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Torino qui, domani. - Torino Strategica

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Giuseppe Berta<br />

(<strong>Torino</strong> Internazionale)<br />

Il sindaco ha voluto richiamare il punto di partenza<br />

del cambiamento che io faccio risalire agli anni<br />

80’. <strong>Torino</strong> in quegli anni godeva di una pessima<br />

immagine; non c’era certamente la socialità che<br />

c’è oggi nonostante dal punto di vista economico<br />

fosse molto ricca perché le sue imprese andavano<br />

a gonfie vele. Vi ricordo che all’epoca la<br />

Fiat era il primo gruppo industriale dell’auto in<br />

Europa alla pari con la Wolkswagen. La Punto<br />

era la macchina più venduta in tutta Europa. Il<br />

Gruppo Finanziario Tessile produceva per tutto<br />

il mondo gli abiti di Giorgio Armani e di Valentino<br />

che venivano venduti a New York all’apogeo della<br />

notorietà della moda italiana e alle porte della<br />

città, a Ivrea, l’ Olivetti produceva l’M24 che era<br />

il personal computer più venduto al mondo. Dato<br />

questo panorama, uno avrebbe dovuto immaginare<br />

che in una società locale contrassegnata<br />

da questi livelli di successo economico ci fosse<br />

anche un’ efficacia del sistema sociale, un tenore<br />

di vita diffuso. Nulla di tutto questo. La città<br />

appariva spenta, grigia, chiusa e soprattutto poco<br />

funzionale nelle sue connessioni. L’industria e gli<br />

altri mondi economici e sociali non si parlavano.<br />

La politica era al suo minimo storico dopo la crisi<br />

delle Giunte di sinistra e l’instabilità delle Giunte<br />

di centro – sinistra era continua. Tutto questo ci<br />

colpì molto fortemente in quegli anni. Eravamo<br />

stupefatti che ci fosse così poca comprensione,<br />

da un lato delle potenzialità di <strong>Torino</strong> e, dall’altra,<br />

non ci fosse il senso del limite di una società<br />

così segmentata, così divisa al proprio interno e<br />

anche così poco capace di dialogare e di aggregarsi<br />

attorno ad una posizione comune. Sergio<br />

Chiamparino ed io manifestammo, all’epoca, un’<br />

opinione che non fu molto condivisa da chi allora<br />

aveva posizioni di responsabilità anche politica.<br />

Per fortuna, nel 1986, Arnaldo Bagnasco, che<br />

è uno dei più noti esperti di sociologia in Italia,<br />

scrisse un libretto che confermò le percezioni mie<br />

e del sindaco. Questo libretto si intitolava “<strong>Torino</strong>”<br />

e in realtà avrebbe dovuto chiamarsi Uscire da<br />

<strong>Torino</strong> ma l’editore preferì scegliere un titolo più<br />

neutro. L’autore sottolineava la contraddizione<br />

tra una città che aveva sì livelli di ricchezza<br />

crescente ma in cui la gerarchia contava assai<br />

più del mercato. Il prevalere dell’elemento gerarchico<br />

– organizzativo rispetto a quello di mercato<br />

impoveriva le possibilità di una città che altrove<br />

era, invece, percepita in sviluppo. <strong>Torino</strong> aveva<br />

<strong>qui</strong>ndi all’esterno un ‘immagine forte ma al proprio<br />

interno una compagine debole. Il merito del<br />

cambiamento, della metamorfosi di quest’anni<br />

è stato quello di fluidificare tutto. Negli ultimi 20<br />

anni <strong>Torino</strong> ha dovuto sopportare delle trasformazioni<br />

anche complesse. Altre città sono state<br />

meno reattive a passare da una monocultura industriale<br />

a una compagine diversa, hanno avuto

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