Italo Calvino Le città invisibili - scienzaefilosofia.it
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RECENSIONI&REPORTS recensione<br />
illustri, virtù, numeri, classificazioni vegetali e minerali, date<br />
di battaglie, costellazioni, parti del discorso» (p. 15), in un<br />
caleidoscopio sfaccettato dove memoria e oblio, v<strong>it</strong>a e morte si<br />
intrecciano senza soluzione di continu<strong>it</strong>à.<br />
E allora ecco apparire Clarice, c<strong>it</strong>tà gloriosa, che più volte<br />
cadde e rifiorì, rabberciando e riciclando le vestigia del suo<br />
antico splendore, dove i preziosi tendaggi di broccato finivano a<br />
fare da lenzuola e il basilico veniva piantato nelle urne<br />
cinerarie. Di essa dunque restano solo il nome, l’ubicazione e gli<br />
oggetti più difficili da rompere; oppure <strong>Le</strong>onia, la cui opulenza<br />
si misura «dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far<br />
posto alle nuove» (p. 113). C’è poi Laudonia, la terra dei non<br />
nati, di tutto l’inespresso che attraversa la mente dei vivi come<br />
dubbio angoscioso, arcano da interrogare.<br />
E Ancora Trude, c<strong>it</strong>tà globale, che si distingue dalle altre solo<br />
per il nome che il viaggiatore legge all’aeroporto, poiché il<br />
mondo pare «ricoperto da un’unica Trude, che non comincia e non<br />
finisce» (p. 129). C’è poi Raissa, che ricorda la v<strong>it</strong>a, disperata<br />
e violenta, fatta di l<strong>it</strong>igi e piatti rotti, ma che nasconde in<br />
ogni angolo un bambino che da una finestra ride e un muratore che<br />
corteggia un’ostessa, un ombrellaio che festeggia un buon affare e<br />
una gran dama innamorata di un ufficiale che le ha sorriso nel<br />
saltare l’ultima siepe. A Raissa, c<strong>it</strong>tà triste «corre un filo<br />
invisibile che allaccia un essere vivente a un altro […] cosicché<br />
a ogni secondo la c<strong>it</strong>tà infelice contiene una c<strong>it</strong>tà felice che<br />
nemmeno sa d’esistere» (p. 149).<br />
Allora poco importa che i sandali di Marco Polo abbiano davvero<br />
calcato le polveri del globo e che il sovrano triste possegga<br />
realmente un così vasto impero; la potenza del racconto non si<br />
fonda sul discorso apofantico e le c<strong>it</strong>tà descr<strong>it</strong>te avrebbero la<br />
stessa forza anche se emerse dal dialogo di «due straccioni<br />
soprannominati Kublai Kan e Marco Polo» intenti a rovistare «in<br />
uno scarico di spazzatura, ammucchiando rottami arruggin<strong>it</strong>i,<br />
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