Coordinamento del progetto a cura della S.C. Comunicazione
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<strong>Coordinamento</strong> <strong>del</strong> <strong>progetto</strong> a <strong>cura</strong> <strong>del</strong>la<br />
S.C. <strong>Comunicazione</strong>, U.R.P. e Relazioni Esterne <strong>del</strong>l’ASL TO3<br />
La Carta Etica scaturisce da un percorso<br />
di formazione e di counseling filosofico<br />
progettato, organizzato e condotto<br />
dallo Studio Alberto Peretti<br />
www.albertoperetti.it
<strong>Coordinamento</strong> <strong>del</strong> <strong>progetto</strong> a <strong>cura</strong> <strong>del</strong>la<br />
S.C. <strong>Comunicazione</strong>, U.R.P. e Relazioni Esterne <strong>del</strong>l’ASL TO3<br />
La Carta Etica scaturisce da un percorso<br />
di formazione e di counseling filosofico<br />
progettato, organizzato e condotto<br />
dallo Studio Alberto Peretti<br />
www.albertoperetti.it
Tutte le azioni che facciamo per tutelare la salute e il benessere<br />
<strong>del</strong> cittadino discendono dalla speranza di una vita migliore, di maggiore<br />
qualità e dotata di un senso più profondo. La Carta Etica <strong>del</strong>l’ASL TO3,<br />
realizzata con il contributo formativo di centinaia di operatori <strong>del</strong>l’ASL e<br />
degli Enti Locali <strong>del</strong> territorio, è uno strumento che nasce con l’intento<br />
di “fare insieme salute”.<br />
Un eminente cardiologo mi diceva che una <strong>del</strong>le principali<br />
cause scatenanti le patologie cardiovascolari è legata al non trovare<br />
soddisfazione nel proprio lavoro. Un lavoro eticamente arricchente<br />
e appagante produce quindi salute. Per tutti, operatori e utenti.<br />
Fare salute significa gestire nella maniera più efficace le dinamiche<br />
comunicative; significa non dare per scontate parole o terminologie<br />
tecniche incomprensibili ai non addetti ai lavori; significa, soprattutto,<br />
offrire umanità a chi è nel bisogno o, anche solo a chi necessita di<br />
informazioni. Fare salute vuole dire abbattere quelle barriere di reciproca<br />
incomprensione che talvolta si vengono a creare tra operatori e cittadino,<br />
e sovente tra gli stessi operatori. Il mancato confronto pone un limite<br />
forte alla crescita e al miglioramento dei servizi. La riflessione etica,<br />
fondata sul dialogo e sull’allargamento <strong>del</strong>le reciproche prospettive,<br />
potrà certamente contribuire a migliorare le cose.<br />
La Carta Etica <strong>del</strong>l’ASL TO3 si appresta a promuovere quell’indispensabile<br />
alleanza tra operatori <strong>del</strong>la Sanità e degli Enti Locali in<br />
vista di questo grande <strong>progetto</strong> di salute. Perché abbia successo<br />
occorre però che tutti siano pronti ad quel cambio culturale necessario<br />
per essere protagonisti attivi <strong>del</strong>la crescita e <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong><br />
territorio nel quale viviamo e lavoriamo.<br />
Amalia Neirotti<br />
Presidente ANCI Piemonte
Il percorso di fusione finalizzato alla creazione di un’unica<br />
grande Azienda di norma prevede in prima battuta la definizione degli<br />
strumenti operativi e gestionali atti a governare la nuova macchina<br />
organizzativa. Solo in un secondo momento si sente la necessità<br />
di avviare una riflessione di carattere etico al fine di creare spirito di<br />
appartenenza e motivazioni condivise di lavoro.<br />
Ciò da una parte rischia di determinare la costruzione di meccanismi<br />
organizzativi disancorati da precisi indirizzi di valore ed incoerenti con<br />
la prospettiva etica <strong>del</strong>l’Azienda; dall’altra provoca la non adesione<br />
<strong>del</strong> personale agli indirizzi etici, percepiti come astratti e meramente<br />
giustapposti alla concreta attività lavorativa.<br />
Il <strong>progetto</strong> Carta Etica nasce dalla consapevolezza <strong>del</strong>la centralità<br />
<strong>del</strong>la riflessione etica, sia in vista di traguardi di eccellenza <strong>del</strong>le<br />
prestazioni erogate, sia in una prospettiva di ben essere e di qualità <strong>del</strong>la<br />
nostra vita lavorativa. Il <strong>progetto</strong> si propone di fondare la nuova Azienda<br />
Sanitaria TO3 su una solida e il più possibile condivisa piattaforma<br />
etica, a partire da cui innestare il processo di definizione degli strumenti<br />
operativi e gestionali. Tali strumenti troveranno il loro pieno significato e<br />
il loro autentico senso sulla base <strong>del</strong>la dimensione valoriale sottostante.<br />
L’Azienda si svilupperà attorno ad un pulsante “cuore etico”, con vantaggi<br />
in termini di adesione al percorso di unificazione, identità saldamente<br />
radicata, autentica motivazione all’agire professionale.<br />
Il <strong>progetto</strong>, anche in termini di sperimentazione estendibile ad<br />
altre aree <strong>del</strong> territorio nazionale, ha l’obiettivo primario di mettere in<br />
luce e di valorizzare la grande carica etica presente nel lavoro degli<br />
Operatori Sanitari e <strong>del</strong>la Pubblica Amministrazione.<br />
Attraverso la Carta Etica intendiamo quindi avviare un dialogo e un<br />
confronto tra Azienda Sanitaria ed Enti Locali sul tema <strong>del</strong> radicamento<br />
<strong>del</strong>l’agire professionale in un terreno comune di valori, in vista di comuni<br />
traguardi di Salute. Sono certo che il <strong>progetto</strong> rappresenti una grande<br />
opportunità di crescita civile, un momento in grado di ridare smalto e<br />
vigore alle energie etico comportamentali non solo degli operatori sanitari<br />
e dei dipendenti pubblici, ma <strong>del</strong>l’intero territorio in cui operiamo.<br />
Giorgio Rabino<br />
Direttore Generale ASL TO3
impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />
impegni verso tutte le persone<br />
Valore in gioco<br />
Cura<br />
Disponibilità<br />
Cortesia<br />
Sensibilità<br />
Coinvolgimento<br />
Responsabilità<br />
Rispetto<br />
Riconoscimento<br />
Integrazione<br />
Indice<br />
8 La Carta: istruzioni per l’uso<br />
14 1 Costruire il rapporto<br />
14 1.1 Parole dette che <strong>cura</strong>no<br />
17 1.2 Parole scritte che <strong>cura</strong>no<br />
17 1.3 Spazi che <strong>cura</strong>no<br />
22 2 Mettere a proprio agio<br />
22 2.1 Prevenire e sciogliere le tensioni<br />
23 2.2 Accompagnare<br />
24 2.3 Alleggerire la fatica <strong>del</strong> vivere<br />
26 2.4 Parole e gesti che feriscono<br />
30 3 Professionalità<br />
30 3.1 Gelo<br />
31 3.2 Distacco<br />
32 3.3 Linguaggio<br />
36 4 Metterci la faccia<br />
36 4.1 Farsene carico<br />
37 4.2 Rompere con l’anonimato<br />
39 4.3 Attivarsi<br />
40 4.4 Fare e rifare<br />
44 5 Persone che lavorano<br />
44 5.1 Autonomia<br />
44 5.2 La persona giusta al posto giusto<br />
45 5.3 Valorizzare<br />
46 5.4 Essere prossimi - Vedere ed essere visti<br />
50 6 Lavoro di e con persone<br />
50 6.1 Riconoscere tutti i lavori<br />
51 6.2 Riconoscere il lavoro svolto<br />
53 6.3 Accompagnare il cambiamento<br />
54 6.4 Prestare ascolto<br />
55 6.5 Dare feedback<br />
58 7 Sentirsi parte<br />
58 7.1 Conoscere le tappe e il traguardo<br />
59 7.2 Comparti stagni<br />
60 7.3 Scambi di saperi<br />
61 7.4 Conoscersi<br />
63 7.5 Lavoro d’équipe<br />
64 7.6 Incontri istituzionalizzati
impegni verso il nostro lavoro<br />
impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />
Speranza<br />
Coraggio<br />
Considerazione<br />
Dignità<br />
Complessità<br />
Consapevolezza<br />
Condivisione<br />
Oculatezza<br />
Reciprocità<br />
68 8 Produrre futuro<br />
68 8.1 Zavorre<br />
68 8.2 Osservatori partecipi<br />
69 8.3 Cambiamenti<br />
72 9 Esser desti<br />
72 9.1 Tenerci<br />
73 9.2 Andare oltre<br />
74 9.3 Cogliere le opportunità<br />
78 10 Quanto vale. Che cosa vale<br />
78 10.1 Il senso <strong>del</strong> fare<br />
79 10.2 Cose di valore<br />
84 11 Identità<br />
84 11.1 La famiglia allargata<br />
85 11.2 Globale - Locale<br />
86 11.3 Specificità <strong>del</strong> territorio e <strong>del</strong>l’utenza<br />
87 11.4 Fare Salute insieme<br />
88 11.5 Far passare il passato<br />
92 12 Procedure<br />
92 12.1 Procedura e/o Relazione<br />
92 12.2 Check list<br />
93 12.3 Metodo consapevole<br />
94 12.4 A prova d’errore<br />
98 13 Il tempo<br />
98 13.1 Guadagnare tempo<br />
100 13.2 Rispetto dei tempi<br />
104 14 Persone - Sistema. Sistema - Persone<br />
104 14.1 Ricevere dal Sistema<br />
106 14.2 Dare al Sistema<br />
110 Le voci <strong>del</strong>la Carta
La Carta: istruzioni per l’uso<br />
Che cosa è<br />
Che cosa non è<br />
È uno strumento di lavoro. Si propone di aiutare chi la consulta<br />
a migliorare la qualità <strong>del</strong> proprio lavoro e ad aumentare<br />
l’autentico ben essere <strong>del</strong>la vita lavorativa.<br />
Si rivolge a lettori che, a partire da quanto qui contenuto,<br />
vogliano impegnarsi in un personale e continuo percorso di perfezionamento<br />
etico.<br />
Propone e discute esempi di buon comportamento, direzioni<br />
d’azione, linee guida per orientarsi e su cui impostare l’agire<br />
lavorativo quotidiano.<br />
Vuole essere usata e discussa. Si propone di far nascere<br />
idee, di stimolare ulteriori riflessioni e personali risposte ai problemi<br />
etici posti dal lavoro.<br />
Vuole essere aperta ad ulteriori contributi e a continue integrazioni<br />
e modifiche, per essere sempre aggiornata e all’altezza<br />
dei tempi.<br />
Nasce dalla convinzione che l’impegno etico <strong>del</strong>le singole<br />
persone, per dare i suoi frutti, necessita di una parallela tensione<br />
etica <strong>del</strong> sistema organizzativo. Che ciascuno però possa,<br />
debba, migliorare la qualità <strong>del</strong>la vita lavorativa intervenendo sul<br />
senso individualmente dato al proprio lavoro.<br />
Non è un codice. Non contiene leggi, regole o rigide norme<br />
a cui attenersi. Non si sovrappone né si sostituisce alle norme<br />
deontologiche professionali.<br />
Non vuole intimorire, né bloccare la spontaneità di nessuno.<br />
Non desidera lettori passivi che semplicemente si adeguino a<br />
quanto essa propone.<br />
Non vuole essere considerata né un testo sacro da maneggiare<br />
con timore reverenziale, né un accessorio degno al massimo<br />
di figurare in un cassetto <strong>del</strong>la scrivania.<br />
Non pretende di risolvere la complessità <strong>del</strong>le questioni sollevate,<br />
intende anzi avviare un confronto collettivo su di esse.<br />
8
Come è fatta e come funziona<br />
Non ha la pretesa di aver individuato e mappato una volta<br />
per sempre tutte le problematiche etiche degne d’attenzione.<br />
Non è uno strumento per colpevolizzare e inchiodare persone<br />
o uffici alle loro eventuali responsabilità e neppure va utilizzata<br />
per farsi giustizia sommaria nelle vertenze di lavoro.<br />
La Carta tenta di evitare con <strong>cura</strong> i pericoli <strong>del</strong>l’astrattezza e<br />
<strong>del</strong> formalismo. La salute etica, prima che dalle procedure, nasce<br />
dalle e con le persone. E alle persone, alle loro esperienze, alla loro<br />
ricchezza interiore la Carta dà voce e lascia più spazio possibile.<br />
La Carta è suddivisa in 4 aree di impegno etico che, seppur interconnesse,<br />
fanno riferimento a quattro distinte tipologie di “interlocutori”<br />
etici (i cittadini - pazienti - utenti, tutte le persone con cui ci<br />
rapportiamo, il nostro lavoro, il sistema lavorativo e il territorio).<br />
All’interno <strong>del</strong>le aree trovano posto 14 argomenti e relativi sottoargomenti.<br />
Si tratta di temi organizzativi importanti e <strong>del</strong>icati, a<br />
forte rilevanza etica, con i quali occorre insieme misurarsi.<br />
Ciascun argomento si sviluppa nel modo seguente:<br />
Le testimonianze<br />
La Carta contiene centinaia di riflessioni, idee, proposte, ricavate<br />
dalla viva voce dei partecipanti al percorso di orientamento<br />
etico. Le testimonianze offrono interpretazioni diverse dei temi<br />
etici trattati e sono riportate con la massima fe<strong>del</strong>tà possibile (le<br />
testimonianze in corsivo sono di operatori degli Enti Locali).<br />
Accanto ad alcune testimonianze compaiono due simboli:<br />
la stella, che sottolinea idee o buone prassi particolarmente<br />
interessanti;<br />
il segnale, che evidenzia criticità o situazioni <strong>del</strong>icate.<br />
Riquadri di riflessione<br />
Le testimonianze sono riunite in coerenti blocchi tematici<br />
da una serie di riquadri di riflessione, che, a partire da una o più<br />
domande seguite da alcuni spunti di orientamento, chiamano in<br />
causa il lettore e lo invitano a calare l’argomento nella propria<br />
realtà professionale.<br />
Valori da mettere in campo<br />
A partire da un’opera pittorica a forte carica etica vengono<br />
proposti e commentati i valori fondanti un <strong>progetto</strong> di salute<br />
etica lavorativa. Perché la presenza di grandi opere d’arte?<br />
Gusto <strong>del</strong> bello fine a se stesso? La Carta Etica si propone di<br />
9
Di quale etica tratta la Carta?<br />
combattere i comportamenti meccanici e le risposte anestetizzate.<br />
Per agire in maniera eticamente responsabile occorre<br />
avere il cuore e la mente capaci di immaginazione morale. Attraverso<br />
alcuni grandi capolavori brevemente commentati si è<br />
quindi inteso rivitalizzare la sensibilità estetica e ridare slancio<br />
all’immaginazione morale degli operatori.<br />
Indirizzi etici organizzativi<br />
La Carta indica quali impegni l’Azienda Sanitaria e gli Enti<br />
Locali coinvolti chiedono ai propri dipendenti e che cosa, in<br />
quanto sistemi organizzativi, si impegnano a promuovere per<br />
raggiungere la salute etica lavorativa.<br />
La Carta tratta di questioni di etica “spicciola”, legate alla<br />
quotidiana vita lavorativa. Affronta indirizzi di comportamento<br />
che possono contribuire a rendere la vita professionale davvero<br />
“buona” e cioè arricchente ed appagante, sia per gli operatori<br />
sia per gli utenti. Si interroga su come abbinare principi di efficacia,<br />
efficienza, eccellenza <strong>del</strong> servizio con la ricerca <strong>del</strong>la qualità<br />
di vita tanto degli operatori quanto <strong>del</strong>le persone che fruiscono<br />
<strong>del</strong>le prestazioni.<br />
La parola “etica” deriva dal greco èthos che tra i suoi significati<br />
ha quello di “casa”, “rifugio <strong>del</strong>l’uomo”, “tana”. L’etimologia<br />
ci ricorda che la ricerca etica ha a che fare con il tentativo di<br />
rendere più “dimora”, più nostri, i luoghi lavorativi nei quali passiamo<br />
larga parte <strong>del</strong>la nostra esistenza.<br />
Attraverso la riflessione etica ci impegniamo quindi a che il<br />
lavoro diventi una dimensione di autentico ben essere, un luogo<br />
dove sia possibile realizzarsi, intrecciare sincere relazioni con<br />
gli altri, tentare di costruire, all’interno e all’esterno dei luoghi di<br />
lavoro, una comunità più umana.<br />
La Carta Etica come risposta ad un bisogno di salute<br />
La Carta Etica parte da una constatazione tanto semplice<br />
quanto tras<strong>cura</strong>ta: quando lavoriamo non produciamo solo beni o<br />
servizi, ma produciamo noi stessi, diamo forma ad un pezzo assai<br />
significativo <strong>del</strong>la nostra e <strong>del</strong>l’altrui esistenza.<br />
Quale esistenza produce il nostro lavoro? Quale salute, individuale<br />
e collettiva? L’OMS definisce la salute come “stato di completo<br />
benessere fisico, mentale e sociale”.<br />
10
La Carta Etica muove dall’idea che la riflessione etica è una<br />
condizione di salute, che la salute è anche là dove le persone<br />
possono responsabilmente valutare, scegliere e seguire indirizzi<br />
etici di comportamento. La Carta intende quindi osservare il<br />
lavoro quotidiano da una prospettiva più profonda e più ampia,<br />
che non sia soltanto la performanza o l’interesse economico,<br />
ma piuttosto l’arricchimento <strong>del</strong>la dimensione umana, etica, spirituale,<br />
relazionale.<br />
La Carta Etica come motore per una nuova civiltà <strong>del</strong> lavoro.<br />
A che cosa aspira la Carta?<br />
Dove il lavoro è privato di tensione esistenziale, l’essere<br />
umano non cerca la propria completezza, il proprio appagamento,<br />
la propria fioritura. In una parola, non cerca di produrre per sé<br />
e per gli altri una vita buona, una vita degna di essere vissuta.<br />
Il lavoro separato dagli elementi che rendono appagante e<br />
completa la vita lavorativa, ridotto ad azione produttiva finalizzata<br />
al raggiungimento di uno scopo esterno ad essa e traducibile<br />
in un assoluto valore monetario, genera mal essere, individuale<br />
e collettivo.<br />
La Carta Etica muove dall’idea che la salute <strong>del</strong>le persone<br />
può e deve essere cercata non solo dopo il tempo di lavoro, ma<br />
anche al suo interno, riconnettendo le dinamiche produttive con<br />
la ricerca di una vita buona, una vita davvero degna di essere<br />
vissuta. Il valore di una qualsiasi proposta di civiltà si misura non<br />
da quanto marginalizza il lavoro, ma da quanto sa e riesce a<br />
metterlo al proprio centro. Alla base <strong>del</strong>la Carta Etica vi è la convinzione<br />
che occorre cercare il ben essere sociale non attraverso<br />
il lavoro, considerato come semplice momento e strumento<br />
produttivo o di arricchimento materiale, ma nel lavoro, inteso e<br />
valorizzato in quanto dimensione di buona esistenza.<br />
A dotare il lavoro e i sistemi organizzativi di una vitale inquietudine<br />
spirituale. A ricollegare chi lavora alle profondità <strong>del</strong> proprio<br />
animo, rompendo con il senso di estraneità e disinteresse<br />
che mortifica l’esistenza di molti.<br />
La Carta vuole essere un punto panoramico, un punto da<br />
cui osservare e tracciare attese, speranze, indirizzi, impegni, responsabilità<br />
individuali e di sistema in vista di un <strong>progetto</strong> di<br />
salute territoriale.<br />
11
La Carta Etica in una prospettiva di salute territoriale<br />
Il coinvolgimento di operatori <strong>del</strong>l’ASL TO3 e degli Enti Locali,<br />
chiamati a ragionare insieme di etica lavorativa, è dettato<br />
dall’idea di promuovere la fioritura di una comunità etica nei diversi<br />
ambiti lavorativi e sociali <strong>del</strong> Territorio. Con ciò si vuole sottolineare<br />
il preciso ruolo etico di tutti coloro che sono chiamati a<br />
fornire un servizio pubblico ai cittadini.<br />
Tra gli obiettivi:<br />
creare un comune interesse morale fra le persone che svolgono<br />
la loro vita sociale ed economica in un particolare spazio<br />
geografico e sociale;<br />
aumentare il capitale sociale <strong>del</strong>l’intero Territorio, cioè rafforzare<br />
il suo tessuto valoriale, la fiducia e il rispetto reciproco,<br />
il condiviso e interiorizzato insieme di norme atte a regolare<br />
la convivenza;<br />
attivare un circolo virtuoso tra comportamenti etici, salute<br />
individuale e collettiva, produttività sociale ed economica;<br />
ricreare un’unità tra la vita sociale e la vita lavorativa di coloro<br />
che nella comunità vivono e lavorano, attraverso la costituzione<br />
di un network etico territoriale;<br />
valorizzare l’esser persona <strong>del</strong>le persone che a vario titolo<br />
sono impegnate per la salute <strong>del</strong>la comunità. “Persona” intesa<br />
come essere ricco di valori morali, con un forte rispetto per la<br />
dignità propria e altrui, con la consapevolezza di un compito<br />
nella società, dotato di un maturato principio interiore che lo<br />
indirizza verso il raggiungimento di finalità collettive.<br />
La Carta Etica e le dinamiche produttive<br />
Deve essere chiaro che la redazione <strong>del</strong>la Carta Etica non<br />
ha nulla a che fare con il banale “buonismo”.<br />
È innegabile che un lavoro riannodato alla profondità <strong>del</strong>l’esistenza<br />
di coloro che lavorano è un lavoro all’insegna <strong>del</strong>la vera<br />
efficacia e <strong>del</strong>l’autentica efficienza.<br />
La creazione di condizioni per una vita buona nel lavoro è, tra<br />
l’altro, la migliore garanzia di qualità <strong>del</strong>le prestazioni e di eccellenza<br />
<strong>del</strong> servizio.<br />
12
Costituzione di un gruppo di <strong>progetto</strong> e controllo<br />
ASL TO3 – ANCI – Enti Locali <strong>del</strong> territorio<br />
Costituzione e formazione di un gruppo di<br />
Attivatori Etici attraverso un percorso di<br />
formazione e ricerca<br />
Principali fasi <strong>del</strong> <strong>progetto</strong> Carta Etica<br />
Attivazione di Gruppi di Lavoro<br />
La Carta Etica è stata realizzata grazie alla partecipazione di circa<br />
450 operatori <strong>del</strong>l’ASL TO3 e di circa 50 dipendenti di Enti Locali <strong>del</strong><br />
Territorio, impegnati in un percorso di orientamento e di counseling<br />
filosofico su tematiche etiche in ambito lavorativo.<br />
Azioni di sensibilizzazione<br />
Sono stati organizzati momenti di sensibilizzazione alle tematiche<br />
etiche rivolti a Sindacati, Comitato Mobbing e Pari Opportunità,<br />
Medici di Medicina Generale e Pediatri di libera scelta, Direttori e<br />
Responsabili di Struttura.<br />
Elaborazione degli indirizzi etici emersi nei<br />
Gruppi di Lavoro e stesura <strong>del</strong>la Carta Etica<br />
Presentazione, diffusione, promozione <strong>del</strong>la<br />
Carta Etica all’interno degli Enti coinvolti<br />
Richiami formativi periodici<br />
Costituzione <strong>del</strong> Laboratorio Etico permanente<br />
Il Laboratorio cala gli indirizzi etici contenuti nella Carta all’interno<br />
<strong>del</strong>le specifiche realtà lavorative, promuove e coordina le iniziative di<br />
miglioramento organizzativo a forte valenza etica.<br />
13
impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />
valore:<br />
Cura<br />
Quanto conta la complicità<br />
e la fiducia tra operatore e<br />
paziente in vista di una relazione<br />
di <strong>cura</strong> reciprocamente<br />
soddisfacente?<br />
Dobbiamo essere consapevoli<br />
<strong>del</strong>l’inscindibilità fra valutazione<br />
clinica <strong>del</strong> medico referente<br />
e compliance che deve essere<br />
a <strong>cura</strong> tanto <strong>del</strong> medico quanto<br />
<strong>del</strong>l’infermiere.<br />
14<br />
1 Costruire il rapporto<br />
1.1 Parole dette che <strong>cura</strong>no<br />
Noi facciamo incontri tra pazienti che dializzano e pazienti<br />
che dovranno dializzare: è bello perché così riusciamo<br />
a capire come i pazienti ci giudicano e colui che deve<br />
iniziare il percorso si sente più tranquillo, <strong>cura</strong>to e protetto.<br />
Non hanno solo bisogno <strong>del</strong>le pastiglie, hanno bisogno di<br />
te che li chiami e dici: “Si ricordi l’esame di domani”, hanno<br />
bisogno che tu sia disponibile quando occorre. Ci sono<br />
<strong>del</strong>le nonnine che si presentano con le foto <strong>del</strong>le nipoti, la<br />
nostra nefrologa le visita, scrive la prescrizione e poi magari<br />
si ferma qualche minuto a guardare le foto.<br />
Quando ho iniziato l’obiettivo chiaro ed esplicito era<br />
<strong>cura</strong>re il malato. Oggi lo scopo rischia di diventare quello<br />
di “liberarsi” <strong>del</strong> paziente, questo anche a fronte di un’alta<br />
conflittualità con l’utenza. Nel rapporto con il paziente e<br />
con il parente c’è una forte dimensione di medicina difensiva.<br />
Si dice: “Attenzione a quello che dite e fate perché<br />
qui partono le denunce”. Il rischio è che la mancanza di<br />
fiducia reciproca generi un pericoloso circolo vizioso che<br />
si autoalimenta.<br />
Parlare con i familiari non deve essere una cosa lasciata<br />
alla volontà <strong>del</strong> singolo o fatta “in più”, ma è richiesto<br />
dalla nostra professione. Forse una volta c’era l’idea<br />
che l’infermiere fosse un esecutore legato alle tecniche,<br />
ma oggi è tutt’altro: è sì uno che fa le tecniche ma deve<br />
anche sapersi relazionare, è richiesto dal suo ruolo, dal<br />
suo profilo.<br />
In rianimazione, noi prima ricoveriamo il paziente, ci<br />
vogliono circa 15-20 minuti, lo sistemiamo, poi chiamiamo<br />
il parente - ci sono stanze apposta - lo si fa sedere, gli si<br />
spiega la situazione e gli si presenta anche il reparto, gli<br />
orari, ecc.. I parenti in genere sono agitati, non capiscono<br />
nulla: vediamo questi sguardi persi nel vuoto, anche perché<br />
i medici sovente parlano in modo tecnico. Quando va<br />
via il medico cominciano a chiederti: “Ha un tubo, ma dove<br />
ce l’ha, ma dove va a finire?” Allora ti metti lì e cerchi di<br />
spiegargli in modo semplice come stanno le cose.
È importante non abbandonare il parente anche<br />
quando non è possibile farlo entrare, per esempio in sala<br />
operatoria. Il parente sta fuori, ma puoi informarlo, puoi<br />
rassi<strong>cura</strong>rlo, anche in modo che poi possa assistere meglio<br />
il paziente, non tanto dal punto di vista fisico, ma piuttosto<br />
dal punto di vista psicologico. In ogni caso il recupero<br />
di una qualche forma di contatto è fondamentale. Il dare<br />
conforto, non lasciare solo un paziente magari non grave<br />
ma di carattere debole, recuperarlo attraverso il parente<br />
serve anche all’operatore che poi dovrà trattarlo.<br />
Bisogna pensare che il parente rientra nel processo di<br />
<strong>cura</strong>, deve essere coinvolto, anche perché è quello che<br />
porta il paziente in ospedale ed è quello che se lo riporta a<br />
casa. Noi in Pronto Soccorso avevamo fatto molte riunioni<br />
tra operatori perché la criticità <strong>del</strong>l’alto afflusso implicava<br />
la gestione <strong>del</strong>la questione parente dentro / parente fuori,<br />
parente risorsa o parente ostacolo. Il punto chiave è<br />
che comunque è da prendere in carico anche il parente e<br />
questo richiede un impiego di tempo e di energie, quindi<br />
bisogna tenerne conto nell’organizzazione <strong>del</strong> lavoro.<br />
Facciamo un esempio di un non-malato, una partoriente<br />
per esempio: l’anestesia riesce meglio se le è stato<br />
spiegato che cosa succederà, che cosa sentirà. Se la<br />
donna non è preparata sente cose che non ci sono. Oppure<br />
i bambini: fa la differenza se sono stati preparati dalla<br />
mamma o gli viene detto - come ho sentito - “domani ti<br />
fanno la fotografia”.<br />
In Pronto Soccorso il problema <strong>del</strong>l’accoglienza è<br />
quanto è lunga l’attesa e come si può rendere meno pesante<br />
questa attesa. Ci sono persone che per ore non<br />
hanno notizie su quello che gli accade, <strong>del</strong> perché e <strong>del</strong><br />
che cosa stanno aspettando. Il paziente non deve essere<br />
un burattino messo nelle mani <strong>del</strong>l’operatore. Se l’utente<br />
è disponibile si può spiegare, tutto l’iter. Siamo sempre<br />
strapieni, ma forse con un po’ di informazione le persone<br />
sarebbero più tranquille.<br />
A volte ti accorgi che il paziente ha bisogno di un contatto,<br />
basterebbe dire: “Niente di grave, stiamo solo facendo<br />
degli accertamenti”. Ma chi ha tempo e, più ancora,<br />
testa per farlo?<br />
15<br />
In che modo il parente può<br />
diventare un prezioso alleato<br />
nel percorso di <strong>cura</strong>?<br />
Dare attenzione al familiare<br />
può aiutarci a guadagnare<br />
tempo?<br />
vedi 13.1<br />
La questione dei tempi e <strong>del</strong>le<br />
modalità da seguire per costruire<br />
una buona relazione con i parenti<br />
non può essere lasciata al<br />
caso o all’iniziativa individuale.<br />
Deve piuttosto essere pianificata<br />
a livello di Struttura e concordata<br />
con tutti gli operatori.<br />
Cura
impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />
Che cosa accade in un paziente<br />
lasciato privo di una<br />
qualche spiegazione circa<br />
l’iter diagnostico e in balia<br />
dei suoi timori?<br />
Anche poche parole possono<br />
avere un fondamentale effetto<br />
di rassi<strong>cura</strong>zione, dare al paziente<br />
la certezza che è preso<br />
in carico, che è seguito e che<br />
ci si sta occupando di lui.<br />
vedi 13.1<br />
Il consenso informato ha una<br />
semplice funzione informativa,<br />
è soltanto un’informazione<br />
condivisa?<br />
Occorre considerare adeguatamente<br />
l’importanza <strong>del</strong><br />
consenso informato in quanto<br />
momento decisivo per avviare<br />
un rapporto di <strong>cura</strong> fondato<br />
sulla reciproca fiducia.<br />
16<br />
Spiegare è fondamentale: se arriva un paziente in Pronto<br />
Soccorso, passa il triage, viene da me per un prelievo e<br />
l’elettrocardiogramma, so che starà 8 ore perché dopo 6<br />
ore ripeterà l’elettrocardiogramma e la visita. Perché non<br />
glielo devo dire? Se glielo spiego, si siede e non lo senti<br />
più, se non glielo dico ogni ora è lì, a chiedermi: “Ma è grave<br />
che non mi dite nulla?” Ci metto lo stesso tempo tra il<br />
dire e il non dire: quelle parole mentre faccio ciò che devo<br />
fare non mi costano nulla, il più <strong>del</strong>le volte è solo la volontà<br />
di spiegare intanto che si fanno le cose.<br />
Mi è capitato di arrivare dove lavoro ma come paziente,<br />
conoscevo tutti gli operatori e loro conoscevano<br />
me. Ho chiesto che mi dicessero che cosa mi stavano<br />
per fare. Quando mi hanno detto: “Ma tu sei infermiera...”,<br />
gli ho risposto: “Sono infermiera, ma in questo momento<br />
spiegami tutto come se fossi il calzolaio qui sotto”. “Ma<br />
tu le cose le sai…”. “No, spiegamelo, perché in questo<br />
momento sono in totale confusione”. Se capita a chi è <strong>del</strong><br />
mestiere posso immaginare gli altri…<br />
Ho appena superato un momento difficile come paziente.<br />
Ero spaventata, in ansia, ho dovuto condividere il percorso<br />
di <strong>cura</strong> con chi mi stava accanto. Nonostante questo mi<br />
sono sentita seguita, presa in <strong>cura</strong>: il medico che mi seguiva<br />
mi ha spiegato che cosa avevo nei dettagli e tutto il percorso<br />
di <strong>cura</strong> che avrei seguito. Mi ha preso per mano e mi ha<br />
detto: “Tranquilla, questo percorso lo facciamo insieme”.<br />
Una questione per me importantissima è che quando<br />
si comunica una diagnosi o una terapia bisogna chiarire<br />
molto bene che è un percorso che si affronta tutti insieme,<br />
medico, paziente e anche i familiari. Non è qualcosa che<br />
somministra il medico o la struttura, è un certo percorso<br />
che si sceglie di portare avanti aiutandosi reciprocamente.<br />
Anche nella comunicazione <strong>del</strong> consenso informato bisogna<br />
prestare attenzione, soprattutto nel caso di persone<br />
anziane: il consenso informato non può essere solo una<br />
liberatoria per evitarsi grane.
1.2 Parole scritte che <strong>cura</strong>no<br />
Io so quanto soffro come utente quando vado in qualche<br />
ufficio <strong>del</strong> mio Comune di residenza. Mi dicono:<br />
“Ha preso il numero?” “Porca miseria, non l’ho visto,<br />
non c’era nemmeno un cartello!”<br />
Il problema è che non funziona come dovrebbe la comunicazione<br />
spicciola, quella sulle cose più ovvie. Per<br />
esempio, dove lavoro io c’è un poliambulatorio, la mia<br />
stanza è l’ultima in fondo. Non è un ufficio aperto al pubblico,<br />
ma la porta è sempre aperta. Sono al quarto piano,<br />
ma mi arrivano lo stesso gli utenti che si sono persi per<br />
chiedere informazioni. Ci sono cartelli che risalgono alla<br />
disposizione dei reparti <strong>del</strong>la vecchia ASL, è ovvio che la<br />
gente si perde. In questi casi la prima porta aperta è l’ancora<br />
di salvezza.<br />
La gente arriva affannata, magari hanno portato un<br />
parente che aveva problemi seri, chiedono dove fanno le<br />
operazioni, “Non le fanno qui”, “Ma dove me l’hanno portato?”…<br />
Sono persone che sono già in una situazione di<br />
affanno e di agitazione, se ancora non riescono facilmente<br />
a capire dove andare, vanno nel pallone…<br />
Recentemente mi è capitato di entrare in una struttura<br />
dove all’ingresso c’era un punto di accoglienza. Da lì partivano<br />
una serie di percorsi, segnalati da linee colorate sul<br />
pavimento, per cui semplicemente bastava seguire il colore<br />
per arrivare a destinazione senza perdersi. L’impressione<br />
che si aveva era quella di una struttura che si prende<br />
<strong>cura</strong> di chi arriva.<br />
Un giorno vedo un biglietto con la scritta “UFFICIO<br />
CUP” e una freccia… Ma non si capiva quale direzione indicasse!<br />
Sono poi passata qualche giorno dopo, avevano<br />
spostato un po’ il biglietto: si erano resi conto che la gente<br />
non riusciva proprio a trovarlo ‘sto CUP…<br />
1.3 Spazi che <strong>cura</strong>no<br />
Il comunicare in modo non corretto o nel posto non<br />
adatto una diagnosi infausta o addirittura una morte penso<br />
che sia un modo di difesa utilizzato da chi non è in grado<br />
di gestire questa situazione. È un modo per rimuovere<br />
17<br />
La cartellonistica ha solo funzioni<br />
informative o contiene<br />
una esplicita proposta di relazione<br />
rivolta all’utenza?<br />
Un’indicazione, presente o<br />
assente, scritta in un modo<br />
piuttosto che in un altro, <strong>cura</strong>ta<br />
o meno, dice molto <strong>del</strong>la<br />
considerazione che la struttura<br />
nutre per chi vi arriva.<br />
Cura
impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />
Il contesto e l’ambiente in cui<br />
si svolgono le dinamiche comunicative<br />
possono incidere<br />
sul senso che viene dato alla<br />
comunicazione?<br />
Il “dove” e il “quando” sovente<br />
assumono tale rilevanza da<br />
modificare radicalmente l’interpretazione<br />
<strong>del</strong> “che cosa”<br />
viene comunicato.<br />
18<br />
l’inaffrontabile. In Pronto Soccorso si danno sovente <strong>del</strong>le<br />
notizie difficili, mi sono trovata a invitare il medico con lo<br />
sguardo - o dicendolo anche chiaramente - che era il caso<br />
di andare nell’ufficio e non rimanere in corridoio per affrontare<br />
certe cose con i pazienti...<br />
Sulla richiesta di prelievo di organi noi facciamo molta<br />
attenzione: ci troviamo in biblioteca con i parenti, con la<br />
caposala che è anche psicologa, con il primario e il medico<br />
di guardia… È una questione di rispetto e di riguardo.<br />
Il mio è un reparto eccezionale, i colleghi sono molto<br />
solidali tra loro, in caso di necessità ci si stringe intorno a<br />
chi è in difficoltà. Abbiamo anche cercato di <strong>cura</strong>re gli ambienti...<br />
Però c’è un difetto: in reparto manca una stanza<br />
che serva per le comunicazioni con l’utenza, per comunicare<br />
una morte, una situazione difficile. Questa è un’esigenza<br />
che sentiamo, perché per certe cose è necessario<br />
un ambiente idoneo, tranquillo, riservato.<br />
È importante portare qualcosa di sé nel lavoro. Io ho<br />
chiesto una bacheca da mettere nel mio ufficio, anche un<br />
semplice pannello di legno… Mi hanno detto: “Non c’è”,<br />
“Ma anche vecchia”, “No”, “Posso portarla io?”. L’ho portata,<br />
l’ho dipinta con un bel verde. Mi hanno detto: “Sei<br />
proprio pazza, hai speso dei soldi tuoi per un ambiente<br />
di lavoro”. Ma io lì ci passo le ore, ogni volta che appiccico<br />
qualcosa sul mio pannello verde sto un po’ meglio,<br />
ovviamente senza banalizzare, senza rendere l’ufficio un<br />
parco giochi. A me non interessa spendere qualche euro<br />
per una cosa che mi fa stare meglio, senza contare che<br />
ci sono molte persone che vedendo il verde dicono: “Oh!<br />
Finalmente un po’ di colore”.<br />
Occuparsi di abbellire l’ufficio serve a ricominciare a<br />
sentirsi parte di qualcosa, serve in primo luogo a noi stessi.<br />
Io sono ancora disposta a spendermi per rendere accogliente<br />
l’ufficio, ma prima lo facevo per l’utenza, pensavo<br />
che solo gli utenti avessero il diritto di essere accolti in un<br />
ambiente bello, ora penso che lo dobbiamo fare anche<br />
per noi, perché siamo sempre lì e se non ci mettiamo una<br />
qualche “pianta” che ci dia un po’ di ossigeno…<br />
Mi occupavo di adolescenti disagiati, di handicap,<br />
persone che avevano problemi davvero enormi. Avevo
allestito un bell’ufficio, con quadri, foto, molto colorato.<br />
Quando arrivavano gli utenti più affaticati e più faticosi<br />
erano piegati dai loro problemi, magari anche arrabbiati,<br />
ma il fatto di stare in un ambiente colorato cambiava,<br />
cambiava eccome. Io magari mi assentavo un minuto e<br />
quando tornavo li trovavo che si guardavano attorno e<br />
magari mi chiedevano anche qualcosa… Attraverso l’ambiente<br />
si instaurava un rapporto. Questo non spostava di<br />
un centimetro i loro problemi, però molti venivano da case<br />
senza alcun senso <strong>del</strong>la bellezza, senza <strong>cura</strong>. C’erano<br />
giovani cresciuti in ambienti devastati, in cui il concetto<br />
di colore era inesistente. Il mio ufficio colorato faceva la<br />
differenza.<br />
19<br />
A quale fondamentale funzione<br />
può assolvere l’estetica<br />
negli ambienti di <strong>cura</strong>?<br />
La bellezza, nelle sue forme<br />
più diverse, induce le persone<br />
- operatori e pazienti - a<br />
non rapprendersi su se stesse,<br />
favorisce l’apertura al<br />
mondo e stimola la relazione<br />
con gli altri.<br />
Cura
20<br />
Overbeck, Sulamit e Maria (Italia e Germania),1828<br />
Due donne. Due anime. L’una mesta e attraversata<br />
da un’intima sofferenza. L’altra impegnata a sostenerla,<br />
a darle appoggio con lo sguardo, ad accoglierla attraverso<br />
lo straordinario intreccio <strong>del</strong>le mani.
Valore in gioco<br />
Cura<br />
Il termine “terapia” deriva dal greco antico “therapeuein”, parola<br />
che contiene una gamma di significati assai interessanti per<br />
ripensare l’atto terapeutico nella sua giusta profondità. Significa<br />
infatti medicare, <strong>cura</strong>re con un farmaco; allo stesso tempo anche<br />
occuparsi di qualcuno, averne <strong>cura</strong>; ma ha anche il significato di<br />
rispettare, onorare qualcuno nel mentre lo si <strong>cura</strong>. Al di là <strong>del</strong> servizio<br />
offerto, tecnicamente inteso, qualsivoglia “terapia”, per essere<br />
autenticamente tale, deve dare il giusto spazio alla <strong>cura</strong> che<br />
va posta nel costruire un’arricchente e non mortificante relazione<br />
con l’utente - paziente.<br />
Ha senso in un’ottica di salute e di completo ben essere separare<br />
il <strong>cura</strong>re dal prendersi <strong>cura</strong>? Non è forse quest’ultimo a<br />
fornire alla prestazione il suo senso più umano e più autentico?<br />
Una parola, un gesto, un ambiente possono rispondere a quella<br />
fondamentale esigenza di sentirsi accolto, considerato, ascoltato,<br />
e per davvero <strong>cura</strong>to, che prova chiunque abbia la necessità di<br />
fruire <strong>del</strong> nostro aiuto.<br />
21<br />
Cura<br />
indirizzi etici<br />
organizzativi<br />
La relazione di fiducia instaurata con gli utenti è da intendersi come parte<br />
integrante <strong>del</strong> processo di <strong>cura</strong> in cui devono sentirsi impegnati, ad ogni<br />
livello, tutti gli operatori.<br />
La <strong>cura</strong> <strong>del</strong>la relazione con il cittadino - paziente - utente e con i familiari<br />
è un aspetto fondamentale per il successo <strong>del</strong>la relazione terapeutica.<br />
Va quindi attentamente promossa da dirigenti e coordinatori. Ciascun<br />
operatore deve porre la massima attenzione ad instaurare con i propri<br />
interlocutori un <strong>progetto</strong> condiviso di comunicazione verbale e non<br />
verbale.<br />
La <strong>cura</strong> per gli aspetti e gli strumenti di comunicazione informativa, per gli<br />
spazi, per l’arredo va incentivata e mantenuta, al fine di migliorare sia la<br />
qualità <strong>del</strong> servizio offerto sia la condizione di ben essere degli operatori.
impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />
valore:<br />
Disponibilità<br />
Cortesia<br />
Se il paziente riceve la giusta<br />
considerazione riesce a comprendere<br />
e a rispettare di più<br />
il lavoro degli operatori?<br />
Molte conflittualità e tensioni<br />
possono essere ridotte o<br />
contenute da una comunicazione<br />
tempestiva, fornita giocando<br />
d’anticipo, prima che<br />
il malessere arrivi a soglie poi<br />
difficilmente gestibili.<br />
22<br />
2 Mettere a proprio agio<br />
2.1 Prevenire e sciogliere le tensioni<br />
Sulle piste da sci mio figlio si è fatto male. Abbiamo<br />
chiamato i soccorsi ed è stata un’esperienza umana eccezionale.<br />
Gli operatori, pur nella concitazione degli eventi,<br />
ambulanze, ecc. si sono presi in <strong>cura</strong> anche me: io volevo<br />
andare in auto per conto mio, ma non mi hanno lasciata<br />
guidare, mi hanno caricata sull’ambulanza e ci hanno<br />
portati in Pronto Soccorso, dove siamo rimasti parecchio<br />
tempo. Queste persone dei soccorsi sono poi tornate<br />
più e più volte per portare altri infortunati e tutte le volte<br />
venivano a chiedermi come stava andando. Addirittura,<br />
quando poi mio figlio è uscito, mi ha detto: “Ma li abbiamo<br />
ringraziati abbastanza quei signori?” Quel giorno ho visto<br />
molte persone aspettare, anche molte ore, ma nessuno<br />
che si lamentasse…<br />
Noi lavoriamo in Pronto Soccorso, dove il contatto con<br />
l’utenza è cruciale. Uno ce la mette tutta, ma quando ti<br />
arriva quello arrabbiato non è facile. Anche dall’altra parte<br />
ci dovrebbe essere un po’ di gentilezza. Certo, a volte per<br />
evitare che il rapporto degeneri basterebbero 30 secondi<br />
di buona comunicazione, meglio se fatta in anticipo, appena<br />
si colgono nell’utente dei segnali d’allarme…<br />
Il parente diventa sovente l’interlocutore principale ed<br />
è speso aggressivo, anche quando francamente non ce ne<br />
sarebbe bisogno. In ogni caso dobbiamo riuscire a contenerlo…<br />
Una volta da noi è arrivato un paziente da un altro<br />
ospedale accompagnato da una parente molto arrabbiata.<br />
Su di loro c’era una consegna a voce che li bollava come<br />
piantagrane perché ostacolavano il lavoro. Il punto è che<br />
un parente arrabbiato spesso e volentieri lo è perché non<br />
è stato informato o è stato informato poco e male.<br />
Chi lavora con i bambini deve per prima cosa pensare<br />
al genitore. Trovi la mamma che ti guarda, dice: “Togli<br />
quell’ago” e magari lo toglie lei stessa… Poi ci sono quelli<br />
che arrivano con i nonni… La caposala ti dice di lasciare<br />
fuori tutti, io vado fuori a dirlo sperando di trovare gente<br />
che capisca la situazione, ma ci sono quelli che ti dicono<br />
“No, è mio figlio, io sto qui”.
Disponibilità Cortes<br />
Sono un pediatra e il mio lavoro è al 90% comunicazione:<br />
io devo rassi<strong>cura</strong>re tutto l’albero genealogico <strong>del</strong><br />
mio piccolo paziente, che sovente rappresenta l’ultimo dei<br />
miei problemi…<br />
Noi abbiamo chiuso la porta a chiave perché, nonostante<br />
il cartello, la gente bussava e entrava subito. Il problema<br />
era che noi avevamo il paziente con il sedere per<br />
aria… Se stai facendo un esame o visitando e qualcuno<br />
bussa io non posso andare ad aprire e interrompermi…<br />
Ad un certo punto devi mettere una regola, se no sei invaso.<br />
Il punto è che ogni regola va il più possibile spiegata.<br />
Sul cartello bisognerebbe spiegare il perché, ad esempio<br />
anche solo: “Non bussare - stiamo visitando”. È davvero<br />
fondamentale spiegare in maniera il più possibile chiara il<br />
perché <strong>del</strong>le cose.<br />
Per esempio in sala prelievi quando si rompe il computer<br />
hai davanti 400 persone che hanno scarso interesse<br />
per i problemi <strong>del</strong> tuo pc. Ma se tu ti spieghi, chiarisci che<br />
c’è un problema, dici quale è, la maggior parte <strong>del</strong>le persone<br />
comprende.<br />
In ospedale ci sono cartelli perentori <strong>del</strong> tipo “NON<br />
BUSSARE. NON ENTRARE.” E io, che devo fare allora?<br />
Quando mi trovo di fronte ad un cartello <strong>del</strong> genere mi<br />
chiedo: ma come fanno a sapere che ci sono? Ci vorrebbe<br />
la certezza di essere chiamati e di essere chiamati all’ora<br />
<strong>del</strong>la prenotazione. Se manca questa certezza è naturale<br />
che uno si segnali, che segnali la sua presenza.<br />
Sentendo bussare basterebbe che qualcuno dicesse:<br />
“Un momento, ci occuperemo di Lei al più presto”. Questo<br />
rassicurerebbe e farebbe sì che la gente aspettasse il suo<br />
turno diligentemente.<br />
2.2 Accompagnare<br />
Molti utenti, soprattutto anziani, vengono da noi con<br />
qualunque foglio da compilare, di qualunque altro<br />
ente. Vedono il Comune come “la mamma”.<br />
Mi capitano certi pazienti anziani che magari vorrei cercare<br />
di agevolare, risparmiandogli <strong>del</strong>la strada inutile, ma<br />
spesso non riesco proprio a farlo. Per esempio, io <strong>del</strong> CUP<br />
ho due numeri di telefono, se dimetto qualcuno magari<br />
23<br />
In quali occasioni la corretta<br />
comunicazione è la prima e<br />
principale “<strong>cura</strong>”?<br />
È possibile invitare a rispettare<br />
tempi, luoghi e persone<br />
senza mortificare e disorientare<br />
l’utente?<br />
La scelta <strong>del</strong>la modalità di<br />
comunicazione e <strong>del</strong>le parole<br />
utilizzate è fondamentale<br />
per instaurare sin dall’inizio<br />
un equilibrato rapporto tra<br />
chi eroga e chi fruisce <strong>del</strong><br />
servizio.
impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />
Chi è l’utente debole? Come<br />
dargli quella necessaria disponibilità<br />
che è contemplata<br />
in un <strong>progetto</strong> di ben essere<br />
mentale e relazionale?<br />
Rispondere alle richieste di<br />
informazioni o di aiuto rientra<br />
in un <strong>progetto</strong> di <strong>cura</strong> e<br />
di salute?<br />
Quando ci si trova in situazioni<br />
a forte coinvolgimento<br />
emotivo, anche le indicazioni<br />
più semplici diventano difficili<br />
da capire.<br />
L’aiuto dato personalmente<br />
risponde al profondo bisogno<br />
di sentirsi accompagnati<br />
e rassi<strong>cura</strong>ti che insorge in<br />
tali occasioni.<br />
24<br />
potrei chiamare io e dare al paziente l’indicazione giusta.<br />
Ma il telefono è sempre occupato, non si riesce a chiamare…<br />
Allora vedi questi vecchietti che partono, barcollano,<br />
si perdono e speriamo che incontrino qualcuno che possa<br />
dargli qualche indicazione…<br />
A fronte di chi chiede, il punto non è solo dare l’informazione<br />
corretta, ma rassi<strong>cura</strong>re. Il paziente ha bisogno di<br />
contatto umano. Quindi, al di là <strong>del</strong>le regole e dei cartelli,<br />
ha bisogno di qualcuno in carne e ossa che si prenda carico<br />
<strong>del</strong>la sua situazione, <strong>del</strong>la sua necessità di avere indicazioni.<br />
Poi magari lo si indirizza, non lo si accompagna,<br />
ma buona parte <strong>del</strong>la relazione è fatta.<br />
Ci sono quelli che chiedono a tutti, più volte. L’altro<br />
giorno uno mi vede, mi ferma, mi chiede. Io gli do l’informazione<br />
precisa, quella che serviva a lui. Se ne va. Poi<br />
trova una collega e le richiede la stessa cosa. Dopo un po’<br />
rivede me, si era dimenticato di avermelo già chiesto, e<br />
così mi chiede di nuovo la stessa cosa di prima. Dobbiamo<br />
considerare che abbiamo a che fare con persone spesso<br />
impaurite ed emotivamente coinvolte. Alle volte penso che<br />
queste persone chiedano più volte perché così si sentono<br />
come se venissero accompagnate…<br />
Le persone ti vedono in verde e ti chiedono, ti cercano.<br />
Siamo cambiati tutti, operatori e utenti: siamo più ansiosi.<br />
Io trovo scontato che in certe situazioni l’utente non capisca,<br />
non li veda neanche i cartelli: l’ansia ti porta a stati<br />
confusionali. L’utente ha bisogno di essere rassi<strong>cura</strong>to. Il<br />
nostro fine deve essere sì far capire alle persone una serie<br />
di cose, ma rispondendo innanzi tutto alle loro ansie.<br />
2.3 Alleggerire la fatica <strong>del</strong> vivere<br />
Spesso al mattino incontri qualcuno alla bollatrice, saluti,<br />
e quello manco sembra vederti. Pensi: cavolo, come<br />
farà ad arrivare fino alle 17.00? Il problema è che quello<br />
che non mi saluta nel corso <strong>del</strong>la giornata entrerà in contatto<br />
con pazienti che hanno bisogno di lui…<br />
Penso che la cortesia tra colleghi preceda la cortesia<br />
con i pazienti… Se tra noi ci si guarda in cagnesco è difficile<br />
che poi si riesca a sorridere all’utente…
Disponibilità Cortes<br />
Il saluto è un importante gesto di attenzione e di rispetto<br />
nei confronti di un collega, di un collaboratore e<br />
naturalmente di un utente.<br />
Mi spiace che, con la motivazione <strong>del</strong>la “mancanza di<br />
tempo”, ne risenta la relazione: per dire, quando si deve<br />
lasciare un messaggio ad una collega si lascia il classico<br />
biglietto anonimo e gelido sulla scrivania… Io cerco almeno<br />
di abbellirlo un po’, anche solo scrivendo un “grazie”,<br />
se no è tutto troppo spersonalizzato e mortificante.<br />
Anche per la privacy siamo spesso obbligati a usare<br />
forme un po’ fredde, per esempio chiamare le persone<br />
con il numero di arrivo. Ciò però non impedisce di farli<br />
accomodare in ambulatorio con un “Buongiorno signore/<br />
signora, prego, si accomodi”.<br />
In ospedale sembra sempre che tutti abbiano fretta,<br />
ma noi abbiamo a che fare con persone, non con la catena<br />
di montaggio. Non si può tralasciare un “grazie” o un “per<br />
favore”. La cortesia è fondamentale: è il riconoscimento<br />
<strong>del</strong> valore <strong>del</strong>l’altro.<br />
Penso che la strada da seguire sia permettere al cittadino<br />
di darmi le informazioni che mi servono, e che per<br />
lui sono una seccatura, chiedendole nel modo più comodo<br />
e meno stressante possibile per lui. Per esempio,<br />
il Comune distribuisce un contributo regionale a<br />
chi usufruisce <strong>del</strong> micronido. Visto che si tratta di utenti<br />
in una fascia d’età giovane e che dovrebbero venire<br />
in Comune, allontanarsi dal luogo di lavoro, ecc., la<br />
richiesta di contributo e le successive comunicazioni<br />
possono essere fatte via mail o via fax.<br />
La P.A. può far agio o creare disagio. Noi facciamo lo<br />
smaltimento code tramite macchinette. Prima c’era uno<br />
sportello polivalente, adesso facciamo code differenziate.<br />
Tra poco attiveremo una chiamata particolare per le<br />
donne in gravidanza in modo che non facciano coda.<br />
Adesso ci sono dei bonus per le famiglie. Non sono<br />
elargiti dal Comune, però tutti vengono da noi a chiedere<br />
informazioni. Allora per gestire questo flusso ho<br />
fatto partire un <strong>progetto</strong> di supporto, in particolare per<br />
gli anziani che fanno fatica a capire e a compilare tutti<br />
i moduli e a seguire tutto l’iter.<br />
25<br />
Come si può mostrare che ci<br />
si è accorti che dietro ad un<br />
ruolo, una funzione o un problema<br />
c’è un essere umano?<br />
Attraverso piccoli, ma significativi<br />
comportamenti di carattere<br />
verbale o non verbale,<br />
contribuiamo a rendere più<br />
umani il nostro lavoro e il servizio<br />
che eroghiamo.<br />
La cortesia può trasformarsi<br />
in comportamento organizzativo?<br />
Ogni scelta organizzativa compiuta<br />
per evitare all’utente<br />
tortuosità burocratiche, complicazioni<br />
o inutili scomodità rientra<br />
a pieno titolo in un <strong>progetto</strong><br />
di Salute e ben essere diffuso.
impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />
Quando le parole mortificano?<br />
La cortesia nelle parole è un<br />
modo per produrre coordinamento<br />
nella comunità di<br />
lavoro.<br />
Occorre sottolineare che fa<br />
risparmiare a tutti tempo,<br />
energie ed inutili frustrazioni.<br />
Parole che mortificano, sciatteria<br />
nell’esprimersi, poca<br />
sensibilità per gli aspetti comunicativi<br />
impattano sull’efficacia<br />
e sull’efficienza <strong>del</strong><br />
sistema organizzativo e contemporaneamente<br />
sulla qualità<br />
complessiva <strong>del</strong> nostro<br />
vivere.<br />
Comunicazioni personali e/o<br />
informali quando sono opportune<br />
o inopportune?<br />
Occorre non perdere mai il<br />
senso <strong>del</strong> contesto in cui si<br />
dicono certe cose e <strong>del</strong>le circostanze<br />
in cui si compiono<br />
certi gesti, per non mortifica-<br />
26<br />
2.4 Parole e gesti che feriscono<br />
Non bisogna mai perdere di vista le conseguenze di<br />
gesti che potremmo evitarci: la parola sgarbata, dare<br />
un’informazione in modo non disponibile… In questi anni<br />
mi hanno colpito due cose. La prima è il numero di persone<br />
che arrivano da noi chiedendo le informazioni più<br />
disparate, nonostante noi ci troviamo in una posizione<br />
defilata. La seconda cosa è la reazione che hanno queste<br />
persone quando rispondiamo con gentilezza dando<br />
le informazioni. Mi colpisce perché mi chiedo chi abbiano<br />
incontrato prima… Che poi magari io ho dato <strong>del</strong>le<br />
informazioni banali, dov’è il bagno o dove si trova un<br />
certo ufficio…<br />
Alla vigilia di Natale il coordinatore deve assegnare il<br />
paziente all’operatore disponibile. Io l’ho assegnato ad<br />
una persona che, ad alta voce e davanti ai pazienti, mi<br />
dice: “Mi hai fatto proprio il regalo di Natale…”. Certe frasi,<br />
già negative se dette in privato, diventano davvero devastanti<br />
se pronunciate in presenza di chi sta male.<br />
A volte è il personale a essere aggressivo: quando<br />
vedo la mia caposala che sbatte tutti fuori dalla sala medica<br />
con parole e modi bruschi…<br />
Un paziente che versava in condizioni critiche doveva<br />
fare un esame piuttosto invasivo. Guardandomi negli occhi<br />
mi dice che quell’esame sarebbe stato meglio che l’avessi<br />
fatto io al posto suo, visto che scoppiavo di salute. Ero tesa<br />
e ho risposto seccata che se avessi dovuto fare gli esami di<br />
tutti i pazienti sarei morta. Tornata a casa ci ho ripensato:<br />
certo, se avessi preso le sue parole in altro modo avrei potuto<br />
aiutarlo non solo fisicamente…<br />
Durante una visita ginecologica, avere gli operatori che<br />
fanno avanti e indietro parlando <strong>del</strong>le loro cose non va bene!<br />
Il nostro gruppo ostetriche è riconosciuto molto positivamente<br />
sia in ospedale che fuori. Mi chiedo: dare l’esempio è<br />
utile o non serve? Secondo me è contagioso. C’è chi dice:<br />
“Non c’è tempo, non c’è spazio”, ed è in parte vero, è un<br />
problema. Ma è giusto mettere l’accento sul positivo, sul<br />
valore dei piccoli gesti che servono per riequilibrare queste<br />
situazioni di disagio. Per esempio da noi, se entra un’ostetrica,<br />
entra piano, in punta di piedi… In altri posti invece la<br />
gente entra e grida: “Ehi! Ti vogliono al telefono!!”
Disponibilità Cortes<br />
Parlare con il collega dei fatti propri mentre si trasporta<br />
un paziente da un piano all’altro, senza degnarlo di uno<br />
sguardo, è davvero mortificante!<br />
In caso di una diagnosi infausta o di questioni riferite a<br />
casi difficili o <strong>del</strong>icati dobbiamo renderci conto che, comunicandole<br />
in un modo piuttosto che in un altro, cambiamo<br />
letteralmente la vita <strong>del</strong>le persone e che in qualche modo<br />
entriamo per sempre nella loro memoria: a me è capitato<br />
di incontrare parenti che a distanza di anni si ricordavano<br />
di me semplicemente perché gli avevo comunicato la morte<br />
<strong>del</strong> nonno…<br />
Certe volte la brutalità <strong>del</strong> linguaggio diventa un’arma<br />
di difesa: è il caso ad esempio dei chirurghi, che in genere<br />
usano un tono brutale perché si rendono conto dei loro<br />
limiti emotivi. È lo stress, sono al limite, ma devono trovare<br />
una soluzione: questo carico emotivo si riflette sul linguaggio<br />
nei confronti <strong>del</strong>l’infermiere e purtroppo alle volte<br />
anche con il paziente.<br />
Certe espressioni utilizzate dal chirurgo, appena uscito<br />
dalla sala, con i parenti <strong>del</strong> paziente rischiano di essere<br />
davvero traumatizzanti.<br />
Io vengo definito dai miei colleghi un “riciclato”…<br />
Per noi l’accorpamento è stato un colpo di scure. Ci<br />
hanno cancellato. Ci hanno “spacchettato”, ci hanno detto<br />
“due di qua, tre di là”.<br />
Trovo che non ci sia nulla di più offensivo che sentirsi<br />
attribuire un’etichetta: “quelli di Pinerolo”, “quelli di Collegno”,<br />
“quelli <strong>del</strong> poliambulatorio”, “quelli <strong>del</strong>l’ospedale” e<br />
così via. Può essere semplificante o rassi<strong>cura</strong>nte, forse,<br />
ma lo trovo tremendamente riduttivo e banalizzante.<br />
27<br />
re il paziente, non farlo sentire<br />
come se non ci fosse o fosse<br />
invisibile ai nostri occhi.<br />
Quando comunicare è particolarmente<br />
difficile?<br />
Quando è rischioso farlo senza<br />
supporto o senza una preventiva<br />
preparazione?<br />
Condizioni di stress o un carico<br />
emotivo particolarmente<br />
pesante rischiano di generare<br />
comunicazioni assolutamente<br />
inadeguate alla <strong>del</strong>icatezza<br />
<strong>del</strong> momento.<br />
La consapevolezza <strong>del</strong> problema<br />
è il primo passo per<br />
affrontare adeguatamente tali<br />
situazioni.<br />
vedi 3.2<br />
Nei rapporti con i colleghi e<br />
con gli utenti, quali espressioni<br />
possono risultare offensive?<br />
Quali espressioni celano un<br />
pregiudizio o un più o meno<br />
velato giudizio non certo lusinghiero?<br />
Sovente le parole non soltanto<br />
descrivono la realtà, ma<br />
contribuiscono a crearla.<br />
Certe espressioni banalizzano<br />
gli eventi, ingabbiano chi<br />
ci sta al fianco e riducono<br />
le sue e le nostre possibilità<br />
espressive.
28<br />
Ter Borch, Donna che spella una patata, 1660 ca.<br />
Una donna che spella una patata sotto lo sguardo attento<br />
di un bimbo. Una scena molto semplice. Ma anche<br />
una sconvolgente rivelazione. Il pittore ci aiuta a comprendere<br />
una verità segreta che è sotto gli occhi di tutti: una donna intenta<br />
a compiere un comunissimo gesto contiene tanta grazia<br />
quanto una divinità <strong>del</strong>l’Olimpo! Ci aiuta a riscoprire la bellezza<br />
<strong>del</strong> quotidiano, celata nei gesti più semplici ed elementari.<br />
La bellezza e la virtù, ci suggerisce, non sono lontane, al di là<br />
e al di sopra <strong>del</strong>le cose <strong>del</strong> mondo. L’armonia è lì, a disposizione,<br />
trattenuta in una parola, in un gesto, in uno sguardo. Basta cercare:<br />
il senso <strong>del</strong>la vita lo si può trovare nella vita stessa.
Disponibilità Cortes<br />
Valore in gioco<br />
Disponibilità e Cortesia<br />
Il lavoro quotidiano rischia di impantanarsi in una serie di gesti<br />
meccanici e stereotipati. Non dobbiamo però cedere alle lusinghe<br />
<strong>del</strong>l’evasione e <strong>del</strong> sogno e abbandonare a se stessa la vita lavorativa,<br />
piegandola alla sola efficienza e trasformando noi stessi e<br />
il prossimo in puri mezzi o strumenti. Piuttosto cercare di trasformare<br />
la vita lavorativa dall’interno.<br />
In tal senso trova significato la cortesia. Che nulla ha a che<br />
fare con il gesto falso e manierato. La cortesia, quella autentica,<br />
è una forma d’arte applicata alle relazioni umane. È una maniera<br />
di parlare, di agire, di muoversi che implica il coordinamento con<br />
gli altri, e che costituisce il presupposto per vivere bene insieme,<br />
per produrre ordine e conciliazione all’interno e all’esterno <strong>del</strong>la<br />
comunità di lavoro senza scadere nella brutalità. Ecco perché la<br />
cortesia è stata definita una sorta di intelligenza sociale: chi è<br />
realmente cortese mette sensibilità in ciò che fa, si spinge ad<br />
esplorare il mondo così come potrebbero viverlo gli altri, si impegna<br />
per quel tanto che è in suo potere a sollevare chi lo circonda<br />
- colleghi, pazienti, utenti - dalla fatica <strong>del</strong> vivere. Scoprendo così,<br />
in cambio, che è possibile far rinascere trasformata la sua e l’altrui<br />
quotidianità lavorativa.<br />
29<br />
indirizzi etici<br />
organizzativi<br />
La cortesia e l’attenzione nell’adottare le migliori forme di comunicazione<br />
vanno considerate come fattori strategici per costruire una relazione con<br />
l’utenza improntata al rispetto e alla disponibilità.<br />
La cortesia e l’affabilità devono diventare modi di comportamento<br />
capillarmente diffusi, a tutti i livelli ed in ogni situazione lavorativa.<br />
Viene richiesta e promossa una particolare <strong>cura</strong> per il linguaggio e per le<br />
modalità comunicative, verbali e non verbali, al fine di evitare volontarie<br />
o involontarie mortificazioni dei propri interlocutori.
impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />
valore:<br />
Sensibilità<br />
Coinvolgimento<br />
L’attenzione posta ad aspetti<br />
che coinvolgono il ben essere<br />
dei pazienti è incompatibile<br />
con la professionalità? O non<br />
è forse vero il contrario?<br />
Che differenza c’è tra freddezza<br />
e lucidità?<br />
Se la seconda è assolutamente<br />
necessaria per intervenire<br />
oculatamente sulle cose,<br />
30<br />
3 Professionalità<br />
3.1 Gelo<br />
Io parlo come utente: da poco sono stata operata due<br />
volte di colecisti. La prima volta sono stati molto gentili,<br />
il professore mi ha spiegato l’operazione, l’anestesista<br />
chiacchierava, ad un certo punto mi ha fatto addirittura<br />
una carezza. Mi sono sentita bene, ero in un ambiente<br />
che non mi sembrava marziano, si percepiva accordo…<br />
Mi hanno davvero coccolata, scaldata. Percepivo serenità<br />
nel personale, andavano tutti d’accordo e questo<br />
clima si estendeva a tutto il reparto. La seconda volta<br />
invece… chiusura totale. Ho notato nell’ambiente - gelido<br />
- che la qualità <strong>del</strong>la vita di chi è lì in attesa non è<br />
presa in considerazione. Tremavo dal freddo, ho chiesto<br />
una coperta. Asetticamente mi hanno detto: “Ce n’è<br />
una sola, voi siete in cinque”. Poi ho sentito dire: “Tanto,<br />
dopo, il freddo mica lo sentite”. Ho sentito le infermiere<br />
parlare: “Mancano le coperte…”, “Dillo al professore”,<br />
“Ma figurati se lui si mette a cercare le coperte…” Magari<br />
bisognerebbe anche stare a sentire che cosa prova e<br />
che cosa ha da dire “la colecisti”…<br />
Da noi in sala operatoria non si possono mettere le<br />
coperte, così i pazienti restano scoperti al freddo. Una<br />
mia collega ha l’abitudine di mettere i telini - che in sala<br />
possono essere portati - su una stufetta, per poi metterli<br />
caldi sul paziente, che va alle stelle… Noi colleghe ogni<br />
tanto sbuffiamo, ma sotto sotto proviamo vergogna perché<br />
lei persevera e dimostra che realmente non è una<br />
cosa che costa molto in termini di tempo. Allora cominci<br />
anche tu a farlo, ma di nascosto, perché “non è professionale”:<br />
l’idea ancora diffusa è quella che se sei duro,<br />
sei più professionale.<br />
La mia vecchia direttrice <strong>del</strong>la scuola per infermieri<br />
professionali ci diceva sempre che la differenza tra generica<br />
e infermiera professionale era che “voi state facendo<br />
una professione, non un mestiere.” Il messaggio era che il<br />
professionista è distaccato, non si fa coinvolgere.<br />
Ci sono operatori che pensano che la freddezza relazionale<br />
sia sintomo di maggiore professionalità. Penso che<br />
confondano freddezza con lucidità. Un conto è la lucidità,<br />
un altro è la disumanità. È vero che siamo scanditi dal
tempo, ma nonostante questo, dove si ha a che fare con<br />
persone non si può fare come i sarti o come chi ha a che<br />
fare con materiale inerte.<br />
3.2 Distacco<br />
In sala operatoria è diventata un po’ una catena di<br />
montaggio. Noi prendiamo in giro i chirurghi, diciamo che<br />
magari ci possiamo far portare su i letti a castello dal magazzino,<br />
così operiamo sotto e sopra… Questo meccanismo<br />
ha portato via molto alla mia professione. L’ambiente<br />
è asettico in tutti i sensi, non esiste molta relazione, piuttosto<br />
la velocità, l’ingranaggio che ti porta ad automatismi:<br />
il collega è abituato a starmi dietro, non c’è bisogno di<br />
dialogare.<br />
Noi ci ritroviamo per riportare le cose al gruppo e questo<br />
momento crea benessere, ci porta speranza e ci<br />
fa sentire carichi di grande responsabilità. Nel nostro<br />
Servizio non c’è burn out, abbiamo creato l’isoletta<br />
felice, anche se a volte siamo fraintesi da certi colleghi.<br />
Questo nostro coinvolgimento è percepito da<br />
alcuni come eccessivo, secondo loro comporterebbe<br />
una minore obiettività e professionalità da parte nostra.<br />
Per noi invece è un modo di lavorare e di vivere<br />
insieme ormai consolidato.<br />
Il problema è che si è pensato che si potessero fare<br />
certe cose, e bene, ma decontestualizzandole. Mi trovo<br />
a somministrare stupefacenti a pazienti di cui non conosco<br />
neanche il nome e questo toglie passione al mio<br />
lavoro<br />
Avere tempo e spazio per riconoscere e gestire le proprie<br />
emozioni è fondamentale. Se ciò non avviene il rischio<br />
è il burn out.<br />
Ho notato che in pronto Soccorso negli ultimi anni i<br />
modi di concepire la vita sono diversi, c’è un maggiore distacco<br />
<strong>del</strong>la persona, con un coinvolgimento emotivo minimo.<br />
I nuovi arrivati sono più determinati, più “esecutori”.<br />
All’inizio dicevo “hanno pelo sullo stomaco, forse va bene<br />
così”. Poi parlando con le persone non è proprio così, non<br />
sono così distaccate come sembra…<br />
Gli operatori sanitari che operano su malati terminali<br />
per anni vedono persone morire. L’unica difesa possibile<br />
Sensibilità<br />
31<br />
la prima è una trappola che ci<br />
preclude il corretto rapporto<br />
con il mondo.<br />
Il distacco dagli altri, la freddezza<br />
relazionale sono solo<br />
un tratto caratteriale e una<br />
scelta personale?<br />
Quanto impattano sul sistema<br />
lavorativo?<br />
L’automatismo ingenera rischi<br />
di isolamento. L’isolamento<br />
per un verso sottrae<br />
passione e limita la crescita,<br />
per l’altro diminuisce la reciproca<br />
vigilanza e aumenta la<br />
possibilità di errore.<br />
vedi 8.4<br />
Dove e come è possibile evitare<br />
il distacco da noi stessi,<br />
dare spazio ai propri vissuti e<br />
alle proprie emozioni?
impegni verso i cittadini - pazienti - utenti<br />
Definire, struttura per struttura,<br />
tempi e occasioni istituzionalmente<br />
previsti a tal fine<br />
significa avviare un percorso<br />
di riallineamento e riequilibrio<br />
tra necessità <strong>del</strong>la persona<br />
ed esigenze <strong>del</strong> sistema organizzativo.<br />
Una comunicazione è innanzi<br />
tutto la relazione che essa<br />
determina: non supportata<br />
da una relazione condivisa,<br />
qualsiasi trasmissione di<br />
contenuti è destinata a vanificarsi.<br />
Quale può essere un buon<br />
principio etico a cui attenersi<br />
per progettare qualsiasi comunicazione?<br />
Comunicare significa decentrarsi,<br />
allargare il proprio<br />
sguardo, uscire da sé per immedesimarsi<br />
nella prospettiva,<br />
nella cultura, nel carattere dei<br />
destinatari.<br />
È davvero più professionale<br />
una lettera redatta in stretto<br />
32<br />
è l’anestesia emotiva. Ho lavorato per molto tempo al San<br />
Giovanni Vecchio in radiologia. Vedi spesso il malato, ma<br />
generalmente si tratta di un peggioramento…<br />
Parlare di argomenti di cui non siamo abituati a parlare<br />
può anche essere imbarazzante… Non ce l’ha mai chiesto<br />
nessuno. Saper riconoscere ed esprimere ciò che si prova<br />
nella vita professionale è difficile.<br />
3.3 Linguaggio<br />
Da studente non esisteva parlare in dialetto, perché<br />
non era considerato professionale. Certe volte invece è<br />
l’unica strategia, e il fine di ogni nostra comunicazione,<br />
non dimentichiamolo, è il successo <strong>del</strong>la relazione terapeutica.<br />
Con gli utenti, soprattutto con le persone anziane, è<br />
importante sapersi adattare, essere pronti magari a<br />
parlare in dialetto e soprattutto ad utilizzare una terminologia<br />
alla portata di chi ci sta di fronte.<br />
Un modo per mantenersi distaccati dall’utente è usare<br />
un linguaggio molto tecnico, che non sia comprensibile.<br />
Allo sportello posso sentirmi molto professionale se cito<br />
articoli, la cosa riempie di orgoglio me, ma lascia stecchito<br />
l’utente… Rendiamoci conto che abbiamo di fronte <strong>del</strong>le<br />
persone non una platea!<br />
Ci sono dei cartelli che non sono per niente chiari,<br />
magari con <strong>del</strong>le sigle... Per esempio, RRF per i più non<br />
vuole dire niente; perché non scriviamo “FISIOTERAPIA”<br />
con eventualmente vicino la scritta più tecnica? Oppure<br />
“Diagnostica per immagini”, ma la persona va “a fare i raggi”!<br />
A volte semplificare le parole a qualcuno sembra che<br />
sminuisca le strutture e le persone.<br />
Se devo scrivere una lettera che leggerà un allevatore<br />
cerco di mettermi sul suo piano, cerco di scrivere nel<br />
modo più chiaro e sintetico possibile. Una volta ne ho letta<br />
una scritta come Servizio che a fatica capivo io, e infatti<br />
non credo che i miei utenti allevatori abbiano nemmeno<br />
finito di leggerla. Che senso ha averla spedita? Non solo<br />
non ha creato informazione, ma addirittura è stato un danno<br />
perché ha creato e ha generato incertezza nell’utenza
e un carico di lavoro aggiuntivo per noi perché hanno cominciato<br />
ad arrivare molte telefonate di persone che chiedevano<br />
chiarimenti.<br />
Da anni si parla di semplificazione <strong>del</strong> linguaggio, ma<br />
ci serviamo di circolari - che nome! - che sono quasi<br />
incomprensibili. Noi sovente andiamo a dei corsi sul<br />
linguaggio e cerchiamo di lavorare in quest’ottica: tradurre<br />
i concetti in un linguaggio più semplice.<br />
A proposito <strong>del</strong>la comunicazione informatizzata: si<br />
mandano mail scrivendo senza preoccuparsi né <strong>del</strong>la<br />
forma né <strong>del</strong> tono <strong>del</strong>le parole né <strong>del</strong>l’ortografia. Come<br />
verrà percepita? Potrebbe essere fraintesa? Dopo aver<br />
scritto una mail perlomeno rileggerla dovrebbe essere<br />
abitudine diffusa…<br />
Coinvolgim<br />
33<br />
burocratese o un testo che<br />
al rigore di legge sa abbinare<br />
leggibilità, chiarezza e stile<br />
divulgativo?<br />
È per davvero un conveniente<br />
risparmio optare per la prima<br />
ipotesi?<br />
vedi 13.1<br />
Quando la forma è il contenuto?<br />
Che cosa comunica una mail<br />
o una lettera sgrammaticata,<br />
confusa, graficamente non<br />
<strong>cura</strong>ta?
34<br />
Dejneka, Le operaie <strong>del</strong> tessile,1927<br />
L’ambiente di lavoro è asettico. Le operaie si danno le spalle,<br />
l’attenzione è concentrata sulla sola mansione.<br />
Lo sguardo è fisso, l’espressione assente. Nessuna apparente<br />
emozione. Ciascuna di loro esaurisce se stessa nel ruolo<br />
ricoperto. Ridotte a semplici parti <strong>del</strong>l’apparato produttivo,<br />
assolvono al loro compito con gelido distacco.
Sensibilità Coinvolgim<br />
Valore in gioco<br />
Sensibilità e Coinvolgimento<br />
Quando l’assolvere alle proprie mansioni viene separato<br />
dall’esprimere la pienezza <strong>del</strong>la propria umana personalità si<br />
rischia di precipitare in una condizione di autismo esistenziale,<br />
di diventare alieni e quindi alienati. Il mondo circostante, fatto di<br />
cose, persone, relazioni, tende a svanire. La realtà interiore perde<br />
la sua voce. Si atrofizzano alcuni tratti peculiari <strong>del</strong>l’essere umano:<br />
la capacità di non rimanere bloccati nel proprio pensiero, l’essere<br />
consapevoli <strong>del</strong> proprio mondo interiore e di quello che ci<br />
circonda, la capacità di reagire alle proprie emozioni e non semplicemente<br />
subirle o rimuoverle. Viene compromessa la capacità<br />
di distinguere tra la propria mente e quella degli altri, si annebbia<br />
la consapevolezza che chi ci circonda può sentire o pensare in<br />
maniera profondamente diversa da noi.<br />
Il coinvolgimento si configura quindi come la disponibilità a<br />
immettere nelle dinamiche lavorative la totalità degli aspetti che<br />
determinano la nostra e l’altrui umanità. Nella consapevolezza<br />
che il distacco da sé e dagli altri comporta per gli operatori un lento<br />
logorio, per il paziente incomprensioni e pesanti mortificazioni,<br />
per l’organizzazione grandi sprechi di tempo e di risorse.<br />
35<br />
indirizzi etici<br />
organizzativi<br />
Tutte le Strutture / Servizi devono promuovere dinamiche e modalità di<br />
lavoro tese a favorire un fecondo rapporto tra l’espletamento <strong>del</strong> compito<br />
e l’espressione <strong>del</strong>la propria e altrui umanità.<br />
Il carico di emozioni presente nelle diverse fasi <strong>del</strong> lavoro deve essere<br />
adeguatamente considerato e gestito per evitare anestesie emozionali<br />
disfunzionali al ben vivere degli operatori e dei pazienti - utenti.<br />
I linguaggi e le forme comunicative adottati nei diversi contesti aziendali<br />
vanno attentamente studiati per essere il più possibile adattati alle<br />
caratteristiche dei diversi destinatari.
impegni verso tutte le persone<br />
valore:<br />
Responsabilità<br />
Che cosa implica l’essere responsabili?<br />
Innanzi tutto responsabilità<br />
significa lungimiranza, capacità<br />
di guardare lontano,<br />
di valutare le conseguenze<br />
complessive di un’azione.<br />
Implica chiedersi: L’utente ha<br />
davvero risolto i suoi problemi<br />
a fronte <strong>del</strong> nostro intervento?<br />
In quale condizione complessiva<br />
lo lascio? Altri dovranno<br />
intervenire per completare ciò<br />
che noi non abbiamo svolto?<br />
36<br />
4. Metterci la faccia<br />
4.1 Farsene carico<br />
La cosa importante è rendersi conto che è inutile sempre<br />
lamentarsi per le cose che non vanno; che piuttosto<br />
bisogna trovare <strong>del</strong>le soluzioni ai problemi: per esempio<br />
noi siamo riusciti a fare un accordo con le ditte fornitrici<br />
per cui queste consegnano il materiale a domicilio, direttamente<br />
a casa <strong>del</strong> paziente. Poi ci sono quelli che ti dicono:<br />
“Voi siete matti, state solo a perdere tempo”, perché,<br />
dal momento che i nostri pazienti sono prenotati da noi,<br />
facciamo tutto noi… Ma il punto è che non possiamo pensare<br />
che gente di 80 anni si metta in giro per il CUP per<br />
prenotarsi gli esami!<br />
Nel nostro Comune si è sviluppata una sorta di “cultura<br />
<strong>del</strong>la <strong>cura</strong>” nei confronti <strong>del</strong> cittadino. Per noi è<br />
importante prendere in carico il cittadino. Anche se il<br />
personale è poco e quindi in un certo senso potrebbe<br />
essere un aggravio, per noi è fondamentale congedare<br />
il cittadino, in particolare se anziano, in modo che abbia<br />
ricevuto - per sua dignità e nostra professionalità<br />
- un servizio il più possibile completo.<br />
È necessario rafforzare in un’ottica strategica alcuni<br />
punti chiave <strong>del</strong> sistema. Per esempio, l’URP non è<br />
lo sportello dove si va a chiedere “dove devo chiedere<br />
per avere l’assegno di maternità”, ma direttamente<br />
“cosa devo fare per avere l’assegno”, per poi trovare<br />
le giuste risposte.<br />
La risposta data al telefono: “Scusi, da dove chiama?”<br />
“Ah, se è da quel Comune la competenza è <strong>del</strong> mio<br />
collega, richiami domani perché oggi è assente”. Per poi<br />
magari scoprire che chi ha telefonato voleva solo sapere<br />
l’orario di apertura <strong>del</strong>lo sportello…<br />
Spesso gli utenti mi arrivano anche al terzo tentativo e me<br />
li trovo davanti confusi a pensare: “Non ho capito per la terza<br />
volta… E adesso?” Si vergognano a chiedere ancora. In questi<br />
casi bisogna fermarsi un momento, dedicargli un po’ di<br />
attenzione, magari accompagnarli, che si fa anche prima…
Se poi proprio non si riesce, magari vedi qualcuno che ti può<br />
dare una mano e gli chiedi: “Per favore accompagnalo tu”.<br />
Ci sono casi in cui per qualsiasi motivo i dati di laboratorio<br />
non arrivano al destinatario. Allora mi piace “darmi da<br />
fare” per poter comunicare lo stesso il dato; è una semplice<br />
azione per permettere di non fermare il “flusso” e per<br />
risolvere il problema.<br />
Ogni tanto scendo in Pronto Soccorso perché se non<br />
è chiara la lastra vado a vedere il paziente di persona.<br />
Penso che sia giusto prendersi un momento per entrare<br />
personalmente in una storia, in un problema…<br />
4.2 Rompere con l’anonimato<br />
C’è un cambiamento culturale che va in direzione <strong>del</strong>la<br />
figura infermieristica. Per esempio, occorre tenere conto<br />
<strong>del</strong>l’utenza nell’approvvigionamento dei materiali e quindi<br />
da un paio d’anni gli infermieri sono più coinvolti, per<br />
esempio nella scelta <strong>del</strong>le carrozzelle. Ci si deve però far<br />
carico, responsabilmente, anche <strong>del</strong>le richieste che si fanno.<br />
È contraddittorio chiedere che i medici ci riconoscano,<br />
se poi spesso siamo noi i primi a dire “Ah, è compito suo<br />
decidere, noi siamo solo infermieri…”.<br />
Non posso sempre aspettare che tutte le cose e tutte<br />
le idee mi arrivino da fuori: io comincio, tento, propongo,<br />
poi vediamo.<br />
Io cerco di essere disponibile ad ascoltare i miei collaboratori,<br />
ma a chi mi porta una critica o un problema chiedo<br />
sempre una cosa: di portare insieme al problema una<br />
possibile soluzione. Poi se questa soluzione sia fattibile o<br />
meno se ne discute, si vedrà, ma almeno si parte da una<br />
proposta di miglioramento.<br />
Responsabilità<br />
37<br />
Responsabilità è sentirsi<br />
chiamati in causa, entrare di<br />
persona - quando è opportuno<br />
e nella maniera corretta<br />
- in una storia, in un problema,<br />
nella vicenda di un’altra<br />
persona.<br />
Quali conseguenze, per noi<br />
e per gli altri, derivano dal<br />
“chiamarsi fuori”?<br />
Come è eticamente corretto<br />
rispondere a coloro che dichiarano<br />
la loro disponibilità<br />
all’ascolto?<br />
Quando una critica è leale?<br />
Richieste o esposizioni di<br />
problemi andrebbero sempre<br />
affiancate da idee e realistiche<br />
proposte di soluzione.
impegni verso tutte le persone<br />
In che modo si è responsabili<br />
<strong>del</strong> sapere appreso?<br />
Quali conseguenze si determinano<br />
quando le conoscenze<br />
acquisite rimangono<br />
patrimonio di pochi?<br />
Che cosa accade quando il<br />
gruppo rimane estraneo alle<br />
tematiche oggetto <strong>del</strong>la formazione?<br />
La responsabilità implica la<br />
compartecipazione, il sentirsi<br />
coinvolti non solo in un personale<br />
percorso di crescita,<br />
ma in un accrescimento collettivo<br />
<strong>del</strong> sapere, che il più<br />
<strong>del</strong>le volte risulta condizione<br />
necessaria all’effettiva applicabilità<br />
di quanto appreso.<br />
Quali conseguenze ha sulla<br />
nostra immagine scaricare sugli<br />
altri le responsabilità di un<br />
disguido? Quali conseguenze<br />
ha sulla coesione <strong>del</strong> gruppo?<br />
Perché presentarsi al telefono?<br />
Presentarsi è un modo per<br />
assumere su di sé il tempo di<br />
lavoro, per farlo davvero proprio<br />
contrassegnandolo con<br />
la propria firma.<br />
38<br />
Da noi è successo che venisse chiesto a coloro che<br />
seguivano corsi di formazione di relazionare al gruppo riguardo<br />
ai contenuti trattati. Questa cosa ha creato il panico,<br />
tanto è vero che a tutt’oggi non si fa. La richiesta ha<br />
messo in crisi il gruppo.<br />
Quando si apprendono certe cose e si torna carichi,<br />
con la voglia di applicare quanto appreso, sovente il gruppo<br />
fa opposizione e si rischia la frustrazione.<br />
Lavoro in Comune ai servizi per la prima infanzia. Facciamo<br />
molta formazione: alcuni momenti formativi attraversano<br />
tutto il gruppo di lavoro, ad altri partecipano<br />
solo alcune persone che successivamente hanno poi<br />
un momento per la restituzione al gruppo. Noi questo<br />
lo facciamo da tempo. Si torna carichi, è bello tornare<br />
a casa - da noi chiamiamo il Servizio “casa” - con la<br />
voglia di raccontare. L’idea di istituzionalizzare questi<br />
momenti di restituzione mi pare ottima.<br />
Davanti all’utente è importante mostrare che il Servizio<br />
è solidale e che, se è il caso, ci si sa anche scusare. Non<br />
va bene addossare la colpa al collega che è assente... E<br />
non bisogna neppure prendere in giro l’utente trincerandosi<br />
dietro al classico: “La pratica l’ha seguita un altro”. Piuttosto<br />
si “sprecano” cinque minuti e si cerca di chiarire la<br />
questione, senza che abbia strascichi spiacevoli per tutti.<br />
Penso che anche solo reciprocamente presentarsi al<br />
telefono qualificandosi può aiutare a cambiare le cose: è<br />
un segnale, ci pone in un’ottica di collaborazione. Tempo<br />
fa il nostro primario aveva notato che quando rispondevamo<br />
al telefono non ci presentavamo, così ci ha chiesto<br />
di farlo. All’inizio ci sembrava di essere al call center,<br />
abbiamo cominciato a farlo sorridendo, ci sembrava un<br />
po’ sciocco. Adesso quando chiamo in reparto mi rendo<br />
conto di quanto sia piacevole sapere con chi sto parlando.<br />
Abbiamo iniziato titubanti, ma adesso questa abitudine ha<br />
preso piede e lo facciamo tutti: “Buongiorno, sono la caposala<br />
di…., mi dica…”
4.3 Attivarsi<br />
Ho seguito una persona con una disabilità intellettiva,<br />
era un bevitore, si giocava i posti di lavoro... Allora<br />
abbiamo lavorato con la famiglia, con il Sert, l’abbiamo<br />
seguito in una convivenza guidata. Gli abbiamo cercato<br />
un lavoro con un tirocinio di due anni. È diventato bravo.<br />
Il lavoro andava bene, la relazione con i colleghi anche. Ci<br />
si aspettava che l’azienda lo assumesse, invece a fine dicembre<br />
l’azienda manda una lettera in cui dice che non lo<br />
avrebbero assunto, questo senza dire nulla agli assistenti.<br />
Io, appena l’ho saputo, mi sono attivata, ho chiamato il<br />
Centro per l’impiego perché contattasse questa azienda e<br />
chiarisse la situazione, ma l’impiegata mi ha risposto: “Ah,<br />
ma se non mi chiamano dall’azienda io non posso farci<br />
nulla”. Io ci sono rimasta male, ho cercato in tutti modi di<br />
muovermi su altri fronti, tanto che alla fine mi sono sentita<br />
dire: “Hai una casa? Vacci.” Alla fine sono riuscita a parlare<br />
con una persona che mi ha pro<strong>cura</strong>to un incontro con il<br />
Direttore <strong>del</strong> Centro per l’impiego e così siamo riusciti a<br />
contattare l’azienda. Il problema è che nel frattempo era<br />
passato molto tempo, anche l’Amministratore Delegato<br />
<strong>del</strong>l’azienda era una persona diversa, che neanche aveva<br />
conosciuto la persona coinvolta, così è stato facile dire di<br />
no a tutte le nostre proposte. Quella telefonata <strong>del</strong>l’impiegata,<br />
se fatta subito, poteva cambiare le cose. Una semplice<br />
telefonata in più poteva fare la differenza…<br />
Si sente spesso dire: “Perché mai io dovrei comportarmi<br />
in un certo modo se gli altri non lo fanno?” A parte la<br />
coerenza con i propri valori, non bisogna dimenticare che<br />
il buon esempio molte volte è contagioso!<br />
Se alcune disfunzioni si sono affermate è evidente che<br />
ci deve essere qualcuno che nel tempo le ha accettate,<br />
magari anche solo con la sua passività.<br />
Responsabilità<br />
39<br />
Quali comportamenti nel nostro<br />
lavoro possono “fare la<br />
differenza”?<br />
Quali gesti, anche apparentemente<br />
modesti, possono<br />
avere più o meno profonde<br />
conseguenze sulla vita di coloro<br />
che ci circondano?<br />
Qual è il valore e il peso<br />
<strong>del</strong>l’esempio?<br />
Rispondere in prima persona<br />
di ciò in cui si crede è essenziale<br />
per dare consistenza e<br />
credibilità alle proprie convinzioni.<br />
Senza dimenticare che<br />
con l’esempio “provochiamo”<br />
nella maniera forse più efficace<br />
coloro che ci circondano.
impegni verso tutte le persone<br />
Quali comportamenti ci rendono<br />
involontari complici <strong>del</strong><br />
mal essere lavorativo?<br />
La passività è una pericolosa<br />
forma di collusione involontaria.<br />
Chi rimane a guardare ciò<br />
che non va senza intervenire,<br />
lo legittima e gli fa spazio.<br />
Quanto tempo potrebbe venire<br />
risparmiato facendosi<br />
subito carico dei problemi<br />
affrontati?<br />
vedi 13.1<br />
Lavorando all’interno di un sistema<br />
complesso, quali conseguenze<br />
determina l’operare<br />
senza badare alle ripercussioni<br />
<strong>del</strong> proprio agire sull’intero<br />
sistema?<br />
40<br />
Nel momento in cui io chiedo qualcosa a te e tu non<br />
mi dai retta, se io non faccio e non dico niente e accetto<br />
passivamente, allora mi annullo e in qualche modo divento<br />
“complice”.<br />
Ho dovuto lottare per poter venire agli incontri <strong>del</strong>la<br />
Carta Etica. Ho saputo <strong>del</strong>l’iniziativa, ma in un primo momento<br />
non ero stata individuata per partecipare. Allora<br />
sono andata a parlare con il mio responsabile: secondo lui<br />
non ero la più adatta perché non ho a che fare con l’utenza.<br />
Ho obiettato che io ho come utenza i colleghi e il personale<br />
<strong>del</strong> mio comparto. Sono riuscita a convincerlo…<br />
4.4 Fare e rifare<br />
L’altra settimana ho chiesto di avere un masterizzatore.<br />
Faccio la richiesta con tutti i crismi, mi dicono che va bene.<br />
Poi, vengono i tecnici, si mettono lì, lo montano. Quando<br />
se ne vanno, provo a masterizzare, ma il masterizzatore<br />
non funziona… Allora telefono, spiego la faccenda. Alla<br />
fine vien fuori che io avevo chiesto il masterizzatore, sì,<br />
ma non avevo fatto richiesta per il programma applicativo,<br />
quindi loro avevano montato solo il masterizzatore. Per<br />
avere il programma applicativo dovevo fare ancora un’altra<br />
richiesta…<br />
Secondo me una cosa importante è il far bene le cose<br />
già la prima volta. Una fonte di malessere negli uffici è<br />
il dover fare, disfare, rifare i lavori. Per esempio fissare<br />
una riunione, spostarla, dover richiamare le persone…<br />
Si tratta di un malessere <strong>del</strong>l’organizzazione che si trasforma<br />
in un mal essere per le persone.<br />
Paziente che sta male, ipoteso, monitor in allarme e<br />
l’infermiere che non si sposta dalla sua postazione e continua<br />
a leggere il giornale… Intervento di un altro infermiere<br />
di un’altra stanza…<br />
Passo molto <strong>del</strong> mio tempo a dare spiegazioni che il<br />
paziente avrebbe già dovuto avere… Lavorerei molto meglio<br />
se questi utenti, nelle fasi precedenti, fossero stati accolti<br />
e informati. Secondo me è un problema di presa in<br />
carico che vale a tutti i livelli: i CUP si lamentano dei medici<br />
di famiglia che hanno informato poco e male i pazienti, i
medici si lamentano di utenti mandati allo sbaraglio con un<br />
foglio in mano…<br />
Non tutti sembrano rendersi ben conto, o forse se ne<br />
disinteressano, <strong>del</strong> fatto che se non si fa bene una certa<br />
cosa qualcun altro avrà il suo pezzo da fare più quell’altro<br />
pezzo e così via…<br />
C’è chi non vede che se stesso. Pensa di essere più<br />
furbo, ma è solamente più solo…<br />
Responsabilità<br />
41<br />
Essere responsabili significa<br />
anche lavorare pensando a<br />
quali conseguenze deriveranno,<br />
e quando (anche non<br />
immediatamente) e per chi,<br />
da un certo lavoro svolto in<br />
un certo modo piuttosto che<br />
in un altro.<br />
Chi e che cosa mortifica colui<br />
che si comporta in modo irresponsabile?<br />
Innanzi tutto se stesso con<br />
l’avvilire il senso <strong>del</strong> proprio<br />
lavoro; i colleghi minando la<br />
reciproca fiducia; l’Azienda<br />
rompendo un patto di reciproco<br />
riconoscimento; i<br />
pazienti, che proietteranno<br />
la propria insoddisfazione<br />
sull’intero sistema.
42<br />
Bruegel, Paesaggio con caduta di Icaro, 1558<br />
Il dipinto mostra l’imprudente Icaro caduto in mare.<br />
Curiosamente, lo spazio occupato dalle sue gambe<br />
che annaspano al margine <strong>del</strong> dipinto è assai ridotto.<br />
Si rischia addirittura di non notarlo. Bruegel dipinge invece<br />
in primo piano e nei dettagli i personaggi che assistono<br />
alla scena. Si tratta di un contadino impegnato ad arare,<br />
di un pastore che bada alle pecore, di un marinaio che,<br />
di fronte a Icaro, tira le sue reti; mentre una nave, a poca distanza<br />
dal malcapitato spiega le vele e si allontana. Tutti beatamente<br />
ignorano ciò che si sta consumando. Si limitano ad assolvere<br />
alle loro mansioni quotidiane. Nessuno sente la responsabilità<br />
per il giovane che sta annegando, nessuno ritiene<br />
di dover intervenire…
Valore in gioco<br />
Responsabilità<br />
Responsabilità<br />
Sul lavoro esiste in primo luogo una responsabilità di ruolo, in<br />
base alla quale siamo responsabili per ciò che riguarda l’assolvimento<br />
degli obblighi inerenti ad esso. C’è poi una responsabilità causale,<br />
che concerne la relazione tra le nostre azioni e le dirette conseguenze<br />
che ne derivano. Esiste inoltre una responsabilità morale:<br />
Verso noi stessi<br />
Lasciare andare alla deriva il proprio lavoro, scegliere la passività,<br />
non impegnarsi a farlo fruttare, significa rinunciare a vivere responsabilmente<br />
una parte significativa <strong>del</strong>la nostra esistenza.<br />
Verso i colleghi<br />
È necessario non infrangere quella sorta di fratellanza professionale<br />
che costituisce un elemento essenziale per mantenere la<br />
reciproca fiducia. Sono da evitare le connivenze con chi si sottrae<br />
ai suoi doveri, gli espliciti tentativi di scansare lavoro, i gesti con<br />
cui ci facciamo scudo con i nostri personali diritti, dimenticando<br />
di tutelare quelli di chi ci circonda.<br />
Verso il sistema organizzativo in cui siamo inseriti<br />
Occorre essere consapevoli che in una prospettiva sistemica la<br />
singola parte condiziona il tutto, che l’agire individuale ha conseguenze,<br />
alle volte di insospettata portata, sull’intero sistema.<br />
Verso il paziente - utente<br />
Cultura <strong>del</strong>la <strong>cura</strong> significa cultura <strong>del</strong>la presa in carico. Occorre<br />
maturare la capacità di valutare lo stato complessivo di colui al<br />
quale diamo il nostro servizio. Quando le circostanze lo richiedono<br />
dobbiamo risolvere nella maniera quanto più completa possibile il<br />
suo personale problema attraverso il nostro personale intervento.<br />
43<br />
indirizzi etici<br />
organizzativi<br />
Pur nel rispetto dei ruoli e <strong>del</strong>le competenze, vanno promossi e incentivati<br />
i comportamenti finalizzati alla completa presa in carico <strong>del</strong>l’utente -<br />
paziente e alla piena risoluzione <strong>del</strong> suo problema.<br />
Vanno combattuti, senza collusioni o connivenze, i tentativi, da parte di<br />
chiunque, di sottrarsi alle proprie responsabilità di ruolo, causali e morali.<br />
L’assolvere ai propri doveri di ruolo non deve essere disgiunto da una<br />
responsabilità morale che implica l’adoperarsi il più possibile per il ben<br />
essere comune.<br />
Viene riconosciuto il valore etico <strong>del</strong> buon esempio, che va opportunamente<br />
promosso da coordinatori e dirigenti.
impegni verso tutte le persone<br />
valore:<br />
Rispetto<br />
Se è vero che solo quando<br />
pensiamo esistiamo per davvero,<br />
ne consegue che se<br />
non siamo nelle condizioni<br />
di poter responsabilmente<br />
utilizzare le nostre facoltà razionali<br />
e la nostra autonomia<br />
di giudizio ci viene a mancare<br />
uno dei tratti che rendono<br />
davvero degno di essere vissuto<br />
il tempo di lavoro.<br />
La persona giusta al posto<br />
giusto: pur con evidenti e<br />
fisiologici limiti di sistema<br />
è questo un traguardo che<br />
dovrebbe vedere impegnata<br />
qualsiasi organizzazione.<br />
È questa una <strong>del</strong>le principali<br />
sfide per rimettere al centro<br />
<strong>del</strong>la scena economico-lavorativa<br />
il lavoratore, inteso non<br />
come anonimo e astratto individuo,<br />
ma in quanto persona<br />
in tutta la sua unicità, relazionalità<br />
e inesauribilità. Indubbi<br />
44<br />
5 Persone che lavorano<br />
5.1 Autonomia<br />
Sono coordinatore di un gruppo di lavoro molto coeso. È<br />
successo che arrivasse una persona nuova, mi ha detto: “Mi<br />
avete spiazzato: voi mi chiedete di pensare, di mettere <strong>del</strong><br />
mio, di organizzarmi il lavoro… Non ci ero abituata…”.<br />
Un medico mi ha detto: “Lei è pagato per lavorare, IO<br />
sono pagato per pensare”. Io gli ho risposto: “Se mi dice<br />
questo, Lei è pagato male!”<br />
Se nella tua decisione coinvolgi le persone con cui lavori<br />
è un conto, se invece dici: “Qui si fa così” è un altro.<br />
Abbiamo dirigenti che parlano con i collaboratori come<br />
se fossero pedine, non persone con persone. La nostra<br />
azienda diventa la scacchiera. Sentirsi pedine significa<br />
essere come una matita, eseguire certe mosse, ma non<br />
poter pensare e parlare.<br />
Io patisco la pressione “cieca” <strong>del</strong>la gerarchia: se il dirigente<br />
mi dice: “Quella telefonata non la fai”, anche<br />
se a me sembra opportuno farla, e non si degna di<br />
motivarmi in alcun modo la decisione, io la telefonata<br />
non la faccio, ma ci soffro.<br />
5.2 La persona giusta al posto giusto<br />
Spesso i responsabili non hanno la cultura per cui<br />
le persone messe al posto giusto e più soddisfatte <strong>del</strong><br />
loro lavoro lavorano meglio. A questo si aggiunge il fatto<br />
che alcuni interpretano la gestione <strong>del</strong>le risorse umane<br />
come una forma di potere. Recentemente invece il mio<br />
direttore, a seguito di un variato assetto organizzativo, ha<br />
attribuito a tutti i membri <strong>del</strong>l’équipe <strong>del</strong>le nuove referenze.<br />
Al novanta per cento le referenze sono state attribuite<br />
non solo sulla scorta <strong>del</strong>le competenze professionali, ma<br />
nel rispetto <strong>del</strong>le componenti motivazionali e caratteriali<br />
dei singoli operatori.<br />
Forse per quanto possibile bisognerebbe che ciascuno<br />
di noi riuscisse a trovare la dimensione lavorativa che<br />
gli è più consona. Ho visto persone che in contesti lavorativi<br />
diversi si esprimevano meglio, davano di più perché<br />
si sentivano più a loro agio, più soddisfatti, più valorizzati.
È possibile migliorare ancora la giusta collocazione <strong>del</strong>le<br />
persone, poi ovviamente ci sono dei limiti, dei vincoli e<br />
naturalmente non si può fare tutto, ma molto sì.<br />
Per quanto riguarda le domande di trasferimento, penso<br />
che il sistema organizzativo dovrebbe maggiormente<br />
interrogarsi su come mai qualcuno chiede trasferimento,<br />
ed eventualmente attuare misure correttive. Ci dovrebbero<br />
anche essere modalità chiare per esporre le motivazioni<br />
per cui si chiede un trasferimento.<br />
Pensandoci, se non mi trovassi bene dove sono non<br />
saprei nemmeno a chi chiedere, che cosa volere. Al massimo<br />
potrei andare dal mio Direttore, dirgli che voglio<br />
cambiare… “Bene, dove vuoi andare?” Non saprei rispondere…<br />
Come faccio a sapere dove “c’è mercato”?<br />
5.3 Valorizzare<br />
Devo confessare che in passato mi è capitato spesso<br />
di ritardare sul lavoro. Il capo mi rimproverava dal mattino<br />
alla sera. Aveva ragione, ma ero infastidita e le sue<br />
parole non mi facevano granché mutare comportamento.<br />
Ho cambiato posto di lavoro e ancora mi è capitato<br />
di arrivare in ritardo. Il nuovo capo invece che soltanto<br />
colpevolizzarmi mi ha accolto in maniera inattesa: “Meno<br />
male che sei arrivata, senza di te oggi non ce l’avremmo<br />
fatta!” Va da sé che in seguito ho fatto di tutto per essere<br />
sempre puntuale…<br />
Le poche volte che si fa una riunione, si fa di tutta l’erba<br />
un fascio: se c’è qualche lamentela da parte di qualche<br />
utente verso un operatore, questo viene utilizzato per dire<br />
che tutti non valgono nulla, che non si lavora abbastanza.<br />
Uno si impegna ma quando esce da queste riunioni si sente<br />
bastonata come un cane.<br />
Per la motivazione è molto importante la fiducia che<br />
l’Azienda ti dà. Ultimamente faccio un lavoro che mi piace,<br />
in cui credo e sono anche stata investita <strong>del</strong> ruolo di referente.<br />
Il mio responsabile mi ha detto: “Mi stai facendo fare<br />
una bella figura…”. Una gran bella soddisfazione!<br />
Un responsabile di un servizio può decidere di sollevare<br />
i collaboratori dalle loro responsabilità e accentrare le de-<br />
45<br />
Rispetto<br />
per il sistema organizzativo i<br />
ritorni in termini di autentica<br />
efficacia e vera efficienza.<br />
Come interpretare il disagio<br />
di chi chiede trasferimento?<br />
Come il sistema organizzativo<br />
si pone nei confronti di chi<br />
fa richiesta di mobilità?<br />
Come potremmo meglio monitorare<br />
e interpretare le domande<br />
di mobilità per avere<br />
informazioni utili a migliorare<br />
le dinamiche organizzative e<br />
le condizioni lavorative?<br />
Avere il coraggio di proporre<br />
ai collaboratori un diverso<br />
futuro, spingerli a destarsi<br />
dal sonno <strong>del</strong>l’abitudine,<br />
indurli a non adagiarsi, stimolare<br />
e coltivare la loro<br />
curiosità: sono impegni che<br />
riguardano chi ricopre posizioni<br />
dirigenziali?<br />
vedi 6.2
impegni verso tutte le persone<br />
Quali sfide attendono i dirigenti<br />
impegnati in un percorso di<br />
etica e di salute lavorativa?<br />
Dietro al tema <strong>del</strong> riconoscimento<br />
esiste un problema di<br />
cultura dirigenziale.<br />
Sono questi tipici casi dove la<br />
considerazione per la dignità<br />
<strong>del</strong>le persone si traduce automaticamente<br />
in maggiore<br />
efficacia ed efficienza.<br />
Maturare la necessità di affiancare<br />
al ruolo tecnicomanageriale<br />
quello di leader<br />
è un passaggio obbligato per<br />
la crescita armonica <strong>del</strong> sistema<br />
lavorativo.<br />
Attraverso quali gesti si può<br />
riuscire ad essere “prossimi” a<br />
coloro con cui ci si relaziona?<br />
vedi 3.2 - 11.2<br />
46<br />
cisioni, oppure decidere di coinvolgerli. Certo, coinvolgere<br />
e valorizzare le persone può significare farle soffrire, magari<br />
uno vuole essere lasciato in pace, uscire non un minuto<br />
dopo l’orario. Queste persone forse all’inizio potranno un<br />
po’ patire, ma avranno anche la possibilità di fiorire.<br />
Dovendo costruire il “Comitato pari opportunità” mi è<br />
sembrato giusto coinvolgere tutti: impiegati, collaboratori<br />
e operatori, una di questi ultimi, in particolare, non<br />
è soddisfatta <strong>del</strong>le proprie mansioni, così le ho chiesto<br />
di fare la Segreteria per il Comitato. Svolge bene questo<br />
compito che, di tanto in tanto, le dà mansioni diverse da<br />
quelle per cui è stata assunta.<br />
Il dirigente ormai non deve considerarsi come portatore<br />
solamente di una competenza tecnico-scientifica, che<br />
peraltro può sovente demandare ad altri; deve piuttosto<br />
vedersi impegnato a gestire la complessità <strong>del</strong>le persone<br />
e dei gruppi che coordina.<br />
5.4 Essere prossimi - Vedere ed essere visti<br />
Spesso ci si distacca troppo dal paziente. I chirurghi<br />
sono troppo presi da se stessi, dagli aspetti tecnici <strong>del</strong><br />
loro lavoro. Lasciano da parte il paziente. Anni fa era<br />
diverso, il chirurgo sapeva tutto <strong>del</strong> paziente: gli esami,<br />
i valori degli esami… Adesso neanche il nome. Il rischio<br />
è che in sala operatoria il paziente diventi un numero o<br />
una patologia con un numero annesso. Il paziente, che<br />
per me era un nome, una faccia, un’identità, viene identificato<br />
dalla patologia. Al mattino quando telefoniamo<br />
diciamo: “Portami su la colecisti, portami giù la tracheo”.<br />
L’identità, nostra e loro, rischia di non esistere più. Dobbiamo<br />
fare veloce, fare numeri. A volte ho la sensazione<br />
che il paziente non si renda nemmeno conto di che cosa<br />
sia successo...<br />
Da noi c’è attenzione verso le relazioni, sia interne<br />
che esterne. I nostri dirigenti sono vicini sia in termini<br />
fisici che organizzativi, quindi hanno presente quali sono<br />
i nostri problemi. Se sono vicino posso vedere chi mi<br />
sta intorno, posso rispettarlo, vederlo, accorgermi <strong>del</strong>le<br />
cose. Certo, questo da noi è più semplice perché la nostra<br />
è una realtà piccola e soprattutto territoriale.<br />
Più salgo di livello e più devo farmi vedere e andare<br />
a vedere.
Si può essere lontanissimi anche se si sta seduti vicini<br />
e d’altra parte se si è distanti, ma si vuole essere<br />
“vicini”, si può riuscire a farlo. È importante la volontà e<br />
la disponibilità <strong>del</strong> singolo.<br />
So che i nostri dirigenti hanno il loro bel da fare, ma<br />
qualche volta dovrebbero avere la pazienza e l’umiltà di<br />
scendere tra noi per capire che cosa vuol dire per un<br />
operatore di front line iniziare alle 8 e arrivare al pomeriggio<br />
con l’acqua alla gola, senza pause mentali, dovendo<br />
affrontare la gente faccia a faccia e gestendo una serie<br />
di cose contemporaneamente. Mi rendo conto che il mio<br />
dirigente non può avere la bacchetta magica, ma sentirne<br />
l’appoggio e la comprensione può fare la differenza.<br />
Noi i dirigenti li vediamo solo nelle grandi occasioni,<br />
ogni tanto dovrebbero andare a parlare con la donna<br />
<strong>del</strong>le pulizie, farsi una passeggiata negli uffici per comprendere<br />
davvero quali sono i problemi, le criticità, come<br />
funzionano o non funzionano per davvero le cose…<br />
47<br />
Rispetto<br />
C’è differenza tra “capire” e<br />
“comprendere”?<br />
Posso capire una situazione<br />
o una persona afferrando il significato<br />
di ciò che dice o fa.<br />
La comprendo quando riesco<br />
anche a considerare con<br />
sensibilità, attenzione e partecipazione<br />
la situazione, i<br />
sentimenti, gli stati d’animo<br />
che sta vivendo.
48<br />
Giotto, La nascita di Maria, 1305, (part.)<br />
Due donne si incontrano all’ingresso <strong>del</strong>la casa<br />
dov’è appena nata la Vergine Maria. Si scambiano un fagotto.<br />
La prima lo porge, l’altra lo afferra. Eppure tra le due avviene<br />
ben più che un semplice scambio di qualcosa.<br />
La loro attenzione non va infatti al che cosa si stanno passando.<br />
È piuttosto <strong>del</strong> tutto evidente che mentre il fagotto passa<br />
di mano le due donne si accorgono l’una <strong>del</strong>l’esistenza <strong>del</strong>l’altra.<br />
Attraverso i gesti, l’espressione dei visi, l’incrocio degli sguardi<br />
si donano mutuo riconoscimento, si scambiano reciproco rispetto.
Valore in gioco<br />
Rispetto<br />
“Rispettare” etimologicamente significa “volgersi a guardare”,<br />
“notare”. Il rispetto in primo luogo consiste nell’accorgersi che<br />
attorno a noi esistono altri esseri, che chiedono di essere visti,<br />
notati per il loro essere “persone” e non semplicemente numeri<br />
o cose.<br />
Nella vita lavorativa il rispetto consiste fondamentalmente in<br />
tre diverse forme di riconoscimento.<br />
Riconoscere le caratteristiche uniche e distintive di coloro che<br />
ci circondano. Evitare di omologarli e di assimilarli ad un genere,<br />
un ruolo o funzione.<br />
Riconoscere il diritto - dovere di avere e di esprimere idee e sentimenti<br />
propri. Favorire l’autonomia di pensiero e il senso critico.<br />
Riconoscere a tutti - colleghi e pazienti - un valore e una<br />
significatività. Non avvilire, piuttosto valorizzare e permettere la<br />
maggiore autostima possibile.<br />
È forse il caso di ricordare che le offese morali consistono in<br />
forme di mortificazione che intaccano l’integrità personale di un<br />
altro essere e gli negano i necessari riconoscimenti per farlo sentire<br />
davvero “persona”.<br />
Rispetto<br />
49<br />
indirizzi etici<br />
organizzativi<br />
Pazienti, utenti e operatori hanno il diritto di venire rispettati e riconosciuti<br />
in quanto persone portatrici di un’intrinseca dignità, indipendentemente<br />
dal ruolo o dalla posizione ricoperta.<br />
Vanno con <strong>cura</strong> evitate forme di mortificazione <strong>del</strong>la dignità personale.<br />
Ciascun paziente, utente e operatore va rispettato per le sue caratteristiche<br />
distintive; va favorita la sua autonomia di pensiero e di espressione; va<br />
ascoltato e valorizzato per il suo capitale umano ed esperienziale.<br />
Gli operatori che operano con diligenza e responsabilità devono trovare<br />
nei propri responsabili persone solidali, vicine e partecipi <strong>del</strong>le eventuali<br />
difficoltà professionali.<br />
Compatibilmente con i carichi di lavoro, la prossimità fisica, operativa<br />
e psicologica di direttori, responsabili e coordinatori è da ritenersi<br />
imprescindibile fattore di ben essere nel lavoro e di qualità <strong>del</strong> servizio.<br />
Nell’agire di lavoro vanno riconosciuti aspetti esistenziali che pure logiche<br />
di efficacia e di efficienza rischiano di annullare.
impegni verso tutte le persone<br />
valore: 6 Lavoro di<br />
Riconoscimento e con persone<br />
Chi sono gli “invisibili”?<br />
Come dar loro la doverosa<br />
visibilità?<br />
50<br />
6.1 Riconoscere tutti i lavori<br />
Negli anni ho vissuto molti cambiamenti. All’inizio lavoravo<br />
nel Comune di un paese piccolo, ci conoscevamo<br />
tutti. Poi sono passata all’ospedale, ma eravamo considerati<br />
figli di secondo letto: per il dirigente esistevano i reparti<br />
dove si facevano le “cose serie”, mentre noi, che avevamo<br />
i consultori e le scuole eravamo aria fritta… Lavorando nel<br />
Comune ho imparato questo: visto che eravamo quattro<br />
gatti, se, per esempio, mancava qualcuno al Protocollo,<br />
io andavo al Protocollo a coprire. Questo è molto arricchente,<br />
perché ti dà la possibilità di vedere tutti i Servizi e<br />
ti permette di considerare nella giusta prospettiva e importanza<br />
il lavoro di tutti.<br />
Ci sono persone che svolgono compiti umili, ma questo<br />
non significa che non debbano vedersi riconosciuto<br />
ciò che fanno. Basterebbe fermarsi a salutarli, informarsi<br />
sulla loro attività, apprezzare il loro lavoro quando è fatto<br />
come si deve, coinvolgerli per avere per esempio <strong>del</strong>le osservazioni<br />
sull’ambiente che, tra l’altro, conoscono bene.<br />
Sono un’amministrativa e la prima settimana di lavoro<br />
mi hanno messo in un ambulatorio, per vedere com’era.<br />
Adesso se mi arriva un paziente con una diagnosi intuisco<br />
la problematica. È bastata una settimana con gli operatori<br />
sanitari e ho imparato tantissimo. Questo è fondamentale,<br />
perché l’amministrativo è la prima persona con cui il paziente-utente<br />
entra in contatto all’inizio di tutto il processo,<br />
che comincia, occorre ricordarlo, con l’accettazione.<br />
Lavoro al CUP ed è stata una mia scelta perché mi<br />
sento portata alla relazione verso l’altro. Il problema è<br />
che questo approccio manca a molti miei colleghi, anche<br />
perché il CUP qualcuno lo vede come la “deportazione in<br />
Siberia”. Da parte dei responsabili spesso non c’è l’attenzione<br />
necessaria, ti dicono: “Tanto c’è solo da mettere in<br />
computer i dati <strong>del</strong>la prenotazione”. Ma non è vero! Bisogna<br />
essere preparati su quello che si deve dire all’utente,<br />
cosa dirgli, come dirglielo...<br />
Sono molti anni che lavoro nell’amministrazione, ho<br />
sempre cercato di fare il mio lavoro considerando il punto
Riconoscimento<br />
di vista <strong>del</strong>l’utente. La mia zona ha una natalità alta, dovuta<br />
soprattutto agli extracomunitari, quindi persone che<br />
hanno problemi linguistici. Cerco di venire loro incontro,<br />
ma mi è stato detto che a essere gentile “perdevo tempo”.<br />
Il punto è che io mi sento il biglietto da visita <strong>del</strong>l’Ente che<br />
rappresento. Sono la sua faccia. Noi che rispondiamo al<br />
telefono siamo la voce <strong>del</strong>l’Ente. Non mi sento solo una<br />
“passacarte”. Ed è per questo che quando mi dicono che<br />
sono “solo” un’amministrativa mi dispiace, mi dispiace<br />
davvero molto…<br />
La frase tipica <strong>del</strong> personale sanitario è “Se sbagliate<br />
voi amministrativi, stracciate il foglio, se sbagliamo noi è<br />
una cosa seria”.<br />
Essere un Servizio al servizio <strong>del</strong>la parte sanitaria non<br />
penso voglia dire essere inutili. Sanitari e amministrativi<br />
dovrebbero invece reciprocamente riconoscersi in un’ottica<br />
di interazione e di integrazione.<br />
Certo sta anche a noi comprendere il disagio dei sanitari<br />
obiettivamente caricati di notevoli incombenze burocratiche,<br />
cercare sempre di spiegare loro il perché <strong>del</strong>le<br />
richieste che facciamo e <strong>del</strong>le risposte che diamo, evitare<br />
di lamentarci se il timbro che è stato messo è quadrato e<br />
non tondo come prescritto…<br />
6.2 Riconoscere il lavoro svolto<br />
Se dall’alto manca l’interesse autentico per le cose che<br />
si fanno, per chi sta sotto diventa difficile andare avanti. Il<br />
rapporto con la dirigenza può essere fonte di motivazione,<br />
non tanto per l’aspetto monetario, ma in quanto occasione<br />
di riconoscimento <strong>del</strong> proprio lavoro.<br />
C’è chi pensa che riconoscere il lavoro svolto sia accessorio<br />
in quanto le persone devono lavorare bene perché<br />
questo è innanzi tutto il loro dovere e perché vengono<br />
pagate per questo. È giusto, ma solo in parte. Soprattutto<br />
è una prospettiva triste. Perché non riconoscere che qualsiasi<br />
essere umano ha una vitale necessità di essere notato<br />
e preso in considerazione dagli altri e che vive meglio<br />
se ciò che fa viene debitamente valorizzato? Non siamo<br />
automi, per fortuna!<br />
Alle volte basterebbe una pacca sulla spalla e sentirsi<br />
dire: “Brava, ottimo lavoro!” per essere incentivata.<br />
51<br />
L’amministrativo è solo un<br />
“passacarte”? Oppure può<br />
contribuire a “far salute”?<br />
Che abbia o meno una relazione<br />
diretta con l’utenza, la<br />
sua attività non incide forse<br />
notevolmente sulla qualità<br />
complessiva <strong>del</strong> servizio offerto?<br />
Quale maturità di ruolo gli è<br />
richiesta in vista di un fruttuoso<br />
rapporto con i pazienti<br />
e soprattutto con gli operatori<br />
sanitari?<br />
vedi 7.1 - 7.2<br />
Il riconoscimento <strong>del</strong> lavoro<br />
svolto è un elemento accessorio<br />
<strong>del</strong>la vita lavorativa?<br />
vedi 5.3
impegni verso tutte le persone<br />
Quali possono essere le forme<br />
di riconoscimento non<br />
monetario ad alto valore incentivante<br />
in un’ottica di ben<br />
essere etico lavorativo?<br />
Quali opportunità in tal senso<br />
offre il sistema organizzativo?<br />
vedi 5.4<br />
Quali rischi comporta non<br />
procedere all’equilibrato riconoscimento<br />
<strong>del</strong>l’impegno<br />
profuso?<br />
Quali effetti ha su chi si è<br />
direttamente impegnato e<br />
sull’intero gruppo di lavoro?<br />
52<br />
Quante volte sarebbe stato bello che un superiore fosse<br />
venuto da noi per dirci: “Brave ragazze! Anche questa<br />
volta, nonostante le difficoltà e i problemi, avete fatto un<br />
ottimo lavoro!”<br />
Ho notato che una cosa che gratifica molto i collaboratori<br />
è partecipare a convegni nazionali e internazionali<br />
in cui ci si può confrontare con altri operatori. Per questo<br />
abbiamo anche un centro pilota che ci fa da referente e<br />
siamo in continuo aggiornamento.<br />
Sono una persona fortunata, sono una coordinatrice<br />
e i gruppi infermieristici con cui ho lavorato avevano voglia<br />
di proporsi, di mettersi in gioco. Ho lavorato sulla formazione.<br />
Le possibilità di gratificare i collaboratori sono<br />
ristrette, però si può cercare di agire su altri aspetti che<br />
non siano economici. Sono riuscita a inserire gli infermieri<br />
che lavorano con me in percorsi di aggiornamento<br />
e a prospettare nuovi percorsi lavorativi legati a questa<br />
formazione. Il problema è che inizialmente la formazione<br />
è stata presentata male, legata esclusivamente agli ECM<br />
è diventata un obbligo più che un’opportunità. Ci sono<br />
alcune esperienze in cui per noi la formazione è stata il<br />
punto di partenza per sviluppare nuovi servizi, per portare<br />
avanti aspetti che in altro modo non saremmo riusciti<br />
a seguire.<br />
Seguo un lavoro complesso. Lo porto a termine dandoci<br />
l’anima. Poi si deve presentarlo al vertice <strong>del</strong>l’Azienda.<br />
Domando al mio responsabile: “Può essere utile la mia<br />
presenza?” Sentirsi dire: “No, non serve, ci vado da solo”,<br />
non motiva di certo. Col fischio che la prossima volta ci<br />
metto così tante energie…<br />
Il problema tra l’altro è che un mancato riconoscimento<br />
<strong>del</strong> lavoro causa un livellamento verso il basso.<br />
Per quanto riguarda i comportamenti virtuosi ci sono<br />
due livelli di problema: da una parte ci sono quelli che<br />
non li sentono né li seguono. Bisognerebbe insegnarglieli.<br />
Ma come si fa? Li si manda a scuola? Si manda il<br />
vigile? O l’ispettore <strong>del</strong>la qualità? Dall’altra parte ci sono<br />
quelli che hanno una forte carica etica e fanno buone<br />
cose, e allora bisogna valorizzarli, non demotivarli, non<br />
frustrarli perché sovente chi fa bene non viene riconosciuto<br />
o addirittura è visto come un rompiscatole, viene<br />
emarginato e a lungo andare rischia di non farcela più.
Riconoscimento<br />
6.3 Accompagnare il cambiamento<br />
Quando sono entrato, il primo giorno di lavoro il mio responsabile,<br />
che era una persona già anziana, alle 5.30 <strong>del</strong><br />
mattino venne allo stabilimento per presentarmi personalmente<br />
alla struttura in cui avrei preso servizio. Dopo tanti<br />
anni me lo ricordo ancora. Il capo, presentando il neoassunto,<br />
gli dà autorevolezza, non lo lascia allo sbando,<br />
è come se dicesse: “Di lui mi fido”. È un gesto dal grande<br />
valore simbolico. Un gesto come questo è anche molto<br />
responsabilizzante, perché implicitamente invita il giovane<br />
a comportarsi di conseguenza.<br />
Il mio dirigente di area è molto bravo, mi segue: quando<br />
mi sono trovata in difficoltà, magari per un lavoro nuovo o<br />
perché è stato installato un programma informatico nuovo,<br />
non mi ha mai lasciata allo sbando. Sono cresciuta moltissimo<br />
dal punto di vista professionale, anche perché lui mi<br />
ha dato fiducia accompagnandomi nel mio percorso.<br />
Un aspetto critico è rimanere all’oscuro <strong>del</strong>le cose.<br />
Eravamo sotto organico, abbiamo chiesto personale. C’è<br />
stato il concorso, noi abbiamo iniziato a chiedere, ma ci<br />
rispondevano: “Non sappiamo…”. Nonostante avessimo<br />
chiesto più volte, non ci è stato detto che un certo lunedì<br />
sarebbe arrivato il nuovo collega. Ma il problema è<br />
che non l’hanno detto neanche alla caposala! Come fai a<br />
organizzare un Servizio se neanche ti dicono che ti arriva<br />
uno nuovo? La caposala l’ha saputo per caso dalla segretaria…<br />
Non sapere genera timori e diffidenza. La diffidenza fa<br />
nascere un mare di chiacchiere, che a loro volta aumentano<br />
i timori. Per quanto riguarda ogni cambiamento credo<br />
che sia importante provare a contestualizzare quello che<br />
sta capitando, avere l’occasione di sapere di più su che<br />
cosa è successo, che cosa è cambiato, dove si vuole<br />
andare…<br />
I momenti critici di cambiamento ci sono, ma lo sono<br />
molto di più se diventano momenti in cui viene cancellato<br />
tutto il nostro vissuto. Noi ad esempio ci occupiamo<br />
di formazione, che è un’attività trasversale. Abbiamo<br />
scelto di fare un giro in tutte le strutture <strong>del</strong>l’Azienda,<br />
che sono circa 130. Ci siamo fatti 12.000 chilometri in 2<br />
mesi… È fondamentale la relazione, il contatto. Invece di<br />
distribuire la scheda dei bisogni da compilare, ci siamo<br />
53<br />
Un lavoratore che è messo<br />
nella condizione di entrare<br />
nei meccanismi lavorativi e<br />
che viene subito riconosciuto<br />
da colleghi e collaboratori,<br />
quanto riesce a migliorare sia<br />
il proprio ben essere sia la<br />
propria produttività?<br />
Quale ruolo giocano la trasparenza<br />
e la tempestività<br />
<strong>del</strong>le informazioni in vista di<br />
un equilibrato e funzionale
impegni verso tutte le persone<br />
rapporto tra Sistema e operatori?<br />
vedi 14.1<br />
Quali margini di inefficienze e<br />
di inefficacia può determinare<br />
il mancato ascolto?<br />
L’ascolto va inteso come importante<br />
fattore di miglioramento<br />
organizzativo, come<br />
modalità per migliorare la<br />
qualità <strong>del</strong>la vita <strong>del</strong>le persone<br />
che lavorano e quella<br />
complessiva <strong>del</strong> sistema.<br />
Quali ricadute può avere un<br />
attento ascolto <strong>del</strong>l’utenza<br />
per ridurre i conflitti ed evitare<br />
conseguenze legali?<br />
L’ascoltare si riduce all’udire?<br />
L’ascolto deve essere inteso<br />
54<br />
divisi il territorio per andare a vedere dove “abitavano”<br />
le persone. I cambiamenti devono essere accompagnati,<br />
spiegati, perché i processi non possono essere costruiti<br />
e calati dall’alto.<br />
6.4 Prestare ascolto<br />
Se tu sei sempre di fretta, mi dici una cosa, ma nel<br />
frattempo te ne stai già andando, io magari ho qualcosa di<br />
importante o di interessante da dirti, ma se non mi ascolti<br />
io non riesco a farlo e ne risente il lavoro di entrambi.<br />
Ci hanno cambiato sistema informatico, ne hanno<br />
messo un altro, ma nessuno ha interpellato gli operatori,<br />
che quel sistema devono quotidianamente utilizzare, per<br />
eventuali suggerimenti...<br />
Dovevano comprarci <strong>del</strong>le sedie per la 626… Nessuno<br />
ci ha mai chiesto un parere. E noi stiamo otto ore sedute<br />
su quelle sedie…<br />
Per quanto riguarda i reclami, posso dire che un approccio<br />
fondato sull’ascolto risolve un numero molto alto di<br />
situazioni. Dimostrarsi disponibili all’ascolto produce effetti<br />
molto positivi e, tra l’altro, abbatte il numero dei contenziosi<br />
con i pazienti.<br />
Il CUP alle volte è un ambiente invivibile, siamo tutti<br />
insieme, c’è gente che grida, c’è l’anziano che non sente,<br />
la gente che non si sopporta, che non vuole attendere.<br />
Quando esci sei distrutta. Sono cose che sappiamo, ma<br />
che non riusciamo a dire a nessuno, o meglio sembra che<br />
nessuno abbia voglia di ascoltarle. Alle volte essere ascoltati<br />
sarebbe sufficiente…<br />
Lavoro in anestesia, un lavoro molto pesante dal punto<br />
di vista psicologico, ma senza nessun supporto di questo<br />
tipo. Trattiamo con i pazienti, parenti di pazienti deceduti<br />
o che stanno per morire, parenti di pazienti morti ma che<br />
potrebbero donare gli organi…<br />
Ho iniziato in un reparto dove ci si massacrava e dove<br />
invece ci sarebbe voluta qualche coccola al personale,<br />
un dialogo, un sentirsi capiti nelle difficoltà. Avevo anche<br />
proposto a qualche responsabile di poter aprire uno
Riconoscimento<br />
sportello per il personale, per chi soffre di burn out o per<br />
avere un aiuto psicologico. Mi hanno detto che questo<br />
“non serve”...<br />
Da noi il rischio è che gli utenti sfondino la porta: mettiamoci<br />
dalla parte di quello che si vede sfondare la porta 3-4<br />
volte... per forza non esce più, non si sente protetto. Uno<br />
non risponde più perché oltre un certo limite è stufo, vuole<br />
essere riconosciuto, rispettato, soprattutto ascoltato da<br />
qualcuno che sappia comprendere la realtà che viviamo.<br />
6.5 Dare feedback<br />
Ho seguito un corso sulle sanzioni amministrative.<br />
Quando sono rientrata ho fatto una relazione scritta di<br />
sei pagine e le ho consegnate al mio dirigente. Lui le<br />
ha archiviate e non ne ho saputo più nulla. Alla fine ho<br />
condiviso quello che avevo imparato esclusivamente<br />
con la collega con cui lavoro. Ero soddisfatta <strong>del</strong> corso,<br />
ma questo gesto di sicuro non mi ha gratificato.<br />
Essere ignorati è molto frustrante….<br />
Sovente capita che ci facciano fare cose decise non<br />
da noi, senza chiederci quali sono le nostre priorità, senza<br />
coinvolgerci e soprattutto senza darci un ritorno circa<br />
quello che è stato fatto. Per esempio, siamo stati coinvolti<br />
nella prima parte di un <strong>progetto</strong>, abbiamo fatto tutta una<br />
serie di questionari. I risultati sono apparsi sui giornali senza<br />
che noi ne sapessimo nulla.<br />
Rivedo un protocollo. Ci metto tutta me stessa. Consegno<br />
il lavoro al mio diretto superiore che lo prende, lo<br />
mette sulla scrivania e mi dice: “Quando avrò tempo…”.<br />
Sono passati più di tre mesi e non ne so ancora nulla…<br />
Quando ho aspettative che non hanno risposta, guardo<br />
il mio interlocutore e il tempo diventa eterno. Rispetto<br />
a quanto è pressante la domanda, si dovrebbe capire<br />
quanto è urgente dare una risposta. Se ad esempio un<br />
paziente suona il campanello, io devo dare una risposta in<br />
un tempo ragionevole. Certo, mi si può anche rispondere:<br />
“Ti rispondo tra un’ora, un giorno, una settimana…”.<br />
L’importante è che se pongo una domanda, per esempio<br />
al mio dirigente, devo almeno avere modo di dare una misura<br />
all’attesa…<br />
55<br />
come la migliore espressione<br />
<strong>del</strong>la considerazione per la sfera<br />
interiore <strong>del</strong> collaboratore.<br />
Per la sua fondamentale importanza<br />
occorre progettare<br />
le dinamiche di ascolto e<br />
prevedere convenienti tempi,<br />
spazi e risorse.<br />
vedi 3.2<br />
Per feedback si intende un<br />
significativo messaggio di ritorno<br />
che dal destinatario di<br />
una qualche iniziale comunicazione<br />
ritorna al mittente.<br />
L’impegno a dare risposta ad<br />
ogni segnalazione o richiesta<br />
oppure un qualche ritorno<br />
circa l’esecuzione di lavori,<br />
nella maniera quanto più articolata<br />
e tempestiva possibile,<br />
è essenziale.<br />
Costituisce uno dei modi più<br />
evidenti attraverso cui emerge<br />
l’intenzione di instaurare<br />
dinamiche lavorative improntate<br />
al reciproco riconoscimento.<br />
Indica che ci siamo accorti<br />
che non esistiamo solo noi e<br />
che il mondo è popolato da<br />
altri esseri, che chiedono di<br />
essere semplicemente notati,<br />
riconosciuti per ciò che sono<br />
e che fanno.
56<br />
Delacroix, La libertà che guida il popolo, 1830<br />
Una figura femminile seminuda, con un berretto giacobino,<br />
armata di moschetto e con la bandiera in mano,<br />
guida l’insurrezione popolare.<br />
I ribelli caricano con foga, tra i caduti e i feriti agonizzanti.<br />
Colei che guida è protesa in avanti, verso le posizioni<br />
da conquistare. Eppure che cosa guarda? Verso dove dirige<br />
lo sguardo e l’attenzione?
Valore in gioco<br />
Riconoscimento<br />
Riconoscimento<br />
Un certo rattrappimento egocentrico porta sovente a non notare<br />
la significatività <strong>del</strong> lavoro altrui, a tras<strong>cura</strong>re l’impegno e i risultati<br />
raggiunti da chi ci sta al fianco Disprezzare è piuttosto semplice,<br />
basta cedere alla presunzione e all’indifferenza. La maturità personale<br />
e la caratura professionale si misurano invece dalla capacità<br />
di riconoscere il valore di ciò che ci circonda e dall’impegno a non<br />
vilipendere la considerazione che colleghi e collaboratori nutrono<br />
per il loro lavoro.<br />
Le gratificazioni e i riconoscimenti, naturalmente se meritati, non<br />
vanno considerati come elementi accessori <strong>del</strong>la vita lavorativa. Non<br />
siamo isole e neppure automi. Ciascuno di noi si nutre di ciò che<br />
trova in se stesso e di ciò che ricava dalle persone che lo circondano.<br />
Occorre evitare di considerare il lavoro alla luce <strong>del</strong> solo dovere<br />
o <strong>del</strong>la semplice remunerazione economica a cui è commisurato.<br />
Piuttosto vitalizzarlo con la reciproca considerazione.<br />
In tal senso gioca un ruolo fondamentale l’ascolto, in particolare<br />
per chi deve dirigere. Un buon capo è innanzi tutto un buon<br />
ascoltatore. Dedica tempo ed energie per sintonizzarsi su quanto i<br />
collaboratori pensano e provano, si interessa alla vita <strong>del</strong> gruppo, fa<br />
sentire la sua vicinanza alle persone che lo circondano.<br />
Senza naturalmente dimenticare che l’ascolto attento di quanto<br />
il paziente - utente ha da dirci è condizione imprescindibile per il<br />
successo di qualsivoglia percorso di <strong>cura</strong>.<br />
57<br />
indirizzi etici<br />
organizzativi<br />
Tutte le figure professionali hanno pari dignità. Nessuna, pur nella<br />
differenza <strong>del</strong>le mansioni e dei ruoli, deve considerarsi o essere considerata<br />
accessoria.<br />
Le diverse Strutture/Servizi svolgono ruoli complementari e necessari<br />
al raggiungimento degli obiettivi di Salute. Va quindi decisamente<br />
scoraggiata, ad ogni livello, la reciproca non considerazione e diffidenza.<br />
Il fattivo contributo di ciascuna persona e di ciascuna Struttura / Servizio<br />
deve essere apertamente apprezzato, debitamente riconosciuto e<br />
valorizzato in tutte le forme e i modi che il sistema organizzativo offre.<br />
L’ascolto è considerato un valore chiave attraverso cui accrescere la<br />
motivazione <strong>del</strong> personale, favorire una buona relazione con l’utenza,<br />
raggiungere l’eccellenza <strong>del</strong>le prestazioni.
impegni verso tutte le persone<br />
Integrazione<br />
valore: 7 Sentirsi parte<br />
7.1 Conoscere le tappe e il traguardo<br />
Che cosa fa di un agire meccanico<br />
un agire umano?<br />
Dare “senso” a un qualcosa<br />
significa dotarlo di una ragione<br />
profonda in grado di farlo<br />
percepire come parte di un<br />
tutto più vasto.<br />
Significa dare all’agire coordinate<br />
di spazio e di tempo,<br />
tracciare una rotta che contenga<br />
un chiaro e condiviso<br />
punto di partenza e uno di<br />
arrivo.<br />
vedi 14.1<br />
Certe diffidenze tra amministrativi<br />
e sanitari possono decisamente<br />
ridursi a fronte <strong>del</strong>la<br />
comprensione e condivisione<br />
degli obiettivi perseguiti.<br />
58<br />
Sarebbe bello poter dare a ognuno la spiegazione <strong>del</strong><br />
senso di tutto il processo. Lo vedo quando lavoro con gli<br />
operai. Il problema è che spesso non c’è il tempo né l’occasione<br />
e i momenti di confronto non sono mai stati riconosciuti<br />
come degni, come utili. All’operaio dico solo un<br />
pezzetto <strong>del</strong> lavoro, magari lui sarebbe anche più bravo<br />
di me, per esperienza o perché potrebbe venirgli in mente<br />
un’alternativa migliore. Ma non ho il tempo di spiegargli<br />
tutto, così gli dico solo quel pezzo che deve fare lui. Dopo<br />
mi rendo conto che è una stupidaggine.<br />
Il problema è che non si guarda ad un obiettivo comune:<br />
ognuno lavora nel suo ufficio, per il suo ufficio. Molte<br />
volte tra colleghi ci si aiuterebbe anche, ma c’è chi ti<br />
blocca e ti dice di continuare a fornire meccanicamente i<br />
dati come si è sempre fatto. Una chiara condivisione degli<br />
obiettivi può essere la chiave.<br />
Non funzioniamo così bene come dovremmo perché<br />
c’è confusione. Abbiamo bisogno di un po’ di silenzio: da<br />
quando entri al mattino è tutto un tramestio, uno scalpiccio,<br />
un chiacchiericcio… Non riusciamo ad avere spazio<br />
per riflettere insieme, parliamo sempre <strong>del</strong>la situazione urgente<br />
che bolle, ma io piuttosto comincerei ogni tanto la<br />
giornata con una riunione programmatica, per discutere<br />
su dove stiamo andando e perché.<br />
Le cure domiciliari sul territorio sono un lavoro tosto, ci<br />
vuole capillarità, conoscenza. All’inizio mancava il coordinamento<br />
amministrativo e gestionale dei dati <strong>del</strong>le attività, che è<br />
stato creato in un secondo momento. Gli operatori, quando<br />
hanno iniziato a crocettare le attività vedevano tale compito<br />
solo come un aggravio. Allora mi sono messa a spiegare che<br />
ne va <strong>del</strong> nostro futuro se non sappiamo evidenziare quanto<br />
facciamo, chi sono gli utenti, che tipo di servizi eroghiamo.<br />
Ho spiegato che il lavoro va reso visibile e gli si deve dare<br />
dignità e riconoscimento. Nessuno mi ha detto di andare a<br />
parlare con le infermiere. E invece bisogna spiegare, così<br />
possono capire il perché di quei dati su quei foglietti.<br />
Ci sono certi servizi dove se non compili un certo foglio,<br />
che a te sembra una schiocchezza, poi la compilazione<br />
risulta essere di vitale importanza. Però <strong>del</strong>la sua<br />
importanza lo si viene a sapere sempre dopo…
Il mio direttore, prima di inviare le persone individuate<br />
ad un incontro di formazione, solitamente tiene un piccolo<br />
incontro in cui spiega il senso e le finalità <strong>del</strong> <strong>progetto</strong><br />
formativo.<br />
Ieri con i miei collaboratori ho speso un’ora per spiegare<br />
cos’è il <strong>progetto</strong> Carta Etica e che cosa avrebbero fatto<br />
nei gruppi di lavoro. Poi a chi ha deciso di partecipare ho<br />
consegnato una copia <strong>del</strong> programma.<br />
Penso che essere mandati ad un corso di formazione<br />
senza un minimo di spiegazione sia una piccola violenza.<br />
Prima anch’io pensavo che la forma non contasse, che<br />
fosse importante il contenuto. Poi ho capito che anche<br />
la forma è molto importante: non posso telefonare a mia<br />
moglie e dirle: “Tu! Dalle 5 alle 7 vai a fare la spesa.”<br />
E non penso che funzionerebbe neppure se lei facesse<br />
così con me…<br />
7.2 Comparti stagni<br />
Una grossa parte di problemi deriva dal fatto che in un’ex<br />
ASL si faceva in un modo, nell’altra si faceva in un altro modo<br />
e la forma mentis è ancora diversa, ancorata alle vecchie<br />
prospettive. Quando ad esempio nella mia Struttura faccio<br />
notare che in altre realtà è diverso, le risposte che ottengo<br />
sono: “Tu non ti preoccupare di quegli altri, qui è così”.<br />
Il rapporto con l’ufficio <strong>del</strong>l’altra sede analogo al nostro<br />
è buono: la nostra responsabile ci riunisce tutti insieme,<br />
così possiamo vederci, parlarci, è un momento di aggregazione.<br />
Certo, all’inizio non è stato facile, ma ci siamo<br />
dovuti adeguare ed integrare.<br />
Lavoro al CUP, con il lavoro che facciamo lì non c’è<br />
molto spazio per discutere insieme. Arrivi al mattino per<br />
i prelievi e ci sono già 150 persone, non c’è tempo per<br />
null’altro… Siamo al punto che ci salutiamo appena. Siamo<br />
come estranei, talmente assorbiti dall’utenza che non<br />
c’è nemmeno il tempo per dire “Ciao, come stai?”… Non<br />
c’è il tempo per il dialogo, neanche per chiedere: “Ma tu<br />
come fai questa cosa?”. L’unico momento in cui ci si parla<br />
è se c’è qualche problema grosso.<br />
Penso che una cosa che inficia tutti i nostri sforzi sia<br />
la difficoltà di comunicare. Credo che sia dovuta ad una<br />
scarsa considerazione nei confronti <strong>del</strong> prossimo. Ognuno<br />
crede che il proprio lavoro sia il più faticoso, il peggio retribuito,<br />
che gli altri facciano poco o nulla. Occorrerebbe una<br />
maggiore attenzione e considerazione per ciò che va oltre<br />
il confine <strong>del</strong> nostro orticello.<br />
Integrazione<br />
59<br />
L’atteggiamento di chi partecipa<br />
ad un percorso formativo<br />
muta a seconda che abbia<br />
o meno la consapevolezza<br />
degli obiettivi <strong>del</strong> percorso,<br />
<strong>del</strong>le ricadute attese, <strong>del</strong> significato<br />
<strong>del</strong>la propria presenza?<br />
Se sì, come?<br />
Che cosa rafforza e che cosa<br />
sfalda i comparti stagni?
impegni verso tutte le persone<br />
Occorre promuovere, a tutti i<br />
livelli e in tutti gli ambiti, non<br />
solo nuovi comportamenti<br />
ma una nuova cultura <strong>del</strong> lavorare<br />
e <strong>del</strong>lo stare insieme.<br />
L’URP è “soltanto” un servizio<br />
per una migliore comunicazione<br />
con l’utenza?<br />
L’URP è l’espressione di una<br />
nuova cultura <strong>del</strong> lavorare insieme,<br />
all’insegna <strong>del</strong>la partecipazione<br />
collettiva ad un<br />
disegno comune.<br />
Quali margini di inefficienza e<br />
di mal essere genera la centratura<br />
sulle proprie logiche e<br />
il conseguente mancato coordinamento<br />
tra ruoli e servizi?<br />
vedi 6.1<br />
60<br />
Penso che manchi la visione d’insieme, intesa come<br />
consapevolezza <strong>del</strong> fatto che il proprio lavoro ha <strong>del</strong>le ripercussioni<br />
sul lavoro di tutti gli altri. Si lavora per comparti<br />
stagni. È diventato un po’ un luogo comune dire: “Questo<br />
non mi compete”.<br />
La nostra amministrazione, aprendo l’URP, ha scelto<br />
di aiutare, di aprire una porta al cittadino: hanno chiesto<br />
a me e ad una collega, ci hanno dato tempo per<br />
prepararci, abbiamo fatto molti corsi, siamo maturate<br />
professionalmente… A me questo cambiamento è<br />
servito molto e ci siamo anche rese conto subito che<br />
i cittadini avevano accettato con entusiasmo l’URP. Il<br />
nostro problema, piuttosto, è che ci manca la cultura<br />
<strong>del</strong>la relazione: non siamo ancora pienamente accettati<br />
dai colleghi, siamo ancora dei “bambini” in quanto<br />
settore che promuove scambi e sinergie.<br />
L’URP ha la funzione di smaltimento <strong>del</strong>le richieste <strong>del</strong><br />
pubblico. Ma ci sono servizi che non passano le informazioni,<br />
mi dicono piuttosto: “Fai venire qua l’utente”. Ma perché?<br />
Non ti rubo nulla, sei tu lo specialista! Dicono: “Meglio<br />
se quella cosa la dico io”. Il problema di questo tipo di persone<br />
è che si gratificano con questo piccolo potere…<br />
Io lavoro in laboratorio, ogni tot mesi arriva l’informatico<br />
per l’aggiornamento <strong>del</strong> sistema e mi stacca tutto…<br />
Ma io devo essere in contatto con il Pronto Soccorso, non<br />
posso fermarmi così, essere bloccato in questo modo! Ma<br />
chiamami prima, che così pensiamo insieme a come facilitarci<br />
la vita e ridurre al minimo il disservizio!<br />
A causa di alcuni problemi informatici non possiamo<br />
protocollare, così abbiamo chiamato l’ufficio competente<br />
per avere il nostro numero di protocollo. Ci hanno risposto:<br />
“Non si può, dovete venire qua per averlo.” Ma<br />
ha senso, tra colleghi, e visto che siamo lontani parecchi<br />
chilometri?<br />
7.3 Scambi di saperi<br />
Scontiamo il fatto che l’organizzazione <strong>del</strong> lavoro sia<br />
in alcune sue parti obsoleta. Siamo strutturati secondo un<br />
mo<strong>del</strong>lo gerarchico: si ragiona per reparti, cardio, chirurgia,<br />
ecc. e non abbastanza per paziente da <strong>cura</strong>re. C’è bisogno<br />
di un maggior dialogo tra strutture, anche dal punto<br />
di vista <strong>del</strong> sistema informatico: per esempio, se carico<br />
un paziente nel sistema, automaticamente la sua scheda<br />
dovrebbe comparire a tutti…
Lavoro all’Anagrafe <strong>del</strong> mio Comune: è il posto in cui i<br />
cittadini si rivolgono per qualunque cosa, che sia qualcosa<br />
di nostra competenza o meno. Noi diciamo sempre<br />
agli altri servizi di tenerci aggiornati sulle procedure,<br />
anche quelle che non riguardano noi direttamente, in<br />
modo da poter ben indirizzare i cittadini.<br />
Coordino un gruppo piuttosto grande, in cui si sviluppano<br />
dinamiche individualistiche e di scarsa condivisione<br />
<strong>del</strong>le informazioni. Per cercare di risolvere il problema <strong>del</strong>la<br />
comunicazione interna abbiamo adottato il sistema di usare<br />
due quaderni per la consegna: uno per i pazienti e l’altro<br />
con tutte le informazioni che sono arrivate dall’esterno e<br />
che vanno portate all’attenzione di tutti.<br />
Di solito si viene a sapere ciò che in altre strutture non<br />
va. Dovremmo invece creare una sorta di “archivio <strong>del</strong>le<br />
buone prassi” dove sia possibile segnalare quanto di valido<br />
si sia elaborato e sperimentato, in modo tale che gli<br />
altri possano trovare spunti e ispirazione per cambiare e<br />
migliorare ciascuno la sua realtà.<br />
Noi <strong>del</strong> CUP siamo gli operatori in prima linea, dovremmo<br />
essere quelli più preparati e invece siamo gli “ultimi”.<br />
Alle volte è addirittura dall’utenza che scopri che nell’altro<br />
distretto fanno una cosa diversa da quella che fai tu, allora<br />
chiami la collega e cerchi di sbrogliartela, ma non c’è un<br />
coordinamento comunicativo, una comunicazione continua<br />
che garantisca l’omogeneità.<br />
È miope continuare a lavorare e vivere secondo il principio<br />
per cui coltivare esclusivamente il proprio orticello<br />
porta dei vantaggi. Perché quello che so non lo dico anche<br />
all’altro? Perché il sapere diventa una sorta di piccolo<br />
potere: se ciò che so lo so solo io ne faccio un uso di cui<br />
rispondo io e magari riesco ad arrivare lì prima <strong>del</strong>l’altro.<br />
Invece bisognerebbe promuovere un altro atteggiamento<br />
e dire “impara l’arte e non metterla da parte”.<br />
In passato tutti sapevano un po’ tutto, ognuno aveva<br />
la sua specializzazione, ma se mancava qualcuno non era<br />
un problema. Oggi invece la norma è che se manca quello<br />
che si occupa di una certa cosa tutto tende a bloccarsi.<br />
7.4 Conoscersi<br />
Ci sono pezzi <strong>del</strong>l’Azienda sconosciuti agli altri. Io mi<br />
occupo di prevenzione e di sicurezza sul lavoro, faccio naturalmente<br />
parte <strong>del</strong>l’ASL, ma mi è capitato più volte di<br />
Integrazione<br />
61<br />
Quali sono le conseguenze<br />
di informazioni che non circolano<br />
e di conoscenze non<br />
condivise?<br />
Le attività rimangono parcellizzate<br />
favorendo il senso di<br />
isolamento di alcune strutture;<br />
idee e buone prassi rimangono<br />
confinate in ambiti ristretti<br />
e non incidono come potrebbero<br />
sulla qualità complessiva<br />
<strong>del</strong> sistema; l’utenza<br />
percepisce un sevizio confuso<br />
e approssimativo; vanno sprecate<br />
le tante possibili sinergie<br />
tra persone e strutture.<br />
Che cosa comporta la sindrome<br />
<strong>del</strong>la gestione privatistica<br />
<strong>del</strong> lavoro?<br />
Chi ne è affetto ha un distorto<br />
senso <strong>del</strong>la mansione e <strong>del</strong><br />
ruolo che ricopre, considera<br />
ciò che sa e che fa una proprietà<br />
personale e inalienabile,<br />
che va egoisticamente difesa<br />
e fatta fruttare ai propri fini.
impegni verso tutte le persone<br />
Quali sono le strutture che<br />
sono poco sotto i riflettori o<br />
che addirittura risultano semisconosciute<br />
a molti operatori?<br />
Come favorire una maggiore<br />
conoscenza reciproca circa<br />
compiti e funzioni?<br />
Che cosa è uno stereotipo?<br />
Il più <strong>del</strong>le volte è una gabbia<br />
in cui rinchiudiamo la nostra<br />
e l’altrui libertà di pensiero.<br />
vedi 2.4<br />
62<br />
chiamare il Pronto Soccorso, qualificarmi, chiedere la prognosi<br />
di qualche paziente, perché da quello dipende il mio<br />
intervento. Mi sono sentito rispondere: “No, guardi, c’è la<br />
privacy e noi alle ditte esterne non possiamo dire nulla”.<br />
Per molti <strong>del</strong>l’azienda praticamente noi non esistiamo.<br />
Abbiamo avuto un problema con i computer. Abbiamo<br />
telefonato a chi si occupa <strong>del</strong> sistema informatico, gli abbiamo<br />
spiegato chi siamo, dove ci troviamo e questi neanche<br />
sapevano <strong>del</strong>la nostra esistenza… Ci hanno detto “Ma<br />
voi chi siete? Dove siete? Da dove saltate fuori?”<br />
La conoscenza che abbiamo circa il lavoro dei colleghi<br />
di altre strutture sovente non va molto oltre una sigla: forse<br />
sarebbe necessario che ogni struttura o dipartimento<br />
avesse periodicamente l’occasione per spiegare agli altri<br />
le sue funzioni e i suoi compiti caratteristici.<br />
Io ho due pagine scritte fitte fitte di strutture che esistono<br />
su questo territorio enorme e sto cercando di vederle<br />
tutte, ma è davvero difficile. Certi operatori non sanno<br />
nemmeno che esistono certe strutture...<br />
Noi patiamo di quella che chiamo “la solitudine <strong>del</strong>l’informatico”.<br />
Le attese dei colleghi nei nostri confronti sono<br />
sovente sproporzionate ai nostri mezzi e ciò rischia sovente<br />
di inficiare il rapporto di fiducia nei nostri confronti.<br />
È molto importante considerare le persone al di là <strong>del</strong><br />
ruolo, perché spesso siamo accecati dai pregiudizi. Quando<br />
scattano questi meccanismi si resta ingabbiati lì, l’etichetta<br />
ti assorbe, non si riesce più a staccarsela di dosso…<br />
In passato abbiamo avuto rapporti di diffidenza con i<br />
CUP vicini: l’idea di ciascuno era che “da noi si lavora tanto,<br />
là non si fa nulla, laggiù non capiscono niente” e così via. È<br />
bastata una cena tra di noi e un altro CUP, ci siamo visti in<br />
faccia, ci siamo confrontati e le cose sono cambiate.<br />
Il cambiamento si gioca molto sulle rappresentazioni, e<br />
cioè sul fatto che io mi rappresento e penso di conoscere che<br />
cosa - chi sia l’altro. È difficile incontrarsi perché ci si basa su<br />
idee precostituite. Un esempio: a noi mancano due persone,<br />
non vuole venire nessuno da noi perché le rappresentazioni<br />
dicono che da noi si lavora troppo, che da noi i capi sono<br />
<strong>del</strong>la zona, che da noi non si sa cosa succederà…<br />
Sono molto utili i corsi di formazione fatti insieme: ci si<br />
conosce, si capiscono cose circa ruoli e funzioni, si vedono<br />
le persone sotto altri punti di vista, si capisce che molti sono<br />
in gamba nonostante le etichette che magari circolano…
7.5 Lavoro d’équipe<br />
Sono la responsabile <strong>del</strong> settore in cui lavoro e credo<br />
molto nel lavoro di équipe. In questo <strong>del</strong>icato momento di<br />
accorpamento in cui ho “ereditato” <strong>del</strong> personale sto cercando<br />
di creare un gruppo unito. Sfrutto le problematiche<br />
che emergono per riunire gli operatori e insieme a loro sto<br />
cercando di unificare le procedure, nel senso di trovare<br />
un indirizzo comune per le strutture che seguo, cioè nei<br />
diversi capitolati e nei diversi servizi che formiamo.<br />
Noi facciamo training sul protocollo perché non è tanto il<br />
fare, ma piuttosto è il confronto tra colleghi che ci fa arrivare<br />
al risultato. Facciamo riunioni di gruppo tutti i giorni, perché<br />
per noi è molto importante il confronto reciproco: per<br />
esempio alcuni possono avere problemi a relazionarsi con<br />
qualche paziente, magari uno di noi può non essere preso<br />
in simpatia. Il collega a cui capita questo deve essere bravo<br />
a rendersene conto, se ne discute insieme e si decide come<br />
risolvere il problema. In ogni caso l’addestramento di ogni<br />
paziente viene condiviso da tutti gli operatori. Il percorso <strong>del</strong><br />
paziente è questo: lo si fa accedere all’ambulatorio, viene<br />
addestrato nell’arco <strong>del</strong>la mattinata, chi lo segue annota i<br />
passi avanti o indietro che il paziente ha fatto. Poi di questo<br />
se ne parla in riunione, ci si danno suggerimenti: “Potresti<br />
fare così”; “Hai bisogno di una mano? Vengo io”. A queste<br />
discussioni noi dedichiamo almeno un’ora al giorno. Sarebbe<br />
difficile non farle.<br />
A me, oltre che alcune referenze “tecniche”, è stata<br />
attribuita una referenza assolutamente innovativa: il garante<br />
<strong>del</strong>la “buona salute e <strong>del</strong> buon clima” <strong>del</strong> gruppo di<br />
lavoro.<br />
Anni fa avevamo chiesto un corso perché avevamo dei<br />
problemi a lavorare insieme, ma il tema <strong>del</strong> corso è stato<br />
spostato sul servizio all’utente perché ci hanno detto: “Per<br />
quel che mi riguarda, se vi serve questo corso per lavorare<br />
bene insieme, toglietevelo dalla testa perché di come<br />
lavorate insieme non interessa. In Alitalia cambiano le hostess<br />
sempre perché quello che importa è solo il servizio<br />
all’utente”. Per fortuna le cose stanno cambiando…<br />
Come coordinatrice io sono molto attenta a non tras<strong>cura</strong>re<br />
gli aspetti di relazione. Questa cosa mi è stata rimproverata<br />
dai miei superiori, in quanto secondo loro dovrei<br />
essere più “distaccata”. Secondo me per coordinare devo<br />
sapere quali sono i problemi e le dinamiche <strong>del</strong> gruppo.<br />
Invece mi viene detto che “alla caposala è richiesto qualcos’altro”.<br />
Allora: o sono vecchia e superata, oppure…<br />
Integrazione<br />
63<br />
Qual è il tratto distintivo di un<br />
gruppo di lavoro?<br />
I membri di un team hanno<br />
la chiara consapevolezza di<br />
essere interdipendenti, complementari<br />
e portatori ciascuno<br />
di prospettive che,<br />
proprio per la loro diversità,<br />
concorrono al raggiungimento<br />
<strong>del</strong>l’obiettivo comune.<br />
Quanto è importante un<br />
gruppo di lavoro integrato e<br />
coeso?<br />
Qual è il suo valore?<br />
Quanto impatta sulla qualità<br />
<strong>del</strong> servizio?<br />
Un gruppo non è solo una<br />
somma di individualità. È un<br />
qualcosa di più, che emerge<br />
dalle particolari relazioni tra i<br />
suoi componenti.<br />
La gestione <strong>del</strong>le dinamiche<br />
di gruppo deve quindi essere<br />
considerata come uno dei più<br />
importanti aspetti <strong>del</strong>l’attività<br />
di coordinatori e dirigenti.
impegni verso tutte le persone<br />
L’integrazione tra le persone<br />
e i ruoli e il loro reciproco riconoscimento<br />
sono alla base<br />
<strong>del</strong>l’approccio terapeutico integrato.<br />
64<br />
Ci deve essere comunicazione tra l’infermiere sul territorio<br />
e la caposala, bisogna fare un lavoro di rete. Un<br />
esempio concreto: c’è un paziente da dimettere, lunedì la<br />
caposala contatta il servizio domiciliare, dice: “Lo dimettiamo<br />
mercoledì, chi lo segue?” Se ci si parla, il mercoledì<br />
è tutto pronto. Invece capita che chiami il medico e dica:<br />
“Due giorni fa è stato dimesso un paziente, perché nessuno<br />
è andato a vederlo?”<br />
Lavoro alle cure palliative, penso che sia importante<br />
l’équipe di lavoro, sia come modalità di approccio professionale,<br />
sia come sostegno. Il mio è un lavoro molto<br />
pesante dal punto di vista psicologico e il sostegno <strong>del</strong><br />
gruppo è fondamentale. Per anni abbiamo lavorato da soli,<br />
adesso c’è una coordinatrice che ci sta un po’ rivoluzionando,<br />
ed è uno stimolo per tutti. Certo, ci sono ancora<br />
cose da migliorare. Per esempio, spesso l’affidare un<br />
paziente al nostro servizio è una <strong>del</strong>ega totale, il medico<br />
sparisce. Altre volte è troppo presente, tanto da diventare<br />
un’interferenza. Con gli altri reparti forse è questione di farci<br />
conoscere. A volte possiamo essere visti come l’ultima<br />
spiaggia, quando il paziente è alla fine, invece di essere<br />
abbandonato lo mandano da noi. Da parte di altri servizi,<br />
invece, c’è condivisione e collaborazione.<br />
Ciò che noto di grave è che spesso non sentiamo la<br />
mancanza di comunicazione, l’atteggiamento corrente è:<br />
“È il mio paziente, me lo vedo io”.<br />
Sono coordinatrice dei servizi palliativi domiciliari e<br />
quindi ho contatto con diversi servizi. Il gruppo di lavoro<br />
è l’elemento fondamentale che qualifica il servizio offerto<br />
e non è dato dalla semplice somma degli elementi che lo<br />
compongono. È qualcosa che si crea a seguito <strong>del</strong>l’integrazione<br />
di una serie di specificità. Il nostro è un gruppo<br />
multidisciplinare, che riunisce competenze diverse e che<br />
possono entrare in conflitto tra di loro nella <strong>cura</strong> <strong>del</strong>lo stesso<br />
paziente. Abbiamo infatti un’utenza primaria, che è il<br />
paziente; un’utenza secondaria, i familiari <strong>del</strong> paziente; e<br />
un’utenza terziaria, che sono i colleghi degli altri servizi, le<br />
associazioni di volontariato, servizi diversi con cui si può<br />
entrare in contatto. Bisogna tener conto di tutto lavorando<br />
tutti insieme!<br />
7.6 Incontri istituzionalizzati<br />
Da un anno e mezzo ho funzioni di caposala. È un bel<br />
gruppo, mi sento fortunata a lavorare con loro. Adesso<br />
stiamo cercando di crearci e pianificare dei momenti di<br />
discussione perché parlare solo in corridoio lamentandosi<br />
fa male al gruppo. Invece è di aiuto poter avere lo spazio
e il tempo per una discussione finalizzata a far emergere<br />
critiche costruttive.<br />
Noi facciamo incontri giornalieri con medici e infermieri,<br />
li facciamo al cambio turno e riguardano i pazienti e quello<br />
che è successo in reparto. Tutti i giorni, tra le 14 e le 15<br />
facciamo questi incontri che sono più di un passaggio di<br />
consegne… A volte abbiamo più tempo, altre volte meno,<br />
ma è comunque molto importante incontrarsi.<br />
Noi ci incontriamo una volta alla settimana per un paio<br />
d’ore. Ognuno parla <strong>del</strong> proprio paziente, ma poi, dopo<br />
aver detto la sua, ciascuno si fa i fatti suoi, manda messaggini,<br />
legge un libro. Poi però si lamentano che “non si<br />
fanno riunioni”…<br />
Io lavoro in un Servizio in cui, nonostante si stia in spazi<br />
ridotti, riusciamo lo stesso a ignorarci, a non salutarci. Il<br />
nostro direttore ha sospeso le riunioni di confronto perché<br />
non servivano se non a lamentarsi reciprocamente.<br />
Da noi molte volte le riunioni non vengono fatte perché<br />
generano conflitti, quindi si evita di farle: è un modo per<br />
fuggire il problema…<br />
Non basta mettere le persone attorno ad un tavolo!<br />
La comunicazione è fondamentale, ma una comunicazione<br />
efficace non si improvvisa. Per esempio, una riunione<br />
informativa non è una riunione formativa, e in certe riunioni<br />
di revisione non si discutono casi complessi...<br />
Integrazione<br />
65<br />
Quanto è importante la pianificazione,<br />
la periodicità e<br />
la calendarizzazione dei momenti<br />
di incontro?<br />
Con quale atteggiamento<br />
partecipare ad una riunione?<br />
Una riunione è un’occasione<br />
attraverso cui manifestare il<br />
proprio coinvolgimento nella<br />
vita <strong>del</strong> gruppo e il maturato<br />
riconoscimento <strong>del</strong>l’altrui dignità.<br />
L’esposizione <strong>del</strong>le proprie<br />
idee e l’ascolto di quelle<br />
altrui devono quindi sempre<br />
essere intesi come espressioni<br />
comunicative strettamente<br />
complementari.<br />
Perché non sia una perdita di<br />
tempo o un incontro confuso<br />
la riunione va pianificata, guidata<br />
e gestita diversamente a<br />
seconda <strong>del</strong>le sue funzioni.
66<br />
Bruegel, La parabola dei ciechi, 1568<br />
Un gruppo di ciechi percorre la campagna.<br />
Il primo <strong>del</strong>la fila cade in un fosso. Il secondo gli rotola addosso.<br />
Uno alla volta, in maniera <strong>del</strong> tutto scoordinata,<br />
tutti gli altri faranno la stessa fine.<br />
Perché tutti i ciechi cadono nel fosso? Hanno forse avuto<br />
un’eccessiva cieca fiducia in colui che li guida? Può essere.<br />
Curioso però che, benché privi <strong>del</strong>la vista, sembrino non servirsi<br />
degli altri sensi. Perché chi cade non avverte con la voce gli altri?<br />
Oppure, se lo fa, perché gli altri non lo ascoltano?
Valore in gioco<br />
Integrazione<br />
La sorte dei ciechi di Bruegel richiama alcune patologie <strong>del</strong>la vita<br />
organizzativa. Le dinamiche lavorative spingono sovente gli operatori<br />
a vivere relazioni meccaniche e strumentali. L’abitudine a chiudersi nei<br />
propri confini professionali determina l’assenza di immedesimazione<br />
nell’altro e l’incapacità di decentrarsi per fare posto all’altrui prospettiva.<br />
La mancanza di abitudine al confronto produce isolamento e assenza<br />
di visione d’insieme. L’incapacità di coordinare gli sforzi causa<br />
il depauperamento <strong>del</strong>le risorse individuali e sacche di inefficienza e di<br />
inefficacia <strong>del</strong> sistema.<br />
Quando il raggiungimento <strong>del</strong>l’obiettivo dipende dalla capacità di<br />
integrare risorse (informazioni, conoscenze, esperienze) che sono in<br />
possesso di persone diverse, occorre maturare una corretta idea di<br />
integrazione. Che non vuol dire fondersi e annullarsi in un’unica forza<br />
perdendo la propria identità e i propri caratteri distintivi. Integrazione<br />
significa coordinamento attraverso il mutuo riconoscimento, completamento<br />
reciproco, processo che rende appunto “integro”, cioè senza<br />
menomazioni, il sistema organizzativo attraverso il corretto raccordo<br />
<strong>del</strong>le parti che lo costituiscono.<br />
Integrazione<br />
67<br />
indirizzi etici<br />
organizzativi<br />
La logica dei comparti stagni è dannosa per la qualità <strong>del</strong>la vita di lavoro<br />
e per la funzionalità <strong>del</strong> sistema organizzativo. Vanno quindi scoraggiati i<br />
comportamenti improntati alla chiusura e all’arroccamento.<br />
Ciascuna Struttura / Servizio deve maturare interesse per logiche, priorità,<br />
procedure <strong>del</strong>le altre parti <strong>del</strong>l’organizzazione, in vista di una corretta<br />
armonizzazione <strong>del</strong>le funzioni e dei servizi offerti.<br />
Favorire presso tutti gli operatori la conoscenza degli obiettivi <strong>del</strong>la<br />
Struttura / Servizio deve essere considerato elemento essenziale per una<br />
vita lavorativa retta da un principio di partecipazione responsabile.<br />
L’integrazione tra ruoli Sanitari e Amministrativi, tra Ospedale e Territorio è<br />
nevralgica per il raggiungimento dei traguardi di Salute.<br />
Vanno incoraggiati, a tutti i livelli e in tutti i ruoli, gli scambi di saperi<br />
finalizzati a rendere patrimonio organizzativo le conoscenze di singole<br />
persone o Strutture. Gli incontri all’interno e tra Strutture / Servizi finalizzati<br />
alla reciproca conoscenza e all’integrazione dei saperi vanno considerati<br />
parte integrante <strong>del</strong>l’attività lavorativa.<br />
Il gruppo di lavoro e il lavoro di gruppo vanno considerati elementi cruciali<br />
per la qualità <strong>del</strong> servizio offerto. Devono quindi essere debitamente<br />
monitorati, tutelati e promossi da coordinatori e dirigenti.
impegni verso il nostro lavoro<br />
valore: 8 Produrre futuro<br />
Speranza<br />
Coraggio 8.1 Zavorre<br />
Come reagire di fronte a coloro<br />
che sembrano rifiutare la<br />
possibilità stessa <strong>del</strong> cambiamento<br />
e fanno <strong>del</strong>lo scetticismo<br />
il loro vessillo?<br />
Tra le altre si aprono due<br />
possibilità.<br />
Da una parte evitare di farsi<br />
contagiare dal loro atteggiamento,<br />
moltiplicando le<br />
occasioni di incontro e di<br />
confronto con coloro che,<br />
anche all’interno <strong>del</strong> <strong>progetto</strong><br />
“Carta Etica”, si impegnano<br />
al miglioramento <strong>del</strong>la vita<br />
lavorativa.<br />
Dall’altra non cercare di farli<br />
cambiare a tutti i costi, piuttosto<br />
non rinunciare a “dissodare”<br />
il terreno con spunti e<br />
continue proposte.<br />
Che cosa può significare vivere<br />
un grande cambiamento<br />
come l’accorpamento senza<br />
ingenue illusioni, ma anche<br />
senza croniche diffidenze?<br />
68<br />
Alcuni colleghi ti buttano addosso tutta la loro demotivazione:<br />
tutto va male, tutto è negativo, il turno, il paziente…<br />
Tolgono l’aria, impediscono di respirare, ti spingono a<br />
pensare: “Ma chi me lo fa fare?”<br />
Certi ti dicono: “Ma vale davvero la pena impegnarsi<br />
in questa cosa, che poi magari lavori solo di più?” Ma il<br />
punto è che io qui ci vengo tutti i giorni e devo viverci otto<br />
ore. Se poi i frutti sono per quelli che verranno dopo, non<br />
importa, sono soddisfatta lo stesso.<br />
Dopo un corso di formazione sono tornata in ufficio<br />
tutta entusiasta e ho provato a spiegare che cosa avevamo<br />
fatto. Mi hanno fermata dicendo: “Tanto per la gente<br />
che c’è qui dentro non si può riuscire a fare niente…”. Mi<br />
ha intristito.<br />
“È inutile, tanto qui non cambierà mai nulla…” E così ti<br />
smontano tutto quello che cerchi di fare…<br />
Non penso che l’importante sia sempre che le persone<br />
si persuadano di qualche cosa, piuttosto riuscire a innescare<br />
una discussione, far smuovere la crosta di apatia di<br />
certe persone.<br />
8.2 Osservatori partecipi<br />
Ognuno di noi ha le proprie croci, ma bisogna credere<br />
nel proprio lavoro. Ho molti anni di servizio, la pensione<br />
non è lontana, ma questa cosa <strong>del</strong>l’accorpamento mi interessa<br />
e voglio parteciparvi. E poi non ho fretta di rinchiudermi<br />
nella pensione, ho ancora bisogno di confrontarmi<br />
con le persone.<br />
Nei confronti <strong>del</strong>le novità, ad esempio <strong>del</strong>l’accorpamento,<br />
conta molto l’atteggiamento che si adotta. Se l’atteggiamento,<br />
mio e <strong>del</strong> mio ufficio, è di chiusura, <strong>del</strong> tipo<br />
“diventiamo solo più grandi, non ci verrà niente di nuovo” è<br />
un conto; se invece abbiamo un atteggiamento di apertura,<br />
non ingenua, certo, e pensiamo: “possibile che debba<br />
proprio andare tutto male?” allora forse possiamo riuscire
Speranza Coraggio<br />
a prendere il meglio <strong>del</strong>le diverse realtà, possiamo pensare<br />
che si stia tentando di mettere insieme, confrontare,<br />
condividere per migliorare. Forse l’atteggiamento migliore<br />
è quello di essere osservatori partecipi, non tanto preoccupandosi<br />
solo di vedere “come andrà a finire”, piuttosto<br />
di come contribuire a far procedere al meglio le cose.<br />
Deve essere chiara la fisiologia <strong>del</strong> cambiamento: non<br />
possiamo sgranare gli occhioni o arrabbiarci se una macchina<br />
così grande ha bisogno di tempo per trovare la strada.<br />
Prendere atto di questo aiuta a rilassarsi un attimo.<br />
8.3 Cambiamenti<br />
Alcuni ti dicono: “Per vent’anni abbiamo fatto così,<br />
perché dovremmo cambiare?” Pensano che una cosa<br />
vada bene solo perché è così da molto tempo…<br />
Da me c’è poca routine, certe giornate ti senti addirittura<br />
un principiante… Ma tra gli operatori quasi nessuno<br />
riesce ad apprezzare ciò che di buono porta la costante<br />
novità, piuttosto si chiedono solo quando tutto finirà…<br />
Il presupposto è che ci sia <strong>del</strong> personale disposto<br />
a lavorare non con il freno a mano tirato. Se invece hai<br />
gente che dice: “Mah, non so… Mah, boh…. Mah, sei<br />
proprio si<strong>cura</strong>?” allora non si va da nessuna parte.<br />
Di ritorno da qualche corso di formazione ho pensato<br />
che sarebbe bello riuscire a condividere quello che avevo<br />
appreso. Invece ho difficoltà a farlo, un po’ per i tempi,<br />
un po’ perché c’è poca voglia di sperimentare e manca<br />
ancora la cultura <strong>del</strong>l’innovazione.<br />
A me sembrerebbe indecente seguire un percorso o<br />
partecipare ad un <strong>progetto</strong> e poi dopo non fare nulla perché<br />
abbia corso!<br />
Ci siamo messi intorno ad un tavolo, per decidere<br />
come fare un protocollo terapeutico. Abbiamo discusso,<br />
abbiamo deciso, ci hanno dato gli incentivi, poi però<br />
nessuno lo faceva. Non è solo colpa dei responsabili, ma<br />
anche degli operatori che sono restii a cambiare lo stato<br />
<strong>del</strong>le cose. A volte si impiegano 10-15 operatori su un <strong>progetto</strong>,<br />
stanzi dei soldi, poi non viene applicato o applicato<br />
solo in parte…<br />
69<br />
Muoversi e pensare in modo<br />
“circospetto” può essere un<br />
buon atteggiamento, portare<br />
il proprio contributo guardandosi<br />
costantemente attorno,<br />
notando sia quanto ancora<br />
non funziona come dovrebbe<br />
sia quanto sta incominciando<br />
a dare i suoi frutti.<br />
vedi 6.3<br />
Perché sperimentare?<br />
A chi giova l’innovazione?<br />
Certamente il fine ultimo è un<br />
servizio sempre di maggiore<br />
qualità, ma dobbiamo essere<br />
consapevoli che lo sperimentare<br />
ha un grande valore anche<br />
per gli operatori in esso<br />
coinvolti: crea una sana emulazione<br />
tra reparti, favorisce<br />
lo spirito di gruppo, aumenta<br />
l’orgoglio per il proprio lavoro,<br />
riduce l’usura <strong>del</strong>la motivazione.<br />
In quale misura i processi di<br />
cambiamento dipendono anche<br />
dalla volontà e dalla responsabilità<br />
personale?<br />
vedi 6
70<br />
Durer, Il cavaliere, la morte e il diavolo, 1513<br />
L’incisione presenta al centro un cavaliere armato di tutto punto.<br />
Procede a cavallo, eretto, lo sguardo fisso sulla meta.<br />
Attorno a lui trotta la morte: monta un ronzino e tenta<br />
di adescare il cavaliere mostrandogli lo scorrere <strong>del</strong> tempo.<br />
Lo segue il diavolo, armato di una picca. Al suo fianco corre<br />
un cane. Tra le zampe <strong>del</strong> cavallo sguscia una salamandra.<br />
L’opera è una potente allegoria <strong>del</strong>la condizione umana.<br />
Il cavaliere simboleggia il coraggio di esistere e di affermare<br />
la propria umanità, sempre e nonostante tutto.<br />
Nonostante la morte e il senso di insignificanza di molti<br />
dei nostri sforzi, pur nella consapevolezza <strong>del</strong>l’ineluttabile<br />
termine di ogni cosa.<br />
Nonostante il diavolo, il rapprendimento in noi stessi, il cinismo,<br />
l’asservimento agli istinti. Un uomo, armato <strong>del</strong>le sue speranze,<br />
forte <strong>del</strong>le sue aspirazioni. Accompagnato dalla fe<strong>del</strong>tà<br />
ai propri ideali.<br />
Nel segno <strong>del</strong> coraggio e <strong>del</strong>la resistenza contro i cedimenti.
Speranza Coraggio<br />
Valore in gioco<br />
Speranza e Coraggio<br />
Un senso di stanchezza e di disorientamento prima o poi colpisce<br />
tutti coloro che lavorano. C’è chi si rassegna e si arrende al<br />
mal essere a tal punto da non sentirlo più. Altri si sforzano di non<br />
abbandonare la speranza, che altro non è se non la scelta di riservarsi<br />
una libertà dai vincoli di un passato che zavorra, di un presente<br />
che si accontenta di sé, di un futuro privo di prospettive.<br />
Certo non è semplice coltivare il coraggio <strong>del</strong>la speranza.<br />
Soprattutto per la presenza di coloro che hanno fatto <strong>del</strong>lo<br />
scetticismo la loro bandiera, che con il loro cinismo manifestano<br />
indifferenza e disprezzo per qualsiasi slancio ideale. Con i loro<br />
moniti all’insensatezza di ogni nuova idea o prospettiva, vivono<br />
nella rassegnazione e rischiano di contagiare chi incontrano. Non<br />
cedere alle loro lusinghe mantenendosi aperti alle sollecitazioni<br />
<strong>del</strong>l’ambiente lavorativo, significa scegliere di credere alla vita e al<br />
suo inesauribile divenire.<br />
71<br />
indirizzi etici<br />
organizzativi<br />
Il futuro lavorativo va inteso non tanto come qualcosa dal quale difendersi<br />
e premunirsi, ma come dimensione verso cui dirigersi con atteggiamento<br />
costruttivo e partecipativo.<br />
Vanno scoraggiati e combattuti, in chiunque e a tutti i livelli, atteggiamenti<br />
e parole che possano minare nelle persone il gusto e il piacere di realizzare<br />
il ben fare e perseguire il buon vivere.<br />
Il cambiamento di procedure, tecniche, idee, prospettive - se debitamente<br />
motivato e accompagnato - deve essere considerato una fisiologica<br />
condizione lavorativa, essenziale per raggiungere sempre migliori soglie<br />
di qualità <strong>del</strong> servizio e <strong>del</strong>la vita professionale.
impegni verso il nostro lavoro<br />
valore:<br />
Considerazione<br />
Che cosa determina l’alta<br />
considerazione per il proprio<br />
lavoro?<br />
Tra le altre cose, la consapevolezza<br />
che con il lavoro,<br />
sanitario o amministrativo<br />
che sia, non tocchiamo solo<br />
organi o pratiche, ma incidiamo<br />
sull’esistenza <strong>del</strong>le persone,<br />
sulla loro complessiva<br />
condizione di salute e di ben<br />
essere.<br />
Che cosa significa essere esigenti<br />
verso il proprio lavoro?<br />
È importante considerarlo<br />
una dimensione dove trascorriamo<br />
e dove quindi mettiamo<br />
in gioco, nel bene o nel male,<br />
72<br />
9 Esser desti<br />
9.1 Tenerci<br />
In mensa ci sono stati cambiamenti notevoli: si mangiavano<br />
poche cose, sempre quelle, mentre per me diversificare<br />
le cose è un valore. A chi sta tutto il giorno allo<br />
sportello fa piacere, quando va in mensa, trovare un menu<br />
diverso. È un momento di stacco, di relax. Io sento dire:<br />
“Per 1 euro di ticket che pagano non ne vale la pena.” Ma<br />
è per te stesso, per la tua professionalità di cuoco! Ed è<br />
per la possibilità di poter dare qualcosa a una persona<br />
che ne trae piacere! Per esempio, noi facciamo le lasagne,<br />
le facciamo proprio noi. Forse pretendo troppo dai<br />
miei collaboratori, ma io ci tengo…<br />
Penso che la soddisfazione più grande che possa<br />
derivare da qualunque lavoro sia sentire di aver concretamente<br />
contribuito a migliorare una frazione di vita<br />
di qualcun altro, sia esso un paziente, un utente o un<br />
collega.<br />
Sono stato contattato da una coppia di utenti per <strong>del</strong>le<br />
informazioni. Si vedeva che erano parecchio preoccupati.<br />
Pur non essendo tenuto a dare quelle specifiche informazioni,<br />
ho spiegato una serie di dettagli. Si sono tranquillizzati.<br />
Per me è stato un piacere e una grande soddisfazione<br />
vederli andare via dall’ufficio con il sorriso sulle labbra, più<br />
sereni e fiduciosi.<br />
Sono una coordinatrice, ma vivo una situazione d’ansia<br />
perché mi sento un po’ fuori luogo. Per me è molto<br />
importante trovare sempre qualcosa di nuovo, ma mi viene<br />
detto che non devo pensare troppo perché sono diventata<br />
un “problema”. Con i colleghi cerco di fare riunioni, condividere<br />
i problemi, ma ci sono sempre cose “più importanti”.<br />
Per un verso “faccio quello che devo fare e basta”, ma<br />
per l’altro sento anche la responsabilità nei confronti <strong>del</strong><br />
mio lavoro. Mi hanno detto quando sono così di “farmi un<br />
giro di corsa intorno all’isolato.”<br />
Io sono un’amministrativa e nel nostro ambito spesso<br />
<strong>del</strong>la pratica ne fai solo un pezzo e poi la passi ad un altro.
Ma poi di quella pratica che cosa succede? “Ma che ti importa…”<br />
si sente dire. Ma come “che importa”, è il mio lavoro!<br />
9.2 Andare oltre<br />
Considerazione<br />
Quando un collega mi chiede qualcosa che esula dalla<br />
mia stretta competenza e non ho la risposta pronta dico:<br />
“Non lo so, ma aspetta un momento che mi informo.” Lo<br />
faccio perché io non sono un robot e chi è dall’altra parte<br />
<strong>del</strong> filo neppure. Tra l’altro è gratificante, perché poi vieni<br />
riconosciuto come portatore di certe informazioni.<br />
Certo, questo è un momento critico, ma credo che<br />
molto dipenda dalle modalità con cui si affrontano i cambiamenti.<br />
Per esempio, se chiama qualcuno per un’informazione<br />
posso dire: “Non so, non lo facciamo più noi”,<br />
dimenticarmi <strong>del</strong>la persona dall’altra parte <strong>del</strong> filo e lasciarla<br />
nel suo brodo. Altra cosa è cercare di dare una<br />
mano, cercare il numero <strong>del</strong>l’interlocutore giusto, provare<br />
a informarsi. A volte magari non hai proprio tempo, allora<br />
dici: “Richiamami tra 10 minuti che ora sono impegnata,<br />
tra poco se posso cerco di aiutarti”.<br />
Io lavoro sul territorio, ma se mi chiedono dei dati sulla<br />
mortalità <strong>del</strong>la mia zona, non basta mandare i dati e finita<br />
lì. Occorre inserire una legenda per permettere alle persone<br />
di leggere questi dati e magari anche una qualche introduzione<br />
che sia di commento. La comunicazione deve<br />
essere comunicazione vera!<br />
Quando riesco a mettere la dovuta attenzione in ciò<br />
che faccio, riesco a capire che cosa mi sta realmente<br />
chiedendo l’utente. Ci metto quel minuto in più che poi<br />
me ne fa risparmiare altri 20 ed evita un mucchio di fraintendimenti.<br />
In ambulatorio è arrivato un utente chiedendo <strong>del</strong> denaro.<br />
Gli è stato risposto dai colleghi che il denaro è elargito<br />
su <strong>progetto</strong>, che non è possibile dare denaro così.<br />
Questo utente lo conosco, è una persona che già si era<br />
presentata in altri posti con la stessa richiesta. I colleghi<br />
hanno dato una risposta tecnica, corretta, in modo esauriente.<br />
Nulla da dire. In effetti, la sua richiesta di denaro<br />
73<br />
una gran parte <strong>del</strong>la nostra<br />
esistenza.<br />
L’autentica vita lavorativa inizia<br />
nel momento in cui si va<br />
oltre il mero adempimento<br />
burocratico, quando si stringono<br />
i nodi di senso che legano<br />
l’agire a noi stessi e alle<br />
persone che ci circondano.
impegni verso il nostro lavoro<br />
Che cosa può significare mettere<br />
attenzione in ciò che si fa?<br />
Essere attenti è anche andare<br />
oltre la mera superficie degli<br />
eventi. È scendere nella profondità<br />
<strong>del</strong>le cose. Non confondersi.<br />
In molti casi posso ad esempio<br />
limitarmi a rispondere alla<br />
domanda che mi viene esplicitamente<br />
posta oppure riconoscere<br />
in filigrana quella<br />
domanda più profonda che il<br />
mio interlocutore da solo non<br />
riesce o ha timore di formulare,<br />
ma che rappresenta il cuore<br />
<strong>del</strong>la relazione terapeutica.<br />
Essere attenti significa quindi<br />
chiedersi: Che cosa mi sta<br />
davvero chiedendo l’utente?<br />
Qual è il suo vero problema?<br />
vedi 13.1<br />
74<br />
nascondeva altro, era una richiesta nascosta di attenzione.<br />
Appena sono rientrata e ho saputo che era passato<br />
mi sono attivata: questa persona è stata richiamata ed<br />
effettivamente si è detta disposta a farsi aiutare anche<br />
senza il denaro.<br />
Un medico che usa la segreteria in maniera sistematica<br />
non ha capito che alcune cose richiedono un<br />
contatto diretto con il paziente. Finché si tratta di una<br />
prescrizione ripetitiva, tipo l’insulina per i diabetici, va<br />
bene il filtro, ma se un paziente ti chiede degli esami,<br />
allora bisogna dedicargli attenzione. Il paziente che ti<br />
chiede molte volte la stessa cosa è una persona che ha<br />
bisogno non tanto di qualcuno che risponda alla sua domanda,<br />
ma piuttosto di qualcuno che gli dia la risposta<br />
di cui ha davvero bisogno.<br />
C’è anche l’aspetto <strong>del</strong> dare un contenimento, dare un<br />
limite all’ansia <strong>del</strong>l’utente. La capacità da parte <strong>del</strong>l’operatore<br />
deve essere quella di creare una relazione proficua.<br />
Quando l’utente ha alle spalle tutta una serie di problemi<br />
che lo angosciano, l’operatore deve avere un criterio per<br />
dare una risposta rassi<strong>cura</strong>nte e, ancora meglio, esaustiva.<br />
Attraverso alcuni dati, alcuni segnali, bisognerebbe saper<br />
gestire queste situazioni.<br />
9.3 Cogliere le opportunità<br />
Per quanto riguarda la formazione, grazie all’accorpamento<br />
noi logopediste, che come figure professionali<br />
siamo poche, siamo riuscite tutte insieme a fare corsi di<br />
aggiornamento unificati e quindi più corposi.<br />
Quando ho iniziato a lavorare nell’ASL, ho un po’ sofferto<br />
per il fatto di essere l’unica con la mia qualifica. Adesso,<br />
con l’accorpamento, ho scoperto che nell’altra ex ASL<br />
c’è un’altra persona come me, e così ci siamo già sentite<br />
per confrontarci e imparare l’una dall’altra.<br />
Negli accorpamenti, inutile negarlo, ci sono lati negativi,<br />
ma ne esistono anche parecchi di positivi: la possibilità<br />
di confronto, di aumentare i servizi, di poter affrontare con<br />
persone diverse situazioni nuove e stimolanti.
Considerazione<br />
Sono in una struttura con veterinari e tecnici, ma<br />
quando sono entrato io non c’erano tecnici, così mi<br />
sono dovuto arrangiare e “inventarmi” il lavoro. La mia<br />
fortuna è che mi hanno dato gli input giusti, anche se<br />
non avevo un vero e proprio esempio. In situazioni così<br />
sei più portato a chiedere, a una o anche più persone,<br />
per avere più risposte. Ho dovuto cercare di capire come<br />
creare la mia professionalità nel concreto ed in questo è<br />
importante l’apporto di tutti per capire cosa devi fare e<br />
farlo al meglio.<br />
75<br />
Con un po’ di vigile attenzione,<br />
di senso <strong>del</strong>l’opportunità,<br />
di spirito di iniziativa<br />
molte <strong>del</strong>le difficoltà che incontriamo<br />
sul cammino possono<br />
contenere interessanti<br />
opportunità di crescita personale<br />
e di miglioramento<br />
organizzativo.<br />
vedi 4.2 - 4.3
76<br />
Vermeer, La merlettaia, 1669<br />
All’epoca di Vermeer, nelle Fiandre, realizzare i merletti<br />
era attività molto comune. Eppure quanta dedizione nello sguardo<br />
<strong>del</strong>la donna, sembra che niente sia per lei più importante.<br />
Quanta <strong>cura</strong> per il proprio aspetto, pare acconciata<br />
più per una festa che per una comune giornata di lavoro.<br />
Che stupidaggine dire che sta semplicemente assolvendo<br />
ai suoi compiti! Sembra piuttosto intenta a realizzare qualcosa<br />
di irripetibile, ad officiare un qualche rito sacro.<br />
Che cosa maneggiano le sue dita? Semplici fili o un poco<br />
<strong>del</strong> senso che dà alla sua vita?
Valore in gioco<br />
Considerazione<br />
Considerazione<br />
“Considerazione” significa etimologicamente “attenta osservazione<br />
<strong>del</strong>le stelle”.<br />
Osservare le stelle significa alzare lo sguardo e dar loro importanza.<br />
Considerare il proprio lavoro vuol quindi dire non banalizzarlo,<br />
stimarlo a dovere. Esserne orgogliosi. Sentire che in<br />
ciò che realizziamo si rivela una parte <strong>del</strong> nostro modo di essere,<br />
che attraverso il lavoro portiamo il nostro contributo a migliorare il<br />
mondo che ci circonda.<br />
Scrutare le stelle significa coglierne tutti i riflessi. La considerazione<br />
per il lavoro implica quindi uno sguardo che esamina<br />
la realtà in tutti i suoi aspetti. Che non si ferma alla superficie.<br />
Comporta attenzione per ciò che, ad esempio in una richiesta<br />
<strong>del</strong> collega o in una domanda <strong>del</strong> paziente, non appare immediatamente,<br />
ma che attende il nostro sguardo per venire alla luce e<br />
rivelarsi.<br />
Studiare le stelle vuol dire oltrepassare prospettive di sola<br />
utilità o di vantaggio. Mettere considerazione nel proprio lavoro<br />
significa quindi non accontentarsi <strong>del</strong> “che cosa me ne viene in<br />
tasca”. È scoprire il piacere di far bene per il piacere di farlo, per<br />
il senso di libertà e di pienezza che ne consegue.<br />
77<br />
indirizzi etici<br />
organizzativi<br />
Vanno riconosciuti e promossi i comportamenti improntati all’onore<br />
professionale e all’alta considerazione per la propria attività.<br />
Vanno riconosciuti e incoraggiati i comportamenti che vadano oltre la<br />
mera espressione di una mansione e che implichino nell’operatore la<br />
consapevolezza <strong>del</strong> significato <strong>del</strong> proprio operare in una prospettiva di<br />
alta qualità <strong>del</strong> servizio.<br />
Tutti gli operatori, qualsiasi sia il loro livello, sono chiamati ad attivarsi in<br />
prima persona per cogliere con spirito di vigile attenzione le occasioni<br />
per una personale crescita professionale e per un miglioramento <strong>del</strong><br />
sistema organizzativo.
impegni verso il nostro lavoro<br />
valore:<br />
Che cosa può trasversalmente<br />
caratterizzare le nostre attività?<br />
Fare salute significa, per tutti<br />
noi, portare l’utente-paziente<br />
a sentirsi, grazie al nostro servizio,<br />
pienamente “persona”.<br />
Quindi a viversi come soggetto<br />
i cui bisogni hanno per<br />
noi un valore unico; riconosciuto<br />
per la sua autonomia<br />
di pensiero e di emozione;<br />
rispettato per la rete di relazioni<br />
in cui è inserito.<br />
vedi 9.1<br />
Dignità<br />
78<br />
10 Quanto vale<br />
Che cosa vale<br />
10.1 Il senso <strong>del</strong> fare<br />
Per noi che abbiamo cambiato per tre volte l’ASL di<br />
riferimento l’iniziativa Carta Etica può essere l’occasione<br />
per recuperare i valori sottostanti all’erogazione <strong>del</strong>l’assistenza.<br />
È una scommessa da giocare: è un tentativo importante<br />
per dare equilibrio di senso alla nostra quotidiana<br />
programmazione sanitaria.<br />
Ho preso come mio indirizzo di comportamento di<br />
considerare chi ho di fronte non solo come un utente o<br />
un paziente, ma come una “persona”. Per quanto breve<br />
possa essere il contatto, questo approccio rende tutto più<br />
significativo.<br />
Da un anno lavoro all’URP come servizio accoglienza.<br />
Da infermiera la relazione con l’utente è la parte fondamentale<br />
ed è quella che a livello soggettivo può darti le<br />
maggiori soddisfazioni. Il far salute parte da me, considerando<br />
l’utente nella sua globalità, come “persona” che ha<br />
<strong>del</strong>le necessità.<br />
Il cittadino spesso non sa quali siano le opportunità<br />
che ha a disposizione. Se faccio una pratica per la cassa<br />
integrazione, ma vado oltre e penso che in cassa<br />
integrazione c’è una persona, la chiamo e dico: “Guardi<br />
che c’è anche questo”, “Guardi che ha diritto anche<br />
a quest’altro”. Dargli un’informazione la più completa<br />
possibile in vista <strong>del</strong>la soluzione <strong>del</strong> suo personale problema<br />
e non solo portare avanti una pratica: questo<br />
per noi significa fare salute e dare un valore autentico<br />
a ciò che facciamo.<br />
Ci sono persone che entrano nell’ente pubblico con<br />
l’idea di imboscarsi, ma per fortuna ce n’è un numero<br />
più alto convinto che lavorare per l’Ente Pubblico sia<br />
un onore. Molti comunque fanno fatica a tirare su la<br />
testa, a vedere le cose dall’alto…<br />
Bisognerebbe che chi inizia a lavorare nel Pubblico,<br />
prima di entrare, fosse formato su alcuni fondamentali<br />
temi etici che dovrebbero caratterizzare il nostro operare.
Dovremmo sentirci orgogliosi di lavorare nella Sanità,<br />
che è scaturita dalla visione etica di chi nel tempo si è<br />
impegnato per il diritto alla Salute per tutti e per costruire<br />
un Sistema Sanitario che pur con i suoi mille problemi ci<br />
invidiano nel mondo.<br />
L’atteggiamento di molti è: vinco il concorso e questo<br />
è il fine, il risultato da raggiungere. Invece dovrebbe<br />
essere l’inizio di tutto…<br />
Dobbiamo essere orgogliosi <strong>del</strong> nostro lavoro. Il Comune<br />
è la più piccola cellula <strong>del</strong>lo Stato: la storia d’Italia<br />
è la storia dei Comuni!<br />
Questo sminuire tutto quello che è pubblico, a fronte di<br />
chi nel pubblico ci crede ancora e che facendosi in quattro<br />
manda avanti le cose... Ti senti di combattere contro i<br />
mulini a vento, contro l’irrazionalità dilagante.<br />
Da parte <strong>del</strong>l’utenza c’è differenza tra la percezione <strong>del</strong><br />
servizio sanitario rispetto al servizio <strong>del</strong> Comune. Se<br />
ti vedono al mercato, ed è un tuo giorno di ferie, per<br />
prima cosa pensano “ecco, questo fa la spesa in orario<br />
di lavoro!”. C’è un radicato pregiudizio di fondo nei<br />
confronti <strong>del</strong> dipendente comunale…<br />
10.2 Cose di valore<br />
In certi lavori la soddisfazione <strong>del</strong>l’utente è l’unica vera<br />
soddisfazione e se non sei un operatore sanitario che<br />
vede guarire la persona, questo è molto importante.<br />
Per noi <strong>del</strong>l’Ente locale è fondamentale vedere il cittadino<br />
che va via contento, sai che hai fatto qualcosa di<br />
buono, anche se ciò che hai detto o fatto magari forse<br />
non era nemmeno inerente alle tue competenze.<br />
Nonostante che noi serviamo un bacino di utenza molto<br />
ampio e che spesso non c’è troppo tempo da dedicare<br />
al paziente, chi viene da noi è contento, soprattutto rispetto<br />
ad altri centri dialisi dove, quando tornano da noi,<br />
dicono: “Mi sono sentito abbandonato”. Ti rendi conto che<br />
la fiducia che ripongono in te li fa stare meglio.<br />
Ci sono alcuni che dicono: “Sono pagato per fare questo”<br />
e si fermano lì. Secondo me dovremmo essere tutti<br />
79<br />
Dignità<br />
In che cosa può consistere il<br />
senso <strong>del</strong>l’onore professionale?<br />
Capovolgendo un certo logoro<br />
cliché, potremmo con il<br />
tempo recuperare un’idea di<br />
“aristocrazia etica” propria<br />
<strong>del</strong> dipendente pubblico?<br />
Come rispondere ad una certa<br />
<strong>del</strong>egittimazione sociale?<br />
Attraverso quali comportamenti<br />
lavorativi?<br />
Che cosa può significare costruire<br />
fiducia nell’utenza?<br />
Attraverso quali comportamenti<br />
la si realizza?<br />
vedi 1.1 - 2.2 - 2.3
impegni verso il nostro lavoro<br />
Un gesto, per essere di “valore”,<br />
deve sempre avere una<br />
commisurazione monetaria?<br />
Riconoscere che il denaro è<br />
inadeguato ad esprimere tutte<br />
le valenze di senso <strong>del</strong> nostro<br />
lavoro non è ingenuità, piuttosto<br />
coraggio di non aderire<br />
ai luoghi comuni e lucidità di<br />
vedere le cose così come realmente<br />
sono.<br />
Il numero esprime sempre le<br />
valenze <strong>del</strong>la prestazione?<br />
In un’ottica di efficacia e<br />
di efficienza la dimensione<br />
quantitativa non può certamente<br />
essere tras<strong>cura</strong>ta.<br />
Occorre però riconoscere e<br />
dare il giusto valore a ciò che<br />
sfugge al semplice numero.<br />
Sono dimensioni destinate<br />
a non poter essere misurate?<br />
Nient’affatto, piuttosto<br />
richiedono altre e più sottili<br />
modalità di osservazione e di<br />
valutazione.<br />
80<br />
pagati un tot, poi però cercare di ottenere altre cose non<br />
monetizzabili dalla nostra giornata lavorativa.<br />
La mia massima soddisfazione è quando dopo il colloquio<br />
pre-operatorio con il paziente alla fine questo mi dice<br />
che ha “meno paura”. Quanto vale questa soddisfazione?<br />
Certo non è monetizzabile…<br />
L’investimento sulla risorsa umana non fa parte <strong>del</strong>la<br />
nostra cultura, non dico che non esista, ma esiste molto<br />
poco. Tu entri nel mondo <strong>del</strong> lavoro e devi già avere capacità<br />
a relazionarti, la formazione per farlo, la motivazione<br />
a farlo. Se ci sono bene, se no sono problemi tuoi. Senti<br />
dire: “Perché dovrei motivarti dandoti il senso di ciò che<br />
fai? Sei pagato!”. È vero, sono pagato, ma ci sono cose<br />
che non si vendono e non si comprano, per esempio la<br />
<strong>cura</strong> messa nel compiere un certo gesto, una parola detta<br />
con un certo tono, la passione nel fare certe cose, cose<br />
di grande valore che vengono fatte solo se la persona ha<br />
compreso il senso <strong>del</strong> loro valore.<br />
Io lavoro in reparto da diversi anni e molto è stato fatto.<br />
C’è una sala dove le mamme che non hanno problemi di<br />
tipo medico possono partorire, e lì c’è silenzio: quando<br />
entra qualcuno che fa rumore viene osservato male, come<br />
a dire “fai attenzione!”. La domanda è: qual è l’indicatore<br />
di tutte queste cose? Noi riceviamo una carta dove c’è<br />
scritto “hai fatto 20 - 40 - 50 visite di Pronto Soccorso”<br />
oppure “hai fatto 20 visite ambulatoriali”, ma in questa carta<br />
non è valutata la qualità profonda di queste visite. Noi<br />
abbiamo le nostre soddisfazioni, un ottimo ritorno dalle<br />
mamme, ma non basta, perché a conti fatti magari il numero<br />
finale è piccolo, nonostante il grosso impegno che<br />
ci mettiamo.<br />
Sono part-time. L’ho scelto per stare con le mie figlie,<br />
ma in questa scelta mi sento penalizzata perché nell’ottica<br />
<strong>del</strong>la produttività il part-time è meno produttivo. Non si<br />
guarda alla qualità <strong>del</strong> lavoro, ma alla quantità di tempo<br />
trascorso sul lavoro. Che io in quelle 6 ore e mezzo lavori<br />
meglio che se lavorassi 8 ore importa a pochi.<br />
Alcuni reparti ospedalieri sono improntati all’idea che<br />
sei un bravo infermiere se in mezz’ora fai un carrello di<br />
flebo o se fai venti prelievi. Certo, la quantità è importante,<br />
ma il punto è: queste flebo, questi prelievi, come<br />
li hai fatti?
Io accompagno il paziente a fare i raggi, oppure in bagno.<br />
Nel momento in cui lo vedo bello pulito, a posto, io<br />
sono soddisfatta. Non potrò farlo per tutti, ma per quelli<br />
che posso lo faccio. Noi in reparto abbiamo pazienti che<br />
neanche si rendono conto di che cosa gli capita: io li pulisco<br />
quando hanno bisogno di essere puliti, gli cambio il<br />
camice. Anche se uno non se ne accorge o non può dirmi<br />
nulla, se lo vedo a posto sono contenta.<br />
Spesso mi sono ritrovata a pensare che quello che<br />
stavo facendo non mi stava arricchendo. Altre volte, che<br />
un piccolo gesto insignificante mi faceva stare bene, arricchiva<br />
me e l’altro. Ieri, per esempio, era il compleanno<br />
di una paziente con noi in rianimazione da due mesi, una<br />
paziente con grossi problemi respiratori e che non si riesce<br />
ad alimentare. Però ieri abbiamo provato a darle un budino<br />
al cioccolato, visto che era il suo compleanno. Avevamo<br />
gettato la spugna perché inalava e le andava tutto di traverso,<br />
ma ieri era una giornata tranquilla, in un altro giorno<br />
non si sarebbe potuto fare. Lei era più sveglia, più reattiva,<br />
più collaborativa, così l’ho messa dritta, messa a posto e<br />
con calma le ho dato il budino. Alla fine di questo mezzo<br />
budino mi ha guardato… Non riesce a parlare, ma mi ha<br />
guardato… Ah, che soddisfazione! Questa paziente difficilmente<br />
tornerà ad alimentarsi in modo normale ma ieri<br />
ce l’ha fatta, senza inalare, si è mangiata mezzo budino al<br />
cioccolato per il suo compleanno. In quel momento era la<br />
persona più felice <strong>del</strong> mondo… E lo ero anch’io.<br />
Quando si fanno determinate scelte bisognerebbe pensare<br />
“se io fossi in quella situazione, come starei?” Per noi<br />
è scontato che durante il giro visite ci siano medico, infermiera,<br />
allievi medici, allievi infermieri, l’ostetrica, altre infermiere<br />
che entrano ed escono. La donna è lì e finisce per<br />
essere un semplice oggetto di attenzioni. Qualcuno è un<br />
po’ più <strong>del</strong>icato, riesce a porre attenzione alla situazione,<br />
altri invece proprio non ci pensano. A volte cerco di spezzare<br />
questo clima, metto la mano sulla gamba <strong>del</strong>la donna,<br />
le tengo la mano, la guardo negli occhi per comunicarle<br />
che ci sono, che la vedo, che mi sto accorgendo di lei...<br />
81<br />
Dignità<br />
Piccole cose, ma di grande valore.<br />
Per chi e per che cosa?<br />
Per l’efficacia e l’efficienza<br />
<strong>del</strong>l’organizzazione, per la<br />
salute <strong>del</strong> paziente - utente,<br />
per la qualità <strong>del</strong>la vita lavorativa<br />
degli operatori.<br />
vedi 6.4, 1.1
82<br />
Bruegel, Le due scimmie, 1962<br />
Due scimmie sono incatenate ad un unico anello. In primo piano<br />
alcuni frammenti di guscio di noce. Perché sono incatenate?<br />
Molto probabilmente hanno scambiato la loro libertà<br />
per una semplice noce. Forse rappresentano quegli uomini<br />
che svendono la loro libertà più profonda e l’autentica felicità<br />
per un guadagno materiale di dubbio valore.
Valore in gioco<br />
Dignità<br />
Per troppo tempo i dipendenti <strong>del</strong>la Sanità e degli Enti Locali<br />
sono stati indotti ad adottare un atteggiamento di basso profilo<br />
etico. Si sono di conseguenza un po’ tras<strong>cura</strong>ti quei valori di<br />
impegno sociale che rendono le nostre attività ben più che una<br />
prestazione tecnica o un esercizio burocratico. È necessario riportarli<br />
all’attenzione di tutti, per renderli idealità in grado di dare<br />
un senso profondo al nostro impegno quotidiano.<br />
Con le nostre attività incidiamo, in modi e forme diverse,<br />
sull’esistenza <strong>del</strong>le persone. Ridare la giusta dignità a ciò che<br />
facciamo, caricarlo <strong>del</strong> giusto orgoglio, è essenziale. “Onore” e<br />
“orgoglio professionale” non sono principi invecchiati e superati.<br />
Eleggerli a propri valori significa difendere un’idea alta di sé e <strong>del</strong><br />
proprio lavoro, allenarsi a guardare in su. È sentire di avere un<br />
compito, piccolo o grande che sia, inscritto in un <strong>progetto</strong> vasto<br />
e ambizioso, senza cedere all’opportunismo o alla banalizzazione<br />
<strong>del</strong> proprio fare.<br />
Siamo tutti consapevoli che le nostre attività hanno una serie<br />
di obiettivi che trovano nel numero la loro misura. Dobbiamo tutti<br />
contribuire a realizzarli. Ciononostante nel valutare l’opportunità di<br />
un qualsivoglia comportamento dobbiamo costantemente chiederci<br />
accanto al “quanto vale?” il “che cosa vale?”. Piccoli gesti,<br />
micro-comportamenti, atteggiamenti apparentemente modesti<br />
possono avere un valore davvero incommensurabile in un’ottica<br />
di completa e profonda Salute, nostra e <strong>del</strong>le persone che a noi si<br />
rivolgono per ricevere un aiuto.<br />
Dignità<br />
83<br />
indirizzi etici<br />
organizzativi<br />
Viene esplicitamente promossa una rinnovata coscienza civile presso<br />
tutti gli operatori, in vista di una ri-legittimazione politico-sociale <strong>del</strong>le<br />
attività di pubblico servizio.<br />
Vengono richiesti e incentivati presso tutti gli operatori, di qualsivoglia<br />
livello, comportamenti lavorativi all’insegna di una forte idealità e nel<br />
segno di un maturo onore professionale.<br />
Il rispetto per le persone da noi assistite implica la valorizzazione di<br />
comportamenti che, anche se non strettamente collegati ad obiettivi<br />
quantitativi, determinano un significativo innalzamento <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>la<br />
vita e <strong>del</strong> servizio offerto.
impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />
valore:<br />
Complessità<br />
Come rendere effettivo il<br />
“matrimonio per pro<strong>cura</strong>” tra<br />
le ex ASL?<br />
Che cosa chiedere al Sistema<br />
organizzativo e ai singoli<br />
operatori?<br />
vedi 14 - 9.3<br />
Esiste un modo di intendere<br />
l’identità - di una persona o di<br />
un gruppo - come qualcosa di<br />
ereditato, di statico, di immodificabile,<br />
da ricevere da chi ci<br />
ha preceduti e da passare in<br />
consegna tal quale.<br />
Si può invece intendere<br />
l’identità come qualcosa che<br />
si modifica nel tempo, come<br />
qualcosa che, pur all’interno<br />
84<br />
11 Identità<br />
11.1 La famiglia allargata<br />
Il fatto è che con l’accorpamento abbiamo vissuto un<br />
“matrimonio per pro<strong>cura</strong>”, ma abbiamo potuto parlarne e<br />
conoscerci poco. Non c’è stato spazio per elaborarlo e in<br />
generale i Servizi Sanitari hanno solo visto il loro dirigente<br />
andare di più in giro. Credo che anche dal punto di vista<br />
<strong>del</strong>la produttività il fatto di incontrarsi e parlarne avrebbe<br />
reso le cose più facili. Senza parlare <strong>del</strong>le molte disomogeneità<br />
ereditate dal passato e che la situazione presente<br />
esaspera perché l’accorpamento obera di nuovi impegni.<br />
Noi per lavorare bene abbiamo cercato alleanze, abbiamo<br />
approfittato dei corsi di formazione per dare un<br />
viso ai numeri sull’elenco telefonico. Abbiamo cercato di<br />
lavorare il più possibile con lo stesso obiettivo. Questo ha<br />
portato a dei risultati: la ricerca di alleanze ti aiuta a ragionare<br />
non più solo per problemi ma per soluzioni; inoltre<br />
aiuta a passare da una mentalità ospedalocentrica ad<br />
una più complessa, almeno a livello di Distretto. Prima si<br />
entrava, si bollava, si lavorava nel proprio orto e basta.<br />
Neanche sapevo, qualche anno fa, cosa fossero i servizi<br />
socio-assistenziali…<br />
I diversi accorpamenti che ho vissuto nella mia carriera<br />
hanno certamente portato stress ma anche un modo<br />
diverso di lavorare: prima si lavorava da soli, poi il gruppo<br />
si è allargato. Prima c’era la paura di confrontarsi,<br />
poi ho cominciato ad apprezzare il bello di imparare ogni<br />
giorno qualcosa di nuovo da altri e che posso portare<br />
nella mia realtà.<br />
Con l’accorpamento abbiamo avuto qualche disagio,<br />
perché sono cambiate molte cose. Per esempio, prima<br />
sapevamo che in un certo ufficio c’era quella persona,<br />
chiamavamo lei. Adesso invece è cambiato: ciò richiede<br />
nuovo lavoro per tessere la rete, per ricostruire le relazioni.<br />
La ragnatela da comporre è molto più ampia e in alcuni<br />
punti ha ancora <strong>del</strong>le falle. Dobbiamo imparare a riconoscerci<br />
in quanto componenti di questa famiglia allargata.<br />
C’è sovente questo sentimento <strong>del</strong> “noi” e “loro”. Invece<br />
che contrapporci dobbiamo sfruttare le diversità,
che esistono, e riuscire a far dialogare etiche diverse,<br />
diverse maniere di lavorare, modi di intendere la vita. Se<br />
opportunamente armonizzate, le diversità possono diventare<br />
la nostra ricchezza.<br />
In questo enorme contenitore che è questa ASL ci<br />
sono diverse realtà che si devono valorizzare con una<br />
sorta di osmosi culturale e professionale.<br />
11.2 Globale - Locale<br />
Io penso che per alcuni aspetti questa ASL sia ancora<br />
addirittura “piccola”: noi su alcuni progetti lavoriamo su<br />
tutta la provincia, perché non è possibile, ad esempio,<br />
arrivare fino ad un certo punto ed escludere il territorio<br />
appena al di là “perché il confine è lì”. Fare salute significa<br />
avere uno sguardo che si spinge oltre i confini.<br />
C’è questa idea di globalizzazione che spaventa tanti.<br />
Secondo me dipende. Prendiamo per esempio i margini di<br />
autonomia. Al vertice chi comanda è uno, ma il suo potere<br />
si è “scaricato” sulle periferie. Con il nostro accorpamento<br />
il territorio è molto grande quindi certe decisioni sono<br />
prese localmente. Nel nostro reparto per esempio si prendono<br />
decisioni, si fanno cose che un po’ di anni fa non si<br />
potevano proprio fare.<br />
Io ho già subito un accorpamento. Da un giorno all’altro<br />
mi hanno spostata di sede… Quello che mi è mancato<br />
è stato il mio territorio. Sono passati cinque anni, ma<br />
fatico ancora molto ad adattarmi: eravamo una famiglia<br />
e sono passata ad un posto un po’ asettico. Dove ero<br />
vedevo “persone”, le potevo seguire nel corso <strong>del</strong> tempo.<br />
Ero radicata in una realtà dove conoscevo tutti e tutti si<br />
salutavano.<br />
Essere diventati più grandi può significare più scambi,<br />
più esperienze, più novità, più crescita professionale.<br />
Dobbiamo prendere questi aspetti, indubbiamente positivi,<br />
e calarli nelle nostre piccole realtà, farli convivere con il<br />
calore <strong>del</strong> rapporto interpersonale, con l’attenzione per la<br />
persona che ci caratterizza.<br />
Il problema <strong>del</strong>l’accorpamento è che uno si chiede: in<br />
quale nuova identità vado a inserirmi? Se riesco a capire<br />
qual è il mio compito, quale sarà il mio ruolo? Io dove sono<br />
nel gioco più grande?<br />
Complessità<br />
85<br />
di un coerente <strong>progetto</strong>, si<br />
costruisce e si ricostruisce in<br />
continuazione, e che è sempre<br />
rinnovabile grazie all’incontro<br />
con altre identità.<br />
C’è la possibilità di far convivere<br />
le due forme di identità?<br />
È possibile pensare in grande<br />
senza perdere di vista le realtà<br />
locali?<br />
Il termine “glocale” contiene<br />
l’idea di pensare in maniera<br />
globale, ma calando quanto<br />
progettato nella dimensione<br />
locale.<br />
La direzione da seguire è abbinare<br />
la sana crescita con il<br />
riconoscimento <strong>del</strong>le specificità<br />
al cui interno la crescita<br />
ha luogo.
impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />
vedi 14.1<br />
Quali sono le specificità antropologiche<br />
<strong>del</strong>le nostre diverse<br />
utenze?<br />
Sono collegate a quali caratteristiche<br />
sociali e geomorfologiche<br />
<strong>del</strong> territorio?<br />
Riconoscere la complessità<br />
<strong>del</strong> territorio e <strong>del</strong>l’utenza<br />
è fondamentale per avviare<br />
un’autentica politica <strong>del</strong>la<br />
Salute.<br />
86<br />
Mi sono resa conto, parlando con una collega infermiera,<br />
che lei non ha la minima idea <strong>del</strong> punto in cui lei e<br />
chi lavora con lei sono inserite in questa grande macchina:<br />
non sanno in che punto <strong>del</strong>l’ingranaggio sono.<br />
11.3 Specificità <strong>del</strong> territorio e <strong>del</strong>l’utenza<br />
Io sono anche volontario <strong>del</strong>la CRI. In montagna, d’inverno,<br />
quando ti chiamano per un’urgenza è già un po’<br />
tardi: d’estate invece, quando ci sono molti villeggianti,<br />
ogni quarto d’ora sei fuori perché appena hanno qualcosina…<br />
“118!”<br />
Ci sono ospedali inseriti in territori dove si conoscono<br />
tutti, abitano in zona, quindi c’è una relazione personale,<br />
è particolare il rapporto, la richiesta <strong>del</strong>l’utenza e anche la<br />
sua pazienza…<br />
C’è una dicotomia accentuata tra l’utenza metropolitana<br />
e quella che arriva dalla valle. Sono due utenze completamente<br />
diverse: gli uni sono cittadini <strong>del</strong>la banlieue, gli altri<br />
sono valligiani che hanno richieste molto diverse, soprattutto<br />
hanno un concetto di salute diverso. Se uno viene giù<br />
dai mille metri perché ha la tosse, minimo ha la polmonite,<br />
se è un cittadino al massimo ha l’influenza: questo perché<br />
la soglia di allarme è completamente differente.<br />
Nell’ambito <strong>del</strong>la salute mentale cambia molto tra<br />
l’ambiente urbano e quello non urbano nell’affrontare la<br />
cronicità <strong>del</strong> paziente psichiatrico. In un ambiente urbano<br />
c’è una forte tendenza a cercare l’istituzionalizzazione,<br />
nell’ambiente non urbano c’è più la tendenza a gestire il<br />
paziente in famiglia. In alcune zone urbane c’è una richiesta<br />
esasperata di assistenzialismo, l’approccio è “non<br />
posso occuparmene perché non ho soldi”. Ci sono poi<br />
altre realtà non urbane in cui il paziente psichiatrico, che in<br />
genere si ubriaca anche, è meglio tollerato dal gruppo, diventa<br />
una specie di mascotte. È mantenuto all’interno <strong>del</strong><br />
gruppo - diversamente da quanto accade negli ambienti<br />
più urbani - ma non è aiutato, anzi, viene stimolato a bere<br />
per fare show.<br />
Nei vari Distretti ci sono molte differenze tra esigenze<br />
mediche, infermieristiche e amministrative: coprire la lontananza<br />
con una presenza medica, per esempio, funziona<br />
per quei paesini in cui uno, che magari è pure un infartuato,<br />
prende la bici per andare in ospedale…
Noi operatori sanitari dobbiamo farci carico <strong>del</strong>la lontananza,<br />
<strong>del</strong>l’utente lontano: nella zona urbana ci sono quasi<br />
tutti i servizi, l’utenza lontana invece ha esigenze diverse.<br />
Io lavoro in pediatria e mi rendo conto che il “bambino lontano”<br />
ha esigenze diversissime rispetto a quello che abita<br />
a 15-20 chilometri.<br />
11.4 Fare Salute insieme<br />
È importante coinvolgere sempre di più i Comuni sui<br />
temi <strong>del</strong>la salute. Penso che sia importante che chi si<br />
occupa di fare ben essere al di fuori dalla patologia si<br />
interroghi insieme a chi fa sanità su come riuscirci.<br />
Nei Comuni piccoli le Poste o il Comune stesso sono<br />
posti che le persone frequentano spesso, quindi bisognerebbe<br />
sensibilizzare questi Enti sul tema <strong>del</strong>l’offerta<br />
attiva di salute, per esempio per la diffusione<br />
<strong>del</strong>l’informazione sull’accesso a certi servizi.<br />
Come Distretto abbiamo realizzato un punto salute<br />
con un Comune: abbiamo organizzato un servizio CUP<br />
che impiega personale comunale.<br />
Il nostro Comune ha stipulato un accordo col Distretto<br />
Sanitario competente nella gestione <strong>del</strong>la Casa di<br />
Riposo sita vicino al Municipio. Questo accordo ha<br />
generato una collaborazione particolare tra Comune<br />
e ASL. Gli Uffici comunali gestiscono le prenotazioni<br />
dei prelievi effettuati presso la Casa di Riposo, così<br />
non è necessario andare in ospedale e noi ci occupiamo<br />
anche <strong>del</strong>la compilazione <strong>del</strong>le autocertificazioni<br />
aiutando così gli anziani. Sempre i residenti anziani<br />
<strong>del</strong> nostro Comune hanno alcuni posti loro riservati<br />
anche per i “ricoveri di sollievo” cioè quelli temporanei<br />
per venire incontro alle famiglie con parenti anziani a<br />
carico che per qualche motivo non sono in grado di -<br />
temporaneamente - farsene carico.<br />
Il Comune può gestire il disagio nella misura in cui riesce<br />
a fare rete. L’obiettivo deve essere creare un circuito<br />
di dialogo con tutte le forze sociali e con gli Enti <strong>del</strong><br />
territorio. Il Comune da solo non può farcela…<br />
Salute è anche come stiamo insieme! A partire da<br />
questa semplice considerazione ci siamo subito trovati<br />
Complessità<br />
87<br />
Come farsi carico <strong>del</strong>l’ “utenza<br />
lontana”?<br />
Che cosa collega le attività<br />
sanitarie a quelle di un Ente<br />
Locale?<br />
Non solo entrambi forniscono<br />
un servizio pubblico, ma<br />
è nella loro storica mission<br />
creare e diffondere, in modi<br />
e forme diverse, salute e ben<br />
essere presso la popolazione.
impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />
Dove costruire Salute?<br />
Esistono strumenti e progetti<br />
sui quali appoggiarsi?<br />
ASL ed Enti Locali possono<br />
trovare un fertile terreno di<br />
confronto affrontando il tema<br />
<strong>del</strong>la Salute e <strong>del</strong> ben essere<br />
in maniera reticolare, in particolare<br />
su scala distrettuale,<br />
inserendo la questione <strong>del</strong>la<br />
Salute etica nei Piani e nei<br />
Profili di Salute.<br />
vedi 2.3<br />
88<br />
d’accordo con gli amministratori locali circa l’importanza<br />
di lavorare insieme territorialmente per ritrovarci attorno<br />
a principi etici condivisi.<br />
Lavoro nelle cure domiciliari, sono un’amministrativa<br />
ma lavoro con tutti gli infermieri. Lavoro per costruire una<br />
rete sul territorio. I Comuni hanno attivato un processo di<br />
conoscenza di sé, <strong>del</strong> territorio, <strong>del</strong>l’importanza di mettersi<br />
in rete. Più sono piccoli e più se lo sono chiesto, a<br />
cominciare da 15 anni a questa parte. Più l’Ente è grande<br />
e più si sente autosufficiente e meno ha bisogno di altri. I<br />
Comuni piccoli hanno dovuto per forza mettersi insieme:<br />
questo significa aprire le frontiere, incastrarsi, togliere un<br />
po’ di ruggine.<br />
Si è da poco costituito un team di medici di base<br />
che hanno messo a disposizione un loro amministrativo:<br />
l’utente va dal medico per la prescrizione, poi può passare<br />
dall’impiegato amministrativo per prenotare. È un<br />
vantaggio perché, per esempio, il nostro CUP chiude alle<br />
15, ma se uno va dal medico alle 18 può ancora andare<br />
dalla segretaria per la prenotazione, senza dover per forza<br />
passare dal CUP nei giorni successivi.<br />
Una collaborazione intelligente con i Comuni sarebbe<br />
riuscire, nel punto nascita stesso, a iscrivere il bambino<br />
all’anagrafe, in modo che possa uscire dall’ospedale già<br />
con il medico di base assegnato, senza ulteriori perdite di<br />
tempo e periodi lunghissimi in cui si viaggia nella terra di<br />
nessuno. Questo dovrebbe essere un imperativo per tutti<br />
i Comuni. Io ho provato a chiederlo nella mia zona, basterebbe<br />
un percorso di 2-3 tappe per far uscire il bambino<br />
già con il suo medico assegnato. È un problema di<br />
deburocratizzazione.<br />
11.5 Far passare il passato<br />
Non tutti sono convinti <strong>del</strong>la bontà <strong>del</strong>l’accorpamento:<br />
per molti di noi ancora vale il detto “parenti serpenti”.<br />
I vecchi rancori non sono ancora sopiti. Il messaggio<br />
subliminale è: “Hanno voluto la bici quelli di …? Adesso<br />
pedalino”; “Ah, finalmente quelli di … hanno qualcosa da<br />
fare, loro che non lavorano mai”. Invece il messaggio dovrebbe<br />
essere di apertura, di collaborazione.
Nel vecchio posto di lavoro svolgevo certe mansioni da<br />
anni e anni. Nel nuovo posto di lavoro dove sono stata “deportata”<br />
le colleghe mi dicevano che non ero capace di fare<br />
ciò che avevo sempre fatto e per sei mesi ho dovuto stare<br />
a guardare. Questo non gliel’ho mai perdonato…<br />
Faccio parte di quelli che anni fa sono stati “venduti<br />
all’ASL per 1 euro”. Sono arrivata all’ASL incattivita. Ora,<br />
dopo anni, incomincio a trovarmi meglio, ma è stata dura.<br />
Molti si presentano ancora come: “Sono <strong>del</strong>l’ex<br />
ASL…” Probabilmente è fisiologico, occorre tempo per<br />
elaborare una nuova identità.<br />
Tra l’ospedale in cui lavoravo e quello in cui sono arrivata<br />
c’è sempre stata la guerra su “chi lavora meglio”…<br />
Complessità<br />
89<br />
Come rapportarsi al nostro<br />
passato?<br />
Riconoscere il proprio passato<br />
non deve significare identificarsi<br />
in esso. Occorre sapersi<br />
distanziare dagli eventi adottando<br />
una sana distanza prospettica.<br />
Farsi divorare dagli eventi trascorsi,<br />
rimanere ad esempio<br />
invischiati in vecchi rancori,<br />
significa finire per amare le<br />
proprie catene, arrendersi allo<br />
scetticismo, precludersi la<br />
possibilità di allargare il proprio<br />
libero sguardo sul futuro.
90<br />
Arcimboldo, Ritratto di Rodolfo II in veste di Vertumno, 1591<br />
Dietro l’aspetto stravagante e bizzarro <strong>del</strong> ritratto si nasconde<br />
una precisa allegoria. Vertumno è il dio <strong>del</strong>le mutazioni<br />
e si credeva potesse trasformarsi in qualsiasi cosa volesse.<br />
È inoltre il dio <strong>del</strong> mutamento e <strong>del</strong>le stagioni:<br />
i vegetali che compongono il ritratto appartengono<br />
a tutti i periodi <strong>del</strong>l’anno, a significare totalità e completezza.
Valore in gioco<br />
Complessità<br />
Il termine “complessità” deriva dal latino complector che significa<br />
“tenere insieme più cose”, “abbracciare”. A quale complessità<br />
ci riferiamo pensando alla nostra vita professionale?<br />
Complessità <strong>del</strong>la propria identità. Possiamo pensare la<br />
nostra personale identità lavorativa e quella <strong>del</strong>l’organizzazione<br />
per cui lavoriamo come qualcosa di statico e di immodificabile.<br />
Oppure come qualcosa che si può - forse si deve - modificare,<br />
qualcosa che si va formando grazie all’incontro con altre identità.<br />
Collegare le due prospettive è possibile. Il passato, senza diventare<br />
una gabbia soffocante, può darci coerenza e aiutarci a mantenere<br />
la direzione di marcia; l’incontro con la diversità ci fornisce<br />
il senso <strong>del</strong>la nostra intersoggettività, <strong>del</strong>la costitutiva relazionalità<br />
di ciò che siamo e che facciamo.<br />
Complessità prospettica. Occorre evitare la miopia prospettica<br />
che ci fa apprezzare solo quanto è strettamente ravvicinato<br />
e al contempo evitare la trappola <strong>del</strong>la presbiopia lavorativa che<br />
non limita la visione di ciò che è distante, ma ci impedisce di mettere<br />
a fuoco quanto è vicino.<br />
Complessità relazionale. Tutti coloro che sono coinvolti nei<br />
processi di Salute devono comprenderne la logica sottostante.<br />
Che è di carattere reticolare, fondata cioè su un sistema di strutture<br />
e di connessioni entro cui operano nodi capaci di cooperare<br />
in vista di obiettivi comuni. Il collegamento e l’integrazione con<br />
tutti gli attori <strong>del</strong> territorio coinvolti nei processi di Salute risulta<br />
essenziale a tal fine.<br />
Complessità<br />
91<br />
indirizzi etici<br />
organizzativi<br />
Va promossa, a tutti i livelli e in tutti i ruoli, la prospettiva glocale, vale<br />
a dire il modo di pensare in maniera allargata e globale, ma calando<br />
quanto elaborato nella specificità <strong>del</strong>le dimensioni locali.<br />
Va favorita la crescita di professionalità che, pur nel rispetto <strong>del</strong>le<br />
specializzazioni e <strong>del</strong>le specificità di settore, maturino uno sguardo<br />
panoramico sulle dinamiche e sui processi di Salute.<br />
Vanno favorite tutte le iniziative finalizzate al superamento di divisioni<br />
tra persone e tra Strutture, volte a rafforzare il senso di comune<br />
appartenenza.<br />
La sempre maggiore interazione tra ASL, Enti Locali e altri attori <strong>del</strong><br />
territorio interessati a sviluppare progetti di Salute è da considerarsi<br />
obiettivo primario.
impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />
valore:<br />
Consapevolezza<br />
Condivisione<br />
Le procedure sono importanti?<br />
Più che importanti<br />
sono fondamentali. Basta<br />
quindi solo e sempre applicare<br />
una procedura? Probabilmente<br />
no.<br />
Ad un sapere esplicito fondato<br />
sul rigore procedurale,<br />
occorre affiancare un sapere<br />
tacito fondato sull’esperienza<br />
e sulle circostanze.<br />
92<br />
12 Procedure<br />
12.1 Procedura e/o Relazione<br />
Io che per formazione sono portata a ragionare per<br />
protocolli e procedure, ho dovuto spostare l’attenzione<br />
anche sulle relazioni: è più faticoso perché mi devo<br />
mettere in discussione in continuazione. Il punto è far<br />
quadrare i due approcci, quello <strong>del</strong>la procedura e quello<br />
<strong>del</strong>la relazione. Perché posso chiedere al paziente come<br />
sta, e così ottenere informazioni diagnostiche importanti.<br />
Ma se è in arresto devo applicare una procedura. C’è<br />
momento e momento, occorre capire quando è opportuna<br />
l’una e l’altra.<br />
Noi abbiamo tre sedi, quando i colleghi dicono di fare<br />
tre liste omogenee per i tempi di intervento rimango perplesso<br />
perché, visto che vado io, lo so quanto ci metto in<br />
una sede piuttosto che nell’altra: se ho un macchinario<br />
nuovo o uno più vecchio questo influisce sui tempi necessari<br />
per avere i risultati.<br />
Le procedure a volte sono una palla al piede, non si<br />
possono prevedere tutti i casi e tutte le possibilità. Applicando<br />
solo procedure si rischia di perdere di vista la<br />
concretezza e la specificità <strong>del</strong>le persone che abbiamo<br />
di fronte.<br />
L’obiettivo sarebbe quello di garantire in modo uniforme<br />
a tutti i cittadini determinate prestazioni, ma più<br />
cresce l’organizzazione e più c’è la necessità di codificare.<br />
Il problema è che questo codificare ingabbia il lavoro.<br />
Però è anche vero che senza procedure non saprei<br />
proprio come fare…<br />
12.2 Check list<br />
Inizialmente, con il personale <strong>del</strong>la cucina, c’era una<br />
forte responsabilizzazione individuale, per esempio sul lavaggio<br />
<strong>del</strong>le mani. Lavoravi davvero sulla coscienza professionale.<br />
Adesso le HCCP rischiano di essere solo carta:<br />
io vedo gente che crocetta e crocetta e crocetta…. Il personale<br />
è un po’ mortificato. Il rischio è che venga meno il
Consapevolezza Condiv<br />
gusto di far bene: in alcune cucine la presentazione <strong>del</strong><br />
piatto è fatta con una certa <strong>cura</strong> nonostante le compilazioni,<br />
in altre tutto il tempo è usato per compilare.<br />
Il grande timore per noi <strong>del</strong>la cucina è il manuale HCCP:<br />
il problema è che non hai voce in capitolo. La questione<br />
è che ogni alimento deve seguire la filiera ad una certa<br />
temperatura, ogni passaggio deve essere controllato. Tu<br />
cuoco devi preparare la pasta, prendi il pomodoro, lo fai<br />
bollire, lo stocchi… Devi saper dire: “A che ora ho fatto<br />
il pomodoro?” , “A che ora l’ho messo nel carrello termico?”.<br />
E poi firmi, perché se succede qualcosa è sotto<br />
la tua responsabilità. La mia professionalità è diventata<br />
piccola, non ti senti più un cuoco, ma un burocrate <strong>del</strong><br />
cibo. Ti senti demoralizzato.<br />
Io sono un tecnico <strong>del</strong>la prevenzione, noi ci occupiamo<br />
<strong>del</strong>la salute <strong>del</strong> cittadino/lavoratore. Mi occupo<br />
dei diritti <strong>del</strong>le persone che lavorano, quando si sono<br />
infortunati o potrebbero infortunarsi. Penso che il mio<br />
lavoro abbia un forte valore etico. Il problema è che certi<br />
obiettivi, se intesi solo come numeri, servono a poco.<br />
Per esempio quando ti chiedono di fare un certo numero<br />
di indagini, ma nessuno ti chiede come hai fatto<br />
quelle indagini, oppure che cosa ci vorrebbe per fare<br />
bene quelle indagini. Sembra che solo il numero sia la<br />
garanzia di un miglioramento <strong>del</strong>le condizioni di lavoro.<br />
Tutto viene legato alla costruzione di check list che poi<br />
si crocettano come visto/non visto. Penso che non basti.<br />
Per esempio, dal punto di vista formativo noi stiamo<br />
investendo molto tempo nella formazione dei lavoratori,<br />
nello spiegare il perché una certa misura preventiva deve<br />
essere messa in atto piuttosto che no.<br />
12.3 Metodo consapevole<br />
Secondo me un protocollo dovrebbe essere sempre<br />
l’esito di un percorso, per cui a monte ci dovrebbe sempre<br />
essere un confronto con gli operatori e a valle una<br />
verifica <strong>del</strong> protocollo.<br />
Noi tre coordinatori ci siamo confrontati spesso. Insieme<br />
abbiamo steso <strong>del</strong>le procedure comuni, semplici,<br />
ma utilissime. Utilizzavamo questo sistema: mettevamo<br />
giù la procedura, poi la facevamo leggere agli operatori<br />
93<br />
Quanto è importante conoscere<br />
il “che cosa” e il “perché”<br />
misura la check list?<br />
Quali rischi comporta seguire<br />
una logica procedurale priva<br />
<strong>del</strong> senso <strong>del</strong> sottostante<br />
processo?
impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />
La vera qualità emerge come<br />
astratto rigore procedurale,<br />
sempre però fondato sul<br />
continuo confronto con la curiosità,<br />
la coscienza, la sperimentazione,<br />
la validazione<br />
frutto <strong>del</strong>l’esperienza dei singoli<br />
operatori.<br />
Come considerare l’errore?<br />
Quali errori evitare nell’affrontarlo?<br />
Occorre rifiutare la via più<br />
semplice <strong>del</strong>la colpevolizzazione<br />
<strong>del</strong> singolo operatore,<br />
non tras<strong>cura</strong>re il fatto che chi<br />
94<br />
che davano i suggerimenti per migliorarla, poi ci trovavamo<br />
di nuovo insieme per perfezionarla. Abbiamo fatto<br />
tutto senza scavalcare la gerarchia, che comunque aveva<br />
fiducia in noi. Anche gli operatori erano coinvolti, ne<br />
discutevano e davano il loro contributo.<br />
La procedura: dipende da quanto è imposta o quanto<br />
è condivisa. La procedura deve essere confronto e<br />
condivisione, se no è solo carta.<br />
Una volta mi ha telefonato la vicina di casa di un’anziana.<br />
Le avevano spiegato come fare l’insulina, ma non si<br />
erano resi conto che non le era chiaro e questa signora<br />
si è trovata alle otto di sera che non sapeva cosa fare.<br />
Per insegnare a usare l’insulina ci vogliono 10 minuti. La<br />
procedura dovrebbe prevedere la verifica. Non è solo<br />
questione di spiegare, ma anche di verificare se l’altro<br />
ha capito davvero.<br />
12.4 A prova d’errore<br />
Siamo stati accreditati per la qualità e come gruppo<br />
abbiamo iniziato a scrivere gli errori più frequenti per quello<br />
che riguarda le procedure. Non tutti hanno aderito, c’è<br />
qualche resistenza, anche perché le persone non lo fanno<br />
apposta, spesso è solo per disattenzione. Questi errori<br />
sono scritti nel registro “non conformità”, non ci sono<br />
nomi e cognomi, ma resta il fatto <strong>del</strong>la “paura” a rivelare<br />
l’errore. Con questo lavoro che stiamo facendo abbiamo<br />
anche scoperto che non tutti sapevano di aver sbagliato,<br />
oppure erano consci <strong>del</strong>l’errore ma non sapevano perché<br />
ciò accadeva. Prendiamo in considerazione l’errore compiuto,<br />
per esempio il carrello <strong>del</strong>le medicazioni che deve<br />
contenere un tot di cose: arrivo al mattino, controllo e se<br />
mancano certe cose lo segnalo: “Mancato riordino <strong>del</strong><br />
carrello”. Ci stiamo rendendo conto che è anche un modo<br />
per superare le mediocrità <strong>del</strong> servizio.<br />
In un’ottica di risk management le procedure sono<br />
molto importanti: in sala operatoria controllo le garze cinque<br />
volte invece che tre perché questo statisticamente<br />
diminuisce la probabilità di fare errori. Se il paziente operato<br />
ha il mal di pancia, io parto dal presupposto che NON<br />
abbia una garza nella pancia, perché so che la procedura<br />
mi fa controllare cinque volte che sia tutto a posto.
Consapevolezza Condiv<br />
Il problema è che quando si è stressati, sotto pressione,<br />
anche se si sa quello che è corretto fare, la stanchezza<br />
porta a lavorare non troppo bene. Se poi le ferie sono<br />
lontane, questi sono i momenti più a rischio di errore. Uno<br />
arriva a casa e si porta dietro il pensiero: “ho proprio sbagliato”.<br />
Quello che quindi facciamo, ma in modo informale,<br />
è il confronto con i colleghi, in quanto sentiamo che è<br />
necessario fare insieme una rielaborazione <strong>del</strong>l’errore. Ma<br />
non ci sono momenti istituzionalizzati per questo.<br />
Noi facciamo riunioni settimanali sul risk management,<br />
ma molti colleghi prendono queste riunioni come una perdita<br />
di tempo. Ci vuole autoformazione interna, e soprattutto<br />
umiltà, non l’arroganza di chi pensa “ho un camice,<br />
sono il migliore”.<br />
95<br />
sbaglia il più <strong>del</strong>le volte non<br />
fa altro che innescare una carica<br />
prodotta da disfunzioni<br />
di sistema.<br />
L’errore deve essere considerato<br />
un’opportunità e un’occasione<br />
preziosa per apprendere<br />
e migliorare insieme.<br />
L’errore è una sfida che mette<br />
alla prova la maturità organizzativa<br />
<strong>del</strong> sistema e quella<br />
etico-professionale degli operatori.
96<br />
Vermeer, Il geografo, 1668<br />
Il geografo è chino sulle sue carte. Nel chiuso <strong>del</strong> suo<br />
studio calcola, misura, traccia linee con rigore e precisione.<br />
All’improvviso alza il capo e si volge verso la luce che penetra<br />
dalla finestra. Lascia che lo sguardo spazi lontano.<br />
Sente che per conoscere il mondo il compasso non gli basta più:<br />
deve uscire, frequentare e percorrere le terre<br />
che finora ha solo disegnato.<br />
C
onsapevolezza Condiv<br />
Valore in gioco<br />
Consapevolezza e Condivisione<br />
Nell’agire occorre far interagire il sapere tacito e il sapere esplicito<br />
degli operatori. Il sapere tacito, fondato sull’esperienza e sui<br />
continui indizi forniti dalle specifiche situazioni, deve fungere da<br />
ancoraggio di realtà alle procedure. Il sapere esplicito, fondato sul<br />
rigore procedurale e sulla piena consapevolezza, deve servire da<br />
validazione, da critica e da correttivo ai dati <strong>del</strong>l’esperienza. Solo<br />
attraverso la continua interazione tra le due forme di conoscenza<br />
è possibile raggiungere la qualità profonda <strong>del</strong>la prestazione, che<br />
coniuga il rigore procedurale con la consapevolezza sperimentale<br />
ed esperienziale <strong>del</strong> singolo operatore.<br />
La gestione <strong>del</strong>l’errore è spesso la prova <strong>del</strong>la raggiunta maturità<br />
<strong>del</strong>l’organizzazione. L’errore determina costi, umani ed economici,<br />
e molteplici disfunzioni. L’errore non occasionale segnala il<br />
più <strong>del</strong>le volte un problema di sistema. Va quindi affrontato. Senza<br />
però confondere l’analisi <strong>del</strong> problema verificatosi, che naturalmente<br />
non esclude eventuali responsabilità personali, con l’ossessiva<br />
e cieca ricerca di qualcuno a cui addossare l’errore. In<br />
certo qual modo occorre far monumento all’errore. Ciò significa<br />
che qualora sia inteso come un modo per analizzare ciò che è<br />
stato fatto e per individuare possibili margini di miglioramento, la<br />
gestione <strong>del</strong>l’errore è davvero il laboratorio dove produrre l’eccellenza<br />
<strong>del</strong>la prestazione.<br />
97<br />
indirizzi etici<br />
organizzativi<br />
Accanto alla rigorosa applicazione di procedure e protocolli, va data la<br />
giusta importanza al sapere esperienziale e sperimentale degli operatori<br />
coinvolti nella loro applicazione.<br />
Protocolli e procedure vanno applicati dagli operatori in maniera non<br />
meccanica, con la maggiore consapevolezza possibile <strong>del</strong> loro significato<br />
e <strong>del</strong>la loro importanza.<br />
La gestione <strong>del</strong>l’errore va condotta con spirito partecipativo di ricerca<br />
collettiva <strong>del</strong>l’eccellenza <strong>del</strong>la prestazione.
impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />
valore:<br />
Quali comportamenti virtuosi<br />
consentirebbero a ciascuno<br />
di noi di avere più tempo a<br />
disposizione e agli altri di non<br />
perderne?<br />
È possibile guadagnare tempo<br />
attraverso una corretta comunicazione<br />
con i parenti?<br />
vedi 1.1<br />
È possibile guadagnare tempo<br />
investendo nella comunicazione<br />
diretta e tempestiva?<br />
È possibile guadagnare tempo<br />
attraverso una corretta<br />
comunicazione con l’utenza<br />
e il paziente?<br />
vedi 1.1<br />
Oculatezza<br />
98<br />
13 Il tempo<br />
13.1 Guadagnare tempo<br />
Per guadagnare complessivamente tempo occorre investirne<br />
in una serie di comportamenti ad alto impatto sul<br />
ben essere individuale e organizzativo.<br />
Informare e comunicare con i famigliari implica certamente<br />
tempo e attenzione. Ma se hai un parente informato,<br />
non dovrai perdere tempo a gestire il paziente arrabbiato<br />
o spaventato, anzi, l’hai aiutato ad attivare risorse sue, di<br />
adattamento e di attesa.<br />
Se spendo 5 minuti di tempo per spiegare il percorso<br />
terapeutico e poi l’infermiere deve spenderne altri 5 per<br />
rispiegare tutto al paziente, che ha capito poco o nulla di<br />
ciò che ho detto, forse sarebbe meglio che io ne impiegassi<br />
6 o 7 per spiegare un po’ meglio. Se la matematica<br />
non è un’opinione l’azienda ne guadagnerebbe 3 o 4, il<br />
paziente sarebbe più a suo agio e le nostre parole avrebbero<br />
un altro senso.<br />
Segnalo un problema a un Direttore. La burocrazia non<br />
consente di farlo direttamente. Allora scrivo. Poi attendo -<br />
quando arriva - una risposta. A volte un problema sembra<br />
insormontabile, ma se, parallelamente al percorso burocratico,<br />
si riesce ad affrontarlo immediatamente, parlandosi<br />
anche per pochi minuti, spesso la cosa si sgonfia e<br />
diventa meno difficile da affrontare.<br />
Oltre ad avere l’utenza che preme, hai il superiore che<br />
ti dice: “Hai impiegato troppo tempo per l’accettazione”,<br />
poi vai a vedere e ci hai messo 4 minuti per utente… Io<br />
non posso prendere a calci in faccia l’utente! È ovvio che<br />
non posso tenere 20 minuti l’utente per supportarlo psicologicamente,<br />
ma devo avere il tempo per informarlo in<br />
modo adeguato, anche perché così questo utente non andrà<br />
a “rubare” tempo ad un altro collega per chiedere dove<br />
deve andare. Mettere ordine tra le due esigenze è difficile,<br />
ma dobbiamo cercare di riuscirci.
Il nostro problema con i medici di base è che spesso<br />
prescrivono visite specialistiche o esami particolari senza<br />
spiegare dove è possibile andare a farli. Noi ci troviamo<br />
nei problemi perché non sappiamo neanche da che parte<br />
iniziare, perdiamo <strong>del</strong>le mezz’ore, facciamo mille giri di telefonate<br />
con la gente lì che aspetta… Non sembra, però è<br />
una grande perdita di tempo. Se il medico di base invece<br />
spiegasse di che tipo di esame si tratta e dove lo fanno,<br />
questo farebbe risparmiare un sacco di tempo.<br />
Tante volte arrivano ancora richieste di prestazioni<br />
scritte a mano difficili da decifrare. Sotto c’è la diagnosi,<br />
sta a me - che non sono un medico - capire se quella patologia<br />
prevede un’ecografia o qualcos’altro, questo con il<br />
rischio di essere accusata, in caso di errore, di andare oltre<br />
le mie competenze… Dovrebbero esserci <strong>del</strong>le abbreviazioni<br />
o dei codici di esami comuni a tutti e comprensibili<br />
da tutti. Questo problema si riflette anche sul sistema <strong>del</strong>le<br />
prenotazioni unificate: i pazienti arrivano con una ricetta,<br />
ma la prenotazione è per un altro esame. Con il rischio che<br />
il paziente aspetti mesi… Poi per carità si riesce a risalire,<br />
se per esempio hai prenotato in farmacia, ma questo comunque<br />
comporta tempo perso e complicazioni.<br />
Noi non abbiamo locali nostri, solo tre stanze in prestito.<br />
Ma sappiamo che cosa vuol dire “perdere tempo” con<br />
il paziente, perché per l’addestramento <strong>del</strong> paziente se ho<br />
una stanza isolata sono concentrata, ci metto meno, quindi<br />
dopo dieci giorni sono libera per addestrarne un altro.<br />
Io sono una caposala e ho a che fare con l’utenza, con<br />
medici e con infermieri. La <strong>cura</strong> <strong>del</strong>le relazioni con tutte<br />
queste persone è notevole. La frustrazione deriva dal fatto<br />
di sentire che non hai fatto ciò che avresti voluto, perché<br />
magari sei stata un’ora al telefono con uno, un’ora al telefono<br />
con l’altro, e poi arrivi alla fine che non hai fatto i turni,<br />
non hai contato la farmacia… Gestisci un settore che in<br />
parte dipende da te, ma che in parte dipende anche da<br />
altri settori. Molte volte mi sento più gestita dal tempo che<br />
gestore <strong>del</strong> tempo. Poi con l’esperienza impari anche ad<br />
organizzare il tuo tempo, hai una tabella di marcia e cerchi<br />
di non farti fagocitare…<br />
La mancanza di tempo e di occasioni dipende dal fatto<br />
che non ci sono obiettivi precisi: se penso che devo fare<br />
100 cose, tutto questo mi confonde e va a finire che - se<br />
Oculatezza<br />
99<br />
È possibile guadagnare tempo<br />
attraverso un migliore coordinamento<br />
con i medici di<br />
famiglia?<br />
È possibile guadagnare tempo<br />
fruendo dei giusti spazi?<br />
Mettere ordine nel proprio<br />
tempo può avere una valenza<br />
etica ?<br />
Fare ordine non significa cristallizzare<br />
la giornata di lavoro;<br />
piuttosto fare spazio al<br />
proprio tempo, darsi priorità
impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />
per trovare tempo e crearsi<br />
occasioni per migliorare la<br />
qualità <strong>del</strong> lavoro.<br />
Il tempo dedicato a comunicare<br />
è davvero tempo perso?<br />
vedi 7.5 - 7.6 - 7.1<br />
Il tempo scorre in maniera<br />
sempre uniforme?<br />
Il tempo è uno dei gorghi<br />
interiori in cui rischiamo di<br />
precipitare. Rapiti dai nostri<br />
100<br />
va bene - le comincio tutte, ma non ne finisco nessuna. Se<br />
invece ho un obiettivo preciso riesco a portare a termine le<br />
cose. In questo modo trovo il tempo e l’occasione.<br />
Verso gli incontri c’è ancora una certa diffidenza. Quando<br />
si tratta di prevedere <strong>del</strong> tempo per discutere, viene<br />
detto: “Fatelo, ma non ditelo a nessuno”. Perché codificare<br />
quel tempo non va bene: risulterebbe “tempo perso”.<br />
Questo è grave, soprattutto in quei reparti dove operano<br />
molte professionalità che devono interagire.<br />
Il problema è che oggi l’importante è solo il fare, non<br />
esiste più il “tempo pensiero”. Alla riflessione e alla rielaborazione<br />
si dà davvero poco valore.<br />
13.2 Rispetto dei tempi<br />
Aspettare l’esito <strong>del</strong>l’esame, stare davanti alla porta<br />
in attesa di notizie e guardare gli infermieri che vanno<br />
avanti e indietro… Per chi aspetta, 30 minuti sono eterni;<br />
a noi operatori che corriamo a destra e a manca invece<br />
appaiono un niente. Decidiamo quali e quante parole<br />
spendere, in modo che sia chiaro quali sono i percorsi<br />
e i tempi di comunicazione: se ignoriamo il problema le<br />
persone vivono davvero male.<br />
Il meccanismo di autocentratura l’ho notato in alcuni<br />
operatori: prima di tutto ci sono loro, il centro <strong>del</strong>l’attenzione<br />
non è il malato, ma loro stessi. Questo si vede da<br />
piccole cose, per esempio il non rispetto <strong>del</strong>l’orario: “mi<br />
metto a posto le mie cose poi arrivo, tanto tu che cosa hai<br />
da fare?”. A volte il paziente ha davvero bisogno di una<br />
determinata cosa e senti dire: “Un attimo, che devo telefonare<br />
lì, se no poi non trovo nessuno”. Non va bene…<br />
Il parente va informato, supportato. Come coordinatore<br />
chiedo ai miei collaboratori di uscire dalla sala operatoria<br />
e informare chi resta fuori. A volte non si tratta<br />
solo <strong>del</strong> tempo tecnico per l’operazione, ma è un problema<br />
di tempo organizzativo: magari uno scende per<br />
primo, poi però manca l’anestesista e bisogna aspettare<br />
che arrivi, poi ci sono i tempi per l’anestesia, magari bisogna<br />
ancora aspettare il chirurgo… Così i tempi complessivi<br />
<strong>del</strong>l’operazione si allungano molto e per tutto<br />
questo tempo non ci si può dimenticare <strong>del</strong> parente che<br />
trascorre il suo tempo fuori ad aspettare. Bisogna farsi
carico anche di questo, bisogna informarlo di ciò che sta<br />
accadendo, anche solo banalmente che dovrà aspettare<br />
un po’ di più.<br />
Al mattino entro in reparto e non voglio sentirmi un<br />
numero o un burocrate. Sono <strong>del</strong>l’idea che si debba essere<br />
flessibili e talvolta vado oltre certe norme. Per esempio<br />
quando arriva un anziano per i prelievi e magari deve<br />
fare anche un altro esame io glielo faccio anche al di fuori<br />
<strong>del</strong>l’orario. Non me la sento di farlo tornare un’altra volta,<br />
un anziano che magari abita a 20 chilometri e che ci<br />
mette ore a venire…<br />
Se per regola si intende un qualcosa che aiuta noi e gli<br />
utenti a vivere meglio, rispettandoci a vicenda, è un conto.<br />
Però queste regole non devono diventare una gabbia.<br />
Se ad esempio il mio ufficio chiude alle 12.30 e l’utente<br />
arriva trafelato alle 12.33, non puoi dirgli: “Chiude alle<br />
12.30”. Nel tempo ho visto certi colleghi usare le regole<br />
come forma di potere. Fanno una cosa normalissima,<br />
ma fanno sembrare che facciano chissà che cosa: “La<br />
regola prevede questo, ma ti faccio questo come grande<br />
favore”. La fanno cadere dall’alto. È altrettanto vero che<br />
la mancanza di regole non va bene perché genera caos<br />
e reciproco disagio.<br />
Ci sono forme comportamentali che possono comunque<br />
dare ordine al quotidiano che incalza. Se non ci sono<br />
regole e se non vengono rispettate, non ci guadagna<br />
nessuno. Io ho provato a lasciare: avevo gente che arrivava<br />
a tutte le ore. Anche un orario di ambulatorio è una<br />
regola che bisogna far rispettare, anche e soprattutto per<br />
far sentire valorizzato il proprio lavoro all’utente.<br />
Oculatezza<br />
101<br />
tempi perdiamo il contatto<br />
con quelli di coloro che ci<br />
circondano, tempi che hanno<br />
durata, significato e valenza<br />
emotiva spesso molto diversi<br />
dai nostri.<br />
Riuscire a rimanere in contatto<br />
con il proprio tempo rispettando<br />
quelli degli altri è<br />
una grande sfida etica.<br />
vedi 1.1 - 2.3<br />
Ci sentiremmo più liberi se,<br />
giocando un qualsiasi gioco,<br />
potessimo fare a meno <strong>del</strong>le<br />
regole e potessimo comportarci<br />
come volessimo? Saremmo<br />
davvero liberi?<br />
Il rispetto dei tempi non deve<br />
trasformarsi in una forma di<br />
potere o peggio di prevaricazione.<br />
Piuttosto la giusta considerazione<br />
data all’orario è un<br />
modo per dare riconoscimento<br />
e per pretenderne, per far<br />
sentire l’utente degno di un<br />
servizio di qualità e per fargli<br />
adeguatamente apprezzare<br />
quanto facciamo.
102<br />
Tiziano, Allegoria <strong>del</strong>la prudenza, 1565<br />
La testa di un lupo dominata dal profilo <strong>del</strong> vecchio<br />
rappresenta il passato che il tempo divora.<br />
Sovrapposta alla testa di un leone minaccioso compare il volto<br />
barbuto di un uomo maturo: rappresenta il presente i cui affanni<br />
potrebbero fagocitarci se non sapessimo agire saggiamente.<br />
Il profilo di un giovane associato alla testa <strong>del</strong> cane<br />
rappresenta il futuro verso cui fiduciosamente andare.<br />
Un motto si intravede nella parte alta <strong>del</strong> quadro:<br />
“Facendo tesoro <strong>del</strong> passato comportarsi con prudenza<br />
nel presente per non pregiudicare le azioni future”.
Valore in gioco<br />
Oculatezza<br />
Il tempo non è solo una dimensione che ci scorre addosso<br />
e che ci vede impotenti. Va considerato come un materiale<br />
malleabile, su cui possiamo intervenire e che possiamo lavorare.<br />
Agendo con lungimiranza e spirito di collaborazione, con senso<br />
<strong>del</strong>l’opportunità e sapendo cogliere le varie occasioni di cui è intessuta<br />
la giornata di lavoro, è possibile guadagnare una quantità<br />
insospettabile di tempo, per noi e per il sistema in cui siamo inseriti.<br />
Tutti sappiamo che il tempo e lo spazio sono le coordinate<br />
<strong>del</strong>l’esistenza umana. Al tempo meccanico, quello che vediamo<br />
scorrere in maniera uniforme e che è contrassegnato dall’avanzare<br />
implacabile <strong>del</strong>le lancette, occorre però affiancarne un altro: il<br />
tempo interiore. Inseriti in processi che tendono a parcellizzare e<br />
a scandire in maniera meccanica il nostro agire, sovente dimentichiamo<br />
che un’ora non scorre uguale per tutti. Il tempo interiore<br />
scorre diversamente a seconda <strong>del</strong>lo stato emotivo e <strong>del</strong>la<br />
condizione esistenziale in cui ci troviamo. Accelera o rallenta. Si<br />
contrae o si dilata. Un’ora è un’eternità per chi è in attesa di notizie<br />
<strong>del</strong> parente ricoverato, trascorre in un lampo per l’operatore<br />
impegnato su mille fronti.<br />
I due tempi il più <strong>del</strong>le volte non collimano. Riconoscerli e rispettarli<br />
entrambi non è certo semplice, ma lo sforzo per riuscirci<br />
è una <strong>del</strong>le fondamentali direttrici <strong>del</strong> ben essere, nostro e dei<br />
pazienti.<br />
Oculatezza<br />
103<br />
indirizzi etici<br />
organizzativi<br />
Il tempo va inteso come un patrimonio da gestire individualmente e<br />
collettivamente, attraverso un coordinamento <strong>del</strong>le attività il più possibile<br />
capillare e atto ad evitarne lo sperpero.<br />
Accanto al rispetto dei tempi scanditi dall’orologio, occorre che gli<br />
operatori maturino la capacità di riconoscere i tempi interiori dei pazienti<br />
- utenti, per poi adottare l’approccio relazionale più adatto in base alle<br />
circostanze.
impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />
valore:<br />
Reciprocità<br />
Il sistema organizzativo,<br />
compatibilmente con la complessità<br />
e la mutevolezza <strong>del</strong>lo<br />
scenario politico e sociale,<br />
deve impegnarsi a fornire indirizzi<br />
e obiettivi gestionali in<br />
maniera il più possibile univoca<br />
e non contraddittoria.<br />
Deve aiutare le singole persone<br />
a comprendere la loro<br />
collocazione all’interno <strong>del</strong>la<br />
“casa lavorativa”, a maturare<br />
la piena consapevolezza <strong>del</strong><br />
loro ruolo, facilitando l’individuazione<br />
<strong>del</strong>le reciproche<br />
responsabilità.<br />
Il primo fattore di successo<br />
di qualsiasi organizzazione è<br />
l’adesione convinta, fattiva e<br />
non soltanto formale, al proprio<br />
patrimonio di valori.<br />
104<br />
14 Persone - Sistema<br />
Sistema - Persone<br />
14.1 Ricevere dal sistema<br />
Si fatica a capire la logica complessiva <strong>del</strong> sistema. E il<br />
ruolo che si gioca in essa. In che misura tu sei utile in quel<br />
contesto lì? A che cosa servi? Ecco dov’è il sistema, nelle<br />
relazioni che tengono insieme le parti! Timbrare quattro<br />
fogli, bucare quattro chiappe o inoculare una mucca e<br />
basta si può fare, ma vissuta in questo modo la vita lavorativa<br />
è davvero triste…<br />
Parlando di etica bisogna parlare in primo luogo di trasparenza<br />
e di chiarezza. Diventare una grande azienda significa<br />
far fatica ad avere dei punti di riferimento, non solo<br />
per chi lavora in Servizi che vengo accorpati, ma anche<br />
per gli altri, perché non si sa più a chi rivolgersi. Il sistema<br />
organizzativo rischia di diventare una specie di labirinto in<br />
cui ci si perde.<br />
Io sovente identifico il sistema come un enorme moloch<br />
di cui fatico davvero a capire le linee guida e che mi lancia<br />
solo questo continuo messaggio: “È così e non si può fare<br />
altrimenti”.<br />
È capitato che dopo giorni e giorni di completo<br />
blackout informatico, non sapessi proprio che cosa fare.<br />
Ho davanti la persona, il paziente… Che gli dico? Vorrei<br />
che il sistema mi aiutasse a fare il mio lavoro, invece talvolta<br />
lo vedo come un nemico. Penso: “Che cosa escogiterà<br />
oggi per complicarmi la vita?”. Perché un po’ tutti i<br />
giorni ce n’è una… Ad esempio mi chiedo: ma è proprio<br />
necessario cambiare così tanti sistemi operativi in così<br />
pochi anni? Magari sì, magari è anche necessario, però<br />
nessuno il perché me lo ha mai spiegato.<br />
Mi aspetto che la Carta Etica aiuti i vertici <strong>del</strong>l’Azienda<br />
nell’allocare le risorse disponibili mettendo tra i suoi criteri<br />
di scelta anche i valori in essa presenti. Caricare di valenze<br />
etiche le scelte aziendali sarebbe di grande vantaggio<br />
per il lavoro di tutti!<br />
Per chi crede in certi valori il rischio è la frustrazione<br />
continua. Alla lunga si ricade nella morale personale, cioè
fare il proprio lavoro fatto bene per se stessi e basta. Il<br />
problema è che coloro che sono eticamente attenti e disponibili<br />
non solo non vengono adeguatamente valorizzati<br />
dal sistema, che sembra un pò indifferente e lontano, ma<br />
rischiano di sentirsi isolati e di darsi la zappa sui piedi.<br />
È necessario ricevere dal sistema dei forti segnali di<br />
interesse etico. Da soli non si va da nessuna parte: si<br />
tiene duro per un po’, poi si getta la spugna.<br />
Sappiamo che lavoriamo con persone in situazione di<br />
disagio, di sofferenza e di debolezza, ma c’è la sensazione<br />
di essere visti come numeri, come limoni da spremere,<br />
senza vero interesse per ciò che sei e che fai, tanto se te<br />
ne vai non cambia nulla, ci sarà un altro da spremere…<br />
Vorremmo non un ringraziamento, ma un sapere che per<br />
l’azienda non conta solo fare numeri, che anche noi contiamo<br />
e che meritiamo fiducia.<br />
Un limite forte è che i politici danno indirizzi che però<br />
sono misurati sul breve periodo. È piuttosto difficile<br />
che lavorino e investano sul personale interno, perché<br />
non riescono a pensare che da lì possa venire qualcosa<br />
di buono. È meglio mettere a posto la buca <strong>del</strong>la<br />
strada o il palo <strong>del</strong>la luce…<br />
Noi <strong>del</strong>l’URP ci sentiamo un po’ sotto utilizzate. Il nostro<br />
sarebbe un servizio utilissimo per migliorare le cose<br />
perché riceviamo le segnalazioni dall’utenza, ma fatichiamo<br />
a farci prendere sul serio, a farci ascoltare dal sistema<br />
e ad incidere su di esso…<br />
Il nostro problema più grosso in quanto operatori<br />
<strong>del</strong>l’ufficio accoglienza, è che noi individuiamo una serie<br />
di problemi che vanno a discapito <strong>del</strong>l’utenza, li segnaliamo,<br />
ma il sistema fa fatica a farsene carico, e a volte tutto<br />
finisce lì. Noi non abbiamo abbastanza autonomia per<br />
poter intervenire, chiediamo frequentemente degli incontri<br />
con i colleghi per migliorare percorsi e processi, ma<br />
non si riesce ad incontrarci. Un paio di mesi fa degli utenti<br />
ci hanno detto: “Siete tanto carine, tanti sorrisi, ma poi<br />
le cose continuano a non funzionare”. Questo è fonte di<br />
grande frustrazione… Senza tenere conto <strong>del</strong> problema<br />
<strong>del</strong>l’immagine <strong>del</strong>l’Ente: l’accoglienza è il primo impatto<br />
<strong>del</strong>l’utente con l’ASL!<br />
Reciprocità<br />
105<br />
Il sistema organizzativo deve<br />
facilitare l’agire etico individuale,<br />
avviando iniziative di<br />
sistema atte a promuovere i<br />
comportamenti eticamente<br />
responsabili e a limitare il più<br />
possibile quelli non in sintonia<br />
con il <strong>progetto</strong> etico.<br />
Non sprecare risorse deve essere<br />
un imperativo, per tutti.<br />
Per il sistema questa esigenza<br />
deve diventare un impegno<br />
a valorizzare al meglio il suo<br />
principale patrimonio: le proprie<br />
risorse umane.<br />
Il Sistema deve dare particolare<br />
ascolto a chi è preposto<br />
ad incentivare i processi di<br />
miglioramento organizzativo.
impegni verso il sistema lavorativo e verso il territorio<br />
Ciascuno deve chiedersi non<br />
solo e non tanto che cosa<br />
l’Azienda può fare per lui,<br />
ma anche e soprattutto che<br />
cosa lui può fare per il sistema<br />
organizzativo in cui tutti<br />
dobbiamo essere attori responsabili.<br />
Occorre maturare, a tutti i<br />
livelli, il dovere etico di portare<br />
il proprio personale contributo<br />
per facilitare il buon<br />
funzionamento <strong>del</strong> sistema<br />
organizzativo.<br />
106<br />
14.2 Dare al sistema<br />
Lo sappiamo, le risorse sono limitate. Ad esempio in<br />
ospedale si trovano sempre poche carrozzelle. Ma è anche<br />
vero che chi le utilizza le deve riportare dove le ha<br />
prese! È un fatto di responsabilità verso se stessi e verso<br />
il sistema per cui si lavora. Occorre cercare di dare il meglio<br />
con le risorse disponibili, avendo riguardo per ciò che<br />
abbiamo a disposizione.<br />
Va a finire che io sul lavoro mi sento sminuito se mi<br />
devo occupare <strong>del</strong>la carta igienica o se da chirurgo mi<br />
devo occupare <strong>del</strong>la coperta per la paziente. Andiamo a<br />
lavorare con la pretesa che lì vada tutto bene, che tutto<br />
sia a posto. A casa ci preoccupiamo che queste cose<br />
funzionino, sul lavoro invece si pretende. Se mi serve un<br />
temperamatite e non c’è, mi lamento; ma il fatto che io<br />
abbia perso tre temperamatite nell’ultima settimana non<br />
mi importa…<br />
Abbiamo la possibilità di incidere sul sistema in molti<br />
modi. Noi ad esempio siamo quelli che consentono di<br />
avere il polso <strong>del</strong>la situazione sanitaria: dobbiamo essere<br />
consapevoli che i dati che ci arrivano e che elaboriamo<br />
non sono i numeri di casa nostra, ma andranno a incidere<br />
sulle future decisioni politiche in ambito di intervento.<br />
Ci sono operatori che entrano in reparto e già non<br />
vedono l’ora di uscire: “Tanto alle 22 me ne vado, sia quel<br />
che sia...” E gran parte <strong>del</strong>la loro permanenza è solo un<br />
trascinarsi fino alla fine <strong>del</strong> turno. Penso che la via da<br />
seguire sia che ciascuno si aspetti molto dal sistema e al<br />
contempo diventi più esigente con se stesso.<br />
Tempo fa ho iniziato a lavorare in un ospedale che<br />
all’epoca era un fiorellino. Nonostante questo, dopo pochi<br />
giorni mi è stato detto: “Rallenta, perché se no qui non<br />
c’è da fare per tutti”. Giocare sempre al risparmio: è una<br />
mentalità che nel Pubblico deve essere superata!<br />
L’autorevolezza <strong>del</strong> dipendente pubblico è minata da<br />
quelli che per troppo tempo hanno vissuto il lavoro<br />
nell’Ente Pubblico come un’occasione per farsi gli affari<br />
propri…<br />
Sovente ci dimentichiamo che il sistema è fatto anche<br />
di singole persone… Credo che ciascuno di noi sia
chiamato a vigilare sul proprio lavoro. Se uno ha voglia di<br />
spendersi, smuove le acque, non resta lì a fare piccolo<br />
cabotaggio, può sempre fare qualcosa di buono, per sé e<br />
per gli altri, ovunque si trovi a lavorare.<br />
Molto dipende dalla curiosità personale. Sono alla fine<br />
<strong>del</strong>la mia carriera e mi chiedo se ho espresso tutto quello<br />
che potevo esprimere, ma mi sembra di no. Sento di avere<br />
ancora molto da dare e da esprimere, ma spesso gli altri<br />
non sono più interessati a “stare a sentire”. Chi <strong>del</strong>la mia<br />
generazione ha scelto di fare l’operatore sociale, aveva<br />
ideali diversi; oggi invece si è più tecnici, ma più “ristretti”,<br />
senza quel desiderio di cogliere aspetti che esulano dalle<br />
competenze classiche.<br />
Reciprocità<br />
107<br />
In che cosa consiste la responsabilità<br />
morale verso se<br />
stessi ?<br />
Vigilare sul proprio lavoro significa<br />
impegnarsi a non lasciarlo<br />
inerte, farlo fruttare,<br />
considerarlo parte integrante<br />
<strong>del</strong>la propria esistenza.<br />
Significa vivere con pienezza<br />
il tempo lavorativo lottando<br />
contro l’insignificanza e l’avvilimento<br />
dei gesti quotidiani.<br />
vedi 5.1
108<br />
Una mano sinistra disegna una mano destra.<br />
Quale disegna e quale è disegnata?<br />
Strana situazione: colei che disegna<br />
è contemporaneamente anche disegnata.<br />
Escher, Mani che disegnano, 1948
Valore in gioco<br />
Reciprocità<br />
Sistema organizzativo e persone che lo compongono vengono<br />
sovente presentati come contrapposti. È una prospettiva suicida. Per<br />
entrambe le parti. Privo <strong>del</strong> coinvolgimento <strong>del</strong>le singole persone il sistema<br />
organizzativo è un guscio vuoto. Senza l’adesione <strong>del</strong> sistema<br />
organizzativo le persone rischiano la continua frustrazione e la loro<br />
motivazione rischia di spegnersi per inedia.<br />
Persone e Sistema vanno piuttosto interpretati in un’ottica di reciprocità.<br />
Occorre che le singole persone si attivino e sostengano il<br />
sistema organizzativo e che, in contemporanea, il Sistema implementi<br />
le condizioni lavorative favorevoli all’attivarsi <strong>del</strong>le persone. Logiche<br />
di ben essere e di eccellenza <strong>del</strong>le prestazioni possono svilupparsi<br />
a patto che vengano sollecitate tanto le energie individuali quanto la<br />
tensione etica <strong>del</strong> Sistema.<br />
Il sistema organizzativo deve fornire a tutti gli operatori, con la<br />
massima chiarezza e tempestività possibile, le linee gestionali e gli<br />
obiettivi operativi, in maniera tale da permettere a ciascuno di inquadrare<br />
il proprio contributo all’interno di un tutto coerente.<br />
L’adesione <strong>del</strong> sistema organizzativo al proprio patrimonio valoriale<br />
deve essere convinta e superare il semplice formalismo. Occorre<br />
che il sistema riconosca e valorizzi coloro che si adoperano per innestare<br />
i valori aziendali nel proprio quotidiano operare.<br />
L’agire dei singoli operatori deve essere improntato a un principio<br />
di responsabilità allargata, che li induca a sentirsi coinvolti nella vita<br />
organizzativa anche per aspetti non strettamente legati alla loro personale<br />
condizione o al loro immediato contesto lavorativo.<br />
Il tempo di lavoro non va interpretato come una parentesi rispetto<br />
all’esistenza personale, ma anche come un momento di impegno<br />
civile, prezioso per sentirsi parte di un gruppo, di una comunità territoriale,<br />
di una società.<br />
Reciprocità<br />
109<br />
indirizzi etici<br />
organizzativi<br />
Devono essere incoraggiate le iniziative finalizzate alla più ampia<br />
comunicazione e condivisione di indirizzi e linee operative.<br />
Compatibilmente con vincoli economici e logistici, vanno progettate e<br />
promosse le condizioni di sistema atte a favorire e coordinare le iniziative<br />
etiche individuali e di gruppo.<br />
Ciascun operatore, al di là dei suoi doveri di ruolo, è chiamato a portare<br />
il suo personale, fattivo contributo al fine <strong>del</strong> miglioramento <strong>del</strong> sistema<br />
organizzativo.<br />
Va incentivato e valorizzato l’impegno lavorativo inteso come occasione<br />
etica attraverso cui dare un senso alla nostra esistenza.
Le voci <strong>del</strong>la Carta<br />
Gruppo di <strong>progetto</strong><br />
Rabino Giorgio, Neirotti Amalia, Marino Carlo, Marforio Paolo, Laurenti Paolo, Perotti Oscar,<br />
Mura Vittorio, Pasqualucci Arturo, Massobrio Giuseppe, Deidier Mauro, Colla Maria Teresa,<br />
Biasiato Erica.<br />
I partecipanti ai Gruppi di Lavoro<br />
Abbà Maria Teresa, Accollo Giuseppina, Acierno Luca, Agù Manuela, Ainardi Romina, Alauria Lorena,<br />
Albanese Domenico, Albertengo Cinzia, Albertetti Alberto, Alberti Patrizia, Allochis Maria Cristina,<br />
Alpe Valter, Amasio Stefano, Angaramo Arianna, Angelone Lorenzo, Ansaldo Bruno, Ansinelli Vittorio,<br />
Anzillotti Sabrina, Aponte Mario, Appendini Massimo, Araldo Anna Maria, Argentero Piero, Argento<br />
Caterina, Ariello Dario, Astorino Letizia, Audino Bruna, Audisio Giacomo, Audisio Luisella, Baldi Ugo,<br />
Balsà Luigia, Barberis Bruno, Barcello Luisa, Bar<strong>del</strong>la Renato, Barral Antonella, Baudino Raffaella,<br />
Becchimanzi Gioia, Becchio Laura Antonella, Bedetti Daniela, Beitone Ivana, Bellina Maurizio,<br />
Beltramino Maria Grazia, Benedetto Mariella, Benetazzo Alessandra, Berni A<strong>del</strong>ma, Berruto Paolo,<br />
Bertalot Sara, Bertalotto Elena, Bertiglia Angela Grazia, Bertinetti Laura, Bessone Stefania, Biancardi<br />
Lucia, Bianchi Anna, Biasiato Erica, Bina Piera Giorgina, Bisarello Fulvia, Blanc Claudia, Blanc<br />
Cristina, Blanc Fabrizio, Blanc Roberta, Blanzieri Valeria, Bocchino Mariannina, Boglione Maria<br />
Gabriella, Bombonati Roberto, Bompard Leonilde, Bona Fausto, Bondesan Dante, Bonfantini Elena,<br />
Bonini Franco, Bono Margherita Paola, Borasio Paolo, Borca Bruna, Borio Cristina, Borraccino<br />
Sabina, Boschet Maria Laura, Bossetto Giovanna, Bossolino Raffaella, Bossuto Anna Marisa,<br />
Bosticco Marco, Bottino Giovanni, Bracchino Piero, Breuza Franca, Bruera Paola, Brugo Chiara,<br />
Bruno Massimo, Bruno Valter, Buffa Giorgio, Bugnone Andrea, Burrello Carla, Bussa Luciana, Buttola<br />
Vilma, Cadamuro Emanuela, Calliero Claudia, Campagna Luciana, Campagnone Antonietta,<br />
Campochiaro Giovanna, Camusso Barbara, Canale Paola, Canavosio Ornella Maria, Canta Alfio,<br />
Canta Laura, Cantali Rappato Maria, Cantelli Barbara, Capello Paola, Capizzi Salvatore, Cappellazzo<br />
Ivan, Cappucci Elisabetta, Carazza Maria Cristina, Car<strong>del</strong>la Maria Alessandra, Cardinali Monica,<br />
Cardino Luciano, Cardone Franca, Cascioli Filomena, Castagneri Dario, Castelli Giovanni, Catalano<br />
Rosanna, Cavallo Maria Elisabetta, Cavallo Maria Rita, Cento Vella Paola, Ceretto Alessandra, Cesari<br />
Luisella, Cevrero Barbara, Chapelle Marina, Charbonnier Ginevra, Charrier Fiorentina, Chiaberto<br />
Emilio, Chiamberlando Giuliana, Chiantore Daniela, Chiappa Andrea, Chiapusso Maurizio, Chiattone<br />
Anna, Chioetto Sonia, Cibinel Gian Alfonso, Cicciarello Vincenzo, Cinato Alessia, Cipriano Sergio,<br />
Ciravegna Ivano, Citta Marco, Ciurca Maurizio, Clot Anna, Coalova Emerenziana, Colella Erminia<br />
Colla Maria Teresa, Colombo Silvia, Cometti Stefania, Condò Maria, Consoli Albino, Contino Maria<br />
Anna, Corsani Paolo, Cosentino Patrizia, Cosola Alda, Costabello Maristella, Costantino Paola, Cot<br />
Piera, Crotti Daniela, Curcuruto Domenica, D’Alessandro Bartolomeo, D’aversa Mario, Daghero<br />
Lorella, Dagna Guglielmo, Dagna Guglielmo, Dalla Vittoria Maria, Danieli Elisabetta, De Lazzari<br />
Stefania, De Luca Elena, De Marco Isabella, De Marie Daniela, De Vivo Rosanna, Debandi Paola,<br />
Deidier Mauro, Deirino Alberto, Della Donna Emanuela, Dema Maria, Demurtas Giampiero, Depetris<br />
Luisa, Destefanis Diego, Di Filippo Sabato, Di Frischia Daniela, Di Piazza Marinella, Di Troia<br />
Giuseppina, Diana Marianna, Dicerbo Marcello, Diecidue Roberto, Digiorgio Gerardo, Dimasi<br />
Rosanna, Distaso Palma Maria, Domine Irma Maria, Donato Caterina, Donzelli Teresita, Dore<br />
Maurizio, Doriguzzi Bozzo Carlo, Dovis Simona, Drusian Laura, Dugaro Anna Lisa, Durante Giovanni,<br />
Ecca Anna Maria, Elia Elio, Ellena Paola, Enrico Ivana, Ermanni Ada, Eruli Ivo, Esposito Paola, Falbo<br />
Maria Vincenza, Falcone Giuseppina, Farina Marco, Faro Giuseppe, Fasano Paola, Fe<strong>del</strong>e Vincenzo,<br />
Fenoglio Elvio, Ferrari Eliana, Ferrero Daniela, Fiammotto Maria Luisa, Fiore Roberto, Fiorillo Stefania,<br />
Flesia Nino, Fonsato Claudio, Fontana Emanuele, Forestiero Anna, Francavilla Rossana, Friolo<br />
Daniela, Fruggero Antonella, Fruscoloni Daniela, Fuggetta Daniela, Fumei Cinzia, Furlan Enrico,<br />
Fuscà Pasquale, Gaido Corinna, Galletto Luciano, Gallio Cristina, Gallo Aureliana, Gallosti Silvia,<br />
Garbuglia Marinella, Gardiol Silvia, Gariglio Carla, Garlanda Pierfranco, Gastaldi Paola, Gatti Maria<br />
Teresa, Gatto Ferdinanda, Gatto Stefano, Gay Claudia, Gay Lorella, Genre Alma, Gerlero Gloria,<br />
Germano Giovanna, Geymet Vilma, Geymonat Sabrina, Ghimenti Sabrina, Ghircoias Gheorghe<br />
110
Cosmin, Ghiringhelli Antonella, Giacchino Fulvio, Giacomino Francesco, Giacomino Francesco,<br />
Giacone Graziella, Giai Minietti Fulvio, Giardino Stanislao, Giolitti Arturo, Giordano Paola, Giovanetti<br />
Pierangela, Girotti Valter, Giugno Giuseppe, Giuliano Pasquale, Gnaccarini Mauro, Golzio Michele,<br />
Gortan Luisella, Gosso Fulvio, Gotto Clara, Gouchon Silvia, Gramoni Alessandro, Grassano<br />
Pasquale, Grasso Annarita, Grazia Giuseppe, Griffa Giorgio, Griglio Milena, Grill Ebe, Grillo Angelo,<br />
Grivet Renata, Guasso Sergio, Guiot Cristina, Guiotto Anna Chiara, Gulli Maria Grazia, Gurioli A<strong>del</strong>e,<br />
Infantino Michele, Inzerilli Lidia, Isgrò Domenica, Isolato Vilma, Julitta Riccardo, La Brocca Antonello,<br />
Laezza Antonella, Laguzzi Sergio, Lanfranco Matilde, Lapio Daniela, Laurenti Anna, Laurenti Paolo,<br />
Legger Barbara, Lentini Antonino, Leone Tiziana, Levy Tiziana, Ligas Marzia, Linari Silvana, Lincesso<br />
Ester, Lingua Marcella, Littera Luca, Lochi Antonella, Loielo Immacolata, Lovera Luisa, Luda Di<br />
Cortemiglia Emilio, Machetta Giacomo, Maganuco Rossana, Magnano Mauro, Magri Emanuela,<br />
Maida Sonia, Mainardi Loredana, Malaspina Giuseppe, Malatesta Mercurio, Malcangi Ugo, Manavella<br />
Marina, Manca Daniela, Mango Rosangela, Marangi Maria Luisa, Marano Michele, Marforio Paolo,<br />
Marini Marzia, Marini Sergio, Marino Carlo, Marino Mario, Marino Maurizio, Marra Anna Maria,<br />
Martina Simona, Masiero Mariella, Massaro Giovanna, Massaro Vilma, Massazza Roberto, Matrone<br />
Luigi, Mauri Morena, Medail Maurizio, Medori Raffaela, Meloni Adriana, Mengozzi Erika, Meotto Rita<br />
Carmen, Michelin Salomon Giovanni, Miglio Valentina, Milanetti Cristina, Mina Lorenzo, Minolfi<br />
Silvia, Mirisola Teresa, Mismetti Silvia, Mitoli Rosa, Moiso Laura, Molino Sabrina, Mollar Giuliana,<br />
Monasterolo Luisa, Monatto Giuseppe, Monelli Guido, Montagnini Sandro, Montaldo Chiara,<br />
Morabito Giuseppe, Morello Nadia, Morra Roberta, Moschetto Marina, Mourglia Ada, Mozzanti<br />
Silvia, Mura Vittorio, Nangeroni Marco, Navone Vanna, Negri Maurizio, Negro Isabella, Neirotti<br />
Amalia, Nicchio Flavia, Nissia Diana, Nucci Bianca, Odiardi Walter, Ogliero Gianni, Oliva Carmela,<br />
Orlando Gabriella, Orso Giacone Giovanni, Ortoncelli Roberta, Pacchiardo Franca, Paiola Ada,<br />
Palmas Miranda, Pantone Enza, Paparella Maria Domenica, Paparella Rosa, Parigi Olivia, Pascal<br />
Donatella, Pascal Elisabetta, Pascal Sara, Paschetto Valeria, Pasqualucci Arturo, Pasquet Marco,<br />
Pastorelli Mauro, Pau Antonella, Peiretti Carla, Pelissero Franco, Pelle Patrizia, Peluso Carmine,<br />
Pent Grazia, Perino Silvana, Perotti Oscar, Perriello Speranzina, Peruzzo Luca, Pesando Emanuela,<br />
Peyronel Elvio, Peyronel Odetta, Pezzano Lara, Piazza Lunga Alessandra, Piazza Silvia, Picone<br />
Elena, Pietrafesa Gabriella, Pilotto Nicoletta, Piolatto Alberto, Pitasi Maria, Piva Mirco, Pocciati<br />
Barbara, Pogliano Patrizia, Poma Paola, Pomello Paola, Pons Andrea, Poponi Cinzia, Porfido<br />
Luciano, Portuesi Giovanni, Pratesi Marco, Pregnolato Gabriella, Prelato Maria Luisa, Properzi<br />
Cinzia, Protti Elena, Pugliese Giuseppe, Quaranta Maurizia, Rabino Giorgio, Rallo Giovanni, Ramello<br />
Donatella, Ramello Maria Grazia, Ramonda Maura, Ranieri Tiziana, Ranzani Sabrina, Re Laura<br />
Reddavid Maurizio, Regis Augusta, Revel Alessandra, Ribetto Bruno Massimo, Ribotta Monica,<br />
Richetta Enrica, Richetto Marilena, Ridoni Carla, Rigo Stefano, Rigotti Liliana, Rita Valfrè, Riva<br />
Luciano, Rivoira Carla, Rivoira Giovanni, Rizzo Gabriella, Rizzo Massimo, Robotti Astrid, Rolando<br />
Patrizia, Rollero Maria, Romanazzi Vincenzo, Romero Roberto, Rosa Massimo, Rosalba Agnese,<br />
Rosati Maria Rosa, Rosato Doris, Roschetti Carmela, Rosina Barbara, Rosini Manuela, Rossa<br />
Danila, Rossi Graziella, Rossignoli Federica, Rotondo Cristiana, Rovereti Patrizia, Rucci Silvia,<br />
Russo Virginia, Saliola Rosina, Saltarelli Marco, Salvano Annamaria Piera, Sambin Barbara,<br />
Sancandi Luigi, Sanna Antonia, Sapei Antonella, Sapei Graziella, Sappa Paola, Sappè Annalisa,<br />
Sarà Luciana, Sartori Maita, Savojardo Onoria, Sderci Paola, Seghi Paola, Senatore Bruno, Serafini<br />
Letizia, Sereno Rossella, Serlenga Silvia, Serra Gloria, Si<strong>cura</strong>nza Loreta, Sidoti Vincenzo, Signorini<br />
Elia, Silvia Gouchon, Simioli Adonella, Sina Paola, Spagna Susanna, Sparagna Bruno, Spatafora<br />
A<strong>del</strong>e, Spicuglia Sebastiano, Stanislao Giardino, Stringat Luisita, Suma Nicola, Suriani Renzo,<br />
Tabasso Bruna, Tabone Ivan, Tacca Paola, Talarico Roberto, Tancredi Giuseppino, Tassone Itala,<br />
Taverna Rosanna, Tedde Giovanni, Tedeschi Silvia, Tessa Manola, Testolina Patrizia, Tiani Luigina,<br />
Tibald Marina, Tichelio Claudio, Tiranti Bruno, Tognin Manuela Cristina, Tonco Fulvia, Tornatore<br />
Lucia, Tortone Claudio, Toye Mario, Travisi Graziano, Trematone Cristina, Trevaini Gabriella, Troia<br />
Bruno Mario, Tron Loretta, Vaccaro Rosanna, Vacchi Sandra, Vacchino Rosa, Vair Cristina, Vajo<br />
Marco, Valfrè Rita, Valle Anna, Valter Fascio, Vandero Laura, Vaschetto Graziella, Ventriglia Anna,<br />
Venuti Silvio, Vercesi Renata, Vernero Elena, Vettori Marilena, Vicari Irene, Vidori Alessandra, Vietti<br />
Fiorella, Vietti Michelina Cristina, Viglianco Marino, Vigliani Roberto, Vinassa Barbara, Vincon<br />
Danila, Vola Silvio, Volpino Teresina, Volterrani Pietro, Vota Ornella, Vottero Laura, Zaccagna<br />
Beatrice, Zanella Daniela, Zaramella Maria, Zennaro Isabella, Zeolla Ida, Zuffanti Mariella.<br />
111
© A.S.L. TO3, in collaborazione con ANCI Piemonte - settembre 2009<br />
Progetto grafico e impaginazione elettronica: Arcastudio, Torino<br />
Stampa: Tipolitografia Giuseppini, Pinerolo TO