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LUCREZIO

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e la novità dei concetti (rerum novitatem); ma il tuo alto valore e lo sperato piacere della dolce<br />

amicizia (sperata voluptas suavis amicitiae) mi persuadono tuttavia a sostenere qualsiasi fatica e<br />

m’inducono a vegliare durante le notti serene escogitando con quali parole e quale canto alfine possa<br />

diffondere davanti alla tua mente una splendida luce, per cui tu riesca a vedere il fondo delle cose<br />

arcane (res occultas)». Questa ricompensa sperata, di una amicizia perfetta non solo sul piano<br />

umano, si chiarisce appieno alla luce del valore dato all’amicizia dagli epicurei, come comunanza<br />

d’affetti e solidarietà fra esseri umani, giustificata su base filosofica; fondamentalmente distinta<br />

dall’amicitia tradizionale romana, che individua un rapporto di mutuo sostentamento personale nella<br />

vita pubblica.<br />

Lucrezio seguace di Epicuro<br />

Il “poema della natura”<br />

La relativa incompiutezza del<br />

poema<br />

I precedenti<br />

3 Il poema filosofico De rerum natura<br />

Per Lucrezio l’epicureismo fu un’esperienza di vita totalizzante ed egli volle farsi portavoce di<br />

questa fede: la natura, le sue leggi, la formazione dei mondi, il perpetuo movimento degli atomi, la<br />

nascita e la morte delle cose, i fenomeni del cielo e della terra, l’uomo (parte della natura, ma munito<br />

di razionalità) l’esaltazione della pace e della fratellanza umana ispirarono la composizione del<br />

poema De rerum natura, il cui titolo riprende quello dell’opera più vasta di Epicuro, il Perˆ fÚsewj<br />

(Perì physeos, «Sulla natura»), oggi perduto.<br />

I1 poema è composto di 6 libri, ed è articolato in tre coppie di libri più fortemente connessi tra di loro<br />

(diadi): i libri dispari contengono le premesse teoriche per la comprensione dei fenomeni che<br />

vengono trattati nei libri pari immediatamente seguenti. La prima diade è dedicata agli atomi, alla<br />

fisica (ll. I-II), la seconda all’anima, all’antropologia (ll. III-IV), la terza al mondo, alla cosmologia<br />

(ll. V-VI). A sua volta ciascun libro comprende un proemio, un trapasso (che riprende la materia<br />

trattata in precedenza), la trattazione specifica della materia, e un finale; tutti i libri dispari ed in più<br />

anche l’ultimo (I, III, V, VI) contengono una celebrazione dei meriti del maestro, Epicuro.<br />

Il poema non ebbe l’ultima revisione da parte dell’autore, come mostrano ripetizioni e incongruenze:<br />

in particolare manca la trattazione sulla sostanza degli dèi e delle loro dimore, preannunciata dal<br />

poeta stesso (V, 155: tibi posterius largo sermone probabo, «te lo proverò più tardi, con ampia<br />

trattazione»), per cui si è pensato che questa dovesse essere la vera chiusa serena, in corresponsione<br />

con l’esordio gioioso dell’inno a Venere, e non l’attuale cupo finale della peste di Atene. Tuttavia,<br />

pur costatando la relativa incompiutezza dell’opera, pare più probabile che Lucrezio abbia voluto<br />

contrapporre l’inno iniziale alla vita con il conclusivo trionfo della morte per sottolinearne<br />

l’inconciliabilità, ed insieme mettere alla prova il suo lettore. Guidato dal suo maestro egli si sarà via<br />

via convinto nella prima diade che tutto il mondo ubbidisce alle leggi di natura, nella seconda che<br />

nulla va temuto, neppure la morte, e tanto meno un intervento degli dèi, nella terza, con una climax<br />

ascendente, dovrà comprendere che neppure eventi straordinari, cataclismi e catastrofi cosmiche o<br />

umane dovranno essere per lui fonte di timore. Se saprà restare senza turbamento dinanzi alle<br />

spaventose visioni del libro finale, allora avrà appreso la lezione di Epicuro.<br />

La materia poetica e il rapporto di educazione-persuasione che si instaura in primo luogo tra l’autore<br />

e il suo dedicatario Memmio, ma più in generale con il lettore-discepolo, inscrivono il De rerum<br />

natura nella tradizione del poema didascalico, che comincia in Grecia con Esiodo (vedi Scheda p.<br />

58) e prosegue con i poeti-filosofi: Senofane, Parmenide e soprattutto Empedocle, autore anch’egli di<br />

un Perì physeos, che condivide con Lucrezio un’intensa partecipazione spirituale rispetto alla materia<br />

del suo canto. Al suo animo «divino» e alla sua poesia che svela straordinarie scoperte, Lucrezio<br />

dedica non a caso un intenso elogio (I, 716-733), per molti versi assimilabile a quelli tributati ad<br />

Epicuro, pur non risparmiando criche alla sua dottrina, in contrasto con quella epicurea riguardo<br />

l’origine degli esseri per unione e separazione dai quattro principi originari. In epoca ellenistica il<br />

genere didascalico (o, piuttosto, scientifico-didattico) aveva avuto un fortunato prodotto nei<br />

Fenomeni di Arato (III sec. a. C.), poema astronomico in cui la dimensione mitico-religiosa si<br />

fondeva con elementi della filosofia stoica, noto e apprezzato a Roma e imitato e tradotto, tra gli<br />

altri, da Cicerone. Ma in essi, come nei Theriaka e negli Alexifarmaka (Rimedi contro gli animali<br />

velenosi e Antidoti, contro i veleni) di Nicandro (II secolo a.C.), autore anche di Georgiche e di un<br />

trattato sul mondo delle api, l’intento didascalico – così centrale per Lucrezio – era ormai sostituito<br />

da un interesse alessandrino per l’argomento erudito e raffinato. Ben poco si può dire dei suoi rap-<br />

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