ANNUARIO MILITARE PONTIFICIO 1867.pdf - Societa italiana di ...
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L'ESERCITO<br />
<strong>PONTIFICIO</strong><br />
NEL 1867
www.museomentana.it - www,collezioni-f.it
F@MIGLI@ PONTIFICI@
a) Guar<strong>di</strong>a Nobile <strong>di</strong> Sua Santità, tutta formata <strong>di</strong> gentiluomini dello Stato Pontificio; in circa 70 uomini, comandati dai due Principi romani,<br />
un Barberini ed un Altieri.<br />
b) La Guar<strong>di</strong>a Palatina d’onore, circa 500 uomini, reclutata in tutte le classi della borghesia romana e tra i proprietari, i negozianti e capi<br />
d’arte.<br />
c) I Volontari Pontifici <strong>di</strong> riserva, tutti italiani, anzi quasi tutti romani; circa 400 uomini tra cui molti patrizi, e poi negozianti, impiegati e<br />
professionisti. Era un battaglione formato da 4 compagnie, comandato dal capitano Fischietti del 1. linea. I quattro capitani erano i principi <strong>di</strong><br />
Sarzina e Lancellotti, il Duca Salviati e il Marchese Giovanni Naro Patrizi Montoro, Vessillifero ere<strong>di</strong>tario (tenente generale) <strong>di</strong> Santa<br />
Chiesa.<br />
d) La Guar<strong>di</strong>a Svizzera (120 uomini, circa).<br />
e) Gl’Invali<strong>di</strong>, con quartiere ad Anagni.<br />
f) La compagnia <strong>di</strong> <strong>di</strong>sciplina, che, ottenute dal comandante Papi le armi, si battè eroicamente insieme ai zuavi, gendarmi e finanzieri nel<br />
fiero attacco dato dal Cadorna a Civitacastellana.<br />
La Guar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> polizia, la piccola marina, il corpo <strong>di</strong> finanza e quello degli ufficiali <strong>di</strong> amministrazione, composti tutti d’italiani. E questi<br />
quattro corpi presero attivissima parte alle campagne del 1867 e 1870, e gli ultimi due anche campagne e fatti d’armi del 1859 e 1860.
De Merode, proministro alle armi. Lamoricière. Kanzler
Gendarmi 1.863 tutti italiani, molti romagnoli.<br />
Artiglieria 996 tutti italiani, eccettuati ben pochi.<br />
Genio 157 tutti italiani, non pochi romani.<br />
Cacciatori 1.174 tutti italiani, moltissimi romani.<br />
Linea 1.691 tutti italiani, molti romani.<br />
Zuavi 3.040 esteri, con un buon numero d’italiani, fra cui non pochi romani.<br />
Legione Romana o d’Antibo 1089 con molti italiani, specialmente <strong>di</strong> Corsica e Nizza, e molti savoiar<strong>di</strong>.<br />
Carabinieri esteri 1.195 con un certo numero <strong>di</strong> italiani.<br />
Dragoni 567 quasi tutti italiani, non pochi romani.<br />
Treno 166 tutti italiani, non pochi romani.<br />
Sedentari (Veterani) 544 in maggioranza italiani.<br />
Infermieri 119 italiani, meno pochi esteri.<br />
Squadriglieri 1.023 tutti italiani, e, nella maggior parte della provincia romana.<br />
Totale 13.624<br />
5.324 stranieri <strong>di</strong>cui 3000 francesi, 700 belgi, 900 olandesi, 1.200 tedeschi e austriaci, 1000 svizzeri, 300 canadesi; vi erano poi inglesi, russi,<br />
spagnoli, portoghesi, americani del nord; 3 turchi, 4 tunisini, 3 siriaci, un marocchino, 2 brasiliani, un peruviano, un messicano; 2 svedesi del<br />
capo nord e un neozelandese
Il 21 Settembre 1870 a piazza San Pietro il reggimento degli Zuavi contava: 1.172 olandesi, 760 francesi, 563 belgi, 297 tra canadesi –<br />
inglesi irlandesi, 242 italiani, 86 prussiani, 37 spagnoli, 19 svizzeri, 15 austriaci, 13 bavaresi, 7 russi e polacchi, 5 badesi, 5 statunitensi, 4<br />
portoghesi, 3 essinai, 3 sassoni, 3 wuttemburghesi, 2 brasiliani, 2 ecuatoriani, 1 peruviano, 1 greco, 1 monegasco, 1 cileno, 1 ottomano, 1<br />
cinese.
NYPL Image ID: 1535582 Italy. Papal States, 1860-1868
La Marina Pontificia<br />
Lo Stato della Chiesa riunisce sotto un'unica amministrazione la<br />
Marina da guerra, quella <strong>di</strong><br />
Finanza e la <strong>di</strong>rezione generale dei piroscafi sul Tevere, che<br />
comprendeva quattro navi<br />
a vapore. Nel 1823 si contano la<br />
goletta San Pietro, armata con do<strong>di</strong>ci pezzi d'artiglieria; un cutter,<br />
a<strong>di</strong>bito a guardaporto a<br />
Civitavecchia; una feluca e uno scappavia.<br />
La Finanza, con i suoi timonieri, sottotimonieri e marinai, contrasta il<br />
contrabbando lungo le coste adriatiche, con do<strong>di</strong>ci barche<br />
guardacoste, armate con due spingarde ciascuna, ripartite in due<br />
squadriglie agli or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> due ufficiali <strong>di</strong> Marina: otto in Adriatico e quattro nel Tirreno.<br />
Negli anni Quaranta si ha un miglioramento strutturale con Alessandro Cial<strong>di</strong>, <strong>di</strong> Civitavecchia,<br />
che dapprima organizza e <strong>di</strong>rige una spe<strong>di</strong>zione in Egitto, risalendo il Nilo, poi, nel 1842, conduce<br />
a Roma dall'Inghilterra tre navi a ruote per la navigazione controcorrente sul Tevere, allora<br />
importante via commerciale con i suoi due appro<strong>di</strong> <strong>di</strong> Ripa Grande e Ripetta al centro <strong>di</strong> Roma. A<br />
questi tre piroscafi, presto se ne aggiunge un quarto, il Roma che, sotto il comando <strong>di</strong> Cial<strong>di</strong>,<br />
prende parte, nel 1848, alla prima guerra d'in<strong>di</strong>pendenza.<br />
Durante la Repubblica Romana, il Roma si <strong>di</strong>stingue nelle acque d'Ancona, sfruttando il vapore<br />
nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> bonaccia, per contrastare la flottiglia a vela austriaca<br />
che stringe d'asse<strong>di</strong>o la città adriatica.<br />
Nel 1856 vengono unificate la Marina da Guerra, la Marina <strong>di</strong><br />
Finanza e la Marina del Tevere sotto la denominazione <strong>di</strong> Marina<br />
Militare Pontificia. Nel 1860, agli or<strong>di</strong>ni del tenente colonnello Cial<strong>di</strong>, la Marina pontificia ha un<br />
certo miglioramento, grazie soprattutto all'entrata in servizio della pirocorvetta Immacolata<br />
Concezione, della quale restano oggi una scialuppa al Museo della scienza e della Tecnica <strong>di</strong><br />
Milano, ed un modello in scala ridotta e la ban<strong>di</strong>era, conservati a Museo Storico Vaticano del<br />
Palazzo Lateranense.<br />
http://www.marina.<strong>di</strong>fesa.it/storiacultura/storia/storianavale/Pagine/pontificia.aspx
Il papa-re Pio IX bene<strong>di</strong>ce le sue truppe in Piazza San Pietro il 25 aprile 1870. La <strong>di</strong>scalia manoscritta specifica che si tratta <strong>di</strong><br />
20.000 svizzeri e francesi, e che questa fu l'ultima ben<strong>di</strong>zione prima della Breccia <strong>di</strong> Porta Pia, l'8 settembre <strong>di</strong> quell'anno.<br />
L'immagine originale, scansita da Emiliano Burzagli, fa parte dell'Archivio privato della famiglia Burzagli
Francesco Saverio de Mérode<br />
autore ignoto, riproduzione da foto ottocentesca, ritratto <strong>di</strong> De Merode, opera il cui autore è morto da più <strong>di</strong> 70 anni, acquisita<br />
da scanner<br />
Da Wikipe<strong>di</strong>a, l'enciclope<strong>di</strong>a libera.<br />
Federico Francesco Saverio de Mérode (Bruxelles, 26 marzo 1820 – Roma, 12 luglio 1874) è stato un arcivescovo cattolico<br />
belga. Fu un grande protagonista dell'urbanizzazione <strong>di</strong> Roma capitale.<br />
Biografia Figlio del conte Félix de Mérode, ministro <strong>di</strong> Leopoldo I del Belgio fu educato dapprima presso il collegio gesuita <strong>di</strong><br />
Namur poi all'oratorio <strong>di</strong> Juilly. Nel 1839 entrò nell'Accademia militare <strong>di</strong> Bruxelles. Nel 1844, attratto dalla carriera delle<br />
armi, ottenne <strong>di</strong> servire nella Legione straniera francese come ufficiale presso lo stato maggiore particolare del generale<br />
Thomas Robert Bugeaud in Algeria e si <strong>di</strong>stinse nei combattimenti della Cabilia e nell'Aurès ottenendo la decorazione della<br />
Legione d'Onore. In questa occasione conobbe Christophe Louis Léon Juchault de Lamoricière. Verso la fine del 1845 rientrò<br />
in Belgio con il grado <strong>di</strong> tenente. Nel 1848 scelse però la carriera ecclesiastica: prese gli or<strong>di</strong>ni, e, caduta la breve Repubblica<br />
romana del 1849, partecipò attivamente alla restaurazione dello Stato pontificio. Cappellano militare dei francesi, si fece notare<br />
da Pio IX che lo creò Cameriere segreto e monsignore, utilizzandolo molto nei rapporti con la Francia del Secondo Impero,<br />
alla quale per nascita e per cultura il de Merode era legato. In quegli anni '50-'60 lo Stato pontificio era "protetto" da<br />
Napoleone III contro le spinte risorgimentali e sembrava ancora possibile la restaurazione del papa-re e una qualche<br />
modernizzazione dello Stato della Chiesa. A quest'ultima il de Merode era particolarmente interessato, avendo come modello i<br />
gran<strong>di</strong> rivolgimenti - e i gran<strong>di</strong> affari - che Haussmann stava apportando a Parigi. Col tempo il suo ascendente sul Papa crebbe,<br />
nonostante il conflitto sempre vivo con il car<strong>di</strong>nale Antonelli che, man mano che si stringeva l'accerchiamento del Regno<br />
d'Italia e si affievoliva la protezione francese, rappresentava nelle gerarchie vaticane le posizioni più moderate e trattativiste<br />
mentre monsignor de Merode - sostenuto dai Gesuiti - rappresentava le posizioni più conservatrici del potere temporale.<br />
Il politico De Merode fu comunque nominato, il 18 aprile 1860, viceministro della guerra, incarico che tenne fino al 20 ottobre<br />
1865 [1] , sostenendo la guerriglia sanfe<strong>di</strong>sta dei briganti ciociari ed una politica <strong>di</strong> dura repressione interna <strong>di</strong> ogni movimento<br />
liberale [2] . Notava Gregorovius alla fine del 1863:<br />
« Alcuni giorni fa i Francesi ad Albano hanno inseguito fino a Castel Gandolfo 24 carabinieri pontifici belgi, che<br />
commettevano eccessi. Ne hanno uccisi due e feriti 7[...] Merode si è recato a Castel Gandolfo per assistere alle esequie <strong>di</strong>
questi miserabili, come se fossero caduti sul campo dell'onore. Merode è ancora potente; domina il centro dei legittimisti e<br />
fa scorrere verso Roma i rivoli del denaro. Possiede perciò ambedue le chiavi per il cuore <strong>di</strong> Pio IX. »<br />
Ma era ormai evidente che il dominio temporale era agli sgoccioli: ci voleva maggior duttilità, per trattare con i governi dei<br />
Savoia, e alla fine de Merode fu sostituito, proprio su richiesta dei francesi, e con <strong>di</strong>spiacere del papa, che continuò ad<br />
utilizzarlo come proprio rappresentante personale e il 22 giugno 1866 lo creò arcivescovo titolare <strong>di</strong> Mitilene.<br />
L'immobiliarista Le delusioni politiche non impe<strong>di</strong>rono comunque al de Merode <strong>di</strong> perseguire il proprio progetto <strong>di</strong><br />
"hausmaniser Rome", progetto al quale si de<strong>di</strong>cò anzi totalmente, una volta libero dagli incarichi politici [3] . Le sue principali<br />
operazioni immobiliari furono condotte nell'area tra le Terme <strong>di</strong> Diocleziano e la vallata <strong>di</strong> San Vitale. Alle Terme <strong>di</strong><br />
Diocleziano il car<strong>di</strong>nale ottenne - ancora regnante Pio IX - <strong>di</strong> far attestare la nuova stazione centrale <strong>di</strong> Roma (aperta nel 1863)<br />
e acquistò Villa Strozzi, sui cui terreni sorse poi il Teatro dell'Opera. Lungo la valle <strong>di</strong> San Vitale fu tracciato il collegamento<br />
tra la stazione ferroviaria e il centro <strong>di</strong>rezionale dell'epoca (via del Corso). Le prime strade urbanizzate in questa zona furono<br />
Via Torino, Via Firenze, Via Napoli e Via Modena, e per quest'area il nuovo Comune <strong>di</strong> Roma fece propria, nel marzo 1871, la<br />
convenzione e<strong>di</strong>lizia già stipulata con il De Merode. L'urbanizzazione <strong>di</strong> questa zona fu quin<strong>di</strong> l'oggetto della prima<br />
convenzione urbanistica approvata a Roma dal nuovo Stato sabaudo. L'arteria (oggi via Nazionale), fino all'altezza <strong>di</strong> via dei<br />
Serpenti sulla sinistra e <strong>di</strong> via della Consulta sulla destra, si chiamò per i primi anni, appunto, via de Merode, come tutto il<br />
quartiere intensivo costruito attorno. L'altra importante operazione immobiliare del car<strong>di</strong>nale fu ai Prati <strong>di</strong> Castello, <strong>di</strong> fronte al<br />
Porto <strong>di</strong> Ripetta, dove de Merode, in società con altri, acquistò nel 1870 Villa Altoviti e altri terreni. La convenzione relativa a<br />
questa urbanizzazione fu firmata nel 1873. Per favorire il popolamento del quartiere la società fece anche costruire a proprie<br />
spese un nuovo ponte <strong>di</strong> ferro, che avrebbe dovuto essere provvisorio ma che durò fino al 1901, quando fu aperto Ponte<br />
Cavour. Dei propri progetti urbanistici De Merode, venuto a morte nel 1874, non poté vedere che l'avvio.<br />
Note<br />
1. ^ Per un'accurata descrizione dell'attività del de Merode come "proministro delle armi" si veda il capitolo Monsignor<br />
Francesco de Merode proministro delle armi in Roma, in Giubileo ai mercenari del settembre 1864 e <strong>di</strong> altre epoche,<br />
Torino 1865, pp. 135-138.<br />
2. ^ Per un ritratto del de Merode visto con occhi a lui contemporanei si veda Emilio Car<strong>di</strong>nali, I briganti e la corte<br />
pontificia, Livorno 1862 pp. 59-61.<br />
3. ^ Incarichi che del resto il monsignore belga aveva sempre saldamente connesso alla intraprendente gestione dei<br />
propri affari economici:<br />
« Ad imitazione del primo ministro [Antonelli] egli conformava le alte vedute <strong>di</strong> stato alla manìa d'arricchire. In<br />
mezzo alle assorbenti sue cure avea tratto a se la fornitura generale <strong>di</strong> tutte le carceri e delie darsene e tante<br />
innovazioni v'introdusse che parea dovessero per la prima volta essere fondate. »<br />
(op. cit., p. 61)<br />
4. .<br />
Voci correlate<br />
• Giacomo Antonelli<br />
• Prati (rione <strong>di</strong> Roma)<br />
• Stazione Termini<br />
• Teatro Costanzi<br />
• Urbanistica a Roma tra il 1870 e il 2000
Christophe Louis Léon Juchault de Lamoricière<br />
Da Wikipe<strong>di</strong>a, l'enciclope<strong>di</strong>a libera.<br />
Christophe Louis Léon Juchault de Lamoricière<br />
Christophe Louis Léon Juchault de Lamoricière o de la Moricière (Nantes, 1806 – Prouzel, 1865) è stato un generale e<br />
politico francese. Discendente da un'antica famiglia bretone fedele ai vecchi ricor<strong>di</strong> e alle antiche virtù, compì gli stu<strong>di</strong> nella<br />
sua città natale;, fu ammesso al Politecnico; entrò nella scuola militare <strong>di</strong> Metz, dove ne uscì come luogotenente in seconda nel<br />
Reggimento del Genio il 31 gennaio 1829. Nel 1830 fu nominato capitano degli Zuavi e nello stesso anno partecipa alla<br />
spe<strong>di</strong>zione d'Algeria. Viene nominato colonnello degli zuavi nel 1837. Nel 1843 viene nominato generale <strong>di</strong> <strong>di</strong>visione. Dal<br />
1846 è protagonista <strong>di</strong> una rapida ascesa politica che lo porta, nel 1848 a <strong>di</strong>ventare Ministro della guerra e vice-presidente<br />
dell'Assemblea legislativa. Nel luglio 1849 compie una missione in qualità <strong>di</strong> ambasciatore straor<strong>di</strong>nario presso lo zar <strong>di</strong><br />
Russia. Viene arrestato il 2 <strong>di</strong>cembre 1851 in quanto oppositore del colpo <strong>di</strong> stato <strong>di</strong> Luigi-Napoleone Bonaparte. Costretto<br />
all'esilio, rimane per 5 anni prevelentemente in Belgio. Nel 1860 si mette a <strong>di</strong>sposizione dell'esercito pontificio dove tenta<br />
invano <strong>di</strong> opporsi all'invasione delle Marche e dell'Umbria da parte dell'esercito sabaudo. Viene sconfitto nella famosa<br />
battaglia <strong>di</strong> Castelfidardo. Su richiesta <strong>di</strong> monsignor de Mérode organizzò comunque il corpo degli Zuavi pontifici. La<br />
Moricière rientra quin<strong>di</strong> in Francia per finire i suoi giorni nel suo castello <strong>di</strong> Prouzel. Per ringraziarlo dei suoi servizi, papa Pio<br />
IX fece erigere per lui un cenotafio nella Cattedrale <strong>di</strong> Nantes [1] , inaugurato nel 1879, mentre la città <strong>di</strong> Costantina gli de<strong>di</strong>cò<br />
un monumento [2] inaugurato nel 1909, ma che sarà portato in Francia alla fine della guerra d'Algeria e posato a Saint-Philbertde-Grandlieu,<br />
la città <strong>di</strong> origine della sua famiglia.<br />
Fonti Le livre d'Or de l'Algérie, Narcisse Faucon, Challamel et Cie É<strong>di</strong>teurs Librairie Algérienne et Coloniale 1889.<br />
Note<br />
1. ^ presentazione del cénotaphe<br />
2. ^ ve<strong>di</strong> statue au sabre<br />
Altri progetti<br />
Wikime<strong>di</strong>a Commons contiene file multime<strong>di</strong>ali su Christophe Louis Léon Juchault de Lamoricière
Georges de Pimodan<br />
Un article de Wikipé<strong>di</strong>a, l'encyclopé<strong>di</strong>e libre.<br />
Georges de la Vallée de Rarecourt, marquis de Pimodan (29 janvier 1822 Échenay - 18 septembre 1860 Castelfidardo) est<br />
un officier français légitimiste au service de l'Autriche et des États pontificaux. Il est le fils de Camille, capitaine de cavalerie<br />
et de son épouse, née Claire Fauveau de Frénilly. Il fait ses études au collège de jésuites de Fribourg. Admis à Saint-Cyr, il<br />
refuse de prêter le serment de fidélité au régime de Louis-Philippe et poursuit ses études militaires en Autriche où il est en<br />
1847 sous-lieutenant aux chevau-légers de l’Empereur.<br />
Georges de Pimodan<br />
Il est envoyé en garnison à Vérone alors sous domination autrichienne. Lors de la révolte en 1848 de la Lombar<strong>di</strong>e, Vénétie et<br />
des duchés de Parme et de Modène soutenue par Charles-Albert de Sardaigne, il fait preuve de bravoure. Il est nommé<br />
capitaine et aide de camp du général Joseph Radetzky commandant en chef des troupes autrichiennes en Italie. Il part ensuite,<br />
sous les ordres du général Jelačić combattre la révolte hongroise <strong>di</strong>rigée par Kossuth. Lors de la bataille de Moor il prend<br />
presque seul une batterie ennemie. Parti en reconnaissance et fait prisonnier à Peterwar<strong>di</strong>n, il est condamné à mort et ne doit la<br />
vie qu’à la défaite de l’armée hongroise d'Arthur Gorgey le 23 août 1849. Il est nommé major et comte. En 1851, il publie<br />
Souvenirs de la guerre de Hongrie sous le prince Win<strong>di</strong>schgraetz et le ban Jellachich dans La Revue des Deux Mondes repris<br />
ensuite chez Allouard et Kaeppelin sous le titre Souvenirs des campagnes d'Italie et de Hongrie . A trente trois ans, il est<br />
nommé colonel. Il démissionne, rentre en France et épouse, le 29 mars 1855, Emma de Couronnel, fille d’un gentilhomme de<br />
Charles X. Fervent catholique, il rejoint les rangs de l’armée pontificale en avril 1860, sous les ordres de Lamoricière. Il est<br />
nommé chef d’état-major. Il participe aux combats de défense des frontières des états pontificaux et est promu général le 3<br />
août. En septembre 1860, les troupes papales commandées par Lamoricière se portent sur Ancône, et sont arrêtées par le feu de<br />
l’artillerie piémontaise postée sur les hauteurs de Castelfidardo. Pimodan est chargé de les attaquer et trouve la mort. Pie IX<br />
conféra le titre de duc à ses descendants.<br />
Famille<br />
• Son fils Gabriel (16 décembre 1856-1924) fut un historien et un poète. Il publia entre autres une vie de son père,<br />
Poésies (1875) et Histoire d'une vieille maison le Château d'Echenay (1882). Il fut conseiller général de la Haute<br />
Marne et maire d'Échenay.<br />
• Son autre fils Claude Emmanuel Henri Marie (1859-1931) fut attaché militaire à la légation française au Japon. Il<br />
publia Promenades en Extrême-Orient où il relate ses voyages entre 1895 et 1898 (Paris Honoré Champion 1900). Il<br />
épousa vers 1895 Georgina de Mercy-Argenteau, dernière descendante de la famille Mercy-Argenteau, seigneur<br />
d'Ochain à Clavier en Belgique.<br />
Bibliographie<br />
• Gabriel de Pimodan : Vie du Général de Pimodan (1822-1860) publié par les soins de la duchesse de Pimodan, avec<br />
12 phototypies H.T Librairie ancienne Champion 1929<br />
• Les Gloires militaires contemporaines de la France Paris Maison de la Bonne Presse vers 1890<br />
• Marquis de Ségur : Les martyrs de Castelfidardo, é<strong>di</strong>tion Tolra, Paris 1891
Hermann Kanzler<br />
Da Wikipe<strong>di</strong>a, l'enciclope<strong>di</strong>a libera.<br />
Hermann Kanzler (Weingarten, 28 marzo 1822 – Roma, 6 gennaio 1888) è stato un militare tedesco, che fu il Capo <strong>di</strong> Stato<br />
Maggiore delle Forze Armate dello Stato pontificio durante la presa <strong>di</strong> Roma del 1870. Dal 1865 era pro-Ministro delle Armi e<br />
Comandante supremo delle forze pontificie.<br />
L'esperienza in Germania Kanzler nacque in una citta<strong>di</strong>na nei pressi <strong>di</strong> Karlsruhe da Max Anton, un impiegato<br />
dell'amministrazione fiscale del Granducato <strong>di</strong> Baden. Più tar<strong>di</strong> la famiglia si trasferì a Bruchsal, dove il ragazzo trascorse la<br />
sua giovinezza. Cominciò il suo servizio come tenente nel corpo dei Dragoni a Karlsruhe, dopo<strong>di</strong>ché, vista la sua marcata<br />
militanza cattolica, entrò nelle file dell'esercito pontificio. Nel <strong>di</strong>cembre 1843 rassegnò definitivamente le sue <strong>di</strong>missioni<br />
dall'esercito granducale.<br />
Nell'esercito pontificio Kanzler entrò nell'esercito del Papa nel 1845 col grado <strong>di</strong> capitano; combatté nel 1848 contro l'impero<br />
austriaco nel corso della I guerra d'in<strong>di</strong>pendenza e nel 1859 fu nominato colonnello del primo reggimento dell'esercito<br />
pontificio; in seguito, l'anno successivo, fu promosso generale dall'allora comandante in capo Lamoricière, in riconoscimento<br />
delle sue audaci azioni a Pesaro ed Ancona contro l'esercito piemontese nel corso della II guerra d'in<strong>di</strong>pendenza. Nell'ottobre<br />
1865 <strong>di</strong>venne comandante supremo delle forze armate pontificie e proministro delle armi. Il 3 novembre 1867 comandò<br />
l'esercito papale a Mentana e sovrintese la <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> Roma nel settembre 1870.<br />
Dopo il 1870 Dopo la fine dello Stato Pontificio e del potere temporale del Papa, Kanzler continuò ad essere nominalmente<br />
proministro fino al 1888 e rimase ad esercitare le sue funzioni <strong>di</strong> comandante in capo delle truppe e le armi papali, anche se<br />
solo simbolicamente. Al generale fu conferito anche il titolo nobiliare <strong>di</strong> barone von Kanzler. Sposò una donna dell'antica<br />
famiglia comitale romana dei Vannutelli, che <strong>di</strong> lì a poco avrebbe dato alla Chiesa due car<strong>di</strong>nali. Fu a lungo nel consiglio del<br />
Campo Santo Teutonico e fu amico del <strong>di</strong>rettore dell'ente, Anton de Waal. Il figlio <strong>di</strong> Kanzler, il barone Rudolf Kanzler (nato il<br />
7 maggio 1864) fu l'archeologo capo della Santa Sede e, fin dal 1896, fu membro della Pontificia Commissione <strong>di</strong> Archeologia<br />
Sacra; considerato il "più abile conoscitore della topografia <strong>di</strong> Roma antica", ebbe una parte <strong>di</strong> primo piano negli scavi<br />
effettuati sotto la Basilica <strong>di</strong> San Pietro e nelle catacombe.<br />
Bibliografia<br />
• „Meyers grosses Konversations-Lexikon“, e<strong>di</strong>zione 1908, pagina 583<br />
• „Die Streiter für den apostolischen Stuhl im Jahre 1867“ (pagina 7), Andreas Niedermayer, Verlag für Kunst und<br />
Wissenschaft, Frankfurt, 1867<br />
• „Roms letzte Tage unter der Tiara – Erinnerungen eines römischen Kanoniers“ (pagina 20 e segg.), Klemens August<br />
Eickholt, Päpstlicher Offizier a.D., Herder Verlag, Freiburg, 1917<br />
• „Franz Josef Buss und <strong>di</strong>e katholische Bewegung in Baden“ (pagina 349), Julius Dorneich, Herder Verlag, Freiburg,<br />
1979<br />
• „Das ba<strong>di</strong>sche Offizierskorps 1840–1870/71“ (pagina 204), Karl-Heinz Lutz, Kohlhammer Verlag, Stuttgart, 1997<br />
• „Die Katholische Kirche unserer Zeit und ihre Diener in Wort und Bild“, Band 1 (paginan 142, 579 e 671),<br />
Allgemeine Verlagsgesellschaft, Berlin, 1899
Pierre Louis Charles de Failly<br />
Da Wikipe<strong>di</strong>a, l'enciclope<strong>di</strong>a libera.<br />
Pierre Louis Charles Achille de Failly (Rozoy-sur-Serre, 21 gennaio 1810 – Compiègne, 15 novembre 1892) è stato un<br />
generale francese. Generale <strong>di</strong> <strong>di</strong>visione, sconfisse Giuseppe Garibal<strong>di</strong> a Mentana (1867) ed ebbe in seguito un ruolo<br />
significativo al comando del V Corpo d'armata dell'Armata d'Alsazia (nota anche come Armata <strong>di</strong> Châlons) comandata da<br />
Patrice de Mac-Mahon, nel corso della guerra franco-prussiana (1870). Da non confondere con Pierre Louis de Failly (1724-<br />
18..?), deputato della nobiltà del bailaggio <strong>di</strong> Vitry-le-François.<br />
La famiglia Figlio <strong>di</strong> Louis Charles conte <strong>di</strong> Failly e <strong>di</strong> Sophie de Mons de Maigneux (a volte riportata nei documenti come<br />
Desmons); si sposò nel 1857 con Felicité de Frézals de Bourfaud, nata a Compiègne il 19 aprile 1821.<br />
Carriera militare Diplomato alla École Spéciale Militaire de Saint-Cyr nel 1828, ebbe il suo battesimo del fuoco a Parigi, nel<br />
massacro della rue Transnonain, il 15 aprile 1834, guadagnandosi una reputazione <strong>di</strong> crudeltà. Promosso colonnello nell'agosto<br />
1851, generale <strong>di</strong> brigata dal 29 agosto 1854, partecipò alla guerra <strong>di</strong> Crimea e ne tornò generale <strong>di</strong> <strong>di</strong>visione.<br />
Magenta e Mentana Dopo la campagna d'Italia il de Failly fu nominato grand'ufficiale della Legion d'Onore. Nel 1867, venne<br />
nominato comandante generale del piccolo corpo <strong>di</strong> spe<strong>di</strong>zione francese inviato a fermare l'azione <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong> su Roma, anche<br />
se affidò a dei sottoposti l'azione che portò alla battaglia <strong>di</strong> Mentana. Rimasto a Roma, fu lui che dopo Mentana telegrafò a<br />
Parigi: «i nostri fucili Chassepot hanno fatto delle meraviglie», frase poco felice per la quale fu criticato.<br />
La guerra franco-prussiana Senatore dell'Impero, nel 1870 assunse il comando del V Corpo d'armata della Armata d'Alsazia.<br />
Gli venne rimproverata la condotta alla battaglia <strong>di</strong> Reichshoffen, il 6 agosto 1870, quando non offrì sufficiente assistenza al<br />
suo comandante Mac-Mahon. Il 30 agosto 1870, si fece sorprendere dai prussiani alla battaglia <strong>di</strong> Beaumont, subendo<br />
importanti per<strong>di</strong>te. In effetti egli era giunto in ritardo in città poiché raggiunto in ritardo dai portaor<strong>di</strong>ni, e seppe proteggere la<br />
ritirata verso la Mosa in modo non insod<strong>di</strong>sfacente, alla luce delle sfavorevoli sproporzioni <strong>di</strong> forze con il nemico. Egli venne,<br />
comunque, sostituito dal generale Emmanuel Félix de Wimpffen nel corso della ritirata da Beaumont a Sedan. Sicuramente<br />
pesò la sconfitta a Beaumont, probabilmente la cttiva fama guadagnata a Reichshoffen. In ogni caso era considerato un favorito<br />
dell'imperatore, il quale, in quei giorni <strong>di</strong> estrema <strong>di</strong>fficoltà, doveva pur offrire qualche capro espiatorio ad una opinione<br />
scalpitante pubblica. Fatto prigioniero alla battaglia <strong>di</strong> Sedan, <strong>di</strong> ritorno dalla prigionia in Germania scampò alla corte marziale<br />
e si ritirò a vita privata. Pubblicò un libro <strong>di</strong> memorie intitolato Campagne de 1870. Opérations et marches du 5ème corps<br />
jusqu'au 31 août (Bruxelles, 1871).<br />
Onorificenze<br />
Grand officier della Legion d'Onore<br />
Medaille Commémorative de la Campagne d'Italie de 1859<br />
Croce <strong>di</strong> Mentana<br />
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Zuavi pontifici<br />
Da Wikipe<strong>di</strong>a, l'enciclope<strong>di</strong>a libera.<br />
« Uniti e compatti vi siete battuti su <strong>di</strong>versi campi <strong>di</strong> battaglia: vi sovvenga che il sangue sparso è<br />
legame più forte <strong>di</strong> un giuramento »<br />
(Generale Athanase de Charette nell'Or<strong>di</strong>ne del Giorno del 13 Agosto 1871 della Legione dei Volontari dell'Ovest)<br />
Il Battaglione degli zuavi pontifici fu creato il 1º gennaio 1861 sul modello dei corpi <strong>di</strong> Zuavi dell'esercito francese. Divenuto<br />
reggimento il 1º gennaio 1867, il corpo era costituito da volontari, in maggioranza francesi, belgi e olandesi, venuti a <strong>di</strong>fendere<br />
lo Stato pontificio minacciato dalle guerre condotte dal Piemonte per l'Unità d'Italia. La sua storia si identifica con l'ultimo<br />
decennio <strong>di</strong> vita dello Stato della Chiesa (1860-1870). Il reggimento fu licenziato il 21 settembre 1870, dopo la presa <strong>di</strong> Roma.<br />
La creazione del corpo degli zuavi pontifici Nel 1860 la sorte dello Stato pontificio appariva assai critica, nel <strong>di</strong>sinteresse<br />
delle potenze cattoliche d'Europa. Fu allora che il cameriere segreto del papa Pio IX monsignor Francesco Saverio de Mérode,<br />
ex militare della Legione straniera francese <strong>di</strong>venuto proministro delle armi del papa, decise <strong>di</strong> fare appello al generale de<br />
Lamoricière perché riorganizzasse l'esercito pontificio e ne prendesse il comando. Il de Lamoricière accettò la proposta <strong>di</strong><br />
comandare l'Esercito Pontificio, rispondendo che "un figlio non può non rispondere alla chiamata <strong>di</strong> un padre". Per aumentare<br />
gli effettivi, Lamoricière ricorse all'arruolamento volontario, facendo appello agli stati cattolici. Belgi e francesi costituirono un<br />
battaglione <strong>di</strong> tiratori franco-belgi agli or<strong>di</strong>ni del visconte Louis de Becdelièvre, al quale si deve l'uniforme del corpo, ispirata a<br />
quella degli zuavi, ma adattata alla temperatura <strong>di</strong> Roma [1] . L'idea trovò il sostegno <strong>di</strong> monsignor de Merode e del papa in<br />
persona, sicché questi tiratori furono chiamati zuavi pontifici anche prima della creazione ufficiale del corpo [2] . Con la<br />
sconfitta delle truppe pontificie alla battaglia <strong>di</strong> Castelfidardo, il 18 settembre 1860, lo Stato pontificio si trovò ridotto al solo<br />
Lazio. Il <strong>di</strong>sastro fece allora affluire i volontari a Roma: il battaglione degli zuavi pontifici fu così costituito da una parte dei<br />
tiratori franco-belgi e dagli irlandesi del Battaglione san Patrizio, ai quali si erano aggregati, prima della battaglia, i pochi<br />
"crociati" <strong>di</strong> Henri de Cathelineau [3] .<br />
Provenienza degli effettivi Fino al 1864 il battaglione degli zuavi contava dai 300 ai 600 uomini. La forza salì a 1.500, poi a<br />
1.800, fino a raggiungere le 3.200 unità poco prima della caduta <strong>di</strong> Roma. Tra il 1861 e il 1870 si avvicendarono nel corpo<br />
oltre 10.000 nuovi arruolati, provenienti da 25 <strong>di</strong>verse nazioni. I più numerosi erano gli olandesi, i francesi e i belgi, ma vi si<br />
trovavano anche svizzeri, tedeschi, italiani, canadesi e anche americani. [4] Su 170 ufficiali, 111 erano francesi e 25 belgi. Il loro<br />
cappellano era monsignor Jules Daniel, <strong>di</strong> Nantes, assistito da due belgi, monsignor Sacré e monsignor de Wœlmont. La paga<br />
era <strong>di</strong> cinquanta centesimi al giorno, una razione <strong>di</strong> minestra, pane e caffè. [5]<br />
Gli zuavi franco-belgi Per quanto riguarda i francesi, più <strong>di</strong> un terzo del totale provenivano dai <strong>di</strong>partimenti delle attuali<br />
regioni della Bretagna [6] e dei Paesi della Loira; altri contingenti non trascurabili provenivano da Nîmes e dal Massiccio<br />
Centrale. I belgi fiamminghi e gli olandesi erano spesso <strong>di</strong> estrazione popolare e attratti da alte paghe, mentre la nobiltà era ben<br />
rappresentata tra i francesi e i volontari belgi francofoni [7] . Questi ultimi, in particolare, si <strong>di</strong>cevano mossi dall'attaccamento<br />
alla Chiesa cattolica romana e accre<strong>di</strong>tavano l'impegno militare come una crociata per <strong>di</strong>fendere la capitale del cattolicesimo e<br />
la libertà del papa contro il rivoluzionario Garibal<strong>di</strong> e il re anticlericale Vittorio Emanuele II, ma certamente il loro impegno<br />
religioso era tutt'uno con lo schieramento politico sul fronte legittimista. Alcuni vantavano, per esempio, tra i loro antenati e<br />
avi alcuni contro-rivoluzionari che combatterono nelle Guerre <strong>di</strong> Vandea, come il generale de Charette o Henri de Cathelineau.<br />
Gli zuavi dell'Impero Britannico In Inghilterra e nei paesi soggetti alla Gran Bretagna la propaganda cattolica era mal vista<br />
dai protestanti e anglicani, che, naturalmente, accusavano <strong>di</strong> "papismo" gli ambienti cattolici. Nonostante ciò ebbe un notevole<br />
successo, riscuotendo volontari in più da arruolare tra le fila degli Zuavi pontifici. Un esempio è il Canada.<br />
Gli zuavi canadesi Nel Québec, la provincia francofona e cattolica del Canada, la notizia della proclamazione del regno<br />
d'Italia nel 1861 era arrivata nel bel mezzo <strong>di</strong> un'intensa lotta ideologica tra la Chiesa appoggiata dalla maggioranza<br />
conservatrice del paese, e i "Rouges", minoranza <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>cali liberali che propugnava idee <strong>di</strong> laicità, suffragio universale, libero<br />
scambio e annessione agli Stati Uniti, che veniva assimilata al fronte antipapista in Italia. L'arcivescovo <strong>di</strong> Montréal, Ignace<br />
Bourget, aveva lanciato un appello alle <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> tutto il mondo, assai gra<strong>di</strong>to a Roma, perché finanziassero la solidarietà con<br />
il papa attraverso sottoscrizioni, e in questo quadro venivano incoraggiati anche gli arruolamenti <strong>di</strong> giovani nel corpo degli<br />
zuavi. Dopo la battaglia <strong>di</strong> Mentana la campagna fu intensificata, e nel 1868 erano complessivamente 388 i canadesi partiti alla<br />
volta <strong>di</strong> Roma. Nello Stato pontificio, le loro operazioni militari si limitarono generalmente a lunghi pattugliamenti nella<br />
campagna romana a caccia <strong>di</strong> briganti [8] . Nessuno zuavo canadese fu ucciso in combattimento. Di quelli che non tornarono,<br />
uno si fece monaco, due si arruolarono nell'esercito francese e 9 erano morti <strong>di</strong> malattia. E tuttavia una nuova città, Piopolis, fu<br />
fondata nel 1871 per ospitarvi i reduci della campagna d'Italia, e nel 1899 l'ex cappellano del battaglione fondò<br />
un'Associazione degli zuavi del Québec, organizzazione paramilitare che rimase in vita fino al 1984, quando formò la guar<strong>di</strong>a<br />
d'onore per la visita <strong>di</strong> Giovanni Paolo II; dopo, si sciolse per mancanza <strong>di</strong> partecipanti [9] .<br />
Gli zuavi olandesi In Olanda la propaganda cattolica ebbe molto successo e furono molti i giovani che partirono per Roma per<br />
<strong>di</strong>fendere il pontefice Pio IX. Si trattava per lo più <strong>di</strong> gente semplice ed anche povera, al massimo benestante, non appartenente<br />
a famiglie aristocratiche. Gli olandesi erano, poi, il gruppo maggiore negli Zuavi pontifici, sebbene la maggior parte <strong>di</strong> loro,<br />
erano solo soldati semplici e non rivestivano alcuna carica importante (erano pochi infatti gli ufficiali olandesi). Tra i tanti<br />
olandesi che morirono, quello più conosciuto è Pieter Jansz Jong, caduto nella Battaglia <strong>di</strong> Montelibretti. Attualmente, in<br />
Olanda esiste una squadra <strong>di</strong> calcio chiamata "Zouaven", stemma bianco-rosso con chiavi decussate, de<strong>di</strong>cata agli Zuavi<br />
pontifici e a Oudenbosch c'è un museo solo sugli Zuavi pontifici olandesi.<br />
Le vicende militari Il comando, affidato al colonnello de Becdelièvre, passò presto al colonnello Allet, uno svizzero da lungo<br />
tempo al servizio del papa. La linea intransigente e belligerante sostenuta dall'ideatore de Merode e dai gesuiti sembrò<br />
sconfessata nel 1865: con la convenzione <strong>di</strong> settembre la Francia s'impegnava infatti a ritirare le proprie truppe entro due anni,<br />
e il 25 settembre de Merode fu sostituito, come proministro delle armi, dal generale Hermann Kanzler. Continuava tuttavia la
guerriglia garibal<strong>di</strong>na (Garibal<strong>di</strong> era visto, dai papalini in generale e dagli Zuavi in particolare, come l'Anticristo), sostenuta<br />
sottobanco dai piemontesi, e fu con le camicie rosse che gli zuavi dovettero sostenere <strong>di</strong>versi scontri a <strong>di</strong>fesa delle frontiere del<br />
Lazio, fino a quello decisivo del 1867.<br />
La campagna del 1867 e Mentana<br />
Per approfon<strong>di</strong>re, ve<strong>di</strong> la voce Battaglia <strong>di</strong> Mentana.<br />
A fine settembre 1867 i garibal<strong>di</strong>ni tentarono l'invasione dello Stato pontificio, convinti <strong>di</strong> dare la spallata finale al pericolante<br />
dominio papalino suscitando l'insurrezione <strong>di</strong> Roma. In questo contesto, un attentato alla caserma Serristori, in Borgo, provocò<br />
la morte <strong>di</strong> 25 degli zuavi che vi erano acquartierati, oltre a quella <strong>di</strong> alcuni civili. La sollevazione popolare della città tuttavia<br />
non vi fu. Il 26 ottobre Garibal<strong>di</strong> occupò Monterotondo e lì si fermò, nonostante alcune scaramucce <strong>di</strong>rette verso la città,<br />
lasciando che un corpo <strong>di</strong> spe<strong>di</strong>zione francese sbarcato a Civitavecchia il 29 raggiungesse Roma. Nel frattempo - il 27 ottobre -<br />
Vittorio Emanuele II emanava il proclama che <strong>di</strong>sapprovava l'azione garibal<strong>di</strong>na, e non pochi dei circa 8.000 effettivi <strong>di</strong><br />
Garibal<strong>di</strong> <strong>di</strong>sertavano l'azione.<br />
La controffensiva pontificia, il 3 novembre, fu guidata dal generale Hermann Kanzler, a capo <strong>di</strong> una forza <strong>di</strong> circa 8.000<br />
uomini costituita da carabinieri pontifici, zuavi e volontari francesi della legion d'Antibes. La battaglia si concentrò a sud <strong>di</strong><br />
Mentana, mentre Garibal<strong>di</strong> cercava <strong>di</strong> spostare i suoi uomini verso Tivoli, per sciogliere lì la spe<strong>di</strong>zione, e i papalini la ebbero<br />
vinta. Il 6 novembre le truppe franco-pontificie sfilavano vittoriose a Roma e il popolo gridava "Viva Pio IX, viva la Francia,<br />
viva gli zuavi, viva la religione!". In seguito Pio IX fece erigere un monumento in ricordo dei caduti pontifici del 1867 nel<br />
Cimitero del Verano.Nel 2008 un Associazione <strong>di</strong> parte Pontificia scrisse una lettera al Sindaco <strong>di</strong> Monterotondo Lupi<br />
chiedendo <strong>di</strong> sostituire le lapi<strong>di</strong> degli zuavi nel locale cimitero in quanto c'è la scritta "mercenari del Papa". Il primo citta<strong>di</strong>no<br />
girò la richiesta al Direttore del Museo nazionale della Campagna dell'Agro Romano per la liberazione <strong>di</strong> Roma che fornì ampi<br />
riferimenti storici sulla definizione riferita agli Zuavi. Tutto è rimasto invariato. Non è da <strong>di</strong>menticare ciò che successe poco<br />
prima della Campagna del 1867 quando gli zuavi si ritrovarono a soccorrere la popolazione <strong>di</strong> Albano Laziale colpita dal<br />
colera. Giunti ad Albano Laziale 42 zuavi comandanti dal sergente Serio, napoletano, trovarono il paese in situazioni drastiche,<br />
nella piazza principale erano ammucchiati morti in stato <strong>di</strong> decomposizione. Il giorno seguente arrivò il tenente de Resimont<br />
che con il suo sergente maggiore de Morin volle dare l'esempio raccogliendo un cadavere e portandolo nel cimitero. Così<br />
durante il giorno e la notte gli zuavi <strong>di</strong>edero sepoltura ai cadaveri che si trovarano per le strade del paese. Li raggiunsero anche<br />
altri zuavi tra cui de Charette, de Troussures e de Veaux (che morirà a Mentana). Seguì poi l'arrivo del generale Kanzler che<br />
non solo portò il messaggio <strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Pio IX agli zuavi ma donò alcune onorificenze a chi più si <strong>di</strong>stinse per la sua<br />
abnegazione (come de Resimont, Tuccimei, de Morin, ...) . Furono 6 gli zuavi morti ad Albano soccorendo la popolazione<br />
colpita dal colera.<br />
La caduta <strong>di</strong> Roma La guerra franco-prussiana del 1870 provocò la ritirata delle truppe francesi e consentì l'invasione dello<br />
Stato pontificio da parte dell'esercito italiano al comando del generale Raffaele Cadorna. A fronte dei 70.000 italiani, gli<br />
effettivi pontifici non superavano i 13.000, <strong>di</strong> cui 3.000 zuavi. Kanzler decise perciò <strong>di</strong> concentrare le proprie forze nella <strong>di</strong>fesa<br />
<strong>di</strong> Roma. Ai primi colpi <strong>di</strong> cannone, il 20 settembre, il papa chiese al generale <strong>di</strong> cessare il fuoco. Nei combattimenti morirono<br />
soltanto 11 zuavi. Attilio Vigevano ricorda un fatto singolare che accadde al maggiore de Troussures, lo zuavo che si ritrovò a<br />
comandare i suoi commilitoni a Porta Pia. Sembra infatti che durante il combattimento ebbe un presentimento della sua morte<br />
in Francia che avvenne qualche mese dopo nella Battaglia <strong>di</strong> Loigny: «...Parrebbe che il maggiore de Troussures, in<strong>di</strong>cando<br />
sulla via Salara la chiesa <strong>di</strong> Trasone e Saturnino e la zona delle antiche catacombe estendesi oltre la tomba del tribuno Peto,<br />
<strong>di</strong>cesse <strong>di</strong> u<strong>di</strong>re le voci dei cristiani seppelliti vivi nelle catacombe <strong>di</strong> Crisando e Dario, chiamarlo perché li<br />
raggiungesse...» [10] Riferisce sempre Attilio Vigevano un altro aneddoto: gli zuavi, durante il combattimento, si fermarono ad<br />
intonare il loro canto preferito,quello dei Crociati <strong>di</strong> Cathelineau:<br />
«Intonato dal sergente Hue, e cantato da trecento e più uomini, l'inno echeggiò <strong>di</strong>stinto per alcuni minuti; il capitano Berger<br />
ne cantò una strofa ritto sulle rovine della breccia colla spada tenuta per la lame e l'impugnatura rivolta al cielo quasi a<br />
significare che ne faceva omaggio a Dio; presto però illanguidì e si spense nel ricominciato stridore della fucilata, nel<br />
raddoppiato urlio, nel tumulto delle invettive» [11]<br />
Il loro reggimento fu licenziato l'indomani. Prima <strong>di</strong> partire per ritornare in patria, gli zuavi, per l'ultima volta, si ritrovarono in<br />
Piazza San Pietro a salutare Pio IX. Ecco il racconto dello zuavo irlandese O'Clery:<br />
«Quando tutti i soldati furono schierati, rivolti verso il Vaticano e pronti a partire, il colonnello Allet fece un passo avanti e,<br />
con la voce rotta dall'emozione, gridò: "Mes enfats! Vive Pie Neuf! ". Un poderoso evviva proruppe dalla truppa. Proprio in<br />
quel momento il Papa apparve al balcone, e, levando le mani al cielo, pregò: "Che Id<strong>di</strong>o bene<strong>di</strong>ca i miei figli fedeli! ".<br />
L'entusiasmo <strong>di</strong> quel momento supremo fu indescrivibile. Con un frenetico Eljen! uno zuavo ungherese sfoderò la spada e<br />
subito, con un simultaneo struscio <strong>di</strong> acciaio, migliaia <strong>di</strong> spade sguainate brillarono al sole. La scena fu assolutamente<br />
commovente. Al pensiero <strong>di</strong> lasciare il Santo Padre, lacrime <strong>di</strong> amarissimo rimpianto solcarono le guance <strong>di</strong> quegli uomini,<br />
che avevanoo sfidato la morte in tante <strong>di</strong>sperate battaglie. Le trombe <strong>di</strong>edero l'or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> avanzare e, nel muoversi, la testa<br />
della colonna lanciò un ultimo triste grido <strong>di</strong> "Viva Pio IX!" che, riecheggiato fila dopo fila, fu ripetuto da tutto l'esercito e<br />
dalla folla radunatasi per assistere alla partenza. » [12]<br />
Dopo ciò i francesi venivano imbarcati alla volta <strong>di</strong> Tolone. Nella nave che li riportava in patria il colonnello Allet <strong>di</strong>stribuì ad<br />
ognuno a piccoli lembi la ban<strong>di</strong>era del reggimento in modo che ogni zuavo potesse portare con sè un ricordo <strong>di</strong> quel periodo<br />
trascorso a Roma in <strong>di</strong>fesa dello Stato Pontificio. Rivolse anche un ultimo saluto: «Zuavi! Trasmettendovi gli ad<strong>di</strong>i del<br />
generale de Courten io mi associo pienamente agli elogi che egli vi fa e che voi avete così bene meritato. Se c'è qualcosa che<br />
possa attenuare il dolore della nostra seprazione è il ricordo dei <strong>di</strong>eci anni che abbiamo passati insieme. Tempi migliori<br />
risplenderanno per voi; quanto a me io applau<strong>di</strong>rò da lontano i vostri successi e il mio cuore sarà sempre con voi. Se ho fatto<br />
qualcosa <strong>di</strong> buono è presso <strong>di</strong> voi che io vengo a cercare la mia ricompensa e io l'avrò piena ed intera se vivo nel vostro<br />
ricordo. Ad<strong>di</strong>o signori! La sorte ci <strong>di</strong>vide, ma lo stesso sentimento ci unirà sempre: la devozione e la fede nella causa che noi<br />
abbiamo servita <strong>di</strong>eci anni insieme» [13]<br />
Gli zuavi pontifici alla guerra franco-prussiana
«...Bella fu la condotta degli zuavi pontifici in Francia: fede ed amor <strong>di</strong> Patria sposandosi alla combattività produssero un<br />
eroismo tanto più elevato in quanto sventurato.» [14]<br />
Al ritorno in Francia Charette [15] offrì i propri servigi alla <strong>di</strong>fesa nazionale, che lo autorizzò a fondare un corpo franco<br />
lasciandogli libertà d'azione e l'uniforme da zuavo, ma a con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> cambiare il nome in Légion des volontaires de l'Ouest.<br />
La Legione partecipò onorevolmente alla guerra (memorabile fu la Battaglia <strong>di</strong> Loigny dove gli zuavi combatterono<br />
eroicamente) e fu sciolta il 13 agosto 1871, dopo essere stata consacrata al Sacro Cuore <strong>di</strong> Gesù dal de Charette con queste<br />
parole:<br />
«All'ombra <strong>di</strong> questa ban<strong>di</strong>era tinta dal sangue delle nostre più nobili e care vittime, io generale Barone de Charette, che ho<br />
l'insigne onore <strong>di</strong> comandarvi, consacro la Legione dei Volontari dell'Ovest, gli zuavi pontifici, al Sacro Cuore <strong>di</strong> Gesù, e con<br />
tutto il cuore e con tutta la mia fede <strong>di</strong> soldato io <strong>di</strong>co e prego tutti voi <strong>di</strong> ripetere con me: Cuore <strong>di</strong> Gesù salvate la<br />
Francia!» [16]<br />
Sempre il de Charette salutò per l'ultima volta la Legione, quando fu sciolta (sebbene il ministro della guerra Ernest Courtot de<br />
Cissey aveva proposto alla Legione <strong>di</strong> entrare nell'esercito regolare), nell'Or<strong>di</strong>ne del Giorno del 13 agosto 1871:<br />
«(...) egli (il ministro della guerra) ci aveva offerto la più bella ricompensa nazionale alla quale potessimo ambire proponendo<br />
a noi, corpo <strong>di</strong> Volontari, <strong>di</strong> far parte dell'esercito regolare. Ben forti sono le ragioni che ci consigliano a rinunziare all'onore<br />
che ci viene offerto. Ma venuti in Francia come zuavi pontifici, non ci cre<strong>di</strong>amo in <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> vincolare la nostra libertà, nè <strong>di</strong><br />
introdurre nell'esercito un'uniforme che non ci appartiene: io ho dunque domandato il licenziamento. Voi tornate ai vostri<br />
focolari, ma il vostro compito non è finito. Uniti e compatti vi siete battuti su <strong>di</strong>versi campi <strong>di</strong> battaglia: vi sovvenga che il<br />
sangue sparso è legame più forte <strong>di</strong> un giuramento: se la Francia farà appello <strong>di</strong> nuovo al patriottismo de' suoi figli, voi tutti<br />
accorrerete alla prima chiamata, il ministro fa assegnamento sopra <strong>di</strong> voi, ed io ne sono sicuro. Arrivederci, miei cari<br />
camerati, col cuore profondamente commosso io mi separo da voi. Non è senza dolore che si estingue un'esistenza <strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci<br />
anni, in cui tutto era comune, gioie, dolori e sacrifici. Ciò nullameno non ci lasciamo abbattere: ancor ci rimangono due<br />
gran<strong>di</strong> cose: la fede nella nostra causa, che è pur quella della Chiesa e della Francia e la speranza del trionfo. Serbiamoci<br />
degno della causa, Dio ci darà il trionfo. Generale de Charette» [17]<br />
Alcuni figli <strong>di</strong> zuavi combatterono nella Prima Guerra Mon<strong>di</strong>ale, tanto che su <strong>di</strong> loro fu scritto anche un libro con il titolo<br />
"Régiment des Zouaves Pontificaux. Franco-belges, Zouaves, Volontaires de l'Ouest et leurs familles pendant la guerre de<br />
1914-1918."<br />
Ideologia del corpo<br />
« Oh, com'è bella -gridavam - la morte / Per la Fede degli Avi; oh! quale sorte / Perir con l'armi in pugno / Pei<br />
patrii monti e le valli natie, / Da estranei fanti e cavalli calpestati. [18] »<br />
Sul piano <strong>di</strong>plomatico ed economico la creazione del corpo degli zuavi pontifici è legata alla linea più tra<strong>di</strong>zionalista della<br />
Curia romana dell'epoca, che trovava eco negli ambienti cattolici conservatori e legittimisti <strong>di</strong> tutto il mondo. In tutto il mondo<br />
occidentale, numerosi preti lanciarono appelli ad arruolarsi in questo corpo, e gli zuavi morti apparivano agli occhi <strong>di</strong> molti<br />
come martiri moderni. [19]<br />
Sul piano militare rappresentavano uno dei migliori reggimenti dell'Esercito Pontificio, se non l'elitè vera e propria. La loro<br />
<strong>di</strong>sciplina fu frutto soprattutto del loro primo comandante de Becdelievre che ebbe a <strong>di</strong>re: «(...) il vero coraggio si mostra nelle<br />
prove giornaliere della vita militare più ancora che sul campo <strong>di</strong> battaglia» [20] . Mentre il loro valore e il loro eroismo fu<br />
dovuto principalmente ai principi che li animarono. Significativo è ciò che <strong>di</strong>ce lo stu<strong>di</strong>oso Lorenzo Innocenti: «(...) furono il<br />
"baluardo del Trono e dell'Altare" e contribuirono in maniera determinante con il loro volontariato mistico - contrapposto<br />
alla fede laica dei garibal<strong>di</strong>ni e a quella monarchica delle truppe dell'esercito piemontese - a ritardare <strong>di</strong> qualche anno<br />
l'annessione dello Stato della Chiesa al resto d'Italia.» [21] . Lo stesso testo del giuramento prestato dai soldati è abbastanza<br />
rappresentativo delle motivazioni che li animavano:<br />
« Je jure à Dieu Tout-Puissant d'être obéissant et fidèle<br />
à mon souverain, le Pontife Romain, Notre Très Saint Père<br />
le Pape Pie IX, et à ses légitimes successeurs.<br />
Je jure de le servir avec honneur et fidélité et de sacrifier<br />
ma vie même pour la défense de sa personnalité auguste et sacrée,<br />
pour le maintien de sa souveraineté et pour le maintien de ses droits. »<br />
(Giuro a Dio onnipotente d'essere ubbi<strong>di</strong>ente e fedele<br />
al mio sovrano, il Pontefice romano, nostro Santo Padre<br />
il papa Pio IX, e ai suoi legittimi successori.<br />
Giuro <strong>di</strong> servirlo con onore e fedeltà e <strong>di</strong> sacrificare<br />
la mia vita per la <strong>di</strong>fesa della sua persona augusta e sacra,<br />
per il mantenimento della sua sovranità e per il mantenimento dei suoi <strong>di</strong>ritti. )<br />
Gli zuavi, in particolare, suscitarono un impegno finanziario non trascurabile da parte dei cattolici, soprattutto in Francia: oltre<br />
al già citato esempio <strong>di</strong> finanziamento da parte <strong>di</strong> ricchi nobili, va notato che gli ufficiali dovevano spesso provvedere a proprie<br />
spese all'equipaggiamento (ciò può spiegare perché queste truppe godessero <strong>di</strong> un equipaggiamento relativamente moderno,<br />
come i noti fucili Remington mod.1868).<br />
Note<br />
1. ^ L'uniforme degli zuavi pontifici non entusiasmò la curia, dove un car<strong>di</strong>nale ebbe a <strong>di</strong>re, considerando i calzoni a<br />
sbuffo, - "È proprio un'idea da francesi, vestire i soldati del papa da musulmani." - ma l'idea piacque a Pio IX.<br />
2. ^ Questa affluenza <strong>di</strong> truppe straniere creò anche non pochi problemi. Si veda in Carlo Belviglieri, Storia d'Italia dal<br />
1814 al 1866, vol. V, Milano 1868, p. 228:<br />
« Lamoricière fece levare ad Antonelli il portafogli della guerra e conferirlo al De Mérode (con che cominciò<br />
l'antagonismo tra il car<strong>di</strong>nale italiano ed il prelato belga); <strong>di</strong>spose i quadri, gli armamenti, istituì i zuavi pontifici,<br />
ed infine cimentossi a stabilire la militar <strong>di</strong>sciplina; <strong>di</strong>fficile impresa tra le antiche truppe pontificie, <strong>di</strong>fficilissima<br />
tra i nuovi venuti, perché quelli <strong>di</strong> gran nome aveano tutti i pregiu<strong>di</strong>zi, le pretensioni, l'arroganza aristocratica; gli<br />
altri, e massime gli irlandesi, erano un'affamata bordaglia e ad ogni istante commettevano scandali, risse, ruberie,
tanto che si dovette venire alla risoluzione <strong>di</strong> rinviare i più riottosi, ed infine <strong>di</strong> fucilarne. Ciò non<strong>di</strong>meno il fermo<br />
volere ottenne più <strong>di</strong> quanto era sembrato possibile. »<br />
3. ^ Henri comte de Cathelineau (1813-1891) fu un generale <strong>di</strong> brigata francese al seguito del generale vandeano e<br />
legittimista Louis Auguste Victor de Ghaisne de Bourmont. Giunto a Roma per sostenere i domini minacciati del papa<br />
creò qui, su richiesta <strong>di</strong> Pio IX, un or<strong>di</strong>ne militare detto "Croisés de Cathelineau", che ebbe pochi mesi <strong>di</strong> vita, e i cui<br />
membri residui confluirono nel corpo degli zuavi pontifici.<br />
4. ^ Il 21 settembre 1870, quando gli Zuavi pontifici si ritrovarono per l'ultima volta in Piazza San Pietro, tra le loro fila<br />
c'erano: 1.172 olandesi, 760 francesi, 563 belgi, 297 tra canadesi - inglesi - irlandesi, 242 italiani, 86 prussiani, 37<br />
spagnoli, 19 svizzeri, 15 austriaci, 13 bavaresi, 7 russi e polacchi, 5 del Baden, 5 degli Stati Uniti, 4 portoghesi, 3<br />
essiani, 3 sassoni, 3 wuttemburghesi, 2 brasiliani, 2 equadoregni, 1 peruviano, 1 greco, 1 citta<strong>di</strong>no monegasco, 1<br />
cileno, 1 ottomano ed 1 cinese.<br />
5. ^ Patrick Keyes O'Clery, La rivoluzione <strong>italiana</strong>, E<strong>di</strong>zioni Ares, pg.654 (Nota 1)<br />
6. ^ Dal seminario <strong>di</strong> Nantes proveniva, ad esempio, il volontario Giuseppe Luigi Guérin del corpo de' Zuavi pontificii<br />
franco-belgi, la cui biografia pubblicata in Roma nel 1862 è un ottimo esempio dell'ideologia che animava queste<br />
truppe.<br />
7. ^ Il duca de La Rochefoucauld-Doudeauville e suo fratello il duca de La Rochefoucauld-Bisaccia, ad esempio,<br />
sostennero finanziariamente l'impresa equipaggiando completamente 1.000 uomini.<br />
8. ^ Con i quali del resto le truppe papaline furono spesso conniventi, considerandoli un punto <strong>di</strong> resistenza agli invasori<br />
italiani. Si veda in Il brigantaggio nelle province napoletane - Relazioni della Commissione d'inchiesta della Camera<br />
de' Deputati, Napoli 1863, p. 84 e passim:<br />
« Nei mesi d'agosto e settembre dell'anno 1862 scorso erano a Forzino ad Anagni a Rissa molte truppe papaline e<br />
squadriglie <strong>di</strong> briganti sotto la <strong>di</strong>rezione dell ispettore della polizia pontificia. »<br />
9. ^ Per una trattazione più ampia del tema "zuavi canadesi" si veda la voce francese.<br />
10. ^ Attilio Vigevano, La Fine dell'Esercito Pontificio, Albertelli, pg.544<br />
11. ^ Attilio Vigevano, La fine dell'Esercito Pontificio, Albertelli, pg.571<br />
12. ^ Patrick Keyes O'Clery, La Rivoluzione <strong>italiana</strong>, E<strong>di</strong>zioni Ares, pg.722<br />
13. ^ Piero Raggi, La Nona Crociata, Libreria Tonini Ravenna, pg.37<br />
14. ^ Attilio Vigevano, La fine dell'Esercito Pontificio, pg.764<br />
15. ^ Athanase de Charette de la Contrie (1832-1911), pronipote <strong>di</strong> François-Athanase Charette de La Contrie, era un<br />
militare professionista. Operò in Austria e in Italia, come tenente colonnello degli zuavi pontifici agli or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Allet.<br />
Divenuto generale dopo il ritorno in Francia, partecipò con onore alla guerra franco-prussiana, ma si rifiutò <strong>di</strong><br />
intervenire nelle repressione della Comune <strong>di</strong> Parigi, non certo per simpatia ideologica, ma perché rifiutava <strong>di</strong> battersi<br />
contro altri francesi, come aveva già mostrato nel 1859, <strong>di</strong>mettendosi dall'esercito austriaco quando questo era<br />
<strong>di</strong>venuto avversario della Francia durante la Seconda guerra <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza <strong>italiana</strong>.<br />
16. ^ Piero Raggi, La Nona Crociata, Libreria Tonini Ravenna, pg.38<br />
17. ^ Piero Raggi, La Nona Crociata, Libreria Tonini Ravenna, pg. 39<br />
18. ^ Antonmaria Bonetti, Il Volontario <strong>di</strong> Pio IX, pg. 77<br />
19. ^ Mentre gli zuavi pontifici venivano visti dai liberali e risorgimentali come veri e propri "mercenari", molti ambienti<br />
cattolici e legittimisti, invece, li rivalutarono parlandone come "nuovi crociati". Un esempio è il libro "I martiri <strong>di</strong><br />
Castelfidardo" <strong>di</strong> De Segur de<strong>di</strong>cato ai caduti pontifici della Battaglia <strong>di</strong> Castelfidardo. Un altro esempio è ciò che<br />
scrisse Santa Teresina del Gesù Bambino: «Sento nell'anima mia il coraggio <strong>di</strong> un Crociato, <strong>di</strong> uno Zuavo pontificio<br />
(...) (Storia <strong>di</strong> un'anima, manoscritto B, lettera a Suor Maria del sacro Cuore) »<br />
20. ^ L.A. de Becdelièvre, Souvenirs de l'armée pontificale, Lecoffre fils, pg.189<br />
21. ^ L.Innocenti, Per il Papa Re, pg.I (Introduzione)<br />
Bibliografia<br />
• Anonimo, Olderico ovvero il zuavo pontificio, racconto del 1860 pubblicato in La Civiltà cattolica anno duodecimo,<br />
vol. XI della serie quarta, Roma 1861, pp. 26–41; episo<strong>di</strong>o romanzato e lacrimevole della sconfitta dell'esercito<br />
pontificio a Castelfidardo.<br />
• Teodoro Salzillo, I fatti d'arme delle pro<strong>di</strong> legioni pontificie nella invasione garibaldesca <strong>di</strong> ottobre e novembre 1867<br />
del Patrimonio <strong>di</strong> San Pietro, Roma, 1868<br />
• Emilio Faldella, Storia degli eserciti italiani, Bramante e<strong>di</strong>trice, 1976<br />
• Piero Raggi, La Nona Crociata, Libreria Tonini Ravenna, 2a e<strong>di</strong>zione<br />
• Lorenzo Innocenti, Per il Papa Re, Esperia E<strong>di</strong>trice, 2004<br />
• Antonmaria Bonetti, Il Volontario <strong>di</strong> Pio IX, Centro librario Sodalitium, 2007<br />
• Attilio Vigevano, La fine dell'Esercito Pontificio, Albertelli, 1995<br />
Voci correlate<br />
• Athanase de Charette<br />
• Questione romana<br />
• Terza guerra <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza <strong>italiana</strong><br />
• Hermann Kanzler<br />
• Christophe Louis Léon Juchault de Lamoricière<br />
Altri progetti<br />
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Zouaves pontificaux<br />
Un article de Wikipé<strong>di</strong>a, l'encyclopé<strong>di</strong>e libre.<br />
Créé le 1 er janvier 1861 sur le modèle des troupes de zouaves de l'armée française, dont l'uniforme exotique est très populaire<br />
au milieu du XIX e siècle, le bataillon des zouaves pontificaux, devenu régiment au 1 er janvier 1867 est constitué de<br />
volontaires, majoritairement français, belges et hollandais, venus défendre l'État pontifical dont l'existence est menacée par la<br />
réalisation de l'Unité italienne au profit du Piémont. Leur histoire s'identifie avec la dernière décennie de l'État du Saint-Siège<br />
(1860-1870). Le régiment est licencié le 21 septembre 1870 à la suite de la <strong>di</strong>sparition des États pontificaux.<br />
La création du corps des zouaves pontificaux En 1860 le sort de l'État pontifical paraît critique. Les puissances catholiques<br />
se désintéressent de la question, aussi le camérier secret du pape Pie IX, Mgr Xavier de Mérode, ancien militaire devenu proministre<br />
des armes, décide de faire appel au général de Lamoricière pour réorganiser et commander l'armée pontificale. Pour<br />
augmenter les effectifs, Lamoricière recourt à l'enrôlement volontaire et fait appel aux États catholiques. Belges et Français<br />
constituent un bataillon des tirailleurs franco-belges sous les ordres du vicomte Louis de Becdelièvre. Celui-ci veut<br />
personnellement les doter de l'uniforme inspiré des zouaves, et adapté à la chaleur romaine. Assez mal accueilli par<br />
Lamoricière qui a bien d'autres problèmes plus urgents, il a le soutien de Mgr de Merode et du Pape lui-même ; les tirailleurs<br />
sont donc appelés zouaves pontificaux avant même la création officielle du corps. Les Piémontais écrasent les Pontificaux à la<br />
bataille de Castelfidardo (18 septembre 1860) et l'État du pape se trouve réduit au seul Latium. Le désastre fait affluer les<br />
volontaires à Rome : le bataillon des zouaves pontificaux est constitué d'une partie des tirailleurs franco-belges et des Irlandais<br />
du bataillon de Saint-Patrick, auxquels s'étaient ajoutés, avant la bataille, les quelques « croisés » d'Henri de Cathelineau.<br />
Caractéristiques des zouaves pontificaux<br />
Les effectifs et l'origine géographique Jusqu'en 1864, les zouaves comptent entre 300 et 600 hommes puis l'effectif monte à 1<br />
500 hommes puis 1 800 avant d'atteindre le maximum de 3 200 hommes peu avant la chute de Rome. Entre 1861 et 1870, il y a<br />
plus de 10 000 nouveaux engagés issus de 25 nationalités <strong>di</strong>fférentes. Les plus nombreux sont les Hollandais, les Français et<br />
les Belges mais on trouve aussi des Suisses, des Allemands, des Italiens, des Cana<strong>di</strong>ens et même des Américains. Sur 170<br />
officiers, on compte 111 Français et 25 Belges. Leur aumônier est Mgr Jules Daniel, un Nantais, assisté par deux Belges, Mgr<br />
Sacré et Mgr de Wœlmont. Pour les Français, les départements constituant les actuelles régions de la Bretagne et des Pays de<br />
Loire représentent plus du tiers du total. Cette affluence masque les apports non négligeables du Nord, de la région de Nîmes,<br />
et du sud du Massif Central. Si Belges néerlandophones et Hollandais sont souvent d'origine populaire, la noblesse est bien<br />
représentée chez les Français et les volontaires belges francophones. Le duc de La Rochefoucauld-Doudeauville et son frère, le<br />
duc de La Rochefoucauld-Bisaccia soutiennent financièrement l'entreprise en équipant complétement 1000 hommes. Leur<br />
point commun est leur attachement à l'Église catholique romaine : leur combat est vu comme une croisade pour défendre la<br />
capitale du catholicisme et la liberté du pape contre le révolutionnaire Garibal<strong>di</strong> et le roi anticlérical Victor-Emmanuel II. Leur<br />
engagement religieux est souvent inséparable de leur engagement politique : nombreux sont les Français qui se réclament du<br />
légitimisme.<br />
L'uniforme[ De couleur gris-bleu, il se compose d'une courte veste à soutaches rouges au col dégagé, un grand pantalon<br />
bouffant retenu par une large ceinture rouge et un petit képi à visière carrée. Les officiers portent des soutaches noires. La tiare<br />
et les clés croisées de Saint-Pierre sont gravées sur les boutons de cuivre. Les officiers portent des bottes et les soldats des<br />
molletières jaunes. Il a été prévu une coiffure de grande tenue, sorte de colback en faux astrakan de laine noire, sans visière, à<br />
calot de drap rouge; une courte fourragère, terminée par un gland pendant à droite, le tout en laine rouge, en fait le tour. Pour<br />
les officiers, le talpack est en astrakan véritable et le calot porte un nœud hongrois en soutache d'or. La tenue des zouaves<br />
pontificaux n'enthousiasme pas la Curie, un car<strong>di</strong>nal a ce mot : « c'est bien une idée de Français d'habiller en musulmans les<br />
soldats du pape » mais l'idée plut à Pie IX. La solde est élevée d'où le qualificatif de mercenaire utilisé par leurs adversaires<br />
pour les <strong>di</strong>scré<strong>di</strong>ter.<br />
Un corps remis en question Le commandement est confié de nouveau au colonel de Becdelièvre mais il est rapidement<br />
remplacé par le colonel Allet, un Suisse depuis longtemps au service du Pape. La ligne intransigeante et belligérante défendue<br />
par Mérode et qu'incarne les zouaves paraît désavoué en 1865 : par la convention franco-italienne du 15 septembre 1864,<br />
l'Italie s'engage à respecter l'État pontifical et la France s'engage à retirer ses troupes dans les deux ans. Le 20 octobre 1865, le<br />
camérier secret se voit retirer son ministère au profit du général Hermann Kanzler. Mais si les Piémontais, en effet, ne peuvent<br />
plus bouger officiellement, ils soutiennent en sous-main le harcèlement que mènent Garibal<strong>di</strong> et ses « chemises rouges ». C'est<br />
avec eux que les zouaves vont connaître <strong>di</strong>vers « accrochages » dans la défense des frontières du Latium, jusqu'à l'affrontement<br />
de 1867.<br />
La campagne de 1867 et Mentana[mo<strong>di</strong>fier]<br />
Le retour des périls[mo<strong>di</strong>fier]<br />
Article connexe : Troisième guerre d'Indépendance italienne.<br />
Avec la cession de la Vénétie par l'Autriche battue par la Prusse en 1866 et le retrait des troupes françaises, l'aile ra<strong>di</strong>cale des<br />
patriotes italiens relance les projets d'annexion. Garibal<strong>di</strong> déclare venu le temps de « faire crouler la baraque pontificale » et au<br />
Congrès international pour la paix à Genève le 9 septembre 1867, il qualifie la papauté de « négation de Dieu (…) la honte et la<br />
plaie de l'Italie ». Pour les zouaves, Garibal<strong>di</strong> est vu comme l'Antéchrist. Il organise une petite armée de volontaires de 8 000<br />
hommes et il essaie de réé<strong>di</strong>ter l'expé<strong>di</strong>tion des Mille qui avait réussi en Sicile en 1860. En décembre 1866, Athanase de<br />
Charette de la Contrie devient lieutenant-colonel des zouaves toujours sous le commandement d'Allet.m En octobre, avec la<br />
complicité du gouvernement italien, les garibal<strong>di</strong>ens envahissent l'État pontifical et tentent d'organiser l'insurrection de Rome.<br />
Le 22 octobre, le projet de soulèvement échoue, faute d'un soutien populaire, et la destruction de la caserne Serristori,<br />
logement habituel des zouaves, par une mine souterraine fait peu de victimes. Les garibal<strong>di</strong>ens s'emparent de Monte Rotondo<br />
le 26 octobre tan<strong>di</strong>s qu'un corps expé<strong>di</strong>tionnaire français débarque à Civitavecchia le 29 pour venir au secours du Pape.
La bataille de Mentana Le général Kanzler mène la contre-offensive pontificale. Le 3 novembre 1867, dans la localité de<br />
Mentana, les zouaves et les carabiniers pontificaux soutenus par la légion romaine (ou légion d'Antibes) constituée de<br />
volontaires français enfonce la petite armée de Garibal<strong>di</strong> suivi de la brigade de l'armée française du général Polhès, qui armée<br />
du redoutable chassepot modèle 1866, fusil qui permet de tirer 12 coups à la minute, donne le coup de grâce. Ce sont les<br />
zouaves qui apparaissent comme les véritables vainqueurs de la journée : lors du défilé victorieux du 6 novembre, les généraux<br />
se découvrent à leur passage et la foule crie : « Vive Pie IX, Vive la France, Vivent les zouaves, Vive la religion ! ». Mentana<br />
assure à l'État pontifical un répit de trois ans qui va permettre la réunion du concile de Vatican I.<br />
La chute de Rome La guerre franco-allemande de 1870 provoque le retrait des troupes françaises et l'invasion de ce qui reste<br />
des États pontificaux par une armée italienne de 70 000 hommes sous le commandement du général Raffaele Cadorna. En face,<br />
les effectifs pontificaux ne dépassent pas 13 000 hommes dont 3 000 zouaves, aussi Kanzler choisit-il de concentrer ses efforts<br />
dans la défense de Rome. Le 20 septembre l'artillerie italienne bombarde les fortifications romaines. Le pape demande à<br />
Kanzler de cesser le feu dès les premiers coups de canon au grand dépit des zouaves souhaitant se battre. Onze zouaves<br />
seulement sont tués lors des combats. Le lendemain, le régiment des zouaves est licencié et les Français sont rapatriés à<br />
Toulon.<br />
La légion des volontaires de l'Ouest 1870-1871 De retour en France, Charette propose ses services au gouvernement de la<br />
Défense nationale qui l'autorise à fonder un corps franc en lui laissant toute liberté et l'uniforme de zouave mais à con<strong>di</strong>tion de<br />
changer le nom en Légion des volontaires de l'Ouest. Le nouveau corps se fait remarquer à la bataille d'Orléans (11 octobre).<br />
Les deux bataillons sont rattachés au 17 e corps d'armée du général Louis-Gaston de Sonis à la mi-novembre. Le 2 décembre<br />
1870, pendant la bataille de Loigny, les zouaves, sous la bannière du Sacré-Cœur, tentent de reprendre le village de Loigny<br />
dans une charge restée célèbre : Charette, blessé est fait prisonnier mais réussit à s'évader peu après. Le 11 janvier 1871, les<br />
zouaves chargent à nouveau, avec à leur tête le général Gougeard, et parviennent à reprendre aux Prussiens le plateau<br />
d'Auvours, tout proche du Mans. Dans l'afflux des mauvaises nouvelles, ces exploits locaux, qui n'ont pas d'influence sur la<br />
suite des évènements, impressionnent, en particulier, les militaires. Charette étant devenu général, il refuse que sa « légion »<br />
participe à la répression de la Commune de Paris, non par sympathie pour cette cause mais parce qu'il n'accepte pas de se battre<br />
contre d'autres Français : il l'a déjà montré en démissionnant de l'armée d'Autriche en 1859 au moment où celle-ci est opposée<br />
à la France. Finalement les Volontaires de l'Ouest sont toujours à Rennes en mai 1871. Le 28 mai, la légion des zouaves est<br />
consacrée au Sacré-Cœur de Jésus et, la guerre étant terminée, les bataillons sont <strong>di</strong>ssous le 13 août.<br />
L'engagement des zouaves pontificaux Sur le plan <strong>di</strong>plomatique et idéologique, les zouaves pontificaux se rattachent à la<br />
ligne la plus dure de la Curie romaine de l'époque. Ils suscitent une mobilisation financière non négligeable de la part des<br />
catholiques, notamment en France, même les officiers doivent souvent payer leur équipement (ce qui peut expliquer qu'ils<br />
bénéficient d'un équipement relativement moderne). Dans toute le monde occidental, de nombreux prêtres lancent des appels à<br />
s'engager dans ce corps, et les zouaves morts au combat apparaissent aux yeux de beaucoup comme des martyrs modernes. De<br />
fait, le serment que prêtent les soldats est assez représentatif des motivations qui les animent :<br />
Je jure à Dieu Tout-Puissant d'être obéissant et fidèle<br />
à mon souverain, le Pontife Romain, Notre Très Saint Père<br />
le Pape Pie IX, et à ses légitimes successeurs.<br />
Je jure de le servir avec honneur et fidélité et de sacrifier<br />
ma vie même pour la défense de sa personnalité auguste et sacrée,<br />
pour le maintien de sa souveraineté et pour le maintien de ses droits.<br />
Principaux combats livrés par les zouaves pontificaux<br />
• Campagne de 1867 contre les garibal<strong>di</strong>ens<br />
o Combat de Bagnorea<br />
o Bataille de Montelibretti<br />
o Combat de Nerola<br />
o Combat de Farnese<br />
o Bataille de Mentana<br />
• Campagne de 1870 contre l'Italie<br />
o Siège de Civita-Castellana<br />
o Siège de Rome<br />
Liens internes Bataillon cana<strong>di</strong>en des zouaves pontificaux Alphonse-Joseph van Steenkiste (1849-1919), Chevalier de<br />
l'Ordre de Saint Sylvestre ou de la Milice dorée, décoré de la Croix de Mentana et de la médaille Benemerenti.<br />
• Hildebrand de Hemptinne (1849-1913)<br />
Liens externes Photographies sur les zouaves<br />
Bibliographie<br />
• Père Bresciani, L'Epopée des zouaves pontificaux, H. & L. Casterman, [s.d.]<br />
• Philippe Boutry, Philippe Levillain (<strong>di</strong>r.), Dictionnaire historique de la papauté, Paris, Fayard, 2003 (ISBN 2-213-<br />
618577);<br />
• Jean Guenel, La dernière guerre du Pape, les zouaves pontificaux au secours du Saint-Siège 1860-1870, Presses de<br />
l'Université de Rennes, 1998, ISBN 2-86847-335-0.<br />
• Maurice Briollet, Les Zouaves Pontificaux du Maine, de l'Anjou et de la Touraine, Laval, imprimerie R.Ma<strong>di</strong>ot 1963-<br />
1969.<br />
• Piero Crociani, Massimo Fiorentino, Massimo Brandani, La neuvième croisade 1860-1870, histoire, organisation et<br />
uniformes des unités étrangères au service du Saint-Siège, Hors-série n°13 de Tra<strong>di</strong>tion-Magazine, 2000<br />
• (it) Emilio Faldella, Storia degli eserciti italiani, Bramante e<strong>di</strong>trice, 1976<br />
• (it) Lorenzo Innocenti, Per il Papa Re, Esperia E<strong>di</strong>trice, 2004<br />
• (it) Piero Raggi, La Nona Crociata, Libreria Tonini Ravenna
Bataillon cana<strong>di</strong>en des zouaves pontificaux<br />
Un article de Wikipé<strong>di</strong>a, l'encyclopé<strong>di</strong>e libre.<br />
Le bataillon cana<strong>di</strong>en des zouaves pontificaux est une unité de l'armée pontificale, formée peu avant la fin de l'existence des<br />
États pontificaux. Sa formation obéit tout autant à des considérations liées à la politique cana<strong>di</strong>enne qu’à la situation italienne<br />
liée aux guerres d’unification par Garibal<strong>di</strong>. les États pontificaux contrôlés par le pape s'opposaient pendant 16 siècles à<br />
l'unification des italiens en contrôlant une partie du territoire de l'Italie.<br />
Origines En effet, la nouvelle de la proclamation du Royaume d'Italie en 1861, ne laissant des États pontificaux que le Latium,<br />
autour de la ville de Rome, survint à un moment où, au Canada-Est (actuel Québec), majoritairement francophone et<br />
catholique, l’Église, appuyée par les éléments conservateurs, entreprenait une intense lutte idéologique visant à éliminer les «<br />
Rouges ». Les « Rouges » étaient les éléments les plus ra<strong>di</strong>caux du courant de pensée libérale, héritier des Patriotes de 1837-<br />
1838, dont les idées de laïcité, suffrage universel, libre-échange et annexion aux États-Unis inquiétaient la hiérarchie et les<br />
catholiques conservateurs. C’est dans ce contexte qu’il faut comprendre l’appel à la solidarité avec le pape, lancé en 1861, par<br />
l’évêque de Montréal, Mgr Ignace Bourget, sous forme d’une série de lettres pastorales, défendant l’intégrité des États<br />
pontificaux. Des manifestations antilibérales confondant Rouges cana<strong>di</strong>ens et Chemises rouges italiennes se tinrent un peu<br />
partout dans la colonie. Dans la foulée de ce mouvement, l’évêque Guigues, d’Ottawa, suggéra au pontife que les <strong>di</strong>ocèses du<br />
monde entier procèdent à des levées de fonds dans le but de financer une armée pontificale indépendante. Une intense<br />
campagne de propagande catholique suivit l’acceptation de ce plan par Rome.<br />
Volontaires et formation Certains journaux encouragèrent la jeunesse du pays à s’enrôler dans cette armée et, en 1861,<br />
Benjamin Testard de Montigny devint le premier zouave pontifical cana<strong>di</strong>en. D’autres le rejoignirent dans les années qui<br />
suivirent. Enfin, en 1867, la nouvelle de la bataille de Mentana, où un zouave cana<strong>di</strong>en avait été blessé, parvint au pays et<br />
déclencha une nouvelle vague de ferveur papiste. Un comité fut formé dans le but de former un bataillon entièrement cana<strong>di</strong>en<br />
de zouaves pontificaux. En 1868, 135 hommes furent recrutés et expé<strong>di</strong>és à Rome. En tout, un peu plus de 500 zouaves furent<br />
recrutés et 388 Cana<strong>di</strong>ens firent le voyage pour les États pontificaux.<br />
Activité Sur place, les opérations militaires se limitèrent généralement à de longues patrouilles dans la campagne romaine, à la<br />
chasse aux « ban<strong>di</strong>ts ». L’expé<strong>di</strong>tion romaine fut surtout, pour les zouaves, une occasion de mise en con<strong>di</strong>tion idéologique à<br />
travers une longue série de pèlerinages, cérémonies et processions. Parallèlement, une intense campagne de propagande était<br />
organisée dans la province de Québec (créée en 1867) pour assimiler la défense du pape à une cause nationale cana<strong>di</strong>ennefrançaise.<br />
Le succès en est démontré par la <strong>di</strong>sparition rapide des critiques dans la presse libérale. D’ailleurs, à cette époque, le<br />
parti libéral était en nette perte de vitesse au Québec. La victoire conservatrice aux premières élections fédérales, garantissant<br />
la pérennité du projet de Confédération cana<strong>di</strong>enne, avait été largement facilitée par l’appui du clergé au parti conservateur. Le<br />
gouvernement cana<strong>di</strong>en ne souleva donc aucune objection à cette expé<strong>di</strong>tion d’une légalité douteuse. Finalement, en 1870, la<br />
guerre franco-prussienne amena le départ des troupes françaises stationnées autour de Rome et qui formaient une force<br />
d’interposition entre les États pontificaux et l’Italie depuis 1864. Le 12 septembre, les troupes italiennes envahirent les États<br />
pontificaux. Le 20, le pape ordonna la red<strong>di</strong>tion de ses troupes. Quelques unités de zouaves cana<strong>di</strong>ens continuèrent le combat<br />
un certain temps après avoir reçu l’ordre de déposer les armes. Ils furent arrêtés et forcés de défiler à travers les rues avant que<br />
l'ambassade britannique puisse obtenir leur libération et leur renvoi au Canada. Malgré cette fin plutôt piteuse, un détachement<br />
de 212 zouaves reçut un accueil triomphal à Montréal, le 9 novembre. Certains ne revinrent pas : l’un se fit moine, deux<br />
s’engagèrent dans l’armée française et 9 étaient morts de mala<strong>di</strong>e. Aucun zouave cana<strong>di</strong>en ne fut tué au combat malgré<br />
quelques blessés légers. La défaite militaire se transforma néanmoins en un triomphe pour le clergé catholique au Canada et<br />
s’inscrit dans le processus de monopolisation du nationalisme cana<strong>di</strong>en-français par l’idéologie cléricale-conservatrice qui<br />
devait dominer la province de Québec pour près d’un siècle. Une nouvelle ville, Piopolis (en l’honneur de Pie IX), fut fondée<br />
dans les Cantons de l’Est afin d’établir les anciens zouaves. En 1899, l’ancien aumônier du bataillon présida à la fondation<br />
d’une Association des zouaves du Québec, groupe paramilitaire arborant uniformes et armes de 1868. Chaque ville du Québec<br />
eut bientôt son association locale et, dès 1914, la fête de la Saint-Jean-Baptiste et toutes les célébrations catholiques et<br />
nationalistes, furent accompagnées d’un bataillon de zouaves avec uniformes et armes de 1868, fournissant à la fois la fanfare<br />
et le service de sécurité. L’Association commença à décliner avec le nationalisme conservateur dans les années 1960. Il restait<br />
suffisamment de zouaves pontificaux au Québec, en 1984, pour former une garde d’honneur pour le pape Jean-Paul II lors de<br />
sa visite à Montréal et ils demeurent encore actifs au sein du <strong>di</strong>ocèse de Valleyfield 1 .<br />
Sources<br />
• Audy, Diane : Les zouaves de Québec au XX e siècle, Québec : Presses de l'Université Laval, 2003.<br />
• Hardy, René et Lodolini, Elio : Les zouaves pontificaux cana<strong>di</strong>ens, Ottawa : National Museum of Man, 1976<br />
• Rouleau, Charles Edmond, 1841-1926 : La papauté et les Zouaves Pontificaux, quelques pages d'histoire, Québec : Le<br />
Soleil, 1905 ( en téléchargement libre)<br />
• Rouleau, Charles Edmond, 1841-1926 : Souvenirs de voyage d'n soldat de Pie XI, Québec : L.J. Demers, 1881 ( en<br />
téléchargement libre)<br />
Notes et références<br />
1. ↑ Chaire de recherche du Canada en patrimoine ethnologique, « La compagnie des zouaves de Salaberry-de-<br />
Valleyfield [archive] »<br />
Liens externes Régiment des zouaves pontificaux cana<strong>di</strong>ens Rapide historique des zouaves pontificaux cana<strong>di</strong>ens<br />
• [1] et [2] Récits de zouaves Le corps des cadets zouaves de Chicoutimi, 1924 (en)Uniforme des zouaves cana<strong>di</strong>ens<br />
• Uniforme des zouaves cana<strong>di</strong>ens
Athanase de Charette<br />
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Athanase de Charette (Nantes, 3 settembre 1832 – Saint-Père, Ille-et-Vilaine, 9 ottobre 1911) è stato un militare francese, tenente<br />
colonnello comandante degli Zuavi pontifici, poi comandante della legione dei Volontari dell'Ovest nella guerra franco-prussiana del 1870.<br />
I fratelli de Charette (al centro Athanase) detti "I Moschettieri del Papa"<br />
Biografia Athanase-Charles-Marie de Charette de la Contrie nacque da una famiglia nobile <strong>di</strong> forti sentimenti religiosi, che poteva contare<br />
fra i suoi antenati l'eroe vandeano François-Athanase Charette de La Contrie (suo padre ne era il nipote, mentre sua madre Louise, la<br />
contessa de Vierzon, era la figlia del duca <strong>di</strong> Berry e <strong>di</strong> Amy Brown Freeman). Verso la metà degli anni '40 entrò all'Accademia militare <strong>di</strong><br />
Torino, ma nel 1848 lasciò il Piemonte, non volendo servire nel suo esercito poiché in <strong>di</strong>saccordo con la politica liberale ed anticlericale che<br />
aveva intrapreso il paese. Passò allora a servire, nel 1852, il Duca <strong>di</strong> Modena, come sottotenente <strong>di</strong> un reggimento austriaco <strong>di</strong> stanza nel<br />
Ducato, ma in seguito decise <strong>di</strong> lasciare l' incarico per lo stesso motivo: non voleva servire uno stato tradendo i suoi principi e valori.<br />
Legittimista quanto il suo antenato François de Charette, quando i suoi due fratelli chiesero <strong>di</strong> servire Francesco II per <strong>di</strong>fendere il Regno<br />
delle Due Sicilie, decise <strong>di</strong> mettersi al servizio <strong>di</strong> Pio IX. Si arruolò, quin<strong>di</strong>, tra i franco-belgi (poi noti come Zuavi pontifici) e nella Battaglia<br />
<strong>di</strong> Castelfidardo mostrò la sua abilità nel combattere e il suo coraggio, venendo ferito. I successivi <strong>di</strong>eci anni li passò servendo fedelmente<br />
Pio IX, dal quale venne nominato tenente colonnello e messo al comando degli Zuavi pontifici; come tale <strong>di</strong>fese lo Stato Pontificio nel 1867<br />
a Mentana contro Garibal<strong>di</strong> e nel 1870 contro l'esercito <strong>di</strong> Vittorio Emanuele II. Quando però Roma cade sotto le mani del Re d'Italia decide<br />
<strong>di</strong> servire la Francia, nella guerra franco-prussiana, con la stessa <strong>di</strong>visa da zuavo pontificio: fonda la "Legione dei Volontari dell'Ovest". Il<br />
loro vessillo porta le parole: "Coer de Jesus, sauvez la France!" ("Cuore <strong>di</strong> Gesù, salvate la Francia!") e consacra a Nantes la Legione con<br />
queste parole:<br />
« All'ombra <strong>di</strong> questa ban<strong>di</strong>era tinta dal sangue delle nostre più nobili e care vittime, io generale Barone de Charette, che ho l'insigne<br />
onore <strong>di</strong> comandarvi, consacro la Legione dei Volontari dell'Ovest, gli zuavi pontifici, al Sacro Cuore <strong>di</strong> Gesù, e con tutto il cuore e con<br />
tutta la mia fede <strong>di</strong> soldato io <strong>di</strong>co e prego tutti voi <strong>di</strong> ripetere con me: Cuore <strong>di</strong> Gesù salvate la Francia! »<br />
La Legione però si scioglie nonostante il ministro della guerra aveva proposto <strong>di</strong> far entrare gli Zuavi pontifici nell'Esercito Regolare, ma de<br />
Charette non accetta spiegando per quale motivo non decide <strong>di</strong> entrare nell'Esercito Regolare con l'ultimo Or<strong>di</strong>ne del Giorno, del 13 agosto<br />
1871:<br />
« (...) egli (il ministro della guerra) ci aveva offerto la più bella ricompensa nazionale alla quale potessimo ambire proponendo a noi,<br />
corpo <strong>di</strong> Volontari, <strong>di</strong> far parte dell'esercito regolare. Ben forti sono le ragioni che ci consigliano a rinunziare all'onore che ci viene<br />
offerto. Ma venuti in Francia come zuavi pontifici, non ci cre<strong>di</strong>amo in <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> vincolare la nostra libertà, nè <strong>di</strong> introdurre nell'esercito<br />
un'uniforme che non ci appartiene: io ho dunque domandato il licenziamento. Voi tornate ai vostri focolari, ma il vostro compito non è<br />
finito. Uniti e compatti vi siete battuti su <strong>di</strong>versi campi <strong>di</strong> battaglia: vi sovvenga che il sangue sparso è legame più forte <strong>di</strong> un<br />
giuramento: se la Francia farà appello <strong>di</strong> nuovo al patriottismo de' suoi figli, voi tutti accorrerete alla prima chiamata, il ministro fa<br />
assegnamento sopra <strong>di</strong> voi, ed io ne sono sicuro. Arrivederci, miei cari camerati, col cuore profondamente commosso io mi separo da<br />
voi. Non è senza dolore che si estingue un'esistenza <strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci anni, in cui tutto era comune, gioie, dolori e sacrifici. Ciò nullameno non ci<br />
lasciamo abbattere: ancor ci rimangono due gran<strong>di</strong> cose: la fede nella nostra causa, che è pur quella della Chiesa e della Francia e la<br />
speranza del trionfo. Serbiamoci degno della causa, Dio ci darà il trionfo. Generale de Charette »<br />
Continuando a essere monarchico, non accetta l'elezione a deputato. Muore il 9 ottobre 1911 a Basse-Motte (Ille-et-Vilaine).<br />
Onorificenze<br />
Medaglia <strong>di</strong> Castelfidardo<br />
Croce <strong>di</strong> Mentana
Voci correlate<br />
• François-Athanase Charette de La Contrie<br />
• Zuavi pontifici<br />
Collegamenti esterni<br />
• Articolo in inglese<br />
• Alcune sue foto e notizie biografiche<br />
battaglia <strong>di</strong> Loigny" <strong>di</strong> C.Castellani (1879). Si noti al centro de Charette.<br />
La
Magloire Roussel, zuavo pontificio (1869) -
Zuavo pontificio (foto D'Alessandri, circa 1865) - Nederlands: foto uit 1870 van Douwe en Matthijs Walta uit Workum.<br />
John Surratt, son of Mary Surratt, in Zouave uniform. Surratt conspired with John Wilkes Booth to kidnap Lincoln in 1865.<br />
Zuavo pontificio fotografato da Michele Mang (1870)
Charles d'Argy<br />
Un article de Wikipé<strong>di</strong>a, l'encyclopé<strong>di</strong>e libre.<br />
Charles Henry Louis, comte d’Argy, né le 26 mai 1805 à Malmy Chémery-sur-Bar en Ardennes et décédé à Rome le 26<br />
janvier 1870, est un colonel de l’armée française sous le Second Empire et le colonel fondateur de la Légion d’Antibes, <strong>di</strong>te<br />
Légion romaine.<br />
Biographie Fils de Charles-Louis d’Argy de Malmy, officier des gardes du corps du roi Louis XVIII et de Joséphine Rosine<br />
Schmidt de Bude. D’une très ancienne famille de la noblesse de Champagne, alliée aux Coucy d’Ambly, d’Alendhuy, Roucy,<br />
Maubeuge, il fut élevé dans un environnement militaire. Après des études au collège de Charleville, il commença sa carrière<br />
militaire en s’engageant à 18 ans dans la Garde royale, devint officier d’infanterie, fit la campagne d’Espagne en 1823 avec le<br />
duc d’Angoulème, puis participa à la prise d’Alger (1830). Fit ensuite la campagne de Kabylie sous le maréchal Randon. En<br />
1852, il est cofondateur avec Napoléon Laisné de l’école normale de gymnastique militaire de Joinville. Lors de la bataille de<br />
Solférino, le 24 juin 1859, il fut nommé colonel du 53 e de ligne. Ce régiment tint ensuite garnison à Besançon. En 1866, il fut<br />
choisi par le maréchal Randon, ministre de la Guerre, pour fonder et commander la Légion d’Antibes <strong>di</strong>te légion romaine,<br />
corps de volontaires français mis au service du pape. Cette légion, réunie à Antibes et forte de 1 200 hommes, embarqua pour<br />
l’Italie le 13 septembre 1866. Le 24 septembre la légion défile devant le pape Pie IX. Composée uniquement de volontaires,<br />
elle portait un uniforme du type en usage dans l’infanterie française, mais avec la coiffure et les insignes des chasseurs et des<br />
boutons portant la tiare pontificale et les clés de saint Pierre. Elle était équipée du très récent fusil Chassepot. Cette unité fut<br />
casernée à Viterbe et à Rome. En octobre 1867, Garibal<strong>di</strong> et ses « chemises rouges » déclenchent une offensive contre les états<br />
pontificaux. Le général Kanzler, commandant en chef des troupes pontificales mène la contre-offensive. Le 3 novembre 1867 à<br />
Mentana, les zouaves pontificaux du colonel de Charette et la Légion romaine du colonel d’Argy (ou légion d'Antibes), suivis<br />
de la brigade de l'armée française du général Polhès, enfoncent la petite armée de Garibal<strong>di</strong> et la mettent en déroute.(les<br />
troupes pontificales et françaises étaient armées du nouveau fusil Chassepot, qui permettait une cadence de tir très rapide pour<br />
l’époque). Cette victoire de Mentana assure à l'État pontifical un répit de trois ans. La Légion d’Antibes connaîtra la prise de<br />
Rome par les troupes italiennes et une capitulation avec les honneurs de la guerre, le 21 septembre 1870. Le 26 septembre<br />
1870, elle est débarquée à Toulon et formera le 47 e régiment de marche, aussitôt envoyé au feu contre les Prussiens pour<br />
participer à la tentative de déblocage de Belfort par le général Bourbaki. Il s’illustra en particulier à Villersexel. Plus tard, en<br />
avril 1871, durant les troubles de la commune, le ministre de la Guerre enverra le 47 e à Marseille combattre les insurgés de<br />
cette ville, auxquels s’étaient jointes des « chemises rouges de Garibal<strong>di</strong> ». Le colonel comte Charles d’Argy mourut à Rome le<br />
26 janvier 1870. le saint-père l’assista sur son lit de mort. Les officiers de son régiment lui firent ériger un monument en<br />
l’église Saint-Louis des Français à Rome.<br />
DécorationsCommandeur de la Légion d’honneur, par décret du 29 décembre 1864, et décoré de : l'ordre de Pie IX, l'ordre de<br />
Saint-Grégoire-le-Grand, l’ordre de Saint-Fer<strong>di</strong>nand d’Espagne, l’ordre du Mérite militaire de Savoie, l’ordre de François I er de<br />
Naples, l’ordre de l’Aigle rouge de Prusse, la médaille de Mentana.<br />
Bibliographie<br />
• Archives départementales des Ardennes.<br />
• Archives nationales, fond 2 empire.<br />
• Abbé Besson, le Comte Charles d’Argy, imprimerie J. Jacquin à Besançon<br />
• Abbé Staub, la Légion d’Antibes <strong>di</strong>te Légion romaine, imprimerie C. Paillart à Abbeville<br />
• D’Hozier, Grand Armorial de France.<br />
• L. F de Caumartin, procez verbal de la recherche de la Noblesse de Champagne.<br />
• Louis Adrien Roland, comte d’Argy, Histoire de la Maison d’Argy.
Squadriglieri pontifici detti "Zampitti"
Battaglia <strong>di</strong> Castelfidardo<br />
Da Wikipe<strong>di</strong>a, l'enciclope<strong>di</strong>a libera.<br />
Giovanni Gallucci - La battaglia <strong>di</strong> Castelfidardo palazzo comunale <strong>di</strong> Castelfidardo<br />
Data 18 settembre 1860<br />
Luogo<br />
Castelfidardo (AN)<br />
Esito<br />
vittoria delle truppe sabaude<br />
Mo<strong>di</strong>fiche territoriali L'Umbria e le Marche entrano nel Regno d'Italia<br />
Stato Pontificio<br />
Georges de Pimodan<br />
Christophe Lamoricière<br />
10.000 39.000<br />
Schieramenti<br />
Regno <strong>di</strong> Sardegna<br />
Comandanti<br />
Enrico Cial<strong>di</strong>ni<br />
Manfredo Fanti<br />
Effettivi<br />
Per<strong>di</strong>te<br />
88 morti, 400 feriti e 600 morti: 55 uomini <strong>di</strong> truppa e 6 ufficiali<br />
prigionieri<br />
feriti: 173 uomini <strong>di</strong> truppa e 11 ufficiali<br />
Nella battaglia <strong>di</strong> Castelfidardo, il 18 settembre 1860, si scontrarono gli eserciti del Regno <strong>di</strong> Sardegna e quello dello Stato<br />
Pontificio. La battaglia si concluse con la vittoria dei piemontesi; le truppe papaline superstiti si asserragliarono nella<br />
piazzaforte <strong>di</strong> Ancona e furono definitivamente sconfitte dall'esercito sardo dopo un <strong>di</strong>fficile asse<strong>di</strong>o. Conseguenza <strong>di</strong>retta<br />
della vittoria piemontese fu l'annessione al Regno <strong>di</strong> Sardegna delle Marche e dell'Umbria. La battaglia <strong>di</strong> Castelfidardo è<br />
considerata spesso come l'episo<strong>di</strong>o conclusivo del Risorgimento italiano; in effetti solo dopo essa fu possibile proclamare la<br />
nascita del Regno d'Italia, il 17 marzo 1861 [1] .<br />
Storia<br />
Le cause dello scontro Il Regno <strong>di</strong> Sardegna, con la Seconda Guerra d'In<strong>di</strong>pendenza, aveva annesso la Lombar<strong>di</strong>a. Nei mesi<br />
successivi, in seguito a plebisciti, anche l'Emilia-Romagna e la Toscana erano entrate a far parte dei domini <strong>di</strong> Vittorio<br />
Emanuele II. Dopo pochi mesi, Garibal<strong>di</strong>, con la spe<strong>di</strong>zione dei Mille, aveva liberato tutto il meri<strong>di</strong>one d'Italia; le regioni<br />
meri<strong>di</strong>onali erano però separate da quelle settentrionali dalla presenza dello Stato Pontificio. Vittorio Emanuele II decise allora<br />
<strong>di</strong> intervenire con il proprio esercito per annettere Marche ed Umbria, ancora nelle mani del papa. La conquista delle due<br />
regioni centrali aveva dunque lo scopo <strong>di</strong> unire il nord e il sud d'Italia. Non si poteva certo ancora pensare ad un annullamento<br />
totale dello stato del papa, al quale, secondo i piani del re, sarebbe stato lasciato il Lazio.<br />
Due eserciti in marcia forzata I due eserciti che presero parte alla battaglia si radunarono l'uno in Romagna (quello sardo),<br />
l'altro nel Lazio (quello pontificio), ma avevano lo stesso obiettivo: giungere nella piazzaforte <strong>di</strong> Ancona. I pontifici volevano<br />
asserragliarsi nella città adriatica perché là avrebbero potuto resistere per mesi attendendo rinforzi da parte delle potenze<br />
cattoliche europee; i piemontesi volevano impe<strong>di</strong>re proprio questo. Cominciarono così due marce forzate: ciascun esercito si<br />
concedeva poche ore <strong>di</strong> riposo notturno per arrivare prima dell'altro. L'esercito pontificio era composto da circa 10.000<br />
volontari che, rispondendo all'appello del papa, provenivano da Francia, Irlanda, Austria ed altri paesi cattolici d'Europa; lo<br />
comandava il francese Lamoricière, supportato dal valoroso Georges de Pimodan. Le truppe del papa dal Lazio mossero verso<br />
Narni e proseguirono per Spoleto, Tolentino e Macerata cercando <strong>di</strong> raggiungere più celermente possibile la piazzaforte <strong>di</strong><br />
Ancona. L'esercito piemontese, forte <strong>di</strong> 14.000 uomini provenienti da tutta Italia, era al comando del generale Fanti; le truppe<br />
dalla Romagna si <strong>di</strong>visero in due tronconi. Uno marciò lungo la costa e a Pesaro [2] incontrò una forte resistenza pontificia per<br />
opera del tenente colonnello Giovanni Battista Zappi [3][4][5][6][7][8][9][10] , l'altro avanzò pure verso sud, ma passando a ridosso<br />
degli Appennini attraverso Urbino. I due tronconi si riunirono a Jesi, attraversarono Osimo e quin<strong>di</strong> si <strong>di</strong>ressero verso Ancona.<br />
La battaglia Prima <strong>di</strong> giungere ad Ancona, i piemontesi fecero un'ultima tappa a Castelfidardo, dove installarono il loro<br />
campo nella frazione delle Crocette, a 25 chilometri dalla loro meta finale. Alcuni soldati in ricognizione scopersero però al <strong>di</strong><br />
là del fiume Musone le truppe pontificie, anch'esse accampate nella zona in attesa <strong>di</strong> trasferirsi nel capoluogo marchigiano.
Iniziarono le prime schermaglie e il Generale Lamoricière, consapevole del fatto che il suo esercito era inferiore <strong>di</strong> numero,<br />
sapeva <strong>di</strong> non avere molta speranza <strong>di</strong> vittoria. Sfruttando il fatto che il grosso dell'esercito piemontese era ancora all'oscuro<br />
della presenza dei pontifici, decise subito <strong>di</strong> <strong>di</strong>videre le sue truppe in tre gruppi. Il primo gruppo, <strong>di</strong>retto da de Pimodan,<br />
doveva impegnare le truppe italiane in modo da consentire agli altri due, capitanati da Lamoricière, <strong>di</strong> proseguire verso<br />
Ancona, dove le forze pontificie si sarebbero potute rinchiudere in attesa <strong>di</strong> rinforzi da parte delle potenze cattoliche. Gli<br />
uomini al comando <strong>di</strong> Georges de Pimodan dovevano quin<strong>di</strong> sacrificarsi tra Castelfidardo e Loreto, sulle pen<strong>di</strong>ci del colle del<br />
Montoro e nella vallata del Musone, per favorire le truppe <strong>di</strong> Lamoricière. Tutto andò secondo i piani: mentre Lamoricière, non<br />
visto dagli italiani, con le sue truppe era già arrivato a Numana, sulla strada <strong>di</strong> Ancona, nel frattempo gli uomini <strong>di</strong> Georges de<br />
Pimodan, al grido <strong>di</strong> "Viva il Papa!" stavano impegnando seriamente gli ignari piemontesi, guadagnando terreno palmo a<br />
palmo, casa colonica per casa colonica. Il grosso dell'esercito sabaudo era ancora accampato alle Crocette. Quando Cial<strong>di</strong>ni<br />
venne a conoscenza della presenza dei pontifici, inviò tutte le sue truppe, che al grido <strong>di</strong> "Viva il Re!" rovesciarono la<br />
situazione <strong>di</strong> iniziale vantaggio pontificio. Una alla volta, tutte le case coloniche già conquistate da Georges de Pimodan<br />
cadevano nelle mani dei piemontesi. Le sorti dello scontro subirono un rovesciamento a causa <strong>di</strong> una decisione davvero<br />
inaspettata <strong>di</strong> Lamoricière. Egli, resosi conto che le truppe lasciate a combattere stavano per subire una <strong>di</strong>sfatta totale, decise <strong>di</strong><br />
tornare a sostenere Georges de Pimodan che, già ferito più volte, stava battendosi valorosamente nonostante la situazione<br />
<strong>di</strong>sperata. Questa fu una decisione sorprendente: sarebbero bastate poche ore <strong>di</strong> marcia e sarebbe stato possibile rinchiudersi<br />
dentro alla piazzaforte <strong>di</strong> Ancona, ma più che alla strategia Lamoricière pensò alla lealtà <strong>di</strong> de Pimodan e al fatto che non se la<br />
sentiva <strong>di</strong> sacrificarlo [11] . Così Lamoricière tornò sul campo <strong>di</strong> battaglia; de Pimodan però era stato già ferito a morte e spirava<br />
nell'ospedale da campo piemontese. Secondo alcune fonti sarebbe stato Cial<strong>di</strong>ni in persona ad assisterlo negli ultimi istanti e a<br />
raccoglierne le volontà [12] . Secondo altre fonti Lamoricière riuscì a dare l'estremo saluto a de Pimodan, che gli <strong>di</strong>sse:<br />
"Generale! Combattono da eoi, l'onore della Chiesa è salvo!" [13] Dopo alcune ore <strong>di</strong> battaglia, le truppe del generale Cial<strong>di</strong>ni<br />
sconfissero <strong>di</strong>sastrosamente l'avversario; i reduci, tra cui lo stesso Lamoricière, frettolosamente e <strong>di</strong>sorganizzatamente<br />
ripiegarono verso Ancona passando, per non correre il rischio <strong>di</strong> essere catturati, per gli impervi sentieri del promontorio del<br />
Conero.<br />
Epilogo: la presa <strong>di</strong> Ancona Lamoricière e i soldati pontifici superstiti arrivarono quin<strong>di</strong> ad Ancona, dove si asserragliarono<br />
insieme alla guarnigione austriaca già presente in città come forza <strong>di</strong> occupazione per volontà del papa sin dal 1849. Cominciò<br />
presto l'asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong>sperato: la città fu circondata dal lato <strong>di</strong> terra terra dai generali Manfredo Fanti ed Enrico Cial<strong>di</strong>ni, mentre<br />
davanti all'imboccatura del porto c'era la flotta condotta dall'ammiraglio Persano. Ora si giocava il tutto per tutto: in gioco<br />
c'erano ideali opposti ed inconciliabili. I volontari papalini (francesi, irlandesi, slovacchi, polacchi...) lottavano per sostenere il<br />
dominio temporale del papa, ritenuto da essi necessario corollario del potere spirituale; gli Austriaci combattevano per<br />
impe<strong>di</strong>re all'Italia <strong>di</strong> esistere come nazione, cosa che avrebbe comportato il rischio della <strong>di</strong>sgregazione dell'Impero Austriaco;<br />
gli Italiani dovevano riunificare le terre liberate da Garibal<strong>di</strong> con quelle annesse in seguito alla Seconda Guerra<br />
d'In<strong>di</strong>pendenza, altrimenti avrebbero avuto una nazione spezzata a metà. Ancona dopo un'accanita resistenza austriaca e<br />
pontificia, il 28 settembre 1860 fu presa dal mare con un'ar<strong>di</strong>ta manovra navale che portò all'esplosione della batteria della<br />
Lanterna che <strong>di</strong>fendeva il porto e alla quale era agganciata la catena che ne chiudeva l'imboccatura. Solo il giorno dopo, però,<br />
29 settembre, alle ore 14, a Villa Favorita sede del comando italiano, i pontifici firmarono la resa. Dopo tre giorni, il 3 ottobre<br />
alle 5 del pomeriggio, sbarcò nel porto <strong>di</strong> Ancona il re Vittorio Emanuele II accolto da una città in festa, ornata <strong>di</strong> centinaia <strong>di</strong><br />
ban<strong>di</strong>ere tricolore. La folla accorsa nelle strade percepiva la storicità del momento, che fu decisivo per la costruzione dell'unità<br />
d'Italia [14] . In città il re accolse le deputazioni delle varie province delle Marche e dell’Umbria che chiedevano l'annessione;<br />
rimase in Ancona sette giorni, per poi rimettersi in cammino verso Teano, dove Garibal<strong>di</strong> avrebbe lasciato nelle sue mani tutto<br />
il Meri<strong>di</strong>one appena liberato. Con la vittoria <strong>di</strong> Castelfidardo e con la successiva presa <strong>di</strong> Ancona, il regno <strong>di</strong> Vittorio<br />
Emanuele II poté includere le Marche e l'Umbria: il 4-5 novembre dello stesso anno un plebiscito segnava, in modo pressoché<br />
unanime [15] la volontà dei marchigiani e degli umbri <strong>di</strong> entrare nel Regno, sancita con Regio Decreto del 17 <strong>di</strong>cembre.<br />
L'annessione <strong>di</strong> queste regioni fu fondamentale per permettere <strong>di</strong> unire in una sola entità territoriale le terre prese da Garibal<strong>di</strong><br />
e quelle annesse in seguito alla Seconda guerra d'in<strong>di</strong>pendenza. La Battaglia <strong>di</strong> Castelfidardo permise quin<strong>di</strong> che, <strong>di</strong> lì a poco,<br />
venisse proclamata solennemente la nascita del Regno d'Italia: il 17 marzo 1861.<br />
Monumenti commemorativi Nel 1910, in occasione del cinquantenario della battaglia, si decise <strong>di</strong> erigere a Castelfidardo un<br />
monumento nazionale per eternare il ricordo dell'evento. L'opera fu commissionata allo scultore Vito Pardo e ricorda i caduti<br />
<strong>di</strong> entrambi gli schieramenti. L'inaugurazione avvenne il 18 settembre 1912 alla presenza del Re Vittorio Emanuele III; oratore<br />
ufficiale fu Arturo Vecchini. Il monumento, sulla cima <strong>di</strong> una collina, è immerso in un rigoglioso parco <strong>di</strong> alberi semprever<strong>di</strong><br />
ed è circondato da una cancellata artistica. Nei pressi della Selva <strong>di</strong> Castelfidardo, uno dei luoghi della battaglia, si può visitare<br />
l'ossario ove riposano i soldati caduti <strong>di</strong> entrambi gli schieramenti. Fu costruito a partire dal 1861, per raccogliere degnamente<br />
le spoglie precedentemente sepolte nella nuda terra e <strong>di</strong>sperse in tutto il teatro degli scontri. I soldati del re e quelli del papa<br />
sono in avelli separati, in base alla posizione occupata durante il combattimento: verso il mare i pontifici e verso la collina <strong>di</strong><br />
Montoro i piemontesi. Nei <strong>di</strong>ntorni dell'ossario sono presenti targhe <strong>di</strong> pietra che ricordano, nei luoghi in cui sono realmente<br />
avvenuti, i più salienti episo<strong>di</strong> del combattimento; ciò rende possibile ricostruire sul campo le varie fasi della battaglia e gli<br />
spostamenti delle truppe pontificie e piemontesi e permette inoltre <strong>di</strong> identificare le case coloniche nei pressi delle quali tanto<br />
si combatté. A Castelfidardo è presente anche un Museo del Risorgimento, che raccoglie interessanti cimeli e documenti<br />
relativi alla battaglia.<br />
Curiosità<br />
• Le truppe pontificie venivano definiti con <strong>di</strong>sprezzo "barbacani". [16][17]<br />
• La battaglia <strong>di</strong> Castelfidardo è ricordata nella toponomastica <strong>di</strong> moltissime città d'Italia. Tra esse Torino, Padova,<br />
Roma, Busto Arsizio, Ancona, Chiaravalle, Falconara Marittima, Osimo, Senigallia, Barbara, Recanati, Cingoli,<br />
Loreto, Jesi, Catanzaro, Civitanova, Firenze, Vicenza, Cagliari, Ravenna, Poggibonsi, Terni, Pesaro, Vittoria,<br />
Barcellona Pozzo <strong>di</strong> Gotto, Bologna, Castel San Pietro Terme, Imola, Castelvetrano.<br />
Note<br />
1. ^ Paolo Pierpaoli - 2500 anni: le gran<strong>di</strong> battaglie nelle Marche Fornasiero e<strong>di</strong>tore - Roma 2004; Autori vari - Ai<br />
vittoriosi <strong>di</strong> Castelfidardo ristampa del 2002 del numero speciale della rivista Picenum e<strong>di</strong>ta in occasione del
cinquantenario della battaglia; Massimo Coltrinari - La giornata <strong>di</strong> Castelfidardo 18 settembre 1860 vol. III e<strong>di</strong>to nel<br />
2008 a cura della Fondazione Ferretti, Italia nostra e Lions club<br />
2. ^ 11 Settembre 1860 finisce il governo pontificio.<br />
3. ^ Per una biografia del generale Zappi, vedasi Enciclope<strong>di</strong>a Cattolica, vol. 12, p. 1779<br />
4. ^ Un ritratto del generale Zappi si trova presso l'archivio della biblioteca comunale <strong>di</strong> Imola, ve<strong>di</strong> Album n. 9:<br />
Raccolta fotografica imolese. Ritratti e ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> personaggi, p. 5.<br />
5. ^ [1]<br />
6. ^ [2]<br />
7. ^ [3]<br />
8. ^ [4]<br />
9. ^ [5]<br />
10. ^ [6]<br />
11. ^ Paolo Pierpaoli - 2500 anni: le gran<strong>di</strong> battaglie nelle Marche Fornasiero e<strong>di</strong>tore - Roma 2004; Massimo Coltrinari -<br />
La giornata <strong>di</strong> Castelfidardo 18 settembre 1860 vol. III e<strong>di</strong>to nel 2008 a cura della Fondazione Ferretti, Italia nostra e<br />
Lions club<br />
12. ^ Josepho Paschalio Marinellio - De Pugna ad Castrumficardum<br />
13. ^ Antonio Bresciani - Olderico, ovvero lo zuavo pontificio - 1862 - vol II<br />
14. ^ Mario Natalucci - La vita millenaria <strong>di</strong> Ancona vol. III, Città <strong>di</strong> Castello, Unione arti grafiche, 1975 ;<br />
www.altezzareale.com<br />
15. ^ Marche: favorevoli 133 807, contrari 1 212. Umbria: favorevoli 97 040, contrari 380. Regno d'Italia - Plebisciti<br />
1860, 1866, 1870<br />
16. ^ [7]<br />
17. ^ [8]<br />
Bibliografia<br />
• Autori vari Il marchese Giorgio Pimodan, generale della Santa Sede, morto nella battaglia <strong>di</strong> Castelfidardo. Roma,<br />
H. Gigli, 1860.<br />
• Autori vari - Ai vittoriosi <strong>di</strong> Castelfidardo ristampa del 2002 del numero speciale della rivista Picenum e<strong>di</strong>ta in<br />
occasione del cinquantenario della battaglia<br />
• Guido Bozzolini, Le forze armate sarde a Castelfidardo Italia Nostra Castelfidardo.<br />
• Padre Antonio Bresciani, Olderico, ovvero il zuavo pontificio Roma 1862.<br />
• Massimo Coltrinari, La vigilia della battaglia <strong>di</strong> Castelfidardo - 17 settembre 1860, Italia Nostra Castelfidardo, aprile<br />
1961.<br />
• Massimo Coltrinari, Le manovre che determinarono la battaglia <strong>di</strong> Castelfidardo - 18 settembre 1860, Italia Nostra<br />
Castelfidardo.<br />
• Giuseppe Pasquale Marinelli, De pugna ad Castumficardum, poema in versi latini dell'umanista cameranese (1793-<br />
1875)<br />
• Lucio Martino, L'11 settembre della Chiesa. Intrighi, brogli e crimini per l'annessione <strong>di</strong> Umbria e Marche. L'asse<strong>di</strong>o<br />
<strong>di</strong> Ancona e la battaglia <strong>di</strong> Castelfidardo, Eidon E<strong>di</strong>zioni.<br />
• Paolo Pierpaoli - 2500 anni: le gran<strong>di</strong> battaglie nelle Marche Fornasiero e<strong>di</strong>tore - Roma 2004.<br />
• Romano (pseud.); Narrazione delle battaglia <strong>di</strong> Castelfidardo e dell'asse<strong>di</strong>o d'Ancona. Italia, 1862.<br />
• Marchese de Segur, I martiri <strong>di</strong> Castelfidardo<br />
• Stato maggiore del Regio Esercito, Ufficio Storico, La battaglia <strong>di</strong> Castelfidardo Roma 1903<br />
• Attilio Vigevano; La campagna delle Marche e dell'Umbria. Roma, Stab. poligrafico, 1923.<br />
Voci correlate<br />
• Risorgimento<br />
• Unità d'Italia<br />
• Battaglia <strong>di</strong> Mentana<br />
• Museo del Risorgimento <strong>di</strong> Castelfidardo<br />
• Stato Pontificio<br />
Altri progetti Wikime<strong>di</strong>a Commons contiene file multime<strong>di</strong>ali su Battaglia <strong>di</strong> Castelfidardo<br />
Collegamenti esterni<br />
• Informazioni dal comune <strong>di</strong> Castelfidardo<br />
• Fondazione Ferretti<br />
• Eugenio Paoloni. «Castelfidardo, la battaglia «<strong>di</strong>menticata» dai vincitori.», Corriere della Sera, 20 <strong>di</strong>cembre 2010.<br />
URL consultato in data 10 gennaio 2011.<br />
Il monumento nazionale delle Marche
Campagna dell'Agro romano per la liberazione <strong>di</strong> Roma<br />
Da Wikipe<strong>di</strong>a, l'enciclope<strong>di</strong>a libera.<br />
La campagna dell'Agro romano per la liberazione <strong>di</strong> Roma fu una campagna militare condotta dai volontari Giuseppe<br />
Garibal<strong>di</strong> con lo scopo <strong>di</strong> conquistare Roma, combattuta nel 1867 tra il Viterbese, Nerola, Montelibretti, Monte San Giovanni<br />
Campano, Monterotondo e Subiaco. La campagna si conclusei il 3 novembre a Mentana con la sconfitta <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong> da parte<br />
dei pontifici e dei francesi. I volontari che vi parteciparono inizialmente erano circa ottomila, radunati tra Terni ed Orvieto,<br />
mentre Garibal<strong>di</strong> era bloccato a Caprera dalla Regia Marina. Il figlio Menotti comandava l'area attigua a Roma, il generale<br />
Giovanni Acerbi la provincia <strong>di</strong> Viterbo, il barone Giovanni Nicotera l'area sud del frusinate. Vi furono numerosi scontri tra<br />
garibal<strong>di</strong>ni e pontifici (a Bagnoregio, a Nerola, a Montelibretti). Garibal<strong>di</strong> il 15 ottobre fuggì da Caprera e raggiunse i suoi<br />
volontari a Monterotondo, che conquistò al termine <strong>di</strong> un duro combattimento il 26 ottobre. Dopo aver atteso invano<br />
l'insurrezione <strong>di</strong> Roma, mentre le <strong>di</strong>serzioni si moltiplicavano, il 3 novembre decise <strong>di</strong> raggiungere Tivoli per sciogliere la<br />
legione. A Mentana avvenne lo scontro, prima con i pontifici e subito dopo con i francesi. Terminati i combattimenti 1300<br />
garibal<strong>di</strong>ni furono presi prigionieri, circa 150 furono i morti e numerosi i feriti, trasferiti all'ospedale Santo Spirito <strong>di</strong> Roma.<br />
Nel 1877 la "Società reduci patrie battaglie" con una sottoscrizione nazionale realizzò l'ara-ossario, opera dell'architetto Fallani<br />
in peperino <strong>di</strong> Viterbo, dove riposano i 300 caduti nell'intera campagna del 1867. A questo si aggiunse nel 1905 l'attiguo<br />
museo, con i cimeli garibal<strong>di</strong>ni dal Brasile alla campagna <strong>di</strong> Grecia <strong>di</strong> Ricciotti Garibal<strong>di</strong>, su progetto dell'architetto De<br />
Angelis. Nel 1898 il regno d'Italia riconobbe la campagna, concedendo a partire dal 1900 riconoscimenti, pensioni e medaglie<br />
a quanti vi avevano partecipato: tra i riconosciumenti tutti i partecipanti ebbero la medaglia dei "liberatori <strong>di</strong> Roma",<br />
analogamente ai bersaglieri che erano entrati nella capitale il 20 settembre del 1870.<br />
Giu<strong>di</strong>tta Tavani Arquati<br />
Da Wikipe<strong>di</strong>a, l'enciclope<strong>di</strong>a libera.<br />
Giu<strong>di</strong>tta Tavani Arquati (Roma, 30 aprile 1830 – Roma, 25 ottobre 1867) è stata una patriota <strong>italiana</strong>. Figlia <strong>di</strong> Adelaide<br />
Mambor e Giustino Tavani, un <strong>di</strong>fensore della Repubblica Romana trasferitosi in esilio a Venezia dopo aver scontato una<br />
lunga pena nelle carceri pontificie, la Arquati crebbe in un ambiente che le fece acquisire sal<strong>di</strong> principi laici e repubblicani. [1]<br />
Nel 1844 nella parrocchia romana <strong>di</strong> San Crisogono Si sposò a quattor<strong>di</strong>ci anni con Francesco Arquati seguendone il percorso<br />
politico. Insieme a lui si trasferì prima a Subiaco e poi nel 1865 a Roma.<br />
La battaglia nel lanificio Ajani La mattina del 25 ottobre 1867, giorno in cui Garibal<strong>di</strong> prendeva Monterotondo nel corso<br />
della terza spe<strong>di</strong>zione per liberare Roma, una quarantina <strong>di</strong> patrioti, <strong>di</strong> cui 25 romani, si riunirono in via della Lungaretta 97,<br />
nel rione romano <strong>di</strong> Trastevere, nella sede del lanificio <strong>di</strong> Giulio Ajani, per decidere sul da farsi. Il gruppo preparò una<br />
sommossa per far insorgere Roma contro il governo <strong>di</strong> Pio IX. Deteneva delle cartucce e un arsenale <strong>di</strong> fucili. Alla riunione<br />
partecipò anche la Arquati, con il marito e uno dei tre figli della coppia, Antonio. Verso le 12 e mezzo, una pattuglia <strong>di</strong> zuavi<br />
giunta da via del Moro attaccò la sede del lanificio. I congiurati cercarono <strong>di</strong> resistere al fuoco. In poco tempo, però, le truppe<br />
pontificie ebbero la meglio e riuscirono a farsi strada all'interno dell'e<strong>di</strong>ficio. Alcuni congiurati riuscirono a fuggire, mentre<br />
altri furono catturati. Sotto il fuoco rimasero uccise 9 persone, tra cui Giu<strong>di</strong>tta Tavani Arquati, incinta del quarto figlio, il<br />
marito e il loro giovane figlio. [2][3]<br />
La memoria La figura <strong>di</strong> Giu<strong>di</strong>tta Tavani Arquati <strong>di</strong>venne simbolo della lotta per la liberazione <strong>di</strong> Roma e per anni gli abitanti<br />
<strong>di</strong> Trastevere e le associazioni laiche e repubblicane commemorarono l'ecci<strong>di</strong>o. Il 9 febbraio 1887 fu fondata l'Associazione<br />
democratica Giu<strong>di</strong>tta Tavani Arquati, che fu sede <strong>di</strong> numerose iniziative laiche e anticlericali. L'associazione fu sciolta nel<br />
1925 dal Fascismo e, in seguito, ricostituita dopo la Liberazione. [4] Grazie agli sforzi dell'Associazione e <strong>di</strong> altre istituzioni il 1º<br />
novembre 1909 piazza Romana, che si trovava nelle vicinanze del lanificio <strong>di</strong> via della Lungaretta, viene rinominata Piazza<br />
Giu<strong>di</strong>tta Tavani Arquati. [5] Trastevere ricorda la patriota romana con una lapide posta accanto all'ex lanificio Ajani. L'episo<strong>di</strong>o<br />
dell'ecci<strong>di</strong>o al lanificio Ajani è citato nel film <strong>di</strong> Luigi Magni, In nome del Papa Re.<br />
Note<br />
1. ^ 25 ottobre, cerimonia per il 139esimo anniversario della morte <strong>di</strong> Giu<strong>di</strong>tta Tavani Arquati. URL consultato il 01-<br />
12-2007.<br />
2. ^ Augusto Sterlini, Ricor<strong>di</strong> del vecchio Trastevere , Arti grafiche e fotomeccaniche P. Sansoni, 1932.<br />
3. ^ Giorgio Carpaneto, La grande guida dei rioni <strong>di</strong> Roma , Newton & Compton, 2004.<br />
4. ^ «Cronaca <strong>di</strong> Roma». Il Messaggero, 8 febbraio 1887.<br />
5. ^ «Cronaca <strong>di</strong> Roma». Il Messaggero, 1 novembre 1909.<br />
Bibliografia<br />
• Augusto Sterlini, Ricor<strong>di</strong> del vecchio Trastevere , Arti grafiche e fotomeccaniche P. Sansoni, 1932.<br />
• Clau<strong>di</strong>o Fracassi, La ribelle e il papa re, Milano, Mursia, 2005<br />
• Giorgio Carpaneto, La grande guida dei rioni <strong>di</strong> Roma , Newton & Compton, 2004.<br />
• Filippo Caraffa, Storia <strong>di</strong> Filettino , Biblioteca <strong>di</strong> Latium, Istituto <strong>di</strong> Storia e <strong>di</strong> Arte del Lazio Meri<strong>di</strong>onale, 1989.<br />
Voci correlate<br />
• Francesco Arquati<br />
• Risorgimento<br />
• Questione Romana<br />
• Repubblica Romana<br />
Collegamenti esterni Il sito dell'Associazione Democratica Giu<strong>di</strong>tta Tavani Arquati
Carlo Ademollo (1824-1911). Ecci<strong>di</strong>o della famiglia Tavani Arquati, 1880, olio su tela, 27 x 44 cm., Museo del Risorgimento,<br />
Milano<br />
Scontro <strong>di</strong> Villa Glori<br />
Da Wikipe<strong>di</strong>a, l'enciclope<strong>di</strong>a libera.<br />
Lo scontro <strong>di</strong> Villa Glori ebbe luogo nel pomeriggio del 23 ottobre 1867, nel quadro delle iniziative <strong>di</strong> Giuseppe Garibal<strong>di</strong> per<br />
liberare Roma dal governo pontificio.<br />
Antefatto Nel corso del 1867 Garibal<strong>di</strong>, reduce dal successo contro gli austriaci alla battaglia <strong>di</strong> Bezzecca, <strong>di</strong>ede avvio<br />
all'organizzazione <strong>di</strong> un piccolo esercito <strong>di</strong> 10.000 volontari, fra cui era il futuro Presidente del Consiglio Alessandro Fortis,<br />
per l'invasione del Lazio (ancora in mano al Papato) e pre<strong>di</strong>sponendo, al contempo, un piano per la sollevazione <strong>di</strong> Roma.<br />
Questa mobilitazione fu chiamata Campagna dell'Agro Romano per la liberazione <strong>di</strong> Roma.<br />
Lo scontro a fuoco La notte del 23 ottobre 1867, un drappello <strong>di</strong> settantasei volontari guidati dal pavese Enrico Cairoli, partiti<br />
da Terni il 20 ottobre per portare aiuti alla giunta rivoluzionaria romana, dopo aver navigato il Tevere prese terra alla<br />
confluenza del Tevere con l'Aniene. Raggiunta una piccola altura alla sinistra del Tevere, presso i Monti Parioli, dove aveva<br />
appuntamento con altri congiurati, la colonna occupò un casale sui Monti Parioli. Nel frattempo, due volontari, Giuseppe<br />
Monti e Gaetano Tognetti, facevano saltare con una bomba la caserma Serristori; i due furono catturati e decapitati il 24<br />
novembre 1868, nonostante la richiesta <strong>di</strong> grazia che Vittorio Emanuele II aveva inoltrato a Pio IX. Verso le cinque<br />
pomeri<strong>di</strong>ane <strong>di</strong> quel 23 ottobre i volontari vennero agganciati da circa 300 "carabinieri esteri" (svizzeri) del Papa. Per circa<br />
un'ora si <strong>di</strong>fesero in mezzo alle vigne e per due volte contrattaccarono alla baionetta. Negli scontri perse la vita Enrico Cairoli,<br />
mentre il fratello Giovanni fu gravemente ferito (Fratelli Cairoli). Giovanni morì l'11 settembre 1869 per le ferite riportate, in<br />
Belgirate, nella casa estiva <strong>di</strong> sua madre Adelaide. Michele Rosi scrive [1] :<br />
« Negli ultimi momenti gli parve vedere Garibal<strong>di</strong> e fece vista <strong>di</strong> accoglierlo con trasporto. U<strong>di</strong>i (così narra un amico<br />
presente) che <strong>di</strong>sse tre volte: "L'unione dei francesi ai papalini fu il fatto terribile!" pensava a Mentana. Chiamò più volte<br />
Enrico, suo fratello, 'perché lo aiutasse!' poi <strong>di</strong>sse: "ma vinceremo <strong>di</strong> certo; andremo a Roma!" »<br />
Esito Morto Cairoli, il comando venne assunto da Giovanni Tabacchi che fece rientrare i volontari nella villa, da dove<br />
seguitarono a fare fuoco, finché i papalini, calata la sera, si ritirarono in Roma. I superstiti ripiegarono verso le posizioni <strong>di</strong><br />
Garibal<strong>di</strong>, al confine italiano. Tra i superstiti, Giulio Aiani e Pietro Luzzi vennero condannati a morte il 10 <strong>di</strong>cembre 1868; altri<br />
cinque rivoluzionari furono condannati all'ergastolo. L'azione garibal<strong>di</strong>na avrebbe registrato il suo ultimo esito alla battaglia <strong>di</strong><br />
Mentana.<br />
Monumenti In cima alla collina <strong>di</strong> villa Glori, vicino al luogo dove morì Enrico Cairoli, c'è una semplice colonna de<strong>di</strong>cata ai<br />
Cairoli ed ai loro 70 compagni. Sul Pincio, vicino a Villa Me<strong>di</strong>ci (Accademia <strong>di</strong> Francia), c'è un altro monumento <strong>di</strong> bronzo<br />
con Giovanni che sostiene con un braccio il morente Enrico Cairoli (salita la scalinata <strong>di</strong> Piazza <strong>di</strong> Spagna, il monumento si<br />
trova una centinaia <strong>di</strong> metri a sinistra). Sul retro del monumento sono scritti i nomi dei loro compagni. Il Museo centrale della<br />
Campagna, con annessa Ara-Ossario dove riposano i resti <strong>di</strong> 300 volontari, è in comune <strong>di</strong> Mentana (Roma), luogo dove il 3<br />
novembre 1867 la Campagna stessa si concluse. Un frammento del mandorlo <strong>di</strong> Villa Glori fu donato al Museo dalla Società
Reduci delle Patrie Battaglie ed è esposto a Mentana dal 1914, insieme ad altri cimeli dei Cairoli. Al fatto d'armi e alla morte<br />
<strong>di</strong> Cairoli è de<strong>di</strong>cata una grande tela del pittore Gerolamo Induno.<br />
Carducci e Pascarella Lo scontro <strong>di</strong> villa Glori ispirò la poesia In morte <strong>di</strong> Giovanni Cairoli, da Giambi ed Epo<strong>di</strong> <strong>di</strong> Giosuè<br />
Carducci e i venticinque sonetti che compongono Villa Gloria <strong>di</strong> Cesare Pascarella.<br />
Note<br />
1. ^ M. Rosi, I Cairoli, L. Capelli Ed., Bologna 1929, pp. 223-224<br />
Collegamenti esterni G. Cairoli, Spe<strong>di</strong>zione dei monti Parioli (23 ottobre 1867), 1878<br />
Data 3 novembre 1867<br />
Luogo Mentana, Italia<br />
Esito Vittoria Franco-Papale<br />
Battaglia <strong>di</strong> Mentana<br />
Da Wikipe<strong>di</strong>a, l'enciclope<strong>di</strong>a libera.<br />
Comandanti<br />
Giuseppe Garibal<strong>di</strong> Balthazar Alban Gabriel Hermann Kanzler<br />
Effettivi<br />
Incerti: 4.000 [1] ; 8.100 [2] ; 10.000 [3] Incerti: 5.000 [1][3] ; 5.500 [4] ; 22.000 [5]<br />
Per<strong>di</strong>te<br />
1.100 tra morti e feriti [3] tra 800 e 1000 prigionieri [1] 182 tra morti e feriti (144 papali, 38 francesi) [3]<br />
La battaglia <strong>di</strong> Mentana fu uno scontro a fuoco avvenuto presso la citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> Mentana, nel Lazio, combattuta il 3 novembre<br />
1867, quando le truppe franco-pontificie si scontrarono con i volontari <strong>di</strong> Giuseppe Garibal<strong>di</strong>, che era <strong>di</strong>retto a Tivoli per<br />
sciogliere la Legione essendo fallita la presa <strong>di</strong> Roma per la mancata insurrezione dei romani.<br />
Premesse Quando Vittorio Emanuele II <strong>di</strong> Savoia <strong>di</strong>venne re d'Italia il 17 marzo 1861, il nuovo Regno ancora non controllava<br />
né Venezia, né Roma. La situazione delle terre irredente (come si sarebbe detto alcuni decenni più tar<strong>di</strong>) costituiva una fonte <strong>di</strong><br />
tensione costante per la politica interna <strong>italiana</strong> e la principale priorità della sua politica estera. A volte le tensioni assumevano<br />
particolare gravità, come accadde nel 1862 quando Garibal<strong>di</strong>, in marcia dalla Sicilia verso Roma, venne fermato dall'esercito<br />
italiano alla giornata dell'Aspromonte: ferito, venne fatto prigioniero e messo agli arresti domiciliari a Caprera. La decisa<br />
azione <strong>italiana</strong> contro un eroe nazionale permise al governo <strong>di</strong> negoziare un favorevole accordo con la potenza protettrice del<br />
Papa, la Francia: con la convenzione <strong>di</strong> settembre del 15 settembre 1864, il Regno d'Italia si impegnava a rispettare<br />
l'in<strong>di</strong>pendenza del residuo Patrimonio <strong>di</strong> San Pietro e <strong>di</strong> <strong>di</strong>fenderla, anche con la forza, da ogni attacco dall'esterno (ma non<br />
dall'interno) e la Francia a ritirare le sue truppe entro due anni, in modo da lasciare all'esercito pontificio il tempo <strong>di</strong><br />
organizzarsi in una cre<strong>di</strong>bile forza <strong>di</strong> combattimento. L'obiettivo della annessione <strong>di</strong> Roma rimaneva comunque assai popolare,<br />
né il Regno rinunciò al proposito <strong>di</strong> fare della città la sua nuova capitale, come sancito, a suo tempo, dal Cavour in persona.<br />
Diverse furono, in effetti, gli scontri e le azioni dei garibal<strong>di</strong>ni sui confini o nella stessa città eterna.<br />
L'organizzazione della spe<strong>di</strong>zione garibal<strong>di</strong>na Il 12 agosto 1866, terminata la cosiddetta Terza guerra <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza<br />
<strong>italiana</strong> (un segmento della Guerra Austro Prussiana) con l'Armistizio <strong>di</strong> Cormons, il Regno <strong>di</strong> Italia aveva guadagnato<br />
Mantova, Venezia ed una adeguata sistemazione dei confini orientali. Rimaneva aperta la questione <strong>di</strong> Roma e del Lazio,<br />
nucleo dello Stato Pontificio. Era rinviata a tempi migliori la questione <strong>di</strong> Trento e Trieste. A ciò si aggiunga che nel <strong>di</strong>cembre<br />
1866, le ultime unità del corpo <strong>di</strong> spe<strong>di</strong>zione francese si erano imbarcate a Civitavecchia per la Francia, in applicazione della<br />
convenzione del 1864. Particolarmente impegnato sulla "questione romana", ormai da due decenni Garibal<strong>di</strong> andava<br />
<strong>di</strong>chiarando come fosse venuto il tempo <strong>di</strong> «far crollare la baracca pontificia» e, il 9 settembre 1867 ad un Congresso della<br />
Pace ospitato dalla protestantissima città <strong>di</strong> Ginevra, definiva il Papato «negazione <strong>di</strong> Dio ... vergogna e piaga d'Italia». Da<br />
tenere ben presente, in questo contesto, è la rinnovata popolarità che Garibal<strong>di</strong> aveva conquistato alla guerra del 1866, quale<br />
unico generale italiano che avesse saputo battere gli Austriaci alla battaglia <strong>di</strong> Bezzecca (mentre l'esercito e la marina del re<br />
avevano dovuto subire le duplici sconfitte alla battaglia <strong>di</strong> Custoza ed alla battaglia <strong>di</strong> Lissa). Ciò gli lasciava un rinnovato<br />
margine <strong>di</strong> manovra e rendeva assai più <strong>di</strong>fficile al governo regio (comunque impegnato al rispetto della convenzione del<br />
1864) fermare l'agitazione o i preparativi delle camicie rosse. Garibal<strong>di</strong> ebbe così la libertà <strong>di</strong> organizzare, sostanzialmente<br />
in<strong>di</strong>sturbato, un piccolo esercito <strong>di</strong> circa 10.000 volontari [6] , pre<strong>di</strong>sponendo, al contempo, un piano per la sollevazione <strong>di</strong><br />
Roma. La mobilitazione, tuttavia, era decisamente scoperta, ciò che permise all'Imperatore <strong>di</strong> Francia Napoleone III <strong>di</strong><br />
programmare con congruo anticipo una spe<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> soccorso al pontefice, che sarebbe, infatti, giunta a Civitavecchia solo<br />
alcuni giorni dopo l'inizio dell'invasione del Lazio. Vennero inoltre messe in allarme le truppe a <strong>di</strong>sposizione del Papa,<br />
costituite, per due terzi da italiani e poi da volontari francesi (specie la cosiddetta legione <strong>di</strong> Antibes, mentre degli Zuavi<br />
pontifici facevano parte anche volontari belgi, svizzeri, irlandesi e olandesi, oltre che francesi e perfino canadesi).<br />
L'invasione del Lazio L'invasione degli Stati Pontifici scattò, come programmato, alla fine <strong>di</strong> settembre 1867 nel viterbese<br />
con la colonna Acerbi. Il 22 ottobre Roma assistette ad un attentato alla caserma Serristori, causando la morte <strong>di</strong> ventitré degli<br />
zuavi pontifici che lì avevano quartiere e <strong>di</strong> due citta<strong>di</strong>ni romani (Francesco Ferri e la figlia <strong>di</strong> sei anni, Rosa). L'attentato<br />
doveva dare il via ad una sollevazione che non ci fu, e portò, il 24 novembre 1868, alla decapitazione sottoscritta dal Papa-Re<br />
dei ribelli Giuseppe Monti (muratore <strong>di</strong> Fermo) ed il romano Gaetano Tognetti a Roma in largo dei Cerchi (vicino al Circo<br />
Massimo). Una ghigliottina in scala è esposta nel Museo. Il 23 ottobre 1867, ebbe luogo lo scontro <strong>di</strong> villa Glori, quando un<br />
drappello <strong>di</strong> settantasei volontari guidati da Enrico e Giovanni Cairoli (Fratelli Cairoli), giunti a prendere contatto con i<br />
rivoluzionari romani, non trovarono nessuno ad attenderli e vennero sopraffatti dai Carabinieri Esteri del Papa.Garibal<strong>di</strong><br />
paragonò il loro sacrificio a quello <strong>di</strong> Leonida alle Termopili in Grecia ed infatti l'architetto De Angelis che ha realizzato i
<strong>di</strong>segni del Museo ne ha fatto un tempio greco-romano.( da "Giulio De Angelis Architetto, <strong>di</strong> Enza Zullo, Gangemi E<strong>di</strong>tore,<br />
2005 ) Numerosi i cimeli dei Cairoli nel Museo <strong>di</strong> Mentana. Il 25 ottobre la polizia papalina occupò, non senza per<strong>di</strong>te, il<br />
lanificio Aiani, a Trastevere, dove erano raccolte bombe a <strong>di</strong>sposizione degli insorti. Il 26 ottobre Garibal<strong>di</strong>, con il suo piccolo<br />
esercito <strong>di</strong> volontari circa 8'000 uomini, decise <strong>di</strong> occupare Monterotondo dove si fermò prima nella locanda Frosi e poi nel<br />
Castello Orsini ospite del principe, un garibal<strong>di</strong>no don Ignazio Boncompagni.* ve<strong>di</strong> G. Adamoli, Da S. Martino a Mentana,<br />
Treves, 1892 e F.Guidotti, "l'occupazione <strong>di</strong> Monterotondo, atti e documenti, 2006, Ed.Stampa Sabina. Qui, tuttavia, Garibal<strong>di</strong><br />
decise <strong>di</strong> arrestare la marcia, nella inutile attesa della sperata insurrezione in Roma. Solo alcuni reparti vennero inviati avanti<br />
verso Roma. Lo stesso generale il 29 ottobre avanzò sino a villa Spada ed al Ponte Nomentano, nella speranza <strong>di</strong> suscitare, con<br />
la sua presenza, una ribellione in Roma. La quale, in effetti, si limitò ad alcuni scontri a fuoco: il 30 Garibal<strong>di</strong> tornava sui<br />
propri passi a Monterotondo. Lo stesso 26 ottobre un reparto isolato alla retroguar<strong>di</strong>a, guidato dal maggiore siciliano Raffaele<br />
de Benedetto, venne agganciato da quattrocento papalini al Colle San Giovanni, rifiutò <strong>di</strong> cedere le armi e venne interamente<br />
massacrato. Nel frattempo, giunse conferma che truppe regolari italiane avevano anch’esse traversato il confine, con la<br />
missione ufficiale <strong>di</strong> arrestare Garibal<strong>di</strong>: si sperò, forse, in qualche complicazione fra queste e la guarnigione <strong>di</strong> Roma. Nulla <strong>di</strong><br />
tutto questo accadde. L'inazione del Garibal<strong>di</strong> <strong>di</strong>ede, al contrario, il tempo ad un corpo <strong>di</strong> spe<strong>di</strong>zione francese, sotto il comando<br />
del Pierre Louis Charles de Failly, <strong>di</strong> prendere terra a Civitavecchia il 29 ottobre e <strong>di</strong> ricongiungersi a Roma con l'esercito del<br />
Papa al comando del generale Kanzler (carabinieri esteri o svizzeri, zuavi pontifici, legione <strong>di</strong> Antibes). Appariva ormai chiaro<br />
che l'invasione non si sarebbe tradotta in una marcia trionfale, e parte degli effettivi meno motivati a <strong>di</strong>sposizione del Garibal<strong>di</strong><br />
approfittando <strong>di</strong> un proclama del Re Vittorio Emanuele II, <strong>di</strong>sertarono, grandemente facilitati dalla prossimità del confine<br />
italiano: il fenomeno coinvolse, probabilmente, parecchie centinaia <strong>di</strong> unità, benché non vi sia nulla <strong>di</strong> certo.<br />
La battaglia Il 3 novembre, alle 2:00 del mattino, al comando del generale Hermann Kanzler, l'esercito del Papa con anticipo<br />
e poi le truppe regolari francesi del generale de Polhes uscirono da Roma in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> marcia verso le posizioni garibal<strong>di</strong>ne a<br />
Monterotondo. Garibal<strong>di</strong> <strong>di</strong>sponeva <strong>di</strong> truppe ridotte dalle <strong>di</strong>serzioni male equipaggiate e sostanzialmente prive <strong>di</strong> cavalleria ed<br />
artiglieria. Egli aveva deciso <strong>di</strong> raggiungere Tivoli dove avrebbe sciolto la legione garibal<strong>di</strong>na. Erano state costituite sei<br />
brigate, ognuna composta da tre o quattro battaglioni, guidate rispettivamente dal Salomone, dal colonnello Frigyesi, dal<br />
maggiore Valzania, dal colonnello Elia e dal maggiore Achille Cantoni, il patriota forlivese che, avendo salvato la vita al<br />
Generale presso Velletri ed essendo poi caduto a Mentana, Garibal<strong>di</strong> erse a protagonista del romanzo storico Cantoni, il<br />
volontario. Si aggiungeva uno squadrone <strong>di</strong> Guide a Cavallo, forte <strong>di</strong> circa 100 unità, guidato dal Ricciotti Garibal<strong>di</strong> (l'ultimo<br />
figlio del generale con Anita Garibal<strong>di</strong> defunta proprio mentre fuggiva da Roma e dai francesi) nel 1849 ed una singola batteria<br />
con due cannoni. L'armamento era costituito, probabilmente, per due terzi da fucili ad avancarica e per un terzo, ad<strong>di</strong>rittura, da<br />
moschetti a pietra focaia. Circa metà degli effettivi erano veterani <strong>di</strong> altre campagne risorgimentali, mentre la restante metà<br />
erano volontari privi <strong>di</strong> esperienza bellica anche se supportati da ufficiali piemontesi. I pontifici erano rappresentati da truppe<br />
anch’esse volontarie, ma veterane e <strong>di</strong> più prolungato inquadramento. L'Esercito pontificio era composto da circa 3000 uomini,<br />
oltre ai circa 2500 del corpo <strong>di</strong> spe<strong>di</strong>zione francese, truppe regolari in parte mercenarie (il "soldo" era <strong>di</strong> 50 centesimi al giorno<br />
+ minestra, pane e caffè). Quest’ultimo era equipaggiato con il nuovo fucile chassepot modello 1866 a retrocarica, munito <strong>di</strong><br />
un otturatore e caricato a cartuccia <strong>di</strong> cartone: esso permetteva <strong>di</strong> caricare 12 colpi al minuto, un'enormità per l'epoca.<br />
Comunque non fece meraviglie e fu ritirato qualche mese dopo. La cavalleria era costituita da circa 150 dragoni e 50 cacciatori<br />
a cavallo; l'artiglieria <strong>di</strong> circa 10 pezzi. Proseguendo lungo l'antica Via Nomentana in <strong>di</strong>rezione Monterotondo, pontifici prima<br />
e francesi poi giunsero in prossimità della tappa interme<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Mentana nel primo pomeriggio. Di fronte a loro il villaggio si<br />
presentava sull'alto <strong>di</strong> una collina a forma <strong>di</strong> promontorio, cinto da un muraglione con in fronte un antico castello me<strong>di</strong>oevale,<br />
volto proprio verso la Nomentana. Alcune miglia a sud tre compagnie <strong>di</strong> Zuavi pontifici vennero inviate lungo il Tevere verso<br />
Monterotondo ed il fianco destro del fronte garibal<strong>di</strong>no. La colonna principale, invece, con i dragoni all'avanguar<strong>di</strong>a e i<br />
francesi in retroguar<strong>di</strong>a proseguiva, sempre verso Monte Rotondo, lungo la Nomentana. Essi presero un primo, inaspettato,<br />
contatto con gli avamposti <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong> già a sud <strong>di</strong> Mentana mentre era in corso il trasferimento dei Volontari in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong><br />
Tivoli. Li sospinsero verso la località Vigna Santucci, circa 1,5 km a sud-est del villaggio. Qui la posizione era <strong>di</strong>fesa da tre<br />
battaglioni <strong>di</strong> camicie rosse, schierate a sinistra sul Monte Guarnieri ed a destra nell fattoria <strong>di</strong> Vigna Santucci. Entro le due del<br />
pomeriggio gli assalitori sloggiarono entrambe le posizioni e piazzarono l'artiglieria sul Monte Guarneri, in vista del villaggio e<br />
del vicino altopiano. Garibal<strong>di</strong> schierò la modestissima artiglieria su una altura a nord, il Monte San Lorenzo e la gran parte<br />
delle truppe (Frigyesi, Valzania, Cantoni e Elia) all'interno ed intorno al villaggio murato ed al castello, in posizioni fortificate.<br />
Contro queste <strong>di</strong>fese si infransero ripetuti assalti pontifici e francesi, con relativi contrattacchi, continuati sino all'inizio della<br />
notte. A questo punto venne programmato un contrattacco <strong>di</strong> aggiramento su entrambi i fianchi dello schieramento papalino,<br />
che non ebbe successo. Nel frattempo le tre compagnie <strong>di</strong> Zuavi che avevano marciato lungo il Tevere occuparono la strada fra<br />
Mentana e Monterotondo, inducendo Garibal<strong>di</strong> a recarsi personalmente sul luogo, lasciando l'esercito a <strong>di</strong>fendere Mentana. A<br />
questo punto il corpo francese attaccò le camicie rosse sul loro fronte sinistro, e sfondarono le linee. I <strong>di</strong>fensori fuggirono verso<br />
Monterotondo o si rifugiarono asserragliandosi nel castello.<br />
Esito<br />
Garibal<strong>di</strong>no ferito. Dal Monumento ai caduti <strong>di</strong> Mentana a Milano.<br />
I <strong>di</strong>fensori del castello si arresero ai papalini la mattina successiva. Garibal<strong>di</strong> stesso ripiegò nel Regno d'Italia con 5.000<br />
uomini, inseguito sino al confine dai Dragoni Pontifici. Al termine della giornata i franco-pontifici avevano registrato 32 morti<br />
e 140 feriti. I garibal<strong>di</strong>ni 150 morti e 220 feriti più 1700 prigionieri.Sin dall'indomani della battaglia il merito della vittoria<br />
venne attribuita ai regolari francesi ( fu più una mossa <strong>di</strong> propaganda che una situazione reale smentita poi negli anni da stu<strong>di</strong> e<br />
ricerche specifiche da parte dell'Istituto <strong>di</strong> ricerche storiche sulla Campagna del 1867 in Mentana,Rettore lo storico<br />
prof.Francesco Guidotti, ve<strong>di</strong> anche "Per il Papa Re" Lorenzo Innocenti, Esperia E<strong>di</strong>trice - Perugia, pp. 82-84 ) ed ai loro fucili<br />
chassepot. Ad esempio, quando il 6 novembre i vincitori rientrarono in Roma per la sfilata trionfale la folla li acclamava come<br />
i veri vincitori della giornata e gridava «viva la Francia». Un'altra prova che la vittoria dei Pontifici e dei Francesi non fu<br />
dovuta solo dal Fucile Chassepot è la testimonianza del garibal<strong>di</strong>no Mombello: «...Il Diritto riportava pure senza commenti il<br />
<strong>di</strong>spaccio <strong>di</strong> De Failly a Parigi nel quale parlando <strong>di</strong> Mentana <strong>di</strong>ceva: "Les Chassepots on fait merveilles" - Ah bugiardo! -<br />
esclamammo ad una voce Bonanni ed io. In tutto il tempo della battaglia non si udì un colpo <strong>di</strong> Chassepots.» [7] Il Mombello<br />
non solo riporta la sua testimonianza ma spiega anche militarmente per quale motivo gli Chassepots non furono l'unico motivo
della vittoria dei pontifici: «Nel mio racconto ho <strong>di</strong>mostrato che il fucile francese a Mentana non ha fatto meraviglia alcuna. Il<br />
pregio maggiore del Chassepot era la lunga portata, quasi doppia del fucile ad ago dei prussiani; ma in terreno frastagliato <strong>di</strong><br />
piccoli poggi e <strong>di</strong> avvallamenti la lunga portata vale molto meno della giustezza del tiro. Ora, volendo fare molti colpi al<br />
minuto, come facevano i francesi, la giustezza del tiro non può ottenersi con nessuna arma.» [8]<br />
Conseguenze Mentana assicurò allo Stato Pontificio tre ultimi anni <strong>di</strong> vita, dei quali il sovrano pontefice profittò per tenere<br />
l'allora tanto <strong>di</strong>scusso Concilio Vaticano I (giugno 1868 - luglio 1870). Lì Pio IX ottenne, fra l'altro, la sanzione dei princìpi già<br />
espressi nel Sillabo del 1864 e la costituzione apostolica Pastor Aeternus, che impone l'infallibilità del vescovo <strong>di</strong> Roma<br />
quando definisce solennemente un dogma. Mentana sancì, inoltre, il definitivo allontanamento <strong>di</strong> Napoleone III dalle simpatie<br />
del movimento nazionale italiano, ad esito <strong>di</strong> un processo già iniziato con l'Armistizio <strong>di</strong> Villafranca. Era facile, in quei giorni,<br />
ricordarlo come l'uomo che mise fine alla Repubblica Romana (1849). La storiografia contemporanea tende, con maggiore<br />
gratitu<strong>di</strong>ne, a ricordarlo come colui che permise ai Piemontesi <strong>di</strong> cacciare gli Austriaci dalla Lombar<strong>di</strong>a, il vero alleato del<br />
Camillo Benso Conte <strong>di</strong> Cavour. Garibal<strong>di</strong>, anche se ormai vecchio (era nato il 4 luglio 1807), ebbe la insperata fortuna <strong>di</strong><br />
regolare i propri personali conti con Napoleone III a seguito della sconfitta <strong>di</strong> quest’ultimo alla battaglia <strong>di</strong> Sedan, nel corso<br />
della guerra franco-prussiana: raggiunta la Francia nell'ottobre del 1870, ottenne uno dei rari successi della campagna in <strong>di</strong>fesa<br />
della neonata Repubblica Francese (battaglia <strong>di</strong> Digione). Anche Vittorio Emanuele II <strong>di</strong> Savoia aveva saputo attendere: il 20<br />
settembre 1870 (18 giorni dopo la resa dell'imperatore a Sedan e pochi giorni prima della partenza <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong> per la Francia)<br />
il regio esercito italiano aprì una breccia nelle mura aureliane nei pressi <strong>di</strong> Porta Pia, segnando la fine dello Stato Pontificio.<br />
Fotografi sul campo <strong>di</strong> battaglia <strong>di</strong> Mentana Sul campo <strong>di</strong> battaglia <strong>di</strong> Mentana furono presenti e operarono alcuni fotografi,<br />
il più noto dei quali è senz'altro Antonio D'Alessandri (L'Aquila, 1818 - Roma, 1895), titolare insieme al fratello Francesco<br />
Paolo dello stu<strong>di</strong>o fotografico Fratelli D'Alessandri. Nella mostra della fotografia romana del 1953 furono esposte le seguenti<br />
foto: Veduta del paese, I pagliai, Il campo <strong>di</strong> battaglia verso Monterotondo, Morti sulla strada, Vigna Santucci, (foto del 3<br />
novembre 1867); Trofei presi ai garibal<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Mentana (fotografia con la scritta Porta inferi non prevalebunt); Racconta Silvio<br />
Negro, storico della fotografia romana, che<br />
« sono del D'Alessandri le rarissime fotografie del campo <strong>di</strong> battaglia <strong>di</strong> Mentana … Don Antonio [D'Alessandri],<br />
recandosi a Mentana, portò con sé anche un nipotino, Alessandro, il quale mentre lo zio faceva il compito suo, badò a<br />
raccogliere le pallottole del fucile, che gli venivano sottomano e ne portò a Roma una collezione. »<br />
(Silvio Negro, Seconda Roma, p. 395)<br />
Caduti <strong>di</strong> Mentana Nell'elenco dei Caduti in quella che una legge del 1899 riconobbe come "Campagna dell'Agro Romano<br />
per la liberazione <strong>di</strong> Roma" ci sono tutti i morti dai fratelli Cairoli alla Tavani Arquati nel 1867, caduti a Bagnoregio, Subiaco,<br />
Monte S. Giovanni Campano, ecc. L'Ara-Ossario inaugurata nel 1877 fu chiusa dalla Società Patrie Battaglie nel 1937 proprio<br />
per raccogliere tutti i caduti ovunque deceduti nel 1867.<br />
Caduti garibal<strong>di</strong>ni<br />
Tutti o quasi (salvo i caduti sepolti nelle tombe <strong>di</strong> famiglia dei paesi d'origine) sono tumulati nell'Ara-Ossario <strong>di</strong> Mentana<br />
realizzata nel 1877 e chiusa nel 1937. Attiguo il Museo nazionale inaugurato nel 1905 (ve<strong>di</strong> www.museomentana.it)<br />
Soldati pontifici e francesi<br />
Luigi Belli, Monumento ai caduti <strong>di</strong> Mentana, a Milano (1880).<br />
• Pascal Henry, zuavo pontificio.<br />
• Veaux, capitano degli Zuavi.<br />
• Il Conte Ildebrando Pulvano Guelfi <strong>di</strong> Scansano, Ufficiale Volontario.<br />
• Conte Carlo Bernar<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Lucca<br />
L'elenco completo dei morti e rispettive località <strong>di</strong> provenienza sono nell'ala nuova del Museo inaugurata nel 2005 e gemellata<br />
con il Museo militare degli Alpini in Antrodoco (Ri).<br />
Note<br />
1. ^ a b c Dupuy R.E. & Dupuy T.N. (1993) The Collins Encyclope<strong>di</strong>a of Military History (4th. e<strong>di</strong>tion) Harper Collins,<br />
NY: 1654 pp.<br />
2. ^ Rosi, Michele (1929) I Cairoli, L. Capelli Ed., Bologna<br />
3. ^ a b c d Bruce, George (1979) Harbottle's <strong>di</strong>ctionary of Battles (2nd. revised e<strong>di</strong>tion) Granada, London: 303 pp. ISBN<br />
0-246-11103-8<br />
4. ^ Du Picq A.C.J. (1868) Etudes sur les combats: Combat antique et moderne Translated as Battle Stu<strong>di</strong>es by J.N.<br />
Greeley & R.C. Cotton, 1902; BiblioBazaar, Charleston SC, 2006: 238 pp. ISBN 1-4264-2276-8<br />
5. ^ Cronologia: Leonardo.it (Storia - anno 1867)<br />
6. ^ Benché vi sia generale incertezza in merito all'effettiva consistenza, in assenza <strong>di</strong> registri.<br />
7. ^ Augusto Mombello, Mentana. Ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> un veterano, Mondadori, p. 142<br />
8. ^ Augusto Mombello, Mentana. Ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> un veterano, Mondadori, p. 233<br />
Il Conte Ildebrando Pulvano Guelfi <strong>di</strong> Scansano, Ufficiale Volontario dell'Esercito Pontificio, a tutti gli effetti viene<br />
annoverato fra i caduti <strong>di</strong> Mentana, in quanto deceduto a causa delle complicazioni e delle ferite riportate durante il<br />
combattimento.<br />
Bibliografia<br />
• Leroux; Narrazione della battaglia <strong>di</strong> Mentana e degli altri principali fatti avvenuti nello Stato Pontificio. Bologna,<br />
Mareggiani, 1868.<br />
• Ermanno Kanzler; Rapporto alla Santitla <strong>di</strong> Nostro Signore Papa Pio IX. felicemente regnante del Generale Ermanno<br />
Kanzler proministro delle armi sulla invasione dello Stato Pontificio nell'autunno 1867 . Roma, 1867.<br />
• Hercule De Sauclières; Il Risorgimento contro la Chiesa e il Sud. Intrighi, crimini e menzogne dei piemontesi.<br />
Controcorrente, Napoli, 2003. ISBN 978-88-89015-03-2<br />
• Onia Ortensi, La Squadra Garibal<strong>di</strong>na Abruzzese del Capitano Onia Ortensi a Monterotondo ed a Mentana nel 1867,<br />
Torino, Roux e Viarengo, 1900."Da Mentana a Roma Capitale" <strong>di</strong> Francesco Guidotti, Monterotondo ed.ne stampa<br />
sabina, 1996
"Volontari della Padania e nord Italia con Garibal<strong>di</strong> per Roma-Capitale" <strong>di</strong> Francesco Guidotti, e<strong>di</strong>zione Centro Stu<strong>di</strong><br />
Risorgimentali <strong>di</strong> Monterotondo, 1997 Alberto Manca dell'Asinara "Garibal<strong>di</strong> e Mentana" ed. Balzanelli-Comune, 1982<br />
Francesco Guidotti, 1867-1992, 125° della Battaglia <strong>di</strong> Mentana,Assostampa Sabina e Comune <strong>di</strong> Mentana e<strong>di</strong>tori<br />
Voci correlate<br />
• Potere temporale<br />
• Donazione <strong>di</strong> Costantino<br />
• Dictatus Papae<br />
• Costituzioni egi<strong>di</strong>ane<br />
• Costituzione della Repubblica Romana<br />
• Giuseppe Garibal<strong>di</strong><br />
• Questione romana<br />
• Repubblica Romana (1798-1799)<br />
• Repubblica Romana (Risorgimento)<br />
• Storia della Repubblica Romana<br />
• Giu<strong>di</strong>tta Tavani Arquati<br />
• Convenzione <strong>di</strong> settembre<br />
• Presa <strong>di</strong> Roma<br />
• Legge delle Guarentigie<br />
• Non expe<strong>di</strong>t<br />
• Patti lateranensi<br />
• Accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> villa Madama<br />
• Concordato<br />
• Rapporti Stato-Chiesa<br />
• Campagna dell'Agro romano per la liberazione <strong>di</strong> Roma<br />
• Zuavi pontifici<br />
• Hermann Kanzler<br />
• Athanase de Charette<br />
• Giovanni Lepri<br />
Altri progetti Wikime<strong>di</strong>a Commons contiene file multime<strong>di</strong>ali su Battaglia <strong>di</strong> Mentana<br />
Collegamenti esterni Museo nazionale della campagna garibal<strong>di</strong>na dell'Agro romano per la liberazione <strong>di</strong> Roma<br />
Fotografia dell'esecuzione <strong>di</strong> Monti e Tognetti
Presa <strong>di</strong> Roma<br />
Da Wikipe<strong>di</strong>a, l'enciclope<strong>di</strong>a libera.<br />
« Perché questa smania <strong>di</strong> dare addosso ad una larva? D’inimicarsi per tal modo il clero nazionale e la galante ortodossia<br />
forestiera? Di metter a repentaglio la propria tranquillità per un acquisto piccolo ed incerto? Credo contuttociò, che qualche<br />
ragione da opporre ci fosse. »<br />
(Ippolito Nievo, Storia filosofica dei secoli futuri, 1860)<br />
« La nostra stella, o Signori, ve lo <strong>di</strong>chiaro apertamente, è <strong>di</strong> fare che la città eterna, sulla quale 25 secoli hanno<br />
accumulato ogni genere <strong>di</strong> gloria, <strong>di</strong>venti la splen<strong>di</strong>da capitale del Regno italico. »<br />
(Camillo Benso, conte <strong>di</strong> Cavour, <strong>di</strong>scorso al Parlamento italiano 11 ottobre 1860 [1] )<br />
Data 10-25 settembre 1870<br />
Luogo<br />
Stato Pontificio<br />
Esito<br />
vittoria <strong>italiana</strong><br />
Mo<strong>di</strong>fiche territoriali Annessione dello Stato Pontificio all'Italia<br />
Schieramenti<br />
Regno d'Italia Stato Pontificio Francia volontari pontifici e da vari Paesi d'Europa<br />
Comandanti<br />
Raffaele Cadorna<br />
Hermann Kanzler<br />
Effettivi<br />
65.000 uomini 13.624 uomini (8.300 pontifici e 5.324 volontari)<br />
Per<strong>di</strong>te<br />
32 morti 143 feriti 15 morti 68 feriti<br />
La presa <strong>di</strong> Roma (20 settembre 1870), nota anche come Breccia <strong>di</strong> Porta Pia, fu l'episo<strong>di</strong>o del Risorgimento che sancì<br />
l'annessione <strong>di</strong> Roma al Regno d'Italia, decretando la fine dello Stato Pontificio e del potere temporale dei Papi. L'anno<br />
successivo la capitale d'Italia fu trasferita da Firenze a Roma (legge 3 febbraio 1871, n. 33). L'anniversario del 20 settembre è<br />
stato festività nazionale fino alla sua abolizione durante il Fascismo.<br />
Le premesse Il desiderio <strong>di</strong> porre Roma a capitale del nuovo regno d'Italia era già stato esplicitato da Cavour nel suo <strong>di</strong>scorso<br />
al parlamento italiano nel 1860. Cavour prese poco dopo i contatti a Roma con Diomede Pantaleoni, un patriota romano, che<br />
aveva ampie conoscenze nell'ambiente ecclesiastico, per cercare una soluzione che assicurasse l'in<strong>di</strong>pendenza del papa. Il<br />
principio era quello della "libertà assoluta della chiesa" cioè la libertà <strong>di</strong> coscienza, assicurando ai cattolici l'in<strong>di</strong>pendenza del<br />
pontefice dal potere civile. [2] Inizialmente si ebbe l'impressione che questa trattativa non <strong>di</strong>spiacesse completamente a Pio IX e<br />
al car<strong>di</strong>nale Giacomo Antonelli, ma questi dopo poco, già nei primi mesi del 1861, cambiarono atteggiamento e le trattative<br />
non ebbero seguito. [2] Poco dopo Cavour affermò in parlamento che riteneva «necessaria Roma all'Italia», e che prima o poi<br />
Roma sarebbe stata la capitale, ma che per far questo era necessario il consenso della Francia. Sperava che l'Europa tutta<br />
sarebbe stata convinta dell'importanza della separazione tra potere spirituale e potere temporale, e quin<strong>di</strong> riaffermò il principio<br />
<strong>di</strong> «libera Chiesa in libero Stato». [2] Cavour già nell'aprile scrisse al principe Napoleone per convincere l'Imperatore a togliere<br />
da Roma il presi<strong>di</strong>o francese che lì si trovava. Ricevette anche dal principe un abbozzo <strong>di</strong> convenzione:<br />
« Fra l'Italia e la Francia, senza l'intervento della corte <strong>di</strong> Roma, si verrebbe a stipulare quanto segue:<br />
1º La Francia, avendo messo il Santo Padre al coperto d'ogni intervento straniero, ritirerebbe da Roma le sue truppe, in uno<br />
spazio <strong>di</strong> tempo determinato, <strong>di</strong> 15 giorni o al più <strong>di</strong> un mese.<br />
2º L'Italia prenderebbe impegno <strong>di</strong> non assalire ed ezian<strong>di</strong>o <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re in ogni modo a chicchessia, ogni aggressione<br />
contro il territorio rimasto in possesso del Santo Padre.<br />
3º Il governo italiano s'inter<strong>di</strong>rebbe qualunque reclamo contro l'organamento <strong>di</strong> un esercito pontificio, anche costituito <strong>di</strong><br />
volontari cattolici stranieri, purché non oltrepassasse l'effettivo <strong>di</strong> 10 mila soldati, e non degenerasse in un mezzo <strong>di</strong> offesa<br />
a danno del regno d'Italia.<br />
4° L'Italia si <strong>di</strong>chiarerebbe pronta ad entrare in trattative <strong>di</strong>rette con il governo romano, per prendere a suo carico la parte<br />
proporzionale che le spetterebbe nella passività degli antichi stati della chiesa »<br />
(in Cadorna, La liberazione [2] )<br />
Il conte <strong>di</strong> Cavour vi acconsentiva in linea <strong>di</strong> massima, perché sperava che la stessa popolazione romana avrebbe risolto i<br />
problemi senza bisogno <strong>di</strong> repressioni da parte <strong>di</strong> governi stranieri, e che il Papa avrebbe infine ceduto alle spinte unitarie. Le<br />
uniche riserve espresse riguardavano la presenza <strong>di</strong> truppe straniere. La convenzione però non arrivò a conclusione per la<br />
morte <strong>di</strong> Cavour, il 6 giugno del 1861. Bettino Ricasoli, successore <strong>di</strong> Cavour, cercò <strong>di</strong> riaprire i contatti con il car<strong>di</strong>nale<br />
Antonelli già il 10 settembre 1861, con una nota in cui faceva appello «alla mente ed al cuore del Santo Padre, perché colla sua<br />
sapienza e bontà, consenta ad un accordo che lasciando intatti i <strong>di</strong>ritti della nazione, provvederebbe efficacemente alla <strong>di</strong>gnità e<br />
grandezza della chiesa». [2] Ancora una volta Antonelli e Pio IX si mostrarono contrari. L'ambasciatore francese a Roma scrisse<br />
al suo ministro che il car<strong>di</strong>nale gli aveva detto:<br />
(FR)<br />
« Quant à pactiser avec les spoliateurs, nous ne le ferons<br />
jamais. »<br />
(Card. Antonelli [2] )<br />
(IT)<br />
« Quanto a fare accor<strong>di</strong> con gli espropriatori, noi non lo<br />
faremo mai »
Da quel momento ci fu uno stallo nelle attività <strong>di</strong>plomatiche, mentre rimaneva viva la spinta all'azione <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong> e dei<br />
mazziniani. Ci furono una serie <strong>di</strong> tentativi tra cui quello più noto si concluse all'Aspromonte ove i bersaglieri fermarono, dopo<br />
un breve conflitto a fuoco, Garibal<strong>di</strong> che stava risalendo la penisola con una banda <strong>di</strong> volontari <strong>di</strong>retto a Roma. Agli inizi del<br />
1863, il governo Minghetti riprese le trattative con Napoleone III, ma dopo questi avvenimenti Napoleone pretese maggiori<br />
garanzie. Si arrivò quin<strong>di</strong> alla convenzione <strong>di</strong> settembre, un accordo con Napoleone che prevedeva il ritiro delle truppe<br />
francesi, in cambio <strong>di</strong> un impegno da parte dell'Italia a non invadere lo Stato Pontificio. A garanzia dell'impegno da parte<br />
<strong>italiana</strong>, la Francia chiese il trasferimento della capitale da Torino a Firenze. Entrambe le parti espressero comunque una serie<br />
<strong>di</strong> riserve, e l'Italia si riservava completa libertà d'azione nel caso che una rivoluzione scoppiasse a Roma, con<strong>di</strong>zioni che<br />
furono accettate dalla Francia, che riconobbe in questo modo i <strong>di</strong>ritti dell'Italia su Roma. [2]<br />
Nel 1867 Garibal<strong>di</strong> fece un nuovo tentativo sbarcando nel Lazio, conclusosi con la sua sconfitta nella Battaglia <strong>di</strong> Mentana. Il<br />
3 novembre i francesi sbarcarono a Civitavecchia e si unirono alle truppe pontificie scontrandosi con i garibal<strong>di</strong>ni. Le truppe<br />
italiane, che in base alla convenzione avevano varcato i confini dello stato pontificio, lo abbandonarono; ma i soldati francesi,<br />
nonostante quanto previsto nella convenzione <strong>di</strong> settembre, rimasero a Roma e il ministro francese Eugène Rouher <strong>di</strong>chiarò al<br />
parlamento francese<br />
(FR)<br />
« que l'Italie peut faire sans Rome; nous déclarons qu'elle<br />
ne s'emparera jamais de cette ville. La France ne supportera<br />
jamais cette violence faite à son honneur et au catholicisme.<br />
»<br />
(IT)<br />
« che l'Italia può fare a meno <strong>di</strong> Roma; noi <strong>di</strong>chiariamo che<br />
non si impadronirà mai <strong>di</strong> questa città. La Francia non<br />
sopporterà mai questa violenza fatta al suo onore ed al<br />
cattolicesimo. »<br />
(Rouher. [2] )<br />
In risposta, il 9 <strong>di</strong>cembre Giovanni Lanza, nel <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>amento alla presidenza della Camera dei Deputati, <strong>di</strong>chiarò che<br />
«siamo unanimi a volere il compimento dell'unità nazionale; e Roma, tar<strong>di</strong> o tosto, per la necessità delle cose e per la ragione<br />
dei tempi, dovrà essere capitale d'Italia». [2] Alla fine del 1869 lo stesso Lanza, alla caduta del terzo gabinetto Menabrea, si<br />
inse<strong>di</strong>ò come nuovo capo del Governo. Nel frattempo continuava l'occupazione francese <strong>di</strong> Roma, "non rimanendo più traccia<br />
della oramai conculcata convenzione del 15 settembre 1864". [2] Il 14 luglio 1870 il governo <strong>di</strong> Napoleone III <strong>di</strong>chiarò guerra<br />
alla Prussia. L'occupazione <strong>di</strong> Roma fu una delle cause che impedì accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> alleanza militare fra Francia e Italia. Girolamo<br />
Napoleone II in un <strong>di</strong>scorso all'Assemblea Nazionale francese <strong>di</strong>chiarò il 24 novembre 1876 che la conservazione del potere<br />
temporale era costato alla Francia la per<strong>di</strong>ta dell'Alsazia e della Lorena. [2] Il Papa lo stesso anno in<strong>di</strong>sse a Roma un concilio<br />
ecumenico, che doveva anche risolvere il problema dell'infallibilità papale. Questa posizione destò preoccupazione per il<br />
timore che servisse al Papa per intromettersi negli affari politici. [2] Il 2 agosto la Francia, cercando <strong>di</strong> recuperare un rapporto<br />
amichevole con l'Italia, avvertì il governo italiano che era <strong>di</strong>sponibile a ripristinare la convenzione del 1864 e a ritirare le<br />
truppe da Roma. Il 20 agosto alla Camera ci furono interpellanze <strong>di</strong> vari deputati tra cui Cairoli e Nicotera che chiedevano <strong>di</strong><br />
denunciare definitivamente la convenzione del 15 settembre e <strong>di</strong> muovere su Roma. [2] La risposta governativa ricordava che la<br />
convenzione escludeva i casi straor<strong>di</strong>nari e proprio questa clausola aveva permesso a Napoleone III <strong>di</strong> intervenire a Mentana.<br />
Nel frattempo comunque i francesi abbandonarono Roma. Di nuovo si mosse la <strong>di</strong>plomazia <strong>italiana</strong> chiedendo una soluzione<br />
della questione romana. L'imperatrice Eugenia, che aveva in quel momento le funzioni <strong>di</strong> reggente, spedì la nave da guerra<br />
Orénoque a stazionare davanti a Civitavecchia. Ma le vicende della guerra franco-prussiana peggiorarono per i francesi, e<br />
Napoleone III cercò soccorsi in Italia che, visto lo stato dei rapporti, gli furono negati. [2] Il 4 settembre 1870 cadeva il Secondo<br />
Impero, e in Francia veniva proclamata la Terza Repubblica. Questo stravolgimento politico aprì <strong>di</strong> fatto all'Italia la strada per<br />
Roma.<br />
La preparazione <strong>di</strong>plomatica<br />
Il 29 agosto 1870 il ministro degli affari esteri, il marchese Emilio Visconti Venosta inviò al ministro del Re a Parigi una<br />
lettera con cui espose i punti <strong>di</strong> vista del governo italiano da rappresentare al governo francese.<br />
Visconti Venosta rileva come le con<strong>di</strong>zioni che hanno a suo tempo portato alla convenzione <strong>di</strong> settembre tra Italia e Francia<br />
siano completamente cadute.<br />
(FR)<br />
« Florence, 29 août 1870.<br />
Il Ministro degli Affari Esteri al Ministro del Re a Parigi<br />
… Le but que le Gouvernement impérial poursuivait, celui<br />
de faciliter une conciliation entre le Saint-Père, les<br />
Romains et l'Italie, dans un sens conforme aux vues<br />
exprimées par l'Empereur dans sa lettre à M. de Thouvenel<br />
du 26 mai 1862, a été non seulement manqué, mais même<br />
complètement perdu par suite de circonstances sur<br />
lesquelles il serait inutile d'appuyer… »<br />
(IT)<br />
« Firenze, 29 agosto 1870.<br />
… L'obiettivo che il Governo imperiale ha perseguito, cioè<br />
<strong>di</strong> facilitare una conciliazione tra il Santo Padre, i Romani e<br />
l'Italia, conformemente ai punti <strong>di</strong> vista espressi<br />
dall'Imperatore nella sua lettera a M. de Thouvenel del 26<br />
maggio 1862, è stato non solo mancato, ma è ad<strong>di</strong>ritura<br />
completamente fallito a causa <strong>di</strong> circostanze sulle quali è<br />
inutile insistere… »<br />
(Visconti Venosta, in R. Cadorna, La liberazione <strong>di</strong> Roma, p. 331 )<br />
Lo stesso giorno Visconti Venosta <strong>di</strong>ramò a tutti i rappresentanti <strong>di</strong> Sua Maestà all'estero una lettera circolare con la quale si<br />
esponevano alle potenze europee le garanzie che venivano offerte al Pontefice a tutela della sua libertà; contemporaneamente si<br />
sottolineava l'urgenza <strong>di</strong> risolvere un problema che, secondo l'opinione del governo italiano, non poteva essere rimandato [3] . Il<br />
7 settembre inviò un'altra lettera in cui le intenzioni del governo vengono nuovamente esplicitate e le motivazioni rafforzate. [4]<br />
L'8 settembre il ministro del Re a Monaco, il genovese Giovanni Antonio Migliorati, risponde a Visconti Venosta esponendo i<br />
risultati del colloquio con il conte <strong>di</strong> Bray: «Il Ministro degli Affari Esteri mi <strong>di</strong>sse che le basi che porrebbe l'Italia alla Santa<br />
Sede ... gli sembrerebbero tali da dover essere accettate da Roma...». [4]<br />
Simili considerazioni arrivano da Berna spe<strong>di</strong>te da Luigi Melegari. Anche i rappresentanti a Vienna, a Karlsruhe, presso il<br />
governo del Baden e a Londra esprimono opinioni simili. L'unico governo che esita in qualche modo a prendere posizione è<br />
quello <strong>di</strong> Bismarck che si trova a Parigi assieme al suo re, che in questi giorni sta per essere incoronato imperatore. Solo il 20<br />
settembre da Berlino esprime una posizione <strong>di</strong> stretta non ingerenza. [4] Jules Favre ministro del nuovo governo francese invia il
10 settembre all'incaricato <strong>di</strong> Francia a Roma un'in<strong>di</strong>cazione in cui afferma che il governo francese «ne peut approuver ni<br />
reconnaître le pouvoir temporel du Saint-Siège». [4]<br />
Il 20 agosto il car<strong>di</strong>nale Antonelli a sua volta aveva inviato una richiesta ai governi stranieri onde si opponessero «alla violenze<br />
dal governo sardo (sic!) minacciate». La maggior parte dei governi si limitò a non rispondere, altri invece espressero l'opinione<br />
che la cosa non li riguardava. [4]<br />
Preparativi militari Il governo procedette alla costituzione <strong>di</strong> un Corpo d'osservazione dell'Italia centrale. In questo contesto<br />
furono chiamate sotto le armi anche le classi 1842-45. Il 10 agosto il ministro della guerra Giuseppe Govone convocò il<br />
generale Raffaele Cadorna cui assegnò il comando del corpo con le seguenti <strong>di</strong>sposizioni: [5]<br />
« 1° Mantenere inviolata la frontiera degli stati pontifici da qualunque tentativo d'irruzione <strong>di</strong> bande armate che tentassero<br />
<strong>di</strong> penetrarvi;<br />
2° Mantenere l'or<strong>di</strong>ne e reprimere ogni moto insurrezionale che fosse per manifestarsi nelle provincie occupate dalle<br />
<strong>di</strong>visioni poste sotto a' <strong>di</strong> Lei or<strong>di</strong>ni;<br />
3° Nel caso in cui moti insurrezionali avessero luogo negli stati pontifici, impe<strong>di</strong>re che si estendano al <strong>di</strong> qua del confine. »<br />
Il <strong>di</strong>spaccio concludeva con:<br />
« La prudenza e l'energia altra volta da Lei <strong>di</strong>mostrata in non meno gravi circostanze [6] , danno sicuro affidamento, che lo<br />
scopo che il governo si propone, sarà pienamente raggiunto. »<br />
Oltre a Cadorna il governo nominò anche i comandanti delle tre <strong>di</strong>visioni che costituivano il corpo nelle persone dei generali<br />
Emilio Ferrero, Gustavo Mazè de la Roche e Nino Bixio. Cadorna sollevò subito i suoi dubbi sulla presenza <strong>di</strong> Bixio,<br />
considerato troppo impetuoso e quin<strong>di</strong> inadatto ad una missione che «richiedeva somma prudenza». Govone, che si ritirerà<br />
pochi giorni dopo dal governo, accettò le opinioni <strong>di</strong> Cadorna e nominò al posto <strong>di</strong> Bixio il generale Cosenz. [5] Alla fine <strong>di</strong><br />
agosto le tre <strong>di</strong>visioni furono portate a cinque ed il comando <strong>di</strong> questi nuovi reparti fu affidato al generale Diego Angioletti e<br />
Bixio, che non riscuoteva le simpatie del comandante del Corpo. Il totale dei militari del Corpo arrivò a superare le 50.000<br />
unità. L'esercito pontificio era costituito da circa 15.000 militari <strong>di</strong> varie nazionalità. Circa 4.000 erano francesi, tra cui la<br />
legione <strong>di</strong> Antibes, forte <strong>di</strong> 1200 uomini, e circa 1.000 erano tedeschi. Vi erano inoltre 400 volontari pontifici. Con lo scoppio<br />
della guerra Franco-Prussiana parte dei militari francesi fu richiamata in patria. Il comandante era il generale Hermann Kanzler<br />
(badese), coa<strong>di</strong>uvato dai generali De Courten e Zappi. [5]<br />
I fatti L'8 settembre, alcuni giorni prima dell'attacco una lettera autografa del re Vittorio Emanuele II venne consegnata a papa<br />
Pio IX dal conte Gustavo Ponza <strong>di</strong> San Martino, senatore del Regno. Nell'epistola al "Beatissimo Padre" Vittorio Emanuele,<br />
dopo aver paventato le minacce del «partito della rivoluzione cosmopolita», esplicitava «l'indeclinabile necessità per la<br />
sicurezza dell'Italia e della Santa Sede, che le mie truppe, già poste a guar<strong>di</strong>a del confine, inoltrinsi per occupare le posizioni<br />
in<strong>di</strong>spensabili per la sicurezza <strong>di</strong> Vostra Santità e pel mantenimento dell'or<strong>di</strong>ne». [7] Il 10 settembre il conte San Martino<br />
scrivendo da Roma al capo del governo, Giovanni Lanza, descrive i suoi incontri con il car<strong>di</strong>nale Antonelli del giorno<br />
precedente e in particolare l'incontro con il Papa. Scrive il conte:<br />
« … che sono stato dal Santo Padre, che gli ho consegnato la lettera <strong>di</strong> Sua Maestà e la nota rimessami da V. Eccellenza....<br />
Il Papa era profondamente addolorato, ma non mi parve <strong>di</strong>sconoscere che gli ultimi avvenimenti rendono inevitabile per<br />
l'Italia l'azione su Roma… Esso [il Papa] non la riconoscerà legittima, protesterà in faccia al mondo, ma espresse troppo<br />
raccapriccio per le carneficine francesi e prussiane, per non darmi a sperare che non siano i modelli che vuol prendere …<br />
fui fermo nel <strong>di</strong>rgli che l'Italia trova il suo proposito <strong>di</strong> avere Roma, buono e morale… Il Papa mi <strong>di</strong>sse, leggendo la lettera,<br />
che erano inutili tante parole, che avrebbe amato <strong>di</strong> meglio gli si <strong>di</strong>cesse a <strong>di</strong>rittura che il governo era costretto <strong>di</strong> entrare<br />
nel suo Stato »<br />
(Ponza <strong>di</strong> San Martino [8] )<br />
La risposta del Papa fu succinta: [8]<br />
« Maestà, Il conte Ponza <strong>di</strong> San Martino mi ha consegnato una lettera, che a V.M. piacque <strong>di</strong>rigermi; ma essa non è degna<br />
<strong>di</strong> un figlio affettuoso che si vanta <strong>di</strong> professare la fede cattolica, e si gloria <strong>di</strong> regia lealtà. Io non entrerò nei particolari<br />
della lettera, per non rinnovellare il dolore che una prima scorsa mi ha cagionato. Io bene<strong>di</strong>co Id<strong>di</strong>o, il quale ha sofferto<br />
che V.M. empia <strong>di</strong> amarezza l'ultimo periodo della mia vita. Quanto al resto, io non posso ammettere le domande espresse<br />
nella sua lettera, né aderire ai principii che contiene. Faccio <strong>di</strong> nuovo ricorso a Dio, e pongo nelle mani <strong>di</strong> Lui la mia causa,<br />
che è interamente la Sua. Lo prego a concedere abbondanti grazie a V.M. per liberarla da ogni pericolo, renderla partecipe<br />
delle misericor<strong>di</strong>e onde Ella ha bisogno.<br />
Dal Vaticano, 11 settembre 1870 »<br />
Il conte <strong>di</strong> San Martino riferì verbalmente la frase pronunciata da Pio IX: «Io non sono profeta, né figlio <strong>di</strong> profeta, ma in realtà<br />
vi <strong>di</strong>co che non entrerete in Roma». [8]<br />
Quello stesso giorno il corpo <strong>di</strong> spe<strong>di</strong>zione italiano stanziato in Umbria entrò nello Stato Pontificio marciando verso Roma, si<br />
trattava <strong>di</strong> circa 50000 uomini, agli or<strong>di</strong>ni del generale Raffaele Cadorna mentre l'esercito pontificio contava 13000 unità,<br />
comandate dal generale Hermann Kanzler.<br />
Dopo tre giorni <strong>di</strong> inutile attesa (durante i quali si aspettò invano la <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> resa), la mattina del 20 settembre (intorno<br />
alle nove) l'artiglieria [9] dell'esercito italiano, guidata dal generale Cadorna, aprì una breccia <strong>di</strong> circa trenta metri nelle mura<br />
della città, accanto a Porta Pia, che consentì a due battaglioni (uno <strong>di</strong> fanteria [10] , l'altro <strong>di</strong> bersaglieri [11] ) <strong>di</strong> occupare la città;<br />
una curiosità è che tra i partecipanti all'evento vi fu anche lo scrittore e giornalista Edmondo De Amicis, all'epoca ufficiale<br />
dell'esercito italiano che ha lasciato una particolareggiata descrizione dell'evento nel libro Le tre capitali:<br />
« [...] La porta Pia era tutta sfracellata; la sola immagine della Madonna, che le sorge <strong>di</strong>etro, era rimasta intatta; le statue a<br />
destra e a sinistra non avevano più testa; il suolo intorno era sparso <strong>di</strong> mucchi <strong>di</strong> terra; <strong>di</strong> materasse fumanti, <strong>di</strong> berretti <strong>di</strong><br />
Zuavi, d'armi, <strong>di</strong> travi, <strong>di</strong> sassi. Per la breccia vicina entravano rapidamente i nostri reggimenti. [...] »<br />
Sullo scontro, invece, ci offre alcune informazioni Attilio Vigevano che riferisce che mentre gli Zuavi pontifici combattevano,<br />
prima della resa, molti <strong>di</strong> essi intonarono il loro canto preferito quello dei Crociati <strong>di</strong> Cathelineau:<br />
« Intonato dal sergente Hue, e cantato da trecento e più uomini, l'inno echeggiò <strong>di</strong>stinto per alcuni minuti; il capitano<br />
Berger ne cantò una strofa ritto sulle rovine della breccia colla spada tenuta per la lame e l'impugnatura rivolta al cielo
quasi a significare che ne faceva omaggio a Dio; presto però illanguidì e si spense nel ricominciato stridore della fucilata,<br />
nel raddoppiato urlio, nel tumulto delle invettive »<br />
[12]<br />
Secondo la descrizione <strong>di</strong> Antonio Maria Bonetti (1849-1896), caporale dei Cacciatori Pontifici:<br />
« Stavamo sulle righe, quando alcune voci sulla Piazza <strong>di</strong> San Pietro gridarono: "Il Papa, il Papa!". In un momento,<br />
cavalieri e pedoni, ufficiali e soldati, rompono le righe e corrono verso l'obelisco, prorompendo nel grido turbinoso e<br />
immenso <strong>di</strong>: "Viva Pio IX, viva il Papa Re!", misto a singhiozzi, gemiti e sospiri. Quando poi il venerato Pontefice, alzate<br />
le mani al cielo, ci bene<strong>di</strong>sse, e riabbassatele, facendo come un gesto <strong>di</strong> stringerci tutti al suo cuore paterno, e quin<strong>di</strong>,<br />
sciogliendosi in lacrime <strong>di</strong>rotte, si fuggì da quel balcone per non poter sostenere la nostra vista, allora sì veruno più poté<br />
far altro che ferire le stelle con urla, con fremiti ed esecrazioni contro coloro che erano stati causa <strong>di</strong> tanto cordoglio<br />
all'anima <strong>di</strong> un sì buon Padre e Sovrano »<br />
Pio IX condannò aspramente l'atto, con cui la Curia Romana vide sottrarsi il secolare dominio su Roma. Si ritirò in Vaticano,<br />
<strong>di</strong>chiarandosi "prigioniero" fino alla morte, e intimò ai cattolici - con il celebre decreto Non expe<strong>di</strong>t - <strong>di</strong> non partecipare più da<br />
quel momento alla vita politica <strong>italiana</strong>. Il parlamento italiano, per cercare <strong>di</strong> risolvere la questione, promulgò nel 1871 la<br />
Legge delle Guarentigie, ma il Papa non accettò la soluzione unilaterale <strong>di</strong> riappacificazione proposta dal governo e non mutò<br />
il suo atteggiamento. Questa situazione, in<strong>di</strong>cata come "Questione Romana", perdurò fino ai Patti Lateranensi del 1929. Il<br />
primo francobollo a portare per il mondo la notizia dell’unificazione della nazione fu il Vittorio Riquadrato <strong>di</strong> cui è giunto<br />
perfettamente conservato un esemplare su lettera timbrata proprio il 20 settembre 1870 a Roma. [13]<br />
Considerazioni belliche Nonostante l'importanza storica dei fatti (la riunione <strong>di</strong> Roma all'Italia e la fine dello Stato<br />
Pontificio), dal punto <strong>di</strong> vista militare l'operazione non fu <strong>di</strong> particolare rilievo. La assai debole resistenza opposta dall'esercito<br />
pontificio (complessivamente 15.000 uomini, tra cui dragoni pontifici, guar<strong>di</strong>e svizzere, volontari provenienti per lo più da<br />
Francia, Austria, Baviera, Paesi Bassi, Irlanda, Spagna, ma soprattutto Zuavi, al comando dal generale Kanzler) ebbe in<br />
particolare valore simbolico.Sulle ragioni per cui papa Pio IX non esercitò un'estrema resistenza sono state fatte varie ipotesi:<br />
la più accre<strong>di</strong>tata è l'ipotesi della rassegnata volontà da parte della Santa Sede <strong>di</strong> mettere da parte ogni ipotesi <strong>di</strong> una violenta<br />
risposta militare all'offesa. È infatti noto che l'allora segretario <strong>di</strong> stato, il car<strong>di</strong>nale Giacomo Antonelli, abbia dato or<strong>di</strong>ne al<br />
generale Kanzler <strong>di</strong> ritirare le truppe entro le mura e <strong>di</strong> limitarsi ad un puro atto <strong>di</strong> resistenza simbolico.<br />
Giunta <strong>di</strong> governo Cadorna, che aveva «alta autorità conferitagli dal governo, anche all'effetto <strong>di</strong> promuovere la formazione<br />
della giunta della città <strong>di</strong> Roma», il 25 settembre decise <strong>di</strong> riconoscere la Giunta <strong>di</strong> Governo che si era formata ed era costituita<br />
sotto la presidenza <strong>di</strong> Michelangelo Caetani, duca <strong>di</strong> Sermoneta. [14] L'organismo, che aveva le funzioni simili a quelle<br />
dell'attuale giunta comunale, prese il nome <strong>di</strong> Giunta provvisoria <strong>di</strong> governo <strong>di</strong> Roma e sua provincia. I componenti della<br />
Giunta, oltre a Michelangelo Caetani, erano i seguenti: [14]<br />
• principe Francesco Pallavicini<br />
• Emanuele Ruspoli, dei principi Ruspoli<br />
• duca Francesco Sforza Cesarini<br />
• principe Baldassarre Odescalchi<br />
• Ignazio Boncompagni Ludovisi, dei principi <strong>di</strong> Piombino<br />
• avvocato Biagio Placi<strong>di</strong><br />
• avvocato Vincenzo Tancre<strong>di</strong><br />
• avvocato Raffaele Marchetti<br />
• Vincenzo Tittoni<br />
• Pietro Deangelis<br />
• Achille Mazzoleni<br />
• Felice Ferri<br />
• Augusto Castellani<br />
• Alessandro Del Grande<br />
Plebiscito <strong>di</strong> annessione Il governo del Regno aveva "nei memorandum <strong>di</strong>ramati all'estero", "proclamato il <strong>di</strong>ritto dei romani<br />
<strong>di</strong> scegliersi il governo che desideravano". [15] Così come era stato fatto per le altre provincie italiane, anche a Roma fu quin<strong>di</strong><br />
indetto un referendum per sancire l'avvenuta riunificazione della città con il Regno d'Italia. La formula inizialmente proposta<br />
vedeva all'inizio del quesito proposto la formula «Colla certezza che il governo italiano assicurerà l'in<strong>di</strong>pendenza dell'autorità<br />
spirituale del Papa, ...». [15] Questa premessa fu poi giu<strong>di</strong>cata inutile e la domanda posta fu:<br />
« Vogliamo la nostra unione al Regno d'Italia, sotto il governo del re Vittorio Emanuele II e dei suoi successori »<br />
Inizialmente il governo a Firenze aveva esclusa dalla votazione la città Leonina, ma le rimostranze della popolazione spinsero<br />
le autorità locali a permettere anche lì il normale svolgimento della consultazione. [15] Il plebiscito si svolse il 2 ottobre 1870. I<br />
risultati videro la schiacciante vittoria dei sì, 40.785, a fronte dei no che furono solo 46. Il risultato complessivo nella provincia<br />
<strong>di</strong> Roma fu <strong>di</strong> 77.520 "sì" contro 857 "no". In tutto il territorio annesso i risultati furono 133.681 "sì" contro 1.507 "no". [15][16] A<br />
ricordo dell'inizio del moderno Stato d'Italia come lo conosciamo oggi, il XX Settembre è riportato nella toponomastica <strong>di</strong><br />
molte città italiane, talvolta dando il nome alla strada che porta al duomo, a rimarcare implicitamente la vittoria dello Stato<br />
laico del 1870. L'importanza del 20 Settembre 1870 come data <strong>di</strong> preteso vero inizio dell'Unità d'Italia è sottolineata dal fatto<br />
che il filosofo Benedetto Croce fece iniziare dal 1870 la sua Storia d'Italia.<br />
Ripercussioni internazionali Gli Stati europei non riconobbero ma accettarono l'azione <strong>italiana</strong>. Già il 21 settembre il<br />
rappresentante del re a Monaco scriveva che il conte Otto von Bray-Steinburg, ministro bavarese, avvertito degli avvenimenti<br />
gli aveva espresso la sua sod<strong>di</strong>sfazione che tutto si fosse svolto senza spargimento <strong>di</strong> sangue. Launay da Berlino riportava il 22<br />
settembre la posizione <strong>di</strong> neutralità del governo <strong>di</strong> Otto von Bismarck. Il 21 settembre da Tours il "Ministro del Re", cioè<br />
l'ambasciatore, in Francia, Costantino Nigra, inviava il seguente messaggio:<br />
« Ho ricevuto stamane il telegramma col quale l'E. V. mi fece l'onore <strong>di</strong> annunziarmi che le regie truppe sono entrate ieri a<br />
Roma, dopo una lieve resistenza delle milizie straniere, che cessarono il fuoco <strong>di</strong>etro or<strong>di</strong>ne del Papa.<br />
Ho imme<strong>di</strong>atamente comunicato questa notizia al signor Cremieux, membro del Governo della <strong>di</strong>fesa nazionale,<br />
Guardasigilli e Presidente della Delegazione governativa stabilita in Tours.
Il signor Cremieux mi ha espresso le sue vive felicitazioni per fatto annunziatogli. »<br />
(Costantino Nigra)<br />
Carlo Cadorna, fratello maggiore del generale, era ambasciatore a Londra e nel <strong>di</strong>spaccio spe<strong>di</strong>to il 22 settembre, parlò del<br />
lungo colloquio che ebbe con il conte <strong>di</strong> Granville, ministro degli Esteri del gabinetto Gladstone. Granville non fece commenti<br />
data la novità della notizia, ma secondo Cadorna «la notizia che gli aveva data gli era riuscita gra<strong>di</strong>ta». Questa impressione fu<br />
poi confermata in un altro telegramma spe<strong>di</strong>to il 27, in cui l'ambasciatore esprimeva la sod<strong>di</strong>sfazione del ministro sulle<br />
modalità con cui si erano svolti gli avvenimenti.<br />
Reazioni del governo pontificio A pochi giorni dalla presa <strong>di</strong> Roma, il 1º novembre 1870 Pio IX emanò l'enciclica<br />
Respicientes ea nella quale <strong>di</strong>chiarava "ingiusta, violenta, nulla e invalida" l'occupazione dei domini della Santa Sede. [17] Il<br />
car<strong>di</strong>nale Antonelli l'8 novembre <strong>di</strong>ramò ai rappresentanti degli stati stranieri una nota che attaccava Visconti-Venosta ed in<br />
cui affermava: «Quando con un cinismo senza esempio, si pone in ogni cale ogni principio <strong>di</strong> onestà e giustizia, si perde il<br />
<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> essere creduti». Pio IX si <strong>di</strong>chiarò «prigioniero politico del Governo italiano». Lo Stato Italiano promulgò nel maggio<br />
del 1871 la Legge delle guarentigie, con la quale assegnava alla chiesa l'usufrutto dei beni che ora appartengono alla Città del<br />
Vaticano, e si conferivano al Papa una serie <strong>di</strong> garanzie circa la sua in<strong>di</strong>pendenza. Tuttavia tale compromesso non venne mai<br />
accettato né da Pio IX né dai suoi successori. Nel 1874 Pio IX emanò il Non expe<strong>di</strong>t, con cui vietò ai cattolici italiani la<br />
partecipazione alla vita politica. Soltanto in età giolittiana tale <strong>di</strong>vieto sarebbe stato eliminato progressivamente, fino al<br />
completo rientro dei cattolici "come elettori e come eletti" nella vita politica <strong>italiana</strong>: solo nel 1919, con la fondazione del<br />
Partito Popolare Italiano <strong>di</strong> don Luigi Sturzo, i clericali furono presenti nel mondo politico italiano ufficialmente. La situazione<br />
venne sistemata nel 1929, in pieno Fascismo, con i Patti Lateranensi, me<strong>di</strong>ante i quali si giunse ad una effettiva composizione<br />
bilaterale della vicenda.<br />
Reazioni dei cattolici modernisti Tra i cattolici che salutarono favorevolmente o entusiasticamente la Liberazione <strong>di</strong> Roma<br />
del 20 Settembre 1870 vi furono i "modernisti", tra cui Alessandro Manzoni e lord Acton, perché videro in ciò una molto<br />
maggiore libertà dei cattolici dal potere temporale del papato.<br />
La presa <strong>di</strong> Roma nel cinema<br />
• Nel 1905 viene realizzato il film La presa <strong>di</strong> Roma <strong>di</strong> Filoteo Alberini, uscito il 20 settembre per commemorare<br />
l'azione. Tra l'altro il film fu il primo proiettato pubblicamente in Italia.<br />
• Nel 1986 viene riproposta la presa <strong>di</strong> Roma in un episo<strong>di</strong>o del film Superfantozzi, quando la famiglia <strong>di</strong> Fantozzi il<br />
giorno 20 settembre 1870 acquista una casa a Porta Pia, che viene <strong>di</strong>strutta poco dopo dai bersaglieri.<br />
Note<br />
1. ^ Targa al Senato della Repubblica<br />
2. ^ a b c d e f g h i j k l m n R. Cadorna: La liberazione, pp.1 sgg<br />
3. ^ Il testo in Cadorna, La liberazione..., p. 333.<br />
4. ^ a b c d e R. Cadorna: La liberazione, pp.33 e segg<br />
5. ^ a b c R. Cadorna: La liberazione... pp.55 e segg.<br />
6. ^ Le repressioni del 1866 a Palermo e del 1869 in Emilia, che Cadorna aveva guidato<br />
7. ^ R. Cadorna: La liberazione.., pp. 36-38<br />
8. ^ a b c R. Cadorna: La liberazione.., pp. 40-44<br />
9. ^ Fu la 3ª batteria del 7º reggimento <strong>di</strong> artiglieria <strong>di</strong> stanza agli Arsenali <strong>di</strong> Pisa (la cosiddetta Cittadella fino alla fine<br />
della 2ª guerra mon<strong>di</strong>ale), che aprì la breccia a Porta Pia il 20 settembre 1870. Il reggimento si venne costituendo -<br />
durante il risorgimento - con unità <strong>di</strong> artiglieria del ducato <strong>di</strong> Parma e <strong>di</strong> Toscana ed in particolare con l'artiglieria<br />
guardacoste del Granducato <strong>di</strong> Toscana. L'onore venne concesso perché la 3ª batteria dell'unità <strong>di</strong> artiglieria<br />
guardacoste del Granducato <strong>di</strong> Toscana fu la prima ad aprire il fuoco nella battaglia <strong>di</strong> Curtatone e Montanara il 29<br />
maggio 1848.<br />
10. ^ L'Unità <strong>di</strong> Fanteria che entrò a Roma era il 39' Reggimento Fanteria del Regio Esercito<br />
11. ^ Il 12' Battaglione Bersaglieri del Regio Esercito<br />
12. ^ Attilio Vigevano, La fine dell'Esercito Pontificio, Albertelli, pg.571<br />
13. ^ Cronaca filatelica n°314 – Pag. 66-E<strong>di</strong>toriale Olimpia -Febbraio 2005<br />
14. ^ a b Cadorna pp. 229 e sgg.<br />
15. ^ a b c d Cadorna pp. 265 e sgg.<br />
16. ^ The Encyclopæ<strong>di</strong>a Britannica, 1911, p. 60.<br />
17. ^ Testo dell’enciclica in italiano<br />
Bibliografia<br />
• Raffaele Cadorna, La liberazione <strong>di</strong> Roma nell'anno 1870, 3ª ed. 1898, Torino<br />
• Hercule De Sauclières, Il Risorgimento contro la Chiesa e il Sud. Intrighi, crimini e menzogne dei piemontesi.<br />
Controcorrente, Napoli, 2003. ISBN 978-88-89015-03-2<br />
• Indro Montanelli, L'Italia dei Notabili, RCS, 1999.<br />
• Giovanni Di Benedetto, Clau<strong>di</strong>o Ren<strong>di</strong>na, Storia <strong>di</strong> Roma moderna e contemporanea, Newton Compton E<strong>di</strong>tori,<br />
Roma. ISBN 88-541-0201-6<br />
Voci correlate<br />
• Risorgimento<br />
• Questione romana<br />
• Guerre <strong>di</strong> in<strong>di</strong>pendenza italiane<br />
• Storia <strong>di</strong> Roma<br />
• Regno d'Italia (1861-1946)<br />
• Rapporti Stato-Chiesa<br />
• La presa <strong>di</strong> Roma<br />
• I francobolli non emessi dello Stato Pontificio
• Vincenzo Di Stefano<br />
Altri progetti<br />
• Wikime<strong>di</strong>a Commons contiene file multime<strong>di</strong>ali su Presa <strong>di</strong> Roma<br />
• Articolo su Wikinotizie: Roma, celebrazioni per il 137º anniversario della breccia <strong>di</strong> Porta Pia<br />
I caduti pontifici del 20 settembre 1870<br />
Prima della resa imposta da Pio IX, il 20 settembre 1870, durante la <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> Roma, i pontifici recarono numerose per<strong>di</strong>te<br />
all’esercito invasore: tra gli ufficiali 4 morti e 9 feriti, tra la truppa 45 morti e 132 feriti.<br />
I papalini, invece, registrarono 19 morti, deceduti il 20 settembre 1870 e nei giorni successivi in seguito alle ferite, e 68 feriti.<br />
Ecco l’elenco dei caduti secondo il Vigevano (altri autori, come Keyes O’Clery, riportano un numero minore <strong>di</strong> caduti, perché<br />
non calcolano alcuni decessi avvenuti negli ospedali dopo il 20 settembre) :<br />
Zuavi:<br />
Sergente Duchet Emilio, francese, <strong>di</strong> anni 24, deceduto il 1 ottobre.<br />
Sergente Lasserre Gustavo, francese, <strong>di</strong> anni 25, deceduto il 5 ottobre.<br />
Soldato de l’Estourbeillon, <strong>di</strong> anni 28, deceduto il 23 settembre.<br />
Soldato Iorand Giovanni Battista, deceduto il 20 settembre.<br />
Soldato Burel Andrea, francese <strong>di</strong> Marsiglia, <strong>di</strong> anni 25, deceduto il deceduto il 27 settembre.<br />
Soldato Soenens Enrico, belga, <strong>di</strong> anni 34, deceduto il 2 ottobre.<br />
Soldato Yorg Giovanni, olandese, <strong>di</strong> anni 18, deceduto il 27 settembre.<br />
Soldato De Giry (non si hanno altri dati).<br />
altri tre soldati non identificati, deceduti il 20 settembre.<br />
Carabinieri:<br />
Soldato Natele Giovanni, svizzero, <strong>di</strong> anni 30, deceduto il 15 ottobre.<br />
Soldato Wolf Giorgio, bavarese, <strong>di</strong> anni 27, deceduto il 28 ottobre.<br />
Dragoni:<br />
Tenente Piccadori Alessandro, <strong>di</strong> Rieti, <strong>di</strong> anni 23, deceduto il 20 ottobre.<br />
Artiglieria:<br />
Maresciallo Caporilli Enrico, italiano, deceduto il 20 ottobre.<br />
Soldato Betti, italiano, deceduto il 20 settembre.<br />
Soldato Curtini Nazzareno, italiano, deceduto il 20 settembre.<br />
Soldato Taliani Mariano, <strong>di</strong> Cingoli, <strong>di</strong> anni 29, deceduto il 20 settembre.<br />
Soldato Valenti Giuseppe, <strong>di</strong> Ferentino, <strong>di</strong> anni 22, deceduto il 3 ottobre.<br />
(Attilio Vigevano, La fine dell’esercito pontificio, ristampa anastatica, Albertelli E<strong>di</strong>tore, Parma 1994, pagg. 672-673; nel testo<br />
del Vigevano i nomi <strong>di</strong> battesimo sono stati italianizzati).
Il maggiore Giacomo Pagliari, comandante del 34º Bersaglieri, colpito a morte durante la presa <strong>di</strong> Porta Pia<br />
Le mura abbattute accanto a Porta Pia<br />
La breccia, qualche decina <strong>di</strong> metri sulla destra della Porta Pia, in una foto dell'epoca.
Medaglia <strong>di</strong> Castelfidardo<br />
Medaglia Pro Pedri Sede<br />
Da Wikipe<strong>di</strong>a, l'enciclope<strong>di</strong>a libera.<br />
Tipologia Medaglia commemorativa<br />
Status cessato<br />
Istituzione Roma, 1860<br />
Barrette VITERBO PESARO FANO SANT'ANGELO CASTELFIDARDO ANCONA<br />
Gra<strong>di</strong> Medaglia d'oro a smalti Medaglia d'oro Medaglia d'argento Medaglia <strong>di</strong> metallo bianco<br />
Nastro della medaglia<br />
La Medaglia <strong>di</strong> Castelfidardo fu una medaglia concessa dallo Stato Pontificio a tutte le truppe che avessero partecipato allo<br />
scontro <strong>di</strong> Castelfidardo contro i garibal<strong>di</strong>ni.<br />
Storia La medaglia venne istituita con breve pontificio del 12 novembre 1860 ad opera <strong>di</strong> Pio IX il quale, su consiglio del<br />
maestro d'armi, Francesco Saverio de Mérode, fece coniare questa medaglia per premiare i soldati che si fossero battuti in suo<br />
nome contro l'esercito piemontese durante l'invasione dello stato pontificio del 1860. Gli insigniti della medaglia, da<br />
regolamento, ottenevano anche degli specifici privilegi morali e materiali: innanzitutto l'insignito era <strong>di</strong>chiarato benemerito<br />
della chiesa cattolica per aver contribuito alla salvezza ed all'integrità dello Stato della Chiesa e del Papa, oltre a ricevere<br />
l'abbuono <strong>di</strong> un anno <strong>di</strong> servizio verso la pensione.<br />
Gra<strong>di</strong><br />
Questa medaglia è uno dei rari esempi concessi in molteplici gra<strong>di</strong> dallo stato pontificio, con <strong>di</strong>fferenziazioni a seconda del<br />
beneficiario:<br />
• Medaglia d'oro smaltata in blu per gli ufficiali generali<br />
• Medaglia d'oro per gli ufficiali superiori<br />
• Medaglia d'argento per gli ufficiali inferiori<br />
• Medaglia in metallo bianco per i sottufficiali e la truppa.<br />
Insegne<br />
• La medaglia era composta <strong>di</strong> un cerchio riportante circolarmente sul <strong>di</strong>ritto il motto "VICTORIA, QUAE VICIT<br />
MUNDUM, FIDES NOSTRA", mentre sul retro era riportata la scritta “PRO PETRI SEDE, PIO IX P.M.A.XV”. Il<br />
cerchio riportava in centro una croce capovolta (simbolo non blasfemo come da alcuni stu<strong>di</strong>osi è stato evidenziato,<br />
bensì del martirio <strong>di</strong> San Pietro, primo pontefice, il quale venne crocifisso a testa in giù per non eguagliare l'esempio<br />
<strong>di</strong> Cristo, condannato al medesimo martirio). Su questa croce era raffigurato un serpente che si mordeva la coda,<br />
simbolo del peccato mortale che attanagliava quanti osassero attaccare la chiesa. Popolarmente la medaglia venne<br />
definita anche la “ciambella” o il “Ciambellone” date le sue <strong>di</strong>mensioni fuori dalla norma medaglistica.<br />
• Il nastro era bianco con una striscia rossa in centro affiancata da due piccole strisce gialle. Sui bor<strong>di</strong> si trovavano<br />
invece una striscia rossa per parte affiancata da due piccole strisce gialle. Sul nastro potevano essere apposte delle<br />
barrette a seconda delle battaglie alle quali si era partecipati: VITERBO, PESARO, FANO, SANT'ANGELO,<br />
CASTELFIDARDO e ANCONA. Le barrette dovevano però essere comprate privatamente dagli insigniti della<br />
decorazione e come tale esse vennero realizzate in pochi esemplari.
Tipologia<br />
Status<br />
Medaglia commemorativa<br />
cessato<br />
Istituzione Roma, 14 novembre 1867<br />
Croce <strong>di</strong> Mentana<br />
Croce fidei et virtuti<br />
Da Wikipe<strong>di</strong>a, l'enciclope<strong>di</strong>a libera.<br />
Barrette BAGNOREA VITERBO NEROLA ACQUAPENDENTE MONTE LIBRETTI<br />
MONTE ROTONDO MENTANA ROMA<br />
Gra<strong>di</strong><br />
Croce d'argento Croce in metallo chiaro<br />
Nastro della medaglia<br />
La Croce fidei et virtuti (erroneamente ma più <strong>di</strong>ffusamente in<strong>di</strong>cata col nome <strong>di</strong> Croce <strong>di</strong> Mentana) fu una medaglia<br />
concessa dallo Stato Pontificio a tutte le truppe che avessero partecipato alle battaglie del 1867 contro Garibal<strong>di</strong>.<br />
Storia La crode venne istituita dal papa Pio IX con la lettera apostolica "Ex quo infensissimi" del 14 novembre 1867, con<br />
l'intento <strong>di</strong> premiare le truppe pontificie e francesi che avessero partecipato agli scontri del 1867 contro le truppe piemontesi<br />
guidate da Giuseppe Garibal<strong>di</strong> che miravano alla conquista dello stato pontificio ed alla presa <strong>di</strong> Roma.<br />
Insegne<br />
• La medaglia era costituita da una croce in metalli chiari (per la truppa) o in argento (per gli ufficiali), recante al centro<br />
un <strong>di</strong>sco. Sul <strong>di</strong>ritto era riportato al centro lo stemma pontificio con le due chiavi decussate e il triregno attorniato<br />
dalla scritta "FIDEI ET VIRTVTI". Sulle braccia, all'interno <strong>di</strong> appositi cartigli, stavano le seguenti scritte: a sinistra<br />
"PIVS", in alto "PP", a destra "IX", in basso "1867". Sul retro la medaglia era decorata solo nel <strong>di</strong>sco centrale ove era<br />
riportata una croce latina con due rami d'alloro decussati al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> essa, avente al <strong>di</strong> sopra la scritta "HINC<br />
VICTORIA".<br />
• Il nastro era bianco con due strisce azzurre in centro. Sul nastro potevano essere apposte delle barrette a seconda delle<br />
battaglie alle quali si era partecipati: BAGNOREA; VITERBO; NEROLA; ACQUAPENDENTE MONTE<br />
LIBRETTI; MONTE ROTONDO; MENTANA; ROMA. Le barrette dovevano però essere comprate privatamente<br />
dagli insigniti della decorazione e come tale esse vennero realizzate in pochi esemplari.
Il Monumento ai Caduti Pontifici al CImitero del Verano. Fotografia scattata da Alessio Damato l'11 <strong>di</strong>cembre 2010 e<br />
licenziato in base ai termini della licenza Creative Commons Attribuzione-Con<strong>di</strong>vi<strong>di</strong> allo stesso modo 3.0 Unported