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Omar cop 18 - ITI Omar

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Novembre 2006 - Anno IX<br />

Spedizione in abbonamento postale 70% - DC/DCI - Novara<br />

OMARnuovo<br />

periodico di cultura e di vita dell’insieme omarista<br />

(I.T.I. <strong>Omar</strong>, Associazione <strong>Omar</strong>isti, Fondazione <strong>Omar</strong>)<br />

seguito de “l’OMAR” fondato nel 1963 da Luigi Buscaglia<br />

<strong>18</strong>


Viale Volta, 85 - Tel. 0321 611150 - Fax 0321 620797


OMAR<br />

periodico di cultura e di vita<br />

dell’insieme omarista<br />

(I.T.I. <strong>Omar</strong>,<br />

Associazione <strong>Omar</strong>isti,<br />

Fondazione <strong>Omar</strong>)<br />

seguito de “l’OMAR”<br />

fondato nel 1963<br />

da Luigi Buscaglia<br />

“OMAR nuovo” n. <strong>18</strong><br />

Novembre 2006 - Anno IX<br />

Direttore responsabile<br />

Dorino Tuniz<br />

Direttore<br />

Marco Parsini<br />

Comitato di Redazione<br />

Stefano Accomazzi,<br />

Silvano Andorno,<br />

Valeriano Dell’Era,<br />

Giampietro Morreale,<br />

Franco Pianca,<br />

Francesco Romano<br />

Segretario di Redazione<br />

Franco La Sala<br />

Proprietaria<br />

Associazione <strong>Omar</strong>isti<br />

nuovo<br />

Direzione, Redazione,<br />

Amministrazione<br />

baluardo La Marmora, 12 - Novara -<br />

telefono e fax 0321 33209<br />

www.itiomar.net<br />

omaristi@itiomar.net<br />

Iscrizione del Tribunale di Novara<br />

al n. 2/98 del<br />

Registro della Stampa Periodica<br />

S O M M A R I O<br />

Questo fascicolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 3<br />

Studi e informazioni culturali<br />

G. ANDENNA – La politica di popolamento del Comune<br />

di Novara nel territorio tra Sesia e Ticino. Le origini<br />

e l’evoluzione in età medioevale di Borgomanero . . . » 5<br />

L. PEZZOLLA PAGANIN – Arte orafa nell’antico Egitto . . . . . . . . . . . » 12<br />

L. PIAZZO – Controlli dimensionali in campo automotive . . . . . . » 16<br />

C. CARPANI – L’avvento della stampa a Novara<br />

3° - La produzione tipografica novarese nel XVI secolo » 19<br />

M. MATTEI E ALTRI – La paciòliga.<br />

Sapori, colori, onori della tavola di montagna (2° parte) » 25<br />

M. ROSCI – Osvaldo Provvidone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 31<br />

G. ROMANO – “Lo sbadiglio” e “L’irritazione” (poesie) . . . . . ... » 33<br />

Istituto Tecnico Industriale <strong>Omar</strong><br />

Convegno “Robotica: dalla scuola all’azienda” . . . . . . . . . . . » 34<br />

Diplomati nel 2006 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 35<br />

Associazione <strong>Omar</strong>isti<br />

L’assemblea del 28 maggio 2006 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 37<br />

Fondazione <strong>Omar</strong><br />

Economia<br />

L. MANFREDINI E ALTRI – Il decreto 223/2006<br />

(c.d. “Manovra Prodi”) Struttura<br />

del provvedimento e riepilogo novità fiscali<br />

(in sintesi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 38<br />

Fondazione Tera<br />

Incontro-convegno “Elettricità per la ricerca sul cancro”<br />

U. AMALDI - L’elettricità: dalla s<strong>cop</strong>erta al suo uso<br />

nella terapia dei tumori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 42<br />

E. BAICI - L’attività innovativa in Provincia di Novara . . » 50<br />

S. BACCINI - L’attività di ricerca della Fondazione Tera . » 54<br />

Spigolature<br />

Giochi matematici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 63<br />

G. ALBERTI – Motivazioni esilaranti di sinistri stradali . . . . . » 64<br />

Le opinioni degli Autori<br />

non impegnano la Direzione<br />

La rivista non è in vendita<br />

Spedizione in abbonamento postale<br />

70% - DC/DCI Novara<br />

Nuova Tipografia S. Gaudenzio S.r.l.<br />

Novara<br />

Prezzi per la pubblicità: una pagina in bianco e nero € 260,00;<br />

mezza pagina in bianco e nero € 155,00; a colori: una pagina<br />

€ 390,00; mezza pagina € 285,00<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 1<br />

nuovo


Questo fascicolo…<br />

… è leggibile (come il precedente) in Internet sul sito www.itiomar.net.<br />

Per sopraggiunte impreviste difficoltà, la seconda parte del poderoso lavoro dell’ing.<br />

Basilio Catania “I molti aspetti dell’informazione” sarà pubblicata sul numero successivo.<br />

Questo numero si arricchisce di una nuova prestigiosa firma: il prof. Giancarlo Andenna,<br />

da buon novarese, presenta “La politica di popolamento del Comune di Novara<br />

nel territorio tra Sesia e Ticino. Le origini e l’evoluzione in età medioevale di Borgomanero”.<br />

G. Andenna è uno dei maggiori esperti di storia medioevale. Attualmente<br />

ri<strong>cop</strong>re la carica di professore ordinario presso la Facoltà di Lettere dell’Università<br />

Cattolica di Milano ove è coordinatore del settore medioevistico della Scuola<br />

di Dottorato di Ricerca e nel contempo direttore del Dipartimento di Studi Medioevali<br />

Umanistici e Rinascimentali. Inoltre, presso l’Università di Dresda (Germania)<br />

è Projekleiter del progetto W: Stadtkultur und Klosterkultur in der mittelalterlische Lombardei.<br />

La prof.a Laura Pezzolla Paganin ci offre un nuovo flash sulla civiltà dell’Egitto dei faraoni<br />

con l’articolo “Arte orafa nell’antico Egitto”.<br />

La terza parte dell’opera “L’avvento della stampa a Novara” della dott.a Chiara<br />

Carpani è dedicata alla “Produzione tipografica novarese nel XVI secolo”.<br />

Si conclude il gustoso lavoro della dott.a Monica Mattei ”La paciòliga. Sapori, colori,<br />

onori della tavola di montagna”; non mancano allegri episodi conviviali di letterati,<br />

musicisti e pittori.<br />

L’ing. Lucia Piazzo, nell’articolo “Controlli dimensionali in campo automotive”, illustra<br />

la tecnologia molto avanzata della pressocolata e della metallizzazione di parabole<br />

in alluminio per fari automobilistici adottata dalla Tecnomeccanica S.r.L.<br />

Osvaldo Provvidone è un omarista artista che ha lasciato una traccia nell’arte pittorica.<br />

Ha espresso il suo mondo di sogno e di fantasia dapprima con tecnica neocubista<br />

d’avanguardia, per poi passare all’informale. Ce ne parla il critico d’arte prof.<br />

Marco Rosci.<br />

Quest’anno si sono tenuti a Novara importanti convegni scientifici. In particolare, nell’ambito<br />

della Fiera Elettrica della Comoli Ferrari & C. S.p.A., la Fondazione Tera ha organizzato<br />

l’incontro – convegno “Elettricità per la ricerca sul cancro”, con interventi<br />

di illustri relatori. Si riportano le relazioni, molto interessanti, del prof. Ugo Amaldi, della<br />

prof.a Eliana Baici e del dott. Saverio Braccini.<br />

L’Istituto <strong>Omar</strong> ha organizzato il convegno ”Robotica: dalla scuola all’azienda”. Se<br />

ne dà notizia nella rubrica dedicata all’Istituto.<br />

Merita, infine, una segnalazione la sintetica presentazione del dott. Manfredini del<br />

decreto 223/2006, la così detta “Manovra Prodi” nella rubrica della Fondazione<br />

<strong>Omar</strong>.<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 3<br />

nuovo


Studi e informazioni culturali <br />

La politica di popolamento del Comune di Novara nel territorio tra Sesia e Ticino:<br />

Le origini e l’evoluzione<br />

in età medioevale di Borgomanero<br />

Giancarlo Andenna<br />

I problemi generali del popolamento<br />

in età comunale<br />

Gli uomini costituiscono da sempre il motore fondamentale<br />

della storia e pertanto il problema cruciale<br />

di chi governa è quello del loro controllo e del loro<br />

dominio. Ciò è tanto più vero per i periodi in cui la<br />

presenza umana fu scarsa e basso fu il rapporto tra<br />

il numero degli abitanti e la superficie del territorio<br />

su cui essi vivevano. Questa situazione si era verificata<br />

nel corso dell’alto Medioevo, ma a partire almeno<br />

dalla seconda metà del X secolo era iniziata<br />

una lenta ripresa demografica, che permise alle popolazioni<br />

della pianura padana la messa a coltura di<br />

nuove terre e lo sviluppo della coltivazione di nuovi<br />

prodotti agricoli. Per difendere l’aumentata produzione<br />

e insieme per concentrare i contadini in luoghi<br />

sicuri, ove nel contempo potessero essere anche<br />

controllati e dominati, si sviluppò l’ampio fenomeno<br />

sociale, militare ed amministrativo dell’incastellamento,<br />

di cui ha parlato il Settia. A volere tale trasformazione<br />

delle campagne furono contemporaneamente<br />

sia i rustici, sia i grandi proprietari terrieri,<br />

che erano anche signori delle loro terre e degli abitanti<br />

che su di esse lavoravano, in quanto amministravano<br />

la giustizia, riscuotevano i tributi e gestivano<br />

gli interventi di pubblica utilità, come la riparazione<br />

dei castelli e delle chiese, l’imbrigliamento delle<br />

acque dei fiumi, l’edificazione dei ponti, o il mantenimento<br />

dei porti fluviali e la gestione del mercato. Il<br />

fenomeno dell’incastellamento, in quanto offriva anche<br />

indubbie utilità ai rustici, i quali potevano usufruire<br />

di case e di magazzini a basso canone di affitto<br />

entro le fortezze, crebbe per tutto il corso del X e<br />

dell’XI secolo, sino al momento in cui iniziò a svilupparsi<br />

il fenomeno socio-politico ed economico della<br />

civiltà comunale, le cui prime manifestazioni sono<br />

riscontrabili in Lombardia tra la fine dell’XI secolo ed<br />

i primi decenni del XII.<br />

Anche a Novara, l’antica città romana da cui dipendeva<br />

un tempo il lungo e stretto territorio compreso<br />

tra la Sesia ed il Ticino e delimitato dai monti<br />

dell’Ossola e dal Lago Maggiore, la civiltà comunale<br />

è attestata per la prima volta tra il 1116, anno in cui<br />

l’imperatore Enrico V concesse dei privilegi ai cittadini<br />

novaresi, ed il 1139, quando appaiono attivi i<br />

primi consoli del Comune, impegnati a risolvere una<br />

complessa questione di diritti sull’uso delle acque.<br />

Tuttavia gli uomini che governavano la vita politica<br />

del Comune appartenevano quasi tutti al ceto feudale<br />

dei vassalli del vescovo, avevano ampie proprietà<br />

nelle campagne, possedevano castelli e controllavano<br />

gli uomini che lavoravano le loro terre. Essi<br />

costituivano una nuova aristocrazia che nel corso<br />

dell’XI secolo si era affiancata a quella più antica<br />

delle famiglie comitali che avevano dominato nella<br />

contea di Pombia. Proprio mentre si affermava l’importanza<br />

politica e socio-economica dei vassalli del<br />

vescovo, detti capitanei di pieve, se tenevano direttamente<br />

il beneficio feudale dal presule, o valvassori,<br />

cioè vassalli di vassalli, se lo avevano ottenuto<br />

tramite l’investitura concessa dai capitanei, il gruppo<br />

comitale dei Pombia si era diviso in tre rami: i conti<br />

da Castello, i conti di Biandrate ed i conti del Canavese,<br />

ciascuno dei quali era destinato a suddividersi<br />

ulteriormente in numerose casate. In altri termini,<br />

la forza delle famiglie comitali, tutte residenti nel<br />

contado, si indeboliva, mentre cresceva la potenza<br />

militare, economica e sociale dei capitanei e dei valvassori,<br />

i quali, pur possedendo castelli in campagna,<br />

risiedevano in città, per poter servire il vescovo,<br />

ed uniti nell’istituzione comunale controllavano tutti<br />

gli abitanti del centro urbano e dei sobborghi, gli introiti<br />

e le merci del mercato cittadino, i proventi delle<br />

imposte del regno, nonché il gettito della tassazione<br />

sacramentale della decima, elementi che costituivano<br />

una immensa fonte di ricchezza e di potere politico<br />

e militare. Lo scontro tra i due gruppi feudali,<br />

cioè tra la feudalità comitale e quella ecclesiastica,<br />

avvenne nell’età del Barbarossa e si concluse nel<br />

1<strong>18</strong>3 con la pace di Costanza che, se da una parte<br />

riconobbe la legittimità delle istituzioni comunali che<br />

avevano combattuto contro l’imperatore, dall’altra<br />

salvaguardava i diritti degli antichi vassalli imperiali<br />

e dei conti, che si erano battuti per l’impero ed avevano<br />

ottenuto dal sovrano il riconoscimento pieno<br />

dei lori diritti sui castelli, sui villaggi e soprattutto sui<br />

rispettivi abitanti, i quali coltivavano le terre, producevano<br />

oggetti artigianali, allevavano il bestiame. La<br />

situazione di equilibrio tra i due gruppi di potere, a<br />

cui corrispondevano anche pari forze militari, come<br />

testimoniano i numerosi gruppi di cavalieri insediati<br />

a Biandrate e nei castelli contermini, durò sino al<br />

1<strong>18</strong>7, quando i due Comuni di Novara e di Vercelli si<br />

scontrarono per la conquista e l’utilizzazione delle<br />

acque della Sesia. Nel 1<strong>18</strong>7 infatti si combatteva tra<br />

Novara e Vercelli una guerra aspra, tendente al dominio<br />

della bassa Valsesia, delle acque del fiume e<br />

dei principali castelli che sorgevano lungo le rive, dai<br />

quali era possibile controllare i lavori di scavo delle<br />

rogge attività in cui i due Comuni erano ormai pie-<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 5<br />

nuovo


namente impegnati. Novara e Vercelli, spinte da interessi<br />

economico-politici imposti dalla ricerca della<br />

forza motrice del loro sviluppo agricolo, artigianale<br />

ed imprenditoriale, cioè delle acque correnti, ricercarono<br />

alleati tra le famiglie comitali e signorili della<br />

zona: i da Castello parteggiarono per Novara, i conti<br />

di Biandrate per Vercelli. Tuttavia la classe dirigente<br />

comunale novarese, non fidandosi di questi<br />

alleati e per colpire la potenza dei conti Ottone e<br />

Guido di Biandrate, saldamente ubicati nel Medio<br />

Novarese, mirò a scardinare la struttura insediativa<br />

e l’organizzazione sociale del territorio tra Romagnano<br />

ed Arona, chiave di volta per l’esercizio del<br />

potere a nord dei laghi. La linea critica di possibile<br />

scontro si snodava da Romagnano, sede di un’antica<br />

abbazia e centro di un ramo della famiglia marchionale<br />

arduinica di Torino, a Lupiate, forte castello<br />

sul Ticino, proprio di fronte a Castelletto, appartenente<br />

ai conti da Castello, attraverso Cureggio, pieve<br />

e fortezza al centro della pianura, lungo la via di<br />

Francia, o francisca.<br />

La creazione dei Borghifranchi novaresi<br />

6 OMAR<br />

nuovo<br />

L’opera di scardinamento dell’antico assetto insediativo<br />

fu attuata dalla classe dirigente del Comune<br />

novarese con la fondazione, quasi contemporanea,<br />

di due borghifranchi: Borgo Franco, ora più noto<br />

come Borgoticino, tra Conturbia, Pombia e Lupiate,<br />

proprio al centro delle proprietà dei da Castello,<br />

e Borgo San Leonardo, ora Borgomanero, tra Cureggio<br />

e Briga, due forti castelli che furono di Guido<br />

di Biandrate. Qui chiedo scusa all’amico Lomaglio,<br />

che è certamente il massimo conoscitore delle vicende<br />

della fondazione di Borgomanero, se continuo<br />

a sostenere la mia tesi della identificazione di<br />

Borgo Franco con Borgoticino e non con il Borgo di<br />

Oleggio, come egli sembra pensare. Infatti, nel<br />

1237 Borgo Franco era anche identificato come il<br />

Borgo di Lupiate, cioè dell’antico castello dei conti<br />

da Castello ubicato presso l’attuaIe santuario della<br />

Madonna delle Grazie, proprio sotto Borgoticino.<br />

Borgo Franco era già attivo il 3 marzo 1190 ed<br />

era abitato da numerose famiglie di Conturbia, fra<br />

cui quella di ser Viviano, il quale dispose dei lasciti<br />

per la chiesa di Santa Maria del castello di Conturbia.<br />

La prima notizia di Borgo San Leonardo è invece<br />

contenuta nell’accordo, raggiunto nel gennaio<br />

1198, tra il Comune di Novara, rappresentato dal<br />

podestà, il milanese Guido da Pirovano, ed i responsabili<br />

della comunità di Romagnano. Il principale<br />

magistrato novarese estendeva agli abitanti di<br />

Romagnano i diritti ed i doveri spettanti agli uomini<br />

di Borgo Franco e di Borgo San Leonardo. A costoro,<br />

artefici dei nuovi insediamenti, sorti per decisione<br />

politica novarese e popolati con persone provenienti<br />

da più aree geografiche diocesane ed extradiocesane,<br />

la classe dirigente di Novara aveva concesso<br />

i privilegi goduti dagli abitanti dei sobborghi<br />

della città, ma aveva anche richiesto gli stessi oneri<br />

che gravavano su di essi. Gli abitatiti dei borghifranchi,<br />

come quelli dei sobborghi, dovevano “partecipare<br />

alla fortificazione della città, dei sobborghi, dei<br />

luoghi e dei castelli e dei villaggi novaresi”, combattere<br />

insieme ai cittadini e pagare le tasse con il capoluogo,<br />

in cambio potevano tenere mercato nel<br />

borgo ed i loro mercanti e commercianti avrebbero<br />

potuto frequentare tutti i mercati e tutte le fiere che<br />

si sarebbero svolti sui territori controllati dalla città.<br />

La nascita e il successivo sviluppo di borgo San<br />

Leonardo erano pertanto strettamente connessi al<br />

vantaggio del mercato settimanale, mentre lo sviluppo<br />

territoriale della fondazione insediativa era legato<br />

sia alla posizione geografica, al centro del Novarese,<br />

sia alla fortuna commerciale. Più cause<br />

concorsero in ogni caso al successo del nuovo centro<br />

abitato, fra cui spicca anche la sua importanza<br />

militare, messa in luce da molti autori, tra i quali mi è<br />

caro ricordare lo Schmiedt, il quale nel suo studio<br />

sulle fortificazioni italiane rileva, come già fecero i<br />

generali sabaudi del 1636, la posizione strategica<br />

del luogo, da dove “si possono tenere <strong>cop</strong>erti la Valsesia<br />

ed il Biellese”.<br />

Ma al momento della fondazione di Borgo San<br />

Leonardo le fortificazioni erano estremamente semplici,<br />

o meglio si riducevano al solo fossato, scavato<br />

attorno alle case, queste ultime costruite molto probabilmente<br />

solo con il legno e con l’argilla, e lungo<br />

tutto il perimetro della pianta rettangolare. Infatti,<br />

nelle clausole del trattato di Zottico, imposto nel<br />

1202 dai consoli novaresi ai conti di Biandrate, si<br />

accenna solo ai fossati di Borgo San Leonardo, senza<br />

alcun riferimento a delle mura difensive, e la stessa<br />

testimonianza è ripetuta nelle consegne delle terre<br />

dei canonici di San Giulio del 1221 e del 1225.<br />

Quest’ultima fonte, nota come Consignationes, o<br />

Cartolare di Giovanni da Veruno, è stata ben studiata<br />

dal Beccaria, che ha messo in luce come il<br />

borgo si sia ubicato al centro di un territorio agricolo<br />

in cui si stavano dissolvendo le antiche modalità<br />

coltivative delle corti del Capitolo di San Giulio dell’isola<br />

d’Orta, una delle quali, la Baraggiola, rappresentava<br />

con la sua torre e la sua chiesa un centro di<br />

aggregazione umana antecedente la fondazione del<br />

borgo franco.<br />

Dal punto di vista topografico, al centro del nuovo<br />

insediamento, sull’angolo nord-est dell’incrocio tra i<br />

due maggiori assi stradali, accanto al sagrato, l’unica<br />

costruzione, che poteva anche servire a s<strong>cop</strong>i<br />

militari, era la possente torre campanaria di San<br />

Bartolomeo, la nuova chiesa sorta insieme al centro<br />

abitato e la cui prima menzione risale al 1225: il 17<br />

ottobre di quell’anno “in burgo Sancti Leonardi, in<br />

ecclesia Sancti Bartolomei” furono consegnati ai canonici<br />

di San Giulio gli alvei dei torrenti Agogna e<br />

Sizzone insieme ai diritti di pascolo e ai mulini posti<br />

sulle rive dei due corsi d’acqua nel territorio di Cureggio.<br />

Nei primi anni di vita dell’insediamento avvennero<br />

importanti modifiche nella struttura del centro: accanto<br />

al primitivo nucleo si aggiunsero due nuovi<br />

luoghi abitati, il borgo di Ponte Airaldo, a nord della<br />

chiesa di San Leonardo, verso la strada per Briga<br />

ed il ponte sull’Agogna, testimoniato nel 1204, e<br />

Borgo Manero, o Burgus Maynerius, ad occidente<br />

tra Borgo San Leonardo ed il torrente Agogna, sulla<br />

strada per Cureggio, il cui primo ricordo risale al<br />

1208. Il termine burgus, usato in questi due ultimi<br />

casi, aveva un significato profondamente diverso da<br />

quello utilizzato per indicare la realtà politica di Borgo<br />

San Leonardo. Infatti nell’esempio del borgofrann.<br />

<strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


co novarese il vocabolo era assunto con un valore<br />

tecnico-giuridico e serviva a denominare un insediamento<br />

i cui abitanti godevano di particolari diritti,<br />

sanciti da un privilegio, concesso dalla città, ed erano<br />

organizzati in un Communis, dotato di propri organismi<br />

amministrativi e di beni comuni. Per questa<br />

ragione il cartulare di Giovanni da Veruno tra il 1221<br />

ed il 1226 parla solo del Comune di Borgo San Leonardo.<br />

Nel caso invece del Borgo di Ponte Airaldo e<br />

di Burgus Maynerius la parola burgus possiede un<br />

semplice significato topografico, cioè specifica una<br />

realtà insediativa che si è affiancata ad un precedente<br />

centro abitato, ciò che oggi chiameremo un<br />

sobborgo, creato da un aumento demografico del<br />

preesistente nucleo abitativo. Questo ci sembra il significato<br />

dell’affermazione del 1221 “In burgo Sancti<br />

Leonardi (...) hec sunt terre quas tenent heredes<br />

Ottoni de Berzono qui habitant in burgo Manerio”, ad<br />

una delle quali confinava il comune suprascripti burgi<br />

Sancti Leonardi. Derivata da una simile circostanza<br />

la realtà sociale e politica del borgo Manero non<br />

era organizzata in un comune specifico e pertanto<br />

non si trova nella documentazione alcun accenno,<br />

almeno sin dopo il 1231, quando il borgofranco cambiò<br />

nome, ad un Commune Burgimanerii. Non è facile<br />

sapere cosa sia avvenuto dopo quest’ultima data,<br />

ma è certo che il nome del sobborgo sostituì in<br />

modo definitivo il toponimo del borgofranco, cosicché<br />

la realtà umana, politica ed insediativa di Borgo<br />

San Leonardo fu indicata con la denominazione del<br />

suo sobborgo, Borgomanero.<br />

Il Lomaglio ha acutamente ipotizzato che Borgomanero<br />

tragga il suo nome dal podestà di Novara<br />

Giacomo Mainerio, che resse la città tra il 1193 ed il<br />

1194, e la sua proposta ci sembra convincente e<br />

ben motivata. Era uso dei novaresi dare ai borghifranchi<br />

di nuova fondazione il cognome dei podestà<br />

che li avevano istituiti: così il borgo di Mandello assunse<br />

il nome nel 1233 dal podestà, il milanese Robaconte<br />

da Mandello, nel 1236 Borgo Agnello prese<br />

il nome dal podestà Zuccone degli Agnelli, il borgo<br />

di Pietrasanta in Ossola nel 1250-1251 dal podestà,<br />

il milanese Guiscardo da Pietrasanta, e Borgolavezzaro<br />

dal cittadino comasco Perraca Lavezzario, supremo<br />

magistrato novarese nel 1257.<br />

I problemi politici e territoriali<br />

del nuovo borgo<br />

La complessità insediativa di Borgo San Leonardo<br />

creò subito numerosi problemi politici ed amministrativi<br />

circoscrizionali: la terra su cui era sorto il<br />

borgofranco, ad esempio, apparteneva in parte ai<br />

conti di Biandrate, a cui era stata espropriata senza<br />

alcun risarcimento, e solo nel 1202 la questione fu<br />

definita in modo equo. L’accordo, stabilito a Zottico<br />

nel trattato imposto ai conti di Biandrate dai consoli<br />

di Novara, prevedeva che Borgo San Leonardo e i<br />

suoi abitanti e la terra compresa entro i fossati, nonché<br />

le stesse fosse, appartenessero al Comune di<br />

Novara. Tuttavia, se i conti avessero avuto dei diritti<br />

avrebbero dovuto cederli alla città. In più si stabilì<br />

che “se i Biandrate avessero avuto della terra nel<br />

borgo essa sarebbe stata valutata da due estimatori<br />

e pagata dai Novaresi ai conti al prezzo che essa<br />

valeva prima della costruzione dell’abitato”. Se si<br />

fosse invece trattato di terra che i conti detenevano<br />

in beneficio feudale, essi l’avrebbero infeudata a uomini<br />

sottoposti alla giurisdizione novarese, designati<br />

dal podestà, “senza però pretendere alcun giuramento<br />

di fedeltà ed alcun servizio, ad eccezione del<br />

fatto che una volta all’anno costoro avrebbero dovuto<br />

accompagnare uno dei conti, che lo richiedesse,<br />

a Novara per la festa di San Gaudenzio”. Essi<br />

avrebbero così fatto parte del gruppo vassallatico<br />

comitale nel corteo che dalla cattedrale si snodava<br />

sino alla basilica extramuranea del protettore della<br />

diocesi. Ma qualora gli uomini di Borgo San Leonardo<br />

si fossero rifiutati di prestare anche questo servizio<br />

non avrebbero perso il feudo. Infine i consoli<br />

concedevano agli abitanti del borgo il diritto di avere<br />

pascoli comuni, senza alcuna pretesa pecuniaria;<br />

tuttavia, al contrario, esigevano che gli affittuari delle<br />

terre, poste fuori dai fossati di Borgo San Leonardo,<br />

continuassero a versare alla famiglia comitale<br />

gli affitti, la tassa del fodro regio ed i censi annui,<br />

nonché fornissero ai loro inviati l’albergaria.<br />

Ma le questioni erano anche più complesse,<br />

giacchè il nuovo borgo, inseritosi sui territori di precedenti<br />

centri insediativi e castelli, aveva sconvolto<br />

l’antico assetto circoscrizionale. Si modificavano i<br />

confini dei vari insediamenti preesistenti ed era necessario<br />

rideterminarli. Si possiede un eloquente<br />

esempio di ciò nei confronti dei territori di Cureggio<br />

e Vergano, registrato dal notaio Giovanni da Veruno<br />

il 19 dicembre 1225, per ordine dei canonici di San<br />

Giulio. Ma ascoltiamo la registrazione del notaio novarese:<br />

“Il territorio e la curia di Cureggio si estende<br />

in questo modo: ha inizio due lance al di sotto del<br />

fossato del borgo, ove esisteva una pietra di confine,<br />

e prosegue verso mezzogiorno”. Altri testimoni<br />

sostennero che molte volte “avevano sentito dire<br />

dai loro genitori che il territorio di Cureggio giungeva<br />

sino ad un termine posto dinanzi alla porta della<br />

chiesa di San Martino di Vergano, al là del sentiero<br />

che si congiunge ad oriente con la strada di Gozzano,<br />

sino al mulino dei Patarini, ed a sud al territorio<br />

di Marzalesco”.<br />

La struttura fisica del borgo<br />

Il Lomaglio, con un paziente lavoro di recupero<br />

delle fonti, ha delineato il quadro insediativo, documentando<br />

i quattro quartieri, i successivi portici, le<br />

case di ciottoli e malta del tardo medioevo con il tetto<br />

a larghi spioventi, per ospitare le bancarelle del<br />

mercato, le contrade principali e secondarie, le porte<br />

e la tipologia delle singole abitazioni. Uguali considerazioni,<br />

molto originali, soprattutto in rapporto<br />

alla tipologia urbanistica e alla disuguagIianza del<br />

valore dei lotti insediativi assegnati, si possono ritrovare<br />

anche negli studi del Marzi.<br />

Qui interessa invece porre il problema delle fortificazioni<br />

e delle mura, di cui ci è ignoto il tempo della<br />

costruzione.<br />

Concordiamo con il De Vitt nell’affermare che il<br />

borgo sia stato difeso nel XV secolo con forti mura e<br />

grosse torri, ancora visibili agli inizi dell’Ottocento e<br />

documentate, non sappiamo con quanta fedeltà, dal<br />

Morazzone nella tela di san Rocco, conservata in<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 7<br />

nuovo


San Bartolomeo. Ci pare però che una struttura fortificativa<br />

muraria doveva già esistere prima del biennio<br />

1356-1357, anni in cui furono realizzate, secondo<br />

la testimonianza di Pietro Azario, numerose opere<br />

di fortificazione per conto del marchese di Monferrato<br />

nel Novarese.<br />

In quegli anni Borgomanero era la fortezza più<br />

consistente del Medio Novarese, abitata da uomini<br />

adatti alla guerra, cioè da viri belligeri, come si<br />

esprime il cronista, e ben difesa dalla struttura murata,<br />

il fortalicium, così che tra il 1361 ed il 1362 Galeazzo<br />

II Visconti decise di non distruggerla. Un anno<br />

dopo Borgomanero e le sue mura furono investite<br />

dalle truppe inglesi di Alberto Sterz, che si erano<br />

proposte di conquistarli. Durante la cruenta battaglia,<br />

quando gli inglesi erano già scesi da cavallo<br />

per espugnare le difese, sopraggiunsero 300 armati<br />

novaresi in aiuto dei borghigiani. Costoro costrinsero<br />

a fatica i soldati di ventura inglesi a ripiegare<br />

su Romagnano e così Borgomanero fu salva.<br />

Quando nel 1364 Galeazzo II ritornò ad essere<br />

signore incontrastato dell’intero Novarese ordinò al<br />

suo rappresentante Bertolotto Confalonieri da Piacenza<br />

di distruggere tutte le fortificazioni del distretto.<br />

L’unico luogo fortificato che si sia salvato fu il<br />

centro murato di Borgomanero; di certo il borgo fu<br />

risparmiato per la sua ampiezza, per la sua posizione<br />

strategica, ma soprattutto per la presenza entro<br />

le mura di una forte e cosciente società di viri bellicosi,<br />

uomini adatti alla guerra e all’amministrazione<br />

del distretto del Medio Novarese. Questi elementi<br />

dovettero convincere il signore di Milano della necessità<br />

di avere un caposaldo a metà delle strade<br />

che dalle vallate alpine e dal territorio dei laghi portavano<br />

ai ponti e ai porti sul Ticino, verso Milano e<br />

Pavia, nonché al castello abbaziale ed al borgofranco<br />

di Romagnano, verso i guadi della Sesia, sulla<br />

via dei contesi territori del Canavese e dell’Eporediese,<br />

i quali conducevano alle vallate dei Savoia.<br />

Se le mura ed i fossati impedirono ai nemici di<br />

penetrare nel borgo, gli stessi a nulla servirono per<br />

arrestare il pauroso flagello della peste nera. La<br />

precisa testimonianza del cronista novarese Pietro<br />

Azario, che nel tardo autunno del 1347 dimorava a<br />

Borgomanero, ove il morbo infierì sino all’anno successivo,<br />

come dimostrano anche le disposizioni imposte<br />

dal vescovo di Novara, Guglielmo, ci permette<br />

di sapere che in tre mesi nel borgo morirono, tra<br />

uomini, donne e bambini, ben 127 persone. Ma la<br />

disgrazia della malattia si ripresentò, in modo più<br />

drammatico nel 1362, diffusa dalle compagnie di<br />

ventura inglesi: durante quest’ultima pestilenza l’Azario,<br />

che era lontano da Borgomanero, perse la<br />

moglie e due figli ed acquisì un’amara filosofia della<br />

vita, che lo spinse allo scetticismo: “Deliberai allora<br />

di godere con coloro che godevano e di soffrire con<br />

coloro che soffrivano”. Ma non gli fu probabilmente<br />

concesso di godere a lungo di questa sua decisione,<br />

in quanto il suo racconto si interruppe bruscamente<br />

nel medesimo, drammatico anno del 1362.<br />

Le istituzioni amministrative<br />

Dal punto di vista politico ed amministrativo il<br />

borgo era sottoposto alla giurisdizione del Comune<br />

di Novara sin dalla sua origine; la città lo governava<br />

per mezzo di un podestà, nominato dal Consiglio<br />

Maggiore, o di Credenza; la prima indicazione del<br />

nome di un magistrato novarese, testimoniata dalle<br />

fonti, risale al 1315, anno in cui ri<strong>cop</strong>riva l’incarico il<br />

novarese Opecino Tettoni da Gargarengo. Una ventina<br />

d’anni più tardi, con la formazione in diocesi di<br />

Novara della signoria territoriale del vescovo Giovanni<br />

Visconti, fu attuata una riforma amministrativa<br />

del contado con l’istituzione dei distretti rurali denominati<br />

“squadre”. Borgomanero divenne subito il<br />

centro organizzativo della “squadra dell’Agogna” ed<br />

ebbe, accanto al podestà nominato dai Novaresi, un<br />

funzionario governativo, il Vicario, direttamente dipendente<br />

dal Visconti, non in quanto vescovo, ma in<br />

quanto “Novariae dominus”. Esiste un solo esempio<br />

documentario che testimoni questa situazione, la<br />

pergamena 12 dicembre 1340, nella quale Giacomino<br />

Carcanino, nella sua qualità di Vicario del signore<br />

di Milano e di Novara, imponeva ad un abitante<br />

del borgo la regolarizzazione giuridica ed economica<br />

dei suoi rapporti con il Capitolo di San Giulio,<br />

forse il maggiore proprietario terriero della zona,<br />

a proposito del mulino dei Benedetto, ubicato “al di<br />

là della Agogna”. L’azione giuridica del Vicario era<br />

stata espressamente prevista con una lettera di<br />

Giovanni Visconti, datata da Milano il 28 agosto<br />

1340. Anche durante il breve periodo della dominazione<br />

del Marchese di Monferrato, tra il 1356 ed il<br />

1359, Borgomanero continuò ad essere retta da Vicari,<br />

provenienti non più da Milano, ma dai territori<br />

sottoposti al Paleologo.<br />

La figura del Vicario non deve quindi essere confusa<br />

con quella del podestà: quest’ultimo aveva<br />

competenze amministrative e giudiziarie e rappresentava<br />

il legame con la città di Novara e con la sua<br />

classe dirigente, da cui il borgo dipendeva, in quanto<br />

parte del distretto novarese. L’istituzione vicariale<br />

invece serviva a mantenere i rapporti tra il governo<br />

centrale del ducato ed il capoluogo circoscrizionale<br />

della “squadra dell’Agogna”, in modo da garantire<br />

sul luogo l’applicazione delle disposizioni legislative<br />

generali e dei diretti ordini del principe.<br />

Il sistema amministrativo della podesteria e del<br />

vicariato durò ancora a lungo, soprattutto durante il<br />

governo di Gian Galeazzo Visconti: la dimostrazione<br />

può essere offerta dalla lettera del duca, scritta il<br />

4 maggio 1400 ed indirizzata al Vicario di Borgomanero,<br />

con la quale il signore di Milano informava il<br />

suo diretto funzionario di aver disposto il trasferimento<br />

della lunga fiera mensile di giugno dalla originaria<br />

sede di Arona al centro abitato di Borgomanero.<br />

Non sappiamo quali ragioni abbiano spinto<br />

Gian Galeazzo a spostare a Borgomanero l’importante<br />

fiera mensile di Arona, che era uno dei maggiori<br />

momenti annuali per gli scambi internazionali<br />

tra la Lombardia e l’Europa Settentrionale attraverso<br />

la via del Lago Maggiore, dell’alto Ticino e dei<br />

passi del Gottardo, del Lucomagno e del San Bernardino.<br />

Ci sembra di poter affermare che la scelta<br />

del duca non sia stata casuale: Borgomanero doveva<br />

aver assunto uno sviluppo civile ed insediativo,<br />

sociale e commerciale tale da poter diventare il centro<br />

di uno dei più rilevanti fatti mercantili e finanziari<br />

della Lombardia nord-occidentale. Purtroppo la permanenza<br />

della fiera di giungo a Borgomanero non<br />

8 OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


durò a lungo, infatti il 3 maggio 1415 il nuovo duca<br />

di Milano Filippo Maria Visconti concedeva al borgo<br />

milanese di Arona di poter ancora ospitare i mercanti<br />

e le merci internazionali per il tradizionale incontro<br />

di giugno.<br />

Il Borgofranco si trasforma in feudo<br />

Il ritorno della fiera ad Arona avvenne anche perché<br />

da qualche anno la situazione politica ed amministrativa<br />

di Borgomanero era profondamente mutata;<br />

infatti il 20 agosto 1412 il medesimo duca di<br />

Milano Filippo Maria Visconti aveva concesso in<br />

feudo a Giovanni Tornielli di Parona, figlio di Ribaldone,<br />

il Borgo con tutti i poteri giurisdizionali, con il<br />

diritto ad esigere i dazi e le imposte, con tutte le pertinenze<br />

relative ai beni demaniali e nel contempo<br />

aveva scorporato il territorio del borgo dal controllo<br />

politico ed amministrativo di Novara. La concessione<br />

del feudo, o beneficio, che rendeva una prevedibile<br />

somma di denaro annua, appare come una<br />

pensione, ovvero come una forma di pagamento del<br />

lungo servizio militare prestato dal Tornielli come<br />

castellano del castello ducale di Pavia. Tre anni dopo<br />

il nuovo feudatario di Borgomanero era già morto<br />

ed il duca ordinò al suo rappresentante politico,<br />

Francesco Carmagnola, di riconfermare ai figli di<br />

Giovanni, Ribaldone II, Violante e Margherita ed alla<br />

vedova Lorenzina dei Carli di Sopramonte, l’investitura<br />

feudale del borgo con tutti i redditi e negli<br />

stessi termini ereditari in precedenza concessi.<br />

Ribaldone II esercitò di diritto e di fatto per trentacinque<br />

anni il potere sul centro abitato, un tempo<br />

borgofranco, nominando i podestà, amministrando<br />

la giustizia e riscotendo le tasse così che nel 1540<br />

il Referendario di Novara poteva comunicare al<br />

nuovo signore di Milano, Francesco Sforza, che “la<br />

terra di Borgomanero era tenuta da lungo tempo<br />

da Ribaldone Tornielli per privilegio concesso dal<br />

defunto duca”. Tuttavia, dopo il 1447, anno in cui<br />

morì Filippo Maria Visconti, i responsabili politici<br />

del Comune di Borgomanero, cioè i consoli della<br />

comunità, pensarono di approfittare della grave crisi,<br />

originata dal vuoto di potere venutosi a creare<br />

per la mancanza di un governo stabile, per liberarsi<br />

dalla soggezione feudale, mantenendo tuttavia<br />

un’ampia autonomia, data dallo stato di separazione<br />

dal controllo politico-amministrativo del Comune<br />

di Novara.<br />

I privilegi di Borgornanero<br />

e la sanguinosa battaglia<br />

di Bartolomeo Colleoni<br />

Il 10 ed il 24 dicembre 1448 i consoli del borgo<br />

trattarono con Francesco Sforza le condizioni della<br />

loro dedizione al nuovo signore del Ducato. Tra le richieste<br />

gli abitanti sottolineavano l’esigenza di non<br />

essere nuovamente infeudati, dichiarando però che<br />

da numerosi decenni Borgomanero era una terra<br />

separata da Novara. La petizione conteneva un elemento<br />

di ambiguità, giacché era notorio a tutti che il<br />

distacco di Borgomanero dalla città era avvenuto<br />

solo a causa della sua infeudazione al Tornielli. Il<br />

Comune del borgo cedeva a sua volta allo Sforza le<br />

strutture difensive e militari e tutti i diritti fiscali e finanziari.<br />

Non era poca cosa in quanto si trattava di una<br />

delle terre più popolate e più ricche del Novarese.<br />

Una relazione del Referendario di Novara, elaborata<br />

nel 1450, pubblicata dallo Zanetta, parla di un<br />

borgo formato da 200 fuochi, con un reddito annuo<br />

per dazi di 200 lire, sostenuto da un traffico commerciale<br />

di 800 barili di merci. Francesco Sforza sapeva<br />

che Borgomanero era un luogo strategicamente<br />

importante e ben difeso e pertanto accettò,<br />

pur con alcune riserve, le condizioni proposte. La<br />

comunità venne a godere del privilegio di dipendere<br />

solo dal governo centrale e non dal feudatario, o<br />

dalla città di Novara come un tempo.<br />

Quattro mesi più tardi, nell’aprile 1449, le campagne<br />

del medio Novarese erano insanguinate dalla<br />

guerra: le truppe del duca di Savoia, sostenute<br />

da forti contingenti francesi, operavano scorrerie<br />

contro i villaggi circostanti, così che lo Sforza fu costretto<br />

ad inviare Bartolomeo Colleoni, generale della<br />

Repubblica Veneta temporaneamente alleata<br />

dello Sforza, con le sue compagnie di ventura. Il<br />

condottiero bergamasco sconfisse i Savoiardi a Romagnano<br />

il l aprile 1449, ma i nemici, più irritati che<br />

impauriti, riuscirono a riorganizzarsi al di qua della<br />

Sesia e le popolazioni del Novarese vissero momenti<br />

di terrore per le stragi e gli incendi. Il Colleoni<br />

fu costretto ad attaccare di nuovo battaglia il 23<br />

aprile 1449 a Borgomanero e nella prima fase dello<br />

scontro la sorte fu sfavorevole al bergamasco. Davanti<br />

ai fossati e alle mura del borgofranco caddero<br />

due capitani del Colleoni ed i nemici, vistili feriti, non<br />

accettarono di prenderli prigionieri, ma, alzata loro<br />

la visiera dell’elmo, trafissero con le spade il volto.<br />

Anche Giacomazzo da Salerno, un altro capitano<br />

del condottiero bergamasco, fu circondato dai Francesi<br />

e Bernardino Corio narra che il soldato di ventura<br />

meridionale incoraggiò i suoi uomini a resistere,<br />

minacciando di morte i traditori e affermando che se<br />

si doveva morire era importante cadere tutti insieme,<br />

con il proprio capitano. E soggiunse: “ricordatevi<br />

dell’onore degli Italiani”, situazione e frase da non<br />

dimenticare, soprattutto in questi nostri tempi.<br />

Intanto il Colleoni riorganizzava le sue schiere,<br />

seguito da Corrado Sforza e da altri comandanti veneti<br />

e meridionali; quando ebbe ricostituito l ‘esercito<br />

attaccò con violenza un trinceramento di pali che<br />

i nemici avevano innalzato di fronte al borgo per difendersi.<br />

Attorno alla palizzata si sviluppò la fase<br />

centrale della battaglia, in seguito illustrata in un affresco<br />

del Romanino nel castello di Malpaga, ora<br />

completamente rovinato. Il Colleoni ebbe il cavallo<br />

ucciso a colpi di spada e fu costretto a difendersi<br />

con vigore.<br />

Alla fine però il campo trincerato fu conquistato e<br />

sul terreno si potevano contare duemila cadaveri<br />

franco-savoiardi, altri mille furono fati i prigionieri.<br />

A Borgomanero si erano giocate le sorti dell’Italia<br />

Settentrionale per tutta la seconda metà del Quattrocento:<br />

Ludovico di Savoia fu costretto ad abbandonare<br />

il piano di conquista del ducato lombardo,<br />

Francesco Sforza diveniva signore incontrastato del<br />

Milanese, mentre Bartolomeo Colleoni si affermava<br />

come il maggiore condottiero italiano.<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 9<br />

nuovo


La nuova soggezione feudale<br />

e la fine delle libertà<br />

Per sei anni il nuovo duca di Milano, Francesco<br />

Sforza, rispettò gli accordi presi con i Borgomaneresi<br />

nel 1448, ma poi le pressioni della classe dirigente<br />

novarese per ottenere il controllo della più importante<br />

terra del distretto prevalsero. Così il 15 giugno<br />

1455 il podestà del luogo era di nuovo un cittadino<br />

novarese, sicuramente nominato secondo l’antica<br />

procedura prevista dagli Statuti della città.<br />

Ma anche questa situazione amministrativa era<br />

destinata a cessare nel breve volgere di un decennio:<br />

il 21 novembre 1466, otto mesi dopo la morte<br />

del duca Francesco, la vedova Bianca Maria, oberata<br />

dai debiti e dalle esigenze di tamponare il passivo<br />

del bilancio dello Stato, cedette in feudo per<br />

denaro la terra di Borgomanero a Pietro Trivulzio<br />

con diritto di successione ereditaria. La comunità<br />

reagì con debolezza alla decisione del governo e si<br />

limitò a scrivere una lettera, che si concludeva con<br />

una supplica. I consoli chiedevano che fossero rispettati<br />

i patti firmati da Francesco Sforza nel 1448,<br />

nei quali si stabiliva che “la terra de iure non po esere<br />

alienata, né essi homini eser sottoposti ad altri<br />

che al duca”, sotto al cui dominio “volevano vivere<br />

et morire”. Era solo un’accorata petizione di principio<br />

e non ottenne alcuna risposta.<br />

Ai Trivulzio il feudo di Borgomanero rimase sino<br />

alla fine del Quattrocento ed essi decisero molto<br />

probabilmente di costruire nel settore nord-est del<br />

borgo, tra la chiesa di San Leonardo e l’Agogna, all’interno<br />

delle mura e subito a ridosso di esse, un<br />

castello, ove ora sorge il palazzo degli Este. Il castello<br />

servì come dimora signorile, ma miche per<br />

proteggere i feudatari dalla comunità dei borghigiani.<br />

Le libertà comunali, che avevano accompagnato<br />

la nascita del borgofranco erano definitivamente<br />

tramontate. L’età moderna avrebbe portato per<br />

quasi cinquant’anni una intollerabile soggezione<br />

feudale alternativamente ai Trivulzio e ad Anchise<br />

Visconti. Poi, nel 1552, con il titolo di marchesato,<br />

Borgomanero passò ad Ercole II d’Este, duca di<br />

Modena, Reggio e Ferrara. In cento anni di guerre<br />

e di sottomissione signorile la comunità aveva perso<br />

ben cinquanta fuochi. La nuova, grande ripresa<br />

doveva iniziare nel tempo degli Este, poiché il borgo<br />

era divenuto una piccola capitale di un minuscolo<br />

marchesato, comprendente anche i centri rurali<br />

di Cureggio, Boca e Maggiate. Ma questa è un’altra<br />

storia.<br />

Bibliografia<br />

Per la parte relativa ai problemi del popolamento<br />

e degli insediamenti medievali dell’Italia Settentrionale,<br />

nonché al significato delle infeudazioni.<br />

R. COMBA, La popolazione in Piemonte sul finire<br />

del Medioevo. Ricerche di demografia storica, Torino<br />

1977; COMBA, Emigrare nel Medioevo. Aspetti<br />

economico-sociali della mobilità geografica nei secoli<br />

XI-XV in Strutture familiari, epidemie, migrazioni<br />

nell’Italia medievale, Napoli 1984; A. SETTIA, Castelli<br />

e villaggi nell’Italia padana. Popolamento, potere e<br />

sicurezza fra IX e XIII secolo, Napoli 1984; SETTIA,<br />

Lo sviluppo degli abitanti rurali in Alta Italia: villaggi,<br />

castelli e borghi dall’alto al basso Medioevo rurale,<br />

Bologna 1980, pp. 15-199; I Borghi nuovi. Secoli<br />

XII-XIV, a cura di R. COMBA, A. SETTIA, Cuneo 1993;<br />

F. PANERO, Due borghi franchi padani. Popolamento<br />

ed assetto urbanistico e territoriale di Trino e Tricerro<br />

nel secolo XII, Vercelli 1979; Panero, I borghi<br />

franchi del Comune di Vercelli: problemi territoriali,<br />

urbanistici, demografici, in “Bollettino Storico Vercellese”,<br />

16-17 (1981), pp. 5-43; Cherasco, Origine<br />

e sviluppo di una villanova, a cura di F. PANERO, Cuneo<br />

1994; Metamorfosi di un luogo. Vigevano in età<br />

visconteo-sforzesca, a cura di G. CHIOTTOLINI, Milano<br />

1992; G. CHIOTTOLINI, Infeudazioni e politica feudale<br />

nel ducato visconteo-sforzesco, in “Quaderni<br />

Storici”, 19 (1972), pp. 85-96, ora anche in ID., La<br />

formazione dello Stato regionale e le istituzioni del<br />

contado (secoli XIV-XV), Torino 1979, pp. 36-100.<br />

Per Borgomanero rimando ai lavori di E. LOMA-<br />

GLIO, Le origini di Borgomanero e il medio novarese<br />

in età comunale, Borgomanero 1978; A. PAPALE, Il<br />

paesaggio agrario del Borgomanerese nei secoli XII<br />

eXIV, in Il Contado di Novara, Novara 1977; G.<br />

CHIOTTOLINI, l capitoli di dedizione delle comunità<br />

lombarde a Francesco Sforza: motivi di contrasto<br />

tra città e contado, in Felix olim Lombardia, Milano<br />

1978, pp. 673-698; G. ANDENNA, Castello e mura di<br />

Borgomanero, in Da Novara tutto intorno, Torino<br />

1982, pp. 431-441; Borgomanero “luogo grosso e<br />

bellissimo, quasi una città”, Fondazione Achille Marazza,<br />

Borgomanero 1985; P. ZANETTA, Ad banchum<br />

Iuris Burgi Mayneri. Vicende giudiziarie dei<br />

secoli XV e XVI, Fondazione Achille Marazza, Borgomanero<br />

1986 (Collana di Studi Borgomaneresi<br />

4); G. BECCARIA, La corte ottoniana di Baraggiola di<br />

Borgomanero (secoli X-XIII). Dissoluzione dei mansi<br />

e delle terre vicane tra i secoli XII e XIII, in “Novarien”,<br />

XVII (1987) pp. 69-106.<br />

10 OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


I BORGHI FRANCHI E LA LORO EVOLUZIONE (Sec. XII – XV)<br />

Figura 1 - Borgomanero prima<br />

Figura 2 - Borgomanero ora<br />

Figura 3 – Oleggio<br />

Figura 4 - Mandello<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 11<br />

nuovo


Studi e informazioni culturali<br />

Arte orafa<br />

nell’antico Egitto<br />

Laura Pezzolla Paganin<br />

In un lunghissimo periodo di tempo (3100 a.C. -<br />

945 a.C.) la civiltà dell’antico Egitto ha prodotto,<br />

nel campo dell’arte orafa, una grande quantità di<br />

oggetti preziosi di elevato livello tecnico ed artistico.<br />

Fin dal Periodo Arcaico (I e II dinastia, 3100<br />

a.C. - 2 686 a.C.) il gioiello per gli Egizi rappresentò<br />

non solo un ornamento prestigioso, ma anche una<br />

protezione contro le influenze malefiche. A questo<br />

s<strong>cop</strong>o le forme e il materiale utilizzato rivestivano<br />

una particolare importanza. Questi oggetti rappresentavano<br />

anche le diverse forme del “divino” che<br />

manifestava un potere invincibile nel proteggere il<br />

possessore sia in vita sia dopo la morte, nella vita<br />

ultraterrena.<br />

Durante l’Antico Regno i gioielli utilizzati erano<br />

costituiti da colliers, collari, pettorali, cinture, bracciali<br />

e cavigliere. Successivamente apparvero il diadema<br />

e le fasce funerarie. Nei diademi reali, oltre<br />

alle decorazioni floreali, comparve l’ureo (cobra reale).<br />

Gli anelli si diffusero durante il Medio Regno<br />

(XI-XIII dinastia 2040 a.C. - 1633 a.C.); durante<br />

questo periodo si produsse artificialmente l’elettro e<br />

l’oro rosso (con aggiunta di piriti), mentre l’argento<br />

rimase raro; prevalse come ornamento il pettorale e<br />

sul diadema reale comparvero l’avvoltoio e l’ureo,<br />

la cui coda si prolungava sul cranio del re. Gli orecchini<br />

apparvero durante il Secondo Periodo Intermedio<br />

(XIV - XVII dinastia, 1633 a.C. - 1559 a.C.) e<br />

rappresentarono una tipologia di gioiello introdotta<br />

dagli invasori Hiksos di provenienza orientale. Nel<br />

Nuovo Regno (XVIII - XX dinastia, 1599 a.C. -<br />

1085 a.C.) gli anelli presentavano castoni molto elaborati,<br />

gli orecchini diventarono molto complessi e<br />

pesanti e potevano essere portati anche dai ragazzi<br />

fino al raggiungimento della maggiore età. Durante<br />

il Periodo Saitico (XXI dinastia, 1085 a.C. - 945<br />

a.C.), i gioielli diventarono più massicci (il più piccolo<br />

dei collari di Psusennes pesa 8.640 grammi), meno<br />

curati e caratterizzati da tinte fredde e da un particolare<br />

oro verde.<br />

Gli usi dei gioielli potevano essere molto vari, infatti<br />

venivano utilizzati come amuleti con forme e<br />

colori di significato apotropaico e realizzati con pietre<br />

dure, vetro, faience e oro.<br />

Nell’Antico Regno prevalsero gli amuleti in oro e<br />

materiali diversi a forma di artigli e becchi di predatori,<br />

conchiglie e cipree (cinture contro l’aborto). Nel<br />

Occhio wedjet<br />

Medio Regno e nel Nuovo Regno erano molto comuni<br />

gli amuleti a forma di occhio wedjet (occhio di<br />

Horus), segno ankh (vita), segno tyet (forza), segno<br />

djed (durata).<br />

Nei gioielli usati come abbellimento prevalsero<br />

le forme floreali (fiore di loto, frutti, petali, foglie).<br />

Una particolare utilizzazione del gioiello era rappresentata<br />

dalle decorazioni militari o civili quali<br />

le mosche d’oro, i collari a dischi e i bracciali con i<br />

leoni, elargiti a militari o civili che si erano particolarmente<br />

distinti agli occhi del re (N.R.).<br />

Il gioiello poteva anche essere utilizzato come<br />

merce di scambio, moneta o regalo tra monarchi.<br />

Un ultimo uso, ma non il meno importante vide il<br />

gioiello come parte essenziale del corredo funerario,<br />

poiché l’oro, metallo inalterabile, rappresentava<br />

l’incorruttibilità del corpo.<br />

Dal Medio Regno vennero prodotti, sia per il Palazzo<br />

che per usi liturgici e funerari, numerosi e importanti<br />

pezzi da mensa e acquamanili per abluzioni<br />

rituali. Il re poteva donare pezzi di questo vasellame<br />

come ricompensa a personaggi che si erano<br />

particolarmente distinti.<br />

Segno tyet<br />

Segno ankh<br />

Segno djed<br />

12 OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


Mosche d’oro<br />

Collana a dischi e pettorale<br />

L’oro venne usato in fogli sottili per rivestire ogni<br />

tipo di oggetti, dai cofani agli stipiti delle porte dei<br />

templi, dagli oggetti di toeletta ai letti, dai carri da<br />

parata alle armi.<br />

Un discorso particolare riguarda i sarcofagi, maschere<br />

funerarie e ushabti, i cui unici esempi ci derivano<br />

dalla tomba di Tuthankamon e dalle tombe<br />

del Periodo Saitico.<br />

Materie prime, utensili e tecniche<br />

Le materie prime utilizzate nell’arte orafa erano di<br />

proprietà esclusiva del faraone, il quale poteva distribuirle<br />

al tesoro dei templi, a funzionari, a membri<br />

dell’esercito o a privati cittadini che si erano particolarmente<br />

distinti ai suoi occhi.<br />

L’oro proveniva da: Deserto orientale, Wady<br />

Hammamat, Punt, Nubia, Sudan, Alto Egitto. Si utilizzavano<br />

sabbie aurifere (pagliuzze e pepite), quarzi<br />

auriferi, ricerca e scavo delle vene aurifere anche<br />

in miniere sotterranee. Le tecniche di estrazione<br />

comprendevano la setacciatura delle sabbie e l’uso<br />

di acque di lavaggio, frantumazione e macinazione<br />

dei quarzi auriferi con l’uso del fuoco.<br />

Le tecniche di lavorazione dell’oro comprendevano<br />

la fusione della materia prima in forni corredati<br />

di cannelli ferruminatori a 1000°C. La colata veniva<br />

immessa in stampi anulari o a lingotto per il trasporto<br />

ai luoghi di lavorazione. Poiché molto spesso l’oro<br />

presentava impurità, specialmente d’argento, si<br />

otteneva direttamente dalla fusione una lega chiamata<br />

electron (più tardi ottenuta mescolando Au<br />

73% Ag 25% Cu 2%). La presenza di altri metalli<br />

poteva dare all’oro colorazioni differenti (rosso, verde,<br />

ecc.) (N.R.). La caratura andava da 17 a 22 carati.<br />

Durante il Nuovo Regno l’operazione successiva<br />

alla fusione era la <strong>cop</strong>pellazione seguita dalla ricottura.<br />

Le leghe Ag-Au ottenute davano origine all’oro<br />

bianco con l’Au che andava dal 38 al 9% e l’Ag<br />

asiatico (M. e N.R.) e con punti di fusione superiori<br />

a quello dell’Au.<br />

Dal deserto orientale provenivano le pietre semipreziose<br />

come la cornalina, il feldspato verde e<br />

l’ametista, mentre la turchese e il granato venivano<br />

cavate dal Sinai; i diaspri rosso giallo e bruno, il<br />

quarzo, l’ossidiana, il calcedonio, la calcite e il berillio<br />

provenivano da miniere dislocate in luoghi diversi<br />

dell’Egitto; il lapislazzuli veniva importato dal lontano<br />

Afganistan.<br />

I materiali artificiali usati nella produzione orafa<br />

erano costituiti dalla faïence (miscela di silice e/o<br />

borace con ossidi di piombo o stagno, ottenuta per<br />

fusione e utilizzata come invetriatura per prodotti<br />

ceramici), dalle paste vitree (dalla IV dinastia) e nel<br />

Nuovo Regno da rari smalti.<br />

Come utensili si utilizzavano martelli, ceselli e<br />

punzoni (in bronzo, rame o pietre dure), cesoie (in<br />

bronzo o rame). Per la lucidatura venivano impiegate<br />

sabbie quarzifere abrasive.<br />

Le tecniche di lavorazione erano diverse e<br />

comprendevano la martellatura e la riduzione dell’oro<br />

in fogli sottili usata per maschere funerarie,<br />

per ri<strong>cop</strong>rire mobili e suppellettili ecc.; il champlevè,<br />

tecnica utilizzata nell’Antico Regno e che<br />

consisteva nella lavorazione ad incavo successivamente<br />

riempito da frammenti di pietre semipreziose<br />

appositamente sagomati; il cloisonnè, lavorazione<br />

“a cellette” realizzata con tramezzi metallici saldati<br />

al fondo pure metallico, solitamente d’oro. Le<br />

cellette venivano riempite con paste vitree o pietre<br />

tagliate; la saldatura per unire le diverse parti del<br />

gioiello; la lavorazione a sbalzo su letto di pece; la<br />

cesellatura; lo stampaggio; l’incisione con asportazione<br />

di metallo (rara); la filigrana e la granulazione;<br />

la fusione a cera persa; l’ageminatura e più raramente<br />

il niello.<br />

Le forme dei gioielli<br />

Le forme dei gioielli si sono evolute e modificate<br />

nel corso della storia millenaria di questa grande civiltà.<br />

Uno dei gioielli più usati dai rappresentanti della<br />

famiglia reale era senza dubbio la corona, in origine<br />

costituita da semplici cerchi con ornamenti di tipo<br />

vegetale.<br />

Anche il diadema, ornato con teste di animali sacri<br />

(Nekhbet, Uto, ecc.), gazzelle, fiori di loto, ecc.,<br />

con nastri d’oro sul retro, era utilizzato particolarmente<br />

dal re, dalle regine e principesse.<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 13<br />

nuovo


Segno pinco<br />

Collana pinco<br />

Collana coki<br />

Collana falco<br />

Gli ornamenti per il capo e i capelli erano costituiti<br />

da rosette e elementi tubulari.<br />

Il pendente nekhan, a forma di pesce, veniva<br />

appeso al collo dei bambini per evitarne l’annegamento<br />

e per trattenerne le trecce venivano usati fermatrecce<br />

o mollette.<br />

Gli orecchini vennero usati solo dopo il II° Periodo<br />

Intermedio ed erano di diverse forme come quella<br />

ad anello, anche in più <strong>cop</strong>pie soprattutto per le<br />

donne; a bottone (Amarna); a tampone (grossi fori<br />

nei lobi) durante il Nuovo Regno.<br />

Gli ornamenti per collo e tronco erano molto diversificati,<br />

anche a causa del loro significato e uso.<br />

Nella preistoria e nell’A.R. gli amuleti di varia natura<br />

venivano infilati in un laccio di cuoio o fibre vegetali<br />

intrecciate.<br />

Il collare costituiva forse il gioiello più rappresentato,<br />

anche perché poteva essere prodotto con materiali<br />

diversi e anche poco costosi, per cui poteva<br />

essere utilizzato anche da persone non particolarmente<br />

abbienti.<br />

Il collare largo era costituito da file di elementi di<br />

natura diversa e di diversi colori e terminante con<br />

due elementi a semicerchio con relativo laccio. Era<br />

il più utilizzato.<br />

Il collare del falco era simile al precedente, ma<br />

terminante con due teste di falco aveva un uso prettamente<br />

funerario.<br />

Il collare a dischi di pietre verdi, di lapislazzuli,<br />

d’oro, d’argento, di elettro a seconda del materiale<br />

usato per i singoli elementi, veniva spesso elargito<br />

dal re come ricompensa.<br />

Il collare funerario, prodotto in lamina d’oro o in<br />

cloisonné e raffigurante Horus, Nekhbet, ecc. aveva<br />

un significato apotropaico e protettivo nei confronti<br />

del defunto.<br />

Il collare floreale (N. R.) riprende i motivi delle<br />

ghirlande floreali in versione duratura; usato spesso<br />

come collare funerario e terminante a testa di falco.<br />

I contrappesi menkhet mantenevano il collare<br />

nella giusta posizione.<br />

La collana a girocollo era particolarmente usata<br />

durante l’Antico Regno.<br />

Il pendente sweret raffigurava una conchiglia o<br />

un amuleto raffigurante la dea Bat o il sistro (A.R.) e<br />

la dea Hathor (M.R.).<br />

I pettorali erano placche trapezoidali sospese<br />

mediante strisce di vari materiali e terminanti con teste<br />

di falco (A.R.). Successivamente il pettorale prese<br />

la forma di chiosco, con all’interno lavori in cloisonné,<br />

le catene di sospensione diventarono molto elaborate<br />

e terminanti con un contrappeso (M. e N.R.). Spesso<br />

nel N.R. venne raffigurato lo scarabeo sacro con<br />

funzioni magiche, ma solo a s<strong>cop</strong>o funerario.<br />

Le cinture ebbero nel M.R. una funzione apotropaica<br />

ed erano formate da grani di pietre diverse e<br />

oro e da conchiglie e teste di leopardo. Nel N.R. divennero<br />

più leggere. Sono conosciute anche cinture<br />

da uomo per trattenere il gonnellino sui fianchi.<br />

Gli ornamenti per gli arti erano rappresentati dai<br />

bracciali (A. e M.R.), per entrambi i sessi, e potevano<br />

essere rigidi o formati da serie di elementi diversi<br />

separati da barrette d’oro. Servivano a proteggere<br />

le vene dei polsi.<br />

Disposizione gioielli<br />

Pesce<br />

Pettorale<br />

14 OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


Contrappeso di pettorale<br />

Le armille erano rigide e derivanti da prototipi<br />

antichi in avorio, comparvero nel N.R. e spesso<br />

vennero portate sulla parte alta del braccio a <strong>cop</strong>pie.<br />

Mentre nel M.R. bracciali e armille risultarono<br />

meno pesanti, nel N.R. diventarono più massicci,<br />

spesso costituiti da placche lavorate e parti rigide<br />

semicilindriche che si chiudevano con perni d’oro.<br />

Le cavigliere erano simili ai bracciali, ma più rare;<br />

nel M.R. erano caratterizzate da pendenti ad artiglio.<br />

I sigilli a scarabeo (N.R.) vennero usati come<br />

pendenti, anelli, ecc..<br />

Gli anelli vennero usati specialmente nel N.R.; il<br />

castone poteva essere di vario genere ed era utilizzato<br />

sia come sigillo che come amuleto con funzioni<br />

magiche o con elementi a rilievo.<br />

Vennero prodotti anche gioielli particolari come<br />

l’acconciatura ad avvoltoio per le regine madri e i<br />

corsaletti per il re, gli astucci per le dita delle mani e<br />

dei piedi della mummia reale, i sandali d’oro a s<strong>cop</strong>o<br />

funerario e nastri d’oro per capelli e mummie.<br />

Sebbene l’arte orafa dell’antico Egitto abbia prodotto<br />

moltissimi capolavori, purtroppo la preziosità<br />

stessa degli oggetti ha determinato, fin dall’antichità,<br />

una forsennata attività di spogliazione delle<br />

tombe che ha permesso di conservare nel tempo<br />

solo una piccolissima parte di questi splendidi oggetti.<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 15<br />

nuovo


Studi e informazioni culturali<br />

Controlli dimensionali<br />

in campo automotive<br />

Un viaggio nella tecnologia della pressocolata e della metallizzazione<br />

di parabole in alluminio pressofuso per l’automotive<br />

Dott. Ing. Laura Piazzo - Tecnomeccanica s.r.l. (*)<br />

Tecnomeccanica nasce nel 1945 come fonderia<br />

di alluminio; attualmente ha un organico di circa 80<br />

persone e alcuni reparti lavorano su tre turni.<br />

I prodotti di Tecnomeccanica sono particolari destinati<br />

alla componentistica per auto. Si tratta di riflettori<br />

fendinebbia e di profondità.<br />

La peculiarità di Tecnomeccanica è legata al fatto<br />

che non è più solo fonderia di alluminio ma ha<br />

aggiunto al suo processo produttivo il processo di<br />

verniciatura e metallizzazione. In questo modo è<br />

quindi possibile fornire al cliente un prodotto finito<br />

pronto per essere assemblato nel proiettore.<br />

Ai moderni gruppi ottici, con il continuo evolversi<br />

del mercato automobilistico, vengono richieste caratteristiche<br />

estremamente elevate.<br />

È necessario un design accattivante, che segua<br />

l’evolversi delle moderne carrozzerie, delle forme<br />

aerodinamiche, prestazioni elevate e delle capacità<br />

adattative alle condizioni di guida. Per tutti questi<br />

motivi i riflettori devono assolutamente essere esenti<br />

da imperfezioni e devono avere forme complesse<br />

in spazi ristretti. Con l’evoluzione delle nuove lampadine,<br />

la temperatura a cui i riflettori devono resi-<br />

(*) Via Fauser 37, 28100, Novara. Tel 0321 689300<br />

e-mail: lucia.piazzo@tecnomeccanicasrl.it<br />

Sito Web: www.tecnomeccanicasrl.it<br />

stere, è notevolmente elevata. Infine i nostri prodotti<br />

devono mantenere nel tempo tutte le loro caratteristiche<br />

sia dimensionali che ottiche. Per tutti i motivi<br />

sopra citati i riflettori vengono prodotti in alluminio<br />

pressocolato.<br />

Le parabole in alluminio pressofuso presentano<br />

le seguenti caratteristiche/peculiarità:<br />

– È possibile ottenere particolari con uno spessore<br />

molto ridotto fino a 1.8 mm<br />

– Possibile raggiungere una elevata accuratezza dimensionale,<br />

sulle parabole fino a ±0.03mm<br />

– Per il tipo di materiale usato, l’alluminio, e per il tipo<br />

di trattamento superficiale applicato, verniciatura<br />

e metallizzazione, le parabole possono resistere<br />

fino ad una temperatura di circa 260°<br />

– Il corpo della parabola è <strong>cop</strong>erto da una resina<br />

epossifenolica che, oltre a fungere da primer per il<br />

successivo trattamento di deposizione sotto vuoto,<br />

preserva il particolare dalla corrosione<br />

– Il prodotto finito, dopo metallizzazione, è a sua volta<br />

protetto da un sottilissimo strato di polimero (plasil).<br />

Questo preserva dalla corrosione il film riflettente<br />

– Il riflettore verniciato e metallizzato è, inoltre, garantito<br />

per quanto concerne le caratteristiche di<br />

adesione del rivestimento al substrato nel tempo.<br />

– Altra peculiarità dell’alluminio è la totale riciclabilità<br />

al termine della vita utile.<br />

Il nostro ciclo produttivo parte dalle specifiche del<br />

cliente che progetta il riflettore e ci invia il modello<br />

matematico.<br />

Il nostro ufficio tecnico analizza i dati e considera<br />

la fattibilità della costruzione dello stampo e di tutte<br />

le fasi del processo.<br />

Una volta ricevuto l’ordine, l’ufficio tecnico avvia<br />

la progettazione e costruzione dello stampo, supportata<br />

anche da simulazioni del riempimento con<br />

appositi software. Lo stampo viene poi realizzato<br />

nella nostra officina interna.<br />

La produzione del particolare vero e proprio si articola<br />

in alcune fasi principali:<br />

– La pressofusione dell’alluminio nel reparto fonderia<br />

dove abbiamo attualmente 13 presse che vanno<br />

dalle 200 alle 600 tonnellate<br />

– La tranciatura e la burattatura che prepara i particolari<br />

per i successivi trattamenti<br />

– La verniciatura preceduta da un lavaggio. Attualmente<br />

abbiamo due linee di verniciatura di cui una<br />

ci permette di verniciare solo la parte interna della<br />

parabola. Abbiamo deciso di costruire questo<br />

nuovo impianto perché per alcuni clienti è molto<br />

importante avere zone del riflettore esenti da verniciatura<br />

16 OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


– La metallizzazione che deposita sui pezzi verniciati,<br />

con un processo sotto vuoto, un sottile strato<br />

di alluminio purissimo (99,9%) che dà le caratteristiche<br />

riflettenti alla parabola.<br />

Il processo è corredato da una serie di controlli<br />

che garantiscono la conformità del prodotto. Vengono<br />

eseguiti controlli dimensionali mediante scansione<br />

ottica e controlli, solo visivi, per la distribuzione<br />

del fascio luminoso.<br />

Per quanto riguarda i controlli visivi del fascio luminoso<br />

lo scorso anno Tecnomeccanica ha costruito<br />

una camera fotometrica, lunga 10 metri, per accendere<br />

i propri riflettori.<br />

Da questa prima analisi, seppur grossolana, si<br />

possono cominciare a valutare eventuali problemi<br />

del particolare.<br />

Nell’immagine di sinistra potete vedere un fascio<br />

di luce conforme a quanto richiesto dal cliente, nell’immagine<br />

di destra è invece rappresentato un riflettore<br />

con dei problemi. In particolare si possono<br />

osservare delle striatura più scure.<br />

poi, se necessario, essere fatte delle misurazioni<br />

(raggi, diametri, parallelismi…).<br />

Al termine del lavoro viene stilato un report per<br />

l’analisi del problema o da inviare al cliente come<br />

documento di campionatura.<br />

Nel caso in esame sono visibili, sul riflettore, due<br />

zone rosse bene definite e chiaramente fuori tolleranza.<br />

Dalla nostra esperienza possiamo affermare<br />

che esse sono direttamente collegate alle zone scure<br />

individuate nella distribuzione della luce.<br />

Per risalire alla causa di queste deformazioni sul<br />

particolare pressofuso viene ora analizzato il punzone.<br />

Questa è la parte dello stampo che dà la forma<br />

alla superficie parabolica; per tale motivo risulta<br />

molto importante.<br />

Consideriamo quindi il punzone attualmente in<br />

produzione e lo misuriamo con le stesse modalità<br />

di prima.<br />

Questo tipo di problema può avere molte cause<br />

che vanno ricercate e analizzate attentamente.<br />

La nostra analisi parte dal prodotto grezzo sul<br />

quale, in questo caso, non è possibile individuare<br />

alcuna anomalia. Il riflettore viene preparato per la<br />

misurazione e su di esso viene eseguita una scansione<br />

con ATOS II SO. Dalla scansione si ottiene la<br />

nuvola di punti sotto forma di file .stl che verrà paragonato<br />

alla matematica CAD del riflettore.<br />

Questi due elementi sono i dati in ingresso per il<br />

successivo processo di controllo/comparazione. I files<br />

vengono importati in un apposito software per la<br />

comparazione: Geomagic Qualify.<br />

In questo ambiente viene fatto un allineamento/sovrapposizione<br />

dei due modelli tramite piani e/o<br />

punti di riferimento. I modelli vengono comparati e,<br />

come si può vedere, cominciano ad essere visibili<br />

alcune anomalie sul riflettore. Su di esso possono<br />

Confrontiamo il modello matematico con il file<br />

*.stl ottenuto da ATOS. I files importati in Geomagic<br />

vengono allineati e comparati. Dal report emerge<br />

chiaramente una correlazione tra i difetti presenti<br />

sul riflettore e il punzone. Per ripristinare il fascio luminoso<br />

corretto è necessaria un’azione correttiva<br />

sul punzone. Avendo a disposizione i dati 3D possiamo,<br />

nella nostra officina, costruire un nuovo maschio.<br />

Ora, a s<strong>cop</strong>o di controllo, prima di mettere in produzione<br />

il nuovo maschio, esso viene misurato. In<br />

caso di esito positivo, come possiamo vedere, lo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 17<br />

nuovo


stampo produce i primi campioni che vengono subito<br />

scansionati. Anche il riflettore risulta essere in tolleranza,<br />

allora in ultima analisi si controlla la distribuzione<br />

del fascio luminoso, se anche questa verifica<br />

ha esito positivo i particolari possono essere inviati<br />

al cliente per la procedura di benestare.<br />

Un altro esempio interessante legato all’utilizzo<br />

di ATOS è legato a questo riflettore. Per i riflettori ellittici<br />

la posizione della lampadina è molto importante<br />

poiché strettamente correlata alla forma del fascio<br />

luminoso e alla posizione dei massimi e minimi<br />

di luce. Questo posizione è determinata da tre piani<br />

di appoggio posti all’interno del collo lampada. Al fine<br />

di analizzare il posizionamento della lampadina<br />

rispetto al riflettore utilizziamo il seguente espediente.<br />

Per la nostra scansione la lampadina viene sostituita<br />

con un cilindro tornito avente le medesime dimensioni<br />

e gli stessi appoggi. Sul corpo in plastica<br />

vengono posti i marker per ATOS.<br />

Come visto in precedenza la nuvola di punti rilevata<br />

nella scansione viene confrontata con il model-<br />

lo matematico in cui è stato inserito, nella corretta<br />

posizione, il cilindretto.<br />

Il risultato è quello che vediamo nella foto dove si<br />

capisce che la posizione della lampadina non è perfettamente<br />

in accordo con quanto previsto dal modello<br />

matematico. Per avere maggiore conferma e<br />

capire da dove potrebbe derivare il problema eseguiamo<br />

la scansione completa del pezzo e misuriamo<br />

gli scostamenti sui pianetti di appoggio della<br />

lampadina. Ora è possibile apportare, se necessario,<br />

le opportune correzioni.<br />

Questo esempio mi sembra interessante perché<br />

il riflettore viene analizzato come se fosse già assemblato<br />

e, come strumenti per la scansione, vengono<br />

sfruttati i dispositivi di produzione di serie.<br />

In conclusione l’utilizzo di ATOS appaiato all’uso<br />

del software Geomagic Qualify permette oggi a<br />

Tecnomeccanica un buon controllo di qualità sia sul<br />

prodotto finito o semilavorato, i riflettori grezzi o metallizzati,<br />

che sulle attrezzatura di produzione, stampi<br />

e in modo specifico, maschi.<br />

È ora possibile controllare superfici complesse<br />

che prima, con la nostra strumentazione, non eravamo<br />

in grado di verificare. Possiamo avere un riscontro<br />

di quanto eventualmente reclamato dal<br />

cliente e o individuare il problema prima che raggiunga<br />

le sue linee di produzione. Per quanto concerne<br />

le campionature siamo ora in grado di dare<br />

informazioni aggiuntive che possono velocizzare il<br />

procedimento di benestare.<br />

Il Presidente della Tecnomeccanica<br />

Guglielmo Agradi è morto a 86 anni il<br />

24 ottobre 2006. Ha sempre avuto molta<br />

considerazione per l’Istituto <strong>Omar</strong> e per<br />

i suoi diplomati. L’Associazione <strong>Omar</strong>isti<br />

partecipa al lutto.<br />

La nuova sede della Tecnomeccanica s.r.l.<br />

<strong>18</strong> OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


Studi e informazioni culturali <br />

L’avvento della stampa a Novara<br />

3° - La produzione tipografica novarese nel XVI secolo<br />

Chiara Carpani<br />

In questo capitolo cercheremo di approfondire<br />

l’analisi delle opere pubblicate a Novara dal 1549,<br />

anno d’avvento della stampa in città, al 1600 circa e<br />

di metterle in relazione, dove possibile, con la situazione<br />

politica, culturale e religiosa che il territorio attraversò<br />

durante questi cinquant’anni.<br />

Per agevolare la comprensione si è ritenuto opportuno<br />

suddividere le edizioni a seconda del tipografo<br />

che le ha stampate.<br />

1 - Francesco e Giacomo Sesalli<br />

(1549-1559)<br />

Sebbene i fratelli Sesalli abbiano aperto bottega<br />

nel 1549, il primo frutto del loro torchio uscì solo due<br />

anni dopo.<br />

Si tratta di una Lettera di Bartolomeo Taegio indirizzata<br />

a Monsignor di Verrua, concernente due dialoghi<br />

composti dal giureconsulto milanese durante<br />

l’esilio.<br />

Le pubblicazioni che interessarono i primi anni di<br />

attività della tipografia sono quasi tutte legate ai<br />

membri dell’Accademia dei Pastori d’Agogna: nel<br />

1552 uscirono Le rime spirituali di Giovanni Agostino<br />

Caccia, una raccolta di poesie indirizzate a vari<br />

personaggi come Giulio III, Caterina de’Medici, Pietro<br />

Aretino, Giovanni Battista Piotti e Bartolomeo<br />

Taegio, completate da alcuni sonetti rivolti al Caccia<br />

da altri poeti e le rispettive risposte. Nel 1554 vennero<br />

pubblicate, sempre del Taegio, l’Oratione nel<br />

principio dell’Academia de Pastori in Novara e Le risposte,<br />

cinquantaquattro lettere ad amici, l’ultima<br />

delle quali indirizzata a Francesco Sesalli: costui,<br />

avendo chiesto di poter stampare “i Dialoghi e la<br />

Commedia”, ottiene in risposta un invito ad attendere<br />

ancora fino a che le opere non siano perfette.<br />

L’anno seguente videro la stampa le Nuove rime<br />

in lode della molto illustre D. Portia Toralta Contessa<br />

Torniella dello stesso autore e, nel 1557, abbiamo<br />

l’opera di un altro giureconsulto, Giovanni Battista<br />

Piotti. Il volume ha titolo Repetitio legis Si quando.<br />

Codex Vnde vi e raccoglie, in verità, ben quattro<br />

trattati: Tractatus de in litem iurando, Tractatus interpretationum<br />

novarum constitutionum domini Mediolani,<br />

Tractatus damnorum datorum, Tractatus inditiorum<br />

ad inquisitionem et torturam. Il tutto è corredato<br />

da un importante Index dove, alla voce Novaria,<br />

vi è praticamente la storia che il Piotti scrisse<br />

della sua città. Purtroppo l’atteggiamento con cui<br />

egli si accosta alle vicende è più “orgoglio di esser<br />

figlio della propria città che non rigore d’accertamento<br />

critico”; un orgoglio dimostrato anche attraverso<br />

la strenua difesa degli interessi del Comune<br />

nei confronti di Milano e, soprattutto, con l’impegno<br />

con cui perorò la fine delle demolizioni atte a trasformare<br />

Novara in una solida fortezza.<br />

Di tutt’altro carattere furono le rimanenti opere<br />

che uscirono dall’officina sesalliana: del 1553 sono<br />

gli Aedicta sive Constitutiones del cardinale Giovanni<br />

Morone che formarono, insieme a quelli del vescovo<br />

di Verona Matteo Giberti, i modelli fatti propri<br />

ed inculcati dal Concilio di Trento; dopo il 1557, abbiamo<br />

la pubblicazione degli Statuta del comune di<br />

Biandrate e del 1559 è la stampa dell’Index auctorum<br />

et librorum emanato da Paolo IV.<br />

Dopo questa data, Giacomo scompare dalle indicazioni<br />

tipografiche e dalla stessa officina, dedicandosi<br />

completamente al proprio canonicato.<br />

La dispersione dei membri dell’Accademia coincise,<br />

pressappoco, con il nuovo indirizzo che i fratelli<br />

Sesalli diedero alla loro attività. Dopo il 1555,<br />

infatti, andarono infittendosi le pubblicazioni di carattere<br />

ecclesiastico a scapito di quelle letterarie,<br />

che scomparvero quasi totalmente; promotori di tutto<br />

ciò furono i vescovi diocesani che si susseguirono,<br />

nel corso del Cinquecento, sulla cattedra novarese,<br />

facendosi portavoce di una certa rinascita cristiana<br />

della città.<br />

2 - Francesco Sesalli (1559-1588)<br />

Finora non è stata reperita alcuna opera stampata<br />

tra il 1559 e il 1562.<br />

È a quest’ultima data, infatti, che dobbiamo far risalire<br />

i primi documenti sui quali compare l’indicazione<br />

“Apud Franciscum Sesallum”.<br />

La produzione, di stampo religioso-ecclesiastico,<br />

stava iniziando a prendere il sopravvento: per i vescovi<br />

più impegnati la riorganizzazione della diocesi<br />

di San Gaudenzio richiedeva, assieme a pubblicazioni<br />

di carattere normativo, opere di educazione ed<br />

istruzione per il clero e i fedeli.<br />

Oltre ai catechismi, ai vari Edicta e Decreta promossi<br />

attraverso i Sinodi Diocesani, ai Canones del<br />

Concilio di Trento, agli indici dei libri proibiti e al De<br />

censuris di Carlo Borromeo, nonché ai Canones dei<br />

suoi Concili Provinciali, il Sesalli si fece promotore<br />

della ristampa delle già famose edizioni di Johann<br />

Burchard e Johannes a Lapide sulla celebrazione<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 19<br />

nuovo


20 OMAR<br />

nuovo<br />

della Messa (1568) (fig. 20a). In una lettera dedicatoria<br />

egli dice infatti che, conosciuto il desiderio del<br />

cardinale Giovanni Antonio Serbelloni vescovo di<br />

Novara, di divulgare tra il clero i detti libri, più volte<br />

stampati ma scarsamente diffusi nel novarese, subito<br />

li mise in produzione a sue spese.<br />

Dal suo torchio uscirono anche gli Avisi di Juan<br />

Bernardo Diaz de Luco (1583) sulla cura d’anime, I<br />

sette salmi penitentiali dell’inquisitore Domenico<br />

Buelli (1572), le Sententiae di Giovanni Bernardino<br />

dalla Porta (1585), la pluri-ristampata Summa doctrinae<br />

christianae di Peeter Canis (1574), la Tavola<br />

delli Inquisitori e parte dell’Opera della Croce di un<br />

altro inquisitore, Cipriano Uberti (1586).<br />

Il vescovo Archinto giunse ad ordinare ad Antonio<br />

Mirico la compilazione di un’opera sul sacramento<br />

della confessione (1575) mentre, alcuni anni<br />

più tardi, il suo successore Francesco Bossi volle la<br />

pubblicazione degli Avertimenti per chi volesse<br />

prendere gli ordini (1581) e dei Ricordi d’alcune cose,<br />

che si hanno da osservare nella settimana Santa<br />

(1584).<br />

Come già accennato, Francesco Sesalli fu uomo<br />

di una certa cultura: ciò è attestato, oltre dal fatto<br />

che promosse in prima persona la stampa di taluni<br />

libri che riteneva “utili” (ad esempio, L’assedio et la<br />

guerra di Malta raccolta da Marino Fracasso del<br />

1566 che, in una lettera ai lettori, il tipografo dice di<br />

aver voluto pubblicare in ricordo dei cavalieri novaresi<br />

morti durante la guerra contro i Turchi nel 1565)<br />

anche dalle sue lettere dedicatorie redatte in latino<br />

e volgare su molte edizioni, dai suoi “componimenti”<br />

o trascrizioni e dai suoi studi e ricerche in varie biblioteche<br />

per trovare documenti degni di pubblicazione.<br />

Tali, per esempio, furono considerati i Consilia<br />

del giureconsulto Martino Garrati del 1568, il cui<br />

testo manoscritto fu trovato dal Sesalli nel convento<br />

di San Nicola tra i libri del giureconsulto novarese<br />

Melchiorre Boniperti; dopo aver chiesto un parere a<br />

G.B. Piotti e al vescovo di Alessandria Gerolamo<br />

Gallarati, il tipografo decise di pubblicarli grazie anche<br />

ad un finanziamento del Collegio dei Giureconsulti<br />

di Lodi.<br />

Per quanto riguarda i “componimenti” e le trascrizioni,<br />

due possiamo attribuirne, senz’ombra di dubbio,<br />

al nostro tipografo. Il primo è la Breve descrittione<br />

del Sacro Monte di Varallo di Valsesia, una<br />

piccola storia in prosa della fondazione del santuario<br />

accompagnata dalla descrizione in versi del Sacro<br />

Monte. Di quest’opera esistono varie edizioni<br />

(dal 1566 all’ultima del 1587) via via aggiornate.<br />

Il secondo esemplare riguarda una trascrizione<br />

fatta dal Sesalli delle Vite dei Santi patroni della città<br />

di Novara (1587), estratte da alcuni manoscritti appartenenti<br />

al Duomo e alla chiesa di San Gaudenzio.<br />

Per il Sesalli “la lettura delle Vite, […], deve generare<br />

una riflessione personale sulle virtù cristiane”,<br />

deve avviare alla pratica di esercizi spirituali e<br />

all’osservanza responsabile dei precetti evangelici.<br />

Tutta questa religiosità contribuisce a definire la<br />

“distinzione” di Novara che, nella visione della cultura<br />

locale, viene riportata alla antiquissima civitas<br />

fondata da Ercole Egizio, restituita alla cristianità da<br />

Gaudenzio e tramandata dall’aristocrazia consolare<br />

cittadina. Una civitas che temeva la disintegrazione;<br />

per questo i decurioni si fecero promotori della cultura<br />

religiosa e retorica della Novara erculea, gaudenziana,<br />

poi aristocratica e municipale. Al loro s<strong>cop</strong>o<br />

si servirono, oltre che della ricostruzione della<br />

basilica di San Gaudenzio, anche della pubblicazione<br />

degli Statuti (1562, 1583), le cui precedenti edizioni<br />

erano state stampate a Milano.<br />

Giovanni Battista Piotti fu uno dei più tenaci sostenitori<br />

degli interessi del Comune e dell’idea di civitas;<br />

di lui il Sesalli pubblicò, in più edizioni, i Consiliorum<br />

sive responsorum (1575-1578) e i trattati<br />

De Blasphemia e De in litem iurando (1586).<br />

Nel campo dell’editoria statutaria il Sesalli ottenne,<br />

nel 1567, il privilegio di stampare le Constitutiones<br />

dominii Mediolanensis, facendone un aggiornamento.<br />

L’iniziativa ebbe successo, tanto da richiederne<br />

più di un’edizione. Nel 1574 iniziò a stampare<br />

anche gli Ordines ac decreta editi dal Senato di Milano.<br />

Dello stesso anno sono le Indulgenze della<br />

Compagnia di San Giuseppe e le due Repetitiones<br />

di Pierre Rebuffi.<br />

Più modesto il contributo che il Sesalli diede nel<br />

campo editoriale scolastico: l’unico libro di grammatica<br />

giunto fino a noi, Linguae latinae exercitatio, risale<br />

al 1567 ed è stato scritto da Juan Luis Vives,<br />

istitutore di Filippo II, mentre del 1574 sono le Eleganze<br />

di Aldo Manuzio. La ragione di tutto ciò va ricercata<br />

in ambito storico: la rovina del Comune, dovuta<br />

alle guerre che si susseguirono fino alla prima<br />

metà del Cinquecento, travolse anche le già povere<br />

istituzioni scolastiche e l’insegnamento grammaticale-letterario,<br />

anche se affidato a maestri privati, dovette<br />

languire (la fondazione del primo Seminario<br />

diocesano risale al 1566 e solo nel 1575 si ebbe la<br />

costituzione di una pubblica scuola).<br />

Curiosa, infine, è l’incursione che il Sesalli fa nell’ambito<br />

dell’astrologia: al 1567 circa risale il Pronostico<br />

di Tomasino Girardelli al quale si affiancano le<br />

previsioni del ferrarese Antonio Arcuato, redatte per<br />

Mattia Corvino.<br />

Vanno segnalate, per ultimo, le edizioni sesalliane<br />

non riportate nel catalogo delle cinquecentine di<br />

M. Bersano Begey e G. Dondi.<br />

Si tratta di un Baptizandi sacra institutio iuxta ritum<br />

sanctae Romanae Ecclesiae pubblicato nel<br />

1569 e di alcuni fogli volanti stampati per le pubbliche<br />

grida del Comune o del Podestà e altri ad uso<br />

notarile.<br />

Questi ultimi documenti non costituiscono una<br />

“preziosa opera di stampa” ma, comunque, riflettono<br />

il gusto compositivo del Sesalli, che li “abbellisce”<br />

corredandoli di qualche iniziale xilografica. Il<br />

committente privato (autore o mecenate) era in grado<br />

di garantire una quota di ordinazioni limitata e<br />

occasionale perciò il tipografo non si è lasciato sfuggire<br />

l’occasione di rinforzare le sue entrate con incarichi<br />

pubblici e civili, che convogliavano un flusso<br />

costante di ordini.<br />

Da quanto detto possiamo affermare che le pubblicazioni<br />

di tipo ecclesiastico o comunque riguardanti<br />

la sfera religiosa furono in netta prevalenza<br />

sulle altre; la rinascita di un’identità storica e culturale<br />

trovò, in alcuni uomini illustri, dei forti sostenitori<br />

e il Sesalli se ne fece promotore, pubblicando i loro<br />

scritti e quelli da loro sostenuti. Grande importanza,<br />

in questo senso, ebbe la ristampa degli Statuti di<br />

Novara, simbolo di un’autonomia che la città cercan.<br />

<strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


va di rivendicare e che il dominio spagnolo era ben<br />

lungi dal volerle concedere.<br />

La pubblicazione dei decreti del Concilio Provinciale<br />

milanese nonché delle Constitutiones mette in<br />

luce gli stretti legami che Novara manteneva con la<br />

capitale lombarda: legami politici, economici, culturali<br />

e religiosi.<br />

Da un’analisi quantitativa risulta che il Sesalli<br />

stampò almeno un’opera all’anno. Nel 1574 egli riuscì<br />

a produrre addirittura otto opere, di carattere<br />

prevalentemente giuridico-istituzionale; un periodo<br />

fecondo fu anche quello compreso tra il 1583 e il<br />

1586 in cui, dalla tipografia, uscirono tra le tre e le<br />

cinque pubblicazioni all’anno, la maggioranza delle<br />

quali di tipo religioso.<br />

Sicuramente la scelta tematica che il Sesalli attuò<br />

per la sua produzione fu condizionata dagli<br />

orientamenti politici e religiosi del tempo; anche il<br />

settore editoriale, infatti, finì col “beneficiare” di una<br />

libertà vigilata, sollecita nel privilegiare un prodotto<br />

ora “neutrale” ora di supporto alle istanze ideologiche<br />

del potere e poco disposta ad avventurarsi in<br />

iniziative dalla ricaduta incerta.<br />

L’attrezzatura della bottega non fu particolarmente<br />

ricca.<br />

I caratteri romano e corsivo furono quelli più usati,<br />

limitando il gotico ai soli due testi stampati all’inizio<br />

dell’attività senza il fratello e cioè gli Statuta di<br />

Novara e gli Edicta del 1562.<br />

Il Sesalli privilegiò di norma il testo a piena pagina,<br />

utilizzando la doppia colonna solo per le opere<br />

in folio.<br />

Usò prevalentemente due tipi di alfabeti xilografici<br />

come capolettera; le altre xilografie, come vedremo<br />

in seguito, sono di fattura abbastanza modesta<br />

ma vengono utilizzate con una certa competenza e<br />

senso estetico.<br />

Il frontespizio è costituito, per la maggior parte<br />

delle volte, dal titolo e dalle semplici indicazioni dello<br />

stampatore, accompagnate dalla marca tipografica.<br />

Tutto sommato possiamo ritenere la produzione<br />

di Francesco Sesalli di discreto livello: l’impaginazione<br />

è pulita e ordinata, l’illustrazione non è di alto<br />

valore ma neanche scadente o eccessiva; sicuramente<br />

avrebbe meritato un maggior successo ma<br />

purtroppo, come si dirà, i figli non seppero mantenere<br />

lo standard qualitativo che avevano ereditato<br />

e, nel giro di un quarantennio, l’officina perse il suo<br />

splendore e finì col chiudere per sempre.<br />

3 - Giovan Battista Sesalli (1588-1593)<br />

Una volta deceduto Francesco, la tipografia passò<br />

in mano al figlio Giovan Battista che la resse per<br />

soli sei anni, fino a quando gli succedette il fratello<br />

Gerolamo.<br />

Che cosa ne sia stato di Giovan Battista dopo il<br />

1593 non ci è dato sapere: non è certo che egli lasciò<br />

la tipografia, più probabilmente divenne un “dipendente”<br />

del fratello minore e il suo nome venne a<br />

scomparire dalle indicazioni tipografiche per prender<br />

posto sotto la neutrale dicitura “Appresso gli Heredi<br />

di Fr. Sesalli”. Il dubbio di una sua definitiva<br />

scomparsa però rimane: essendo Gerolamo troppo<br />

giovane, per i primi anni fu la madre Margherita a<br />

portare avanti l’attività; non si capisce altrimenti perché<br />

non fosse stata possibile una continuazione da<br />

parte di Giovan Battista.<br />

Dei sei anni in cui resse l’officina, il 1590 e il 1592<br />

sono gli unici periodi dove non risulta alcuna produzione<br />

a stampa. Verosimilmente la tipografia lavorò<br />

anche allora ma, per sfortuna, non se ne è ritrovata<br />

ancora alcuna testimonianza.<br />

Nei complessivi quattro anni, Giovan Battista<br />

stampò undici opere, cinque delle quali concentrate<br />

nel solo 1593.<br />

Al 1588 risale un editto dell’Ospedale Maggiore<br />

della Carità, in cui si trova la dicitura “Appresso<br />

gl’heredi di Francesco Sesalli”, la stessa che compare<br />

negli Statuti della Compagnia della Santissima<br />

Pietà del 1589. A quanto pare l’inizio dell’attività di<br />

Giovan Battista fu in campo neutrale; solo nel 1591<br />

il suo nome viene indicato esplicitamente.<br />

Il primo documento che lo riporta riguarda il Synodus<br />

diocesano voluto dal vescovo Cesare Speciano;<br />

dello stesso anno sono gli Statuta del comune<br />

di Galliate, ristampati successivamente anche<br />

nel 1593.<br />

L’ultimo anno di attività in proprio di Giovan Battista<br />

vede l’avvento di una figura emblematica per la<br />

situazione religiosa e culturale di Novara: sulla cattedra<br />

di San Gaudenzio si insediò Carlo Bascapè.<br />

Ex-barnabita, coadiutore di Carlo Borromeo nell’opera<br />

di riforma della chiesa ambrosiana, il Bascapè<br />

divenne il medico della diocesi novarese,<br />

svolgendo un piano organico di riforma religiosa.<br />

Il caposaldo della sua riforma era la riorganizzazione<br />

del clero: si sforzò perché gli ecclesiastici rispettassero<br />

l’obbligo di residenza e attendessero ai<br />

loro doveri religiosi e non ad altro, vietò l’uso di armi,<br />

la caccia, i giochi, i balli e le commedie, proibì<br />

l’avvalersi dell’aiuto di fanciulle e ragazzini; dedicò<br />

grandi cure alla predicazione, sviluppando i canoni<br />

del Concilio Tridentino ed anche quelli dei concili<br />

provinciali di Carlo Borromeo.<br />

Base della predicazione doveva essere il Vangelo<br />

e fondamentale importanza assunse il rispetto dei<br />

riti religiosi.<br />

Il Bascapè, attraverso regolari visite pastorali,<br />

controllò di persona che i suoi precetti fossero rispettati<br />

e si servì della stampa come importante<br />

mezzo di diffusione del proprio volere a tutta la diocesi.<br />

Nel 1593 Giovan Battista Sesalli iniziò a pubblicare<br />

due lettere del nuovo vescovo al “diletto Clero,<br />

et Popolo della Città, et Diocesi nostra” e, forse sulla<br />

scia di religiosità apportata, stampò anche i versi<br />

sul Martirio di Santa Caterina di Ettore Colombo.<br />

Non dimenticando il campo giuridico, nello stesso<br />

anno mise sul mercato gli Statuta del Collegio<br />

dei Giudici di Novara.<br />

Emulo della metodologia paterna, Giovan Battista<br />

riutilizzò gli stessi caratteri e le stesse xilografie.<br />

Nell’impaginazione e nel testo però comparvero delle<br />

imperfezioni e la presenza di fregi tipografici nel<br />

decoro della pagina iniziò ad essere prevalente.<br />

La qualità di stampa cominciò a diminuire ma,<br />

data l’esiguità delle opere pervenuteci, mi sembra<br />

abbastanza pretenzioso dare un giudizio definitivo<br />

sull’attività di questo tipografo.<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 21<br />

nuovo


4 - Gerolamo Sesalli (1594-1631)<br />

Eredi di Francesco Sesalli<br />

A Giovan Battista succedette, per un certo periodo,<br />

la madre Margherita in attesa che l’altro figlio,<br />

Gerolamo, fosse in grado di gestire l’officina tipografica<br />

da solo.<br />

Il Bascapè fu il dominatore, quasi incontrastato,<br />

delle edizioni sesalliane degli ultimi anni del Cinquecento.<br />

Sulle ventinove pubblicazioni del XVI secolo finora<br />

conosciute (undici delle quali non presenti nel catalogo<br />

Bersano-Dondi) ben ventuno riguardano le<br />

disposizioni del vescovo o sono libri da lui “consigliati”.<br />

Numerose sono le Lettere e gli editti sopra vari<br />

aspetti della vita cristiana: l’Avvento, il Natale, la<br />

Cresima, i balli, le processioni, l’onestà del clero.<br />

Con il Bascapè, vero organizzatore della Chiesa novarese,<br />

l’attività pubblicistica ecclesiastica raggiunse<br />

il massimo livello; i Sesalli, avendo assorbito la<br />

maggior parte delle sue commesse, si poterono fregiare<br />

del titolo di “stampator di Monsignore reverendissimo”.<br />

I pochi altri libri trattanti argomento religioso sono<br />

le Meditationi sopra la vita del Salvatore di Giovanni<br />

Battista Boniperti del 1598, il Compendio delle<br />

gratie, indulgentie, et privilegi concessi da diversi<br />

pontefici alla Confraternita del Santissimo Sacramento<br />

(1594) e una Tabula disciplinae sinodalis.<br />

Di tutt’altro genere i restanti titoli: due raccolte<br />

con le Constitutiones e gli Ordines del Senato milanese<br />

ad istantiam di Melchiorre Perotti (1597), una<br />

Oratio di Federico Caccia recitata dal pronipote<br />

Francesco in occasione del suo ingresso nel Collegio<br />

dei Conti Cavalieri e Giudici di Novara (1596) e,<br />

trascendendo l’interesse locale, il Viaggio di Terra<br />

Santa di Giovanni Francesco Alcarotti (1596), dedicato<br />

a Ranuccio Farnese, duca di Parma e Piacenza.<br />

L’officina tipografica dei Sesalli continuò la sua<br />

attività anche nel XVII secolo.<br />

La maggior parte del lavoro venne assorbito dalle<br />

pubblicazioni del già citato Bascapè: nel 1612, ad<br />

esempio, abbiamo la Novaria seu de ecclesia Novariensi,<br />

nel 1613 le Lettere di governo epis<strong>cop</strong>ale,<br />

nel 1615 i Commentarii Canonici e l’Historiae Ecclesia<br />

Mediolanensis.<br />

Dopo la morte di costui (1615), grida ed editti comunali<br />

e podestarili occuparono una gran fetta dell’attività<br />

di Gerolamo.<br />

Le edizioni di carattere letterario sono esigue: al<br />

periodo compreso tra il 16<strong>18</strong> e il 1620 si rifanno le<br />

pubblicazioni di due Orazioni di Francesco Ambivero<br />

e de La ristorata arcadia di Bartolomeo Fascina. Al<br />

1612 risale, invece, la prima raccolta di epigrafi dei<br />

monumenti novaresi, l’Antiqua Novariensium monumenta<br />

collecta, redatta da Paolo Gallarati. Purtroppo,<br />

data l’assenza degli annali novaresi del Seicento,<br />

non mi è stato possibile analizzare a fondo la produzione<br />

sesalliana di detto periodo. Per questo motivo,<br />

non sono in grado di stabilire quanto il campione<br />

esaminato possa essere rappresentativo.<br />

Dopo esser stato minacciato di perdere tutti i privilegi<br />

per darli ad un nuovo stampatore, Gerolamo<br />

dovette correre ai ripari sia migliorando la qualità di<br />

stampa sia svolgendo una piccola attività di tuttofare<br />

e questo solo per ingraziarsi il Consiglio.<br />

In effetti il livello di stampa andò peggiorando: la<br />

pagina non fu più chiara e pulita come quella del padre<br />

Francesco, i frontespizi vennero occupati quasi<br />

interamente dai titoli delle opere, lasciando poco<br />

spazio ad una possibile illustrazione, i fregi tipografici<br />

vennero usati con eccessiva abbondanza e alcune<br />

xilografie, ereditate dai familiari, erano ormai<br />

troppo consunte.<br />

L’avvento del gusto barocco si fece sentire anche<br />

nel campo dell’editoria e della stessa produzione letteraria:<br />

ad esso, infatti, sono da ricondursi la profusione<br />

di decorazioni, usate a volte senza criterio, e<br />

l’allungamento dei titoli ad opera degli autori che,<br />

adeguandosi ai colleghi artisti, introdussero nei loro<br />

scritti un eccesso di pomposità e di termini sfarzosi.<br />

Durante il Seicento la produzione sesalliana<br />

sembra essere ridotta più a fogli volanti e fascicoletti<br />

che a veri e propri libri.<br />

L’ultimo documento che sono riuscita a recuperare<br />

è una Grida, in cui vengono obbligati i compratori<br />

e venditori della città a notificare i propri beni all’estimo<br />

civile. La qualità di tale foglio è decisamente<br />

scadente ma risulta interessante per l’indicazione<br />

tipografica: in calce vi è riportato “In Novara Appresso<br />

Francesco Sesalli 1631”.<br />

Tutti gli studiosi che finora si sono occupati della<br />

tipografia novarese, hanno attribuito a Gerolamo la<br />

fine dell’attività, indicando come data il 1630.<br />

A quanto pare la bottega riesce a resistere ancora<br />

un anno e a tirarne le redini, sebbene per poco, è<br />

un altro Francesco. Purtroppo, chi sia costui non<br />

sono riuscita a s<strong>cop</strong>rirlo. Forse un altro figlio di<br />

Francesco Sesalli senior o forse lo stesso Gerolamo<br />

che, in un ultimo tentativo di ridare un debole ricordo<br />

del lustro della tipografia, ha utilizzato il nome<br />

del padre.<br />

In ogni caso fu uno sforzo inutile. Ormai c’erano<br />

altri stampatori in città, con bottega più attrezzata e<br />

che godevano della simpatia comunale e vescovile.<br />

La tipografia Sesalli scomparve e nessuno se ne<br />

occupò più sino alla fine dell’Ottocento quando due<br />

operai della Stamperia Fratelli Miglio raccolsero alcune<br />

notizie sulle loro edizioni. Venticinque anni dopo<br />

vi si accinsero gli illustri professori Alessandro<br />

Viglio e Giovan Battista Morandi, portando alla luce<br />

nuove notizie e correggendo alcune affermazioni errate.<br />

Ancora oggi, purtroppo, la produzione sesalliana<br />

non è completamente descritta. Questo libro vuole<br />

essere un contributo alle ricerche fin qui svolte sull’avvento<br />

della stampa nel novarese ed anche un ricordo<br />

di quelli che, in città, furono i “pionieri” di quest’arte.<br />

5 - Giovanni Angelo Caccia e i suoi eredi<br />

(1597-<strong>18</strong>10 ca.)<br />

Alla fine del Cinquecento un’altra officina tipografica<br />

iniziò a far concorrenza a quella sesalliana.<br />

Giovanni Angelo Caccia aprì una bottega ben<br />

fornita, con diversi tipi di caratteri e un discreto numero<br />

di iniziali e vignette xilografiche a varia grandezza.<br />

Le opere del XVI secolo a noi pervenuteci sono<br />

22 OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


solo tre: nel 1597 stampò una favola tragisatiricomica<br />

intitolata Roselmina e nel 1598 la Prattica per<br />

l’essame della conscienza di Giovanni Bellarino, libro<br />

che ristampò anche l’anno seguente.<br />

Quest’ultima opera è divisa in due parti: la prima<br />

serve ai penitenti per fare l’esame della propria coscienza,<br />

la seconda ai confessori per esaminare bene<br />

i penitenti.<br />

La migliore qualità di stampa e un corredo iconografico<br />

più ricco, gli fecero ottenere ben presto dei<br />

privilegi che riuscì a mantenere nel tempo, tanto<br />

che i suoi eredi poterono fregiarsi dei titoli di “Impressores<br />

Epis<strong>cop</strong>ales” e di “Stampatore del<br />

Sant’Officio, e della Città”.<br />

La tipografia Caccia si occupò di svariati argomenti,<br />

che <strong>cop</strong>rivano sia l’ambito legale che religioso<br />

e letterario. Molti, inoltre, sono i loro manifesti reperibili<br />

presso l’Archivio di Stato di Novara.<br />

Coprendo la loro attività più di due secoli, mi è<br />

impossibile fare un resoconto dettagliato del loro lavoro.<br />

Oltretutto, occupandomi specificatamente della<br />

produzione cinquecentesca, questo non è il luogo<br />

adatto per dilungamenti. Il motivo per cui ho trattato<br />

brevemente anche della tipografia Caccia è che esiste<br />

un legame tra le illustrazioni usate da questi<br />

stampatori e quelle dei Sesalli. Chiarimenti maggiori<br />

verranno dati nel capitolo riguardante l’analisi delle<br />

xilografie.<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 23<br />

nuovo


Studi e informazioni culturali<br />

La paciòliga (1) .Sapori, colori, onori<br />

della tavola di montagna<br />

(Mostra a Santa Maria Maggiore dal 26-12-2005 al 2-4-2006) (2ª parte)<br />

Monica Mattei ed Altri - Amministrazione<br />

Comunale di S. Maria Maggiore (VCO) 2<br />

Le stoviglie<br />

1<br />

Dialetto vigezzino che significa riunione conviviale con grandi<br />

mangiate e abbondanti bevute.<br />

2<br />

Si ringraziano per la collaborazione e per il materiale messo<br />

a disposizione: il sig. Franco Bonardi Sindaco di S. Maria Maggiore<br />

(omarista), il prof. Claudio Cottini Assessore alla Cultura, la<br />

dott.a Monica Mattei che è stata magna pars nell’impostazione e<br />

nella preparazione della mostra.<br />

La cucina, nelle casa più modeste, era la stanza<br />

più importante, quella in cui si riuniva tutta la famiglia<br />

intorno al camino di beola. Il muro del camino<br />

era protetto dalla fiamma da una lastra di serpentino<br />

(laugèra) (nell’Ottocento, vennero in uso anche lastre<br />

di ferro, variamente decorate). Ai lati del focolare<br />

erano spesso fissate al muro due panche di legno<br />

(bankèt) e, sopra una di queste, un armadietto a<br />

un’anta, ribaltabile a tavolino. Guarnivano il camino<br />

piccoli mobili, i credenzini, sui quali erano riposte le<br />

boccaline, rustiche brocche di terraglia con manico<br />

provenienti da Laveno, da Premia o acquistate all’estero<br />

dagli emigranti, dalle quali si beveva il vino,<br />

passando il recipiente da una persona all’altra, fra<br />

quelle raccolte intorno al focolare. Poche sedie, un<br />

tavolo di legno, stoviglie di terracotta e piatti di peltro<br />

costituivano l’arredamento della cucina che, solitamente,<br />

era pavimentata con grosse pietre squadrate.<br />

Nel muro della cucina era spesso ricavato un armadio<br />

o vi era un mobile adibito a tale uso.<br />

Nelle case più signorili, la cucina comunicava<br />

con la sala da pranzo (la quale era spesso foderata<br />

di legno, per renderla più calda); i mobili non presentavano<br />

notevoli differenze da quelli della cucina,<br />

ma il tavolo era più elegante. Completavano l’arredamento<br />

seggiole, seggioloni, talvolta <strong>cop</strong>erti in<br />

cuoio impresso e decorato, e un armadio contenente<br />

le suppellettili da tavola. I più antichi hanno sportelli<br />

e fianchi ripartiti a quadrati, altri di ornamentazione<br />

rustica o di stile piemontese, con un’alzata<br />

(peltriera o piattaia), per contenere i peltri di provenienza<br />

francese o svizzera, e le ceramiche d’uso.<br />

Nell’800 cominciarono ad essere introdotti anche<br />

peltri di fabbricazione inglese, specialmente teiere.<br />

Alle pareti, qualche dipinto di natura morta.<br />

Nel <strong>18</strong>08, a Premia venne impiantata una fabbrica<br />

di ceramiche fondata dal parroco don Bartolomeo<br />

Tonietti, che sfruttava il deposito di argilla del<br />

fiume Alfenza a Vicino. La produzione di queste ceramiche,<br />

gradevoli e comode, segnò il declino del<br />

peltro ossolano.<br />

Questa attività artigianale, chiusa nel <strong>18</strong>62, è stata<br />

riattivata nel 1978: sono stati studiati gli antichi<br />

modelli ricchi di eleganti fioriture, selezionate le decorazioni<br />

(foglia di vite, ricciolo, fogliolina, fiorellini) e<br />

riprodotti i colori. Oltre alle consuete stoviglie (piatti,<br />

vasellami, zuppiere) oggi si producono altri originali<br />

contenitori, attrezzi e complementi d’arredo per la<br />

cucina.<br />

Le ricette<br />

Minestra negra<br />

Lardo, cotenna, verza, porri, fagioli secchi scuri<br />

vigezzini, cicoria, acqua, sale.<br />

Soffriggere un abbondante battuto di lardo, aggiungere<br />

i fagioli, precedentemente ammollati in acqua<br />

tiepida, la verza, i porri e la cicoria. Quando il<br />

tutto è rosolato, aggiungere l’acqua, salare e lasciare<br />

cuocere a lungo. Un tempo, era usanza mettere<br />

in pentola anche qualche pezzo di cotenna che finiva<br />

nei piatti dei più fortunati i quali avevano qualcosa<br />

da gustare oltre ai fagioli e alla verdura.<br />

Chi poteva, arricchiva la minestra negra con il riso,<br />

cosa che, oggi, accade abitualmente.<br />

Supa da màgar<br />

Pane raffermo, cipolla, formaggio nostrano, burro,<br />

brodo di dado.<br />

Spezzettare il pane in una fondina con il formaggio<br />

a dadini, buttarvi il brodo bollente e <strong>cop</strong>rire con<br />

un altro piatto. Aggiungere un soffritto di burro e cipolla.<br />

È fondamentale che il brodo sia bollente, per<br />

consentire al formaggio di sciogliersi e diventare “filante”.<br />

I bisachit da Pasqua<br />

Intestino e stomaco di capretto completo delle<br />

sue varie parti. A scelta, il sangue del capretto. Una<br />

cipolla bionda, alloro, pepe, sale.<br />

Piatto straordinariamente delicato e croccante,<br />

molto diffuso un tempo e anche oggi, nella bassa<br />

Vigezzo (Re, Folsogno, Dissimo), ma anche in altri<br />

paesi, dove si chiama “brüsàa”, nel periodo pasquale,<br />

allorché vengono immolati i capretti. La difficoltà<br />

di preparazione risiede tutta nella particolare laboriosità<br />

che la pulitura della materia prima richiede.<br />

Occorre staccare gli stomaci dall’intestino e la-<br />

24 OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


varli separatamente. Mentre i primi non prevedono<br />

particolare impegno, per le budella e il resto è indispensabile,<br />

per ovvi motivi, servirsi di una sorgente<br />

fuori casa (l’ideale era il torrente). L’operazione è<br />

assai delicata e, se male eseguita, vanifica la riuscita<br />

del piatto. È sufficiente un centimetro di budello<br />

mal lavato per rendere immangiabile la portata.<br />

Ogni tratto di intestino viene raschiato, girato e rigirato<br />

più volte, ricorrendo a particolari accorgimenti.<br />

Ad operazione conclusa, si scotta il tutto in acqua<br />

bollente, dopodiché bisachit e stomaci, tagliati a<br />

pezzetti, si buttano in padella, dove è stata messa<br />

ad imbiondire, in olio abbondante, la cipolla, con<br />

due foglie di alloro, sale e pepe. Quando sono belli<br />

croccanti, servirli con patate bollite e cicorietta dei<br />

prati.<br />

Il sangue del capretto, scottato a parte e tagliato<br />

a pezzi, può essere aggiunto oppure utilizzato da<br />

solo in un soffritto di patate, cipolla, pepe, sale e alloro.<br />

Accompagnarlo con insalatina.<br />

Frittata di spinaci selvatici<br />

Spinaci selvatici dell’alpe, uova, burro, sale.<br />

Pulire e lavare accuratamente gli spinaci selvatici<br />

e poi tagliarli fini a bastoncino. In una terrina sbattere<br />

le uova, il sale, gli spinaci, fino a creare un impasto<br />

omogeneo. Sciogliere il burro in una padella<br />

di ferro e aggiungervi il tutto. Quando la frittata è<br />

rassodata, girarla e terminare la cottura.<br />

Polenta sfragaìda (a grani)<br />

È la più difficile da ottenere. Bisogna ridurre la<br />

quantità d’acqua a tre quarti di litro a testa. Come<br />

per la polenta dura, mettere l’acqua nel paiolo e aggiungervi<br />

a freddo il sale e una manciata o due di<br />

farina a spaglio. Quando l’acqua bolle, buttare la farina,<br />

sempre a spaglio ma, attenzione, senza girarla,<br />

lasciando il mestolo nel paiolo, fino a quando la<br />

farina sale a sfiorare l’acqua in superficie.<br />

A questo punto, sollevare con movimento rotatorio<br />

dal basso all’alto col mestolo la farina e, sempre<br />

con il mestolo, allagarla sfregandola delicatamente<br />

in superficie, si badi bene, senza schiacciarla. In<br />

questo modo, la farina s’asciuga perdendo l’umidità.<br />

Il trucco è tutto qui: sollevare e sfregare delicatamente.<br />

La polenta diventerà granulosa e soffice.<br />

Rusumàa<br />

Un uovo, uno o due cucchiai di zucchero, mezzo<br />

bicchiere di vino rosso oppure caffè o marsala.<br />

Montare l’albume ben sodo, aggiungere il tuorlo,<br />

lo zucchero e mischiare. Aggiungere infine, a piacere,<br />

il vino o un po’ di marsala o il caffè caldo. A<br />

merenda si poteva aggiungere anche latte, soprattutto<br />

per i ragazzi e i bambini. La rusumàa era la tipica<br />

colazione per gli uomini che si recavano al<br />

mattino presto a falciare il fieno. A Finero veniva<br />

preparata, sempre durante il periodo della fienagione,<br />

quale merenda corroborante.<br />

La letteratura<br />

Degli scrittori presentati, di area novarese per nascita<br />

o per destino, vengono offerti in lettura stralci<br />

di opere nelle quali, in modo tangente, si affronta il<br />

tema del cibo.<br />

Nelle opere che traggono la propria essenza dal<br />

quotidiano, cioè da ciò che gli uomini sono e fanno,<br />

gli accenni alle attività vitali (mangiare, bere, dormire)<br />

non possono essere dissimulate, poiché se i luoghi<br />

fisici del sonno sono quelli del soliloquio e della<br />

confessione a se stessi, quelli del cibo costituiscono<br />

la scenografia nella quale si mettono in atto il confronto<br />

familiare e sociale, il teatrino delle apparenze<br />

e delle chiacchiere inutili o il dramma dello smascheramento.<br />

Quest’ultimo, spesso, è causato da<br />

un generoso consumo di cibi e bevande le quali, da<br />

semplice “sfondo”, diventano causa anche di dissapori.<br />

I brani citati offrono diverse sfaccettature sull’atto<br />

del mangiare e bere: il gusto di assaporare il buon<br />

vino e di trarre del piacere nel guardarne il colore,<br />

gli umori della tavola, il triste consumo del rancio di<br />

guerra, il freddo ma saggio riutilizzo degli avanzi, la<br />

celebrazione dei cibi.<br />

Allargando lo sguardo al panorama regionale,<br />

toccando anche le rive lombarde del nostro lago<br />

Maggiore, rintracciamo interessanti commenti e osservazioni<br />

sul cibo e la tavola coerenti con quelle<br />

locali, dai rimproveri ai ragazzi che non sanno stare<br />

a tavola.<br />

“Nella mia casa paterna, quand’ero ragazzina, a<br />

tavola, se io o i miei fratelli rovesciavamo il bicchiere<br />

sulla tovaglia, o lasciavamo cadere un coltello, la<br />

voce di mio padre tuonava (...) Se inzuppavamo il<br />

pane nella salsa, gridava: Non leccate i piatti! Non<br />

fate sbrodeghezzi! Non fate potacci! (...)<br />

Nelle gite in montagna era consentito portare soltanto<br />

una sorta determinata di cibi, e cioè: fontina,<br />

marmellata, pere, uova sode; ed era consentito bere<br />

solo del tè, che preparava lui stesso, sul fornello<br />

a spirito” (“Lessico familiare” di Natalia Ginzburg, Einaudi)<br />

Al topos del cibo salutare della campagna:<br />

“Andiamo a vivere in campagna nell’aria buona.<br />

Vedrai che ti farà bene. Mangerai uova fresche, pollastrelli<br />

e soprattutto frutta e verdura appena colta,<br />

che è quello che ci vuole per la tua stitichezza” (“Il<br />

pretore di Cuvio” di Piero Chiara)<br />

Fino alle descrizioni dei pasti dei militari:<br />

“Non c’era ancora niente di pronto e così i partigiani<br />

cominciarono a rubarsi l’uno all’altro il pane<br />

fresco. Poi arrivò il cuciniere con un piatto di bistecche<br />

e per primi servì Marco e Jole e fin lì nessuno<br />

disse niente. Ma quando distribuì le rimanenti ad altri<br />

che loro, gridarono al cuciniere: Ferdinando, venduto!<br />

Chi t’ha detto di farlo di lì il giro Noi siamo i figli<br />

della serva” (“I ventitrè giorni della città di Alba”<br />

di Beppe Fenoglio)<br />

E ai legami del buon cibo con altri aspetti della vita<br />

dell’uomo:<br />

“Tu sei giovane, Pablo, non sai che tre nasi sono<br />

quel che ci vuole per bere il barolo (...) Adesso Linda<br />

ci racconta qual è il vino da bere facendo l’amore<br />

in un giorno d’inverno. Sono cose che solo le<br />

donne capiscono. (...) Linda buttò la testa all’indietro<br />

e disse pronta: Quel che si ha sottomano” (...) Se il<br />

barolo lo bevono in tre, disse Linda, beviamo il barolo”<br />

(“Il compagno” di Cesare Pavese)<br />

C’è, poi, oltre i confini regionali, tutto un settore<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 25<br />

nuovo


della letteratura “didascalica” che si propone di insegnare<br />

a stare a tavola con misura e buona educazione.<br />

Questo tipo di trattazione prende l’avvio<br />

con il “Galateo” del Della Casa, cui fa da contr’altare<br />

il “Morgante” di Luigi Pulci, nel quale Margutte,<br />

dimenticate le buone maniere e irrisa la sacralità legata<br />

al consumo cristiano dei pasti, elabora un proprio<br />

“credo”:<br />

(...) io non credo più al nero ch’a l’azzurro<br />

ma nel cappone, o lesso o vuogli arrosto;<br />

e credo alcuna volta anco nel burro,<br />

nella cervogia, e quando io n’ho, nel mosto<br />

e molto più nell’aspro che il mangurro;<br />

ma sopra tutto nel buon vino ho fede,<br />

e credo che sia salvo chi gli crede;<br />

e credo nella torta e nel tortello:<br />

l’uno è la madre e l’altro è il suo figliuolo;<br />

e ’l vero paternostro è il fegatello (...)<br />

Per finire, citiamo l’area dei numerosissimi libri<br />

dedicati alla storia della cucina, della cottura dei cibi,<br />

all’arte di tagliare i formaggi o di assaporare i vini,<br />

alla preparazione della tavola con i giusti accessori,<br />

agli oggetti di design per la tavola.<br />

La musica<br />

I musicisti amano il cibo, ma per altro verso anche<br />

il cibo ama la musica, esempio delle molteplici<br />

interconnessioni tra sacro e profano, tra intelletto e<br />

materia, tra corpo e spirito.<br />

L’unione di musica e cibo è cara agli dei e il suo<br />

percorso storico è talmente complesso e articolato<br />

che possiamo solo, in questa sede, fornire esempi<br />

sommari e necessariamente incompleti.<br />

Sin dai tempi remoti, l’uomo amava banchettare<br />

a suon di musica. Tacciono però, per le nostre orecchie,<br />

le sontuose pitture egizie o i fregi babilonesi<br />

che descrivono re e faraoni accompagnati a mensa<br />

da strumentisti e flessuose e sensuali danzatrici.<br />

Un frammento aristofanesco ci tramanda la prima<br />

tremolante melodia (ricostruita con molte incertezze)<br />

da tavola, abitudine che i greci trasmisero ai<br />

romani: questi, pensate, amavano accompagnare i<br />

convivi con il suono potente dell’organo (strumento<br />

poi destinato a ben altro uso) cui si aggiungevano al<br />

momento della danza flauti, aulos e crotali per sonorità<br />

orgiastiche e piene di sensualità.<br />

Ma per trovare le prime melodie dobbiamo arrivare<br />

al medioevo con le musiche dei giullari. Ad<br />

esempio, la “Virtus asinaracuriosa” è una curiosa<br />

giullarata in cui un asino, divenuto Re di Francia,<br />

canta più volte la bontà del vino e la squisitezza dei<br />

cibi. Alla “taverna” sono dedicate alcune melodie dei<br />

“Clerici vagantes” raccolte nel celebre codice dei<br />

Carmina Burana, ma alla tavola e al convivio appartengono<br />

anche prodotti musicali e poetici più nobili<br />

come quelli dei Trovati, dei Trovieri e Minessänger.<br />

Non furono da meno gli arsnovisti italiani che dedicarono<br />

alla tavola molte elaborate composizioni ricche<br />

di vivacità ritmica e arguzia testuale.<br />

Nel rinascimento gli esempi si moltiplicano e si<br />

fanno gustosi. Il grasso e ridanciano bolognese<br />

Adriano Banchieri ci lascia esempi memorabili: il madrigale<br />

“Rostiva i corni e le castagne al forno” parodia<br />

del petrarchesco “Vestiva i colli”, anticipa le follie<br />

del “Festino del giovedì grasso” o la colossale bevuta<br />

del tedesco nella “Barca da Venezia a Padova”.<br />

Ma come dimenticare le strofe bacchiche del “Convitto”<br />

di Orazio Vecchi o l’impacciato Ianzo di Lasso<br />

Nel barocco la musica da tavola diventa un vero<br />

e proprio genere coltivato da sommi autori.<br />

Michael Praetorius detta addirittura “regole per<br />

ben allestire una musica buona per la tavola di un<br />

gran signore”. Scheidt, Hammerschmidt, Simpson,<br />

Telemann compongono vere e proprie raccolte di<br />

Tafelmusik che vengono pubblicate e diffuse in tutta<br />

Europa.<br />

In Francia il sontuoso cerimoniale di corte prevede<br />

musiche per la colazione, il pranzo e la cena del<br />

Re, famose quelle composte da Delalande e da Lully<br />

(n.d.r.: Faticosa doveva essere la vita del re di<br />

Francia perseguitato dalla sua orchestra che aveva<br />

compito di accompagnare il suo risveglio, le sue cerimonie,<br />

gli incontri galanti, le passeggiate, i pasti sino<br />

all’ora di coricarsi; ve lo immaginate un povero<br />

Luigi qualsiasi muoversi furtivamente per la corte<br />

sperando in un poco di pace, ma no, ecco subito i<br />

maledetti oboi e violini a far fracasso. Forse per un<br />

poco di silenzio doveva rifugiarsi in bagno: non ci<br />

sono infatti giunte musiche “pour le roi qui pisse”).<br />

Sempre in Francia nel periodo barocco era in<br />

gran voga la “Chanson a boire” per voce e liuto, più<br />

maneggevole e adatta alle piccole osterie e alle case<br />

private. Ne furono pubblicate decine di raccolte,<br />

alcune di queste fanno ancora parte del repertorio<br />

popolare di alcune regioni come la deliziosa “Le vin<br />

et la table” di Etienne Merimé che ascoltai io stessa<br />

intonata da rubicondi Borgognoni nel bistrot di fronte<br />

al sublime “Hopital” di Beaune.<br />

Nel barocco meritano citazione cibaria i due più<br />

importanti compositori: Haendel e Bach.<br />

Facile immaginare Georg Friedrich alle prese<br />

con la buona tavola, egli aveva fama di divoratore<br />

orchesco. Maiwaring narra che “egli giunse da solo<br />

in una locanda e ordinò un pasto per tre persone.<br />

Dopo un po’ di tempo, non essendo servito, sollecitò<br />

l’oste il quale si giustificò dicendo che aspettava<br />

gli altri commensali. Haendel rise fragorosamente e<br />

disse: sono io gli altri commensali, dopodiché divorò<br />

tutto quanto gli venne portato’’. Mentre era a tavola<br />

ospite di amici sovente Haendel si ritirava per annotare,<br />

diceva lui, nuove idee musicali. Una volta alcuni<br />

lo seguirono di nascosto e s<strong>cop</strong>ersero che in effetti<br />

tracannava del vino speciale che si era portato<br />

da casa sapendo non eccellente quello offerto dall’ospite”.<br />

Lo stesso autore commenta poi: “chiedere<br />

a Haendel di essere morigerato a tavola è come<br />

chiedere ad un mercante italiano di avere la precisione<br />

di un orologiaio svizzero”.<br />

Più inusuale è invece l’abbinamento Bachiano. È<br />

vero che egli ha dedicato al caffè una delle sue più<br />

belle cantate profane, ma l’iconografia ce lo tramanda<br />

come uomo parco e morigerato. Forse gli storici<br />

dovrebbero scorrere l’elenco delle vivande da lui<br />

consumate in occasione dell’organo della Liebfrauenkirke<br />

di Halle puntigliosamente annotata dal<br />

fabbriciere, forse per giustificarne la spesa, (prevedeva:<br />

luccio con salsa di burro all’acciuga, prosciutto<br />

affumicato con piselli, piatto di patate, salsiccia<br />

con spinaci, quarto d’arrosto di montone, zucca bollita,<br />

frittelle, scorza di limone candita, ciliege in con-<br />

26 OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


serva, insalata di asparagi, lattuga, ravanelli, arrosto<br />

di vitello e burro fresco), ma anche le numerose fatture<br />

di birra e sidro e una lettera al cugino che gli<br />

aveva inviato in dono alcune botti di sidro. Bach ringrazia,<br />

ma lamentandosi del costo eccessivo di<br />

spedizione, dogana e dei molteplici assaggi fatti dai<br />

doganieri.<br />

Anche Mozart fu amante della buona tavola e nel<br />

suo corposo epistolario sottolinea più volte la bontà<br />

di cibi o vini. Come dimenticare poi che nelle sue<br />

opere la tavola ha sovente funzione essenziale: la<br />

scommessa del “Così fan tutte” nasce durante un<br />

banchetto e Don Giovanni porta a compimento il<br />

suo dramma in una luculliana cena accompagnata<br />

(notate bene) da un’orchestrina che viene solitamente<br />

posta in scena accanto al dissoluto prossimo<br />

alla punizione.<br />

Anche i compositori romantici si distinsero per<br />

qualità masticatorie. Schubert ha composto, ad<br />

esempio, un delizioso terzetto intitolato “L’arrosto<br />

del giorno di nozze”: in esso si decanta la qualità<br />

della cucina nuziale; un invitato, però, invidia lo sposo<br />

novello perché la bella sposina è “un arrostino<br />

niente male”.<br />

Schumann e il suo enturage frequentavano la<br />

Zur Kaffebaum e qui alternavano corpose mangiate<br />

e bevute con memorabili esecuzioni del grande repertorio<br />

romantico.<br />

Brahms fu bevitore gagliardissimo e forchetta temibile.<br />

Una memoria commovente ce lo descrive ormai<br />

in punto di morte quando il giovane medico che<br />

lo assiste accondiscende a fargli bere una <strong>cop</strong>pa di<br />

vino, <strong>cop</strong>pa che il musicista tracanna in due sorsate<br />

per esclamare ormai sfinito con un ultimo barlume<br />

di gioia “ach, Das ist Gut”.<br />

Anche Hector Berlioz compone una “Chanson a<br />

boire” su versi di Thomas Moore, melodia in cui allo<br />

spensierato ritornello fanno da eco due strofe di malinconia<br />

infinita (notoriamente il nostro aveva la<br />

sbronza triste!).<br />

Nel Novecento gli esempi sono pressoché infiniti:<br />

dai “Canti popolari” di Bartok, alle “Chanson a<br />

Boire” di Martin, dall’elogio del “Wine” di Alban<br />

Berg, a quello di Gustav Mahler nel “Lieder von der<br />

erde” sino alle gustose ricette di cucina messe paro<br />

paro in musica dall’estroso Leonard Bernstein.<br />

Alcuni musicisti hanno iniziato ad occuparsi di fame<br />

nel mondo e di cibo in senso di privazione; è il<br />

caso di Kurt Weill in opere su testo di Brecht, ma<br />

anche autori che descrivono momenti di guerra o<br />

memorie dell’olocausto come Penderecki, Ulmann,<br />

sino a quelli della nuova generazione aperti ed attenti<br />

ai nuovi problemi sociali dei poveri della società<br />

globalizzata.<br />

Numerosissimi gli esempi nella musica di consumo<br />

o leggera. Alcuni musicisti hanno fatto della esagerazione<br />

alcoolica uno stile di lavoro. È utile a tal<br />

proposito citare le sagge parole di Charlie Parker:<br />

“Un musicista che afferma di far meglio dopo aver<br />

bevuto è un bugiardo, quando sono sbronzo le mie<br />

idee sono povere e non ho controllo sulle dita; al<br />

momento penso di suonare meglio, ma quando mi<br />

riascolto mi vergogno di me stesso”.<br />

Che dire poi della miriade di canzonette che ci<br />

parlano, magari ironicamente, di bevande gassate o<br />

spaghetti etc etc; mi piace ricordarne tre: la stralunata<br />

giungle della metà novecento dedicata alle<br />

Terme di Bognanco (Bognanco tu Bognanco sollievo<br />

dai al cittadino stanco...) la travolgente “Ciliegie<br />

Ciliegie” del gruppo rock domese “I Raccomandati”<br />

(effimera presenza nel panorama discografico internazionale)<br />

e l’inverosimile Giorgio del Lago Maggiore<br />

con le sue buffe ripetizioni onomatopeiche di<br />

“Chianti Chianti, polenta polenta” etc.<br />

Un discorso a parte merita invece la tavola nell’Opera.<br />

Testimonia il giovane Stendhal quando arrivato a<br />

Milano si reca al Teatro alla Scala: “Nei palchi i cavalieri<br />

fanno portare, alle dame e non solo, frutta,<br />

gelati sorbetti e vini e ogni deliziosa cibaria; mentre<br />

l’opera è in corso se ne discute la bontà. Vi sono tre<br />

specie di delizie: gelati, crepes e pezzi duri, ancora<br />

non so dire quale sia migliore”. Un’abitudine che oggi<br />

sopravvive, per fortuna, solo negli assalti ai buffet<br />

degli intervalli (memorabili quelli delle prime al Regio<br />

di Parma).<br />

Ma la tavola nell’opera ha anche un’importante<br />

funzione scenica. E qui dobbiamo parlare del principe<br />

dei musicisti buongustai Gioacchino Rossini.<br />

Una fama leggendaria, secondo Oettinger. Egli era<br />

solito dichiarare “Lo stomaco è il maestro, sprona<br />

l’orchestra delle grandi idee e passioni. Lo stomaco<br />

vuoto sprona il fagotto del livore e il flauto dell’invidia,<br />

quello pieno suona il sistro del piacere e il tamburo<br />

della gioia”. Dichiarazioni programmatiche.<br />

Egli fu infatti autore di tanta bella musica (tra i pieces<br />

de vieillesse alcuni portano titoli gastronomici<br />

come “Piselli, Saltato in padella, Quattro antipasti<br />

etc), ma anche di ricette ancora in voga come i suntuosi<br />

tournedos.<br />

Ma infiniti sono gli esempi operistici che potremmo<br />

citare: ad esempio i buffi ubriachi dell’“Anacreonte’’<br />

di Rameau, i vini citati dal Don Giovanni di<br />

Mozart (Marzemino) dalla Carmen di Bizet (Vini di<br />

Spagna) dalla Tosca di Puccini (Vino di Cipro) dal<br />

Pipistrello di Strauss e dalla Vedova Allegra di<br />

Lehar (Champagne ovviamente e che altro).<br />

Ma anche i numerosissimi brindisi (etimo non<br />

certo, forse da Bring dir’s lo porto a te o Trinken Sie)<br />

che costellano con effetti ora drammatici ora comici<br />

la “Lucrezia Borgia” e l’“Elisir d’amore” di Donizetti,<br />

la “Traviata”, l’“Otello” e il “Falstaff” di Verdi, la “Cavalleria<br />

rusticana” di Mascagni, sino all’orgia rossiniana<br />

che unisce al piacere del bere altri meno nominabili.<br />

E via sino alle opere recenti di Ligeti, Shostakovitc<br />

e altri musicisti a noi contemporanei.<br />

Curiosa è poi l’idolatria dei personaggi della lirica<br />

che porta alla nascita di ricette a loro dedicate da<br />

grandi chef: Valga per tutti quella di Auguste Escoffier<br />

per Nellye Melba (deliziosa soprano interprete di un<br />

memorabile Lohengrin a Londra): dopo la recita il<br />

sommo cuoco le presentò pesche affogate in un letto<br />

di gelato alla vaniglia incastonate tra biscotti in forma<br />

di ali di cigno (omaggio all’opera wagneriana) cosparse<br />

di zucchero a velo: come Così è la pesca Melba<br />

che oggi mangiamo nelle gelaterie più raffinate.<br />

Anche l’acqua ha una sua funzione in scena, ma<br />

essa serve in genere a purificare, viene attinta alle<br />

fonti sacre, per cui la si beve per dovere, senza<br />

troppa enfasi, semmai se ne enfatizza il benefico effetto.<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 27<br />

nuovo


Un’ultima nota riguarda il particolare uso che, a<br />

volte, il pubblico fa di taluni alimenti per esprimere<br />

insoddisfazione o scarso gradimento delle esecuzioni<br />

musicali. Un noto psicologo afferma cha tale<br />

lancio sottolinea la frattura tra l’artista e la sua capacità<br />

orale che il pubblico vuole ricomporre attraverso<br />

il lancio di cibarie che riconcilino il musicista<br />

con il proprio stomaco riportandolo alla condizione<br />

rossiniana sopra descritta. Fatti salvi i rapanelli offerti<br />

alla Callas (feroce caricatura del mazzo di rose)<br />

e la funesta ira susseguente della Divina, in genere<br />

esistono a tal proposito due scuole di pensiero: l’uovo<br />

marcio e il pomodoro (sempre marcio se possibile).<br />

Tuttavia vi è alla base di tutto ciò una maldisposizione<br />

preventiva; infatti, come ben sottolinea il Perec,<br />

chi pensa di andare normalmente all’opera o ad<br />

un concerto con frutta marcia maleodorante nella<br />

tasca del vestito buono<br />

Chiuderò con una citazione di Lutero “Chi non<br />

ama la buona musica, il buon cibo ed il buon vino<br />

resta pazzo per tutta la vita”. Si può dargli torto<br />

La pittura<br />

GIAN MARIA RASTELLINI (<strong>18</strong>69-1927)<br />

“Natura morta con mele cotogne e uva”, <strong>18</strong>85 circa<br />

Olio su tela, cm 36.3x54.3<br />

Collezione privata<br />

Nasce a Buttogno da famiglia benestante. Apprende<br />

le basi della pittura alla Scuola di Belle Arti<br />

Rossetti Valentini sotto la guida di Enrico Cavalli insieme<br />

con Carlo Fornara, Giovanni Battista Ciolina<br />

e Maurizio Borgnis. Nel <strong>18</strong>89 si trasferisce a Milano<br />

con il fratello Gian Battista e gravita intorno all’ambiente<br />

dell’Accademia di Brera. Partecipa a quattro<br />

Triennali organizzate da questa e nel 1902 con Sognando<br />

riceve la medaglia d’oro all’Esposizione Internazionale<br />

di Monaco di Baviera. Successivamente,<br />

si dedicherà con impegno quasi esclusivo al ritratto<br />

su commissione, diventando uno degli interpreti<br />

più ricercati dall’aristocrazia e dalla borghesia<br />

imprenditoriale lombarda.<br />

La natura morta, un génere quasi del tutto disertato<br />

da Rastellini nel corso della sua attività artistica,<br />

appartiene agli anni del tirocinio pittorico da lui effettuato<br />

alla Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini di<br />

Santa Maria Maggiore sotto la guida di Enrico Cavalli,<br />

con ogni probabilità all’epoca delle prime prove<br />

realizzate per impratichirsi nell’uso della pittura ad<br />

olio, elemento che suggerisce una datazione al<br />

<strong>18</strong>85. Non si tratta di una composizione autonoma,<br />

scaturita dalla fantasia del giovanissimo allievo, ma<br />

da una <strong>cop</strong>ia derivata da un modello di Enrico Cavalli,<br />

che presenta quasi le stesse dimensioni (Sergio<br />

Rebora, “Gian Maria Rastellini” - I quaderni del<br />

Museo del Paesaggio, n.14)<br />

ENRICO CAVALLI (<strong>18</strong>49-1919)<br />

“Natura morta con pesci e limone”, 1900 circa<br />

Olio su tavola, cm 19x32.5<br />

Collezione privata<br />

Il grande maestro della storia artistica vigezzina<br />

nasce a Santa Maria Maggiore da padre pittore che,<br />

nel <strong>18</strong>55, si trasferisce in Francia portando con sé il<br />

figlio. A Lione Enrico frequenta la Scuola di Belle<br />

Arti, sotto la guida del Guichard. Cavalli conosce, in<br />

Francia, anche Adolphe Ponticelli, modernissimo<br />

artista che influenza la formazione pittorica del vigezzino.<br />

Il periodo d’oro della sua attività artistica è quello<br />

che va dal <strong>18</strong>81 al <strong>18</strong>93.<br />

Enrico Cavalli è stato un grande artista (colui che<br />

ha assorbito, vissuto e rielaborato con lo sua forte<br />

personalità, tutte le novità che fervevano in terra di<br />

Francia tra lo seconda metà dell’Ottocento e l’inizio<br />

del Novecento) e un grande maestro per i pittori vigezzini,<br />

anche se fu incompreso dai suoi conterranei<br />

e contemporanei. Così parla di lui l’allievo Carlo<br />

Fornara: “Il Cavalli, mirabile colorista, sviluppò in<br />

me il senso dell’armonia del colore, la comprensione<br />

delle bellezze naturali e mi iniziò all’indagine del<br />

fenomeno luminoso, (...) mi parlava dei grandi maestri<br />

del Rinascimento e, a quelle ardenti parole io,<br />

che non ero mai uscito dalla Valle, sentivo la mente<br />

riempirsi di meravigliose visioni.”<br />

Nel campo della natura morta, un punto fermo<br />

dell’opera di Cavalli è “Fiori e frutta” del <strong>18</strong>84, rutilante<br />

di colori sontuosi, che segna il passaggio a toni<br />

più vivaci e matrici. Le nature morte di Enrico Cavalli<br />

costituirono un punto di riferimento per tutta la<br />

pittura vigezzina.<br />

GIOVANNI BATTISTA CIOLINA (<strong>18</strong>70-1955)<br />

“Ciliegie”, 1930 circa<br />

Olio su tavola, 38.5x28.5 cm,<br />

firma in basso a sinistra<br />

Il grande poeta della pittura vigezzina, Giovanni<br />

Battista Ciolina, nasce a Toceno nel <strong>18</strong>70.<br />

Con Fornara, è tra i migliori allievi di Enrico Cavalli<br />

alla Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini. Finiti<br />

i corsi, Ciolina e Fornara trascorrono molti mesi a<br />

Lione, centro di notevoli tradizioni pittoriche.<br />

Alla Mostra Triennale di Milano del <strong>18</strong>97, il Ciolina<br />

presenta “Il filo spezzato”, quadro tanto ammirato<br />

da indurre il pittore vigezzino ad aprire uno studio<br />

in quella città. Nel 1914, le preoccupazioni familiari<br />

lo riportano per sempre in Valle.<br />

Tra i suoi capolavori, “Il filo spezzato” (<strong>18</strong>92-<br />

<strong>18</strong>93) e il “Ritorno dall’ Alpe” (1920). Peculiarità fondamentale<br />

della sua produzione sono l’intimismo e<br />

la liricità che esprime in tutti i campi della pittura, dal<br />

quadro a olio all’affresco, dal ritratto all’acquaforte.<br />

G.B.Ciolina dipinse numerose nature morte che,<br />

per giustezza di toni e poesia d’atmosfera possono<br />

considerarsi una della manifestazioni essenziali della<br />

sua pera. La frutta e gli oggetti delle sue nature<br />

morte sono immersi in una luce diffusa e pacata che<br />

nasce da un’ispirazione gentile, autentica, emozionante.<br />

LORENZO PERETTI jr. (<strong>18</strong>71-1953)<br />

“Forme colorate”, senza data<br />

olio su cartone telato, 26.5x42 cm<br />

Discendente di un’eccellente dinastia di pittori,<br />

Lorenzo jr., molto dotato e di grande personalità,<br />

non si dedica alla pittura con costanza, anche se è<br />

allievo della Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini.<br />

28 OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


Dice di lui il Cavalli: “non espone e non fa vedere.<br />

Mio allievo, caratteristico misantropo e concentrato,<br />

valente pittore e critico d’arte, molto studioso e fine<br />

osservatore, temperamento d’artista nel vero senso”.<br />

Ad oggi, non sono, purtroppo, ancora stati pubblicati<br />

studi approfonditi sulla sua opera .<br />

La natura morta, insieme con i paesaggi, è un<br />

genere nel quale questo artista si esprime con maestrìa<br />

e viva sensibilità.<br />

La natura morta presente in mostra, di grande<br />

modernità, mette in luce una tecnica matura (gli oggetti<br />

si smaterializzano, restano i segni fondamentali<br />

delle forme) e una personalità forte e indipendente,<br />

eccentrica rispetto agli altri pittori.<br />

ALFREDO BELCASTRO (<strong>18</strong>93-1961)<br />

“Spazio metafisico”, 1909<br />

Acquarello, 48,5x32 cm<br />

Nasce ad Omegna il 6 agosto <strong>18</strong>93. Dal 1908 al<br />

1912 frequenta la Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini<br />

con il professore Dante Comelli. A Torino e<br />

Milano dove lavora nel campo del design industriale,<br />

le conoscenze di Belcastro nel campo artistico<br />

sono ampliate e approfondite. Inizia una lotta interiore<br />

per liberarsi dall’accademismo e dalla suggestione<br />

di nomi importanti e rielaborare una visione<br />

personale. Verso il 1924-25 Belcastro non è più uno<br />

sconosciuto: la sua pittura supera gli angusti confini<br />

della Valle e nel 1929 un suo quadro è acquistato<br />

dal Capo del governo che gli accorda un’udienza.<br />

Gli è accanto, con incitamenti preziosi espressi<br />

in articoli e conferenze, l’avvocato milanese Eugenio<br />

Squassoni e tutta la stampa è concorde nell’apprezzamento<br />

positivo del nostro pittore.<br />

Il Comanducci fa posto al Belcastro nel proprio<br />

dizionario dei pittori moderni italiani.<br />

L’amico avvocato Squassoni, in uno scritto del 5<br />

aprile 1938, parla di Belcastro come di un artista primitivo<br />

che all’anelito di contemplazione fa corrispondere<br />

tonalità coloristiche che traducono perfettamente<br />

il pensiero.<br />

Nel 1961, pago di aver vissuto ed operato generosamente<br />

ed onestamente, Alfredo Belcastro chiude<br />

la sua lunga e faticosa giornata di artista e di uomo.<br />

La natura morta esposta, una pera appesa ad un<br />

muro come fosse un quadro, è uno studio giovanile.<br />

GIUSEPPE MAGISTRIS (1911-1967)<br />

“Natura morta”, 1957<br />

Olio su tavola, 49.5x39.5 cm<br />

Nasce a Santa Maria Maggiore nel 1911. Gli anni<br />

di scuola sono un tormento: liti con gli insegnanti<br />

e allievi (viene sospeso dal liceo classico Rosmini di<br />

Domodossola per idee antifasciste), ma trova grande<br />

sollievo nella pittura e negli studi musicali (violino,<br />

organo, gregoriano).<br />

Nel 1944 viene condannato a morte dal Governo<br />

Repubblicano Fascista a Novara con una taglia di<br />

50.000 £. È del 1945 la prima mostra personale a<br />

Legnano. Esegue concerti d’organo nella Svizzera e<br />

tiene uno studio aperto a Milano con lo scultore Sangregorio<br />

in una casa sinistrata dove lavorano anche<br />

l’editore Longanesi e gli scrittori Monti e Vittorini.<br />

Tra il 1951 e il ’55 riceve degli incarichi per il Museo<br />

S. Paolo del Brasile, mentre nel 1961 è invitato<br />

al Salon d’Hiver a Parigi; nel 1963 è invitato agli Indipendenti<br />

a Parigi con tre opere e, nello stesso anno,<br />

riceve il premio europeo Award per lo pittura e<br />

l’attestato di merito con medaglia dell’Istituto Internazionale<br />

delle Arti e delle Lettere di Zurigo<br />

Marco Rosci definisce quella di Magistris un’eredità<br />

di “espressionismo alpino, fra tradizione locale<br />

e apertura europea dalla Brucke e dall’espressionismo<br />

fiammingo in avanti con tutto il loro incrocio di<br />

drammatizzazione umanitaria della pavesiana fatica<br />

di vivere e di simbolizzazione del messaggio sociale<br />

cristiano delle origini”.<br />

Sempre Rosci sottolinea che, nella seconda<br />

metà degli anni Cinquanta, l’elaborazione cromatica<br />

e materia dell’immagine espressionistica perviene<br />

ai suoi più alti risultati nella stupenda natura morta<br />

(esposta), degna di Soutine.<br />

SEVERINO FERRARIS (1903-1979)<br />

“Vaso di frutta”<br />

Olio su tela, cm 40x60 cm<br />

Nasce a Prestinone nel 1903 da Pio e frequenta<br />

lo Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini a Santa Maria<br />

Maggiore studiando disegno e pittura sotto lo<br />

guida di Enrico Cavalli, di Dario Giorgis ed infine<br />

dello zio Carlo Fornara. Insegna a sua volta presso<br />

la Scuola, tenendo viva un’istituzione in un’epoca di<br />

decadimento spirituale ed artistico.<br />

Fecondo lavoratore, è presente a tutte le mostre<br />

locali e regionali, collettive e sindacali; espone alla<br />

Nazionale di Milano, alla Promotrice di Torino, alla<br />

Prima Sindacale di Novara dove ottiene il secondo<br />

premio con l’opera “Triste fine d’autunno”. Conquista<br />

il premio Bognanco e la medaglia d’argento alla<br />

Prima Mostra Nazionale d’Arte Pura a Napoli.<br />

Pittore che attinge con umiltà alle sorgenti vive<br />

del colore e della luce ricreando, su grandi tele come<br />

su modesti bozzetti, la luminosità delle valli ossolane,<br />

lo splendore delle loro nevi, lo sequela romantica<br />

dei casolari e degli svettanti campanili, tutto<br />

il calore degli autunni od il sospiro delle primavere<br />

che tornano a risvegliarsi.<br />

Pittore che penetrò i soggetti per trarne oltre al<br />

contenuto una dimensione simbolica, che è possibile<br />

rintracciare in questa bella natura morta, Severino<br />

Ferraris restò sempre insoddisfatto di sé.<br />

Severino Ferraris appartiene alla Valle Vigezzo e<br />

questa a lui, come a pochi è capitato. Se alla parola<br />

“popolarità” vogliamo dare il significato di compenetrazione<br />

tra una gente, un ambiente e il singolo,<br />

questo spetta a Severino Ferraris. Cordiale, sincero,<br />

amico schietto, battagliero, egli è stato l’alfiere<br />

di una valle, della montagna con le sue tradizioni e<br />

la sua fede.<br />

ANTONIO GENNARI (1923-2002)<br />

“Déjeuner sur l’ herbe”<br />

Olio su tavola, 40x50 cm<br />

“Io nacqui per l’appunto a Buttogno di Valle Vigezzo<br />

il 7 settembre 1923 (…). E vide Dio che ciò<br />

bene stava. Solo non capisco come in un mondaccio<br />

sin dall’inizio così malcombinato, Dio vedeva<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 29<br />

nuovo


sempre che ciò bene stava. Famiglia anche di onesti<br />

emigranti la mia. Appena nato mi portarono in Argentina<br />

da dove tornai a sei anni. Il ritorno dalla<br />

grande Buenos Aires alla piccola lampadina a filamento<br />

a carbone causò in me un trauma che mi seguì<br />

per tutta la vita.<br />

Diversamente da molti pittori, appena nato non mi<br />

diedi subito a disegnare sulle parti di casa mia e nemanco<br />

disegnai vulve stilizzate sui muri delle case<br />

altrui (a quei tempi, ero ragazzo assai ben educato).<br />

Ora vi dovrei dire che scuole ho frequentato,<br />

quali premi e riconoscimenti ho conseguito, a quali<br />

mostre e mostrette ho partecipato, su quali cataloghi<br />

a pagamento tanto per pagina sono apparso, di<br />

quali chincaglierie sono stato insignito, se sono nobile<br />

o plebeo.<br />

Posso dire solo questo senza tema di peccare di<br />

presunzione: come pittore mi pare di valer più di<br />

Amintore Fanfani. (…)”<br />

Antonio Gennari<br />

L’opera presente in mostra rappresenta una beffarda<br />

e geniale “irrisione” dei civettuoli “déjeuner”<br />

della borghesia francese, che tanto successo regalarono<br />

ai pittori impressionisti.<br />

FRANCESCO GIORGIS (GHILlN) (<strong>18</strong>28-1904)<br />

“Interno (vecchia cucina vigezzina)”, senza data<br />

Olio su tela, 40x60 cm<br />

Francesco, detto Ghilin, è il capostipite della dinastia<br />

di pittori Giorgis. Apprende i primi elementi di<br />

pittura da un Simonis di Buttogno; opera a Torino e<br />

soggiorna spesso in Francia. Egli non dipinge per<br />

vivere, tant’è che accetta per paga dei libri di viaggio<br />

e della stoffa di lana.<br />

Egli si occupa anche di restauro, mostrando un<br />

fecondo rapporto con la tradizione degli artisti che<br />

l’hanno preceduto. Dipinge cappelle ed ex voto.<br />

Alcuni dei suoi dipinti, nati da esigenze occasionali,<br />

non si discostano da un’attività di routine, sebbene<br />

la varietà delle opere realizzate testimoni, oltre<br />

che la flessibilità e la sicurezza nel mestiere, anche<br />

quanto Francesco Giorgis sia riuscito ad inserirsi<br />

negli ambienti più diversi. Egli crea una galleria di<br />

personaggi efficacemente caratterizzati.<br />

Dipinge nature morte, piene di silenzio, che risultano<br />

esercizi meditativi di autodisciplina, colme di silenzio,<br />

i cui oggetti richiamano i valori di una dimensione<br />

intima e quotidiana.<br />

30 OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


Studi e informazioni culturali <br />

Osvaldo Provvidone<br />

Caro Osvaldo,<br />

anche se tu hai qualche annetto in più, ma il tuo spirito<br />

un po’ folle di colore è rimasto lo stesso di quando, dipingevi<br />

le piume di un uccello impagliato, le nostre strade<br />

sull’arte contemporanea sono iniziate e sono proseguite,<br />

assieme, tu come operatore, io come critico.<br />

Erano gli anni in cui le Biennali del secondo dopoguerra<br />

ci facevano conoscere l’ultimo Picasso, l’ultimo<br />

Matisse, ci rivelavano Klee e Kandinsky e la grande<br />

svolta del colore espressionista astratto, gestuale,<br />

informale, con l’orologio del contemporaneo non più fisso<br />

su Parigi, ma come pendolo oscillante fra U.S.A. e<br />

un’Europa nuova tra Francia e Italia, Spagna e Germania.<br />

A Novara, questa nuova rivoluzione di metà secolo,<br />

io la constatavo e la studiavo da neo laureato in storia e<br />

critica dell’arte (ricordo una breve stagione di articoli<br />

sull’“Avanti” di Milano dopo la scomparsa improvvisa di<br />

un bravissimo critico, oggi dimenticato, Giampiero Giani,<br />

grande amico di Sormani), tu e altri tre artisti la viveste<br />

come parte attiva, creativa, di piena e felice partecipazione al di là delle diverse fortune e delle diverse scelte<br />

di stile e di linguaggio.<br />

Provvidone, Aimone, Scarenzi, Parzini (e negli stessi anni, sulla linea del realismo esistenziale, era presente<br />

anche Franco Francese, emigrato per amore): per la prima volta quattro giovani novaresi seguivano fra Torino<br />

e Milano regolari corsi accademici essendosi parzialmente aperto a partire dagli anni ’40 anche il mondo<br />

delle accademie d’arte almeno alle forme contemporanee, se non ancora alle avanguardie, specie al Nord (Torino,<br />

Milano, Venezia), grazie alla presenza di Argan e di Brandi all’educazione artistica presso il Ministero dell’Istruzione<br />

di Bottai.<br />

Tu mi ricordi, durante la tua accademia torinese, le cene in collina della scuola di Paulucci assieme a Casorati<br />

e, appunto, Argan, così come Aimone tante volte mi ha ricordato il mondo milanese del “Giamaica” in via<br />

Brera.<br />

Siete rimasti tu e Aimone, i più anziani, in perfetto equilibrio di testimonianza dei due centri al momento della<br />

rivoluzione, Torino e Milano, e delle due scuole, di Paulucci, uno dei sei di Torino, e di Carpi, maestro dei<br />

giovani di “Corrente” e della loro eredità neocubista dopo la Liberazione.<br />

Se ora guardo le tele e le carte di questa antologica, lungo sessant’anni rivedo e ripenso con nostalgia le<br />

forme e i colori di questa svolta epocale, dopo la quale l’idea stessa dell’immaginario artistico è radicalmente<br />

mutata e la libertà soggettiva di questo immaginario ha recuperato e potenziato ed arricchito i valori rivoluzionari<br />

delle avanguardie storiche dei primi due decenni del secolo: nel tuo caso, e qui c’è alla radice la scuola di<br />

Paulucci, l’espressività lirica ma anche costruttiva dei ritmi e delle armonie dei rapporti e dei flussi cromatici al<br />

diapason alto della luminosità tonale; e accanto a questo, l’amore sottile per le alchimie materiche di quel materiale<br />

cromatico e luministico, esteso anche al campo della grafica e della cromografica non ad olio.<br />

Questo amore di equilibri cromatici affiora già nella costruttività, neocubista in senso lato, delle tue nature<br />

morte “povere” (lucerne, sedie da cucina) dei tardi anni ’40, tipiche delle svolte italiane di quegli anni rispetto<br />

all’arte fra le due guerre.<br />

L’esordio, già pienamente maturo in questa fase “accademica”, con una natura morta di memoria cézanniana<br />

mi ricorda la dichiarata impronta appunto cézanniana delle nature morte e dei paesaggi liguri di Paulucci<br />

alla fine degli anni ’30 e durante la guerra, che lascia poi il campo nei secondi anni ’40 a strutture cubisteggianti<br />

anche in Paulucci, seguito da Menzio (Picasso, ma anche Braque), con forti contrasti di timbri cromatici.<br />

Tu, l’allievo, nasci alla pittura in questo clima e con questi modelli, ma sovrapponendo subito il marchio personale<br />

di una effusa sensibilità tonale che avvolge ed ammorbidisce i meccanismi strutturali, preparando la tua<br />

tavolozza, fonte dei rapporti di luce e colore, a divenire protagonista primaria se non esclusiva dell’organizzazione<br />

del dipinto.<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 31<br />

nuovo


La controprova è offerta, negli esempi grafici in mostra, corrispondente a questa fase, del fatto che le immagini<br />

figurative saldamente costruite dal tratto sono avvolte, soprattutto nelle incisioni, da una sottile tramatura<br />

segnica chiaroscurale.<br />

La tua immersione nel grande flusso globale internazionale della primaria espressività cromatica cade puntuale<br />

negli anni ’50 e sarà da allora il tuo personale, felicissimo “marchio di fabbrica”.<br />

Ma, è fondamentale sottolinearlo, non è per nulla un’immersione irrazionale, acritica, “alla moda”, che caratterizza<br />

troppa parte dei seguaci improvvisati dell’arte informale, disegno, di gesto, intesa come pura espressività<br />

senza ordine, senza regole, emozione pura e viscerale al di fuori del tempo e dello spazio, slegata dall’esperienza<br />

e dalla memoria.<br />

Nelle tue opere invece, dalle più “sognate” e fluide alle più organizzate per masse cromatiche interagenti e<br />

cangianti, dalle più evocatrici di “paesaggi” mentali alle più pulsanti di vitalità e sensualità naturale, si sente costantemente<br />

vibrare l’esperienza umana, il punto d’incontro e di equilibrio fra questa esperienza, l’ordine mentale<br />

anche nell’apertura al magico e al fantastico (anche all’ironico e al paradossale, per chi ti conosce e per<br />

questo sa leggere e interpretare i tuoi titoli, spesso rivestiti dal colore cangiante di un dialetto che entrambi<br />

amiamo come un bene sempre più perduto ed evanescente), l’ordine superiore della natura con le sue stagioni.<br />

È questa la peculiarità del tuo informale (in realtà ricco, denso, organico di forma-colore), che lo accomuna<br />

ai migliori della tua generazione o di quella immediatamente alle spalle, dall’ultimo Birolli all’ultimo Afro, da Burri<br />

a Scialoia ammaliato dagli americani: il pulsare vivo e naturale della materia, del tempo, dell’esperienza quotidiana<br />

sotto la superficie della non figurazione; il non lasciarsi irretire – e insieme non ingannare l’occhio di chi<br />

guarda le tue opere – dal puro autocompiacimento edonistico della luminosa superficie cromatica.<br />

Giustamente hai voluto, dopo le nature morte iniziali e prima della trionfale e trionfante cavalcata dei tuoi<br />

rossi, gialli, aranci, rosa degli ultimi quarant’anni, dare massima evidenza a due delicatissime sinfonie di luci e<br />

toni morbidi, bassi – ma misteriosamente iridescenti –, che quasi sfiorano il bianco e nero, a dimostrazione che<br />

il mistero della forma pittorica non ha bisogno di clangori solari.<br />

La controprova di quale e quanta minuta, capillare elaborazione organica e mentale è sottesa ai ritmi ed agli<br />

intrecci del canto cromatico (a contrappunto), è offerta dalla straordinaria arte del disegno a partire dagli anni<br />

’50: l’intrico quasi miniaturistico di misteriosi paesaggi mentali di un mondo fantascientifico di rovine e di materiali<br />

organici.<br />

Il punto d’incontro fra le due materie e sfere creative del pennello e della matita si realizza in quella che ritengo<br />

la tua produzione di massimo fascino e nel contempo di più profonda emersione (ma anche sublimazione,<br />

organizzazione) dell’inconscio: i pastelli, le cere.<br />

Marco Rosci<br />

Osvaldo Provvidone è nato a Novara nel 1920.<br />

Nel 1941 si diploma perito meccanico all’Istituto <strong>Omar</strong> di Novara.<br />

Dal 1946 al 1951 frequenta a Torino l’Accademia Albertina di Belle Arti sotto la presidenza di Felice Casorati.<br />

Suoi maestri sono Aldo Bertini, Alberto Cibrario, Marcello Boglione, Mario Calandri ed Enrico Paolucci.<br />

È insegnante di disegno all’<strong>Omar</strong> nel 1973-74 e poi all’Istituto Bellini per periti maglieri.<br />

Viene chiamato da Paolucci per insegnare “Materie tecniche tessili” all’Istituto di Arte e Moda del Figurino<br />

(a quei tempi l’unico in Europa), ma dopo pochi anni rinuncia.<br />

Fino all’età della pensione insegna disegno in scuole medie superiori di Novara.<br />

32 OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


Studi e informazioni culturali - Poesie <br />

“Lo sbadiglio” e “L’irritazione”<br />

Basilio Giuseppe Catania Romano<br />

Lo sbadiglio<br />

Ogni volta che a fauci spalancate,<br />

l’ugola e le tonsille son mostrate,<br />

a tutti è chiaro il tacito linguaggio:<br />

di noia, sonno o fame danno un saggio.<br />

Quando si ac<strong>cop</strong>pia<br />

[ad un mugghio profondo,<br />

tanto più lo sbadiglio è inverecondo.<br />

Perciò nel “Galateo” da lui stilato,<br />

monsignor Della Casa ha dichiarato<br />

nei suoi confronti rigida avversione,<br />

quale segno di scarsa educazione.<br />

“Lo sbadiglio determina disagio<br />

in quanto si propaga per contagio;<br />

se proprio, aggiunge ancora, non si blocca<br />

occorre, almen, <strong>cop</strong>rir la propria bocca:<br />

chè, se le bocche aperte sono tante<br />

la scena appare poco edificante”.<br />

Certo il rilassamento è assai piacevole<br />

però, in presenza d’altri, è deplorevole.<br />

Del resto qualche volta questo vezzo<br />

può costare, davvero, un alto prezzo.<br />

Ci narra, per esempio, il “Novellino”<br />

che un filosofo, ch’era di un Delfino<br />

ospite in Francia, provò un imbarazzo<br />

quando s’accorse che quel gran palazzo<br />

era nitido, lindo e rilucente,<br />

ma senza un opportuno recipiente<br />

in cui lanciare un impellente sputo<br />

che aveva in gola. Si sentì sperduto.<br />

Vedendo, poi, che il principe sbadiglia,<br />

per sputacchiera la sua bocca piglia.<br />

Ignaro della buona educazione,<br />

il principe pensò che quell’azione<br />

fosse un insulto, ma restò di sasso,<br />

e il suo prestigio tosto andò in ribasso.<br />

Concludendo, un consiglio si vuol dare:<br />

meglio, in presenza altrui, non sbadigliare,<br />

per evitar sgradevoli sorprese<br />

e non pagare il conto a proprie spese.<br />

Del contenuto ameno e stravagante<br />

si chiede venia al corpo giudicante.<br />

L’irritazione<br />

Se si cade in errore per la fretta,<br />

per distrazione oppure per disdetta;<br />

se dal traffico l’ansia è procurata,<br />

da villania di autista provocata,<br />

per un sorpasso rischioso ed incauto<br />

il noto gesto della man dall’auto;<br />

se l’allievo, per studio o per condotta,<br />

spinge il docente a votazion ridotta;<br />

se un lavoro senza capo e coda<br />

un dirigente, sconcertato, inchioda;<br />

se nella gerarchia vi è contesa<br />

e i candidati lottan per l’ascesa;<br />

in questi casi ed altri, a dismisura,<br />

cresce la collera e l’arrabbiatura.<br />

Si lancia, prima, uno sguardo irato<br />

con l’impulso dell’animo eccitato,<br />

si disapprova con accanimento,<br />

non si controlla più l’atteggiamento.<br />

Il male che da molti si trascura<br />

è proprio quello dell’arrabbiatura.<br />

Si comincia con l’essere iracondo<br />

per divenire tosto furibondo.<br />

La rabbia, certo non si può stroncare,<br />

né, oltre certi limiti, sfogare.<br />

C’è chi, assai dimesso nel lavoro,<br />

si sfoga su altri senza alcun decoro.<br />

Occorre, attenti e senza ipocrisia,<br />

guardarsi dentro se l’ira è andata via,<br />

ricordando quel detto: “Calma e Gesso”<br />

senza cui non si perverrà al successo.<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 33<br />

nuovo


Istituto Tecnico Industriale <strong>Omar</strong><br />

Robotica: dalla scuola all’azienda<br />

Una nuova metodologia didattica per motivare<br />

e coinvolgere gli studenti<br />

fornendo competenze specialistiche<br />

Convegno del 10 marzo 2006 presso l’<strong>ITI</strong> <strong>Omar</strong><br />

La robotica è stata presentata sotto diversi punti di vista, secondo l’estrazione culturale dei relatori.<br />

Gianmarco Veruggio – ingegnere elettronico, fondatore e responsabile del Reparto Robotica del<br />

CNR-IAN, si occupa di progettazione, sviluppo e sperimentazione di prototipi di robot sottomarini<br />

da ricerca ed è presidente della Scuola di Robotica di Genova. Ha presentato “Robotica nuova<br />

scienza”.<br />

Emanuele Micheli – laureato in ingegneria meccanica, con specializzazione in robotica, membro della<br />

Scuola di Robotica di Genova, si occupa del progetto “Robot @ Scuola” e nell’ambito del progetto<br />

“Robot in città” ha insegnato robotica alla città dei bambini e dei ragazzi di Genova. Sua la<br />

relazione “L’impatto della robotica sull’economia nazionale e sull’Europa”.<br />

Fiorella Operto – proveniente dalla filosofia, da anni si occupa di comunicazione della scienza, in collaborazione<br />

con laboratori e centri di ricerca in Europa e negli Stati Uniti; è vicepresidente della<br />

Scuola di Robotica di Genova. Ha parlato su “I robot a scuola”.<br />

Paolo Bianchetti – laureato in lingue e letterature straniere, con due master in “Tecnologia e comunicazione<br />

multimediale” e in “E-learning per la scuola, l’università e l’impresa”, si occupa di progettazione<br />

web, progettazione e-learning, didattica e nuove tecnologie collaborando con New Economy,<br />

ITD-CNR e Scuola di Robotica.<br />

Giovanni Scancarello – coordinatore nazionale della rete degli studi di eccellenza ENIS del Ministero<br />

dell’Istruzione, referente MIUR del progetto Robot @ Scuola. Ha presentato la relazione “Verso<br />

una certificazione di robotica nella scuola”.<br />

Riccardo Cavanna – amministratore delegato dell’azienda Cavanna S.p.A., leader dei sistemi integrati<br />

di confezionamento, ha parlato sulla “Robotica applicata ai processi industriali”.<br />

Carlo Valentini – ingegnere meccanico, docente presso l’<strong>ITI</strong> <strong>Omar</strong>, si occupa di robotica, sistemistica<br />

e automazione. Ha presentato “Il progetto OmaRobot”.<br />

Paolo De Vittor – dottore in fisica, docente presso l’<strong>ITI</strong> <strong>Omar</strong> di tecnologia, disegno e progettazione<br />

elettronica, collabora alla redazione della rivista “Elettronica Oggi”. Ha presentato la relazione<br />

“Robot e interdisciplinarietà”.<br />

34 OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


Istituto Tecnico Industriale <strong>Omar</strong> <br />

Diplomati dell’Istituto <strong>Omar</strong> nel 2006<br />

CHIMICA<br />

Classe 5CA<br />

ASCONE DOMENICO – Novara<br />

BASANA ALESSANDRA – Romentino<br />

BERGAMO ALESSANDRO – Novara<br />

CHIRCO MARIA ANTONIETTA – Novara<br />

COLOMBO SIMONE – Marcallo con Casone<br />

DE ANGELIS SALVATORE – Novara<br />

GALLUZZO CHRISTIAN – Novara<br />

GIORDANO DAVIDE MARIA – Briona<br />

LORENZINI PAOLO – Novara<br />

MANZO SARA – Ghemme<br />

MIGLIO GABRIELE – Bellinzago<br />

MORA ALESSANDRO – Novara<br />

MOSSINI LAURA – Casalbeltrame<br />

NEGRO SALVATORE – Novara<br />

PARIETTI ELENA – Novara<br />

RAINERI ALBERTO – Garbagna<br />

RECENTI DANIELE – Cameri<br />

ELETTROTECNICA E AUTOMAZIONE<br />

Classe 5EA<br />

ASKLOU SAMIR – Trecate<br />

CASACCIA FRANCESCO – Varallo<br />

GHIRELLO MARCO – Galliate<br />

GUAGLIO FABIO – Novara<br />

MONTESANTI SAMUEL – Recetto<br />

PERROTTA ALESSANDRO – Novara<br />

PICCIALLO COSTANTINO SILVANO – Novara<br />

ROSA FABRIZIO – Novara<br />

SORBELLO DANIELE – Novara<br />

STEFANI GIORGIO – Novara<br />

DI MARZO NICOLA - Novara<br />

FOLEGATI ALEX - Novara<br />

PERUGIA MARIO – Novara<br />

TRECATE ANDREI - Novara<br />

Classe 5EB<br />

BOLES ANDREA – Bellinzago<br />

BRANDINO DANILO – Novara<br />

BRUZZESE MARCO – Novara<br />

BUONAROTA NICOLA DENIS – Novara<br />

BUONGIORNO ARTURO – Novara<br />

CALCATERRA ALESSANDRO – Novara<br />

CATTANEO PAOLO – Oleggio<br />

FERRARI FILIPPO – Novara<br />

LOVATI STEFANO MARIO – Robecchetto con Induno<br />

MARSEGLIA ANDREA – Novara<br />

MESSINA ANDREA – Novara<br />

PANAGINI ALBERTO – Bellinzago<br />

TREVISAN MARCO – Oleggio<br />

TURANO MARCO GIOVANNI – Oleggio<br />

ALBINI SIMONE - Novara<br />

CERVELLI ANTONIMO - Novara<br />

FASSOLA CORRADO - Novara<br />

GALLO PIETRO - Novara<br />

MOMI DANIELE - Novara<br />

PERRI FRANCESCO - Novara<br />

ROSSI ERNESTO - Novara<br />

ELETTRONICA E TELECOMUNICAZIONI<br />

Classe 5TA<br />

ANTONIOLI CHRISTIAN – Bellinzago<br />

BOBBIO FABIO – Novara<br />

BORSA MARTINO – Robecchetto con Induno<br />

BRICCO MARCO GIUSEPPE ANTONIO – Cerano<br />

CARBONE GIUSEPPE – Bellinzago<br />

COMMISSO DOMENICO – Novara<br />

DE BERNARDI EMANUELE OPNA – Castano Primo<br />

FALCONELLI MARCELLO – Novara<br />

FERRARI FRANCO – Robecchetto con Induno<br />

GAMBERO ANDREA – Buscate<br />

GRASSI MATTEO – Novara<br />

MATRAXHI NESAJM – Momo<br />

UBEZIO DARIO – Cerano<br />

Classe 5TB<br />

AVINCI ANDREA – Castano Primo<br />

BALDO ALESSANDRO – Novara<br />

BEGGIATO MIRKO – Novara<br />

FERRARI MARCO – Divignano<br />

FLORIO ANDREA – Trecate<br />

INZILLO STEFANO – Novara<br />

MADERNA DAVIDE – Novara<br />

MARONGIU CLAUDIO – Sozzago<br />

PANNO MARCO – Galliate<br />

PASTROVICCHIO IVAN – Novara<br />

RIZZOTTI GIACOMO – Novara<br />

ROMEO GIUSEPPE – Novara<br />

ROSINA ALESSANDRO – Trecate<br />

TAMBURINI TOMMASO – Tornaco<br />

TERRASI SERGIO – Novara<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 35<br />

nuovo


MECCANICA<br />

Classe 5MA<br />

BIGNOTTI LUCA - Novara<br />

BOLOGNESI FABIO – Biandrate<br />

CRIVELLI FABIO – Novara<br />

DELLA VEDOVA LUCA – Turbigo<br />

DI PAOLO FABIO – Vaprio d’Agogna<br />

GRANZIERO MARCO – Cameri<br />

INVERNIZZI MATTIA ANDREA – Galliate<br />

MILANESI ALESSANDRO – Galliate<br />

PACCAGNINI FABRIZIO – Castano Primo<br />

POLETTI STEFANO – Boffalora sopra Ticino<br />

PORAZZI LORENZO – Cameri<br />

POZZI MAICOL – Cameri<br />

TOTTOLI STEFANO – Vanzaghello<br />

ZAVAGLIA RICCARDO MARIA – Galliate<br />

Classe 5MB<br />

ACCAROLI MARCO – Briona<br />

BIASIOLI LUCA – Cameri<br />

BONANDIN LUCA – Trecate<br />

CACCIAMALI ANDREA – Sozzago<br />

CATTARIN GABRIELE – Romentino<br />

CESCO MATTEO – Romentino<br />

COMUNALE CLAUDIO – Romentino<br />

GALLI ALESSIO – Novara<br />

LO PALCO FRANCESCO – Trecate<br />

MANCIN OSCAR – Oleggio<br />

MOLINARI GABRIELE – Cameri<br />

PAGANI ALESSANDRO – Novara<br />

RICCARDI ALBERTO – Novara<br />

PETA CORRADO – Galliate<br />

DISTRIBUZIONE DELLE VOTAZIONI DEI DIPLOMATI<br />

60 61 - 70 71 - 80 81 - 90 91 - 99 100<br />

Interni 20 36 <strong>18</strong> 7 8 7<br />

Esterni 3 5 3 1<br />

TOTALE 23 41 21 8 8 7<br />

36 OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


Associazione <strong>Omar</strong>isti <br />

L’assemblea dell’Associazione<br />

<strong>Omar</strong>isti del 28 maggio 2006<br />

Nella S. Messa in suffragio degli omaristi defunti (concelebrata<br />

dall’omarista don Pierangelo Rossi presso il Santuario di Maria<br />

Ausiliatrice) sono stati ricordati: Alessio Biletta, Celestino Cardani,<br />

Franco Ferdeghini, Francesco Ginipro, Giuseppe Mora,<br />

Umberto Carnisio, Renato Meloni, Andrea Ranza, Mario Tealdi,<br />

Rino Tessarin, della cui scomparsa si è venuti recentemente a<br />

conoscenza.<br />

È seguita la visita al Museo di Archeologia Industriale con la<br />

guida dell’ing. Giovanni Bonetti.<br />

L’assemblea vera e propria è iniziata con il saluto del presidente<br />

ing. Sandro Porzio che, quale membro della Giunta della<br />

Camera di Commercio di Novara, rappresentava anche il presidente<br />

della stessa ing. Gianfredo Comazzi. Porzio ha informato<br />

che un’apposita Commissione del Consiglio direttivo sta preparando<br />

una nuova edizione dello statuto dell’Associazione per<br />

permettere una gestione più snella e moderna.<br />

Il preside ing. Francesco Romano ha esposto i dati sulla consistenza<br />

dell’Istituto <strong>Omar</strong> e sui progetti in corso. L’<strong>Omar</strong> risulta<br />

sempre un grande Istituto sotto tutti gli aspetti.<br />

Il presidente della Fondazione <strong>Omar</strong>, prof. Franco Ticozzi, ha<br />

riferito sui lavori del primo anno di gestione del nuovo Consiglio<br />

d’amministrazione. Ha confermato che quest’anno verrà assegnato<br />

per la prima volta il premio Fondazione <strong>Omar</strong> di 2000 € ad<br />

uno studente dell’Istituto. La Commissione aggiudicatrice è composta<br />

da 5 persone: i presidenti della Fondazione e dell’Associazione,<br />

il preside dell’Istituto e due membri del Consiglio della<br />

Fondazione. Il premio sarà conferito all’<strong>Omar</strong> Day alla fine del<br />

prossimo autunno.<br />

La situazione economico-finanziaria è stata dettagliatamente<br />

illustrata dal tesoriere dott. Fernando Dulio. In estrema sintesi, la<br />

situazione patrimoniale al 31-12-2005 era di € 14.841,61. Il conto<br />

economico dell’esercizio 2005 espone un totale di spese di €<br />

7.890,44 e un totale di entrate di € 8.966,30 con un conseguente<br />

risultato attivo di € 1.075,86.<br />

Il bilancio preventivo per il 2006 prevede spese per € 12 620,<br />

notevolmente lievitate per il maggior costo della rivista a colori,<br />

ed entrate per € 7.651, con un risultato negativo di € 4.969 che<br />

verrà <strong>cop</strong>erto con le rimanenze positive del passato.<br />

I bilanci consuntivo e preventivo sono stati approvati all’unanimità.<br />

Il presidente Porzio ha stimolato tutti a trovare contributi, pubblicità<br />

e fiancheggiamenti per sostenere la rivista.<br />

La prof. Paola Turchelli, vicepresidente della Provincia di Novara,<br />

si è complimentata con l’Istituto <strong>Omar</strong> che continua ad essere<br />

scuola di eccellenza e punto di riferimento per altre scuole<br />

che lavorano insieme con perfetta collaborazione. Ha annunciato<br />

che la Regione Piemonte ha recentemente stanziato un considerevole<br />

finanziamento per la conclusione dei lavori, non solo<br />

per l’area museale, ma anche per il ricupero dei locali seminterrati,<br />

in modo da fare rientrare in sede le classi ospitate in dependence.<br />

I lavori dovrebbero iniziare presto. L’ing. Porzio si augura<br />

che da questi interventi si possa ottenere anche una capiente<br />

sala conferenze da mettere a disposizione pure di terzi.<br />

Il progetto “Dalla scuola all’azienda sulle vie informatiche” è<br />

stato illustrato dalla vicepreside prof. Franca Brusotti.<br />

In Italia ci sono 36 scuole di eccellenza selezionate dal Ministero<br />

in base a caratteristiche innovazioni tecnologiche; di queste,<br />

tre sono in Piemonte: due a Torino e l’<strong>Omar</strong> a Novara. Fra le<br />

innovazioni tecnologiche ha citato il progetto <strong>Omar</strong>obot che è<br />

stato illustrato anche ai giovani alunni delle scuole medie inferiori.<br />

L’<strong>Omar</strong>, scuola di qualità certificata, vuole mantenere i contatti<br />

con allievi ed ex allievi. Alle numerose richieste di aziende alla<br />

ricerca di neoperiti, l’Istituto vuole dare risposte mirate ed esaurienti.<br />

Per questo sta realizzando una struttura informatica, corredata<br />

anche delle aspettative e dei desideri dei giovani. Questa<br />

struttura sarà molto utile sia ai ragazzi che alle aziende.<br />

La prof. Brusotti inoltre ha informato che la rivista “<strong>Omar</strong> nuovo”<br />

è ora leggibile anche in Internet sul sito dell’<strong>Omar</strong> www.itiomar.net.<br />

Il vicepresidente dott. Stefano Bonetti ha precisato che verso<br />

fine anno sarà convocata un’assemblea straordinaria per la presentazione<br />

del nuovo statuto, la cui bozza verrà preventivamente<br />

distribuita. Ha raccomandato una numerosa partecipazione.<br />

PREMIAZIONI<br />

Il segretario dell’Associazione, Franco La Sala, ha proceduto<br />

alla premiazione dei migliori diplomati nel 2005 e degli omaristi<br />

che hanno compiuto 50 anni di diploma (diplomati nel 1956).<br />

Le medaglie sono state offerte dalla Camera di Commercio di<br />

Novara.<br />

Premiazione dei migliori diplomati del 2005<br />

Due neoperiti hanno avuto la votazione di 100/100 e ad essi è<br />

stata conferita la medaglia d’oro: Claudio Vismara e Davide Tagliafierro,<br />

entrambi del Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni.<br />

Vengono inoltre premiati per le alte votazioni conseguite:<br />

Dip. Chimica: Matteo Clerici e Paolo Grassi<br />

Dip. Elettronica e Telecomunicazioni: Giovanni Martucci, Diego<br />

Amati, Marco Casiraghi, Andrea Graziano, Renato Angelina,<br />

Benedetto Salvo.<br />

Dip. Elettrotecnica e Automazione: Mattia Ferraris, Andrea<br />

Masciaga, Antonio Vanoli<br />

Dip. Meccanica: Marco Milani, Stefano Pironi, Diego Venditti.<br />

Premiazione dei periti al 50° anno di diploma<br />

Elettrotecnici: Angelo Ambu, Giancarlo Bovio, Giancarlo Carbonati,<br />

Antonio Carollo, Silvano Didò, Elio Frontini, Giovanni Luigi<br />

Luparia, Gianfranco Marcodini, Oscar Monzani, Mario Moro,<br />

Giovanni Mottini, Giancarlo Plazzi, Luigi Ravizzotti, Pierangelo<br />

Rossi.<br />

Meccanici: Sergio Bignoli, Albino Caldiroli, Giuliano Cappellaro,<br />

Giorgio Colli, Carlo Costa, Franco Fontana, Giovanni Galante,<br />

Alfio Greco, Piero Martinoli, Angelo Ottolini, Giulio Pastore,<br />

Gaudenzio Vercelloni.<br />

Aeronautici: Carlo Bensi, Giovanni Cardani, Aldo Gioberge,<br />

Pietro Luigi Silvestri, Emilio Vallenzasca, Carmelo Zappelloni,<br />

Angelo Monti.<br />

Hanno concluso i lavori un rinfresco nell’Istituto ed il pranzo<br />

sociale in un vicino ristorante.<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 37<br />

nuovo


Fondazione <strong>Omar</strong><br />

Il D.L. 223/2006 (C.D. “Manovra Prodi”)<br />

Struttura del provvedimento e riepilogo novità fiscali (in sintesi)<br />

Luca Manfredini e Stefano Baron<br />

Dottori Commercialisti associati<br />

Revisori Contabili<br />

1. Premessa<br />

A circa due mesi dal proprio insediamento, il nuovo<br />

Esecutivo ha avvertito la necessità di approvare<br />

“Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale,<br />

per il contenimento della spesa pubblica, nonché<br />

interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione<br />

fiscale”.<br />

Tali disposizioni sono state introdotte mediante<br />

l’emanazione del DL 4-7-2006 n. 223 (del quale il<br />

virgolettato che precede costituisce la rubrica), la<br />

cui conversione, ancorché con rilevanti modifiche rispetto<br />

al testo del decreto originario, si è perfezionata<br />

con l’approvazione da parte dei due rami del<br />

Parlamento della L. 4-8-2006 n. 248.<br />

Per quanto concerne la parte fiscale del provvedimento<br />

(la cui analisi costituisce l’oggetto del presente<br />

lavoro), le relative disposizioni sono rinvenibili<br />

nei commi degli artt. 35, 36, 37 e 39 del DL<br />

223/2006.<br />

All’indomani dell’approvazione definitiva della<br />

legge di conversione del DL 223/2006, l’Agenzia<br />

delle Entrate ha diramato i primi chiarimenti sulle<br />

numerose novità fiscali introdotte dal provvedimento,<br />

licenziando in data 4-8-2006 due distinte Circolari,<br />

aventi per oggetto:<br />

– l’una, i primi chiarimenti concernenti le novità specificamente<br />

afferenti il regime di imposizione indiretta<br />

(IVA e altre imposte indirette) gravante sulle<br />

operazioni di cessione e locazione di beni immobili<br />

effettuate nell’esercizio di impresa, arte o professione<br />

(Circolare 4-8-2006 n. 27/E);<br />

– l’altra, i primi chiarimenti concernenti la generalità<br />

delle altre novità fiscali introdotte dal DL 223/2006<br />

(Circolare 4-8-2006 n. 28/E).<br />

Su alcuni dei più rilevanti profili di novità fiscale<br />

introdotti dal DL 223/2006, si segnalano inoltre i primi<br />

commenti di carattere interpretativo diramati da<br />

Assonime, in occasione della propria Circolare 3-8-<br />

2006 n. 36.<br />

La presente circolare si propone di ripercorrere<br />

la struttura del provvedimento e di segnalare tutti<br />

gli ambiti disciplinari interessati dalle novità di carattere<br />

fiscale introdotte dal DL 223/2006, rinviando<br />

poi a successive circolari “dedicate” l’approfondimento<br />

delle singole tematiche fiscali di maggiore<br />

interesse.<br />

2. Struttura del provvedimento<br />

Il testo post conversione in legge del DL<br />

223/2006 si compone di 52 articoli, ripartiti in 4 Titoli,<br />

taluni dei quali suddivisi a loro volta in Capi.<br />

Il Titolo I comprende gli articoli da 1 a 15, recanti<br />

“Misure urgenti per lo sviluppo, la crescita e la promozione<br />

della concorrenza e della competitività, per<br />

la tutela dei consumatori e per la liberalizzazione<br />

dei settori produttivi”.<br />

Il Titolo II comprende gli articoli da 16 a 34-quinquies,<br />

recanti “Misure per la ripresa degli interventi<br />

infrastrutturali, interventi per il sostegno della famiglia<br />

e misure di contenimento e razionalizzazione<br />

della spesa pubblica”, a loro volta suddivisi in tre distinti<br />

Capi.<br />

Il Capo I del Titolo II comprende gli articoli da 16<br />

a <strong>18</strong>-bis, recanti “Misure per la ripresa degli interventi<br />

infrastrutturali”.<br />

Il Capo II del Titolo II comprende il solo articolo<br />

19, recante “Interventi per le politiche della famiglia,<br />

per le politiche giovanili e per le politiche relative ai<br />

diritti e alle pari opportunità”.<br />

Il Capo III del Titolo II comprende gli articoli da<br />

20 a 34-quinquies, recanti “Misure di contenimento<br />

e razionalizzazione della spesa pubblica”.<br />

Il Titolo III comprende gli articoli da 35 a 38, recanti<br />

“Misure in materia di contrasto all’evasione ed<br />

elusione fiscale, di recupero della base imponibile,<br />

di potenziamento dei poteri di controllo dell’amministrazione<br />

finanziaria, di semplificazione degli adempimenti<br />

tributari e in materia di giochi”.<br />

Il Titolo IV comprende gli articoli da 39 a 41, recanti<br />

“Disposizioni finali”.<br />

3. Disposizioni di carattere fiscale<br />

Come si è accennato, le disposizioni di carattere<br />

fiscale introdotte dal DL 223/2006 sono rinvenibili<br />

nei commi degli artt. 35, 36, 37 e 39.<br />

A parte l’art. 39, il quale reca una specifica modifica<br />

di carattere interpretativo in materia di ICI, gli<br />

altri articoli “fiscali” del DL 223/2006 hanno una natura<br />

estremamente composita, sia per quanto concerne<br />

l’aspetto formale della numerosità dei commi<br />

di cui si compongono, sia per quanto attiene l’aspetto<br />

sostanziale degli ambiti disciplinari interessati<br />

dalle novità e dalle modifiche normative.<br />

Il comparto che senza dubbio risulta maggiormente<br />

interessato dalla manovra fiscale inserita nel<br />

DL 223/2006 è quello immobiliare.<br />

Sugli immobili si può infatti affermare che il legi-<br />

38 OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


slatore sia intervenuto “a tutto campo”, introducendo<br />

modifiche e novità in materia di imposizioni dirette,<br />

nonché in materia di accertamento, interessando<br />

al contempo sia la fiscalità degli immobili<br />

posseduti nell’esercizio di impresa (o di arti o professioni),<br />

sia la fiscalità degli immobili posseduti al<br />

di fuori di tale ambito.<br />

Tra i numerosi altri ambiti disciplinari, interessati<br />

dalla manovra fiscale inserita nel DL 223/2006, si ricordano<br />

inoltre:<br />

– le novità in materia di riporto ed utilizzo delle perdite<br />

fiscali conseguite nell’esercizio di impresa,<br />

arti o professioni;<br />

– le novità in materia di determinazione del reddito<br />

di impresa;<br />

– le novità specificamente afferenti gli esercenti arti<br />

e professioni, sia per quel che attiene la determinazione<br />

del reddito di lavoro autonomo, sia per<br />

quel che attiene le modalità di incasso dei compensi<br />

e di pagamento delle spese professionali;<br />

– le novità in materia di trasparenza fiscale delle<br />

società di capitali;<br />

– le novità in materia di società non operative;<br />

– le novità in materia di tassazione dei redditi prodotti<br />

all’estero;<br />

– le novità in materia di presentazione delle dichiarazioni<br />

fiscali annuali e di versamento delle relative<br />

imposte;<br />

– le novità in materia di accertamento sulla base<br />

degli studi di settore;<br />

– le novità in materia di adempimenti IVA (c.d. “elenchi<br />

clienti e fornitori” e certificazione dei corrispettivi),<br />

nonché in materia di rilascio della partita IVA;<br />

– le novità in materia di responsabilità solidale per<br />

IVA, ritenute fiscali e contributi previdenziali tra<br />

committente e appaltatore, nonché tra appaltatore<br />

e subappaltatore.<br />

DL 223/2006 NORME DI CARATTERE FISCALE<br />

Art. 35 Co. 1<br />

Art. 35 Co. 2 - 4<br />

Art. 35 Co. 5 - 6-ter<br />

Art. 35 Co. 7<br />

Art. 35 Co. 8 - 10-sexies<br />

Art. 35 Co. 11<br />

Art. 35 Co. 12 - 12-bis<br />

Art. 35 Co. 13 - 14<br />

Art. 35 Co. 15 - 16<br />

Art. 35 Co. 17 - <strong>18</strong><br />

Art. 35 Co. 19 - 20<br />

Art. 35 Co. 21 - 23-ter<br />

Art. 35 Co. 24<br />

Art. 35 Co. 25 - 26-quater<br />

Art. 35 Co. 26-quinquies<br />

Art. 35 Co. 27<br />

Aliquota IVA applicabile sulle c.d. “consumazioni obbligatorie” nelle discoteche e<br />

sale da ballo<br />

Accertamento ai fini del reddito di impresa e dell’IVA delle operazioni di trasferimento<br />

di beni o diritti reali immobiliari<br />

Responsabilità solidale per l’IVA tra appaltatore e subappaltatore nel settore dell’edilizia<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

Introduzione dei nuovi reati tributari di “Omesso versamento di IVA” e “Indebita<br />

compensazione<br />

Imposizione indiretta (IVA e altre imposte indirette) su cessioni e locazioni immobiliari<br />

effettuate nell’esercizio di impresa, arti o professioni<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

Individuazione dei veicoli per i quali si rendono applicabili le disposizioni limitative<br />

in materia di detraibilità IVA e deducibilità dal reddito di impresa<br />

Obbligo di conto corrente bancario per gli esercenti arti e professioni e modalità<br />

di incasso dei relativi compensi<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

Norme di contrasto al fenomeno delle c.d. “società estero-vestite”<br />

Modifiche alla disciplina in materia di società non operative<br />

Limiti in materia di riporto delle perdite fiscali nel caso di perfezionamento di operazioni<br />

di fusione o scissione<br />

Nuovi obblighi formali ai fini del diritto alla detrazione IRPEF 41% sui lavori di ristrutturazione<br />

immobiliare<br />

Obblighi concernenti la stesura degli atti di compravendita immobiliare e accertamento<br />

degli atti medesimi ai fini dell’imposta di registro<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

Poteri degli Uffici per l’accertamento ai fini dell’imposta di registro<br />

Disposizioni in materia di riscossione<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

Ulteriori atti impugnabili davanti alle commissioni tributarie<br />

Norma introdotta in sede di conversione in legge<br />

Obblighi di comunicazione all’anagrafe tributaria per gli operatori nel settore delle<br />

assicurazioni<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 39<br />

nuovo


Art. 35 Co. 28 - 34 Responsabilità solidale per ritenute fiscali su lavoro dipendente e contributi previdenziali<br />

tra committente e appaltatore<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

Art. 35 Co. 35<br />

Poteri dell’Agenzia delle Dogane per l’espletamento dei controlli<br />

Art. 35 Co. 35-bis Obblighi di comunicazione all’Agenzia delle Entrate da parte delle società di calcio<br />

professionistiche<br />

Norma introdotta in sede di conversione in legge<br />

Art. 35 Co. 35-ter e quater Ripristino dell’aliquota IVA agevolata al 10% sui lavori di ristrutturazione edilizia<br />

fatturati dall’1-10-2006<br />

Norma introdotta in sede di conversione in legge<br />

Art. 36 Co. 1<br />

Abolizione dell’aliquota IVA agevolata al 10% sulle locazioni di fabbricati abitativi<br />

effettuate dalle imprese costruttrici dei medesimi<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

Art. 36 Co. 2<br />

Individuazione delle nozione, ai fini fiscali, di area fabbricabile<br />

Art. 36 Co. 5 - 6-ter Limiti alla deduzione dal reddito di impresa del costo sostenuto per l’acquisto di<br />

autoveicoli<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

Art. 36 Co. 7 - 8<br />

Deducibilità fiscale delle quote di ammortamento relative a fabbricati strumentali<br />

Art. 36 Co. 9 - 11 Limiti alla compensazione delle perdite fiscali con i redditi imputati per trasparenza<br />

da società di capitali<br />

Art. 36 Co. 12 - 14 Limiti al riporto e all’utilizzazione delle perdite fiscali<br />

Art. 36 Co. 15<br />

Aliquota agevolata ai fini dell’imposta di registro per i trasferimenti di immobili in<br />

piani urbanistici “particolareggiati”<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

Art. 36 Co. 16 - 17 Modifiche alla disciplina della trasparenza fiscale delle società di capitali<br />

Art. 36 Co. <strong>18</strong> - 19 Indeducibilità dal reddito di impresa delle minusvalenze realizzate per effetto di<br />

assegnazione o di destinazione a finalità estranee all’impresa<br />

Art. 36 Co. 20 - 21 Modifiche alla disciplina fiscale, nell’ambito del reddito di impresa, dei lavori in<br />

corso di durata ultrannuale<br />

Art. 36 Co. 22 - 23 Determinazione del reddito complessivo dei residenti e dei non residenti<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

Art. 36 Co. 24<br />

Applicazione della ritenuta fiscale alla fonte sui compensi percepiti in relazione ad<br />

obblighi di fare, non fare o permettere<br />

Art. 36 Co. 25 - 26 Disciplina fiscale delle c.d. “stock options”<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

Art. 36 Co. 27 - 28 Modifiche alla disciplina delle perdite fiscali realizzate nell’esercizio di imprese in<br />

contabilità semplificata o nell’esercizio di arti o professioni<br />

Art. 36 Co. 29<br />

Modifiche alla disciplina del reddito di lavoro autonomo<br />

Art. 36 Co. 30<br />

Norma interpretativa concernente la disciplina del credito per le imposte pagate all’estero<br />

Art. 36 Co. 31<br />

Abrogazione dell’articolo del TUIR specificamente dedicato alla località di Campione<br />

d’Italia<br />

Art. 36 Co. 32<br />

Deducibilità dei contributi previdenziali obbligatori in presenza di sospensione<br />

dell’obbligo di versamento per calamità pubbliche<br />

Art. 36 Co. 33<br />

Abrogazioni varie di norme tributarie<br />

Art. 36 Co. 34<br />

Rideterminazione dell’acconto IRES ed IRAP dovuto per il 2006 tenendo conto<br />

delle novità introdotte dal DL 223/2006 per la determinazione della base imponibile<br />

delle relative imposte<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

Art. 36 Co. 34-bis Norma interpretativa in materia di tassazione dei proventi illeciti<br />

Norma introdotta in sede di conversione in legge<br />

Art. 37 Co. 1<br />

Estensione della qualifica di sostituti di imposta ai curatori fallimentari ed ai commissari<br />

liquidatori<br />

Art. 37 Co. 2 - 3<br />

Ampliamento dell’accertabilità sulla base degli studi di settore<br />

Art. 37 Co. 4 - 5<br />

Novità in materia di anagrafe tributaria<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

40 OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


Art. 37 Co. 6 - 7<br />

Art. 37 Co. 8 - 9<br />

Art. 37 Co. 10 - 14<br />

Art. 37 Co. 15 - 17<br />

Art. 37 Co. <strong>18</strong> - 20<br />

Art. 37 Co. 21 - 23<br />

Art. 37 Co. 24 - 26<br />

Art. 37 Co. 27 - 28<br />

Art. 37 Co. 29 - 30<br />

Art. 37 Co. 31 - 32<br />

Art. 37 Co. 33 - 37<br />

Art. 37 Co. 38 - 39<br />

Art. 37 Co. 40 - 44<br />

Art. 37 Co. 45 - 48<br />

Art. 37 Co. 49<br />

Art. 37 Co. 50<br />

Art. 37 Co. 51 - 52<br />

Art. 37 Co. 53 - 56<br />

Art. 37 Co. 57<br />

Art. 39<br />

Modifiche alla disciplina delle sanzioni amministrative tributarie<br />

Reintroduzione dell’obbligo di compilazione e presentazione dei c.d. “elenchi<br />

clienti e fornitori”<br />

Modifiche ai termini di presentazione delle dichiarazioni fiscali annuali e di versamento<br />

delle relative imposte e ritenute<br />

Introduzione di un nuovo regime di esclusione da IVA per contribuenti con volume<br />

di affari non superiore a 7.000 euro<br />

Nuova procedura di rilascio della partita IVA e relativi vincoli<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

Regolamentazione dei flussi informativi tra Camere di Commercio e Agenzia delle<br />

Entrate<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

Allungamento dei termini per l’accertamento, ai fini delle imposte sul reddito ed ai<br />

fini IVA, in presenza di reati penalmente rilevanti<br />

Novità in materia di notifiche<br />

Sanzioni applicabili sulle mancate restituzioni dei questionari inviati dall’Agenzia<br />

delle Entrate<br />

Modifiche concernenti la disciplina dell’accertamento ai fini delle imposte sul<br />

reddito<br />

Obbligo di trasmissione all’Agenzia delle Entrate dei corrispettivi giornalieri da<br />

parte dei commercianti al minuto e soggetti assimilati<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

Modifiche alla disciplina dei redditi diversi per quanto concerne le plusvalenze su<br />

immobili precedentemente ricevuti in donazione<br />

Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />

Liquidazione delle imposte dovute su TFR e indennità equipollenti<br />

Modifiche alla disciplina del reddito di impresa per quanto attiene la deducibilità<br />

degli ammortamenti su immobilizzazioni materiali e delle spese di ricerca e sviluppo<br />

Obbligo di presentazione telematica degli F24 per i soggetti titolari di partita IVA<br />

Esclusione dell’anatocismo sugli interessi previsti per il rimborso dei tributi<br />

Abrogazioni varie di norme tributarie<br />

Novità in materia di dichiarazione e versamento dell’ICI<br />

Copertura finanziaria delle minori entrate derivanti dall’adeguamento alla normativa<br />

comunitaria della disciplina sui c.d. “dividendi madre-figlie”<br />

Norma interpretativa concernente il diritto all’esenzione ICI per taluni immobili di<br />

enti non commerciali<br />

4. DECORRENZA<br />

Il DL 223/2006 è entrato in vigore il giorno stesso<br />

della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ossia<br />

il 4-7-2006.<br />

La L. 248/2006 (nella quale il decreto è stato convertito<br />

con modificazioni) è entrata in vigore il giorno<br />

successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta<br />

Ufficiale, ossia il 12-8-2006.<br />

In sede di conversione in legge del DL 223/2006,<br />

è stato peraltro inserito l’art. 41-bis, ai sensi del quale<br />

gli atti e i contratti pubblici e privati, emanati, stipulati<br />

o comunque posti in essere nello stesso giorno<br />

della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto<br />

(4-7-2006) restano assoggettati alla disciplina<br />

previgente.<br />

La presente circolare è stata redatta in collaborazione<br />

con l’Associazione Dottori Commercialisti Milano<br />

e con il Gruppo di Studio - Eutekne.<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 41<br />

nuovo


Fondazione Tera<br />

Incontro-convegno “Elettricità per la ricerca sul cancro”<br />

Nell’ambito della fiera “Elettrica” indetta a Novara dalla Comoli Ferrari & C. (30<br />

marzo – 2 aprile 2006), la Fondazione Tera ha organizzato l’incontro-convegno in<br />

argomento. Dopo il saluto dell’ing. Giuseppe Ferrari, vicepresidente della Comoli<br />

Ferrari & C. S.p.A., ha tenuto la prolusione il prof. Paolo Garbarino, rettore<br />

dell’Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro”. Sono poi seguite le relazioni<br />

del prof. Ugo Amaldi, presidente Fondazione Tera, Cern di Ginevra, Università<br />

Milano Bicocca; della prof.ssa Eliana Baici, vice presidente Banca Popolare di<br />

Novara, Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro”; del prof. Elio Borgonovi,<br />

direttore SDA Bocconi; del dott. Saverio Braccini, direttore ricerca Tera. Si riportano,<br />

qui di seguito, stralci delle relazioni dei professori Amaldi, Baici, Braccini.<br />

L’elettricità: dalla s<strong>cop</strong>erta<br />

al suo uso nella terapia dei tumori<br />

Ugo Amaldi<br />

Università Milano Bicocca e Fondazione Tera<br />

I primi 150 anni<br />

42 OMAR<br />

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n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

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44 OMAR<br />

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n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


Gli “acceleratori”<br />

producono nel vuoto<br />

correnti fatte<br />

di elettroni<br />

o di adroni<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

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n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 49<br />

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Fondazione Tera<br />

Incontro-convegno “Elettricità per la ricerca sul cancro”<br />

L’attività innovativa<br />

in provincia di Novara<br />

Eliana Baici<br />

Università Piemonte Orientale “A. Avogadro”<br />

50 OMAR<br />

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n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 53<br />

nuovo


Fondazione Tera<br />

Incontro-convegno “Elettricità per la ricerca sul cancro”<br />

Le attività di ricerca<br />

della Fondazione Tera<br />

Saverio Braccini<br />

Fondazione per Adroterapia Oncologica Tera<br />

54 OMAR<br />

nuovo<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 55<br />

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56 OMAR<br />

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n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 57<br />

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58 OMAR<br />

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n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 59<br />

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60 OMAR<br />

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n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 61<br />

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62 OMAR<br />

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n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX


Spigolature <br />

Giochi matematici<br />

Basilio a cura Catania di Silvano Andorno<br />

Problema n. 1<br />

Un cacciatore di orsi parte per una battuta di caccia. Raggiunto il luogo desiderato pianta la sua tenda prepara<br />

tutte le sue cose. Si incammina verso Sud per un chilometro alla ricerca di orsi, ma non trova nulla. Decide<br />

perciò di deviare percorrendo un chilometro verso Est. Di nuovo non trova nulla e si dirige ora verso Nord. Dopo<br />

un chilometro trova un orso che sta frugando proprio nella tenda che lui aveva piantato poco prima; lo agguanta<br />

con la sua rete e lo cattura. Di che colore è l’orso e perché è certamente di quel colore<br />

Problema n. 2<br />

Quest’estate vado in vacanza in Sildavia. Ecco gli orari dei voli, per l’andata e per il ritorno, espressi nell’ora locale.<br />

Partenza da Parigi: ore 23.30. Arrivo a Sildavalle: ore 9.45 del giorno successivo. Partenza da Sildavalle:<br />

ore 11.00. Arrivo a Parigi: ore 15.15 dello stesso giorno. La durata del volo è la stessa all’andata e al ritorno.<br />

Qual è questa durata<br />

Problema n. 3<br />

Una piccola rana si trova alla base di una scala composta da 21 gradini. Con un primo salto arriva al secondo<br />

gradino; poi continua a salire la scala con balzi di due gradini. Purtroppo i gradini che portano i numeri 5, 10,<br />

15 e 20 sono scivolosi e quando la rana arriva su uno di questi scivola e ridiscende di un gradino. Quanti salti<br />

deve fare la rana per raggiungere il ventunesimo gradino<br />

Soluzioni dei problemi apparsi sul n. 17<br />

Soluzione del problema n. 1<br />

Indicate con v e w le velocità, rispettivamente, di Angelo e di Renato, con l lo sviluppo della pista e con t il tempo<br />

impiegato da Angelo per sorpassare Renato, si ha:<br />

(v – w)t = l [1]<br />

L’informazione che Angelo e Renato si incrociano ogni 20 secondi (correndo in senso opposto) porta, indicato<br />

con t* il tempo che intercorre tra due incroci successivi, alla seguente equazione:<br />

(v + w)t* = l [2]<br />

Risolvendo il sistema formato dalle [1] e [2], si ottiene:<br />

v = 600 m / min = 36 km / h<br />

Soluzione del problema n. 2<br />

L’ordine di partenza delle carte era: 7, 1, 5, 10, 2, 9, 3, 6, 8, 4.<br />

n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />

OMAR 63<br />

nuovo


Spigolature<br />

Motivazioni esilaranti<br />

di sinistri stradali<br />

Giuseppe Alberti 1<br />

Ricordate il celebre libro di Marcello D’Orta “Io<br />

speriamo che me la cavo” Le ingenue e sgrammaticate<br />

analisi di quei rampolli delle elementari impallidiscono<br />

al cospetto delle giustificazioni che tanti<br />

padri (e madri) affidano al Cid, il modulo di constatazione<br />

amichevole nato per snellire i risarcimenti<br />

dopo un incidente, oppure ai verbali di descrizione<br />

unilaterale dei sinistri.<br />

Nelle caselle riservate alla descrizione compare<br />

di tutto, un involontario umoristico bestiario che gli<br />

assicuratori hanno raccolto (con il solo beneficio<br />

dell’anonimato per proteggere gli autori) in un curioso<br />

poster e addirittura affisso a mo’ di quadro in<br />

qualche ufficio: serve, dicono, a rallegrare l’atmosfera.<br />

Sono affermazioni tutte rigorosamente vere e<br />

non possono certo lasciare indifferenti.<br />

L’Oscar dell’ilarità spetta indubbiamente a questa<br />

spiegazione: “Mi sono scontrato con una pompa<br />

di benzina proveniente dall’altra direzione”.<br />

Gli arredi urbani, si sa, rappresentano un vero<br />

pericolo; infatti non viaggiano soltanto i distributori:<br />

“Il palo della luce si stava avvicinando, stavo tentando<br />

di schivarlo quando mi venne addosso”. Di<br />

più: “Giungevo all’incrocio quando improvvisamente<br />

apparve un cartello di stop dove non era mai apparso;<br />

non riuscii a fermarmi in tempo”.<br />

Molto vasta la casistica degli errori: “Andando a<br />

casa ho girato nella villetta sbagliata e mi sono<br />

scontrato con un albero che non ho”. E ancora: “Il tipo<br />

barcollava in mezzo alla strada, ho dovuto sterzare<br />

diverse volte prima di investirlo”. “Ho guidato<br />

40 anni poi mi sono addormentato al volante e ho<br />

avuto un incidente”. “Per evitare di colpire il paraurti<br />

della macchina davanti stirai il pedone”.<br />

Due davvero mitiche: “Avevo detto alla polizia<br />

che non ero ferito, ma togliendomi il cappello ho<br />

s<strong>cop</strong>erto di avere il cranio fratturato”. “Il pedone non<br />

aveva idea di dove scappare e così io andai verso<br />

di lui”.<br />

Dopo gli errori, il capitolo dispetti: “L’altra vettura<br />

mi ha urtato senza dare avviso delle sue intenzioni”;<br />

“Un pedone mi ha colpito ed è finito sotto la mia auto”;<br />

“Avevo comprato diverse piante, arrivato ad un<br />

incrocio una di queste mi si fece davanti <strong>cop</strong>rendomi<br />

la visuale: ecco perché non vidi l’altra macchina”.<br />

Sezione animali: “Dopo il piccolo incidente il mio<br />

cane che era nell’auto si è messo ad abbaiare, così<br />

la mia controparte è scappata”; “Mentre tentavo di<br />

uccidere una mosca mi sono scontrato con un palo<br />

del telefono”.<br />

Stranieri: “Chi mi ha tamponato voleva scrivere il<br />

Cid in arabo, così mi sono rifiutato di firmarlo”.<br />

Figli: “L’autoradio era a pieno volume, mio figlio<br />

che mi era accanto cantava, così non ho sentito la<br />

sirena dell’autoambulanza, scontrandola”.<br />

Sezione mogli: “Un camion si è scontrato con la<br />

faccia di mia moglie”; “Non vorrei che di questa denuncia<br />

ne fosse informata mia moglie”.<br />

Invisibili: “Una macchina invisibile uscì da chissà<br />

dove, urtò la mia auto e scomparve”.<br />

1<br />

Tratto da “La Stampa” del 30-3-2006, pag. 35<br />

64 OMAR<br />

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