26.10.2014 Views

Il modello milesio di peri physeos historia - noein.net

Il modello milesio di peri physeos historia - noein.net

Il modello milesio di peri physeos historia - noein.net

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

<strong>Il</strong> <strong>modello</strong> <strong>milesio</strong> <strong>di</strong> περὶ φύσεως ἱστορία<br />

<strong>Il</strong> canone interpretativo della περὶ φύσεως ἱστορία è stato fissato, per la tra<strong>di</strong>zione posteriore, dalla<br />

ricostruzione <strong>peri</strong>patetica, da cui, <strong>di</strong>rettamente e in<strong>di</strong>rettamente, <strong>di</strong>pen<strong>di</strong>amo per testimonianze e<br />

frammenti sulle origini 1 .<br />

Aristotele, come è noto, affronta (Metafisica I, 3) la <strong>di</strong>samina delle posizioni dei predecessori – <strong>di</strong><br />

«coloro che prima <strong>di</strong> noi hanno proceduto all'indagine intorno alle cose che sono e che hanno<br />

filosofato intorno alla verità [realtà]» (τοὺς πρότερον ἡμῶν εἰς ἐπίσκεψιν τῶν ὄντων ἐλθόντας καὶ<br />

φιλοσοφήσαντας περὶ τῆς ἀληθείας) - nel delineare i contorni <strong>di</strong> una «scienza delle cause prime<br />

[originarie]» (τῶν ἐξ ἀρχῆς αἰτίων ἐπιστήμη), in questo modo forzandone la ricezione all'interno delle<br />

proprie griglie teoriche. Egli reputa evidente, in effetti, che anche quei pensatori ricercassero<br />

«principi» (ἀρχαί), e rileva come la «maggioranza <strong>di</strong> coloro che per primi filosofarono» (τῶν δὴ<br />

πρώτων φιλοσοφησάντων οἱ πλεῖστοι) manifestassero la convinzione che «principi <strong>di</strong> tutte le cose»<br />

(ἀρχὰς πάντων) fossero «solo quelli nella forma <strong>di</strong> materia» (τὰς ἐν ὕλης εἴδει μόνας), così<br />

argomentando:<br />

ἐξ οὗ γὰρ ἔστιν ἅπαντα τὰ ὄντα καὶ ἐξ οὗ γίγνεται πρώτου καὶ εἰς ὃ φθείρεται τελευταῖον, τῆς μὲν<br />

οὐσίας ὑπομενούσης τοῖς δὲ πάθεσι μεταβαλλούσης, τοῦτο στοιχεῖον καὶ ταύτην ἀρχήν φασιν εἶναι<br />

τῶν ὄντων, καὶ διὰ τοῦτο οὔτε γίγνεσθαι οὐθὲν οἴονται οὔτε ἀπόλλυσθαι, ὡς τῆς τοιαύτης φύσεως<br />

ἀεὶ σωζομένης<br />

ciò da cui, infatti, tutte le cose derivano il loro essere, e ciò da cui dapprima si generano e verso cui infine<br />

si corrompono, permanendo per un verso la sostanza, per altro invece mutando nelle affezioni, questo<br />

sostengono essere elemento e questo principio delle cose, e per questo credono che né si generi né si<br />

<strong>di</strong>strugga alcunché, dal momento che una tale natura si conserva sempre (Metafisica I, 3 983b8-13).<br />

Nell'estrapolazione aristotelica - chiaramente intesa a illustrare solo un orientamento <strong>di</strong> fondo e<br />

dunque intenzionalmente riduttiva - la specificità del contributo dei «primi filosofi» risiederebbe nel<br />

ricondurre tutti gli enti (ἅπαντα τὰ ὄντα) soggetti a <strong>di</strong>venire (γίγνεται [...] φθείρεται) alla stabilità della<br />

φύσις-ἀρχή soggiacente: essa si conserverebbe nella sostanza, mutando solo nei caratteri che le<br />

ineriscono (τῆς μὲν οὐσίας ὑπομενούσης τοῖς δὲ πάθεσι μεταβαλλούσης). Ovvero, come lo stesso<br />

Aristotele precisa altrove:<br />

ὥσπερ φασὶν οἱ μίαν τινὰ φύσιν εἶναι λέγοντες τὸ πᾶν, οἷον ὕδωρ ἢ πῦρ ἢ τὸ μεταξὺ τούτων<br />

come affermano coloro che sostengono che il tutto [l'universo] è una certa, unica natura, quale l'acqua o il<br />

fuoco o qualcosa <strong>di</strong> interme<strong>di</strong>o (Fisica I, 6 189b2),<br />

all'unità <strong>di</strong> una sostanza materiale originaria, «elemento» (στοιχεῖον) e «principio» (ἀρχή) delle cose<br />

(τῶν ὄντων).<br />

Nella semplificazione adottata da Aristotele, tuttavia, appaiono confuse due possibili declinazioni <strong>di</strong><br />

tale opzione teorica:<br />

(i) una conversione "monistica" – come sottolineato nell'ultimo passo (μίαν τινὰ φύσιν εἶναι [...] τὸ<br />

πᾶν), ma anche nel precedente dove si marcava la permanenza del sostrato nella mutazione delle<br />

affezioni (τῆς μὲν οὐσίας ὑπομενούσης τοῖς δὲ πάθεσι μεταβαλλούσης) – per cui quanto appare<br />

molteplice e in <strong>di</strong>venire è in realtà semplice determinazione fenomenica <strong>di</strong> un'unica, identica,<br />

permanente sostanza materiale;<br />

(ii) la riconduzione delle vicende e dei fenomeni cosmici e naturali (la vita) a uno stato originario da<br />

cui avrebbe avuto inizio (tale il valore originario <strong>di</strong> ἀρχή) il processo (articolato per sta<strong>di</strong>) del loro<br />

1 Su questo punto, oltre alla <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong> W. LESZL, Aristoteles on the Unity of Presocratic Philosophy. A<br />

Contribution to the Reconstruction of the Early Retrospective View of Presocratic Philosophy, in La costruzione<br />

del <strong>di</strong>scorso filosofico nell’età dei Presocratici, a cura <strong>di</strong> M. M. SASSI, Pisa, E<strong>di</strong>zioni della Normale, 2006, si<br />

veda J. MANSFELD, Sources, in The Cambridge Companion to Early Greek Philosophy, e<strong>di</strong>ted by A.A. LONG,<br />

Cambridge, Cambridge University Press, 1999, pp. 22-44. La più recente <strong>di</strong>scussione sintetica del problema<br />

delle fonti è D.T. RUNIA, The Sources for Presocratic Philosophy, in The Oxford Handbook of Presocratic<br />

Philosophy, Oxford, Oxford University Press, 2008, pp. 27-54.


sviluppo e della loro formazione, determinati dalla trasformazione della natura originaria in una serie<br />

<strong>di</strong> altre componenti elementari e dalla loro reciproca interazione.<br />

Elementi del <strong>modello</strong> in Talete<br />

Di questa seconda prospettiva d'indagine, spesso trascurata nelle ricostruzioni storiografiche (che<br />

hanno <strong>net</strong>tamente privilegiato l'altra, seguendo lo Stagirita) 2 , si possono intravedere gli elementi nel<br />

riferimento aristotelico al contributo <strong>di</strong> Talete 3 :<br />

δεῖ γὰρ εἶναί τινα φύσιν ἢ μίαν ἢ πλείους μιᾶς, ἐξ ὧν γίγνεται τἆλλα σωιζομένης ἐκείνης. τὸ μέντοι<br />

πλῆθος καὶ τὸ εἶδος τῆς τοιαύτης ἀρχῆς οὐ τὸ αὐτὸ πάντες λέγουσιν, ἀλλὰ Θαλῆς μὲν ὁ τῆς<br />

τοιαύτης ἀρχηγὸς φιλοσοφίας ὕδωρ εἶναί φησιν (διὸ καὶ τὴν γῆν ἐφ’ ὕδατος ἀπεφαίνετο εἶναι),<br />

λαβὼν ἴσως τὴν ὑπόληψιν ταύτην ἐκ τοῦ πάντων ὁρᾶν τὴν τροφὴν ὑγρὰν οὖσαν καὶ αὐτὸ τὸ θερμὸν<br />

ἐκ τούτου γιγνόμενον καὶ τούτωι ζῶν (τὸ δ’ ἐξ οὗ γίγνεται, τοῦτ’ ἐστὶν ἀρχὴ πάντων), διά τε δὴ<br />

τοῦτο τὴν ὑπόληψιν λαβὼν ταύτην καὶ διὰ τὸ πάντων τὰ σπέρματα τὴν φύσιν ὑγρὰν ἔχειν· τὸ δ’<br />

ὕδωρ ἀρχὴ τῆς φύσεώς ἐστι τοῖς ὑγροῖς. εἰσὶ δέ τινες οἳ καὶ τοὺς παμπαλαίους καὶ πολὺ πρὸ τῆς νῦν<br />

γενέσεως καὶ πρώτους θεολογήσαντας οὕτως οἴονται περὶ τῆς φύσεως ὑπολαβεῖν· Ὠκεανόν τε γὰρ καὶ<br />

Τηθὺν ἐποίησαν τῆς γενέσεως πατέρας [Hom. Ξ 201] καὶ τὸν ὅρκον τῶν θεῶν ὕδωρ, τὴν καλουμένην ὑπ’<br />

αὐτῶν Στύγα τῶν ποιητῶν [O 37 u. a.] ·τιμιώτατον μὲν γὰρ τὸ πρεσβύτατον, ὅρκος δὲ τὸ τιμιώτατόν<br />

ἐστιν.<br />

εἰ μὲν οὖν (984a.) ἀρχαία τις αὕτη καὶ παλαιὰ τετύχηκεν οὖσα περὶ τῆς φύσεως ἡ δόξα, τάχ’ ἂν<br />

ἄδηλον εἴη, Θαλῆς μέντοι λέγεται οὕτως ἀποφήνασθαι περὶ τῆς πρώτης αἰτίας<br />

Deve esistere, infatti, una certa natura – una o più <strong>di</strong> una – dalla quale si generano le altre cose, mentre<br />

essa si conserva. Riguardo al numero e alla specie <strong>di</strong> un tale principio, non tutti <strong>di</strong>cono la stessa cosa. Ma<br />

Talete, iniziatore <strong>di</strong> tale filosofia, afferma che è l'acqua – per questo motivo sosteneva<br />

anche che la terra 4 è sull'acqua -, ricavando forse quest'idea dall'osservazione che il nutrimento <strong>di</strong> tutte le<br />

cose è umido e che anche il caldo si genera da quella [l'acqua] e in quella vive: ma ciò da cui si generano,<br />

è principio <strong>di</strong> tutte le cose. Da ciò dunque ricavando questa sua idea e dal fatto che <strong>di</strong> tutte le cose i semi<br />

hanno questa natura umida. Ma l'acqua è, per le cose umide, principio della natura. Vi sono<br />

certuni che credono che anche gli antichissimi, coloro che, molto prima dell'attuale generazione, per primi<br />

trattarono degli dei, con<strong>di</strong>videssero tale convinzione circa la natura. Posero infatti Oceano e Teti come<br />

autori [genitori] della generazione, e l'acqua – da loro [poeti] chiamata Stige - come ciò su cui gli dei si<br />

impegnano in giuramento: ciò che è più antico, infatti, è ciò che è più degno <strong>di</strong> rispetto e ciò su cui ci si<br />

impegna in giuramento è appunto ciò che è più degno <strong>di</strong> rispetto. (Aristotele, Metafisica I, 3 983 b 17-33;<br />

DK 11 A12).<br />

Se dunque a questa opinione sulla natura sia toccato essere originaria e antica, può forse risultare oscuro,<br />

mentre si sostiene certamente che Talete così si sia espresso circa la causa prima (Aristotele, Metafisica I,<br />

3 983 b33-984 a3)<br />

Talete viene riconosciuto esplicitamente come «l'iniziatore <strong>di</strong> questo genere <strong>di</strong> filosofia» (ὁ τῆς<br />

τοιαύτης ἀρχηγὸς φιλοσοφίας), in altre parole promotore <strong>di</strong> quella ricerca delle cause prime della realtà<br />

che (a posteriori, con Platone e lo stesso Aristotele) sarebbe stata definita «filosofia», e, a un tempo,<br />

caposcuola in particolare <strong>di</strong> quell'indagine περὶ φύσεως cui, nella narrazione aristotelica, avrebbe<br />

fornito lo schema <strong>di</strong> fondo. È chiaro, tuttavia, che le informazioni sul Milesio sono in larga parte<br />

speculative, come attestato dalla cautela delle formule: «ricavando forse quest'idea» (λαβὼν ἴσως τὴν<br />

ὑπόληψιν ταύτην), «è detto [si sostiene]» (λέγεται). Probabilmente Aristotele <strong>di</strong>sponeva solo <strong>di</strong> una<br />

dubbia memoria orale, dal momento che lo stesso Teofrasto e la tra<strong>di</strong>zione dossografica appaiono<br />

2 Una recente e importante eccezione è rappresentata da D.W. GRAHAM, Explaining the Cosmos. The Ionian<br />

Tra<strong>di</strong>tion of Scientific Philosophy, Princeton University Press, Princeton, 2006.<br />

3 Sulla cronologia <strong>di</strong> Talete non abbiamo dati certi: gli si attribuisce la previsione <strong>di</strong> una eclissi solare, avvenuta<br />

il 28 maggio 585 a.C. (come avremo modo <strong>di</strong> riscontrare); pochi anni dopo (intorno al 582/1 a.C.) sarebbe stato<br />

registrato tra i Sette Sapienti, secondo Diogene Laerzio (DK 11 A1.22), il quale riferisce anche (37-38) gli<br />

estremi <strong>di</strong> nascita e morte <strong>di</strong> Talete assegnati nelle Cronologie <strong>di</strong> Apollodoro: 640 a.C. e 548/5 a.C..<br />

4 Con il greco γῆ/γέα Aristotele si riferisce sia alla terra-elemento, sia alla terra emersa, sia alla Terra corpo<br />

cosmico (per <strong>di</strong>fferenziare questo valore useremo l'iniziale maiuscola). Come emergerà nel corso<br />

dell'interpretazione, la resa ha, nel contesto della contemporanea revisione del tra<strong>di</strong>zionale quadro del<br />

contributo <strong>di</strong> Talete, un peso notevole.


incerti nell'attribuzione a Talete <strong>di</strong> un'opera scritta 5 , al limite riconoscendolo autore <strong>di</strong> contributi<br />

"tecnici" (astronomici) 6 :<br />

Θαλῆς δὲ πρῶτος παραδέδοται τὴν περὶ φύσεως ἱστορίαν τοῖς Ἕλλησιν ἐκφῆναι, πολλῶν μὲν καὶ<br />

ἄλλων προγεγονότων, ὡς καὶ τῷ Θεοφράστῳ δοκεῖ, αὐτὸς δὲ πολὺ διενεγκὼν ἐκείνων, ὡς ἀποκρύψαι<br />

πάντας τοὺς πρὸ αὐτοῦ· λέγεται δὲ ἐν γραφαῖς μηδὲν καταλιπεῖν πλὴν τῆς καλουμένης Ναυτικῆς<br />

ἀστρολογίας<br />

πρότερον μὲν ἐν ποιήμασιν ἐξέφερον οἱ φιλόσοφοι τὰ δόγματα καὶ τοὺς λόγους ὥσπερ Ὀρφεὺς [c. 1]<br />

καὶ Ἡσίοδος [vgl. c. 4] καὶ Παρμενίδης [28 A 15] καὶ Ξενοφάνης [21 A 18] καὶ Ἐμπεδοκλῆς [31 A<br />

25] καὶ Θαλῆς ... οὐδ’ ἀστρολογίαν ἀδοξοτέραν ἐποίησαν οἱ περὶ Ἀρίσταρχον καὶ Τιμόχαριν καὶ<br />

Ἀρίστυλλον καὶ Ἵππαρχον καταλογάδην γράφοντες, ἐν μέτροις πρότερον Εὐδόξου καὶ Ἡσιόδου καὶ<br />

Θαλοῦ γραφόντων, εἴ γε Θ. ἐποίησεν ὡς ἀληθῶς εἰπεῖν εἰς αὐτὸν ἀναφερομένην Ἀστρολογίαν<br />

È tramandato che Talete sia stato il primo a rivelare ai Greci la ricerca della natura: pur avendolo<br />

preceduto molti altri, come sembra a Teofrasto, egli li ha così superati da oscurare tutti<br />

quelli venuti prima <strong>di</strong> lui. Si <strong>di</strong>ce che non abbia lasciato alcunché <strong>di</strong> scritto, a eccezione della cosiddetta<br />

Astronomia nautica (Simplicio, Commento alla Fisica 23, 29)<br />

Dapprima i filosofi esternavano le dottrine e i <strong>di</strong>scorsi in poesia – come Orfeo, Esiodo, Parmenide,<br />

Senofane, Empedocle e Talete [...] Né sminuirono lo stu<strong>di</strong>o dell'astronomia i <strong>di</strong>scepoli <strong>di</strong> Aristarco<br />

Timocare, Aristillo e Ipparco scrivendo in prosa, pur avendo in precedenza scritto in versi Eudosso,<br />

Esiodo e Talete: se Talete è davvero autore dell'Astronomia che gli attribuiscono (Plutarco, DK 11 B1)<br />

καὶ κατά τινας μὲν σύγγραμμα κατέλιπεν οὐδέν· ἡ γὰρ εἰς αὐτὸν ἀναφερομένη Ναυτικὴ ἀστρολογία<br />

Φώκου λέγεται εἶναι τοῦ Σαμίου [...] κατά τινας δὲ μόνα δύο συνέγραψε Περὶ τροπῆς καὶ Ἰσημερίας<br />

[B 3], τὰ ἄλλ’ ἀκατάληπτα εἶναι δοκιμάσας<br />

Secondo alcuni non lasciò alcunché <strong>di</strong> scritto: la Astronomia nautica attribuitagli si <strong>di</strong>ce sia opera <strong>di</strong> Foco<br />

<strong>di</strong> Samo [...] Secondo altri, invece, scrisse due sole opere, Sul solstizio e Sull'equinozio, giu<strong>di</strong>cando che le<br />

altre cose fossero incomprensibili (Diogene Laerzio, DK 11 A1)<br />

ἔγραψε περὶ μετεώρων ἐν ἔπεσι [vgl. B 1], Περὶ ἰσημερίας [B 4] καὶ ἄλλα πολλά<br />

Scrisse in versi sui fenomeni celesti, un'opera Sull'equinozio e molte altre (Suda, DK 11 A2).<br />

L'acqua come natura originaria<br />

Nella notizia aristotelica appare in<strong>di</strong>cativo soprattutto il rilievo del nesso terra-acqua 7 : la terra è [sta]<br />

sull'acqua (τὴν γῆν ἐφ’ ὕδατος). Come ha <strong>di</strong> recente evidenziato l'analisi <strong>di</strong> Patricia O'Grady 8 , è<br />

possibile che su questo punto Aristotele sia incorso in un frainten<strong>di</strong>mento, proiettando in senso<br />

cosmico (riferendosi quin<strong>di</strong> alla Terra) quanto Talete potrebbe aver semplicemente riferito alle terra<br />

(emersa). Si veda, per esempio, quanto affermato in De caelo (II, 13 294 a28):<br />

οἱ δ’ ἐφ’ ὕδατος κεῖσθαι [sc. τὴν γῆν]. τοῦτον γὰρ ἀρχαιότατον παρειλήφαμεν τὸν λόγον, ὅν φασιν<br />

εἰπεῖν Θαλῆν τὸν Μιλήσιον ὡς διὰ τὸ πλωτὴν εἶναι μένουσαν ὥσπερ ξύλον ἤ τι τοιοῦτον ἕτερον (καὶ<br />

5 Oggi riconoscono la problematicità delle notizie relative alle presunte opere <strong>di</strong> Talete G.S. KIRK, J.E. RAVEN,<br />

M. SCHOFIELD, The Presocratic Philosophers. A Critical History with a Selection of Texts, Cambridge<br />

University Press, Cambridge, 1983 2 , pp. 87-88; ritiene effettivamente probabile che egli non abbia scritto<br />

alcunché M.L. Gemelli Marciano, in Die Vorsokratiker, Auswahl dei Fragmente und Zeugnisse, Übersetzung<br />

und Erläuterungen von M.L. GEMELLI MARCIANO, Band I, Düsseldorf, Artemis & Winkler Verlag (Sammlung<br />

Tusculum), 2007, p. 21.<br />

6 Con<strong>di</strong>vide questa possibilità D.W. Graham, in The Texts of Early Greek Philosophy. The Complete Fragments<br />

and Selected Testimonies of the Major Presocratics, translated and e<strong>di</strong>ted by D.W. GRAHAM, Part I, Cambridge,<br />

Cambridge University Press, 2010, p. 39.<br />

7 Come a suo tempo rilevato da Uvo Hölscher: «Von den vier Sätzen, <strong>di</strong>e von der "Philosophie" des Thales<br />

übriggeblieben sind, ist nur der Eine von unzweifelhaftem Sinn: dass <strong>di</strong>e Erde auf dem Wasser schwimmt». U.<br />

HÖLSCHER, Anaximander und <strong>di</strong>e Anfänge der Philosophie (1953), in Um <strong>di</strong>e Begriffswelt der Vorsokratiker,<br />

herausgegeben von H.-G. GADAMER, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1968, p. 126. Una<br />

puntuale contestazione della lettura monistica delle origini troviamo in Ionici. Testimonianze e frammenti, a cura<br />

<strong>di</strong> A. MADDALENA, Firenze, La Nuova Italia, 1963, pp. 13-14.<br />

8 P. O'GRADY, Thales of Miletus. The Beginnings of Western Science and Philosophy, Aldershot, Ashgate, 2002,<br />

cap. 6 (New Ideas about the Earth).


γὰρ τούτων ἐπ’ ἀέρος μὲν οὐθὲν πέφυκε μένειν, ἀλλ’ ἐφ’ ὕδατος), ὥσπερ οὐ τὸν αὐτὸν λόγον ὄντα<br />

περὶ τῆς γῆς καὶ τοῦ ὕδατος τοῦ ὀχοῦντος τὴν γῆν<br />

Gli altri sostengono che essa [la Terra] giace sull'acqua: questo è in effetti il racconto più antico che ci sia<br />

stato tramandato, che <strong>di</strong>cono sia stato <strong>di</strong> Talete <strong>milesio</strong>: che rimane dove si trova come un legno o<br />

qualcosa <strong>di</strong> simile (dal momento che <strong>di</strong> queste cose nessuna per natura poggia sull'aria ma sull'acqua),<br />

come se lo stesso <strong>di</strong>scorso che vale per la Terra non valesse anche per l'acqua che sostiene la Terra (Dk<br />

11 A14).<br />

Nel passo della Metafisica Aristotele attribuisce esplicitamente a Talete (ἀπεφαίνετο) solo la tesi – che<br />

appare aver ra<strong>di</strong>ci piuttosto in un'evidenza empirica che in un'intuizione cosmologica - «la terra è<br />

sull'acqua» (τὴν γῆν ἐφ’ ὕδατος εἶναι), sottolineandone la <strong>di</strong>pendenza logica (διὸ) dall'in<strong>di</strong>viduazione<br />

dell'acqua come natura originaria (φύσις): dal momento che l'acqua è principio, la terra è generata e<br />

sussiste sopra l'acqua. Una linea argomentativa che non esclude l'alterità <strong>di</strong> acqua e terra ovvero che<br />

non implica la riduzione <strong>di</strong> terra ad acqua secondo la formula impiegata da Aristotele per designare<br />

l'ἀρχή (τῆς μὲν οὐσίας ὑπομενούσης τοῖς δὲ πάθεσι μεταβαλλούσης). È anzi possibile che, nella<br />

ricostruzione aristotelica, risultasse ribaltata l'originaria relazione in<strong>di</strong>cata da Talete: dal momento che<br />

la terra sta sull'acqua e l'acqua la sostiene, l'acqua costituisce la ra<strong>di</strong>ce, l'origine della terra, il<br />

fondamento della sua sussistenza. Talete potrebbe aver generalizzato e attribuito a tutti i territori<br />

emersi quanto si credeva 9 a proposito <strong>di</strong> certe isole: cioè che galleggiassero sulla superficie marina 10 .<br />

D'altra parte il rilievo critico aristotelico (in conclusione del passo del De caelo) circa l'ingenuità<br />

teorica della tesi <strong>di</strong> Talete sembra stigmatizzare nel Milesio uno schema analogo a quello della<br />

Teogonia esiodea (736-740), in cui si accenna alle «scaturigini» e ai «limiti <strong>di</strong> tutte le cose» (πάντων<br />

πηγαὶ καὶ πείρατ’) 11 :<br />

ἔνθα δὲ γῆς δνοφερῆς καὶ ταρτάρου ἠερόεντος<br />

πόντου τ’ ἀτρυγέτοιο καὶ οὐρανοῦ ἀστερόεντος<br />

ἑξείης πάντων πηγαὶ καὶ πείρατ’ ἔασιν,<br />

ἀργαλέ’ εὐρώεντα, τά τε στυγέουσι θεοί περ·<br />

χάσμα μέγ’<br />

Là della terra nera e del Tartaro oscuro,<br />

del mare infecondo e del cielo stellato,<br />

<strong>di</strong> seguito, <strong>di</strong> tutti vi sono le scaturigini e i confini,<br />

luoghi penosi e oscuri che anche gli dei hanno in o<strong>di</strong>o,<br />

voragine enorme [...] (traduzione <strong>di</strong> G. Arrighetti).<br />

Una conferma in tal senso può ricavarsi dal commento <strong>di</strong> Simplicio, il quale tuttavia allude al<br />

precedente mitico egiziano:<br />

Θαλοῦ τοῦ Μιλησίου τίθησιν [n. δόξαν] ἐφ’ ὕδατος λέγοντος ὀχεῖσθαι τὴν γῆν ὥσπερ ξύλον ἢ ἄλλο<br />

τι τῶν ἐπινήχεσθαι τῶι ὕδατι πεφυκότων. πρὸς ταύτην δὲ τὴν δόξαν ὁ Ἀριστοτέλης ἀντιλέγει μᾶλλον<br />

ἴσως ἐπικρατοῦσαν διὰ τὸ καὶ παρ’ Αἰγυπτίοις οὕτως ἐν μύθου σχήματι λέγεσθαι καὶ τὸν Θαλῆν<br />

ἴσως ἐκεῖθεν τὸν λόγον κεκομικέναι<br />

riporta


γεγονέναι, ὕδωρ ἔλεγον τὴν ἀρχὴν ἐκ τῶν φαινομένων κατὰ τὴν αἴσθησιν εἰς τοῦτο προαχθέντες· καὶ<br />

γὰρ τὸ θερμὸν τῶι ὑγρῶι ζῆι καὶ τὰ νεκρούμενα ξηραίνεται καὶ τὰ σπέρματα πάντων ὑγρὰ καὶ ἡ<br />

τροφὴ πᾶσα χυλώδης· ἐξ οὗ δέ ἐστιν ἕκαστα, τούτωι καὶ τρέφεσθαι πέφυκε· τὸ δὲ ὕδωρ ἀρχὴ τῆς<br />

ὑγρᾶς φύσεώς ἐστι καὶ συνεκτικὸν πάντων· διὸ πάντων ἀρχὴν ὑπέλαβον εἶναι τὸ ὕδωρ καὶ τὴν γῆν<br />

ἐφ’ ὕδατος ἀπεφήναντο κεῖσθαι<br />

Tra coloro che affermano che il principio è unico e in movimento, i quali in<strong>di</strong>ca appunto<br />

come fisici, gli uni sostengono che esso sia limitato, come Talete, figlio <strong>di</strong> Essamio, <strong>milesio</strong>, e Ippone,<br />

che sembra sia stato anche ateo. Essi affermavano che il principio è acqua, spinti a ciò da quel che appare<br />

secondo sensazione [ai sensi]: il caldo, infatti, vive dell'umido, e i cadaveri si <strong>di</strong>sseccano e i semi <strong>di</strong> tutte<br />

le cose sono umi<strong>di</strong> e ogni nutrimento è acquoso. Le cose per natura si nutrono <strong>di</strong> ciò da cui ognuna è<br />

costituita; ma l'acqua è principio della natura umida e tiene insieme tutte le cose: perciò ritennero che<br />

l'acqua fosse principio <strong>di</strong> tutte le cose e affermavano che la terra giacesse sull'acqua (DK 11 A13).<br />

Con un lessico che riprende quasi puntualmente quello aristotelico del passo della Metafisica, è<br />

espressamente riferita a Talete (e Ippone) l'affermazione (ἀπεφήναντο) che (ii) «la terra giace<br />

dall'acqua» (τὴν γῆν ἐφ’ ὕδατος κεῖσθαι), sostenuta dalla supposizione (ὑπέλαβον) che (i) «l'acqua è<br />

principio <strong>di</strong> tutte le cose» (πάντων ἀρχὴν εἶναι τὸ ὕδωρ). In entrambe le notizie (aristotelica e<br />

teofrastea), a parte questo nesso, l'argomento a supporto dell'identificazione dell'ἀρχή appare una<br />

preoccupazione a posteriori (più chiaramente per Aristotele), per la quale ci si appella all'evidenza<br />

empirica (Aristotele: ἐκ τοῦ ὁρᾶν; Teofrasto/Simplicio: ἐκ τῶν φαινομένων κατὰ τὴν αἴσθησιν), quasi a<br />

proporre la tesi come conclusione <strong>di</strong> una generalizzazione induttiva. Talete avrebbe infatti constatato e<br />

valutato che:<br />

(i) «il nutrimento <strong>di</strong> tutte le cose è umido» (πάντων τὴν τροφὴν ὑγρὰν οὖσαν);<br />

(ii) «<strong>di</strong> tutte le cose i semi hanno questa natura umida» (πάντων τὰ σπέρματα τὴν φύσιν ὑγρὰν ἔχειν);<br />

(iii) «anche il caldo si genera da quella [l'acqua] e in quella vive» (αὐτὸ τὸ θερμὸν ἐκ τούτου<br />

γιγνόμενον).<br />

D'altra parte, a contrario:<br />

(iv) «i cadaveri si <strong>di</strong>sseccano» (Simplicio: τὰ νεκρούμενα ξηραίνεται).<br />

Dal momento che:<br />

(iv) «ciò da cui si generano, è principio <strong>di</strong> tutte le cose» (τὸ δ’ ἐξ οὗ γίγνεται, τοῦτ’ ἐστὶν ἀρχὴ πάντων),<br />

e<br />

(v) «l'acqua è, per le cose umide, principio della natura» (τὸ δ’ ὕδωρ ἀρχὴ τῆς φύσεώς ἐστι τοῖς<br />

ὑγροῖς),<br />

egli avrebbe inferito appunto che:<br />

(vi) «l'acqua è principio <strong>di</strong> tutte le cose» (πάντων ἀρχὴν εἶναι τὸ ὕδωρ).<br />

In generale, è stato notato come le osservazioni ed evidenze addotte in parte circolassero nella cultura<br />

del V secolo a.C. (nutrimento umido delle cose), in parte fossero già registrate nella produzione<br />

aristotelica 12 (umi<strong>di</strong>tà dei semi), riferite espressamente a Ippone 13 . È possibile, dunque, che i<br />

<strong>peri</strong>patetici retroiettassero su Talete considerazioni e giustificazioni posteriori, riempiendo un vuoto <strong>di</strong><br />

documentazione, ovvero che integrassero con argomentazioni versi e sentenze che la tra<strong>di</strong>zione aveva<br />

conservato 14 : è comunque significativo che la dossografia non lo riconosca autore <strong>di</strong> uno specifico<br />

contributo περὶ φύσεως, come accade per gli altri pensatori milesi 15 . D'altra parte, tuttavia, la sua<br />

(leggendaria) figura <strong>di</strong> sapiente e soprattutto <strong>di</strong> osservatore <strong>di</strong> fenomeni astronomici – già apprezzata<br />

nell'antichità, come vedremo – potrebbe autorizzare a considerare sostanzialmente atten<strong>di</strong>bile il quadro<br />

12 De generatione animalium 720 a8, 772 b4; De anima 405 b1.<br />

13 M.L. Gemelli Marciano, in Die Vorsokratiker, cit., Band I, p. 31.<br />

14 Una produzione in versi è in effetti attribuita a Talete da Plutarco (DK 11 B1), Diogene (DK 11 A1.34) e<br />

Simplicio (DK 11 B1). Diogene, d'altra parte, collegandolo alla tra<strong>di</strong>zione dei Sette Sapienti, conserva numerose<br />

sentenze <strong>di</strong> carattere etico.<br />

15 Suda (DK 12 A2) espressamente attribuisce un'opera con quel titolo ad Anassimandro; che uno scritto analogo<br />

esistesse per Anassimene - e forse fosse ancora in parte <strong>di</strong>sponibile all'epoca <strong>di</strong> Teofrasto - può desumersi dalle<br />

osservazioni sul suo stile («semplice e schietto», ἁπλῆι καὶ ἀπερίττωι) in Diogene Laerzio (DK 13 A1), che<br />

dalla tra<strong>di</strong>zione teofrastea molto probabilmente <strong>di</strong>pendono.


probatorio proposto da Aristotele, che, se non imme<strong>di</strong>atamente riconducibile a Talete, potrebbe<br />

rifletterne l'orientamento 16 .<br />

<strong>Il</strong> rilievo circa τροφή e γένεσις comporta, nella ricostruzione <strong>peri</strong>patetica, una stretta relazione tra ἀρχή<br />

e φύσις, tra origine e crescita, sviluppo intrinseco, vita: esplicito, in particolare, nel caso <strong>di</strong><br />

Teofrasto/Simplicio, che adotta come evidenza il <strong>di</strong>sseccarsi <strong>di</strong> ciò che la vita ha perduto. Le cose<br />

ricavano dall'acqua il proprio nutrimento e in questo senso sono da essa generate: le semplificazioni<br />

aristoteliche – per cui l'acqua costituirebbe la durevole, unitaria sostanza <strong>di</strong> base, <strong>di</strong> cui le cose<br />

molteplici sarebbero affezioni mutevoli (Metafisica: τῆς μὲν οὐσίας ὑπομενούσης τοῖς δὲ πάθεσι<br />

μεταβαλλούσης), ovvero coinciderebbe con la realtà stessa del tutto (Fisica: τινὰ φύσιν εἶναι τὸ πᾶν) –<br />

comportano allora una riduzione "monistica" che forza quanto pare lecito desumere dalle evidenze<br />

addotte. Esse puntano, invece, semplicemente a marcare come l'acqua sia essenziale per la vita e come<br />

le cose siano dall'acqua scaturite.<br />

D'altra parte, come emerge dalla stessa testimonianza aristotelica (Metafisica I, 3), questi caratteri<br />

potevano legittimare tale riduzione alla luce <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> miti cosmogonici probabilmente non<br />

estranei all'elaborazione <strong>di</strong> Talete: Aristotele evoca il mito <strong>di</strong> Oceano, nell'<strong>Il</strong>iade (XIV, 201; 246)<br />

in<strong>di</strong>cato come «origine degli dei» (θεῶν γένεσις) ovvero «Oceano da cui tutti <strong>di</strong>scendono» (Ωκεανὸς<br />

ὅσπερ γένεσις πάντεσσι τέτυκται); Simplicio (nel suo commento al De caelo, DK 11 A14) – come in<br />

precedenza riscontrato – richiama il precedente egiziano 17 . Aristotele ha l'occasione <strong>di</strong> recuperare il<br />

mito <strong>di</strong> Oceano anche in una prospettiva più specificatamente cosmologica, alludendo in genere agli<br />

«antichi» (οἱ πρότερον):<br />

ἔστι δ’ ἡ μὲν ἐξ ὕδατος ἀναθυμίασις ἀτμίς, ἡ δ’ ἐξ ἀέρος εἰς ὕδωρ νέφος· ὁμίχλη δὲ νεφέλης<br />

περίττωμα τῆς εἰς ὕδωρ συγκρίσεως. διὸ σημεῖον μᾶλλόν ἐστιν εὐδίας ἢ ὑδάτων· οἷον γάρ ἐστιν ἡ<br />

ὁμίχλη νεφέλη ἄγονος. γίγνεται δὲ κύκλος οὗτος μιμούμενος τὸν τοῦ ἡλίου κύκλον· ἅμα γὰρ ἐκεῖνος<br />

εἰς τὰ πλάγια μεταβάλλει καὶ οὗτος ἄνω καὶ κάτω. δεῖ δὲ νοῆσαι τοῦτον ὥσπερ ποταμὸν ῥέοντα<br />

κύκλῳ ἄνω καὶ κάτω, κοινὸν ἀέρος καὶ ὕδατος· πλησίον μὲν γὰρ ὄντος τοῦ ἡλίου ὁ τῆς ἀτμίδος ἄνω<br />

ῥεῖ ποταμός, ἀφισταμένου δὲ ὁ τοῦ ὕδατος κάτω. καὶ τοῦτ’ ἐνδελεχὲς ἐθέλει γίγνεσθαι κατά γε τὴν<br />

τάξιν· ὥστ’ εἴπερ ᾐνίττοντο τὸν ὠκεανὸν οἱ πρότερον, τάχ’ ἂν τοῦτον τὸν ποταμὸν λέγοιεν τὸν κύκλῳ<br />

ῥέοντα περὶ τὴν γῆν<br />

<strong>Il</strong> vapore è esalazione dall'acqua; la nube è aria che si condensa in acqua; nebbia è quel che resta della<br />

nube che si condensa in acqua: perciò è segno piuttosto <strong>di</strong> bel tempo che <strong>di</strong> pioggia. La nebbia, in effetti,<br />

è come una nube infeconda [d'acqua]. Questo ciclo si produce a imitazione del ciclo del Sole: a seconda<br />

della posizione <strong>di</strong> questo, infatti, anche quello procede verso l'alto o il basso. Bisogna pensarlo come un<br />

fiume che scorra in circolo verso l'alto e il basso, comune [composto insieme] <strong>di</strong> aria e acqua: quando il<br />

Sole è vicino, il flusso <strong>di</strong> vapore scorre verso l'alto; quando si allontana, l'acqua fluisce verso il basso. E<br />

questo suole accadere senza interruzione secondo un or<strong>di</strong>ne fisso: così che, se gli antichi attribuivano un<br />

significato risposto a Oceano, intendevano probabilmente riferirsi a questo fiume che scorre in circolo<br />

intorno alla terra (Meteorologica I, 9 346 b32-347 a8).<br />

La dossografia corrobora questa lettura in continuità tra il mito – che riconosceva all'acqua la funzione<br />

a un tempo <strong>di</strong> fonte (πηγή) e <strong>di</strong> «limite, confine» (περιέχον, πείρατα) <strong>di</strong> tutte le cose - e la riflessione <strong>di</strong><br />

Talete:<br />

Thaletis inepta sententia est. ait enim terrarum orbem aqua sustineri et vehi more navigii mobilitateque<br />

eius fluctuare tunc cum <strong>di</strong>citur tremere. non est ergo mirum, si abundat humor ad flumina profundenda,<br />

cum mundus in humore sit totus.<br />

16 Interessante il rilievo della O'Grady circa lo scarto lessicale, nel testo aristotelico (Metafisica I, 3 983 b6-28),<br />

tra il passo "introduttivo" (b6-18), impregnato della concettualità dell'autore, e quello "probativo" (b22-28), in<br />

cui predomina un punto <strong>di</strong> vista che si protrebbe definire "senso comune" (popular ideas, common knowledge):<br />

P. O'GRADY, Thales of Miletus..., cit., p. 64.<br />

17 <strong>Il</strong> mito <strong>di</strong> Nun. Ma si potrebbe coinvolgere anche quello dell'altra civiltà potamica spesso associata alla figura<br />

e all'azione <strong>di</strong> Talete: il mito babilonese <strong>di</strong> Apsu e Tiàmat. Sulla questione si veda R. MONDOLFO, Nota su la<br />

genesi e i problemi della cosmologia <strong>di</strong> Talete, in E. ZELLER – R. MONDOLFO, La filosofia dei Greci nel suo<br />

sviluppo storico, parte I, vol. II, a cura <strong>di</strong> R. MONDOLFO, Firenze, La Nuova Italia, 1950 2 , in particolare le pp.<br />

123-132.


Questa opinione <strong>di</strong> Talete è insostenibile. Sostiene infatti che l'orbe terrestre sia sostenuto dall'acqua e che<br />

si sposti proprio come un naviglio e, quando si <strong>di</strong>ce che trema, fluttui per il moto dell'acqua. Non è<br />

dunque strano se il liquido è abbondante per alimentare i fiumi, dal momento che il mondo è tutto<br />

contenuto nel liquido (Seneca, DK 11 A15)<br />

οἱ ἀπὸ Θάλεω τὴν γῆν μέσην<br />

I seguaci <strong>di</strong> Talete sostengono che la Terra è in mezzo (Aëtius, DK 11 A15)<br />

οἱ μὲν ἕν τι στοιχεῖον ὑποτιθέντες τοῦτο ἄπειρον ἔλεγον τῶι μεγέθει, ὥσπερ Θ. μὲν ὕδωρ<br />

Alcuni che ponevano un unico elemento affermavano che esso fosse infinito in estensione, come Talete<br />

l'acqua (Simplicio, DK 11 A13).<br />

Si tratta <strong>di</strong> tracce che, verosimilmente, nell'ottica <strong>peri</strong>patetica della ricerca dei principi, potevano<br />

legittimare la posizione <strong>di</strong> Talete come «l'iniziatore <strong>di</strong> questo genere <strong>di</strong> filosofia» (ὁ τῆς τοιαύτης<br />

ἀρχηγὸς φιλοσοφίας). Nel caso del Milesio, infatti, all'acqua potevano ricondursi: (i) sostegno (in senso<br />

cosmologico: galleggiamento e posizionamento della terra/Terra nell'acqua), (ii) origine (in senso<br />

cosmogonico), (iii) sviluppo (in senso fisiologico: nutrimento e crescita). Elementi da Aristotele fatti<br />

confluire nella propria nozione <strong>di</strong> ἀρχή.<br />

La testimonianza <strong>di</strong> Seneca sembrerebbe decisamente avvalorare l'interpretazione cosmica del greco<br />

γῆ (Terra, corpo terraqueo: terrarum orbis), sebbene la scelta del termine orbis e l'accenno alla eziologia<br />

dei terremoti rendano implausibile tale lettura. Se il moto dell'acqua, infatti, potrebbe ingenuamente<br />

dar conto delle fluttuazioni, dei sommovimenti <strong>di</strong> un corpo piatto sulla sua superficie, più<br />

problematica appare la spiegazione in riferimento a un corpo sferico. Su questo punto è probabile che<br />

si ripresentasse la confusione tra terra e Terra che già abbiamo supposto nel caso aristotelico.<br />

Φύσις e ψυχή<br />

Ma è soprattutto il riferimento al punto (iii) - acqua come principio <strong>di</strong> sviluppo e crescita -<br />

particolarmente insistito nelle testimonianze, a risultare d'interesse per l'«indagine intorno alla natura»<br />

(περὶ φύσεως ἱστορία).<br />

Origine e sviluppo sono, in effetti, etimologicamente implicati in φύσις: nella forma attiva-transitiva<br />

φύω, il ra<strong>di</strong>cale del sostantivo significa «produrre, generare»; in quella me<strong>di</strong>o-passiva-intransitiva<br />

φύομαι, invece, «crescere, avere origine, nascere». In questa accezione il termine φύσις occorre per la<br />

prima volta nel libro X dell'O<strong>di</strong>ssea (303), a denotare la ra<strong>di</strong>ce da cui origina una pianta<br />

me<strong>di</strong>camentosa (μῶλυ): una ra<strong>di</strong>ce nera, da cui cresce un fiore bianco; l'«origine», nascosta e<br />

<strong>di</strong>fferente (opposta) rispetto a quel che appare (il fiore, che ne è comunque sviluppo), cui sono da<br />

imputare le effettive qualità e la costituzione interna della pianta 18 .<br />

La testimonianza <strong>di</strong> Diogene Laerzio può ulteriormente aiutare a precisare il contorno <strong>di</strong> quello che<br />

forse fu il contributo <strong>di</strong> Talete: accanto all'impegno politico, agli interessi e apporti scientifici (in<br />

ambito geometrico e astronomico), alla saggezza esemplare, del Milesio, infatti, si sottolineano le<br />

specifiche convinzioni "filosofiche":<br />

(24) [...] πρῶτος δὲ καὶ περὶ φύσεως διελέχθη, ὥς τινες. Ἀριστοτέλης δὲ καὶ Ἱππίας φασὶν αὐτὸν καὶ<br />

τοῖς ἀψύχοις μεταδιδόναι ψυχῆς, τεκμαιρόμενον ἐκ τῆς λίθου τῆς μαγνήτιδος καὶ τοῦ ἠλέκτρου. [...]<br />

(27) ἀρχὴν δὲ τῶν πάντων ὕδωρ ὑπεστήσατο, καὶ τὸν κόσμον ἔμψυχον καὶ δαιμόνων πλήρη<br />

[...] Per primo trattò della natura, come alcuni affermano. Aristotele e Ippia <strong>di</strong>cono che egli riconoscesse<br />

un'anima anche alle cose inanimate, mostrandone evidenza dalla pietra del mag<strong>net</strong>e e dall'ambra. [...]<br />

Riteneva che l'acqua fosse principio <strong>di</strong> tutte le cose, e che il mondo fosse animato e pieno <strong>di</strong> demoni (DK<br />

11 A1)<br />

ἀλλὰ καὶ ἄψυχα ψυχὴν ἔχειν ὁπωσοῦν ἐκ τῆς μαγνήτιδος καὶ τοῦ ἠλέκτρου. ἀρχὴν δὲ τῶν στοιχείων<br />

τὸ ὕδωρ. τὸν δὲ κόσμον ἔμψυχον ἔφη καὶ δαιμόνων πλήρη<br />

Ma anche le cose animate hanno un'anima, ciò desumendo dal mag<strong>net</strong>e e dall'ambra. Sostenne<br />

che il principio degli elementi è l'acqua e che il cosmo è animato e pieno <strong>di</strong> dei (Scolio a Platone, DK 11<br />

A3).<br />

18 G. NADDAF, The Greek Concept of Nature, New York, SUNY Press, 2005, pp. 11-14.


Appare interessante il collegamento tra la trattazione περὶ φύσεως, da un lato, e le due opinioni<br />

fondamentali: che l'acqua sia principio universale (ἀρχὴν δὲ τῶν πάντων ὕδωρ) e che il cosmo sia<br />

animato (τὸν κόσμον ἔμψυχον). Diogene rinvia ad Aristotele (De anima) e a Ippia, che <strong>di</strong> Aristotele<br />

doveva essere fonte:<br />

ἔοικε δὲ καὶ Θ., ἐξ ὧν ἀπομνημονεύουσι, κινητικόν τι τὴν ψυχὴν ὑπολαβεῖν, εἴπερ τὸν λίθον ἔφη<br />

ψυχὴν ἔχειν ὅτι τὸν σίδηρον κινεῖ<br />

καὶ ἐν τῶι ὅλωι δέ τινες αὐτὴν [sc. τὴν ψυχήν] μεμεῖχθαί φασιν, ὅθεν ἴσως καὶ Θ. ὠιήθη πάντα<br />

πλήρη θεῶν εἶναι.<br />

Sembra che anche Talete, dalle cose che sono riferite a memoria, ritenesse che l'anima è qualcosa capace<br />

<strong>di</strong> muovere, se realmente affermò che la pietra ha un'anima, dal momento che muove il ferro.<br />

Alcuni sostengono che essa [l'anima] è <strong>di</strong>ffusa nell'intero universo, e perciò forse anche Talete pensò che<br />

tutte le cose siano piene <strong>di</strong> dei (I, 2 405 a19; I, 5 411 a7; DK 11 A22).<br />

L'espressione πάντα πλήρη θεῶν ci riconduce allo sfondo cosmo-teogonico (greco e orientale)<br />

rievocato in<strong>di</strong>rettamente nelle stesse testimonianze <strong>peri</strong>patetiche 19 : all'acqua <strong>di</strong>vina scaturigine <strong>di</strong> tutte<br />

le cose (l'omerico Ωκεανὸς γένεσις πάντεσσι), all'acqua nutrimento e fonte <strong>di</strong> vita (per cui i cadaveri<br />

avizziscono: τὰ νεκρούμενα ξηραίνεται), probabilmente alla stessa acqua "animatrice", motrice interna<br />

delle cose. Dal momento che sorgono dall'acqua e dall'acqua sono nutrite, le cose vivono, si<br />

sviluppano e sono motrici (come attestato dai fenomeni <strong>di</strong> mag<strong>net</strong>ismo):<br />

Θαλῆς ἀπεφήνατο πρῶτος τὴν ψυχὴν φύσιν ἀεικίνητον ἢ αὐτοκίνητον<br />

Talete per primo <strong>di</strong>chiarò che l'anima è una realtà sempre capace <strong>di</strong> muovere e semovente (Aëtius, DK 11<br />

A22a).<br />

Ciò che Aristotele (sulla scorta <strong>di</strong> Platone 20 ) attribuisce a Talete è l'identificazione della ψυχή con<br />

l'energia vitale che permea il tutto: una tendenziale sovrapposizione con la φύσις-ἀρχή esplicitata dalla<br />

posteriore elaborazione dossografica:<br />

Θ. νοῦν τοῦ κόσμου τὸν θεόν, τὸ δὲ πᾶν ἔμψυχον ἅμα καὶ δαιμόνων πλῆρες· διήκειν δὲ καὶ διὰ τοῦ<br />

στοιχειώδους ὑγροῦ δύναμιν θείαν κινητικὴν αὐτοῦ<br />

Th. enim Milesius qui primus de talibus rebus quaesivit, aquam <strong>di</strong>xit esse initium rerum, deum autem eam<br />

mentem, quae ex aqua cuncta fingeret<br />

Talete afferma che il <strong>di</strong>o è mente del mondo e che l'universo è animato e insieme pieno <strong>di</strong> demoni.<br />

Sostiene inoltre che, attraverso l'umido elementare, una potenza <strong>di</strong>vina pervade e muove


Alcuni affermano che egli per primo sostenesse che le anime sono immortali: tra questi c'è il poeta<br />

Cherilo (Diogene Laerzio, DK 11 A1)<br />

πρῶτος δὲ Θαλῆς τὸ τοῦ σοφοῦ ἔσχεν ὄνομα καὶ πρῶτος τὴν ψυχὴν εἶπεν ἀθάνατον ἐκλείψεις τε καὶ<br />

ἰσημερίας κατείληφεν<br />

Talete fu il primo a ricevere il nome <strong>di</strong> sapiente e il primo a sostenere che l'anima è immortale e a<br />

comprendere eclissi e equinozi (Suda, DK 11 A2).<br />

Ciò che il poeta Cherilo attribuiva a Talete (ἀθανάτους τὰς ψυχάς) è forse da intendere come la<br />

perdurante forza vitale che trascorre nelle cose, che germina dall'umi<strong>di</strong>tà, inesauribile fonte<br />

animatrice. Si può marcare allora la continuità con i miti e l'arcaica concezione omerica, ma, allo<br />

stesso tempo, è necessario rilevare lo sforzo <strong>di</strong> "smarcamento" del pensatore da quelle tra<strong>di</strong>zioni: si<br />

intravede, infatti, nella sostituzione della natura alla <strong>di</strong>vinità, la possibilità <strong>di</strong> illustrare razionalmente i<br />

fenomeni stu<strong>di</strong>ati, prescindendo da interventi e forze soprannaturali 22 .<br />

Talete astronomo<br />

Al <strong>di</strong> là delle ricostruzioni, in larga misura speculative, della riflessione <strong>di</strong> Talete sul «principio», è un<br />

fatto che la tra<strong>di</strong>zione ne proponga un profilo a tutto tondo, incrociando nella figura del ricercatore<br />

della natura la <strong>di</strong>mensione empirica e quella teorica, l'osservazione, la misurazione e l'elaborazione <strong>di</strong><br />

modelli cosmologici: si tratta <strong>di</strong> una complessità che, spesso, nella storiografia filosofica, è risultata<br />

sacrificata alla lettura "metafisica" 23 , pur potendo fornire importanti in<strong>di</strong>zi sull'originalità<br />

dell'approccio teorico del Milesio, a un tempo politico, scienziato, matematico e leggendario sapiente:<br />

(23) μετὰ δὲ τὰ πολιτικὰ τῆς φυσικῆς ἐγένετο θεωρίας. [...] δοκεῖ δὲ κατά τινας πρῶτος<br />

ἀστρολογῆσαι καὶ ἡλιακὰς ἐκλείψεις καὶ τροπὰς προειπεῖν, ὥς φησιν Εὔδημος [fr. 94 Speng.] ἐν τῆι<br />

περὶ τῶν Ἀστρολογουμένων ἱστορίαι·ὅθεν αὐτὸν καὶ Ξενοφάνης [21 B 19] καὶ Ἡρόδοτος [I 74]<br />

θαυμάζει. μαρτυρεῖ δ’ αὐτῶι καὶ Ἡράκλειτος [22 B 38] καὶ Δημόκριτος [68 B 115]<br />

(24) [...] πρῶτος δὲ καὶ τὴν ἀπὸ τροπῆς ἐπὶ τροπὴν πάροδον εὗρεν, καὶ πρῶτος τὸ τοῦ ἡλίου μέγεθος<br />

τοῦ σεληναίου ἑπτακοσιοστὸν καὶ<br />

εἰκοστὸν μέρος ἀπεφήνατο κατά τινας. πρῶτος δὲ καὶ τὴν ὑστάτην ἡμέραν τοῦ μηνὸς τριακάδα<br />

εἶπεν. πρῶτος δὲ καὶ περὶ φύσεως διελέχθη, ὥς τινες. [...] παρά τε Αἰγυπτίων γεωμετρεῖν μαθόντα<br />

φησὶ Παμφίλη [fr. 1 FHG III 520] πρῶτον καταγράψαι κύκλου τὸ τρίγωνον ὀρθογώνιον [...]<br />

(27) [...] τάς τε ὥρας τοῦ ἐνιαυτοῦ φασιν αὐτὸν εὑρεῖν καὶ εἰς τριακοσίας ἑξήκοντα πέντε ἡμέρας<br />

διελεῖν<br />

Oltre agli impegni politici, si de<strong>di</strong>cò alla ricerca fisica [...] Secondo alcuni, sembra che sia stato il primo a<br />

de<strong>di</strong>carsi allo stu<strong>di</strong>o degli astri e a pre<strong>di</strong>re eclissi solari e solstizi, come sostiene Eudemo nella sua Storia<br />

dell'astronomia, per cui lo ammirano Senofane e Erodoto. Testimoniano per lui anche Eraclito e<br />

Democrito.<br />

[...] Secondo alcuni, egli scoprì per primo l'intervallo tra un solstizio e l'altro e affermò per primo che la<br />

grandezza del Sole è la settecentoventesima parte dell'orbita solare e che la grandezza della Luna è la<br />

settecentoventesima parte dell'orbita lunare. Ancora per primo chiamò trentesimo l'ultimo giorno del<br />

mese. E sempre per primo, secondo alcuni, trattò della natura [...]<br />

Pamfila afferma che, avendo appreso la geometria presso gli Egiziani, per primo iscrisse nel cerchio il<br />

triangolo rettangolo [...]<br />

Dicono anche che egli abbia determinato le stagioni dell'anno e lo abbia <strong>di</strong>viso in 365 giorni (Diogene<br />

Laerzio, DK 11 A1)<br />

Θαλῆς ὁ φυσικὸς φιλόσοφος ἐπὶ Δαρείου (!) προειπὼν τὴν τοῦ ἡλίου ἔκλειψιν<br />

Talete, ricercatore della natura, all'epoca <strong>di</strong> Dario pre<strong>di</strong>sse l'eclissi <strong>di</strong> Sole (Suda, DK 11 A2)<br />

22 Insiste particolarmente su questo punto P. O'GRADY, Thales of Miletus..., cit., cap. 7.<br />

23 Una vigorosa rivalutazione dell'impegno scientifico <strong>di</strong> Talete è sostenuta da F. MARCACCI, Talete <strong>di</strong> Mileto tra<br />

filosofia e scienza, tesi universitaria, Perugia, a.a. 1999-2000 (ringrazio l'autrice per avermi messo a <strong>di</strong>sposizione<br />

copia del suo pregevole lavoro). Analogamente St. WHITE, Thales and the Stars, in Presocratic Philosophy.<br />

Essays in honour of Alexander Mourelatos, e<strong>di</strong>ted by V. CASTOR & D.W. GRAHAM, Aldershot, Ashgate, 2002 e<br />

P. O'GRADY, Thales of Miletus..., cit..


οὗτος πρῶτος ὠνομάσθη σοφός. εὗρε γὰρ τὸν ἥλιον ἐκλείπειν ἐξ ὑποδρομῆς σελήνης καὶ μικρὰν<br />

ἄρκτον αὐτὸς ἔγνω καὶ τὰς τροπὰς πρῶτος Ἑλλήνων καὶ περὶ μεγέθους ἡλίου καὶ φύσεως. [...]<br />

ἐπαιδεύθη ἐν Αἰγύπτωι ὑπὸ τῶν ἱερέων<br />

Questi [Talete] fu il primo a essere definito sapiente. Scoprì che l'eclissi <strong>di</strong> Sole è prodotta dalla Luna che<br />

gli corre sotto, e riconobbe l'Orsa minore e i solstizi e – primo tra i Greci - la grandezza e la<br />

natura del Sole. [...] Fu cresciuto ed educato dai sacerdoti egiziani (Scolio a Platone Repubblica 600 a,<br />

DK 11 A3)<br />

Th. Milesius ex septem illis sapientiae memoratis viris facile praecipuus (enim geometriae penes Graios<br />

primus repertor et naturae certissimus explorator et astrorum <strong>peri</strong>tissimus contemplator) maximas res<br />

parvis lineis rep<strong>peri</strong>t: temporum ambitus ventorum flatus, stellarum meatus, tonitruum sonora miracula,<br />

siderum obliqua curricula, solis annua reverticula; idem lunae vel nascentis incrementa vel senescentis<br />

<strong>di</strong>spen<strong>di</strong>a vel delinquentis obstiticula<br />

Talete <strong>milesio</strong>, <strong>di</strong> gran lunga il più importante tra quei sette famosi sapienti – fu infatti il primo scopritore<br />

della geometria tra i Greci, puntiglioso indagatore della natura e osservatore molto esperto degli astri –<br />

scoprì con piccole linee gran<strong>di</strong> cose: il ciclo delle stagioni e lo spirare dei venti, il movimento delle stelle,<br />

le meraviglie sonore dei tuoni, i corsi obliqui delle costellazioni, i ricorsi annuali del Sole; fu sempre lui a<br />

scoprire gli incrementi della Luna nascente e i decrementi <strong>di</strong> quella calante e gli ostacoli <strong>di</strong> quella<br />

eclissantesi (Apuleio, DK 11 A19).<br />

Diogene Laerzio (e altri) segnalano come la fonte delle loro informazioni circa i risultati della ricerca<br />

astronomica <strong>di</strong> Talete sia rappresentata dall'allievo <strong>di</strong> Aristotele Eudemo e dunque provenga dallo<br />

stesso ambiente, quello documentato della biblioteca del Liceo, da cui <strong>di</strong>pen<strong>di</strong>amo per la tra<strong>di</strong>zione<br />

teofrastea. Le testimonianze insistono soprattutto sul rilievo del contributo del Milesio nel «pre<strong>di</strong>re»<br />

(προειπεῖν) «eclissi solari e solstizi» (ἡλιακὰς ἐκλείψεις καὶ τροπὰς):<br />

διαφέρουσι δέ σφι ἐπ’ ἴσης τὸν πόλεμον τῶι ἕκτωι ἔτει συμβολῆς γενομένης συνήνεικε, ὥστε τῆς<br />

μάχης συνεστεώσης τὴν ἡμέρην ἐξαπίνης νύκτα γενέσθαι. τὴν δὲ μεταλλαγὴν ταύτην τῆς ἡμέρης<br />

Θαλῆς ὁ Μιλήσιος τοῖσι Ἴωσι προηγόρευσε ἔσεσθαι, οὖρον προθέμενος ἐνιαυτὸν τοῦτον, ἐν τῶι δὴ<br />

καὶ ἐγένετο ἡ μεταβολή<br />

Θαλῆν δὲ Εὔδημος [fr. 94 Sp. vgl. 21 B 19] ἐν ταῖς Ἀστρολογικαῖς ἱστορίαις τὴν γενομένην ἔκλειψιν<br />

τοῦ ἡλίου προειπεῖν φησι, καθ’ οὓς χρόνους συνῆψαν μάχην πρὸς ἀλλήλους Μῆδοί τε καὶ Λυδοὶ [...]<br />

primus defectionem solis, quae Astyage regnante facta est, prae<strong>di</strong>xisse fertur<br />

apud Graecos autem investigavit [sc. defectus rationem] primus omnium Thales Milesius olympia<strong>di</strong>s<br />

XLVIII anno quarto prae<strong>di</strong>cto solis defectu, qui Alyatte rege factus est urbis con<strong>di</strong>tae CLXX<br />

Portavano avanti [si riferisce a Me<strong>di</strong> e Li<strong>di</strong>] il conflitto con pari fortuna, quando, nel sesto anno, venuti a<br />

uno scontro, accadde che, mentre impegnavano battaglia, il giorno improvvisamente <strong>di</strong>ventasse notte.<br />

Questa trasformazione del giorno Talete <strong>milesio</strong> aveva preannunciata agli Ioni per il futuro, ponendo<br />

come termine proprio l'anno in cui la trasformazione ebbe luogo (Erodoto I, 74)<br />

Eudemo, in vero, nella Storia dell'astronomia, sostiene che Talete pre<strong>di</strong>sse l'eclissi <strong>di</strong> Sole avvenuta ai<br />

tempi in cui Me<strong>di</strong> e Li<strong>di</strong> si scontrarono [...] (Clemente Alessandrino)<br />

fu il primo a pre<strong>di</strong>re l'eclissi <strong>di</strong> Sole che ebbe luogo durante il regno <strong>di</strong> Astiage (Cicerone)<br />

Talete <strong>di</strong> Mileto fu il primo <strong>di</strong> tutti presso i Greci a investigare


εὗρε γὰρ τὸν ἥλιον ἐκλείπειν ἐξ ὑποδρομῆς σελήνης<br />

Scoprì che l'eclissi <strong>di</strong> Sole è prodotta dalla Luna che gli corre sotto (Scholium a Platone, DK 11 A3)<br />

Θ. πρῶτος ἔφη ἐκλείπειν τὸν ἥλιον τῆς σελήνης αὐτὸν ὑπερχομένης κατὰ κάθετον, οὔσης φύσει<br />

γεώδους. βλέπεσθαι δὲ τοῦτο κατοπτρικῶς ὑποτιθέμενον τῶι δίσκωι<br />

Talete per primo sostenne che l'eclissi <strong>di</strong> Sole accade quando la Luna, che ha natura terrestre, si trova in<br />

linea retta sotto <strong>di</strong> lui. Rimanendo sotto il <strong>di</strong>sco , vi si rispecchia per riflessione (Aëtius, DK 11<br />

A17a).<br />

La previsione approssimata sembra proiettare Talete sullo sfondo <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni potamiche (babilonesi<br />

e/o egiziane) <strong>di</strong> calcolo astronomico 24 e <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong> calendari (per i quali esistevano meto<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>versi, basati sia sui cicli solari, sia su quelli lunari), cui il Milesio potrebbe aver attinto, anche se la<br />

fama attestata nell'antichità dall'apprezzamento <strong>di</strong> Senofane, Erodoto, Eraclito e Democrito (come<br />

riferisce Diogene Laerzio) e la stessa attenzione <strong>di</strong> Eudemo depongono a favore dell'eccezionalità del<br />

contributo taletano. Oggi si ipotizza che il risultato pre<strong>di</strong>ttivo fosse conseguito non con la <strong>di</strong>retta<br />

applicazione <strong>di</strong> algoritmi (ricavati dalla secolare rilevazione dei fenomeni <strong>di</strong> eclissi) utilizzati dai<br />

babilonesi, dunque non con la semplice importazione <strong>di</strong> uno schema <strong>di</strong> calcolo, ma incrociando i dati<br />

registrati per eventi <strong>di</strong> eclissi, lunari e solari, e stu<strong>di</strong>andone le reciproche correlazioni 25 .<br />

Ciò potrebbe spiegare le notizie - provenienti in ultima analisi da due fonti antiche e autorevoli 26 : il<br />

<strong>peri</strong>patetico Eudemo (IV secolo a.C.) per Aëtius, e l'astronomo Aristarco <strong>di</strong> Samo (III secolo a.C.) -<br />

relative alla presunta spiegazione del fenomeno dell'eclissi solare, che appare indubbiamente più<br />

originale. Essa, in effetti, presuppone il controllo dei cicli <strong>di</strong> Luna e Sole e il riscontro delle relative<br />

posizioni, ma soprattutto fa intravedere: (i) la presenza <strong>di</strong> un <strong>modello</strong> cosmologico <strong>di</strong> riferimento; (ii)<br />

un probabile tentativo <strong>di</strong> illustrare le evidenze osservative e i calcoli sulla scorta <strong>di</strong> quel <strong>modello</strong>.<br />

In<strong>di</strong>zio della convinzione che i fenomeni naturali fossero comprensibili 27 , e che osservazione,<br />

misurazione e calcolo fossero parte del processo <strong>di</strong> indagine. In questo senso fanno pensare i rilievi<br />

dossografici circa la determinazione da parte <strong>di</strong> Talete del rapporto tra le <strong>di</strong>mensioni dell'orbita<br />

(κύκλος) <strong>di</strong> Sole e Luna e le rispettive grandezze (μέγεθος): <strong>di</strong>fficile pensare che un osservatore così<br />

attento e un conoscitore del cielo potesse poi ripiegare su ingenue rappresentazioni del cosmo, quali<br />

sono dalla storiografia talvolta riconosciute al Milesio.<br />

Tracce <strong>di</strong> una cosmologia<br />

Abbiamo altre interessanti testimonianze sulle possibili opinioni cosmologiche <strong>di</strong> Talete:<br />

Θ. γεώδη μέν, ἔμπυρα δὲ τὰ ἄστρα.<br />

Θ. γεοειδῆ τὸν ἥλιον.<br />

Talete sostenne che gli astri hanno natura terrestre ma infuocata.<br />

Talete sostenne che il Sole ha l'aspetto della Terra (Aëtius, DK 11 A17a)<br />

Θ. πρῶτος ἔφη ὑπὸ τοῦ ἡλίου φωτίζεσθαι τὴν σελήνην<br />

Talete per primo sostenne che la Luna è illuminata dal Sole (Aëtius, DK 11 A17b)<br />

Θ. καὶ οἱ ἀπ’ αὐτοῦ ἕνα τὸν κόσμον<br />

Talete e i suoi <strong>di</strong>scepoli sostennero che il cosmo è uno (Aëtius, DK 11 A13b).<br />

Talete avrebbe dunque rivolto la propria attenzione a fenomeni tra<strong>di</strong>zionalmente appannaggio <strong>di</strong><br />

interpretazione religiosa, omogeizzando cielo e terra, marcando cioè la continuità tra le due aree<br />

24 Un'ampia <strong>di</strong>scussione recente si può consultare in F. MARCACCI, Talete <strong>di</strong> Mileto tra filosofia e scienza, cit.,<br />

pp. 230-252; molto interessanti le osservazioni <strong>di</strong> P. O'GRADY, Thales of Miletus..., cit., pp. 126 ss.; St.A.<br />

WHITE, Milesian Measures: Time, Space, and Matter, in The Oxford Handbook of Presocratic Philosophy, cit.,<br />

pp. 90 ss..<br />

25 P. O'GRADY, Thales of Miletus..., cit., pp. 140-142; St.A. WHITE, Milesian Measures..., cit., pp. 99 ss..<br />

26 Ancorché non autonome: Aristarco, infatti, per le notizie su Talete, probabilmente <strong>di</strong>pendeva da Eudemo<br />

(St.A. WHITE, Milesian Measures..., cit., p. 100).<br />

27 P. O'GRADY, Thales of Miletus..., cit., p. 129.


cosmiche (ἕνα τὸν κόσμον), così da sottoporre anche quei fenomeni allo stesso <strong>modello</strong> <strong>di</strong> spiegazione<br />

adottato per l'ambito fisico. È possibile che l'osservazione e il calcolo investissero non solo eventi<br />

macroscopici (eclissi), ma anche <strong>peri</strong>o<strong>di</strong>che ricorrenze come i solstizi 28 (come documentato dalle<br />

testimonianze), cui si poteva comunque attribuire valore peculiare a causa dei risvolti climatici e<br />

meteorologici. Difficile stabilire se la <strong>di</strong>mensione empirica <strong>di</strong> questa applicazione allo stu<strong>di</strong>o della<br />

natura servisse a confermare un'intuizione <strong>di</strong> fondo della struttura cosmica (magari mutuata dal mito),<br />

ovvero, al contrario, se solo a partire dai suoi risultati Talete giungesse a un qualche <strong>modello</strong><br />

riassuntivo, molto <strong>di</strong>fficile da determinare. Una cosa comunque appare certa: se alle notizie siamo<br />

<strong>di</strong>sposti a riconoscere un qualche fondamento, non possiamo ridurre la figura del Milesio a quella <strong>di</strong><br />

semplice importatore <strong>di</strong> concezioni teo-cosmogoniche orientali e <strong>di</strong> meto<strong>di</strong> pre<strong>di</strong>ttivi per stupire i<br />

contemporanei greci.<br />

Le testimonianze fanno emergere anche alcuni elementi problematici:<br />

οἱ ἀπὸ Θάλεω τὴν γῆν μέσην<br />

I seguaci <strong>di</strong> Talete sostennero che la Terra è nel mezzo (DK 11 A15)<br />

(Περὶ σχήματος γῆς) Θαλῆς καὶ οἱ Στωικοὶ καὶ οἱ ἀπ’ αὐτῶν σφαιροειδῆ τὴν γῆν<br />

(Sulla forma della Terra). Talete e gli Stoici e i loro seguaci ritennero che la Terra abbia forma sferica<br />

(Pseudo-Plutarco, Th 161 Wöhrle 29 )<br />

(Περὶ σχήματος γῆς) Θαλῆς καὶ οἱ ἀπ’ αὐτοῦ σφαιροειδῆ τὴν γῆν νομίζουσιν. Ἀναξίμανδρος δὲ λίθῳ<br />

κίονι τῇ περιφερείᾳ ἐκ τῶν ἐπιπέδων. Ἀναξιμένης τραπεζοειδῆ<br />

(Sulla forma della Terra). Talete e i suoi seguaci credevano che la Terra avesse forma sferica.<br />

Anassimandro che fosse simile alla superficie circolare <strong>di</strong> una colonna <strong>di</strong> pietra. Anassimene che avesse<br />

forma <strong>di</strong> tavola (Pseudo-Galeno, Th 401 Wöhrle).<br />

È possibile che le due testimonianze sulla sfericità della Terra – che, evidentemente anche da un punto<br />

<strong>di</strong> vista lessicale, risalgono alla stessa fonte 30 - derivino in ultimo da un passo aristotelico del De<br />

caelo 31 :<br />

Παραπλησίως δὲ καὶ περὶ τοῦ σχήματος ἀμφισβητεῖται· τοῖς μὲν γὰρ δοκεῖ εἶναι σφαιροειδής, τοῖς<br />

δὲ πλατεῖα καὶ τὸ σχῆμα τυμπανοειδής<br />

Si <strong>di</strong>sputa, in vero, in modo analogo anche intorno alla forma . Ad alcuni essa sembra essere<br />

<strong>di</strong> forma sferica, ad altri piatta e a forma <strong>di</strong> tamburo (293 b32-294 a1).<br />

Dal momento che poche pagine più avanti, riferendosi al posizionamento della Terra, lo stesso<br />

Aristotele attribuisce esplicitamente ad Anassimene la convinzione che essa sia piatta:<br />

Ἀναξιμένης δὲ καὶ Ἀναξαγόρας καὶ Δημόκριτος τὸ πλάτος αἴτιον εἶναί φασι τοῦ μένειν αὐτήν<br />

Anassimene, Anassagora e Democrito ritengono che la causa del suo permanere [della sua immobilità]<br />

sia la forma piatta (294 b14-15),<br />

e in considerazione delle conferme che provengono dalla dossografia (Pseudo-Plutarco, Ippolito) circa<br />

l'opinione <strong>di</strong> Anassimandro sulla forma (cilindrica) della Terra, è possibile che, in apertura della<br />

trattazione sulla figura del corpo terrestre, lo Stagirita evocasse proprio i Milesi e σφαιροειδής, nello<br />

specifico, alludesse alla concezione <strong>di</strong> Talete: è d'altra parte da ricordare che anche Seneca avrebbe poi<br />

28 Come segnala la O'Grady, a tale determinazione si poteva giungere sia attraverso una sistematica osservazione<br />

dell'apparente percorso solare, sia attraverso un sistematico calcolo della lunghezza delle ombre (P. O'GRADY,<br />

Thales of Miletus..., cit., pp. 147 ss.).<br />

29 La testimonianza non è riportata in Diels-Kranz; seguiamo il testo dell'e<strong>di</strong>zione G. WÖHRLE (Hrsg.), Die<br />

Milesier: Thales, Berlin, De Gruyter, 2009.<br />

30 La notizia è riferita in Eusebio <strong>di</strong> Cesarea esattamente come in Pseudo-Plutarco: si può consultare la<br />

corrispondente versione araba nella traduzione dei Placita philosophorum pseudo-plutarchei a opera <strong>di</strong> Simeone<br />

Logoteta (Th 490 Wöhrle). Nello specifico, lo stoico Posidonio (II-I secolo a.C.) e la sua scuola potrebbero aver<br />

costituito il tramite con la documentazione teofrastea (P. O'GRADY, Thales of Miletus..., cit., p. 105, nota 24).<br />

31 Insiste su questo punto (in relazione a Th 161 Wöhrle) P. O'GRADY, Thales of Miletus..., cit., pp. 95 ss..


utilizzato l'espressione terrarum orbis per riferirsi a essa. Tale possibilità è da valorizzare nel contesto<br />

della <strong>di</strong>scussione dei presunti rilievi astronomici del Milesio, perché è proprio a partire<br />

dall'osservazione dei fenomeni <strong>di</strong> eclissi (lunare) che la forma sferica più facilmente può evidenziarsi,<br />

come ci ricorda lo stesso Aristotele:<br />

Ἔτι δὲ καὶ διὰ τῶν φαινομένων κατὰ τὴν αἴσθησιν· οὔτε γὰρ ἂν αἱ τῆς σελήνης ἐκλείψεις τοιαύτας<br />

ἂν εἶχον τὰς ἀποτομάς·[...] περὶ δὲ τὰς ἐκλείψεις ἀεὶ κυρτὴν ἔχει τὴν ὁρίζουσαν γραμμήν, ὥστ’<br />

ἐπείπερ ἐκλείπει διὰ τὴν τῆς γῆς ἐπιπρόσθησιν, ἡ τῆς γῆς ἂν εἴη περιφέρεια τοῦ σχήματος αἰτία<br />

σφαιροειδὴς οὖσα<br />

si ricava anche dai fenomeni che cadono sotto i sensi: altrimenti le eclissi <strong>di</strong><br />

Luna non proporrebbero quelle sezioni : [...] in occasione delle eclissi invece presenta sempre la linea <strong>di</strong> confine curva, per cui, dal momento che l'eclissi è prodotta<br />

dall'interposizione della Terra, causa della forma <strong>di</strong> quella linea è la forma del limite della Terra, che è<br />

sferica (De caelo 297 b23-29).<br />

È quin<strong>di</strong> possibile che nella stessa opera in cui si attribuiva a Talete la tesi del galleggiamento della<br />

Terra sull'acqua (forse confondendo terra e Terra, terre emerse e corpo cosmico), fossero presenti<br />

elementi per riconoscere al Milesio una concezione della Terra che, anche alla luce delle osservazioni<br />

astronomiche più o meno unanimemente attribuitegli (orbite solari e lunari), <strong>di</strong>fficilmente può ritenersi<br />

compatibile con quella tesi e con le ingenue rappresentazioni del mito.<br />

<strong>Il</strong> <strong>modello</strong> <strong>di</strong> Anassimandro<br />

Varie in<strong>di</strong>cazioni dossografiche concorrono a riproporre, anche nel caso <strong>di</strong> Anassimandro 32 , una figura<br />

estremamente complessa, per molti versi saldandone – anche da un punto <strong>di</strong> vista biografico - impegno<br />

e interessi a quelli del concitta<strong>di</strong>no Talete:<br />

Ἀναξίμανδρος Πραξιάδου Μιλήσιος. οὗτος ἔφασκεν ἀρχὴν καὶ στοιχεῖον τὸ ἄπειρον, οὐ διορίζων<br />

ἀέρα ἢ ὕδωρ ἢ ἄλλο τι. καὶ τὰ μὲν μέρη μεταβάλλειν, τὸ δὲ πᾶν ἀμετάβλητον εἶναι. μέσην τε τὴν<br />

γῆν κεῖσθαι κέντρου τάξιν ἐπέχουσαν, οὖσαν σφαιροειδῆ (τήν τε σελήνην ψευδοφαῆ καὶ ἀπὸ ἡλίου<br />

φωτίζεσθαι, ἀλλὰ καὶ τὸν ἥλιον οὐκ ἐλάττονα τῆς γῆς καὶ καθαρώτατον πῦρ).<br />

εὗρεν δὲ καὶ γνώμονα πρῶτος καὶ ἔστησεν ἐπὶ τῶν σκιοθήρων ἐν Λακεδαίμονι, καθά φησι<br />

Φαβωρῖνος ἐν Παντοδαπῆι ἱστορίαι [fr. 27 FHG III 581], τροπάς τε καὶ ἰσημερίας σημαίνοντα καὶ<br />

ὡροσκοπεῖα κατεσκεύασε. (2) καὶ γῆς καὶ θαλάσσης περίμετρον πρῶτος ἔγραψεν, ἀλλὰ καὶ σφαῖραν<br />

κατεσκεύασε.<br />

τῶν δὲ ἀρεσκόντων αὐτῶι πεποίηται κεφαλαιώδη τὴν ἔκθεσιν, ἧι που περιέτυχεν καὶ Ἀπολλόδωρος ὁ<br />

Ἀθηναῖος [...]<br />

Anassimandro, figlio <strong>di</strong> Prassiade, <strong>milesio</strong>. Egli affermò che l'apeiron è principio ed elemento, non<br />

determinandolo però come aria o acqua o qualcos'altro; e che, mentre le parti mutano, il tutto rimane<br />

invece immutabile; che in mezzo giace la Terra, che occupa la posizione <strong>di</strong> centro, e che è sferica.<br />

Affermò poi che la Luna è luminosa solo in apparenza ed è illuminata dal Sole, ma anche che il Sole non<br />

è inferiore alla Terra quanto a <strong>di</strong>mensioni ed è fuoco purissimo.<br />

Inoltre escogitò per primo lo gnomone e lo pose presso le meri<strong>di</strong>ane a Sparta, secondo quanto afferma<br />

Favorino nella Storia varia, a in<strong>di</strong>care solstizi ed equinozi. Costruì anche strumenti per determinare l'ora<br />

[orologi]. (2) Tracciò pure per primo il <strong>peri</strong>metro <strong>di</strong> terra e mare, e ancora costruì una sfera [celeste].<br />

Delle sue opinioni ha prodotto una relazione sommaria, in cui si è imbattuto anche Apollodoro l'Ateniese<br />

[...] (Diogene Laerzio, DK 12 A1)<br />

Πραξιάδου Μιλήσιος φιλόσοφος συγγενὴς καὶ μαθητὴς καὶ διάδοχος θάλητος. πρῶτος δὲ ἰσημερίαν<br />

εὗρε καὶ τροπὰς καὶ ὡρολογεῖα, καὶ τὴν γῆν ἐν μεσαιτάτωι κεῖσθαι. γνώμονά τε εἰσήγαγε καὶ ὅλως<br />

γεωμετρίας ὑποτύπωσιν ἔδειξεν. ἔγραψε Περὶ φύσεως, Γῆς περίοδον καὶ Περὶ τῶν ἀπλανῶν καὶ<br />

Σφαῖραν καὶ ἄλλα τινά<br />

32 Per quanto riguarda la cronologia relativa <strong>di</strong> Anassimandro, secondo Diogene Laerzio (DK 12 A1.2),<br />

Apollodoro, nelle Cronologie, sosteneva che il Milesio sarebbe stato sessantaquattrenne nel 547/6 a.C. (secondo<br />

anno della 68.ma olimpiade: egli sarebbe dunque nato intorno al 611/610 a.C.), e sarebbe morto pochi anni dopo.<br />

Anassimandro, in pratica, sarebbe stato contemporaneo <strong>di</strong> Talete.


Anassimandro, figlio <strong>di</strong> Prassiade, <strong>milesio</strong>, filosofo, parente, allievo e successore <strong>di</strong> Talete. Fu il primo a<br />

scoprire gli equinozi, i solstizi e gli orologi, e ancora che la Terra giace proprio al centro. Introdusse<br />

anche lo gnomone e produsse una sintesi d'insieme della geometria. Scrisse Intorno alla natura, Sulle<br />

stelle fisse, La sfera e qualche altra opera (Suda, DK 12 A2)<br />

obliquitatem eius [sc. zo<strong>di</strong>aci] intellexisse, hoc est rerum foris aperuisse, A. Milesius tra<strong>di</strong>tur primus<br />

olympiade quinquagesima octava [...]<br />

Si tramanda che Anassimandro <strong>milesio</strong> fosse il primo – nella cinquantottesima olimpiade - a comprendere<br />

l'obliquità dello zo<strong>di</strong>aco, così aprendo la strada alla conoscenza della natura (Plinio, DK 12 A5)<br />

ἐθάρρησε πρῶτος ὧν ἴσμεν Ἑλλήνων λόγον ἐξενεγκεῖν περὶ φύσεως συγγεγραμμένον<br />

, primo dei Greci <strong>di</strong> cui abbiamo conoscenza, osò pubblicare uno scritto sulla natura<br />

(Temistio, DK 12 A7).<br />

La frequentazione del contemporaneo Talete si sarebbe dunque tradotta in una comunanza <strong>di</strong> ricerca,<br />

nella quale trovava posto anche la speculazione sull'origine <strong>di</strong> tutte le cose: è significativo, tuttavia,<br />

che le testimonianze accentuino piuttosto gli interessi e le osservazioni astronomiche <strong>di</strong><br />

Anassimandro, che avrebbero costituito la chiave <strong>di</strong> accesso alla comprensione della natura (rerum<br />

foris aperuisse).<br />

Appare particolarmente rilevante l'attenzione per la misurazione (dello spazio e del tempo) e per la<br />

configurazione dello spazio celeste: la notizia dell'ideazione e costruzione <strong>di</strong> una sfera celeste (σφαῖρα)<br />

fa supporre che il Milesio ricorresse a un uso consapevole <strong>di</strong> strumenti <strong>di</strong> osservazione della posizione<br />

solare (gnomone, orologi, che altri certamente avevano inventato prima <strong>di</strong> lui 33 ), e che la conseguente<br />

determinazione <strong>di</strong> solstizi ed equinozi si ricollegasse a precise convinzioni circa la struttura del cosmo.<br />

La tra<strong>di</strong>zione babilonese - che molti richiamano come fonte <strong>di</strong>retta dei contributi astronomici milesi -<br />

aveva infatti elaborato un'immagine emisferoidale della copertura celeste: il presunto passaggio <strong>di</strong><br />

Anassimandro al <strong>modello</strong> della σφαῖρα imponeva il problema del posizionamento e del sostegno della<br />

Terra al centro 34 .<br />

La dossografia ci informa, soprattutto, del fatto che delle proprie convinzioni scientifiche egli avrebbe<br />

prodotto almeno una sintesi, ancora <strong>di</strong>sponibile in età ellenistica 35 ; un testo περὶ φύσεως che forse<br />

accompagnava 36 e illustrava una mappa della terra che lo rese famoso nell'antichità:<br />

Ἀ. ὁ Μιλήσιος ἀκουστὴς Θαλέω πρῶτος ἐτόλμησε τὴν οἰκουμένην ἐν πίνακι γράψαι· μεθ’ ὃν<br />

Ἑκαταῖος ὁ Μιλήσιος ἀνὴρ πολυπλανὴς διηκρίβωσεν, ὥστε θαυμασθῆναι τὸ πρᾶγμα. STRABO I p. 7<br />

τοὺς πρώτους μεθ’ Ὅμηρον δύο φησὶν Ἐρατοσθένης, Ἀναξίμανδρόν τε Θαλοῦ γεγονότα γνώριμον<br />

καὶ πολίτην καὶ Ἑκαταῖον τὸν Μιλήσιον· τὸν μὲν οὖν ἐκδοῦναι πρῶτον γεωγραφικὸν πίνακα<br />

Anassimandro <strong>milesio</strong>, allievo <strong>di</strong> Talete, per primo provò a <strong>di</strong>segnare su una tavola la terra abitata. Dopo<br />

<strong>di</strong> lui, il <strong>milesio</strong> Ecateo, gran viaggiatore, precisò , così che l'opera suscitò ammirazione.<br />

(Agatemero, da Eratostene)<br />

Eratostene sostiene che i primi dopo Omero furono due: Anassimandro, allievo e concitta<strong>di</strong>no<br />

<strong>di</strong> Talete, ed Ecateo il Milesio. Anassimandro fu poi il primo a produrre una tavola geografica (Strabone,<br />

DK 12 A6).<br />

Per quanto è possibile ricostruirne i contorni, l'opera <strong>di</strong> Anassimandro doveva contenere una<br />

cosmogonia, una cosmologia, sezioni <strong>di</strong> biologia (relative all'originario sviluppo degli organismi<br />

viventi), insieme alla spiegazione <strong>di</strong> comuni fenomeni astronomici e meteorologici e all'esposizione<br />

geografica vera e propria. In questo senso doveva trattarsi effettivamente <strong>di</strong> un testo ar<strong>di</strong>to, <strong>di</strong> una<br />

sfida aperta al deposito <strong>di</strong> sapienza della tra<strong>di</strong>zione poetica. E forse proprio il suo contenuto doveva<br />

farne il prototipo del contributo περὶ φύσεως.<br />

33 ANAXIMANDRE, Fragments et Témoignages, texte grec, traduction, introduction et commentaire par M.<br />

CONCHE, Paris, Presses Universitaires de France, 1991, pp. 35-36.<br />

34 Conche in ANAXIMANDRE, Fragments et Témoignages, cit., pp. 37-38.<br />

35 Oltre che nel riferimento <strong>di</strong> Diogene ad Apollodoro, troviamo conferma della presenza dell'opera nel II secolo<br />

a.C. da una iscrizione conservata nel liceo <strong>di</strong> Taormina (riprodotta come testimonianza 3C da Gemelli Marciano<br />

in Die Vorsokratiker, cit., p. 34).<br />

36 È tesi della Gemelli Marciano (Die Vorsokratiker, cit., p. 62).


Anassimandro e il principio<br />

Solo a partire da Anassimandro, infatti, la tra<strong>di</strong>zione ha conservato elementi sufficienti per una<br />

ricostruzione meno incerta <strong>di</strong> quel <strong>modello</strong> d'indagine, sostanzialmente appoggiandosi alle Φυσικαί<br />

Δόξαι 37 <strong>di</strong> Teofrasto 38 :<br />

τῶν δὲ ἓν καὶ κινούμενον καὶ ἄπειρον λεγόντων Ἀ. μὲν Πραξιάδου Μιλήσιος Θαλοῦ γενόμενος<br />

διάδοχος καὶ μαθητὴς ἀρχήν τε καὶ στοιχεῖον εἴρηκε τῶν ὄντων τὸ ἄπειρον, πρῶτος τοῦτο<br />

τοὔνομα κομίσας τῆς ἀρχῆς. λέγει δ’ αὐτὴν μήτε ὕδωρ μήτε ἄλλο τι τῶν καλουμένων εἶναι<br />

στοιχείων, ἀλλ’ ἑτέραν τινὰ φύσιν ἄπειρον, ἐξ ἧς ἅπαντας γίνεσθαι τοὺς οὐρανοὺς καὶ τοὺς ἐν<br />

αὐτοῖς κόσμους· ἐξ ὧν δὲ ἡ γένεσίς ἐστι τοῖς οὖσι͵ καὶ τὴν φθορὰν εἰς ταῦτα<br />

γίνεσθαι κατὰ τὸ χρεών· διδόναι γὰρ αὐτὰ δίκην καὶ τίσιν ἀλλήλοις τῆς ἀδικίας<br />

κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν [B 1], ποιητικωτέροις οὕτως ὀνόμασιν αὐτὰ λέγων. δῆλον δὲ ὅτι<br />

τὴν εἰς ἄλληλα μεταβολὴν τῶν τεττάρων στοιχείων οὗτος θεασάμενος οὐκ ἠξίωσεν ἕν τι τούτων<br />

ὑποκείμενον ποιῆσαι, ἀλλά τι ἄλλο παρὰ ταῦτα· οὗτος δὲ οὐκ ἀλλοιουμένου τοῦ στοιχείου τὴν<br />

γένεσιν ποιεῖ, ἀλλ’ ἀποκρινομένων τῶν ἐναντίων διὰ τῆς ἀιδίου κινήσεως. διὸ καὶ τοῖς περὶ<br />

Ἀναξαγόραν τοῦτον ὁ Ἀριστοτέλης συνέταξεν. 150, 24 ἐναντιότητες δέ εἰσι θερμόν, ψυχρόν, ξηρόν,<br />

ὑγρόν, καὶ τὰ ἄλλα. (DK 12 A9)<br />

Tra coloro che sostengono che è uno, in movimento e illimitato, Anassimandro - figlio <strong>di</strong><br />

Prassiade, <strong>milesio</strong>, <strong>di</strong>venuto seguace e successore <strong>di</strong> Talete - <strong>di</strong>chiarò l’apeiron principio e elemento delle<br />

cose che sono, adottando per primo questo nome del «principio». Egli sostiene, in vero, che esso non sia<br />

né acqua né alcun altro <strong>di</strong> quelli che sono detti elementi, ma che sia una certa altra natura infinita, da cui<br />

originano tutti i cieli e i mon<strong>di</strong> in essi: è secondo necessità che verso le stesse cose, da cui le<br />

cose che sono hanno origine, avvenga anche la loro <strong>di</strong>struzione; esse, infatti, pagano<br />

le une alle altre pena e riscatto della colpa, secondo l’or<strong>di</strong>namento del tempo [B1],<br />

parlando <strong>di</strong> queste cose così in termini piuttosto poetici. È evidente allora che, avendo considerato la<br />

reciproca trasformazione dei quattro elementi, non ritenne adeguato porre alcuno <strong>di</strong> essi come sostrato,<br />

ma qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> essi. Egli poi non fa <strong>di</strong>scendere la generazione dall'alterazione<br />

dell’elemento, ma dalla separazione dei contrari, a causa del movimento eterno. Per questo motivo<br />

Aristotele lo ha collocato accanto ai seguaci <strong>di</strong> Anassagora. – Contrari sono caldo e freddo, secco e umido<br />

e così via.<br />

37 È possibile che con questa titolazione – presente (sia come Φυσικῶν δοξῶν in 16 libri, sia come Φυσικῶν<br />

ἐπιτομῆς in un libro) negli elenchi delle opere teofrastee riprodotti da Diogene Laerzio (Vite e dottrine dei più<br />

celebri filosofi, V.48) - ci si riferisse a una φυσικὴ ἱστορία, da tenere <strong>di</strong>stinta da una φυσικὴ ἀκροάσις, opera <strong>di</strong><br />

fisica vera e propria, ma contenente inserti dossografici: in Diogene Laerzio (V. 46) essa comparirebbe come<br />

Περὶ φυσικῶν in 18 libri, accanto a un Φυσικῶν in 8 libri. Le due ricerche erano ancora ben <strong>di</strong>stinte dal<br />

neoplatonico Prisciano (compagno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Simplicio). Sulla questione H. SCHMITZ, Anaximander und <strong>di</strong>e<br />

Anfänge dei griechischen Philosophie, Bonn, Bouvier, 1988, pp. 3 ss.: in particolare, secondo lo stu<strong>di</strong>oso,<br />

Simplicio avrebbe ricavato le proprie informazioni sulla dottrina dei principi dei pensatori arcaici per lo più dalle<br />

<strong>di</strong>gressioni <strong>di</strong> natura dossografica del primo libro (sui principi appunto) dei Φυσικά teofrastei e non dal<br />

repertorio dossografico della φυσικὴ ἱστορία. In ogni caso, le citazioni <strong>di</strong> Simplicio nel suo commento alla<br />

Fisica aristotelica rivelano come egli avesse ben presente la doppia ricerca <strong>di</strong> Teofrasto: egli si riferisce<br />

esplicitamente (115, 12) alla φυσικὴ ἱστορία attraverso il commento <strong>di</strong> Alessandro, mentre cita <strong>di</strong>rettamente<br />

(per esempio 20, 20) dal primo libro dei Φυσικά. Dal momento che abbiamo notizia, attraverso Diogene<br />

Laerzio, della presenza <strong>di</strong> varie versioni delle stesse ricerche, non è chiaro da quale fonte attingessero i propri<br />

materiali Alessandro e Simplicio: se da quella più analitica o dall'epitome. Nel recente contributo <strong>di</strong> St.A.<br />

WHITE, Milesian Measures: Time, Space, and Matter, cit., p. 111, l'autore sottolinea il contributo della<br />

Άστρολογικὴ ἱστορία dell'altro allievo <strong>di</strong> Aristotele, Eudemo, da cui, in particolare, deriverebbero, via<br />

Teofrasto, i rilievi astronomici attribuiti ad Anassimandro.<br />

38 Nel suo commento alla Fisica aristotelica, Simplicio si riferisce esplicitamente a Teofrasto (ὡς καὶ τῷ<br />

Θεοφράστῳ δοκεῖ) per introdurre l'excursus sull'ἀρχή (a partire da Talete), nella pagina che precede (23, 31) e, a<br />

proposito <strong>di</strong> Diogene <strong>di</strong> Apollonia (καὶ ταῦτα μὲν Θεόφραστος ἱστορεῖ περὶ τοῦ Διογένους), in quella<br />

successiva (25, 6). <strong>Il</strong> confronto con la tra<strong>di</strong>zione dossografica ha consentito a Diels (Doxographi Graeci) <strong>di</strong><br />

concludere che anche nel caso <strong>di</strong> Anassimandro la fonte <strong>di</strong>retta è costitutita dall'opera del <strong>peri</strong>patetico. Una<br />

vigorosa contestazione dell'attribuzione <strong>di</strong>elsiana è stata proposta da Hölscher (U. HÖLSCHER, Anaximander und<br />

<strong>di</strong>e Anfänge der Philosophie, cit., pp. 96 ss.), che ha invece riven<strong>di</strong>cato una matrice aristotelica.


La testimonianza, oltre a marcare il legame <strong>di</strong> Anassimandro con Talete, conserva la scheggia più<br />

antica della sapienza filosofica occidentale e, nel contempo, fornisce alcune informazioni interessanti.<br />

(i) Anassimandro avrebbe contribuito al lessico tecnico della ricerca introducendo – come per lo più si<br />

intende 39 - il termine ἀρχή (per altro comune nell'epica nel suo valore fondamentale <strong>di</strong> «inizio») per<br />

designare il «principio», l'«origine», la natura originaria (φύσις); ovvero – riferendo l'espressione greca<br />

πρῶτος τοῦτο τοὔνομα κομίσας τῆς ἀρχῆς a τὸ ἄπειρον (come appare più naturale) – egli sarebbe stato il<br />

primo a in<strong>di</strong>care l'«infinito/illimitato» come principio/inizio <strong>di</strong> tutte le cose (ἀρχή τῶν ὄντων τὸ<br />

ἄπειρον).<br />

Nel contesto l'uso <strong>di</strong> ἀρχή appare in<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> origine (ἐξ ἧς γίνεσθαι) sia nel senso <strong>di</strong> indefinita (almeno<br />

rispetto ai limiti della nostra es<strong>peri</strong>enza degli elementi) con<strong>di</strong>zione primor<strong>di</strong>ale (ἑτέραν τινὰ φύσιν<br />

ἄπειρον), sia in quello <strong>di</strong> sorgente <strong>di</strong> ogni ulteriore <strong>di</strong>venire: il principio, nel lessico <strong>peri</strong>patetico, è<br />

denotato come ὑποκείμενον e associato a una ἀΐδιος κίνησις.<br />

(ii) L'in<strong>di</strong>viduazione dell'ἄπειρον rappresenterebbe dunque un'opzione dettata - secondo il<br />

commentatore che riflette gli schemi <strong>peri</strong>patetici - da una chiara consapevolezza della funzione<br />

dell'ἀρχή come fondamento originario (ὑποκείμενον) della γένεσις. Simplicio, sulla scorta <strong>di</strong> Teofrasto,<br />

fa intendere come tale scelta fosse dettata dall'esigenza <strong>di</strong> riconoscere all'ἀρχή una stabilità non<br />

garantita dalle incessanti trasformazioni degli elementi (acqua, aria, fuoco, terra) della (posteriore)<br />

tra<strong>di</strong>zione. In questo senso, da un lato, la sottolineatura dell'equivalenza specifica tra ἀρχή e στοιχεῖον<br />

(termine che allude alla composizione materiale 40 ), dall'altro la sua irriducibilità a «quegli elementi»,<br />

espressa nella formula «qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> essi»(τι ἄλλο παρὰ ταῦτα).<br />

Ad analoga esigenza <strong>di</strong> stabilità sarebbe riconducibile la stessa determinazione dell'origine-elemento<br />

come τὸ ἄπειρον, secondo quanto esplicitato in una testimonianza (basata sulla stessa trasmissione<br />

teofrastea) <strong>di</strong> Aëtius: ciò che doveva fungere da ἀρχή non poteva che essere illimitatamente fecondo e<br />

produttivo:<br />

Ἀναξίμανδρος δὲ Πραξιάδου Μιλήσιός φησι τῶν ὄντων ἀρχὴν εἶναι τὸ ἄπειρον· ἐκ γὰρ τούτου<br />

πάντα γίγνεσθαι καὶ εἰς τοῦτο πάντα φθείρεσθαι. διὸ καὶ γεννᾶσθαι ἀπείρους κόσμους καὶ πάλιν<br />

φθείρεσθαι εἰς τὸ ἐξ οὗ γίγνεσθαι. λέγει γοῦν διότι ἀπέραντόν ἐστιν, ἵνα μηδὲν ἐλλείπηι ἡ γένεσις ἡ<br />

ὑφισταμένη. ἁμαρτάνει δὲ οὗτος μὴ λέγων τί ἐστι τὸ ἄπειρον, πότερον ἀήρ ἐστιν ἢ ὕδωρ ἢ γῆ ἢ ἄλλα<br />

τινὰ σώματα. ἁμαρτάνει οὖν τὴν μὲν ὕλην ἀποφαινόμενος, τὸ δὲ ποιοῦν αἴτιον ἀναιρῶν. τὸ γὰρ<br />

ἄπειρον οὐδὲν ἄλλο ἢ ὕλη ἐστίν· οὐ δύναται δὲ ἡ ὕλη εἶναι ἐνέργεια, ἐὰν μὴ τὸ ποιοῦν ὑποκέηται<br />

Anassimandro, figlio <strong>di</strong> Prassiade, <strong>milesio</strong>, sostiene che principio delle cose che sono è l'apeiron: da esso,<br />

infatti, si generano tutte le cose e in esso tutte si corrompono. Per questo motivo si formano infiniti mon<strong>di</strong><br />

e <strong>di</strong> nuovo si corrompono in ciò da cui si generano. Afferma anche perché è illimitato: affinché la<br />

generazione che ne deriva non cessi mai. Egli sbaglia, tuttavia, non <strong>di</strong>cendo che cosa sia l'apeiron, se aria<br />

o acqua o terra o qualche altro corpo. Sbaglia ancora manifestando la materia ma trascurando la causa<br />

efficiente. L'apeiron, infatti, non è altro che materia, e la materia non può essere atto, qualora sia assente<br />

l'efficiente (DK 12 A14).<br />

(iii) La generazione (γένεσις) dal principio sarebbe stata concepita non come «alterazione» dello stesso<br />

(οὐκ ἀλλοιουμένου τοῦ στοιχείου), ma come «separazione dei contrari» (ἀποκρινομένων τῶν ἐναντίων),<br />

39 Anche per il riscontro <strong>di</strong> un altro passo (150, 22) dello stesso commento simpliciano:<br />

ἐνούσας γὰρ τὰς ἐναντιότητας ἐν τῷ ὑποκειμένῳ, ἀπείρῳ ὄντι σώματι, ἐκκρίνεσθαί φησιν<br />

Ἀναξίμανδρος, πρῶτος αὐτὸς ἀρχὴν ὀνομάσας τὸ ὑποκείμενον<br />

Anassimandro, il primo a definire principio il sostrato, sostiene in effetti che i contrari - immanenti al<br />

sostrato, che è un corpo infinito - si <strong>di</strong>staccano.<br />

40 Questa la definizione aristotelica (Metafisica V, 3 1014 a26-27):<br />

στοιχεῖον λέγεται ἐξ οὗ σύγκειται πρώτου ἐνυπάρχοντος ἀδιαιρέτου τῷ εἴδει εἰς ἕτερον εἶδος<br />

elemento è detto ciò dalla cui originaria immanenza risulta composto e che è in<strong>di</strong>visibile<br />

specificamente in ulteriore specie.


effetto del «movimento eterno» (διὰ τῆς ἀιδίου κινήσεως): la precisazione è significativa, in quanto<br />

interviene evidentemente a mo<strong>di</strong>ficare il quadro complessivo delle origini offerto da Aristotele nella<br />

Metafisica. Non a caso Teofrasto collocava Anassimandro accanto ad Anassagora:<br />

καὶ ταῦτά φησιν ὁ Θεόφραστος παραπλησίως τῶι Ἀναξιμάνδρωι λέγειν τὸν Ἀναξαγόραν [...] εἰ δέ<br />

τις τὴν μίξιν τῶν ἁπάντων ὑπολάβοι μίαν εἶναι φύσιν ἀόριστον καὶ κατ’ εἶδος καὶ κατὰ μέγεθος,<br />

συμβαίνει δύο τὰς ἀρχὰς αὐτὸν λέγειν τήν τε τοῦ ἀπείρου φύσιν καὶ τὸν νοῦν· ὥστε φαίνεται τὰ<br />

σωματικὰ στοιχεῖα παραπλησίως ποιῶν Ἀναξιμάνδρωι<br />

[...] Riguardo a queste cose Teofrasto afferma anche che Anassagora si esprime in modo simile ad<br />

Anassimandro [...] se si assume che la mescolanza <strong>di</strong> tutte le cose sia un'unica natura indeterminata, e per<br />

forma e per grandezza, si è costretti a <strong>di</strong>re che i principi sono due: la natura dell'infinito e l'intelligenza.<br />

Sembra dunque che egli ponga gli elementi materiali in modo simile ad Anassimandro [...] (DK 59 A41).<br />

Dall'accostamento si evince che per Teofrasto la «natura infinita» (ἑτέρα τις φύσις ἄπειρος) che il<br />

Milesio aveva posto come inizio equivaleva a «un'unica natura indeterminata» (μία φύσις ἀόριστος),<br />

una massa in<strong>di</strong>stinta in cui l'intrinseco moto perenne avrebbe prodotto l'isolamento dei «contrari»,<br />

evidentemente contenutivi (ancorché in<strong>di</strong>scernibili).<br />

Che cos'è τὸ ἄπειρον?<br />

A che cosa si riferiva esattamente l'espressione τὸ ἄπειρον con cui Anassimandro designava l'ἀρχή?<br />

Simplicio (Commento alla Fisica, 23, 21-24, 16), sulla scorta del testo aristotelico e <strong>di</strong> Teofrasto<br />

(richiamato esplicitamente), ne introduce la trattazione all'interno <strong>di</strong> uno schema espositivo <strong>di</strong>cotomico<br />

molto chiaro:<br />

Τῶν δὲ μίαν καὶ κινουμένην λεγόντων τὴν ἀρχήν, οὓς καὶ φυσικοὺς ἰδίως καλεῖ, οἱ μὲν<br />

πεπερασμένην αὐτήν φασιν, ὥσπερ Θαλῆς μὲν Ἐξαμύου Μιλήσιος καὶ Ἵππων, ὃς δοκεῖ καὶ ἄθεος<br />

γεγονέναι, ὕδωρ ἔλεγον τὴν ἀρχὴν ἐκ τῶν φαινομένων κατὰ τὴν αἴσθησιν εἰς τοῦτο προαχθέντες<br />

[...]<br />

Ἵππασος δὲ ὁ Μεταποντῖνος καὶ Ἡράκλειτος ὁ Ἐφέσιος ἓν καὶ οὗτοι καὶ κινούμενον καὶ<br />

πεπερασμένον, ἀλλὰ πῦρ ἐποίησαν τὴν ἀρχὴν καὶ ἐκ πυρὸς ποιοῦσι τὰ ὄντα πυκνώσει καὶ μανώσει<br />

καὶ διαλύουσι πάλιν εἰς πῦρ, ὡς ταύτης μιᾶς οὔσης φύσεως τῆς ὑποκειμένης·<br />

[...]<br />

τῶν δὲ ἓν καὶ κινούμενον καὶ ἄπειρον λεγόντων Ἀ. μὲν Πραξιάδου Μιλήσιος Θαλοῦ γενόμενος<br />

διάδοχος καὶ μαθητὴς ἀρχήν τε καὶ στοιχεῖον εἴρηκε τῶν ὄντων τὸ ἄπειρον, πρῶτος τοῦτο<br />

τοὔνομα κομίσας τῆς ἀρχῆς<br />

[...]<br />

Ἀ. δὲ Εὐρυστράτου Μιλήσιος, ἑταῖρος γεγονὼς Ἀναξιμάνδρου, μίαν μὲν καὶ αὐτὸς τὴν ὑποκειμένην<br />

φύσιν καὶ ἄπειρόν φησιν ὥσπερ ἐκεῖνος, οὐκ ἀόριστον δὲ ὥσπερ ἐκεῖνος, ἀλλὰ ὡρισμένην, ἀέρα<br />

λέγων αὐτήν<br />

Tra coloro che sostengono che il principio è uno solo e in movimento, i quali chiama<br />

propriamente «fisici», alcuni affermano che esso è limitato: Talete, per esempio, <strong>di</strong> Essamio,<br />

<strong>milesio</strong>, e Ippone (che pare sia stato anche ateo) <strong>di</strong>cevano che il principio è l'acqua, spinti a ciò dalle cose<br />

che appaiono secondo la sensazione.<br />

[...]<br />

Anche Ippaso metapontino e Eraclito efesio affermavano a loro volta che è uno, in<br />

movimento e limitato, ma ponevano il fuoco come principio e dal fuoco fanno derivare le cose che sono<br />

per condensazione e rarefazione, e <strong>di</strong> nuovo le risolvono nel fuoco, come si trattasse dell'unica natura che<br />

funga da sostrato.<br />

[...]<br />

Tra coloro che sostengono che è uno, in movimento e illimitato, Anassimandro - figlio <strong>di</strong><br />

Prassiade, <strong>milesio</strong>, <strong>di</strong>venuto seguace e successore <strong>di</strong> Talete - <strong>di</strong>chiarò l’apeiron principio e elemento delle<br />

cose che sono, adottando per primo questo nome del «principio».<br />

[...]<br />

Anassimene, figlio <strong>di</strong> Euristrato, <strong>milesio</strong>, <strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong> Anassimandro, afferma, come quello, che unica e<br />

illimitata è la natura soggiacente, non indefinita, tuttavia - come sosteneva quello - ma determinata,<br />

chiamandola aria.


In quelli che Diels considerava i frr. 1 e 2 delle Φυσικῶν Δόξαι teofrastee, l'autore contrapponeva,<br />

nell'ambito dei φυσικοί sostenitori <strong>di</strong> una ἀρχή μία καὶ κινουμένη, coloro che la ritenevano πεπερασμένη<br />

e quelli che, invece, la concepivano ἄπειρος. Nel primo caso, dal contesto è evidente che la<br />

connotazione si riferisce essenzialmente alla determinatezza del principio, anche se il termine<br />

impiegato (πεπερασμένη) allude implicitamente anche alla sua finitezza. Nel secondo caso, al<br />

contrario, Simplicio è costretto a operare un'ulteriore <strong>di</strong>stinzione tra i due Milesi: per Anassimene,<br />

infatti, «l'unica natura soggiacente» (μία καὶ ὑποκειμένη φύσις) era ἄπειρος ma οὐκ ἀόριστος («non<br />

[qualitativamente] indeterminata»), bensì ὡρισμένη (determinata da un punto <strong>di</strong> vista qualitativo). In<br />

questo modo il principio <strong>di</strong> Anassimandro risultava delineato come τὸ ἄπειρον, in altri termini come<br />

intrinsecamente illimitato e indeterminato:<br />

λέγει δ’ αὐτὴν μήτε ὕδωρ μήτε ἄλλο τι τῶν καλουμένων εἶναι στοιχείων, ἀλλ’ ἑτέραν τινὰ φύσιν<br />

ἄπειρον, ἐξ ἧς ἅπαντας γίνεσθαι τοὺς οὐρανοὺς καὶ τοὺς ἐν αὐτοῖς κόσμους<br />

Egli sostiene, in vero, che esso non sia né acqua né alcun altro <strong>di</strong> quelli che sono detti elementi, ma che<br />

sia una certa altra natura infinita, da cui originano tutti i cieli e i mon<strong>di</strong> in essi.<br />

Nello sforzo <strong>di</strong> comprensione <strong>di</strong> Teofrasto, evidentemente, τὸ ἄπειρον doveva costituire per il<br />

pensatore <strong>milesio</strong> la realtà (φύσις) primor<strong>di</strong>ale (ἐξ ἧς γίνεσθαι), illimitata e indeterminata, <strong>di</strong>versa dagli<br />

«elementi» cui altri (Talete, Anassimene, Senofane, Eraclito, Empedocle, Diogene <strong>di</strong> Apollonia) si<br />

erano e si sarebbero riferiti. In considerazione del ruolo che il <strong>peri</strong>patetico riscontrava e/o riconosceva<br />

ai contrari (e dunque, in ultima analisi, agli «elementi») nella cosmogonia e nella cosmologia<br />

anassimandree, questa sua precisazione – insieme alla formula aristotelica τι ἄλλο παρὰ τὰ στοιχεῖα – è<br />

significativa almeno <strong>di</strong> un aspetto del problema: per garantire il proprio <strong>modello</strong> esplicativo,<br />

Anassimandro avrebbe introdotto una natura originaria alternativa, sostanzialmente amorfa e<br />

proteiforme, tale cioè da potersi facilmente trasformare nelle masse elementari coinvolte nei processi<br />

<strong>di</strong> formazione e strutturazione dell'universo.<br />

Teofrasto altro non aggiunge, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Aristotele, che a più riprese era tornato sulla questione,<br />

tentando <strong>di</strong> precisare ulteriormente i contorni essenziali dell'ἄπειρον:<br />

οἱ μὲν γὰρ ἓν ποιήσαντες τὸ [ὂν] σῶμα τὸ ὑποκείμενον ἢ τῶν τριῶν τι ἢ ἄλλο ὅ ἐστι πυρὸς μὲν<br />

πυκνότερον ἀέρος δὲ λεπτότερον, τἆλλα γεννῶσι πυκνότητι καὶ μανότητι πολλὰ ποιοῦντες ... οἱ δὲ<br />

ἐκ τοῦ ἑνὸς ἐνούσας τὰς ἐναντιότητας ἐκκρίνεσθαι, ὥσπερ Ἀναξίμανδρός φησι<br />

Gli uni, posto come l'essere uno il corpo che funge da sostrato, che è o uno dei tre o altro più<br />

denso del fuoco ma più rarefatto dell'aria, tutto il resto fanno generare per condensazione e rarefazione,<br />

producendo molte cose [...] Gli altri, invece, che dall'uno i contrari presenti si separino,<br />

come sostiene Anassimandro (Aristotele, Fisica I, 4 187 12; DK 12 A16)<br />

ἐπεὶ δὲ διττὸν τὸ ὄν, μεταβάλλει πᾶν ἐκ τοῦ δυνάμει ὄντος εἰς τὸ ἐνεργείᾳ ὄν [...] ὥστε οὐ μόνον<br />

κατὰ συμβεβηκὸς ἐνδέχεται γίγνεσθαι ἐκ μὴ ὄντος, ἀλλὰ καὶ ἐξ ὄντος γίγνεται πάντα, δυνάμει<br />

μέντοι ὄντος, ἐκ μὴ ὄντος δὲ ἐνεργείᾳ. καὶ τοῦτ’ ἔστι τὸ Ἀναξαγόρου ἕν· βέλτιον γὰρ ἢ "ὁμοῦ πάντα"<br />

— καὶ Ἐμπεδοκλέους τὸ μῖγμα καὶ Ἀναξιμάνδρου, καὶ ὡς Δημόκριτός φησιν "ἦν ὁμοῦ πάντα<br />

δυνάμει, ἐνεργείᾳ δ’ οὔ"<br />

Poiché due sono i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> essere, tutto muta dall’essere in potenza all’essere in atto [...] Pertanto, non<br />

solo è possibile che, accidentalmente, qualcosa derivi dal non-essere, ma, anche, che tutto derivi<br />

dall’essere: ovviamente, dall’essere in potenza e dal non essere in atto. Questo è l’uno <strong>di</strong> Anassagora:<br />

meglio del «tutto insieme», in effetti, della mescolanza <strong>di</strong> Empedocle e <strong>di</strong> Anassimandro e <strong>di</strong> quanto<br />

sostiene Democrito sarebbe: «tutte le cose erano in potenza, ma non in atto» (Aristotele, Metafisica XII, 2<br />

1069 b15-23).<br />

Per lo Stagirita l'essere del soggetto materiale (τὸ [ὂν] σῶμα τὸ ὑποκείμενον) doveva presentarsi in<br />

Anassimandro come unità originaria (ἓν) da cui si <strong>di</strong>staccano immanenti qualità contrarie (ἐκ τοῦ ἑνὸς


ἐνούσας τὰς ἐναντιότητας ἐκκρίνεσθαι): notiamo, <strong>di</strong> passaggio, come in tale interpretazione si pongano<br />

in realtà le basi per una lettura "dualistica" (e non "monistica") del contributo del Milesio 41 .<br />

I due testi propongono chiaramente τὸ ἄπειρον in funzione <strong>di</strong> sostanza/sostrato, analoga a una<br />

«mescolanza» (μῖγμα) in cui Aristotele intravede un'anticipazione della propria nozione <strong>di</strong> ὕλη. Per<br />

cercare <strong>di</strong> dar ragione della natura dell'infinito del Milesio, dunque, Aristotele è costretto a concedere<br />

che esso sia a un tempo «uno» e «mescolanza» (pluralità) 42 , determinazioni che indubbiamente<br />

sollevavano <strong>di</strong>fficoltà nell'impianto teorico della sua ricerca. Si tratta <strong>di</strong> un'interpretazione cui lo stesso<br />

Teofrasto – come sopra abbiamo segnalato – accenna rilevando la prossimità del Milesio ad<br />

Anassagora:<br />

καὶ ταῦτά φησιν ὁ Θεόφραστος παραπλησίως τῶι Ἀναξιμάνδρωι λέγειν τὸν Ἀναξαγόραν [...] εἰ δέ<br />

τις τὴν μίξιν τῶν ἁπάντων ὑπολάβοι μίαν εἶναι φύσιν ἀόριστον καὶ κατ’ εἶδος καὶ κατὰ μέγεθος [...]<br />

ὥστε φαίνεται τὰ σωματικὰ στοιχεῖα παραπλησίως ποιῶν Ἀναξιμάνδρωι<br />

Riguardo a queste cose Teofrasto afferma anche che Anassagora si esprime in modo simile ad<br />

Anassimandro [...] se si assume che la mescolanza <strong>di</strong> tutte le cose sia un'unica natura indeterminata, e per<br />

forma e per grandezza [...] Sembra dunque che egli ponga gli elementi materiali in modo simile ad<br />

Anassimandro (DK 59 A41).<br />

In altri passi in cui Aristotele potrebbe riferirsi 43 al Milesio, tuttavia, il quadro si complica:<br />

ἀλλὰ μὴν οὐδὲ ἓν καὶ ἁπλοῦν εἶναι ἐνδέχεται τὸ ἄπειρον σῶμα, οὔτε ὡς λέγουσί τινες τὸ παρὰ τὰ<br />

στοιχεῖα, ἐξ οὗ ταῦτα γεννῶσιν, οὔθ’ ἁπλῶς. εἰσὶ γάρ τινες οἳ τοῦτο ποιοῦσι τὸ ἄπειρον, ἀλλ’ οὐκ<br />

ἀέρα ἢ ὕδωρ, ὡς μὴ τἆλλα φθείρηται ὑπὸ τοῦ ἀπείρου αὐτῶν· ἔχουσι γὰρ πρὸς ἄλληλα ἐναντίωσιν,<br />

οἷον ὁ μὲν ἀὴρ ψυχρός, τὸ δ’ ὕδωρ ὑγρόν, τὸ δὲ πῦρ θερμόν· ὧν εἰ ἦν ἓν ἄπειρον, ἔφθαρτο ἂν ἤδη<br />

τἆλλα· νῦν δ’ ἕτερον εἶναί φασι, ἐξ οὗ ταῦτα<br />

Neppure è possibile però che il corpo infinito sia uno e semplice; né, come sostengono alcuni, <br />

ciò che è oltre gli elementi, da cui essi si generano, né semplicemente. Vi sono alcuni, in effetti,<br />

che pongono l'infinito in questo modo, ma non come aria o acqua, affinché le altre cose non siano<br />

<strong>di</strong>strutte dall'infinito <strong>di</strong> quelle. Essi [gli elementi] sono infatti reciprocamente contrari: l'aria, per esempio,<br />

è fredda, l'acqua è umida, il fuoco caldo. Se uno <strong>di</strong> essi fosse infinito, gli altri sarebbero subito <strong>di</strong>strutti.<br />

Affermano allora che sia <strong>di</strong>verso , e da esso questi derivino (Fisica<br />

III, 5 204 b22-29; DK 12 A16)<br />

Ἔνιοι γὰρ ἓν μόνον ὑποτίθενται, καὶ τοῦτο οἱ μὲν ὕδωρ, οἱ δ’ ἀέρα, οἱ δὲ πῦρ, οἱ δ’ ὕδατος μὲν<br />

λεπτότερον, ἀέρος δὲ πυκνότερον, ὃ περιέχειν φασὶ πάντας τοὺς οὐρανοὺς ἄπειρον ὄν. Ὅσοι μὲν οὖν<br />

τὸ ἓν τοῦτο ποιοῦσιν ὕδωρ ἢ ἀέρα ἢ ὕδατος μὲν λεπτότερον, ἀέρος δὲ πυκνότερον, εἶτ’ ἐκ τούτου<br />

μανότητι καὶ πυκνότητι τἆλλα γεννῶσιν, οὗτοι λανθάνουσιν αὐτοὶ αὑτοὺς ἄλλο τι πρότερον τοῦ<br />

στοιχείου ποιοῦντες<br />

Alcuni infatti pongono un solo : e questo gli uni sostengono sia l'acqua, altri l'aria, altri il<br />

fuoco, altri ancora qualcosa più sottile dell'acqua e più denso dell'aria, che, <strong>di</strong>cono, abbracci tutti i<br />

cieli, essendo infinito. Quanti identificano questo unico come acqua o aria o qualcosa più<br />

sottile dell'acqua e più denso dell'aria, e ne fanno poi originare tutte le altre cose per rarefazione e<br />

condensazione, costoro, senza rendersene conto, pongono qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso e <strong>di</strong> anteriore rispetto<br />

all'elemento (De caelo III, 5 303 b10-17).<br />

In questo caso, «il corpo infinito» (τὸ ἄπειρον σῶμα 44 ) è inteso non come miscuglio in cui siano<br />

presenti i componenti materiali che nel processo saranno <strong>di</strong>scriminati, bensì come qualcosa «al <strong>di</strong> là<br />

degli elementi» (τὸ παρὰ τὰ στοιχεῖα), qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinto dalle connotazioni qualitative degli<br />

elementi: l'eventuale coincidenza del «corpo infinito» con uno degli elementi avrebbe, infatti,<br />

41 Insiste particolarmente su questo punto Maddalena (Ionici, Testimonianze e frammenti, a cura <strong>di</strong> A.<br />

MADDALENA, Firenze, La Nuova Italia, 1963, p. 89).<br />

42 A intendere decisamente l'ἄπειρον in questo senso è Maddalena (Ionici, Testimonianze e frammenti, cit., p.<br />

85).<br />

43 Di <strong>di</strong>versa opinione Conche (ANAXIMANDRE, Fragments et Témoignages, cit., pp. 90-94).<br />

44 Qui, ancora, Aristotele, a <strong>di</strong>spetto della propria interpretazione dell'infinito nei «fisici» come pre<strong>di</strong>cato, insiste<br />

sulla sua natura sostanziale.


comportato la <strong>di</strong>struzione degli elementi contrari (essenziali per dar conto della molteplicità e<br />

<strong>di</strong>fferenza delle cose). Aristotele sembra pensare a una realtà "interme<strong>di</strong>a" (ὕδατος μὲν λεπτότερον,<br />

ἀέρος δὲ πυκνότερον) da cui gli stessi elementi sarebbero scaturiti, probabilmente (come risulta da De<br />

caelo) per condensazione e rarefazione 45 . In questa prospettiva, rispetto al quadro dell'es<strong>peri</strong>enza, il<br />

principio sarebbe risultato effettivamente illimitato e indeterminato.<br />

I testi, nel loro insieme, manifestano le <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> traduzione della nozione anassimandrea <strong>di</strong> τὸ<br />

ἄπειρον nella concettualità aristotelica: nella determinazione del nesso unità-pluralità, e nella<br />

definizione della sua natura (rispetto agli elementi). È improbabile che Anassimandro si fosse posto il<br />

problema della determinazione del principio rispetto a quelli che solo posteriormente si sarebbero<br />

definiti elementi: la scelta espressiva suggerisce l'opzione per una natura che potesse fungere da<br />

origine primor<strong>di</strong>ale, da cui far <strong>di</strong>scendere (razionalmente) tutto il resto; indeterminata o informe,<br />

quin<strong>di</strong>, per essere con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ogni determinazione e forma 46 . Donde il rilievo cosmogonico,<br />

riscontrato nelle testimonianze, dell'emergere (per separazione o <strong>di</strong>stacco) dei contrari dall'ἄπειρον.<br />

Dopo il confronto apparentemente tormentato <strong>di</strong> Aristotele, Teofrasto mostra <strong>di</strong> aver messo tra<br />

parentesi il problema, limitandosi a registrare il dato inelu<strong>di</strong>bile: illimitatezza e indeterminatezza<br />

(rispetto al quadro elementare) del principio. Significativo, tuttavia, dell'imbarazzo <strong>peri</strong>patetico il fatto<br />

che Aëtius, che <strong>di</strong>pende da Teofrasto, sottolinei in riferimento ad Anassimandro:<br />

ἁμαρτάνει δὲ οὗτος μὴ λέγων τί ἐστι τὸ ἄπειρον, πότερον ἀήρ ἐστιν ἢ ὕδωρ ἢ γῆ ἢ ἄλλα τινὰ<br />

σώματα<br />

Egli sbaglia, tuttavia, non <strong>di</strong>cendo che cosa sia l'apeiron, se aria o acqua o terra o qualche altro corpo (DK<br />

12 A14).<br />

L'osservazione potrebbe autorizzare la conclusione che, relativamente alla natura <strong>di</strong> τὸ ἄπειρον, o la<br />

documentazione <strong>di</strong>sponibile in ambiente <strong>peri</strong>patetico fosse nello specifico lacunosa o lo stesso Milesio<br />

fosse stato in merito evasivo. Ciò potrebbe <strong>di</strong>pendere, a sua volta, o dalla sua convinzione che la<br />

formula nominale τὸ ἄπειρον fosse comunque in sè sufficientemente illuminante (tutto quanto è<br />

definito deve scaturire da una materia primor<strong>di</strong>ale amorfa e perciò proteiforme 47 ), ovvero da una<br />

oggettiva mancanza <strong>di</strong> chiarezza nelle sue espressioni, contro cui avrebbero cozzato i tentativi<br />

<strong>peri</strong>patetici <strong>di</strong> traduzione concettuale 48 .<br />

Un aspetto dell'ἀρχή <strong>di</strong> Anassimandro che, invece, emerge limpidamente dalla tra<strong>di</strong>zione testuale e<br />

dossografica è la sua contrapposizione alla finitezza temporale degli enti coinvolti nella γένεσις: sulla<br />

indefettibile, perenne stabilità <strong>di</strong> τὸ ἄπειρον le testimonianze sono univoche. In qualche caso si tratta <strong>di</strong><br />

in<strong>di</strong>cazioni implicite:<br />

ὁ πολίτης αὐτοῦ Ἀ. τοῦ ὑγροῦ πρεσβυτέραν ἀρχὴν εἶναι λέγει τὴν ἀίδιον κίνησιν καὶ ταύτηι τὰ μὲν<br />

γεννᾶσθαι τὰ δὲ φθείρεσθα<br />

<strong>Il</strong> concitta<strong>di</strong>no <strong>di</strong> costui [Talete], Anassimandro, afferma che principio più antico dell'umido è il<br />

movimento eterno, e che da questo alcune cose sono generate, altre <strong>di</strong>strutte (Ermia, DK 12 A12)<br />

45 Che non fosse il solo Anassimene a ricorrere a tale meccanismo esplicativo è sottolineato da Simplicio che<br />

corregge Teofrasto:<br />

ἐπὶ γὰρ τούτου μόνου Θεόφραστος ἐν τῆι Ἱστορίαι τὴν μάνωσιν εἴρηκε καὶ πύκνωσιν, δῆλον<br />

δὲ ὡς καὶ οἱ ἄλλοι τῆι μανότητι καὶ πυκνότητι ἐχρῶντο<br />

Teofrasto, nel suo Stu<strong>di</strong>o, parla <strong>di</strong> rarefazione e condensazione in riferimento solo a costui [Anassimene]:<br />

è evidente, tuttavia, come anche gli altri ricorrevano a rarefazione e condensazione (DK 13 A5).<br />

46 R. MONDOLFO, Nota sulla cosmologia e la metafisica <strong>di</strong> Anassimandro, in E. ZELLER – R. MONDOLFO, La<br />

filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, cit., p. 191.<br />

47 Tale, secondo alcuni interpreti, era il <strong>di</strong>ffuso convincimento espresso nella riflessione ionica sulle origini: per<br />

questo si veda E. ZELLER – R. MONDOLFO, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, cit., p. 191.<br />

48 Questa, in ultima analisi, il sospetto cui dà voce J. BARNES, The Presocratic Philosophers, London-New York,<br />

Routledge & Kegan Paul, 1982, p. 37.


Ἀναξίμανδρος [...] φησι τῶν ὄντων ἀρχὴν εἶναι τὸ ἄπειρον· [...] λέγει γοῦν διότι ἀπέραντόν ἐστιν, ἵνα<br />

μηδὲν ἐλλείπηι ἡ γένεσις ἡ ὑφισταμένη<br />

Anassimandro [...] sostiene che principio delle cose che sono è l'illimitato [...] Sottolinea anche perché<br />

è illimitato: affinché la generazione che ne deriva non cessi mai (Aëtius, DK 12 A14)<br />

Ἀναξίμανδρος [...] ἄπειρον δὲ πρῶτος ὑπέθετο, ἵνα ἔχῃ χρῆσθαι πρὸς τὰς γενέσεις ἀφθόνως<br />

Anassimandro [...] per primo pose come infinito [illimitato], per servirsene senza risparmio<br />

nei processi <strong>di</strong> generazione (Simplicio, Commento al de Caelo 615, 13)<br />

τὸ ἄπειρον φάναι τὴν πᾶσαν αἰτίαν ἔχειν τῆς τοῦ παντὸς γενέσεώς τε καὶ φθορᾶς, ἐξ οὗ δή φησι τούς<br />

τε οὐρανοὺς ἀποκεκρίσθαι καὶ καθόλου τοὺς ἅπαντας ἀπείρους ὄντας κόσμους. ἀπεφήνατο δὲ τὴν<br />

φθορὰν γίνεσθαι καὶ πολὺ πρότερον τὴν γένεσιν ἐξ ἀπείρου αἰῶνος ἀνακυκλουμένων πάντων αὐτῶν<br />

sostenne che nell'apeiron risiede l'intera causa della generazione e della <strong>di</strong>ssoluzione dell'universo, e da<br />

quello, invero, afferma che si siano separati tutti i cieli e in generale tutti i mon<strong>di</strong>, che sono infiniti. Disse<br />

anche che la <strong>di</strong>ssoluzione, e molto prima la generazione, hanno luogo da tempo infinito, ripetendosi tutte<br />

queste cose ciclicamente (Plutarco, DK 12 A10).<br />

<strong>Il</strong> Milesio avrebbe impiegato l'espressione τὸ ἄπειρον per l'origine dei processi generativi, intendendola<br />

come riserva <strong>di</strong> movimento senza limiti <strong>di</strong> potenza e tempo (quin<strong>di</strong> inesauribile).<br />

In altri casi il rilievo dell'eternità è esplicito:<br />

οὗτος ἀρχὴν ἔφη τῶν ὄντων φύσιν τινὰ τοῦ ἀπείρου, ἐξ ἧς γίνεσθαι τοὺς οὐρανοὺς καὶ τὸν ἐν αὐτοῖς<br />

κόσμον. ταύτην δ’ ἀίδιον εἶναι καὶ ἀγήρω [B2], ἣν καὶ πάντας περιέχειν τοὺς κόσμους<br />

egli <strong>di</strong>sse che principio delle cose che sono è una certa natura dell'apeiron, da cui si generano i cieli e<br />

l'or<strong>di</strong>ne [il mondo] che è in essi. Essa è eterna e non invecchia, e inoltre circonda tutti i mon<strong>di</strong> (Ippolito,<br />

DK 12 A11).<br />

La coppia ἀίδιον καὶ ἀγήρω (le seconda formula appare originaria) riba<strong>di</strong>sce la continuità senza<br />

sca<strong>di</strong>mento del principio, mentre περιέχειν segnala l'eccendenza spaziale rispetto al sistema dei cieli<br />

ovvero ai mon<strong>di</strong>, insieme, forse, a una funzione <strong>di</strong> sostegno e controllo. Questo aspetto emerge più<br />

chiaramente in alcuni accenni aristotelici:<br />

ἓν μόνον [στοιχεῖον] [...] ὃ περιέχειν φασὶ πάντας τοὺς οὐρανοὺς ἄπειρον ὄν<br />

un solo [elemento] [...] che, sostengono, abbraccia tutti i cieli essendo infinito (Aristotele, De Caelo III, 5<br />

303 b10-13; A14 Colli)<br />

τὴν σεμνότητα κατὰ τοῦ ἀπείρου, τὸ πάντα περιέχειν καὶ τὸ πᾶν ἐν ἑαυτῷ ἔχειν<br />

la <strong>di</strong>gnità dell'apeiron: abbracciare tutte le cose e tutto tenere in sé (Aristotele, Fisica III, 6 207 a19-20;<br />

fr. 9 Mansfeld),<br />

49<br />

ma, soprattutto, in un argomento – proposto in Fisica III, 4, 203 b4 ss. - che alcuniF<br />

F suggeriscono <strong>di</strong><br />

considerare anassimandreo:<br />

εὐλόγως δὲ καὶ ἀρχὴν αὐτὸ τιθέασι πάντες· οὔτε γὰρ μάτην οἷόν τε αὐτὸ εἶναι, οὔτε ἄλλην ὑπάρχειν<br />

αὐτῷ δύναμιν πλὴν ὡς ἀρχήν· ἅπαντα γὰρ ἢ ἀρχὴ ἢ ἐξ ἀρχῆς, τοῦ δὲ ἀπείρου οὐκ ἔστιν ἀρχή· εἴη<br />

γὰρ ἂν αὐτοῦ πέρας. ἔτι δὲ καὶ ἀγένητον καὶ ἄφθαρτον ὡς ἀρχή τις οὖσα· τό τε γὰρ γενόμενον<br />

ἀνάγκη τέλος λαβεῖν, καὶ τελευτὴ πάσης ἐστὶ φθορᾶς. διὸ καθάπερ λέγομεν, οὐ ταύτης ἀρχή, ἀλλ’<br />

αὕτη τῶν ἄλλων εἶναι δοκεῖ καὶ περιέχειν ἅπαντα καὶ πάντα κυβερνᾶν, ὥς φασιν ὅσοι μὴ ποιοῦσι<br />

49 Tra gli altri M.C. STOKES, One and Many in Presocratic Philosophy, Washington, The Center for Hellenic<br />

Stu<strong>di</strong>es, 1971, pp. 29-30; G. COLLI, La sapienza greca, Volume II, Milano, Adelphi, 1978, p. 301; M. Conche<br />

(ANAXIMANDRE, Fragments et Témoignages, texte grec, traduction, introduction et commentaire par M.<br />

CONCHE, Paris, Presses Universitaires de France, 1991, pp. 58-59). CH. H. KAHN, Anaximander and The Origins<br />

of Greek Cosmology, In<strong>di</strong>anapolis (IN), Hackett, 1994 2 , pp. 43-44; W.K.C. GUTHRIE, A History of Greek<br />

Philosophy. Vol. 1. The Earlier Presocratics and the Pythagoreans, Cambridge, Cambridge University Press,<br />

1962, p. 88; G.S. KIRK, J.E. RAVEN, M. SCHOFIELD, The Presocratic Philosophers. A Critical History with a<br />

Selection of Texts, Cambridge University Press, Cambridge, 1983 2 , pp. 113-117 (tra gli altri) riconoscono la<br />

probabile genuinità anassimandrea <strong>di</strong> parte del lessico utilizzato da Aristotele.


παρὰ τὸ ἄπειρον ἄλλας αἰτίας οἶον νοῦν ἢ φιλίαν. καὶ τοῦτ’ εἶναι τὸ θεῖον· ἀθάνατον γὰρ καὶ<br />

ἀνώλεθρον [B3], ὥς φησιν ὁ Ἀναξίμανδρος καὶ οἱ πλεῖστοι τῶν φυσιολόγων<br />

Ben a ragione tutti lo [l'apeiron] considerano come principio. Non può infatti esistere invano, né avere<br />

altra capacità che quella <strong>di</strong> principio. Ogni cosa, in effetti, è o principio o [deriva] da principio;<br />

dell'apeiron però non v'è principio, dal momento che vi sarebbe un limite <strong>di</strong> esso [apeiron]. E ancora,<br />

esso, in quanto è un principio, è ingenerato e incorruttibile: è necessario, infatti, che ciò che è generato<br />

abbia una fine, e vi è un termine finale <strong>di</strong> ogni corruzione. Proprio per questo motivo <strong>di</strong>ciamo che <strong>di</strong> esso<br />

[principio] non vi sia principio, ma che sembra essere esso stesso principio <strong>di</strong> tutte le altre cose, e<br />

comprenderle [abbracciarle] tutte e tutte governarle, come affermano quanti non pongono oltre all'infinito<br />

altre cause, per esempio Intelligenza o Amore. E questo è il <strong>di</strong>vino: è infatti senza morte e senza<br />

<strong>di</strong>struzione [B3], come sostengono Anassimandro e la maggioranza degli stu<strong>di</strong>osi della natura (DK 12<br />

A15)<br />

50<br />

In effetti, il ragionamento <strong>di</strong> Aristotele – che muove da un <strong>di</strong>lemma fallaceF<br />

F – presuppone una<br />

51<br />

concezione <strong>di</strong> ἀρχή come πέρας che non appare aristotelicaF<br />

F: esso potrebbe dunque richiamare una<br />

fonte più antica.<br />

L'illimitatezza materiale e qualitativa del principio certamente si coniugava con l'assenza <strong>di</strong> termini<br />

temporali: «immortale» (ἀθάνατον) e «in<strong>di</strong>struttibile» (ἀνώλεθρον), sottolinea Aristotele,<br />

caratteristiche che rendevano τὸ ἄπειρον equivalente a «il <strong>di</strong>vino» (τὸ θεῖον); «perenne» (ἀίδιον) e<br />

«senza vecchiezza» (ἀγήρω), nella tra<strong>di</strong>zione teofrastea, in associazione a un «movimento eterno»<br />

(ἀΐδιος κίνησις). In questo senso, τὸ ἄπειρον appare nella lezione <strong>peri</strong>patetica (l'unica per noi<br />

<strong>di</strong>sponibile) senza linee estreme <strong>di</strong> spazio e tempo: in esso, al contrario, sono segnalati confini<br />

"interni" (con rilevanti implicazioni, come verificheremo). La natura-principio, infatti, sostiene e<br />

52<br />

con<strong>di</strong>ziona avvolgendo tutto (περιέχειν ἅπαντα) F<br />

F: irriducibile a mero inizio dei processi cosmogonici,<br />

la sua funzione sembra così, piuttosto, quella <strong>di</strong> fissarne i limiti (πάντας περιέχειν τοὺς κόσμους) e<br />

53<br />

regolarne gli sviluppi (καὶ πάντα κυβερνᾶν) F<br />

F.<br />

8BCosmogonia e cosmologia in Anassimandro<br />

<strong>Il</strong> principio – suggerisce Aëtius - è illimitato perché la γένεσις è incessante: in questo senso la natura<br />

originaria doveva rappresentare, come si evince dalle testimonianze, una riserva inesauribile e<br />

indeterminata per la generazione <strong>di</strong> tutte le cose. È appunto la γένεσις ad attirare l'attenzione della<br />

dossografia:<br />

μεθ’ ὃν Ἀναξίμανδρον Θάλητος ἑταῖρον γενόμενον τὸ ἄπειρον φάναι τὴν πᾶσαν αἰτίαν ἔχειν τῆς τοῦ<br />

παντὸς γενέσεώς τε καὶ φθορᾶς, ἐξ οὗ δή φησι τούς τε οὐρανοὺς ἀποκεκρίσθαι καὶ καθόλου τοὺς<br />

ἅπαντας ἀπείρους ὄντας κόσμους. ἀπεφήνατο δὲ τὴν φθορὰν γίνεσθαι καὶ πολὺ πρότερον τὴν<br />

γένεσιν ἐξ ἀπείρου αἰῶνος ἀνακυκλουμένων πάντων αὐτῶν. ὑπάρχειν δέ φησι τῶι μὲν σχήματι τὴν<br />

γῆν κυλινδροειδῆ, ἔχειν δὲ τοσοῦτον βάθος ὅσον ἂν εἴη τρίτον πρὸς τὸ πλάτος. φησὶ δὲ τὸ ἐκ τοῦ<br />

ἀιδίου γόνιμον θερμοῦ τε καὶ ψυχροῦ κατὰ τὴν γένεσιν τοῦδε τοῦ κόσμου ἀποκριθῆναι καί τινα ἐκ<br />

τούτου φλογὸς σφαῖραν περιφυῆναι τῶι περὶ τὴν γῆν ἀέρι ὡς τῶι δένδρωι φλοιόν· ἧστινος<br />

ἀπορραγείσης καὶ εἴς τινας ἀποκλεισθείσης κύκλους ὑποστῆναι τὸν ἥλιον καὶ τὴν σελήνην καὶ τοὺς<br />

ἀστέρας. ἔτι φησίν, ὅτι κατ’ ἀρχὰς ἐξ ἀλλοειδῶν ζώιων ὁ ἄνθρωπος ἐγεννήθη, ἐκ τοῦ τὰ μὲν ἄλλα<br />

δι’ ἑαυτῶν ταχὺ νέμεσθαι, μόνον δὲ τὸν ἄνθρωπον πολυχρονίου δεῖσθαι τιθηνήσεως· διὸ καὶ κατ’<br />

ἀρχὰς οὐκ ἄν ποτε τοιοῦτον ὄντα διασωθῆναι<br />

50 Nella misura in cui esclude la possibilità <strong>di</strong> principi che derivino da altri principi, come segnala Conche<br />

(ANAXIMANDRE, Fragments et Témoignages, cit., pp. 59-60).<br />

51 Su questo punto M.C. STOKES, One and Many in Presocratic Philosophy, cit., pp. 29-30.<br />

52 Schmitz suggerisce che anche περιέχειν possa considerarsi - con ἀθάνατον καὶ ἀνώλεθρον – termine<br />

anassimandreo (H. SCHMITZ, Anaximander und <strong>di</strong>e Anfänge dei griechischen Philosophie, cit., p. 29).<br />

53 Come rileva Daniel Babut (D. BABUT, Le <strong>di</strong>vin et les <strong>di</strong>eux dans la pensée d'Anaximandre, in "Revue des<br />

Etudes grecques", LXXXV, n. 404-405, 1972, p. 8) la costruzione greca (καὶ περιέχειν ἅπαντα καὶ πάντα<br />

κυβερνᾶν) suggerisce la ripresa <strong>di</strong> una formula importante (nello stile degli inni) che potrebbe risalire al testo <strong>di</strong><br />

Anassimandro.


Dopo <strong>di</strong> lui [Talete], <strong>di</strong>cono che Anassimandro, <strong>di</strong>venuto seguace <strong>di</strong> Talete, sostenne che nell'apeiron<br />

risiede l'intera causa della generazione e della <strong>di</strong>ssoluzione dell'universo, e da quello, invero, afferma che<br />

si siano separati tutti i cieli e in generale tutti i mon<strong>di</strong>, che sono infiniti. Disse anche che la <strong>di</strong>ssoluzione, e<br />

molto prima la generazione, hanno luogo da tempo infinito, ripetendosi tutte queste cose ciclicamente.<br />

Per quanto riguarda la figura, egli <strong>di</strong>ce che la Terra è <strong>di</strong> forma cilindrica, e ha un'altezza che sarebbe un<br />

terzo della sua larghezza. Sostiene anche che ciò che, derivato dall’eterno, è produttivo <strong>di</strong> caldo e freddo<br />

fu separato alla generazione <strong>di</strong> questo mondo, e da esso una sfera <strong>di</strong> fiamma si sviluppò intorno all'aria<br />

che circonda la Terra, come la scorza intorno all'albero. Essendosi questa spezzata e racchiusi in certi cerchi, si formarono il Sole, la Luna e gli astri. (Pseudo-Plutarco, DK 12<br />

A10).<br />

Θαλοῦ τοίνυν Ἀναξίμανδρος γίνεται ἀκροατής. Ἀ. Πραξιάδου Μιλήσιος· οὗτος ἀρχὴν ἔφη τῶν ὄντων<br />

φύσιν τινὰ τοῦ ἀπείρου, ἐξ ἧς γίνεσθαι τοὺς οὐρανοὺς καὶ τὸν ἐν αὐτοῖς κόσμον. ταύτην δ’ ἀίδιον<br />

εἶναι καὶ ἀγήρω [B 2], ἣν καὶ πάντας περιέχειν τοὺς κόσμους. λέγει δὲ χρόνον ὡς ὡρισμένης τῆς<br />

γενέσεως καὶ τῆς οὐσίας καὶ τῆς φθορᾶς. οὗτος μὲν ἀρχὴν καὶ στοιχεῖον εἴρηκε τῶν ὄντων τὸ<br />

ἄπειρον, πρῶτος τοὔνομα καλέσας τῆς ἀρχῆς. πρὸς δὲ τούτωι κίνησιν ἀίδιον εἶναι, ἐν ἧι συμβαίνει<br />

γίνεσθαι τοὺς οὐρανούς.<br />

Anassimandro dunque fu studente <strong>di</strong> Talete. Anassimandro, figlio <strong>di</strong> Prassiade, <strong>milesio</strong>: egli <strong>di</strong>sse che<br />

principio delle cose che sono è una certa natura dell'apeiron, da cui si generano i cieli e l'or<strong>di</strong>ne [il<br />

mondo] che è in essi. Essa è eterna e non invecchia, e inoltre circonda tutti i mon<strong>di</strong>. <br />

parla poi del tempo in quanto la generazione, l'esistenza e la <strong>di</strong>ssoluzione risultato ben delimitate. Egli<br />

affermò che principio ed elemento delle cose che sono è l'apeiron, impiegando per primo il nome <strong>di</strong><br />

"principio". Oltre a ciò che è eterno il movimento da cui sorgono i cieli. [...] (Ippolito, DK 12<br />

A11).<br />

Incrociando le testimonianze (la fonte comune <strong>di</strong> Aëtius, Ippolito, Pseudo-Plutarco e Simplicio rimane<br />

54<br />

– ricor<strong>di</strong>amolo ancora - in ultima analisi TeofrastoF<br />

F) possiamo ricavare un quadro sommario del<br />

<strong>modello</strong> elaborato da Anassimandro.<br />

16BLe tappe cosmogoniche<br />

(i) All'origine – come sappiamo - è posta una «natura infinita» (φύσις τις ἄπειρος ovvero τοῦ ἀπείρου)<br />

55<br />

<strong>di</strong> cui è sottolineato soprattutto l'indefettibile durare (ἀίδιον καὶ ἀγήρω)F<br />

F: affinché la generazione non<br />

venga a mancare, la sua scaturigine deve essere inesauribile, la sua vitalità illimitata. Un punto<br />

confermato da un'osservazione aristotelica circa le ragioni che spingono ad ammettere un principio<br />

infinito:<br />

τοῦ δ’ εἶναί τι ἄπειρον ἡ πίστις ἐκ πέντε μάλιστ’ ἂν συμβαίνοι σκοποῦσιν, [...] ἔτι τῷ οὕτως ἂν<br />

μόνως μὴ ὑπολείπειν γένεσιν καὶ φθοράν, εἰ ἄπειρον εἴη ὅθεν ἀφαιρεῖται τὸ γιγνόμενον<br />

La convinzione che esista un infinito risulterebbe supportata in particolare da cinque ragioni: [...] e ancora<br />

dal fatto che solo così generazione e corruzione non vengono a mancare, se vi sia un infinito da cui si<br />

<strong>di</strong>stacchi ciò che è generato (Fisica III, 4 203 b15-20).<br />

<strong>Il</strong> riferimento a γένεσις e φθορά e al «<strong>di</strong>staccarsi» (ἀφαιρεῖσθαι) dall'infinito potrebbe effettivamente<br />

alludere a un para<strong>di</strong>gma cosmogonico cui Anassimandro sembra aver contribuito in modo decisivo:<br />

in<strong>di</strong>cativo il fatto che Pseudo-Plutarco gli attribuisca esplicitamente la convinzione che l'ἄπειρον sia<br />

«causa totale <strong>di</strong> ogni generazione» (τὸ ἄπειρον φάναι τὴν πᾶσαν αἰτίαν ἔχειν τῆς τοῦ παντὸς γενέσεως).<br />

54 CH. H. KAHN, Anaximander and The Origins of Greek Cosmology, cit., pp. 12-17.<br />

55<br />

Secondo Hölscher (U. HÖLSCHER, Anaximander und <strong>di</strong>e Anfänge der Philosophie, cit., p. 107),<br />

nell'espressione τὸ ἐκ τοῦ ἀιδίου γόνιμον - impiegata da Pseudo Plutarco - τὸ ἀίδιον appare equivalente a<br />

ἀθάνατον καὶ ἀνώλεθρον.


(ii) La γένεσις da tale natura (ἐξ ἧς) appare come effetto <strong>di</strong> un movimento eterno (διὰ τῆς ἀιδίου<br />

κινήσεως), dunque <strong>di</strong> una κίνησις intrinseca all'ἄπειρον stesso, <strong>di</strong> un moto primor<strong>di</strong>ale, che esprime la<br />

56<br />

potenza attiva, produttiva del principioF<br />

F:<br />

καὶ τὴν κίνησιν ἀίδιον ἔλεγον· ἄνευ γὰρ κινήσεως οὐκ ἔστι γένεσις ἢ φθορά<br />

[i seguaci <strong>di</strong> Anassimandro, Leucippo, Democrito e più tar<strong>di</strong> <strong>di</strong> Epicuro] sostennero che il movimento è<br />

eterno: poiché senza movimento non c'è generazione e corruzione (Simplicio, DK 12 A17).<br />

Nell'ottica <strong>peri</strong>patetica della tra<strong>di</strong>zione, al Milesio si contestava il fatto <strong>di</strong> non aver adeguatamente<br />

determinato la «materia» (ἡ ὕλη) e la «causa efficiente» (τὸ ποιοῦν αἴτιον): interessante che, come nel<br />

caso dell'ἄπειρον, anche in quello del moto Teofrasto non abbia garantito dettagli alla successiva<br />

dossografia. A testimoniare, probabilmente, una specifica indeterminatezza del resoconto <strong>di</strong><br />

Anassimandro. Aristotele, tuttavia, fornisce un'in<strong>di</strong>cazione utile a comprendere a quale moto potesse<br />

57<br />

riferirsi AnassimandroF<br />

F:<br />

ὥστ’ εἰ βίᾳ νῦν ἡ γῆ μένει, καὶ συνῆλθεν ἐπὶ τὸ μέσον φερομένη διὰ τὴν δίνησιν· ταύτην γὰρ τὴν<br />

αἰτίαν πάντες λέγουσιν ἐκ τῶν ἐν τοῖς ὑγροῖς καὶ περὶ τὸν ἀέρα συμβαινόντων· ἐν τούτοις γὰρ ἀεὶ<br />

φέρεται τὰ μείζω καὶ βαρύτερα πρὸς τὸ μέσον τῆς δίνης. Διὸ δὴ τὴν γῆν πάντες ὅσοι τὸν οὐρανὸν<br />

γεννῶσιν, ἐπὶ τὸ μέσον συνελθεῖν φασίν<br />

Così, se per costrizione ora la Terra rimane immobile, fu anche riunita al centro,<br />

trasportata dal vortice. Questa è, in effetti, la causa che tutti sostengono, a partire da quanto accade nei<br />

liqui<strong>di</strong> e nell'aria: in essi, infatti, le cose più gran<strong>di</strong> e più pesanti sempre sono portate verso il centro del<br />

vortice. Per questo, in verità, tutti quanti attribuiscono un'origine al cielo [all'universo] affermano che la<br />

Terra si è riunita al centro (De caelo II, 13 295 a9-14).<br />

Pur trattandosi <strong>di</strong> un rilievo generale, l'attribuzione <strong>di</strong> quella specifica modalità <strong>di</strong>namica (ταύτην τὴν<br />

αἰτίαν πάντες λέγουσιν) all'insieme degli autori <strong>di</strong> cosmogonie è riba<strong>di</strong>ta in poche righe, quasi a<br />

marcare l'esistenza <strong>di</strong> un vero e proprio <strong>modello</strong> comune.<br />

In alternativa, possiamo ricavare in<strong>di</strong>zi dal Timeo platonico: prospettando, infatti, i caratteri<br />

dell'originaria matrice materiale (prima dell'intervento <strong>di</strong>spositivo del demiurgo), Platone associa<br />

all'intrinseco <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne un confuso moto agitatorio che, con i propri sussulti, contribuisce a <strong>di</strong>stinguere<br />

gli elementi nel caos primor<strong>di</strong>ale:<br />

τὰ τέτταρα γένη σειόμενα ὑπὸ τῆς δεξαμενῆς, κινουμένης αὐτῆς οἷον ὀργάνου σεισμὸν παρέχοντος<br />

i quattro elementi, scossi dal ricettacolo, a sua volta mosso come strumento che scuote (Timeo 53a).<br />

In questo caso, a far riflettere l'interprete <strong>di</strong> Anassimandro è lo schema adottato, che contempla, con<br />

un movimento analogo a quello del setaccio o del vaglio, una prima operazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>scriminazione dei<br />

successivi "mattoni" della costruzione cosmica dall'unità in<strong>di</strong>stinta del principio.<br />

Riba<strong>di</strong>ta l'assenza <strong>di</strong> esplicite testimonianze in merito, la tra<strong>di</strong>zione cosmogonica antica - dalle<br />

teogonie orfiche a Lucrezio - potrebbe suggerire, riguardo alla ἀΐδιος κίνησις, un'ipotesi interpretativa<br />

58<br />

più articolata, ispirata al quadro arcaico <strong>di</strong> un Chaos turbolento e tempestosoF<br />

F. È possibile che<br />

Anassimandro <strong>di</strong>stinguesse tra un indefinito moto originario, precosmico, espressione della<br />

primor<strong>di</strong>ale vitalità del principio, e il vero e proprio movimento cosmogonico, sostanzialmente<br />

59<br />

coincidente con la δίνησις cui accenna AristoteleF<br />

F.<br />

(iii) Effetto <strong>di</strong> tale moto sarebbe stata appunto una «separazione» (ἀπόκρισις) ovvero un'«espulsione»<br />

(ἔκκρισις): <strong>di</strong> che cosa? Pseudo-Plutarco su questo punto fondamentale fornisce un'in<strong>di</strong>cazione<br />

approssimativa:<br />

56 Su questo punto insiste molto nella sua interpretazione Conche (ANAXIMANDRE, Fragments et Témoignages,<br />

cit., pp. 146 ss.): egli rende ἐξ ἀπείρου αἰῶνος <strong>di</strong> Pseudo Plutarco come «a partir de la force vitale infinie» (p.<br />

138).<br />

57 Sulla questione E. ZELLER – R. MONDOLFO, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, cit., pp. 193 ss..<br />

58 E. ZELLER – R. MONDOLFO, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, cit. pp. 195-196.<br />

59 È la tesi <strong>di</strong> W.A. HEIDEL, On Anaximander, in "Classical Philology", VII, 1912, pp. 212-234.


φησὶ δὲ τὸ ἐκ τοῦ ἀιδίου γόνιμον θερμοῦ τε καὶ ψυχροῦ κατὰ τὴν γένεσιν τοῦδε τοῦ κόσμου<br />

ἀποκριθῆναι<br />

Sostiene anche che ciò che, derivato dall’eterno, è produttivo <strong>di</strong> caldo e freddo fu separato alla<br />

generazione <strong>di</strong> questo mondo,<br />

60<br />

introducendo il riferimento a una sorta <strong>di</strong> "embrione" cosmicoF<br />

F (τὸ γόνιμον), capace <strong>di</strong> generare la<br />

61<br />

polarità fondamentale <strong>di</strong> «caldo e freddo» (θερμοῦ τε καὶ ψυχροῦ), i «contrari» (ἐναντιότητες)F<br />

F.<br />

In<strong>di</strong>cazione sostanzialmente confermata nella tra<strong>di</strong>zione <strong>peri</strong>patetica:<br />

οἱ δ’ ἐκ τοῦ ἑνὸς ἐνούσας τὰς ἐναντιότητας ἐκκρίνεσθαι, ὥσπερ Ἀναξίμανδρός φησι<br />

Alcuni credono che dall'uno si <strong>di</strong>stacchino le contrarietà in esso immanenti, come sostiene Anassimandro<br />

(Aristotele, Fisica I, 4 187 a20-21; DK 12 A9)<br />

ἐνούσας γὰρ τὰς ἐναντιότητας ἐν τῷ ὑποκειμένῳ, ἀπείρῳ ὄντι σώματι, ἐκκρίνεσθαί φησιν<br />

Ἀναξίμανδρος<br />

Anassimandro sostiene in effetti che i contrari - immanenti al sostrato, che è un corpo infinito - si<br />

<strong>di</strong>staccano (Simplicio, DK 12 A9)<br />

οὗτος δὲ οὐκ ἀλλοιουμένου τοῦ στοιχείου τὴν γένεσιν ποιεῖ, ἀλλ’ ἀποκρινομένων τῶν ἐναντίων διὰ<br />

τῆς ἀιδίου κινήσεως<br />

Egli poi non fa <strong>di</strong>scendere la generazione dall'alterazione dell’elemento, ma dalla separazione dei<br />

contrari, a causa del movimento eterno (Simplicio, DK 12 A9).<br />

Da un punto <strong>di</strong> vista lessicale, nelle testimonianze ἔκκρισις e ἐκκρίνεσθαι presuppongono<br />

concettualmente l'immanenza dei contrari nell'ἄπειρον e dunque designano la mera eiezione <strong>di</strong> quanto<br />

già presente «nel sostrato» (ἐν τῷ ὑποκειμένῳ); ἀποκρίνεσθαι, invece, soprattutto nell'attestazione<br />

pseudo-plutarchea, sembra piuttosto denotare l'isolarsi e il separarsi dal principio <strong>di</strong> quanto è in grado<br />

<strong>di</strong> generare (τὸ γόνιμον) caldo e freddo.<br />

<strong>Il</strong> primo sviluppo all'interno dell'illimitata natura primor<strong>di</strong>ale (a essa si riferisce probabilmente la<br />

formula pseudo-plutarchea ἐκ τοῦ ἀιδίου), attivato dalla sua immanente motilità, è stata dunque una<br />

sorta la <strong>di</strong>scriminazione/secrezione dei veri e propri "attori" del processo cosmogonico, in<strong>di</strong>cati, nel<br />

lessico <strong>peri</strong>patetico, come i «contrari», probabilmente isolati all'interno <strong>di</strong> un nucleo (τὸ γόνιμον),<br />

ovvero da esso imme<strong>di</strong>atamente prodotti.<br />

(iv) Dall'interazione dei due contrari all'interno <strong>di</strong> tale nucleo (e forse dalla <strong>di</strong>namica vorticosa loro<br />

impressa) sarebbero derivate le prime fasi del vero e proprio processo cosmogonico:<br />

(a) il γόνιμον si sarebbe internamente scisso in un "nocciolo" freddo-umido, più pesante e oscuro, e in<br />

una fascia avvolgente caldo-secca (φλόξ), più leggera e luminosa;<br />

(b) l'azione della fiamma sul nocciolo condensato (una massa in cui terra e acqua erano ancora<br />

confuse) avrebbe prodotto la formazione (probabilmente per evaporazione) <strong>di</strong> una fascia interme<strong>di</strong>a, <strong>di</strong><br />

densa bruma (ἀήρ):<br />

τὸ ἐκ τοῦ ἀιδίου γόνιμον θερμοῦ τε καὶ ψυχροῦ κατὰ τὴν γένεσιν τοῦδε τοῦ κόσμου ἀποκριθῆναι καί<br />

τινα ἐκ τούτου φλογὸς σφαῖραν περιφυῆναι τῶι περὶ τὴν γῆν ἀέρι ὡς τῶι δένδρωι φλοιόν<br />

60 Si è voluto vedere in questo motivo l'eco <strong>di</strong> una possibile influenza delle teo-cosmogonie orfiche: <strong>di</strong> recente,<br />

per esempio, A. BERNABÉ, Orphisme et Présocratiques: bilan et prospectives d'un <strong>di</strong>alogue complexe, in A.<br />

LAKS, C. LOUGUET (eds), Qu’est-ce que la philosophie présocratique? What is Presocratic Philosophy?,<br />

Villeneuve d’Ascq, Presses Universitaires du Septentrion, 2002, p. 215. Ma è possibile anche ipotizzare<br />

un'influenza al contrario: in altre parole il <strong>modello</strong> <strong>di</strong> Anassimandro potrebbe aver inciso sull'elaborazione delle<br />

cosmogonie orfiche che ruotavano intorno all'idea <strong>di</strong> un originario uovo cosmico (e la cui circolazione nel V sec.<br />

a.C. in Atene è attestata dagli Uccelli <strong>di</strong> Aristofane).<br />

61 Hölscher (U. HÖLSCHER, Anaximander und <strong>di</strong>e Anfänge der Philosophie, cit., p. 109) sottolinea come in<br />

Anassimandro la funzione <strong>di</strong> contrari dovesse essere ricoperta non dalle qualità caldo-freddo, piuttosto dai due<br />

elementi citati nel contesto: fuoco e aria.


ciò che, derivato dall’eterno, è produttivo <strong>di</strong> caldo e freddo fu separato alla generazione <strong>di</strong> questo mondo,<br />

e da esso una sfera <strong>di</strong> fiamma si sviluppò intorno all'aria che circonda la Terra, come la scorza intorno<br />

all'albero (Pseudo-Plutarco, DK 12 A10).<br />

A quel punto, nel potenziale germe cosmico, si erano ormai definite, tra centro e <strong>peri</strong>feria, tre regioni,<br />

sostanzialmente omogenee per densità decrescente: decisiva doveva risultare l'efficacia esplicativa<br />

dell'opposizione <strong>di</strong> base caldo-freddo, tradotta in pratica nella <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> masse elementari;<br />

(c) la crescita (φύσις) e la conseguente espansione delle fasce più interne della struttura, forse con il<br />

contributo del moto vorticoso, avrebbero poi prodotto la frantumazione (esplosione) della corteccia <strong>di</strong><br />

fuoco: ne sarebbero derivati cerchi infuocati - frammenti dell'involucro - avvolti in anelli d'aria: gli<br />

astri sarebbero solo la parte visibile (attraverso aperture negli anelli contenenti) <strong>di</strong> quel fuoco:<br />

ἧστινος ἀπορραγείσης καὶ εἴς τινας ἀποκλεισθείσης κύκλους ὑποστῆναι τὸν ἥλιον καὶ τὴν σελήνην<br />

καὶ τοὺς ἀστέρας<br />

essendosi questa spezzata e racchiusi in certi cerchi, si formarono il Sole, la<br />

Luna e gli astri (Pseudo-Plutarco, DK 12 A10)<br />

Ἀ. [sc. τὰ ἄστρα εἶναι] πιλήματα ἀέρος τροχοειδῆ, πυρὸς ἔμπλεα, κατά τι μέρος ἀπὸ στομίων<br />

ἐκπνέοντα φλόγας<br />

Per Anassimandro sono ispessimenti [compressioni] d'aria a forma <strong>di</strong> ruota, ripieni <strong>di</strong> fuoco,<br />

che da certe aperture in qualche punto soffiano fuori fiamme (Aëtius, DK 12 A18)<br />

τὰ δὲ ἄστρα γίνεσθαι κύκλον πυρός, ἀποκριθέντα τοῦ κατὰ τὸν κόσμον πυρός, περιληφθέντα δ’ ὑπὸ<br />

ἀέρος. ἐκπνοὰς δ’ ὑπάρξαι πόρους τινὰς αὐλώδεις, καθ’ οὓς φαίνεται τὰ ἄστρα· διὸ καὶ<br />

ἐπιφρασσομένων τῶν ἐκπνοῶν τὰς ἐκλείψεις γίνεσθαι<br />

Gli astri hanno origine come cerchio infuocato, che si è <strong>di</strong>staccato dal fuoco cosmico ed è circondato<br />

dall'aria. Vi sono alcuni passaggi <strong>di</strong> sfogo per il soffio, a forma <strong>di</strong> canna, per i quali si mostrano gli astri.<br />

Per questo motivo, quando sono occlusi gli sfoghi, si verificano le eclissi (Ippolito, DK 12 A11);<br />

(d) dalla costante azione del calore (del Sole) sul nocciolo condensato e del vortice sugli elementi<br />

sarebbe infine derivata la separazione <strong>di</strong> terraferma e mare:<br />

εἶναι γὰρ τὸ πρῶτον ὑγρὸν ἅπαντα τὸν περὶ τὴν γῆν τόπον, ὑπὸ δὲ τοῦ ἡλίου ξηραινόμενον τὸ μὲν<br />

διατμίσαν πνεύματα καὶ τροπὰς ἡλίου καὶ σελήνης φασὶ ποιεῖν, τὸ δὲ λειφθὲν θάλατταν εἶναι· διὸ<br />

καὶ ἐλάττω γίνεσθαι ξηραινομένην οἴονται καὶ τέλος ἔσεσθαί ποτε πᾶσαν ξηράν<br />

Affermano che tutto lo spazio intorno alla Terra fosse umido, che fu poi prosciugato dal Sole e che<br />

l'evaporazione produsse i venti e le rivoluzioni <strong>di</strong> Sole e Luna, mentre quanto rimasto fu mare. Perciò<br />

credono anche che , prosciugandosi, <strong>di</strong>verrà più piccolo e che alla fine sarà tutto secco<br />

(Aristotele, Meteorologica II, 1 353 b6; DK 12 A27)<br />

οἱ μὲν γὰρ αὐτῶν ὑπόλειμμα λέγουσιν εἶναι τὴν θάλασσαν τῆς πρώτης ὑγρότητος· ὑγροῦ γὰρ ὄντος<br />

τοῦ περὶ τὴν γῆν τόπου κἄπειτα τὸ μέν τι τῆς ὑγρότητος ὑπὸ τοῦ ἡλίου ἐξατμίζεσθαι καὶ γίνεσθαι<br />

πνεύματά τε ἐξ αὐτοῦ καὶ τροπὰς ἡλίου τε καὶ σελήνης ὡς διὰ τὰς ἀτμίδας ταύτας καὶ τὰς<br />

ἀναθυμιάσεις κἀκείνων τὰς τροπὰς ποιουμένων, ἔνθα ἡ ταύτης αὐτοῖς χορηγία γίνεται, περὶ ταῦτα<br />

τρεπομένων· τὸ δέ τι αὐτῆς ὑπολειφθὲν ἐν τοῖς κοίλοις τῆς γῆς τόποις θάλασσαν εἶναι· διὸ καὶ<br />

ἐλάττω γίνεσθαι ξηραινομένην ἑκάστοτε ὑπὸ τοῦ ἡλίου καὶ τέλος ἔσεσθαί ποτε ξηράν· ταύτης τῆς<br />

δόξης ἐγένετο, ὡς ἱστορεῖ Θεόφραστος, Ἀναξίμανδρός τε καὶ Διογένης<br />

Alcuni <strong>di</strong> loro <strong>di</strong>cono che il mare sia quel che resta dell'umi<strong>di</strong>tà originaria. Essendo infatti umido il luogo<br />

intorno alla Terra, una parte dell'umi<strong>di</strong>tà fu fatta evaporare dal Sole e ne derivarono i venti e le<br />

rivoluzioni <strong>di</strong> Sole e Luna, perché anche questi fanno le loro rivoluzioni a causa <strong>di</strong> tali evaporazioni e<br />

esalazioni, muovendosi in quei luoghi dove trovino grande abbondanza <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà. La parte rimasta nelle<br />

cavità della terra, invece, affermano sia mare. Perciò sostengono anche che il mare <strong>di</strong>venti più piccolo,<br />

prosciugato sempre più dal Sole, e che alla fine sarà asciutto. Di questa opinione, come attesta Teofrasto,<br />

erano sia Anassimandro, sia Diogene (Alessandro, DK 12 A27)<br />

Ἀ. τὴν θάλασσάν φησιν εἶναι τῆς πρώτης ὑγρασίας λείψανον, ἧς τὸ μὲν πλεῖον μέρος ἀνεξήρανε τὸ<br />

πῦρ, τὸ δὲ ὑπολειφθὲν διὰ τὴν ἔκκαυσιν μετέβαλεν


F ad<br />

Anassimandro afferma che il mare è quanto rimasto dell'umi<strong>di</strong>tà originaria, <strong>di</strong> cui il più è stato<br />

prosciugato dal fuoco, la parte rimanente si è trasformata per ebollizione (Aëtius, DK 12 A27).<br />

È possibile intravedere dalle testimonianze, che puntano anche esplicitamente sul Milesio, non solo la<br />

processualità del <strong>modello</strong>, ma anche la sua relativa complicazione: è evidente, infatti, come Aristotele<br />

e la tra<strong>di</strong>zione <strong>peri</strong>patetica in questo caso incrocino la vaporizzazione - effetto dell'azione del fuoco<br />

cosmico sul nucleo umido e freddo - e il moto vorticoso, che doveva dar conto delle rivoluzioni<br />

celesti, anche se non ne risultano chiaramente determinati i contorni e le modalità.<br />

17BInfiniti mon<strong>di</strong>?<br />

Al contesto <strong>di</strong> sviluppo del nucleo originariamente isolatosi dalla natura illimitata dobbiamo<br />

ricondurre anche le in<strong>di</strong>cazioni sui «mon<strong>di</strong> infiniti» (ἀπείρους κόσμους):<br />

τὸ ἄπειρον φάναι τὴν πᾶσαν αἰτίαν ἔχειν τῆς τοῦ παντὸς γενέσεώς τε καὶ φθορᾶς, ἐξ οὗ δή φησι τούς<br />

τε οὐρανοὺς ἀποκεκρίσθαι καὶ καθόλου τοὺς ἅπαντας ἀπείρους ὄντας κόσμους<br />

sostenne che nell'apeiron risiede l'intera causa della generazione e della <strong>di</strong>ssoluzione dell'universo, e da<br />

quello, invero, afferma che si siano separati tutti i cieli e in generale tutti i mon<strong>di</strong>, che sono infiniti<br />

(Pseudo-Plutarco, DK 12 A10)<br />

οὗτος ἀρχὴν ἔφη τῶν ὄντων φύσιν τινὰ τοῦ ἀπείρου, ἐξ ἧς γίνεσθαι τοὺς οὐρανοὺς καὶ τὸν ἐν αὐτοῖς<br />

κόσμον<br />

egli <strong>di</strong>sse che principio delle cose che sono è una certa natura dell'apeiron, da cui si generano i cieli e<br />

l'or<strong>di</strong>ne [il mondo] che è in essi (Ippolito, DK 12 A11)<br />

Ἀ. [...] ἀρχήν [...] εἴρηκε τῶν ὄντων τὸ ἄπειρον [...], ἐξ ἧς ἅπαντας γίνεσθαι τοὺς οὐρανοὺς<br />

καὶ τοὺς ἐν αὐτοῖς κόσμους<br />

Anassimandro [...] <strong>di</strong>chiarò l’apeiron principio [...] delle cose che sono [...], da cui originano tutti i cieli e<br />

i mon<strong>di</strong> in essi (Simplicio, DK 12 A9).<br />

L'impressione è che l'informazione relativa alla pluralità dei cieli, indubbiamente ricavata dalla<br />

62<br />

comune risorsa teofrasteaF<br />

F, non dovesse risultare del tutto perspicua a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> secoli. Le<br />

in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> Simplicio (ἅπαντας τοὺς οὐρανοὺς καὶ τοὺς ἐν αὐτοῖς κόσμους), Pseudo-Plutarco (τούς<br />

οὐρανοὺς καὶ τοὺς ἅπαντας ἀπείρους ὄντας κόσμους) e Ippolito (τοὺς οὐρανοὺς καὶ τὸν ἐν αὐτοῖς κόσμον)<br />

– con la loro oscillazione tra κόσμους e κόσμον e l'incrocio con οὐρανοὺς - potrebbero risultare da un<br />

frainten<strong>di</strong>mento della fonte testuale, che alludeva forse alla struttura cosmica, alla produzione, cioè, <strong>di</strong><br />

«anelli» cosmici (κύκλοι) – costituiti dai residui della fiamma originariamente avvolgente, racchiusi,<br />

come in una intercape<strong>di</strong>ne, da cerchi <strong>di</strong> ἀήρ - e al loro or<strong>di</strong>namento interno (l'uso <strong>di</strong> κόσμος in questa<br />

63<br />

accezione troverebbe conferma nel trattato ippocratico De Hebdoma<strong>di</strong>busF<br />

F, la cui parte cosmologica<br />

64<br />

potrebbe risalire al VI secolo a.C.). In questo senso si è attribuitaF Anassimandro la <strong>di</strong>stinzione tra<br />

κόσμος – universo or<strong>di</strong>nato - e κόσμοι – le sue parti, che avrebbe poi prodotto il frainten<strong>di</strong>mento: il<br />

linguaggio arcaico (omerico, per esempio) effettivamente propone i due valori, ad<strong>di</strong>rittura associando<br />

οὐρανός a una delle «regioni» (κόσμοι) in cui l'universo (τὸ πᾶν) era sud<strong>di</strong>viso.<br />

È un'evidenza che Aristotele, il primo a trattare del contributo <strong>di</strong> Anassimandro, anche laddove ne<br />

avrebbe avuto la possibilità, non riferisca palesemente al Milesio una teoria dei mon<strong>di</strong> infiniti:<br />

abbiamo già citato due passi in cui le allusioni specifiche appaiono sfocate:<br />

62 Si è sostenuto che la peculiare espressione utilizzata nel commento <strong>di</strong> Simplicio - ἅπαντας γίνεσθαι τοὺς<br />

οὐρανοὺς καὶ τοὺς ἐν αὐτοῖς κόσμους, insolita per il lessico <strong>peri</strong>patetico <strong>di</strong> Teofrasto, possa costituire citazione<br />

<strong>di</strong>retta dell'originale <strong>di</strong> Anassimandro (K. REINHARDT, Parmenides und <strong>di</strong>e Geschichte der griechischen<br />

Philosophie, Frankfurt a.M., Vittorio Klostermann, 1985 4 , p. 175; H. SCHMITZ, Anaximander und <strong>di</strong>e Anfänge<br />

dei griechischen Philosophie, cit., pp. 20-21. Ricor<strong>di</strong>amo come St.A. WHITE, Milesian Measures: Time, Space,<br />

and Matter, cit., p. 111, insista sul contributo della Άστρολογικὴ ἱστορία <strong>di</strong> Eudemo, da cui <strong>di</strong>penderebbero i<br />

rilievi astronomici su Anassimandro.<br />

63 CH. H. KAHN, Anaximander and The Origins of Greek Cosmology, cit., p. 49.<br />

64 I presocratici. Frammenti e testimonianze, introduzione, traduzione e note <strong>di</strong> A. PASQUINELLI, Torino,<br />

Einau<strong>di</strong>, 1958, p. 306.


F e<br />

F -<br />

F<br />

ἓν μόνον [στοιχεῖον] [...] ὃ περιέχειν φασὶ πάντας τοὺς οὐρανοὺς ἄπειρον ὄν<br />

un solo [elemento] [...] che, sostengono, abbraccia tutti i cieli essendo infinito (De Caelo III, 5 303 b10-<br />

13; A14 Colli)<br />

τὴν σεμνότητα κατὰ τοῦ ἀπείρου, τὸ πάντα περιέχειν καὶ τὸ πᾶν ἐν ἑαυτῷ ἔχειν<br />

la <strong>di</strong>gnità dell'apeiron: abbracciare tutte le cose e tutto tenere in sé (Fisica III, 6 207 a19-20; fr. 9<br />

Mansfeld).<br />

Ciò che appare rilevante non è tanto l'assenza <strong>di</strong> un esplicito cenno ad Anassimandro (è possibile<br />

invece che, tra gli altri, Aristotele si riferisse anche a lui), ma soprattutto il riscontro lessicale, che<br />

65<br />

66<br />

suggerisce la possibilità che πάντας τοὺς οὐρανοὺς sia da intendere come «tutti i cieli»F<br />

F. Si è volutoF<br />

ad<strong>di</strong>rittura cogliere un possibile argomento anassimandreo a favore dell'infinita pluralità dei mon<strong>di</strong> in<br />

un ulteriore passo della Fisica (III, 4, 203 b23-38):<br />

διὰ γὰρ τὸ ἐν τῇ νοήσει μὴ ὑπολείπειν καὶ ὁ ἀριθμὸς δοκεῖ ἄπειρος εἶναι καὶ τὰ μαθηματικὰ μεγέθη<br />

καὶ τὸ ἔξω τοῦ οὐρανοῦ. ἀπείρου δ’ ὄντος τοῦ ἔξω, καὶ σῶμα ἄπειρον εἶναι δοκεῖ καὶ κόσμοι· τί γὰρ<br />

μᾶλλον τοῦ κενοῦ ἐνταῦθα ἢ ἐνταῦθα; ὥστ’ εἴπερ μοναχοῦ, καὶ πανταχοῦ εἶναι τὸν ὄγκον<br />

È perché, in effetti, l'attività del pensiero non ha mai termine, che il numero appare infinito, così come la<br />

grandezza matematica e ciò che è al <strong>di</strong> fuori del cielo. Essendo infinito ciò che è fuori del cielo, anche il<br />

corpo appare infinito, così come i mon<strong>di</strong>: perché, in effetti, il vuoto dovrebbe essere qui piuttosto che là?<br />

Così la massa, se <strong>di</strong> un solo genere, è anche dappertutto.<br />

In considerazione del contesto - in cui Aristotele ha modo, <strong>di</strong> volta in volta, <strong>di</strong> riferire <strong>di</strong>rettamente i<br />

propri rilievi sulla natura dell'infinito (ai Pitagorici e a Platone prima, quin<strong>di</strong> ad Anassagora,<br />

Democrito, Anassimandro), ovvero <strong>di</strong> avanzare chiare allusioni (allo stesso Anassagora e a<br />

Empedocle, parlando <strong>di</strong> νοῦς e φιλία come αἰτίαι - DK 12 A15) – l'espressione τὸ ἔξω τοῦ οὐρανοῦ<br />

appare relativamente generica (riferibile ad Anassimandro, Pitagorici e atomisti) e la precoce<br />

applicazione del principio <strong>di</strong> ragion sufficiente per giustificare l'esistenza <strong>di</strong> κόσμοι ἄπειροι, a causa<br />

soprattutto dell'uso <strong>di</strong> termini come σῶμα, ὄγκος e τὸ κενόν, imputabile piuttosto agli atomisti che al<br />

Milesio (che pur, vedremo, <strong>di</strong> tale principio potrebbe essersi servito). Aristotele (cui sono attribuiti,<br />

negli elenchi <strong>di</strong> Diogene Laerzio, anche dei Προβλήματα ἐκ τῶν Δημοκρίτου) potrebbe, dunque, aver<br />

evocato un argomento documentato all'interno della tra<strong>di</strong>zione atomistica, riconoscendogli valore<br />

generale: se avesse avuto a <strong>di</strong>sposizione ulteriori elementi specifici in merito alla posizione <strong>di</strong><br />

Anassimandro sui mon<strong>di</strong> infiniti, li avrebbe probabilmente utilizzati e segnalati puntualmente, come<br />

avviene in altri casi nello stesso capitolo.<br />

D'altra parte è altrettanto in<strong>di</strong>scutibile che la tra<strong>di</strong>zione dossografica - probabilmente con<strong>di</strong>zionata<br />

67<br />

68<br />

dall'elaborazione atomisticaF dalla posteriore sua ripresa e <strong>di</strong>ffusione negli scritti <strong>di</strong> EpicuroF<br />

leggesse la fonte teofrastea decisamente in senso pluralistico e infinitistico, come documentano le<br />

testimonianze raccolte in DK 12 A17 (che contrassegniamo in or<strong>di</strong>ne cronologico):<br />

(i) Anaximandri autem opinio est nativos esse deos longis intervallis orientis occidentisque, eosque<br />

innumerabilis esse mundos. sed nos deum nisi sempiternum intellegere qui possumus?<br />

L'opinione <strong>di</strong> Anassimandro, invece, è che gli dei abbiano origine, nascendo e perendo a lunghi intervalli,<br />

e che essi siano mon<strong>di</strong> innumerevoli. Noi, tuttavia, come possiamo concepire un <strong>di</strong>o se non sempiterno?<br />

(Cicerone)<br />

(ii) Ἀ. ἀπεφήνατο τοὺς ἀπείρους οὐρανοὺς θεούς.<br />

Anassimandro sostenne che i cieli infiniti sono dei. (Aëtius)<br />

65 W.K.C. GUTHRIE, A History of Greek Philosophy. Vol. 1, cit., p. 107.<br />

66 Conche (ANAXIMANDRE, Fragments et Témoignages, cit., pp. 121-123).<br />

67 Proprio la consapevolezza <strong>di</strong> questo con<strong>di</strong>zionamento suggerisce oggi grande prudenza nell'attribuzione, come<br />

ricorda M.L. Gemelli Marciano in Die Vorsokratiker, I, cit., p. 68. Propendono decisamente per un<br />

con<strong>di</strong>zionamento atomistico della dossografia G.S. KIRK, J.E. RAVEN, M. SCHOFIELD, The Presocratic<br />

Philosophers, cit., p. 126.<br />

68 <strong>Il</strong> rilievo è in W.K.C. GUTHRIE, A History of Greek Philosophy. Vol. 1, cit., p. 108.


(iii) Ἀ., Ἀναξιμένης, Ἀρχέλαος, Ξενοφάνης, Διογένης, Λεύκιππος, Δημόκριτος, Ἐπίκουρος ἀπείρους<br />

κόσμους ἐν τῶι ἀπείρωι κατὰ πᾶσαν περιαγωγήν sc. γίνεσθαι καὶ φθείρεσθαι.<br />

τῶν ἀπείρους ἀποφηναμένων τοὺς κόσμους Ἀ. τὸ ἴσον αὐτοὺς ἀπέχειν ἀλλήλων.<br />

Ἀ. ... φθαρτὸν τὸν κόσμον.<br />

Anassimandro, Anassimene, Archelao, Senofane, Diogene, Leucippo, Democrito, Epicuro sostengono<br />

69<br />

che nell'infinito si generano e corrompono infiniti mon<strong>di</strong> a ogni rotazione [in ogni <strong>di</strong>rezioneF<br />

F].<br />

Tra coloro che affermano i mon<strong>di</strong> infiniti, Anassimandro sostiene che essi hanno uguale <strong>di</strong>stanza<br />

reciproca.<br />

Anassimandro sostiene che il mondo è corruttibile. (Aëtius)<br />

(iv) non enim ex una re sicut Thales ex umore, sed ex suis propriis principiis quasque res nasci putavit.<br />

quae rerum principia singularum esse cre<strong>di</strong><strong>di</strong>t infinita, et innumerabiles mundos gignere et quaecumque<br />

in eis oriuntur; eosque mundos modo <strong>di</strong>ssolvi modo iterum gigni existimavit, quanta quisque aetate sua<br />

manere potuerit, nec ipse aliquid <strong>di</strong>vinae menti in his rerum o<strong>peri</strong>bus tribuens.<br />

[Anassimandro] ritenne che ogni cosa nasca non da un solo elemento, come Talete dall'acqua, ma da<br />

principi suoi propri. E questi principi delle cose egli credette fossero infiniti e generassero innumerevoli<br />

mon<strong>di</strong> e le cose che in essi nascono. Stimava che questi mon<strong>di</strong> a un certo punto si <strong>di</strong>ssolvano e poi <strong>di</strong><br />

nuovo si producano, per quanto tempo ciascuno possa resistere, né egli attribuiva alcuna parte alla mente<br />

<strong>di</strong>vina in queste creazioni delle cose. (Agostino)<br />

(v) Ἀ. δὲ Θαλοῦ πολίτης καὶ ἑταῖρος ... ἄπειρον δὲ πρῶτος ὑπέθετο, ἵνα ἔχηι χρῆσθαι πρὸς τὰς<br />

γενέσεις ἀφθόνως· καὶ κόσμους δὲ ἀπείρους οὗτος καὶ ἕκαστον τῶν κόσμων ἐξ ἀπείρου τοῦ τοιούτου<br />

στοιχείου ὑπέθετο ὡς δοκεῖ<br />

Anassimandro, concitta<strong>di</strong>no e compagno <strong>di</strong> Talete [...] pose per primo l'infinito, per<br />

potersene servire senza risparmio nei processi <strong>di</strong> generazione; e, come sembra, sostenne che i mon<strong>di</strong> sono<br />

infiniti e che ciascuno dei mon<strong>di</strong> derivi da tale elemento infinito. (Simplicio)<br />

(vi) οἱ μὲν γὰρ ἀπείρους τῶι πλήθει τοὺς κόσμους ὑποθέμενοι, ὡς οἱ περὶ Ἀ. καὶ Λεύκιππον καὶ<br />

Δημόκριτον καὶ ὕστερον οἱ περὶ Ἐπίκουρον, γινομένους αὐτοὺς καὶ φθειρομένους ὑπέθεντο ἐπ’<br />

ἄπειρον, ἄλλων μὲν ἀεὶ γινομένων ἄλλων δὲ φθειρομένων καὶ τὴν κίνησιν ἀίδιον ἔλεγον· ἄνευ γὰρ<br />

κινήσεως οὐκ ἔστι γένεσις ἢ φθορά.<br />

Coloro che infatti posero i mon<strong>di</strong> infiniti <strong>di</strong> numero, come i seguaci <strong>di</strong> Anassimandro, Leucippo,<br />

Democrito e più tar<strong>di</strong> <strong>di</strong> Epicuro, ritennero che si generassero e corrompessero nell'infinito (alcuni<br />

sempre generandosi, altri corrompendosi), e sostennero che il movimento è eterno: poiché senza<br />

movimento non c'è generazione e corruzione. (Simplicio)<br />

È possibile che, come plausibilmente avvenuto anche nelle analisi <strong>di</strong> Aristotele, si retroiettassero su<br />

Anassimandro teorie e argomentazioni successive, magari intravedendo nelle notizie teofrastee<br />

70<br />

analogie o spunti per ricostruire una vera e propria tra<strong>di</strong>zione infinitista. Come è stato osservatoF<br />

F, in<br />

effetti, più le testimonianze si allontanano da Aristotele e Teofrasto, più si palesa la tendenza<br />

(sospetta) a riferire le informazioni <strong>peri</strong>patetiche sostituendo οὐρανοί con κόσμοι: in pratica<br />

interpretando le attestazioni più ambigue della fonte teofrastea (in Ippolito e Simplicio) decisamente<br />

71<br />

nel senso della pluralità dei mon<strong>di</strong>, con la confusione <strong>di</strong> valori, in origine <strong>di</strong>stinti, tra i due terminiF<br />

F.<br />

Incrociando le in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> (i) e (ii) è già plausibile il frainten<strong>di</strong>mento: la pluralità indefinita <strong>di</strong> astri<br />

(stelle, nella cosmologia <strong>di</strong> Anassimandro appunto anelli celesti, οὐρανοί), identificati come <strong>di</strong>vinità<br />

(un'associazione tra<strong>di</strong>zionale), viene senz'altro tradotta da Cicerone come pluralità <strong>di</strong> mon<strong>di</strong>.<br />

72<br />

Accostando ulteriormente (ii) e (iii) il sospetto si rafforzaF<br />

F: gli astri (οὐρανοί) innumerevoli che si<br />

manifestano nello spazio celeste in tutte le <strong>di</strong>rezioni potrebbero essere stati confusi con «infiniti<br />

mon<strong>di</strong>» (ἀπείρους κόσμους). Aëtius (iii) pone esplicitamente Anassimandro all'origine dell'infinitismo<br />

atomistico, insistendo particolarmente – come gli altri testimoni – sulla vicissitu<strong>di</strong>ne dei mon<strong>di</strong> nello<br />

spazio infinito (secondo lo schema epicureo), un aspetto rilevato anche altrove:<br />

69 In effetti il co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Pseudo-Plutarco riporta περίστασιν.<br />

70 W.K.C. GUTHRIE, A History of Greek Philosophy. Vol. 1, cit., p. 110.<br />

71 W.K.C. GUTHRIE, A History of Greek Philosophy. Vol. 1, cit., p. 111.<br />

72 Soprattutto leggendo κατὰ πᾶσαν περίστασιν in vece <strong>di</strong> κατὰ πᾶσαν περιαγωγήν.


Ἀναξίμανδρος δὲ Πραξιάδου Μιλήσιός φησι τῶν ὄντων ἀρχὴν εἶναι τὸ ἄπειρον· ἐκ γὰρ τούτου<br />

πάντα γίγνεσθαι καὶ εἰς τοῦτο πάντα φθείρεσθαι. διὸ καὶ γεννᾶσθαι ἀπείρους κόσμους καὶ πάλιν<br />

φθείρεσθαι εἰς τὸ ἐξ οὗ γίγνεσθαι<br />

Anassimandro, figlio <strong>di</strong> Prassiade, <strong>milesio</strong>, sostiene che principio delle cose che sono è l'apeiron: da esso,<br />

infatti, si generano tutte le cose e in esso tutte si corrompono. Per questo motivo si formano infiniti mon<strong>di</strong><br />

e <strong>di</strong> nuovo si corrompono in ciò da cui si generano (Aëtius, DK 12 A14).<br />

L'infinità appare in questo caso strettamente legata alla vicissitu<strong>di</strong>ne, quasi fosse da intendere come<br />

successione piuttosto che coesistenza <strong>di</strong> mon<strong>di</strong>, come invece si potrebbe desumere da Agostino (iv) e<br />

Simplicio (vi): un'ulteriore incertezza sul senso della posizione <strong>di</strong> Anassimandro, per la quale le nostre<br />

informazioni non sono <strong>di</strong>rimenti.<br />

Se dunque il frequente accostamento, nelle testimonianze, <strong>di</strong> Anassimandro al posteriore atomismo<br />

(che potrebbe effettivamente, con Leucippo, aver tratto ispirazione dalla lezione ionica) induce a<br />

valutare con una certa prudenza le notizie relative al suo contributo alla teoria dell'infinita pluralità dei<br />

mon<strong>di</strong>, non mancano gli elementi per riconoscerne la genuina paternità al Milesio. Soprattutto<br />

considerando l'impronta in larga misura "speculativa" della sua indagine: a partire dalla naturaprincipio<br />

– illimitata e qualitativamente indefinita – e dalla sua intrinseca motilità, i probabili<br />

meccanismi <strong>di</strong>namici (vortici o movimenti sussultori) in<strong>di</strong>viduati (come documenta la dossografia)<br />

all'origine dei processi cosmogonici potevano essere immaginati in una replica infinita, tanto nella<br />

successione temporale quanto nella <strong>di</strong>ffusione spaziale, a esprimere coerentemente la potenza<br />

73<br />

dell'ἀρχήF<br />

F.<br />

Forse Anassimandro si riferiva all'ἄπειρον come al bacino germinale <strong>di</strong> un'immensa attività <strong>di</strong><br />

incubazione <strong>di</strong> mon<strong>di</strong>, come farebbe supporre Ippolito quando sottolinea della φύσις τις τοῦ ἀπείρου<br />

che «essa è eterna e non invecchia, e inoltre circonda tutti i mon<strong>di</strong>» (ταύτην δ’ ἀίδιον εἶναι καὶ ἀγήρω,<br />

ἣν καὶ πάντας περιέχειν τοὺς κόσμους): il continuo movimento, la costante agitazione del principio,<br />

intesi come segni della sua inesausta vitalità, potrebbero averne giustificata l'illimitata produttività, nel<br />

senso della <strong>di</strong>sseminazione e vicissitu<strong>di</strong>ne dei mon<strong>di</strong>. Potremmo allora cogliere in Aëtius l'accenno<br />

alla <strong>di</strong>stanza reciproca tra i κόσμοι (τὸ ἴσον ἀπέχειν ἀλλήλων), in Cicerone la sottolineatura degli<br />

intervalli che intercorrono tra la loro generazione e corruzione (longis intervallis orientis occidentisque),<br />

in Simplicio il rilievo della fecon<strong>di</strong>tà dei processi cosmogonici (ἄλλων μὲν ἀεὶ γινομένων ἄλλων δὲ<br />

74<br />

φθειρομένων). Questa potrebbe essere stata la grande novità della cosmologia <strong>di</strong> AnassimandroF<br />

F,<br />

anche se, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> una teorica possibilità e della coerenza con altre in<strong>di</strong>cazioni dossografiche,<br />

mancano elementi decisivi <strong>di</strong> conferma.<br />

18B<strong>Il</strong> cosmo <strong>di</strong> Anassimandro<br />

Abbiamo introduttivamente ricordato quanto la dossografia celebrasse le osservazioni e le scoperte<br />

astronomiche <strong>di</strong> Anassimandro: non sorprende che poi riconosca al suo contributo un focus speciale<br />

alla struttura cosmica, come evidente dalla testimonianza <strong>di</strong> Pseudo-Plutarco (DK 12 A10) e<br />

ulteriormente documentato in Ippolito:<br />

τὴν δὲ γῆν εἶναι μετέωρον ὑπὸ μηδενὸς κρατουμένην, μένουσαν δὲ διὰ τὴν ὁμοίαν πάντων<br />

ἀπόστασιν. τὸ δὲ σχῆμα αὐτῆς γυρόν, στρογγύλον, κίονι λίθωι παραπλήσιον: τῶν δὲ ἐπιπέδων ὧι μὲν<br />

ἐπιβεβήκαμεν, ὃ δὲ ἀντίθετον ὑπάρχει. τὰ δὲ ἄστρα γίνεσθαι κύκλον πυρός, ἀποκριθέντα τοῦ κατὰ<br />

τὸν κόσμον πυρός, περιληφθέντα δ’ ὑπὸ ἀέρος. ἐκπνοὰς δ’ ὑπάρξαι πόρους τινὰς αὐλώδεις, καθ’ οὓς<br />

φαίνεται τὰ ἄστρα· διὸ καὶ ἐπιφρασσομένων τῶν ἐκπνοῶν τὰς ἐκλείψεις γίνεσθαι. τὴν δὲ σελήνην<br />

ποτὲ μὲν πληρουμένην φαίνεσθαι, ποτὲ δὲ μειουμένην παρὰ τὴν τῶν πόρων ἐπίφραξιν ἢ ἄνοιξιν.<br />

εἶναι δὲ τὸν κύκλον τοῦ ἡλίου ἑπτακαιεικοσαπλασίονα *** τῆς σελήνης, καὶ ἀνωτάτω μὲν εἶναι τὸν<br />

ἥλιον, *** κατωτάτω δὲ τοὺς τῶν ἀπλανῶν *** ἀστέρων κύκλους·<br />

73 Su questo punto è molto decisa la conclusione <strong>di</strong> Conche (ANAXIMANDRE, Fragments et Témoignages, cit.,<br />

pp. 125-126).<br />

74 Ne è convinto Mondolfo (E. ZELLER – R. MONDOLFO, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, parte I,<br />

vol. II, cit. p. 197).


La Terra è sospesa, da nulla dominata: rimane nel suo luogo a causa dell'equi<strong>di</strong>stanza da tutto [da tutti i<br />

punti della circonferenza celeste?]. La sua forma poi è ricurva, rotonda, simile al tamburo <strong>di</strong> una colonna<br />

<strong>di</strong> pietra: noi camminiamo su una superficie, l'altra è a questa opposta. Gli astri hanno origine come<br />

cerchio infuocato, che si è <strong>di</strong>staccato dal fuoco cosmico ed è circondato dall'aria. Vi sono alcuni passaggi<br />

<strong>di</strong> sfogo per il soffio, a forma <strong>di</strong> canna, per i quali si mostrano gli astri. Per questo motivo, quando sono<br />

occlusi gli sfoghi, si verificano le eclissi. La Luna appare talvolta piena, talvolta calante, a seconda che i<br />

passaggi siano aperti o occlusi. <strong>Il</strong> cerchio del Sole è ventisette volte maggiore [<strong>di</strong> quello della Terra]<br />

quello della Luna [<strong>di</strong>ciotto volte]; più in alto <strong>di</strong> tutto si trova il Sole; più in basso <strong>di</strong> tutto i<br />

cerchi delle stelle fisse (DK 12 A11).<br />

Tre aspetti colpiscono nella testimonianza:<br />

(i) l'attenzione appunto per l'impianto cosmologico, per le approssimative <strong>di</strong>mensioni e la struttura<br />

75<br />

geometrica del cosmo, oltre che, probabilmente, per le sue regolarità e proporzioniF<br />

F;<br />

(ii) l'evidente relazione tra l'elaborazione del <strong>modello</strong> cosmologico e la spiegazione <strong>di</strong> alcuni fenomeni<br />

celesti (eclissi, fasi lunari);<br />

(iii) la particolare giustificazione addotta per l'immobilità della Terra.<br />

<strong>Il</strong> cosmo <strong>di</strong> Anassimandro tratteggiato nelle testimonianze è sferico, racchiuso in un sistema <strong>di</strong> cerchi<br />

(ruote <strong>di</strong> aria densa internamente riempite <strong>di</strong> fuoco), esternamente circondato dalla «natura<br />

dell'infinito», che, come ci ricorda Aristotele (DK 12 A15), «[sembra] comprendere tutte quante le<br />

cose e tutte <strong>di</strong>rigere» (περιέχειν ἅπαντα καὶ πάντα κυβερνᾶν). La postulazione <strong>di</strong> tali strutture offriva la<br />

possibilità <strong>di</strong> elaborare uno schema razionale (con relative commisurazioni) delle regolari <strong>di</strong>stanze dei<br />

corpi celesti dalla Terra e al tempo stesso un <strong>modello</strong> meccanico per dar conto dei loro moti <strong>peri</strong>o<strong>di</strong>ci<br />

76<br />

intorno alla TerraF<br />

F.<br />

Al centro giace stabilmente la Terra, come ci ricorda Pseuso-Plutarco «<strong>di</strong> forma cilindrica» (τῶι μὲν<br />

σχήματι τὴν γῆν κυλινδροειδῆ); il cerchio o anello (κύκλος) più esterno è quello del Sole, che proietta<br />

(come tutti gli altri corpi celesti) luce e calore attraverso un'apertura a canna (per lo spessore dell'aria<br />

contenente il fuoco). La tra<strong>di</strong>zione dossografica fornisce ulteriori particolari:<br />

τινὲς δέ, ὧν ἐστι καὶ Ἀ., φασὶ πέμπειν αὐτὸν [n. τὸν ἥλιον] τὸ φῶς σχῆμα ἔχοντα τροχοῦ. ὥσπερ<br />

γὰρ ἐν τῶι τροχῶι κοίλη ἐστὶν ἡ πλήμνη, ἔχει δὲ ἀπ’ αὐτῆς ἀνατεταμένας τὰς κνημῖδας πρὸς τὴν<br />

ἔξωθεν τῆς ἁψῖδος περιφοράν, οὕτω καὶ αὐτὸν ἀπὸ κοίλου τὸ φῶς ἐκπέμποντα τὴν ἀνάτασιν τῶν<br />

ἀκτίνων ποιεῖσθαι καὶ ἔξωθεν αὐτὰς κύκλωι φωτίζειν. τινὲς δὲ ὡς ἀπὸ σάλπιγγος ἐκ κοίλου τόπου<br />

καὶ στενοῦ ἐκπέμπειν αὐτὸν τὸ φῶς ὥσπερ πρηστῆρας<br />

Alcuni, tra cui Anassimandro, sostengono che il Sole emetta luce e abbia la forma <strong>di</strong> ruota. Come infatti<br />

nella ruota il mozzo è cavo e tende i raggi che da esso si <strong>di</strong>partono verso l'esterno del cerchio, così anche<br />

il Sole, emettendo luce da una cavità, <strong>di</strong>stende intorno i suoi raggi, che all'esterno illuminano<br />

circolarmente. Altri [il riferimento dovrebbe essere ancora ad A.] sostengono che il Sole, come da una<br />

stretta cavità, emetta luce, analogamente a soffi, come da una tromba (Achille, DK 12 A21)<br />

Ἀ. [sc. τὸν ἥλιον] κύκλον εἶναι [...] ἁρματείωι τροχῶι παραπλήσιον, τὴν ἁψῖδα ἔχοντα κοίλην,<br />

πλήρη πυρός, κατά τι μέρος ἐκφαίνουσαν διὰ στομίου τὸ πῦρ ὥσπερ διὰ πρηστῆρος αὐλοῦ.<br />

καὶ τοῦτ’ εἶναι τὸν ἥλιον.<br />

Ἀ. τὸν μὲν ἥλιον ἴσον εἶναι τῆι γῆι, τὸν δὲ κύκλον, ἀφ’ οὖ τὴν ἐκπνοὴν ἔχει καὶ ὑφ’ οὗ περιφέρεται,<br />

ἑπτακαιεικοσαπλασίω τῆς γῆς<br />

Anassimandro sostiene che il cerchio del Sole è [...] simile a ruota <strong>di</strong> carro, il cui cerchio sia cavo e pieno<br />

<strong>di</strong> fuoco, e che in parte fa apparire il fuoco attraverso un'apertura, come da canna <strong>di</strong> mantice (Aëtius, DK<br />

12 A21).<br />

<strong>Il</strong> cerchio – ovvero, come pare dalla testimonianza, l'insieme <strong>di</strong> cerchi - più interno è quello delle stelle<br />

fisse; a livello me<strong>di</strong>ano della struttura cosmica troviamo invece il cerchio della Luna. Le testimonianze<br />

in Aëtius corroborano questo quadro:<br />

[sc. τὰ ἄστρα εἶναι] πιλήματα ἀέρος τροχοειδῆ, πυρὸς ἔμπλεα, κατά τι μέρος ἀπὸ στομίων<br />

ἐκπνέοντα φλόγας. 15, 6 (D. 345) Ἀ. καὶ Μητρόδωρος ὁ Χῖος καὶ Κράτης ἀνωτάτω μὲν πάντων τὸν<br />

75 St.A. WHITE, Milesian Measures: Time, Space, and Matter, cit., p. 102.<br />

76 St.A. WHITE, Milesian Measures: Time, Space, and Matter, cit., pp. 103-4.


ἥλιον τετάχθαι, μετ’ αὐτὸν δὲ τὴν σελήνην, ὑπὸ δὲ αὐτοὺς τὰ ἀπλανῆ τῶν ἄστρων καὶ τοὺς<br />

πλάνητας. 16, 5 (D. 345) Ἀ. ὑπὸ τῶν κύκλων καὶ τῶν σφαιρῶν, ἐφ’ ὧν ἕκαστος [sc. ἀστήρ] βέβηκε,<br />

φέρεσθαι [sc. τοὺς ἀστέρας].<br />

Per Anassimandro sono ispessimenti [compressioni] d'aria a forma <strong>di</strong> ruota, ripieni <strong>di</strong> fuoco,<br />

che da certe aperture in qualche punto soffiano fuori fiamme. – Anassimandro, Metrodoro <strong>di</strong> Chio e<br />

Cratete ritengono che il Sole sia più in alto <strong>di</strong> tutti [astri, cerchi?]; dopo <strong>di</strong> esso la Luna e sotto <strong>di</strong> essi le<br />

stelle fisse e i pia<strong>net</strong>i. – Per Anassimandro sono trasportati dai cerchi e dalle sfere su cui<br />

ciascun è collocato (DK 12A18).<br />

Significativo che nella tra<strong>di</strong>zione dossografica, a proposito della forma geometrica dei vettori dei corpi<br />

celesti (qui si allude in relazione ai cerchi più interni, anche ai pia<strong>net</strong>i), si rimanesse indecisi tra κύκλος<br />

e σφαίρη, mentre sulla composizione materiale – aria compressa e ispessita che racchiude un'interno<br />

fiammante – non emergono <strong>di</strong>scordanze.<br />

I fenomeni comunemente connessi a quei corpi sono ricondotti alla struttura fisica dei cieli e a una<br />

spiegazione <strong>di</strong> tipo analogico: occlusione totale o parziale, ovvero liberazione «dei passaggi» (τῶν<br />

πόρων):<br />

Ἀ. [sc. γίγνεσθαι τὴν ἔκλειψιν ἡλίου] τοῦ στομίου τῆς τοῦ πυρὸς ἐκπνοῆς ἀποκλειομένου<br />

Anassimandro sostiene che l'eclissi <strong>di</strong> Sole è causata dalla chiusura del passaggio attraverso cui esce il<br />

fuoco (Aëtius, DK 12 A21).<br />

L'attenzione dei critici è stata in particolare attirata dall'apparente incoerenza nella posizione degli<br />

anelli astrali, i più vicini alla Terra: come giustificare il fatto che le stelle non emettano calore e che la<br />

loro luce sia inferiore a quella del Sole o della Luna? Forse riscaldamento e luminosità non erano<br />

illustrati come azione <strong>di</strong>retta del fuoco attraverso l'involucro d'aria dei cerchi contenenti (in tal caso<br />

quelli astrali avrebbero dovuto comunque risultare più efficaci in quanto notevolmente più prossimi<br />

alla Terra), piuttosto con l'incandescenza prodotta dalla frizione (attrito) dei cerchi a causa della loro<br />

77<br />

velocità lineare <strong>di</strong> rotazione, su<strong>peri</strong>ore nel caso dei più gran<strong>di</strong> (massima quin<strong>di</strong> per il Sole)F<br />

F.<br />

Come si evince dalle precedenti in<strong>di</strong>cazioni, Anassimandro non si sarebbe limitato a determinare<br />

origini, forma e or<strong>di</strong>ne dell'insieme cosmico, ma l'avrebbe anche, a gran<strong>di</strong> linee, <strong>di</strong>mensionato, come<br />

ci conferma anche Simplicio (sulla scorta <strong>di</strong> Eudemo):<br />

Ἀναξιμάνδρου πρώτου τὸν περὶ μεγεθῶν καὶ ἀποστημάτων λόγον εὑρηκότος<br />

Anassimandro per primo ha scoperto il rapporto tra <strong>di</strong>mensione e <strong>di</strong>stanza (DK 12 A19).<br />

Egli avrebbe fissato il rapporto tra la taglia del "tamburo" terrestre - la cui altezza sarebbe 1/3 della<br />

larghezza (come ricorda Pseudo-Plutarco: βάθος τρίτον πρὸς τὸ πλάτος) - e le misure e <strong>di</strong>stanze dei tre<br />

(considerando forse unitariamente l'insieme dei cieli delle stelle fisse) cerchi celesti. Benché il testo<br />

greco <strong>di</strong> Ippolito sia mutilo, si può intravedere la base <strong>di</strong> calcolo utilizzata – la <strong>di</strong>mensione della<br />

circonferenza terrestre – attribuendo al cerchio (astrale) interno un multiplo <strong>di</strong>mensionale pari a 9, a<br />

78<br />

quello (lunare) me<strong>di</strong>ano uno pari a 18, a quello (solare) esterno, infine, uno pari a 27F<br />

F, anche se nelle<br />

testimonianze le misure variano:<br />

Ἀ. [sc. τὸν ἥλιον] κύκλον εἶναι ὀκτωκαιεικοσαπλασίονα τῆς γῆς<br />

Anassimandro sostiene che il cerchio del Sole è ventotto volte quello della Terra (Aëtius, DK 12 A21)<br />

Ἀ. τὸν μὲν ἥλιον ἴσον εἶναι τῆι γῆι, τὸν δὲ κύκλον, ἀφ’ οὖ τὴν ἐκπνοὴν ἔχει καὶ ὑφ’ οὗ περιφέρεται,<br />

ἑπτακαιεικοσαπλασίω τῆς γῆς<br />

Anassimandro sostiene che il Sole è uguale alla Terra, ma il cerchio da cui spira e lungo il quale si muove<br />

intorno, è ventisette volte quello della Terra (Aëtius, DK 12 A21)<br />

77 St.A. WHITE, Milesian Measures: Time, Space, and Matter, cit., pp. 110-111.<br />

78 Un'ampia analisi e una <strong>di</strong>scussione delle varie proposte interpretative in G. NADDAF, The Greek Concept of<br />

Nature, cit., pp. 75-79. Si veda ora anche St.A. WHITE, Milesian Measures: Time, Space, and Matter, cit., pp.<br />

105 ss..


Ἀ. [sc. τὴν σελήνην] κύκλον εἶναι ἐννεακαιδεκαπλασίονα τῆς γῆς, ὅμοιον ἁρματείωι <br />

κοίλην ἔχοντι τὴν ἁψῖδα καὶ πυρὸς πλήρη καθάπερ τὸν τοῦ ἡλίου, κείμενον λοξόν, ὡς κἀκεῖνον,<br />

ἔχοντα μίαν ἐκπνοὴν οἷον πρηστῆρος αὐλόν<br />

Anassimandro sostiene che è un cerchio grande <strong>di</strong>ciannove volte la Terra, simile a ruota <strong>di</strong><br />

carro, con il cerchio cavo e pieno <strong>di</strong> fuoco, come quello del Sole, e come quello ha una posizione obliqua<br />

e una sola apertura, come canna <strong>di</strong> mantice (Aëtius, DK 12 A22).<br />

Insomma: stando alle testimonianze, Anassimandro proponeva un vero e proprio <strong>modello</strong><br />

cosmologico, sostenuto da un impianto geometrico-matematico, che non poteva non suscitare<br />

<strong>di</strong>scussioni tra gli interpreti. Quale l'origine <strong>di</strong> tali speculazioni?<br />

Secondo una tra<strong>di</strong>zione che risale a Diels, essa sarebbe da ricercare nel misticismo dei numeri (in<br />

particolare del numero 3), presente in <strong>di</strong>verse culture antiche: si tratterebbe comunque solo <strong>di</strong> uno<br />

spunto, da Anassimandro profondamente rielaborato in un vero e proprio <strong>modello</strong> razionale. In<br />

alternativa si è supposto che la sequenza matematica applicata alle <strong>di</strong>mensioni celesti potesse derivare<br />

79<br />

80<br />

da osservazioni astronomicheF<br />

F, ma la proposta ha suscitato forti perplessitàF<br />

F. Di recente, valutando<br />

insieme alle in<strong>di</strong>cazioni circa l'astronomia "geometrica" anche quelle sulla presunta propensione del<br />

Milesio a <strong>di</strong>segnare, congegnare e realizzare modelli – come attesta Diogene Laerzio:<br />

εὗρεν δὲ καὶ γνώμονα πρῶτος καὶ ἔστησεν ἐπὶ τῶν σκιοθήρων ἐν Λακεδαίμονι, καθά φησι<br />

Φαβωρῖνος ἐν Παντοδαπῆι ἱστορίαι, τροπάς τε καὶ ἰσημερίας σημαίνοντα καὶ ὡροσκοπεῖα<br />

κατεσκεύασε. καὶ γῆς καὶ θαλάσσης περίμετρον πρῶτος ἔγραψεν, ἀλλὰ καὶ σφαῖραν κατεσκεύασε<br />

scoprì per primo anche lo gnomone e lo pose presso le meri<strong>di</strong>ane a Sparta, secondo<br />

quanto afferma Favorino nella sua Storia varia, a segnalare solstizi ed equinozi; costruì anche orologi.<br />

Ancora, per primo <strong>di</strong>segnò il <strong>peri</strong>metro della terra e del mare e realizzò anche un globo (DK 12 A1) –<br />

81<br />

è stata avanzata l'ipotesiF<br />

F che Anassimandro possa essere stato influenzato dalle tecniche e dai trattati<br />

(prime prove <strong>di</strong> una prosa scientifica che risentiva <strong>di</strong> probabili modelli egiziani) degli architetti suoi<br />

contemporanei. Una prospettiva che ra<strong>di</strong>ca la riflessione cosmologica <strong>di</strong> Anassimandro nella vita e<br />

nelle attività civili delle sviluppate poleis ioniche. Lo stesso ambiente su cui insiste un quarto filone<br />

82<br />

interpretativo, tipicamente rappresentato dall'opera <strong>di</strong> Jean-Pierre VernantF<br />

F, secondo cui l'es<strong>peri</strong>enza<br />

politico-sociale della polis sarebbe stata fondamentale sia per l'intuizione anassimandrea <strong>di</strong> un governo<br />

cosmico fondato sull'equilibrio delle potenze e sulla giustizia, sia per la geometrizzazione dell'universo<br />

fisico, in realtà strettamente collegata alla ridefinizione dello spazio urbano, nel quadro <strong>di</strong> un più<br />

83<br />

generale sforzo per or<strong>di</strong>nare e razionalizzare il mondo umanoF<br />

F.<br />

19BLa posizione della Terra<br />

All'interno <strong>di</strong> questa prospettiva possiamo considerare anche la tesi forse più originale che le fonti<br />

riconoscono ad Anassimandro: la giustificazione della centralità della Terra:<br />

Ἀναξίμανδρος Πραξιάδου Μιλήσιος. οὗτος ἔφασκεν [...] μέσην τε τὴν γῆν κεῖσθαι κέντρου τάξιν<br />

ἐπέχουσαν, οὖσαν σφαιροειδῆ<br />

79 CH. H. KAHN, Anaximander and The Origins of Greek Cosmology, cit., pp. 96-97; <strong>di</strong> opinionne analoga<br />

Conche (ANAXIMANDRE, Fragments et Témoignages, cit., p. 208) e White (Milesian Measures: Time, Space,<br />

and Matter, cit., p. 107-108).<br />

80 Per le quali si veda G. NADDAF, The Greek Concept of Nature, cit., p. 80.<br />

81 R. HAHN, Anaximander and the Architects, Albany NY, State University of New York Press, 2001. Ora anche<br />

R. HAHN, Proportions and Numbers in Anaximander and Early Greek Thought, in Anaximander in Context. New<br />

Stu<strong>di</strong>es in the Origins of Greek Philosophy, e<strong>di</strong>ted by D.L. COUPRIE, R. HAHN and G. NADDAF, Albany NY,<br />

State University of New York Press, 2003, pp. 71-163.<br />

82 J.-P. VERNANT, Les origines de la pensée grecque (1962), trad.it. Le origini del pensiero greco, Roma, e<strong>di</strong>tori<br />

Riuniti, 1984. La tesi <strong>di</strong> Vernant sviluppa motivi già presenti in H. Gomperz e G. Vlastos. Di quest'ultimo, in<br />

particolare, G. VLASTOS, Equality and Justice in Early Greek Cosmologies (1947), e Isonomia (1953), in G.<br />

VLASTOS, Stu<strong>di</strong>es in Greek Philosophy, vol. I: Tre Presocratics, e<strong>di</strong>ted by D.W. GRAHAM, Princeton, Princeton<br />

University Press, 1995.<br />

83 Per questo, in particolare, J.-P. VERNANT, Les origines de la pensée grecque, cit., trad. it., cap. VIII "La nuova<br />

immagine del mondo".


Anassimandro, figlio <strong>di</strong> Prassiade, <strong>milesio</strong>. Egli affermò [...] che in mezzo giace la Terra, che occupa la<br />

posizione <strong>di</strong> centro, e che è sferica (Diogene Laerzio, DK 12 A1)<br />

τὴν δὲ γῆν εἶναι μετέωρον ὑπὸ μηδενὸς κρατουμένην, μένουσαν δὲ διὰ τὴν ὁμοίαν πάντων<br />

ἀπόστασιν. τὸ δὲ σχῆμα αὐτῆς γυρόν, στρογγύλον, κίονι λίθωι παραπλήσιον<br />

La Terra è sospesa, da nulla dominata: rimane nel suo luogo a causa dell'equi<strong>di</strong>stanza da tutto [da tutti i<br />

punti della circonferenza celeste?]. La sua forma poi è ricurva, rotonda, simile al tamburo <strong>di</strong> una colonna<br />

(Ippolito, DK 12 A11)<br />

εἰσὶ δέ τινες οἳ διὰ τὴν ὁμοιότητά φασιν αὐτὴν μένειν, ὥσπερ τῶν ἀρχαίων Ἀναξίμανδρος· μᾶλλον<br />

μὲν γὰρ οὐθὲν ἄνω ἢ κάτω ἢ εἰς τὰ πλάγια φέρεσθαι προσήκει τὸ ἐπὶ τοῦ μέσου ἱδρυμένον καὶ<br />

ὁμοίως πρὸς τὰ ἔσχατα ἔχον· ἅμα δ’ ἀδύνατον εἰς τὸ ἐναντίον ποιεῖσθαι τὴν κίνησιν· ὥστ’ ἐξ<br />

ἀνάγκης μένειν<br />

Vi sono alcuni, come Anassimandro tra gli antichi, che sostengono che essa [la Terra] rimanga in<br />

posizione a causa dell'equi<strong>di</strong>stanza: una cosa stabilita al centro, infatti, ed equi<strong>di</strong>stante rispetto agli<br />

estremi, non conviene si porti verso l’alto piuttosto che verso il basso o orizzontalmente; ma poiché è<br />

impossibile muoversi contemporaneamente in <strong>di</strong>rezioni opposte, necessariamente rimane in posizione<br />

(Aristotele, De Caelo 295 b11-16; DK 12 A26).<br />

<strong>Il</strong> posizionamento della Terra nel complessivo or<strong>di</strong>namento cosmico sarebbe stato dedotto da ragioni<br />

<strong>di</strong> equilibrio e struttura del cosmo stesso, che avrebbero reso superfluo – rispetto agli altri autori milesi<br />

84<br />

– il rinvio a un supporto (acqua, ariaF<br />

F) per "sostenerla". Se interpretiamo l'in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> Ippolito - διὰ<br />

τὴν ὁμοίαν πάντων ἀπόστασιν – come equi<strong>di</strong>stanza da tutti i punti della circonferenza (o sfera) celeste,<br />

ci troveremmo in presenza <strong>di</strong> una precoce affermazione del principio <strong>di</strong> in<strong>di</strong>fferenza: l’in<strong>di</strong>fferenza - e<br />

quin<strong>di</strong> l’assenza <strong>di</strong> “ragione” per il movimento in una <strong>di</strong>rezione o nell’altra – sarebbe espressa in<br />

relazione ai limiti celesti. Come effetto dello sviluppo cosmogonico, immobilità e centralità della<br />

Terra <strong>di</strong>penderebbero dalla perfetta equi<strong>di</strong>stanza del nucleo denso e freddo dell'originario γόνιμον<br />

rispetto ai κύκλοι formatisi in seguito alla sua (del γόνιμον) espansione. È probabilmente per questo<br />

motivo che Diogene Laerzio attribuisce, sulla scorta della tra<strong>di</strong>zione ellenistica, forma sferica (l'unica<br />

coerente con il principio affermato) alla Terra, mentre è più cre<strong>di</strong>bile, alla luce delle testimonianze,<br />

che Anassimandro, per certi versi più rozzamente, pensasse a una forma a tamburo, cilindrica.<br />

D'altra parte non va <strong>di</strong>menticata un'altra in<strong>di</strong>cazione aristotelica, citata in precedenza, che potrebbe<br />

complicare il quadro:<br />

ὥστ’ εἰ βίᾳ νῦν ἡ γῆ μένει, καὶ συνῆλθεν ἐπὶ τὸ μέσον φερομένη διὰ τὴν δίνησιν· ταύτην γὰρ τὴν<br />

αἰτίαν πάντες λέγουσιν ἐκ τῶν ἐν τοῖς ὑγροῖς καὶ περὶ τὸν ἀέρα συμβαινόντων· ἐν τούτοις γὰρ ἀεὶ<br />

φέρεται τὰ μείζω καὶ βαρύτερα πρὸς τὸ μέσον τῆς δίνης. Διὸ δὴ τὴν γῆν πάντες ὅσοι τὸν οὐρανὸν<br />

γεννῶσιν, ἐπὶ τὸ μέσον συνελθεῖν φασίν<br />

Così, se per costrizione ora la Terra rimane immobile, fu anche riunita al centro,<br />

trasportata dal vortice. Questa è, in effetti, la causa che tutti sostengono, a partire da quanto accade nei<br />

liqui<strong>di</strong> e nell'aria: in essi, infatti, le cose più gran<strong>di</strong> e più pesanti sempre sono portate verso il centro del<br />

vortice. Per questo, in verità, tutti quanti attribuiscono un'origine al cielo [all'universo] affermano che la<br />

Terra si è riunita al centro (De caelo II, 13 295 a9-14).<br />

Che Aristotele potesse riferire anche ad Anassimandro questo rilievo è parzialmente confermato da un<br />

frammento del suo allievo Eudemo, conservato attraverso Teone <strong>di</strong> Smirne:<br />

Ἀ. δὲ ὅτι ἡ γῆ μετέωρος· καὶ κινεῖται περὶ τὸ τοῦ κόσμου μέσον<br />

Anassimandro sostiene che la Terra sia sospesa nell'aria e che si muova intorno al centro del mondo<br />

(DK12 A26).<br />

Anche in questo caso si potrebbe trattare della retroiezione sul Milesio <strong>di</strong> una tesi attestata presso<br />

Leucippo:<br />

τὴν γῆν ὀχεῖσθαι περὶ τὸ μέσον δινουμένην. σχῆμά τε αὐτῆς τυμπανῶδες εἶναι<br />

84 Sebbene all'aria faccia ancora riferimento Simplicio.


la Terra si regge muovendosi in rotazione intorno al centro: la sua figura è simile a quella <strong>di</strong> un tamburo<br />

(Diogene Laerzio, DK 67 A1).<br />

Ma abbiamo anche l'in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> Simplicio (In Aristotelis quattuor libros de caelo commentaria<br />

532, 14):<br />

Ἀναξιμάνδρῳ δὲ ἐδόκει καὶ διὰ τὸν ἀέρα τὸν ἀνέχοντα μένειν ἡ γῆ καὶ διὰ τὴν ἰσορροπίαν καὶ<br />

ὁμοιότητα<br />

Sembrava ad Anassimandro che la Terra rimanesse stabile sia per l'aria che la sosteneva, sia per<br />

l'equilibrio e l'uguaglianza.<br />

L'impressione è che – in considerazione dei probabili modelli <strong>di</strong>namici impiegati da Anassimandro, le<br />

testimonianze <strong>peri</strong>patetiche possano suggerire anche una spiegazione alternativa del posizionamento<br />

terrestre. È possibile, infatti, chiarire <strong>di</strong>namicamente la centralità della Terra con la pressione<br />

esercitata sulla Terra verso il centro, all'interno del vortice che <strong>di</strong>spone e muove gli anelli cosmici: in<br />

tal caso si potrebbe dar ragione sia dell'informazione relativa al moto rotatorio della Terra (in pratica<br />

intorno al proprio centro, secondo la tesi atomista), sia della sua presunta "in<strong>di</strong>fferenza" rispetto al<br />

movimento (in una <strong>di</strong>rezione o nell'altra). <strong>Il</strong> moto rotatorio risulterebbe, in effetti, dalla costante<br />

partecipazione <strong>di</strong>namica della Terra al vortice (il quale, quin<strong>di</strong>, in tal modo continuerebbe a far sentire<br />

la propria azione sul centro), mentre la centralità (e dunque immobilità) rispetto alla <strong>peri</strong>feria -<br />

secondo la formula aristotelica «equi<strong>di</strong>stante rispetto agli estremi» (ὁμοίως πρὸς τὰ ἔσχατα ἔχον) –<br />

sarebbe prodotta dall'uguaglianza, dall'uniformità (così sarebbero da interpretare le espressioni διὰ τὴν<br />

ὁμοιότητά <strong>di</strong> Aristotele e διὰ τὴν ἰσορροπίαν καὶ ὁμοιότητα del suo commentatore) della spinta che, nel<br />

85<br />

vortice, la Terra riceve da ogni latoF<br />

F. Una soluzione che appare meno affascinante dell'alternativa<br />

(essendo basata in fondo su analogie meccaniche e non su una astratta considerazione logica), ma<br />

forse più vicina allo stile speculativo documentato nelle testimonianze sul Milesio.<br />

20BI fenomeni meteorologici<br />

Nel suo sforzo <strong>di</strong> "razionalizzazione", Anassimandro, a quanto pare, ricondusse un insieme <strong>di</strong><br />

fondamentali fenomeni meteorologici allo stesso contesto cosmogonico, facendo leva, in particolare,<br />

sull'azione del calore celeste sul nucleo terraqueo, con progressivo prosciugamento delle acque che<br />

originariamente circondavano e ricoprivano il nocciolo (tronco) terroso, come chiaramente<br />

documentato dalla testimonianza <strong>peri</strong>patetica e dalla dossografia che ne <strong>di</strong>pende:<br />

εἶναι γὰρ τὸ πρῶτον ὑγρὸν ἅπαντα τὸν περὶ τὴν γῆν τόπον, ὑπὸ δὲ τοῦ ἡλίου ξηραινόμενον τὸ μὲν<br />

διατμίσαν πνεύματα καὶ τροπὰς ἡλίου καὶ σελήνης φασὶ ποιεῖν, τὸ δὲ λειφθὲν θάλατταν εἶναι· διὸ<br />

καὶ ἐλάττω γίνεσθαι ξηραινομένην οἴονται καὶ τέλος ἔσεσθαί ποτε πᾶσαν ξηράν<br />

Affermano che tutto lo spazio intorno alla Terra fosse umido, che fu poi prosciugato dal Sole e che<br />

l'evaporazione produsse i venti e le rivoluzioni <strong>di</strong> Sole e Luna, mentre quanto rimasto fu mare. Perciò<br />

credono anche che , prosciugandosi, <strong>di</strong>verrà più piccolo e che alla fine sarà tutto secco<br />

(Aristotele, Meteorologici II, 1 353 b6; DK 12 A27)<br />

οἱ μὲν γὰρ αὐτῶν ὑπόλειμμα λέγουσιν εἶναι τὴν θάλασσαν τῆς πρώτης ὑγρότητος· ὑγροῦ γὰρ ὄντος<br />

τοῦ περὶ τὴν γῆν τόπου κἄπειτα τὸ μέν τι τῆς ὑγρότητος ὑπὸ τοῦ ἡλίου ἐξατμίζεσθαι καὶ γίνεσθαι<br />

πνεύματά τε ἐξ αὐτοῦ καὶ τροπὰς ἡλίου τε καὶ σελήνης ὡς διὰ τὰς ἀτμίδας ταύτας καὶ τὰς<br />

ἀναθυμιάσεις κἀκείνων τὰς τροπὰς ποιουμένων, ἔνθα ἡ ταύτης αὐτοῖς χορηγία γίνεται, περὶ ταῦτα<br />

τρεπομένων· τὸ δέ τι αὐτῆς ὑπολειφθὲν ἐν τοῖς κοίλοις τῆς γῆς τόποις θάλασσαν εἶναι· διὸ καὶ<br />

ἐλάττω γίνεσθαι ξηραινομένην ἑκάστοτε ὑπὸ τοῦ ἡλίου καὶ τέλος ἔσεσθαί ποτε ξηράν· ταύτης τῆς<br />

δόξης ἐγένετο, ὡς ἱστορεῖ Θεόφραστος, Ἀναξίμανδρός τε καὶ Διογένης<br />

Alcuni <strong>di</strong> loro <strong>di</strong>cono che il mare sia quel che resta dell'umi<strong>di</strong>tà originaria. Essendo infatti umido il luogo<br />

intorno alla Terra, una parte dell'umi<strong>di</strong>tà fu fatta poi evaporare dal Sole e ne derivarono i venti e le<br />

rivoluzioni <strong>di</strong> Sole e Luna, perché anche questi fanno le loro rivoluzioni a causa <strong>di</strong> tali evaporazioni e<br />

esalazioni, muovendosi in quei luoghi dove trovino grande abbondanza <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà. La parte rimasta nelle<br />

85 È la soluzione <strong>di</strong> Mondolfo (E. ZELLER – R. MONDOLFO, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, cit.<br />

pp. 201-202).


cavità della terra, invece, sia mare. Perciò sostengono anche che il mare <strong>di</strong>venti più piccolo,<br />

prosciugato sempre più dal Sole, e che alla fine sarà asciutto. Di questa opinione, come attesta Teofrasto,<br />

erano sia Anassimandro, sia Diogene (Alessandro, DK 12 A27)<br />

Ἀ. τὴν θάλασσάν φησιν εἶναι τῆς πρώτης ὑγρασίας λείψανον, ἧς τὸ μὲν πλεῖον μέρος ἀνεξήρανε τὸ<br />

πῦρ, τὸ δὲ ὑπολειφθὲν διὰ τὴν ἔκκαυσιν μετέβαλεν<br />

Anassimandro afferma che il mare è quanto rimasto dell'umi<strong>di</strong>tà originaria, <strong>di</strong> cui il più è stato<br />

prosciugato dal fuoco, la parte rimanente si è trasformata per ebollizione (Aëtius, DK 12 A27).<br />

Le in<strong>di</strong>cazioni che si possono trarre - pur <strong>net</strong>te nel marcare la natura dell'interazione tra Sole e Terra –<br />

non risolvono il problema del suo corso: l'effetto finale del processo – come sembrerebbero attestare<br />

Teofrasto e Aristotele (se il suo riferimento implicito è anche ad Anassimandro) – è il totale<br />

prosciugamento e inari<strong>di</strong>mento della superficie terrestre (con conseguente azzeramento della vita, che,<br />

come subito verificheremo, all'acqua è connessa), ovvero, in considerazione dell'equilibrio<br />

complessivo che lo stesso frammento <strong>di</strong> Anassimandro riconosce come norma universale, tale effetto è<br />

solo un momento <strong>di</strong> una progressione ciclica?<br />

In assenza <strong>di</strong> altri documenti, può essere utile ricorrere alle opinioni in merito attribuite a un (giovane)<br />

contemporaneo, Senofane, originario della stessa area ionica, il quale potrebbe aver replicato lo stesso<br />

schema: a partire da terra e acqua, attraverso l'interazione dei contrari (caldo, freddo, secco, umido),<br />

molti altri fenomeni erano illustrati in termini naturali e razionali. Ciò probabilmente contribuendo<br />

anche alla sua battaglia culturale nei confronti <strong>di</strong> una superficiale religiosità popolare, che proprio dei<br />

timori suscitati dalle manifestazioni della natura – e soprattutto dai fenomeni celesti – si nutriva.<br />

Ebbene, proprio Senofane potrebbe aver contribuito a esportare il <strong>modello</strong> <strong>milesio</strong> verso il mondo<br />

greco occidentale (Sicilia, Magna Grecia), quando, intorno al 546 a.C., fu costretto ad abbandonare la<br />

sua città natale, la ionica Colofone, plausibilmente in relazione all'affermazione dei Persiani nella<br />

regione. Ippolito gli riconosce, in effetti, un'interessante teoria sulla generazione e <strong>di</strong>struzione della<br />

vita sulla Terra, che manifesta analogie con le testimonianze relative <strong>di</strong> Anassimandro e Anassimene:<br />

ὁ δὲ Ξενοφάνης μίξιν τῆς γῆς πρὸς τὴν θάλασσαν γίνεσθαι δοκεῖ καὶ τῶι χρόνωι ὑπὸ τοῦ ὑγροῦ<br />

λύεσθαι, φάσκων τοιαύτας ἔχειν ἀποδείξεις, ὅτι ἐν μέσηι γῆι καὶ ὄρεσιν εὑρίσκονται κόγχαι, καὶ ἐν<br />

Συρακούσαις δὲ ἐν ταῖς λατομίαις λέγει εὑρῆσθαι τύπον ἰχθύος καὶ φωκῶν, ἐν δὲ Πάρωι τύπον<br />

δάφνης ἐν τῶι Βάθει τοῦ λίθου, ἐν δὲ Μελίτηι πλάκας συμπάντων τῶν θαλασσίων. (6) ταῦτα δέ<br />

φησι γενέσθαι, ὅτε πάντα ἐπηλώθησαν πάλαι, τὸν δὲ τύπον ἐν τῶι πηλῶι ξηρανθῆναι. ἀναιρεῖσθαι<br />

δὲ τοὺς ἀνθρώπους πάντας, ὅταν ἡ γῆ κατενεχθεῖσα εἰς τὴν θάλασσαν πηλὸς γένηται, εἶτα πάλιν<br />

ἄρχεσθαι τῆς γενέσεως, καὶ ταύτην πᾶσι τοῖς κόσμοις γίνεσθαι μεταβολήν<br />

(5) Senofane ritiene che si produca una mescolanza <strong>di</strong> terra e mare e che con il tempo sia<br />

sciolta dall'umido, portando come prove il fatto che sulla terraferma e sui monti si trovino conchiglie.<br />

Afferma che a Siracusa, nelle cave <strong>di</strong> pietra, si siano trovate impronte <strong>di</strong> pesce e altre <strong>di</strong> foche; a Paro,<br />

invece, un'impronta <strong>di</strong> sarda nella profon<strong>di</strong>tà della pietra; a Malta segni <strong>di</strong> pinne <strong>di</strong> ogni animale marino.<br />

(6) Sostiene che ciò sia accaduto quando anticamente tutto era coperto <strong>di</strong> fango, e l'impronta si essiccò nel<br />

fango. Sostiene che tutti gli uomini siano <strong>di</strong>strutti quando la terra, inabissata nel mare, <strong>di</strong>venga fango, e<br />

poi ancora riprenda la generazione e che questa trasformazione avvenga per tutti i mon<strong>di</strong> [in tutti gli<br />

or<strong>di</strong>namenti?] (DK 21 A33).<br />

Queste convinzioni, pur <strong>di</strong>verse da quelle dalla tra<strong>di</strong>zione riferite ad Anassimandro, sembrano alludere<br />

a cicli <strong>di</strong> avanzamento del mare sulla superficie terrestre (fino alla copertura) e successivo ritiro (fino<br />

al completo inari<strong>di</strong>mento), associati a un'incidenza dell'azione solare prossima a quella proposta dal<br />

Milesio: il poeta <strong>di</strong> Colofone le assegna infatti una particolare funzione esplicativa per i fenomeni<br />

celesti e meteorologici:<br />

Ξ. ἀπὸ τῆς τοῦ ἡλίου θερμότητος ὡς ἀρκτικῆς αἰτίας τἀν τοῖς μεταρσίοις συμβαίνειν. ἀνελκομένου<br />

γὰρ ἐκ τῆς θαλάττης τοῦ ὑγροῦ τὸ γλυκὺ διὰ τὴν λεπτομέρειαν διακρινόμενον νέφη τε συνιστάνειν<br />

ὀμιχλούμενον καὶ καταστάζειν ὄμβρους ὑπὸ πιλήσεως καὶ διατμίζειν τὰ πνεύματα<br />

Senofane che i fenomeni meteorologici sono prodotti a causa del calore del Sole come causa<br />

iniziale. Levandosi, infatti, l'umi<strong>di</strong>tà dal mare, la parte dolce, <strong>di</strong>sciolta per la sottigliezza delle sue parti,<br />

trasformandosi in nebbia forma le nubi, fa cadere la pioggia per condensazione e spirare i venti (Aëtius,<br />

DK 21 A46).


86<br />

È possibile allora che l'analogia dei processi funzionasse anche nella prospettiva ciclicaF<br />

F e che<br />

Anassimandro quin<strong>di</strong> recuperasse nella sua speculazione elementi delle credenze e dei miti <strong>di</strong>ffusi<br />

87<br />

nella cultura greca arcaicaF<br />

F.<br />

All'evaporazione della massa umida – come sopra sottolineato nella testimonianza <strong>di</strong> Alessandro – il<br />

Milesio riconduceva la formazione dei venti e probabilmente il rifornimento (nutrimento) del fuoco<br />

cosmico degli astri:<br />

Ἀ. ἄνεμον εἶναι ῥύσιν ἀέρος τῶν λεπτοτάτων ἐν αὐτῶι καὶ ὑγροτάτων ὑπὸ τοῦ ἡλίου κινουμένων ἢ<br />

τηκομένων<br />

Anassimandro sostiene che il vento è uno scorrimento d'aria, essendo le parti più leggere e più umide in<br />

essa mosse o consumate dal Sole (Aëtius, DK 12 A24)<br />

ὑγροῦ γὰρ ὄντος τοῦ περὶ τὴν γῆν τόπου κἄπειτα τὸ μέν τι τῆς ὑγρότητος ὑπὸ τοῦ ἡλίου<br />

ἐξατμίζεσθαι καὶ γίνεσθαι πνεύματά τε ἐξ αὐτοῦ καὶ τροπὰς ἡλίου τε καὶ σελήνης ὡς διὰ τὰς<br />

ἀτμίδας ταύτας καὶ τὰς ἀναθυμιάσεις κἀκείνων τὰς τροπὰς ποιουμένων, ἔνθα ἡ ταύτης αὐτοῖς<br />

χορηγία γίνεται, περὶ ταῦτα τρεπομένων<br />

Essendo infatti umido il luogo intorno alla Terra, una parte dell'umi<strong>di</strong>tà fu fatta poi evaporare dal Sole e<br />

ne derivarono i venti e le rivoluzioni <strong>di</strong> Sole e Luna, perché anche questi fanno le loro rivoluzioni a causa<br />

<strong>di</strong> tali evaporazioni e esalazioni, muovendosi in quei luoghi dove trovino grande abbondanza <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà<br />

(DK 12 A27).<br />

Lo stesso processo <strong>di</strong> esalazione era richiamato nell'illustrazione <strong>di</strong> altri fenomeni meteorologici:<br />

(7) ἀνέμους δὲ γίνεσθαι τῶν λεπτοτάτων ἀτμῶν τοῦ ἀέρος ἀποκρινομένων καὶ ὅταν ἀθροισθῶσι<br />

κινουμένων, ὑετοὺς δὲ ἐκ τῆς ἀτμίδος τῆς ἐκ γῆς ὑφ’ ἥλιον ἀναδιδομένης· ἀστραπὰς δέ, ὅταν ἄνεμος<br />

ἐμπίπτων διιστᾶι τὰς νεφέλας<br />

I venti si producono dal <strong>di</strong>stacco dall'aria dei vapori più sottili, i quali, una volta raccolti, si mettono in<br />

movimento. Le piogge, invece, si formano dal vapore che si leva dalla Terra sotto l'azione del Sole. I<br />

lampi hanno luogo quando il vento, investendo le nubi, le spezza (Ippolito, DK 12 A11).<br />

Mettendo a confronto le testimonianze si ricava l'impressione che Anassimandro effettivamente<br />

proiettasse lo stesso principio <strong>di</strong> ἀπόκρισις, all'opera nella ricostruzione cosmogonica, per dar conto<br />

dei processi meteorologici: l'azione del Sole sul nucleo terraqueo inizialmente produce l'evaporazione<br />

da cui origina l'atmosfera intorno alla superficie terrestre; quin<strong>di</strong> l'ulteriore <strong>di</strong>scriminazione tra una<br />

88<br />

massa più densa e umida (nubi e pioggia) e una più rara, leggera e mobile (venti)F<br />

F. Proprio ai venti la<br />

dossografia assegna un primario valore esplicativo:<br />

περὶ βροντῶν ἀστραπῶν κεραυνῶν πρηστήρων τε καὶ τυφώνων. Ἀ. ἐκ τοῦ πνεύματος ταυτὶ πάντα<br />

συμβαίνειν· ὅταν γὰρ περιληφθὲν νέφει παχεῖ βιασάμενον ἐκπέσηι τῆι λεπτομερείαι καὶ κουφότητι,<br />

τόθ’ ἡ μὲν ῥῆξις τὸν ψόφον, ἡ δὲ διαστολὴ παρὰ τὴν μελανίαν τοῦ νέφους τὸν διαυγασμὸν ἀποτελεῖ<br />

Relativamente a tuoni, lampi, fulmini, turbini e tifoni, Anassimandro sostiene che sono tutti prodotti dal<br />

vento in questo modo: quando, in effetti, avvolto in una nube densa, ne esce per la leggerezza e<br />

sottigliezza , ecco che la rottura produce il fragore e lo squarcio, rispetto al<br />

nero della nube, il bagliore (Aëtius, DK 12 A23).<br />

Anaximandrus omnia ad spiritum retulit. tonitrua, inquit, sunt nubis ictae sonus. quare inaequalia sunt?<br />

quia et ipse spiritus inaequalis est. quare et sereno tonat? quia tunc quoque per crassum et scissum aëra<br />

spiritus prosilit. at quare aliquando non fulgurat et tonat? quia spiritus infirmior non valuit in flammam,<br />

in sonum valuit. quid est ergo ipsa fulguratio? aëris <strong>di</strong>ducentis se corruentisque iactatio languidum<br />

ignem nec exiturum a<strong>peri</strong>ens. quid est fulmen? acrioris densiorisque spiritus cursus<br />

86 È quanto ritengono probabile, per esempio, G.S. KIRK, J.E. RAVEN, M. SCHOFIELD, The Presocratic<br />

Philosophers..., cit., p. 140.<br />

87 Oltre a quelle <strong>di</strong> Kirk, si vedano anche le osservazione <strong>di</strong> W.K.C. GUTHRIE, A History of Greek Philosophy.<br />

Vol. 1, cit., pp. 100-101.<br />

88 W.K.C. GUTHRIE, A History of Greek Philosophy. Vol. 1, cit., p. 105.


Anassimandro riconduce tutte cose al vento. I tuoni, sostiene, sono il fragore <strong>di</strong> una nube<br />

colpita. Perché sono <strong>di</strong>versi? Perché il vento stesso è <strong>di</strong>suguale. Perché tuona anche con il sereno? Perché<br />

anche allora il vento si abbatte sull'aria densa, rompendola. E perché talvolta non ci sono fulmini ma<br />

tuoni? Perché il vento, più debole, non ha forza per produrre la fiamma ma solo il suono. Che cosa è<br />

dunque <strong>di</strong> per sé il lampo? Uno spostamento d'aria che si separa e precipita, rivelando un fuoco languido,<br />

che non ha la forza <strong>di</strong> uscire fuori. Che cosa è il fulmine? Una corrente d'aria più intensa e densa (Seneca,<br />

DK 12 A23).<br />

<strong>Il</strong> meccanismo alla base degli impressionanti fenomeni temporaleschi è dunque ancora quello dello<br />

scontro tra masse più dense e più rare: la spinta delle seconde, ventose, imprigionate all'interno <strong>di</strong> un<br />

guscio più denso e umido, provocherebbe in fine la sua frattura, con conseguente fragore e fiamma.<br />

Alla combinazione degli effetti (ciclici?) dell'interazione <strong>di</strong> fuoco e acqua (prosciugamento e<br />

allagamento) e <strong>di</strong> compressione dell'aria erano infine ridotti anche i terremoti:<br />

Anaximander ait arescentem nimia aestuum siccitate aut post madores imbrium terram rimas pandere<br />

gran<strong>di</strong>ores, quas pe<strong>net</strong>rat supernus aer violentus et nimius, ac per eas vehementi spiritu quassatam cieri<br />

propriis se<strong>di</strong>bus. qua de causa tremores huius mo<strong>di</strong> vaporatis temporibus aut nimia aquarum caelestium<br />

superfusione contingunt. ideoque Neptunum, umentis substantiae potestatem, Ennosigaeon et Sisicthona<br />

poetae veteres et theologi nuncuparunt<br />

Anassimandro <strong>di</strong>ce che la Terra, asciugandosi per la estrema secchezza delle vampe, o dopo l'umi<strong>di</strong>tà<br />

delle piogge, apre gran<strong>di</strong> fessure, entro cui pe<strong>net</strong>ra dall'alto aria violenta e abbondante, così che, scossa<br />

attraverso quelle aperture da soffio veemente, si muove nelle sue se<strong>di</strong>. Si producono quin<strong>di</strong> terremoti nei<br />

<strong>peri</strong>o<strong>di</strong> <strong>di</strong> evaporazione o per le eccessive acque dal cielo. Perciò gli antichi poeti e teologi chiamarono<br />

Nettuno, il potere della sostanza umida, Ennosigeo o Sisicton (Ammiano, DK 12 A28).<br />

21BLa vita<br />

Nella stessa prospettiva esplicativa, nel quadro del generale processo <strong>di</strong> formazione del cosmo,<br />

Anassimandro doveva affrontare il problema della vita, come ancora possiamo intravedere dalle<br />

testimonianze: una grande sintesi scientifica, a un tempo cosmogonica e zoogonica, che inseriva<br />

coerentemente la riflessione sulla vita animale e su quella umana nel contesto dello sviluppo <strong>di</strong><br />

processi naturali <strong>di</strong> <strong>di</strong>sseccamento/evaporazione dell'elemento umido e <strong>di</strong> emersione della terra<br />

dall'acqua:<br />

Ἀ. ἐν ὑγρῶι γεννηθῆναι τὰ πρῶτα ζῶια φλοιοῖς περιεχόμενα ἀκανθώδεσι, προβαινούσης δὲ τῆς<br />

ἡλικίας ἀποβαίνειν ἐπὶ τὸ ξηρότερον καὶ περιρρηγνυμένου τοῦ φλοιοῦ ἐπ’ ὀλίγον χρόνον<br />

μεταβιῶναι<br />

Anassimandro sostiene che i primi animali si generarono nell'umido, avvolti da membrane spinose, ma<br />

dopo un po' <strong>di</strong> tempo uscirono nell'elemento più asciutto e, spezzatasi la membrana, per poco tempo<br />

sopravvivevano (Aëtius, DK 12 A30)<br />

τὰ δὲ ζῶια γίνεσθαι H ἐξατμιζομένου ὑπὸ τοῦ ἡλίου. τὸν δὲ ἄνθρωπον ἑτέρωι ζώιωι<br />

γεγονέναι, τουτέστι ἰχθύι, παραπλήσιον κατ’ ἀρχάς<br />

Gli animali, inoltre, si generano dall'umido, sottoposto a evaporazione dal Sole. L'uomo in principio è<br />

nato simile ad altro animale, cioè al pesce (Ippolito, DK 12 A11).<br />

La vita animale rientrerebbe tra gli effetti dell'azione <strong>di</strong> prosciugamento del Sole (e del calore)<br />

sull'umi<strong>di</strong>tà che ricopriva la superficie terrestre: essa avrebbe avuto dunque la propria germinazione<br />

all'interno <strong>di</strong> un ambiente limaccioso (e forse ribollente), in ogni caso connesso all'«umido» (ἐξ ὑγροῦ)<br />

e allo schema cosmogonico <strong>di</strong> base (interazione dei contrari compresi nel γόνιμον). L'esistenza sulla<br />

Terra sarebbe da ascrivere a una fase ulteriore <strong>di</strong> questo processo: con la superficie ormai in gran parte<br />

libera dall'acqua, la vita poteva emanciparsi dalle forme primor<strong>di</strong>ali, adatte alla sopravvivenza<br />

nell'umi<strong>di</strong>tà del limo originario. Se questa linea <strong>di</strong> ragionamento rintracciava le ascendenze della vita<br />

terrestre (anche <strong>di</strong> quella umana) nelle creature marine, un'altra specificamente giustificava la<br />

<strong>di</strong>pendenza e iniziale <strong>di</strong>scendenza dell'uomo da altri animali: l'evidenza delle necessità <strong>di</strong> accu<strong>di</strong>mento<br />

dell'uomo non poteva in effetti lasciare spazio ad altra soluzione che quella <strong>di</strong> un legame <strong>di</strong>retto tra le<br />

prime generazioni umane e precedenti forme <strong>di</strong> vita animale. Le due linee sono chiaramente incrociate<br />

nelle testimonianze:


A. Milesius videri sibi ex aqua terraque calefactis exortos esse sive pisces seu piscibus simillima animaliaH;H<br />

in his homines concrevisse fetusque ad pubertatem intus retentosH;H tunc demum ruptis illis viros<br />

mulieresque qui iam se alere possent processisse<br />

Anassimandro <strong>di</strong> Mileto, riteneva che dall'acqua e dalla terra riscaldate fossero nati sia i pesci sia altri<br />

animali molto simili ai pesci, e che dentro questi si formassero gli uomini, e che i feti fossero trattenuti<br />

all'interno fino alla pubertà; allora, una volta che quelli [gli animali incubatori] si furono spezzati, ne<br />

sarebbero usciti uomini e donne già in grado <strong>di</strong> nutrirsi da sé (Censorino, DK 12 A30)<br />

οὐ γὰρ ἐν τοῖς αὐτοῖς ἐκεῖνος ἰχθῦς καὶ ἀνθρώπους, ἀλλ’ ἐν ἰχθύσιν ἐγγενέσθαι τὸ πρῶτον<br />

ἀνθρώπους ἀποφαίνεται καὶ τραφέντας, ὥσπερ οἱ γαλεοί, καὶ γενομένους ἱκανοὺς ἑαυτοῖς βοηθεῖν<br />

ἐκβῆναι τηνικαῦτα καὶ γῆς λαβέσθαι<br />

[...] questi [Anassimandro], infatti, non pensa che pesci e uomini siano nati negli stessi elementi, ma che<br />

gli uomini dapprima nascessero nei pesci e si nutrissero, come i pescecani, e <strong>di</strong>venuti capaci <strong>di</strong><br />

badare a sé stessi, ne uscissero e prendessero terra (Plutarco, DK 12 A30)<br />

ἔτι φησίν, ὅτι κατ’ ἀρχὰς ἐξ ἀλλοειδῶν ζώιων ὁ ἄνθρωπος ἐγεννήθη, ἐκ τοῦ τὰ μὲν ἄλλα δι’ ἑαυτῶν<br />

ταχὺ νέμεσθαι, μόνον δὲ τὸν ἄνθρωπον πολυχρονίου δεῖσθαι τιθηνήσεως· διὸ καὶ κατ’ ἀρχὰς οὐκ ἄν<br />

ποτε τοιοῦτον ὄντα διασωθῆναι<br />

Ancora <strong>di</strong>ce che in principio l'uomo si generò da animali <strong>di</strong> altra specie, desumendolo da ciò: mentre gli<br />

altri rapidamente possono prendersi cura <strong>di</strong> sé stessi, solo l'uomo necessita <strong>di</strong> essere accu<strong>di</strong>to<br />

[nutrito] per molto tempo. Perciò non avrebbe potuto sopravvivere se fosse stato così anche in principio<br />

(Pseudo-Plutarco, DK 12 A10).<br />

Si intravede, nell'in<strong>di</strong>cazione concorde delle attestazioni (in<strong>di</strong>rettamente teofrastee), l'intuizione <strong>di</strong> un<br />

adattamento progressivo della vita alle trasformazioni dell'ambiente circostante: dalle prime forme<br />

acquatiche, protette da una vera e propria scorza, al <strong>di</strong>fficile adattamento alla con<strong>di</strong>zione terrestre - cui<br />

potrebbe alludere l'espressione <strong>di</strong> Aëtius «spezzatasi la membrana, poco tempo sopravvivevano<br />

[ovvero: poco dopo mutavano il loro modo <strong>di</strong> vivere]» (περιρρηγνυμένου τοῦ φλοιοῦ ἐπ’ ὀλίγον<br />

χρόνον μεταβιῶναι). La specie umana si sarebbe affermata – cioè avrebbe cominciato a riprodursi<br />

autonomamente - dopo una prima fase <strong>di</strong> gestazione all'interno <strong>di</strong> pesci: i primi esseri umani avrebbero<br />

dunque visto la luce in età puberale, maturi per la riproduzione e la conservazione della specie.<br />

Si tratta <strong>di</strong> spunti originali, in un approccio che appare per altro fortemente riduttivo: tutti i fenomeni<br />

sono spiegati, in ultima analisi, riconducendoli all'interazione <strong>di</strong> due soli fattori (caldo e freddo),<br />

separatisi all'inizio (nel γόνιμον) dall'illimitata origine <strong>di</strong> tutte le cose. La genesi del cosmo è illustrata<br />

in termini naturalistici, ricorrendo all'analogia con comuni processi attestati dalla quoti<strong>di</strong>ana<br />

89<br />

es<strong>peri</strong>enza umana; i vari passaggi cosmogonici e zoogonici sono logicamente interconnessiF<br />

F.<br />

9B<strong>Il</strong> frammento <strong>di</strong> Anassimandro<br />

Come si inserisce nel <strong>modello</strong> che abbiamo delineato a partire dalle testimonianze la citazione del<br />

presunto frammento <strong>di</strong> Anassimandro? Intanto riconsideriamone il contesto imme<strong>di</strong>ato:<br />

Ἀ. [...] ἀρχήν τε καὶ στοιχεῖον εἴρηκε τῶν ὄντων τὸ ἄπειρον, πρῶτος τοῦτο τοὔνομα<br />

κομίσας τῆς ἀρχῆς. λέγει δ’ αὐτὴν μήτε ὕδωρ μήτε ἄλλο τι τῶν καλουμένων εἶναι στοιχείων, ἀλλ’<br />

ἑτέραν τινὰ φύσιν ἄπειρον, ἐξ ἧς ἅπαντας γίνεσθαι τοὺς οὐρανοὺς καὶ τοὺς ἐν αὐτοῖς κόσμους· ἐξ<br />

ὧν δὲ ἡ γένεσίς ἐστι τοῖς οὖσι͵ καὶ τὴν φθορὰν εἰς ταῦτα γίνεσθαι κατὰ τὸ<br />

χρεών· διδόναι γὰρ αὐτὰ δίκην καὶ τίσιν ἀλλήλοις τῆς ἀδικίας κατὰ τὴν τοῦ<br />

χρόνου τάξιν [B 1], ποιητικωτέροις οὕτως ὀνόμασιν αὐτὰ λέγων. δῆλον δὲ ὅτι τὴν εἰς ἄλληλα<br />

μεταβολὴν τῶν τεττάρων στοιχείων οὗτος θεασάμενος οὐκ ἠξίωσεν ἕν τι τούτων ὑποκείμενον<br />

ποιῆσαι, ἀλλά τι ἄλλο παρὰ ταῦτα·<br />

Anassimandro [...] <strong>di</strong>chiarò l’apeiron principio e elemento delle cose che sono, adottando per primo<br />

questo nome del “principio”. Egli sostiene, infatti, che esso non sia né acqua né alcun altro <strong>di</strong> quelli che<br />

sono detti elementi, ma che sia una certa altra natura infinita, da cui originano tutti i cieli e i mon<strong>di</strong> in<br />

89 Su questo punto K. ALGRA, The beginnings of cosmology, in The Cambridge Companion to Early Greek<br />

Philosophy, cit., p. 48.


essi: è secondo necessità che verso le stesse cose, da cui le cose che sono hanno<br />

origine, avvenga anche la loro <strong>di</strong>struzione; esse, infatti, pagano le une alle altre<br />

pena e riscatto della colpa, secondo l’or<strong>di</strong>namento del tempo [B1], parlando <strong>di</strong> queste<br />

cose così in termini piuttosto poetici. È evidente allora che, avendo considerato la reciproca<br />

trasformazione dei quattro elementi, non ritenne adeguato porre alcuno <strong>di</strong> essi come sostrato, ma qualcosa<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>verso, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> essi (DK 12 A9).<br />

La porzione <strong>di</strong> testo che precede gli ipsissima verba è testimonianza <strong>di</strong> Simplicio sulla relazione <strong>di</strong><br />

Teofrasto (come si può evidenziare incrociandola con quelle <strong>di</strong> Ippolito e Pseudo-Plutarco), che<br />

90<br />

91<br />

costituisce la sua fonte <strong>di</strong>rettaF<br />

F: il lessico evidenzia il filtro <strong>peri</strong>pateticoF<br />

F. Quella che segue<br />

92<br />

imme<strong>di</strong>atamente la citazione potrebbe, come argomentato da KahnF<br />

F, <strong>di</strong>pendere ancora dall'opera del<br />

<strong>peri</strong>patetico e dunque alludere, in<strong>di</strong>rettamente, al testo <strong>di</strong> Anassimandro. Nella sostanza il complesso<br />

delle informazioni tra<strong>di</strong>sce l'interesse aristotelico, <strong>di</strong>pendendo dalla definizione <strong>di</strong> ἀρχή da cui siamo<br />

partiti:<br />

ἐξ οὗ γὰρ ἔστιν ἅπαντα τὰ ὄντα καὶ ἐξ οὗ γίγνεται πρώτου καὶ εἰς ὃ φθείρεται τελευταῖον, τῆς μὲν<br />

οὐσίας ὑπομενούσης τοῖς δὲ πάθεσι μεταβαλλούσης, τοῦτο στοιχεῖον καὶ ταύτην ἀρχήν φασιν εἶναι<br />

τῶν ὄντων, καὶ διὰ τοῦτο οὔτε γίγνεσθαι οὐθὲν οἴονται οὔτε ἀπόλλυσθαι, ὡς τῆς τοιαύτης φύσεως<br />

ἀεὶ σωζομένης<br />

ciò da cui, infatti, tutte le cose derivano il loro essere, e ciò da cui dapprima si generano e verso cui infine<br />

si corrompono, permanendo per un verso la sostanza, per altro invece mutando nelle affezioni, questo<br />

sostengono essere elemento e questo principio delle cose, e per questo credono che né si generi né si<br />

<strong>di</strong>strugga alcunché, dal momento che una tale natura si conserva sempre (Metafisica I, 3 983b8-13).<br />

A sostegno dell'ipotesi, il fatto che nei passi aristotelici utilizzati da Diels-Kranz come testimonianza<br />

A16, è riba<strong>di</strong>to – ma con parole <strong>di</strong>verse – lo stesso ragionamento:<br />

ἀλλὰ μὴν οὐδὲ ἓν καὶ ἁπλοῦν εἶναι ἐνδέχεται τὸ ἄπειρον σῶμα, οὔτε ὡς λέγουσί τινες τὸ παρὰ τὰ<br />

στοιχεῖα, ἐξ οὗ ταῦτα γεννῶσιν, οὔθ’ ἁπλῶς. εἰσὶ γάρ τινες οἳ τοῦτο ποιοῦσι τὸ ἄπειρον, ἀλλ’ οὐκ<br />

ἀέρα ἢ ὕδωρ, ὡς μὴ τἆλλα φθείρηται ὑπὸ τοῦ ἀπείρου αὐτῶν· ἔχουσι γὰρ πρὸς ἄλληλα ἐναντίωσιν,<br />

οἷον ὁ μὲν ἀὴρ ψυχρός, τὸ δ’ ὕδωρ ὑγρόν, τὸ δὲ πῦρ θερμόν· ὧν εἰ ἦν ἓν ἄπειρον, ἔφθαρτο ἂν ἤδη<br />

τἆλλα· νῦν δ’ ἕτερον εἶναί φασι, ἐξ οὗ ταῦτα.<br />

Ma neppure è possibile che il corpo infinito sia uno e semplice: né, come <strong>di</strong>cono alcuni, in quanto ciò che<br />

è oltre gli elementi, da cui essi si generano, né in quanto semplicemente tale. Vi sono in effetti alcuni che<br />

pongono l'infinito in questo modo: non invece come aria o acqua, affinché le altre cose non siano <strong>di</strong>strutte<br />

dall'infinito <strong>di</strong> quelle. Sono infatti reciprocamente contrari, per esempio l'aria è fredda, l'acqua è umida, il<br />

fuoco caldo. Se uno <strong>di</strong> questi fosse infinito, gli altri sarebbero subito <strong>di</strong>strutti. Affermano allora che sia <strong>di</strong>verso , e da esso questi derivino (Aristotele, Fisica 204 b22-29. DK<br />

12 A16).<br />

La precisazione - ποιητικωτέροις οὕτως ὀνόμασιν αὐτὰ λέγων – che potrebbe risalire allo stesso<br />

93<br />

TeofrastoF<br />

F, può essere interpretata in due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi, a seconda del valore attribuito al comparativo<br />

94<br />

ποιητικωτέροις: se lo si intende come comparativo assolutoF<br />

F, il senso dell'inciso sarebbe il seguente:<br />

«parlando <strong>di</strong> queste cose così, in termini piuttosto poetici». Esso, in altre parole, ci segnalerebbe che<br />

quel che precede imme<strong>di</strong>atamente è – almeno in parte - testuale citazione, che autorizza un rilievo<br />

sullo stile <strong>di</strong> Anassimandro. Se invece si intende ποιητικωτέροις come un normale comparativo,<br />

90 Vi è tuttavia il sospetto che Simplicio possa aver utilizzato anche il commento (per noi perduto) <strong>di</strong> Alessandro<br />

alla Fisica.<br />

91 Su questo punto insiste in modo convincente H. SCHMITZ, Anaximander und <strong>di</strong>e Anfänge dei griechischen<br />

Philosophie, cit., pp. 14 ss..<br />

92 CH. H. KAHN, Anaximander and The Origins of Greek Cosmology, cit., pp. 37-38.<br />

93 Nel suo complesso la formula è stata riconosciuta da Schmitz (H. SCHMITZ, Anaximander und <strong>di</strong>e Anfänge dei<br />

griechischen Philosophie, cit., p. 22) <strong>di</strong> matrice <strong>peri</strong>patetica.<br />

94 Come si fa per lo più.


F<br />

avremmo: «parlando <strong>di</strong> queste cose così in termini più poetici». Una chiara allusione al fatto che quel<br />

95<br />

96<br />

che precede è solo parafrasiF<br />

F: ad<strong>di</strong>rittura versione in prosa <strong>di</strong> un originale in versi, andato perdutoF<br />

F.<br />

La <strong>di</strong>scussione su che cosa <strong>di</strong>scernere come originale nel frammento e quanto invece attribuire a<br />

parafrasi è ancora aperta. Alla posizione estrema <strong>di</strong> Havelock, che ritiene parafrasi l'intero frammento,<br />

possiamo contrapporre quella <strong>di</strong> Kahn, che – pur credendo plausibile, da parte <strong>di</strong> Teofrasto, qualche<br />

intervento <strong>di</strong> aggiustamento del testo per la citazione - sostanzialmente ne accetta la genuinità. Nel<br />

97<br />

mezzo troviamo soluzioni <strong>di</strong> compromessoF<br />

F: prevalente è quella <strong>di</strong> riconoscere autentica citazione<br />

κατὰ τὸ χρεών· διδόναι γὰρ αὐτὰ δίκην καὶ τίσιν ἀλλήλοις τῆς ἀδικίας; in questo caso prima parte (ἐξ ὧν<br />

δὲ ἡ γένεσίς ἐστι τοῖς οὖσι͵ καὶ τὴν φθορὰν εἰς ταῦτα γίνεσθαι) e conclusione (κατὰ τὴν τοῦ χρόνου<br />

98<br />

99<br />

τάξιν) sarebbero parafrasi teofrasteeF<br />

F. Le osservazioni lessicali <strong>di</strong> Kahn e i recenti riscontri <strong>di</strong> SassiF<br />

sull'eco <strong>di</strong> formule <strong>di</strong> testi legislativi nel frammento suggeriscono tuttavia <strong>di</strong> considerare<br />

anassimandreo tutto il testo dopo κατὰ τὸ χρεών (conclusione compresa).<br />

Se, infatti, come subito chiariremo, l'esor<strong>di</strong>o del frammento ha certamente una risonanza <strong>peri</strong>patetica,<br />

l'espressione κατὰ τὸ χρεών rinvia a lunga teoria <strong>di</strong> antiche attestazioni epigrafiche relative al destino<br />

dei defunti (contribuendo, dunque, all'aura "esistenziale" del testo), mentre la formula κατὰ τὴν τοῦ<br />

χρόνου τάξιν («secondo l'or<strong>di</strong>namento/la <strong>di</strong>sposizione del tempo» ovvero «secondo il tempo<br />

assegnato») evoca il riferimento al fattore temporale ossessivamente presente nei testi legislativi<br />

100<br />

arcaiciF<br />

F. Da questi plausibilmente Anassimandro ricava anche la coppia significativa δίκη-ἀδικία,<br />

elaborando la forma astratta τίσις (da τίνειν/τίνεσθαι, e soprattutto ἀποτίνειν/ἀποτίνεσθαι, ben attestati<br />

dal VII-VI secolo a.C.): che lo scenario cosmico del <strong>di</strong>scorso del Milesio sia filtrato attraverso il<br />

lessico giuri<strong>di</strong>co e come trasposto in tribunale è tesi classica, ampiamente suffragata dalle ricerche sin<br />

101<br />

dal secolo scorsoF<br />

F.<br />

Gli specifici rilievi testuali su frammenti <strong>di</strong> legislazioni arcaiche, quin<strong>di</strong>, consentono oggi <strong>di</strong><br />

confermare l'atten<strong>di</strong>bilità della citazione, introducendo un ulteriore elemento accanto ai tra<strong>di</strong>zionali<br />

riscontri incrociati con la letteratura omerica o esiodea. In questo modo si ri<strong>di</strong>mensiona il tentativo <strong>di</strong><br />

leggere nella scelta <strong>di</strong> termini come χρέω, χρόνος, δίκη, τάξις i segni <strong>di</strong> un'impronta religiosa:<br />

Necessità, Tempo e Giustizia come fondamentali <strong>di</strong>vinità orfiche; τάξις - reso come «decreto» -<br />

analogo all'orfico θεσμός (documentato in Platone - Fedro 248c - e nella letteratura neoplatonica -<br />

102<br />

Proclo)F<br />

F. Anche se rimane aperto il problema più generale <strong>di</strong> una possibile interazione tra<br />

103<br />

104<br />

cosmogonia ionica e teogonie orficheF<br />

F, la cui <strong>di</strong>rezione non è, tuttavia, chiaraF<br />

F.<br />

2B<strong>Il</strong> contesto<br />

95 M.L. GEMELLI MARCIANO, Die Vorsokratiker, cit., p. 65.<br />

96 E.A. HAVELOCK, Alle origini della filosofia greca. Una revisione storica, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 90<br />

ss..<br />

97 Si veda la <strong>di</strong>scussione in proposito proposta da Conche (ANAXIMANDRE, Fragments et Témoignages, cit., pp.<br />

161-164).<br />

98 In particolare κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν sarebbe parafrasi teofrastea della formula originale anassimandrea<br />

κατὰ τὸ χρεών. Per questo si veda M.L. GEMELLI MARCIANO in Die Vorsokratiker, cit., Band I, p. 65. Di <strong>di</strong>verso<br />

avviso H. SCHMITZ, Anaximander und <strong>di</strong>e Anfänge der griechischen Philosophie, cit., pp. 24-25, per il quale le<br />

due formule si corrisponderebbero simmetricamente proprio come apertura e chiusura della citazione.<br />

99 M.M. SASSI, Anassimandro e la scrittura della "legge" cosmica, in La costruzione del <strong>di</strong>scorso filosofico<br />

nell'età dei Presocratici, cit., pp. 3-26.<br />

100 M.M. SASSI, Anassimandro e la scrittura della "legge" cosmica, cit., p. 13.<br />

101 G. VLASTOS, Equality and Justice in Early Greek Cosmologies, cit., pp. 57-88; W. JAEGER, Die Theologie der<br />

frühen griechischen Denker (1953), trad. it. La teologia dei primi pensatori greci, Firenze, La Nuova Italia,<br />

1961, pp. 29-65.<br />

102 Una ricostruzione in questo senso, coerente e sostenuta da osservazioni acute, è quella <strong>di</strong> G. COLLI, La<br />

sapienza greca, Volume II, cit., pp. 27 ss.; pp. 297-299.<br />

103 Di recente A. BERNABE', Orphisme et Présocratiques: bilan et prospectives d'un <strong>di</strong>alogue complexe, cit., pp.<br />

211 ss..<br />

104 Sono state le teogonie orfiche a incidere sulla cosmogonia ionica o, viceversa, questa le ha influenzate? <strong>Il</strong><br />

problema è stato opportunamente sollevato in W.K.C. GUTHRIE, A History of Greek Philosophy. Vol. 1, cit., p.<br />

39.


F<br />

La contestualizzazione ci consente <strong>di</strong> determinare il valore dei riferimenti presenti complessivamente<br />

nella testimonianza e nel frammento. La relazione che introduce la citazione apertamente parla <strong>di</strong><br />

στοιχεῖα: le parole <strong>di</strong> Anassimandro – parafrasate o riprese alla lettera nella prima parte del frammento<br />

- potrebbero <strong>di</strong>rettamente alludere a essi, con le due espressioni pronominali al plurale ἐξ ὧν [...] εἰς<br />

ταῦτα (letteralmente «le cose da cui [...] verso le stesse cose»), che sembrano escludere che il<br />

riferimento sia a τὸ ἄπειρον. Anzi, esse potrebbero richiamare una formula analoga impiegata da<br />

Aristotele per definire «elemento»:<br />

στοιχεῖον λέγεται ἐξ οὗ σύγκειται πρώτου ἐνυπάρχοντος ἀδιαιρέτου τῷ εἴδει εἰς ἕτερον εἶδος, οἷον<br />

φωνῆς στοιχεῖα ἐξ ὧν σύγκειται ἡ φωνὴ καὶ εἰς ἃ διαιρεῖται ἔσχατα<br />

Elemento si <strong>di</strong>ce ciò da cui, come da componente primo immanente, è costituita, in<strong>di</strong>visivbile<br />

per specie in specie <strong>di</strong>versa: per esempio gli elementi della voce sono le cose da cui la voce è costituita<br />

e le cose ultime verso cui essa si <strong>di</strong>vide (Aristotele, Metafisica V, 1014 a26-29),<br />

e dunque suggerire un intervento <strong>di</strong> parafrasi (e sintesi) da parte <strong>di</strong> Teofrasto per introdurre la<br />

citazione vera e propria. D'altra parte, anche la ripresa, con il rilievo del carattere «piuttosto poetico»<br />

delle espressioni anassimandree, ricorre a un neutro plurale (αὐτὰ λέγων) che pare naturalmente<br />

105<br />

puntare nella stessa <strong>di</strong>rezione (στοιχεῖα)F<br />

F. <strong>Il</strong> commentatore, infatti, introduce la citazione come<br />

evidenza (δῆλον) del fatto che, dalla reciproca mutabilità degli elementi (τὴν εἰς ἄλληλα μεταβολὴν,<br />

espressione che indubbiamente ricalca e parafrasa la seconda parte del frammento), Anassimandro<br />

sarebbe stato convinto della loro inadeguatezza (οὐκ ἠξίωσεν ἕν τι τούτων) al ruolo <strong>di</strong> sostrato<br />

originario (ὑποκείμενον ποιῆσαι) e dunque spinto a introdurre «qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> essi» (τι<br />

ἄλλο παρὰ ταῦτα). <strong>Il</strong> commento chiaramente accosta στοιχεῖα e ἐναντιότητες, i «contrari» (specificati<br />

come «caldo e freddo, secco e umido e così via») all'origine del processo cosmogonico, come<br />

riscontriamo anche nella tra<strong>di</strong>zione dossografica più atten<strong>di</strong>bile (Ippolito, Pseudo-Plutarco).<br />

Contro questa lettura si potrebbe far valere l'osservazione che la supposta citazione pare utilizzata a<br />

106<br />

conferma del passo imme<strong>di</strong>atamente precedenteF<br />

F:<br />

ἐξ ἧς ἅπαντας γίνεσθαι τοὺς οὐρανοὺς καὶ τοὺς ἐν αὐτοῖς κόσμους<br />

da cui originano tutti i cieli e i mon<strong>di</strong> in essi,<br />

per altro anche formalmente evocativo (ἐξ ἧς/ἐξ ὧν) nella sua costruzione. In questo senso si potrebbe<br />

cogliere un'allusione a τὸ ἄπειρον (sebbene rimanga il problema del plurale ἐξ ὧν [...] εἰς ταῦτα) e alla<br />

107<br />

produzione (e vicissitu<strong>di</strong>ne) <strong>di</strong> mon<strong>di</strong>F<br />

F. L'originalità del contenuto - con l'insolita (per un<br />

108<br />

<strong>peri</strong>patetico) congiunzione dei plurali οὐρανοὺς e κόσμους - ha, in effetti, fatto supporre a ReinhardtF<br />

che in questo caso Teofrasto seguisse dappresso il testo <strong>di</strong> Anassimandro. La ricostruzione della<br />

cosmogonia attraverso le testimonianze consente, tuttavia, <strong>di</strong> sovrapporre le due prospettive <strong>di</strong> lettura:<br />

la prima (che seguiamo) si limita a specificare quanto la seconda delinea più sommariamente. <strong>Il</strong><br />

processo <strong>di</strong> generazione in<strong>di</strong>cato nel passo origina dall'ἄπειρον, ma centrale risulta il ruolo dei contrari<br />

(τὰ ἐναντία), cui alluderebbe, appunto, la citazione teofrastea.<br />

23BLa prima parte del frammento<br />

La scheggia <strong>di</strong> testo pervenutaci è sostanzialmente costituita da due sentenze, tra loro connesse da γὰρ:<br />

la seconda, dunque, dovrebbe logicamente sostenere i rilievi della prima. Abbiamo sottolineato come<br />

almeno la parte centrale possa essere considerata citazione letterale. Entrambe si chiudono con<br />

formule - κατὰ τὸ χρεών («secondo necessità/secondo quanto dovuto») e κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν<br />

105 Di <strong>di</strong>verso avviso Schmitz (H. SCHMITZ, Anaximander und <strong>di</strong>e Anfänge dei griechischen Philosophie, cit., pp.<br />

21-22), secondo cui il senso dell'affermazione sarebbe: «mit eher poetischen Namen eben <strong>di</strong>ese Gedanken<br />

ausdrückend». Si tratterebbe <strong>di</strong> una normale formula <strong>peri</strong>patetica.<br />

106 In questo senso H. SCHMITZ, Anaximander und <strong>di</strong>e Anfänge dei griechischen Philosophie, cit., p. 31.<br />

107 In questo senso Hölscher (U. HÖLSCHER, Anaximander und <strong>di</strong>e Anfänge der Philosophie, cit., p. 114).<br />

108 K. REINHARDT, Parmenides und <strong>di</strong>e Geschichte <strong>di</strong>e griechischen Philosophie, cit., p. 175.


(«secondo l'or<strong>di</strong>namento/la <strong>di</strong>sposizione del tempo») – che si corrispondono, anche<br />

109<br />

concettualmenteF<br />

F.<br />

La prima sentenza:<br />

ἐξ ὧν δὲ ἡ γένεσίς ἐστι τοῖς οὖσι͵ καὶ τὴν φθορὰν εἰς ταῦτα γίνεσθαι κατὰ τὸ χρεών<br />

le cose dalle quali invero è l'origine per le cose che sono, verso quelle stesse cose avviene anche la <br />

<strong>di</strong>struzione secondo necessità [verso le stesse cose, da cui invero è l'origine per le cose che sono, avviene<br />

anche la <strong>di</strong>struzione secondo necessità],<br />

opera una <strong>di</strong>stinzione tra le realtà in<strong>di</strong>cate dai pronomi ἐξ ὧν/εἰς ταῦτα, fondamentali in quanto<br />

ulteriori rispetto ai termini rappresentati da γένεσις e φθορά che identificano invece τὰ ὄντα («le cose<br />

che sono»), ma anche in quanto la costruzione greca chiaramente allude al fatto che τὰ ὄντα si<br />

generano da e si corrompono in quelle realtà. Secondo Teofrasto – che cita e probabilmente parafrasa -<br />

Anassimandro avrebbe proposto in questo modo lo stesso schema che ritroviamo nel contemporaneo<br />

Senofane:<br />

ἐκ γαίης γὰρ πάντα καὶ εἰς γῆν πάντα τελευτᾶι<br />

dalla terra in effetti tutto e nella terra tutto finisce (DK 21 B27),<br />

e cui allude Platone per designare la περὶ φύσεως ἱστορία:<br />

Οὐ φαῦλον πρᾶγμα, ἔφη, ὦ Κέβης, ζητεῖς· ὅλως γὰρ δεῖ περὶ γενέσεως καὶ φθορᾶς τὴν αἰτίαν<br />

διαπραγματεύσασθαι<br />

Cebete, tu non poni una questione da poco – <strong>di</strong>sse. Essa richiede in effetti <strong>di</strong> trattare accuratamente e<br />

complessivamente la causa [la ragione] della generazione e della <strong>di</strong>struzione [corruzione] (Fedone 95e-<br />

96a),<br />

110<br />

probabilmente richiamando un <strong>modello</strong> ormai definito e riconoscibileF<br />

F.<br />

A partire dal contesto della citazione abbiamo ipotizzato che il referente ultimo dei complementi<br />

pronominali sia costituito dagli «elementi» ovvero dai «contrari» (che li costituiscono), cui<br />

Teofrasto/Simplicio alludono. A che cosa propriamente si riferisce, invece, il greco τὰ ὄντα? <strong>Il</strong> termine<br />

111<br />

– come d'altra parte γένεσις – è presente nella letteratura omerica ed è indubbiamente <strong>di</strong> uso arcaicoF<br />

F;<br />

esso è impiegato per in<strong>di</strong>care ciò che esiste realmente, i fatti che realmente accadono: quanto, per<br />

esempio, l'indovino Calcante, in forza dei doni <strong>di</strong>vini, è in grado <strong>di</strong> comunicare come verità:<br />

ὃς ᾔδη τά τ’ ἐόντα τά τ’ ἐσσόμενα πρό τ’ ἐόντα<br />

Egli [Calcante] conosceva le cose presenti, le cose passate e le cose a venire (<strong>Il</strong>iade I, 70),<br />

e ritorna in formule simili anche nelle testimonianze su Anassimene:<br />

Ἀ. δὲ καὶ αὐτὸς ὢν Μιλήσιος, υἱὸς δ’ Εὐρυστράτου, ἀέρα ἄπειρον ἔφη τὴν ἀρχὴν εἶναι, ἐξ οὗ τὰ<br />

γινόμενα καὶ τὰ γεγονότα καὶ τὰ ἐσόμενα καὶ θεοὺς καὶ θεῖα γίνεσθαι, τὰ δὲ λοιπὰ ἐκ τῶν τούτου<br />

ἀπογόνων<br />

Anassimene, anche lui <strong>milesio</strong>, figlio <strong>di</strong> Euristrato, <strong>di</strong>sse che il principio è aria infinita, da cui si generano<br />

le cose che nascono e le cose che sono nate e quelle che nasceranno e gli dei e le cose <strong>di</strong>vine, mentre le<br />

altre cose derivano da quanto è da essa prodotto (DK 13 A7).<br />

In questo senso, sembra naturale intenderlo nel suo significato generale <strong>di</strong> «cose», «cose che sono»,<br />

«enti». È vero, tuttavia, che le in<strong>di</strong>cazioni relative alla cosmogonia <strong>di</strong> Anassimandro insistono sul<br />

ruolo decisivo assegnato al conflitto dei contrari (caldo/freddo/secco/umido), vera e propria matrice<br />

109 La seconda, come credono alcuni, potrebbe essere illustrazione teofrastea della prima, anche se, come<br />

abbiamo ricordato, i riscontri su testi legislativi arcaici ne confermerebbero l'atten<strong>di</strong>bilità anassimandrea.<br />

110 Ma potrebbe essere stato Teofrasto, a posteriori, a forzare la posizione del Milesio nella semplificazione<br />

platonica, recuperandone il lessico nella propria parafrasi.<br />

111 CH. H. KAHN, Anaximander and The Origins of Greek Cosmology, cit., pp. 174 ss..


delle masse (fuoco, acqua, aria, terra) da cui tutto il resto deriverebbe (e che nella tra<strong>di</strong>zione<br />

successiva sarebbero state designate come «elementi»). Sarebbe dunque possibile, come pensano<br />

112<br />

alcuniF<br />

F, intendere τὰ ὄντα nel senso ristretto <strong>di</strong> costitutivi elementari, come attestato in Diogene <strong>di</strong><br />

Apollonia (V sec. a.C.):<br />

εἰ γὰρ τὰ ἐν τῶιδε τῶι κόσμωι ἐόντα νῦν, γῆ καὶ ὕδωρ καὶ ἀὴρ καὶ πῦρ καὶ τὰ ἄλλα ὅσα φανεται ἐν<br />

τῶιδε τῶι κόσμωι ἐόντα<br />

se infatti le cose che sono ora in questo cosmo: terra, acqua, aria, fuoco e tutte le altre cose che appaiono<br />

113<br />

esistenti in questo cosmoF<br />

F.<br />

Se attribuiamo all'espressione il suo valore generale, la successiva formula κατὰ τὸ χρεών rileverebbe<br />

l'intrinseca finitezza, limitatezza delle cose, la necessità della <strong>di</strong>struzione (φθορά) che segue la loro<br />

generazione (γένεσις), e il loro <strong>di</strong>ssolversi nei costitutivi elementari donde originarono (ἐξ ὧν/εἰς<br />

ταῦτα, da cui .... verso gli stessi). Assumendo τὰ ὄντα, invece, nel valore più ristretto, il rilievo sarebbe<br />

rivolto alla costante trasformazione delle masse elementari, al loro equilibrio, e alla loro riduzione ai<br />

contrari originariamente <strong>di</strong>staccatasi dall'ἄπειρον.<br />

24BLa seconda parte del frammento<br />

L'impressione che possiamo ricavare dalle testimonianze antiche è che, comunque, la conclusione del<br />

frammento autorizzi la prima lettura:<br />

διδόναι γὰρ αὐτὰ δίκην καὶ τίσιν ἀλλήλοις τῆς ἀδικίας κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν<br />

esse, infatti, pagano le une alle altre pena e riscatto della colpa, secondo l’or<strong>di</strong>namento del tempo.<br />

A <strong>di</strong>spetto del lessico sorprendente (in ambito cosmogonico e cosmologico) della citazione,<br />

evidentemente per Ippolito è in genere all'insuperabile limite <strong>di</strong> durata degli enti che si allude in<br />

Anassimandro:<br />

λέγει δὲ χρόνον ὡς ὡρισμένης τῆς γενέσεως καὶ τῆς οὐσίας καὶ τῆς φθορᾶς<br />

parla poi del tempo in quanto la generazione, l'esistenza e la <strong>di</strong>ssoluzione risultato ben<br />

delimitate (DK 12 A11).<br />

Al pronome αὐτά - che nella citazione sembra richiamare il precedente τοῖς οὖσι - è chiaramente<br />

collegato ἀλλήλοις, la forma duale che sottolinea la mutua offesa/riparazione (ἀδικία/δίκη/τίσις)<br />

scan<strong>di</strong>ta dalla successione temporale: essa punta decisamente a una conflittualità che, nel contesto<br />

della testimonianza <strong>di</strong> Teofrasto/Simplicio, evoca i contrari. In questo senso appare dunque fondata la<br />

conclusione <strong>di</strong> Kahn che, all'interno del suo commento, Simplicio intenda αὐτά (soggetto della<br />

formula διδόναι δίκην καὶ τίσιν ἀλλήλοις) riferito piuttosto a στοιχεῖα.<br />

Per cercare <strong>di</strong> determinare il significato del frammento dobbiamo recuperare lo schema cosmogonico<br />

in<strong>di</strong>viduato nelle testimonianze, marcando alcuni passaggi:<br />

φησὶ δὲ τὸ ἐκ τοῦ ἀιδίου γόνιμον θερμοῦ τε καὶ ψυχροῦ κατὰ τὴν γένεσιν τοῦδε τοῦ κόσμου<br />

ἀποκριθῆναι καί τινα ἐκ τούτου φλογὸς σφαῖραν περιφυῆναι τῶι περὶ τὴν γῆν ἀέρι ὡς τῶι δένδρωι<br />

φλοιόν· ἧστινος ἀπορραγείσης καὶ εἴς τινας ἀποκλεισθείσης κύκλους ὑποστῆναι τὸν ἥλιον καὶ<br />

τὴν σελήνην καὶ τοὺς ἀστέρας<br />

Sostiene anche che ciò che, derivato dall’eterno, è produttivo <strong>di</strong> caldo e freddo fu separato alla<br />

generazione <strong>di</strong> questo mondo, e da esso una sfera <strong>di</strong> fiamma si sviluppò intorno all'aria che circonda la<br />

terra, come la scorza intorno all'albero. Essendosi questa spezzata e racchiusi<br />

in certi cerchi, si formarono il Sole, la Luna e gli astri (DK 12 A10)<br />

112 Per esempio Kahn (op. cit., pp. 178 ss.) e Graham (D.W. GRAHAM, Explaining the Cosmos, cit., pp. 34-35).<br />

113 Che l'espressione τὰ ὄντα assuma questo valore in determinati contesti, è sottolineato anche da J. PALMER,<br />

Parmenides & Presocratic Philosophy, Oxford, Oxford University Press, 2009, pp. 35-36: egli si riferisce, in<br />

particolare all'uso gorgiano richiamato in (Aristotele) Su Melisso, Senofane e Gorgia 979 a13-18, e in Aristotele,<br />

Fisica 1, 2 184 b15-25.


τὰ δὲ ἄστρα γίνεσθαι κύκλον πυρός, ἀποκριθέντα τοῦ κατὰ τὸν κόσμον πυρός, περιληφθέντα δ’ ὑπὸ<br />

ἀέρος [...] τὰ δὲ ζῶια γίνεσθαι ἐξατμιζομένου ὑπὸ τοῦ ἡλίου. τὸν δὲ ἄνθρωπον ἑτέρωι<br />

ζώιωι γεγονέναι, τουτέστι ἰχθύι, παραπλήσιον κατ’ ἀρχάς. ἀνέμους δὲ γίνεσθαι τῶν λεπτοτάτων<br />

ἀτμῶν τοῦ ἀέρος ἀποκρινομένων καὶ ὅταν ἀθροισθῶσι κινουμένων, ὑετοὺς δὲ ἐκ τῆς ἀτμίδος τῆς ἐκ<br />

γῆς ὑφ’ ἥλιον ἀναδιδομένης· ἀστραπὰς δέ, ὅταν ἄνεμος ἐμπίπτων διιστᾶι τὰς νεφέλας<br />

Gli astri hanno origine come cerchio infuocato, che si è <strong>di</strong>staccato dal fuoco cosmico ed è circondato<br />

dall'aria. [...] Gli animali, inoltre, si generano dall'umido, sottoposto a evaporazione dal Sole. L'uomo in<br />

principio è nato simile ad altro animale, cioè al pesce. (7) I venti si producono dal <strong>di</strong>stacco dall'aria dei<br />

vapori più sottili, i quali, una volta raccolti, si mettono in movimento. Le piogge, invece, si formano dal<br />

vapore che si leva dalla Terra sotto l'azione del Sole. I lampi hanno luogo quando il vento, investendo le<br />

nubi, le spezza (DK 12 A11)<br />

εἶναι γὰρ τὸ πρῶτον ὑγρὸν ἅπαντα τὸν περὶ τὴν γῆν τόπον, ὑπὸ δὲ τοῦ ἡλίου ξηραινόμενον τὸ μὲν<br />

διατμίσαν πνεύματα καὶ τροπὰς ἡλίου καὶ σελήνης φασὶ ποιεῖν, τὸ δὲ λειφθὲν θάλατταν εἶναι· διὸ<br />

καὶ ἐλάττω γίνεσθαι ξηραινομένην οἴονται καὶ τέλος ἔσεσθαί ποτε πᾶσαν ξηράν<br />

Affermano che tutto lo spazio intorno alla terra fosse umido, che fu poi prosciugato dal Sole e che<br />

l'evaporazione produsse i venti e le rivoluzioni <strong>di</strong> Sole e Luna, mentre quanto rimasto fu mare. Perciò<br />

credono anche che , prosciugandosi, <strong>di</strong>verrà più piccolo e che alla fine sarà tutto secco (DK 12<br />

A27)<br />

<strong>Il</strong> <strong>di</strong>scorso verte su masse elementari (aria, terra, fuoco, acqua) e su costitutivi cosmici (astri, Sole,<br />

Terra, Luna), <strong>di</strong> cui si valorizza proprio l'interazione, in tutti i casi con<strong>di</strong>zionata dalla presenza dei<br />

contrari (caldo, freddo, secco, umido). È plausibile, allora, che, quando nella sua parafrasi ricorre a «le<br />

cose che sono» (τὰ ὄντα), Teofrasto intenda questi aspetti e che dunque il pronome αὐτά introduca la<br />

spiegazione del ciclo <strong>di</strong> quelle componenti attraverso l'idea <strong>di</strong> una compensazione globale nella<br />

reciproca offensività dei contrari che le connotano. Come confermerebbe, appunto, l'insistenza della<br />

relazione sugli στοιχεῖα («avendo considerato la reciproca trasformazione dei quattro elementi ...» τὴν<br />

114<br />

εἰς ἄλληλα μεταβολὴν τῶν τεττάρων στοιχείων οὗτος θεασάμενος)F<br />

F.<br />

Lo schema che emerge complessivamente dalla testimonianza teofrastea e dal frammento <strong>di</strong><br />

Anassimandro potrebbe allora confermare l'intuizione <strong>di</strong> forze elementari alla base della tra<strong>di</strong>zionale<br />

concezione del mondo omerica ed esiodea (e delle stesse teogonie), nella <strong>di</strong>stinzione anassimandrea<br />

tra:<br />

(i) il principio - τὸ ἄπειρον, pensato eterno e stabile, in contrapposizione all'instabilità degli elementi<br />

(στοιχεία);<br />

(ii) i contrari (τὰ ἐναντία: <strong>di</strong> base «caldo» e «freddo») che scaturiscono per «separazione»<br />

(ἀποκρινομένων τῶν ἐναντίων), «a causa del movimento eterno» (διὰ τῆς ἀιδίου κινήσεως), e che<br />

producono con il proprio conflitto il processo cosmogonico (ovvero, più correttamente, la «cosmogono-phthoria»F<br />

F);<br />

115<br />

(iii) «le cose» (τὰ ὄντα), da identificare con le componenti cosmiche elementari, sottoposte alla<br />

vicissitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> generazione e corruzione per azione dei contrari che le costituiscono.<br />

Dalle in<strong>di</strong>cazioni che giungono dalla dossografia, ci si può spingere a ipotizzare che la conflittualità<br />

immanente al processo cosmogonico fosse interpretata da Anassimandro nel senso <strong>di</strong> «una successione<br />

116<br />

<strong>di</strong> sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> equilibrio precario ma crescente»F<br />

F: dalla reciproca <strong>di</strong>scriminazione <strong>di</strong> masse cosmiche alle<br />

costanti alternanze atmosferiche e stagionali, a tutti i livelli, in forme <strong>di</strong>verse, si esprimerebbe<br />

117<br />

stabilmente la lotta dei contrariF<br />

F.<br />

114 H. SCHMITZ, Anaximander und <strong>di</strong>e Anfänge dei griechischen Philosophie, cit., pp. 31 ss. propende per una<br />

lettura <strong>di</strong>versa, in cui a essere coinvolti nel processo <strong>di</strong> reciproca compensazione sarebbero «i cieli e i mon<strong>di</strong> in<br />

essi [contenuti]».<br />

115 A. LAKS, Introduction à la «philosophie présocratique», Paris, Presses Universitaires de France, 2006, p. 10.<br />

116 M.M. SASSI, Anassimandro e la scrittura della "legge" cosmica, cit., p. 16.<br />

117 Contro la classica prospettiva <strong>di</strong> Vlastos <strong>di</strong> una giustizia cosmica attraverso l'equilibrio dei contrari si è<br />

decisamente schierato M. GAGARIN, Greek Law and the Presocratics, in Presocratic Philosophy, cit., pp. 19-23,<br />

valorizzando in alternativa l'immaginario legale del cosmo come conflitto o competizione, che proprio in<br />

Anassimandro ed Eraclito troverebbe le sue espressioni primarie.


F che,<br />

<strong>Il</strong> carattere sentenzioso della citazione teofrastea ripresa da Simplicio e il suo possibile tenore<br />

118<br />

"normativo" (intendendo l'infinito διδόναι come imperativoF<br />

F: «devono pagare le une alle altre pena e<br />

riscatto della colpa») autorizzano l'ipotesi che il testo fosse collocato all'esor<strong>di</strong>o dello scritto <strong>di</strong><br />

119<br />

AnassimandroF<br />

F. In questo senso, i probabili ipsissima verba del Milesio (la seconda parte del<br />

frammento) dovevano offrire una chiave generale per la cosmogonia e la cosmologia proposte: le<br />

120<br />

lettureF opportunamente, marcano l'eguaglianza e l'equilibrio dei contrari nella giustizia cosmica<br />

non devono far perdere <strong>di</strong> vista il fatto che, nelle relazioni <strong>di</strong> Pseudo-Plutarco e Ippolito,<br />

all'interazione dei contrari è riconosciuta una funzione più complessa. Essi intervengono<br />

costantemente a rompere e ricomporre i processi nei <strong>di</strong>versi sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> formazione dell'or<strong>di</strong>ne cosmico,<br />

forse fino alla sua <strong>di</strong>ssoluzione, secondo le testimonianze sopra riprodotte <strong>di</strong> Cicerone, Agostino e<br />

Simplicio (DK 12 A17):<br />

nativos esse deos longis intervallis orientis occidentisque, eosque innumerabilis esse mundos<br />

[L'opinione <strong>di</strong> Anassimandro, invece, è che] gli dei abbiano origine, nascendo e perendo a lunghi<br />

intervalli, e che essi siano mon<strong>di</strong> innumerevoli [...]<br />

et innumerabiles mundos gignere et quaecumque in eis oriunturH;H eosque mundos modo <strong>di</strong>ssolvi modo<br />

iterum gigni existimavit<br />

[questi principi delle cose Anassimandro credette fossero infiniti e] generassero innumerevoli mon<strong>di</strong> e le<br />

cose che in essi nascono. Stimava che questi mon<strong>di</strong> a un certo punto si <strong>di</strong>ssolvano e poi <strong>di</strong> nuovo si<br />

producano [...]<br />

οἱ μὲν γὰρ ἀπείρους τῶι πλήθει τοὺς κόσμους ὑποθέμενοι, ὡς οἱ περὶ Ἀ. καὶ Λεύκιππον καὶ<br />

Δημόκριτον καὶ ὕστερον οἱ περὶ Ἐπίκουρον, γινομένους αὐτοὺς καὶ φθειρομένους ὑπέθεντο ἐπ’<br />

ἄπειρον, ἄλλων μὲν ἀεὶ γινομένων ἄλλων δὲ φθειρομένων καὶ τὴν κίνησιν ἀίδιον ἔλεγον· ἄνευ γὰρ<br />

κινήσεως οὐκ ἔστι γένεσις ἢ φθορά<br />

Coloro che infatti posero i mon<strong>di</strong> infiniti <strong>di</strong> numero, come i seguaci <strong>di</strong> Anassimandro, Leucippo,<br />

Democrito e più tar<strong>di</strong> <strong>di</strong> Epicuro, ritennero che si generassero e corrompessero nell'infinito (alcuni<br />

sempre generandosi, altri corrompendosi), e sostennero che il movimento è eterno: poiché senza<br />

movimento non c'è generazione e corruzione.<br />

Né si deve trascurare l'importante in<strong>di</strong>cazione aristotelica - in precedenza analizzata - circa il ruolo<br />

dell'ἄπειρον:<br />

ἅπαντα γὰρ ἢ ἀρχὴ ἢ ἐξ ἀρχῆς, τοῦ δὲ ἀπείρου οὐκ ἔστιν ἀρχή· εἴη γὰρ ἂν αὐτοῦ πέρας. ἔτι δὲ καὶ<br />

ἀγένητον καὶ ἄφθαρτον ὡς ἀρχή τις οὖσα· τό τε γὰρ γενόμενον ἀνάγκη τέλος λαβεῖν, καὶ τελευτὴ<br />

πάσης ἐστὶ φθορᾶς. διὸ καθάπερ λέγομεν, οὐ ταύτης ἀρχή, ἀλλ’ αὕτη τῶν ἄλλων εἶναι δοκεῖ καὶ<br />

περιέχειν ἅπαντα καὶ πάντα κυβερνᾶν, ὥς φασιν ὅσοι μὴ ποιοῦσι παρὰ τὸ ἄπειρον ἄλλας αἰτίας<br />

οἶον νοῦν ἢ φιλίαν. καὶ τοῦτ’ εἶναι τὸ θεῖον· ἀθάνατον γὰρ καὶ ἀνώλεθρον [B 3], ὥς φησιν ὁ<br />

Ἀναξίμανδρος καὶ οἱ πλεῖστοι τῶν φυσιολόγων<br />

Ogni cosa, in effetti, è o principio o [deriva] da principio; dell'apeiron però non v'è principio, dal<br />

momento che vi sarebbe un limite <strong>di</strong> esso [apeiron]. E ancora, esso, in quanto è un principio, è ingenerato<br />

e incorruttibile: è necessario, infatti, che ciò che è generato abbia una fine, e vi è un termine finale <strong>di</strong> ogni<br />

corruzione. Proprio per questo motivo <strong>di</strong>ciamo che <strong>di</strong> esso [principio] non vi sia principio, ma che sembra<br />

essere esso stesso principio delle altre cose, e comprendere [abbracciare] tutte le cose e tutte le cose<br />

governare [<strong>di</strong>rigere], come affermano quanti non pongono oltre all'infinito altre cause, per esempio<br />

Intelligenza o Amore. E questo è il <strong>di</strong>vino: è infatti senza morte e senza <strong>di</strong>struzione [B3], come<br />

sostengono Anassimandro e la maggioranza degli stu<strong>di</strong>osi della natura (Aristotele, Fisica III, 4, 203 b6;<br />

DK 12 A15).<br />

Come già rilevato, dal momento che nel contesto il contributo <strong>di</strong> Anassimandro viene puntualmente<br />

citato per associare due caratteri del principio (ἀθάνατον e ἀνώλεθρον) al «<strong>di</strong>vino» (τὸ θεῖον), da più<br />

118 Si tratta <strong>di</strong> un interessante suggerimento della Sassi.<br />

119 M.M. SASSI, Anassimandro e la scrittura della "legge" cosmica, cit., p. 17.<br />

120 Come quella <strong>di</strong> Vlastos (G. VLASTOS, Equality and Justice in Early Greek Cosmologies, cit., p. 58).


121<br />

partiF<br />

F si è ipotizzato che Aristotele si appoggiasse a un argomento del Milesio. Dell'ἄπειρον si<br />

osserva che (i) «abbraccia tutte le cose» (περιέχειν ἅπαντα) e (ii) «tutte le cose governa [<strong>di</strong>rige]»<br />

(πάντα κυβερνᾶν): sottolineature <strong>di</strong>fficilmente compatibili (come d'altra parte quelle relative al moto<br />

primor<strong>di</strong>ale nell'ἄπειρον) con la riduzione del principio a mera base materiale del <strong>di</strong>venire cosmico.<br />

Secondo questa lezione dossografica, dunque, l'ἄπειρον per Anassimandro doveva rappresentare anche<br />

122<br />

l'elemento <strong>di</strong>vino che guida e regge i processi <strong>di</strong> generazione e corruzioneF<br />

F.<br />

Richiamare la possibile funzione <strong>di</strong>rettiva dell'ἄπειρον comporta il ri<strong>di</strong>mensionamento della tesi<br />

(Vlastos) <strong>di</strong> un equilibrio degli opposti puramente immanente: a <strong>di</strong>spetto dell'impegno esegetico <strong>di</strong><br />

Vlastos, i connotati dell'ἄπειρον anassimandreo anticiperebbero quelli del Nous anassagoreo. Rispetto<br />

al contenuto del frammento <strong>di</strong> Anassimandro, opportunamente la Sassi ricorda come l'ἄπειρον sia<br />

sufficiente come garanzia del "decreto" cosmico, e il suo accostamento al «<strong>di</strong>vino» potrebbe solo<br />

accentuare il ruolo <strong>di</strong> «regolatore forte», che impone limiti temporali all'ingiustizia, secondo il<br />

123<br />

<strong>modello</strong> della legge greca, implementata con l'avallo religioso del tempioF<br />

F.<br />

Alla luce <strong>di</strong> questa linea <strong>di</strong> riflessione è possibile riconsiderare la presunta conclusione - κατὰ τὴν τοῦ<br />

χρόνου τάξιν – del frammento, attribuendo valore soggettivo al genitivo: Anassimandro avrebbe alluso<br />

al tempo come potenza or<strong>di</strong>natrice. Come in precedenza segnalato, questa suggestione ha spinto in<br />

passato a intendere il testo greco come «secondo la sentenza del tempo» (Jaeger), riferendolo cioè a un<br />

Tempo giu<strong>di</strong>ce (<strong>di</strong> cui si ha eco in Solone), che impone la norma universale (la reciproca<br />

124<br />

compensazione) come legge <strong>di</strong>vinaF<br />

F; ovvero, traducendo «secondo la <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> Tempo», a<br />

cogliervi un richiamo alla <strong>di</strong>vinità orfica che, in associazione con Necessità (Ἀνάγχη), personifica la<br />

125<br />

regola nell'or<strong>di</strong>namento del mondoF<br />

F. Ma il tempo potrebbe intendersi più semplicemente come<br />

l'or<strong>di</strong>ne es<strong>peri</strong>bile del dominio del <strong>di</strong>vino ἄπειρον, che tutto circonda e governa, immortale, secondo<br />

126<br />

l'in<strong>di</strong>cazione aristotelica: modalità in cui arcaicamente si esercita la funzione (politica) <strong>di</strong> ἀρχήF<br />

F.<br />

Per valutare correttamente è tuttavia necessario considerare il contesto generale della notizia <strong>di</strong><br />

Simplicio: nelle righe che precedono imme<strong>di</strong>atamente le considerazioni su Anassimandro, infatti,<br />

leggiamo:<br />

Ἵππασος δὲ ὁ Μεταποντῖνος καὶ Ἡράκλειτος ὁ Ἐφέσιος ἓν καὶ οὗτοι καὶ κινούμενον καὶ<br />

πεπερασμένον, ἀλλὰ πῦρ ἐποίησαν τὴν ἀρχὴν καὶ ἐκ πυρὸς ποιοῦσι τὰ ὄντα πυκνώσει καὶ μανώσει<br />

καὶ διαλύουσι πάλιν εἰς πῦρ, ὡς ταύτης μιᾶς οὔσης φύσεως τῆς ὑποκειμένης· πυρὸς γὰρ ἀμοιβὴν<br />

εἶναί φησιν Ἡράκλειτος πάντα. ποιεῖ δὲ καὶ τάξιν τινὰ καὶ χρόνον ὡρισμένον τῆς τοῦ κόσμου<br />

μεταβολῆς κατά τινα εἱμαρμένην ἀνάγκην.<br />

Anche Ippaso metapontino e Eraclito efesio affermavano a loro volta che è uno, in<br />

movimento e limitato, ma ponevano il fuoco come principio e dal fuoco fanno derivare le cose che sono<br />

per condensazione e rarefazione, e <strong>di</strong> nuovo le risolvono nel fuoco, come si trattasse dell'unica natura che<br />

funga da sostrato. Eraclito afferma, infatti, che tutte le cose sono scambio del fuoco. Egli pone anche un<br />

certo or<strong>di</strong>ne e un tempo determinato nella trasformazione del cosmo, secondo una certa infallibile<br />

necessità (Simplicio, Commento alla Fisica, 24, 1-6; DK 22 A5).<br />

Anche in questo caso fonte <strong>di</strong> Simplicio è stato considerato, da Diels, Teofrasto, che richiamerebbe<br />

<strong>di</strong>rettamente due evidenze testuali eraclitee:<br />

πυρός τε ἀνταμοιβὴ τὰ πάντα καὶ πῦρ ἁπάντων ὅκωσπερ χρυσοῦ χρήματα καὶ χρημάτων χρυσός<br />

121 Colli, Kahn, Stokes, Conche, tra gli altri.<br />

122 A. PASQUINELLI, I presocratici. Frammenti e testimonianze, cit., p. 321. In generale più scettica <strong>di</strong> fronte a<br />

questa testimonianza aristotelica appare la posizione della Gemelli Marciano (Die Vorsokratiker, cit., Band I, pp.<br />

63-64), la quale intende il riferimento aristotelico rivolto genericamente ai pensatori precedenti e non<br />

specificamente ad Anassimandro, e ritiene la sostanza del ragionamento probabile ripresa <strong>di</strong> un argomento <strong>di</strong><br />

Melisso (DK 30 A10).<br />

123 M.M. SASSI, Anassimandro e la scrittura della "legge" cosmica, cit., pp. 13-14.<br />

124 W. JAEGER, La teologia dei primi pensatori greci, cit., pp. 50-51.<br />

125 Da ultimo A. BERNABÉ, El Orfismo y los demás filósofos presocráticos, in A. BERNABÉ y F. CASADEÚS<br />

(coords.), Orfeo y la tra<strong>di</strong>cíon órfica. Un reencuentro, II, Madrid, Akal, 2008, p. 1145.<br />

126 In questa <strong>di</strong>rezione H. SCHMITZ, Anaximander und <strong>di</strong>e Anfänge dei griechischen Philosophie, cit., pp. 26 ss..


tutte le cose sono scambio con fuoco e il fuoco scambio con tutte le cose, come i beni sono scambio con<br />

oro e l’oro scambio con beni (DK 22 B90)<br />

κόσμον τόνδε͵ τὸν αὐτὸν ἁπάντων͵ οὔτε τις θεῶν οὔτε ἀνθρώπων ἐποίησεν͵ ἀλλ΄ ἦν ἀεὶ καὶ ἔστιν<br />

καὶ ἔσται πῦρ ἀείζωον͵ ἁπτόμενον μέτρα καὶ ἀποσβεννύμενον μέτρα<br />

il mondo or<strong>di</strong>nato, lo stesso per tutti, nessun <strong>di</strong>o o uomo fece, ma fu sempre, è e sarà un fuoco<br />

semprevivente, che viene ravvivato secondo misura e estinto secondo misura (DK 22 B30).<br />

Teofrasto evidenzierebbe a un tempo la funzione <strong>di</strong> sostrato originario del fuoco (πῦρ), da cui (ἐκ<br />

πυρὸς) scaturiscono e a cui (εἰς πῦρ) sono ricondotte «le cose che sono» (τὰ ὄντα), in una sorta <strong>di</strong><br />

«scambio» (ἀμοιβή) scan<strong>di</strong>to in modo regolare: l'espressione conclusiva - ποιεῖ δὲ καὶ τάξιν τινὰ καὶ<br />

χρόνον ὡρισμένον τῆς τοῦ κόσμου μεταβολῆς κατά τινα εἱμαρμένην ἀνάγκην – che certamente può<br />

evocare il frammento anassimandreo, e probabilmente interpreta liberamente il testo <strong>di</strong> Eraclito<br />

(ἁπτόμενον μέτρα καὶ ἀποσβεννύμενον μέτρα), intende sottolineare come le trasformazioni e i processi<br />

127<br />

cosmici siano or<strong>di</strong>nati <strong>peri</strong>o<strong>di</strong>camenteF<br />

F.<br />

In questo senso, l'ulteriore passo teofrasteo può essere impiegato a sostegno dell'ipotesi che la formula<br />

κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν costituisca effettivamente soluzione <strong>peri</strong>patetica per restituire l'idea <strong>di</strong><br />

necessità presente nelle parole (κατὰ τὸ χρεών) <strong>di</strong> Anassimandro: un'idea che Simplicio riprende in un<br />

128<br />

rilievo contenuto nel Commento alle Categorie (356, 27-30)F<br />

F:<br />

ὡς γὰρ τὸ ὂν διὰ τὸν αἰῶνα ἅμα ὅλον ἐστὶν ἐν ἑνὶ συνῃρημένον, οὕτως ἡ γένεσις διὰ τὸν χρόνον ἐν<br />

τάξει διακέκριται, καὶ εἴπερ μὴ ἦν χρόνος, σύγχυσις ἂν ἦν καὶ τῶν γενέσεων καὶ τῶν πράξεων, ὡς<br />

συγκεχύσθαι τοῖς ἐπὶ τῶν Τρωικῶν τὰ νῦν<br />

Come, infatti, l'essere è raccolto in unità attraverso l'eternità, così il <strong>di</strong>venire è sud<strong>di</strong>viso or<strong>di</strong>natamente<br />

attraverso il tempo: se non ci fosse il tempo, vi sarebbe confusione <strong>di</strong> generazioni e azioni; per esempio si<br />

confonderebbero gli eventi della guerra <strong>di</strong> Troia e quelli contemporanei.<br />

Appare dunque prudente valorizzare, nel confronto tra i due passi, soprattutto la nozione <strong>di</strong><br />

«necessità», che comporta l'attribuzione <strong>di</strong> limiti determinati agli enti, imposti dall'inesauribile vitalità<br />

della natura originaria, attraverso il successivo prevalere <strong>di</strong> elementi o qualità contrarie che da essa si<br />

sono <strong>di</strong>staccati, interagendo reciprocamente; ovvero – nel caso <strong>di</strong> Eraclito – da successive variazioni<br />

<strong>di</strong> opposta intensione (accensione-spegnimento).<br />

3BUna conferma del <strong>modello</strong>: Anassimene<br />

129<br />

Nel caso <strong>di</strong> AnassimeneF<br />

F mancano nella tra<strong>di</strong>zione dossografica le in<strong>di</strong>cazioni relative a un'attività <strong>di</strong><br />

indagine <strong>di</strong>retta dei fenomeni naturali e soprattutto celesti, che abbiamo invece riscontrate per gli altri<br />

due milesi. Diogene Laerzio si limita a pochi tratti:<br />

Ἀναξιμένης Εὐρυστράτου Μιλήσιος ἤκουσεν Ἀναξιμάνδρου, ἔνιοι δὲ καὶ Παρμενίδου φασὶν<br />

ἀκοῦσαι αὐτόν. οὗτος ἀρχὴν ἀέρα εἶπεν καὶ τὸ ἄπειρον. κινεῖσθαι δὲ τὰ ἄστρα οὐχ ὑπὸ γῆν, ἀλλὰ<br />

περὶ γῆν.<br />

κέχρηταί τε λέξει Ἰάδι ἁπλῆι καὶ ἀπερίττωι<br />

Anassimene, figlio <strong>di</strong> Euristrato, <strong>milesio</strong>, fu <strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong> Anassimandro; alcuni <strong>di</strong>cono che seguisse anche<br />

Parmenide. Egli affermò che il principio è l'aria, cioè l'apeiron. Affermò inoltre che le stelle non si<br />

muovono sotto la Terra, ma intorno alla Terra.<br />

Utilizzò un <strong>di</strong>aletto ionico semplice e non ricercato (DK 13 A1).<br />

127 F. DIRLMEIER, Der Satz des Anaximanders von Milet (1938), in Um <strong>di</strong>e Begriffswelt der Vorsokratiker, cit., p.<br />

91.<br />

128 La segnalazione è <strong>di</strong> Dirlmeier (op. cit., p. 92).<br />

129 Per la cronologia relativa si hanno scarsi elementi: Ippolito (DK 13 A7) ne colloca la maturità nel primo anno<br />

della 58.ma olimpiade (548/547 a.C.); Apollodoro (Diogene Laerzio, DK 13 A1) all'epoca della conquista<br />

persiana della Li<strong>di</strong>a (547/6). Notizia confermata anche dall Suda (DK 13 A2). La morte sarebbe intervenuta nella<br />

68.ma olimpiade (528-525 a.C.). possiamo presumere fosse nato intorno al 580 a.C..


Ad Anassimene sono riconosciute due tesi in fondo cosmologiche (origine e geometria del cosmo),<br />

pur in assenza <strong>di</strong> riferimenti a specifici contributi astronomici; <strong>di</strong>versamente Plinio (probabilmente<br />

130<br />

confondendosiF<br />

F) gli attribuisce un'applicazione tecnica all'osservazione delle posizioni del Sole:<br />

umbrarum hanc rationem et quam vocant gnomonicen invenit A. Milesius, Anaximandri, de quo<br />

<strong>di</strong>ximus, <strong>di</strong>scipulus, primusque horologium quod appellant sciothericon Lacedaemone osten<strong>di</strong>t<br />

Anassimene <strong>milesio</strong>, <strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong> Anassimandro (<strong>di</strong> cui <strong>di</strong>cemmo), scoprì questo rapporto delle ombre<br />

con la tecnica che chiamano gnomonica: fu lui il primo a mostrare a Sparta l'orologio che chiamano<br />

131<br />

«sciotericoF<br />

F» (DK 13 A14a).<br />

A Diogene dobbiamo anche l'unico accenno allo scritto <strong>di</strong> Anassimene, <strong>di</strong> cui, evidentemente, delle<br />

parti dovevano essere sopravvissute almeno fino ai tempi <strong>di</strong> Teofrasto, da cui il dossografo ricava<br />

presumibilmente l'informazione sullo stile.<br />

10BL'ἀήρ come ἀρχή<br />

<strong>Il</strong> lessico - per lo più <strong>peri</strong>patetico - delle testimonianze fa intravedere la possibile sovrapposizione dei<br />

due schemi esplicativi cui abbiamo introduttivamente accennato, <strong>di</strong>scutendo la semplificazione con cui<br />

Aristotele ha proposto <strong>di</strong> leggere le origini della filosofia: schemi che non si può escludere fossero<br />

effettivamente (ambiguamente) compresenti nelle cosmologie (e cosmogonie) ioniche:<br />

Ἀ. δὲ Εὐρυστράτου Μιλήσιος, ἑταῖρος γεγονὼς Ἀναξιμάνδρου, μίαν μὲν καὶ αὐτὸς τὴν ὑποκειμένην<br />

φύσιν καὶ ἄπειρόν φησιν ὥσπερ ἐκεῖνος, οὐκ ἀόριστον δὲ ὥσπερ ἐκεῖνος, ἀλλὰ ὡρισμένην, ἀέρα<br />

λέγων αὐτήν· διαφέρειν δὲ μανότητι καὶ πυκνότητι κατὰ τὰς οὐσίας. καὶ ἀραιούμενον μὲν πῦρ<br />

γίνεσθαι, πυκνούμενον δὲ ἄνεμον, εἶτα νέφος, ἔτι δὲ μᾶλλον ὕδωρ, εἶτα γῆν, εἶτα λίθους, τὰ δὲ ἄλλα<br />

ἐκ τούτων. κίνησιν δὲ καὶ οὗτος ἀίδιον ποιεῖ, δι’ ἣν καὶ τὴν μεταβολὴν γίνεσθαι<br />

Anassimene, figlio <strong>di</strong> Euristrato, <strong>milesio</strong>, <strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong> Anassimandro, afferma, come quello, che unica e<br />

illimitata è la natura soggiacente, non indefinita, tuttavia - come sosteneva quello - ma determinata,<br />

chiamandola aria. Afferma inoltre che essa si <strong>di</strong>fferenzia nelle sostanze per rarefazione e<br />

condensazione. Rarefacendosi, infatti, <strong>di</strong>venta fuoco, condensandosi, invece, vento, poi nuvola, e quando<br />

più condensato acqua, poi terra, poi pietre. Tutto il resto deriva da queste cose. Anch’egli pone eterno il<br />

movimento per cui si produce il mutamento (Simplicio, DK 13 A5)<br />

Ἀ. δὲ καὶ αὐτὸς ὢν Μιλήσιος, υἱὸς δ’ Εὐρυστράτου, ἀέρα ἄπειρον ἔφη τὴν ἀρχὴν εἶναι, ἐξ οὗ τὰ<br />

γινόμενα καὶ τὰ γεγονότα καὶ τὰ ἐσόμενα καὶ θεοὺς καὶ θεῖα γίνεσθαι, τὰ δὲ λοιπὰ ἐκ τῶν τούτου<br />

ἀπογόνων. (2) τὸ δὲ εἶδος τοῦ ἀέρος τοιοῦτον· ὅταν μὲν ὁμαλώτατος ἦι, ὄψει ἄδηλον, δηλοῦσθαι δὲ<br />

τῶι ψυχρῶι καὶ τῶι θερμῶι καὶ τῶι νοτερῶι καὶ τῶι κινουμένωι. κινεῖσθαι δὲ ἀεί· οὐ γὰρ<br />

μεταβάλλειν ὅσα μεταβάλλει, εἰ μὴ κινοῖτο. (3) πυκνούμενον γὰρ καὶ ἀραιούμενον διάφορον<br />

φαίνεσθαι· ὅταν γὰρ εἰς τὸ ἀραιότερον διαχυθῆι, πῦρ γίνεσθαι, ἀνέμους δὲ πάλιν εἶναι ἀέρα<br />

πυκνούμενον, ἐξ ἀέρος HH νέφος ἀποτελεῖσθαι κατὰ τὴν πίλησιν, ἔτι δὲ μᾶλλον ὕδωρ, ἐπὶ πλεῖον<br />

πυκνωθέντα γῆν καὶ εἰς τὸ μάλιστα πυκνότατον λίθους. ὥστε τὰ κυριώτατα τῆς γενέσεως ἐναντία<br />

εἶναι, θερμόν τε καὶ ψυχρόν.<br />

(1) Anassimene, anche lui <strong>milesio</strong>, figlio <strong>di</strong> Euristrato, <strong>di</strong>sse che il principio è aria infinita, da cui si<br />

generano le cose che nascono e le cose che sono nate e quelle che nasceranno e gli dei e le cose <strong>di</strong>vine,<br />

mentre le altre cose derivano da quanto è da essa prodotto. (2) L’aspetto dell’aria è questo: quando è del<br />

tutto uniforme, essa risulta invisibile; si mostra invece attraverso il freddo e il caldo e l’umi<strong>di</strong>tà e il<br />

movimento. Si muove sempre: le cose che mutano, infatti, non muterebbero, se essa non si muovesse. (3)<br />

Quando è condensata e rarefatta, infatti, appare in modo <strong>di</strong>verso; quando si <strong>di</strong>rada fino a essere molto<br />

rarefatta, <strong>di</strong>venta fuoco; mentre i venti, a loro volta, sono aria condensata; dall’aria poi, per compressione,<br />

si formano le nuvole, e, crescendo ancora la condensazione, l’acqua, e, crescendo <strong>di</strong> più, la terra, e,<br />

crescendo al massimo, le pietre. Così gli elementi fondamentali della generazione sono contrari, il caldo e<br />

il freddo (Ippolito, DK 13 A7).<br />

130 G.S. KIRK, J.E. RAVEN, M. SCHOFIELD, The Presocratic Philosophers, cit., p. 104 nota.<br />

131 <strong>Il</strong> termine latino sciothericon traduce il greco σκιοθηρίκος: usato <strong>di</strong> strumento (normalmente γνώμων o<br />

ὄργανον) che «cattura» (θηρέω) l'«ombra» (σκιά).


F -<br />

F<br />

Ἀναξιμένην δέ φασι τὴν τῶν ὅλων ἀρχὴν τὸν ἀέρα εἰπεῖν καὶ τοῦτον εἶναι τῶι μὲν μεγέθει ἄπειρον,<br />

ταῖς δὲ περὶ αὐτὸν ποιότησιν ὡρισμένον· γεννᾶσθαί τε πάντα κατά τινα πύκνωσιν τούτου καὶ πάλιν<br />

ἀραίωσιν. τήν γε μὴν κίνησιν ἐξ αἰῶνος ὑπάρχειν·<br />

Dicono che Anassimene affermasse che l'aria è il principio dell'insieme delle cose e che questa è per<br />

estensione infinita, tuttavia determinata per le caratteristiche qualitative; e che tutte le cose nascono<br />

per una qualche condensazione <strong>di</strong> questa [aria] e poi ancora per rarefazione; e che il movimento è da<br />

sempre (Pseudo-Plutarco, DK 13 A6).<br />

Nel primo schema – chiaramente delineato dalle affermazioni <strong>di</strong> Simplicio e Pseudo-Plutarco e<br />

132<br />

confermato da qualche passaggio <strong>di</strong> IppolitoF la «natura soggiacente» (ὑποκειμένη φύσις) «si<br />

<strong>di</strong>fferenzia nelle sostanze per rarefazione e condensazione» (διαφέρειν δὲ μανότητι καὶ πυκνότητι κατὰ<br />

τὰς οὐσίας), ovvero: «condensata e rarefatta appare infatti in modo <strong>di</strong>verso» (πυκνούμενον γὰρ καὶ<br />

ἀραιούμενον διάφορον φαίνεσθαι). In questo senso, l'aria si prestava a dar ragione del mutamento,<br />

come rileva puntualmente Simplicio:<br />

Anassimene [...] <strong>di</strong>ceva che il principio era l'aria, pensando che la facilità alle variazioni propria dell'aria<br />

133<br />

la rendesse adatta al cambiamentoF<br />

F.<br />

Si tratta della prospettiva che prevale in Aristotele (ed è pienamente esplicitata in Diogene <strong>di</strong><br />

Apollonia): la materia originaria ed eterna subisce alterazioni a causa del suo interno moto incessante,<br />

134<br />

presentandosi così in varie forme fenomeniche. In questo schema le «sostanze» della lista propostaF<br />

(fuoco, venti, nuvole, acqua, terra, pietre) non sarebbero realtà in<strong>di</strong>pendenti, ma semplici sta<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

passaggio nel ciclo <strong>di</strong> trasformazione dell’unico principio materiale. Conseguentemente, in questa<br />

135<br />

prospettiva “monistica”, tutte le cose si ridurrebbero ad ariaF<br />

F, come attestato anche dal neoplatonico<br />

Ermia:<br />

ἐπειδὰν δὲ ἡγήσωμαι δόγμα ἔχειν ἀκίνητον, Ἀ. ὑπολαβὼν ἀντικέκραγεν· ἀλλ’ ἐγώ σοί φημι· τὸ πᾶν<br />

ἐστιν ὁ ἀήρ, καὶ οὗτος πυκνούμενος καὶ συνιστάμενος ὕδωρ καὶ γῆ γίνεται, ἀραιούμενος δὲ καὶ<br />

διαχεόμενος αἰθὴρ καὶ πῦρ, εἰς δὲ τὴν αὑτοῦ φύσιν ἐπανιὼν ἀήρ· ἀραιωθεὶς δὲ καὶ πυκνωθείς(?),<br />

φησίν, ἐξαλλάσσεται<br />

Quando poi mi sono persuaso <strong>di</strong> avere una salda convinzione, ecco Anassimene che interviene e<br />

proclama: «Ma io ti <strong>di</strong>co: il tutto [l'universo] è aria. Questa condensandosi e concentrandosi <strong>di</strong>venta acqua<br />

e terra, rarefacendosi e <strong>di</strong>latandosi etere e fuoco, tornando poi alla sua natura, ancora aria». Egli sostiene<br />

che, rarefacendosi e condensandosi,


Anassimene e Diogene posero l'aria prima dell'acqua, facendone il principio primo dei corpi semplici<br />

(Aristotele, Metafisica I, 3 984 a5; DK 13 A4)<br />

[...] διαφέρειν δὲ μανότητι καὶ πυκνότητι κατὰ τὰς οὐσίας. καὶ ἀραιούμενον μὲν πῦρ γίνεσθαι,<br />

πυκνούμενον δὲ ἄνεμον, εἶτα νέφος, ἔτι δὲ μᾶλλον ὕδωρ, εἶτα γῆν, εἶτα λίθους, τὰ δὲ ἄλλα ἐκ<br />

τούτων [...]<br />

Afferma inoltre che essa si <strong>di</strong>fferenzia nelle sostanze per rarefazione e condensazione.<br />

Rarefacendosi, infatti, <strong>di</strong>venta fuoco, condensandosi invece vento, poi nuvola, e quando più condensato<br />

acqua, poi terra, poi pietre. Tutto il resto deriva da queste cose» (Simplicio DK 13 A5)<br />

[...] τὰ δὲ λοιπὰ ἐκ τῶν τούτου ἀπογόνων [...]<br />

le altre cose derivano da quanto è da essa prodotto (Ippolito DK 13 A7).<br />

Abbiamo l'opportunità <strong>di</strong> cogliere un'efficace applicazione <strong>di</strong> questa prospettiva – per quanto non<br />

esplicitamente riferita ad Anassimene - in Platone:<br />

πρῶτον μέν, ὃ δὴ νῦν ὕδωρ ὠνομάκαμεν, πηγνύμενον ὡς δοκοῦμεν λίθους καὶ γῆν γιγνόμενον<br />

ὁρῶμεν, τηκόμενον δὲ καὶ διακρινόμενον αὖ ταὐτὸν τοῦτο πνεῦμα καὶ ἀέρα, συγκαυθέντα δὲ ἀέρα<br />

πῦρ, ἀνάπαλιν δὲ συγκριθὲν καὶ κατασβεσθὲν εἰς ἰδέαν τε ἀπιὸν αὖθις ἀέρος πῦρ, καὶ πάλιν ἀέρα<br />

συνιόντα καὶ πυκνούμενον νέφος καὶ ὁμίχλην, ἐκ δὲ τούτων ἔτι μᾶλλον συμπιλουμένων ῥέον ὕδωρ,<br />

ἐξ ὕδατος δὲ γῆν καὶ λίθους αὖθις, κύκλον τε οὕτω διαδιδόντα εἰς ἄλληλα, ὡς φαίνεται, τὴν γένεσιν<br />

Dapprima, osserviamo che ciò che abbiamo ora chiamato acqua, quando è compattato, <strong>di</strong>venta, come<br />

cre<strong>di</strong>amo, pietre e terra; ma questa stessa cosa, quando si <strong>di</strong>ssolve e <strong>di</strong>sperde, <strong>di</strong>venta vento e aria, e l'aria,<br />

quando si infiamma, <strong>di</strong>venta fuoco; ma quando il fuoco si condensa e si spegne a sua volta ritorna ancora<br />

in forma <strong>di</strong> aria, e <strong>di</strong> nuovo l'aria concentrandosi e condensandosi <strong>di</strong>venta nuvola e nebbia, e da queste,<br />

quando si condensano ulteriormente, si genera l'acqua fluente e dall'acqua poi terra e pietre. Così in<br />

circolo si trasmettono a vicenda , come sembra, la generazione (Platone, Timeo 49 b7-c7).<br />

137<br />

Una lunga tra<strong>di</strong>zione criticaF<br />

F ha riconosciuto l'eco delle teorie <strong>di</strong> Anassimene in questo passo, la cui<br />

rilevanza per l'intelligenza della posizione del pensatore <strong>di</strong> Mileto è stata riven<strong>di</strong>cata con vigore da<br />

138<br />

GrahamF<br />

F: Platone - che puntualmente rievoca la serie <strong>di</strong> «sostanze»-base dalla dossografia riferite in<br />

modo esplicito al pensatore <strong>di</strong> Mileto - non è impegnato, infatti, a sottolineare la riduzione "monistica"<br />

<strong>di</strong> tutte le cose ad aria (che non assume la funzione dominante <strong>di</strong> natura originaria), ma il processo <strong>di</strong><br />

trasformazione degli elementi e delle masse elementari (nuvole, nebbia, pietra ecc.), spiegato<br />

ricorrendo ai meccanismi <strong>di</strong> condensazione (concentrazione) e rarefazione (<strong>di</strong>spersione).<br />

25BLa natura soggiacente e le sostanze<br />

Quattro risultano i no<strong>di</strong> che concorrono a definire il secondo schema.<br />

(i) La «natura soggiacente» (ὑποκειμένη φύσις), «unica e infinita» (μία ἄπειρος); <strong>di</strong> essa, proprio in<br />

relazione all'ἄπειρον <strong>di</strong> Anassimandro, si osserva che è «determinata» (ὡρισμένη): aria (ἀήρ), appunto.<br />

Già Omero (<strong>Il</strong>iade VIII, 558; XVI, 300) aveva marcato l'immensità dell'atmosfera luminosa (ἄσπετος<br />

139<br />

αἰθήρ)F<br />

F, mentre Esiodo aveva associato lo sconfinato Chaos alle tenebre <strong>di</strong> Erebo e Notte (Teogonia<br />

123), attribuendogli i tratti dell'ἀήρ arcaico: la corrispondente formula omerica è «oscurità nebbiosa»<br />

140<br />

(ζόφος ἠερόεις)F<br />

F.<br />

Che la determinatezza dell'ἀήρ <strong>di</strong> Anassimene fosse peculiare, è rilevato da Ippolito: l'aria, in effetti, a<br />

meno <strong>di</strong> non subire alterazioni <strong>di</strong> stato (cioè <strong>di</strong> pressione o densità, come si evince dal contesto: ὅταν<br />

μὲν ὁμαλώτατος), risulta impercettibile (ὄψει ἄδηλον). La sua presenza può inferirsi (δηλοῦσθαι) solo<br />

da certi caratteri fenomenici (τῶι ψυχρῶι καὶ τῶι θερμῶι καὶ τῶι νοτερῶι καὶ τῶι κινουμένωι) che già<br />

sottintendono una sua trasformazione. Una conferma anche in Cicerone:<br />

137 Taylor, Cornford, Vlastos.<br />

138 Sia in D.W. GRAHAM, Explaining the Cosmos, cit., pp. 75 ss., sia in The Texts of Early Greek Philosophy.<br />

The Complete Fragments and Selected Testimonies of the Major Presocratics, translated and e<strong>di</strong>ted by D.W.<br />

GRAHAM, Part I, Cambridge, Cambridge University Press, 2010, testimonianza A10.<br />

139 M.L. Gemelli Marciano nel suo commento: Die Vorsokratiker, I, cit., p. 95.<br />

140 Su questo Ch. KAHN, Anaximander and the Origins of Greek Cosmology, cit., pp. 152-153.


post eius au<strong>di</strong>tor Anaximenes infinitum aëra, sed ea, quae ex eo orerentur, definita: gigni autem terram,<br />

aquam, ignem, tum ex iis omnia<br />

In seguito il suo [<strong>di</strong> Anassimandro] <strong>di</strong>scepolo Anassimene l'aria indefinita, ma le cose, che da<br />

essa originano, definite: sono generate, infatti, terra, acqua, fuoco e poi da queste tutte le cose (DK 13<br />

A9).<br />

Qui evidentemente si gioca sul doppio senso <strong>di</strong> infinitum (corrispondente al doppio senso <strong>di</strong> ἄπειρος),<br />

quantitativo e qualitativo: apparentemente inappropriata rispetto al principio (che è <strong>di</strong>scriminabile<br />

come gli elementi della lista successiva), l'indefinitezza marcava probabilmente la natura proteiforme<br />

dell'aria - e dunque quell'aspetto (che ritorna più volte nelle testimonianze) <strong>di</strong> neutralità fenomenica<br />

che gli altri elementi non possiedono -, ma soprattutto la sua mancanza <strong>di</strong> contorni, <strong>di</strong> forma, come<br />

ancora si evince da un ulteriore passaggio ciceroniano:<br />

A. aëra deum statuit eumque gigni esseque immensum et infinitum et semper in motu, quasi aut aer sine<br />

ulla forma deus esse possit<br />

Anassimene sostenne che l'aria fosse un <strong>di</strong>o e che fosse generata, e fosse immensa e infinita e sempre in<br />

movimento, come se l'aria priva <strong>di</strong> alcuna forma potesse essere un <strong>di</strong>o (DK 13 A10).<br />

È possibile che a tale particolarità del principio in<strong>di</strong>viduato da Anassimene puntasse la <strong>di</strong>scussa<br />

citazione <strong>di</strong> Olimpiodoro (VI sec.):<br />

μίαν δὲ κινουμένην ἄπειρον ἀρχὴν πάντων τῶν ὄντων δοξάζει Ἀ. τὸν ἀέρα. λέγει γὰρ οὕτως·"ἐγγύς<br />

ἐστιν ὁ ἀὴρ τοῦ ἀσωμάτου· καὶ ὅτι κατ’ ἔκροιαν τούτου γινόμεθα,<br />

ἀνάγκη αὐτὸν καὶ ἄπειρον εἶναι καὶ πλούσιον διὰ τὸ μηδέποτε ἐκλείπειν"<br />

Anassimene ritiene l'aria principio unico, mobile e infinito delle cose che sono; si esprime infatti in<br />

questo modo: «prossima all'incorporeo è l'aria: dal momento che poi noi siamo generati secondo il suo<br />

fluire, è necessario che essa sia infinita e ricca, per non venire mai a mancare» (DK 13 B3).<br />

141<br />

Diels-KranzF<br />

F considerano spurio il frammento, per la scarsa atten<strong>di</strong>bilità della fonte e per ragioni<br />

lessicali: è, in particolare, l'uso <strong>di</strong> ἀσώματον - scarsamente attestato nella letteratura preplatonica<br />

(Melisso, Democrito) - a suscitare le maggiori perplessità. <strong>Il</strong> sospetto è che Olimpiodoro riferisca<br />

notizia costruita sulla scorta <strong>di</strong> materiale dossografico, recuperando, per esempio, un argomento a<br />

sostegno dell'infinità del principio, nella tra<strong>di</strong>zione attribuito ad Anassimandro. Che tale connotazione<br />

dell'aria fosse riferita alla sua sottigliezza, impalpabilità, assenza <strong>di</strong> massa (unità, peso e limiti<br />

avvertibili) è comunque documentato da Aristotele, con implicita allusione ad Anassimene:<br />

<strong>di</strong>scutendo, in apertura del De anima, «le opinioni dei predecessori» (τὰς τῶν προτέρων δόξας) intorno<br />

all'anima, egli ha infatti modo <strong>di</strong> osservare:<br />

Διογένης δ’ ὥσπερ καὶ ἕτεροί τινες ἀέρα, τοῦτον οἰηθεὶς πάντων λεπτομερέστατον εἶναι καὶ<br />

ἀρχήν·καὶ διὰ τοῦτο γινώσκειν τε καὶ κινεῖν τὴν ψυχήν, ᾗ μὲν πρῶτόν ἐστι, καὶ ἐκ τούτου τὰ λοιπά,<br />

γινώσκειν, ᾗ δὲ λεπτότατον, κινητικὸν εἶναι<br />

Diogene [<strong>di</strong> Apollonia], poi, come anche alcuni altri,


È evidente, nella ricostruzione <strong>peri</strong>patetica, lo stretto vincolo tra ἀσώματον, λεπτομερέστατον (ovvero<br />

λεπτότατον) e κινητικόν, dunque tra la connotazione attestata in Olimpiodoro e due aspetti materiali<br />

essenziali dell'ἀρχή <strong>di</strong> Anassimene.<br />

Ma è anche possibile intendere ἀσώματον riferito al frammento B2 conservato da Aëtius (prossimo<br />

142<br />

paragrafo), soprattutto per il rilievo del nesso ἀήρ- πνεῦμα F<br />

F.<br />

(ii) <strong>Il</strong> «movimento eterno» (κίνησις ἀίδιος): un dato che doveva certamente trovarsi in Teofrasto, dal<br />

momento che è sottolineato (κινεῖσθαι ἀεί; τήν κίνησιν ἐξ αἰῶνος ὑπάρχειν) nelle fonti che dal<br />

<strong>peri</strong>patetico <strong>di</strong>pendono. Tale moto è esplicitamente riconosciuto (da Ippolito) come con<strong>di</strong>zione<br />

essenziale per le trasformazioni elementari e la conseguente cosmogonia: senza movimento non vi<br />

sarebbe mutamento <strong>di</strong> quel che muta (οὐ γὰρ μεταβάλλειν ὅσα μεταβάλλει, εἰ μὴ κινοῖτο). A quale<br />

movimento si riferiscono le testimonianze? Come più sotto avremo modo <strong>di</strong> precisare, le in<strong>di</strong>cazioni<br />

cosmologiche suggeriscono uno o più moti <strong>di</strong> tipo vorticoso, che giustificherebbero sia la posizione<br />

della Terra, sia il suo sostegno, sia, soprattutto, il sostegno e la rotazione degli astri. Ovviamente lo<br />

stesso o gli stessi vortici potrebbero dar ragione della forma (a <strong>di</strong>sco) della Terra e della presenza <strong>di</strong><br />

componenti terrose (emesse dal centro terrestre a causa delle spinte centrifughe) tra gli astri, sebbene<br />

manchino conferme testuali. Ma rimane ancora preziosa l'osservazione <strong>di</strong> Aristotele già utilizzata per<br />

Anassimandro:<br />

ὥστ’ εἰ βίᾳ νῦν ἡ γῆ μένει, καὶ συνῆλθεν ἐπὶ τὸ μέσον φερομένη διὰ τὴν δίνησιν· ταύτην γὰρ τὴν<br />

αἰτίαν πάντες λέγουσιν ἐκ τῶν ἐν τοῖς ὑγροῖς καὶ περὶ τὸν ἀέρα συμβαινόντων· ἐν τούτοις γὰρ ἀεὶ<br />

φέρεται τὰ μείζω καὶ βαρύτερα πρὸς τὸ μέσον τῆς δίνης. Διὸ δὴ τὴν γῆν πάντες ὅσοι τὸν οὐρανὸν<br />

γεννῶσιν, ἐπὶ τὸ μέσον συνελθεῖν φασίν<br />

Così, se per costrizione ora la Terra rimane immobile, fu anche riunita al centro,<br />

trasportata dal vortice. Questa è, in effetti, la causa che tutti sostengono, a partire da quanto accade nei<br />

liqui<strong>di</strong> e nell'aria: in essi, infatti, le cose più gran<strong>di</strong> e più pesanti sempre sono portate verso il centro del<br />

vortice. Per questo, in verità, tutti quanti attribuiscono un'origine al cielo [all'universo] affermano che la<br />

Terra si è riunita al centro (De caelo II, 13 295 a9-14),<br />

dal momento che essa fa pensare all'esistenza <strong>di</strong> un vero e proprio <strong>modello</strong> ricorrente tra gli antichi<br />

cosmologi.<br />

(iii) <strong>Il</strong> «mutamento» (μεταβολή): un processo consistente nel <strong>di</strong>fferenziarsi della natura infinita «in<br />

sostanze» (διαφέρειν κατὰ τὰς οὐσίας), che può richiamare lo schema anassimandreo per la<br />

"neutralizzazione" del principio sul piano fenomenico: la varietà degli elementi, infatti, è ricavata per<br />

<strong>di</strong>scriminazione dell'«invisibile» (ἄδηλος) ἀήρ, in due <strong>di</strong>rezioni opposte, designate (probabilmente<br />

143<br />

dallo stesso AnassimeneF<br />

F) come «rarefazione» (μάνωσις) e «condensazione» (πύκνωσις). Le varie<br />

«sostanze», dunque, si definiscono rispetto alla natura originaria in misura della relativa densità<br />

(μανότητι καὶ πυκνότητι): una implicita conferma in tal senso troviamo nella Fisica aristotelica (VIII, 7<br />

260 b7-12):<br />

ἔτι δὲ πάντων τῶν παθημάτων ἀρχὴ πύκνωσις καὶ μάνωσις· καὶ γὰρ βαρὺ καὶ κοῦφον καὶ μαλακὸν<br />

καὶ σκληρὸν καὶ θερμὸν καὶ ψυχρὸν πυκνότητες δοκοῦσιν καὶ ἀραιότητες εἶναί τινες. πύκνωσις δὲ<br />

καὶ μάνωσις σύγκρισις καὶ διάκρισις, καθ’ ἃς γένεσις καὶ φθορὰ λέγεται τῶν οὐσιῶν<br />

Inoltre principio <strong>di</strong> tutte le affezioni sono condensazione e rarefazione: pesante e leggero, morbido e<br />

rigido, caldo e freddo sembrano essere, infatti, sorta <strong>di</strong> condensazioni e rarefazioni. Condensazione e<br />

rarefazione sono aggregazione e <strong>di</strong>sgregazione, secondo cui si <strong>di</strong>ce derivino la generazione e la<br />

<strong>di</strong>struzione delle cose che sono.<br />

Agli estremi <strong>di</strong> tali trasformazioni, il «fuoco» (πῦρ) e le «pietre» (λίθοι), in altre parole, in termini<br />

qualitativi, caldo e freddo. Donde l'osservazione <strong>di</strong> Ippolito: «gli elementi fondamentali della<br />

generazione sono contrari, il caldo e il freddo» (τὰ κυριώτατα τῆς γενέσεως ἐναντία εἶναι, θερμόν τε καὶ<br />

ψυχρόν). Ma Plutarco ci ricorda che essi sono comunque effetti del mutamento e non caratteri originari<br />

del principio materiale:<br />

142 Insiste su questo punto A. MADDALENA, Ionici. Testimonianze e frammenti, cit., p. 213.<br />

143 Così, per esempio, ritiene Pasquinelli (I Presocratici, Frammenti e testimonianze, cit., p. 325).


F ha<br />

ἢ καθάπερ Ἀ. ὁ παλαιὸς ὤιετο, μήτε τὸ ψυχρὸν ἐν οὐσίαι μήτε τὸ θερμὸν ἀπολείπωμεν, ἀλλὰ πάθη<br />

κοινὰ τῆς ὕλης ἐπιγιγνόμενα ταῖς μεταβολαῖς· τὸ γὰρ συστελλόμενον αὐτῆς καὶ πυκνούμενον<br />

ψυχρὸν εἶναί φησι, τὸ δ’ ἀραιὸν καὶ τὸ χαλαρὸν (οὕτω πως ὀνομάσας καὶ τῶι ῥήματι) θερμόν.<br />

ὅθεν οὐκ ἀπεικότως λέγεσθαι τὸ καὶ θερμὰ τὸν ἄνθρωπον ἐκ τοῦ στόματος καὶ ψυχρὰ μεθιέναι·<br />

ψύχεται γὰρ ἡ πνοὴ πιεσθεῖσα καὶ πυκνωθεῖσα τοῖς χείλεσιν, ἀνειμένου δὲ τοῦ στόματος<br />

ἐκπίπτουσα γίγνεται θερμὸν ὑπὸ μανότητος.<br />

Oppure, come riteneva l'antico Anassimene, non lasciamo né il freddo né il caldo nella sostanza, e<br />

affezioni comuni della materia, prodotte dai mutamenti. Egli <strong>di</strong>ceva infatti che la parte<br />

contratta e condensata dell’aria è fredda, mentre la parte <strong>di</strong>latata e «allentata» (è proprio questa<br />

l'espressione che usa) è calda. Donde non inappropriato è il <strong>di</strong>re che l'uomo emette dalla bocca sia il caldo<br />

sia il freddo: il respiro, in effetti, compresso e condensato dalle labbra, si raffredda; quando è emesso<br />

dalla bocca aperta <strong>di</strong>venta caldo a causa della rarefazione (DK 13 B1).<br />

(iv) La produzione <strong>di</strong> «tutte le altre cose» a partire da queste componenti <strong>di</strong> base (τὰ δὲ ἄλλα ἐκ<br />

τούτων). Si tratta del vero e proprio processo cosmogonico su cui non abbiamo notizie precise,<br />

nonostante qualche in<strong>di</strong>retto cenno aristotelico:<br />

αὐξάνεσθαι γὰρ καὶ φθίνειν καὶ ἀλλοιοῦσθαι συγκρινομένων καὶ διακρινομένων τῶν ἀτόμων<br />

σωμάτων φασίν. τὸν αὐτὸν δὲ τρόπον καὶ ὅσοι διὰ πυκνότητα ἢ μανότητα κατασκευάζουσι γένεσιν<br />

καὶ φθοράν· συγκρίσει γὰρ καὶ διακρίσει ταῦτα διακοσμοῦσιν<br />

[Gli atomisti] affermano infatti che l'accrescersi, il <strong>di</strong>minuire e il mutare accadono quando i corpi<br />

in<strong>di</strong>visibili si aggregano e <strong>di</strong>sgregano. Allo stesso modo pensano quanti affermano che generazione e<br />

corruzione accadano per condensazione e rarefazione: essi <strong>di</strong>spongono in effetti queste cose per<br />

aggregazione e <strong>di</strong>sgregazione (Fisica VIII, 9 265 b28-32).<br />

Ammettere un duplice sta<strong>di</strong>o – formazione per rarefazione e condensazione delle «sostanze»<br />

(διαφέρειν δὲ μανότητι καὶ πυκνότητι κατὰ τὰς οὐσίας) e successivo loro concorrere alla produzione<br />

delle rimanenti cose – significa, evidentemente, non solo porre in <strong>di</strong>scussione la tra<strong>di</strong>zionale lettura<br />

"monistica", ma ritrovare nelle testimonianze anche un primo, sommario abbozzo <strong>di</strong> teoria degli<br />

elementi. La mancanza <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni nella dossografia induce a credere che, nello specifico,<br />

144<br />

Anassimene non si pronunciasse chiaramenteF<br />

F.<br />

145<br />

QualcunoF congetturato che Anassimene si fosse concentrato essenzialmente sul valore<br />

esplicativo generale dell'ipotesi (condensazione-rarefazione), trascurando le sue particolari<br />

146<br />

applicazioni. Ma, forse, come ha ricordato la Gemelli MarcianoF<br />

F, lo scritto <strong>di</strong> Anassimene si<br />

presentava - a <strong>di</strong>spetto del linguaggio chiaro e <strong>di</strong>retto (Diogene Laerzio: «usò un lessico ionico<br />

semplice e senza fronzoli», κέχρηταί τε λέξει Ἰάδι ἁπλῆι καὶ ἀπερίττωι) – più con le caratteristiche<br />

della narrazione teo-cosmogonica (Esiodo, teogonie orfiche) che non con quelle del trattato<br />

scientifico: più attento alla coerenza d'insieme del racconto cosmogonico e dell'affresco cosmologico<br />

che ne <strong>di</strong>scendeva, che non alla giustificazione dei suoi singoli elementi. In questa luce <strong>di</strong>venta più<br />

comprensibile anche il <strong>di</strong>ffuso ricorso alle similitu<strong>di</strong>ni che emerge sistematicamente, in relazione al<br />

Milesio, dalle testimonianze.<br />

1B<strong>Il</strong> presunto frammento <strong>di</strong> Anassimene<br />

L'unica citazione <strong>di</strong> relativa consistenza dell'opera <strong>di</strong> Anassimene è dovuta ad Aëtius:<br />

Ἀ. Εὐρυστράτου Μιλήσιος ἀρχὴν τῶν ὄντων ἀέρα ἀπεφήνατο· ἐκ γὰρ τούτου πάντα γίγνεσθαι καὶ εἰς<br />

αὐτὸν πάλιν ἀναλύεσθαι. "οἶον ἡ ψυχή, φησίν, ἡ ἡμετέρα ἀὴρ οὖσα συγκρατεῖ ἡμᾶς,<br />

καὶ ὅλον τὸν κόσμον πνεῦμα καὶ ἀὴρ περιέχει" (λέγεται δὲ συνωνύμως ἀὴρ καὶ πνεῦμα)<br />

Anassimene, figlio <strong>di</strong> Euristrato, <strong>milesio</strong>, afferma che principio delle cose che sono è l'aria: da essa tutto<br />

si genera e in essa <strong>di</strong> nuovo si risolve: «come la nostra anima – <strong>di</strong>sse - che è aria, ci governa, così soffio e<br />

aria abbracciano l'intero universo». Aria e soffio, in vero, sono utilizzati come sinonimi (DK 13 B2).<br />

144 Su questo punto si veda W.K.C. GUTHRIE, A History of Greek Philosophy, vol. I, cit., pp. 122-123.<br />

145 W.K.C. GUTHRIE, A History of Greek Philosophy, vol. I, cit., pp. 134-135.<br />

146 Die Vorsokratiker, I, cit., pp. 89-90.


F che<br />

F -<br />

L'uso <strong>di</strong> alcuni termini (συγκρατεῖν, κόσμος, πνεῦμα) è parso agli stu<strong>di</strong>osi sospetto, suggerendo<br />

147<br />

un'origine posteriore del frammento, in particolare una possibile matrice stoicaF<br />

F. È cre<strong>di</strong>bile, in<br />

effetti, che il lessico riveli un intervento <strong>di</strong> parafrasi dell'originale, ma: (i) l'idea della respirazione<br />

148<br />

universale appare sufficientemente arcaicaF<br />

F; (ii) gli in<strong>di</strong>ci dell'e<strong>di</strong>zione Diels-Kranz rivelano una<br />

ricorrenza antica tanto <strong>di</strong> πνεῦμα (prossimo al significato <strong>di</strong> ἀήρ) quanto <strong>di</strong> περιέχειν, oltre che<br />

149<br />

l'impiego <strong>di</strong> κρατεῖν in relazione agli elementiF<br />

F; (iii) il ricorso all'analogia in Anassimene è<br />

confermato (come vedremo) da varie testimonianze; (iv) la costruzione della comparazione appare<br />

150<br />

stu<strong>di</strong>ata nei dettagli: essa è «perfettamente parallela nella struttura delle sue parti»F<br />

F. Dobbiamo<br />

151<br />

inoltre supporre che Aëtius ritenesse genuina l'analogia trascritta anche - come sottolinea KranzF da<br />

un punto <strong>di</strong> vista testuale: altrimenti non avrebbe senso l'annotazione lessicale imme<strong>di</strong>atamente<br />

seguente (λέγεται δὲ συνωνύμως ἀὴρ καὶ πνεῦμα).<br />

Ammesso, dunque, che la citazione riproduca, almeno nella sostanza se non nella lettera, un'originale<br />

affermazione <strong>di</strong> Anassimene, rimane il problema <strong>di</strong> coglierne il significato nel complesso delle<br />

informazioni dossografiche. Un senso è chiaramente offerto dal contesto imme<strong>di</strong>ato: essa, infatti,<br />

viene proposta a conferma della tesi <strong>peri</strong>patetica: «principio delle cose che sono è l'aria: da essa tutto<br />

si genera e in essa <strong>di</strong> nuovo si risolve» (ἀρχὴν τῶν ὄντων ἀέρα [...]· ἐκ γὰρ τούτου πάντα γίγνεσθαι καὶ<br />

εἰς αὐτὸν πάλιν ἀναλύεσθαι). <strong>Il</strong> nesso, tuttavia, non risulta del tutto scontato.<br />

Interpretando συγκρατεῖν come equivalente <strong>di</strong> συνέχειν, dovremmo intendere che l'aria, abbracciando il<br />

152<br />

cosmo, lo mantiene e conserva dall'esterno, come l'anima-aria ci tiene insieme dall'internoF<br />

F;<br />

attribuendo al verbo, invece, il valore <strong>di</strong> κυβερνᾶν (come abbiamo fatto nella nostra traduzione), ci<br />

ritroviamo a presupporre che: (i) all'ἀρχή, oltre alla funzione <strong>di</strong> «origine», sia associata quella <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>rezione (la correlazione tra συγκρατεῖν e περιέχειν ci riporta così ad Anassimandro); (ii) nella<br />

nozione <strong>di</strong> ἀρχή sia inoltre sottintesa la nozione <strong>di</strong> vita: in questa <strong>di</strong>rezione sembrano orientare gli<br />

accostamenti tra ψυχή, πνεῦμα e ἀήρ (che giocano sull'implicazione tra respirazione, soffio e aria):<br />

153<br />

come senza l'ariaF ci circonda e inspiriamo non potremmo vivere, così senza l'aria originaria che<br />

154<br />

lo avvolge, l'universo non potrebbe sussistereF<br />

F.<br />

<strong>Il</strong> vincolo tra φύσις originaria e animazione è dalla tra<strong>di</strong>zione dossografica antica fatto risalire a Talete:<br />

καὶ ἐν τῶι ὅλωι δέ τινες αὐτὴν [sc. τὴν ψυχήν] μεμεῖχθαί φασιν, ὅθεν ἴσως καὶ Θ. ὠιήθη πάντα<br />

πλήρη θεῶν εἶναι<br />

ἔοικε δὲ καὶ Θ., ἐξ ὧν ἀπομνημονεύουσι, κινητικόν τι τὴν ψυχὴν ὑπολαβεῖν, εἴπερ τὸν λίθον ἔφη<br />

ψυχὴν ἔχειν ὅτι τὸν σίδηρον κινεῖ<br />

Alcuni sostengono che essa [l'anima] è <strong>di</strong>ffusa nell'intero universo: forse per questo anche Talete pensò<br />

che tutte le cose siano piene <strong>di</strong> dei.<br />

Sembra che anche Talete, dalle cose che sono riferite a memoria, supponesse che l'anima è qualcosa in<br />

grado <strong>di</strong> muovere, se realmente affermò che la pietra ha un'anima, dal momento che muove il ferro<br />

(Aristotele, De anima I, 5 411 a7; I, 2 405 a19; DK 11 A22)<br />

Θαλῆς ἀπεφήνατο πρῶτος τὴν ψυχὴν φύσιν ἀεικίνητον ἢ αὐτοκίνητον.<br />

Talete per primo <strong>di</strong>chiarò l'anima natura sempre in movimento e semovente (Aëtius, DK 11 A22a)<br />

147 K. REINHARDT, Parmenides und <strong>di</strong>e Geschichte <strong>di</strong>e griechischen Philosophie, Frankfurt a.M., Vittorio<br />

Klostermann, 1985 4 (e<strong>di</strong>zione originale 1916), p. 175.<br />

148 Su questo punto E. ZELLER-R. MONDOLFO, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, cit., pp. 224 ss..<br />

149 L'osservazione è <strong>di</strong> W. KRANZ, Comparazione e similitu<strong>di</strong>ne nella filosofia greca arcaica (1938), in I<br />

Presocratici. Testimonianze e frammenti da Talete a Empedocle, a cura <strong>di</strong> A. LAMI, Milano, Rizzoli (BUR),<br />

1993, p. 28 (nota).<br />

150 W. KRANZ, Comparazione e similitu<strong>di</strong>ne, cit., p. 28.<br />

151 W. KRANZ, Comparazione e similitu<strong>di</strong>ne, cit., p. 28.<br />

152 G.S. KIRK-J.E. RAVEN-M. SCHOFIELD, The Presocratic Philosophers, cit., p. 160.<br />

153 Come suggeriscono G.S. KIRK-J.E. RAVEN-M. SCHOFIELD, The Presocratic Philosophers, cit., p. 159, è<br />

probabile che πνεῦμα comparisse nella prima parte della citazione in vece <strong>di</strong> ἀήρ.<br />

154 G. WÖHRLE, Anaximenes aus Milet. Die Fragmente zu seiner Lehre, Stuttgart, Franz Steiner Verlag, 1993, p.<br />

16.


F dal<br />

Θ. νοῦν τοῦ κόσμου τὸν θεόν, τὸ δὲ πᾶν ἔμψυχον ἅμα καὶ δαιμόνων πλῆρες· διήκειν δὲ καὶ διὰ τοῦ<br />

στοιχειώδους ὑγροῦ δύναμιν θείαν κινητικὴν αὐτοῦ<br />

Talete afferma che il <strong>di</strong>o è mente del mondo e che l'universo è animato e insieme pieno <strong>di</strong> demoni.<br />

Sostiene inoltre che, attraverso l'umido elementare, una potenza <strong>di</strong>vina pervade e muove


157<br />

Come è stato <strong>di</strong> recente autorevolmente ricordatoF<br />

F, la scelta del Milesio <strong>di</strong> proporre l'aria come<br />

principio era probabilmente maturata da un intreccio <strong>di</strong> considerazioni <strong>di</strong>fficilmente <strong>di</strong>stricabili, e che<br />

ancora si possono intravedere nella produzione posteriore che in qualche misura ne riprende la tesi <strong>di</strong><br />

fondo (i frammenti <strong>di</strong> Diogene <strong>di</strong> Apollonia, il trattato ippocratico Sui venti, il commentario alla<br />

teogonia orfica del Papiro Derveni). Intanto (i) dalla convinzione <strong>di</strong> un effettivo dominio universale<br />

dell'aria, esercitato, in campo atmosferico e meteorologico, in una varietà <strong>di</strong> fenomeni rilevanti, ma<br />

riconosciuto anche nella tra<strong>di</strong>zione poetica con l'in<strong>di</strong>viduazione dell'aria come specifico ambito <strong>di</strong><br />

sovranità <strong>di</strong> Zeus. Connessa a tale dominio universale era anche l'idea che l'aria fosse la fonte <strong>di</strong> vita<br />

per tutto, e in questo senso fosse contenuta in tutto come ingre<strong>di</strong>ente essenziale. Ciò avrebbe quin<strong>di</strong><br />

spinto (Diogene <strong>di</strong> Apollonia, Papiro Derveni) all'identificazione dell'aria con Zeus. Una conclusione<br />

che pare, in effetti, amplificare quanto rimane, nel frammento <strong>di</strong> Anassimene, solo implicito (la natura<br />

eminentemente <strong>di</strong>vina del principio), ma che potrebbe in realtà giustificarsi anche nel contesto delle<br />

158<br />

suggestioni omeriche ed esiodee <strong>di</strong> era impregnata la cultura ionicaF<br />

F.<br />

12BCosmogonia e cosmologia<br />

Nella narrazione cosmogonica <strong>di</strong> Anassimene dovevano delinearsi almeno tre livelli, che si<br />

intravedono chiaramente nella già citata testimonianza <strong>di</strong> Cicerone:<br />

post eius au<strong>di</strong>tor Anaximenes infinitum aëra, sed ea, quae ex eo orerentur, definita: gigni autem terram,<br />

aquam, ignem, tum ex iis omnia.<br />

In seguito il suo [<strong>di</strong> Anassimandro] <strong>di</strong>scepolo Anassimene l'aria indefinita, ma le cose, che da<br />

essa originano, definite: sono generate, infatti, terra, acqua, fuoco e poi da queste tutte le cose (Cicerone,<br />

DK 13 A9).<br />

Essi corrispondono evidentemente anche a tre <strong>di</strong>stinte fasi del processo <strong>di</strong> formazione dell'universo: (i)<br />

lo sta<strong>di</strong>o primitivo: la natura originaria; (ii) lo sta<strong>di</strong>o interme<strong>di</strong>o (elementare): la produzione delle<br />

componenti basilari (i veri e propri mattoni) della cosmogonia, imme<strong>di</strong>atamente ricavate per<br />

trasformazione della natura-principio; (iii) lo sta<strong>di</strong>o cosmologico vero e proprio: il costituirsi<br />

(plausibilmente per sintesi, anche se le testimonianze non offrono in<strong>di</strong>cazioni in proposito) <strong>di</strong> tutte le<br />

altre cose da quelle componenti.<br />

Dobbiamo a Ippolito il resoconto più ricco <strong>di</strong> particolari circa la cosmologia e la meteorologia <strong>di</strong><br />

Anassimene (con qualche cenno anche al processo comogonico):<br />

(4) τὴν δὲ γῆν πλατεῖαν εἶναι ἐπ’ ἀέρος ὀχουμένην, ὁμοίως δὲ καὶ ἥλιον καὶ σελήνην καὶ τὰ ἄλλα<br />

ἄστρα πάντα πύρινα ὄντα ἐπχεῖσθαι τῶι ἀέρι διὰ πλάτος. (5) γεγονέναι δὲ τὰ ἄστρα ἐκ γῆς διὰ<br />

τὸ τὴν ἰκμάδα ἐκ ταύτης ἀνίστασθαι, ἧς ἀραιουμένης τὸ πῦρ γίνεσθαι, ἐκ δὲ τοῦ πυρὸς<br />

μετεωριζομένου τοὺς ἀστέρας συνίστασθαι. εἶναι δὲ καὶ γεώδεις φύσεις ἐν τῶι τόπωι τῶν ἀστέρων<br />

συμπεριφερομένας ἐκείνοις. (6) οὐ κινεῖσθαι δὲ ὑπὸ γῆν τὰ ἄστρα λέγει, καθὼς ἕτεροι ὑπειλήφασιν,<br />

ἀλλὰ περὶ γῆν, ὡσπερεὶ περὶ τὴν ἡμετέραν κεφαλὴν στρέφεται τὸ πιλίον. κρύπτεσθαί τε τὸν ἥλιον<br />

οὐχ ὑπὸ γῆν γενόμενον, ἀλλ’ ὑπὸ τῶν τῆς γῆς ὑψηλοτέρων μερῶν σκεπόμενον καὶ διὰ τὴν πλείονα<br />

ἡμῶν αὐτοῦ γενομένην ἀπόστασιν. τὰ δὲ ἄστρα· μὴ θερμαίνειν διὰ τὸ μῆκος τῆς ἀποστάσεως. (7)<br />

ἀνέμους δὲ γεννᾶσθαι, ὅταν ἧι πεπυκνωμένος ὁ ἀὴρ καὶ ὠσθεὶς φέρηται · συνελθόντα δὲ καὶ ἐπὶ<br />

πλεῖον παχυνθέντα νέφη γεννᾶσθαι καὶ οὕτως εἰς ὕδωρ μεταβάλλειν. χάλαζαν δὲ γίνεσθαι, ὅταν<br />

ἀπὸ τῶν νεφῶν τὸ ὕδωρ καταφερόμενον παγῆι· χιόνα δέ, ὅταν αὐτὰ ταῦτα ἐνυγρότερα ὄντα πῆξιν<br />

λάβηι. (8) ἀστραπὴν δ’ ὅταν τὰ νέφη διιστῆται βίαι πνευμάτων·τούτων γὰρ διισταμένων λαμπρὰν<br />

καὶ πυρώδη γίνεσθαι τὴν αὐγήν. ἴριν δὲ γεννᾶσθαι τῶν ἡλιακῶν αὐγῶν εἰς ἀέρα συνεστῶτα<br />

πιπτουσῶν. σεισμὸν δὲ τῆς γῆς ἐπὶ πλεῖον ἀλλοιουμένης ὑπὸ θερμασίας καὶ ψύξεως. (9) ταῦτα μὲν<br />

οὖν Ἀναξιμένης. οὗτος ἤκμασε περὶ ἔτος πρῶτον τῆς πεντηκοστῆς ὀγδόης ὀλυμπιάδος<br />

(4) La Terra è piatta e sospesa sull'aria, allo stesso modo del Sole, della Luna e degli altri astri, che sono<br />

tutti <strong>di</strong> natura ignea e sono sospesi sull'aria a causa della loro forma piatta. (5) Gli astri hanno origine<br />

dalla Terra a causa dell'umi<strong>di</strong>tà che sale da essa, dalla cui rarefazione si produce il fuoco, dal fuoco salito<br />

in alto si formano gli astri. Nella regione degli astri si trovano anche nature terrose, che si muovono<br />

circolarmente con essi. (6) Sostiene poi che gli astri non si muovono al <strong>di</strong> sotto della Terra, come altri<br />

157 M.L. Gemelli Marciano nel suo profilo <strong>di</strong> Anassimene in Die Vorsokratiker, I, cit., p. 92.<br />

158 Die Vorsokratiker, I, cit., pp. 92-93.


hanno supposto, ma intorno alla Terra, proprio come il copricapo <strong>di</strong> feltro gira intorno alla nostra testa. <strong>Il</strong><br />

Sole si nasconde non perché <strong>di</strong>sceso sotto la Terra, ma in quanto coperto dalle parti elevate della Terra e<br />

per il fatto che la sua <strong>di</strong>stanza da noi è cresciuta. Gli astri, poi, non riscaldano a causa della loro grande<br />

<strong>di</strong>stanza. (7) I venti si producono ogni volta che l'aria condensata è spinta a muoversi: quando è raccolta e<br />

ancor più addensata, si generano le nuvole e così si volge in acqua. La gran<strong>di</strong>ne invece si forma quando<br />

l'acqua, scendendo dalle nuvole, congela; la neve quando quelle stesse che congelano sono ancora<br />

piuttosto umide. (8) <strong>Il</strong> lampo si produce quando le nuvole si rompono per la violenza dei venti: essendosi<br />

squarciate, si genera il bagliore folgorante e igneo. L'iride si produce quando i raggi del Sole cadono su<br />

aria condensata; il terremoto quando la Terra è maggiormente alterata da calura e freddo. (9) Queste sono<br />

dunque le cose Anassimene: egli fiorì nel primo anno della 58.ma olimpiade (Ippolito, DK<br />

13 A7).<br />

Più rapida la sintesi <strong>di</strong> Pseudo-Plutarco:<br />

πιλουμένου δὲ τοῦ ἀέρος πρώτην γεγενῆσθαι λέγει τὴν γῆν πλατεῖαν μάλα· διὸ καὶ κατὰ λόγον<br />

αὐτὴν ἐποχεῖσθαι τῶι ἀέρι· καὶ τὸν ἥλιον καὶ τὴν σελήνην καὶ τὰ λοιπὰ ἄστρα τὴν ἀρχὴν τῆς<br />

γενέσεως ἔχειν ἐκ γῆς. ἀποφαίνεται γοῦν τὸν ἥλιον γῆν, διὰ δὲ τὴν ὀξεῖαν κίνησιν καὶ μάλ’ ἱκανῶς<br />

θερμὴν ταύτην καῦσιν λαβεῖν<br />

Sostiene che, condensandosi l'aria, per prima nasce la Terra, molto vasta e che per ciò e secondo ragione<br />

essa è portata dall'aria, e che il Sole e la Luna e gli altri astri hanno dalla Terra il principio della loro<br />

nascita. Dichiara almeno che il Sole è terra, e che a causa del movimento veloce, ha sviluppato un calore<br />

molto intenso e l'attuale incandescenza (Pseudo-Plutarco, DK 13 A6).<br />

26BTerra e cielo<br />

L'elemento terroso sarebbe stato il primo prodotto della trasformazione dell'aria (per condensazione:<br />

πιλουμένου τοῦ ἀέρος), e la Terra, dunque, il corpo cosmico intorno a cui si incar<strong>di</strong>na la stessa<br />

159<br />

ricostruzione cosmogonica: il riferimento centrale alla Terra è il dato (<strong>di</strong>scutibileF<br />

F) che ricaviamo<br />

dalle due testimonianze. Alla Terra (e all'elemento terroso) rinviano gli altri corpi celesti: mentre<br />

Pseudo-Plutarco si limita, sbrigativamente, a marcare in generale la loro <strong>di</strong>pendenza dalla Terra<br />

(probabilmente per la loro composizione "materiale" terroso: τὴν ἀρχὴν τῆς γενέσεως ἔχειν ἐκ γῆς può<br />

infatti riferirsi tanto al principio "terroso" quanto al corpo centrale del cosmo <strong>di</strong> Anassimene),<br />

attribuendone, <strong>di</strong>namicamente, luminosità e calore all'incandescenza prodotta dalla velocità del<br />

movimento (διὰ τὴν ὀξεῖαν κίνησιν), Ippolito propone uno schema più articolato, precisando la catena<br />

<strong>di</strong> conversioni. Così le esalazioni umide (διὰ τὸ τὴν ἰκμάδα ἐκ ταύτης) dalla Terra, per rarefazione,<br />

avrebbero generato il fuoco, cui sarebbe riducibile la natura <strong>di</strong> quasi tutti i corpi celesti (πάντα πύρινα<br />

ὄντα): tra quelli, in effetti, si rileva anche la presenza <strong>di</strong> non meglio precisate «realtà <strong>di</strong> natura terrosa»<br />

(γεώδεις φύσεις: un riferimento forse a meteoriti). Nella stessa <strong>di</strong>rezione potrebbe puntare una<br />

annotazione <strong>di</strong> Aëtius:<br />

Ἀ. πυρίνην μὲν τὴν φύσιν τῶν ἄστρων, περιέχειν δέ τινα καὶ γεώδη σώματα συμπεριφερόμενα<br />

τούτοις ἀόρατα<br />

Anassimene <strong>di</strong>ce che la natura degli astri è ignea, e che circonda anche alcuni corpi terrosi che ruotano<br />

con essi, invisibili (DK 13 A14).<br />

<strong>Il</strong> Milesio avrebbe così in<strong>di</strong>cato una fascia astrale esterna, propriamente occupata da masse <strong>di</strong> fuoco<br />

(luminose, almeno durante la notte), avvolgente rispetto a quella in cui si muovono intorno alla Terra<br />

corpi terrosi (in questo senso non visibili): la sovrapposizione <strong>di</strong> questi a quelle avrebbe potuto<br />

spiegare i fenomeni <strong>di</strong> eclissi <strong>di</strong> Sole e Luna.<br />

Benché nel complesso la composizione (terrosa o ignea?) e la relazione tra corpi celesti e Terra<br />

rimangano – allo stato delle testimonianze – sostanzialmente indeterminate, è comunque significativo<br />

- che si segua Pseudo-Plutarco o Ippolito – lo sforzo <strong>di</strong> omogeneizzare Terra e regione celeste (τόπος<br />

159 Come rivelano le nostre fonti, prima <strong>di</strong> giungere alla soli<strong>di</strong>ficazione, l'aria avrebbe dovuto passare attraverso<br />

trasformazioni interme<strong>di</strong>e: su questo G. WÖHRLE, Anaximenes aus Miletus, cit., pp. 18-19.


τῶν ἀστέρων), contro una tra<strong>di</strong>zione che tendeva a imporre questa come sfera propriamente ed<br />

160<br />

esclusivamente <strong>di</strong>vinaF<br />

F.<br />

Ippolito informa <strong>di</strong> analogie tra i due ambiti anche a livello statico e <strong>di</strong>namico:<br />

τὴν δὲ γῆν πλατεῖαν εἶναι ἐπ’ ἀέρος ὀχουμένην, ὁμοίως δὲ καὶ ἥλιον καὶ σελήνην καὶ τὰ ἄλλα<br />

ἄστρα πάντα πύρινα ὄντα ἐπχεῖσθαι τῶι ἀέρι διὰ πλάτος<br />

La Terra è piatta e sospesa sull'aria, allo stesso modo del Sole, della Luna e degli altri astri, che sono tutti<br />

<strong>di</strong> natura ignea e sono sospesi sull'aria a causa della loro forma piatta<br />

Sia la Terra, sia gli astri si troverebbero dunque a "galleggiare" sull'aria, a «cavalcare» (questo il<br />

161<br />

significato dell'omerico ἐποχεῖσθαι, forse genuina espressione <strong>di</strong> AnassimeneF<br />

F) l'aria sottostante:<br />

Ἀ. διὰ τὸ πλάτος ἐποχεῖσθαι τῶι ἀέρι<br />

Anassimene , a causa della forma piatta, sta sopra [cavalca] l'aria (DK 13 A20).<br />

Aristotele (De caelo II, 13 294 b13) insiste su questo punto:<br />

Ἀ. δὲ καὶ Ἀναξαγόρας καὶ Δημόκριτος τὸ πλάτος αἴτιον εἶναί φασι τοῦ μένειν αὐτήν· οὐ γὰρ τέμνειν,<br />

ἀλλ’ ἐπιπωματίζειν τὸν ἀέρα τὸν κάτωθεν, ὅπερ φαίνεται τὰ πλάτος ἔχοντα τῶν σωμάτων ποιεῖν·<br />

ταῦτα γὰρ καὶ πρὸς τοὺς ἀνέμους ἔχει δυσκινήτως διὰ τὴν ἀντέρεισιν. ταὐτὸ δὴ τοῦτο ποιεῖν τῶι<br />

πλάτει φασὶ τὴν γῆν πρὸς τὸν ὑποκείμενον ἀέρα. τὸν δ’ οὐκ ἔχοντα τοῦ μεταστῆναι τόπον ἱκανὸν<br />

ἀθρόον τῶι κάτωθεν ἠρεμεῖν, ὥσπερ τὸ ἐν ταῖς κλεψύδραις ὕδωρ<br />

Anassimene, Anassimandro e Democrito sostengono che la forma piatta sia causa della permanenza<br />

: essa, infatti, non taglia ma copre l'aria sottostante come sembra facciano i corpi<br />

che hanno forma piatta. Essi, in effetti, <strong>di</strong>fficilmente sono mossi dai venti, a causa della resistenza:<br />

sostengono appunto che la stessa cosa faccia la Terra, per la forma piatta, rispetto all'aria<br />

soggiacente. Non avendo spazio sufficiente per spostarsi, questa rimane compatta al <strong>di</strong> sotto, come<br />

l'acqua nelle clessidre (DK 13 A20).<br />

<strong>Il</strong> ricorso alla peculiare immagine della clessidra può suggerire un'eco originale: essa, soprattutto,<br />

accentua l'idea che la stabilità della Terra – in<strong>di</strong>scutibilmente associata alla sua struttura – scaturisca<br />

da un reciproco annullarsi <strong>di</strong> spinte: il soffio dei venti e la resistenza (ἀντέρεισις) opposta dal<br />

"coperchio" terrestre. Ciò può far ipotizzare che l'ἀήρ anassimeneo con<strong>di</strong>videsse l'agitazione e forse i<br />

vortici dell'ἄπειρον <strong>di</strong> Anassimandro.<br />

27BLa <strong>di</strong>namica celeste<br />

In ogni caso, il movimento dell'aria non rivestiva solo un ruolo strumentale in ambito cosmogonico,<br />

innescando – attraverso com-pressioni e de-pressioni - le trasformazioni del principio, ma conservava<br />

anche una precisa funzione cosmologica, (i) sostenendo con la propria pressione il piatto <strong>di</strong>sco<br />

terrestre, (ii) sostenendo e trasportando i corpi celesti, dei quali si sottolinea:<br />

οὐ κινεῖσθαι δὲ ὑπὸ γῆν τὰ ἄστρα, καθὼς ἕτεροι ὑπειλήφασιν, ἀλλὰ περὶ γῆν, ὡσπερεὶ περὶ τὴν<br />

ἡμετέραν κεφαλὴν στρέφεται τὸ πιλίον<br />

gli astri non si muovono al <strong>di</strong> sotto della Terra, come altri hanno supposto, ma intorno alla Terra, proprio<br />

come il copricapo <strong>di</strong> feltro gira intorno alla nostra testa (Ippolito, DK 13 A7).<br />

Gli astri (<strong>di</strong> natura ignea) e i corpi terrosi sono portati in circolo (περιφερόμενα) intorno alla Terra –<br />

descrivendo una rotazione simile a quella <strong>di</strong> un berretto sulla testa - trascinati evidentemente da un<br />

soffio (che ne impe<strong>di</strong>sce la caduta) vorticoso (che spiega natura e regolarità del moto). Anche in<br />

questo caso la tra<strong>di</strong>zione dossografica impiega un'immagine pregnante: quella della foglia:<br />

πλατὺν ὡς πέταλον τὸν ἥλιον<br />

...il sole piatto come una foglia (Aëtius, DK 13 B2a)<br />

160 W.K.C. GUTHRIE, A History of Greek Philosophy, vol. I, cit., p. 134.<br />

161 G.S. KIRK-J.E. RAVEN-M. SCHOFIELD, The Presocratic Philosophers, cit., p. 153.


F (sarebbe<br />

ἔνιοι δὲ πέταλα εἶναι πύρινα [τὰ ἄστρα]<br />

162<br />

Alcuni <strong>di</strong>cono che essi [gli astri] sono foglie <strong>di</strong> fuoco (DK 13 A14F<br />

F).<br />

Possiamo forse trovare un riscontro da un frammento del Περὶ φύσεως <strong>di</strong> Epicuro, in cui il filosofo,<br />

polemizzando con antiche teorie, pare riferirsi ai resoconti relativi ad Anassimene:<br />

τοίχους ἐν [κύκλ]ωι ποιήσαντες ἵ[να φρᾴ]ξωσιν ἡμᾶς πρ[ὸς τ]ὴν δῖναν, ὡς ἔξωθεν αὐτῆς<br />

περιφερομέ[ν]ης, πᾶ[σ]ιν [ὕ]π[ὲρ κε]φά[λ]ης τᾲ ᾄ[σ]τ[ρα] περιάγου[σι]ν<br />

163<br />

Pongono muri in circolo [intorno alla Terra]F<br />

F, così che possano proteggerci dal vortice, quando si volge<br />

164<br />

intorno dall'esterno, e per tutti coloro che conducono gli astri in circolo sopra la testaF<br />

F.<br />

La <strong>di</strong>namica – nonostante le semplificazioni e riduzioni che si possono intravedere nelle testimonianze<br />

- doveva rimanere complessa; esemplare l'osservazione conservata da Aëtius:<br />

Ἀ. ὑπὸ πεπυκνωμένου ἀέρος καὶ ἀντιτύπου ἐξωθούμενα τὰ ἄστρα τὰς τροπὰς ποιεῖσθαι<br />

Anassimene <strong>di</strong>sse che gli astri volgono il loro corso a causa della resistenza contraria dell'aria compressa<br />

(DK 13 A15).<br />

Da un lato la pressione dell'aria sottostante sostiene la Terra, dall'altro il soffio vorticoso spinge gli<br />

astri, che non possono tuttavia passare «sotto la Terra» (ὑπὸ γῆν), proprio in forza <strong>di</strong> quella pressione:<br />

la combinazione <strong>di</strong> spinte che regola l'or<strong>di</strong>ne cosmico non appare facilmente riconducibile al <strong>modello</strong><br />

<strong>di</strong> un unico vortice, intorno a cui <strong>di</strong>sporre i corpi. Possiamo supporre un moto cosmogonico concepito<br />

come gorgo capace <strong>di</strong> comprimere e condensare l'aria originaria, così da produrre e concentrare i<br />

costituenti terrosi: esso sarebbe sufficiente – come spinta centripeta - a giustificare <strong>di</strong>rettamente<br />

posizione centrale e conseguente stabilità della Terra. Allo stesso turbine si dovrebbe poi attribuire la<br />

spinta centrifuga all'origine dei corpi celesti (per sollevamento <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà e sua successiva rarefazione<br />

in masse ignee, ovvero per <strong>di</strong>stacco <strong>di</strong> componenti terrose) e soprattutto il moto rotatorio complessivo<br />

165<br />

nell'area celesteF<br />

F.<br />

Al quadro <strong>di</strong>namico manca un fondamentale elemento <strong>di</strong> contorno: nel paragone tra il moto astrale e il<br />

movimento del berretto <strong>di</strong> feltro intorno al capo, <strong>di</strong> cui ci dà notizia Ippolito, è possibile cogliere un<br />

166<br />

implicito riferimento alla volta celesteF<br />

la sua struttura a suggerire l'accostamento al<br />

copricapo), che torna nei rilievi <strong>di</strong> Aëtius:<br />

Ἀ. καὶ Παρμενίδης τὴν περιφορὰν τὴν ἐξωτάτω τῆς γῆς εἶναι τὸν οὐρανόν<br />

Anassimene e Parmenide sostengono che il cielo è il cerchio più lontano dalla Terra (DK 13 A13)<br />

Ἀ. ἥλων δίκην καταπεπηγέναι τὰ ἄστρα τῶι κρυσταλλοειδεῖ ὥσπερ ζωγραφήματα<br />

Anassimene sostiene che gli astri sono conficcati, come chio<strong>di</strong>, in una superficie simile al cristallo<br />

167<br />

[ghiaccio] (DK 13 A14F<br />

F).<br />

Problematico pensare alla combinazione <strong>di</strong> rarefatto fuoco astrale e condensata superficie celeste, ma,<br />

168<br />

come insegna MondolfoF<br />

F, l'idea <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> guscio della «massa rotante a vortice» appare comune<br />

nella produzione presocratica (Anassimandro, Empedocle, Leucippo), e poteva fungere da elemento<br />

stabilizzatore del sistema cosmico. Forse, <strong>di</strong>stinguendo tra "stelle fisse" e altri corpi celesti,<br />

Anassimene lasciava fluttuare i secon<strong>di</strong> - come «foglie infuocate» (πέταλα πύρινα) - sotto la spinta del<br />

soffio vorticoso, saldando invece le prime alla volta su<strong>peri</strong>ore, dall'apparenza <strong>di</strong> ghiaccio o cristallo. Si<br />

162 Seguiamo la ricostruzione della testimonianza in The Texts of Early Greek Philosophy, cit., p. 82.<br />

163 Epicuro potrebbe riferirsi alla presenza <strong>di</strong> alte montagne sul margine terrestre.<br />

164 D.W. GRAHAM, The Texts of Early Greek Philosophy, cit., testimonianza A20, p. 82.<br />

165 Su questo E. ZELLER – R. MONDOLFO, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, cit., pp. 232-233.<br />

166 Così interpreta, per esempio Graham (The Texts of Early Greek Philosophy, cit., p. 93).<br />

167 Seguiamo la ricostruzione della testimonianza in The Texts of Early Greek Philosophy, cit., p. 82.<br />

168 E. ZELLER – R. MONDOLFO, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, cit., p. 236.


169<br />

tratta solo <strong>di</strong> ipotesiF<br />

F, non prive <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà. L'abbondanza <strong>di</strong> similitu<strong>di</strong>ni nelle testimonianze è<br />

comunque in<strong>di</strong>zio sufficiente <strong>di</strong> arcaicità, per lo più considerato prova della genuinità delle in<strong>di</strong>cazioni<br />

dossografiche.<br />

28BI fenomeni meteorologici<br />

Pochi cenni sono sufficienti a fornirci un'idea <strong>di</strong> come anche i fenomeni meteorologici fossero<br />

ricondotti allo schema esplicativo:<br />

Ἀναξιμένης ταὐτὰ τούτωι (περὶ βροντῶν κτλ.) προστιθεὶς τὸ ἐπὶ τῆς θαλάσσης, ἥτις σχιζομένη ταῖς<br />

κώπαις παραστίλβει.<br />

Ἀ. νέφη μὲν γίνεσθαι παχυνθέντος ἐπὶ πλεῖον τοῦ ἀέρος, μᾶλλον δ’ ἐπισυναχθέντος ἐκθλίβεσθαι<br />

τοὺς ὄμβρους, χάλαζαν δέ, ἐπειδὰν τὸ καταφερόμενον ὕδωρ παγῆι, χιόνα δ’ ὅταν συμπεριληφθῆι τι<br />

τῶι ὑγρῶι πνευματικόν<br />

Anassimene <strong>di</strong>sse le stesse cose <strong>di</strong> costui [Anassimandro]. Aggiunse<br />

l'immagine del mare, che, tagliato dai remi, scintilla.<br />

Anassimene <strong>di</strong>sse che la nube si forma quando l'aria si addensa maggiormente; che quando <strong>di</strong>venta ancor<br />

più condensata ne derivano le piogge; che la gran<strong>di</strong>ne si forma quando l'acqua che cade gela, e la neve<br />

quando nell'umi<strong>di</strong>tà è racchiusa un po' d'aria (Aëtius, DK 13 A17)<br />

Ἀ. ἶριν γίνεσθαι κατ’ αὐγασμὸν ἡλίου πρὸς νέφει πυκνῶι καὶ παχεῖ καὶ μέλανι παρὰ τὸ μὴ δύνασθαι<br />

τὰς ἀκτῖνας εἰς τὸ πέραν διακόπτειν ἐπισυνισταμένας αὐτῶ<br />

Anassimene sostiene che l'arcobaleno è prodotto dal riflesso del Sole su una nube spessa, densa e scura,<br />

perché i raggi che convergono in essa non possono attraversarla (Aëtius, DK 13 A18)<br />

Ἀ. δὲ ἐξ ὕδατος καὶ ἀέρος γίνεσθαι τοὺς ἀνέμους βούλεται καὶ [τῆι] ῥύμηι τινὶ ἀγνώστωι βιαίως<br />

φέρεσθαι καὶ τάχιστα ὡς τὰ πτηνὰ πέτεσθαι<br />

Anassimene pretende che i venti scaturiscano dall'acqua e dall'aria, e che per una certa forza ignota siano<br />

spinti e corrano velocissimi come gli uccelli (Galeno, DK 13 A19).<br />

Altri fenomeni, come i terremoti, erano probabilmente inquadrati come eventi o processi<br />

meteorologici:<br />

δέ φησι βρεχομένην τὴν γῆν καὶ ξηραινομένην ῥήγνυσθαι καὶ ὑπὸ τούτων τῶν ἀπορρηγνυμένων<br />

κολωνῶν ἐμπιπτόντων σείεσθαι· διὸ καὶ γίγνεσθαι τοὺς σεισμοὺς ἔν τε τοῖς αὐχμοῖς καὶ πάλιν ἐν<br />

ταῖς ὑπερομβρίαις· ἔν τε γὰρ τοῖς αὐχμοῖς, ὥσπερ εἴρηται, ξηραινομένην ῥήγνυσθαι καὶ ὑπὸ τῶν<br />

ὑδάτων ὑπερυγραινομένην διαπίπτειν<br />

Anassimene sostiene che la Terra, <strong>di</strong>sseccandosi dopo essere stata inumi<strong>di</strong>ta, si fende, e che dai cumuli <strong>di</strong><br />

terra che si <strong>di</strong>staccano e cadono nelle crepe viene scossa: per questo i terremoti accadono sia nei <strong>peri</strong>o<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> siccità, sia in quelli <strong>di</strong> piogge abbondanti. Nei <strong>peri</strong>o<strong>di</strong> <strong>di</strong> siccità, infatti, come si è detto, <strong>di</strong>sseccandosi<br />

si spacca; poi, impregnata dalle acque, si sfalda (Aristotele, Meteorologici II, 7 365 b6; DK 13 A21).<br />

Sempre ad Aristotele (Meteorologici II, 1. 354 a28) dobbiamo un accenno alla probabile spiegazione<br />

anassimenea dell'alternanza tra il dì e la notte, che troverebbe conferma sia nel riferimento ai «muri in<br />

circolo» (τοίχους ἐν [κύκλ]ωι) del frammento <strong>di</strong> Epicuro, sia nell'allusione <strong>di</strong> Ippolito al moto dei corpi<br />

celesti «intorno alla Terra» (περὶ γῆν):<br />

πολλοὺς πεισθῆναι τῶν ἀρχαίων μετεωρολόγων τὸν ἥλιον μὴ φέρεσθαι ὑπὸ γῆν, ἀλλὰ περὶ τὴν γῆν<br />

καὶ τὸν τόπον τοῦτον, ἀφανίζεσθαι δὲ καὶ ποιεῖν νύκτα διὰ τὸ ὑψηλὴν εἶναι πρὸς ἄρκτον τὴν γῆν<br />

Molti degli antichi stu<strong>di</strong>osi del cielo credevano che il Sole non passasse sotto la Terra ma intorno a essa e<br />

a questa regione, e scompaia e produca la notte per il fatto che la Terra è alta nelle parti settentrionali (DK<br />

13 A14).<br />

Attribuendo anche ad Anassimene il rilievo aristotelico, si dovrebbe concludere che per lui la Terra<br />

fosse sì appiattita («forma <strong>di</strong> tavola», τραπεζοειδῆ, come sottolinea Aëtius DK 13 A20), ma con<br />

169 D.W. GRAHAM, The Texts of Early Greek Philosophy, cit., p. 92. Anche W.K.C. GUTHRIE, A History of Greek<br />

Philosophy. Vol. I, cit., pp. 135-136.


F intorno<br />

margini elevati (quin<strong>di</strong> concava nella superficie su<strong>peri</strong>ore): una sorta <strong>di</strong> catino, analogamente a quanto<br />

170<br />

prospettato per gli astri da Eraclito (DK 22 A1, A12) e Alcmeone (DK 24 A4)F<br />

F.<br />

29BAnassimene e Anassimandro<br />

È possibile dunque, anche nel caso del terzo Milesio, resistere criticamente alla semplificazione<br />

aristotelica e quantomeno far valere l'ipotesi che la ricerca del principio e le sue applicazioni<br />

cosmogoniche per questi sapienti non equivalesse all'affermazione da Ermia attribuita espressamente<br />

ad Anassimene: τὸ πᾶν ἐστιν ὁ ἀήρ (DK 13 A8). Questi potrebbe, invece, aver in<strong>di</strong>viduato, come<br />

Anassimandro (replicando modelli teogonici), l'origine (ἀρχή) in una realtà illimitata (φύσις ἄπειρος),<br />

identificandone le proprietà essenziali con quelle dell'aria (ἀήρ), adeguate all'ulteriore determinazione<br />

degli elementi cosmici. Anche Anassimene, in effetti, come il maestro, avrebbe ricavato dalla natura<br />

originaria i materiali fondamentali per la cosmogonia, con<strong>di</strong>videndo l'idea <strong>di</strong> una sua eterna, costante<br />

agitazione: egli ne avrebbe esplicitato gli effetti ricorrendo all'analogia con i processi <strong>di</strong> condensazione<br />

(πύκνωσις) e rarefazione (ἀραίωσις), quin<strong>di</strong> proponendo una sorta <strong>di</strong> meccanismo attraverso cui<br />

trasformare lo stato e le proprietà del principio, senza <strong>di</strong>scostarsi dal <strong>modello</strong> (anassimandreo)<br />

fondamentale. In pratica, ancora assumendo la polarità dei contrari come schema con<strong>di</strong>zionante.<br />

Come nel caso della ricerca <strong>di</strong> Anassimandro, l'indagine della natura è in Anassimene <strong>di</strong> carattere<br />

essenzialmente "speculativo": essa, in altre parole, ricorre in larga misura all'immaginazione creativa<br />

per dar conto dell'origine, impiegando poi ricostruzioni analogiche per me<strong>di</strong>are tra le esigenze<br />

razionali, che trovano espressione nel principio, e i dati empirici. L'ἄπειρον dell'uno e l'ἀήρ dell'altro<br />

non sono propriamente oggetti d'es<strong>peri</strong>enza, non ricevono <strong>di</strong>rettamente attestatazioni sensibili: sono –<br />

possiamo <strong>di</strong>re – oggetti teorici (questo, ovviamente, vale soprattutto per l'ἄπειρον), concepiti ma non<br />

percepiti, funzionali tuttavia alla comprensione del mondo dell'es<strong>peri</strong>enza, come rivelerebbe in<br />

particolare il para<strong>di</strong>gma esplicativo (su base analogica) elaborato da Anassimene. La sua scelta<br />

dell'aria potrebbe inoltre essere segnata dall'associazione tra principio e vita, plausibilmente già<br />

presente (sulla scorta della tra<strong>di</strong>zione teogonica) nella riflessione <strong>di</strong> Talete: la stessa che possiamo<br />

intravedere nell'idea <strong>di</strong> γόνιμον attribuita da Pseudo-Plutarco ad Anassimandro.<br />

4BConclusioni: un <strong>modello</strong> <strong>milesio</strong> <strong>di</strong> περὶ φύσεως ἱστορία?<br />

Talete, Anassimandro e Anassimene – come inequivocabilmente attestato dalla tra<strong>di</strong>zione – vissero a<br />

Mileto tra la fine del VII secolo a.C. e quella del VI: la nascita dei primi due si colloca tra 640 (data<br />

più antica per Talete) e 610 (probabile anno <strong>di</strong> nascita <strong>di</strong> Anassimandro), mentre la morte del più<br />

giovane è da fissarsi intorno al 528. Plausibile, dunque, che le loro esistenze si intrecciassero, anche se<br />

non necessariamente nel senso <strong>di</strong> un rapporto <strong>di</strong> scuola: gli interessi riconosciuti, le applicazioni<br />

tecniche e le scoperte astronomiche assegnate dalla tra<strong>di</strong>zione, le tesi cosmogoniche e cosmologiche<br />

attribuite dagli ambienti del Liceo fanno comunque pensare a una stretta collaborazione o, al limite, a<br />

una forte emulazione nelle rispettive indagini.<br />

In quale genere <strong>di</strong> impresa furono impegnati? La risposta non è agevole, perché, almeno nel caso <strong>di</strong><br />

Talete e Anassimandro, accanto alle in<strong>di</strong>cazioni relative a un'attività <strong>di</strong> ricerca, troviamo accenni<br />

all'operosità politica (consulenze, ambascerie): è possibile tuttavia in<strong>di</strong>viduare un comune impegno<br />

171<br />

intellettuale <strong>di</strong> fondo, sviluppatosi al minimoF a: (i) astronomia - primitiva osservazione dei<br />

movimenti del Sole, della Luna e delle stelle (probabilmente anche per pratiche esigenze <strong>di</strong><br />

navigazione); (ii) (conseguente) cosmologia – sommaria ricostruzione dello spazio e<br />

dell'organizzazione cosmici; (iii) meteorologia - intesa a dar conto <strong>di</strong> alcuni fenomeni celesti (eclissi) e<br />

atmosferici; (iv) geografia, con una ricognizione della superficie terrestre e dei popoli che l'abitano.<br />

Alla cosmologia doveva legarsi anche una specifica attenzione cosmogonica, cui sarebbe da<br />

ricondurre quella "ricerca del principio" (ovvero dell'origine) destinata a esercitare straor<strong>di</strong>nario<br />

170 Su questo punto si veda E. ZELLER – R. MONDOLFO, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, cit., pp.<br />

234-235. M.L. Gemelli Marciano ricorda tuttavia nel suo commento (Die Vorsokratiker, I, cit., p. 89) come il<br />

dettaglio della schermatura delle montagne settentrionali rispetto al Sole ritornasse anche nella letteratura del<br />

<strong>peri</strong>odo: nell'Arimaspeia <strong>di</strong> Aristea e in Alcmane.<br />

171 Si tratta dell'interpretazione "revisionista" <strong>di</strong> Havelock (E.A. HAVELOCK, Alle origini della filosofia greca...,<br />

cit., pp. 98-99).


fascino nella tra<strong>di</strong>zione, soprattutto perché in essa Aristotele e la sua scuola colsero le ra<strong>di</strong>ci della<br />

propria speculazione.<br />

Proprio ai <strong>peri</strong>patetici dobbiamo un importante rilievo circa la prospettiva e il contesto in cui l'impresa<br />

<strong>di</strong> cui riconoscevano iniziatore (ἀρχηγός) Talete era da collocare: Talete e compagni non avevano<br />

operato in un vuoto culturale:<br />

τῶν δὴ πρῶτον φιλοσοφησάντων οἱ πλεῖστοι τὰς ἐν ὕλης εἴδει μόνας ὠιήθησαν ἀρχὰς εἶναι πάντων<br />

[...] ἀλλὰ Θαλῆς μὲν ὁ τῆς τοιαύτης ἀρχηγὸς φιλοσοφίας ὕδωρ εἶναί φησιν (διὸ καὶ τὴν γῆν ἐφ’<br />

ὕδατος ἀπεφαίνετο εἶναι) [...] εἰσὶ δέ τινες οἳ καὶ τοὺς παμπαλαίους καὶ πολὺ πρὸ τῆς νῦν γενέσεως<br />

καὶ πρώτους θεολογήσαντας οὕτως οἴονται περὶ τῆς φύσεως ὑπολαβεῖν [...] εἰ μὲν οὖν ἀρχαία τις<br />

αὕτη καὶ παλαιὰ τετύχηκεν οὖσα περὶ τῆς φύσεως ἡ δόξα, τάχ’ ἂν ἄδηλον εἴη, Θαλῆς μέντοι<br />

λέγεται οὕτως ἀποφήνασθαι περὶ τῆς πρώτης αἰτίας<br />

Tra coloro che dapprima filosofarono, i più ritennero che i principi <strong>di</strong> tutte le cose fossero solo quelli in<br />

forma <strong>di</strong> materia [...] Ma Talete, iniziatore <strong>di</strong> tale filosofia, afferma che è l'acqua – per<br />

questo motivo sostiene anche che la terra è sull'acqua [...] Vi sono certuni che credono che anche gli<br />

antichissimi, coloro che, molto prima dell'attuale generazione, per primi trattarono degli dei,<br />

con<strong>di</strong>videssero tale convinzione circa la natura [...] Se dunque a questa opinione sulla natura sia toccato<br />

essere originaria e antica, può forse risultare oscuro, mentre si sostiene che Talete certamente così si sia<br />

espresso circa la causa prima (Aristotele, Metafisica I, 3 983 b6-984 a3)<br />

Θαλῆς δὲ πρῶτος παραδέδοται τὴν περὶ φύσεως ἱστορίαν τοῖς Ἕλλησιν ἐκφῆναι, πολλῶν μὲν καὶ<br />

ἄλλων προγεγονότων, ὡς καὶ τῷ Θεοφράστῳ δοκεῖ, αὐτὸς δὲ πολὺ διενεγκὼν ἐκείνων, ὡς ἀποκρύψαι<br />

πάντας τοὺς πρὸ αὐτοῦ· λέγεται δὲ ἐν γραφαῖς μηδὲν καταλιπεῖν πλὴν τῆς καλουμένης Ναυτικῆς<br />

ἀστρολογίας<br />

È tramandato che Talete sia stato il primo a rivelare ai Greci la ricerca della natura: pur avendolo<br />

preceduto molti altri, come sembra a Teofrasto, egli li ha così superati da oscurare tutti<br />

quelli venuti prima <strong>di</strong> lui. Si <strong>di</strong>ce che non abbia lasciato alcunché <strong>di</strong> scritto, a eccezione della cosiddetta<br />

Astronomia nautica (Simplicio, DK 11 B1).<br />

Nel Liceo non si ignorava l'esistenza <strong>di</strong> un'antica tra<strong>di</strong>zione teo-cosmogonica (τοὺς παμπαλαίους καὶ<br />

πολὺ πρὸ τῆς νῦν γενέσεως καὶ πρώτους θεολογήσαντας) cui potevano ascriversi convinzioni in qualche<br />

misura afferenti all'ambito <strong>di</strong> un'indagine naturalistica: in questo senso Teofrasto può accennare a<br />

«molti predecessori» (πολλῶν μὲν καὶ ἄλλων προγεγονότων) <strong>di</strong> Talete. I contorni <strong>di</strong> quelle convinzioni,<br />

tuttavia, erano rimasti evidentemente sfumati, le idee <strong>di</strong> fondo erano state comunicate in modo oscuro<br />

(ἄδηλον), mentre aTalete si riconosceva (Θαλῆς μέντοι λέγεται) <strong>di</strong> essersi espresso (ἀποφήνασθαι) in<br />

172<br />

termini espliciti circa il principio (περὶ τῆς πρώτης αἰτίας)F<br />

F.<br />

Che cosa avrebbe specificamente contrad<strong>di</strong>stinto, dunque, la ricerca milesia?<br />

Intanto, dalle affermazioni <strong>peri</strong>patetiche è chiaro come a Talete si dovesse riconoscere un'intenzione<br />

sistematica (una vera e propria περὶ φύσεως ἱστορία, appunto) che si sostanziava nell'in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong><br />

ἀρχαί πάντων: la coerenza <strong>di</strong> struttura e l'apertura a «tutte le cose» ne costituivano indubbiamente un<br />

tratto <strong>di</strong>stintivo, unitamente al proposito esplicativo (che si può ancora cogliere negli argomenti<br />

173<br />

ricostruiti o addotti da Aristotele e Teofrasto)F<br />

F. Le testimonianze sui Milesi delineano, poi, in<br />

generale, un orientamento riduttivo, la tendenza, cioè, a limitare drasticamente, rispetto ai precedenti<br />

poetici, il numero dei fattori cosmogonici, così da illustrare i fenomeni utilizzando uno schema<br />

elementare ricorrente: in estrema sintesi, si trattava <strong>di</strong> riferirsi a un'origine (φύσις/ἀρχή) comune e ai<br />

materiali da essa derivati attraverso processi in cui l'opposizione fondamentale caldo/freddo risultava<br />

essenziale. Tali fattori cosmogonici, inoltre, non erano più <strong>di</strong>vinità antropomorfe: la genesi del cosmo<br />

172 Non solo il testo della Metafisica rivela che Aristotele non intendeva seguire Ippia e coloro che sostenevano<br />

che Talete e Omero parlassero della stessa cosa; non solo Teofrasto sottolinea il primato <strong>di</strong> Talete escludendo<br />

coerentemente dalla propria collezione <strong>di</strong> Opinioni fisiche le opinioni dei poeti: anche Eudemo, altro allievo <strong>di</strong><br />

Aristotele, affrontò la storia delle opinioni "teologiche" dei primi poeti in un trattato separato, come soggetto<br />

<strong>di</strong>stinto dalla storia della filosofia vera e propria. Su questo punto K. ALGRA, The beginnings of cosmology, cit.,<br />

p. 52.<br />

173 E. HUSSEY, I Milesi, in <strong>Il</strong> sapere greco. Dizionario critico, a cura <strong>di</strong> J. BRUNSCHWIG e G.E.R. LLOYD, vol. II,<br />

Torino, Einau<strong>di</strong>, 2005 (ed. originale francese 1996), pp. 460-462.


era spiegata in termini elementari e naturalistici. Ciò comportava, rispetto alla visione del cosmo<br />

espressa nei poemi omerico-esiodei, trascendere il dato sensibile assumendo un nuovo punto <strong>di</strong> vista<br />

speculativo, astratto, capace a sua volta <strong>di</strong> fare oggetto d'indagine «il tutto», l'«universo» (τὸ πᾶν, τὰ<br />

πάντα). Si tratta chiaramente <strong>di</strong> una prospettiva teorica proiettata oltre i limiti dell'es<strong>peri</strong>enza del<br />

mondo visibile, nella <strong>di</strong>rezione dell'infinito, secondo quanto attestano anche le <strong>di</strong>scusse (e<br />

immaginose) formule attribuite ad Anassimandro:<br />

λέγει δ’ αὐτὴν μήτε ὕδωρ μήτε ἄλλο τι τῶν καλουμένων εἶναι στοιχείων, ἀλλ’ ἑτέραν τινὰ φύσιν<br />

ἄπειρον, ἐξ ἧς ἅπαντας γίνεσθαι τοὺς οὐρανοὺς καὶ τοὺς ἐν αὐτοῖς κόσμους·<br />

Egli sostiene, infatti, che esso [il principio] non sia né acqua né alcun altro <strong>di</strong> quelli che sono detti<br />

elementi, ma che sia una certa altra natura infinita, da cui originano tutti i cieli e i mon<strong>di</strong> in essi<br />

(Simplicio, DK 12 A9)<br />

ἐξ οὗ δή φησι τούς τε οὐρανοὺς ἀποκεκρίσθαι καὶ καθόλου τοὺς ἅπαντας ἀπείρους ὄντας κόσμους<br />

e da quello [apeiron], invero, afferma che si siano separati tutti i cieli e in generale tutti i mon<strong>di</strong>, che sono<br />

infiniti (Pseudo-Plutarco, DK 12 A10)<br />

ἐξ ἧς γίνεσθαι τοὺς οὐρανοὺς καὶ τὸν ἐν αὐτοῖς κόσμον<br />

da cui [dalla natura dell'apeiron] si generano i cieli e l'or<strong>di</strong>ne [il mondo] che è in essi (Ippolito, DK 12<br />

A11).<br />

L'assunzione dello sfondo <strong>di</strong> un universo omogeneo, spazialmente e temporalmente infinito, sarebbe<br />

174<br />

uno dei tratti <strong>di</strong>stintivi della cosmologia milesiaF<br />

F: entro tale orizzonte veniva a esprimersi la funzione<br />

esplicativa universale dell'origine (φύσις/ἀρχή), la cui processualità cosmogonica era illustrata<br />

175<br />

ricorrendo all'analogia, per renderne comprensibili i passaggiF<br />

F. Rispetto al <strong>modello</strong> teo-cosmogonico<br />

rappresentato esemplarmente dalla potente sintesi <strong>di</strong> Esiodo, assisteremmo nei Milesi al tentativo <strong>di</strong><br />

176<br />

realizzare a closed system of natural explanationF<br />

F, la cui primitiva “scientificità” consisterebbe nel<br />

mostrare, con il ricorso alle evidenze empiriche, come i fenomeni particolari si producano a partire da<br />

componenti elementari, secondo interazioni <strong>di</strong>namiche iscritte all'interno <strong>di</strong> una norma cosmica<br />

177<br />

generaleF<br />

F.<br />

Riassuntivamente, le testimonianze su Anassimandro e Anassimene consentono <strong>di</strong> tracciare questo<br />

schema: i) esiste una sostanza originaria illimitata e uniforme da cui tutto il resto è sorto; ii) attraverso<br />

un processo <strong>di</strong> <strong>di</strong>scriminazione gli elementi costitutivi del cosmo scaturiscono dalla sostanza<br />

originaria; iii) sottoposti alla <strong>di</strong>namica (oppositiva: caldo/freddo, rarefazione/condensazione) del<br />

processo, tali elementi si <strong>di</strong>spongono come strati materiali del cosmo; iv) le strutture e i materiali del<br />

cosmo si stabilizzano nell’or<strong>di</strong>ne che conosciamo; v) dalle ulteriori interazioni degli opposti emergono<br />

178<br />

- nel e dal limo che copre la superficie terrestre - gli esseri viventiF<br />

F. Lo stesso schema serviva a<br />

spiegare un’ampia gamma <strong>di</strong> fenomeni: mostrava, dunque, come, nella loro apparente <strong>di</strong>versità, essi<br />

fossero riconducibili a materiali e meccanismi omogenei. In questo senso, esso forniva un riferimento<br />

teorico unitario, a un tempo economico (in quanto riduttivo ed essenziale) e tendenzialmente<br />

onniesplicativo, <strong>di</strong> fatto limitando drasticamente il ricorso a ricostruzioni mitologiche o religiose.<br />

Certamente la razionalità intrinseca a questo <strong>modello</strong> non ne esclude a priori il con<strong>di</strong>zionamento da<br />

parte <strong>di</strong> quelle ricostruzioni: la vicinanza e per certi versi la continuità delle scelte teoriche dei tre<br />

pensatori con i precedenti mitici è piuttosto evidente, anche se l'appoggio documentato<br />

all'osservazione (Talete e Anassimandro), il supposto ampio ricorso al principio <strong>di</strong> ragione<br />

(Anassimandro) e soprattutto le ar<strong>di</strong>te soluzioni cosmologiche fanno intravedere nuove esigenze <strong>di</strong><br />

trasparenza e giustificazione, che trovano poi progressivamente espressione nella produzione scritta.<br />

Non va <strong>di</strong>menticato, in effetti, che la Teogonia <strong>di</strong> Esiodo era un inno, con tutto quanto, in termini <strong>di</strong><br />

trasmissione della tra<strong>di</strong>zione, ciò comportava: la funzione principale delle teogonie era quella <strong>di</strong><br />

174 E. HUSSEY, The Beginnings of Science and Philosophy in Archaic Greece, in A Companion to Ancient<br />

Philosophy, e<strong>di</strong>ted by M.L. GILL and P. PELLEGRIN, Oxford, Blackwell, 2006, p. 10.<br />

175 Su questo punto K. ALGRA, The beginnings of cosmology, cit., p. 48.<br />

176 D.W. GRAHAM, Explaining the Cosmos, cit., p. 11.<br />

177 E. HUSSEY, The Beginnings of Science and Philosophy..., cit., p. 12.<br />

178 D.W. GRAHAM, Explaining the Cosmos, cit., pp. 8-9.


saldare il pantheon esistente a una supposta origine del cosmo, ragion per cui esse erano spesso<br />

179<br />

connesse a rituale e cultoF<br />

F. Problematico attribuire un'opera scritta a Talete, secondo alcuni autore <strong>di</strong><br />

un poema; sicuramente estensore <strong>di</strong> un'opera in prosa (ancorché "poetica", come probabilmente<br />

rilevava già Teofrasto) Anassimandro; scrittore sobrio e <strong>di</strong>retto Anassimene. È probabile che, nel<br />

volgere <strong>di</strong> alcuni decenni, accanto a una speculazione originale per le modalità argomentative e<br />

impegnativa per l'oggetto teorico (il tutto) che si proponeva, maturasse anche un nuovo genere<br />

letterario: il testo <strong>di</strong> Anassimandro, infatti, è il primo a ricevere nella tra<strong>di</strong>zione la titolazione <strong>di</strong> Περὶ<br />

180<br />

φύσεωςF<br />

F.<br />

Quando il trattato ippocratico sull'Antica me<strong>di</strong>cina (seconda metà del V secolo a.C.) accenna a una<br />

produzione classificata come περὶ φύσιος, troviamo conferma <strong>di</strong> alcuni elementi del <strong>modello</strong> <strong>milesio</strong>:<br />

Λέγουσι δέ τινες καὶ ἰητροὶ καὶ σοφισταὶ ὡς οὐκ ἔνι δυνατὸν ἰητρικὴν εἰδέναι ὅστις μὴ οἶδεν ὅ τί<br />

ἐστιν ἄνθρωπος· ἀλλὰ τοῦτο δεῖ καταμαθεῖν τὸν μέλλοντα ὀρθῶς θεραπεύσειν τοὺς ἀνθρώπους.<br />

Τείνει δὲ αὐτέοισιν ὁ λόγος ἐς φιλοσοφίην, καθάπερ Ἐμπεδοκλῆς ἢ ἄλλοι οἳ περὶ φύσιος<br />

γεγράφασιν ἐξ ἀρχῆς ὅ τί ἐστιν ἄνθρωπος, καὶ ὅπως ἐγένετο πρῶτον καὶ ὅπως ξυνεπάγη. Ἐγὼ δὲ<br />

τουτέων μὲν ὅσα τινὶ εἴρηται σοφιστῇ ἢ ἰητρῷ, ἢ γέγραπται περὶ φύσιος, ἧσσον νομίζω τῇ ἰητρικῇ<br />

τέχνῃ προσήκειν ἢ τῇ γραφικῇ. Νομίζω δὲ περὶ φύσιος γνῶναί τι σαφὲς οὐδαμόθεν ἄλλοθεν εἶναι ἢ<br />

ἐξ ἰητρικῆς.<br />

«Alcuni me<strong>di</strong>ci e sapienti [sofisti] sostengono che nessuno possa conoscere la me<strong>di</strong>ca a meno<br />

<strong>di</strong> non sapere che cosa sia l'uomo, ma che ciò debba conoscere colui che intenda curare correttamente gli<br />

uomini. <strong>Il</strong> loro <strong>di</strong>scorso verte dunque sulla filosofia, proprio come nel caso <strong>di</strong> Empedocle o degli altri che<br />

scrissero sulla natura: che cosa sia dal principio l'uomo, come sia stato dapprima generato e come<br />

costituito. Io ritengo che quanto è stato scritto da me<strong>di</strong>ci e filosofi sulla natura abbia più a che fare con il<br />

<strong>di</strong>segno che con la me<strong>di</strong>cina. Ritengo che in nessun altro modo si possa conoscere qualcosa <strong>di</strong> chiaro<br />

sulla natura se non attraverso la me<strong>di</strong>cina» (De prisca me<strong>di</strong>cina cap. 20).<br />

L'autore, evidentemente polemico, sottolinea lo scarto tra indagine me<strong>di</strong>ca e indagine περὶ φύσιος:<br />

nell'apertura dell'opera aveva contrapposto all'approccio <strong>di</strong> coloro che ricorrevano a postulazioni e<br />

ipotesi (ὑποθέμενοι) – cioè speculazioni - per l'indagine dei fenomeni celesti e terrestri (περὶ τῶν<br />

μετεώρων ἢ τῶν ὑπὸ γῆν), il principio e il metodo (ἀρχὴ καὶ ὁδὸς) della me<strong>di</strong>cina, in altre parole le<br />

«scoperte» (τὰ εὑρημένα) avvenute nel corso del tempo e l'osservazione. Per avere un'idea più precisa<br />

dell'impostazione alternativa che egli andava criticando, possiamo leggere un altro trattato ippocratico<br />

– il De carnibus – il cui estensore sottolinea <strong>di</strong> prendere le mosse da convinzioni con<strong>di</strong>vise (κοινῇσι<br />

γνώμῃσι):<br />

Περὶ δὲ τῶν μετεώρων οὐδὲ δέομαι λέγειν, ἢν μὴ τοσοῦτον ἐς ἄνθρωπον ἀποδείξω καὶ τὰ ἄλλα ζῶα,<br />

ὁκόσα ἔφυ καὶ ἐγένετο, καὶ ὅ τι ψυχή ἐστιν, καὶ ὅ τι τὸ ὑγιαίνειν, καὶ ὅ τι τὸ κάμνειν, καὶ ὅ τι τὸ ἐν<br />

ἀνθρώπῳ κακὸν καὶ ἀγαθὸν, καὶ ὅθεν ἀποθνήσκει.<br />

«Non devo parlare <strong>di</strong> questioni celesti se non per quanto necessario a mostrare, rispetto all'uomo e a tutti<br />

gli altri viventi, come si sono generati e sviluppati, che cosa sia l'anima, che cosa la salute e la malattia,<br />

che cosa sia cattivo e buono nell'uomo, e perché muoia» (De carnibus 1).<br />

<strong>Il</strong> passo rivela quelle che dovevano essere le comuni assunzioni (le ὑποθέσεις contro cui polemizza<br />

l'Antica me<strong>di</strong>cina) nella tra<strong>di</strong>zione della ἱστορία περὶ φύσεως: lo schema adottato è infatti il seguente:<br />

(i) originaria caoticità e in<strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> tutte le cose; (ii) processo <strong>di</strong> <strong>di</strong>scriminazione degli elementi<br />

(etere, aria, terra); (iii) formazione dei corpi. Centrale risulta il parallelo tra formazione dei viventi e<br />

formazione del cosmo, effettivamente un asse portante nella cultura arcaica, sin dalla produzione<br />

teogonica.<br />

179 K. ALGRA, The beginnings of cosmology, cit., p. 49.<br />

180 È comune la convinzione che, prima dei sofisti, la designazione <strong>di</strong> un testo avvenisse attraverso la citazione<br />

dell’incipit (che doveva risultare particolarmente incisivo), con l'in<strong>di</strong>cazione del contenuto, preceduta dal nome<br />

dell'autore (sulla prima riga del testo, analogamente a quanto registriamo nel caso <strong>di</strong> Erodoto). G. NADDAF, The<br />

Greek Concept of Nature, cit., p. 16; W. LESZL, Parmenide e l’Eleatismo, Dispensa per il corso <strong>di</strong> Storia della<br />

filosofia antica, Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Pisa, Pisa 1994, p. 12.


Ciò che, rispetto al para<strong>di</strong>gma con cui si confrontava la cultura me<strong>di</strong>ca del V secolo a.C., potrebbe<br />

essere stato originariamente peculiare dell'elaborazione milesia (soprattutto nel caso <strong>di</strong> Talete e<br />

Anassimandro) è, accanto alla creativa istanza speculativa presa <strong>di</strong> mira dall'autore del trattato De<br />

prisca me<strong>di</strong>cina, il contributo osservativo e <strong>di</strong> calcolo <strong>di</strong>mensionale in riferimento ai corpi celesti e<br />

alle loro orbite, essenziale da un lato per delineare un quadro esplicativo che potesse "salvare i<br />

fenomeni" (darne ragione in termini unitari ed economici), dall'altro per abbozzare (ancora<br />

sommariamente) l'idea <strong>di</strong> <strong>di</strong>sposizione e regola cosmica, che sarebbe poi stata valorizzata nella ripresa<br />

pitagorica.<br />

Dario Zucchello<br />

Como, 26 febbraio 2012

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!