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I lavori temporanei e le transizioni verso il lavoro stabile - Cnel

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I <strong>lavori</strong> <strong>temporanei</strong> e <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stabi<strong>le</strong><br />

3. I LAVORI TEMPORANEI E LE TRANSIZIONI VERSO IL LAVORO<br />

STABILE<br />

Carlo Dell’Aringa<br />

Abstract.................................................................................................................................................2<br />

1. Le dimensioni del <strong>lavoro</strong> atipico........................................................................................................3<br />

1.1 Lavoro atipico: più diffuso tra i giovani ma non più che nel resto d’Europa .............................5<br />

2. La recente evoluzione in Italia ..........................................................................................................6<br />

3. Le caratteristiche dei lavoratori a termine: giovani, istruiti e residenti a Sud.......................................7<br />

3.1 Motivi e durata del <strong>lavoro</strong> a termine........................................................................................9<br />

3.2 I lavoratori a termine volontari..............................................................................................11<br />

3.3 I movimenti da e <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> a termine; un’analisi con <strong>le</strong> matrici di transizione..................12<br />

4. Alcune conclusioni............................................................................................................................28<br />

1


Il <strong>lavoro</strong> che cambia<br />

Contributi tematici e Raccomandazioni<br />

I LAVORI TEMPORANEI E LE TRANSIZIONI VERSO IL LAVORO<br />

STABILE<br />

Carlo Dell’Aringa<br />

Abstract<br />

Il <strong>lavoro</strong> si propone di valutare innanzitutto la consistenza del <strong>lavoro</strong> temporaneo nel<br />

nostro Paese. Dai dati esaminati, risulta che questa tipologia di rapporto di <strong>lavoro</strong> si è<br />

sv<strong>il</strong>uppata moltissimo in Italia negli ultimi 15 anni. Nel comp<strong>le</strong>sso, però, <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong><br />

temporaneo rappresenta oggi una percentua<strong>le</strong> del tota<strong>le</strong> del <strong>lavoro</strong> dipendente molto<br />

simi<strong>le</strong> alla media europea. L’indagine si propone, inoltre, di valutare <strong>il</strong> ruolo che <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong><br />

temporaneo svolge nel funzionamento del mercato del <strong>lavoro</strong> e <strong>le</strong> difficoltà che<br />

incontrano i lavoratori <strong>temporanei</strong> a transitare ad un <strong>lavoro</strong> a tempo indeterminato. Circa<br />

<strong>il</strong> 25 per cento di questi lavoratori passa, in un anno, ad un rapporto di <strong>lavoro</strong> di tipo<br />

permanente. La percentua<strong>le</strong> non è bassa, ma, per evitare pericolosi fenomeni di<br />

“trappola”, dovrebbe essere alzata. Opportune politiche del <strong>lavoro</strong> dovrebbero essere<br />

attivate a questo scopo. Il <strong>lavoro</strong> temporaneo svolge comunque un ruolo importante, in<br />

quanto rappresenta, per i lavoratori disoccupati, una modalità sempre più sfruttata per<br />

approdare ad un posto di <strong>lavoro</strong>.<br />

2


I <strong>lavori</strong> <strong>temporanei</strong> e <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stabi<strong>le</strong><br />

1. Le dimensioni del <strong>lavoro</strong> atipico<br />

La tendenza alla deregolamentazione del mercato del <strong>lavoro</strong>, emersa in molti paesi<br />

europei nel corso degli anni novanta come reazione alla persistenza di tassi di<br />

disoccupazione e<strong>le</strong>vati, ha interessato anche l’Italia. Nel nostro paese <strong>il</strong> processo di<br />

deregolamentazione è stato parzia<strong>le</strong> e con forme se<strong>le</strong>ttive: ha riguardato in particolare<br />

l’accesso al mercato del <strong>lavoro</strong>, introducendo nuove figure contrattuali caratterizzate da<br />

minori protezioni normative e coperture da parte del sistema di welfare. Questo per<br />

contenere <strong>il</strong> costo di tali forme contrattuali nuove, fac<strong>il</strong>itando l’accesso al mercato del<br />

<strong>lavoro</strong> per quei lavoratori marginali (giovani e donne principalmente), caratterizzati da<br />

e<strong>le</strong>vati tassi di esclusione.<br />

Le forme contrattuali standard, invece, hanno mantenuto sostanzialmente inalterata<br />

la propria regolazione. C’è un crescente interesse nel determinare <strong>le</strong> dimensioni del <strong>lavoro</strong><br />

atipico in Italia (sia in termini assoluti che rispetto ad altri paesi europei) e nel misurarne<br />

la distribuzione tra fasce diverse di popolazione attiva.<br />

La quantificazione del fenomeno del <strong>lavoro</strong> atipico dipende ovviamente dalla definizione<br />

che si sceglie per lo stesso. Eurostat opta per una definizione diretta e definisce come<br />

<strong>temporanei</strong> quegli impieghi che hanno una durata contrattualmente determinata (una data o <strong>il</strong><br />

comp<strong>le</strong>tamento di un incarico assegnato), restringendo l’analisi alla sola occupazione dipendente.<br />

Sulla base di ta<strong>le</strong> definizione, gli occupati <strong>temporanei</strong> in Italia (pari a poco più di 2<br />

m<strong>il</strong>ioni nel 2005) pesavano sul tota<strong>le</strong> dei dipendenti per <strong>il</strong> 12,3 per cento; la quota sui<br />

dipendenti risultava così ad un livello più che doppio di quello registrato ad inizio degli<br />

anni novanta. Come si può vedere nel grafico al<strong>le</strong>gato <strong>il</strong> nostro paese è quello che tra <strong>il</strong><br />

1990 ed <strong>il</strong> 2005 ha registrato l’incremento più marcato dell’incidenza dei <strong>lavori</strong><br />

<strong>temporanei</strong> sull’occupazione dipendente. In termini di livelli, però, l’Italia presenta ancora<br />

incidenze del <strong>lavoro</strong> a termine (come definito da Eurostat) non molto diverse, pur<br />

lievemente più basse, da quel<strong>le</strong> della media dell’area euro. Francia e Germania si<br />

attestavano, rispettivamente, al 14,3 e 13,3 per cento nel 2005. La Spagna costituisce<br />

invece un caso degno di nota: nel 2005 un lavoratore dipendente su tre aveva un<br />

contratto temporaneo.<br />

L’e<strong>le</strong>vata incidenza del <strong>lavoro</strong> temporaneo è <strong>il</strong> risultato di scelte precise di policy: per<br />

recuperare sul gap di sv<strong>il</strong>uppo con la media europea, l’economia spagnola ha puntato<br />

soprattutto sulla crescita dell’occupazione, ut<strong>il</strong>izzando forme contrattuali a termine e<br />

liberalizzando <strong>il</strong> mercato del <strong>lavoro</strong>.<br />

Un’altra maniera di definire <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> atipico è quella residua<strong>le</strong>, per negazione:<br />

rientrano nel <strong>lavoro</strong> atipico tutte quel<strong>le</strong> forme di impiego differenti dal tradiziona<strong>le</strong> rapporto di <strong>lavoro</strong><br />

(dipendente, a tempo pieno ed indeterminato). Con ta<strong>le</strong> definizione, però, in Italia la quota di<br />

lavoratori “atipici” risulta e<strong>le</strong>vata anche in periodi precedenti alla deregolamentazione<br />

degli anni novanta 1 . Infatti, non solo nel nostro paese è tradizionalmente più e<strong>le</strong>vata la<br />

quota di occupazione indipendente (rispetto ad altri paesi europei), ma anche<br />

nell’organizzazione dei tempi di <strong>lavoro</strong> sono pochi i lavoratori che svolgono prestazioni<br />

lavorative con orari tradizionali.<br />

Si preferisce quindi definire come “atipici” quegli impieghi che offrono garanzie limitate, in<br />

termini di accesso alla copertura previdenzia<strong>le</strong>, di ammortizzatori sociali, di durata del<br />

rapporto lavorativo. Sono quindi lavoratori atipici i dipendenti a tempo determinato, gli<br />

1 Stime di Barbieri e Scherer indicano che già nel 1970 circa <strong>il</strong> 40 per cento degli occupati era non standard (o<br />

“atipico” secondo ta<strong>le</strong> definizione).<br />

3


Il <strong>lavoro</strong> che cambia<br />

Contributi tematici e Raccomandazioni<br />

interinali, i lavoratori con contratti a chiamata, ma anche i lavoratori parasubordinati (i<br />

co.co.co.).<br />

L’Istat diffonde dati sui lavoratori dipendenti <strong>temporanei</strong>, che includono non solo i<br />

lavoratori con contratti a tempo determinato, ma anche gli interinali, i lavoratori a<br />

chiamata, quelli con contratti di formazione <strong>lavoro</strong>, di stage, di inserimento <strong>lavoro</strong>, di<br />

tirocinio.<br />

Nel 2006, i lavoratori dipendenti <strong>temporanei</strong> sono stati 2,2 m<strong>il</strong>ioni. A questi vanno<br />

sommati i lavoratori parasubordinati: i cosiddetti co.co.co., ma anche i prestatori d’opera<br />

occasiona<strong>le</strong> e i lavoratori autonomi con partite Iva ma in condizione di subordinazione.<br />

L’Istat, nella sua ri<strong>le</strong>vazione, registra <strong>il</strong> numero di persone che al momento<br />

dell’indagine sono impiegate come collaboratori; nel 2006 <strong>il</strong> numero di collaboratori e<br />

prestatori d’opera ri<strong>le</strong>vati dall’Istat è di circa 500m<strong>il</strong>a persone (497m<strong>il</strong>a).<br />

Lo stesso numero era stato ri<strong>le</strong>vato per <strong>il</strong> 2004, anno per <strong>il</strong> qua<strong>le</strong> sono disponib<strong>il</strong>i<br />

anche <strong>le</strong> informazioni fornite dall’Inps sul numero di collaboratori iscritti alla Gestione<br />

separata: nel 2004 i collaboratori per i quali erano ravvisab<strong>il</strong>i indizi di parasubordinazione,<br />

ovvero con un un’unica committenza, che svolgevano l’attività di collaborazione a titolo<br />

esclusivo e la cui attività era attività “atipica”, ovvero non citata nel Tuir 2 , erano circa<br />

750m<strong>il</strong>a.<br />

2 Testo Unico del<strong>le</strong> imposte sui redditi. Cita <strong>le</strong> seguenti attività (considerate quindi “tipiche”): amministratore,<br />

sindaco, revisore di società, collaborazione ai giorna<strong>le</strong>, partecipazione a col<strong>le</strong>gi e commissioni.<br />

4


I <strong>lavori</strong> <strong>temporanei</strong> e <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stabi<strong>le</strong><br />

Nella banca dati Inps sono però registrati tutti coloro che nell’anno hanno<br />

contribuito alla Gestione separata, e quindi tende a sovrastimare <strong>il</strong> numero di<br />

collaboratori (dato che chi cambia status nel corso dell’anno, evenienza ri<strong>le</strong>vata dall’Inps,<br />

lascerà una traccia negli archivi Inps, andando ad ingrossare <strong>le</strong> f<strong>il</strong>a dei collaboratori).<br />

Sommando a dati Istat sui <strong>temporanei</strong> (dipendenti a termine, collaboratori e<br />

prestatori d’opera) <strong>le</strong> stime della ri<strong>le</strong>vazione Plus dell’Isfol per i lavoratori con partita Iva<br />

in condizione di subordinazione (circa 360m<strong>il</strong>a), si ottiene che <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> atipico, come<br />

sopra definito, accomuna nel 2006 poco più di 3 m<strong>il</strong>ioni degli occupati, <strong>il</strong> 13,3 per cento<br />

dell’occupazione tota<strong>le</strong>.<br />

1.1 Lavoro atipico: più diffuso tra i giovani ma non più che nel resto d’Europa<br />

I dati Eurostat evidenziano come anche in Italia l’impiego temporaneo sia<br />

particolarmente diffuso tra i più giovani: nella classe 15-24 anni quasi un occupato su tre è<br />

classificabi<strong>le</strong> come dipendente temporaneo e l’incidenza è cresciuta molto nel biennio<br />

2004-2005 (aumentando di oltre dieci punti percentuali). Ciononostante, nel nostro paese<br />

<strong>il</strong> livello dell’incidenza dell’impiego dipendente temporaneo sull’occupazione giovani<strong>le</strong> è<br />

ancora contenuto se confrontato con gli altri principali paesi dell’area euro (in Germania è<br />

poco sopra al 56 per cento, in Francia al 48 e in Spagna supera <strong>il</strong> 60 per cento). Per<br />

quanto riguarda <strong>le</strong> coorti successive (quel<strong>le</strong> comprese tra i 25 ed i 39 anni), nel nostro<br />

paese la situazione non appare dai dati Eurostat peggiore di quella di altri paesi.<br />

L’incidenza dell’occupazione temporanea rimane attorno al 10 per cento, un livello<br />

non distante da quello che si registra in Germania e Francia e pari ad un terzo al caso<br />

particolare spagnolo.<br />

5


Il <strong>lavoro</strong> che cambia<br />

Contributi tematici e Raccomandazioni<br />

2. La recente evoluzione in Italia<br />

Il mercato del <strong>lavoro</strong> italiano negli ultimi anni è stato caratterizzato dalla crescente<br />

ri<strong>le</strong>vanza di nuove figure contrattuali che si sono affiancate a quel<strong>le</strong> più tradizionali del<br />

<strong>lavoro</strong> dipendente a tempo indeterminato o del <strong>lavoro</strong> autonomo. L’occupazione<br />

dipendente a termine – che, nella classificazione usata dall’Istat nella ri<strong>le</strong>vazione sul<strong>le</strong><br />

forze di <strong>lavoro</strong>, comprende i contratti a tempo determinato, <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stagiona<strong>le</strong>, i<br />

contratti di apprendistato o di formazione <strong>lavoro</strong> e <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> interina<strong>le</strong> - tra <strong>il</strong> 2004 (primo<br />

anno della nuova ri<strong>le</strong>vazione Istat) e <strong>il</strong> 2007 è cresciuta comp<strong>le</strong>ssivamente del 18,8 per<br />

cento, contribuendo per oltre un terzo all’incremento osservato dall’occupazione<br />

dipendente tota<strong>le</strong> nello stesso periodo. La sua ri<strong>le</strong>vanza è quindi tutt’altro che trascurabi<strong>le</strong>:<br />

nell’arco di un quadriennio l’incidenza sull’occupazione dipendente tota<strong>le</strong> è cresciuta<br />

dall’11,8 per cento del 2004 al 13,2 per cento del 2007.<br />

6


I <strong>lavori</strong> <strong>temporanei</strong> e <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stabi<strong>le</strong><br />

3. Le caratteristiche dei lavoratori a termine: giovani, istruiti e residenti a Sud<br />

I dipendenti a termine nel 2007 rappresentavano poco meno di un decimo (9,8 per<br />

cento) dell’occupazione tota<strong>le</strong> in Italia. Effettuando del<strong>le</strong> elaborazioni sulla base dei<br />

microdati ottenuti dal<strong>le</strong> ri<strong>le</strong>vazioni sul<strong>le</strong> forze <strong>lavoro</strong> compiute dall’Istat è possibi<strong>le</strong><br />

individuare alcune caratteristiche di questa tipologia di lavoratori.<br />

Si osserva innanzitutto come <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> a termine risulti più diffuso tra <strong>le</strong> donne e tra i<br />

giovani. Tra gli occupati con meno di 30 anni, quasi un lavoratore su quattro (<strong>il</strong> 24,8 per<br />

cento) è un dipendente a tempo determinato; all’aumentare dell’età la diffusione di questo<br />

tipo di contratti si riduce. Nel corso del 2007, però, l’occupazione a termine è cresciuta<br />

soprattutto per <strong>le</strong> persone di età più matura (con almeno 35 anni), mentre per i più<br />

giovani è rimasta stabi<strong>le</strong>. Per questi ultimi, ad ogni modo, l’occupazione in genera<strong>le</strong> è in<br />

contrazione (come si è ricordato in precedenza a causa di fattori demografici ma anche di<br />

riduzioni del tasso di occupazione); rispetto all’andamento dell’occupazione tota<strong>le</strong><br />

giovani<strong>le</strong>, quindi, quella a termine risulta avere un’evoluzione in controtendenza. Ne<br />

consegue che l’occupazione a termine sta guadagnando ri<strong>le</strong>vanza come forma contrattua<strong>le</strong><br />

per i giovani, diventando sempre più diffusa.<br />

Tra i settori, i lavoratori a termine sono usati più frequentemente nell’agricoltura e<br />

negli alberghi e ristoranti: in questi settori si fa ampio ricorso ai lavoratori stagionali. Altri<br />

settori in cui i dipendenti a termine risultano particolarmente diffusi sono l’istruzione,<br />

sanità e servizi sociali, così come i servizi al<strong>le</strong> persone. In questi settori <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> a termine<br />

è spesso ut<strong>il</strong>izzato per occupare posti vacanti (mediante gli incarichi a termine, usati nella<br />

scuola o nella sanità) o per sostituire lavoratori assenti: in questi settori, peraltro,<br />

l’occupazione femmini<strong>le</strong> incide più che in altri, e quindi non sono infrequenti sostituzioni<br />

di lavoratrici in maternità.<br />

Tra <strong>le</strong> ripartizioni geografiche, i lavoratori a termine risultano particolarmente diffusi<br />

nel Mezzogiorno: questo rif<strong>le</strong>tte la peculiare struttura produttiva dell’area, dove pesano di<br />

7


Il <strong>lavoro</strong> che cambia<br />

Contributi tematici e Raccomandazioni<br />

più, relativamente al Centro-Nord, quei settori in cui <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> a termine è più frequente<br />

(agricoltura, turismo, scuola).<br />

Includendo nell’analisi anche gli occupati (indipendenti) che si dichiarano<br />

collaboratori o prestatori d’opera occasiona<strong>le</strong>, si ottiene così l’aggregato dei lavoratori<br />

cosiddetti <strong>temporanei</strong>, che conferma molte del<strong>le</strong> osservazioni già compiute sui dipendenti<br />

a termine. I <strong>temporanei</strong> sono infatti più frequentemente donne, residenti nel Centro-Sud,<br />

e i settori in cui si fa più diffuso ricorso a queste forme contrattuali sono, oltre ai<br />

sopracitati agricoltura, turismo, scuola, sanità e servizi sociali e al<strong>le</strong> persone, anche i<br />

servizi al<strong>le</strong> imprese, dove l’incidenza di collaboratori è particolarmente alta.<br />

Viene inoltre confermata la maggior diffusione del <strong>lavoro</strong> temporaneo tra i più<br />

giovani: tra gli occupati con meno di 30 anni, più del 29 per cento (una percentua<strong>le</strong> in<br />

aumento rispetto a quanto osservato nel 2006) risulta lavoratore temporaneo.<br />

Naturalmente <strong>il</strong> dato non sorprende, visto che queste forme contrattuali sono state<br />

introdotte proprio allo scopo di favorire l’ingresso nel mercato del <strong>lavoro</strong> di giovani; si<br />

ri<strong>le</strong>va però un’incidenza non trascurabi<strong>le</strong> (superiore all’11 per cento) del <strong>lavoro</strong><br />

temporaneo anche presso <strong>le</strong> coorti di età più avanzata (30-39 anni), che nel mercato<br />

dovrebbero essere entrate già da tempo.<br />

Esaminando la diffusione del <strong>lavoro</strong> temporaneo per titoli di studio si osserva come<br />

sia più e<strong>le</strong>vata tra gli occupati aventi titoli e<strong>le</strong>vati: oltre <strong>il</strong> 15 per cento degli occupati<br />

aventi una laurea o titoli post-laurea risulta essere temporaneo; queste forme contrattuali<br />

sembrano interessare meno i lavoratori caratterizzati da bassi livelli di istruzione. Va<br />

d’altronde sottolineato che questi risultati rif<strong>le</strong>ttono anche <strong>il</strong> fatto che tra gli occupati con<br />

alto titolo di studio i giovani sono relativamente più diffusi; in ogni caso, rispetto a quanto<br />

ri<strong>le</strong>vato nel 2006 (quando aveva influito l’incremento del<strong>le</strong> posizioni lavorative<br />

temporanee registrato dall’Università e dagli Enti di Ricerca) in cui era pari a quasi <strong>il</strong> 18<br />

per cento, la diffusione del <strong>lavoro</strong> temporaneo tra gli occupati aventi un titolo di studio<br />

post laurea si è ridotta, a favore dell’occupazione dipendente permanente.<br />

8


I <strong>lavori</strong> <strong>temporanei</strong> e <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stabi<strong>le</strong><br />

3.1 Motivi e durata del <strong>lavoro</strong> a termine<br />

Il <strong>lavoro</strong> a termine è usato per molteplici fini: tra i principali ci sono <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong><br />

stagiona<strong>le</strong> (specialmente in agricoltura e nel settore del turismo, <strong>le</strong> cui attività sono<br />

caratterizzate da picchi in alcuni particolari periodi dell’anno), <strong>le</strong> sostituzioni di lavoratori<br />

assenti (ad esempio, per maternità o malattia) e la formazione al <strong>lavoro</strong>.<br />

9


Il <strong>lavoro</strong> che cambia<br />

Contributi tematici e Raccomandazioni<br />

Naturalmente <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> a termine per un periodo di formazione o apprendistato è più<br />

diffuso tra i giovani: per quasi metà dei lavoratori con meno di 25 anni questo motivo<br />

giustifica <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> a termine, mentre è irri<strong>le</strong>vante per i lavoratori con più di 35 anni. Il<br />

<strong>lavoro</strong> stagiona<strong>le</strong> è invece <strong>il</strong> motivo principa<strong>le</strong> per l’occupazione a termine dei lavoratori<br />

di età più avanzata, ad eccezione dei (pochi) lavoratori a termine con almeno 65 anni, per<br />

i quali la realizzazione di un progetto è tra <strong>le</strong> cause più diffuse.<br />

Si osservano anche del<strong>le</strong> differenze di genere tra <strong>le</strong> finalità del <strong>lavoro</strong> a termine: per<br />

gli uomini l’apprendistato e <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stagiona<strong>le</strong> costituiscono i motivi principali per lo<br />

svolgimento di un <strong>lavoro</strong> a termine; l’occupazione a termine appare così maggiormente<br />

<strong>le</strong>gata alla fase di ingresso nel mercato del <strong>lavoro</strong>. Per <strong>le</strong> donne, invece, i motivi principali<br />

sono <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> occasiona<strong>le</strong> (anche per sostituzione) e l’occupazione di posti vacanti, che da<br />

soli giustificano <strong>il</strong> 73 per cento degli occupati a termine nell’istruzione, sanità e servizi<br />

sociali, settori ad e<strong>le</strong>vata femmin<strong>il</strong>izzazione.<br />

Esaminando la durata comp<strong>le</strong>ssiva del <strong>lavoro</strong> a termine, secondo quanto dichiarato<br />

dai lavoratori, si osserva come sia cresciuta, rispetto al 2004 (anno di avvio della nuova<br />

ri<strong>le</strong>vazione da parte dell’Istat), la quota di occupati <strong>il</strong> cui <strong>lavoro</strong> a termine ha durata<br />

inferiore all’anno; questi rappresentano tuttavia ancora più della metà dei dipendenti a<br />

termine (escludendo coloro che non conoscono la durata del proprio contratto). Sebbene<br />

si sia ridotta la percentua<strong>le</strong> di occupati con durata del <strong>lavoro</strong> a termine superiore all’anno,<br />

occorre ri<strong>le</strong>vare come ta<strong>le</strong> risultato comp<strong>le</strong>ssivo sia la sintesi di due tendenze<br />

contrapposte: da una parte si osserva difatti una diminuzione (dal 36 al 32 per cento) della<br />

quota di occupati con una durata compresa tra l’anno e i tre anni, mentre dall’altra si<br />

osserva un aumento (dall’11 al 14 per cento) della percentuali di occupati a termine aventi<br />

un contratto la cui durata supera i tre anni. Questi rappresentano un uti<strong>le</strong> riferimento per<br />

individuare <strong>il</strong> numero di persone che sarebbero potenzialmente interessate dell’attuazione<br />

del<strong>le</strong> misure introdotte con <strong>il</strong> protocollo welfare dell’ottobre 2007. Nella previsione di<br />

misure volte a favorire la conversione dei contratti a termine di lunga durata in contratti<br />

di <strong>lavoro</strong> a tempo indeterminato, però, si prevede che <strong>il</strong> rapporto di <strong>lavoro</strong> tra lo stesso<br />

lavoratore e lo stesso datore di <strong>lavoro</strong> per lo svolgimento di mansioni equiva<strong>le</strong>nti<br />

mediante la successione di contratti a termine debba superare i 36 mesi, comprensivi di<br />

proroghe, rinnovi e interruzioni tra un contratto e l’altro. Dunque occorre una certa<br />

cautela nella <strong>le</strong>ttura di questi dati, che invece riguardano solo quel<strong>le</strong> persone <strong>il</strong> cui <strong>lavoro</strong><br />

supera i 36 mesi (ma non si hanno informazioni circa la durata del contratto né del<br />

numero di proroghe ed interruzioni intervenute in precedenza).<br />

10


I <strong>lavori</strong> <strong>temporanei</strong> e <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stabi<strong>le</strong><br />

Tabella10, Grafico16<br />

3.2 I lavoratori a termine volontari<br />

Per oltre <strong>il</strong> 90 per cento degli occupati a termine, questa condizione è subita, perché<br />

non hanno trovato un <strong>lavoro</strong> a tempo indeterminato, e non scelta; solo per un ristretto<br />

insieme di lavoratori (meno di 200m<strong>il</strong>a persone) l’essere occupati a termine è voluto.<br />

Questi sono i cosiddetti lavoratori a termine volontari. Osservando la loro distribuzione<br />

11


Il <strong>lavoro</strong> che cambia<br />

Contributi tematici e Raccomandazioni<br />

secondo diverse dimensioni è possibi<strong>le</strong> cogliere alcune caratteristiche di questo gruppo di<br />

lavoratori.<br />

I lavoratori a termine volontari sono, più frequentemente di quanto ri<strong>le</strong>vato per gli<br />

involontari, o molto giovani o molto anziani; i primi per avere forse maggiore f<strong>le</strong>ssib<strong>il</strong>ità<br />

in una fase in cui <strong>lavoro</strong> e studio possono muoversi in paral<strong>le</strong>lo, per i secondi<br />

probab<strong>il</strong>mente per consentirsi un passaggio gradua<strong>le</strong> all’inattività. Non si osservano<br />

invece differenze ri<strong>le</strong>vanti con gli occupati a termine involontari circa la distribuzione per<br />

genere.<br />

Il <strong>lavoro</strong> a termine volontario appare relativamente più diffuso al Nord, ed in<br />

particolare nel Nord Est, e nei settori del commercio, dei servizi sociali e al<strong>le</strong> persone, e<br />

soprattutto nel turismo (Alberghi e ristoranti), un settore dove evidentemente non è solo<br />

la domanda a preferire forme di <strong>lavoro</strong> stagiona<strong>le</strong>, ma anche da parte dell’offerta si<br />

evidenzia una certa preferenza (ad esempio, da parte di quei giovani che decidono di<br />

finanziarsi gli studi lavorando qualche mese in estate).<br />

3.3 I movimenti da e <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> a termine; un’analisi con <strong>le</strong> matrici di transizione<br />

Un dibattito aperto<br />

Le politiche del <strong>lavoro</strong> adottate in Italia nel corso degli ultimi dieci anni sono state<br />

incentrate sull’introduzione di nuove tipologie contrattuali, che hanno comportato un<br />

aumento della quota dei cosiddetti “atipici”.<br />

12


I <strong>lavori</strong> <strong>temporanei</strong> e <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stabi<strong>le</strong><br />

I cambiamenti più importanti sono derivati da tre passaggi: <strong>il</strong> cosiddetto “Pacchetto<br />

Treu” del 1997, la normativa dei contratti a tempo determinato del 2001, e la “<strong>le</strong>gge<br />

Biagi” del 2003.<br />

Il dibattito attua<strong>le</strong> non è ancora giunto a considerazioni conclusive sul tema. Da parte<br />

di alcuni si sottolinea l’approfondimento del carattere fortemente dualistico che i nuovi<br />

assetti normativi determinano nel mercato del <strong>lavoro</strong>. I lavoratori “f<strong>le</strong>ssib<strong>il</strong>i”<br />

tenderebbero a collocarsi in una posizione svantaggiata, realizzando percorsi professionali<br />

discontinui. Si determinerebbe in ultima analisi una sostanzia<strong>le</strong> persistenza in posizioni ai<br />

margini del mercato del <strong>lavoro</strong>.<br />

Si tratterebbe di posizioni lavorative sfavorite anche dal fatto che <strong>le</strong> frequenti<br />

discontinuità dei percorsi professionali, nonché <strong>il</strong> più basso livello dei contributi, non<br />

consentirebbero al lavoratore di maturare diritti pensionistici sufficienti per affrontare la<br />

vecchiaia.<br />

Non mancano invece quanti guardano con favore ai nuovi assetti del mercato del<br />

<strong>lavoro</strong>. Da parte di questi si fa invece notare che la sostenuta creazione occupaziona<strong>le</strong> e la<br />

conseguente riduzione della disoccupazione osservata in Italia negli ultimi anni<br />

costituiscano l’esito del<strong>le</strong> riforme e ne configurino quindi <strong>il</strong> successo.<br />

Secondo la tesi più ottimista i lavoratori posizionati nei segmenti marginali del<br />

mercato del <strong>lavoro</strong> vi resterebbero per un lasso tempora<strong>le</strong> limitato. Le nuove forme<br />

contrattuali avrebbero quindi essenzialmente <strong>il</strong> ruolo di favorire l’incontro fra domanda e<br />

offerta. I lavoratori, grazie anche al più contenuto costo del contratto, avrebbero una<br />

minore probab<strong>il</strong>ità di restare disoccupati e potrebbero più rapidamente costituire quello<br />

stock di capita<strong>le</strong> umano minimo da rivendere sul segmento primario del mercato. Due<br />

sarebbero quindi <strong>le</strong> funzioni dei contratti f<strong>le</strong>ssib<strong>il</strong>i: da un canto quello di agevolare una<br />

rapida transizione dalla disoccupazione all’occupazione; dall’altro, quello di generare una<br />

sorta di buffer, uti<strong>le</strong> anche per fronteggiare <strong>le</strong> fasi congiunturali avverse, riducendo <strong>il</strong><br />

rischio di disoccupazione per <strong>il</strong> lavoratore.<br />

L’importanza del tema giustifica anche un’analisi dei dati volta a fornire una<br />

dimensione quantitativa ai fenomeni di cui si discute. In particolare, in questa sede ci<br />

occuperemo della questione della persistenza o meno nel<strong>le</strong> posizioni di <strong>lavoro</strong> atipiche, e<br />

dei flussi di entrata e uscita dalla disoccupazione a seconda del<strong>le</strong> diverse tipologie<br />

contrattuali.<br />

Le <strong>transizioni</strong><br />

Al fine di esaminare <strong>le</strong> peculiarità dei fenomeni che stanno caratterizzando <strong>il</strong> mercato<br />

del <strong>lavoro</strong> italiano, e in particolare per cogliere gli aspetti che caratterizzano i destini<br />

professionali dei lavoratori con contratto di <strong>lavoro</strong> a termine o quelli con contratti di<br />

collaborazione, ut<strong>il</strong>izzeremo la rappresentazione dei dati secondo <strong>le</strong> cosiddette matrici di<br />

transizione fornite dall’Istat. Il successivo Riquadro è invece dedicato al medesimo tipo di<br />

informazioni, secondo <strong>le</strong> quantificazioni fornite in una recente indagine della<br />

Confindustria.<br />

Le matrici di transizione forniscono una rappresentazione della popolazione in età<br />

lavorativa secondo la diversa posizione in un dato anno e nell’anno successivo. In questo<br />

modo si può cercare di cogliere i movimenti da una determinata posizione all’altra. Il set<br />

di statistiche di base si articola secondo 11 tipologie. Due di queste sono riferite ai<br />

disoccupati, in senso stretto o in cerca di prima occupazione; quattro agli inattivi<br />

13


Il <strong>lavoro</strong> che cambia<br />

Contributi tematici e Raccomandazioni<br />

(secondo la motivazione: <strong>le</strong> casalinghe, gli studenti, i pensionati e “altro”). Vi sono, infine,<br />

cinque gruppi secondo i quali vengono classificati gli occupati: i dipendenti permanenti, i<br />

dipendenti a termine, gli autonomi con un contratto di collaborazione continuativa, gli<br />

autonomi collaboratori occasionali e, infine, gli autonomi nell’accezione tradiziona<strong>le</strong> del<br />

termine.<br />

Lo studio dei flussi da una condizione all’altra ci permette dunque di fornire una<br />

quantificazione di alcuni fenomeni alla base di una serie di questioni. La prima si riferisce<br />

al passaggio dalla condizione di disoccupato o inattivo a quella di occupato. L’obiettivo è<br />

quello di capire con qua<strong>le</strong> frequenza si transita dalla condizione di inoccupato a quella di<br />

occupato attra<strong>verso</strong> un contratto temporaneo o di collaborazione.<br />

La seconda è relativa ai passaggi di condizione: con riferimento all’ipotesi di<br />

persistenza o transitorietà della posizione di lavoratore “atipico”, alla diversa probab<strong>il</strong>ità<br />

di disoccupazione che caratterizza questi lavoratori rispetto ai dipendenti permanenti e,<br />

infine, alla transizione <strong>verso</strong> la posizione di lavoratore autonomo. Ci si riferisce quindi alla<br />

frequenza del passaggio <strong>verso</strong> un contratto a tempo indeterminato rispetto alla possib<strong>il</strong>ità<br />

che un lavoratore con un contratto atipico persista in quella data posizione; si va anche ad<br />

esplorare l’ipotesi che i lavoratori con contratto f<strong>le</strong>ssibi<strong>le</strong> siano a maggiore rischio di<br />

perdita del posto di <strong>lavoro</strong>. Riguardo alla transizione dalla e <strong>verso</strong> la condizione di<br />

lavoratore autonomo, l’obiettivo è quello di considerare in che misura <strong>le</strong> nuove forme<br />

contrattuali più f<strong>le</strong>ssib<strong>il</strong>i abbiano una certa permeab<strong>il</strong>ità con <strong>il</strong> segmento degli autonomi,<br />

che di per sé costituisce un segmento del mercato del <strong>lavoro</strong> con un grado medio di<br />

f<strong>le</strong>ssib<strong>il</strong>ità abbastanza e<strong>le</strong>vato. Un altro insieme di quesiti riguarda la concentrazione del<strong>le</strong><br />

forme contrattuali f<strong>le</strong>ssib<strong>il</strong>i in alcuni segmenti del mercato; in particolare, volgiamo<br />

l’attenzione alla distribuzione di questi contratti secondo la dimensione di genere, <strong>le</strong> fasce<br />

d’età, e la dimensione territoria<strong>le</strong>.<br />

Alla ricerca del primo impiego<br />

L’ingresso nel mercato del <strong>lavoro</strong> da parte di chi non ha mai lavorato può essere<br />

analizzato considerando innanzitutto un primo flusso, costituito da quanti erano inattivi<br />

nel 2005 e sono entrati nel mercato del <strong>lavoro</strong> nel corso del 2006. Per queste figure si può<br />

quindi parlare di lavoratori di primo ingresso nel mercato 3 .<br />

Nel 2006 i nuovi entranti nel mercato del <strong>lavoro</strong> sono stati poco più di 2 m<strong>il</strong>ioni, un<br />

valore superiore a quello dell’anno precedente (circa un m<strong>il</strong>ione e 750m<strong>il</strong>a), <strong>il</strong> che è<br />

coerente con la acce<strong>le</strong>razione della dinamica della forza <strong>lavoro</strong> descritta nei precedenti<br />

capitoli.<br />

La collocazione nel mercato dei nuovi entranti è risultata articolata come segue: <strong>il</strong><br />

15,6 per cento (circa 315m<strong>il</strong>a persone) è rimasto ancora alla ricerca del primo impiego,<br />

mentre <strong>il</strong> 18,9 per cento (circa 380m<strong>il</strong>a persone) ha avuto un’esperienza lavorativa<br />

3 Naturalmente non è certo che questo sia <strong>il</strong> caso per tutti gli inattivi del 2005. In particolare, alcuni lavoratori<br />

inattivi nel 2005 potrebbero avere lavorato nel corso degli anni precedenti. E’ comunque chiaro che la platea<br />

di quanti sono alla ricerca del primo impiego rappresenta la quota più ampia in questo aggregato.<br />

14


I <strong>lavori</strong> <strong>temporanei</strong> e <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stabi<strong>le</strong><br />

conclusasi però nel corso dell’anno 4 . La probab<strong>il</strong>ità di restare disoccupati per i nuovi<br />

entranti si è quindi ridotta: difatti, nel 2005 <strong>il</strong> 39,5 per cento di coloro che erano entrati<br />

nel mercato del <strong>lavoro</strong> l’anno prima risultava disoccupato, contro <strong>il</strong> 34,5 per cento del<br />

2006. Se la congiuntura più favorevo<strong>le</strong> ha aumentato l’offerta e ridotto la probab<strong>il</strong>ità di<br />

restare disoccupati, è interessante anche fornire una valutazione sul<strong>le</strong> tipologie<br />

contrattuali che hanno caratterizzato i lavoratori al<strong>le</strong> prime esperienze professionali. Il<br />

65,5 per cento di quanti sono entrati nel mercato nel 2006 ha mantenuto un impiego nel<br />

corso dell’anno. La tipologia contrattua<strong>le</strong> preva<strong>le</strong>nte è stata quella del <strong>lavoro</strong> dipendente<br />

permanente che in quota sul tota<strong>le</strong> dei nuovi entranti nella forza <strong>lavoro</strong> è risultata<br />

prossima al dato dell’anno precedente (dal 23,6 al 23,4 per cento).<br />

È invece aumentata l’incidenza dei lavoratori dipendenti a termine, <strong>il</strong> cui peso è stato<br />

pari al 22,8 per cento rispetto al 19,7 per cento dell’anno prima. Allo stesso modo<br />

aumenta la quota di quanti sono entrati nel mercato del <strong>lavoro</strong> con un contratto di<br />

collaborazione continuativa (dal 3,2 al 3,7 per cento) o di collaborazione occasiona<strong>le</strong><br />

(dall’1 al 2,5 per cento) mentre resta relativamente stabi<strong>le</strong> la quota degli occupati<br />

autonomi (dal 12,8 al 13,1 per cento).<br />

I dati ci consentono dunque di fornire una risposta ad un primo quesito: nel 2006 la<br />

più favorevo<strong>le</strong> congiuntura della domanda di <strong>lavoro</strong> ha aiutato i nuovi entranti, che difatti<br />

sono con minore frequenza caduti nella condizione di disoccupato. Non è però<br />

aumentata la percentua<strong>le</strong> di quanti sono riusciti a trovare un impiego a tempo<br />

indeterminato (sebbene a parità di quota <strong>il</strong> loro numero sia più e<strong>le</strong>vato). In genera<strong>le</strong>, la<br />

maggiore domanda di <strong>lavoro</strong> si è manifestata attra<strong>verso</strong> un aumento dei neoassunti con<br />

contratti a termine o contratti di collaborazione.<br />

Dalla disoccupazione all’occupazione<br />

Un altro segmento di cui è interessante valutare <strong>le</strong> opportunità di ingresso nel<br />

mercato del <strong>lavoro</strong> è quello di coloro che un anno prima erano già presenti nel mercato,<br />

4<br />

Si tratta cioè di soggetti che essendo inattivi nel corso del 2005 risultano rispettivamente collocati nel 2006<br />

nel<strong>le</strong> classi di soggetti “in cerca di prima occupazione” e “in cerca di nuova occupazione”.<br />

15


Il <strong>lavoro</strong> che cambia<br />

Contributi tematici e Raccomandazioni<br />

ma in veste di disoccupati. Dato lo stock di disoccupati al 2005 (poco più di un m<strong>il</strong>ione e<br />

800m<strong>il</strong>a) circa un terzo risultava inattivo l’anno successivo, era cioè uscito dal mercato. Di<br />

quelli ancora presenti nel mercato del <strong>lavoro</strong> nel 2006 (un m<strong>il</strong>ione e 200m<strong>il</strong>a) 520m<strong>il</strong>a<br />

erano ancora disoccupati; va<strong>le</strong> a dire che <strong>il</strong> 43,5 per cento di quanti erano disoccupati nel<br />

2005 (e al netto di quanti di questi sono usciti dal mercato del <strong>lavoro</strong>) lo erano ancora nel<br />

2006. Il dato segnala un forte miglioramento del mercato del <strong>lavoro</strong> nel corso dell’anno.<br />

Difatti, ta<strong>le</strong> quota era pari al 53,1 per cento nel 2005. L’aumento della probab<strong>il</strong>ità di<br />

trovare un impiego da parte dei disoccupati ha fatto sì che aumentasse la quota di quanti<br />

riescono a trovare un <strong>lavoro</strong> con un contratto a tempo indeterminato. Dal 20,3 per cento<br />

del 2005, si passa al 21,2 per cento del 2006. Gli incrementi più ri<strong>le</strong>vanti riguardano però<br />

la quota di quanti trovano un impiego a termine, dal 17,6 per cento del 2005 al 20,8 per<br />

cento del 2006. È anche aumentata molto la probab<strong>il</strong>ità di passaggio <strong>verso</strong> <strong>le</strong> posizioni di<br />

<strong>lavoro</strong> autonomo. In conclusione, andando a guardare <strong>il</strong> gruppo di quanti erano<br />

disoccupati l’anno prima si scorge ancora una volta nitidamente l’effetto congiuntura<strong>le</strong> di<br />

f<strong>le</strong>ssione della disoccupazione, ma ancora una volta non sembra che l’inversione della<br />

domanda abbia favorito una maggiore propensione a transitare <strong>verso</strong> i contratti a tempo<br />

indeterminato. Da questo tipo di dati si evince anche nitidamente <strong>il</strong> ruolo che <strong>il</strong> contratto<br />

a termine svolge come col<strong>le</strong>gamento fra la disoccupazione e l’ingresso nel mondo del<br />

<strong>lavoro</strong>. L’uscita dalla disoccupazione è difatti sovente caratterizzata da un impiego a<br />

termine.<br />

La distinzione di genere<br />

Le caratteristiche dell’ingresso nel mercato del <strong>lavoro</strong> possono anche essere declinate<br />

per genere. Dal<strong>le</strong> due tavo<strong>le</strong> precedenti si osserva subito la minore probab<strong>il</strong>ità di trovare<br />

un <strong>lavoro</strong> per <strong>le</strong> donne rispetto ai maschi. Questo avviene sia facendo riferimento a<br />

coloro che l’anno prima erano inattive, che a quante erano disoccupate.<br />

Se nel 2006 <strong>il</strong> 68 per cento dei maschi inattivi l’anno precedente aveva trovato un<br />

<strong>lavoro</strong>, per <strong>le</strong> donne questa quota scende al 64 per cento. Allo stesso modo <strong>il</strong> 62 per<br />

16


I <strong>lavori</strong> <strong>temporanei</strong> e <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stabi<strong>le</strong><br />

cento dei maschi disoccupati nel 2005 aveva trovato un <strong>lavoro</strong> nel 2006, mentre questa<br />

percentua<strong>le</strong> per <strong>le</strong> donne scende al 51 per cento.<br />

Considerando coloro che hanno trovato un impiego nel corso dell’anno, la frequenza<br />

del<strong>le</strong> diverse tipologie contrattuali non è però molto diversa fra uomini e donne. Nel<br />

segmento di coloro che erano inattivi l’anno prima si osserva però subito come per <strong>le</strong><br />

donne alla maggiore quota del<strong>le</strong> disoccupate corrisponda una minore quota di occupate<br />

dipendenti, sia a tempo indeterminato che a termine, mentre maggiore è l’incidenza fra <strong>le</strong><br />

donne dei contratti di collaborazione. Guardando a quanti l’anno precedente erano invece<br />

disoccupati, <strong>le</strong> divergenze sono ancora contenute, e in questo caso cade decisamente la<br />

quota del<strong>le</strong> donne che entrano nel mercato nella posizione di lavoratrice autonoma.<br />

Infine, per quanto riguarda <strong>il</strong> cambiamento intervenuto fra <strong>il</strong> 2005 e <strong>il</strong> 2006, i<br />

commenti dei paragrafi precedenti valgono sia per gli uomini che per <strong>le</strong> donne. Da<br />

segnalare comunque come soprattutto per <strong>le</strong> donne sia aumentata la quota di quante<br />

passano dallo stato di disoccupato a quello di occupato con un contratto a termine.<br />

In genera<strong>le</strong>, dai dati si osserva come mentre l’effetto di genere è ben visibi<strong>le</strong><br />

guardando al rischio di disoccupazione, decisamente superiore nel caso del<strong>le</strong> donne<br />

rispetto ai maschi, lo stesso non si può dire facendo riferimento al tipo di contratto con<br />

cui avviene l’ingresso nell’occupazione. Le divergenze fra maschi e femmine da questo<br />

punto di vista sono decisamente contenute.<br />

Persistenza nel<strong>le</strong> posizioni degli “atipici”<br />

Il secondo quesito che affrontiamo è rappresentato dalla valutazione della<br />

transitorietà o meno della posizione di lavoratore atipico 5 . In particolar modo, è possibi<strong>le</strong><br />

soffermarsi sulla tendenza dei lavoratori che hanno contratti di <strong>lavoro</strong> a tempo non<br />

indeterminato a persistere nel tempo in questo tipo di forma contrattua<strong>le</strong>.<br />

I dati, riassunti nella tavola al<strong>le</strong>gata, cercano di <strong>il</strong>lustrare la frequenza con la qua<strong>le</strong> un<br />

lavoratore con un contratto di <strong>lavoro</strong> temporaneo o con un contratto di collaborazione<br />

tende a avere una riconferma della medesima tipologia contrattua<strong>le</strong>.<br />

In particolare, i lavoratori a termine lo sono nel 61 per cento dei casi anche l’anno<br />

successivo e lo stesso dicasi per <strong>le</strong> collaborazioni continuative, per <strong>le</strong> quali i lavoratori<br />

confermano la medesima tipologia contrattua<strong>le</strong> nel 65 per cento dei casi. Gli occasionali<br />

tendono a cambiare tipo di contratto con maggiore frequenza, ma nel comp<strong>le</strong>sso resta<br />

scarsa la transizione <strong>verso</strong> i contratti a tempo indeterminato.<br />

La frequenza della persistenza nella medesima tipologia contrattua<strong>le</strong> è aumentata fra <strong>il</strong><br />

2005 e <strong>il</strong> 2006. In particolare, <strong>il</strong> 58 per cento dei lavoratori con contratto a termine nel<br />

2004 aveva ancora un contratto a termini nel 2005. Tra <strong>il</strong> 2005 e <strong>il</strong> 2006 questa<br />

percentua<strong>le</strong> è salita al 61 per cento. Si noti come l’aumento di questa percentua<strong>le</strong> sia una<br />

buona notizia, visto che fra <strong>il</strong> 2005 e <strong>il</strong> 2006 ad esso corrisponde simmetricamente una<br />

f<strong>le</strong>ssione di quanti passano dal contratto a termine alla disoccupazione.<br />

5<br />

In queste tavo<strong>le</strong> esaminiamo <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> escludendo dal computo la possib<strong>il</strong>ità di uscita <strong>verso</strong> l’inattività.<br />

Questo perché eventuali acce<strong>le</strong>razioni o dece<strong>le</strong>razioni nel tasso di turn over <strong>le</strong>gate ai pensionamenti possono<br />

portare una distorsione dei risultati aggregati. Naturalmente anche la scelta da noi effettuata non è esente da<br />

prob<strong>le</strong>mi, visto che parte del<strong>le</strong> uscite <strong>verso</strong> l’inattività possono essere involontarie.<br />

17


Il <strong>lavoro</strong> che cambia<br />

Contributi tematici e Raccomandazioni<br />

La trasformazione del contratto a termine in un contratto a tempo indeterminato è<br />

avvenuta nel 29 per cento dei casi, percentua<strong>le</strong> che scende al 12 per cento nel caso dei<br />

collaboratori.<br />

In valore assoluto questo equiva<strong>le</strong> a dire che dei 2 m<strong>il</strong>ioni 560m<strong>il</strong>a lavoratori con<br />

contratto a termine o in collaborazione del 2005 che erano ancora attivi nel 2006 590m<strong>il</strong>a<br />

aveva modificato la propria posizione passando ad un contratto a tempo indeterminato,<br />

un m<strong>il</strong>ione e mezzo erano quelli che continuavano a lavorare mantenendo un impiego<br />

f<strong>le</strong>ssibi<strong>le</strong>, mentre ben 135m<strong>il</strong>a risultavano disoccupati nel 2006.<br />

Come si accede al contratto a tempo indeterminato<br />

Un altro modo per comprendere come <strong>le</strong> nuove forme contrattuali non siano sempre<br />

una fase di passaggio per accedere poi al contratto a tempo indeterminato è costituita<br />

dall’analisi della transizione <strong>verso</strong> questa forma contrattua<strong>le</strong> standard. Nel 2006 i<br />

neoassunti con contratto di <strong>lavoro</strong> al<strong>le</strong> dipendenze a tempo indeterminato sono stati circa<br />

un m<strong>il</strong>ione e mezzo. Di questi <strong>il</strong> 35 per cento aveva l’anno prima un contratto a termine,<br />

e un 3,5 per cento circa veniva dai contratti di collaborazione. Il 13 per cento circa dei<br />

nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato veniva poi dal<strong>le</strong> f<strong>il</strong>a del <strong>lavoro</strong><br />

autonomo.<br />

Nel comp<strong>le</strong>sso quasi la metà del<strong>le</strong> nuove assunzioni con contratto a tempo<br />

indeterminato è invece avvenuta per persona<strong>le</strong> precedentemente inattivo o disoccupato.<br />

18


I <strong>lavori</strong> <strong>temporanei</strong> e <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stabi<strong>le</strong><br />

Maggiore rischio di disoccupazione per chi non ha un contratto a tempo indeterminato<br />

Una differenza importante fra i lavoratori con contratti a tempo indeterminato e gli<br />

altri lavoratori è rappresentata dal fatto che questi ultimi hanno una probab<strong>il</strong>ità maggiore<br />

di cadere in una situazione di disoccupazione. Difatti, nel 2006 risultava disoccupato<br />

soltanto l’1,3 per cento di coloro che avevano un contratto a tempo indeterminato l’anno<br />

prima, mentre ta<strong>le</strong> percentua<strong>le</strong> sa<strong>le</strong> al 5,8 per cento per i contratti a termine, al 6 per cento<br />

per <strong>le</strong> collaborazioni continuative e al 7,7 per cento per gli occasionali.<br />

Un aspetto da segnalare è che fra <strong>il</strong> 2005 e <strong>il</strong> 2006, in corrispondenza del<br />

miglioramento del ciclo economico, non si è osservato un aumento del tasso di<br />

conversione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato, mentre si è<br />

contratta la percentua<strong>le</strong> di coloro che dalla condizione di atipico cadono in quella di<br />

disoccupato.<br />

Propensione maggiore dei <strong>temporanei</strong> a diventare dipendenti<br />

Un ultimo aspetto su cui soffermare l’attenzione è costituito dal fatto che i lavoratori<br />

a termine tendono anche con una bassa frequenza a diventare lavoratori autonomi. Nel<br />

2006 la percentua<strong>le</strong> di lavoratori a termine che sono diventati lavoratori autonomi è stata<br />

pari al 2,5 per cento, rispetto al 29 per cento che si sono trasformati in dipendenti<br />

permanenti. Il rapporto, di oltre uno a dieci, è decisamente più e<strong>le</strong>vato del rapporto fra<br />

autonomi e dipendenti (quasi uno a quattro). Lo stesso non può dirsi per <strong>le</strong><br />

collaborazioni, che tendono a trasformarsi con maggiore frequenza in autonomi a tutti gli<br />

effetti.<br />

Il <strong>lavoro</strong> temporaneo non è soltanto prerogativa dei giovani<br />

Naturalmente, poiché <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> fuori dai contratti a tempo indeterminato è<br />

prerogativa del<strong>le</strong> posizioni di ingresso nel mercato del <strong>lavoro</strong>, o del<strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> dalla<br />

19


Il <strong>lavoro</strong> che cambia<br />

Contributi tematici e Raccomandazioni<br />

disoccupazione <strong>verso</strong> l’impiego, è natura<strong>le</strong> attendersi come l’incidenza di questo tipo di<br />

contratti sia più e<strong>le</strong>vata nei segmenti della forza <strong>lavoro</strong> in età più giovane.<br />

È possibi<strong>le</strong> quindi replicare la matrice di transizione di quanti erano occupati nel 2005<br />

per verificarne la condizione professiona<strong>le</strong> nel 2006 andando a guardare all’articolazione<br />

secondo <strong>le</strong> diverse fasce d’età. Le matrici che descrivono l’articolazione dei flussi secondo<br />

<strong>le</strong> classi di età sono analoghe a quel<strong>le</strong> viste in precedenza. È stata anche aggiunta<br />

un’ultima colonna che fornisce la quantificazione del livello assoluto per <strong>il</strong> tota<strong>le</strong>.<br />

Dal<strong>le</strong> tavo<strong>le</strong> si coglie subito come sebbene i contratti a termine e <strong>le</strong> collaborazioni<br />

riguardino maggiormente i lavoratori giovani, ta<strong>le</strong> risultato non va enfatizzato troppo. I<br />

contratti a termine sono difatti molto presenti anche nel<strong>le</strong> fasce della popolazione sopra i<br />

35 anni.<br />

I dati segnalano anzi che un quarto dei lavoratori con contratto a temine rientra nella<br />

fascia d’età compresa fra i 35 e i 44 anni e <strong>il</strong> 12 per cento nella fascia 45-54.<br />

Naturalmente, la transizione è diversa a seconda del<strong>le</strong> fasce d’età.<br />

Senza entrare nel dettaglio di tutti i flussi, possiamo guardare alla conversione dei<br />

contratti a termine e di quelli di collaborazione in contratti a tempo indeterminato. Quello<br />

che i dati segnalano è un tasso di conversione dei contratti a termine del 33 per cento e<br />

del 14 per cento per i co.co.co., nel caso dei lavoratori di età compresa fra i 25 e i 34 anni.<br />

Tali percentuali scendono al 26 e al 13 per cento guardando alla fascia d’età compresa fra<br />

35 e 44 anni, e si riducono ulteriormente (al 23 e ancora 13 per cento) per la fascia d’età<br />

fra 45 e 54 anni.<br />

In genera<strong>le</strong>, se ne desume che <strong>il</strong> fenomeno del contratto a temine vissuto come<br />

transizione <strong>verso</strong> <strong>il</strong> contratto a tempo indeterminato è più frequente nel caso dei giovani<br />

mentre, viceversa, la persistenza nei contratti a termine aumenta per <strong>le</strong> coorti più anziane.<br />

Maggiore incidenza del <strong>lavoro</strong> temporaneo nel Mezzogiorno<br />

La rappresentazione sopra ut<strong>il</strong>izzata per <strong>le</strong> fasce d’età può essere riproposta con<br />

riferimento all’articolazione territoria<strong>le</strong> dei fenomeni in esame. È da questa distinzione<br />

che emergono i risultati più importanti. Se <strong>le</strong> differenze sulla base del genere o del<strong>le</strong> classi<br />

d’età risultano difatti tutto sommato abbastanza contenute, <strong>le</strong> divaricazioni territoriali<br />

sono più accentuate. A parte la dimensione dello stock dei lavoratori a termine che nel<br />

Sud è al 13 per cento mentre nel resto del paese è pari all’8 per cento, tutte <strong>le</strong> forme di<br />

transizione sono più sfavorevoli al Sud.<br />

Innanzitutto vi è una minore probab<strong>il</strong>ità di transizione dal contratto a termine <strong>verso</strong> <strong>il</strong><br />

tempo indeterminato. Questo coefficiente è massimo nel Nord ovest, dove raggiunge <strong>il</strong><br />

39,3 per cento, e si riduce al 26 per cento al Sud. Va però segnalato che <strong>il</strong> valore di questa<br />

statistica è ancor più basso al centro (23,4 per cento).<br />

La minore probab<strong>il</strong>ità di trasformazione di un contratto al<strong>le</strong> dipendenze da contratto<br />

a termine a contratto a tempo indeterminato che caratterizza <strong>le</strong> regioni del Sud e quel<strong>le</strong><br />

del Centro è associata ad una maggiore probab<strong>il</strong>ità di persistenza nella posizione di<br />

lavoratore a termine.<br />

Infine, un altro aspetto da notare è anche la diversa probab<strong>il</strong>ità di transizione in senso<br />

contrario. Se si guarda ai lavoratori che nel 2005 avevano un contratto di <strong>lavoro</strong><br />

20


I <strong>lavori</strong> <strong>temporanei</strong> e <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stabi<strong>le</strong><br />

permanente, si osserva come una percentua<strong>le</strong> contenuta, <strong>il</strong> 2 per cento avesse un<br />

contratto a termine nel 2006; ta<strong>le</strong> percentua<strong>le</strong> sa<strong>le</strong> al 3 per cento se si guarda al caso del<br />

Mezzogiorno. Inoltre è da segnalare come al Sud sia anche maggiore la probab<strong>il</strong>ità di<br />

perdita del posto di <strong>lavoro</strong> per quanti hanno un contratto a tempo indeterminato. Ta<strong>le</strong><br />

percentua<strong>le</strong> risulta difatti pari al 2,5 per cento rispetto ad un valore inferiore all’1 per<br />

cento nel resto d’Italia.<br />

21


Il <strong>lavoro</strong> che cambia<br />

Contributi tematici e Raccomandazioni<br />

22


I <strong>lavori</strong> <strong>temporanei</strong> e <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stabi<strong>le</strong><br />

23


Il <strong>lavoro</strong> che cambia<br />

Contributi tematici e Raccomandazioni<br />

Un fenomeno che invece va in direzione apparentemente contraria rispetto a quello<br />

che si potrebbe presumere è costituito dal fatto che la probab<strong>il</strong>ità di passare da un <strong>lavoro</strong><br />

a termine <strong>verso</strong> la disoccupazione non ha presentato grosse divergenze territoriali nel<br />

2006. Inoltre l’uniformità di questo valore lungo <strong>il</strong> territorio naziona<strong>le</strong> è stata una<br />

peculiarità del 2006. L’anno prima, difatti, la percentua<strong>le</strong> di contratti a termine risoltisi in<br />

uno stato di disoccupazione era risultato molto più alto al Nord e al Centro.<br />

La trasformazione del contratto a termine in uno stato di disoccupazione è avvenuta<br />

nel 6 per cento dei casi circa.<br />

Ta<strong>le</strong> risultato va però qualificato considerando anche i flussi di uscita dal mercato del<br />

<strong>lavoro</strong>, guardando cioè alla transizione dal contratto a termine <strong>verso</strong> l’inattività. In<br />

particolare, risulta molto più frequente nel Mezzogiorno <strong>il</strong> caso di lavoratori che alla fine<br />

del contratto a termine escono direttamente dal mercato. Tali lavoratori non sono<br />

rappresentati nel precedente set di tavo<strong>le</strong>, che si riferisce al<strong>le</strong> trasformazioni “interne” al<br />

mercato del <strong>lavoro</strong> e non tiene conto dei flussi in uscita, che possono dipendere anche dai<br />

normali flussi di pensionamento.<br />

24


I <strong>lavori</strong> <strong>temporanei</strong> e <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stabi<strong>le</strong><br />

Per <strong>il</strong>lustrare l’incidenza di questo tipo di flussi, si può fare riferimento all’evidenza<br />

riportata nei due grafici al<strong>le</strong>gati che mostrano, per i lavoratori <strong>temporanei</strong>, la quota di<br />

quanti, avendo un contratto a termine nel 2005, risultavano disoccupati nel 2006, e la<br />

quota di quanti risultavano inattivi, sempre nel 2006 6 . In questo modo si ottiene anche<br />

una indicazione del fatto che la posizione di temporaneo caratterizza al Sud soprattutto i<br />

lavoratori che si trovano ai “margini” del mercato e che possono più fac<strong>il</strong>mente cadere in<br />

condizioni di scoraggiamento a seguito del mancato rinnovo di un contratto a termine.<br />

Allo scopo di evidenziare come questo tipo di fenomeni incida in misura maggiore<br />

per i <strong>temporanei</strong>, lo stesso tipo di rappresentazione è fornita anche con riferimento a<br />

coloro che nel 2005 avevano un contratto di <strong>lavoro</strong> a tempo indeterminato.<br />

Quello che emerge è una maggiore propensione di chi perde un <strong>lavoro</strong> da una<br />

posizione contrattua<strong>le</strong> più forte, come quella del contratto a tempo indeterminato, a<br />

restare nel mercato. È soprattutto nel Mezzogiorno che i contratti a termine evolvono più<br />

frequentemente <strong>verso</strong> una situazione di inattività. Si nota anche l’effetto della congiuntura<br />

più favorevo<strong>le</strong>, che ha di fatto abbassato per tutte <strong>le</strong> aree, ad eccezione del Mezzogiorno,<br />

la probab<strong>il</strong>ità di disoccupazione.<br />

6<br />

In sostanza, rispetto ai numeri riportati nel<strong>le</strong> tavo<strong>le</strong> cambia <strong>il</strong> valore del denominatore, che include anche<br />

quanti passano alla condizione di inattivo, non considerati invece nel<strong>le</strong> tavo<strong>le</strong> precedenti.<br />

25


Il <strong>lavoro</strong> che cambia<br />

Contributi tematici e Raccomandazioni<br />

26


I <strong>lavori</strong> <strong>temporanei</strong> e <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stabi<strong>le</strong><br />

Alcune caratteristiche dei lavoratori <strong>temporanei</strong><br />

Uno degli argomenti sui quali <strong>il</strong> dibattito recente è vivace riguarda l’uso del <strong>lavoro</strong> a<br />

termine: secondo alcuni <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> a termine non è altro che un passaggio nel percorso<br />

<strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> permanente. Il <strong>lavoro</strong> a termine verrebbe infatti usato come se<strong>le</strong>zione dei<br />

lavoratori da assumere poi in forma più stabi<strong>le</strong> (O’ Flaherty, 1995) dato che molte<br />

capacità non sono fac<strong>il</strong>mente osservab<strong>il</strong>i senza un periodo di prova; <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> a termine,<br />

inoltre, può essere una sorta di formazione nel <strong>lavoro</strong> (anche se molti autori, come<br />

Garibaldi e Berton, hanno messo in luce come i lavoratori a termine abbiano una<br />

probab<strong>il</strong>ità inferiore di ricevere formazione rispetto ai lavoratori permanenti, la<br />

formazione ricevuta dagli occupati a termine è probab<strong>il</strong>mente superiore a quella ricevuta<br />

dai disoccupati). Inoltre l’essere dentro <strong>il</strong> mercato del <strong>lavoro</strong>, anche se solo come<br />

lavoratore a termine, consente di creare del<strong>le</strong> reti di contatti che aumentano <strong>le</strong> probab<strong>il</strong>ità<br />

per <strong>il</strong> lavoratore di trovare un’occupazione stabi<strong>le</strong> (seppure in un altro posto).<br />

Ma per alcuni <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> a termine può diventare una trappola: perché sussiste una<br />

se<strong>le</strong>zione avversa, ma anche perché l’aver svolto <strong>lavori</strong> a termine per un lungo periodo<br />

talvolta genera uno stigma, che porta a discriminare tali lavoratori in assenza di<br />

informazioni circa <strong>le</strong> loro qualità (dato che si suppone che la permanenza nel <strong>lavoro</strong> a<br />

termine sia sintomo di minore produttività). La probab<strong>il</strong>ità di trovare un <strong>lavoro</strong><br />

permanente cresce con la durata dei precedenti momenti d’occupazione (Gagliarducci,<br />

2005), ma decresce con l’aumentare del numero di queste esperienze: <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong><br />

temporaneo per sé non è pregiudizievo<strong>le</strong> per <strong>le</strong> opportunità di carriera futura, ma lo può<br />

essere la sua ripetizione. Come è stato sottolineato in precedenza, però, non tutti gli<br />

occupati a termine subiscono ta<strong>le</strong> condizione: ci sono infatti dei lavoratori <strong>temporanei</strong><br />

volontari. La quantificazione di un eventua<strong>le</strong> disagio è dunque quella che riguarda i<br />

lavoratori a termine involontari che siano in ta<strong>le</strong> condizione da almeno un anno (ovvero,<br />

<strong>il</strong> cui <strong>lavoro</strong> a termine abbia una durata comp<strong>le</strong>ssiva ugua<strong>le</strong> o superiore ai 12 mesi): questi<br />

27


Il <strong>lavoro</strong> che cambia<br />

Contributi tematici e Raccomandazioni<br />

sono 1,2 m<strong>il</strong>ioni di persone, di cui <strong>il</strong> 51,7 per cento sono donne. Ta<strong>le</strong> quantificazione è<br />

però estremamente ampia. Quantificazioni più stringenti permettono di individuare<br />

insiemi, ovviamente più ristretti, ma che probab<strong>il</strong>mente danno un’idea migliore dei disagi<br />

che questi lavoratori incontrano. Ad esempio i lavoratori a termine involontari da almeno<br />

due anni: 564m<strong>il</strong>a persone, di cui <strong>il</strong> 45 per cento donne. Come paragone si può<br />

considerare la platea di disoccupati di lunga durata: 722m<strong>il</strong>a quelli da almeno 12 mesi,<br />

449m<strong>il</strong>a quelli da almeno 24 mesi.<br />

Ulteriori restrizioni sulla durata comp<strong>le</strong>ssiva (36 mesi, ovvero quel discrimine che,<br />

cumulato in più contratti non necessariamente contigui, ma con <strong>il</strong> medesimo datore di<br />

<strong>lavoro</strong>, individua i potenziali interessati dalla trasformazione del <strong>lavoro</strong> a termine in<br />

<strong>lavoro</strong> permanente per effetto del<strong>le</strong> misure introdotte con <strong>il</strong> pacchetto welfare) restringe <strong>il</strong><br />

gruppo di questi lavoratori a 444m<strong>il</strong>a; all’incirca, lo stesso numero dei disoccupati da<br />

almeno un paio di anni. Secondo ta<strong>le</strong> definizione, dunque, è disagiato chi resta a lungo un<br />

lavoratore a termine, ovvero <strong>le</strong> potenziali vittime della cosiddetta “trappola del <strong>lavoro</strong> a<br />

termine”.<br />

Ma un indicatore di disagio, probab<strong>il</strong>mente ben più ri<strong>le</strong>vante della lunga durata di ta<strong>le</strong><br />

condizione, potrebbe essere la ricerca di un altro impiego: chi è in qualche misura<br />

soddisfatto del proprio <strong>lavoro</strong>, e dunque non disagiato, non ne cerca uno nuovo anche se<br />

con un contratto a termine. Dunque, l’ultima quantificazione che viene proposta riguarda<br />

gli occupati a termine da almeno 12 mesi che dichiarano, secondo i risultati della<br />

ri<strong>le</strong>vazione Istat sul<strong>le</strong> forze di <strong>lavoro</strong>, di essere alla ricerca di un nuovo <strong>lavoro</strong>: queste<br />

persone sono comp<strong>le</strong>ssivamente 157m<strong>il</strong>a, ovvero circa <strong>il</strong> 13 per cento dell’inizia<strong>le</strong><br />

quantificazione, ugualmente suddivisi tra uomini e donne. Tenendo conto della maggior<br />

frequenza di uomini sull’occupazione tota<strong>le</strong> (circa <strong>il</strong> 60 per cento), ne discende che <strong>le</strong><br />

donne hanno una probab<strong>il</strong>ità di far parte di questo gruppo relativamente maggiore.<br />

4. Alcune conclusioni<br />

È naturalmente diffici<strong>le</strong> trarre considerazioni di natura conclusiva dalla <strong>le</strong>ttura del<strong>le</strong><br />

statistiche sopra presentata. Va ricordato che la realtà del mercato del <strong>lavoro</strong> è molto<br />

differenziata al proprio interno e <strong>le</strong> molteplici posizioni che definiscono <strong>le</strong> caratteristiche<br />

dei cambiamenti vanno oltre la semplice articolazione secondo <strong>le</strong> tipologie contrattuali. In<br />

diversi casi, inoltre, lo stesso tipo di condizione professiona<strong>le</strong> maschera realtà molto<br />

diverse. Basti considerare i casi dei lavoratori autonomi che lavorano per pochi<br />

committenti, se non per uno solo. O quello dei lavoratori dipendenti di aziende molto<br />

picco<strong>le</strong> dove di fatto l’inquadramento da dipendente cela comportamenti assim<strong>il</strong>ab<strong>il</strong>i del<br />

tutto a quello del lavoratore autonomo. Ciò nondimeno, l’analisi del<strong>le</strong> matrici di<br />

transizione rende possibi<strong>le</strong> una risposta parzia<strong>le</strong> a diversi quesiti, se non altro perché<br />

fornisce una dimensione quantitativa ai fenomeni in esame.<br />

Possiamo riassumere quindi i principali risultati ottenuti come segue.<br />

Circa l’ingresso degli inattivi nel mercato del <strong>lavoro</strong>, l’aumento della domanda di<br />

<strong>lavoro</strong> del 2006 ha ridotto la probab<strong>il</strong>ità di restare disoccupati. L’aumento della domanda<br />

è stato concentrato nei contratti <strong>temporanei</strong>. Anche guardando <strong>il</strong> gruppo di quanti erano<br />

disoccupati l’anno prima, ancora una volta non sembra che l’inversione della domanda<br />

28


I <strong>lavori</strong> <strong>temporanei</strong> e <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stabi<strong>le</strong><br />

abbia favorito una maggiore propensione a transitare <strong>verso</strong> i contratti a tempo<br />

indeterminato.<br />

Dal punto di vista della transitorietà della posizione di lavoratore con contratto<br />

di<strong>verso</strong> dal tempo indeterminato, i risultati non sono però incoraggianti. Dei 2 m<strong>il</strong>ioni<br />

560m<strong>il</strong>a lavoratori con contratto a termine o in collaborazione del 2005, nel 2006 soltanto<br />

590m<strong>il</strong>a avevano modificato la propria posizione passando ad un contratto a tempo<br />

indeterminato, un m<strong>il</strong>ione e mezzo erano quelli che continuavano a lavorare mantenendo<br />

un impiego f<strong>le</strong>ssibi<strong>le</strong>, mentre ben 135m<strong>il</strong>a risultavano disoccupati nel 2006. Molti<br />

lavoratori non accedono quindi al contratto a tempo indeterminato e rimangono per più<br />

di un anno nel<strong>le</strong> nuove tipologie contrattuali. Peraltro, la conversione da contratti<br />

<strong>temporanei</strong> a permanenti è più frequente per i giovani che per i lavoratori in età matura.<br />

Anche fra questi ultimi i contratti a termine e <strong>le</strong> collaborazioni sono però molto frequenti.<br />

Pertanto, la persistenza nei contratti a termine aumenta per <strong>le</strong> coorti più anziane.<br />

L’evidenza che si coglie dall’analisi dei dati per fasce d’età conferma quindi la tesi per cui i<br />

contratti a termine non sono soltanto un passaggio transitorio.<br />

A rafforzare ta<strong>le</strong> risultato sta <strong>il</strong> fatto che la maggiore diffusione dei <strong>lavori</strong> a termine<br />

sia nel<strong>le</strong> regioni meridionali, dove è anche inferiore la probab<strong>il</strong>ità di transizione <strong>verso</strong> <strong>il</strong><br />

contratto a tempo indeterminato.<br />

Inoltre, è maggiore la probab<strong>il</strong>ità al Sud che i lavoratori con contratto a termine nel<br />

caso di mancato rinnovo tendano ad uscire dal mercato, abbandonando la ricerca.<br />

In conclusione, la dimensione dello stock di <strong>temporanei</strong> in Italia risulta tutto<br />

sommato contenuta, anche rispetto all’esperienza degli altri paesi. I dati paiono anche<br />

segnalare che nel corso della fase di ripresa dell’occupazione osservata nel corso del 2006,<br />

i lavoratori con questo tipo di contratti hanno visto diminuire, sia pur di poco, la<br />

probab<strong>il</strong>ità di transitare <strong>verso</strong> un <strong>lavoro</strong> permanente.<br />

Rispetto a quanto osservato per <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> nel periodo 2005-2006, tra <strong>il</strong> 2006 e<br />

2007, si osserva un calo del tasso di permanenza per i lavoratori dipendenti a termine, ad<br />

esclusivo favore del passaggio <strong>verso</strong> altre forme di occupazione (dipendente permanente<br />

e indipendente). I tassi di ricambio 7 risultano diminuiti per <strong>le</strong> tre forme di occupazione<br />

qui considerate: nel caso dei lavoratori <strong>temporanei</strong>, però, <strong>il</strong> calo è dato dalla riduzione del<br />

tasso di ingresso. Peraltro, va osservato come <strong>il</strong> tasso di ingresso <strong>verso</strong> l’occupazione<br />

temporanea si è ridotto solo quando la condizione di partenza è la non occupazione<br />

(disoccupazione, o inattività), mentre quando è un’altra forma di occupazione <strong>il</strong> tasso di<br />

ingresso risulta lievemente aumentato. Ad ogni modo, <strong>il</strong> calo comp<strong>le</strong>ssivo del tasso di<br />

ingresso più che compensa l’aumento, contenuto, osservato nel tasso di uscita. In<br />

particolare, è cresciuto <strong>verso</strong> altre forme di occupazione mentre <strong>verso</strong> la non occupazione<br />

è rimasto stabi<strong>le</strong>.<br />

Nel comp<strong>le</strong>sso, all’interno dell’occupazione sembra esserci maggiore mob<strong>il</strong>ità di<br />

status, mentre tra occupazione e non occupazione la mob<strong>il</strong>ità appare essersi ridotta.<br />

7 Per la descrizione di come i tassi di ricambio sono calcolati si rimanda al riquadro sul<strong>le</strong> matrici di transizione<br />

da e <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> autonomo.<br />

29


Il <strong>lavoro</strong> che cambia<br />

Contributi tematici e Raccomandazioni<br />

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I <strong>lavori</strong> <strong>temporanei</strong> e <strong>le</strong> <strong>transizioni</strong> <strong>verso</strong> <strong>il</strong> <strong>lavoro</strong> stabi<strong>le</strong><br />

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Il <strong>lavoro</strong> che cambia<br />

Contributi tematici e Raccomandazioni<br />

Hanno assicurato una collaborazione tecnica, scientifica ed organizzativa:<br />

Mario Bracco (Senato della Repubblica)<br />

Simona Montagnino (<strong>Cnel</strong>)<br />

A<strong>le</strong>ssandra Righi (Istat)<br />

Le opinioni espresse nei contributi rimangono di esclusiva responsab<strong>il</strong>ità degli autori.<br />

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