Anno IX - n. 1 - Consiglio dell'Ordine degli Avvocati Nocera Inferiore
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giurisprudenza aprile 2012<br />
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aprile 2012<br />
Dottrina<br />
visto nel generico ‘divieto di comunicare’ il divieto<br />
non solo di parlare direttamente, ma anche di<br />
comunicare attraverso altri strumenti, compresi<br />
quelli informatici, sia in forma verbale che scritta<br />
o con qualsiasi altra modalità che ponga in contatto<br />
l’indagato con terzi”. Insomma il generico<br />
“divieto di comunicare” con terze persone, non<br />
può essere inteso nell’accezione ristretta di parlare<br />
direttamente con persone estranee ai familiari<br />
conviventi ma in quella più ampia di comunicare,<br />
attraverso qualsiasi strumento o, con qualsiasi<br />
altra modalità che ponga in contatto l’indagato<br />
con terzi: insomma dai più rudimentali “pizzini”,<br />
ai gesti, alle comunicazioni televisive anche<br />
mediate, sino ad arrivare ai messaggi sul web.<br />
L’uso di internet non è interdetto, osserva la<br />
Corte, quando esso assolva a una “funzione meramente<br />
conoscitiva”.<br />
Il discrimen sarebbe, dunque, legato non tanto al<br />
mezzo in sé (che non può ritenersi illecito sic et<br />
simpliciter) ma piuttosto all’uso che di esso si faccia.<br />
Nel caso di specie, l’utilizzo di internet da<br />
parte del soggetto (nei cui confronti era stata<br />
ripristinata la custodia cautelare), non aveva una<br />
finalità conoscitiva bensì era finalizzato alla preparazione<br />
del progetto criminoso da attuare in<br />
occasione della liberazione di un altro complice,<br />
anch’egli ristretto in carcere.<br />
Se come precisato dalla Corte, l’illiceità non è nel<br />
mezzo in sé ma nell’uso che se ne fa, corretta<br />
appare la valutazione operata dal Tribunale circa<br />
il tenore illecito della conversazione telematica<br />
svoltasi tra il ricorrente e il suo complice, la quale<br />
non aveva carattere conoscitivo ma verteva sull’attuazione<br />
di un programma criminoso.<br />
Ragionevolmente, dunque, il Tribunale ha tratto<br />
da detta conversazione elementi di apprezzamento<br />
della gravità della condotta. Né, sostengono gli<br />
ermellini, il giudice a quo aveva bisogno di dare<br />
una risposta anche al contenuto della missiva,<br />
prodotta dal ricorrente, nel corso della udienza<br />
camerale, in quanto (Cass. Pen., Sezione IV, 24<br />
ottobre 2005 n. 1149, Rv 233187) “nella motivazione<br />
della sentenza il giudice di merito non è<br />
tenuto a compiere un’analisi approfondita di<br />
tutte le deduzioni delle parti e a prendere in<br />
esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali,<br />
essendo invece sufficiente che, anche attraverso<br />
una valutazione globale di quelle deduzioni<br />
e risultanze, spieghi in modo logico e adeguato, le<br />
ragioni che hanno determinato il suo convincimento,<br />
dimostrando di aver tenuto presente ogni<br />
fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi<br />
implicitamente disattese le deduzioni difensive<br />
che, anche se non espressamente confutate, siano<br />
logicamente incompatibili con la decisione adottata<br />
e ravvisare, quindi, la superfluità delle deduzioni<br />
suddette”. Del resto, riguardo ai limiti di<br />
sindacabilità in questa sede dei provvedimenti<br />
“de libertate”, secondo la giurisprudenza consolidata,<br />
la Corte di Cassazione non ha alcun potere<br />
di revisione <strong>degli</strong> elementi materiali e fattuali<br />
delle vicende indagate, tra cui la rivalutazione<br />
delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione<br />
alle esigenze cautelari e alla adeguatezza<br />
delle misure, trattandosi di apprezzamenti di<br />
merito rientranti nel compito esclusivo del giudice<br />
che ha applicato la misura e del riesame. Il controllo<br />
di legittimità è quindi circoscritto all’esame<br />
del contenuto dell’atto impugnato per verificare,<br />
da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno<br />
determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti,<br />
ossia la congruità delle argomentazioni<br />
rispetto al fine giustificativo del provvedimento<br />
(Cassazione Pen., Sezione IV, n. 2146 del 25 maggio<br />
1995, Rv 201839). Alla luce di quanto esposto,<br />
i giudici del Supremo Collegio hanno dichiarato<br />
l’inammissibilità del ricorso con conseguente<br />
condanna del ricorrente alle spese processuali.<br />
La sentenza della Corte ha dunque convalidato la<br />
decisione del Tribunale di Lecce: internet va bene<br />
ma i social networks no. Dai domiciliari si torna<br />
in cella! Ancora una volta la Cassazione, pronunciando<br />
su argomenti estremamente attuali e<br />
moderni, getta una ventata di freschezza sul diritto<br />
intervenendo a fornire regolamentazione ad<br />
aspetti e situazioni che, altrimenti, resterebbero<br />
privi di disciplina. Dopo la sentenza in commento,<br />
sempre nell’ottica dello svecchiamento del<br />
diritto, sarebbe auspicabile un ulteriore intervento<br />
esplicativo <strong>degli</strong> ermellini diretto a disegnare il<br />
confine, a tracciare la differenza tra manifestare il<br />
proprio pensiero, sia pure attraverso un mezzo di<br />
comunicazione potenzialmente illimitato, quale<br />
la Rete, e comunicare volutamente (ed in aperta<br />
violazione delle prescrizioni imposte) con soggetti<br />
terzi conosciuti e determinati. In ogni caso, per<br />
il momento gli indagati sono avvisati: che si trattengano<br />
dal cinguettare, se non vogliono tornare<br />
dietro le sbarre.<br />
5 marzo 2012<br />
Mediazione e usucapione.<br />
Barbara BarbatoH<br />
Al fine di deflazionare il carico giudiziario dei<br />
Tribunali italiani, ormai al collasso, su direttiva<br />
2008/52/CE del Parlamento Europeo e del<br />
<strong>Consiglio</strong> del 21 maggio 2008, con decreto legislativo<br />
20 marzo 2010, n. 28, è stato introdotto in<br />
Italia il nuovo istituto della Mediazione Civile e<br />
Commerciale finalizzato alla Conciliazione. Tale<br />
nuovo istituto processuale regolato dall’articolo<br />
24 del decreto legislativo n. 28/2010, impone al<br />
cittadino che, prima di adire le vie legali, deve<br />
obbligatoriamente passare attraverso il “filtro”<br />
del tentativo della mediazione. Quest’ultima<br />
(mediazione) ha come primo obiettivo quello di<br />
dare assistenza alle parti nella ricerca di una composizione<br />
non giudiziale di una controversia. La<br />
conciliazione deve essere annoverata tra i sistemi<br />
ADR (Alternative Dispute Resolution) ossia iniziative<br />
dirette a dirimere conflitti al di fuori di un<br />
contesto giudiziario prescindendo dalla decisione<br />
di un giudice.<br />
“La conciliazione è una negoziazione facilitata<br />
che si svolge sotto il controllo di un terzo, il conciliatore,<br />
il quale guida le parti per il raggiungimento<br />
di un accordo satisfattorio per entrambe,<br />
con la auspicata possibilità di porre le stesse in<br />
una situazione migliore di quella in cui versavano<br />
in precedenza”.<br />
Il termine conciliazione traduce la parola inglese<br />
“mediation”; nel nostro ordinamento la conciliazione<br />
di cui trattiamo non può essere indicata,<br />
attuando una traduzione letterale dall’inglese,<br />
con l’espressione “mediazione” atteso che l’ordinamento<br />
giuridico italiano conosce già un istituto<br />
denominato mediazione, qual è la “mediazione<br />
di affari” prevista dall’articolo 1754 c.c., a mente<br />
del quale “È mediatore colui che mette in relazione<br />
due o più parti per la conclusione di un affare,<br />
senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti<br />
di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”.<br />
La conciliazione, il cui impiego risale al periodo<br />
sumerico, è un istituto che in epoca moderna si è<br />
diffuso in modo significativo nel mondo anglosassone,<br />
dove è certamente il più in uso tra i<br />
numerosi sistemi ADR.<br />
In Italia la conciliazione, quale sistema ADR, solo<br />
di recente ha iniziato a diffondersi. In particolare,<br />
la conciliazione stragiudiziale professionale nel<br />
nostro paese è stata creata ed applicata per la<br />
prima volta dalle Camere di Commercio grazie<br />
alla legge 580/93, emanata per il “Riordinamento<br />
delle Camere di Commercio, Industria,<br />
Artigianato, Agricoltura”, che ha contemplato la<br />
creazione di commissioni conciliative per la risoluzione<br />
di controversie tra imprenditori e tra consumatori<br />
ed imprenditori. Poi, è seguita la legge<br />
n. 481/95 che ha previsto la possibilità che le controversie<br />
tra utenti e gestori dei servizi di pubblica<br />
utilità potessero essere rimesse a commissioni<br />
conciliative istituite presso le Camere di<br />
Commercio. Infine, la legge n. 281/98 ha previsto<br />
la possibilità di espletare, prima del giudizio, una<br />
conciliazione presso le Camere di Commercio<br />
avente ad oggetto una controversia riguardante i<br />
consumatori e gli utenti, da attivare a cura di<br />
organismi pubblici indipendenti, dalle associazioni<br />
dei consumatori e dalle organizzazioni riconosciute<br />
in un altro Stato membro. La legge n.<br />
135/2001, che ha modificato la disciplina nazionale<br />
sul turismo, ha previsto la costituzione di<br />
commissioni arbitrali presso le Camere di<br />
Commercio per la risoluzione delle controversie<br />
insorte a seguito della fornitura di servizi turistici<br />
tra imprenditori e tra consumatori ed imprenditori.<br />
Il quadro normativo in materia di conciliazione<br />
stragiudiziale professionale si è arricchito sensibilmente<br />
con l’emanazione del decreto legislativo<br />
del 17 gennaio 2003 n. 5, che ha modificato profondamente<br />
la disciplina societaria e bancaria. La<br />
citata normativa, tra le altre cose, prevede che le<br />
controversie eventualmente insorte nell’ambito<br />
dei rapporti contemplati dall’articolo 1 del decreto<br />
legislativo n. 5/2003 (rapporti societari, trasferimento<br />
di partecipazioni sociali, patti parasociali,<br />
rapporti in materia di intermediazione mobiliare,<br />
materie di cui al T.U. bancario, credito per le<br />
opere pubbliche) possano essere risolte mediante<br />
una conciliazione stragiudiziale, secondo le<br />
modalità di cui agli articoli 38 e ss.<br />
Con l’emanazione del decreto legislativo 19 febbraio<br />
2010, n. 28, di attuazione della delega contemplata<br />
all’articolo 60 della legge 18 giugno<br />
2009, n. 69, “in materia di mediazione e di conciliazione<br />
delle controversie civili e commerciali”, il<br />
termine mediazione è entrato a pieno titolo nel<br />
nostro sistema, a designare, per quel che si legge<br />
all’articolo 1 del decreto, “l’attività, comunque<br />
denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata<br />
ad assistere due o più soggetti sia nella<br />
ricerca di un accordo amichevole per la composizione<br />
di una controversia, sia nella formulazione<br />
di una proposta per la risoluzione della stessa”;<br />
laddove, invece, alla conciliazione è riservato il<br />
significato dell’atto conclusivo, di “composizione<br />
di una controversia a seguito dello svolgimento<br />
della mediazione”.<br />
Il decreto legislativo ha inteso introdurre una<br />
disciplina organica della mediazione nelle controversie<br />
civili e commerciali, aventi ad oggetto dirit-