Nel mondo degli affetti. Della creatività . Del benessere.
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La medicina che ci aspettiamo<br />
Le regole<br />
del gioco<br />
22<br />
Un’infermiera mi ha raccontato un episodio della<br />
sua vita professionale che è rimasto profondamente<br />
impresso nella sua memoria. È stata la prima volta<br />
che, completata la sua formazione, è entrata in<br />
sala operatoria. Doveva assistere le colleghe che<br />
stavano preparando una paziente per un intervento<br />
di asportazione del colon retto. Dopo l’operazione,<br />
la signora si sarebbe trovata con un ano preternaturale<br />
e la sua esistenza sarebbe stata condizionata<br />
dal sacchetto per le feci. La preparazione andava<br />
un po’ per le lunghe e la signora si è spazientita.<br />
Ha esclamato: “Ma che cosa è tutta questa preparazione<br />
per delle emorroidi...!”. L’infermiera<br />
ricorda ancora lo sguardo che si sono scambiate le<br />
colleghe: evidentemente alla signora i medici non<br />
avevano detto quale era la sua patologia (un carcinoma,<br />
non delle banali emorroidi) e quanto sarebbe<br />
stato demolitivo l’intervento che le avrebbero fatto.<br />
Ma le infermiere non erano autorizzate a fornire<br />
le informazioni. Alla fine la paziente ha subito un<br />
rimbrotto da parte della caposala: “Ma signora:<br />
se il medico ha detto di fare così, non si discute!”.<br />
Vent’anni fa - a tanto risale l’episodio - questo<br />
modo di fare non era percepito come cattiva<br />
medicina. Al contrario: proteggere il malato dalle<br />
“cattive notizie” veniva considerato un dovere del<br />
medico, il quale, eventualmente, comunicava ai<br />
famigliari la vera diagnosi, riservando quella di<br />
comodo - spesso delle vere e proprie menzogne,<br />
a fin di bene - al malato. Il codice deontologico<br />
dei medici non parlava di un obbligo di informare<br />
il malato stesso, né presupponeva un diritto della<br />
persona malata di conoscere diagnosi e prognosi.<br />
Tantomeno prevedeva un obbligo del medico di<br />
chiedere il consenso del paziente a un intervento.<br />
Neppure in casi come quello a cui aveva assistito<br />
la giovane infermiera, che avrebbero modificato<br />
la vita della persona per sempre. Le decisioni le<br />
prendeva il medico “in scienza e coscienza”: non<br />
erano di competenza del malato.<br />
Queste erano le regole in vigore fino alla revisione<br />
del codice deontologico dei medici del 1995.<br />
A non più di 15 anni risale la formulazione esplicita<br />
dell’obbligo del medico di informare il malato<br />
(non il familiare di riferimento!) e di ottenere il suo<br />
consenso a qualsiasi intervento sul suo corpo.<br />
Oggi, se un medico procedesse in questa maniera -<br />
non informando il paziente e presupponendo il suo<br />
assenso all’intervento terapeutico egli ritenga più<br />
opportuno - incorrerebbe in sanzioni legali.<br />
E soprattutto sarebbe disapprovato dal punto di<br />
vista morale. <strong>Nel</strong> giro di pochi anni le norme di<br />
riferimento - sia deontologiche che civili - sono<br />
cambiate. La medicina, come qualsiasi altra interazione<br />
sociale tra più soggetti ha bisogno di regole<br />
condivise. Chiamiamole pure “regole del gioco”.<br />
Non si potrebbe giocare una partita se alcuni colpissero<br />
il pallone riferendosi alle regole del calcio<br />
e altri a quelle della pallacanestro. Allo stesso<br />
modo abbiamo bisogno di regole chiare e condivise<br />
in medicina. La partita che si gioca su questo<br />
campo ha per posta, infatti, la vita. E - non meno<br />
importante - la qualità della vita, ovvero ciò che<br />
ogni persona ritiene importante per se stessa.