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COME FAR FRONTE ALL’INFELICITÀ DEL MONDO ARABO? RIFLESSIONI<br />

SULL’ULTIMO SAGGIO DI SAMIR KASSIR.<br />

Samir Kassir, L’infelicità araba, Einaudi, Torino 2006<br />

di Rosita Di Peri<br />

Il titolo dell’edizione francese del libro di Samir Kassir Considérations sur le malheur arabe<br />

non colpisce come quello italiano L’infelicità araba. Forse perché la parola malheur rinvia alla<br />

parola malessere che appare meno forte di infelicità o forse perché l’incipit “considerazioni” apre<br />

maggiori spiragli di ottimismo. A parte il titolo, comunque, la sostanza non cambia e il piccolo<br />

saggio - pamphlet di Samir Kassir colpisce sia per la sua lucida analisi delle cause dell’infelicità<br />

degli arabi contemporanei, sia per il fatto che a fare queste considerazioni sia una persona<br />

appartenente a quell’area impregnata di infelicità. Samir Kassir, giornalista e docente di scienze<br />

politiche presso l’Università di Saint Joseph di Beirut è stato ucciso da un’autobomba a Beirut il 2<br />

giugno 2005 proprio mentre si recava ad una conferenza in cui si sarebbe discusso delle prospettive<br />

democratiche dello stato libanese. La sua vita era divisa tra la Francia e il Libano e questo suo<br />

ultimo saggio, il primo dei suoi libri ad essere pubblicato in Italia, è stato scritto in francese, lingua<br />

che probabilmente l’autore considerava o sentiva più libera e familiare di quella araba e che poteva<br />

raggiungere un pubblico più ampio. E in tale direzione è andata, anche in passato, la decisione di<br />

pubblicare le sue due principali opere: la monumentale Histoire de Beyrouth del 2003 e La guerre<br />

du Liban: de la dissension nationale au conflit régional del 1994. Innumerevoli i suoi articoli sulla<br />

situazione libanese apparsi nelle principali riviste di analisi storico-politica del mondo arabo,<br />

articoli che spiccavano per la presa di posizione decisa contro una situazione internazionale che non<br />

permetteva allo stato libanese di affrancarsi dalla presenza sul proprio territorio di truppe straniere 1 .<br />

Ma questo suo ultimo libro non parla del suo Libano ma, più in generale, del contesto regionale che<br />

lo circonda e lo include. E non è soltanto un libro politico ma “un grido di chi chiede libertà e<br />

democrazia”, non con rassegnazione né con una sindrome da predestinazione: il mondo arabo non è<br />

un universo predestinato all’infelicità e all’autoritarismo ma, un luogo, non solo geopolitico, denso<br />

e ricco di significato, pronto per una nuova rinascita. Samir Kassir era pronto per la rinascita ed è<br />

stato portatore di valori come la libertà, la democrazia e la vita: la sua morte non spegne un<br />

processo, lo alimenta e questo libro ne è una testimonianza.<br />

Il ragionamento dell’autore è molto semplice ed efficace: Kassir parte dalla constatazione<br />

che gli arabi di oggi siano gli individui più infelici del mondo e cerca di dimostrare come questa<br />

prospettiva sia stata costruita attraverso i secoli soltanto in parte a causa del preteso immobilismo<br />

degli arabi e che abbia avuto come con-cause le costruzioni colonialiste e imperialiste del mondo<br />

occidentale in questa parte del mondo. “Davanti alla destabilizzazione che nasce dallo sguardo<br />

dell’Altro o dal confronto con lui, la coscienza di sé non è di grande aiuto. Si è talmente incrinata<br />

che basta un nonnulla per mandarla in pezzi (p. 5)”. In questa frase è racchiuso il senso<br />

dell’infelicità araba, un’infelicità che ha radici profonde ma che è relativamente recente. L’infelicità<br />

parte e si alimenta dalla consapevolezza che gli arabi hanno della loro storia, la quale illustra<br />

chiaramente che questo stato d’animo, questa sensazione non è genetica: l’impotenza degli arabi<br />

sarebbe ancora più dolorosa proprio perché non esiste da sempre. Il punto, secondo Kassir, è che gli<br />

arabi stanno attraversando una fase storica nella quale anche il tanto decantato periodo d’oro del<br />

mondo arabo viene meno, debilitato nel ricordo e rimosso, tanto da annullare la percezione di un<br />

possibile risveglio 2 . Secondo l’autore il problema nasce dalla consapevolezza araba di “poter<br />

essere” e di non essere più. “Impotenza ad agire per affermare la propria volontà di esistere, se non<br />

altro come possibilità, di fronte all’Altro che ti nega, ti disprezza e, adesso, nuovamente ti domina<br />

(p. 6)”. Il sentimento di frustrazione e impotenza, inoltre, è aumentato dal fatto che, quanto più gli<br />

1 In particolare “A polity in an uncertain regional environment”, in Lebanon in Limbo, a cura di T. Hanf e N.<br />

Salam, Nomos Verlagsgesellschaft, Baden Baden, 2003, pp. 87-106.<br />

2 Per periodo dell’oro del mondo arabo l’autore intende la Nahda, come spiegherà meglio nella fase successiva<br />

del suo ragionamento.<br />

1


arabi divengono un’entità trascurabile nell’ambito mondiale, tanto più è sui loro territori e sulla loro<br />

pelle che si gioca la partita più dura. L’occupazione dell’Iraq rappresenta l’aspetto più recente di<br />

una nuova ondata di colonialismo in terra araba che si affianca a quello israeliano. E la nascita<br />

dell’islamismo radicale è essa stessa un segno dell’infelicità araba o, piuttosto, una risposta<br />

all’infelicità che diventa ogni giorno di più una forma di vittimismo. Il fondamentalismo ha dunque<br />

innescato un circolo vizioso che appare senza via d’uscita, legittimando, tra l’altro, il mantenimento<br />

della supremazia occidentale sugli arabi e perpetuando la loro impotenza. L’islàm politico di<br />

matrice radicale non può dunque fornire alcuna utile risposta all’impasse in cui versa il mondo<br />

arabo ma, al contrario, ne è uno dei fattori costitutivi. Le forze islamiste radicali si pongono come<br />

artefici del mutamento, ma la loro ascesa è stata possibile soltanto grazie al deficit democratico in<br />

cui versa il mondo arabo nel suo complesso, dall’Arabia Saudita all’Egitto.<br />

Quale dunque la possibile soluzione ad una situazione apparentemente senza sbocchi? Una<br />

parziale risposta la offre lo stesso Kassir: “ (…) è soltanto recuperando la storia nella sua interezza e<br />

con tutti i suoi passaggi che si potrebbe pensare di mettere un termine all’infelicità araba (p. 29)”.<br />

Dunque l’avvio di un processo di riflessione critica sul passato potrebbe portare ad una<br />

riappropriazione, da parte degli arabi, sia del loro spazio politico che del loro spazio religioso. E<br />

l’elemento fondamentale di questo ragionamento è proprio nel dimostrare che, dopo il periodo della<br />

première grandeur dell’islàm, tra l’VIII e il IX secolo, la storia araba non è stata soltanto un<br />

susseguirsi di fallimenti e di disgrazie. La storiografia araba più diffusa, ricalcando la medesima<br />

scansione ternaria di quella europea, distingue tra un’età dell’oro, un’epoca di decadenza (‘asr alinhitat)<br />

e un’epoca di rinascita (la Nahda). E’ la stessa percezione che gli arabi hanno della storia a<br />

porre in un’area di oblio anche un periodo di rinascita e rinnovamento come la Nahda, con la<br />

motivazione che questo periodo non ha ottenuto compiuti esiti positivi. “E così, di colpo, resta solo<br />

l’idea di una decadenza senza fine e di un’età dell’oro impossibile da recuperare. E mentre ieri,<br />

quando la rinascita sembrava all’orizzonte, il peso di quel prestigioso passato provocava una<br />

tensione malgrado tutto positiva, oggi, dopo il presunto fallimento di quella rinascita, diventa un<br />

fardello schiacciante (p. 31)”.<br />

La Nahda (letteralmente rinascita) fu il periodo della storia araba a cavallo tra l’ultima fase<br />

dell’impero ottomano e la fine della prima guerra mondiale. A caratterizzare quel periodo fu un<br />

fortissimo impulso alla modernizzazione in tutti gli ambiti del sapere, insieme a uno sviluppo<br />

originale e intenso della letteratura, della scienza, delle arti. Coincidendo con l’apertura del mondo<br />

arabo alle idee nazionaliste provenienti dall’Europa, il fallimento delle esperienze nazionali degli<br />

stati arabi è stato spesso identificato con il fallimento della Nahda. Sarebbe ora invece che il mondo<br />

arabo si liberasse dall’idea di predestinazione religiosa e della teleologia nazionalista, proprio<br />

attraverso un recupero della Nahda, rimossa, accantonata o, al limite, inserita nel contesto della<br />

storia turca. Sarebbe una grande risorsa per gli arabi portare avanti un recupero di quel passato,<br />

anche “perché, se non ci si riappropria di quella storia, il rapporto degli arabi del XXI secolo con la<br />

modernità continuerà a reggersi su un malinteso (p. 38)”. Benché conclusasi come aspirazione<br />

nazionalista verso al fine della Prima Guerra Mondiale, la Nahda ha del resto continuato ad essere<br />

presente come attitudine e come visione del mondo. Anche nel periodo tra le due guerre, periodo in<br />

cui modernizzazione diviene sinonimo di occidentalizzazione, spunti originali e creativi<br />

caratterizzano il mondo arabo nella letteratura, nella arti, nel cinema. Secondo Kassir, non è<br />

possibile “dipingere un quadro idilliaco (…) se non altro perché l’assenza di democrazia e gli<br />

eccessi di statalismo, oltre ad aver soffocato lo spirito di iniziativa, hanno spianato la strada al caos<br />

attuale. Ciò non toglie che il mondo arabo, nel corso di quel breve periodo, abbia riacquistato un<br />

ruolo mondiale (p. 59)”. Ed è proprio questo il nodo centrale del ragionamento di Kassir: la perdita,<br />

da parte del mondo arabo, della sua centralità non da un punto di vista geo-politico, quanto,<br />

piuttosto, culturale. Dall’impero omayyade passando attraverso i Mongoli e le crociate fino<br />

all’impero ottomano, la storia araba è sempre stata una storia di imperi, una somma di differenze<br />

culturali e non stupisce il fatto che questa differenza abbia prodotto, nei secoli, tutto e il contrario di<br />

2


tutto: dal razionalismo aristotelico di Averroè alla teologia di al-Ghazali, dalla sociologia ante<br />

litteram di Ibn Khaldun all’interpretazione letterale del Corano di Ibn Taymiya. E questo fervore<br />

intellettuale e sociale (che pure in parte ancora esiste) sembra, per il momento, perduto o difficile da<br />

riguadagnare. Da qui, secondo Kassir, una delle fonti dell’infelicità araba.<br />

Ma allora, come venirne fuori? Da militante e intellettuale Kassir rifugge l’opinione di<br />

coloro che non nutrono più speranze per una rinascita araba e che, addirittura, citano la Nahda come<br />

un’anomalia della storia. E, ovviamente, si allontana dagli islamismi radicali che vedono l’infelicità<br />

come stimolo per guadagnarsi il paradiso. Ma Kassir si allontana soprattutto da coloro che, sulla<br />

scia di Huntington, esaltano lo scontro delle civiltà e propone una rilettura delle “civiltà” che, per<br />

dirla con Lévi-Strauss, utilizzi l’idea che l’umanità è una sola poiché riposa su un fondamento<br />

antropologico comune.<br />

Da arabo e intellettuale Kassir esorta tutti a rimettersi in discussione: non soltanto<br />

l’Occidente, attraverso una revisione dei suoi schemi orientalisti, neo-colonialisti e imperialisti, ma<br />

anche il mondo arabo. E la ricetta che propone per gli arabi per porre fine alle ambiguità che<br />

incoraggiano una logica culturalista dello scontro frontale appare semplice, quasi banale: rivedere<br />

l’ottica di vittimismo in cui le società arabe si sono adagiate e accettare l’idea che “nonostante le<br />

sconfitte, il XX secolo ha portato agli arabi un gran numero di conquiste, grazie alle quali possono<br />

partecipare al cammino dell’umanità (p. 79)”. E le conquiste nonostante l’infelicità, continuano<br />

ancora oggi. La presenza di uno spazio culturale omogeneo di matrice araba ha permesso e permette<br />

una circolazione dinamica di idee e di risorse culturali, e questo nonostante il persistere di numerosi<br />

ostacoli. Il risultato di questo processo è che l’area culturale araba comincia ad integrarsi nel<br />

mosaico mondiale ma continua ad essere frenata da strutture economiche e politiche bloccate da<br />

rapporti di forza sia interni sia esterni. Eppure questo freno, questo rallentamento, nonostante le<br />

pessime condizioni attuali, non impedisce di ricercare un possibile equilibrio, difficile ma non<br />

impossibile a patto “che gli arabi abbandonino il miraggio di un passato ineguagliabile e guardino<br />

finalmente in faccia la loro vera storia. In attesa di esserle fedeli (p. 84)”.<br />

Nota Biografica<br />

Nato nel 1960 da un padre di origine palestinese e da una madre di origine siriana Samir<br />

Kassir cresce in Libano, paese che lascerà per studiare all’università Sorbona di Parigi dove, nel<br />

1984, si diplomerà in filosofia e filosofia politica. Nel 1990 conseguirà, sempre alla Sorbona, un<br />

dottorato in Storia Moderna e, poco più tardi, otterrà un incarico come docente presso il<br />

Dipartimento di Studi Politici dell’Università di Saint Joseph a Beirut. Contemporaneamente<br />

comincia una carriera di giornalista attivando collaborazioni con Annahar, Al-Hayat, Le Monde<br />

diplomatique e l'Orient - Le Jour. Come editorialista di Annahar fu tra i primi a dichiarare<br />

apertamente la sua opposizione all’egemonia del regime siriano sul Libano, sia attraverso i suoi<br />

editoriali, sia tramite pubblici dibattiti. Voce vibrante e attiva del Movimento della Sinistra<br />

Democratica muore il 2 giugno del 2005, assassinato da una carica esplosiva posta sotto il sedile<br />

della sua vettura.<br />

Per approfondire:<br />

- Guazzone L., F. Bicchi, D. Pioppi, (a cura di) La questione della democrazia nel<br />

mondo arabo, Polimetrica, Monza 2004<br />

- Esposito J. L., A. Temimi, (a cura di), Islam and secularism in the Middle East,<br />

Hurst & Company Editors, Rondone 2000<br />

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