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vita del malvagio e dell’insensato») – si combinano in questa lettura di alcuni dei più noti personaggi<br />
infernali, a ognuno dei quali è assegnato un preciso significato morale.<br />
Nel brano è stata osservata una curata disposizione chiastica, per cui la dichiarazione allegorica<br />
razionalistica (vv. 978-979; 1023) racchiude al suo interno la trattazione del metus (divum e<br />
poenarum), che a sua volta incornicia la trattazione, tripartita, del motivo centrale, la cupido:<br />
a vv. 978-979 Identificazione tra Acheruns profundus e vita nostra<br />
b vv. 980-983 Metus (metus divum): Tantalo<br />
c vv. 984-1010 Cupido: 1) vv. 984-994 amor (cupido amoris): Tizio<br />
2) vv. 995-1002 ambitio (cupido honorum): Sisifo<br />
3) vv. 1003-1010 avarities (cupido rerum): Danaidi<br />
b vv. 1011-1022 Metus (metus poenarum): Cerbero, Furie, Tartaro<br />
a v. 1023 Identificazione tra Acheruns profundus e vita nostra<br />
Tantalo (vv. 980-983): figlio di Zeus e re della Libia, è punito per avere rubato agli dèi nettare e<br />
ambrosia. Secondo la versione più comune del mito, già omerica (Odissea, XI, 582), e ripresa più<br />
frequentemente dai poeti a Roma (da Orazio, Tibullo, Properzio, Ovidio, Fedro, Seneca, Stazio e<br />
Boezio), circondato da acque freschissime e da cibi deliziosi, fu condannato a subire i tormenti della<br />
fame e della sete, perché le vivande si allontanavano ogni volta che cercava di raggiungerle. Lucrezio<br />
preferisce la più rara versione seguita da Pindaro, per cui Tantalo non osava mangiare per timore di<br />
un enorme masso sospeso sul suo capo, non solo per il gusto alessandrino di introdurre particolari<br />
dotti e rari, ma soprattutto perché quel masso impendens su Tantalo a simboleggiare il timore degli<br />
dèi richiama da vicino la religio che «con orribile aspetto incombe dall’alto sugli uomini» (I, 65).<br />
Tizio (vv. 984-994): gigante ucciso da Apollo per avere insidiato Latona, e disteso nel Tartaro con il<br />
fegato continuamente roso dagli avvoltoi, è simbolo della passione d’amore, la cupido. L’identificazione<br />
tra personaggio mitologico e la sofferenza terrena è suggerita anche a livello verbale dalla<br />
isometria delle clausole Acherunte iacentem (v. 984) e in amore iacentem (v. 992). Come verrà<br />
ribadito nel finale del IV libro, solo il soddisfacimento del desiderio fisico è naturale e necessario.<br />
Sisifo (vv. 995-1002): condannato a spingere faticosamente su per un monte un macigno che rotola<br />
eternamente in basso (Odissea, XI, 953), rappresenta la inutilità dell’ambizione politica, destinata<br />
sempre a fallire, con la sua instabilità. Anche qui il verso (adverso nixantem trudere monte / saxum)<br />
si fa mimetico dello sforzo di Sisifo: all’interno del lento ritmo olospondaico (di soli spondei) –<br />
iconico della faticosa scalata del mons adversus, e contrapposto al rapido fluire per gli aequora<br />
campi del v. 1002 – il frequentativo nixari assomma l’idea di intensità e di conato, che ricorre in<br />
tutto il contesto (rursum volvitur, semper, ripetuto 2 volte, ai vv. 997 e 999, e ripreso poi al v. 1003).<br />
Danaidi (vv. 1003-1010): condannate ad attingere acqua in eterno con anfore senza fondo (pertusum<br />
…vas), per avere ucciso nella prima notte di nozze i loro mariti, rappresentavano già per Platone<br />
(Gorgia, 493b-c) l’insaziabile ricerca del piacere.<br />
Cerbero, le Furie, il Tartaro (vv. 1011-1022): rispettivamente il mostruoso cane a tre teste, custode<br />
dell’inferno, le tre divinità infernali (Aletto, Tisifone, Megera), simbolo della vendetta divina e la<br />
regione più profonda dell’inferno dove erano rinchiusi i Titani e i peccatori più gravi, rappresentano<br />
il metus poenarum.<br />
La gnoseologia, tema del libro<br />
IV<br />
I “ simulacra”<br />
I1 proemio del libro IV ripropone, praticamente alla lettera, i versi del libro I in cui il poeta proclama<br />
l’originalità e gli obiettivi programmatici della propria opera (I, 926-950: vedi p. 191), sicché alcuni<br />
ritengono che possa averli inseriti qui il primo editore del poema, o un tardo copista, per ovviare alla<br />
mancanza di un proemio d’autore, ma è stato obiettato che l’usus scribendi lucreziano è<br />
caratterizzato dalla ripetizione di intere sezioni di versi, oltre al fatto che i due passi presentano<br />
alcune pur lievi variazioni. Viene esposta la gnoseologia (teoria della conoscenza) epicurea, a partire<br />
dai simulacra, sottilissimi intrecci di atomi che si distaccano dalla superficie dei corpi mantenendone<br />
i contorni e impressionano così i nostri sensi.<br />
Con grande ricchezza di immagini vengono esaminati gli effetti prodotti dall’azione dei “simulacri”<br />
sulle facoltà sensitive (vista, udito, gusto e olfatto) e i problemi connessi alla percezione, come la<br />
natura dell’eco, dell’ombra delle visioni, l’apparente deformazione di oggetti visti in lontananza o<br />
attraverso l’acqua; quando due immagini si sovrappongono (ad esempio, uomo e cavallo), noi<br />
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