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arabi divengono un’entità trascurabile nell’ambito mondiale, tanto più è sui loro territori e sulla loro<br />

pelle che si gioca la partita più dura. L’occupazione dell’Iraq rappresenta l’aspetto più recente di<br />

una nuova ondata di colonialismo in terra araba che si affianca a quello israeliano. E la nascita<br />

dell’islamismo radicale è essa stessa un segno dell’infelicità araba o, piuttosto, una risposta<br />

all’infelicità che diventa ogni giorno di più una forma di vittimismo. Il fondamentalismo ha dunque<br />

innescato un circolo vizioso che appare senza via d’uscita, legittimando, tra l’altro, il mantenimento<br />

della supremazia occidentale sugli arabi e perpetuando la loro impotenza. L’islàm politico di<br />

matrice radicale non può dunque fornire alcuna utile risposta all’impasse in cui versa il mondo<br />

arabo ma, al contrario, ne è uno dei fattori costitutivi. Le forze islamiste radicali si pongono come<br />

artefici del mutamento, ma la loro ascesa è stata possibile soltanto grazie al deficit democratico in<br />

cui versa il mondo arabo nel suo complesso, dall’Arabia Saudita all’Egitto.<br />

Quale dunque la possibile soluzione ad una situazione apparentemente senza sbocchi? Una<br />

parziale risposta la offre lo stesso Kassir: “ (…) è soltanto recuperando la storia nella sua interezza e<br />

con tutti i suoi passaggi che si potrebbe pensare di mettere un termine all’infelicità araba (p. 29)”.<br />

Dunque l’avvio di un processo di riflessione critica sul passato potrebbe portare ad una<br />

riappropriazione, da parte degli arabi, sia del loro spazio politico che del loro spazio religioso. E<br />

l’elemento fondamentale di questo ragionamento è proprio nel dimostrare che, dopo il periodo della<br />

première grandeur dell’islàm, tra l’VIII e il IX secolo, la storia araba non è stata soltanto un<br />

susseguirsi di fallimenti e di disgrazie. La storiografia araba più diffusa, ricalcando la medesima<br />

scansione ternaria di quella europea, distingue tra un’età dell’oro, un’epoca di decadenza (‘asr alinhitat)<br />

e un’epoca di rinascita (la Nahda). E’ la stessa percezione che gli arabi hanno della storia a<br />

porre in un’area di oblio anche un periodo di rinascita e rinnovamento come la Nahda, con la<br />

motivazione che questo periodo non ha ottenuto compiuti esiti positivi. “E così, di colpo, resta solo<br />

l’idea di una decadenza senza fine e di un’età dell’oro impossibile da recuperare. E mentre ieri,<br />

quando la rinascita sembrava all’orizzonte, il peso di quel prestigioso passato provocava una<br />

tensione malgrado tutto positiva, oggi, dopo il presunto fallimento di quella rinascita, diventa un<br />

fardello schiacciante (p. 31)”.<br />

La Nahda (letteralmente rinascita) fu il periodo della storia araba a cavallo tra l’ultima fase<br />

dell’impero ottomano e la fine della prima guerra mondiale. A caratterizzare quel periodo fu un<br />

fortissimo impulso alla modernizzazione in tutti gli ambiti del sapere, insieme a uno sviluppo<br />

originale e intenso della letteratura, della scienza, delle arti. Coincidendo con l’apertura del mondo<br />

arabo alle idee nazionaliste provenienti dall’Europa, il fallimento delle esperienze nazionali degli<br />

stati arabi è stato spesso identificato con il fallimento della Nahda. Sarebbe ora invece che il mondo<br />

arabo si liberasse dall’idea di predestinazione religiosa e della teleologia nazionalista, proprio<br />

attraverso un recupero della Nahda, rimossa, accantonata o, al limite, inserita nel contesto della<br />

storia turca. Sarebbe una grande risorsa per gli arabi portare avanti un recupero di quel passato,<br />

anche “perché, se non ci si riappropria di quella storia, il rapporto degli arabi del XXI secolo con la<br />

modernità continuerà a reggersi su un malinteso (p. 38)”. Benché conclusasi come aspirazione<br />

nazionalista verso al fine della Prima Guerra Mondiale, la Nahda ha del resto continuato ad essere<br />

presente come attitudine e come visione del mondo. Anche nel periodo tra le due guerre, periodo in<br />

cui modernizzazione diviene sinonimo di occidentalizzazione, spunti originali e creativi<br />

caratterizzano il mondo arabo nella letteratura, nella arti, nel cinema. Secondo Kassir, non è<br />

possibile “dipingere un quadro idilliaco (…) se non altro perché l’assenza di democrazia e gli<br />

eccessi di statalismo, oltre ad aver soffocato lo spirito di iniziativa, hanno spianato la strada al caos<br />

attuale. Ciò non toglie che il mondo arabo, nel corso di quel breve periodo, abbia riacquistato un<br />

ruolo mondiale (p. 59)”. Ed è proprio questo il nodo centrale del ragionamento di Kassir: la perdita,<br />

da parte del mondo arabo, della sua centralità non da un punto di vista geo-politico, quanto,<br />

piuttosto, culturale. Dall’impero omayyade passando attraverso i Mongoli e le crociate fino<br />

all’impero ottomano, la storia araba è sempre stata una storia di imperi, una somma di differenze<br />

culturali e non stupisce il fatto che questa differenza abbia prodotto, nei secoli, tutto e il contrario di<br />

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