Italo Calvino Le città invisibili - scienzaefilosofia.it
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S&F_n. 9_2013<br />
volta in volta e a seconda dell’interlocutore, per cui Giava<br />
presenta una forma per gli scaricatori di porto, un’altra per i<br />
pirati genovesi, un’altra ancora per i gondolieri, poiché «chi<br />
comanda al racconto non è la voce: è l’orecchio» (p. 138).<br />
Miserevole possesso l’atlante del Gran Kan! La mappa non è il<br />
terr<strong>it</strong>orio e il navigante della Serenissima con le sue descrizioni<br />
va solo contrabbandando «stati d’animo, stati di grazia, elegie»<br />
(p. 99).<br />
L’inestimabile nel racconto di Marco Polo sta infatti in quel<br />
vuoto tra le parole, nello spazio sospeso dalla voce che si<br />
interrompe e che lascia libera la divagazione del pensiero,<br />
cosicché è possibile errare tra gli interstizi del silenzio,<br />
«fermarsi a prendere il fresco, o scappare via di corsa» (p. 39).<br />
Il viaggio diventa allora un inoltrarsi nell’invisibile, una<br />
passeggiata tra i possibili, nella regione del desiderio, che<br />
mentre si produce è già ricordo.<br />
L’atlante di Kublai custodisce intatte le differenze fra i luoghi,<br />
mentre chi è da sempre in viaggio, come Marco Polo, sa bene che a<br />
furia di peregrinare a poco a poco contorni e differenze si<br />
smussano e «ogni c<strong>it</strong>tà va somigliando a tutte le c<strong>it</strong>tà» (p. 139).<br />
<strong>Le</strong> interpretazioni hanno sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o i fatti, i segni rinviano in<br />
una infin<strong>it</strong>a ricorsiv<strong>it</strong>à ad altro da sé, e anche le ident<strong>it</strong>à si<br />
frantumano all’interno di spazi che assumono la veste di passaggi,<br />
luoghi diafani di transizione; la consistenza delle parole di<br />
Marco Polo che dipinge con forza sempre nuova gli oggetti che<br />
circondano la v<strong>it</strong>a: «croste di formaggio, carte unte, resche,<br />
risciacquatura di piatti, resti di spaghetti, vecchie bende […]<br />
scorze di patata, ombrelli sfondati, calze smesse, bottoni<br />
perduti, carte di cioccolatini […]» (p. 112), sembra cozzare con<br />
la loro fugac<strong>it</strong>à, con la dissoluzione inev<strong>it</strong>abile cui ogni<br />
produzione umana è irrimediabilmente votata.<br />
Nello spazio eminentemente antropico della c<strong>it</strong>tà, significante per<br />
eccellenza, ciascuno può mettere ciò che vuole: «nomi di uomini<br />
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