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inopinatamente chiuse nel periodo dell’ecologismo ideologico)<br />
ripeto che bisogna poterne riprendere l’estrazione<br />
e finalizzarla alla manutenzione ordinaria o straordinaria<br />
del prodotto edilizio storico.<br />
Nei centri urbani protetti (e io mi auguro che ciò sia<br />
esteso a tutti i centri) bisogna poter disporre di materiali<br />
tradizionali anche per le nuove edificazioni in modo che<br />
esse siano coerenti e armoniche con il volto codificato<br />
dei luoghi.<br />
Solo così, tra l’altro, si svilupperà quella continuità che<br />
garantirà il posto di lavoro a tutti gli operatori che vorranno<br />
riprendere le attività tradizionali.<br />
Se in Valle Imagna (luogo che conosco molto bene perché<br />
vi sto conducendo ricerche da tempo) potrò estrarre<br />
con continuità nel tempo lastrame a spacco per rifare, di<br />
volta in volta, il tetto di una chiesa o quello di un vecchio<br />
fienile diroccato potrò certamente trovare anche<br />
quei tre o quattro artigiani capaci di garantire un perfetto<br />
restauro per ogni altro tetto dello stesso tipo: se non<br />
riesco a garantire l’estrazione di pietra necessaria e, quindi,<br />
a garantire sufficiente quantità di materiale per svolgere<br />
quel genere di lavoro locale negli anni a venire, è<br />
chiaro che l’intero ambiente cambierà ineluttabilmente<br />
faccia.<br />
In realtà, dobbiamo mettere sulla bilancia due fattori:<br />
da una parte, l’interesse di poter conservare e valorizzare<br />
un luogo architettonicamente e ambientalmente<br />
omogeneo, caratterizzato dall’utilizzo della pietra locale<br />
che, per mancanza di questa, rischia di perdere completamente<br />
la sua fisionomia storicizzata (i tetti, infatti,<br />
cominciano purtroppo già ad essere fatti in cotto) e,<br />
dall’altra, la cosiddetta “salvaguardia” dell’ambiente con<br />
la “conseguente” chiusura delle cave.<br />
E’ chiaro che la salvaguardia di cui si è detto consiste<br />
semmai nella conduzione equilibrata e “pulita” delle<br />
stesse, non nell’interruzione dell’attività estrattiva.<br />
Personalmente sostengo, e molti lo sanno, che il paesaggio<br />
italiano è uno straordinario, immenso artefatto<br />
in cui di <strong>natural</strong>e o di <strong>natural</strong>istico, c’è forse solo la cima<br />
dell’Etna o del Monte Bianco; in verità l’uomo ha già<br />
colonizzato anche la neve dei ghiacciai perenni.<br />
Praticamente tutto ciò che vediamo è una natura modellata<br />
e artificializzata nel corso degli ultimi millenni.<br />
Ogni bosco è terrazzato, ogni strada è stata sottratta<br />
alla natura, tutti i luoghi che visitiamo volentieri sono<br />
parte di un immenso manufatto realizzato nei millenni;<br />
anche le cave sono artefatti degno di conservazione,<br />
valorizzazione e spettacolarizzazione.<br />
Perché dobbiamo vergognarci di una cava? Il problema<br />
semmai sarà quello di scavare con ordine, senza lasciare<br />
(come si è fatto per molto tempo) gli scarti sul posto<br />
perché non si sapevano riutilizzare intelligentemente<br />
(cioè utilmente).<br />
La cava è o può essere un luogo pulito che, tra l’altro,<br />
può registrare gradevolmente anche il fascino delle<br />
geometrie e delle logiche dell’operare umano.<br />
Che lungo le pendici della valle dell’Ossola affiori la beola<br />
e che, di tanto in tanto, essa sia anche cavata non può<br />
certo preoccupare: questo, fra l’altro, è un fenomeno<br />
umano coerente con lo spettacolo <strong>natural</strong>e delle montagne<br />
fatte di pietra che conosciamo da millenni.