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Anno IX - n. 1 - Consiglio dell'Ordine degli Avvocati Nocera Inferiore

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24<br />

giurisprudenza aprile 2012<br />

25<br />

aprile 2012<br />

Dottrina<br />

visto nel generico ‘divieto di comunicare’ il divieto<br />

non solo di parlare direttamente, ma anche di<br />

comunicare attraverso altri strumenti, compresi<br />

quelli informatici, sia in forma verbale che scritta<br />

o con qualsiasi altra modalità che ponga in contatto<br />

l’indagato con terzi”. Insomma il generico<br />

“divieto di comunicare” con terze persone, non<br />

può essere inteso nell’accezione ristretta di parlare<br />

direttamente con persone estranee ai familiari<br />

conviventi ma in quella più ampia di comunicare,<br />

attraverso qualsiasi strumento o, con qualsiasi<br />

altra modalità che ponga in contatto l’indagato<br />

con terzi: insomma dai più rudimentali “pizzini”,<br />

ai gesti, alle comunicazioni televisive anche<br />

mediate, sino ad arrivare ai messaggi sul web.<br />

L’uso di internet non è interdetto, osserva la<br />

Corte, quando esso assolva a una “funzione meramente<br />

conoscitiva”.<br />

Il discrimen sarebbe, dunque, legato non tanto al<br />

mezzo in sé (che non può ritenersi illecito sic et<br />

simpliciter) ma piuttosto all’uso che di esso si faccia.<br />

Nel caso di specie, l’utilizzo di internet da<br />

parte del soggetto (nei cui confronti era stata<br />

ripristinata la custodia cautelare), non aveva una<br />

finalità conoscitiva bensì era finalizzato alla preparazione<br />

del progetto criminoso da attuare in<br />

occasione della liberazione di un altro complice,<br />

anch’egli ristretto in carcere.<br />

Se come precisato dalla Corte, l’illiceità non è nel<br />

mezzo in sé ma nell’uso che se ne fa, corretta<br />

appare la valutazione operata dal Tribunale circa<br />

il tenore illecito della conversazione telematica<br />

svoltasi tra il ricorrente e il suo complice, la quale<br />

non aveva carattere conoscitivo ma verteva sull’attuazione<br />

di un programma criminoso.<br />

Ragionevolmente, dunque, il Tribunale ha tratto<br />

da detta conversazione elementi di apprezzamento<br />

della gravità della condotta. Né, sostengono gli<br />

ermellini, il giudice a quo aveva bisogno di dare<br />

una risposta anche al contenuto della missiva,<br />

prodotta dal ricorrente, nel corso della udienza<br />

camerale, in quanto (Cass. Pen., Sezione IV, 24<br />

ottobre 2005 n. 1149, Rv 233187) “nella motivazione<br />

della sentenza il giudice di merito non è<br />

tenuto a compiere un’analisi approfondita di<br />

tutte le deduzioni delle parti e a prendere in<br />

esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali,<br />

essendo invece sufficiente che, anche attraverso<br />

una valutazione globale di quelle deduzioni<br />

e risultanze, spieghi in modo logico e adeguato, le<br />

ragioni che hanno determinato il suo convincimento,<br />

dimostrando di aver tenuto presente ogni<br />

fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi<br />

implicitamente disattese le deduzioni difensive<br />

che, anche se non espressamente confutate, siano<br />

logicamente incompatibili con la decisione adottata<br />

e ravvisare, quindi, la superfluità delle deduzioni<br />

suddette”. Del resto, riguardo ai limiti di<br />

sindacabilità in questa sede dei provvedimenti<br />

“de libertate”, secondo la giurisprudenza consolidata,<br />

la Corte di Cassazione non ha alcun potere<br />

di revisione <strong>degli</strong> elementi materiali e fattuali<br />

delle vicende indagate, tra cui la rivalutazione<br />

delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione<br />

alle esigenze cautelari e alla adeguatezza<br />

delle misure, trattandosi di apprezzamenti di<br />

merito rientranti nel compito esclusivo del giudice<br />

che ha applicato la misura e del riesame. Il controllo<br />

di legittimità è quindi circoscritto all’esame<br />

del contenuto dell’atto impugnato per verificare,<br />

da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno<br />

determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti,<br />

ossia la congruità delle argomentazioni<br />

rispetto al fine giustificativo del provvedimento<br />

(Cassazione Pen., Sezione IV, n. 2146 del 25 maggio<br />

1995, Rv 201839). Alla luce di quanto esposto,<br />

i giudici del Supremo Collegio hanno dichiarato<br />

l’inammissibilità del ricorso con conseguente<br />

condanna del ricorrente alle spese processuali.<br />

La sentenza della Corte ha dunque convalidato la<br />

decisione del Tribunale di Lecce: internet va bene<br />

ma i social networks no. Dai domiciliari si torna<br />

in cella! Ancora una volta la Cassazione, pronunciando<br />

su argomenti estremamente attuali e<br />

moderni, getta una ventata di freschezza sul diritto<br />

intervenendo a fornire regolamentazione ad<br />

aspetti e situazioni che, altrimenti, resterebbero<br />

privi di disciplina. Dopo la sentenza in commento,<br />

sempre nell’ottica dello svecchiamento del<br />

diritto, sarebbe auspicabile un ulteriore intervento<br />

esplicativo <strong>degli</strong> ermellini diretto a disegnare il<br />

confine, a tracciare la differenza tra manifestare il<br />

proprio pensiero, sia pure attraverso un mezzo di<br />

comunicazione potenzialmente illimitato, quale<br />

la Rete, e comunicare volutamente (ed in aperta<br />

violazione delle prescrizioni imposte) con soggetti<br />

terzi conosciuti e determinati. In ogni caso, per<br />

il momento gli indagati sono avvisati: che si trattengano<br />

dal cinguettare, se non vogliono tornare<br />

dietro le sbarre.<br />

5 marzo 2012<br />

Mediazione e usucapione.<br />

Barbara BarbatoH<br />

Al fine di deflazionare il carico giudiziario dei<br />

Tribunali italiani, ormai al collasso, su direttiva<br />

2008/52/CE del Parlamento Europeo e del<br />

<strong>Consiglio</strong> del 21 maggio 2008, con decreto legislativo<br />

20 marzo 2010, n. 28, è stato introdotto in<br />

Italia il nuovo istituto della Mediazione Civile e<br />

Commerciale finalizzato alla Conciliazione. Tale<br />

nuovo istituto processuale regolato dall’articolo<br />

24 del decreto legislativo n. 28/2010, impone al<br />

cittadino che, prima di adire le vie legali, deve<br />

obbligatoriamente passare attraverso il “filtro”<br />

del tentativo della mediazione. Quest’ultima<br />

(mediazione) ha come primo obiettivo quello di<br />

dare assistenza alle parti nella ricerca di una composizione<br />

non giudiziale di una controversia. La<br />

conciliazione deve essere annoverata tra i sistemi<br />

ADR (Alternative Dispute Resolution) ossia iniziative<br />

dirette a dirimere conflitti al di fuori di un<br />

contesto giudiziario prescindendo dalla decisione<br />

di un giudice.<br />

“La conciliazione è una negoziazione facilitata<br />

che si svolge sotto il controllo di un terzo, il conciliatore,<br />

il quale guida le parti per il raggiungimento<br />

di un accordo satisfattorio per entrambe,<br />

con la auspicata possibilità di porre le stesse in<br />

una situazione migliore di quella in cui versavano<br />

in precedenza”.<br />

Il termine conciliazione traduce la parola inglese<br />

“mediation”; nel nostro ordinamento la conciliazione<br />

di cui trattiamo non può essere indicata,<br />

attuando una traduzione letterale dall’inglese,<br />

con l’espressione “mediazione” atteso che l’ordinamento<br />

giuridico italiano conosce già un istituto<br />

denominato mediazione, qual è la “mediazione<br />

di affari” prevista dall’articolo 1754 c.c., a mente<br />

del quale “È mediatore colui che mette in relazione<br />

due o più parti per la conclusione di un affare,<br />

senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti<br />

di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”.<br />

La conciliazione, il cui impiego risale al periodo<br />

sumerico, è un istituto che in epoca moderna si è<br />

diffuso in modo significativo nel mondo anglosassone,<br />

dove è certamente il più in uso tra i<br />

numerosi sistemi ADR.<br />

In Italia la conciliazione, quale sistema ADR, solo<br />

di recente ha iniziato a diffondersi. In particolare,<br />

la conciliazione stragiudiziale professionale nel<br />

nostro paese è stata creata ed applicata per la<br />

prima volta dalle Camere di Commercio grazie<br />

alla legge 580/93, emanata per il “Riordinamento<br />

delle Camere di Commercio, Industria,<br />

Artigianato, Agricoltura”, che ha contemplato la<br />

creazione di commissioni conciliative per la risoluzione<br />

di controversie tra imprenditori e tra consumatori<br />

ed imprenditori. Poi, è seguita la legge<br />

n. 481/95 che ha previsto la possibilità che le controversie<br />

tra utenti e gestori dei servizi di pubblica<br />

utilità potessero essere rimesse a commissioni<br />

conciliative istituite presso le Camere di<br />

Commercio. Infine, la legge n. 281/98 ha previsto<br />

la possibilità di espletare, prima del giudizio, una<br />

conciliazione presso le Camere di Commercio<br />

avente ad oggetto una controversia riguardante i<br />

consumatori e gli utenti, da attivare a cura di<br />

organismi pubblici indipendenti, dalle associazioni<br />

dei consumatori e dalle organizzazioni riconosciute<br />

in un altro Stato membro. La legge n.<br />

135/2001, che ha modificato la disciplina nazionale<br />

sul turismo, ha previsto la costituzione di<br />

commissioni arbitrali presso le Camere di<br />

Commercio per la risoluzione delle controversie<br />

insorte a seguito della fornitura di servizi turistici<br />

tra imprenditori e tra consumatori ed imprenditori.<br />

Il quadro normativo in materia di conciliazione<br />

stragiudiziale professionale si è arricchito sensibilmente<br />

con l’emanazione del decreto legislativo<br />

del 17 gennaio 2003 n. 5, che ha modificato profondamente<br />

la disciplina societaria e bancaria. La<br />

citata normativa, tra le altre cose, prevede che le<br />

controversie eventualmente insorte nell’ambito<br />

dei rapporti contemplati dall’articolo 1 del decreto<br />

legislativo n. 5/2003 (rapporti societari, trasferimento<br />

di partecipazioni sociali, patti parasociali,<br />

rapporti in materia di intermediazione mobiliare,<br />

materie di cui al T.U. bancario, credito per le<br />

opere pubbliche) possano essere risolte mediante<br />

una conciliazione stragiudiziale, secondo le<br />

modalità di cui agli articoli 38 e ss.<br />

Con l’emanazione del decreto legislativo 19 febbraio<br />

2010, n. 28, di attuazione della delega contemplata<br />

all’articolo 60 della legge 18 giugno<br />

2009, n. 69, “in materia di mediazione e di conciliazione<br />

delle controversie civili e commerciali”, il<br />

termine mediazione è entrato a pieno titolo nel<br />

nostro sistema, a designare, per quel che si legge<br />

all’articolo 1 del decreto, “l’attività, comunque<br />

denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata<br />

ad assistere due o più soggetti sia nella<br />

ricerca di un accordo amichevole per la composizione<br />

di una controversia, sia nella formulazione<br />

di una proposta per la risoluzione della stessa”;<br />

laddove, invece, alla conciliazione è riservato il<br />

significato dell’atto conclusivo, di “composizione<br />

di una controversia a seguito dello svolgimento<br />

della mediazione”.<br />

Il decreto legislativo ha inteso introdurre una<br />

disciplina organica della mediazione nelle controversie<br />

civili e commerciali, aventi ad oggetto dirit-

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