall’ISPESL. Attraverso l’elaborazione statistica<br />
è stata valutata sia indipendente che in combinazione l’associazione<br />
tra amianto/SV40 ed il MM (software statistico EpiInfo<br />
versione 3.2, CDC, Atlanta, USA).<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
La Tabella I riporta la numerosità dei MM e dei BU nei casi<br />
considerati, in presenza o in assenza rispettivamente di SV40 e<br />
dell’esposizione ad amianto. La tabella<br />
riporta inoltre l’OR calcolato<br />
<strong>sul</strong>l’associazione fra Sv40 e amianto<br />
nei MM rispetto ai BU.<br />
Dalla Tabella I si nota che sequenze<br />
di DNA della Regione Regolatrice<br />
di SV40 sono state riscontrate<br />
in 7 MM (63,6%) e in 6 BU (33,3%).<br />
Una esposizione ad amianto è stata<br />
accertata in 8 pazienti con MM<br />
(72,7%) ed in 4 con BU (22,2%). Nel<br />
nostro studio, l’associazione tra SV40<br />
e MM ri<strong>sul</strong>tava positiva quando valutata<br />
nell’ambito dell’intera popola-<br />
zione in studio (OR 9.0; CL 0,5-143,8), ma non quando era valutata<br />
tra i pazienti senza esposizione ad amianto (OR 0,9; CL 0,06-<br />
12,5). L’associazione tra amianto ed MM era chiaramente positiva<br />
se valutata nell’intera popolazione in studio (OR 9,3; CL 1,6-<br />
52,7). La forza di tale associazione era ancora più alta se valutata<br />
nel gruppo dei pazienti SV40 positivi (OR 30,0; CL 1,4-611,8).<br />
Discussione e Conclusioni<br />
L’amianto è indiscutibilmente il principale fattore eziologico<br />
del MM. Fino ad oggi, il ruolo dell’SV40 non è mai stato<br />
confermato da dati epidemiologici. Dal 1994 più di 50 laboratori<br />
indipendenti in vari paesi del mondo hanno riportato la presenza<br />
di SV40 in campioni di MM e dato conferme <strong>sul</strong> ruolo<br />
dello stesso nella patogenesi del MM. Alcuni degli autori del<br />
presente lavoro sono stati i primi in Europa a riscontrare DNA<br />
virale nei MM. La misura (o quantificazione) di una associazione<br />
rappresenta un passo importante nell’investigazione <strong>sul</strong><br />
rapporto patogenetico di un fattore con una malattia. L’O.R.<br />
rappresenta una buona stima del rischio relativo e quindi dell’associazione<br />
fra i fattori causali o concausali ed un tumore negli<br />
studi caso-controllo, soprattutto quando si tratta di una malattia<br />
particolarmente rara.<br />
Il presente lavoro per la prima volta ha permesso di valutare<br />
l’apporto eziologico di SV40 come cofattore dell’amianto. I ri<strong>sul</strong>tati<br />
della nostra ricerca suggeriscono che l’SV40 non abbia un<br />
ruolo causale diretto nella patogenesi del MM, bensì svolga un<br />
ruolo di fattore concausale in grado di rafforzare notevolmente il<br />
rischio di sviluppare un MM tra i soggetti che abbiano avuto<br />
un’esposizione ad amianto. Molti aspetti della presente ricerca, a<br />
partire dalla numerosità del campione studiato, permettono di<br />
considerare i dati dello studio solo come preliminari. Ciò non toglie<br />
valore ed importanza ai ri<strong>sul</strong>tati ottenuti e richiama la necessità<br />
di approfondire lo ricerca <strong>sul</strong>l’interazione tra SV40 ed<br />
amianto.<br />
Ringraziamenti<br />
Questo lavoro è stato finanziato dall’ISPESL. Ringraziamenti per<br />
l’aiuto fornito vanno alla Unità di Epidemiologia Occupazionale ed Ambientale<br />
del CSPO di Firenze.<br />
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2 Dipartimento di Scienze Fisiologiche e Farmacologiche, Università degli Studi di Pavia<br />
3 Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Università degli Studi di Pavia<br />
RIASSUNTO. È stato caratterizzato il ruolo di ossido nitrico (NO),<br />
polipeptide intestinale vasoattivo (VIP), ATP e monossido di carbonio<br />
(CO) nel rilasciamento neuromediato indotto dalla stimolazione elettrica<br />
di campo nella trachea isolata di cavia, valutando le risposte di rilasciamento<br />
prima e dopo il trattamento con inibitori della sintesi o dell’azione<br />
di ciascun mediatore. È stato mostrato un ruolo significativo e quantitativamente<br />
simile del NO e della componente purinergica. Non è stato evidenziato<br />
un ruolo significativo di mediatori peptidici. Il ruolo del CO è<br />
stato evidenziato solo in presenza di blocco delle altre componenti della<br />
risposta. In conclusione, oltre i mediatori considerati più importanti, almeno<br />
altri due mediatori, tra cui l’ATP, o altra sostanza purino-simile, e<br />
il CO, sono implicati nel rilasciamento NANC della trachea di cavia.<br />
Parole chiave: neurotrasmettitori, trachea di cavia, rilasciamento<br />
delle vie aeree.<br />
ABSTRACT. NEUROTRANSMITTERS IN THE AIRWAYS: PHARMACO-<br />
LOGICAL CHARACTERIZATION OF THE NON- ADRENERGIC NON-CHOLINER-<br />
GIC INIBITORY SYSTEM IN GUINEA-PIG TRACHEA. In order to characterize<br />
the role of nitric oxide (NO), vasoactive intestinal peptide (VIP), ATP and<br />
carbon monoxide (CO) in the neurally mediated EFS-induced relaxation<br />
of isolated guinea-pig trachea, we evaluated the relaxing responses before<br />
and after treatment with known blockers of either synthesis or action<br />
of each mediator. The role of NO and ATP was shown to be both significant<br />
and similar. Peptide mediators did not show a significant role. The<br />
role of CO was shown only incases of blockage of the other mediators. In<br />
conclusion, apart from the most well-known mediators, at least two other<br />
mediators, i.e. ATP, or a related purine, and CO, are involved in the<br />
NANC relaxation of guinea-pig trachea.<br />
Key words: neurotrasmitters, guinea-pig trachea, airway relaxation.<br />
Introduzione<br />
Il controllo nervoso non adrenergico, non colinergico<br />
(NANC) regola in maniera importante il tono delle vie aeree (1,<br />
2). Il monossido di azoto (NO) e il polipeptide intestinale vasoattivo<br />
(VIP) sono considerati i principali neurotrasmettitori<br />
delle risposte inibitorie NANC (2, 4). In altri apparati viene attribuito<br />
tale ruolo anche a ATP (5, 7) e monossido di carbonio (CO)<br />
(8, 9), quest’ultimo noto per indurre broncodilatazione in vivo<br />
(10). Il CO è prodotto nei neuroni dalla eme-ossigenasi 2 (HO-2)<br />
(11) e agisce <strong>sul</strong> muscolo liscio attraverso il sistema della guanilato<br />
ciclasi solubile intracellulare (GCS) (10).<br />
Scopo di questo studio è stato di caratterizzare il ruolo di NO,<br />
VIP, ATP e CO nel rilasciamento neuromediato indotto dalla stimolazione<br />
elettrica di campo nella trachea di cavia.<br />
Materiali e metodi<br />
Preparati in toto di trachea di cavia sono stati mpolipeptide<br />
intestinale vasoattivoontati in un bagno termostatato e ossigenato<br />
e stimolati con treni di impulsi a frequenze da 3 a 10<br />
Hz, in presenza di ioscina. Le risposte di rilasciamento, misurate<br />
come diminuzioni della pressione intratracheale, sono state<br />
valutate prima e dopo il trattamento in vitro con le seguenti<br />
sostanze: alfa-chimotripsina (2 U/ml), che inattiva i mediatori<br />
peptidici, L-NAME (10 -4 M), un inibitore della sintesi di<br />
NO, suramina (10 -4 M), un antagonista dei recettori purinergici,<br />
apamina (10 -7 M), un bloccante dei canali Ca 2+ -dipendenti<br />
del potassio, attivati dall’ATP, zinco-protoporfirina IX (ZnPP<br />
IX) (10 -5 M), un inibitore della HO-2, e 1H-[1,2,4]oxadiazolo-[4,3-a]quinoxalin-1-one<br />
(ODQ) (10 -5 M), un inibitore della<br />
GCS. L’analisi statistica è stata effettuata mediante analisi<br />
della varianza a una e a due vie e mediante test t di Student per<br />
dati appaiati.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Il trattamento con L-NAME, apamina e ODQ, somministrati<br />
singolarmente, ha ridotto (p
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 51<br />
Discussione e Conclusioni<br />
La riduzione dei rilasciamenti causata da L-NAME e apamina<br />
mostra un ruolo significativo e quantitativamente simile del NO e<br />
della componente purinergica nel rilasciamento neuromediato indotto<br />
dalla stimolazione elettrica di campo nella trachea di cavia. La<br />
componente dovuta al NO appare quantitativamente meno importante<br />
di quanto descritto in precedenza (2, 3) nella stessa specie. Non<br />
sono state invece evidenziate significative componenti dovute a mediatori<br />
peptidici, come mostrato dall’inefficacia dell’alfa-chimotripsina.<br />
Il ruolo della via dipendente dalla HO-2 è stato messo in luce<br />
solo in presenza di blocco delle altre componenti della risposta inibitoria.<br />
Il mediatore implicato è verosimilmente il CO, come suggerito<br />
dai dati <strong>sul</strong> trattamento combinato con ZnPP IX e con ODQ.<br />
I nostri dati mostrano che il sistema NANC inibitorio nella<br />
trachea di cavia è formato da due componenti principali, identificate<br />
dalla loro sensibilità all’ODQ o all’apamina: una ha come<br />
neurotrasmettitori NO e CO e come secondo messaggero intracellulare<br />
il GMPc, l’altra agisce attraverso l’attivazione di canali<br />
ionici ed ha come neurotrasmettitore un derivato purinico. Una<br />
terza componente, comprendente agenti che abbiano come secondo<br />
messaggero intracellulare l’AMPc, cioè soprattutto VIP e<br />
peptidi correlati, non ha mostrato di avere un ruolo significativo<br />
nel nostro modello sperimentale.<br />
In conclusione, il presente studio mostra che, oltre i mediatori<br />
considerati più importanti, almeno altri due mediatori, tra cui<br />
l’ATP, o altra sostanza purino-simile, e il CO, sono implicati nel<br />
rilasciamento NANC della trachea di cavia. Il CO appare avere<br />
un ruolo in condizioni che riducano l’efficienza delle altre vie di<br />
controllo inibitorio.<br />
Questi dati contribuiscono a chiarire il funzionamento di un<br />
sistema fondamentale di controllo del tono delle vie aeree. Ulteriori<br />
studi potranno valutare un eventuale coinvolgimento differenziale<br />
delle componenti identificate del sistema NANC inibitorio<br />
in condizioni patologiche.<br />
Bibliografia<br />
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Impiego della cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria<br />
di massa per la definizione di valori di riferimento di metaboliti di<br />
solventi in campioni biologici: acido mandelico e acido fenilgliossilico<br />
1 Centro Studi e Ricerche ISPESL, Università di Parma<br />
2 Laboratorio di Tossicologia Industriale, Dip. di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione, Università degli Studi di Parma<br />
RIASSUNTO. Le concentrazioni degli acidi mandelico (AM) e fenilgliossilico<br />
(AFG) sono state determinate nei campioni di urina di 129<br />
soggetti sani non professionalmente esposti a stirene mediante cromatografia<br />
liquida accoppiata alla spettrometria di massa tandem. Le distribuzioni<br />
dei metaboliti dello stirene sono ri<strong>sul</strong>tate essere log-normali, con<br />
medie geometriche (e deviazioni standard geometriche) pari a 0,443<br />
(2,33) e 0,107 (3,49) mg/g creatinina rispettivamente per AM e AFG. Gli<br />
intervalli di riferimento stimati per AM e AFG sono ri<strong>sul</strong>tati rispettivamente<br />
0,084-2,339 e 0,009-1,238 mg/g creatinina.<br />
Parole chiave: acido mandelico, acido fenilgliossilico, valori di riferimento,<br />
cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa.<br />
ABSTRACT. USE OF LIQUID CHROMATOGRAPHY-TANDEM MASS<br />
SPECTROMETRY TO DETERMINE REFERENCE VALUES FOR METABOLITES OF<br />
SOLVENTS IN BIOLOGICAL SAMPLES: MANDELIC ACID AND PHENYL-<br />
GLYOXYLIC ACID. Urinary levels of mandelic acid (MA) and phenyl-<br />
glyoxylic acid (PGA) were determined by liquid chromatography-tandem<br />
mass spectrometry in samples from 129 healthy Italian subjects, not occupationally<br />
exposed to styrene (67 men, 37% smokers). The distribution<br />
of styrene metabolites was log-normal. The geometric means (and geometric<br />
standard deviations) of MA and PGA concentrations were 0.443<br />
mg/g creatinine (GSD, 2.34) and 0.107 (GSD 3.49) mg/g creatinine, respectively.<br />
The reference intervals estimated for MA and PGA were<br />
0.084-2.339 and 0.009-1.238 mg/g creatinine, respectively.<br />
Key words: mandelic acid, phenylglyoxylic acid, reference values,<br />
liquid chromatography-tandem mass spectrometry.<br />
Introduzione<br />
Il largo impiego dello stirene nella produzione della gomma<br />
sintetica e di molteplici polimeri e copolimeri, rende probabile
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
52 www.gimle.fsm.it<br />
un’esposizione al solvente della popolazione<br />
generale. In effetti, in alcune città<br />
europee, sono state rilevate concentrazioni<br />
atmosferiche di stirene non trascurabili<br />
più elevate negli ambienti interni<br />
(0,771 µg/m 3 ) rispetto all’esterno (0,296<br />
µg/m 3 ) (1). Le informazioni relative ai<br />
valori di riferimento dei due metaboliti<br />
principali dello stirene, gli acidi mandelico<br />
(AM) e fenigliossilico (AFG), sono<br />
però scarse a causa dell’insufficiente sensibilità e selettività delle<br />
tecniche analitiche comunemente utilizzate per il monitoraggio<br />
<strong>biologico</strong> dell’esposizione a stirene. Negli anni Ottanta, Elia e<br />
coll. (2) hanno trovato in 34 soggetti della popolazione generale<br />
una concentrazione media di AM di 3,8 mg/g creatinina, determinabile<br />
però solo nel 22% dei casi. Mürer e coll. (3) hanno successivamente<br />
rilevato su 59 soggetti concentrazioni di AM inferiori<br />
al limite di rivelazione (LR, 11 mg/l) nell’80% dei campioni,<br />
con un valor medio di 7,3 mg/g creatinina; negli stessi campioni,<br />
l’AFG è ri<strong>sul</strong>tato inferiore al LR (5,2 mg/l) nel 66% dei casi,<br />
con un valore medio di 4,3 mg/g creatinina. Recentemente,<br />
l’impiego della cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria<br />
di massa tandem (LC-MS/MS) ha permesso di caratterizzare<br />
l’escrezione di metaboliti coniugati dello stirene nell’uomo, consentendo<br />
inoltre un notevole miglioramento in termini di sensibilità<br />
nella determinazione dei metaboliti principali (4). Scopo del<br />
presente lavoro era l’applicazione di tecniche analitiche basate<br />
<strong>sul</strong>la spettrometria di massa per la determinazione delle concentrazioni<br />
urinarie di metaboliti di solventi organici, quali lo stirene,<br />
nella popolazione generale.<br />
Materiali e metodi<br />
Soggetti. Il gruppo in studio era costituito da 129 soggetti sani<br />
(67 maschi), di età media 39,1 ± 10,7 anni, non professionalmente<br />
esposti a stirene, reclutati come gruppo di controllo di una<br />
popolazione di addetti alla realizzazione di manufatti in materiale<br />
plastico rinforzato con fibra di vetro. A ciascun soggetto è<br />
stato chiesto di completare un questionario per la raccolta di<br />
informazioni riguardanti sesso, età, abitudine al fumo, consumo<br />
di alcool e di farmaci. Dei soggetti in esame, 48 erano fumatori<br />
e rappresentavano il 42% dei maschi ed il 36% delle femmine,<br />
mentre 72 dichiaravano di bere almeno un bicchiere di vino al<br />
giorno. Il protocollo dello studio è stato approvato dal locale Comitato<br />
Etico.<br />
<strong>Monitoraggio</strong> <strong>biologico</strong>. I metaboliti principali dello stirene<br />
(AM e AFG) sono stati determinati mediante cromatografia liquida<br />
accoppiata alla spettrometria di massa tandem (LC-<br />
MS/MS) (3) su campioni estemporanei di urina (10 ml) raccolti<br />
tra le 8:00 e le 9:00 del mattino. Il LR della tecnica ottenuto nella<br />
modalità più sensibile e selettiva, denominata “selected reaction<br />
monitoring” (SRM) è ri<strong>sul</strong>tato essere 0,010 mg/l per entrambi<br />
gli analiti. L’imprecisione analitica è ri<strong>sul</strong>tata essere<br />
120) ed<br />
alla loro distribuzione log-normale, i dati sono stati trattati applicando<br />
test parametrici per la stima dei frattili. È stata scelta la<br />
frazione centrale (0,95), poiché tutte le determinazioni cadevano<br />
al di sopra dello “zero analitico”. I valori di riferimento (limiti superiori)<br />
deteminati in questo modo per AM e AFG sono ri<strong>sul</strong>tati<br />
di circa 20 volte più bassi rispetto a quelli proposti 10 anni fa da<br />
Mürer e coll. per la popolazione danese (3)(31 µmol/mol creatinina<br />
e 20 µmol/mol creatinina), stimati su un numero limitato di<br />
campioni ed applicando test non parametrici (intervallo di tolleranza<br />
unilaterale).<br />
Conclusione<br />
I ri<strong>sul</strong>tati del presente studio dimostrano come l’applicazione<br />
della cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa<br />
possa essere di rilevante utilità non solo per una migliore caratterizzazione<br />
di esposizioni professionali a basse concentrazioni<br />
ma anche nella determinazione dei valori di riferimento per i<br />
metaboliti di solventi organici.<br />
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www.gimle.fsm.it 53<br />
G.F. Desogus 1 , S. Fois 2 , R. Carta 2 , R. Cantone 3 , C. Usai<br />
<strong>Monitoraggio</strong> ambientale e <strong>biologico</strong> dell’esposizione lavorativa<br />
ad anestetici volatili<br />
1 Servizio Qualità, Ambiente e Sicurezza, Azienda USL 7 di Carbonia<br />
2 Servizio Medico competente, Azienda USL 7 di Carbonia<br />
3 Direzione sanitaria, Azienda USL 7 di Carbonia<br />
RIASSUNTO. 56 addetti di sala operatoria sono stati sottoposti a<br />
studio tossicologico e sorveglianza sanitaria per il rischio da esposizione<br />
ad anestetici volatili. Lo studio include l’acquisizione di dati clinicoanamnestici<br />
relativi alla patologia renale, epatica, emopoietica e a livello<br />
del SNC e un monitoraggio ambientale e <strong>biologico</strong>. L’analisi dei ri<strong>sul</strong>tati<br />
non dimostra una significativa alterazione dei parametri ematochimici<br />
e dei test neurocomportamentali tra esposti a gas anestetici e controlli.<br />
Nell’esposizione lavorativa ad anestetici volatili diventa una necessità<br />
sperimentare nuovi metodi di valutazione per una corretta ponderazione<br />
del rischio residuo.<br />
Parole chiave: anestetici volatili, monitoraggio ambientale, biomonitoraggio.<br />
ABSTRACT. ENVIRONMENTAL AND BIOLOGICAL MONITORING OF<br />
OCCUPATIONAL EXPOSURE TO VOLATILE ANAESTHETICS. Fifty six operating<br />
theater staff were recruited for a toxicological and health surveillance<br />
study aimed at assessing the risk of exposure to volatile anaesthetics. The<br />
study also aimed to obtain clinical-anamnestic data related to renal, liver,<br />
haematopoietic and central nervous system disorders as well as to conduct<br />
environmental and biological monitoring. The analysis of the re<strong>sul</strong>ts<br />
shows no significant differences in the re<strong>sul</strong>ts of the parameters and of the<br />
neurobehavioural tests among exposed workers and controls. In assessing<br />
the health impact of occupational exposure to volatile anaesthetics, it is<br />
necessary to try out new methods of evaluation of the residual risk.<br />
Key words: volatile anaesthetics, environmental monitoring, biomonitoring.<br />
Introduzione<br />
L’esposizione ad anestetici volatili è un potenziale rischio<br />
per gli addetti alla sala operatoria, essendo note alterazioni a li-<br />
vello del SNC (alterazione dei test neurocomportamentali),<br />
del sistema linfoemopoietico<br />
(ridotta sintesi midollare dei leucociti),<br />
del fegato (aumento di SGOT, SGPT e<br />
γ-GT) e del rene (modifica dei meccanismi<br />
di riassorbimento tubulare) (1, 2, 3, 4). Gli<br />
anestetici volatili hanno un coefficiente di<br />
ripartizione influenzato dalla temperatura,<br />
dall’età e da costituenti plasmatici che formano<br />
legami con i gruppi polari di proteine<br />
ematiche, in particolare con l’albumina. In<br />
questo studio si analizzano gli effetti dell’esposizione<br />
a gas anestetici (N 2 O, sevoflurane,<br />
desflurane) <strong>sul</strong>la funzione emopoietica,<br />
renale ed epatica in lavoratori<br />
esposti professionalmente.<br />
Metodi<br />
Il campione esaminato era costituito da<br />
35 esposti, Gruppo A [anestesisti e chirurghi:<br />
28 maschi (età media: 47 ± 5 anni;<br />
A.L. 15 ± 6 anni), 17 femmine (e.m.: 43 ±<br />
4; A.L. 11 ± 7)] e 11 non esposti, Gruppo<br />
B [medici di reparto: 8 maschi (età media: 44 ± 6; A.L. 6 ± 5),<br />
3 femmine (età media: 44 ± 5; A.L. 12 ± 7)]. Nei periodi corrispondenti<br />
alla fascia A (periodo di esposizione 1998-2000) e B<br />
(2001-2004, dopo attuazione di misure di adeguamento di componenti<br />
impiantistiche ed organizzative) è stato eseguito un monitoraggio<br />
ambientale degli anestetici volatili con l’uso di un<br />
Monitor analizzatore automatico Pollution 2002P (metodo gascromatografico<br />
e rilievo in tempo reale di TLV-TWA). Ogni lavoratore<br />
è stato sottoposto a visita medica e prelievo ematico<br />
per l’analisi di specifici indicatori di funzionalità epatica<br />
(SGOT, SGPT, γ-GT), renale (creatinemia, azotemia) ed esame<br />
emocromocitometrico e delle sieroproteine e sono rilevati i sintomi<br />
soggettivi di tipo neurocomportamentale. I ri<strong>sul</strong>tati sono<br />
stati espressi come medie e deviazioni standard, eseguendo test<br />
di significatività statistica (p < 0.05).<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
I dati ambientali sono riportati nella Tabella I.<br />
L’analisi dei dati evidenzia una riduzione significativa dei<br />
livelli ambientali di N 2 O ed alogenati volatili nella fascia B,<br />
così come l’indice di rischio, espressione del rapporto tra<br />
esposizione ponderata e limite ambientale. Dai dati del monitoraggio<br />
<strong>biologico</strong>, riportati nella Tabella II, non si evidenziano<br />
variazioni significative tra esposti e controlli specificatamente<br />
per i test di funzionalità renale ed epatica. I parametri<br />
ematochimici e i livelli ematici delle proteine e albumina rientrano<br />
nei limiti fiduciali della popolazione per entrambi i<br />
gruppi in esame.<br />
Tabella I. Tipologia del campione e dati del monitoraggio ambientale<br />
degli anestetici volatili<br />
Tabella II. Dati del monitoraggio <strong>biologico</strong> negli esposti ad anestetici volatili
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
54 www.gimle.fsm.it<br />
L’analisi dei sintomi soggettivi legati a disturbi neurocomportamentali<br />
(tremori muscolari, capogiri, insonnia, inappetenza,<br />
bocca amara, digestione lenta, disturbi del ritmo cardiaco e dell’attenzione,<br />
cefalea, sonnolenza, astenia, vertigini, irritabilità,<br />
depressione), riportati nella tabella III, mostra una inversione significativa<br />
del quadro clinico correlato all’esposizione lavorativa<br />
nella fascia B e una riduzione dell’indice di rischio relativo.<br />
Discussione<br />
Tabella III. Sintomi soggettivi legati ad esposizione professionale<br />
ad anestetici volatili<br />
Nessun effetto nocivo rilevante è stato osservato a carico della<br />
funzionalità epatica, renale, a livello del SNC, per esposizione<br />
ambientale a gas anestetici. Ciò non esclude l’impegno a ridurre<br />
i fattori di rischio residui, anche con la sperimentazione di nuove<br />
sostanze e l’uso di migliori tecniche anestesiologiche. Un approccio<br />
corretto per caratterizzare il rischio associato all’esposizione<br />
ad anestetici deve tener conto del principio di additività<br />
d’esposizione, per azione di diversi agenti <strong>sul</strong>lo stesso sito con<br />
meccanismi tossicocinetici simili e così gli effetti si sommano in<br />
relazione a specifici rapporti di conversione nell’ambito di una<br />
stessa relazione dose-risposta.<br />
Nella stima dell’indice di rischio HI,<br />
funzione dell’additività e proporzionalità di<br />
esposizione di N 2 O ed alogenati volatili, è<br />
necessario integrare i parametri di altri inquinanti<br />
aerodispersi per essere rappresentativo<br />
del metodo di caratterizzazione dei rischi<br />
associati all’esposizione. Un obiettivo<br />
scientifico è lo studio dei processi d’interazione<br />
tra le diverse sostanze impiegate che ci<br />
permette di modificare il calcolo di HI con<br />
l’introduzione di fattori di sicurezza rappresentativi dell’incertezza<br />
complessiva dei metodi e della significatività degli effetti tossicologici<br />
dei componenti della miscela utilizzata in anestesia. È<br />
evidente come le condizioni operative ed ambientali presenti nelle<br />
sale operatorie rende difficile una valutazione del nesso di causalità<br />
che, invece, deve basarsi <strong>sul</strong>l’applicazione di metodi di analisi<br />
standardizzati per ridurre distorsioni o confondimenti.<br />
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The effects of sevoflurane on serum creatinine and blood urea nitrogen<br />
concentrate. Anesth Analg 2000; 90: 683-688.<br />
L. Di Giampaolo 1 , P. Travaglini 1 , A. D’Intino 1 , I. Di Zio 1 , M. Di Gioacchino 1 , M. L. Castellani 2 , M. Reale 2 , P. Boscolo 1<br />
Modulazione di selenio, zinco e rame su effetti immunotossici<br />
del cadmio<br />
1 Sezione di Medicina del Lavoro, Allergologia ed Immunologia Clinica, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università<br />
“G. D’Annunzio”, Chieti<br />
2 Dipartimento di Neuroscienze ed Oncologia, Università “G. D’Annunzio”, Chieti<br />
RIASSUNTO. Questo studio ha lo scopo di valutare gli effetti del<br />
Cd <strong>sul</strong>la proliferazione cellulare ed il rilascio di citochine da PBMC stimolate<br />
da PHA in presenza di sali di Se, Zn e Cu. A dosi 10 -4 e 10 -5 M il<br />
Cd aveva un effetto dose-risposta inibitorio mentre il rame era blandamente<br />
immunotossico e lo Zn ed il Se 10 -4 avevano un effetto stimolante.<br />
I sali di tutti i metalli a concentrazione 10 -6 M non inducevano modificazioni<br />
significative. Inoltre, lo Zn ed il Se, presenti nelle colture cellulari<br />
assieme al Cd, esercitavano un’azione protettiva sugli effetti immunotossici<br />
del Cd probabilmente con meccanismi metabolici differenti.<br />
Parole chiave: immunotossicità, cadmio, proliferazione cellulare,<br />
citochine.<br />
ABSTRACT. MODULATION OF SELENIUM, ZINC AND COPPER ON IMMU-<br />
NOTOXIC EFFECTS OF CADMIUM. The effects of Cd, on PHA stimulated proliferation<br />
and cytokine release from human PBMC in presence of Se, Zn and<br />
Cu salts were the object of this study. 10 -4 and 10 -5 M Cd exerted an inhibitory<br />
action, while Cu was slightly immunotoxic and 10 -4 and 10 -5 M. Se and<br />
Zn exerted a stimulatory effect; 10 -6 M salts did not exert significant immune<br />
effects. Moreover, 10 -4 and 10 -5 M Se or Zn counteracted the immunotoxic<br />
effects of 10 -5 M Cd possibly with different metabolic mechanisms.<br />
Key words: immunotoxicity, cadmium, cell proliferation, cytokines.<br />
Introduzione<br />
L’esposizione ambientale ed occupazionale a cadmio (Cd)<br />
può provocare gravi danni alla salute includenti neoplasie, nefropatia<br />
ed ipertensione arteriosa (1). L’organismo contrasta gli effetti<br />
citotossici del metallo sintetizzando metallotioneina, proteina<br />
a basso peso molecolare in grado di legare anche il mercurio<br />
(Hg), lo zinco (Zn) ed il rame (Cu) (1). Il Cd ha un effetto competitivo<br />
con lo Zn a livello intracellulare, ad es. sui fattori di trascrizione<br />
(2). È pure noto che il selenio (Se), con azione anti-ossidante,<br />
può proteggere dagli effetti citotossici del Cd (3).<br />
Scopo di questo studio è quello di verificare se sali di Se, Zn<br />
e Cu sono in grado di contrastare “in vitro” l’effetto tossico del<br />
Cd <strong>sul</strong> sistema immunitario.<br />
Materiali e metodi<br />
Cellule mononucleate di sangue periferico (PBMC) di nove<br />
donatori sono state utilizzate per determinare la prolifera-
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 55<br />
zione cellulare ed il rilascio di interferone-γ<br />
(IFN-γ) e Tumor-Necrosis-Factor<br />
(TNF) α nelle seguenti<br />
condizioni:<br />
a) con o senza stimolazione con<br />
PHA (10 o 20 µg/ml) senza<br />
sali di metalli (campioni di<br />
controllo);<br />
b) in presenza di 10 -4 , 10 -5 e 10 -6<br />
M solfato di cadmio, selenito di<br />
sodio, solfato di zinco e solfato<br />
di rame;<br />
c) in presenza di solfato di cadmio<br />
10 -5 M in combinazione<br />
con i sali di Se, Zn o Cu 10 -4 o<br />
10 -5 M con o senza 20 µg/ml di<br />
PHA (per determinare la proliferazione<br />
cellulare per 72 ore)<br />
o 10 µg/ml di PHA (per determinare<br />
il rilascio di citochine<br />
per 32 ore).<br />
I metodi dettagliati per l’incubazione<br />
delle PBMC e per determinare<br />
la proliferazione cellulare ed il<br />
rilascio di citochine sono riportati in<br />
un lavoro del nostro gruppo (4).<br />
Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />
A dosi 10 -4 e 10 -5 M il Cd aveva un effetto inibitorio dose-dipendente<br />
<strong>sul</strong>la proliferazione cellulare mentre lo Zn ed il Se 10 -4 e<br />
10 -5 M avevano un effetto stimolante non dose-dipendente (Tabella<br />
I). I sali di Cu a tutte le concentrazioni, ed i sali di tutti i metalli a<br />
concentrazione 10 -6 M non avevano effetti significativi <strong>sul</strong>la proliferazione<br />
cellulare. Il rilascio di IFN-γ e TNF-α dalle PBMC era generalmente<br />
correlato con i valori di proliferazione cellulare in presenza<br />
di sali di Zn e Se, mentre il rame aveva un blando effetto inibitorio<br />
<strong>sul</strong> rilascio di citochine. Lo Zn ed il Se, al contrario del rame,<br />
esercitavano un effetto protettivo <strong>sul</strong>l’inibizione della proliferazione<br />
cellulare ed il rilascio di citochine indotte dal Cd 10 -5 M (Tabella II).<br />
La nostra indagine conferma che il Cd, a dosi elevate, ha un<br />
effetto immunotossico (5). Vengono anche confermati i ri<strong>sul</strong>tati<br />
di un recente studio del nostro gruppo evidenziante un effetto stimolante<br />
dello Zn <strong>sul</strong>la risposta immunitaria di individui atopici<br />
(6). Infine si evidenzia che il Se (ma non il Cu) stimolano la proliferazione<br />
cellulare ed il rilascio di citochine. I meccanismi attraverso<br />
i quali Se e Zn proteggono dagli effetti immunotossici<br />
del Cd necessitano di essere ulteriormente indagati.<br />
S. Dragoni 1 , P. Franceschetti 2 , D. Doria 2 , M. Valoti 1 , M.E. Fracasso 2<br />
Tabella I. Percentuale di proliferazione delle PBMC stimolate da PHA in presenza<br />
di sali di Cd, Se, Zn e Cu a diverse concentrazioni, rispetto ai controlli senza metalli<br />
Tabella II. Attività proliferativa e rilascio di citochine dalle PBMC in<br />
presenza di cadmio solfato (Cd) 10 -5 M da solo e in combinazione con sali<br />
di Se, Cu e Zn 10 -5 M in % rispetto ai controlli senza metalli<br />
Bibliografia<br />
1) Boscolo P, Carmignani M. Mechanisms of cardiovascular regulations<br />
in male rabbits chronically exposed to cadmium. Br J Ind Med<br />
1986; 43: 605-610.<br />
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4) Boscolo P, Di Giampaolo L, Reale M, Castellani L, Volpe AR, Carmignani<br />
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Different effects of platinum, palladium and rhodium salts on lymphocyte<br />
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5) Marth E, Barth S, Jelovcan S Influence of cadmium on the immune<br />
system. Description of stimulant reactions. Cent Eur J Public Health<br />
2000; 8: 4-44.<br />
6) Paganelli R, Buttari B, Camera E, Dell’Anna ML, Mastrofrancesco A,<br />
Di Giampaolo L, Reale M, Schiamone C, Verna N, Di Gioacchino M,<br />
Sabbioni E, Boscolo P, Picaro M. J. In vitro effects of nickel-<strong>sul</strong>phate<br />
on immune functions of normal and nickel-allergic subjects: a regulatory<br />
role of zinc. Trace Elem Bio. Med. 2003; 17 (suppl.) 11-15.<br />
Effetto del trattamento subcronico con benzene in topi C57/Bl<br />
1 Dipartimento di Scienze Biomediche, Università degli Studi di Siena<br />
2 Dipartimento di Medicina e Salute Pubblica, Sezione di Farmacologia, Università degli Studi di Verona<br />
RIASSUNTO. Il benzene è un composto ampiamente utilizzato<br />
nell’industria in grado di determinare la comparsa di anemia aplastica<br />
e leucemia mieloide acuta nell’uomo e forme diverse di cancro nei roditori.<br />
Il benzene è metabolizzato nel fegato, ad opera del citocromo P450<br />
2E1, in fenolo, catecolo ed idrochinone. I derivati fenolici, successivamen-<br />
te, ad opera della mieloperossidasi (MPO) presente a nel midollo osseo, possono<br />
originare radicali semichinonici responsabili della tossicità del benzene.<br />
Lo scopo di questo lavoro è stato studiare l’effetto del trattamento con<br />
benzene a basse ed alte dosi (5 e 100 mg/Kg) in topi C57BL. L’osservazione<br />
che il trattamento ad alte dosi determinava un aumento dell’attività della
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
56 www.gimle.fsm.it<br />
MPO, nei mielociti, suggerisce che il benzene promuova una<br />
modulazione positiva della propria bioattivazione. L’induzione<br />
di MPO può svolgere, quindi, un ruolo importante nel<br />
danno al DNA, osservato nelle cellule del midollo con il test<br />
“comet assay”, ad entrambe le dosi di benzene utilizzate.<br />
Parole chiave: benzene, mieloperossidasi.<br />
ABSTRACT. EFFECTS ON C57/BL MICE OF SUBCH-<br />
RONIC TREATMENT WITH BENZENE. Benzene, a chemical<br />
widely used in industry, is capable of causing aplastic anemia<br />
and acute myelogenous leukemia in humans and multiple<br />
forms of cancer in rodents. Hepatic cytochrome P450<br />
2E1 catalyzes the formation of phenolic metabolites of<br />
benzene. Mielopeoxidase (MPO), present in bone marrow,<br />
may further convert the phenolic metabolites to free radicals,<br />
which are responsible for in situ bioactivation of benezene.<br />
The aim of this work was to study the effects of<br />
low and high doses of benzene (5 and 100 mg/Kg) in subchronically<br />
treated mice. Treatment with 100 mg/Kg led to<br />
a significative increase in MPO and in NAD(P)H:quinoneoxidoreductase<br />
(NADHQ). Furthermore “comet assay” in<br />
myelocytes revealed DNA damage for both types of benzene treatment.<br />
Key words: benzene, mieloperoxidase.<br />
Introduzione<br />
L’esposizione a benzene è in grado di determinare la comparsa<br />
di anemia aplastica e leucemia mieloide acuta nell’uomo e<br />
di diverse forme di cancro nei roditori. Tuttavia, il composto è<br />
ancora utilizzato in alcuni processi industriali e lo si trova a basse<br />
concentrazioni nella benzina, nel fumo di sigaretta ed in vari<br />
prodotti di consumo (5). Il benzene è metabolizzato nel fegato a<br />
fenolo ad opera del citocromo P450 2E1. Il fenolo, a sua volta,<br />
può essere trasformato in catecolo ed idrochinone che si accumulano<br />
a livello del midollo osseo. A questo livello possono essere<br />
trasformati dalla mieloperossidasi (MPO) a radicali semichinonici<br />
responsabili della genotossicità (6, 4).<br />
Lo scopo di questo lavoro è stato mettere a punto un modello<br />
animale di esposizione al benzene in topi C57BL nei quali sono<br />
stati monitorati il danno genotossico e la variazioni di alcune<br />
attività enzimatiche.<br />
Materiali e metodi<br />
Animali. Topi C57BL maschi del peso di 20-25 g sono stati suddivisi<br />
in 3 gruppi (n = 4) ciascuno dei quali è stato trattato per 15<br />
giorni per os con il veicolo o con benzene alle dosi di 5 o 100 mg/kg<br />
p.c. Alla fine del trattamento il fegato ed il midollo sono stati prelevati<br />
da ciascun animale ed utilizzati per il dosaggio delle attività enzimatiche<br />
e per la stima della genotossicità tramite “comet assay”.<br />
Comet Assay. Il saggio del comet veniva effettuato come descritto<br />
da Faccioni et al. (2).<br />
Dosaggi Enzimatici. L’attività della MPO veniva dosata su<br />
omogenato di midollo osseo con guaiacolo secondo Valoti et al.<br />
(8). La glutatione transfersi (GSH-T) era determinata su frazioni<br />
di citosol epatico, utilizzando il metodo di Habig et al. (3). La<br />
NAD(P)H:chinone ossidoreduttasi (NADHQ) era determinata su<br />
frazioni di citosol epatico secondo Benson et al. (1).<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
L’attività della MPO subiva un significativo incremento del<br />
55% in topi trattati con alte dosi di benzene, mentre nessuna differenza<br />
rispetto al controllo veniva osservata alla dose di 5 mg/kg<br />
(Tabella I). Analogamente, l’attività enzimatica della NADHQ a<br />
livello epatico era incrementata significativamente del 50% solo<br />
alla più alta dose di benzene testata. La GSH-T, pur presentando<br />
Tabella I. Parametri descrittivi del comet assay in cellule del midollo<br />
osseo in topi C57Bl dopo somministrazione subcronica di benzene<br />
Tabella II. Attività enzimatiche in citosol epatico (GSH-T e NADHQ)<br />
e midollo osseo (MPO) di topi trattati subcronicamente con benzene<br />
un aumento rispetto al controllo, non raggiungeva valori statisticamente<br />
significativi (Tabella I).<br />
Il “comet assay” mostrava un aumento dei parametri descrittivi<br />
della cometa già alla minima dose di benzene (Tabella II).<br />
Discussione<br />
L’osservazione che il trattamento con il benzene determina<br />
un aumento dell’attività della MPO suggerisce che il composto<br />
promuova una modulazione positiva della propria bioattivazione.<br />
L’incremento di questa attività può spiegare, inoltre, il danno al<br />
DNA evidenziato dal “comet assay” dopo trattamento con il benzene.<br />
Il dosaggio di ulteriori attività enzimatiche e la determinazione<br />
dei metaboliti fenolici, in animali trattati cronicamente con<br />
benzene, dovrà chiarire l’effettivo ruolo del benzene nella modulazione<br />
della propria tossicità.<br />
Ringraziamenti<br />
Il presente studio è stato finanziato con fondi MIUR (PRIN<br />
2003) e dell’Università degli Studi di Siena.<br />
Bibliografia<br />
1) Benson AM, Hunkeler MJ, Talalay P. Increase of NAD(P)H:quinone reductase<br />
by dietary antioxidants: possible role in protection against carcinogenesis<br />
and toxicity. Proc Natl Acad Sci U S A. 1980; 77: 5216-5220.<br />
2) Faccioni F, Franceschetti P, Cerpelloni M, Fracasso ME. In vivo study<br />
on metal release from fixed orthodontic appliances and DNA damage in<br />
oral mucosa cells. Am J Orthod Dentofacial Orthop. 2003; 124:687-693.<br />
3) Habig WH, Pabst MJ, Jakoby WB. Glutathione S-transferases. The<br />
first enzymatic step in mercapturic acid formation. J Biol Chem.<br />
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Benzene and its phenolic metabolites produce oxidative DNA damage<br />
in HL60 cells in vitro and in the bone marrow in vivo. Cancer Res.<br />
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5) Lofroth G, Stensman C, Brandhorst-Satzkorn M. Indoor sources of<br />
mutagenic aerosol particulate matter: smoking, cooking and incense<br />
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other phenolic compounds. Arch Biochem Biophys 1991; 286: 76-84.<br />
7) Thomas DJ, Sadler A, Subrahmanyam VV, Siegel D, Reasor MJ, Wierda<br />
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and fibroblastoid cells. Mol Pharmacol 1990; 37: 255-262.<br />
8) Valoti M, Della Corte L, Tipton KF, Sgaragli G. Purification and characterization<br />
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G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 57<br />
D. Fanin, S. Ferrazzoni, S. Ferrarese, R. Accordino, A. Visentin, P. Maestrelli<br />
Valori di riferimento delle concentrazioni di ossido nitrico<br />
esalato nella popolazione adulta<br />
Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Sede di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Padova<br />
RIASSUNTO. In 124 soggetti normali (77M, 47F; età 40 anni ±11)<br />
sono stai esaminati i determinanti fisiologici delle concentrazioni di NO<br />
esalato (ENO). Concentrazioni più elevate di ENO sono state rilevate nei<br />
maschi rispetto alle femmine e nei non fumatori rispetto ai fumatori. Tuttavia<br />
il determinante principale della concentrazione di ENO nei soggetti<br />
normali è ri<strong>sul</strong>tato essere il peso corporeo. Pertanto i valori di riferimento<br />
delle concentrazioni di ENO nella popolazione adulta possono essere calcolati<br />
con una semplice formula che comprende il peso del soggetto.<br />
Parole chiave: valori di riferimento, ossido nitrico esalato, popolazione<br />
adulta.<br />
ABSTRACT. REFERENCE VALUES OF EXHALED NITRIC OXIDE CON-<br />
CENTRATIONS IN ADULT SUBJECTS. Physiological determinants of exhaled<br />
nitric oxide (ENO) concentrations were examined in 124 normal subjects<br />
(77 M, 47 F) aged 40 yr. ± 11. Higher concentrations of ENO were detected<br />
in males compared with females and in non-smokers compared to<br />
smokers. However, the predominant determinant of ENO in normal<br />
subjects was the body mass. Based on this observation, the predicted values<br />
of ENO in adult population can be calculated by a simple equation<br />
including body weight.<br />
Key words: reference values, exhaled nitric oxide, adult population.<br />
Introduzione<br />
L’ossido nitrico (NO) rappresenta un importante mediatore<br />
<strong>biologico</strong> prodotto dall’enzima NO-sintetasi di cui sono state<br />
identificate due isoforme costitutive ed una inducibile (iNOS).<br />
La iNOS è espressa prevalentemente in cellule infiammatorie come<br />
macrofagi, eosinofili, neutrofili e mastociti, nelle cellule epiteliali<br />
delle vie respiratorie e nei pneumociti di tipo II (1, 2). L’i-<br />
NOS è indotto da stimoli infiammatori quali alcune citochine come<br />
TNFα, IL-1β, INFγ, endotossine ed altri prodotti batterici.<br />
Per questi motivi la misura della concentrazione di NO nell’aria<br />
esalata (ENO) è usata come indicatore non invasivo di infiammazione<br />
bronchiale. In particolare, i valori di ENO ri<strong>sul</strong>tano ben<br />
correlati con l’eosinofilia delle vie aeree che costituisce la caratteristica<br />
più costante della flogosi bronchiale nell’asma. L’infiammazione<br />
bronchiale nell’asma professionale, anche da composti<br />
a basso peso molecolare, non differisce da quella che si riscontra<br />
nell’asma di altra origine. Tuttavia i metodi per valutare<br />
questo aspetto anatomopatologico della malattia sono difficilmente<br />
applicabili nella sorveglianza sanitaria di lavoratori esposti<br />
a tossici inalatori o a rischio asmogeno. La misura dell’ENO<br />
può rappresentare una valida alternativa a metodi invasivi quali<br />
biopsie, lavaggio bronco alveolare o minimamente invasivi, ma<br />
indaginosi, come l’analisi dell’espettorato indotto. Nel campo<br />
della Medicina del Lavoro la misura dell’ENO è stata utilizzata<br />
in pochi studi per valutare la risposta delle vie<br />
aeree dopo esposizione sperimentale ad asmogeni<br />
professionali (3, 4). Non esistono al momento<br />
valori di riferimento dell’ENO validati per gli<br />
adulti, pertanto in questo studio ci siamo proposti<br />
di stabilire i valori di normalità dell’ENO in<br />
una popolazione adulta sana e di determinare<br />
l’influsso di vari parametri fisiologici, di funzionalità<br />
respiratoria e dell’abitudine al fumo di sigaretta<br />
su questa misura.<br />
Metodi<br />
Il campione di riferimento studiato era costituito da soggetti<br />
senza storia clinica di malattie respiratorie, né di virosi respiratorie<br />
recenti, che non avessero ingerito cibi o bevande nell’ora precedente<br />
la misurazione e che non fossero in terapia farmacologia<br />
da almeno 4 settimane, essendo questi fattori in grado di influenzare<br />
l’ENO. Tutti avevano valori spirometrici nella norma ed erano<br />
non fumatori. Sono stati reclutati soggetti di età compresa tra<br />
i 20 e i 65 anni in modo che tutte le classi di età fossero rappresentate.<br />
A tutti, prima dei parametri di funzionalità respiratoria<br />
(CV,VEMS), è stato misurato l’ENO mediante un analizzatore a<br />
chemiluminescenza secondo le linee guida dell’American Thoracic<br />
Society (1), a un flusso espiratorio costante di 0,05 litri/sec.<br />
Per ciascuno è stato calcolato il Body Mass Index (BMI) e la<br />
Body Surface Area (BSA), estrapolata da normogrammi standardizzati<br />
a partire dall’altezza e dal peso. È stato esaminato inoltre<br />
un gruppo di 25 soggetti normali, con le caratteristiche di cui sopra,<br />
ma fumatori. Poiché la distribuzione delle concentrazioni di<br />
ENO ri<strong>sul</strong>ta logaritmica, per l’analisi statistica i dati sono stati<br />
trasformati nel loro logaritmo. L’influenza dei vari fattori <strong>sul</strong>l’E-<br />
NO è stata valutata mediante regressione semplice e multipla. Per<br />
confrontare i valori di ENO tra maschi e femmine e tra fumatori<br />
e non fumatori è stata eseguita l’analisi della covarianza.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
La casistica studiata comprendeva 124 soggetti normali (77M,<br />
47F) con età media di 40 anni ±11,3. Le concentrazioni di ENO<br />
mostravano una distribuzione normale logaritmica, la cui media<br />
geometrica era di 19,5 ppb (5°percentile = 7 ppb; 95° percentile =<br />
40 ppb). L’ENO correlava in maniera significativa con tutti i parametri<br />
antropometrici considerati: età (r = 0,27; p
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
58 www.gimle.fsm.it<br />
I maschi dimostravano valori medi di ENO significativamente<br />
superiori alle femmine (21,6 vs 16,2 ppb; p
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 59<br />
Figura 1. Decorso delle concentrazioni di NO esalato e FEV 1 dopo esposizione ad isocianati<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Dei 10 soggetti studiati, 5 sono ri<strong>sul</strong>tati<br />
positivi al test di stimolazione bronchiale specifico,<br />
di cui 2 a TDI, 2 ad MDI ed 1 a HDI.<br />
I 5 soggetti negativi al test sono stati esposti<br />
ad HDI (n.=3), TDI (n.=1) ed MDI (n.=1).<br />
Tutti i soggetti positivi hanno presentato una<br />
reazione di tipo ritardato; in un caso è stata<br />
osservata anche una reazione di tipo immediato.<br />
Il massimo decremento di FEV 1 è stato osservato tra la 5°<br />
e 6° ora dopo esposizione ad isocianato, mentre alla 24° ora i valori<br />
erano tornati pressoché a norma. (Figura 1B). Nel giorno di<br />
controllo il coefficiente di variazione dell’NO esalato era del<br />
10±5,4%. Nei soggetti negativi al test di stimolazione bronchiale<br />
specifico non si è osservata alcuna variazione significativa della<br />
concentrazione di NO esalato, mentre nei soggetti positivi si è osservato<br />
un marcato incremento alla 24° ora (p
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
60 www.gimle.fsm.it<br />
R. Foddis 1 , A.Vivaldi 1 , R. Buselli 1 , V. Gattini 1 , G. Guglielmi 1 , F. Cosentino 1 , F. Ottenga 1 , E. Ciancia 2 , R. Libener 3 ,R. Filiberti 4 ,<br />
M. Neri 4 , P.G. Betta 3 , M. Tognon 6 , L. Mutti 5 , R. Puntoni 4 , A. Cristaudo 1<br />
Ricerca di anticorpi anti-SV40 come marker di infezione nello screening<br />
di fattori di rischio aggiuntivi in soggetti ex-esposti ad amianto<br />
1 Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Ortopedia e Traumatologia, Medicina del Lavoro, Università di Pisa<br />
2 Unità Operativa Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana<br />
3 Unità Operativa Anatomia Patologica, Azienda Sanitaria Ospedaliera, Alessandria<br />
4 Istituto Nazionale Ricerca <strong>sul</strong> Cancro, Unità Operativa di Epidemiologia Ambientale, Genova<br />
5 Ospedale S.Pietro e Paolo, ASL 11 Borgosesia e Fondazione Maugeri, Pavia<br />
6 Dipartimento di Morfologia e Embriologia, Sezione di Istologia e Embriologia, Università di Ferrara<br />
RIASSUNTO. Ad oggi tra gli ipotizzati cofattori dell’amiato nella<br />
patogenesi del mesotelioma maligno (MM) il più accreditato, <strong>sul</strong>la base<br />
di dati di biologia molecolare, è il Simian Virus 40 (SV40). Lo scopo del<br />
presente studio era quello di valutare la prevalenza e la affidabilità del dosaggio<br />
di anticorpi anti-SV40 come marker di infezione con finalità preventive.<br />
Solo 1 paziente con MM (2,7%) ed 1 lavoratore sano con pregressa<br />
esposizione ad amianto (1,3%) sono ri<strong>sul</strong>tati positivi alla ricerca di<br />
anticorpi anti-SV40. Nessuno dei 71 pazienti con patologie non neoplastiche<br />
inclusi nello studio era positivo per gli anticorpi.<br />
Parole chiave: SV40, asbesto, mesotelioma maligno.<br />
ABSTRACT. ANTI-SV40 ANTIBODIES AS INFECTION MARKERS FOR<br />
ASSESSING ADDITIONAL RISK FACTORS IN WORKERS PREVIOUSLY EXPOSED<br />
TO ASBESTOS. Although the prevalence of asbestos exposure among malignant<br />
mesothelioma (MM) patients is very high, only a relatively small<br />
percentage of workers previously exposed to asbestos develop a MM.<br />
This observation suggests that some tumoral agents may act as a co-factor<br />
together with asbestos in MM pathogenesis. To date, among the hypothesized<br />
cofactors, the Simian Virus 40 (SV40) is one of the most widely<br />
investigated and is supported by biomolecular findings. The aim of<br />
this study was to evaluate the incidence and feasibility of Anti-SV40 Antibodies<br />
as an infection marker with preventive application. We found<br />
that only 1 MM patient out of 44 (2.7%) and 1 out of 75 workers previosly<br />
exposed to asbestos (1.3%) were positive for the detection of Anti-<br />
SV40 antibodies. None of the 71 patients with non-neoplastic diseases<br />
were positive.<br />
Key words: SV40, asbestos, malignant mesothelioma.<br />
Introduzione<br />
La discrepanza tra l’elevata prevalenza di anamnesi lavorativa<br />
positiva per esposizione ad amianto tra i pazienti con mesotelioma<br />
maligno della pleura (MM) e la relativamente bassa incidenza<br />
di MM nella popolazione degli ex esposti suggerisce l’esistenza<br />
di un ruolo cofattoriale di altri agenti cancerogeni con attività<br />
additiva, sinergica od eventualmente moltiplicativa. Tra gli<br />
ipotetici cofattori, uno dei più accreditati negli ultimi dieci anni è<br />
il Simian Virus 40 (SV40). Una mole impressionante di dati di laboratorio<br />
(1-5) supporta l’ipotesi di un’attività cancerogenetica<br />
del virus nella specie umana. Dal punto di vista epidemiologico,<br />
invece, non ci sono ad oggi dati univoci. A fronte di studi longitudinali<br />
o storici retrospettivi che non hanno fornito evidenze di<br />
associazioni significative con la patologia tumorale, alcuni autori<br />
hanno rilevato un incremento di mortalità per alcuni dei tumori<br />
compreso il MM (6) per cui l’SV40 è responsabile in esperimenti<br />
con animali. Un recente studio caso-controllo condotto dal<br />
nostro gruppo di ricerca ha permesso, per la prima volta, di calcolare<br />
una stima del rischio relativo alla combinazione<br />
SV40/amianto che ri<strong>sul</strong>terebbe più alta anche della somma della<br />
stima calcolata per i due singoli fattori separatamente. Il presente<br />
studio si poneva l’obiettivo di effettuare una titolazione nel siero<br />
di anticorpi anti-SV40 (Ab Anti-SV40) al fine di verificare che<br />
questi ultimi potessero costituire un fattore predittivo utilizzabile<br />
a scopo preventivo nello screening di popolazioni di lavoratori ex<br />
esposti ad amianto.<br />
Materiali e metodi<br />
Sono stati stoccati a -80°C campioni di siero derivanti da soggetti<br />
con diagnosi di MM, di malattia polmonare non neoplastica<br />
(BPCO, silicosi, asbestosi, etc.) e da soggetti con pregressa esposizione<br />
professionale ad amianto, nonché da soggetti sani o comunque<br />
privi di patologie polmonari (donatori di sangue, pazienti<br />
oculistici od ortopedici non oncologici). In un laboratorio<br />
statunitense (Dipartimento di Microbiologia e Virologia Molecolare,<br />
Baylor College of Medicine di Houston, TX) sono stati titolati<br />
i livelli sierici di anticorpi contro una oncoproteina virale,<br />
chiamata Large T Antigen (LTAg). È stata utilizzata la tecnica<br />
dell’immuno-fluorescenza indiretta (IFI).<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Nel gruppo dei soggetti con patologie polmonari, oculari od<br />
ortopediche non neoplastiche non si è riscontrata positività alcuna<br />
per anticorpi anti-SV40. Un solo paziente tra i 44 affetti da<br />
MM (2,3%), così come un solo soggetto su 75 lavoratori ex-esposti<br />
ad amianto (1,3%) presentavano Ab anti-SV40 titolabili nel<br />
siero. I due campioni positivi appartenenti ad un paziente affetto<br />
da MM ed ad lavoratore ex esposto ad amianto, si caratterizzavano<br />
per una titolazione di 1:50 e di 1:10, rispettivamente.<br />
Discussione<br />
L’insieme dei dati di biologia molecolare accumulati nell’ultimo<br />
decennio, confermati dai ri<strong>sul</strong>tati di un recente studio casocontrollo<br />
di epidemiologia biomolecolare condotto dal nostro<br />
gruppo di ricerca che ha evidenziato un’interazione più che additiva<br />
tra i due fattori, rendono sempre più credibile il ruolo dell’-<br />
SV40 come cofattore dell’amianto nella patogenesi del MM. Sulla<br />
base di questo convincimento, la scoperta di un marker attendibile<br />
di infezione da SV40 potrebbe costituire un elemento di<br />
screening in grado di delineare subpopolazioni di soggetti ex<br />
esposti ad amianto a più alto rischio (7). Il primo obiettivo di questo<br />
studio, quindi, era quello di verificare che la ricerca di anticorpi<br />
anti-SV40 (LTAg), con la metodica dell’IFI, potesse essere<br />
un buon “indicatore di infezione virale”. Fino ad oggi non erano<br />
disponibili dati di letteratura significativi <strong>sul</strong>la distribuzione di<br />
sieropositività all’SV40 in popolazioni normali o di soggetti con<br />
MM (8), né erano disponibili dati <strong>sul</strong>la durata media della sieropositività<br />
a seguito di una prima infezione. La prevalenza osservata<br />
nei pazienti con MM (1 caso/44, 2,27%) ci fa ipotizzare che
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 61<br />
questa tecnica sottostimi la reale prevalenza di infezione attuale<br />
o pregressa. Infatti, nonostante non sia stata ancora indagata la<br />
presenza di DNA virale nei MMs dello studio, <strong>sul</strong>la base dei dati<br />
di letteratura (1, 3-6) si può ipotizzare che almeno il 50% dei<br />
pazienti italiani con MM abbiano avuto un contatto con il virus.<br />
Supponendo che la verifica con PCR dia i ri<strong>sul</strong>tati attesi, è<br />
possibile avanzare alcune ipotesi riguardo il significato <strong>biologico</strong><br />
dei dati del presente studio. Nelle scimmie, al contrario di quanto<br />
accade nei roditori, a seguito di infezione con SV40 non si osservano<br />
titoli elevati di anticorpi a meno che tali animali non siano<br />
infettati con quantità molto alta di virus. Analogamente si può<br />
ipotizzare che nella specie umana all’infezione con SV40, qualunque<br />
sia la via di ingresso, non faccia seguito una produzione<br />
di LTAg quantitativamente sufficiente per stimolare una risposta<br />
immunitaria. Il virus si comporterebbe in vivo come si osserva in<br />
vitro, dove si replica a bassi livelli nelle cellule mesoteliali permettendo<br />
così la permanenza nella cellula ospite con la piena<br />
espressione delle sue capacità oncogene.<br />
Concludendo, la determinazione del titolo anticorpale anti-<br />
LTAg con la tecnica dell’IFI, non può essere proposta come metodo<br />
di screening per l’individuazione di una popolazione di soggetti<br />
infettati da SV40. Infatti, questa tecnica, pur garantendo<br />
un’elevata specificità ed un costo contenuto, ri<strong>sul</strong>ta dotata di<br />
scarsa sensibilità.<br />
Ringraziamenti<br />
Questo lavoro è stato finanziato dall’ISPESL. Si ringrazia l’Unità di<br />
Epidemiologia Occupazionale ed Ambientale del CSPO di Firenze.<br />
Bibliografia<br />
M.E. Fracasso 1 , P. Franceschetti1 , D. Doria 1 , E. Quintarelli 2 , P. Noris 2 , F. Brugnone 2 , L. Romeo 2<br />
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University of Chicago Gleacher Center, Chicago II, 20-21 april 2001.<br />
8) Butel JS, Wong C, Vilchez RA, Szucs G, Domok I, Kriz B, Slonim<br />
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central European countries. Cent Eur J Public Health 2003; 11: 3-8.<br />
Valutazione di danno e riparo del DNA mediante comet assay in linfociti<br />
di soggetti non-fumatori ed ex-fumatori esposti a fumo passivo<br />
1 Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Verona<br />
2 Sezione di Farmacologia, Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Verona<br />
RIASSUNTO. Il comet assay è un metodo che è in grado di riconosce<br />
varie forme di danni al DNA in singole cellule e può valutare la loro<br />
capacità riparativa. I linfociti di fumatori presentano danni al DNA significativamente<br />
superiori ai controlli, ed il danno è correlato con il numero<br />
di sigarette fumate. Il danno cellulare è presente anche nei soggetti esposti<br />
a fumo passivo (ex- e non-fumatori). La capacità di riparare i danni indotti<br />
dall’H 2 O 2 è gravemente ed ugualmente compromessa nei fumatori<br />
attivi e passivi.<br />
Parole chiave: danno al DNA, riparazione del DNA, test della cometa,<br />
fumo passivo.<br />
ABSTRACT. ASSESSMENT OF DNA DAMAGE AND REPAIR BY THE<br />
COMET ASSAY IN LYMPHOCYTES OF NON-SMOKERS AND EX-SMOKERS EX-<br />
POSED TO ENVIRONMENTAL TOBACCO SMOKE. Assessment of DNA damage<br />
and repair by comet assay in peripheral blood lymphocytes of nonsmokers<br />
and ex-smokers exposed to passive smoking. DNA damage was<br />
assessed in the lymphocytes of active and passive smokers by comet assay.<br />
Smokers, as well as passive smokers, showed higher basal DNA damage<br />
compared to a control group. The cellular damage was significantly<br />
correlated with smoking habits. The lymphocyte capacity to repair<br />
H 2 O 2 -induced damage was seriously decreased in both groups, while the<br />
same damage in the control lymphocytes was repaired in a short time.<br />
Key words: DNA damage, DNA repair, comet assay, environmental<br />
tobacco smoke.<br />
Introduzione<br />
Il fumo passivo o involontario consiste in una miscela di fumo<br />
esalato dal fumatore e di fumo liberato dalla sigaretta accesa,<br />
che viene diluito nell’aria ambientale (secondhand smoke o<br />
environmental tabacco smoke). Il fumo passivo o involontario<br />
contiene carcinogeni inalanti altamente volatili come il benzene,<br />
l’1,3-butadiene, il benzo(α)pirene, il 4-metilnitrosamina,<br />
l’1,3-piril-1-butanone e molti altri, ed è anche costituito da una<br />
fase di particolato disperso nell’aria ambientale (1). La cotinina<br />
ed il composto parente, la nicotina, sono considerati attendibili<br />
biomarcatori di esposizione, soprattutto in caso di recente esposizione<br />
(2). Nell’uomo il fumo passivo è associato a mutagenicità<br />
urinaria ed è stata dimostrata una correlazione tra mutagenicità<br />
urinaria e concentrazione di cotinina nelle urine di soggetti<br />
esposti (3).<br />
Un metodo particolarmente sensibile che dà informazioni su<br />
esposizioni biologicamente attive è il test della cometa che riconosce<br />
varie forme di danni al DNA in singole cellule (rotture in<br />
singolo e/o doppio filamento, eventi di inefficienza nei processi<br />
riparativi) (4). L’attività riparativa è un meccanismo di difesa<br />
presente in tutte le cellule, ed è noto che la capacità di riparare i
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
62 www.gimle.fsm.it<br />
danni del DNA è strettamente legata alla suscettibilità soggettiva<br />
di sviluppare tumori. Recentemente, la versione del comet test a<br />
pH alcalino si è rivelata particolarmente utile nel valutare simultaneamente<br />
danni al DNA e capacità di riparo in campioni biologici<br />
di facile reperibilità come i linfociti (5).<br />
In base a queste considerazioni e <strong>sul</strong>l’esperienza acquisita nel<br />
nostro laboratorio nelle diverse applicazioni di tale test, è stato<br />
condotto uno studio rivolto alla valutazione del danno e dell’efficienza<br />
riparativa del DNA in linfociti di soggetti non-fumatori,<br />
fumatori e fumatori passivi (non- ed ex-fumatori). I linfociti, dopo<br />
aver registrato i parametri basali di danno, vengono opportunamente<br />
trattati in vitro con H 2 O 2 e successivamente <strong>sul</strong>le cellule,<br />
messe in condizioni di poter riparare i danni subiti, viene determinata<br />
una cinetica di capacità riparativa.<br />
Materiali e metodi<br />
Lo studio è stato eseguito su linfociti di 165 soggetti sani, lavoratori<br />
d’ufficio (29-56 anni). Di questi, 41 erano fumatori<br />
(21±8 sigarette/die), 47 non fumatori (controlli) e 67 esposti a fumo<br />
passivo (43 non- e 24 ex-fumatori). Ciascun soggetto ha compilato<br />
un questionario in cui venivano registrati modalità e durata<br />
dell’abitudine al fumo, durata di esposizione a fumo passivo,<br />
abitudini alimentari. L’esposizione a fumo attivo e passivo è stata<br />
verificata determinando la nicotina e cotonina urinarie.<br />
Il danno al DNA indotto dall’esposizione è stato stimato mediante<br />
comet test in linfociti isolati da sangue intero eparinizzato.<br />
Dopo aver eseguito la conta e la vitalità cellulare, i linfociti sono<br />
stati stratificati su un vetrino con tecnica “sandwich”, quindi sottoposti<br />
ad elettroforesi submarine. I parametri di danno sono stati<br />
valutati al microscopio in fluorescenza mediante softwere (Comet<br />
Assay II, Perceptive Instruments, UK). Ogni cellula danneggiata<br />
si presenta come una cometa con testa e coda. La lunghezza<br />
e l’intensità di fluorescenza della coda sono correlate al danno<br />
del DNA. I parametri caratterizzanti il danno considerati sono: il<br />
numero di comete, la lunghezza della coda (TL), % di DNA nella<br />
coda (TI), tail moment (TM); quest’ultimo è il prodotto integrato<br />
dei due precedenti parametri. Per ogni soggetto sono state<br />
lette 50 cellule random in due esperimenti separati.<br />
La capacità riparativa viene valutata mediante comet test trattando<br />
i linfociti con H 2 O 2 (0-100-200 µM) per 5 min.; quindi le<br />
cellule vengono mantenute a 37° C per 20 e 60 min per favorire<br />
la riparazione. Il contenuto di GSH totale nei linfociti di ciascun<br />
soggetto è stato determinato mediante test colorimetrico (Calbiochem,<br />
Gluthatione Assay Kit).<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti indicano che i fumatori presentano di base<br />
parametri di danno significativamente superiori ai controlli e<br />
che TM, TI e numero di comete sono positivamente e significativamente<br />
correlati con il numero di sigarette/die. I soggetti<br />
esposti a fumo passivo mostrano livelli dosabili di nicotina e cotinina<br />
nelle urine. Il danno cellulare (TM, TI e numero di comete)<br />
è presente anche nei soggetti esposti a fumo passivo, sia exche<br />
non-fumatori. Gli ex-fumatori esposti a fumo passivo mostrano<br />
una correlazione inversa statisticamente significativa tra<br />
numero di comete e anni di astinenza dal fumo. Il contenuto cellulare<br />
di GSH non differisce medialmente nei diversi gruppi, ma<br />
solo nei fumatori il GSH linfocitario è inversamente e significativamente<br />
correlato con TM e TL. La capacità di riparare i danni<br />
indotti da diverse dosi di H 2 O 2 è stata valutata mediante una<br />
cinetica riparativa (T0, T20 e T60 min). I ri<strong>sul</strong>tati indicano che i<br />
controlli riparano il danno indotto dall’H 2 O 2 a 100 µM in breve<br />
tempo (T20 min) e dopo 60 min a 200 µM. I linfociti provenienti<br />
dai fumatori attivi e passivi (ex- e non-fumatori) ri<strong>sul</strong>tano gravemente<br />
danneggiati da ambedue le dosi di H 2 O 2 : i danni non<br />
vengono riparati neanche dopo 60 min.<br />
Discussione<br />
Numerosi e noti sono i dati della letteratura che indicano che<br />
i linfociti di soggetti fumatori presentano danni al DNA misurabili<br />
mediante diversi test genetici (SCE, CA, micronuclei, comet<br />
test). I ri<strong>sul</strong>tati di questo studio confermano gli effetti genotossici<br />
del fumo, e dimostrano che i parametri di danno cellulare sono<br />
correlati con il numero di sigarette fumate e con la presenza di<br />
nicotina nelle urine, mentre sono inversamente correlati con il<br />
contenuto di GSH, molecola attiva nei processi molecolari di detossificazione.<br />
È da notare che un soggetto dichiaratosi non fumatore,<br />
che presentava bassi livelli di nicotina e cotinina nelle<br />
urine, ma con parametri di danno cellulare al comet test paragonabili<br />
ad un fumatore, ad una successiva intervista affermava di<br />
aver smesso di fumare da cinque giorni. Tale dato fornisce un’ulteriore<br />
conferma che il comet test è particolarmente sensibile nel<br />
rilevare i danni indotti dal fumo di sigaretta.<br />
Recentemente si è dimostrato che anche l’inalazione passiva<br />
di fumo di sigaretta costituisce un fattore di rischio per neoplasie<br />
polmonari. Meno noti sono i dati che indicano che esposizioni a<br />
fumo passivo, di soggetti che non hanno mai fumato o che sono<br />
degli ex-fumatori, possono indurre danni al DNA dei linfociti. I<br />
dati ottenuti evidenziano che i non-fumatori esposti presentano<br />
un danno basale medialmente superiore del 30% rispetto ai controlli,<br />
mentre negli ex-fumatori il danno raggiunge circa il 48%.<br />
Interessante è il dato emerso nel gruppo degli ex-fumatori esposti,<br />
questi presentano una minor percentuale di cellule con cometa<br />
aumentando il tempo trascorso dalla sospensione dal fumo.<br />
Drammatico è il ri<strong>sul</strong>tato ottenuto riguardo l’efficienza riparativa<br />
dei linfociti provenienti dai fumatori attivi e dai non- ed ex-fumatori<br />
esposti: i tre gruppi non riescono a riparare i danni indotti<br />
dall’H 2 O 2 , e i dati indicano che i soggetti che presentano il danno<br />
più consistente sono gli esposti non-fumatori.<br />
Ringraziamenti<br />
Parzialmente supportato da 2003063319-005 MIUR-COFIN 2003.<br />
Bibliografia<br />
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G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 63<br />
S. Fustinoni, R. Mercadante, L. Campo, L. Scibetta, C. Valla, V. Foà<br />
Confronto tra orto-cresolo e toluene urinari come indicatori biologici<br />
di esposizione a toluene aerodisperso<br />
Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano e ICP, Milano<br />
RIASSUNTO. In questo studio sono confrontati,<br />
come indicatori biologici di esposizione a toluene,<br />
l’orto-cresolo e il toluene urinari. Lo studio<br />
è stato condotto su 100 lavoratori dell’industria rotocalcografica<br />
e 87 controlli. Entrambi gli indicatori<br />
discriminano i due gruppi a diversa esposizione.<br />
Sia nei controlli che negli esposti l’abitudine al<br />
fumo di sigaretta influenza l’escrezione di ortocresolo,<br />
ma non quella di toluene urinario. I nostri<br />
ri<strong>sul</strong>tati dimostrano che il toluene urinario è preferibile<br />
all’orto-cresolo per il monitoraggio <strong>biologico</strong><br />
dell’esposizione professionale a toluene.<br />
Parole chiave: toluene, orto-cresolo, esposizione<br />
professionale, rotocalcografia.<br />
ABSTRACT. COMPARISON BETWEEN ORTHO-CRESOL AND TOLUENE<br />
IN URINE AS BIOLOGICAL MARKERS OF EXPOSURE TO TOLUENE IN AIR. Two<br />
different biological markers of exposure to toluene are compared: urinary<br />
ortho-cresol and toluene. The study was performed on 100 rotogravure<br />
workers and 87 employees as controls. Significant differences were<br />
found for the two groups using both markers. Smoking habits affect the<br />
excretion of ortho-cresol but not of urinary toluene. For this reason, urinary<br />
toluene is a better marker of occupational exposure than toluene.<br />
Key words: toluene, ortho-cresol, occupational exposure, rotogravure<br />
industry.<br />
Introduzione<br />
Il toluene è uno dei solventi a maggiore uso industriale al<br />
mondo. Essendo una sostanza neurotossica, la sua esposizione<br />
negli ambienti di lavoro è regolamentata, ed un valore limite pari<br />
a 188 mg/m3 , come valore medio ponderato nel turno di lavoro<br />
(TWA), è consigliato o prescritto da diverse agenzie regolatorie<br />
(1, 2). Il toluene è anche un inquinante ubiquitario degli ambienti<br />
di vita, essendo emesso insieme al gas di scarico dagli autoveicoli.<br />
In questa indagine l’orto-cresolo, un indicatore <strong>biologico</strong><br />
di uso consolidato (1, 2), ed il toluene urinario, suggerito da<br />
numerosi autori come specifico e sensibile indicatore di esposizione<br />
a breve termine (3-5), sono stati confrontati come indicatori<br />
biologici di esposizione a toluene.<br />
Materiali e metodi<br />
Lo studio è stato condotto su 100 lavoratori dell’industria rotocalcografica,<br />
esposti a toluene aerodisperso durante la stampa,<br />
a seguito dell’asciugatura degli inchiostri, ed in 87 soggetti che<br />
svolgono mansioni di ufficio, designati come controlli. L’esposizione<br />
a toluene aerodisperso è stata valutata attraverso un campionamento<br />
personale durante il turno di lavoro. Nello stesso<br />
giorno è stato raccolto un campione di urina a fine turno. Il toluene<br />
e l’orto-cresolo urinario sono stati misurati utilizzando sensibili<br />
procedure analitiche basate <strong>sul</strong>l’estrazione degli analiti dello<br />
spazio di testa del campione, utilizzano la microestrazione in<br />
fase solida, e successiva analisi in gascromatografia-spettrometria<br />
di massa (GC/MS).<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
In Tabella I si riportano i principali parametri statistici ri-<br />
Tabella I. Principali parametri statistici per o-cresolo urinario,<br />
toluene urinario ed esposizione personale a toluene aerodisperso<br />
nelle due categorie di soggetti indagati<br />
guardanti l’esposizione personale a toluene aerodisperso, l’escrezione<br />
di orto-cresolo e di toluene urinari nei soggetti suddivisi<br />
in esposti e controlli. Tutti gli indicatori utilizzati consentono<br />
di discriminare i due gruppi a diversa esposizione. Gli indicatori<br />
biologici sono significativamente correlati con l’esposizione<br />
ambientale (r = 0,64 per orto-cresolo e 0,82 per il toluene<br />
urinario), e tra loro (r = 0,61). Sia nei soggetti di controllo che<br />
negli esposti l’abitudine al fumo di sigaretta influenza l’escrezione<br />
di orto-cresolo, ma non quella di toluene urinario, come<br />
mostrato nella Figura 1.<br />
Figura 1. Orto-Cresolo urinario (mg/g creat) in tutti i soggetti<br />
indagati, suddivisi in base all’esposizione occupazionale e<br />
all’abitudine al fumo di sigaretta<br />
Discussione<br />
Sia l’orto-cresolo che il toluene urinario sono in grado di discriminare<br />
l’esposizione nei due gruppi indagati. Ciononostante,<br />
sebbene l’uso del toluene urinario imponga alcune restrizioni<br />
procedurali relative alla raccolta e preparazione del campione,<br />
esso presenta caratteristiche di maggiore sensibilità e specificità<br />
rispetto all’orto-cresolo, come confermano la mancanza
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
64 www.gimle.fsm.it<br />
di sovrapposizione delle distribuzioni dei valori nei soggetti<br />
esposti e di controllo e la migliore correlazione con l’esposizione<br />
personale a toluene. Inoltre, si conferma che l’orto-cresolo<br />
è influenzato dall’abitudine al fumo di sigaretta, come già<br />
noto in letteratura (6), mentre il toluene urinario non appare influenzato.<br />
I nostri ri<strong>sul</strong>tati dimostrano che il toluene urinario è<br />
preferibile all’orto-cresolo per il monitoraggio <strong>biologico</strong> dell’esposizione<br />
a toluene.<br />
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Hygiene 1 1986; 4: 172-176.<br />
4) Kawai T., Mizunuma K., Okada Y., Horiguchi S., Ikeda M. Toluene<br />
itself as the best urinary marker of toluene exposure. Int. Arch. Occup.<br />
Environ. Health 1996; 68: 289-297.<br />
5) Fustinoni S., Buratti M., Giampiccolo R., Brambilla G., Foà V., Colombi<br />
A. Comparison between blood and urinary toluene as biomarkers<br />
of exposure to toluene. Int. Arch. Occup. Environ. Health<br />
2000; 73: 389-396.<br />
6) Nise G. Urinary excretion of o-cresol and hippuric acid after toluene<br />
exposure in rotogravure printing. Int. Arch. Occup. Environ. Health<br />
1992; 63: 377-381.<br />
Ruolo dei marcatori di turnover osseo nella valutazione del low back pain<br />
Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma<br />
RIASSUNTO. I biomarcatori sono stati utilizzati per decenni nella<br />
ricerca epidemiologica della tossicologia ambientale e occupazionale.<br />
Recentemente si è introdotto l’uso dei biomarcatori anche nello studio<br />
delle patologie muscoloscheletriche lavoro-correlate. È stato sperimentato<br />
che marcatori sufficientemente definiti possono individuare le fasi iniziali<br />
precliniche dei disordini muscoloscheletrici e monitorarne la evoluzione.<br />
L’obbiettivo di questo studio è di valutare il possibile utilizzo di alcuni<br />
marcatori di turnover osseo nella valutazione del low back pain lavoro-correlato.<br />
Parole chiave: biomarcatori di turnover osseo; professionale; lombalgia.<br />
ABSTRACT. USE OF BIOMARKERS OF BONE TURNOVER IN THE AS-<br />
SESSMENT OF LOW BACK PAIN. Biomarkers have been used for decades in<br />
epidemiologic research in environmental and occupational toxicology.<br />
During recent years, the concept of biomarkers for studying mechanisms<br />
of occupational musculoskeletal disorders has gained support. It has been<br />
stated that sufficiently defined biomarkers have the potential to detect<br />
musculoskeletal disorders at an early, preclinical stage and to monitor the<br />
severity in people and populations. The objective of this study is to investigate<br />
the potential of the use of some markers of bone turnover in the<br />
assessment of work-related low back pain.<br />
Key words: biomarkers of bone turnover; occupational; low back<br />
pain.<br />
Introduzione<br />
Il corretto inquadramento diagnostico del low back pain<br />
(LBP) rimane tuttora un problema complesso, tanto più se si<br />
considera il gran numero di lavoratori che ne sono affetti essendo<br />
esposti a rischio di movimentazione manuale dei carichi<br />
(MMC). L’approccio corretto deve essere multispecialistico<br />
con contributi di ambito neurologico, fisiatrico, ortopedico,<br />
reumatologico. Le aspettative riposte nella diagnosi radiologica<br />
sono migliorate solo con la RM che estende la valutazione<br />
radiologica tradizionale limitata alle strutture ossee. Sull’enciclopedia<br />
del BIT, a testimonianza della complessità del problema,<br />
si legge: “è raro che Rx e TC siano d’aiuto nella diagnosi<br />
dato che nella maggior parte dei casi l’origine risiede nei muscoli<br />
e nei legamenti piuttosto che nelle strutture ossee. Di fatto<br />
è molto frequente trovare anomalie ossee in individui che<br />
non hanno mai avuto il mal di schiena. Ascrivere il mal di<br />
schiena ad un assottigliamento del disco o a spondilosi, può<br />
portare ad inutili trattamenti eroici”.<br />
Un ulteriore elemento diagnostico di recente impiego è costituito<br />
dai marcatori bioum<strong>orali</strong> per la valutazione del danno nelle<br />
artropatie lavoro-correlate. Infatti in quest’ultimo decennio numerose<br />
sono state le segnalazioni di marcatori biologici di alterazioni<br />
a carico dell’apparato osteo-articolare che potrebbero essere<br />
utilizzati come indici predittivi della fase di attività delle<br />
osteoartropatie, capaci di monitorarne la evolutività, della sua<br />
stabilizzazione e della risposta alla terapia (1).<br />
Un biomarcatore può essere definito come un indicatore di<br />
alterazioni biochimiche o molecolari che interessano un sistema<br />
<strong>biologico</strong>, in grado di riflettere un evento o una sequenza di eventi<br />
e che può essere dosato in mezzi biologici come i fluidi corporei.<br />
I biomarcatori sono stati usati per decenni nella ricerca epidemiologica<br />
della tossicologia ambientale e fanno parte del patrimonio<br />
dottrinale della Medicina del Lavoro nella convenzionale<br />
accezione di indicatori di esposizione, di effetto e di suscettibilità<br />
(2).<br />
Un biomarcatore per essere utile nella ricerca epidemiologica<br />
e nello screening diagnostico deve essere sensibile, ovvero capace<br />
di individuare alterazioni in fase precoce, specifico, ovvero<br />
indipendente da altri fattori confondenti come l’alimentazione o<br />
disordini metabolici, economico. Marcatori sierologici sensibili e<br />
specifici che valutano l’entità del danno a livello della cartilagine,<br />
del tessuto sinoviale ed osseo di pazienti affetti da artrite reumatoide<br />
(AR) e da osteoartrosi, a fini di prognosi e di monitoraggio<br />
delle varie fasi della malattia, sono utilizzati da molti anni<br />
(1). Recentemente alcuni ricercatori hanno valutato il possibile<br />
impiego di tali biomarcatori quali ad esempio il cheratan solfato,<br />
il PICP e il CTX su popolazioni di lavoratori sottoposti a<br />
stress meccanico del rachide (3, 4). Questi marcatori si dividono<br />
in tre gruppi a seconda della struttura anatomica dell’articolazione<br />
di cui indicano l’alterazione: 1) Marcatori di alterazione ossea;<br />
2) Marcatori di alterazione sinoviale; 3) Marcatori di alterazione<br />
cartilaginea (1).<br />
Nella Tabella I sono riportati, sinteticamente, per apparato<br />
e per tipo alterazione segnalata (a seconda se indicano la sintesi<br />
di nuova matrice o il rimaneggiamento della matrice) i marcatori<br />
più importanti, le note caratteristiche e il loro significato<br />
clinico.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 65<br />
In pazienti affetti da osteoartrosi<br />
del ginocchio, ad esempio, Garnero<br />
e coll. hanno riscontrato un<br />
diminuito turnover osseo, ma un<br />
aumentato turnover sinoviale e cartilagineo:<br />
l’U-Glc-Gal-PYD, specifico<br />
marcatore dell’attività sinoviale,<br />
si rivelò un buon indice predittivo<br />
del dolore e della funzionalità<br />
articolare, mentre elevati livelli di<br />
U-CTX-II, S-PIIINP, e U-Glc-Gal-<br />
PYD si associavano ad un aumentata<br />
perdita di cartilagine (1). Questo<br />
studio confermava i ri<strong>sul</strong>tati di<br />
altre indagini su forme di artrosi<br />
diverse per eziologia e localizzazione.<br />
L’utilizzo del cheratan-solfato<br />
come biomarcatore degli effetti<br />
di un eccessivo stress meccanico<br />
<strong>sul</strong> disco intervertebrale, anche in<br />
ambito occupazionale per la valutazione<br />
diagnostica e preventiva<br />
delle low back pain, sono proposti<br />
da diversi autori (3).<br />
Questi ed altri studi recenti hanno<br />
permesso di distinguere gli eventi<br />
infiammatori da quelli degenerativi<br />
in molte patologie articolari. Ad<br />
esempio, Cunnane e coll. hanno dimostrato<br />
che i livelli di MMP-3 sierica<br />
permettono di studiare gli eventi infiammatori in corso di<br />
AR, mentre le concentrazioni di MMP-1 si correlano con l’andamento<br />
della distruzione ossea e cartilaginea in questa come di altre<br />
patologie articolari (1).<br />
I dati presentati nella tabella indicano che c’è un consistente<br />
fondamento razionale che spinge a ritenere che i marcatori bioum<strong>orali</strong><br />
di turnover osseo, cartilagineo e sinoviale siano utilizzabili<br />
in Medicina del Lavoro nell’ambito della valutazione di condizioni<br />
di sovraccarico della colonna vertebrale, quali la MMC,<br />
l’impiego di strumenti vibranti, vibrazioni trasmesse a tutto il<br />
corpo. Più promettenti sembrano essere il propeptide amino-terminale<br />
del procollagene di tipo I (PINP) e il telopeptide carbossi-terminale<br />
(ICTP) (4).<br />
F. Gobba 1, 2 , M. Scaringi 1 , L. Roccatto 2<br />
Bibliografia<br />
1) Young-Min S A, Cawston T E, Griffiths I D. Markers of joint destruction:<br />
principles, problems, and potential. Ann Rheum Dis 2001;<br />
60: 545-549.<br />
2) Mastin JP, Henningsen GM, Fine LJ. Use of biomarkers of occupational<br />
musculoskeletal disorders in epidemiology and laboratory animal model<br />
development. Scand J Work Environ Health 1992; 18 (Suppl) 2: 85-7.<br />
3) Kuiper J I, Verbeek A. M., Frings-Dresen M. H. W., Klein Ikkink A.<br />
J. Keratan Sulfate as a potential biomarker of loading of the intervertebral<br />
disc. Spine 1998; 23: 657-663.<br />
4) Kuiper J I et al. Physical workload of student nurses and serum<br />
markers of collagen metabolism. Scand J Work Environ Health 2002;<br />
28(3): 168-175.<br />
Effetto della esposizione occupazionale a campi magnetici a 50 Hz<br />
<strong>sul</strong>la escrezione urinaria di 6-idrossimelatonina solfato<br />
1 Cattedra di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Scienze Igienistiche, Università di Modena e Reggio Emilia<br />
2 Dottorato di Ricerca in Sanità Pubblica, Università di Modena e Reggio Emilia<br />
RIASSUNTO. In 73 lavoratori è stata stimata la esposizione a campi<br />
magnetici ELF con dosimetri personali, e la secrezione di melatonina mediante<br />
dosaggio della 6-idrossimelatonina solfato (6-OHMS) in campioni<br />
di urina raccolti il venerdì mattina e il lunedì mattina successivo. Nei campioni<br />
del venerdì non è stata osservata alcuna variazione della melatonina<br />
in funzione dell’esposizione; né è stata rilevata alcuna variazione del 6-<br />
OHMS tra venerdì, in corso di esposizione, e lunedì, in assenza di esposizione<br />
professionale. I ri<strong>sul</strong>tati non evidenziano alcuna relazione tra indicatore<br />
<strong>biologico</strong> ed esposizione professionale a campi magnetici ELF.<br />
Tabella I. Marcatori biochimici di turnover osseo, cartilagineo e sinoviale<br />
Legenda: PINP, propeptide amino-terminale del procollagene di tipo I; PICP, propeptide carbossi-terminale; ALP ossea,<br />
fosfatasi alcalina ossea; DPYD, deossi-piridolina; PYD, piridolina; Glc-Gal-PYD, glucosil-galattosil-piridolina;<br />
NTX, telopeptide N-terminale del collageno di tipo I-2; CTX, telopeptide C-terminale del collageno di tipo I-1; BSP,<br />
sialoproteina ossea; PIICP, propeptide carbossi-terminale del procollageno di tipo II; PIIANP, propeptide amino-terminale<br />
del procollageno di tipo IIA; YKL-40, frammenti della proteina core di aggrecano; CTX-II, telopeptide C-terminale<br />
del collageno di tipo II; COMP, proteina oligomerica della cartilagine; MMP, metalloproteinasi della matrice;<br />
TIMP, inibitori delle metalloproteinasi della matrice; PIIIINP, propeptide amino-terminale del procollageno di tipo III.<br />
Parole chiave: campi magnetici ELF, 6-idrossimelatonina solfato,<br />
escrezione urinaria, esposizione professionale.<br />
ABSTRACT. EFFECT OF THE OCCUPATIONAL EXPOSURE TO ELF-MF<br />
ON THE URINARY EXTRETION OF 6-HYDROXYMELATONIN SULFATE. In 73<br />
workers, extremely low frequency- magnetic fields (ELF-MF) exposure<br />
was monitored during 3 consecutive work-shifts using personal dosimeters.<br />
Melatonin secretion was evaluated by measuring 6-hydroxymelatonin<br />
<strong>sul</strong>fate (6-OHMS) in samples of urine collected on Friday morning
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
66 www.gimle.fsm.it<br />
and on the following Monday morning. No relation between 6-OHMS and<br />
exposure was observed in the Friday samples. No difference was observed<br />
in 6-OHMS values on Friday, during exposure, and on Monday, in absence<br />
of occupational exposure. The re<strong>sul</strong>ts do not support the hypothesis that<br />
ELF-MF occupational exposure may affect melatonin excretion.<br />
Key words: ELF electromagnetic fields, 6-hydroxymelatonin <strong>sul</strong>fate,<br />
urinary excretion, occupational exposure.<br />
Introduzione<br />
Sebbene alcuni studi epidemiologici suggeriscano un aumento<br />
del rischio di talune patologie, quali le leucemie o la depressione,<br />
in relazione alla esposizione occupazionale a campi magnetici<br />
indotti dalla corrente elettrica (Extremely Low Frequency<br />
o ELF), i ri<strong>sul</strong>tati della ricerca sono molto contrastanti (1). Uno<br />
dei principali problemi nella valutazione complessiva dei dati è<br />
la mancata dimostrazione di un meccanismo patogenetico. Tra i<br />
meccanismi ipotizzati, quello che ha destato maggiore interesse è<br />
una possibile interferenza degli ELF <strong>sul</strong> picco notturno della melatonina;<br />
i ri<strong>sul</strong>tati degli studi finora condotti, però, sono contrastanti<br />
ed inconclusivi (1). Una delle principali critiche mosse agli<br />
studi sugli effetti degli ELF, che potrebbe spiegare la scarsa coerenza<br />
dei ri<strong>sul</strong>tati, è una inaccuratezza nella valutazione dell’esposizione,<br />
spesso basata su dati qualitativi o su misurazioni inadeguate<br />
(2). Per superare tale problema può essere adottata la dosimetria<br />
personale che, sebbene relativamente costosa e complessa<br />
dal punto di vista organizzativo, è certamente molto più<br />
rappresentativa della esposizione individuale. In questo lavoro<br />
presentiamo i ri<strong>sul</strong>tati di uno studio sugli effetti della esposizione<br />
occupazionale a campi magnetici ELF a carico della secrezione<br />
di melatonina. L’esposizione è stata misurata mediante campionamento<br />
personale protratto per più turni lavorativi.<br />
Materiali e metodi<br />
Sono stati studiati 73 lavoratori, addetti a 17 diverse mansioni<br />
in vari comparti produttivi e nei servizi. L’anamnesi lavorativa,<br />
fisiologica e patologica è stata raccolta mediante questionario. Sono<br />
stati esclusi i lavoratori con forme neoplastiche anche pregresse<br />
e quelli con patologie, o che facevano uso di farmaci in grado<br />
di interferire con la melatonina, od addetti a turni notturni. L’esposizione<br />
ai campi magnetici ELF è stata misurata con campionatori<br />
personali EMDEX LITE (Enertech Con<strong>sul</strong>tants, Cambpell,<br />
CA, USA) indossati alla cintura per tre turni lavorativi (intervallo<br />
di campionamento: 10 secondi). I valori di esposizione sono<br />
espressi come Time Weighted Average (TWA). La secrezione di<br />
melatonina è stata valutata attraverso il dosaggio del suo principale<br />
metabolita, la 6-idrossimelatonina solfato (6-OHMS), in<br />
campioni della prima urina del venerdì mattina (per valutare l’eventuale<br />
effetto correlato alla esposizione professionale ad ELF),<br />
e del lunedì successivo (al fine di verificare i valori in assenza di<br />
esposizione professionale). I dosaggi sono stati effettuati con il<br />
metodo radioimmunologico di Aldous e Arendt (3). È stata misurata<br />
anche la creatinina. L’escrezione di 6-OHMS è stata espressa<br />
in funzione della creatinina urinaria (ng/mg di creatinina).<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
I lavoratori sono stati suddivisi in 3 gruppi in funzione dell’esposizione:<br />
≤ 0,2 µT, 0,2 - 1 µT e ≥ 1 µT. Non è stata osservata<br />
alcuna differenza significativa nei valori di 6-OHMS urinario<br />
tra i gruppi a differente esposizione nei campioni raccolti al venerdì<br />
né in quelli del lunedì (Tabella 1). Mediante analisi per dati<br />
appaiati è stata anche esclusa una variazione significativa tra i<br />
valori di 6-OHMS al venerdì ed al lunedì nello stesso individuo.<br />
L’assenza di una relazione tra valori di 6-OHMS ed esposizione<br />
è confermata anche con analisi della regressione multipla. Infine,<br />
un’eventuale relazione tra variazione lunedì/venerdì della melatonina<br />
ed esposizione è stata ulteriormente studiata calcolando,<br />
per ogni lavoratore, il rapporto tra i valori del 6-OHMS al venerdì<br />
ed al lunedì ed i valori di esposizione TWA: anche in questo caso,<br />
però, non è stata riscontrata alcuna differenza significativa tra<br />
i gruppi a differente esposizione (Tabella 1). L’assenza di una tale<br />
relazione significativa è stata confermata mediante analisi della<br />
regressione multipla.<br />
Discussione e Conclusioni<br />
L’esposizione a campi magnetici ELF non sembra influenzare<br />
l’escrezione di 6-OHMS urinaria. I ri<strong>sul</strong>tati non possono essere<br />
stati influenzati da fattori noti in grado di interferire <strong>sul</strong>la melatonina,<br />
quali turni notturni, malattie e/o uso di farmaci, che sono<br />
stati esclusi mediante selezione preliminare del campione.<br />
Anche l’interferenza di fattori quali età, sesso, durata del sonno,<br />
fumo ed alcool è stata controllata mediante studio dell’analisi<br />
multivariata. Il problema della inaccuratezza della stima dell’esposizione<br />
è stato affrontato effettuando un campionamento personale<br />
per più turni lavorativi completi. La secrezione di melatonina<br />
è stata stimata mediante dosaggio RIA della 6-OHMS, che<br />
rappresenta la metodica applicata negli studi recenti <strong>sul</strong>la melatonina<br />
e <strong>sul</strong>le sue variazioni connesse a fattori ambientali. Per tutte<br />
queste ragioni riteniamo che i ri<strong>sul</strong>tati ottenuti riflettano correttamente<br />
l’effettivo fenomeno <strong>biologico</strong>. Il possibile effetto dei<br />
campi magnetici ELF <strong>sul</strong>la melatonina rimane controverso (1, 2):<br />
i nostri dati non sono indicativi di alcuna interferenza della esposizione<br />
professionale <strong>sul</strong>la secrezione di quest’ormone.<br />
Bibliografia<br />
Tabella I. Valori di 6-OHMS (ng/mg di creatinina)<br />
misurati il venerdì e lunedì mattina in lavoratori<br />
a diversa esposizione a ELF<br />
ESPOSIZIONE VENERDI LUNEDI<br />
RAPP.<br />
LUN/VEN<br />
N media ± DS N media ± DS N media ± DS<br />
≤ 0,2 µT 31 27,75 8,97 31 28,93 11,23 26 1,04 0,49<br />
0,2 µT < 1 µT 21 33,46 13,80 15 31,01 12,61 14 1,16 0,33<br />
≥ 1 µT 8 33,84 8,01 13 37,51 12,46 7 1,00 0,45<br />
I valori si riferiscono a campioni di urina raccolti il venerdi mattina ed il lunedì successivo<br />
e al rapporto tra i valori del venerdì e del lunedì. Né i valori di 6-OHMS al<br />
Venerdì e al Lunedì, né il loro rapporto differiscono significativamente tra i gruppi<br />
a differente esposizione.<br />
1) NRPB: ELF Electromagnetic Fields and the Risk of Cancer. National<br />
Radiological Protection Board, Doc NRPB 2001;12(1).<br />
2) ICNIRP. International Commission for Non Ionizing Radiation Protection.<br />
Standing Committee on Epidemiology: Review of the Epidemiologic<br />
Literature on EMF and Health. Environ Health Perspect.<br />
2001; 109 (Suppl 6): 911-33.<br />
3) Aldous M.E., Arendt J. Radioimmunoassay for 6-<strong>sul</strong>phatoxymelatonin<br />
in urine using an iodinated tracer. Ann.Clin.Biochem.1988; 25:<br />
298-303.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 67<br />
M. Goldoni 1,2 , S. Catalani 3 , G. De Palma 1,2 , P. Manini 1,2 , O. Acampa 2 , M. Corradi 1,2 , R. Bergonzi 3 , P. Apostoli 3 , A. Mutti 2<br />
Il condensato dell’aria espirata come nuova matrice per la determinazione<br />
d’indicatori di dose e d’effetto in lavoratori esposti a cobalto e tungsteno<br />
1 Centro Studi e Ricerche I.S.P.E.S.L., Università di Parma<br />
2 Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione, Università di Parma<br />
3 Dipartimento di Medicina Sperimentale ed Applicata, Università di Brescia<br />
RIASSUNTO. Lo scopo dello studio era valutare se il condensato<br />
dell’aria espirata (CAE) possa essere proposto come nuova matrice biologica<br />
per valutare indicatori di dose ed effetto in lavoratori esposti a metalli<br />
duri, quali cobalto (Co) e tungsteno (W), usando la malondialdeide<br />
(MDA) come indicatore di danno ossidativo polmonare. I livelli di Co e<br />
W nel CAE a fine turno erano più elevati rispetto ai livelli osservati prima<br />
del turno lavorativo. I livelli di MDA nel CAE erano positivamente<br />
correlati con la concentrazione di Co nel CAE ma non con i livelli di Co<br />
nell’urina. Questi dati indicano la utilità del CAE per integrare le procedure<br />
di monitoraggio <strong>biologico</strong> sui lavoratori esposti.<br />
Parole chiave: espirato condensato, cobalto, tungsteno, malondialdeide,<br />
monitoraggio <strong>biologico</strong>.<br />
ABSTRACT. EXHALED BREATH CONDENSATE AS A NEW MATRIX FOR<br />
ASSESSING DOSE AND EFFECT MARKERS IN WORKERS EXPOSED TO COBALT<br />
AND TUNGSTEN. The study was performed to assess whether exhaled<br />
breath condensate (EBC) could be used as a suitable matrix for evaluating<br />
tissue dose and effects in workers exposed to cobalt (Co) and tungsten<br />
(W), using EBC malondialdehyde (MDA) as a biomarker of lung<br />
oxidative stress. Co and W in EBC were higher at the end of the work<br />
shift in comparison to pre-exposure values and MDA levels were correlated<br />
with Co levels in EBC. This correlation, however, was not observed<br />
with urinary concentration of either element. The re<strong>sul</strong>ts suggest the usefulness<br />
of EBC for integrating traditional biomonitoring among exposed<br />
workers.<br />
Key words: exhaled breath condensate (EBC), cobalt, tungsten, malondialdehyde,<br />
biological monitoring.<br />
Introduzione<br />
L’esposizione professionale a cobalto (Co) può portare a<br />
varie affezioni polmonari, quali la polmonite, la fibrosi e l’asma<br />
bronchiale. Anche se i meccanismi della tossicità polmonare<br />
indotta dal Co non sono completamente noti, dati sia in<br />
vivo che in vitro sembrano dimostrare che il Co induca la generazione<br />
di specie reattive dell’ossigeno (ROS), con conseguente<br />
stress ossidativo. Inoltre, sembra che la generazione di<br />
ROS indotta dal Co sia potenziata dalla co-esposizione a tungsteno<br />
(W), in particolare a carburo di W, attraverso un mecca-<br />
nismo fisico-chimico di<br />
interazione. Il Co e il W<br />
sono essenzialmente assorbiti<br />
per via inalatoria,<br />
ed in minor parte per via<br />
cutanea e digestiva. I<br />
metalli sono poi escreti<br />
per via urinaria, e la loro<br />
determinazione è attualmente<br />
utilizzata per il<br />
monitoraggio <strong>biologico</strong><br />
nei lavoratori esposti.<br />
Tuttavia, i livelli di Co e<br />
W nell’urina costituiscono<br />
un indicatore di<br />
dose sistemica, e non di<br />
dose al bersaglio, in questo caso il polmone. Il condensato<br />
dell’aria espirata (CAE), liquido che si forma raffreddando<br />
l’esalato, è stato proposto come nuovo metodo per campionare<br />
il fluido di rivestimento bronco-polmonare, quindi potenzialmente<br />
utile per ottenere informazioni <strong>sul</strong>la dose e <strong>sul</strong>l’effetto<br />
al bersaglio.<br />
Lo scopo del presente studio è stato valutare se il CAE possa<br />
essere utilizzato per la determinazione di indicatori di esposizione,<br />
come Co e W, e di effetto, come la malondialdeide (MDA)<br />
quale indicatore di stress ossidativo, in lavoratori esposti a metalli<br />
duri.<br />
Materiali e metodi<br />
Trentatrè lavoratori esposti a Co e W nella lavorazione di<br />
utensili diamantati e di parti meccaniche hanno partecipato a questo<br />
studio. Ogni soggetto è stato valutato all’inizio e alla fine di<br />
una tipica giornata lavorativa. Durante ogni valutazione i soggetti<br />
hanno raccolto il CAE ed un campione di urina. Campioni di<br />
urina e di CAE sono anche stati raccolti in un gruppo di soggetti<br />
sani professionalmente non esposti a metalli duri (gruppo di controllo).<br />
Il CAE è stato raccolto raffreddando l’aria espirata a volume<br />
corrente in un apposito “device” di polipropilene. Il Co, il<br />
We la MDA nel CAE sono stati analizzati con i metodi analitici<br />
basati <strong>sul</strong>la spettrometria di massa.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
La Tabella I riassume i dati relativi al monitoraggio <strong>biologico</strong>.<br />
Nel CAE dei soggetti di controllo, il Co era rilevabile a livelli<br />
molto bassi, mentre il W non era dosabile. Nei lavoratori esposti,<br />
i livelli di Co nel CAE variavano da alcuni a diverse centinaia<br />
di nmol/L. I corrispettivi livelli di W nel CAE andavano da livelli<br />
non dosabili a parecchie decine di nmol/L. I livelli sia di Co che<br />
di W nel CAE e nell’urina erano più alti alla fine del turno lavorativo<br />
rispetto all’inizio del turno.<br />
Tabella I. Livelli di indicatori biologici a fine turno lavorativo nel CAE e nell’urina<br />
dei lavoratori esposti e dei controlli. I dati sono espressi come mediana e interquartili
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
68 www.gimle.fsm.it<br />
Figura 1. Correlazione tra concentrazione di MDA e quella<br />
di Co nel CAE di lavoratori<br />
Nel CAE, i livelli di MDA erano positivamente correlati<br />
con i rispettivi livelli di Co, e laddove era presente co-esposizione<br />
a W, questa determinava un ulteriore incremento nei livelli<br />
di MDA (Figura 1). Al contrario, i livelli di MDA nel<br />
CAE non correlavano con le concentrazioni urinarie di Co<br />
(Figura 2).<br />
C. Grandi, N. Vonesch, S. Signorini<br />
Figura 2. Correlazione tra concentrazione di MDA nel CAE e<br />
quella di Co nell’urina dei lavoratori<br />
Conclusioni<br />
Questi ri<strong>sul</strong>tati indicano l’utilità potenziale del CAE come<br />
nuova matrice da utilizzare per il monitoraggio <strong>biologico</strong> e per le<br />
procedure di controllo sanitario fra i lavoratori esposti alle miscele<br />
di metalli duri.<br />
Impiego di biosensori nel monitoraggio dell’esposizione lavorativa<br />
ad agenti biologici: analisi della letteratura<br />
ISPESL, Dipartimento Medicina del Lavoro, Monteporzio Catone (RM)<br />
RIASSUNTO. L’aria rappresenta uno dei principali veicoli per le infezioni<br />
nosocomiali, il cui controllo può porre problemi in parte simili a quelli<br />
relativi all’identificazione e al monitoraggio dei contaminanti biologici aerodispersi<br />
negli ambienti confinati. Le attuali metodologie di campionamento<br />
e quantificazione degli agenti biologici nell’aria ambiente presentano<br />
una serie di limitazioni che possono essere superate dall’impiego di metodi<br />
innovativi. Tra questi, i biosensori sono i più promettenti. Al momento, sono<br />
stati allestiti una serie di immunosensori e di sensori a DNA per rilevare<br />
specifici ceppi batterici e virali, ma tutti evidenziano alcuni tipi di limitazione.<br />
La sfida è rappresentata dalla messa a punto di biosensori in grado di<br />
operare in fase gassosa, con elevata specificità e sensibilità, possibilità di misure<br />
ripetute, controllo in remoto, rapidità di misura e bassi costi.<br />
Parole chiave: biosensori, agenti biologici, infezioni nosocomiali.<br />
ABSTRACT. USE OF BIOSENSORS IN THE ASSESSMENT OF OCCUPA-<br />
TIONAL EXPOSURE TO BIOLOGICAL AGENTS: REVIEW OF THE LITERATURE.<br />
Air is one of the most important vehicle for nosocomial infections, whose<br />
control may pose problems partly similar to those concerning the identification<br />
and monitoring of airborne biological contaminants in indoor<br />
environments. The current methodologies for sampling and quantifying<br />
biological agents in ambient air have various limitations which can be<br />
overcome by innovative methods, of which biosensors are the most promising.<br />
A series of immunosensors and DNA sensors have been set up to<br />
monitor specific strains of bacteria and viruses, but all demonstrate some<br />
disadvantages. The challenge is to create biosensors capable of operating<br />
in gaseous phase, with high specificity and sensitivity, capable of repeated<br />
and rapid measures, remote control, and low costs.<br />
Key words: biosensors, biological agents, nosocomial infections.<br />
Introduzione<br />
Negli ambienti di lavoro l’aria rappresenta un importante veicolo<br />
per agenti biologici. In particolare negli ambienti di lavoro<br />
confinati è importante rilevare sia la carica microbica totale (indice<br />
di tipo igienistico) sia la ricerca di specie o ceppi che possono<br />
assumere rilevanza per quanto riguarda il rischio di infezioni<br />
in relazione al settore di attività. I metodi di determinazione disponibili<br />
(soprattutto quelli basati <strong>sul</strong> campionamento attivo dell’aria<br />
e <strong>sul</strong>la messa in coltura, identificazione e conta microbica)<br />
per quanto ruotinariamente utilizzati non sono ancora in molti casi<br />
standardizzati e validati (1) e presentano limitazioni in riferimento<br />
ad accuratezza, precisione, tempi di esecuzione, necessità<br />
di strutture laboratoristiche adeguate, costi. Metodi innovativi basati<br />
su campionamento e misura di costituenti macromolecolari<br />
microbici non sono ancora stati validati, necessitano di dotazioni<br />
laboratoristiche e possono presentare costi elevati (2).<br />
Le infezioni nosocomiali sono definite come infezioni acquisite<br />
durante la degenza in ospedale, che non sono presenti o in fase<br />
di incubazione al momento dell’ammissione nella struttura sanitaria.<br />
Tali infezioni interessano prevalentemente i pazienti ospedalizzati,<br />
ma possono anche essere acquisite, meno frequentemente, dal<br />
personale sanitario coinvolto nell’assistenza (3). Il controllo delle<br />
infezioni ospedaliere è parte del più generale programma di controllo<br />
delle contaminazioni biologiche in ambiente sanitario. Parte<br />
imprescindibile di tale programma è rappresentata dal monitoraggio<br />
dei livelli di contaminazione, sia generali (cariche microbiche)<br />
sia specifici (ricerca di singole specie e/o ceppi), non solo per<br />
quanto riguarda le matrici biologiche del paziente, gli indumenti, i<br />
supporti e presidi sanitari e le superfici esposte, ma anche in relazione<br />
all’aria ambiente, che rappresenta un veicolo non secondario<br />
per numerosi agenti infettanti e investe le problematiche più generali<br />
del controllo micro<strong>biologico</strong> negli ambienti confinati (indoor).<br />
In questo contesto si ritiene che un approccio di svolta ai problemi<br />
posti dal monitoraggio microbico in aria possa essere rap-
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 69<br />
presentato dalla messa a punto di biosensori per la determinazione<br />
diretta di agenti biologici nell’aria ambiente.<br />
Biosensori per la determinazione di agenti biologici<br />
Per biosensore si intende un dispositivo analitico costituito da<br />
un elemento sensibile di natura biologica (sensore) accoppiato ad<br />
un trasduttore di segnale. Il sensore può essere rappresentato da<br />
un enzima che catalizza una specifica reazione che coinvolge la<br />
molecola dell’analita, da un anticorpo che lega in modo specifico<br />
la molecola dell’analita, da cellule batteriche in grado di utilizzare<br />
l’analita come substrato, da sequenze oligonucleotidiche in grado<br />
di legare sequenze complementari o di subire modificazioni<br />
chimiche a contatto con alcune classi di analiti (genotossici), etc.<br />
Il trasduttore è interfacciato direttamente all’elemento sensibile<br />
ed è in grado di convertire il segnale biochimico di quest’ultimo<br />
in un segnale di tipo diverso, elettrico o ottico (elaborato e visualizzato<br />
su display o trasmesso a postazioni remote). I vantaggi potenziali<br />
connessi all’impiego di biosensori nelle determinazioni<br />
analitiche sono riassumibili in: 1) elevata specificità e sensibilità;<br />
2) rapidità di risposta; 3) eliminazione della fase di pretrattamento<br />
del campione; 4) possibilità di determinazione ripetute o, al limite,<br />
in continuo; 5) compattezza e portatilità del dispositivo; 6) possibilità<br />
di trasmissione dei dati a distanza on line; 7) costi ridotti.<br />
Numerose rassegne sono disponibili in letteratura <strong>sul</strong>lo stato<br />
dell’arte o sugli sviluppi di ricerca per quanto riguarda specifici<br />
ambiti di impiego (fondamentalmente clinico, del controllo alimentare<br />
e della ricerca di inquinanti nelle acque e dei suoli) o categorie<br />
di biosensori (4, 5). Relativamente a biosensori per rilevare<br />
microrganismi, virus e agenti biologici in generale l’ambito<br />
che ha ricevuto maggior impulso è quello legato alla sicurezza<br />
alimentare, in relazione all’identificazione di contaminazioni microbiche<br />
di alimenti come latte e carni da parte di specie quali E.<br />
coli e Salmonella. Anche le acque reflue (controllo ambientale) e<br />
i fluidi biologici (diagnostica clinica) sono sempre più oggetto di<br />
ricerca in relazione alla messa a punto di biosensori per l’identificazione<br />
e la quantificazione di agenti biologici (6).<br />
I biosensori per agenti biologici allestiti fino ad ora sono riconducibili<br />
a due fondamentali classi: ad anticorpi e ad acidi nucleici.<br />
In relazione ai primi si dispone dell’esperienza più consolidata.<br />
Anticorpi specifici nei confronti di antigeni di superficie<br />
(proteine batteriche e/o virali) sono immobilizzati su supporto e<br />
accoppiati ad un sistema di trasduzione. Le prestazioni, soprattutto<br />
in termini di sensibilità, di intervallo dinamico e di rigenerazione<br />
dell’elemento sensibile sono molto variabili, in relazione<br />
alla natura del complesso antigene-anticorpo, al sistema di trasduzione<br />
e alla matrice di indagine. In alcuni casi sono confrontabili<br />
con quelle di metodi ormai consolidati (es. saggio ELISA)<br />
o addirittura superiori (7). Attualmente la messa a punto di sensori<br />
capaci di operare in aria è ostacolata dalla necessità della<br />
presenza di una matrice liquida a livello della quale possa avvenire<br />
il legame antigene-anticorpo.<br />
I biosensori ad acidi nucleici hanno una struttura di base costituita<br />
da sequenze oligonucleotidiche a singolo filamento immobilizzate<br />
su supporto (che può fungere o meno da trasduttore). Il legame<br />
a dette sequenze di sequenze complementari o di parti di sequenze<br />
complementari (sequenze target) determina una modificazione<br />
(aumento di massa, variazione di potenziale, variazione della<br />
frequenza basale di oscillazione) che può essere trasdotta in segnale<br />
elettrico o ottico. Le problematiche operative connesse alla<br />
preparazione di sensori ad acidi nucleici (genosensori) sono state<br />
recentemente prese in rassegna (8). La sequenza complementare da<br />
rilevare è costituita nella maggior parte dei casi dalla sequenza di<br />
un gene caratteristico di una determinata specie o ceppo microbico<br />
o da una sequenza di DNA virale. Di solito il sensore è accoppiato<br />
con un elettrodo, ma sono stati realizzati sensori a DNA abbinati a<br />
sistemi di trasduzione diversi. I biosensori ad acidi nucleici hanno<br />
il vantaggio di un’elevatissima specificità e richiedono tempi ridotti.<br />
Possono però presentare problemi per quanto riguarda la rigenerazione<br />
dell’elemento sensibile: è infatti necessario dissociare<br />
l’ibrido formatosi tra la sequenza bersaglio e la sequenza sensing.<br />
Idealmente la sensibilità di questi dispositivi consente di rilevare la<br />
presenza di una singola sequenza target presente nella matrice liquida.<br />
La sequenza bersaglio deve però trovarsi libera nel mezzo:<br />
ciò implica di solito la necessità di una fase di estrazione degli acidi<br />
nucleici dalle cellule batteriche o dalle particelle virali. L’estrazione<br />
potrebbe non essere necessaria se nel mezzo è presente acido<br />
nucleico libero derivato da morte e sfaldamento di alcuni dei<br />
corpi cellulari batterici o da disgregazione di particelle virali. In secondo<br />
luogo, per la maggior parte dei sistemi realizzati finora è in<br />
pratica necessaria una fase di amplificazione preanalitica della sequenza<br />
bersaglio eventualmente presente tramite PCR. Infine la sequenza<br />
bersaglio deve essere a singolo filamento, allo scopo di permettere<br />
l’ibridazione con la sequenza sensing: ciò implica una fase<br />
di denaturazione post-amplificazione.<br />
Conclusioni<br />
Il panorama tracciato è in rapida evoluzione. La miniaturizzazione<br />
dei dispositivi e l’ottimizzazione delle fasi di realizzazione<br />
e montaggio della componentistica stanno portando anche<br />
ad una progressiva contrazione dei costi. Nell’insieme i sensori a<br />
DNA per agenti biologici realizzati assicurano per ora un importante<br />
vantaggio: l’eliminazione della corsa elettroforetica degli<br />
amplificati e della successiva identificazione delle bande, con sostanziale<br />
riduzione dei tempi di analisi e della dotazione strumentale<br />
necessaria.<br />
Un ambito gravido di rapidi sviluppi è rappresentato dalla<br />
realizzazione di sensori multisequenza tramite l’allestimento di<br />
DNA arrays, in grado di rilevare simultaneamente più sequenze<br />
di acido nucleico e quindi potenzialmente più di un agente <strong>biologico</strong><br />
in contemporanea. L’altro ambito (di difficile percorso ma<br />
fortemente innovativo) è dato dall’allestimento di sensori a DNA<br />
per la determinazione di sequenze di acido nucleico libere in aria,<br />
indispensabile <strong>sul</strong>la base dell’insieme delle considerazioni fin qui<br />
formulate per il monitoraggio di agenti microbici, inclusi quelli<br />
responsabili di infezioni nosocomiali. Dai dati emersi fino ad oggi<br />
per entrambe le categorie di biosensori (ad acido nucleico o ad<br />
anticorpi) si evidenziano in ogni caso prospettive interessanti a<br />
fronte delle criticità riscontrate.<br />
Bibliografia<br />
1) Pasquarella C, Pitzurra O, Savino A. The index of microbial air contamination.<br />
J Hosp Infect 2000; 46: 241-256.<br />
2) Douwes J, Thorne P, Pearce N, Heederik D. Bioaerosol health effects<br />
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3) World Health Organization. Prevention of hospital-acquired infections.<br />
A practical guide 2 nd edition. WHO, 2002:<br />
http://www.who.int/emc.<br />
4) Nakamura H, Karube I. Current research activity in biosensors. Anal<br />
Bioanal Chem 2003; 377: 446-468.<br />
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for environmental monitoring of endocrine disruptors: a review<br />
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6) D’souza SF. Microbial biosensors. Biosens Bioelectron 2001; 16:<br />
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tools in the food and drink industries. Food Chem 2002; 77: 237-256.<br />
8) Lucarelli F, Marrazza G, Turner AP, Mascini M. Carbon and gold<br />
electrodes as electrochemical transducers for DNA hybridisation<br />
sensors. Biosens Bioelectron 2004; 19: 515-530.
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
70 www.gimle.fsm.it<br />
G. Lacca 2 , A. Provenzani 2 , S. Schillaci 1 , M.G. Verso 1 , D. Picciotto 1<br />
Prevalenza di anticorpi anti-HCV ed anti-HBV nei lavoratori<br />
della sanità di un nosocomio palermitano<br />
1 Sezione di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Medicina Clinica e delle Patologie Emergenti Università degli Studi di Palermo<br />
2 Dipartimento di Scienze Farmacologiche, Università degli Studi di Palermo<br />
RIASSUNTO. Scopo del presente lavoro è quello di stimare la prevalenza<br />
del rischio dell’infezione da HCV ed HBV del personale sanitario<br />
di un ospedale di Palermo confrontando tale ri<strong>sul</strong>tato con un gruppo<br />
di controllo costituito da donatori di sangue italiani. Dallo studio è emerso<br />
che la prevalenza nei lavoratori della sanità è ri<strong>sul</strong>tato inferiore di circa<br />
la metà rispetto a quella dei donatori di sangue. È nostra opinione,<br />
quindi, che le misure preventive, già attuate tra il personale sanitario, siano<br />
state efficaci ed attente.<br />
Parole chiave: HCV e HBV prevalenza, personale sanitario.<br />
ABSTRACT. PREVALENCE OF ANTI-HCV AND ANTI-HBV ANTI-<br />
BODY IN A HOSPITAL’S SANITARY PERSONNEL<br />
The project aim is to estimate HCV and HBV infection risk prevalence,<br />
in a hospital’s sanitary personnel, in comparison with a control<br />
group consisting in Italian blood donors. We conclude that the sanitary<br />
personnel prevalence is lower than blood donors one.We are of opinion<br />
that preventive measures, carried out in sanitary personnel, are efficacious<br />
and accurate.<br />
Key words: HCV and HBV prevalence, sanitary personnel.<br />
Introduzione<br />
Il virus dell’epatite B è il principale rischio infettivo in ambiente<br />
ospedaliero, sia per frequenza che per gravità. È ormai ampiamente<br />
documentato nella letteratura scientifica che l’epatite virale<br />
B insorge negli operatori sanitari con una frequenza maggiore rispetto<br />
alla popolazione generale (3). In particolare il rischio di contrarre<br />
un’epatite virale è maggiore per il personale di laboratorio,<br />
per coloro che lavorano in sala autoptica e per chi opera in ambiente<br />
chirurgico rispetto a coloro che operano in ambiente medico. Il<br />
pericolo è legato all’esposizione ed alla manipolazione di materiale<br />
<strong>biologico</strong> (derivati ematici) di pazienti infetti. I veicoli più importanti<br />
dell’infezione sono rappresentati dal sangue e dai suoi derivati.<br />
Oltre alla via parenterale apparente (ferite con aghi, bisturi, forbici<br />
e/o altro materiale infetto) è ammessa una via parenterale inapparente<br />
da penetrazione del virus attraverso lesioni di continuo difficilmente<br />
individuabili di cute e mucose venute a contatto con materiale<br />
<strong>biologico</strong> infetto (1). Anche lo sperma e le secrezioni vaginali,<br />
la saliva, le lacrime ed il sudore dei soggetti infetti possono<br />
contenere quantità potenzialmente infettanti di virus (3).<br />
La trasmissione del virus C avviene per via parenterale. La<br />
maggiore fonte di infezione è costituita dalla trasfusioni di sangue<br />
e di derivati (concentrati piastrinici, fattori della coagulazione).<br />
L’HCV è responsabile del 75% dei casi di epatite post-trasfusionale<br />
(1). Il virus dell’epatite C non sembra dotato della<br />
stessa pericolosità dell’HBV per gli operatori sanitari: il suo potere<br />
infettante, soprattutto attraverso le mucose è minore, ed in<br />
ambito sanitario la via di trasmissione più frequente è il contatto<br />
del sangue infetto con il sangue dell’operatore.<br />
Lo scopo del presente lavoro è stato quello di stimare la prevalenza<br />
del rischio dell’infezione da HCV ed HBV nel personale<br />
sanitario di un ospedale della città di Palermo confrontando tale<br />
ri<strong>sul</strong>tato con un gruppo di controllo costituito da donatori di sangue<br />
italiani. Dall’analisi di precedenti studi analoghi e sovrapponibili,<br />
si evince come il rischio occupazionale di trasmissione dei<br />
virus sopra citati non ha una considerazione quantitativa univoca.<br />
Materiali e metodi<br />
Tutti i lavoratori della sanità (medici, infermieri professionali,<br />
ausiliari socio-sanitari) di un nosocomio palermitano, potenzialmente<br />
esposti al rischio <strong>biologico</strong>, sono stati sottoposti nel corso<br />
del 2002 a sorveglianza sanitaria comprendente oltre l’anamnesi,<br />
l’esame obiettivo, gli esami emato-chimici ed esami strumentali,<br />
quali ECG, spirometria, audiometria, anche l’esecuzione di tests<br />
evidenzianti anticorpi anti-HCV ed anti-HBV (anti-HBc, anti HBs<br />
e anti-Hbe) dosati tramite tecnica ELISA di III generazione.<br />
I tassi di sieroprevalenza del personale sanitario sono stati poi<br />
comparati con i tassi provenienti dallo screening anti-HBV ed anti-HCV<br />
dei donatori di sangue della popolazione italiana.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Gli operatori sanitari esaminati nel corso dell’anno 2002 sono<br />
stati 840. La prevalenza assoluta di soggetti anti-HCV positivi<br />
è stata di 6 persone, cioè lo 0.71%; invece per quanto riguarda<br />
l’HBV la prevalenza è stata di 10 soggetti, quindi l’1.19%. L’età<br />
media dei primi era 51,16 aa con DS di 6,24 aa, quella dei secondi<br />
48,12 aa con DS di 6,77 aa.<br />
I soggetti positivi per HCV presentavano un’anzianità lavorativa<br />
media di 22 aa e fra costoro vi erano: un ausiliario sociosanitario<br />
del reparto di oculistica, un infermiere professionale di<br />
sala operatoria del reparto di chirurgia pediatrica, un ferrista di<br />
sala operatoria del reparto di ortopedia, un ausiliario socio-sanitario<br />
del reparto di cardiologia, un infermiere professionale del<br />
reparto di chirurgia oncologica ed un infermiere professionale del<br />
reparto di chirurgia generale.<br />
I soggetti positivi per HBV avevano un’anzianità lavorativa<br />
di 14,5 aa e fra loro vi erano: un infermiere professionale del reparto<br />
di chirurgia vascolare, un tecnico di laboratorio del servizio<br />
immuno-trasfusionale, un caposala dell’unità di terapia intensiva<br />
metabolica, un medico ed un infermiere professionale del reparto<br />
di neurologia, un infermiere professionale del reparto di dermatologia,<br />
un infermiere professionale del reparto di chirurgia toracica,<br />
un agente socio-sanitario ed un infermiere professionale<br />
del servizio AIDS, una infermiera professionale di sala operatoria<br />
del reparto di ostetricia.<br />
Inoltre come già accennato, sono stati valutati i tassi di prevalenza<br />
di anticorpi anti-virus B e C dei donatori di sangue della<br />
popolazione italiana, che sono ri<strong>sul</strong>tati essere:<br />
• 1.3% prevalenza di anticorpi antivirus C nei donatori di sangue;<br />
• 2% prevalenza di anticorpi antivirus B nei donatori di sangue<br />
del Nord d’Italia;<br />
• 4% prevalenza di anticorpi antivirus B nei donatori di sangue<br />
del Sud d’Italia.<br />
Considerazioni e Conclusioni<br />
Alla luce degli accertamenti effettuati nell’ambito della sorveglianza<br />
sanitaria di soggetti esposti a rischio <strong>biologico</strong> di un<br />
ospedale palermitano è emerso che la prevalenza nei lavoratori
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 71<br />
della sanità è ri<strong>sul</strong>tata inferiore di circa la metà rispetto a quella<br />
dei donatori di sangue della popolazione italiana. È nostra opinione<br />
quindi che le misure preventive, già attuate tra il personale<br />
sanitario esposto a rischio <strong>biologico</strong>, siano state efficaci ed attente.<br />
Le 2 strategie adottate per evitare il contagio da epatite sono:<br />
la prevenzione generica, analoga a tutte le malattie a trasmissione<br />
parenterale e la prevenzione specifica, solo però nel caso dell’HBV,<br />
basata <strong>sul</strong>l’immunizzazione attiva; purtroppo non esiste<br />
al momento alcun vaccino o immunoglobulina contro l’HCV (3).<br />
Quindi la prevenzione si basa <strong>sul</strong> controllo e <strong>sul</strong>la educazione sanitaria,<br />
<strong>sul</strong>lo screening del sangue e dei suoi derivati nell’ambito<br />
della sorveglianza sanitaria effettuata dal medico competente e<br />
<strong>sul</strong>la immunoprofilassi nel caso del virus dell’epatite B, che si<br />
avvale di un efficace vaccino prodotto con DNA ricombinante.<br />
Lo schema vaccinale prevede la somministrazione di 1 ml di vaccino<br />
i.m. o sottocute (braccio, deltoide o coscia) ai tempi di 0, 1,<br />
6 mesi. La risposta è considerata buona se il titolo anticorpale anti-HBsAg<br />
è maggiore di 100 UI/l; accettabile con titolo tra 100 e<br />
A. Lai, A. Gaiardo, A. Pulliero, E. Clonfero, S. Pavanello<br />
10 UI/l; insufficiente se il titolo è inferiore a 10 UI/l. In tema di<br />
profilassi da epatite C è indispensabile eseguire test immunologici<br />
pretrasfusionali; va ricordato infatti che il test dell’anticorpo<br />
anti-HCV è stato reso obbligatorio su tutte le unità di sangue nei<br />
centri trasfusionali italiani fin dall’Agosto del 1990 (2).<br />
Bibliografia<br />
1) Terrana T, L’Abbate N. Il lavoro degli operatori della sanità. In L.<br />
Ambrosi, V. Foà: Trattato di Medicina del Lavoro, UTET, Torino,<br />
1996; pp 607-614<br />
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danno epatico da farmaci. In L. Okolicsanyi, A. Pernacchia. Malattie<br />
dell’Apparato Gastrointestinale, McGraw-Hill, Milano, 1994; pp<br />
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3) Sali D. I fattori di rischio microbiologici. In F. Gobba, D. Sali: Rischi<br />
professionali in ambito ospedaliero, McGraw-Hill, Milano,<br />
1995; pp 13-41.<br />
Influenza della riduzione del nucleotide excision repair e del genotipo GSTM1<br />
nullo sui livelli di addotti al DNA nei leucociti mononucleati in lavoratori di<br />
cokeria con elevate esposizioni ad idrocarburi policiclici aromatici<br />
Sezione di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Padova<br />
RIASSUNTO. Abbiamo valutato l’influenza di quattro polimorfismi<br />
dei geni nucleotide excision repair (NER) e quella del glutatione S-transferasi<br />
µ 1 (GSTM1-attivo o nullo) sui livelli di addotti al DNA dell’anti-benzo[a]pirene<br />
diol epossido (BPDE) dalla frazione di linfociti e monociti<br />
(LMF) di 67 lavoratori di cokeria esposti ad elevati livelli di idrocarburi<br />
policiclici aromatici (PAH). I livelli di addotti al DNA anti-BPDE<br />
sono stati determinati tramite l’analisi HPLC/fluorescenza. I genotipi sono<br />
stati determinati tramite PCR <strong>sul</strong> DNA genomico di ogni soggetto. Abbiamo<br />
trovato che i livelli di addotti al DNA anti-BPDE nella LMF dei<br />
lavoratori della cokeria erano significatimente aumentati dalla bassa capacità<br />
di riparazione del DNA dei genotipi XPC-PAT+/+ e XPA-A23A.<br />
Inoltre, gli addotti al DNA sono fortemente influenzati dal genotipo<br />
GSTM1. La frequenza più elevata di lavoratori con genotipo NER sfavorevole<br />
XPC-PAT+/+ e XPA- A23A, solo o combinato con il genotipo<br />
GSTM1-nullo, apparteneva al terzile con il più alto livello di addotti, essendo<br />
XPC-PAT +/+ e XPA-A23A significativamente presenti in circa 2/3<br />
dei soggetti. La minoranza di soggetti con il genotipo NER sfavorevole<br />
XPC-PAT +/+ e XPA- A23A insieme con GSTM1 nullo appartengono tutti<br />
ai due terzili più alti di addotti e nel 75% a quello più alto. L’analisi della<br />
regressione lineare multipla mostrava che i livelli di addotti al DNA anti-BPDE<br />
nella LMF erano significativamente correlati all’esposizione<br />
PAH, alla mancanza di attività di GSTM1 e alla bassa capacità di riparazione<br />
del DNA del genotipo XPC-PAT +/+. L’influenza del genotipo<br />
XPA-A23A non è stata evidenziata in questa analisi statistica e non è stata<br />
trovata nessuna associazione di polimorfismi XPD, abitudini alimentari<br />
e fumo di tabacco con gli addotti al DNA anti-BPDE. La modulazione<br />
degli addotti al DNA anti-BPDE nella frazione linfomonocitica da parte<br />
di GSTM1-nullo e di alcuni genotipi NER a bassa attività può essere considerata<br />
come potenziale fattore di suscettibilità genetica capace di modulare<br />
la risposta individuale all’esposizione genotossica a PAH e un conseguente<br />
rischio di cancro nei lavoratori di cokeria.<br />
Parole chiave: polimorfismo genetico, glutatione-S-transferasi µ1<br />
(GSTM1), addotti al DNA, anti-benzo[a]pirene diol epossido (BPDE),<br />
idrocarburi policiclici aromatici, lavoratori di cokeria.<br />
ABSTRACT. EFFECT OF NUCLEOTIDE EXCISION REPAIR AND GSTM1<br />
NULL POLYMORPHISMS ON THE LEVELS OF DNA ADDUCTS IN LYMPHOCYTES<br />
OF COKE-OVEN WORKERS HIGHLY EXPOSED TO PAH. We evaluated the influence<br />
of four polymorphisms of nucleotide excision repair (NER) genes<br />
and that of glutathione S-transferase µ 1 (GSTM1-active or -null) on antibenzo[a]pyrene<br />
diol epoxide (BPDE)-DNA adduct levels from the<br />
lymphocyte plus monocyte fraction (LMF) of 67 highly PAH (polycyclic<br />
aromatic hydrocarbons)-exposed coke oven workers. The bulky anti-BP-<br />
DE-DNA adduct levels were detected by HPLC/fluorescence analysis.<br />
Genotypes were determined by PCR on the genomic DNA of each subject.<br />
We found that anti-BPDE-DNA adduct levels in the LMF of coke oven<br />
workers were significantly increased by the low DNA repair capacity of<br />
XPC- PAT +/+ and XPA- A23A genotypes. Moreover, DNA adducts are<br />
strongly influenced by GSTM1 genotype. The higher frequencies of<br />
workers with unfavourable XPC- PAT +/+ and XPA- A23A NER genotypes,<br />
alone or combined with GSTM1-null genotype belonged to the tertile<br />
with the highest adduct level, XPC- PAT +/+ and XPA- A23A being significantly<br />
present in about two-thirds of the subjects. The few subjects with<br />
unfavourable XPC- PAT +/+ and XPA- A23A NER genotypes, together<br />
with GSTM1-null deletion, all belonged to the two higher adduct tertiles<br />
and in 75% to the highest one. Multiple linear regression analysis showed<br />
that anti-BPDE-DNA adduct levels in LMF were significantly related to<br />
PAH exposure, to the lack of GSTM1 activity and to the low DNA repair<br />
capacity of XPC- PAT +/+ genotype. The influence of the XPA-A23A genotype<br />
was not evident in this statistical analysis, and no association of<br />
XPD polymorphisms, dietary habits and tobacco smoking with anti-BP-<br />
DE-DNA adducts was found. The modulation of anti-BPDE-DNA adducts<br />
in the LMF by GSTM1-null and some low-activity NER genotypes may be<br />
considered as potential genetic susceptibility factors capable of modulating<br />
the individual response to PAH (BaP: benzo[a]pyrene) genotoxic exposure<br />
and a consequent risk of cancer in coke oven workers.<br />
Key words: genetic polymorphism, glutathione-S-transferase µ1<br />
(GSTM1), DNA adducts, anti-benzo[a]pyrene diol epoxide (BPDE),<br />
polycyclic aromatic hydrocarbons, coke oven workers.
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
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Introduzione<br />
Nell’uomo esiste una considerevole variabilità interindividuale<br />
in risposta all’esposizione a PAH genotossici e conseguente rischio<br />
di cancro. Gli addotti al DNA indotti dal BaP nei leucociti<br />
mononucleati possono essere considerati un marker non solo di<br />
esposizione genotossica a BaP ma anche delle capacità individuali<br />
di metabolizzarlo e di riparare il DNA. L’attivazione del BaP genera<br />
anti-BPDE, l’intermedio più reattivo; la reazione di detossificazione,<br />
catalizzata da GSTM1 può prevenire il suo legame al<br />
DNA, fase critica nel processo di cancerogenesi. Gli addotti al<br />
DNA possono essere rimossi dal meccanismo nucleotide excision<br />
repair (NER), uno dei vari processi di riparazione del DNA di cui<br />
recentemente sono stati identificati alcuni polimorfismi (1). Nel<br />
nostro studio abbiamo valutato l’influenza di quattro polimorfismi<br />
dei geni NER insieme con quello del GSTM1 sugli addotti al DNA<br />
anti-BPDE di lavoratori della cokeria esposti ad alti livelli di PAH.<br />
Materiali e metodi<br />
Da una popolazione di 95 soggetti è stato<br />
estratto un campione di 67 lavoratori maschi<br />
che presentavano un livello urinario post turno<br />
di 1-pirenolo superiore al BEI (2.28 µmoli/mol<br />
di creatinina). Per ogni soggetto sono<br />
state raccolte, mediante questionario, informazioni<br />
riguardo età, fumo di tabacco, consumo<br />
di carne cotta alla brace, esposizione occupazionale<br />
e ambientale a PAH e uso di pomate e<br />
shampoo a base di catrame. Sono stati raccolti<br />
campioni di urine (50 ml) e sangue (20 ml)<br />
alla fine del turno di lavoro dopo almeno tre<br />
giorni consecutivi di lavoro. I campioni di urine<br />
sono stati usati per la determinazione<br />
dell’1-pirenolo e i campioni di sangue per la<br />
genotipizzazione e la rilevazione degli addotti<br />
al DNA anti-BPDE tramite l’analisi<br />
HPLC/fluorescenza dell’anti-BPDE tetrol I-1<br />
rilasciato dopo idrolisi acida dei campioni di<br />
DNA di linfomonociti (2). Dopo l’isolamento<br />
del DNA dalle cellule è stata valutata la presenza<br />
o assenza del gene GSTM1 tramite metodo<br />
PCR e sono stati determinati quattro polimorfismi<br />
NER con tecnica PCR-RFLP.<br />
L’analisi statistica tra i vari gruppi è stata<br />
eseguita usando il test non parametrico<br />
Mann-Whitney o il test Chi quadrato. L’analisi<br />
mediante regressione multipla è stata<br />
usata per stimare l’influenza dell’esposizione<br />
professionale a PAH, del GSTM1 e di<br />
quattro polimorfismi dei geni NER sui livelli<br />
di addotti al DNA anti-BPDE.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />
La Tabella I mostra le frequenze di<br />
GSTM1 attivo e nullo e i polimorfismi del<br />
gene NER con i relativi livelli di 1-pirenolo<br />
e di addotti al DNA anti-BPDE. Il genotipo<br />
GSTM1 nullo è strettamente associato alla<br />
formazione degli addotti. Inoltre, soggetti<br />
omozigoti per XPC-PAT +/+ e genotipo<br />
XPA-A23A mostravano un significativo incremento<br />
nei livelli di addotti rispetto a<br />
quelli con nessuna o solo 1 copia di questi<br />
polimorfismi. L’altro sottogruppo di lavoratori con la variante<br />
XPD-312Asn e XPD-751Gln presentava livelli di addotti al DNA<br />
più alti rispetto a quelli con alleli wild-type ma la differenza non<br />
era statisticamente significativa.<br />
La Tabella II mostra le frequenze di genotipi NER sfavorevoli,<br />
soli o in combinazione con GSTM1 nullo, secondo i tre livelli di addotti.<br />
Soggetti con genotipo XPC-PAT +/+ e XPA-A23A appartenevano<br />
al livello di addotti più alto. I pochi soggetti con genotipo sfavorevole<br />
XPC-PAT +/+ e XPA-A23A insieme con GSTM1 nullo<br />
appartenevano ai due livelli di addotti più elevati e il 75% al più elevato.<br />
Non è stata invece osservata una distribuzione anomala dei<br />
soggetti nei tre livelli di addotti nel caso di polimorfismi XPD.<br />
La Tabella III mostra i ri<strong>sul</strong>tati dell’analisi mediante la regressione<br />
lineare multipla dell’influenza dell’esposizione occupazionale<br />
a PAH, della dieta e della abitudine al fumo, dei genotipi<br />
NER e del GSTM1 sui livelli di addotti al DNA anti-BPDE.<br />
L’aumento dei livelli di addotti era significativamente correlato<br />
Tabella I. Livelli di addotti al DNA anti-BPDE in LMF di lavoratori della cokeria<br />
esposti ad alti livelli di PAH, rapportati a genotipi GSTM1 e NER<br />
a Un valore di 1 addotto/108 nucleotidi è stato assegnato all’unico soggetto con addotti non-rilevabili<br />
(≤1 addotto/108 nucleotidi).<br />
* Comparazione statistica: Mann-Whitney U-test tra sottogruppi GSTM1, p=0.0246, z= 2.247; XPC - PAT<br />
-/-versus +/+ z=2.24 p=0.02, XPA - A23G GG versus AA e AG versus AA z=2.65 p= 0.01 e z=2.15 p=0.03.<br />
Tabella II. Frequenza di genotipi non favorevoli NER (XPC- PAT +/+, XPA-<br />
A23A; XPD-Asn312Asn e XPD- Gln751Gln), soli o in combinazione con GSTM1<br />
nullo, rapportati ai livelli di addotti al DNA anti-BPDE<br />
a Terzili dei livelli di addotti: 1° terzile (≤2.27 addotti/ 10 8 nucleotidi), 2° terzile (>2.27 ≤4.11 addotti/<br />
10 8 nucleotidi) e 3° terzile(>4.11 addotti/ 10 8 nucleotidi).<br />
* Confronto Statistico: Chi 2 test tra le frequenze del 1° e 3° terzile XPC- PAT +/+ e XPA- A23A Chi 2<br />
=5.85, p= 0.0156 e Chi 2 =5.40, p= 0.01.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
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Tabella III. Influenza dell’esposizione occupazionale a PAH, fumo, dieta, GSTM1 e genotipi NER sui livelli di addotti<br />
al DNA anti-BPDE (in valore) in LMF di 67 lavoratori della cokeria: analisi della regressione lineare multipla<br />
a Esposizione a PAH valutata tramite l’escrezione urinaria di 1-pirenolo.<br />
b Genotipi GSTM1, abitudine al fumo, e dieta sono considerate variabili dicotomiche; è stato attribuito un valore 1 o 0, riferendoci a GSTM1 attivo o nullo in fumatori<br />
o non fumatori, consumo di carne cotta alla brace più o meno di 1 volta a settimana, rispettivamente.<br />
c Per ogni genotipo NER è stato attribuito un valore di 2, 1 o 0 in base alla presenza di 2, 1 o nessuna copia di alleli XPC- PAT +, XPA- 23A, XPD- 312 Asn e<br />
XPD- 751 Gln.<br />
F= 2.928, p=0.0081<br />
all’intensità dell’esposizione occupazionale a PAH di ogni soggetto,<br />
alla mancanza di attività di GSTM1 e alla bassa capacità di<br />
riparare il DNA del genotipo XPC-PAT +/+. Gli altri tre polimorfismi<br />
NER non sembrano modificare in maniera significativa i livelli<br />
di addotti in questa analisi statistica. Né una dieta ricca in<br />
PAH né il fumo influenzavano il marker.<br />
La modulazione degli addotti al DNA anti-BPDE nella frazione<br />
linfomonocitica da parte di GSTM1-nullo e di alcuni genotipi<br />
NER a bassa attività può essere considerata come potenziale<br />
fattore di suscettibilità genetica capace di modulare la risposta individuale<br />
all’esposizione genotossica a PAH e un conseguente rischio<br />
di cancro nei lavoratori di cokeria (3).<br />
Bibliografia<br />
F. Larese 1 , M. Sarnico 2 , P. Apostoli 2 , M. Venier 3 , E. Pontieri 1 , Adami 3 , G. Maina 4<br />
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2) Pavanello S., Favretto D., Brugnone F., Mastrangelo G., Dal Pra G.,<br />
Clonfero E. HPLC/fluorescence determination of anti-BPDE-DNA<br />
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Carcinogenesis 20: 431-435,1999.<br />
3) Pavanello S., Siwinska E., Mielzynska D., and Clonfero E. GSTM1<br />
null genotype as a risk factor for anti-BPDE-DNA adduct formation<br />
in mononuclear white blood cells of coke-oven workers, Mutat Res,<br />
558: 53-62, 2004.<br />
La cute come barriera bidirezionale: via di assorbimento ma anche di<br />
escrezione degli xenobiotici. Ri<strong>sul</strong>tati preliminari di uno studio in vitro<br />
1 Unità Clinico Operativa di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Scienze di Medicina Pubblica-Università degli Studi di Trieste<br />
2 Cattedra di Igiene Industriale, Università degli Studi di Brescia<br />
3 Dipartimento di Scienze Chimiche, Università di Trieste<br />
4 Servizio di Tossicologia ed Epidemiologia Industriale, Dipartimento di Traumatologia, Ortopedia e Medicina del Lavoro, Università degli Studi di<br />
Torino<br />
RIASSUNTO. La valutazione delle sostanze tossiche presenti nel<br />
sudore o nello strato corneo potrebbe essere un’importante prospettiva<br />
per il monitoraggio <strong>biologico</strong> nei lavoratori esposti. Gli autori dimostrano<br />
in vitro l’escrezione di Co usando Franz cell rovesciate. L’applicazione<br />
di una soluzione di Co (150 ppb in soluzione fisiologica) <strong>sul</strong> lato dermico<br />
della cute determina un flusso di Co dall’interno all’esterno della<br />
cute di 0,0166 ± 0,02 µg/cm 2 /ora. Questo rilievo prova in vitro che la cute<br />
può essere considerata come una barriera bidirezionale con un ruolo sia<br />
nell’assorbimento ma anche nell’escrezione dei tossici.<br />
Parole chiave: cute, assorbimento, escrezione, sudore, cobalto, barriera<br />
bidirezionale.<br />
ABSTRACT. SKIN AS A BIDIRECTIONAL BARRIER FOR THE ABSORP-<br />
TION AND EXCRETION OF XENOBIOTICS. PRELIMINARY IN VITRO DATA. The<br />
evaluation of toxic substances in the sweat or in the stratum corneum<br />
could have interesting future implications for biological monitoring in exposed<br />
workers. The authors demonstrated in vitro skin secrection of cobalt<br />
using reversed Franz cells. The application of a Co solution to the dermal<br />
site of the skin caused a flux of Co toward the external site of the skin of<br />
0,0166 ± 0,02 µg/cm 2 /hour. The in-vitro model proved that in vivo the skin<br />
can have a role both in the absorption and in the secrection of toxicants.<br />
Key words: skin, absorption, excretion, sweat, cobalt, bidirectional<br />
barrier.<br />
Introduzione<br />
Le cute può essere considerata una barriera permeabile bidirezionale<br />
con un ruolo nell’assorbimento di tossici (1) ma anche nell’escrezione.<br />
Negli anni recenti è stata posta maggiore attenzione<br />
alla cute e al suo ruolo di interfaccia con l’esterno e numerosi studi<br />
hanno provato in vivo (2) e in vitro (3, 4) il suo ruolo nell’assorbimento<br />
dei tossici. La cute come via di escrezione è stata valutata<br />
ed utilizzata in passato per il trattamento degli intossicati da<br />
Pb: l’aumento di secrezione sudorale ottenuta con l’esposizione a<br />
caldo permetteva di eliminare per via cutanea una parte significativa<br />
del metallo (5). Oggi la valutazione della concentrazione di alcuni<br />
tossici nel sudore viene utilizzata per il monitoraggio degli alcoolisti<br />
in trattamento (6) al fine di controllare l’astensione dall’assunzione<br />
delle bevande alcoliche o in ambito professionale per<br />
accertare l’assenza di assunzione di alcol o di sostanze stupefacenti<br />
in piloti militari. L’uso di un patch con rivelatore permette quindi<br />
agilmente di avere informazioni <strong>sul</strong>l’assunzione di questo tipo di<br />
tossici. Per il monitoraggio <strong>biologico</strong> dei professionalmente esposti<br />
la cute e i suoi annessi non vengono utilizzati in modo routina-
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
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rio, ma vi sono evidenze sperimentali che il sudore o lo strato corneo<br />
possano essere utilizzati per monitorare l’esposizione professionale<br />
ad alcuni tossici, ed in particolare ai metalli: Omokhodion<br />
(7, 8) e Lilley (9) hanno riportato che le concentrazioni di Pb nel<br />
sudore sono proporzionali a quelle ematiche e Stauber nel 1988<br />
(10) ha studiato la presenza di rame, piombo, cadmio e zinco nel<br />
sudore e nel sangue. È noto inoltre che lo strato corneo ha una funzione<br />
di “riserva” sia per i metalli assorbiti (11) e per quelli escreti.<br />
Tale rilievo apre interessanti prospettive di ricerca e di applicazione<br />
pratica per la facilità con cui è possibile rimuovere parte dello<br />
strato corneo (stripping con cerotto) e raccogliere sudore per<br />
monitorare la concentrazione di un tossico.<br />
Scopo del nostro lavoro è stato quello di studiare con il metodo<br />
in vitro delle Franz cell (12) l’escrezione di un metallo (cobalto)<br />
attraverso la cute con l’obiettivo di dimostrare che la cute<br />
svolge un ruolo di barriera permeabile bidirezionale.<br />
Materiali e metodi<br />
Gli esperimenti sono stati condotti utilizzando celle di Franz in<br />
vetro e lembi di cute proveniente da scarti di chirurgia plastica (12).<br />
La cute è stata pretrattata con rimozione dello strato corneo con la<br />
metodica dello stripping (11) ed è stata montata rovesciata <strong>sul</strong>le celle<br />
di Franz (14 celle) in modo che il lato dermico sia esposto alla soluzione<br />
donatrice. Come soluzione ricevente è stato utilizzato sudore<br />
sintetico (13). Una soluzione di Co in soluzione fisiologica (150<br />
ppb) è stata applicata (2 mL) su ogni cella e 2mL di soluzione ricevente<br />
è stata rimossa a 2-4-8-6-8-20-22-24 ore. La concentrazione<br />
del Co nella soluzione ricevente è stata valutata con tecnica analitica<br />
total-quant in ICP-MS (inductively coupled plasma mass spectrometry),<br />
utilizzando il metodo di calibrazione esterna (14). Per la taratura<br />
dello strumento viene utilizzata una soluzione contenente Co<br />
(Perkin Elmer Calibration Standard 3 10 µg/ml) alla concentrazione<br />
di 10 µg/L. Accuratezza e precisione sono correlate a parametri strumentali<br />
quali bontà della calibrazione e calibrazione del rivelatore,<br />
nel caso di concentrazioni elevate. Èstato utilizzato per l’analisi dei<br />
campioni materiale certificato Nist 1640 (trace elements in water).<br />
La precisione espressa come coefficiente di variazione (CV) varia<br />
del 4-8% intra-serie e del 6-12% inter-serie. Il limite di rilevabilità è<br />
di 0,003 µg/L. I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti sono stati corretti in foglio elettronico<br />
Excell per compensare l’effetto della diluizione.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Il flusso di escrezione del Cobalto è riportato nella figura 1 ed è<br />
stato calcolato di 0,0166 ± 0,02 µg/cm 2 /ora. In particolare, è possibile<br />
notare un incremento progressivo del passaggio del metallo con<br />
una curva rettilinea che aumenta la sua pendenza dalle 16 ore in poi.<br />
Le curve ottenute dai 14 esperimenti ri<strong>sul</strong>tano riproducibili e le deviazioni<br />
standard (riportate nel grafico di Figura 1) sono contenute.<br />
Figura 1. Flusso di escrezione del Co (µg/cm 2 ) in funzione<br />
del tempo<br />
Discussione<br />
Gli esperimenti da noi condotti hanno dimostrato per la prima<br />
volta che in una condizione standard in vitro è possibile un passaggio<br />
percutaneo con diffusione passiva dall’interno della cute<br />
verso l’esterno. Ciò conferma la possibilità di utilizzare la via cutanea<br />
come matrice per il monitoraggio <strong>biologico</strong> e il ruolo della<br />
cute come barriera semipermeabile bidirezionale con flusso di assorbimento<br />
e di escrezione che può avvenire in modo passivo nelle<br />
condizioni in vitro e anche attivo nelle condizioni in vivo. Il sistema<br />
in vitro ha confermato quanto è stato osservato nei professionalmente<br />
esposti, nei quali la concentrazione di alcuni metalli<br />
nel sudore è proporzionale a quella presente nel siero: un esempio<br />
caratteristico è quello del Pb le cui concentrazioni sono simili nel<br />
siero e nel sudore (10) e nelle urine e nel sudore (15). Per il Ni e<br />
il Cd sono stati invece riscontrati livelli più elevati nel sudore rispetto<br />
alle urine (15), in questo caso si deve ipotizzare la presenza<br />
anche di un sistema attivo di escrezione attraverso questa via.<br />
Per il Cu invece la concentrazione rilevata nel sudore ri<strong>sul</strong>ta più<br />
bassa che nel siero, e questo può essere spiegato con il forte legame<br />
di questo metallo con le proteine plasmatiche (10).<br />
Il flusso di escrezione da noi rilevato per il Co ri<strong>sul</strong>ta pressoché<br />
sovrapponibile a quello ottenuto da studi di assorbimento in<br />
vitro: in particolare Larese (4) riporta un flusso di Co attraverso<br />
la cute intera di 0,0123 ± 0,0054 µg/cm 2 /ora, valori che ri<strong>sul</strong>tano<br />
sovrapponibili a quelli ottenuti per l’escrezione. Tale dato, insieme<br />
ai rilievi su lavori esposti, conferma ulteriormente il ruolo<br />
della cute come sistema di assorbimento/escrezione ed è una pietra<br />
miliare per l’approfondimento di questa matrice per il monitoraggio<br />
<strong>biologico</strong> nei professionalmente esposti.<br />
Bibliografia<br />
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Sci Total Environ 1991; 103; 123-128.<br />
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11) Tanojo H, Hostynek JJ, Mountford H and Maibach HI. In vitro permeation<br />
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12) Franz TJ. On the relevance of in vitro data. J Invest Dermatol 1975;<br />
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13) Liden C, Carter S. Nickel release from coins. Contact dermatitis<br />
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14) Monster A, Golightly DW. Inductively coupled plasma in analytical<br />
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G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 75<br />
R Lucchini, E. Albini, L. Benedetti, L. Alessio<br />
La tossicologia neurocomportamentale nello studio dei meccanismi<br />
d’azione e nella definizione dei valori limite di sostanze neurotossiche:<br />
attuali problematiche<br />
Cattedra di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Brescia<br />
RIASSUNTO. I metodi di valutazione della tossicologia neuro-comportamentale<br />
sono utilizzati in maniera crescente nella ricerca sugli effetti<br />
da esposizione ad agenti neurotossici, sia in campo occupazionale che<br />
più estesamente extra-professionale e, più recentemente, anche pediatrico.<br />
I ri<strong>sul</strong>tati di questi studi vengono sempre più impiegati nella individuazione<br />
dei valori limite di esposizione. Scopo di questa presentazione<br />
è quello di illustrare le tendenze attuali accanto alle problematiche emergenti,<br />
per le quali è necessario prospettare soluzioni finalizzate all’affinamento<br />
ed allo sviluppo di questa disciplina.<br />
Parole chiave: neurotossicologia, metodi neurocomportamentali,<br />
valutazione del rischio, limiti di esposizione.<br />
ABSTRACT. ROLE OF NEUROBEHAVIOURAL TOXICOLOGY IN THE<br />
STUDY OF MECHANISMS OF ACTION AND FOR SETTING THRESHOLD LIMITS<br />
FOR NEUROTOXIC AGENTS: THE STATE OF THE ART. Neurobehavioral<br />
methods are increasingly used in research to evaluate the effects derived<br />
from exposure to neurotoxic agents in occupational settings, in the<br />
community and in children. Re<strong>sul</strong>ts from these studies are being used<br />
for risk assessment procedures by regulatory agencies. The aim of this<br />
presentation is to illustrate the current trends and future challenges that<br />
have to be addressed in order to facilitate the future development of this<br />
discipline.<br />
Key words: neurotoxicology, neurobehavioral methods, occupational<br />
risk assessment.<br />
Introduzione<br />
Le prime valutazioni neurocomportamentali vennero utilizzate<br />
su lavoratori affetti da intossicazioni da solfuro di carbonio<br />
(1), applicando test che la neuropsicologia tradizionale<br />
aveva sviluppato per la diagnostica clinica dei danni cerebrali.<br />
Con la progressiva riduzione dei livelli di esposizione occupazionale<br />
a neurotossici, ed il graduale aumento dei livelli di<br />
esposizione negli ambienti di vita, divenne necessario affinare<br />
gli strumenti di valutazione, aumentando la loro sensibilità e<br />
diminuendo, parallelamente, il grado di specificità. L’evoluzione<br />
delle metodiche ebbe un notevole impulso grazie all’automazione,<br />
che offrì la possibilità di sviluppare nuove tecniche<br />
di misurazione e di applicarle in casistiche più estese. Un notevole<br />
contributo venne fornito dalla Clinica del Lavoro di Milano<br />
nell’allestimento di strumenti di valutazione che sono stati<br />
impiegati in questi anni a livello internazionale (2, 3). In<br />
questo studio viene presentata una analisi della letteratura e<br />
delle problematiche emergenti per lo sviluppo futuro di questa<br />
disciplina.<br />
Metodi<br />
È stata condotta una analisi della letteratura sia per mezzo<br />
delle citazioni bibliografiche recensite su MEDLINE con i sistemi<br />
OVID e PUBMED, che con<strong>sul</strong>tando gli atti di congressi<br />
specifici, fra cui i simposi internazionali organizzati triennalmente<br />
dal Comitato Scientifico dell’International Commission<br />
on Occupational Health (ICOH) su “Neurotoxicology and Psychophysiology”.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Il numero di pubblicazioni scientifiche riguardanti gli effetti<br />
neurocomportamentali dovuti alla esposizione occupazionale,<br />
ambientale ed a farmaci ha subito un notevole incremento (da 1<br />
articolo pubblicato nel 1975 a circa 180 articoli pubblicati annualmente<br />
negli ultimi 4 anni). Il numero totale di lavori identificati<br />
è 2371, di cui 56% in studi <strong>sul</strong>l’uomo e 44% in studi su animali<br />
da esperimento. Gli agenti neurotossici più frequentemente<br />
studiati sono stati, fino agli anni ’80, i solventi,, mentre i metalli<br />
ed i pesticidi ri<strong>sul</strong>tano più indagati negli anni successivi. Gli argomenti<br />
trattati possono essere raggruppati in due aspetti principali:<br />
l’identificazione di proprietà neurotossiche in precedenza<br />
non conosciute nell’ambito di agenti presenti negli ambienti di<br />
vita e di lavoro, e lo studio dei meccanismi d’azione di neurotossici<br />
noti. Nella maggior parte dei casi vengono impiegati studi<br />
trasversali, più raramente longitudinali.<br />
I ri<strong>sul</strong>tati di studi neurocomportamentali sono utilizzati da<br />
numerose istituzioni preposte alla identificazione dei valori limite.<br />
Su 588 sostanze chimiche contenute nella lista dei TLV dell’ACGIH<br />
nel 1984, 167 (pari al 28%) erano basati su effetti neurologici<br />
e neurocomportamentali (4). In un progetto di aggiornamento<br />
dei valori limite occupazionali condotto nel 1989 dall’O-<br />
SHA, 172 sostanze su 428 (pari a circa il 40%) sono state identificate<br />
<strong>sul</strong>la base di effetti neurologici e neurocomportamentali<br />
(5). L’analisi del Integrated Risk Information System (IRIS) dell’EPA<br />
condotta nel 1994, evidenziò che circa il 20% degli standard<br />
erano basati su effetti neurologici e neurocomportamentali.<br />
Le percentuali sopra riportate concordano con una stima fornita<br />
dall’Office of Technology Assessment (6) statunitense secondo la<br />
quale il 28% circa delle sostanze chimiche è dotato di proprietà<br />
neurotossiche. I dati neurocomportamentali sono stati utilizzati<br />
per l’identificazione dei valori limite delle più importanti e diffuse<br />
sostanze chimiche fra le quali piombo, mercurio, manganese e<br />
alluminio per i metalli, stirene, toluene, e xilene per i solventi, il<br />
protossido d’azoto per i gas anestetici. Due congressi internazionali<br />
sono stati organizzati nell’intento di promuovere una più<br />
stretta collaborazione fra ricercatori ed esperti di risk assessment.<br />
Il meeting “Risk Assessment for Neurobehavioral Toxicity” venne<br />
organizzato nel 1994 a Rochester, USA, dallo Scientific<br />
Group on the Methodologies for the Safety Evaluation of Chemicals<br />
(SGOMSEC) (7). Due anni dopo, la HSE sponsorizzò il<br />
workshop “The Role of Human Neurobehavioral Tests in Regulatory<br />
Activity on Chemicals” ad Egham, Surrey, GB. In entrambi<br />
i meeting venne espressa la necessità di stabilire criteri per il<br />
riconoscimento della validità degli studi neurocomportamentali.<br />
Venne inoltre accettato il concetto secondo il quale gli effetti neurocomportamentali<br />
per i quali si dimostra una relazione con la<br />
dose di esposizione possono essere considerati “avversi” e pertanto<br />
utilizzabili per la definizione degli standard (5).<br />
L’analisi della letteratura ha inoltre permesso di evidenziare<br />
le problematiche emergenti. Esse comprendono tre aree principali:<br />
a) aspetti tecnici relativi alla rapida evoluzione dei supporti<br />
informatici, che non consente un adeguamento efficace delle bat-
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
76 www.gimle.fsm.it<br />
terie di test; b) aspetti epidemiologici e statistici, che rendono necessari<br />
studi multicentrici e di meta-analisi, per i quali i modelli<br />
di elaborazione devono consentire il controllo di una sempre crescente<br />
variabilità; c) necessità di consenso <strong>sul</strong> significato degli<br />
effetti neurocomportamentali in termini di protezione della salute<br />
delle popolazioni esposte.<br />
Conclusioni<br />
Le metodiche di valutazione appartenenti alla tossicologia<br />
neurocomportamentale rappresentano utili strumenti per la ricerca<br />
degli effetti dovuti alla esposizione ad agenti dotati di proprietà<br />
neurotossiche. I ri<strong>sul</strong>tati della ricerca in questo campo, oltre<br />
che allo studio dei meccanismi d’azione, sono rivolti alla<br />
identificazione dei valori limite e rivestono pertanto un notevole<br />
valore preventivo. Ri<strong>sul</strong>ta pertanto necessario e auspicabile che<br />
vengano individuate le soluzioni più adeguate che consentano di<br />
affrontare le problematiche emergenti e di favorire l’ulteriore sviluppo<br />
della disciplina.<br />
G. Maina 1 , F. Larese Filon 2 , M. Manzari 1 , E. Pontieri 2<br />
Problemi interpretativi della cobalturia<br />
Bibliografia<br />
1) Hänninen H. Psycological tests in the diagnosis of carbon di<strong>sul</strong>fide<br />
poisoning. Work environ Health 1966; 2: 16-20.<br />
2) Gilioli R, Cassitto MG, Foà V. Neurobehavioral methods in occupational<br />
health. Oxford, Pergamon Press, 1983.<br />
3) Cassitto MG, Gilioli R, Camerino D. Experiences with the Milan Automated<br />
Neurobehavioral System (MANS) in Occupational Neurotoxic<br />
Exposure. Neurotoxicol and Teratol 1989; 11: 571-574.<br />
4) Anger WK. Neurobehavioral testing of chemicals: impact on recommended<br />
standards. Neurobehav Toxicol Teratol. 1984; 6(2): 147-53.<br />
5) Dick RB, Ahlers H. Chemicals in the workplace: incorporating human<br />
neurobehavioral testing into the regulatory process. Am J Ind<br />
Med 1998; 33(5): 439-53.<br />
6) OTA (Office of Technology Assessment). Neurotoxicity: Identifying<br />
and Controlling Poisons of the Nervous System. Rpt OTA-BA-436.<br />
Washington:U.S. Government Printing Office, 1990.<br />
7) Weiss B, Elsner J. Risk Assessment for Neurobehavioral Toxicity.<br />
Environ Health Perspect 1996; 104 (Suppl 2): 171.<br />
8) Tilson HA, MacPhail RC, Crofton KM. Setting exposure standards: a<br />
decision process. Environ Health Perspect. 1996; 104 Suppl 2: 401-5.<br />
1 UOADU Servizio di Tossicologia ed Epidemiologia Industriale, Dipartimento di Traumatologia, Ortopedia e Medicina del Lavoro, Università degli<br />
Studi di Torino<br />
2 UCO Medicina del Lavoro, Università di Trieste<br />
RIASSUNTO. Il dosaggio del cobalto nell’urina (cobalturia) è un<br />
buon indicatore di esposizione corrente a cobalto la cui interpretazione richiede<br />
tuttavia una precisa conoscenza delle condizioni di esposizione e<br />
delle propietà chimico-fisiche del composto di cobalto cui si riferisce l’esposizione.<br />
Per il suo impiego nel monitoraggio <strong>biologico</strong> è necessario<br />
definire con attenzione il tempo di campionamento e considerare il possibile<br />
contributo che l’assorbimento del metallo attraverso la cute può determinare<br />
in termini di valutazione integrata dell’esposizione.<br />
Parole chiave: cobalto urinario, assorbimento percutaneo, tempo di<br />
campionamento.<br />
ABSTRACT. CORRECT INTERPRETATION OF COBALT URINARY LE-<br />
VELS. To interpret the urinary cobalt values in the biological monitoring<br />
of exposed workers correctly, the exposure conditions and the chemicalphysical<br />
properties of the Co compounds have to be known precisely.<br />
Sampling time plays a critical role in understanding the relashionship<br />
between Co exposure levels and urinary Co values, but percutaneous absorption<br />
of Co must be also taken into consideration.<br />
Key words: urinary cobalt, percutaneous absorption, sampling time.<br />
Introduzione<br />
La relazione tra concentrazioni di cobalto ambientale (CoA)<br />
e valori di cobalto urinario (CoU) presenta aspetti interpretativi<br />
complessi ed ancora non completamente chiariti: una buona correlazione<br />
è stata osservata in esposti nell’industria di metalli duri<br />
(6, 7), mentre altri Autori (8) segnalano che il solo l’incremento<br />
del CoU tra fine ed inizio turno si correla all’esposizione giornaliera.<br />
Tale correlazione sembra presente solo ad inizio ed al termine<br />
della settimana lavorativa e non, invece, a metà della settimana<br />
(9). Tale fenomeno viene attribuito alla cinetica di escrezione<br />
bifasica del CoU (2, 4): il cobalto assorbito per via inalatoria<br />
viene eliminato a livello urinario mediante una prima fase di<br />
escrezione rapida (della durata di circa 48 ore) cui segue una fase<br />
di escrezione prolungata di bassi livelli. I ri<strong>sul</strong>tati di studi su<br />
volontari hanno evidenziato che la cute può essere una via di assorbimento<br />
del cobalto (6, 10) e recenti esperimenti in vitro (5)<br />
confermano tale osservazione.<br />
Il presente studio, condotto in condizioni di esposizione a solo<br />
polvere di Co, è stato realizzato per verificare le più recenti osservazioni<br />
sperimentali al riguardo.<br />
Materiali e metodi<br />
Lo studio, condotto in un’azienda di medie dimensioni che<br />
fabbrica mole diamantate, è stato realizzato dopo un periodo di<br />
15 giorni di non esposizione, in tre giorni (mercoledi’, venerdì e<br />
venerdì successivo) determinando l’esposizione a polveri di Co<br />
ed eseguendo il monitoraggio <strong>biologico</strong> mediante cobalturia<br />
(CoU). I campionamenti personali sono stati eseguiti impiegando<br />
campionatori Du-Pont Alpha-1 in esteri di cellulosa (diametro:<br />
37 mm; porosità: 0.45 um) operanti a flusso 3,5 L/min per 8 ore:<br />
i filtri sono stati trattati con HNO 3 . Le concentrazioni di Co sia<br />
sui filtri che sui campioni di urina sono stati analizzati mediante<br />
Perkin-Elmer 5100 AAS con HGA 600 in fornetto di grafite, AS-<br />
60 con correttore di fondo ad effetto Zeeman.<br />
Sono stati analizzati in microscopia elettronica a scansione<br />
(SEM) (Philips XL-30 ESEM) corredato di microanalisi a dispersione<br />
di energia (EDX Digital controller) campioni di polvere<br />
di diamante, campioni di polvere di cobalto e campioni di polvere<br />
dell’ambiente di lavoro. Il 95% del particolato dell’aria ambiente<br />
presenta un diametro < 5 µm, di cui l’85% con diametro<br />
compreso tra 2 e 2.7 µm: questo particolato è rappresentato pressoché<br />
esclusivamente da Co.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 77<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Ventitre campionamenti ambientali personali su 27 eccedono il<br />
TLV-TWA (1) e 11 su 27 il TRK (3): il maggior numero di tali superamenti<br />
si verifica il terzo giorno dell’indagine (venerdì). I valori<br />
più elevati si registrano nella zona di miscelazione dei prodotti,<br />
dove il valore limite viene superato di uno-due ordini di grandezza.<br />
I valori di CoU presentano un progressivo incremento da inizio<br />
turno del primo giorno a fine turno del decimo giorno, come chiaramento<br />
evidenziato dall’andamento dei valori della mediana. I valori<br />
di CoU presentano un incremento significativo tra inizio turno<br />
del primo giorno e fine turno del terzo giorno (t = 3,52; p > 0,01)<br />
e tra inizio turno del primo giorno e fine turno dell’ultimo giorno<br />
(t = 4,48, p < 0,01). Non si osservano differenze significative né tra<br />
fine turno del primo giorno e fine turno del terzo giorno, né tra fine<br />
turno del terzo giorno e fine turno dell’ultimo giorno.<br />
Complessivamente, 32 valori di CoU su 44 eccedono il BEI<br />
(15 µg/L), mentre l’EKA (60 µg/L) viene superato da 16 misure<br />
di CoU su 44. Ad inizio turno del primo giorno 2 campioni su 11<br />
di CoU eccedono il BEI (15 µg/L), mentre i rimanenti 9 ri<strong>sul</strong>tano<br />
più elevati dei valori di riferimento (1,5 µg/L). Nessuna correlazione<br />
è stata osservata tra valori di CoU ed i corrispondenti<br />
valori di esposizione personale a Co.<br />
Discussione e Conclusioni<br />
Le condizioni di esposizione della lavorazione oggetto dello<br />
studio ri<strong>sul</strong>tano di particolare interesse dal momento che l’esposizione<br />
è rappresentata eslcusivamente da polvere di cobalto respirabile<br />
le cui concentrazioni eccedono il TLV-TWA nell’80% dei campionamenti<br />
eseguiti. La fase dove si raggiungono i valori di esposizione<br />
più elevati è quella della miscelazione dei componenti dove il<br />
TLV-TWA viene superato di uno-due ordini di grandezza.<br />
I valori di cobalturia, che presentano un significativo incremento<br />
con il procedere della settimana lavorativa, ri<strong>sul</strong>tano an-<br />
cora superiori al BEI ad inizio turno della settimana di lavoro, a<br />
conferma del fatto che 15 giorni non sono suficienti per completare<br />
la fase di eliminazione lenta del cobalto assorbito.<br />
L’assenza di correlazione tra valori di Co ambientale e cobalturia<br />
osservata nello studio può trovare due ordini di spiegazione:<br />
la scelta del momento della raccolta del campione <strong>biologico</strong><br />
da un lato e il potenziale contributo che l’assorbimento percutaneo<br />
del metallo può offrire alla dose interna totale dall’altro.<br />
Bibliografia<br />
1) American Conference of Governmental Industrial Hygienists (AC-<br />
GIH).Threshold Limit Values for chemical substances and physical<br />
agents and Biological Exposure Indices. Cincinnati: ACGIH, 2004.<br />
2) Angerer J, Heinrich R, Szadkowski D, et al. Occupational exposure to<br />
cobalt powder and salt - Biological monitoring and health effects. In:<br />
Lekkas T.D. Ed. Heavy metals in the environment. Athens, 1985, 11-13.<br />
3) Deutsche Forschungsgemeinschaft. List of MAK and BAT Values.<br />
39 th ed. Weinheim: Wiley-VCH, 2003;<br />
4) Elinder CG, Friberg L. Cobalt. In: Handbook on the Toxicology of<br />
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Science Publisher, BV, 1986, 211-232.<br />
5) Larese Filon F., Maina G., Adami G., et al. In vitro percutaneous absorption<br />
of cobalt. Int Arch Occup Environ Health 2004; 77: 85-89.<br />
6) Linnainmaa M, Kiilunen M Urinary cobalt as a measure of exposure<br />
in the wet sharpening of hard metal and stellite blades. Int Arch Occup<br />
Environ Health 1997; 69: 193-200.<br />
7) Meyer-Bisch C, Phom QT, Mur JJ, Teculescu D, Carton B, Pierre F,<br />
Baruthio F Respiratory hazard in hard metal workers: a cross sectional<br />
study. Br J Ind Med 1989; 46: 302-309.<br />
8) Pellet F, Pedrix A, Vincent M, Mallion JM. Dosage biologique du cobalt<br />
urinaire Arch Mal Prof 1984; 45: 82-85.<br />
9) Scansetti G, Lamon S, Talarico S, Botta GC, Spinelli P, Sulotto F,<br />
Fantoni F. Urinary cobalt as a measure of exposure in the hard metal<br />
industry. Int Arch Occup Environ 1985; 57: 19-26.<br />
10) Scansetti G, Botta GC, Spinelli P, Reviglione L, Ponzetti C. Absorption<br />
and excretion of cobalt in the hard metal industry. Sci Tot Environ<br />
1994; 150: 141-144.<br />
M. Maniscalco 3 , G. de Laurentiis 1 , M. Mormile 1 , M. Sofia 1 , M. Di Mare 2 , L. Padovano 2 , C. Sbordone 2 , C. Pentella 4 ,<br />
A. Sanduzzi 4 , S. Faraone 3 , A. Zedda 3 , M. Manno 2<br />
Condensato dell’aria espirata: nuova tecnica per il monitoraggio<br />
dell’esposizione a toluene in soggetti sani<br />
1 Cattedra di Malattie dell’Apparato Respiratorio, A.O. Monaldi, Università degli Studi di Napoli Federico II<br />
2 Cattedra di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Napoli Federico II<br />
3 Sezione di Malattie dell’Apparato Respiratorio, Ospedale S. Maria della Pietà, Casoria, Napoli<br />
4 Cattedra d’Igiene, Università degli Studi di Napoli Federico II<br />
RIASSUNTO. L’esposizione al toluene, un idrocarburo aromatico<br />
ampiamente utilizzato nell’industria chimica come solvente, rappresenta<br />
una situazione di rischio professionale di particolare rilevanza, dal momento<br />
che recenti evidenze scientifiche hanno indicato che può determinare<br />
tossicità cronica. La determinazione e il controllo dell’esposizione al<br />
toluene tra i lavoratori a rischio hanno pertanto grande importanza. Tra gli<br />
indicatori biologici di esposizione al toluene, la ricerca nell’aria espirata è<br />
una metodica particolarmente vantaggiosa, pur con le difficoltà connesse<br />
ai suoi costi elevati ed ad una sensibilità bassa. Recentemente il condensato<br />
di aria espirata (EBC, Exhaled Breath Condensate), che si ottiene raffreddando<br />
l’aria espirata durante respirazione spontanea, è stato introdotto<br />
come nuova metodica per quantificare la presenza di sostanze tossiche<br />
nei lavoratori esposti professionalmente. Scopo del nostro studio pilota è<br />
stato quello di osservare se l’EBC può essere utilizzato come metodo di<br />
analisi quantitativa dell’esposizione a toluene. Sei soggetti volontari sani<br />
sono stati esposti ad una concentrazione di toluene di 50-100 ppm, simulando<br />
una attività lavorativa. L’EBC è stato raccolto prima e dopo l’esposizione.<br />
In tutti i soggetti i livelli di toluene nell’EBC prima dell’esposizione<br />
sono ri<strong>sul</strong>tati più bassi del limite minimo di rilevabilità. Il toluene<br />
era invece dosabile in tutti i campioni di EBC dopo l’esposizione e il valore<br />
mediano era 35 µg/L (range 0.22-0.55 µg/L). I livelli di toluene ambientali<br />
e nell’EBC ri<strong>sul</strong>tavano infine significativamente correlati. In conclusione,<br />
il dosaggio di toluene su EBC ri<strong>sul</strong>ta una metodica utilizzabile<br />
per valutare l’esposizione lavorativa umana alla sostanza.<br />
Parole chiave: toluene, solventi, espirata, aria condensata, spazio di<br />
testa.
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
78 www.gimle.fsm.it<br />
ABSTRACT. EXHALED BREATH CONDENSATE: A NEW TECHNIQUE<br />
FOR MONITORING EXPOSURE TO TOLUENE AMONG HEALTHY INDIVIDUALS.<br />
Exposure to toluene, an aromatic hydrocarbon widely used as an industrial<br />
solvent, is of particular concern since recent research work indicated<br />
that this solvent can re<strong>sul</strong>t in chronic toxicity. Establishing and monitoring<br />
toluene exposure among workers who are at risk is therefore of the<br />
greatest importance. Of the various biological indicators of exposure, toluene<br />
breath sampling is one of the best as it provides an accurate estimate<br />
of its concentration in target tissues. However, the monitoring of<br />
exhaled toluene is not easy due to the expense and the low level of sensitivity.<br />
Exhaled breath condensate (EBC), which is obtained by freezing<br />
exhaled air under conditions of spontaneous breathing, has recently been<br />
used as a new matrix for quantifying the lung tissue dose of toxic metals<br />
in occupationally exposed workers. The aim of the present pilot study<br />
was to investigate whether EBC can also be used as a suitable matrix for<br />
toluene quantitative analyses. Six healthy non-smokers were exposed to<br />
a known concentration of toluene while simulating an occupational activity.<br />
EBC were collected before and after exposure (50-100 ppm). The<br />
environmental levels of toluene in the air were also measured. Toluene levels<br />
in EBC were lower than the detection limit before exposure in all the<br />
subjects. Detectable levels of toluene were found in all EBC samples collected<br />
after, but not before exposure with a median value was 0.35 µg/L<br />
(range 0.22 - 0.55 µg/L). A significant correlation was found between toluene<br />
levels in EBC and those in the air. In summary, the present pilot<br />
study shows that EBC analysis is a promising matrix for assessing occupational<br />
exposure to toluene.<br />
Key words: toluene, exhaled breath condensate, head-space.<br />
Introduzione<br />
Il toluene è uno dei solventi organici più utilizzati (1), costituendo<br />
più dell’80% dei solventi usati nelle vernici, il 62% negli<br />
inchiostri, il 56% nei diluenti, e il 51% negli adesivi (2, 3). L’esposizione<br />
cronica a toluene, una condizione che coinvolge milioni<br />
di lavoratori negli impianti industriali, si manifesta con irritazione<br />
delle mucose, riduzione della funzione del sistema nervoso<br />
centrale ed alterazioni endocrine (4). Per questo motivo il<br />
monitoraggio dei livelli di esposizione a toluene riveste un ruolo<br />
primario in medicina del lavoro. Sia il toluene che i suoi metaboliti<br />
sono usati come biomarkers di esposizione e la misurazione<br />
diretta dei livelli di toluene circolanti, urinari e nell’aria espirata<br />
sono tra gli indicatori di esposizione più usati (5). In particolare,<br />
la misurazione del toluene nell’aria espirata riflette accuratamente<br />
le concentrazioni tissutali e quindi la sua potenziale<br />
tossicità (6). Tuttavia, la raccolta diretta del toluene nell’aria<br />
espirata non è privo di difficoltà, dal momento che richiede ad<br />
esempio campionatori adeguati ed un’analisi immediata (6).<br />
Il condensato di aria espirata (EBC), ottenuto attraverso il<br />
raffreddamento dell’aria esalata durante una respirazione tidalica<br />
spontanea, è un nuovo metodo per raccogliere sostanze volatili e<br />
non-volatili dalle vie aeree inferiori (7). Non è tuttavia ancora noto<br />
se l’EBC possa essere effettivamente utilizzato anche per identificare<br />
e monitorare i livelli dei solventi organici. Lo scopo del<br />
nostro studio pilota è stato quello di osservare se il EBC può essere<br />
utilizzato come un facile metodo di analisi quantitativa del<br />
toluene in soggetti professionalmente esposti a tale solvente.<br />
Materiali e metodi<br />
Soggetti: Sei soggetti volontari sani con età media di 35 anni<br />
(27-50) e un peso corporeo medio di 80 kg (68-90) hanno partecipato<br />
allo studio. Tutti i soggetti erano non fumatori e non esposti<br />
lavorativamente o in altro modo a solventi organici. L’esperimento<br />
è stato condotto dopo aver ottenuto il consenso informato dei<br />
partecipanti e dopo l’approvazione del Comitato Etico.<br />
Disegno dello studio: Ai soggetti è stato chiesto di simulare le<br />
condizioni lavorative di pulitura di scarpe con il toluene per 20 minu-<br />
ti. Tutti i soggetti utilizzavano guanti protettivi in lattice. L’esposizione<br />
è stata condotta in una camera di 40 mq senza ricambio di aria. La<br />
temperatura e l’umidità relativa sono state continuamente misurate.<br />
La concentrazione del solvente nell’aria è stata continuamente monitorata<br />
da uno spettrofotometro ad infrarossi Sapphire CONTEC<br />
Enginering. Le misurazioni sono state compiute a 13.77 mcm (con<br />
una lunghezza d’onda di riferimento di 3.66 mcm) e le concentrazioni<br />
di toluene sono state registrate ogni 3 minuti. L’EBC è stato<br />
raccolto immediatamente prima e subito dopo l’esposizione.<br />
Raccolta di EBC: L’EBC è stato raccolto utilizzando un condensatore,<br />
che permette una raccolta non invasiva dei componenti<br />
non gassosi dell’aria espirata (EcoScreen, Jaeger, Wyrzburg,<br />
Germany). I soggetti in studio hanno respirato attraverso un<br />
boccaglio fornito di una valvola di non re-breathing a due vie e<br />
di una trappola salivare. È stato chiesto loro di respirare a frequenza<br />
e volume tidalico, indossando uno stringinaso, per un periodo<br />
di 15 minuti. Il condensato (2 ml in totale) è stato immediatamente<br />
trasferito in una provetta di vetro (volume 10 ml) per<br />
l’analisi. Appena dopo l’introduzione del campione, le provette<br />
sono state chiuse con setti di 20 mm di nastro butilico gommato<br />
con PTFE e sigillate con un tappo di alluminio.<br />
Analisi del toluene: Il toluene è stato analizzato mediante<br />
tecnica gas-cromatografica in spazio di testa statico con rivelatore<br />
di massa (Shimadzu GC-17° infrarossi con spettrometro di<br />
massa GCMS-QP 5000). Le condizioni del cromotografo erano:<br />
SP-B 20 di 60 m di lunghezza e di 0.25 mm di diametro con uno<br />
spessore del film di 0.25 µm. Come gas di trasporto è stato usato<br />
l’elio; il flusso di colonna è stato di 1.3 ml/min; la temperatura<br />
iniettore è stata di 280 °C mentre la temperatura dell’interfaccia<br />
di 250 °C; il rapporto di splintaggio 1/10; tensione al detector di<br />
1.5 kV; la temperatura del forno di 50 °C per 2 minuti poi a 10<br />
°C/min fino al raggiungimento di 100°C. Il modo di acquisizione<br />
è stato in SIM (91 e 92 m/z). Il campione di EBC è stato posto<br />
in bagnomaria a 50 °C. Dopo 3 minuti di condizionamento,<br />
con una siringa per gas sono stati prelevati 250 µl dallo spazio di<br />
testa ed iniettati nel gas-cromatografo. Il tempo di ritenzione del<br />
toluene è stato approssimativamente di 7.20 minuti.<br />
Calibrazione e valutazione di riproducibilità del test: Il toluene<br />
(purificato in laboratorio) è stato acquistato dalla Carlo Erba<br />
(Milano, Italia). Le curve standard sono state preparate giornalmente,<br />
aggiungendo quantità variabili di toluene (0.1 a 0.6<br />
µg/L) a 2 mL di acqua distillata. Inoltre, al fine di valutare la riproducibilità<br />
della metodica e di effettuare una corretta calibrazione,<br />
sono stati utilizzati quattro campioni di EBC di soggetti<br />
non esposti, corretti con 0.01, 0.15, 0.30, 0.60 µg/L di toluene.<br />
Statistica: È stata utilizzata l’analisi di regressione lineare al<br />
minimo-quadrato per valutare la pendenza e (b) l’intercetta della<br />
curva di calibrazione y = bx + a, dove per y si intende l’area cromatografia<br />
dell’analita e per x la concentrazione del campione<br />
dell’analita (µg/L). Il limite di rilevamento (LOD, limit of detection)<br />
del campione è stato calcolato secondo tale espressione<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Le curve ottenute dall’analisi del EBC erano simili a quelle<br />
delle calibrazioni standard e ri<strong>sul</strong>tavano lineari nel range di analisi<br />
del toluene (Figura 1). Le curve di calibrazione ottenute in altri<br />
giorni lavorativi in due differenti settimane si presentavano simili<br />
tra loro. L’errore di metodo, espresso dalla deviazione standard<br />
relativa, è stato calcolato da 6 identici campioni dal 1.9% ad<br />
alta concentrazione di toluene di 0.6 µg/ al 2.5% a basse concentrazioni<br />
di toluene 0.1 µg/L. Il LOD era 0.05 µg/L.<br />
Durante l’esposizione dei soggetti, le concentrazioni lavorative<br />
di toluene erano sempre più basse di 100 ppm (valore medio<br />
77 ppm). Nell’EBC di tutti i soggetti i livelli di toluene erano più<br />
alti del limite minimo rintracciabile prima dell’esposizione.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 79<br />
Figura 1. Curva di calibrazione per il toluene nel condensato<br />
dell’aria espirata (in ordinata unità arbitrarie)<br />
Figura 2. Correlazione tra toluene nell’aria e nel condensato<br />
dell’aria espirata in 6 soggetti sani non fumatori<br />
Il toluene era rintracciabile in tutti i campioni di EBC dei nostri<br />
soggetti dopo l’esposizione. Il valore mediano era 0,35 µg/L (range<br />
0,22 - 0,55 µg/L). La figura 2 mostra i cromatogrammi di massa a<br />
singolo ione corrispondenti al campione di EBC di un soggetto dopo<br />
l’esposizione e lo stesso campione corretto con 0,1 µg/L del campione<br />
standard. L’analita è univocamente interpretabile <strong>sul</strong>la base del<br />
tempo di ritenzione e del rapporto massa/peso. Una significativa correlazione<br />
è stata rilevata tra i livelli ambientali di toluene e quelli ritrovati<br />
nell’EBC alla fine dell’esposizione (r = 0,82, p = 0,04).<br />
Discussione<br />
Il toluene è un idrocarburo aromatico ampiamente utilizzato<br />
dall’industria chimica come solvente (1). Una esposizione prolungata<br />
può causare tossicità cronica, specialmente a carico del<br />
sistema nervoso centrale e dell’apparato endocrino (1). Esistono<br />
in Letteratura numerosi studi <strong>sul</strong>la tossicità della sostanza, di cui<br />
viene raccomandato il monitoraggio dell’esposizione nei gruppi<br />
a rischio. Per tale motivo, in molti Paesi viene attuata una stretta<br />
sorveglianza delle concentrazioni di toluene negli ambienti di lavoro.<br />
Comunque, nella valutazione dell’esposizione e del rischio,<br />
il monitoraggio <strong>biologico</strong> del toluene ha numerosi vantaggi rispetto<br />
alle tecniche di rilevazione ambientale. Sono stati utilizzati<br />
numerosi indicatori biologici di esposizione, quali i livelli circolanti<br />
ed urinari, i metaboliti urinari o gli effetti preclinici dell’esposizione<br />
alla sostanza.<br />
I tre principali obiettivi per un indicatore <strong>biologico</strong> di esposizione<br />
sono: a) un’accurata misurazione della dose assorbita; b)<br />
un metodo di raccolta di campioni rapido, non invasivo e tempoindipendente;<br />
c) una misurazione non influenzata dalle abitudini<br />
alimentari o da fonti di contaminazione endogena. Raccogliere<br />
campioni di toluene nell’aria espirata risponde a queste esigenze,<br />
dal momento che riflette accuratamente le reali concentrazioni<br />
tessutali del toluene.<br />
Il presente studio pilota dimostra la validità di un metodo alternativo<br />
di rilevazione del toluene, quale la sua misurazione nell’EBC<br />
di soggetti esposti, suggerendone l’impiego come nuovo<br />
metodo di rilevazione e monitoraggio dell’esposizione al solvente.<br />
Rispetto ad altri metodi (ad esempio la raccolta di campioni di<br />
sangue), l’EBC è una metodica non invasiva e non richiede particolare<br />
collaborazione o abilità del probando. Esso può essere raccolto<br />
in qualsiasi momento e praticamente in qualsiasi ambiente;<br />
infine, esso rappresenta una matrice biologica più semplice, rispetto<br />
al sangue o alle urine, in quanto costituita in larga parte da<br />
acqua. Rispetto ai campioni di aria espirata, infine, i livelli di toluene<br />
ritrovati nell’EBC dopo una esposizione al toluene breve ed<br />
acuta appaiono nel nostro studio più alti di quanto riferito da altri<br />
Autori, ri<strong>sul</strong>tando fino a cento volte più alti in confronto a soggetti<br />
non esposti professionalmente (8, 9, 10). Va peraltro sottolineato<br />
che i soggetti in studio ri<strong>sul</strong>tavano rappresentativi dei lavoratori<br />
esposti acutamente al toluene, dal momento che simulavano<br />
un’attività lavorativa a diretto e costante contatto con il solvente.<br />
I livelli di toluene nell’aria ambiente erano sempre più bassi dei<br />
limiti accettati. È interessante notare che è stata ritrovata una stretta<br />
correlazione tra i livelli ambientali di toluene e i livelli nell’EBC.<br />
In conclusione, i ri<strong>sul</strong>tati del presente studio sembrano indicare<br />
l’analisi dell’EBC come un metodo promettente per rintracciare<br />
solventi organici presenti a livello tissutale in soggetti esposti ad<br />
ambienti lavorativi inquinati o non sufficientemente controllati.<br />
Bibliografia<br />
1) Inoue O, Seiji K, Watanabe T, Chen Z, Huang M-Y, Xu X-P,Qiao X,<br />
Ikeda M Effects of smoking and drinking habits on urinary o-cresol<br />
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2) Inoue T, Takeuchi Y, Hisanaga N, Ono Y, Iwata M, Ogata M, Saito<br />
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products such as thinners, degreasers, reagents and others. Ind<br />
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3) Kumai M, Loizumi A, Saito K, Sakura H, Inoue T, Takeuchi Y, Hara I,<br />
Ogata M, Matsushita T, Ikeda M (1983) A nationwide survey on organic<br />
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products such as paints, inks, and adhesives. Ind Health 21: 185-197.<br />
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9) Kharitonov SA, Barnes PJ. Exhaled markers of pulmonary disease<br />
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10) Goldoni M, Catalani S De Palma G et al Exhaled breath condensate<br />
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to cobalt and tungsten Environ Health Perspect 2004 112: 1293-98.
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
80 www.gimle.fsm.it<br />
M. Maniscalco 1 , M. Di Mare 2 , L. Padovano 2 , C. Sbordone 2 , S. Di Tonno 2 , M. Mormile 1 , P. Carratù 3 , L. Carratù 1 , M. Sofia 1 ,<br />
M. Manno 2<br />
Ossido nitrico nasale nel monitoraggio della rinite occupazionale<br />
1 Cattedra di Malattie dell’Apparato Respiratorio, A.O. Monaldi, Università degli Studi di Napoli Federico II<br />
2 Cattedra di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Napoli Federico II<br />
3 Cattedra di Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università degli Studi di Bari<br />
RIASSUNTO. Il dosaggio di ossido nitrico (NO) su aria espirata è<br />
stato recentemente proposto quale strumento non invasivo di monitoraggio<br />
della flogosi delle vie aeree in corso di patologie delle alte e basse vie<br />
aeree come l’asma bronchiale e la rinite allergica. L’utilità di tale metodica<br />
per la valutazione dell’infiammazione in corso di patologie occupazionali<br />
non è ben conosciuta. Scopo del presente studio è stato quello di<br />
valutare i livelli di NO <strong>orali</strong> e nasali in pazienti affetti da rinite occupazionale<br />
rispetto a pazienti affetti da rinite allergica stagionale ed a controlli<br />
sani. Abbiamo misurato tramite chemiluminescenza i livelli di NO<br />
nasale in sei pazienti con diagnosi di rinite occupazionale (RO), in 15 pazienti<br />
con rinite allergica stagionale (RA) e in 18 controlli sani (CS). Nei<br />
pazienti con RO e RA i livelli nasali di NO sono stati inoltre correlati con<br />
lo score clinico. I livelli di NO nasale nei pazienti affetti da RO erano<br />
comparabili con i valori dei pazienti con RA: mediana (95% CI) rispettivamente<br />
di 60,5 ppb (47,8-69,8) e di 46,2 ppb (39,1 - 54,3). Entrambi i<br />
gruppi presentavano valori di NO nasale più alti rispetto ai controlli sani<br />
27,5 ppb (24,2-33,0) (p
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 81<br />
lizzatore è stato calibrato con una miscela di NO (200 parti per miliardo).<br />
I livelli di NO sono stati misurati durante respiro orale e nasale.<br />
Una maschera nasale è stata usata per la misurazione nasale<br />
ed un boccaglio per quella orale. I pazienti espiravano lentamente<br />
attraverso il naso o attraverso la bocca a flusso costante (50 ml/s)<br />
per 10 secondi. Le misurazioni sono state effettuate in duplicato.<br />
I dati sono espressi come mediana (95% dell’intervallo di<br />
confidenza). L’analisi statistica è stata effettuata tramite test non<br />
parametrici: U-Mann Whitney test e Spearman test. Una p inferiore<br />
a 0.05 è stata considerata statisticamente significativa.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
La visita ORL evidenziava in tutti pazienti, sia RO che RA, segni<br />
in atto o pregressi di rinite vasomotoria di vario grado e tutti<br />
erano sintomatici al momento del dosaggio di NO sebbene in misura<br />
diversa. I livelli <strong>orali</strong> di NO nei pazienti affetti da RO o RA<br />
erano rispettivamente di 12,6 ppb (7,9-16,7) e 10,4 ppb (8,5-15,5)<br />
ed erano significativamente maggiori rispetto ai CS, 6,6 ppb (5,2 -<br />
8.1) p
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
82 www.gimle.fsm.it<br />
Introduzione<br />
La sorveglianza sanitaria dei lavoratori ex esposti ad amianto<br />
rappresenta uno dei problemi più rilevanti di sanità pubblica<br />
(1). Molto si discute <strong>sul</strong>la efficacia delle attività di sorveglianza<br />
condotte in relazione ai possibili esiti neoplastici della esposizione<br />
al rischio, dal momento che gli attuali possibili indicatori<br />
precoci di effetto sono confinati alla diagnostica per immagini<br />
condotta attraverso la TC a spirale, metodica ancora in fase<br />
di validazione (2). Si tratta in Campania (3), ad oggi, di<br />
12.225 persone la cui sorveglianza è affidata alla gestione del<br />
Servizio Sanitario Regionale attraverso la costituzione di Unità<br />
Operative Amianto da insediare a livello di ogni singola ASL<br />
della Campania. Il coordinamento scientifico della attività di<br />
sorveglianza sanitaria è delegato, dal Piano Regionale Amianto,<br />
al Registro Regionale Mesoteliomi istituito presso la Sezione di<br />
Medicina del Lavoro del Dipartimento di Medicina Sperimentale<br />
della Seconda Università di Napoli, struttura promotrice di<br />
questa ricerca.<br />
Il Progetto di ricerca<br />
L’obiettivo della ricerca proposta è di identificare specifici<br />
biomarcatori precoci in grado di definire:<br />
1. la esistenza, all’interno del gruppo dei lavoratori ex esposti<br />
ad amianto, di biomarcatori precoci di predisposizione capaci<br />
di identificare, all’interno della coorte degli ex esposti, una<br />
specifica sotto-coorte di soggetti ad “alto rischio”, caratterizzata<br />
da uno specifico profilo di espressione genica per il mesotelioma<br />
pleurico (4, 5); in questo modo sarebbe ragionevole<br />
predisporre, per questa coorte ad alto rischio, una particolare<br />
forma di sorveglianza attiva, caratterizzata da un protocollo<br />
di monitoraggio <strong>biologico</strong> periodico;<br />
2. la esistenza di biomarcatori precoci, individuabili attraverso<br />
le attività di monitoraggio <strong>biologico</strong>, in grado di cogliere nelle<br />
primissime fasi la formazione di un mesotelioma pleurico.<br />
Tale diagnosi precoce è oggi fondamentale per la applicazione<br />
di protocolli terapeutici trimodali (chirurgia + chemioterapia<br />
+ radioterapia) che determinerebbero, per i casi precoci e<br />
per gli istotipi epiteliomorfi sopravvivenze di 5 anni per il<br />
50% della coorte, rispetto alla attuale sopravvivenza media di<br />
8-12 mesi (6).<br />
Il progetto di ricerca si basa <strong>sul</strong>lo studio di due tipologie di<br />
possibili biomarcatori precoci:<br />
a) Ricerca di uno specifico profilo di espressione genica:<br />
La tecnica utilizzata è quella della analisi di espressione genica<br />
mediante Genechip Expression Arrays (Affymetrix) che<br />
permette di analizzare su di un unico supporto, con una unica<br />
analisi l’intero genoma umano.<br />
Lo studio sarà condotto su queste tipologie di tessuto:<br />
tessuto pleurico normale;<br />
tessuto pleurico di soggetti esposti ad amianto senza patologia<br />
in atto;<br />
tessuto pleurico “normale” di pazienti ammalati di mesotelioma;<br />
tessuto di mesotelioma appartenente ai seguenti istotipi:<br />
• epitelioide;<br />
• sarcomatoide;<br />
• misto.<br />
b) Ricerca di biomarcatori precoci a livello serico:<br />
La identificazione di biomarcatori precoci a livello serico<br />
rappresenta un traguardo di rilevante interesse, dal momento<br />
che potrebbe rappresentare un biomarcatore di facile applicabilità,<br />
e di basso costo (umano e finanziario), rispetto agli attuali<br />
biomarkers in fase di incerta validazione quali la TC a<br />
spirale.<br />
Recenti studi hanno messo in evidenza il possibile utilizzo<br />
come biomarcatore precoce della SMRP (serum mesothelinrelated<br />
protein) per la identificazione di:<br />
sottogruppo di ex esposti con predisposizione a produrre<br />
mesotelioma;<br />
diagnosi precoce del mesotelioma precedente anche la fase<br />
clinica conclamata;<br />
evoluzione prognostica della malattia.<br />
Gli studi preliminari di Robinson e coll. (7) richiedono una<br />
validazione su larghi numeri, ma l’approccio preliminare appare<br />
di rilevante interesse.<br />
Operativamente il progetto di ricerca sarà condotto su una<br />
coorte di ex lavoratori esposti ad amianto selezionata con la collaborazione<br />
della Unità operativa Amianto costituita all’interno<br />
della ASL NA2.<br />
Saranno monitorati circa 500 lavoratori con significativa e rilevante<br />
pregressa esposizione ad amianto, arruolati dalla ASL<br />
NA2 per le operazioni di sorveglianza sanitaria già in atto. Verranno<br />
conservati i sieri a - 80°C per la successiva valutazione di<br />
biomarcatori serici per tumori amianto correlati (carcinoma polmonare,<br />
mesotelioma pleurico).<br />
I valori dei biomarcatori saranno confrontati con gli altri parametri<br />
analizzati (prove di funzionalità respiratoria, diagnostica<br />
per immagini, andamento clinico) al fine di determinarne il grado<br />
di affidabilità.<br />
Bibliografia<br />
1) Mastrantonio M, Belli S, Binazzi A, Carboni M, Comba P, Fusco P,<br />
Grignoli M, Iavarone I, Martuzzi M, Nesti M, Trinca S, Uccelli R. La<br />
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G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 83<br />
F. Mocci 1 , G. Sechi 1 , R. Bardino 2<br />
Alterazioni visive ed esposizione a solventi organici a basse concentrazioni:<br />
studio attraverso l’utilizzo del Functional acuity contrast test (FACT)<br />
1 Istituto di Medicina Legale e di Medicina del Lavoro, Università di Sassari<br />
2 Servizio Sanitario Syndial, Porto Torres<br />
RIASSUNTO. Abbiamo studiato le alterazioni della sensibilità al<br />
contrasto visivo con il FACT (Functional Acuity Contrast Test) in 110 soggetti<br />
esposti a una miscela di solventi organici con concentrazioni inferiori<br />
a TLV; il test è stato effettuato durante l’attività lavorativa ed al rientro<br />
da un periodo di ferie. Il test di Wilcoxon ha evidenziato una differenza significativa<br />
alle frequenze 6, 12 and 18 Hz (P 20 anni (F=12,04; d.f.=3,102; P
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
84 www.gimle.fsm.it<br />
zianità lavorativa è stata pertanto stratificata in quattro gruppi<br />
(Tabella II). L’analisi dei contrasti ha rivelato una differenza statisticamente<br />
significativa tra i due test (CS1 e CS2) del primo<br />
gruppo (aa. 1-9) con il terzo (aa. 20-25) ed il quarto (aa. >25), ma<br />
non col secondo (aa.10-19) (F=12 04; d.f.=3,102; P
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 85<br />
S. Morandi, A. Bassi, A. Nunziata C. Andreoli<br />
Ruolo del polimorfismo del gene CYP2A6 nell’instaurarsi della<br />
dipendenza da nicotina e nella valutazione del rischio del cancro<br />
al polmone: un’analisi degli studi<br />
Centro Ricerche British American Tabacco Italia SpA, Napoli<br />
RIASSUNTO. Il gene CYP2A6, la principale ossidasi della nicotina,<br />
nonché attivatore delle nitrosammine, altamente polimorfico (ad oggi<br />
sono stati descritti più di 11 alleli), sembrerebbe svolgere un ruolo importante<br />
nella variabilità interindividuale del comportamento del fumatore<br />
e nella suscettibilità al cancro al polmone. CYP2A6 è implicato nel<br />
metabolismo della nicotina a cotinina e nell’attivazione delle nitrosammine<br />
a prodotti cancerogeni. Lo scopo di questo lavoro è provare a chiarire,<br />
attraverso l’analisi degli studi presenti in letteratura, l’effettivo ruolo<br />
del polimorfismo del gene CYP2A6 su queste due caratteristiche.<br />
Parole chiave: polimorfismo del gene CYP2A6, dipendenza da nicotina,<br />
cancro al polmone.<br />
ABSTRACT. THE ROLE OF CYP2A6 POLYMORPHISM IN ESTABLI-<br />
SHING TOBACCO DEPENDENCE AND MODULATING LUNG CANCER RISK: AN<br />
ANALYSIS OF THE LITERATURE. CYP2A6 is a highly polymorphic gene<br />
(more than 11 alleles have been described so far) that seems to play an<br />
important role in modulating the interindividual variability of smoker<br />
behaviour and susceptibility to lung cancer. CYP2A6 is an enzyme involved<br />
in the nicotine-cotinine metabolism and in the activation of nitrosamines<br />
to ultimate carcinogens. In this study we analysed re<strong>sul</strong>ts from<br />
the literature in order to shed light on the role of CYP2A6 gene polymorphism<br />
in the two variables reported above.<br />
Key words: CYP2A6 polymorphisms, nicotine addiction, lung cancer.<br />
Introduzione<br />
I citocromi P450 (CYP) sono responsabili del metabolismo e<br />
delle reazioni di detossificazione sia di composti endogeni che<br />
esogeni. Tali reazioni possono talvolta condurre all’attivazione<br />
metabolica di precancerogeni a cancerogeni. Negli ultimi anni<br />
sono state descritte diverse forme polimorfiche dei geni che codificano<br />
per i citocromi P450 che possono portare a forme enzimatiche<br />
con attività soppressa, ridotta, alterata qualitativamente<br />
o rafforzata (1). In riferimento alle possibili forme polimorfiche<br />
del CYP e alle loro differenti capacità metaboliche, l’enzima<br />
CYP2A6, la principale ossidasi della nicotina nonché attivatore<br />
delle nitrosammine, rappresenta un esempio molto interessante.<br />
Recenti lavori di letteratura hanno studiato la relazione tra il<br />
metabolismo deficitario di nicotina e delle nitrosammine specifiche<br />
del tabacco (TSNA) da un lato ed il polimorfismo nel gene<br />
CYP2A6 umano dall’altro (2). Alcuni di questi studi riportano<br />
che i fumatori adattano il loro comportamento durante il fumo<br />
(numero di sigarette fumate, profondità di inalazione, volume di<br />
ciascun puff) per mantenere i livelli di nicotina nel circolo periferico<br />
e centrale. Soggetti portatori di alleli polimorfici del<br />
CYP2A6, ed in particolar modo della forma allelica CYP2A6*4<br />
(forma deleta che si traduce in una ridotta o assente attività catalitica),<br />
avrebbero una minore probabilità di diventare dipendenti<br />
da nicotina, perché nel loro organismo il metabolismo difettivo<br />
ne garantisce una permanenza nel sangue più lunga e a livelli più<br />
elevati rispetto ai soggetti portatori della forma selvatica. Un altro<br />
aspetto interessante è rappresentato dal fatto che generalmente<br />
le prime esperienze con il fumo sono molto spesso spiacevoli<br />
in quanto provocano, tra l’altro, nausea e giramenti di testa. Nei<br />
soggetti difettivi tali effetti spiacevoli potrebbero essere esaltati,<br />
funzionando così da deterrente nei confronti di ulteriori esperien-<br />
ze con il tabacco. Inoltre, dal momento che il fumo di tabacco<br />
contiene nitrosammine che possono essere attivate a cancerogeni<br />
dal CYP2A6, gli individui portatori dell’allele difettivo potrebbero<br />
avere un fattore di protezione dall’azione cancerogena del<br />
fumo di sigaretta.<br />
Analisi degli studi <strong>sul</strong> polimorfismo del gene CYP2A6<br />
Tra i primi lavori che hanno focalizzato la loro attenzione<br />
verso questo campo di applicazione vi sono i gruppi di M.L. Pianezza<br />
(Nicotine metabolism defect reduces smoking) (4) e di R.F.<br />
Tyndale e E.M. Sellers dell’Universirà di Toronto (Variable<br />
CYP2A6-mediated nicotine metabolism alters smoking behaviour<br />
and risk) (5) che, studiando in particolare i geni che esprimono<br />
i sistemi enzimatici deputati alla trasformazione metabolica<br />
della nicotina, al fine di verificare se esista o meno una relazione<br />
tra il fumo e la capacità geneticamente predeterminata di<br />
inattivare la nicotina, hanno riscontrato che in una popolazione di<br />
non fumatori la presenza di copie difettose del gene che sintetizza<br />
l’enzima CYP2A6, è significativamente inferiore rispetto a<br />
quella dei fumatori abituali. Molti lavori di letteratura successivi<br />
concordano con questa tesi, altri invece, come quelli di Stephanie<br />
J. London et al. (Genetic variation of CYP2A6, smoking and risk<br />
cancer) (6) e quello di Marie-Anne Loriot et al. (Genetic polymorphisms<br />
of cytochrome P4502A6 in a case-control study on<br />
lung cancer in a French population) (7), sono giunti a ri<strong>sul</strong>tati discordanti.<br />
Per quel che riguarda l’influenza del polimorfismo del gene<br />
CYP2A6 nel modulare il rischio di cancro al polmone, è stato osservato<br />
quanto segue:<br />
1) una ridotta o assente capacità di metabolizzare la nicotina e,<br />
quindi di fumare un numero minore di sigarette, che è di per<br />
sé un fattore protettivo;<br />
2) una frequenza maggiore di individui che hanno una duplicazione<br />
del gene CYP2A6 tra i pazienti affetti da cancro al<br />
polmone.<br />
Queste osservazioni suggeriscono che gli individui che hanno<br />
un’attività ridotta del CYP2A6 presentano una probabilità più<br />
bassa di attivare i precancerogeni presenti nel fumo di sigaretta a<br />
cancerogeni.<br />
Discussione<br />
Un importante aspetto da considerare quando si studia il polimorfismo<br />
dei CYP è che le tecniche di genotipizzazione impiegate<br />
per la determinazione delle mutazioni a livello genomico<br />
siano appropriate e corrette. A tal proposito le discrepanze tra lo<br />
studio di Pianezza e quello di M.A. Loriot potrebbero essere dovute<br />
proprio a differenti metodi di genotipizzazione. Infatti, il<br />
metodo adottato dalla Loriot è probabilmente più specifico portando<br />
ad una frequenza inferiore di alleli polimorfici rispetto a<br />
quelli individuati col metodo di Pianezza.<br />
Inoltre i due lavori ri<strong>sul</strong>tano difficilmente comparabili per i<br />
seguenti motivi:
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
86 www.gimle.fsm.it<br />
Nello studio di Pianezza soggetti dipendenti dall’alcool e soggetti<br />
con dipendenza dal tabacco sono stati studiati insieme. Il<br />
consumo di etanolo potrebbe essere un fattore di confondimento,<br />
influenzando la dipendenza da tabacco e/o il metabolismo.<br />
I due approcci non presentano la stessa finalità: infatti la dipendenza<br />
da tabacco rappresenta il principale interesse dello<br />
studio di Pianezza, mentre lo studio della Loriot è mirato a<br />
misurare più accuratamente il consumo di sigarette ed il periodo<br />
di fumo.<br />
Il consumo di sigarette è stato valutato da Pianezza solo nei<br />
soggetti tabacco-dipendenti, mentre nello studio della Loriot<br />
è stata considerata l’intera popolazione.<br />
Lo stesso Jeffrey R. Idle, autore del gruppo della Loriot, ha<br />
reso nota in una lettera <strong>sul</strong>la rivista “The Lancet” (1999) la sua<br />
discordanza di opinioni con i co-autori, riguardo l’approccio al<br />
lavoro svolto. Infatti, secondo l’autore:<br />
1) la classificazione in fumatori e non fumatori non permette di<br />
identificare i soggetti che potrebbero presentare un’intolleranza<br />
alle sigarette di natura genetica o metabolica;<br />
2) a fronte delle evidenze sperimentali che il fumo è la principale<br />
causa di cancro al polmone, non viene riconosciuto il<br />
R. Morreale 1 , M. Dall’Olio 2 , A. Gelormini 2 , D. Tolentino 2<br />
giusto peso delle prove epidemiologiche che attribuiscono un<br />
importante ruolo anche alla dieta (8).<br />
In conclusione, il ruolo del polimorfismo del CYP2A6 nella<br />
dipendenza da tabacco e nel rischio del cancro al polmone richiede<br />
ulteriori indagini. La standardizzazione dei metodi di genotipizzazione<br />
ed una classificazione inequivocabile dei soggetti<br />
nelle categorie “fumatori” e “non fumatori” sono necessari<br />
allo scopo di comparare correttamente studi differenti e comprendere<br />
l’effettiva relazione tra CYP2A6 e comportamento del<br />
fumatore.<br />
Bibliografia<br />
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Utilizzo degli indicatori biologici per esposizione a toluene:<br />
acido ippurico e orto-cresolo<br />
1 Servizio Sanitario IFM FERRARA S.c.ar.l. “Integrated Facility Management”, Ferrara<br />
2 Direzione Salute Sicurezza e Ambiente, MEDL, Polimeri Europa<br />
RIASSUNTO. Un gruppo di 66 lavoratori di un impianto di produzione<br />
di gomme elastomeriche EP(D)M è stato oggetto di una indagine<br />
biologica con l’obiettivo di verificare la potenziale esposizione a toluene,<br />
attraverso la contemporanea determinazione, nelle urine raccolte a fine<br />
turno di lavoro, dell’acido ippurico e dell’orto-cresolo (o-cresolo) urinari.<br />
I nostri ri<strong>sul</strong>tati, per la maggior parte dei casi inferiori ai limiti biologici<br />
di esposizione, confermano le basse concentrazioni ambientali di toluene.<br />
L’o-cresolo è ri<strong>sul</strong>tato l’indicatore <strong>biologico</strong> meno influenzabile<br />
dai fattori di confondimento, come ad esempio fumo, dieta, etc., e più attendibile<br />
in presenza di basse esposizioni a toluene.<br />
Parole chiave: rischio chimico, toluene, monitoraggio <strong>biologico</strong>,<br />
esposizione professionale.<br />
ABSTRACT. USE OF IPPURIC ACID AND O-CRESOL AS BIOLOGICAL<br />
MARKERS OF OCCUPATIONAL EXPOSURE TO TOLUENE. A group of 66<br />
workers of an industrial elastomeric rubber plant were subjected to biological<br />
monitoring. The aim of the research was to verify the potential exposure<br />
to toluene, through the analysis of ippuric acid and o-cresol present<br />
in urine, collected at the end of the work shift. The re<strong>sul</strong>ts, which for<br />
the most part were lower than allowed BEIs, confirm low environmental<br />
concentrations of toluene. It was demonstrated that o-cresol is the most<br />
precise biological index when there are low levels of environmental toluene.<br />
Key words: chemical risk, toluene, biological monitoring, occupational<br />
exposure.<br />
Introduzione<br />
L’evoluzione legislativa del concetto di sorveglianza sanitaria,<br />
dalle prime visite mediche (D.P.R. 303/56) agli attuali accertamenti<br />
sanitari preventivi e periodici (D.Lgs 626/94 e 25/02), ha<br />
contribuito sensibilmente alla necessità di un continuo sviluppo<br />
ed aggiornamento tecnico-scientifico <strong>sul</strong>l’utilizzo di nuovi indicatori<br />
biologici nel controllo dell’esposizione ad agenti chimici.<br />
Il monitoraggio <strong>biologico</strong> delle urine raccolte a fine turno di lavoro<br />
è una tecnica non invasiva, ormai largamente applicata proprio<br />
per evitare che si instaurino condizioni di rischio di esposizione<br />
e di eventuale assorbimento di tossici.<br />
Materiali e metodi<br />
L’indagine biologica, oggetto del nostro studio, è stata condotta<br />
sui lavoratori di un impianto di produzione di gomme elastomeriche<br />
EP(D)M, nelle regolari condizioni di assetto produttivo,<br />
con l’obiettivo di verificare la potenziale esposizione a<br />
toluene (1). La tradizionale determinazione dell’acido ippurico<br />
urinario, a fine turno di lavoro, è stata affiancata, per la prima<br />
volta, allo studio dell’escrezione urinaria di orto-cresolo (o-cresolo),<br />
metabolita più specifico e più sensibile per le basse esposizioni<br />
a toluene (2). Nel corso degli incontri informativi/formativi<br />
“on the job” i lavoratori hanno ricevuto istruzioni <strong>sul</strong>le<br />
caratteristiche degli indicatori biologici ricercati, <strong>sul</strong>le modalità<br />
e sui tempi di campionamento e <strong>sul</strong>la necessità di compilare un<br />
questionario personale in cui raccogliere i dati anagrafici e le<br />
abitudini voluttuarie. I campioni urinari sono stati raccolti a fine<br />
turno di lavoro, temporaneamente stoccati a 4°C e consegnati<br />
per le analisi al Centro Interdipartimentale di Tossicologia<br />
e Farmacologia Umana ed Ambientale dell’Università di Ferrara.<br />
La determinazione dell’acido ippurico urinario ha utilizzato<br />
la cromatografia liquida ad alta pressione (HPLC), con detector<br />
UV. Per l’o-cresolo è stata impiegata la tecnica strumentale<br />
HPLC con fluorimetro.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 87<br />
Figura 1. Ri<strong>sul</strong>tati del metabolita acido ippurico Figura 2. Ri<strong>sul</strong>tati del metabolita o-cresolo<br />
Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />
I nostri ri<strong>sul</strong>tati sono relativi a 66 campioni di urine, raccolti<br />
a fine turno di lavoro, nelle regolari condizioni di assetto impiantistico.<br />
Su ogni singolo campione sono state eseguite due<br />
determinazioni analitiche: una per l’acido ippurico, l’altra per<br />
l’o-cresolo. I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti indicano un’esposizione a toluene<br />
che possiamo definire assai modesta; su un campione di 66<br />
analisi, sia l’acido ippurico (Figura 1) che l’o-cresolo (Figura 2)<br />
ri<strong>sul</strong>tano, per la maggior parte dei casi, inferiori ai limiti biologici<br />
di esposizione. Per quanto riguarda l’acido ippurico, esistono<br />
5 situazioni in cui le concentrazioni analizzate ri<strong>sul</strong>tano<br />
superiori al valore limite <strong>biologico</strong> di 1.6 g/g di creatinina; pertanto<br />
sono state verificate le possibili cause tecnico/organizzative<br />
e comportamentali per adottare gli eventuali e opportuni<br />
provvedimenti di prevenzione. Il medico competente ha informato<br />
individualmente i lavoratori interessati e il datore di lavoro<br />
del superamento del valore <strong>biologico</strong> dell’acido ippurico, approfondendone<br />
la correlazione con le attività lavorative ed extralavorative<br />
(3). L’esame critico delle mansioni, l’analisi delle<br />
procedure operative e dei possibili interventi tecnici, la revisione<br />
dei dati voluttuari non hanno fatto emergere aspetti significativi<br />
da correlare al superamento del valore limite <strong>biologico</strong>. I<br />
cinque campioni analitici, il cui valore limite <strong>biologico</strong> è ri<strong>sul</strong>tato<br />
superiore alle indicazioni dell’ACGIH, appartengono a lavoratori<br />
che ricoprono mansioni di lavoro differenti tra loro: tre<br />
di essi non svolgono, di regola, funzioni operative nelle aree di<br />
rischio considerate. I rimanenti due, presenti statisticamente in<br />
giornate e circostanze diverse, svolgono attività lavorativa in<br />
due diverse zone esterne dell’impianto. Le contemporanee misure<br />
del campionamento ambientale, effettuato nei punti fissi di<br />
tali zone, sono ri<strong>sul</strong>tate negative. Gli indicatori biologici di<br />
esposizione per questi 5 lavoratori sono stati successivamente<br />
ripetuti e sono ri<strong>sul</strong>tati nei limiti consentiti. Tuttavia i valori<br />
elevati di acido ippurico potrebbero essere tali anche per motivi<br />
extraprofessionali, a causa della scarsa specificità di questo<br />
indicatore <strong>biologico</strong> ai bassi livelli di esposizione a toluene, in<br />
quanto la concentrazione urinaria di acido ippurico può essere<br />
grandemente influenzata dalla dieta. I valori dell’o-cresolo invece<br />
sono tutti ri<strong>sul</strong>tati entro il BEI. Le concentrazioni urinarie<br />
di o-cresolo sono in accordo con i dati ambientali, che avevano<br />
sempre evidenziato bassa esposizione.<br />
Conclusioni<br />
La nostra indagine ha, in realtà, confermato i bassi valori<br />
espositivi a toluene già conosciuti. Negli ultimi anni infatti, nella<br />
quasi totalità dei punti monitorati, le concentrazioni rilevate<br />
sono inferiori al 10% del corrispondente limite espositivo AC-<br />
GIH. L’escrezione urinaria di acido ippurico, come è già da tempo<br />
noto, ri<strong>sul</strong>ta spesso influenzata dalla dieta, dal ritmo circadiano,<br />
dal fumo di tabacco, dal sesso, etc. A causa della forte ingerenza<br />
di tali fattori di confondimento e in considerazione delle<br />
basse esposizioni a toluene, riteniamo l’o-cresolo l’indicatore<br />
<strong>biologico</strong> più significativo e attendibile, in alternativa alla tradizionale<br />
ippuricuria, per le prossime campagne biologiche (4).<br />
L’ACGIH, già a partire dal 1998, aveva indicato, tra le proposte<br />
di cambiamento, l’introduzione della misura dell’o-cresolo urinario<br />
a fine turno di lavoro nei lavoratori professionalmente<br />
esposti a toluene.<br />
Ringraziamenti<br />
Ringraziamo vivamente il Prof. Edoardo De Rosa, esperto e cultore<br />
degli argomenti trattati.<br />
Bibliografia<br />
1) Sigma, Aldrich e Fulka chimica, divisione della Sigma-Aldrich Srl:<br />
Scheda di Sicurezza del Toluene.<br />
2) Perbellini L, Berri A, Turci R, Gardinali F, Sciarra G, Bartolucci GB,<br />
Sala C, Bosio C, Carrer P, Maroni M, Minoia C. Solventi I. Minoia<br />
C, Perbellini L, Eds. <strong>Monitoraggio</strong> ambientale e <strong>biologico</strong> dell’esposizione<br />
professionale a xenobiotici, Volume 5. Morgan Edizioni Tecniche,<br />
Milano, 2001.<br />
3) Apostoli P, Bartolucci GB, Imbriani M. Sempre a proposito di D.Lgs<br />
25/02: la sorveglianza sanitaria prevista e quella necessaria per i rischi<br />
chimici. G ItalMedLavErg 2003; 25: 3-11.<br />
4) Apostoli P. I valori guida necessari all’interpretazione del monitoraggio<br />
<strong>biologico</strong>. G ItalMedLavErg 2003; 25: 22-27.
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
88 www.gimle.fsm.it<br />
B. Papaleo, L. Caporossi, M. De Rosa, A. Pera<br />
Il taxolo plasmatico quale indicatore <strong>biologico</strong> di esposizione a taxolo<br />
ISPESL, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Roma<br />
RIASSUNTO. Per l’impostazione di un programma di monitoraggio<br />
<strong>biologico</strong> di infermieri professionalmente esposti a Taxolo (Paclitaxel) è<br />
stato messo a punto un metodo di analisi, semplice e veloce, per la determinazione<br />
del Taxolo nel plasma, attraverso l’utilizzo della cromatografia<br />
liquida ad alta prestazione equipaggiata con un rivelatore a serie di<br />
diodi. Il metodo è stato validato e ha permesso la quantificazione fino ai<br />
10 ng/ml di plasma.<br />
Parole chiave: taxolo, livelli plasmatici, monitoraggio <strong>biologico</strong>.<br />
ABSTRACT. TAXOL IN PLASMA AS A BIOLOGICAL MARKER OF EX-<br />
POSURE TO TAXOL. We present a fast and simple method for the analytical<br />
determination of Paclitaxel in human plasma. The analytical instrument<br />
is a high performance liquid chromatograph equipped with a diode<br />
array detector. The assay was validated and it was applied to plasma samples<br />
of nurses occupationally exposed to taxol and the re<strong>sul</strong>ts have been<br />
excellent, allowing evaluations of up to 10 ng/ml of plasma.<br />
Key words: taxol, plasma levels, biological monitoring.<br />
Introduzione<br />
L’importanza farmacologia del Taxolo (tax-11-en-9one,4β,20-epoxy-1,2α,4,7β,10β,13α-hexahydroxy-4,10-diacetate-2-benzoato-13-(α-phenylhippurate)<br />
iniziò ad evidenziarsi dopo<br />
l’imponente lavoro svolto nei primi anni ’60 dal Development<br />
Therapeutics Program (DTP), nella divisione del Cancer treatment,<br />
per l’individuazione di nuove molecole clinicamente utili.<br />
Il suo meccanismo d’azione a livello cellulare consente un legame<br />
con i microtubuli cellulari, promuovendone l’assemblamento<br />
e prevenendo la divisione cellulare senza interferire nella sintesi<br />
delle proteine (1). Studi clinici hanno mostrato come il Taxolo<br />
possa essere utilmente impiegato per contrastare una varietà di tumori:<br />
alle ovaie, ai polmoni, alla mammella, al cervello, melanoma<br />
e leucemia (2), classificandosi tra gli agenti antimitotici antitum<strong>orali</strong><br />
con una potente inibizione della replicazione cellulare.<br />
È un agente antiblastico con un’alta tossicità (3), ciò nonostante,<br />
una classificazione in base ai suoi eventuali effetti cancerogeni,<br />
mutageni e teratogenici ancora non è stata definita. La cinetica<br />
plasmatica del taxolo ha emivite di eliminazione molto variabili,<br />
comprese tra le 6h e le 20h, si lega saldamente alle proteine<br />
plasmatiche, in particolare a albumina, α-1-glicoproteina e<br />
lipoproteine, in una quota pari circa al 95% della dose assorbita.<br />
La principale via di eliminazione del farmaco è quella epatica,<br />
seguita dall’escrezione biliare e accumulo nei tessuti; la quota<br />
eliminata per via urinaria è ri<strong>sul</strong>tata appena del 10% rispetto<br />
alla dose assunta. Da studi condotti <strong>sul</strong> farmaco radiomercato si<br />
è osservato che il 75% della dose è rinvenuto nelle feci (4).<br />
Partendo da queste informazioni, in letteratura, l’indicatore<br />
<strong>biologico</strong> ri<strong>sul</strong>tato maggiormente sensibile per valutare la dose assorbita<br />
è stato il taxolo plasmatico. C’è da sottolineare come non<br />
siano ancora presenti studi su esposizioni professionali bensì<br />
esclusivamente studi di farmacocinetica e farmacodinamica (5, 6,<br />
7) o di valutazione delle condizioni di pazienti trattati terapeuticamente<br />
(8) per completare il quadro delle informazioni cliniche.<br />
Materiali e metodi<br />
Campionamento: sono stati raccolti campioni ematici di 8<br />
operatori addetti alla preparazione di chemioterapici antiblastici.<br />
Il prelievo è stato effettuato alla fine del turno lavorativo setti-<br />
manale. A ciascun operatore è stato somministrato un questionario<br />
per la raccolta delle informazioni <strong>sul</strong>le condizioni di lavoro<br />
con particolare attenzione alle procedure utilizzate nelle fasi di<br />
preparazione, somministrazione e smaltimento del taxolo, con riferimento<br />
alla frequenza ed ai DPI adottati; si sono raccolte informazioni<br />
<strong>sul</strong>le esatte quantità di farmaco manipolate e <strong>sul</strong>la eventuale<br />
necessità di operare preparazioni in casi di emergenza.<br />
Procedura di analisi: i campioni biologici, sia di controllo che<br />
di studio, sono stati raccolti in provette eparinizzate, il plasma è stato<br />
prontamente separato dal sangue per centrifugazione e conservato<br />
in provette di polipropilene a -20°C prima dell’analisi. Al momento<br />
dell’analisi, dopo aver portato i campioni a temperatura ambiente,<br />
ad una aliquota di plasma è stato aggiunto un eguale volume<br />
di tampone acetico (pH=5.5), dopo centrifugazione a il sovranatante<br />
è stato raccolto e analizzato. Si è eseguita una preventiva estrazione<br />
in fase solida dell’analita dal plasma con l’utilizzo di colonnine<br />
SPE Cyanopropyl silica. Le colonnine impaccate sono state condizionate<br />
con una sequenza di solventi (metanolo, acqua e tampone<br />
acetico 0.01M, pH=5.5), quindi è stato applicato il campione e si è<br />
fatta seguire una fase di pulizia sempre con tampone acetico 0.01M<br />
(pH=5.5) e una miscela acqua/metanolo 90:10 (v/v).l’eluizione del<br />
taxolo è stata eseguita con 2 ml di acetonitrile/trietilammina 1000:1<br />
(v/v) in provette di vetro, quindi evaporato sotto un leggere flusso di<br />
azoto a 50°C. Il residuo è stato ripreso con 200 µl CH 3 OH/tampone<br />
acetico 0.4M 3:5 v/v e iniettato in HPLC. La corsa cromatografica<br />
è stata eseguita con una colonna C8, in condizioni isocratiche, la fase<br />
mobile è consistita in una miscela CH 3 CN/CH 3 OH/tampone acetico<br />
0.05M 56:14:30, con un flusso 1.0 ml/min. La rivelazione è stata<br />
compiuta con un rivelatore a serie di diodi, monitorando l’assorbimento<br />
alla lunghezza d’onda di 227 nm. Il taxolo ha mostrato un<br />
tempo di ritenzione di 3.36 minuti.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />
Studio di validazione: il metodo è stato validato. La curva di<br />
calibrazione ha indicato un’ottima linearità di risposta nel range<br />
5-500 ng/ml (coefficiente di correlazione R=0.9998); i recuperi<br />
sono ri<strong>sul</strong>tati tutti superiori all’87%; il limite di rilevabilità è stato<br />
fissato a 10 ng/ml. Precisione e accuratezza sono stati calcolati<br />
intra-day e inter-day per quattro campioni di controllo in quadruplicato<br />
dando ottimi ri<strong>sul</strong>tati (maggiori del 94%).<br />
Esiti del monitoraggio: i campioni analizzati sono stati raccolti<br />
in tre ospedali diversi, per avere una eventuale indicazione<br />
sui potenziali effetti delle differenti condizioni di lavoro. In quelle<br />
strutture sanitarie di più recente costruzione, in cui le strategie<br />
di prevenzione, ed in particolare l’adozione delle misure di protezione<br />
collettiva ed individuale, sono più organizzate l’esito del dosaggio<br />
plasmatico di taxolo non ha evidenziato esposizioni particolari,<br />
come prevedibile. Solo in un caso si è ottenuto un dato superiore<br />
al nostro limite di rilevabilità; questo ri<strong>sul</strong>tato è stato interpretato<br />
come condizionato dalla storia lavorativa dell’infermiera<br />
in esame, caratterizzata da una elevata anzianità lavorativa.<br />
Conclusioni<br />
Il metodo presentato ri<strong>sul</strong>ta essere facilmente applicabile, veloce<br />
e realizzabile con costi notevolmente contenuti rispetto ad
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 89<br />
altre tecniche presentate in letteratura. Può essere agevolmente<br />
applicato per il monitoraggio <strong>biologico</strong> di operatori professionalmente<br />
esposti permettendo di valutare fino a 10 ng/ml di plasma,<br />
e seppur non sono ancora disponibili dei limiti di esposizione<br />
professionale, questa concentrazione può essere utilmente impiegata<br />
per evidenziare una avvenuta esposizione nonché un eventuale<br />
accumulo.<br />
Bibliografia<br />
1) Foa R, Norton L, Seidman A. Taxol (paclitaxel): a novel antimicrotubule<br />
agent with remarkable anti-neoplastic activit. Int J Clin Lab<br />
Res 1994; 24: 6-14.<br />
2) Arbuck SG, Christian MC, Fisherman JS. Clinical development of<br />
Taxol. Monogr Natl Cancer Inst 1993; 15: 11-24.<br />
L. Perbellini 1 , G. Maccacaro 2 , F. Marano 2<br />
3) Donehower RC. Clinical toxicities encountered with paclitaxel. Semin<br />
Oncol 1993; 20 (suppl.3): 1-15.<br />
4) Minoia C, Perbellini L. Il monitoraggio ambientale e <strong>biologico</strong> dell’esposizione<br />
professionale a xenobiotici- I chemioterapici antiblastici,<br />
vol.3, Morgan edizioni tecniche.<br />
5) Beijnen JH, Huizing MT, ten Bokkel Huinink WW, Veenhof CH,<br />
Vermorken JB, Giaccone G, Pinedo HM. Bioanalysis, pharmacokinetics,<br />
and pharmacodynamics of the novel anticancer drug paclitaxel<br />
(taxol). Semin Oncol 1994, 21 (5 suppl 8): 53-62.<br />
6) Martin N, Catalin J, Blachon MF, Durand A. Assay of paclitaxel<br />
(Taxol) in plasma and urine by high-performance liquid chromatography.<br />
J Chromatogr B 1998, 709(2): 281-8.<br />
7) Alexander MS, Kiser MM, Culley T, Kern JR, Dolan JW, McChesney<br />
JD, Zygmunt J, Bannister SJ. Measurament of paclitaxel in biological<br />
matrices: high-throughput liquid chromatographic-tandem<br />
mass spectrometric quantification of paclitaxel and metabolites in<br />
human and dog plasma. J Chromatogr B 2003, 785: 253-261.<br />
<strong>Monitoraggio</strong> <strong>biologico</strong> per l’esposizione a vapori di benzina<br />
nel personale addetto all’erogazione di carburanti<br />
1 Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Verona<br />
2 Servizio di Medicina del Lavoro, Bolzano<br />
RIASSUNTO. L’esposizione a vapori di benzina rappresenta un rischio<br />
di non facile valutazione per la presenza di alcuni cancerogeni (benzene)<br />
e di molteplici altri solventi. Tra questi il Metil-Ter-Butil-Etere<br />
(MtBE) viene aggiunto, in proporzione di circa il 15%, per migliorarne le<br />
caratteristiche. La misura contemporanea del MtBE e del benzene in<br />
campioni ambientali e biologici permette una valutazione piuttosto precisa<br />
del rischio di esposizione a vapori di benzina e a benzene. Il nostro studio<br />
evidenzia che il personale addetto all’erogazione di carburanti è modicamente<br />
esposto a vapori di benzina: i livelli di MtBE nelle urine sono<br />
comunque nettamente maggiori rispetto quelli della popolazione generale<br />
e aumentano considerevolmente durante l’esposizione; i livelli urinari<br />
di benzene, seppur più elevati di quelli della popolazione generale, non<br />
presentano differenze tra l’inizio del lavoro e fasi successive.<br />
Parole chiave: benzene, metil-ter-butil-etere, benzina, monitoraggio<br />
<strong>biologico</strong>.<br />
ABSTRACT. BIOLOGICAL MONITORING OF EXPOSURE TO PETROL<br />
FUMES IN PETROL STATION WORKERS. The exposure to petrol fumes representes<br />
a risk which is difficult to assess because of the presence of carcinogenic<br />
chemicals (i.e. benzene) and many other organic solvents.<br />
Among these, methyl-tert-butyl ether (MtBE) is added to petrol (it represents<br />
about 15% in volume) in order to improve its performance as a fuel.<br />
The measurement of MtBE and benzene in environmental and biological<br />
(urine) samples allows a good risk assessment for exposure to petrol fumes.<br />
Our research shows that workers in petrol stations are not highly exposed<br />
to petrol fumes: their urinary concentrations of MtBE, however,<br />
are higher than that found in the general population and increase during<br />
the working day. In the same way the urinary concentration of benzene in<br />
workers is higher than that found in the non-exposed subjects, but it does<br />
not increase during the work shift.<br />
Key words: benzene, methyl-tert-butyl ether, petrol, biological monitoring.<br />
Introduzione<br />
Le benzine sono miscele piuttosto complesse costituite da<br />
numerosi idrocarburi alifatici ed aromatici naturali a cui vengono<br />
aggiunti alcuni prodotti per modificarne le caratteristiche finali.<br />
Tra questi vi è il metil-ter-butil-etere (MtBE) che spesso rappresenta<br />
circa il 15% della benzina. Miscelato alla benzina l’MtBE<br />
ne aumenta il numero di ottani e migliora la combustione nel motore,<br />
riducendo le emissioni di sostanze inquinanti presenti nei<br />
gas di scarico dei motori. Quale inquinante il MtBE tende a non<br />
rimanere disperso nell’aria ma, essendo abbastanza solubile nell’acqua,<br />
viene trascinato nei terreni e nei corsi d’acqua dove vi<br />
resta per tempi indefiniti, in quanto scarsamente degradabile. Dal<br />
punto di vista cancerogeno il MtBE è inserito dall’Agenzia Internazionale<br />
per la Ricerca <strong>sul</strong> Cancro nella Categoria 3 (“non classificabile”).<br />
Tra i prodotti “naturali” presenti nelle benzine è da<br />
segnalare il benzene che attualmente è rilevabile in proporzioni<br />
inferiori all’1%, ma è un sicuro cancerogeno. L’esposizione a vapori<br />
di benzina è quindi considerata pericolosa perché rappresenta<br />
un rischio di inalazione di vapori di benzene.<br />
Lo studio che presentiamo ha come principale obiettivo quello<br />
di valutare l’esposizione a vapori di benzina di un gruppo di<br />
addetti all’erogazione di carburante. A questo fine abbiamo misurato<br />
le concentrazioni di benzene e di MtBE nell’aria ambiente<br />
e in campioni biologici raccolti prima dell’inizio del lavoro e<br />
al termine di un mezzo turno di lavoro. Per ridurre i fattori di<br />
confondimento abbiamo selezionato solo soggetti non fumatori.<br />
Materiali e metodi<br />
Un gruppo di soggetti addetti all’erogazione del carburante<br />
(44 soggetti) e un analogo gruppo di controllo (n. 45), tutti non<br />
fumatori, hanno partecipato allo studio. I lavoratori hanno fornito<br />
un campione di urine prima dell’inizio (ore 7.30) ed a metà del<br />
loro turno di lavoro (ore 12,30), mentre i soggetti di controllo<br />
hanno raccolto il campione <strong>biologico</strong> solo al mattino. Per gli addetti<br />
all’erogazione di carburante, l’esposizione individuale a vapori<br />
di benzina è stata valutata applicando un campionatore passivo<br />
a diffusione radiale (“Radiello”) <strong>sul</strong> colletto della loro tuta<br />
per 5 ore. L’analisi dei MtBE e del benzene nei campioni ambientali<br />
e biologici è stata effettuata con metodica gas cromato-
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
90 www.gimle.fsm.it<br />
grafica utilizzando un rivelatore a spettrometria di massa<br />
(CG/MS). I campioni biologici sono stati raccolti in provette di<br />
vetro con tappo a vite e setto in Teflon e analizzati con tecnica<br />
“head space”. Il carbone attivo dei “Radiello” è stato desorbito<br />
con percloroetilene prima dell’analisi in GC/MS.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />
L’esposizione ai prodotti in studio degli addetti alla distribuzione<br />
a carburanti è così sintetizzabile: il benzene era presente a concentrazioni<br />
comprese tra 0,004 mg/m 3 (4 µg/m 3 ) e 0,172 mg/m 3<br />
(172 µg/m 3 ) con una media geometrica (MG) di 60 µg/m 3 , mentre<br />
le concentrazioni di MtBE avevano un range di 0,006-1,399 mg/m 3<br />
ed una media geometrica di 0,437 mg/m 3 (437 µg/m 3 ). L’esposizione<br />
a benzene per la popolazione generale nella città in studio presenta<br />
un valore di fondo medio pari a 0,7 µg/m 3 che è particolarmente<br />
basso rispetto a quanto si rileva in molte altre città.<br />
La Figura 1 riporta i ri<strong>sul</strong>tati riguardanti il MtBE misurato<br />
nelle urine. Nei soggetti di controllo le concentrazioni medie del<br />
solvente (MG) erano di 40 ng/L. I soggetti addetti alla distribuzione<br />
di carburanti avevano concentrazioni urinarie medie pari a<br />
142 ng/L (media geometrica) che aumentavano considerevolmente<br />
(MG = 1012 ng/L) a metà-turno. Le differenze erano statisticamente<br />
significative nei tre gruppi di dati. Nei soggetti di<br />
controllo le concentrazioni urinarie di benzene (MG) erano di 42<br />
ng/L. I soggetti delle stazioni di servizio avevano concentrazioni<br />
significativamente maggiori sia all’inizio (MG = 142 ng/L) che a<br />
metà-turno (MG = 232 ng/L). Questi ultimi dati però non erano<br />
statisticamente differenti tra loro, a significare che la dose di benzene<br />
assorbita durante il lavoro era molto modesta. Le concentrazioni<br />
ambientali di MtBE sono ri<strong>sul</strong>tate correlate in modo lineare<br />
con le concentrazioni del MtBE nelle urine di metà-turno<br />
L. Perbellini, A. Princivalle, A. Caprini<br />
(p
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 91<br />
mercapturico (AMMA) che in precedenza non era mai stato<br />
identificato neppure nell’animale (1). Tale metabolita è presente<br />
nelle urine di soggetti esposti a DMA in quantità rilevanti<br />
(dell’ordine di varie decine di mg/l). Scopo del presente lavoro<br />
è quello di riportare i primi dati disponibili <strong>sul</strong>l’AMMA<br />
nel monitoraggio <strong>biologico</strong> delle esposizioni professionali a<br />
DMA e confrontarli con quelli della N-metilacetammide<br />
(NMA) per la quale è disponibile da anni un valore valore limite<br />
<strong>biologico</strong>. Le concentrazioni della DMA nell’ambiente di<br />
lavoro controllato erano così basse da essere difficilmente<br />
quantificabili; durante la fase preparatoria dello studio ci si era<br />
peraltro resi conto che una certa quota di DMA veniva assorbita<br />
dai lavoratori per via percutanea.<br />
Materiali e metodi<br />
Un gruppo di lavoratori di un’azienda che produce fibre<br />
sintetiche di tipo acrilico ha collaborato per valutare l’intensità<br />
dell‘esposizione personale a DMA attraverso il monitoraggio<br />
<strong>biologico</strong>. Con questa logica ciascuno di loro ha raccolto una<br />
serie di campioni di urina secondo il seguente schema: a) all’inizio<br />
e alla fine di un turno di lavoro dopo 2 giorni di riposo,<br />
b) all’inizio e alla fine del turno di lavoro del giorno seguente,<br />
e c) prima dell’inizio del terzo giorno di lavoro. Tenendo presente<br />
che la DMA aderita <strong>sul</strong>la cute poteva essere assorbita anche<br />
dopo il termine del turno di lavoro, i dipendenti che hanno<br />
partecipato allo studio si sono sottoposti a doccia e a cambio di<br />
tutti gli indumenti al termine di ogni turno di lavoro. I campioni<br />
di urina sono stati raccolti in flaconi di vetro e posti a -<br />
20° C fino all’analisi. La quantificazione della NMA è avvenuta<br />
con metodica gascromatografica con rivelatore di massa.<br />
Dopo purificazione dei singoli campioni di urina con colonnine<br />
SPE C18, l’AMMA è stato analizzato utilizzando un micro-<br />
HPLC con trappola ionica e spettrometria di massa. Le concentrazioni<br />
di AMMA e NMA sono state rapportate alle concentrazioni<br />
urinarie della creatinina.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />
Nella figura 1 sono riportati i valori medi (in mg/g creat)<br />
delle concentrazioni di NMA e di AMMA nei campioni di urina<br />
raccolti all’inizio e alla fine del turno di lavoro nei vari giorni<br />
considerati.<br />
Come si nota, all’inizio del turno di lavoro dopo 2 giorni di<br />
riposo, le concentrazioni di NMA e di AMMA presentavano valori<br />
più bassi di quanto rilevato in fasi successive. Le concentrazioni<br />
di NMA tendevano ad aumentare considerevolmente durante<br />
il lavoro, per tornare a livelli piuttosto modesti prima dell’inizio<br />
di un nuovo turno di lavoro. L’AMMA ha presentato un<br />
comportamento molto differente rispetto quello della NMA. All’inizio<br />
del turno di lavoro dopo 2 giorni di riposo era a livelli<br />
medi di 7,5 mg/g creat. che aumentavano a 9,3 mg/g creat. al termine<br />
del turno di lavoro. Tale incremento continuava anche nei<br />
Figura 1. Concentrazioni medie di NMA (colonne grigie) e di<br />
AMMA (colonne chiare) nelle urine raccolte all’inizio (I.T.) e<br />
alla fine di un turno di lavoro (F.T.) dopo 2 giorni di riposo,<br />
e nei due successivi giorni di lavoro<br />
giorni successivi con valori di 20,1, 14,9 e 19,3 mg/g/creat. rispettivamente<br />
all’inizio e alla fine del 2° giorno di lavoro e all’inizio<br />
del 3° giorno. È evidente che la cinetica biologica dei 2<br />
metaboliti è considerevolmente diversa. L’emivita urinaria della<br />
NMA calcolata con i valori medi delle concentrazioni di NMA<br />
nei campioni raccolti al termine del 2° giorno di lavoro rispetto<br />
a quelle rilevate all’inizio del 3° giorno di lavoro è ri<strong>sul</strong>tata pari<br />
a 8,6 ore. Lo stesso calcolo non è stato possibile per l’AMMA<br />
le cui concentrazioni urinarie hanno continuato ad aumentare<br />
durante i 3 giorni di raccolta dei campioni. In modo approssimativo,<br />
utilizzando i dati delle concentrazioni del 3° giorno di<br />
lavoro e quelli dell’inizio del turno di lavoro dopo 2 giorni di riposo<br />
si ottiene una emivita di circa 35 ore. L’emivita biologica<br />
della NMA, che come abbiamo segnalato è piuttosto rapida, trova<br />
conferme dai dati sperimentali di Nomiyama e coll. (2000).<br />
Tali autori hanno organizzato un’esposizione controllata a DMA<br />
di alcuni soggetti con la raccolta di campioni di urine ogni 3-6<br />
ore. Tale studio ha permesso di calcolare in modo accurato l’emivita<br />
urinaria della NMA che è ri<strong>sul</strong>tata pari a 5,6 ore.<br />
Per quanto riguarda l’AMMA non vi sono dati della letteratura<br />
che rappresentino un supporto ai nostri calcoli, ma non vi è<br />
dubbio che tale metabolita venga sintetizzato ed escreto in modo<br />
più lento della NMA come ri<strong>sul</strong>ta ben evidente dalla Figura 1. È<br />
possibile pertanto che questi mercapturati permettano di valutare<br />
esposizioni di più giorni consecutivi; ulteriori studi sono comunque<br />
necessari per confermare queste ipotesi.<br />
Bibliografia<br />
1) Perbellini L, Princivalle A, Caivano M, Montanari R. Biological monitoring<br />
of occupational exposure to N,N-dimethylacetamide with<br />
identification of a new metabolite. Occup Environ Med 2003; 60:<br />
746-751.<br />
2) Nomiyama T,Omae K, Ishizuka C, Yamauchi T, Kawasumi Y, Yamada<br />
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in human volunteers. Int Arch Occup Envir Health 2000; 73:<br />
121-126.
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
92 www.gimle.fsm.it<br />
P. Piccoli 1 , F. Foresto 2 , M. Carrieri 2 , L. Padovano 1 , M. Di Mare 1 , G.B. Bartolucci 2 , M. Manno 1<br />
Fenotipizzazione del CYP 2E1 in vivo come biomarker di esposizione,<br />
effetto e suscettibilità a xenobiotici: una nuova metodica<br />
1 Dipartimento di Scienze Mediche Preventive, Sezione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli<br />
2 Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Padova, Padova<br />
RIASSUNTO. Scopo del nostro lavoro è stato la modifica di un metodo<br />
per la quantificazione del clorzoxazone(CHZ) e del suo principale<br />
metabolita 6-idrossiclorzoxazone (6-OH-CHZ) nel siero come indicatore<br />
<strong>biologico</strong> di esposizione, effetti o suscettibilità a xenobiotici. I due analiti<br />
e la fenacetina, utilizzata come standard interno, sono stati estratti mediante<br />
il ter-butl metil etere. Il campione è stato quindi analizzato in<br />
HPLC/UV su una colonna C18 ODS 5 µm con una fase mobile costituita<br />
da acetonitrile e acido acetico 0.5% (30:70 v/v, rispettivamente) a lunghezza<br />
d’onda 287 nm. Le rette di calibrazione presentano un coefficiente<br />
di correlazione altamente significativo, pari a 0.9994 nell’intervallo di<br />
concentrazione 0.05-5 µg/mL per il 6-OH-CHZ e di 0.9996 nell’intervallo<br />
0.25-5 µg/mL per il CHZ. I coefficienti di variazione interday e intraday<br />
sono rispettivamente
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 93<br />
PREPARAZIONE DEI CAMPIONI<br />
Ad ogni aliquota di siero (0.3 ml) vengono aggiunti 0.3 ml di<br />
tampone acetato (2M, pH 5.2), 10 µl di fenacetina (1 mg/ml) quale<br />
standard interno (IS) (5) e 12 µl di β-glucuronidasi (110.2<br />
unità/ml), lasciando quindi idrolizzare il campione per una notte<br />
a 37° C (tale ultima procedura ri<strong>sul</strong>ta superflua nella messa a<br />
punto del metodo, per la quale viene utilizzato siero drug free al<br />
quale vengono aggiunte quantità note di CHZ e 6-OH-CHZ). Al<br />
siero così trattato si aggiungono 2 ml di acido perclorico 0.6 M<br />
allo scopo di far precipitare le proteine. Dopo aver centrifugato<br />
per 5 minuti a 10.000 RPM, i due analiti vengono estratti dal surnatante<br />
con 10 ml di ter-butil metil etere in due estrazioni successive<br />
per la durata di 10 minuti ciascuna. Il ter-butil metil etere<br />
viene quindi tirato a secco a 40°C in centrifuga UNIVAPO 100<br />
(durata circa 15 minuti), e il residuo ripreso con 200 µl di fase<br />
mobile (acido acetico 0.5%/acetonitrile, 70/30 vv) ed analizzato<br />
in HPLC con rivelatore UV.<br />
CONDIZIONI LC-UV<br />
Le condizioni analitiche per il metodo HPLC sono le seguenti:<br />
– pre colonna Beckman ODS 4.6 mm (diametro interno) x 4.5<br />
cm (lunghezza)<br />
– colonna C18 Beckman ODS 5 µm ∅, 4.6 mm, 25 cm<br />
– fase mobile: acido acetico 0.5%/acetonitrile (70/30 vv)<br />
– flusso: 1 ml/minuto<br />
Figura 1. Rese percentuali di estrazione di 6-OH-CHZ e CHZ con diversi solventi organici<br />
– λ detector: 287 nm<br />
– volume iniettato: 20 µl.<br />
I tempi di ritenzione di 6-OH-CHZ, IS, e CHZ sono rispettivamente<br />
di 5, 9 e 14 minuti.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />
La presente metodica è stata messa a punto partendo da quella,<br />
già validata, descritta da Lucas et al.(1993) (6). La fase di estrazione<br />
liquido-liquido è stata mantenuta immodificata, tuttavia si e`<br />
sostituito l’etilacetato con il ter-butil metil etere, solvente che, oltre<br />
a garantire un recupero paragonabile se non superiore a quello<br />
dell’etilacetato, è estremamente volatile e pertanto riduce notevolmente<br />
i tempi di estrazione. L’estratto così ottenuto ri<strong>sul</strong>ta poi molto<br />
pulito e non presenta emulsioni inquinanti che possono dare interferenze<br />
nella determinazione del 6-OH-CHZ o del CHZ che<br />
comprometterebbero l’efficienza della colonna e di tutto il sistema<br />
cromatografico. In figura 1 sono riportate le tipiche rese di estrazione<br />
ottenute utilizzando diversi solventi organici.<br />
Un’ulteriore modifica da noi apportata è stata l’introduzione di<br />
uno standard interno (5), la fenacetina, per ovviare agli inevitabili<br />
errori dovuti ad estrazione parziale, recupero incompleto del solvente<br />
di estrazione, agitazione disomogenea del campione, ecc.,<br />
tutti fattori che possono inficiare la determinazione quantitativa dei<br />
due analiti. A tale proposito possiamo vedere nella Figura 2 come<br />
l’introduzione dello standard interno migliori notevolmente la linearità<br />
della retta di calibrazione.<br />
A B<br />
Figura 2. Rette di calibrazione di 6-OH-CHZ e CHZ, con e senza standard interno. Le rette ottenute dal rapporto delle aree<br />
di ciascuno dei due analiti con quella dello standard interno ri<strong>sul</strong>tano maggiormente lineari (A, r 2 = 0.9994 per il 6-OH-CHZ<br />
e = 0.9996 per il CHZ) di quelle ottenute tabulando direttamente le aree di 6-OH-CHZ e CHZ (B, r 2 = 0.9951 per il 6-OH-CHZ<br />
e di 0.9949 per il CHZ)
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
94 www.gimle.fsm.it<br />
Ulteriore modifica apportata alla metodica di Lucas et al. è<br />
stata la sostituzione della colonna nuclosil ODS 5 µm Interchim<br />
con la colonna C 18 ODS 5 µm Beckman. Questo ci ha permesso<br />
di ottenere un cromatogramma più pulito e più veloce (circa 7<br />
minuti in meno per ogni campione) di quello ottenuto da Lucas<br />
et al. (Figura 3), peraltro da campioni incubati overnight e quindi<br />
qualitativamente diversi dai nostri.<br />
Infine, l’evaporazione sotto flusso di azoto è stata sostituita<br />
con quella a sistema chiuso sottovuoto: l’uso di tale apparato ha<br />
permesso di portare a secco un numero maggiore di campioni in<br />
minor tempo e, fattore non trascurabile, ha ridotto il possibile rischio<br />
di esposizione dell’analista. Inoltre, trattandosi di una centrifuga,<br />
il campione viene concentrato <strong>sul</strong> fondo della provetta<br />
evitandone la dispersione <strong>sul</strong>le pareti.<br />
Le prestazioni del metodo da noi messo a punto sono:<br />
– Separazione cromatografica: 6-OH-CHZ, CHZ e fenacetina<br />
(IS) sono state completamente separate e non sono state osservate<br />
interferenze con altri composti endogeni (Figura 4).<br />
– Precisione: è stata determinata sia in termini di ripetibilità<br />
che di riproducibilità ed espressa come coefficiente di varia-<br />
Figura 3. Cromatogramma in UV 287 di 6-OH-CHZ (t = 6’) e<br />
CHZ (t = 19’) ottenuto da siero dopo somministrazione orale<br />
di CHZ 500 mg con il metodo di Lucas et al. (1993)<br />
Figura 4. Cromatogramma in UV 287 di 6-OH-CHZ (t = 4’), fenacetina<br />
(IS) (t = 8.3’) e CHZ (t = 14’) ottenuto col nuovo metodo;<br />
le aree ottenute coi due metodi non sono quantitativamente<br />
confrontabili<br />
zione percentuale. La ripetibilità, determinata mediante misure<br />
ripetute nell’intervallo di concentrazione 0.5-5 µg/ml, ha<br />
dato un coefficiente di variazione compreso tra il 2 e il 6%<br />
per il 6-OH-CHZ e tra il 4 e il 9% per il CHZ. La riproducibilità,<br />
determinata ripetendo l’analisi dei campioni in giornate<br />
diverse, ha dato, nello stesso intervallo di concentrazione,<br />
un coefficiente di variazione compreso tra il 4 e il 12% per il<br />
6-OH-CHZ e tra il 7 e il 12% per il CHZ.<br />
– Accuratezza: è stata determinata nello stesso intervallo di<br />
concentrazione ed è ri<strong>sul</strong>tata variabile dal 96 al 107% per il<br />
6-OH-CHZ e dal 93% al 110% per il CHZ.<br />
– Sensibilità: il limite di sensibilità analitica è ri<strong>sul</strong>tato pari a<br />
0.05 µg/ml per il 6-OH-CHZ e a 0.25 µg/ml per il CHZ.<br />
– Linearità: la retta di calibrazione ottenuta mostra una buona linearità<br />
della risposta strumentale per entrambi gli analiti:<br />
r 2 =0.9994 per il 6-OH-CHZ e r 2 =0.9996 per il CHZ (Figura 2).<br />
Conclusioni<br />
Il nostro metodo per la determinazione analitica contemporanea<br />
di 6-OH-CHZ e CHZ, si è rivelato rapido, semplice e sensibile,<br />
e pertanto più adatto ad un uso in ambito occupazionale del<br />
metodo originario (6). L’introduzione di uno standard interno ha<br />
notevolmente migliorato la linearità della retta di taratura, compensando<br />
le piccole perdite di solvente durante la procedura di<br />
estrazione. L’utilizzo di un sistema di evaporazione sotto vuoto,<br />
nonché la sostituzione del solvente organico per l’estrazione liquido-liquido,<br />
ha permesso di velocizzare l’analisi aumentando il<br />
numero di campioni analizzabili in una giornata e la sicurezza<br />
dell’operatore.<br />
Ringraziamenti<br />
Gli Autori ringraziano il supporto finanziario del progetto MIUR-<br />
PRIN 2003 N.2003063319_003.<br />
Bibliografia<br />
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induction. Pharmacol Rev 1967; 19: 317-366.<br />
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1999; 27: 322-326.<br />
3) Raucy JL, Curley G, Carpenter SP. Use of lymphocytes for assessing<br />
ethanol-mediated alterations in the expression of hepatic cytochrome<br />
P4502E1. Alcohol. Clin Exp Res 1995; 19: 1369-1375.<br />
4) Peter R, Bocker R, Beaune PH, Iwasaki M, Guengerich FP, Yang CS.<br />
Hydroxylation of chlorzoxazone as a specific probe for human liver<br />
cytochrome P450 2E1. Chem Res Toxicol 1990; 3: 566-573.<br />
5) Chittur SV, Tracy TS. Rapid and sensitive hig-performance liquid<br />
cromatographic assay for 6-hydroxychlorzoxazone and chlorzoxazone<br />
in liver microsomes. J Chromat. B Biomed Sci Appl. B 1997; 693:<br />
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of cytochrome P 450 2E1 activity in humans. J Chromat 1993; 622:<br />
79-86.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 95<br />
M. Pieri 1 , L. Soleo 2 , N. Miraglia 2 , A.G. Perrotta 1 , P. Basilicata 3 , A. Acampora 3 , N. Sannolo 1<br />
Incremento dei livelli di sensibilità nell’analisi di addotti emoglobinici<br />
mediante digestione selettiva con calpaina<br />
1 Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Medicina del Lavoro, Igiene e Tossicologia Industriale, Seconda Università di Napoli.<br />
2 Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Università di Bari<br />
3 Dipartimento di Medicina Pubblica e Sicurezza Sociale - Sezione di Medicina Legale, Università di Napoli “Federico II”<br />
RIASSUNTO. Nell’ambito del monitoraggio <strong>biologico</strong> di soggetti<br />
esposti ad agenti cancerogeni uno strumento di analisi molto efficace è<br />
rappresentato dalla quantificazione degli addotti emoglobinici, che richiede,<br />
al fine di ottenere ri<strong>sul</strong>tati accurati, lo sviluppo di metodiche di<br />
purificazione selettiva della frazione emoglobinica alchilata. A tal fine,<br />
nel presente lavoro è stata realizzata una digestione con calpaina, i cui ri<strong>sul</strong>tati<br />
preliminari hanno evidenziato una diversa reattività dell’enzima<br />
nei confronti di emoglobina nativa ed alchilata con epicloridrina in quanto<br />
viene digerita solo l’emoglobina normale, con un conseguente arricchimento<br />
della frazione alchilata.<br />
Parole chiave: addotti all’emoglobina, emoglobina alchilata, purificazione<br />
selettiva, cromatografia liquida/spettrometria di massa.<br />
ABSTRACT. HIGHER LEVELS OF SENSITIVITY FOR THE ANALYSIS OF<br />
HB ADDUCTS BY CALPAIN DIGESTION. Biological monitoring of subjects<br />
exposed to carcinogenic agents can be efficiently carried out through the<br />
quantitative measurement of hemoglobin adducts. This procedure requires<br />
the development of selective purification methods of the alkylated hemoglobin<br />
fraction in order to achieve high levels of accuracy. Digestion<br />
with calpain was conducted for the purposes of the present paper. The<br />
preliminary re<strong>sul</strong>ts showed different reactivity of the enzyme with respect<br />
to normal and alkylated hemoglobin: only a normal fraction was digested,<br />
with consequent concentration of the alkylated one.<br />
Key words: hemoglobin adducts, alkylated hemoglobin, selective<br />
purification, liquid chromatography/mass spectrometry.<br />
Introduzione<br />
L’interesse per i rischi connessi all’impiego di agenti alchilanti<br />
in diversi settori dell’attività umana è progressivamente aumentato<br />
negli ultimi anni. Particolarmente rilevante è il ruolo<br />
giocato dal monitoraggio <strong>biologico</strong> dei soggetti professionalmente<br />
esposti a tali agenti. Una procedura di monitoraggio <strong>biologico</strong><br />
ideale prevederebbe lo studio e la determinazione degli addotti<br />
tra agenti alchilanti e DNA del tessuto bersaglio, ma una valida<br />
alternativa è costituita dalla quantificazione di addotti emoglobinici<br />
(1, 2). Recentemente è stata proposta una nuova metodologia<br />
basata <strong>sul</strong>la determinazione e quantificazione di peptidi interni<br />
modificati, ottenuti in seguito ad idrolisi triptica delle catene<br />
emoglobiniche, analizzati mediante Cromatografia Liquida/Spettrometria<br />
di Massa (3). La possibilità di utilizzare peptidi modificati,<br />
anziché singoli amminoacidi alchilati, quali appropriati<br />
biomarcatori per il monitoraggio <strong>biologico</strong>, è stata ampiamente<br />
dimostrata (4, 5). Una limitazione della procedura proposta deriva<br />
dal fatto che ai livelli espositivi attuali corrisponde un ammontare<br />
estremamente basso di peptidi modificati rispetto a quelli<br />
nativi. Di qui nasce la necessità di sviluppare tecniche di purificazione<br />
per arricchire selettivamente i campioni e consentire la<br />
rivelazione quantitativa degli addotti emoglobinici anche in presenza<br />
di bassi livelli di alchilazione.<br />
Lo scopo del presente lavoro è volto alla messa a punto di<br />
una metodica di arricchimento selettivo degli addotti emoglobinici<br />
mediante idrolisi con calpaina I (una cisteina proteasi calcio<br />
dipendente) di campioni di emoglobina (Hb) alchilata con epicloridrina<br />
(ECH), un agente alchilante utilizzato nell’industria di<br />
sintesi.<br />
Metodi<br />
Campioni di Hb ed Hb-ECH sono stati ottenuti mediante procedura<br />
riportata in letteratura (6). L’idrolisi con calpaina (Calbiochem)<br />
è stata realizzata a 26° C, in tampone 100µM CaCl 2 e 100<br />
mM H 3 BO 4 (1:1, v:v), variando i rapporti di digestione ed i tempi<br />
di reazione. I campioni sono stati successivamente analizzati<br />
mediante LC/ESI-MS ed MS-MS secondo le procedure descritte<br />
in letteratura (6).<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
L’idrolisi dei campioni di Hb è stata condotta con rapporti<br />
Hb:calpaina pari a 200:1 e 25:1. Mediante analisi LC/ESI-MS si<br />
è verificato che all’aumentare della quantità di enzima si ottengono<br />
peptidi dal peso molecolare decrescente, a testimonianza di<br />
un maggiore grado di digestione delle catene globiniche. Gli stessi<br />
rapporti di idrolisi sono stati usati su campioni di Hb-ECH contenenti<br />
anche globina non alchilata. L’analisi LC/ESI-MS ed MS-<br />
MS ha permesso di evidenziare la formazione degli stessi peptidi<br />
ottenuti digerendo Hb nativa (Figura 1), dimostrando che la<br />
calpaina agisce <strong>sul</strong>le sole catene globiniche non alchilate, con un<br />
complessivo arricchimento della frazione Hb-ECH. Ri<strong>sul</strong>tati analoghi<br />
sono stati ottenuti variando il tempo di reazione (1, 5, 16 e<br />
48 h): all’aumentare del tempo cresce il grado di idrolisi delle catene<br />
di Hb, mentre la frazione Hb-ECH non viene digerita. L’entità<br />
dell’arricchimento è stata valutata calcolando i rapporti αE- CH /α e βECH /β in un campione di Hb-ECH non digerito (A) e nei<br />
campioni di Hb-ECH:calpaina pari a 200:1 (B) ed a 25:1 (C). Il<br />
rapporto αECH /α è ri<strong>sul</strong>tato pari a 0,860 per il campione A, a<br />
0,759 per B ed a 1,056 per C, conducendo la reazione a 26° C per<br />
18 h. Nelle stesse condizioni il rapporto βECH /β era pari a 0,606<br />
per A, 0,496 per B e 0,446 per C.<br />
Discussione<br />
La ricerca dell’enzima più adatto all’idrolisi selettiva delle<br />
catene globiniche normali è scaturita dalla constatazione che la<br />
maggior parte degli agenti alchilanti reagisce con i residui istidinici<br />
e cisteinici interni, oltre che con i residui N-terminali, delle<br />
catene globiniche. È stata utilizzata calpaina, un enzima che<br />
presenta nel sito catalitico residui di cisteina ed istidina prossimali,<br />
il gruppo -SH della cisteina e quello imidazolico dell’istidina<br />
formano una diade tiolato-imidazolica, che interagisce con<br />
il substrato formando intermedi tetraedrici instabili prima della<br />
digestione. Se il substrato presenta i residui di cisteina e/o istidina<br />
alchilati, l’interazione con il sito catalitico dell’enzima dovrebbe<br />
in ipotesi essere più difficile rispetto a quanto accade per<br />
le globine non alchilate. Per valutare ciò le prime prove sono state<br />
condotte utilizzando campioni di Hb ed Hb-ECH a diversi<br />
rapporti e tempi di digestione. All’aumentare della quantità di<br />
enzima o del tempo di reazione si è registrato un aumento del<br />
grado di digestione dell’Hb, ottenendo peptidi via via più piccoli.<br />
Ripetendo gli esperimenti su campioni di Hb-ECH si è assi-
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
96 www.gimle.fsm.it<br />
Figura 1. Cromatogramma LC/ESI-MS di un campione di emoglobina normale (pannello a) e di emoglobina alchilata con<br />
epicloridrina (pannello b) digeriti con calpaina in rapporto 200:1 a 26° C per 18 h<br />
stito alla formazione degli stessi peptidi ottenuti con l’Hb, confermando<br />
l’esistenza di una diversa reattività della calpaina nei<br />
confronti dei due substrati. L’arricchimento è stato molto marcato<br />
soprattutto per la catena α, in linea con i dati di letteratura,<br />
che indicano una forte reattività dell’epicloridrina nei confronti<br />
delle istidine della catena α 5 .<br />
Conclusioni<br />
Alla luce dei ri<strong>sul</strong>tati preliminari, si ritiene che la digestione<br />
selettiva con calpaina consenta un netto arricchimento della frazione<br />
di emoglobina alchilata. L’utilizzazione dei dati finora ottenuti<br />
prevederà:<br />
a) la purificazione del digerito con filtri ad esclusione di massa<br />
con cut-off di 10000 Da, in modo da allontanare l’intera la<br />
frazione digerita;<br />
b) la verifica il comportamento della calpaina rispetto alla catena<br />
β, ripetendo gli esperimenti su campioni di emoglobina alchilati<br />
con un agente reattivo soprattutto verso la catena β, ad<br />
esempio bromuro di metile.<br />
Bibliografia<br />
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and arylating agent. Arch Toxicol 1984; 56: 1-6.<br />
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of epichlorihydrin by hemoglobin adducts. Anal Biochem 1996;<br />
240: 1-6.<br />
3) Mamone G, Malorni A, Scaloni A, Sannolo N, Basile A, Pocsfalvi G,<br />
Ferranti P Structural analysis and quantitative evaluation of the modifications<br />
produced in human hemoglobin by methil bromide using<br />
mass spectrometry and Edman degradation. Rapid. Commun Mass<br />
Spectrom 1998; 12(22): 1783-1792.<br />
4) International Agency for Resear on Cancer IARC Monographs. Monogr<br />
Eval Carcinogen Risks Hum 1999; 71Pt.2: 603-628.<br />
5) Miraglia N, Pieri M, Basile A, Malorni L, Acampora A, Soleo L,<br />
Sannolo N Exposure to genotoxic agents: modified peptides as suitable<br />
biomarkers, in: Recent Res Develop Peptides. Research Signpost<br />
2002; 1: 49-63.<br />
6) Miraglia N, Basile A, Pieri M, Acampora A, Malorni L, De Giulio B,<br />
Sannolo N Ion trap mass spectrometry in the structural analysis of<br />
haemoglobin peptides modified by epichlorohydrin and diepoxybutane.<br />
Rapid Commun Mass Spectrom 2002; 16: 840-847.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 97<br />
L. Romeo 1 , L. Perbellini 1 , M.E. Fracasso 2 , M. Olivieri 1 , P. Franceschetti 2 , F. Pasini 1 , E. Quintarelli 1 , D. Doria 2 , P. Noris 1<br />
Valutazione dell’esposizione a fumo di tabacco in lavoratori<br />
d’ufficio mediante la determinazione di nicotina e cotinina urinarie<br />
e monossido di carbonio (CO) nell’aria espirata<br />
1 Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Verona<br />
2 Farmacologia Clinica, Università degli Studi di Verona<br />
RIASSUNTO. Il confronto tra soggetti fumatori, non fumatori e<br />
non fumatori esposti a fumo passivo in un gruppo di 101 impiegati d’ufficio<br />
ha messo in evidenza che la nicotina e la cotinina urinarie ed il CO<br />
nell’aria espirata consentono di distinguere i soggetti fumatori dai non<br />
fumatori. I soggetti non fumatori non esposti a fumo passivo ed i soggetti<br />
fumatori sono tra loro distinguibili come gruppi, mediante la determinazione<br />
della cotinina urinaria ed in minore misura della nicotina<br />
urinaria.<br />
Parole chiave: nicotina urinaria, cotinina urinaria, CO nell’aria espirata,<br />
fumo passivo.<br />
ABSTRACT. ASSESSMENT OF ETS EXPOSURE IN OFFICE WORKERS<br />
THROUGH LEVELS OF NICOTINE AND COTONINE IN URINE AND OF CO IN<br />
EXHALED AIR. A group of 101 clerk subjects (smokers, non-smokers and<br />
passive smokers) was evaluated for urinary nicotine, cotinine and CO in<br />
the breath air. All three exposure indicators clearly distinguish between<br />
smokers and non-smokers. Urinary cotinine and, to a lesser extent, urinary<br />
nicotine can identify, in the group of non-smokers, the subjects exposed<br />
to passive smoking, while CO fails to distinguish it.<br />
Key words: nicotine in urine, cotinine in urine, CO in exhaled air,<br />
environmental tobacco smoke.<br />
Introduzione<br />
È dimostrato che il fumo di tabacco può causare la comparsa,<br />
oltre che del tumore polmonare, anche di quello della laringe, e<br />
che è coinvolto nello sviluppo dei tumori della vescica, del rene,<br />
del pancreas, della cervice uterina, dello stomaco, dell’esofago e<br />
della leucemia mieloide cronica (1). Il fumo passivo, negli ultimi<br />
anni, ha assunto un interesse sempre più rilevante. Numerosi studi<br />
hanno dimostrato infatti la sua nocività in seguito all’esposizione<br />
in ambienti confinati. In generale, il rischio di malattie respiratorie<br />
di tipo allergico, infettivo, cronico-degenerativo è maggiore<br />
nei soggetti esposti a fumo passivo rispetto ai non esposti.<br />
Sembra inoltre avere un ruolo importante anche nello sviluppo di<br />
patologie cardiovascolari; infatti il rischio relativo di morte per<br />
malattia cardiovascolare è 1,4 volte più alto per i fumatori passivi<br />
rispetto ai soggetti non esposti al fumo di tabacco (2).<br />
Di recente la IARC (International Agency for Research on<br />
Cancer), a seguito di studi condotti in 12 nazioni, ha inserito il fumo<br />
passivo nel gruppo 1, tra i cancerogeni certi per l’uomo (3).<br />
L’esposizione a fumo passivo ed i rischi che ne derivano per la sa-<br />
lute dei lavoratori esposti costituiscono un<br />
problema sempre più rilevante che deve essere<br />
adeguatamente affrontato dal datore di<br />
lavoro conformemente alle norme di prevenzione.<br />
L’obiettivo del presente studio è quello<br />
di valutare il rischio espositivo di soggetti<br />
fumatori attivi e di soggetti esposti a fumo<br />
passivo (non fumatori ed ex fumatori), mediante<br />
l’utilizzo di un questionario, e la determinazione<br />
di nicotina e cotinina urinarie e<br />
di CO nell’aria espirata, al fine di mettere a<br />
confronto i differenti indicatori utilizzati rispetto<br />
all’abitudine al fumo di tabacco.<br />
Materiali e metodi<br />
Il gruppo di lavoratori esaminato era costituito da 101 soggetti<br />
impiegati d’ufficio. Ciascun soggetto, tra luglio 2002 e gennaio<br />
2003, ha compilato un questionario per valutare l’esposizione<br />
al fumo di tabacco (tipo di abitudine al fumo, marca e numero<br />
di sigarette fumate, durata di esposizione a fumo passivo a casa,<br />
<strong>sul</strong> lavoro o nei locali pubblici, etc). È stato considerato fumatore<br />
il soggetto che dichiarava di fumare nell’ultimo mese almeno<br />
una sigaretta il giorno o un sigaro o tabacco da pipa almeno<br />
una volta la settimana. In tutti i soggetti esaminati sono state<br />
determinate nelle urine la nicotina e la cotinina, prodotto di biotrasformazione<br />
della nicotina, mediante gascromatografo-spettrometro<br />
di massa (GC-MS) modello Hewelett Packard 5980-<br />
5970. Il limite di rilevabilità del metodo è di 2 µg/L sia per la nicotina<br />
sia per la cotinina urinarie.<br />
Le concentrazioni di nicotina e cotinina ottenute sono state<br />
espresse in µg per grammo di creatinina, in modo da correggere<br />
eventuali diluizioni o concentrazioni urinarie delle due sostanze.<br />
Nell’elaborazione statistica le concentrazioni inferiori ai limiti di<br />
rilevabilità del metodo sono state considerate come metà del limite<br />
stesso. Sono stati definiti fumatori i soggetti con valori di<br />
cotinina urinaria maggiori a 100 µg/gr creatinina e non fumatori<br />
i soggetti con valori inferiori a 50 µg/gr creatinina (4). Per la nicotina<br />
non sono disponibili in letteratura valori di riferimento.<br />
È stata inoltre determinata la concentrazione del monossido<br />
di carbonio nell’aria espirata (espressa in ppm) di 74 soggetti dei<br />
101 esaminati utilizzando Bedfont EC 50 Smokerlyzer.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Dei 101 soggetti esaminati 33 erano fumatori e 68 non fumatori;<br />
tra questi ultimi 47 dichiaravano di essere esposti a fumo<br />
passivo e 21 non esposti. I ri<strong>sul</strong>tati delle determinazioni urinarie<br />
e del CO sono sintetizzati in Tabella I. I fumatori presentavano livelli<br />
di nicotina urinaria compresi tra 7,5 e 5.206 µg/gr creatinina<br />
con una media di 982 µg/gr creatinina. La cotinina urinaria variava<br />
da livelli minimi di 148 a 4449 µg/gr creatinina, con una<br />
media di 1664,8 µg/gr creatinina. Le concentrazioni riscontrate<br />
Tabella I. Concentrazioni urinarie medie di nicotina e cotinina<br />
e concentrazione media del CO nell’aria espirata
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
98 www.gimle.fsm.it<br />
confermano l’effettiva abitudine tabagica dichiarata dai lavoratori<br />
essendo i valori di cotinina urinaria tutti superiori al valore di<br />
riferimento di 100 µg/gr creatinina (valore limite utilizzato per<br />
definire un soggetto sicuramente fumatore). Tra i soggetti non fumatori,<br />
che dichiaravano di non essere abitualmente esposti a fumo<br />
passivo, i ri<strong>sul</strong>tati ottenuti mostrano concentrazioni comprese<br />
rispettivamente tra 1 e 7 µg/gr creatinina con una media di 1,7<br />
µg/gr creatinina per la nicotina e tra 1 e 21,8 µg/gr creatinina, con<br />
una media di 4,3 µg/gr creatinina per la cotinina; le concentrazioni<br />
di cotinina ottenute sono inferiori al limite di 50 µg/gr creatinina,<br />
limite al di sotto del quale si collocano i soggetti non fumatori.<br />
In 6 soggetti i valori di nicotina e di cotinina non erano<br />
determinabili.<br />
I soggetti non fumatori che dichiaravano di essere quotidianamente<br />
esposti a fumo passivo presentavano livelli di nicotina<br />
tra 1,0 e 36,8 µg/gr creatinina, con una media di 5,0 µg/gr creatinina,<br />
mentre i livelli di cotinina variavano tra 1,0 e 64,5 µg/gr<br />
creatinina, con una media di 11,5 µg/gr creatinina.<br />
È stata determinata la concentrazione di CO in 74 soggetti<br />
dello stesso gruppo esaminato, suddivisi in 22 fumatori, 19 non<br />
fumatori non esposti, 33 non fumatori esposti.<br />
Conclusioni<br />
Grazie all’utilizzo combinato di tre indicatori di esposizione,<br />
la popolazione dei soggetti fumatori può essere identificata e ben<br />
distinguibile da quella dei non fumatori.<br />
Per quanto riguarda i due gruppi dei soggetti non fumatori<br />
(esposti e non esposti a fumo passivo) il monossido di carbonio<br />
non consente una chiara distinzione tra le due popolazioni. La nicotina<br />
e la cotinina urinarie sono invece significativamente differenti<br />
tra i due gruppi.<br />
Bibliografia<br />
F.M. Rubino 1 , C. Verduci 1 , M. Buratti 2 , S. Fustinoni 2 , L. Neri 1 , G. Brambilla 1 , A. Colombi 1<br />
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2) Raily S. J., Steennland K., Tobacco exposure and cardiovascular risk.<br />
Am. J. Public Health 1995; 88: 213-221.<br />
3) IARC (International Agency for Research on Cancer). Monograph<br />
on tobacco smoking. Lyon 1986.<br />
4) Angerer J., Schaller K-H. Analytical Chemistry Working Group, Analyses<br />
of hazardous substances in biological materials 2001; 171-175.<br />
Indicatori di esposizione a idrocarburi aromatici policiclici:<br />
il paradosso pirene-idrossipirene<br />
1 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Clinica del Lavoro ‘L. Devoto’, Università degli Studi di Milano, Sezione Ospedale San Paolo, Milano<br />
2 Azienda Ospedaliera ‘Istituti Clinici di Perfezionamento’, Milano<br />
RIASSUNTO. Si dimostra la sussistenza di un’incongruenza quantitativa<br />
tra la dose di pirene inalata da parte di soggetti non fumatori esposti<br />
all’inquinamento aerodisperso urbano e la quantità, di 10-50 volte<br />
maggiore, del metabolita principale 1-idrossipirene escreto nelle urine. Si<br />
ipotizza che la quota di idrossipirene escreto eccedente la dose giornaliera<br />
di pirene inalato possa provenire dal lento rilascio di pirene fortemente<br />
adeso o strutturalmente legato al particolato carbonioso depositato nel<br />
corso della vita del soggetto negli alveoli polmonari.<br />
Parole chiave: pirene aerodisperso, 1-idrossipirene urinario, esposizione<br />
ambientale.<br />
ABSTRACT. Biomonitoring of exposure to pah: the pyrene vs. 1hydroxypyrene<br />
paradox. Comparison between the inhaled dose of pyrene<br />
by non-smoking subjects exposed to urban airborne contamination<br />
and the daily urinary excretion of the main metabolite 1-hydroxypyrene<br />
highlights a quantitative inconsistency, since the amount of the metabolite<br />
is 10-50 times higher than the inhaled dose of the parent compound. It<br />
is suggested that the excessive amount of hydroxypyrene may derive<br />
from the slow release of pyrene strongly absorbed or chemically embedded<br />
in the carbon soot deposited over a lifetime in the lung alveoli of the<br />
subject.<br />
Key words: airborne pyrene, 1-hydroxypyrene in urine, environmental<br />
exposure.<br />
Introduzione<br />
La misura dell’entità della contaminazione da idrocarburi<br />
aromatici policiclici (IPA) associati alla frazione respirabile del<br />
particolato carbonioso aerodisperso e dell’escrezione urinaria dei<br />
rispettivi metaboliti idrossilati rappresenta lo strumento sperimentale<br />
più frequentemente impiegato per effettuare le stime di<br />
esposizione ad IPA, sia in ambito professionale sia nei confronti<br />
della popolazione generale (emissioni da traffico veicolare e abitudine<br />
al fumo di tabacco). In particolare, le misure dell’idrocarburo<br />
non cancerogeno pirene (PIR) e di escrezione del corrispondente<br />
metabolita urinario 1-idrossipirene (1-OHP), quali indicatori<br />
rappresentativi rispettivamente di presenza della contaminazione<br />
ambientale e di entità dell’esposizione, sono largamente<br />
impiegate negli studi di tossicologia industriale (1, 2, 3, 4).<br />
L’escrezione di 1-OHP è un indicatore sensibile a variazioni recenti<br />
nell’introduzione nell’organismo di PIR: le maggiori quantità<br />
introdotte vengono infatti metabolizzate ed escrete come 1-<br />
OHP al più entro la giornata successiva, sommandosi, in un lento<br />
accumulo, all’escrezione basale giornaliera (1). L’entità dell’escrezione<br />
basale di 1-OHP ri<strong>sul</strong>ta correlata con la pregressa<br />
condizione di fumatore e con il consumo attuale di sigarette (2).<br />
Nell’esposizione ambientale a IPA da traffico veicolare, l’escrezione<br />
di 1-OHP correla con la concentrazione della frazione respirabile<br />
(PM 10 ) e con la quantità totale del materiale particolato<br />
aerodisperso (4). Scopo Del presente studio era quello di confrontare<br />
la concentrazione di IPA aerodispersi con quella urinaria<br />
di 1-OHP in un gruppo di soggetti non fumatori.<br />
Materiali e metodi<br />
Soggetti allo studio. Sono stati esaminati 20 vigili urbani<br />
non-fumatori (età 26-56 anni; media 37 anni; anzianità di servizio<br />
2-36 anni; media 12 anni). Per l’intera mattinata dello studio<br />
(ore 7:30-12:30), i soggetti hanno indossato un campionatore per<br />
la captazione del particolato aerodisperso e degli IPA in fase vapore.<br />
Prima del pranzo i soggetti hanno fornito un campione<br />
estemporaneo di urina per la misura dell’escrezione di 1-OHP.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 99<br />
Misura della concentrazioneaerodispersa<br />
di IPA. I campionatori<br />
ambientali individuali<br />
di IPA, indossati dai<br />
soggetti (filtro in fibra<br />
di vetro seguito da una<br />
fiala adsorbente XAD-<br />
2) sono stati eluiti con<br />
CH 2 Cl 2 e analizzati mediante<br />
HPLC con rivelazione fluorimetrica secondo il metodo ufficiale<br />
NIOSH.<br />
Misura della concentrazione urinaria di 1-OHP. L’1-OHP<br />
nelle urine è stato misurato mediante HPLC con rivelazione fluorimetrica,<br />
dopo idrolisi enzimatica dei coniugati glucuronide e<br />
solfato. Il limite di rivelazione del metodo è di 50 ng/L di 1-OHP<br />
urinario. Le concentrazioni urinarie di 1-OHP sono espresse senza<br />
correzione per l’escrezione urinaria di creatinina.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
I valori medi di contaminazione aerodispersa espressi come<br />
IPA totali e come PIR sono ri<strong>sul</strong>tati pari rispettivamente a 6<br />
ng/m 3 (valori compresi tra 3 e 16 ng/m 3 ) e a 1,3 ng/m 3 (valori<br />
compresi tra 0,4 e 3,5 ng/m 3 ), mentre i valori di escrezione di 1-<br />
OHP dei soggetti esaminati sono ri<strong>sul</strong>tati compresi tra 50 e 429<br />
ng/L, con un valore medio pari a 175 ng/L. Lo scatter-plot tra la<br />
concentrazione aerodispersa totale di IPA cui ciascun soggetto ri<strong>sul</strong>tava<br />
esposto e quella urinaria di 1-OHP, misurata al termine<br />
del turno di lavoro, ha mostrato l’assenza di una relazione statisticamente<br />
significativa (dati non riportati). L’evidente incongruenza<br />
quantitativa tra la quantità di 1-OHP escreto nelle urine<br />
dai soggetti e la dose di PIR da essi assunta nel periodo immediatamente<br />
precedente il campionamento delle urine emerge dal<br />
calcolo riportato nella Tabella I.<br />
Si nota, infatti, che a livelli di contaminazione aerodispersa di<br />
IPA dell’ordine di 0,4-3,5 ng/m 3 dovrebbero corrispondere valori<br />
di escrezione di OHP 10-100 volte inferiori a quelli misurati<br />
nella popolazione esaminata (50-429 ng/L), che è stata di proposito<br />
selezionata come priva di esposizione significativa a IPA oltre<br />
a quella ambientale (esclusione con questionario dei soggetti<br />
consumatori di alimenti affumicati o cotti in forno a legna).<br />
Discussione e Conclusioni<br />
L’incongruenza di carattere quantitativo tra la dose di PIR inalata<br />
e la quantità di 1-OHP escreta giornalmente nelle urine che<br />
emerge dai ri<strong>sul</strong>tati esposti e descritti anche da altri autori (1-4) viene<br />
generalmente attribuita alla contestuale presenza di altre sorgenti<br />
di esposizione a IPA, quali l’abitudine al fumo di tabacco o l’ingestione<br />
di cibi affumicati o cotti in forno a legna, contenenti IPA.<br />
Anche ammettendo la sussistenza di tali fattori e la loro influenza<br />
incontrollata sui ri<strong>sul</strong>tati degli studi, ri<strong>sul</strong>ta, tuttavia, irrealistico giustificare<br />
solo su tali basi le differenze osservate, perché essi non riescono<br />
a spiegare la differenza tra l’elevata dose escreta, dell’ordine<br />
di 50-500 ng/die, ‘eccedente’ quella attesa di vari ordini di grandezza.<br />
Il complesso delle evidenze disponibili suggerisce piuttosto,<br />
sebbene in via ancora in parte speculativa, che nel particolato aerodisperso<br />
originato dai combustibili fossili sussistano frazioni di IPA<br />
caratterizzate da differente biodisponibilità e velocità di biotrasformazione<br />
ed escrezione col seguente meccanismo:<br />
(a) la quota di IPA adsorbiti <strong>sul</strong>la superficie del particolato aerodisperso<br />
inalato ri<strong>sul</strong>ta di biodisponibilità rapida (escrezione<br />
nell’ordine delle ore e proporzionale alla dose recente di particolato<br />
inalato);<br />
(b) la frazione fine del particolato aerodisperso inalato, una volta<br />
depositatasi negli alveoli polmonari, rilascia gli IPA occlusi<br />
nel core dei granuli in un tempo dell’ordine di anni;<br />
(c) processi metabolici ossidativi sono potenzialmente in grado<br />
di degradare progressivamente la matrice grafenica del materiale<br />
particolato, rilasciando strutture di IPA che possono venire<br />
assorbite e successivamente metabolizzate (5).<br />
Bibliografia<br />
1) Buratti M, Pellegrino O, Brambilla G, Colombi A. Biomarkers 2000;<br />
5: 368-81.<br />
2) Göen Th, Gündel J, Schaller K-H, Angerer J. Sci Tot Environ 1995;<br />
163: 195-201.<br />
3) Goldman R, Enewold L, Pellizzari E, Beach JB, Bowman ED, Krishnan<br />
SS, Shields PG. Cancer Res 2001; 61: 6367-71.<br />
4) Gerde P, Muggenburg BA, Lundborg M, Dahl AR. Carcinogenesis<br />
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5) Kamm S, Mohler O, Naumann K-H, Saathoff H, Schurath U. Atmos<br />
Environ 1999; 33: 4651-61.<br />
M.L. Scapellato*, A. Trevisan, M. Carrieri, I. Maccà, E. Bonfiglio, G. Gori, S. Serraino, G.B. Bartolucci<br />
Indicatori di dose e di effetto nell’esposizione a sevoflurano<br />
Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Padova<br />
RIASSUNTO. Scopo del lavoro è stato quello di studiare, in un<br />
gruppo di soggetti professionalmente esposti a sevoflurano, il rapporto<br />
tra indicatori di esposizione e alcuni indicatori di effetto renale ed<br />
epatico. I livelli di esposizione sono ri<strong>sul</strong>tati contenuti prevalentemente<br />
al di sotto del limite di 2 ppm stabilito dal NIOSH per gli anestetici<br />
alogenati (media: 0,161 ppm; mediana: 0,027 ppm; range: 0.007-2,71<br />
ppm); l’escrezione urinaria a fine turno di sevoflurano appare partico-<br />
Tabella I. Escrezione di 1-OHP attesa <strong>sul</strong>la base della concentrazione di PIR aerodisperso<br />
misurata e del suo comportamento metabolico standard nell’uomo<br />
larmente influenzata dai picchi espositivi, e quindi per la valutazione<br />
dell’esposizione sembra più affidabile il ricorso al metabolita esafluoroisopropanolo<br />
(HFIP). Sono state trovate correlazioni statisticamente<br />
significative tra HFIP e N-acetil-β-D-glucosaminidasi e glutamina-sintetasi<br />
urinarie; è stato inoltre riscontrato un aumento statisticamente significativo<br />
della concentrazione di acido D-glucarico nelle urine dei<br />
soggetti con esposizioni combinate a N 2 O e sevoflurano rispetto ai
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
100 www.gimle.fsm.it<br />
controlli, mentre non vi è alcuna differenza tra controlli ed esposti al<br />
solo sevoflurano.<br />
Parole chiave: esposizione a sevoflurano, monitoraggio <strong>biologico</strong>,<br />
effetti renali, induzione enzimatica.<br />
ABSTRACT. DOSE AND EFFECT BIOMARKERS IN SEVOFLURANE EX-<br />
POSURE. The aim of this study was to determine the relationship between<br />
exposure biomarkers and renal and liver effect indicators in subjects exposed<br />
to sevoflurane. Many of the subjects show exposure to sevoflurane<br />
below the environmental threshold limit of 2 ppm established by NIO-<br />
SH for halogenate compounds (mean: 0.161 ppm; median: 0.027 ppm;<br />
range: 0.007-2.71 ppm); urinary excretion of sevoflurane appeared to be<br />
influenced by exposure peaks, so that the metabolite hexafluoroisopropanol<br />
(HFIP) seemed to be more reliable as an exposure indicator. Statistically<br />
significant correlations were found between HFIP and renal biomarkers<br />
(N-acetyl-β-D-glucosaminidase and glutamine-synthetase); no<br />
differences between controls and exposed subjects in D-glucaric acid excretion<br />
were found for sevoflurane alone, but there was a significant difference<br />
with respect to the control group in combined exposure to N 2 O<br />
and sevoflurane.<br />
Key words: sevoflurane exposure, biological monitoring, kidney<br />
impairment, enzymatic induction.<br />
Introduzione<br />
Già da alcuni anni il sevoflurano è l’anestetico alogenato di<br />
scelta per l’induzione e il mantenimento dell’anestesia inalatoria<br />
nelle sale operatorie. Il basso coefficiente di solubilità sangue/gas<br />
conferisce infatti una buona precisione nel controllo dell’anestesia,<br />
nonché rapidità di induzione e risveglio. Il suo metabolismo avviene<br />
nel fegato ad opera del citocromo P450 con formazione di ioni<br />
fluoruro ed esafluoroisopropanolo (HFIP). È noto che i fluoruri<br />
possano determinare effetti a carico della funzione renale, tuttavia<br />
a tutt’oggi non ci sono evidenze di nefrotossicità, forse in relazione<br />
all’emivita alquanto rapida di tali composti. Benché per altri<br />
alogenati usati nel passato (alotano) fossero stati dimostrati effetti<br />
<strong>sul</strong> fegato, per il sevoflurano non vi sono segnalazioni di alterazioni<br />
a carico della funzione epatica. Essendo tuttavia molto limitati<br />
gli studi <strong>sul</strong>l’uomo e soprattutto nei soggetti professionalmente<br />
esposti, abbiamo pianificato uno studio con lo scopo di valutare il<br />
rapporto tra indicatori di esposizione ed alcuni indicatori di effetto<br />
renali ed epatici in soggetti esposti a sevoflurano.<br />
Materiali e metodi<br />
Sono stati esaminati oltre 100 soggetti professionalmente<br />
esposti a sevoflurano nei quali è stata effettuata una valutazione<br />
dell’esposizione individuale utilizzando un campionatore diffusivo<br />
(“Radiello”) posizionato in prossimità delle vie respiratorie.<br />
L’analisi del Radiello è stata eseguita con il metodo dello spazio<br />
di testa in gascromatografia associata a spettrometria di massa.<br />
Al termine della seduta operatoria è stato raccolto per ciascun<br />
soggetto un campione di urina per la determinazione del sevoflurano<br />
e dei suoi metaboliti. L’analisi del sevoflurano urinario è<br />
stata condotta con il metodo dello spazio di testa in gascromatografia<br />
associata a spettrometria di massa, quella dei fluoruri<br />
inorganici con PhMetro B 2500 e sonda specifica e quella dell’HFIP<br />
con la tecnica dello spazio di testa in gascromatografia<br />
con rivelatore FID.<br />
In un gruppo più ristretto di 24 soggetti sono stati anche studiati<br />
i seguenti indicatori di effetto renale: le proteine totali urinarie<br />
(TUP), marcatore generico e aspecifico di coinvolgimento<br />
renale, l’N-acetil-β-D-glucosaminidasi (NAG) usato per rilevare<br />
effetti renali provocati da xenobiotici a livello della pars recta del<br />
tubulo prossimale e la glutamina sintetasi (GS), enzima mitocondriale<br />
utilizzato come indicatore specifico di danno del segmento<br />
S3 . Gli stessi indicatori sono stati determinati anche in un gruppo<br />
di 43 soggetti di controllo impiegati nell’area ospedaliera ma<br />
non esposti a gas anestetici, stratificati per sesso, età ed indice di<br />
massa corporea.<br />
In 66 operatori con esposizioni combinate a N 2 O e sevoflurano<br />
e in 42 operatori esposti esclusivamente a sevoflurano è stata<br />
inoltre valutata l’escrezione urinaria dell’acido D-glucarico<br />
(ADG), indicatore indiretto di induzione enzimatica, effettuando<br />
l’analisi con metodo enzimatico per via spettrofotometrica. È stato<br />
anche esaminato un gruppo di controllo di 33 soggetti, non<br />
esposti a gas anestetici o ad altre sostanze inducenti o epatotossiche.<br />
Tutti i soggetti, esposti e controlli, non presentavano all’anamnesi<br />
una storia di pregresse o attuali malattie epatiche o renali<br />
né un’assunzione regolare di farmaci.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />
I livelli di esposizione a sevoflurano sono ri<strong>sul</strong>tati nella maggior<br />
parte dei soggetti contenuti al di sotto del limite di 2 ppm stabilito<br />
dal NIOSH per gli anestetici alogenati (media: 0,161 ppm;<br />
mediana: 0,027 ppm; range: 0,007-2,710 ppm). La correlazione<br />
tra esposizione individuale a sevoflurano ed escrezione urinaria<br />
dell’anestetico è ri<strong>sul</strong>tata statisticamente significativa anche se<br />
con una notevole dispersione dei dati (n=103, y=3,491x + 1,111,<br />
r=0,44; p
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 101<br />
combinate a N 2 O e isofluorano (4) che suggeriva lo sviluppo di<br />
una induzione enzimatica negli esposti a gas anestetici in cui<br />
sembra determinante il ruolo giocato dal N 2 O. Benché non vi<br />
sia una differenza statisticamente significativa nell’escrezione<br />
di ADG tra controlli ed esposti al solo sevoflurano, si riscontra<br />
tuttavia per questi soggetti una correlazione statisticamente significativa<br />
tra concentrazione urinaria di sevoflurano ed escrezione<br />
di ADG (y=1,397 + 1,902, r=0,54, p
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
102 www.gimle.fsm.it<br />
Discussione<br />
Tabella I. Principali parametri statistici per MTBE urinario, benzene urinario ed esposizione personale<br />
a benzene aerodisperso nelle tre categorie di soggetti indagati<br />
Figura 1. Grafici a scatole per l’MTBE urinario nei soggetti<br />
indagati suddivisi in base all’occupazione lavorativa<br />
I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti per MTBE urinario avvalorano le evidenze<br />
sperimentali a favore dell’utilizzo di questo indicatore per definire<br />
l’esposizione a vapori di benzina (7-9). MTBE urinario non<br />
sembra invece adatto a valutare l’esposizione a traffico autoveicolare.<br />
Questo ri<strong>sul</strong>tato potrebbe essere attribuito ai bassi livelli<br />
di MTBE presenti nel gas di scarico degli autoveicoli, ma anche<br />
alla scarsa numerosità della casistica indagata. La presenza di<br />
MTBE urinario in tutti i soggetti indica un’esposizione generalizzata<br />
a questa sostanza. Questa esposizione può essere attribuibile,<br />
almeno in parte, all’inquinamento da traffico autoveicolare<br />
(3), ma non si esclude la possibilità che MTBE possa essere ingerito<br />
con la dieta (4).<br />
Ringraziamenti<br />
Lo studio è stato possibile anche grazie al contributo ISPESL<br />
per il progetto “Composti ossigenati di sintesi come nuovi additivi<br />
delle benzine: monitoraggio ambientale e <strong>biologico</strong> nella popolazione<br />
potenzialmente esposta” (Ricerca n° B65/DML/00).<br />
Bibliografia<br />
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2) European Centre for Ecotoxicology and Toxicology of Chemicals.<br />
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Butyl ether Special report No 17. Brusselles, ECETOC 2003.<br />
3) Hellén H, Hakola H, Laurila T, Hiltunen V, Koskentalo T. Aromatic<br />
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4) United States Environmental Protection Agency. Achieving clean air<br />
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G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 103<br />
E. Scotti 1 , G. De Palma 1,2 , P. Mozzoni 1,2 , S. Carnevali 3 , F. Luppi 3 , A. Caglieri 2 , M.V. Vettori 1,2 , M. Goldoni 1,2 , L. Fabbri 3 , A. Mutti 2<br />
Caratterizzazione in vitro dell’espressione dell’eme ossigenasi 1<br />
in cellule epiteliali polmonari umane esposte a fumo di sigaretta<br />
1 Centro Studi e Ricerche ISPESL, Università degli Studi di Parma<br />
2 Laboratorio di Tossicologia Industriale, Università degli Studi di Parma<br />
3 Clinica di Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università di Modena e Reggio Emilia<br />
RIASSUNTO. Viene presentato uno studio in vitro su linee epiteliali<br />
e fibroblastiche polmonari esposte a concentrazioni crescenti (5 e 10%)<br />
di estratto di fumo di sigaretta (EFS) e a N-acetilcisteina (NAC). L’espressione<br />
genica dell’eme ossigenasi 1 (HO-1) era stimolata dall’EFS in<br />
maniera dose-dipendente nelle cellule epiteliali bronchiali immortalizzate<br />
(linea BEAS 2B) e fibroblastiche polmonari fetali (linea HFL1), ma<br />
non nelle epiteliali da adenocarcinoma polmonare (linea A549). L’espressione<br />
di HO-1, regolata in maniera differente nelle tre linee cellulari,<br />
sembra stimolata dallo stress ossidativo indotto da EFS.<br />
Parole chiave: eme ossigenasi 1, espressione genica, estratto di fumo<br />
di sigaretta, modelli in vitro, cellule epiteliali e fibroblastiche polmonari.<br />
ABSTRACT. IN VITRO CHARACTERIZATION OF HEME OXYGENASE 1<br />
IN HUMAN EPITHELIAL LUNG CELLS EXPOSED TO CIGARETTE SMOKE. We<br />
present an in vitro study of lung epithelial and fibroblastic cell lines exposed<br />
to growing concentrations (5%, 10%) of cigarette smoke extract<br />
(CSE), and to N-acetylcysteine. The heme oxygenase 1 (HO-1) gene expression<br />
was stimulated by CSE in a dose-dependent manner in both immortalized<br />
bronchial epithelium (BEAS 2B) and foetal pulmonary fibroblasts<br />
(HFL1), whereas no effect was seen in lung adenocarcinoma cells<br />
(A549). HO-1 gene expression, differently regulated in the three cell lines,<br />
seems to be provoked by CSE induced oxidative stress.<br />
Key words: heme oxygenase 1, gene expression, cigarette smoke extract,<br />
in vitro model, lung epithelial and fibroblastic cells.<br />
Introduzione<br />
L’eme ossigenasi (HO), enzima ubiquitariamente espresso,<br />
catalizza l’ossidazione dell’eme a biliverdina, con rilascio di ferro<br />
(Fe 2+ ) e monossido di carbonio (CO). Sono note tre isoforme,<br />
codificate da geni specifici: HO-1 inducibile, HO-2 costitutiva ed<br />
HO-3 espressa costitutivamente ma a bassa attività metabolica.<br />
L’espressione di HO-1, oltre che dal substrato fisiologico, è indotta<br />
da una varietà di stimoli associati con stress ossidativo e infiammazione.<br />
I prodotti di reazione hanno funzioni antiossidanti<br />
e antinfiammatorie (1). La biliverdina è biotrasformata dalla biliverdina<br />
reduttasi a bilirubina, potente antiossidante endogeno. Il<br />
CO media un effetto miorilassante <strong>sul</strong>la muscolatura liscia ed effetti<br />
citoprotettivi ed anti-apoptotici. Il fumo di sigaretta è una<br />
miscela complessa in grado di determinare stress ossidativo ed<br />
infiammazione a livello dell’epitelio polmonare. Cellule in coltura<br />
esposte a fumo di sigaretta presentano effetti tipici dello stress<br />
ossidativo, come perossidazione lipidica, rotture a singolo filamento<br />
del DNA e decremento dei livelli intracellulari di glutatione<br />
(2-4).<br />
Materiali e metodi<br />
L’esperimento è stato condotto su linee cellulari umane, derivate<br />
rispettivamente da cellule epiteliali bronchiali immortalizzate<br />
(BEAS 2B), cellule epiteliali alveolari da adenocarcinoma polmonare<br />
(A549) e fibroblasti polmonari fetali (HFL1). Le cellule<br />
sono state esposte a concentrazioni crescenti (5 e 10%) di estratto<br />
di fumo di sigaretta (EFS), ottenuto facendo gorgogliare il fumo<br />
di sigaretta in una beuta contenente 25 ml di terreno di coltura.<br />
Dopo filtrazione e diluizione alla concentrazione desiderata, le<br />
cellule sono state trattate con EFS entro 30 minuti dalla sua preparazione.<br />
È stata prevista anche la co-somministrazione di Nacetilcisteina<br />
(NAC), in associazione ad EFS 10%. L’RNA totale<br />
è stato estratto da circa 5 x 10 6 cellule con metodica Trizol, digerito<br />
con Dnasi I, quantificato con sonda RiboGreen e valutato tramite<br />
elettroforesi su gel d’agarosio 1% in 1X TBE. L’RNA totale<br />
(1 µg) è stato retrotrascritto a cDNA utilizzando Random Decamers<br />
(2.5 µM) e SuperScript II (200 U) RT con protocollo standard,<br />
in 20 µl. Un’aliquota di cDNA è stata diluita 1:8 in H 2 O per<br />
la reazione di PCR quantitativa in tempo reale su iCycler (Bio-<br />
Rad) con chimica SYBR Green I. I primers per il gene HO-1 sono<br />
stati disegnati con software Primer3 su sequenza NM 002133<br />
(GenBank), mentre per l’amplificazione dei geni di controllo β2microglobulina,<br />
succinato de-idrogenasi subunità A ed ipoxantina<br />
fosforibosil-trasferasi 1 sono stati utilizzati primers pubblicati (5).<br />
Le reazioni di PCR (25 µl), contenenti 1 µl di cDNA, 12.5 µl di<br />
2X iQ SYBR Green Supermix (Bio-Rad) e 300 nM di ciascun primer,<br />
sono state eseguite in duplicato per ciascun campione secondo<br />
il protocollo: 3’ a 95 °C, seguiti da 40 cicli di 30s a 95 °C, 30s<br />
a 61 °C e 30s a 72 °C, quindi 1’ a 95 °C e denaturazione (melting)<br />
finale, con incremento graduale della temperatura da 50 °C a 94<br />
°C. Il livello di espressione dell’HO-1, mediato su 3 esperimenti<br />
separati, viene ottenuto dopo normalizzazione rispetto all’espressione<br />
dei 3 geni di controllo, tramite algoritmo geNorm (5). L’espressione<br />
genica è stata valutata dopo 24h dallo stimolo per i tre<br />
tipi cellulari e dopo 3h per le sole BEAS 2B.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Nelle BEAS 2B l’espressione di HO-1 è aumentata, rispetto al<br />
controllo non trattato, già 3h dopo l’esposizione, con un andamento<br />
dose-dipendente (mediamente di 110,61 vv. per EFS=5%, e<br />
di 277,59 vv. per EFS=10%). Nelle BEAS 2B e HFL1, a 24h dallo<br />
stimolo, i livelli di HO-1 sono aumentati per EFS= 5% (rispettivamente<br />
di 20,88 e 27,5 vv. in BEAS 2B ed HFL1). In entrambi<br />
i casi l’incremento è dose-dipendente e più evidente nelle HFL1<br />
(incremento vs. controllo di 35,9 e 270,65 vv. per EFS=10% in<br />
BEAS 2B e HFL1, rispettivamente). La co-somministrazione di<br />
NAC riduce l’espressione genica in entrambe le linee (riduzione,<br />
rispetto al trattamento con EFS 10%, del 91% e del 96% in BEAS<br />
2B ed HFL1, rispettivamente). Nelle A549 i livelli di espressione<br />
genica osservati a 24h dall’esposizione sono molto modesti (incremento<br />
medio di 1,86 volte rispetto al controllo per il campione<br />
trattato con EFS 10%), e la co-somministrazione di NAC ed EFS<br />
al 10% non modifica significativamente i livelli di espressione.<br />
Discussione<br />
I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti, da considerarsi come preliminari in quanto<br />
gli esperimenti sono in fase di completamento, sembrano promettenti.<br />
Le diverse risposte osservate nelle linee epiteliali<br />
(BEAS 2B ed A549) sembrano correlate al diverso fenotipo cel-
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
104 www.gimle.fsm.it<br />
lulare. La scarsa responsività delle A549 all’EFS, ma anche alla<br />
NAC, sembrerebbero indicare che in queste cellule, tum<strong>orali</strong>, la<br />
regolazione dell’espressione genica sia compromessa. Nelle<br />
BEAS 2B, che sono cellule immortalizzate, l’EFS stimola in maniera<br />
dose-dipendente l’espressione di HO-1, probabilmente in<br />
conseguenza di stress ossidativo cellulare, come dimostrato dalla<br />
reversione della risposta ad EFS 10% ad opera della NAC, che<br />
agisce aumentando la disponibilità di glutatione. L’espressione di<br />
HO-1 è un evento molto precoce, visibile già a 3h dallo stimolo<br />
(per ora solo in BEAS 2B). L’espressione di HO-1 nelle HFL1,<br />
cellule dal fenotipo normale, segue l’andamento osservato per le<br />
BEAS 2B ed è quantitativamente maggiore.<br />
In conclusione, l’esperimento dimostra che il fumo di sigaretta,<br />
probabilmente inducendo stress ossidativo, stimola l’espressione<br />
di HO-1 in linee cellulari rappresentative dell’organo<br />
bersaglio (polmone). Ciò, in accordo con l’aumentata espressione<br />
di HO-1 osservata nella broncopneumopatia cronica ostruttiva<br />
e nell’asma bronchiale (1, 6, 7), nelle quali il fumo di tabacco<br />
svolge un’importante ruolo eziopatogenetico. Il presente studio,<br />
completato da informazioni relative agli effetti a più basse concentrazioni<br />
di EFS, potrà fornire indicazioni utili per meglio valutare<br />
il rischio derivante dall’esposizione, anche in ambito lavorativo,<br />
a fumo passivo.<br />
G. Spatari 1 , C. Fenga 1 , D. Sapienza 1 , P. Gualniera 2 , A. Asmundo 2<br />
Bibliografia<br />
1) Carter EP, Garat C, Imamura M. Continual emerging roles of HO-1:<br />
protection against airway inflammation. Am J Physiol Lung Cell Mol<br />
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4) Frei B, Forte TM, Ames BN, Cross CE. Gas phase oxidants of cigarette<br />
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7) Nakayama T, Kaneko M, Kodama M, Nagata C. Cigarette smoke induces<br />
DNA single-strand breaks in human cells. Nature. 1985;<br />
314(6010): 462-4.<br />
Analisi dei polimorfismi genetici GSTT1 e GSTM1 in lavoratori di<br />
un deposito costiero di carburante. Messa a punto della metodica<br />
1 Sezione di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio, Università degli Studi di Messina<br />
2 Sezione di Medicina Legale, Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio, Università degli Studi di Messina<br />
RIASSUNTO. Recentemente, <strong>sul</strong>la base di differenti tecniche di<br />
biologia molecolare, sono stati condotti studi su polimorfismi genetici<br />
quali “biomarcatori” atti a definire alterazioni o deficit metabolici determinanti<br />
di malattia. È del tutto evidente, quindi, l’esigenza di introdurre<br />
una nuova tecnica d’indagine in tale ambito fondata su criteri di robustezza<br />
(rapporto costo-beneficio), di riproducibilità, di ripetibilità e di<br />
semplicità di esecuzione [Saferstein, New Jersey 1987]. Su tali presupposti<br />
è stata messa a punto una metodica di analisi per i polimorfismi genetici<br />
ai loci GSTT1 e GSTM1 a partire da matrici biologiche (sangue e<br />
saliva) ottenuti da lavoratori di un deposito costiero di carburante del Sud<br />
Italia. I soggetti presi in esame, professionalmente esposti a miscele di<br />
carburanti, costituiscono un campione oggetto di studio del quale vengono<br />
presentati dati preliminari.<br />
Parole chiave: caratterizzazione genotipica, polimorfismi genetici,<br />
Glutatione-S-transferasi T1 (GSTT1) e M1 (GSTM1), biomarcatori, rischio<br />
professionale.<br />
ABSTRACT. ANALYSIS OF GENETIC POLYMORPHISM OF GSTT1 AND<br />
GSTM1 IN PETROL WORKERS: REFINING THE TECHNIQUE. On the basis of<br />
different methods in molecular biology, studies have been recently conducted<br />
on genetic polymorphisms as “biomarkers” of occupational, environmental<br />
or life style related diseases. It is therefore clear that the introduction<br />
of an alternative laboratory method needs to be introduced, based<br />
on classical standards: robustness and simplicity (cost-benefit ratio), reproducibility,<br />
and repeatability [Saferstein, New Jersey 1987]. Starting<br />
from biological samples (blood and saliva) obtained from workers in a<br />
Southern Italian petrochemical depot, the present study describes a simple<br />
method for the analysis of genetic polymorphisms on GSTT1 and<br />
GSTM1 loci. The preliminary data to emerge from this group of workers<br />
- who are occupationally exposed to petroleoum derivatives- are reported.<br />
Key words: DNA genotyping, genetic polymorphism, Glutathione-Stransferase<br />
T1 (GSTT1) and M1 (GSTM1), biomarkers, occupational risk.<br />
Introduzione<br />
Gli studi effettuati <strong>sul</strong>l’esposizione ad idrocarburi policiclici<br />
aromatici (IPA) ed effetti nell’uomo dimostrano una considerevole<br />
variabilità interindividuale a parità di esposizione ambientale<br />
e/o lavorativa. Le basi biologiche di tale variabilità sono, in<br />
parte, da ricercarsi nella differente attività degli enzimi implicati<br />
nella bio-attivazione e nella detossificazione degli IPA (citocromo<br />
P 450, epossido idrolasi, glutatione transferasi) (1). La glutatione<br />
S-transferasi (GST), ad esempio, è una super-famiglia di<br />
enzimi polimorfici che giocano un ruolo importante nella detossificazione<br />
dei tossici endogeni ed esogeni. I polimorfismi genetici<br />
GSTT1 e GSTM1 modulano l’attività di alcune catene enzimatiche<br />
coinvolte nella detossificazione di diversi composti potenzialmente<br />
cancerogeni per l’uomo. Il polimorfismo GSTM1 è<br />
localizzato <strong>sul</strong> locus cromosomico 1p13.3 ed è coinvolto nell’espressione<br />
fenotipica degli enzimi deputati alla detossificazione<br />
degli idrocarburi aromatici policiclici. Cellule di soggetti omozigoti<br />
per il genotipo null del GSTM1, privi della specifica attività<br />
enzimatica, sono più suscettibili di danno al DNA (Strange-Fryer,<br />
IARC Scientific publications 1999). Il polimorfismo GSTT1 è<br />
localizzato <strong>sul</strong> cromosoma 22q11.2 e codifica per enzimi anch’essi<br />
implicati nell’attività detossificante.<br />
Il presente lavoro illustra una semplice metodica di estrazione<br />
del DNA da sangue intero e da cellule dell’epitelio buccale<br />
prelevate mediante tampone (“buccal swab”) per la caratterizzazione<br />
dei polimorfismi genetici GSTT1 e GSTM1 in un campione<br />
di lavoratori addetti alle varie fasi del ciclo lavorativo di un<br />
deposito costiero di carburante. Ciò al fine di identificare even-
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 105<br />
tuali genotipi omozigoti defettivi (null), potenzialmente più suscettibili<br />
all’azione degli agenti chimici, attraverso una semplice<br />
metodica, di facile riproducibilità, ripetibilità e di costo assai<br />
contenuto. Il prelievo di cellule dell’epitelio buccale, effettuabile<br />
senza trauma alcuno, contribuisce a rendere ancor più semplice<br />
l’indagine, oltre che ben accetta da parte del lavoratore.<br />
Materiali e metodi<br />
L’estrazione del DNA è stata condotta secondo la metodica<br />
“Chelex®100” (2) a partire da 30 µl di sangue intero e singoli<br />
tamponi buccali appartenenti ad ogni soggetto del gruppo oggetto<br />
di studio; il Chelex è una resina chelante che possiede alta affinità<br />
per gli ioni metalli polivalenti, composta da stirene divinilbenzene<br />
copolimero e ioni aminodiacetati che agiscono come<br />
gruppi chelanti. La presenza di questi gruppi durante il processo<br />
di ebollizione dei campioni previene la degradazione del DNA<br />
dall’azione degli ioni metallici che possono favorire la rottura<br />
della molecola quando viene sottoposta ad alte temperature.<br />
L’amplificazione via polymerase chain reaction (PCR) è stata effettuata<br />
utilizzando quali “primers d’innesco” le sequenze oligonucleotidiche<br />
riportate in letteratura (Pavanello S., Padova 2002).<br />
La reazione di amplificazione, è avvenuta utilizzando un termociclatore<br />
o thermal-cycler (“PCR sprint”, Hybaid) ed allestendo<br />
una “multiplex” per la coamplificazione dei loci GSTT1,<br />
GSTM1 e β-globina (quest’ultimo quale “controllo positivo” della<br />
reazione medesima), in un volume finale di 25 µl: 2.5 µl di<br />
estratto (5-250 ng DNA), 0.5 µM di ciascun primer, 2.5 µl Taq<br />
tampone (10 x PCR Buffer II, Applied Byosystem), 2 µl MgCl 2<br />
25 mM (Applied Byosystem), 0.5 µl dNTPs mix (10 mM PCR<br />
Nucleotide Mix, Promega), 1 U Taq polimerasi polymerase (Dy-<br />
NAzyme II DNA Polymerase, Finnzymes). Sono stati effettuati<br />
un totale di 30 cicli di amplificazione: “denaturazione” a 95° C<br />
per 1 minuto, “annealing” a 60° C per 1 minuto ed “estensione”<br />
a 72° C, sempre per 1 minuto. L’analisi dei prodotti di amplificazione<br />
è stata condotta mediante elettroforesi verticale su gel denaturante<br />
di poliacrilamide al 6% in Urea 7 M ultrasottile (0.4<br />
mm) in TBE buffer 1X con le seguenti condizioni di corsa: 2000<br />
V, max mA, max W, per 150 minuti (3). Le bande di migrazione<br />
relative ai prodotti di amplificazione sono state visualizzate con<br />
la tecnica del “Silver staining”(4) ed identificate in base alla valutazione<br />
del peso molecolare di ciascuna, definito comparativamente<br />
rispetto ai pesi molecolari di specifico marcatore standard<br />
(DNA pGEM® marker, Promega).<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
La tipizzazione elettroforetica dei 24 campioni analizzati (12<br />
tracce ematiche, 12 tamponi buccali) appartenenti a 12 lavoratori<br />
professionalmente esposti ad IPA (ogni soggetto è stato sottoposto<br />
a prelievo di sangue venoso e di cellule dell’epitelio buccale),<br />
ha evidenziato la frequenza del genotipo null per il GSTM1<br />
in cinque soggetti, mentre due soggetti presentavano il genotipo<br />
GSTT1 null (Figura 1). Inoltre dalla lettura dell’elettroferogramma<br />
si evince che la tipizzazione effettuata dai tamponi buccali<br />
(evidenziata con i numeri romani) ri<strong>sul</strong>ta essere ugualmente interpretabile<br />
e di ottima definizione allelica.<br />
Discussione<br />
La metodica esposta ri<strong>sul</strong>ta essere una tecnica di facile riproducibilità,<br />
ripetibile e di costo assai contenuto e rappresenta,<br />
quindi, una valida alternativa alle tecniche già in uso nella pratica<br />
dei laboratori di epidemiologia occupazionale. L’uso del<br />
“Chelex®100” per l’estrazione del DNA da cellule dell’epitelio<br />
Figura 1. Elettroferogramma dei genotipi GSTT1 (480 bp) e<br />
GSTM1 (215 bp)<br />
I numeri romani rappresentano la tipizzazione effettuata da<br />
cellule dell’epitelio buccale; i campioni 7 (VII) e 11 (XI) ri<strong>sul</strong>tano<br />
negativi per il genotipo GSTT1 (GSTT1 null); i campioni<br />
3 (III), 4 (IV), 5 (V) 6 (VI) e 10 (X) ri<strong>sul</strong>tano negativi per il genotipo<br />
GSTM1 (GSTM1 null)<br />
buccale e/o dai leucociti può essere utilizzato in alternativa ai diffusi<br />
kit commerciali; tale resina è già in uso nella pratica forense<br />
per l’identificazione individuale (ma anche nelle indagini di paternità)<br />
su tracce biologiche anche in presenza di DNA danneggiato<br />
e/o di esigue quantità. Inoltre, la tipizzazione elettroforetica<br />
su gel di poliacrilamide, consente una maggiore distanza allelica<br />
definendo, quindi, in base al peso molecolare del polimorfismo,<br />
una chiara lettura. Si ribadisce come il prelievo di cellule<br />
dell’epitelio buccale attraverso tamponamento sia una tecnica assolutamente<br />
non traumatica per il lavoratore e peraltro ben accettata.<br />
Relativamente al campione esaminato ed ai ri<strong>sul</strong>tati della<br />
genotipizzazione, l’espressione della frequenza dei genotipi null<br />
per i rispettivi polimorfismi (GSTT1 - GSTM1) non consente, attualmente,<br />
la valutazione dei ri<strong>sul</strong>tati in quanto sono in corso i<br />
dosaggi relativi agli indicatori di dose interna e di danno genotossico.<br />
Il presente studio prevede l’arruolamento di altri soggetti<br />
da tipizzare, allo scopo di valutare la frequenza dei genotipi<br />
null, per poter correlare una ridotta attività enzimatica GST<br />
(GSTM1 e GSTT1 null) ad una eventuale amplificazione della<br />
via metabolica dell’acido t-t-muconico.<br />
Bibliografia<br />
1) Clonfero E, Ferri GM, Pavanello S. Epidemiologia molecolare in<br />
medicina del lavoro: aspetti metodologici e influenza della suscettibilità<br />
genetica individuale G Ital Med Lav Erg 2003; 25: 3, 279-284.<br />
2) Walsh PS, Metzger DA, Higuchi R. Chelex 100 as a medium for simple<br />
extraction of DNA for PCR-based typing from forensic material.<br />
Biotechniques 1991;10(4): 506-13.<br />
3) Robertson JM Evaluation of native and denaturing polyacrylamide<br />
gel electrophoresis for short tandem repeat analysis Adv. Forensic<br />
Haemogenet 1994; 5: 320-322.<br />
4) Budowle B, Chakraborty R, Giusti AM, Eisenberg AJ, Allen RC.<br />
Analysis of the variable number of tandem repeat locus D1S80 by<br />
the polymerase chain reaction followed by high resolution polyacrylamide<br />
gel electrophoresis. Am J Hum Genet 1994; 48: 137-44.
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
106 www.gimle.fsm.it<br />
F. Toffoletto 1 , MR Aiani 2 , A. Baj 1 , P Mascagni 1 , L. Settimi 2<br />
La valutazione del rischio nelle attività non continuative di saldatura:<br />
dubbia utilità del dosaggio del manganese nelle urine<br />
1 Unità Operativa di Medicina del Lavoro, Ospedale di Desio<br />
2 Servizio di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro, Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Como<br />
RIASSUNTO. È stato dosato mediante spettrofotometria di assorbimento<br />
atomico con fornetto di grafite il manganese nelle urine (MnU)<br />
raccolte a fine turno di lavoro in 385 soggetti con attività non continuativa<br />
di saldatura. La popolazione esaminata ha presentato livelli di MnU<br />
molto bassi (valore medio = 0,65 µg/l; SD = 0,44; range = 0,50-4,90), vicini<br />
al limite di sensibilità del metodo (0,5 µg/l), e sostanzialmente simili<br />
a quelli riscontrati da altri autori nelle popolazioni non esposte al metallo.<br />
Non sono state evidenziate differenze significative dei livelli di<br />
MnU tra i sottogruppi a diversa esposizione corrente o tra sottogruppi a<br />
diversa anzianità di esposizione. I ri<strong>sul</strong>tati preliminari del nostro studio<br />
hanno suggerito che a basse esposizioni professionali (saldatura non continuativa<br />
di metalli ferrosi) il MnU non è un indicatore <strong>biologico</strong> idoneo<br />
per il monitoraggio di singoli soggetti e neppure di gruppi di lavoratori.<br />
Parole chiave: manganese urinario, saldatura, monitoraggio dell’esposizione<br />
professionale.<br />
ABSTRACT. RISK ASSESSMENT IN NON-CONTINUOUS WELDING ACTI-<br />
VITIES: DOUBTFUL UTILITY OF URINARY MANGANESE. End-shift urinary<br />
manganese (MnU) in 385 subjects involved in non-continuous welding activities<br />
was determined by graphite furnace atomic absorption spectrophotometry.<br />
The examined population showed extremely low manganese urinary<br />
levels (mean group urinary value = 0.65 µg/l; SD = 0.44; range =<br />
0.50-4.90), partly coinciding with the limits of sensitivity of the method<br />
(0.5 µg/l), and substantially similar to those found by other authors in nonexposed<br />
populations. Statistically significant differences in MnU levels<br />
were not detected between subgroups with different current exposure or<br />
between subgroups with different previous degrees of exposure. The preliminary<br />
findings of our study suggested that, for low occupational exposures<br />
(non-continuous welding of ferrous metals), MnU is not suitable not<br />
only for individual but also for group biological monitoring.<br />
Key words: urinary manganese, welding, biological monitoring of<br />
occupational exposure.<br />
Introduzione<br />
La gravità degli effetti neurotossici attribuiti al manganese<br />
(1) giustifica la necessità di monitorare attentamente l’esposizione<br />
professionale a tale metallo, anche nelle attività non considerate<br />
particolarmente esponenti, quale l’attività di saldatura di materiali<br />
ferrosi.<br />
È quindi utile verificare quali indicatori biologici siano sufficientemente<br />
sensibili e specifici per il monitoraggio.<br />
Il dosaggio urinario del manganese è stato più volte considerato<br />
un indicatore di applicazione relativamente agevole, ma inadeguato<br />
a valutare l’esposizione del singolo lavoratore, anche se<br />
alcuni autori ne documentano la capacità di valutare le differenze<br />
di esposizione fra gruppi (2, 3).<br />
Materiali e metodi<br />
Nell’ambito di un’indagine di comparto svolta da un Servizio di<br />
Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro della Lombardia<br />
sono state raccolte, tramite questionario, informazioni su 93 aziende<br />
di piccola carpenteria metallica, ove lavoravano 410 soggetti con attività<br />
di saldatura (prevalentemente TIG e MIG) non continuativa (di<br />
frequenza e durata molto variabile). In 385 di essi è stato possibile<br />
eseguire il dosaggio del manganese nelle urine raccolte a fine turno<br />
di lavoro. La ricerca del manganese è stata eseguita tramite spettrofotometria<br />
di assorbimento atomico con fornetto di grafite (AAS).<br />
Non disponendo di valutazioni ambientali, la capacità dell’indicatore<br />
di evidenziare eventuali differenze di esposizione recente<br />
è stata valutata suddividendo la popolazione in 3 gruppi, in<br />
base alla durata giornaliera dell’attività di saldatura (fino a 2 ore:<br />
94 sogg.; da 2 a 4 ore: 162 sogg.; oltre 4 ore al giorno: 129 sogg.).<br />
Le eventuali differenze basate <strong>sul</strong>la esposizione cumulativa sono<br />
state invece studiate suddividendo la popolazione in 3 gruppi in<br />
base all’anzianità complessiva di attività come saldatore (fino a 5<br />
anni: 121 sogg.; da 5 a 10 aa: 74 sogg.; oltre 10 anni: 188 sogg.).<br />
Due soggetti sono stati esclusi dal calcolo in quanto non si disponeva<br />
con precisione della loro anzianità di lavoro.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
I valori medi di MnU nell’intera popolazione e nei tre gruppi<br />
ad attività di saldatura giornaliera crescente sono riportati nella<br />
Tabella I. I valori medi di MnU riscontrati nei tre gruppi ad anzianità<br />
di saldatura crescente sono riportati nella Tabella II.<br />
Discussione<br />
Nei limiti consentiti da un’elaborazione ancora preliminare è<br />
possibile affermare che lo studio del MnU:<br />
– non evidenzia differenze significative (p = 0.12) fra lavoratori<br />
con attività di saldatura scarsa (meno di 2 ore al dì), rispetto a<br />
lavoratori con attività di saldatura frequente (più di 4 ore al dì);<br />
– non evidenzia differenze significative (p = 0.49) fra soggetti<br />
con modesta anzianità complessiva di saldatura (meno di 5<br />
anni), rispetto a soggetti con anzianità complessiva di saldatura<br />
elevata (oltre 10 anni);<br />
– dimostra che la popolazione esaminata presenta livelli di<br />
MnU molto bassi, prevalentemente (74.3%) coincidenti con<br />
il limite di sensibilità del metodo (0.5 µg/l), valori sostanzialmente<br />
simili a quelli riscontrati da altri autori nelle popolazioni<br />
non esposte al metallo (4, 5).<br />
Tabella I. Valori medi di manganese urinario<br />
nell’intera popolazione e nei tre gruppi ad attività<br />
di saldatura giornaliera crescente<br />
Tabella II. Valori medi di manganese urinario<br />
nei tre gruppi ad anzianità di saldatura crescente
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 107<br />
Conclusioni<br />
I ri<strong>sul</strong>tati preliminari di questo studio indicano che a basse<br />
esposizioni professionali (attività non continuative di saldatura<br />
di metalli ferrosi) il MnU non è un indicatore <strong>biologico</strong> idoneo<br />
per il monitoraggio di singoli soggetti e neppure di gruppi di lavoratori.<br />
Bibliografia<br />
1) Apostoli P, Lucchini R, Alessio L. Are current biomarkers suitable<br />
P. Tomao, M.C. D’Ovidio, S. Di Renzi, C. Grandi<br />
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2) Gobba FM, Galassi C, Minoia C et al. Biological monitoring of occupational<br />
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level” of manganese oxides and neurofunctional changes in ferroalloy<br />
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exposure level to manganese in workers exposed to manganese<br />
dioxide dust. Br J Ind Med 1992; 49: 25-34.<br />
5) Minoia C, Apostoli P. 1 a lista SIVR dei valori di riferimento definizioni,<br />
criteri metodologici e strategie analitiche. G Ital Med Lav Erg<br />
2003; 25: 1.<br />
Valutazione del danno al DNA in cellule umane dell’epitelio nasale<br />
esposte ad ossido di etilene<br />
ISPESL, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Monteporzio Catone (RM)<br />
RIASSUNTO. Nella medicina del lavoro il comet test (CT) ha ricevuto<br />
in questi ultimi anni un’elevata considerazione quale metodica rapida,<br />
semplice e poco costosa per lo studio dell’attività genotossica di sostanze.<br />
L’ossido di etilene, gas infiammabile ed incolore, classificato dalla IARC<br />
nel gruppo 1, può essere assorbito dall’uomo attraverso il tratto respiratorio<br />
e la cute. Scopo del lavoro è valutare la sensibilità del CT nel misurare<br />
il danno al DNA in cellule dell’epitelio nasale (RPMI 2650) esposte in vitro<br />
a diverse concentrazioni di ossido di etilene. Lo studio ha evidenziato<br />
l’appropriatezza della strategia sperimentale utilizzata, fornendo una valutazione<br />
degli effetti dell’ossido di etilene <strong>sul</strong> DNA del tutto paragonabili a<br />
quelli ottenuti con metodiche convenzionali quali le aberrazioni cromosomiche<br />
e il test del micronucleo. Inoltre le prove condotte hanno mostrato<br />
una maggiore sensibilità del CT, in quanto è stato evidenziato un danno al<br />
DNA anche a dosi di EtO più basse di quelle rilevabili con gli altri test.<br />
Parole chiave: comet test, ossido di etilene, esposizione in vitro.<br />
ABSTRACT. DNA DAMAGE IN HUMAN NOSE EPITHELIAL CELLS EX-<br />
POSED TO ETHYLENE OXIDE. In recent years the comet test has been highly<br />
regarded in occupational medicine as a rapid, simple and inexpensive technique<br />
for detecting substances with genotoxic activity. Ethylene oxide<br />
is a colourless flammable gas, classified in group 1 by IARC, which can<br />
be absorbed through the respiratory tract and the skin. The aim of this<br />
study is to evaluate the capcity of the comet test to measure DNA damage<br />
in epithelial nasal septum cells (RPMI 2650) exposed to ethylene oxide.<br />
The effect of ethylene oxide on DNA can be evaluated by the comet<br />
test, yielding comparable re<strong>sul</strong>ts to those obtained using well-established<br />
techniques such as chromosomal aberration and micronucleus formation<br />
analyses. Moreover, the comet test was more sensitive than the other tests,<br />
showing DNA damage at lower doses than those detectable by chromosomal<br />
aberration and micronucleus formation.<br />
Key words: comet test, ethylene oxide, in vitro exposure.<br />
Introduzione<br />
In medicina del lavoro è fondamentale il monitoraggio dell’esposizione<br />
a sostanze potenzialmente mutagene e/o cancerogene.<br />
Aspetti critici del monitoraggio sono i tempi, le procedure e la<br />
rappresentatività del campionamento, la sensibilità e la specificità<br />
dei metodi analitici, i tempi di esecuzione delle analisi e i costi.<br />
Fondamentale al riguardo è la disponibilità di test di genotossicità<br />
adeguati. Tra le metodiche utilizzate per studiare l’attività genotossica<br />
di sostanze, il Comet Test (CT) ha, in questi ultimi anni, riscontrato<br />
approvazione anche nel campo della medicina del lavoro.<br />
Tale test prevede l’inglobamento in agarosio delle cellule trattate<br />
con la sostanza, la loro lisi e la corsa elettroforetica del lisato<br />
cellulare durante la quale si ha la migrazione del DNA, visualizzata<br />
tramite un colorante fluorescente. Il grado di migrazione del<br />
DNA, in condizioni alcaline, viene ad essere considerato proporzionale<br />
alla frequenza degli eventi di rottura in singole cellule<br />
esposte alle sostanze genotossiche. Il parametro considerato maggiormente<br />
significativo per quanto riguarda la rilevazione delle<br />
rotture del filamento di DNA è il momento di coda (Tail Moment<br />
- TM), definito come il prodotto dell’intensità di fluorescenza relativa<br />
della coda della cometa per la sua lunghezza.<br />
L’ossido di etilene (EtO) è un gas infiammabile e incolore<br />
con un caratteristico odore simile all’etere. In condizioni di pressione<br />
elevata può presentarsi come un liquido volatile. È completamente<br />
miscibile con acqua e molti solventi organici. Si tratta<br />
di una sostanza mutagena e cancerogena (gruppo 1 della classificazione<br />
IARC), che viene assorbita attraverso il tratto respiratorio<br />
e la cute. Il meccanismo d’azione è noto nel dettaglio, con<br />
la formazione di addotti al DNA ben caratterizzati. Viene comunemente<br />
utilizzato come intermedio di sintesi nell’industria chimica<br />
e come agente sterilizzante in ambiente sanitario e nell’industria<br />
alimentare. L’esposizione dei lavoratori a EtO nei diversi<br />
settori di impiego della sostanza varia considerevolmente, fino a<br />
raggiungere in alcune condizioni valori elevati.<br />
Scopo del lavoro è valutare la sensibilità del CT nel misurare<br />
il danno al DNA in cellule dell’epitelio nasale esposte a diverse<br />
concentrazioni di ossido di etilene. I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti con tale<br />
metodica, rapida e poco costosa, possono essere confrontati con<br />
quelli ottenuti da altri autori, con metodiche differenti, soprattutto<br />
in termini di riproducibilità del dato e possibilità di evidenziare<br />
un effetto anche a dosi basse.<br />
Materiali e metodi<br />
È stato analizzato, mediante il CT, l’effetto dell’EtO nella linea<br />
cellulare di epitelio nasale umano RPMI 2650. Le cellule della cavità<br />
nasale sono le prime cellule esposte agli inquinanti e costituiscono<br />
la prima linea di difesa dell’organismo nei confronti di xenobiotici<br />
introdotti per via inalatoria: rappresentano infatti un sito<br />
target ben conosciuto per un ampio range di mutageni e sono quindi<br />
adatte per lo sviluppo di biomarcatori di esposizione/effetto. Le<br />
cellule sono state fatte crescere in monostrato e mantenute in terreno<br />
Minimum Essential Medium (MEM) con sali di Eagle, addi-
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
108 www.gimle.fsm.it<br />
zionato con siero bovino fetale (FCS) al 10%, antibiotici, glutamina<br />
ed amminoacidi non essenziali all’1%. L’EtO disciolto in metanolo<br />
(MEOH 50.000 UG/ML, Supelco) è stato diluito alle concentrazioni<br />
d’uso (0,5-100 mM) in terreno per cellule senza FCS. Le<br />
diluizioni delle sostanze sono state preparate al momento degli<br />
esperimenti, alla temperatura di 0-5°C. Sono stati effettuati esperimenti<br />
preliminari di tossicità per valutare le concentrazioni di sostanza<br />
che non perturbano la sopravvivenza e la crescita cellulare.<br />
Dopo il trattamento con diverse concentrazioni di EtO le cellule<br />
sono state osservate al microscopio per evidenziare eventuali cambiamenti<br />
morfologici e successivamente è stata valutata la citotossicità<br />
mediante l’utilizzo di un colorante vitale (rosso neutro), la<br />
cui incorporazione è stata misurata spettrofotometricamente.<br />
Il CT è stato condotto subito dopo il trattamento delle cellule<br />
con la sostanza (tempo zero), dopo 3 ore e dopo 24 ore, sia per<br />
valutare l’effetto genotossico che per monitorare la cinetica del<br />
riparo. Tutti gli esperimenti sono stati condotti solo quando la vitalità<br />
delle cellule, valutata tramite il test di esclusione del colorante<br />
vitale trypan blu, era > 75%. I ri<strong>sul</strong>tati sono rappresentativi<br />
della media di tre esperimenti.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Il CT, effettuato subito dopo l’esposizione delle cellule RPMI<br />
2650 a EtO nel range di 5,0-50,0 mM e dopo 3 e 24 ore ha mostrato,<br />
in tutte le condizioni sperimentali, un aumento dose-dipendente<br />
nella migrazione del DNA (TM) e una cinetica di riparo che<br />
evidenzia come dopo 24 ore, solo circa il 15% delle rotture viene<br />
riparato. Per quanto riguarda invece il trattamento delle cellule a<br />
concentrazioni più basse (0,5-4,0 mM) sono stati ottenuti ri<strong>sul</strong>tati<br />
differenti. Il valore del TM varia in modo non significativo, dalle<br />
concentrazioni più basse a quelle più alte, nelle condizioni di esecuzione<br />
del test al tempo zero. Tuttavia, nei campioni sottoposti al<br />
CT dopo 3 ore e 24 ore dal trattamento, è stato riscontrato un aumento<br />
significativo del TM rispetto alle cellule di controllo.<br />
Discussione<br />
Gli effetti genotossici prodotti da sostanze alchilanti il<br />
DNA, come l’ossido di etilene, possono essere studiati attraverso<br />
l’impiego di diverse metodiche. Poiché il danno al DNA indotto<br />
da agenti tossici dipende in molti casi dal tipo di cellula o<br />
di tessuto, il CT, utilizzato nello studio, può rappresentare un<br />
eccellente metodo in grado di rilevare il danno in cellule singole<br />
in diverse condizioni sperimentali. Recentemente questa metodica<br />
è stata ampiamente utilizzata per studiare gli effetti dell’esposizione<br />
a sostanze genotossiche anche nei linfociti di lavoratori<br />
esposti. Lo studio ha evidenziato l’appropriatezza della<br />
strategia sperimentale utilizzata, fornendo una valutazione<br />
degli effetti dell’EtO <strong>sul</strong> DNA del tutto paragonabili a quelli ottenuti<br />
con metodiche convenzionali quali le aberrazioni cromosomiche<br />
e il test del micronucleo. Inoltre le prove condotte hanno<br />
mostrato una maggiore sensibilità del CT, in quanto è stato<br />
evidenziato un danno al DNA anche a dosi di EtO più basse di<br />
quelle rilevabili con gli altri test. Infine, considerando che nei<br />
campioni analizzati dopo 3 e 24 ore dal trattamento delle cellule<br />
con la sostanza alle concentrazioni più basse si rileva un aumento<br />
del danno e che anche alle concentrazioni più elevate<br />
quest’ultimo è scarsamente riparato, è ipotizzabile che, dopo un<br />
iniziale periodo di latenza, la lesione iniziale (formazione di addotti)<br />
si traduca nell’induzione di rotture a doppio filamento.<br />
Queste ultime, come è noto, presentano una bassa efficienza di<br />
riparo e costituiscono il tipo di lesione più critico ai fini di una<br />
potenziale evoluzione in senso neoplastico.<br />
Bibliografia<br />
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Microbiol. 1991; 57: 2101-2103.<br />
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1990; 16: 85-103.<br />
3) Nygren J, Cedervall B, Eriksson S, Dusinska M, Kolman A. Induction<br />
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Environ. Mol. Mutagen. 1994; 24: 161-167.<br />
4) Salama SA, Serrana M, Au WW. Biomonitoring using accessibile<br />
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1999; 436: 99-112.<br />
P. Travaglini 1 , A. D’Intino 1 , L. Di Giampaolo 1 , I. Di Zio 1 , M. Di Gioacchino 1 , M. L. Castellani 2 , M. Reale 2 , J. Ponti 3 ,<br />
E. Sabbioni 3 , P. Boscolo 1<br />
Studio in vitro <strong>sul</strong>l’immunotossicità dei metaboliti dell’arsenico<br />
inorganico<br />
1 Sezione di Medicina del Lavoro, Allergologia ed Immunologia Clinica, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università “G.<br />
D’Annunzio”, Chieti<br />
2 Dipartimento di Neuroscienze ed Oncologia, Università “G. D’Annunzio”, Chieti<br />
3 ECVAM, Joint Research Centre, Ispra<br />
RIASSUNTO. Oggetto di questa ricerca erano gli effetti di composti<br />
arsenicali <strong>sul</strong>la proliferazione di PBMC umane stimolata da PHA e <strong>sul</strong><br />
loro rilascio di IFN-γ e TNF-α in presenza di sali arsenicati. Gli effetti<br />
inibitori dei composti 10 -4 e 10 -5 M era nel seguente ordine: acido momometil-arsenioso<br />
(MMAs III ), As(III), As(V), acido dimetil-arsinico<br />
(DMAs V ), acido monometil-arsonico (MMAs V ). Inoltre basse dosi (da<br />
10 -7 a 10 -8 M) di As(III), MMAs III e DMAs V stimolavano la risposta immunitaria.<br />
Questo studio dimostra che l’immunotossicità dell’As inorganico<br />
in parte dipende dalla biosintesi di MMAs III , metabolita successivamente<br />
trasformato in DMAs V .<br />
Parole chiave: arsenico, composti metilati, immunotossicità.<br />
ABSTRACT. IN VITRO STUDY ON THE IMMUNOTOXICITY OF METABO-<br />
LITES OF INORGANIC ARSENIC. The aim of this in study was to evaluate the effects<br />
of As compounds on PHA stimulated PBMC proliferation and IFN-γ<br />
and TNF-α release. The inhibitory effect of 10 -4 and 10 -5 M As compounds<br />
was in the following order: momo-methyl-arsenous acid (MMAs III ) > As(III)<br />
> As(V) > dimethyl arsinic acid (DMAs V ) > monomethyl-arsonic acid<br />
(MMAs V ). Moreover, low doses (from 10 -7 to 10 -8 M) of As(III), MMAs III<br />
and DMAs V stimulated the immune response. This study shows that the immunotoxicity<br />
of inorganic arsenic in part depends on bio-synthesis of MMAs<br />
V into MMAs III , which is subsequently transformed in DMAs V .<br />
Key words: arsenic, methylated compounds, immunotoxicity.
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
www.gimle.fsm.it 109<br />
Introduzione<br />
È noto sia che l’esposizione occupazionale<br />
ed ambientale a composti<br />
arsenicali può arrecare danni<br />
alla salute, sia che gli organismi marini<br />
sono in grado di trasformare<br />
l’As inorganico in composti organici<br />
complessi (come l’arsenobetaina)<br />
privi di significativa tossicità (1).<br />
Da circa 3 decenni è anche noto che<br />
l’As inorganico è trasformato nei<br />
mammiferi in acido monometilarsonico<br />
(MMAs V ) e dimetil-arsinico<br />
(DMAs V ). Recenti studi in vitro<br />
hanno tuttavia dimostrato che durante<br />
la metilazione dell’As inorganico<br />
in epatociti, cheratinociti e cellule<br />
dell’epitelio bronchiale (ma<br />
non in cellule vescicali) umane, si<br />
forma acido monometil-arsenioso<br />
MMAs III , composto citotossico (1).<br />
Scopo di questa ricerca è quello<br />
di studiare in vitro, su sangue umano,<br />
la immunotossicità dei composti<br />
sintetizzati durante la biotrasformazione<br />
dell’As inorganico.<br />
Materiali e metodi<br />
Cellule mononucleate di sangue periferico (PBMC) di nove<br />
donatori sono state utilizzate per determinare la proliferazione<br />
cellulare ed il rilascio di interferone-γ (IFN-γ) e Tumor-Necrosis-<br />
Factor (TNF) α nelle seguenti condizioni:<br />
a) senza sali arsenicali con o senza stimolazione con PHA (10 o<br />
20 µg/ml) (campioni di controllo).<br />
b) in presenza di 10 -4 , 10 -5 , 5 x 10 -5 , 10 -6 , 5 x 10 -6 , 10 -7 , 5 x 10 -7 ,<br />
10 -8 , 5 x 10 -8 e 10 -9 M sodio arsenito(III), sodio arsenato(V),<br />
MMAs V , MMAs III e DMAs V con o senza 20 µg/ml (per determinare<br />
la proliferazione cellulare per 72 ore) o 10 µg/ml di<br />
PHA (per determinare il rilascio di citochine per 32 ore).<br />
I metodi dettagliati per l’incubazione delle PBMC e per determinare<br />
la proliferazione cellulare ed il rilascio di citochine sono<br />
riportate in un lavoro del nostro gruppo (3).<br />
Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />
Il MMAs III a concentrazione 10 -4 M alterava la vitalità delle<br />
PBMC mentre il sodio arsenito(III) ed il sodio arsenato a questa concentrazione<br />
inibivano la proliferazione (Tabella I). La proliferazione<br />
delle PBMC era inibita anche da As(III), As(V) e MMAs III a concentrazioni<br />
10 -5 M e 5 x 10 -5 M. Sia il sodio arsenito che il DMA 10 -<br />
7 e 5 x 10 -7 M avevano un significativo effetto stimolante, mentre il<br />
MMAs III aveva lo stesso effetto a concentrazioni più basse (10 -8 M).<br />
Il rilascio di IFN-γ dalle PBMC era più evidente di quello del<br />
TNF-α. A questo proposito è da segnalare che il DMAs V 10 -4 M<br />
inibiva il rilascio di IFN-γ. Pertanto, gli effetti dei composti arsenicali<br />
<strong>sul</strong>la inibizione della proliferazione cellulare ed rilascio di<br />
citochine erano nel seguente ordine: MMAs III > As(III )> As(V)<br />
> DMAs V ,> MMAs V .<br />
Tabella I. % di proliferazione delle PBMC stimolate da PHA<br />
in presenza di composti arsenicali<br />
I valori sono espressi come % medi in confronto a culture prive di composti arsenicali (controlli, 100%). Differenza<br />
statisticamente significativa in confronto ai controlli (Mann Whitney U test): * p
COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />
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M. Valentino 1 , V. Rapisarda 2 , G. Solina 1 , C. Fenga 2 , D. Duscio 3<br />
Il benzene ematico quale biomarker di esposizione in lavoratori<br />
di una raffineria<br />
1 Dipartimento di Patologia Molecolare e Terapie Innovative, Clinica di Medicina del Lavoro, Università Politecnica delle Marche<br />
2 Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio, Sezione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Messina<br />
3 Clinica di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Catania<br />
RIASSUNTO. Il benzene è uno dei principali inquinanti degli ambienti<br />
di lavoro. Il D.Lgs. 66/00 ha ridotto il livello di esposizione professionale<br />
a 1 ppm. Si è pertanto aperta la problematica di individuare un<br />
indicatore <strong>biologico</strong> affidabile per un corretto monitoraggio dei lavoratori<br />
esposti alle attuali basse concentrazioni di benzene. Tra i diversi biomarkers<br />
proposti abbiamo analizzato le concentrazioni di benzene ematico<br />
ad inizio e fine turno di lavoro in un gruppo di 50 lavoratori di una raffineria<br />
di petrolio esposti a concentrazioni inferiori ad 1 ppm. I ri<strong>sul</strong>tati<br />
incoraggiano l’uso del benzene ematico anche se, per livelli di esposizione<br />
così bassi, il fumo di sigaretta determina l’apporto maggiore di benzene<br />
al sangue.<br />
Parole chiave: benzene ematico, raffineria di petrolio, esposizione<br />
professionale, monitoraggio <strong>biologico</strong>.<br />
ABSTRACT. Measurement of benzene blood levels as a biomarker<br />
of exposure in oil refinery workers. Benzene is one of the main<br />
polluting substances in the workplace. Following the reduction of occupational<br />
exposure levels to 1 ppm (Legislative Decree 66/00), the need<br />
has arisen to identify a reliable benzene exposure biomarker to monitor<br />
workers exposed to current low benzene concentrations. One option, i.e.<br />
the monitoring of blood levels at the beginning and the end of the work<br />
shift, was investigated in 50 workers of an oil refinery exposed to concentrations<br />
less than 1 ppm. The re<strong>sul</strong>ts show this to be a useful biomarker<br />
even though, at such low levels of exposure, smoking habits contribute<br />
significantly to benzene plasma levels.<br />
Key words: blood benzene, oil refinery, occupational exposure, biological<br />
monitoring.<br />
Introduzione<br />
Il benzene rappresenta uno dei principali inquinanti degli ambienti<br />
di vita e di lavoro (1). L’utilizzo professionale del benzene<br />
è stato regolamentato (D.Lgs. 66/00) in maniera da permettere il<br />
lavoro a livelli di esposizione inferiori a 1 ppm (3,2 mg/m 3 ). Conseguentemente<br />
si è aperta per il medico del lavoro la problematica<br />
di come effettuare un corretto monitoraggio <strong>biologico</strong> dei lavoratori<br />
esposti alle attuali concentrazioni di benzene. Il dosaggio<br />
dei fenoli nelle urine, parametro comunemente utilizzato negli<br />
ultimi decenni, non costituisce un indice affidabile per monitorare<br />
esposizioni a concentrazioni ambientali inferiori a 5 ppm<br />
(2). Sono perciò stati proposti nuovi biomarkers per valutare l’esposizione<br />
a basse concentrazioni ambientali di benzene (1-3).<br />
Nel presente studio riportiamo i dati preliminari <strong>sul</strong> monitoraggio<br />
<strong>biologico</strong>, fenoli urinari e benzene ematico, di 50 lavoratori di<br />
una raffineria di petrolio, considerati professionalmente esposti a<br />
benzene, e di 50 lavoratori impiegati amministrativi presi come<br />
gruppo di controllo.<br />
Materiali e metodi<br />
Cinquanta lavoratori maschi, caucasici, di età media di 45,1<br />
±16,0 anni ed anzianità lavorativa di 15,4 ±3,6 anni sono stati<br />
considerati professionalmente esposti al rischio di esposizione a<br />
benzene per via inalatoria in quanto addetti al laboratorio chimico<br />
(n=14) ed addetti alla movimentazione delle benzine (n=36)<br />
di una raffineria di petrolio. I dati espositivi degli ultimi 5 anni<br />
evidenziano valori inferiori a 1 ppm (valori medi di 0,06 ±0,02<br />
ppm). 50 impiegati amministrativi della stessa raffineria, di sesso<br />
maschile, caucasici, di 47,0 ±13,5 anni e anzianità lavorativa<br />
di 17,0 ±4,1 anni sono stati utilizzati come controlli non esposti.<br />
I prelievi ambientali evidenziavano, per questi lavoratori, valori<br />
medi di 0,02 ±0,01 ppm. Nessuno presentava alterazioni ematochimiche<br />
(emocromo, transaminasi, creatinina, es. delle urine) o<br />
spirometriche. A ciascun soggetto è stato somministrato un questionario<br />
ad inizio e a fine turno di lavoro volto ad indagare il<br />
luogo di residenza, campagna o città, il turno di lavoro svolto,<br />
l’abitudine tabagica, l’assunzione di farmaci, il tragitto percorso<br />
e il mezzo impiegato per recarsi al lavoro. A ciascun lavoratore<br />
è stato effettuato un prelievo ematico di 10 ml di sangue venoso<br />
all’inizio e alla fine di un turno di lavoro di 8 ore l’ultimo giorno<br />
di una settimana lavorativa. I campioni di urine sono stati<br />
raccolti al termine del turno lavorativo nella quantità di 20 ml ed<br />
il dosaggio dei fenoli è stato effettuato con metodo colorimetrico<br />
(4). La determinazione del benzene ematico è stata effettuata<br />
con metodica gas-cromatografica con un rilevatore di massa a<br />
spazio di testa dinamico secondo Brugnone et al. (5). Le concentrazioni<br />
più basse del limite di rilevamento sono state considerate<br />
la metà della soglia minima di rilevazione (6). L’analisi<br />
statistica è stata condotta con il programma SPSS-PC (SPSS,<br />
Italia). I dati sono stati analizzati con test t di Student e correlazione<br />
di Pearson. Il limite di significatività è stato fissato per valori<br />
di p ≤ 0,05.<br />
Ri<strong>sul</strong>tati<br />
Dai questionari, compilati in modo esaustivo, ri<strong>sul</strong>ta che<br />
tutti i lavoratori risiedevano in aree della città a non elevata<br />
densità di traffico veicolare, nessuno aveva consumato bevande<br />
alcoliche tali da presumere un’assunzione di alcool maggiore<br />
di 40 g, e tutti avevano svolto il turno di lavoro del mattino<br />
o quello giornaliero con una durata complessiva di almeno<br />
8 ore. Durante il lavoro nessuno aveva dovuto far uso di<br />
maschere con filtro o respiratori per esposizioni accidentali, e<br />
tutti avevano usato regolarmente gli abituali dispositivi di protezione.<br />
Non vi erano differenze per l’abitudine tabagica tra<br />
esposti (40%) e non esposti (42%). Il body mass index medio<br />
era di 25,67 ±3,02 nei soggetti esposti e di 25,91 ±3,60 nei<br />
non esposti.<br />
I ri<strong>sul</strong>tati dei valori dei fenoli urinari sono sempre stati al di<br />
sotto di 50 mg/g di creatinina, valore adottato dall’ACGIH fino<br />
al 1995 come indicatore <strong>biologico</strong>. Benché valori maggiori siano<br />
stati riscontrati nei soggetti esposti (32,28 ±14,90 mg/g cr.) rispetto<br />
ai non esposti (23,87 ±55,0 mg/g cr.), la differenza non è<br />
statisticamente significativa.<br />
In 10 esposti ed in 7 non esposti i livelli ematici di benzene<br />
erano inferiori al limite di rivelazione. Le concentrazioni medie<br />
di benzene ematico negli esposti erano significativamente più<br />
elevate a fine turno rispetto ad inizio turno; mentre non si osservano<br />
differenze nel gruppo di controllo (tabella I).
G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />
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Tabella I. Valori di benzene ematico (ng/L) riscontrati<br />
nei lavoratori esposti e nei non esposti<br />
Analizzando la benzenemia nei fumatori riscontriamo un aumento<br />
a fine turno rispetto ad inizio turno: significativo negli<br />
esposti (84,93 ±22,29 ng/L vs. 59,47 ±17,45 ng/L), non significativo<br />
nei non esposti (29,93 ±52,29 ng/L vs. 24,47 ±17,45 ng/L).<br />
Discussione<br />
Inizio turno Fine turno<br />
Esposti 57,42 ±15,68°* 69,08 ±24,74°^<br />
Non esposti 22,48 ±17,67* 23,02 ±13,36^<br />
°p≤0,05, t di Student per dati appaiati, inizio turno vs fine turno.<br />
* p≤0,05, t di Student per campioni indipendenti, inizio turno esposti vs<br />
inizio turno non esposti.<br />
^ p≤0,05, t di Student per campioni indipendenti, fine turno esposti vs fine<br />
turno non esposti.<br />
Il dosaggio del benzene ematico sembra in grado di distinguere<br />
i lavoratori esposti a basse concentrazioni di benzene dai<br />
non professionalmente esposti. Ri<strong>sul</strong>tati analoghi erano stati osservati<br />
da Ong et al (3), che hanno rilevato una buona correlazione<br />
(r=0,64) tra la concentrazione di benzene in ambiente e<br />
benzene ematico, e da Brugnone et al. (1, 7), anche se le benzenemie<br />
dei lavoratori delle raffinerie, rilevate da questi ultimi,<br />
sembrano essere più elevate rispetto alle nostre (inizio turno=174<br />
ng/L, fine turno=251 ng/L) (1). Le benzenemie del nostro studio<br />
sono simili a quelle di 75 ng/L rilevate da Brugnone et al. (7) nel-<br />
la popolazione di soggetti non esposti non fumatori. Il fumo determina<br />
un aumento del benzene ematico, anche se non abbiamo<br />
riscontrato una relazione tra benzenemia e numero di sigarette fumate<br />
nelle ultime 2 ore precedenti il prelievo, come invece è stato<br />
rilevato dagli studi di Brugnone et al (5).<br />
Riteniamo dunque che ulteriori studi debbano valutare il benzene<br />
ematico per poterlo considerare come indicatore di esposizione<br />
per le basse concentrazioni di benzene.<br />
Bibliografia<br />
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of low level occupational exposure. Sci Tot Environ 1999;<br />
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2) Ducos P, Gaudin R, Bel J. T,t-muconic acid, a reliable biological indicator<br />
for the detection of individual benzene exposure down to the<br />
ppm level. Int Arch Occup Environ Health 1992; 64: 309-3.<br />
3) Ong CN, Kok PW, Ong HY. Biomarkers of exposure to low concentrations<br />
of benzene: a field assessment. Occup Environ Med 1996;<br />
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for hyperthyroidism and for catecholamine-producing tumor. Clin<br />
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5) Brugnone F, Perbellini L, Maranelli G. Reference values for blood<br />
benzene in occupationally unexposed general population. Int Arch<br />
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6) Hornung RW, Reed LD. Estimation of average concentration in the<br />
presence of non detectable values. Appl Occup Environ Hyg 1990;<br />
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7) Brugnone F, Perbellini L, Romeo L. Esposizione ambientale e livelli<br />
ematici di benzene negli addetti agli impianti di distribuzione carburanti.<br />
Med Lav 1996; 88: 131-47.