Omar cop 18 - ITI Omar
Omar cop 18 - ITI Omar
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Novembre 2006 - Anno IX<br />
Spedizione in abbonamento postale 70% - DC/DCI - Novara<br />
OMARnuovo<br />
periodico di cultura e di vita dell’insieme omarista<br />
(I.T.I. <strong>Omar</strong>, Associazione <strong>Omar</strong>isti, Fondazione <strong>Omar</strong>)<br />
seguito de “l’OMAR” fondato nel 1963 da Luigi Buscaglia<br />
<strong>18</strong>
Viale Volta, 85 - Tel. 0321 611150 - Fax 0321 620797
OMAR<br />
periodico di cultura e di vita<br />
dell’insieme omarista<br />
(I.T.I. <strong>Omar</strong>,<br />
Associazione <strong>Omar</strong>isti,<br />
Fondazione <strong>Omar</strong>)<br />
seguito de “l’OMAR”<br />
fondato nel 1963<br />
da Luigi Buscaglia<br />
“OMAR nuovo” n. <strong>18</strong><br />
Novembre 2006 - Anno IX<br />
Direttore responsabile<br />
Dorino Tuniz<br />
Direttore<br />
Marco Parsini<br />
Comitato di Redazione<br />
Stefano Accomazzi,<br />
Silvano Andorno,<br />
Valeriano Dell’Era,<br />
Giampietro Morreale,<br />
Franco Pianca,<br />
Francesco Romano<br />
Segretario di Redazione<br />
Franco La Sala<br />
Proprietaria<br />
Associazione <strong>Omar</strong>isti<br />
nuovo<br />
Direzione, Redazione,<br />
Amministrazione<br />
baluardo La Marmora, 12 - Novara -<br />
telefono e fax 0321 33209<br />
www.itiomar.net<br />
omaristi@itiomar.net<br />
Iscrizione del Tribunale di Novara<br />
al n. 2/98 del<br />
Registro della Stampa Periodica<br />
S O M M A R I O<br />
Questo fascicolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 3<br />
Studi e informazioni culturali<br />
G. ANDENNA – La politica di popolamento del Comune<br />
di Novara nel territorio tra Sesia e Ticino. Le origini<br />
e l’evoluzione in età medioevale di Borgomanero . . . » 5<br />
L. PEZZOLLA PAGANIN – Arte orafa nell’antico Egitto . . . . . . . . . . . » 12<br />
L. PIAZZO – Controlli dimensionali in campo automotive . . . . . . » 16<br />
C. CARPANI – L’avvento della stampa a Novara<br />
3° - La produzione tipografica novarese nel XVI secolo » 19<br />
M. MATTEI E ALTRI – La paciòliga.<br />
Sapori, colori, onori della tavola di montagna (2° parte) » 25<br />
M. ROSCI – Osvaldo Provvidone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 31<br />
G. ROMANO – “Lo sbadiglio” e “L’irritazione” (poesie) . . . . . ... » 33<br />
Istituto Tecnico Industriale <strong>Omar</strong><br />
Convegno “Robotica: dalla scuola all’azienda” . . . . . . . . . . . » 34<br />
Diplomati nel 2006 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 35<br />
Associazione <strong>Omar</strong>isti<br />
L’assemblea del 28 maggio 2006 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 37<br />
Fondazione <strong>Omar</strong><br />
Economia<br />
L. MANFREDINI E ALTRI – Il decreto 223/2006<br />
(c.d. “Manovra Prodi”) Struttura<br />
del provvedimento e riepilogo novità fiscali<br />
(in sintesi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 38<br />
Fondazione Tera<br />
Incontro-convegno “Elettricità per la ricerca sul cancro”<br />
U. AMALDI - L’elettricità: dalla s<strong>cop</strong>erta al suo uso<br />
nella terapia dei tumori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 42<br />
E. BAICI - L’attività innovativa in Provincia di Novara . . » 50<br />
S. BACCINI - L’attività di ricerca della Fondazione Tera . » 54<br />
Spigolature<br />
Giochi matematici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 63<br />
G. ALBERTI – Motivazioni esilaranti di sinistri stradali . . . . . » 64<br />
Le opinioni degli Autori<br />
non impegnano la Direzione<br />
La rivista non è in vendita<br />
Spedizione in abbonamento postale<br />
70% - DC/DCI Novara<br />
Nuova Tipografia S. Gaudenzio S.r.l.<br />
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n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 1<br />
nuovo
Questo fascicolo…<br />
… è leggibile (come il precedente) in Internet sul sito www.itiomar.net.<br />
Per sopraggiunte impreviste difficoltà, la seconda parte del poderoso lavoro dell’ing.<br />
Basilio Catania “I molti aspetti dell’informazione” sarà pubblicata sul numero successivo.<br />
Questo numero si arricchisce di una nuova prestigiosa firma: il prof. Giancarlo Andenna,<br />
da buon novarese, presenta “La politica di popolamento del Comune di Novara<br />
nel territorio tra Sesia e Ticino. Le origini e l’evoluzione in età medioevale di Borgomanero”.<br />
G. Andenna è uno dei maggiori esperti di storia medioevale. Attualmente<br />
ri<strong>cop</strong>re la carica di professore ordinario presso la Facoltà di Lettere dell’Università<br />
Cattolica di Milano ove è coordinatore del settore medioevistico della Scuola<br />
di Dottorato di Ricerca e nel contempo direttore del Dipartimento di Studi Medioevali<br />
Umanistici e Rinascimentali. Inoltre, presso l’Università di Dresda (Germania)<br />
è Projekleiter del progetto W: Stadtkultur und Klosterkultur in der mittelalterlische Lombardei.<br />
La prof.a Laura Pezzolla Paganin ci offre un nuovo flash sulla civiltà dell’Egitto dei faraoni<br />
con l’articolo “Arte orafa nell’antico Egitto”.<br />
La terza parte dell’opera “L’avvento della stampa a Novara” della dott.a Chiara<br />
Carpani è dedicata alla “Produzione tipografica novarese nel XVI secolo”.<br />
Si conclude il gustoso lavoro della dott.a Monica Mattei ”La paciòliga. Sapori, colori,<br />
onori della tavola di montagna”; non mancano allegri episodi conviviali di letterati,<br />
musicisti e pittori.<br />
L’ing. Lucia Piazzo, nell’articolo “Controlli dimensionali in campo automotive”, illustra<br />
la tecnologia molto avanzata della pressocolata e della metallizzazione di parabole<br />
in alluminio per fari automobilistici adottata dalla Tecnomeccanica S.r.L.<br />
Osvaldo Provvidone è un omarista artista che ha lasciato una traccia nell’arte pittorica.<br />
Ha espresso il suo mondo di sogno e di fantasia dapprima con tecnica neocubista<br />
d’avanguardia, per poi passare all’informale. Ce ne parla il critico d’arte prof.<br />
Marco Rosci.<br />
Quest’anno si sono tenuti a Novara importanti convegni scientifici. In particolare, nell’ambito<br />
della Fiera Elettrica della Comoli Ferrari & C. S.p.A., la Fondazione Tera ha organizzato<br />
l’incontro – convegno “Elettricità per la ricerca sul cancro”, con interventi<br />
di illustri relatori. Si riportano le relazioni, molto interessanti, del prof. Ugo Amaldi, della<br />
prof.a Eliana Baici e del dott. Saverio Braccini.<br />
L’Istituto <strong>Omar</strong> ha organizzato il convegno ”Robotica: dalla scuola all’azienda”. Se<br />
ne dà notizia nella rubrica dedicata all’Istituto.<br />
Merita, infine, una segnalazione la sintetica presentazione del dott. Manfredini del<br />
decreto 223/2006, la così detta “Manovra Prodi” nella rubrica della Fondazione<br />
<strong>Omar</strong>.<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 3<br />
nuovo
Studi e informazioni culturali <br />
La politica di popolamento del Comune di Novara nel territorio tra Sesia e Ticino:<br />
Le origini e l’evoluzione<br />
in età medioevale di Borgomanero<br />
Giancarlo Andenna<br />
I problemi generali del popolamento<br />
in età comunale<br />
Gli uomini costituiscono da sempre il motore fondamentale<br />
della storia e pertanto il problema cruciale<br />
di chi governa è quello del loro controllo e del loro<br />
dominio. Ciò è tanto più vero per i periodi in cui la<br />
presenza umana fu scarsa e basso fu il rapporto tra<br />
il numero degli abitanti e la superficie del territorio<br />
su cui essi vivevano. Questa situazione si era verificata<br />
nel corso dell’alto Medioevo, ma a partire almeno<br />
dalla seconda metà del X secolo era iniziata<br />
una lenta ripresa demografica, che permise alle popolazioni<br />
della pianura padana la messa a coltura di<br />
nuove terre e lo sviluppo della coltivazione di nuovi<br />
prodotti agricoli. Per difendere l’aumentata produzione<br />
e insieme per concentrare i contadini in luoghi<br />
sicuri, ove nel contempo potessero essere anche<br />
controllati e dominati, si sviluppò l’ampio fenomeno<br />
sociale, militare ed amministrativo dell’incastellamento,<br />
di cui ha parlato il Settia. A volere tale trasformazione<br />
delle campagne furono contemporaneamente<br />
sia i rustici, sia i grandi proprietari terrieri,<br />
che erano anche signori delle loro terre e degli abitanti<br />
che su di esse lavoravano, in quanto amministravano<br />
la giustizia, riscuotevano i tributi e gestivano<br />
gli interventi di pubblica utilità, come la riparazione<br />
dei castelli e delle chiese, l’imbrigliamento delle<br />
acque dei fiumi, l’edificazione dei ponti, o il mantenimento<br />
dei porti fluviali e la gestione del mercato. Il<br />
fenomeno dell’incastellamento, in quanto offriva anche<br />
indubbie utilità ai rustici, i quali potevano usufruire<br />
di case e di magazzini a basso canone di affitto<br />
entro le fortezze, crebbe per tutto il corso del X e<br />
dell’XI secolo, sino al momento in cui iniziò a svilupparsi<br />
il fenomeno socio-politico ed economico della<br />
civiltà comunale, le cui prime manifestazioni sono<br />
riscontrabili in Lombardia tra la fine dell’XI secolo ed<br />
i primi decenni del XII.<br />
Anche a Novara, l’antica città romana da cui dipendeva<br />
un tempo il lungo e stretto territorio compreso<br />
tra la Sesia ed il Ticino e delimitato dai monti<br />
dell’Ossola e dal Lago Maggiore, la civiltà comunale<br />
è attestata per la prima volta tra il 1116, anno in cui<br />
l’imperatore Enrico V concesse dei privilegi ai cittadini<br />
novaresi, ed il 1139, quando appaiono attivi i<br />
primi consoli del Comune, impegnati a risolvere una<br />
complessa questione di diritti sull’uso delle acque.<br />
Tuttavia gli uomini che governavano la vita politica<br />
del Comune appartenevano quasi tutti al ceto feudale<br />
dei vassalli del vescovo, avevano ampie proprietà<br />
nelle campagne, possedevano castelli e controllavano<br />
gli uomini che lavoravano le loro terre. Essi<br />
costituivano una nuova aristocrazia che nel corso<br />
dell’XI secolo si era affiancata a quella più antica<br />
delle famiglie comitali che avevano dominato nella<br />
contea di Pombia. Proprio mentre si affermava l’importanza<br />
politica e socio-economica dei vassalli del<br />
vescovo, detti capitanei di pieve, se tenevano direttamente<br />
il beneficio feudale dal presule, o valvassori,<br />
cioè vassalli di vassalli, se lo avevano ottenuto<br />
tramite l’investitura concessa dai capitanei, il gruppo<br />
comitale dei Pombia si era diviso in tre rami: i conti<br />
da Castello, i conti di Biandrate ed i conti del Canavese,<br />
ciascuno dei quali era destinato a suddividersi<br />
ulteriormente in numerose casate. In altri termini,<br />
la forza delle famiglie comitali, tutte residenti nel<br />
contado, si indeboliva, mentre cresceva la potenza<br />
militare, economica e sociale dei capitanei e dei valvassori,<br />
i quali, pur possedendo castelli in campagna,<br />
risiedevano in città, per poter servire il vescovo,<br />
ed uniti nell’istituzione comunale controllavano tutti<br />
gli abitanti del centro urbano e dei sobborghi, gli introiti<br />
e le merci del mercato cittadino, i proventi delle<br />
imposte del regno, nonché il gettito della tassazione<br />
sacramentale della decima, elementi che costituivano<br />
una immensa fonte di ricchezza e di potere politico<br />
e militare. Lo scontro tra i due gruppi feudali,<br />
cioè tra la feudalità comitale e quella ecclesiastica,<br />
avvenne nell’età del Barbarossa e si concluse nel<br />
1<strong>18</strong>3 con la pace di Costanza che, se da una parte<br />
riconobbe la legittimità delle istituzioni comunali che<br />
avevano combattuto contro l’imperatore, dall’altra<br />
salvaguardava i diritti degli antichi vassalli imperiali<br />
e dei conti, che si erano battuti per l’impero ed avevano<br />
ottenuto dal sovrano il riconoscimento pieno<br />
dei lori diritti sui castelli, sui villaggi e soprattutto sui<br />
rispettivi abitanti, i quali coltivavano le terre, producevano<br />
oggetti artigianali, allevavano il bestiame. La<br />
situazione di equilibrio tra i due gruppi di potere, a<br />
cui corrispondevano anche pari forze militari, come<br />
testimoniano i numerosi gruppi di cavalieri insediati<br />
a Biandrate e nei castelli contermini, durò sino al<br />
1<strong>18</strong>7, quando i due Comuni di Novara e di Vercelli si<br />
scontrarono per la conquista e l’utilizzazione delle<br />
acque della Sesia. Nel 1<strong>18</strong>7 infatti si combatteva tra<br />
Novara e Vercelli una guerra aspra, tendente al dominio<br />
della bassa Valsesia, delle acque del fiume e<br />
dei principali castelli che sorgevano lungo le rive, dai<br />
quali era possibile controllare i lavori di scavo delle<br />
rogge attività in cui i due Comuni erano ormai pie-<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 5<br />
nuovo
namente impegnati. Novara e Vercelli, spinte da interessi<br />
economico-politici imposti dalla ricerca della<br />
forza motrice del loro sviluppo agricolo, artigianale<br />
ed imprenditoriale, cioè delle acque correnti, ricercarono<br />
alleati tra le famiglie comitali e signorili della<br />
zona: i da Castello parteggiarono per Novara, i conti<br />
di Biandrate per Vercelli. Tuttavia la classe dirigente<br />
comunale novarese, non fidandosi di questi<br />
alleati e per colpire la potenza dei conti Ottone e<br />
Guido di Biandrate, saldamente ubicati nel Medio<br />
Novarese, mirò a scardinare la struttura insediativa<br />
e l’organizzazione sociale del territorio tra Romagnano<br />
ed Arona, chiave di volta per l’esercizio del<br />
potere a nord dei laghi. La linea critica di possibile<br />
scontro si snodava da Romagnano, sede di un’antica<br />
abbazia e centro di un ramo della famiglia marchionale<br />
arduinica di Torino, a Lupiate, forte castello<br />
sul Ticino, proprio di fronte a Castelletto, appartenente<br />
ai conti da Castello, attraverso Cureggio, pieve<br />
e fortezza al centro della pianura, lungo la via di<br />
Francia, o francisca.<br />
La creazione dei Borghifranchi novaresi<br />
6 OMAR<br />
nuovo<br />
L’opera di scardinamento dell’antico assetto insediativo<br />
fu attuata dalla classe dirigente del Comune<br />
novarese con la fondazione, quasi contemporanea,<br />
di due borghifranchi: Borgo Franco, ora più noto<br />
come Borgoticino, tra Conturbia, Pombia e Lupiate,<br />
proprio al centro delle proprietà dei da Castello,<br />
e Borgo San Leonardo, ora Borgomanero, tra Cureggio<br />
e Briga, due forti castelli che furono di Guido<br />
di Biandrate. Qui chiedo scusa all’amico Lomaglio,<br />
che è certamente il massimo conoscitore delle vicende<br />
della fondazione di Borgomanero, se continuo<br />
a sostenere la mia tesi della identificazione di<br />
Borgo Franco con Borgoticino e non con il Borgo di<br />
Oleggio, come egli sembra pensare. Infatti, nel<br />
1237 Borgo Franco era anche identificato come il<br />
Borgo di Lupiate, cioè dell’antico castello dei conti<br />
da Castello ubicato presso l’attuaIe santuario della<br />
Madonna delle Grazie, proprio sotto Borgoticino.<br />
Borgo Franco era già attivo il 3 marzo 1190 ed<br />
era abitato da numerose famiglie di Conturbia, fra<br />
cui quella di ser Viviano, il quale dispose dei lasciti<br />
per la chiesa di Santa Maria del castello di Conturbia.<br />
La prima notizia di Borgo San Leonardo è invece<br />
contenuta nell’accordo, raggiunto nel gennaio<br />
1198, tra il Comune di Novara, rappresentato dal<br />
podestà, il milanese Guido da Pirovano, ed i responsabili<br />
della comunità di Romagnano. Il principale<br />
magistrato novarese estendeva agli abitanti di<br />
Romagnano i diritti ed i doveri spettanti agli uomini<br />
di Borgo Franco e di Borgo San Leonardo. A costoro,<br />
artefici dei nuovi insediamenti, sorti per decisione<br />
politica novarese e popolati con persone provenienti<br />
da più aree geografiche diocesane ed extradiocesane,<br />
la classe dirigente di Novara aveva concesso<br />
i privilegi goduti dagli abitanti dei sobborghi<br />
della città, ma aveva anche richiesto gli stessi oneri<br />
che gravavano su di essi. Gli abitatiti dei borghifranchi,<br />
come quelli dei sobborghi, dovevano “partecipare<br />
alla fortificazione della città, dei sobborghi, dei<br />
luoghi e dei castelli e dei villaggi novaresi”, combattere<br />
insieme ai cittadini e pagare le tasse con il capoluogo,<br />
in cambio potevano tenere mercato nel<br />
borgo ed i loro mercanti e commercianti avrebbero<br />
potuto frequentare tutti i mercati e tutte le fiere che<br />
si sarebbero svolti sui territori controllati dalla città.<br />
La nascita e il successivo sviluppo di borgo San<br />
Leonardo erano pertanto strettamente connessi al<br />
vantaggio del mercato settimanale, mentre lo sviluppo<br />
territoriale della fondazione insediativa era legato<br />
sia alla posizione geografica, al centro del Novarese,<br />
sia alla fortuna commerciale. Più cause<br />
concorsero in ogni caso al successo del nuovo centro<br />
abitato, fra cui spicca anche la sua importanza<br />
militare, messa in luce da molti autori, tra i quali mi è<br />
caro ricordare lo Schmiedt, il quale nel suo studio<br />
sulle fortificazioni italiane rileva, come già fecero i<br />
generali sabaudi del 1636, la posizione strategica<br />
del luogo, da dove “si possono tenere <strong>cop</strong>erti la Valsesia<br />
ed il Biellese”.<br />
Ma al momento della fondazione di Borgo San<br />
Leonardo le fortificazioni erano estremamente semplici,<br />
o meglio si riducevano al solo fossato, scavato<br />
attorno alle case, queste ultime costruite molto probabilmente<br />
solo con il legno e con l’argilla, e lungo<br />
tutto il perimetro della pianta rettangolare. Infatti,<br />
nelle clausole del trattato di Zottico, imposto nel<br />
1202 dai consoli novaresi ai conti di Biandrate, si<br />
accenna solo ai fossati di Borgo San Leonardo, senza<br />
alcun riferimento a delle mura difensive, e la stessa<br />
testimonianza è ripetuta nelle consegne delle terre<br />
dei canonici di San Giulio del 1221 e del 1225.<br />
Quest’ultima fonte, nota come Consignationes, o<br />
Cartolare di Giovanni da Veruno, è stata ben studiata<br />
dal Beccaria, che ha messo in luce come il<br />
borgo si sia ubicato al centro di un territorio agricolo<br />
in cui si stavano dissolvendo le antiche modalità<br />
coltivative delle corti del Capitolo di San Giulio dell’isola<br />
d’Orta, una delle quali, la Baraggiola, rappresentava<br />
con la sua torre e la sua chiesa un centro di<br />
aggregazione umana antecedente la fondazione del<br />
borgo franco.<br />
Dal punto di vista topografico, al centro del nuovo<br />
insediamento, sull’angolo nord-est dell’incrocio tra i<br />
due maggiori assi stradali, accanto al sagrato, l’unica<br />
costruzione, che poteva anche servire a s<strong>cop</strong>i<br />
militari, era la possente torre campanaria di San<br />
Bartolomeo, la nuova chiesa sorta insieme al centro<br />
abitato e la cui prima menzione risale al 1225: il 17<br />
ottobre di quell’anno “in burgo Sancti Leonardi, in<br />
ecclesia Sancti Bartolomei” furono consegnati ai canonici<br />
di San Giulio gli alvei dei torrenti Agogna e<br />
Sizzone insieme ai diritti di pascolo e ai mulini posti<br />
sulle rive dei due corsi d’acqua nel territorio di Cureggio.<br />
Nei primi anni di vita dell’insediamento avvennero<br />
importanti modifiche nella struttura del centro: accanto<br />
al primitivo nucleo si aggiunsero due nuovi<br />
luoghi abitati, il borgo di Ponte Airaldo, a nord della<br />
chiesa di San Leonardo, verso la strada per Briga<br />
ed il ponte sull’Agogna, testimoniato nel 1204, e<br />
Borgo Manero, o Burgus Maynerius, ad occidente<br />
tra Borgo San Leonardo ed il torrente Agogna, sulla<br />
strada per Cureggio, il cui primo ricordo risale al<br />
1208. Il termine burgus, usato in questi due ultimi<br />
casi, aveva un significato profondamente diverso da<br />
quello utilizzato per indicare la realtà politica di Borgo<br />
San Leonardo. Infatti nell’esempio del borgofrann.<br />
<strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
co novarese il vocabolo era assunto con un valore<br />
tecnico-giuridico e serviva a denominare un insediamento<br />
i cui abitanti godevano di particolari diritti,<br />
sanciti da un privilegio, concesso dalla città, ed erano<br />
organizzati in un Communis, dotato di propri organismi<br />
amministrativi e di beni comuni. Per questa<br />
ragione il cartulare di Giovanni da Veruno tra il 1221<br />
ed il 1226 parla solo del Comune di Borgo San Leonardo.<br />
Nel caso invece del Borgo di Ponte Airaldo e<br />
di Burgus Maynerius la parola burgus possiede un<br />
semplice significato topografico, cioè specifica una<br />
realtà insediativa che si è affiancata ad un precedente<br />
centro abitato, ciò che oggi chiameremo un<br />
sobborgo, creato da un aumento demografico del<br />
preesistente nucleo abitativo. Questo ci sembra il significato<br />
dell’affermazione del 1221 “In burgo Sancti<br />
Leonardi (...) hec sunt terre quas tenent heredes<br />
Ottoni de Berzono qui habitant in burgo Manerio”, ad<br />
una delle quali confinava il comune suprascripti burgi<br />
Sancti Leonardi. Derivata da una simile circostanza<br />
la realtà sociale e politica del borgo Manero non<br />
era organizzata in un comune specifico e pertanto<br />
non si trova nella documentazione alcun accenno,<br />
almeno sin dopo il 1231, quando il borgofranco cambiò<br />
nome, ad un Commune Burgimanerii. Non è facile<br />
sapere cosa sia avvenuto dopo quest’ultima data,<br />
ma è certo che il nome del sobborgo sostituì in<br />
modo definitivo il toponimo del borgofranco, cosicché<br />
la realtà umana, politica ed insediativa di Borgo<br />
San Leonardo fu indicata con la denominazione del<br />
suo sobborgo, Borgomanero.<br />
Il Lomaglio ha acutamente ipotizzato che Borgomanero<br />
tragga il suo nome dal podestà di Novara<br />
Giacomo Mainerio, che resse la città tra il 1193 ed il<br />
1194, e la sua proposta ci sembra convincente e<br />
ben motivata. Era uso dei novaresi dare ai borghifranchi<br />
di nuova fondazione il cognome dei podestà<br />
che li avevano istituiti: così il borgo di Mandello assunse<br />
il nome nel 1233 dal podestà, il milanese Robaconte<br />
da Mandello, nel 1236 Borgo Agnello prese<br />
il nome dal podestà Zuccone degli Agnelli, il borgo<br />
di Pietrasanta in Ossola nel 1250-1251 dal podestà,<br />
il milanese Guiscardo da Pietrasanta, e Borgolavezzaro<br />
dal cittadino comasco Perraca Lavezzario, supremo<br />
magistrato novarese nel 1257.<br />
I problemi politici e territoriali<br />
del nuovo borgo<br />
La complessità insediativa di Borgo San Leonardo<br />
creò subito numerosi problemi politici ed amministrativi<br />
circoscrizionali: la terra su cui era sorto il<br />
borgofranco, ad esempio, apparteneva in parte ai<br />
conti di Biandrate, a cui era stata espropriata senza<br />
alcun risarcimento, e solo nel 1202 la questione fu<br />
definita in modo equo. L’accordo, stabilito a Zottico<br />
nel trattato imposto ai conti di Biandrate dai consoli<br />
di Novara, prevedeva che Borgo San Leonardo e i<br />
suoi abitanti e la terra compresa entro i fossati, nonché<br />
le stesse fosse, appartenessero al Comune di<br />
Novara. Tuttavia, se i conti avessero avuto dei diritti<br />
avrebbero dovuto cederli alla città. In più si stabilì<br />
che “se i Biandrate avessero avuto della terra nel<br />
borgo essa sarebbe stata valutata da due estimatori<br />
e pagata dai Novaresi ai conti al prezzo che essa<br />
valeva prima della costruzione dell’abitato”. Se si<br />
fosse invece trattato di terra che i conti detenevano<br />
in beneficio feudale, essi l’avrebbero infeudata a uomini<br />
sottoposti alla giurisdizione novarese, designati<br />
dal podestà, “senza però pretendere alcun giuramento<br />
di fedeltà ed alcun servizio, ad eccezione del<br />
fatto che una volta all’anno costoro avrebbero dovuto<br />
accompagnare uno dei conti, che lo richiedesse,<br />
a Novara per la festa di San Gaudenzio”. Essi<br />
avrebbero così fatto parte del gruppo vassallatico<br />
comitale nel corteo che dalla cattedrale si snodava<br />
sino alla basilica extramuranea del protettore della<br />
diocesi. Ma qualora gli uomini di Borgo San Leonardo<br />
si fossero rifiutati di prestare anche questo servizio<br />
non avrebbero perso il feudo. Infine i consoli<br />
concedevano agli abitanti del borgo il diritto di avere<br />
pascoli comuni, senza alcuna pretesa pecuniaria;<br />
tuttavia, al contrario, esigevano che gli affittuari delle<br />
terre, poste fuori dai fossati di Borgo San Leonardo,<br />
continuassero a versare alla famiglia comitale<br />
gli affitti, la tassa del fodro regio ed i censi annui,<br />
nonché fornissero ai loro inviati l’albergaria.<br />
Ma le questioni erano anche più complesse,<br />
giacchè il nuovo borgo, inseritosi sui territori di precedenti<br />
centri insediativi e castelli, aveva sconvolto<br />
l’antico assetto circoscrizionale. Si modificavano i<br />
confini dei vari insediamenti preesistenti ed era necessario<br />
rideterminarli. Si possiede un eloquente<br />
esempio di ciò nei confronti dei territori di Cureggio<br />
e Vergano, registrato dal notaio Giovanni da Veruno<br />
il 19 dicembre 1225, per ordine dei canonici di San<br />
Giulio. Ma ascoltiamo la registrazione del notaio novarese:<br />
“Il territorio e la curia di Cureggio si estende<br />
in questo modo: ha inizio due lance al di sotto del<br />
fossato del borgo, ove esisteva una pietra di confine,<br />
e prosegue verso mezzogiorno”. Altri testimoni<br />
sostennero che molte volte “avevano sentito dire<br />
dai loro genitori che il territorio di Cureggio giungeva<br />
sino ad un termine posto dinanzi alla porta della<br />
chiesa di San Martino di Vergano, al là del sentiero<br />
che si congiunge ad oriente con la strada di Gozzano,<br />
sino al mulino dei Patarini, ed a sud al territorio<br />
di Marzalesco”.<br />
La struttura fisica del borgo<br />
Il Lomaglio, con un paziente lavoro di recupero<br />
delle fonti, ha delineato il quadro insediativo, documentando<br />
i quattro quartieri, i successivi portici, le<br />
case di ciottoli e malta del tardo medioevo con il tetto<br />
a larghi spioventi, per ospitare le bancarelle del<br />
mercato, le contrade principali e secondarie, le porte<br />
e la tipologia delle singole abitazioni. Uguali considerazioni,<br />
molto originali, soprattutto in rapporto<br />
alla tipologia urbanistica e alla disuguagIianza del<br />
valore dei lotti insediativi assegnati, si possono ritrovare<br />
anche negli studi del Marzi.<br />
Qui interessa invece porre il problema delle fortificazioni<br />
e delle mura, di cui ci è ignoto il tempo della<br />
costruzione.<br />
Concordiamo con il De Vitt nell’affermare che il<br />
borgo sia stato difeso nel XV secolo con forti mura e<br />
grosse torri, ancora visibili agli inizi dell’Ottocento e<br />
documentate, non sappiamo con quanta fedeltà, dal<br />
Morazzone nella tela di san Rocco, conservata in<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 7<br />
nuovo
San Bartolomeo. Ci pare però che una struttura fortificativa<br />
muraria doveva già esistere prima del biennio<br />
1356-1357, anni in cui furono realizzate, secondo<br />
la testimonianza di Pietro Azario, numerose opere<br />
di fortificazione per conto del marchese di Monferrato<br />
nel Novarese.<br />
In quegli anni Borgomanero era la fortezza più<br />
consistente del Medio Novarese, abitata da uomini<br />
adatti alla guerra, cioè da viri belligeri, come si<br />
esprime il cronista, e ben difesa dalla struttura murata,<br />
il fortalicium, così che tra il 1361 ed il 1362 Galeazzo<br />
II Visconti decise di non distruggerla. Un anno<br />
dopo Borgomanero e le sue mura furono investite<br />
dalle truppe inglesi di Alberto Sterz, che si erano<br />
proposte di conquistarli. Durante la cruenta battaglia,<br />
quando gli inglesi erano già scesi da cavallo<br />
per espugnare le difese, sopraggiunsero 300 armati<br />
novaresi in aiuto dei borghigiani. Costoro costrinsero<br />
a fatica i soldati di ventura inglesi a ripiegare<br />
su Romagnano e così Borgomanero fu salva.<br />
Quando nel 1364 Galeazzo II ritornò ad essere<br />
signore incontrastato dell’intero Novarese ordinò al<br />
suo rappresentante Bertolotto Confalonieri da Piacenza<br />
di distruggere tutte le fortificazioni del distretto.<br />
L’unico luogo fortificato che si sia salvato fu il<br />
centro murato di Borgomanero; di certo il borgo fu<br />
risparmiato per la sua ampiezza, per la sua posizione<br />
strategica, ma soprattutto per la presenza entro<br />
le mura di una forte e cosciente società di viri bellicosi,<br />
uomini adatti alla guerra e all’amministrazione<br />
del distretto del Medio Novarese. Questi elementi<br />
dovettero convincere il signore di Milano della necessità<br />
di avere un caposaldo a metà delle strade<br />
che dalle vallate alpine e dal territorio dei laghi portavano<br />
ai ponti e ai porti sul Ticino, verso Milano e<br />
Pavia, nonché al castello abbaziale ed al borgofranco<br />
di Romagnano, verso i guadi della Sesia, sulla<br />
via dei contesi territori del Canavese e dell’Eporediese,<br />
i quali conducevano alle vallate dei Savoia.<br />
Se le mura ed i fossati impedirono ai nemici di<br />
penetrare nel borgo, gli stessi a nulla servirono per<br />
arrestare il pauroso flagello della peste nera. La<br />
precisa testimonianza del cronista novarese Pietro<br />
Azario, che nel tardo autunno del 1347 dimorava a<br />
Borgomanero, ove il morbo infierì sino all’anno successivo,<br />
come dimostrano anche le disposizioni imposte<br />
dal vescovo di Novara, Guglielmo, ci permette<br />
di sapere che in tre mesi nel borgo morirono, tra<br />
uomini, donne e bambini, ben 127 persone. Ma la<br />
disgrazia della malattia si ripresentò, in modo più<br />
drammatico nel 1362, diffusa dalle compagnie di<br />
ventura inglesi: durante quest’ultima pestilenza l’Azario,<br />
che era lontano da Borgomanero, perse la<br />
moglie e due figli ed acquisì un’amara filosofia della<br />
vita, che lo spinse allo scetticismo: “Deliberai allora<br />
di godere con coloro che godevano e di soffrire con<br />
coloro che soffrivano”. Ma non gli fu probabilmente<br />
concesso di godere a lungo di questa sua decisione,<br />
in quanto il suo racconto si interruppe bruscamente<br />
nel medesimo, drammatico anno del 1362.<br />
Le istituzioni amministrative<br />
Dal punto di vista politico ed amministrativo il<br />
borgo era sottoposto alla giurisdizione del Comune<br />
di Novara sin dalla sua origine; la città lo governava<br />
per mezzo di un podestà, nominato dal Consiglio<br />
Maggiore, o di Credenza; la prima indicazione del<br />
nome di un magistrato novarese, testimoniata dalle<br />
fonti, risale al 1315, anno in cui ri<strong>cop</strong>riva l’incarico il<br />
novarese Opecino Tettoni da Gargarengo. Una ventina<br />
d’anni più tardi, con la formazione in diocesi di<br />
Novara della signoria territoriale del vescovo Giovanni<br />
Visconti, fu attuata una riforma amministrativa<br />
del contado con l’istituzione dei distretti rurali denominati<br />
“squadre”. Borgomanero divenne subito il<br />
centro organizzativo della “squadra dell’Agogna” ed<br />
ebbe, accanto al podestà nominato dai Novaresi, un<br />
funzionario governativo, il Vicario, direttamente dipendente<br />
dal Visconti, non in quanto vescovo, ma in<br />
quanto “Novariae dominus”. Esiste un solo esempio<br />
documentario che testimoni questa situazione, la<br />
pergamena 12 dicembre 1340, nella quale Giacomino<br />
Carcanino, nella sua qualità di Vicario del signore<br />
di Milano e di Novara, imponeva ad un abitante<br />
del borgo la regolarizzazione giuridica ed economica<br />
dei suoi rapporti con il Capitolo di San Giulio,<br />
forse il maggiore proprietario terriero della zona,<br />
a proposito del mulino dei Benedetto, ubicato “al di<br />
là della Agogna”. L’azione giuridica del Vicario era<br />
stata espressamente prevista con una lettera di<br />
Giovanni Visconti, datata da Milano il 28 agosto<br />
1340. Anche durante il breve periodo della dominazione<br />
del Marchese di Monferrato, tra il 1356 ed il<br />
1359, Borgomanero continuò ad essere retta da Vicari,<br />
provenienti non più da Milano, ma dai territori<br />
sottoposti al Paleologo.<br />
La figura del Vicario non deve quindi essere confusa<br />
con quella del podestà: quest’ultimo aveva<br />
competenze amministrative e giudiziarie e rappresentava<br />
il legame con la città di Novara e con la sua<br />
classe dirigente, da cui il borgo dipendeva, in quanto<br />
parte del distretto novarese. L’istituzione vicariale<br />
invece serviva a mantenere i rapporti tra il governo<br />
centrale del ducato ed il capoluogo circoscrizionale<br />
della “squadra dell’Agogna”, in modo da garantire<br />
sul luogo l’applicazione delle disposizioni legislative<br />
generali e dei diretti ordini del principe.<br />
Il sistema amministrativo della podesteria e del<br />
vicariato durò ancora a lungo, soprattutto durante il<br />
governo di Gian Galeazzo Visconti: la dimostrazione<br />
può essere offerta dalla lettera del duca, scritta il<br />
4 maggio 1400 ed indirizzata al Vicario di Borgomanero,<br />
con la quale il signore di Milano informava il<br />
suo diretto funzionario di aver disposto il trasferimento<br />
della lunga fiera mensile di giugno dalla originaria<br />
sede di Arona al centro abitato di Borgomanero.<br />
Non sappiamo quali ragioni abbiano spinto<br />
Gian Galeazzo a spostare a Borgomanero l’importante<br />
fiera mensile di Arona, che era uno dei maggiori<br />
momenti annuali per gli scambi internazionali<br />
tra la Lombardia e l’Europa Settentrionale attraverso<br />
la via del Lago Maggiore, dell’alto Ticino e dei<br />
passi del Gottardo, del Lucomagno e del San Bernardino.<br />
Ci sembra di poter affermare che la scelta<br />
del duca non sia stata casuale: Borgomanero doveva<br />
aver assunto uno sviluppo civile ed insediativo,<br />
sociale e commerciale tale da poter diventare il centro<br />
di uno dei più rilevanti fatti mercantili e finanziari<br />
della Lombardia nord-occidentale. Purtroppo la permanenza<br />
della fiera di giungo a Borgomanero non<br />
8 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
durò a lungo, infatti il 3 maggio 1415 il nuovo duca<br />
di Milano Filippo Maria Visconti concedeva al borgo<br />
milanese di Arona di poter ancora ospitare i mercanti<br />
e le merci internazionali per il tradizionale incontro<br />
di giugno.<br />
Il Borgofranco si trasforma in feudo<br />
Il ritorno della fiera ad Arona avvenne anche perché<br />
da qualche anno la situazione politica ed amministrativa<br />
di Borgomanero era profondamente mutata;<br />
infatti il 20 agosto 1412 il medesimo duca di<br />
Milano Filippo Maria Visconti aveva concesso in<br />
feudo a Giovanni Tornielli di Parona, figlio di Ribaldone,<br />
il Borgo con tutti i poteri giurisdizionali, con il<br />
diritto ad esigere i dazi e le imposte, con tutte le pertinenze<br />
relative ai beni demaniali e nel contempo<br />
aveva scorporato il territorio del borgo dal controllo<br />
politico ed amministrativo di Novara. La concessione<br />
del feudo, o beneficio, che rendeva una prevedibile<br />
somma di denaro annua, appare come una<br />
pensione, ovvero come una forma di pagamento del<br />
lungo servizio militare prestato dal Tornielli come<br />
castellano del castello ducale di Pavia. Tre anni dopo<br />
il nuovo feudatario di Borgomanero era già morto<br />
ed il duca ordinò al suo rappresentante politico,<br />
Francesco Carmagnola, di riconfermare ai figli di<br />
Giovanni, Ribaldone II, Violante e Margherita ed alla<br />
vedova Lorenzina dei Carli di Sopramonte, l’investitura<br />
feudale del borgo con tutti i redditi e negli<br />
stessi termini ereditari in precedenza concessi.<br />
Ribaldone II esercitò di diritto e di fatto per trentacinque<br />
anni il potere sul centro abitato, un tempo<br />
borgofranco, nominando i podestà, amministrando<br />
la giustizia e riscotendo le tasse così che nel 1540<br />
il Referendario di Novara poteva comunicare al<br />
nuovo signore di Milano, Francesco Sforza, che “la<br />
terra di Borgomanero era tenuta da lungo tempo<br />
da Ribaldone Tornielli per privilegio concesso dal<br />
defunto duca”. Tuttavia, dopo il 1447, anno in cui<br />
morì Filippo Maria Visconti, i responsabili politici<br />
del Comune di Borgomanero, cioè i consoli della<br />
comunità, pensarono di approfittare della grave crisi,<br />
originata dal vuoto di potere venutosi a creare<br />
per la mancanza di un governo stabile, per liberarsi<br />
dalla soggezione feudale, mantenendo tuttavia<br />
un’ampia autonomia, data dallo stato di separazione<br />
dal controllo politico-amministrativo del Comune<br />
di Novara.<br />
I privilegi di Borgornanero<br />
e la sanguinosa battaglia<br />
di Bartolomeo Colleoni<br />
Il 10 ed il 24 dicembre 1448 i consoli del borgo<br />
trattarono con Francesco Sforza le condizioni della<br />
loro dedizione al nuovo signore del Ducato. Tra le richieste<br />
gli abitanti sottolineavano l’esigenza di non<br />
essere nuovamente infeudati, dichiarando però che<br />
da numerosi decenni Borgomanero era una terra<br />
separata da Novara. La petizione conteneva un elemento<br />
di ambiguità, giacché era notorio a tutti che il<br />
distacco di Borgomanero dalla città era avvenuto<br />
solo a causa della sua infeudazione al Tornielli. Il<br />
Comune del borgo cedeva a sua volta allo Sforza le<br />
strutture difensive e militari e tutti i diritti fiscali e finanziari.<br />
Non era poca cosa in quanto si trattava di una<br />
delle terre più popolate e più ricche del Novarese.<br />
Una relazione del Referendario di Novara, elaborata<br />
nel 1450, pubblicata dallo Zanetta, parla di un<br />
borgo formato da 200 fuochi, con un reddito annuo<br />
per dazi di 200 lire, sostenuto da un traffico commerciale<br />
di 800 barili di merci. Francesco Sforza sapeva<br />
che Borgomanero era un luogo strategicamente<br />
importante e ben difeso e pertanto accettò,<br />
pur con alcune riserve, le condizioni proposte. La<br />
comunità venne a godere del privilegio di dipendere<br />
solo dal governo centrale e non dal feudatario, o<br />
dalla città di Novara come un tempo.<br />
Quattro mesi più tardi, nell’aprile 1449, le campagne<br />
del medio Novarese erano insanguinate dalla<br />
guerra: le truppe del duca di Savoia, sostenute<br />
da forti contingenti francesi, operavano scorrerie<br />
contro i villaggi circostanti, così che lo Sforza fu costretto<br />
ad inviare Bartolomeo Colleoni, generale della<br />
Repubblica Veneta temporaneamente alleata<br />
dello Sforza, con le sue compagnie di ventura. Il<br />
condottiero bergamasco sconfisse i Savoiardi a Romagnano<br />
il l aprile 1449, ma i nemici, più irritati che<br />
impauriti, riuscirono a riorganizzarsi al di qua della<br />
Sesia e le popolazioni del Novarese vissero momenti<br />
di terrore per le stragi e gli incendi. Il Colleoni<br />
fu costretto ad attaccare di nuovo battaglia il 23<br />
aprile 1449 a Borgomanero e nella prima fase dello<br />
scontro la sorte fu sfavorevole al bergamasco. Davanti<br />
ai fossati e alle mura del borgofranco caddero<br />
due capitani del Colleoni ed i nemici, vistili feriti, non<br />
accettarono di prenderli prigionieri, ma, alzata loro<br />
la visiera dell’elmo, trafissero con le spade il volto.<br />
Anche Giacomazzo da Salerno, un altro capitano<br />
del condottiero bergamasco, fu circondato dai Francesi<br />
e Bernardino Corio narra che il soldato di ventura<br />
meridionale incoraggiò i suoi uomini a resistere,<br />
minacciando di morte i traditori e affermando che se<br />
si doveva morire era importante cadere tutti insieme,<br />
con il proprio capitano. E soggiunse: “ricordatevi<br />
dell’onore degli Italiani”, situazione e frase da non<br />
dimenticare, soprattutto in questi nostri tempi.<br />
Intanto il Colleoni riorganizzava le sue schiere,<br />
seguito da Corrado Sforza e da altri comandanti veneti<br />
e meridionali; quando ebbe ricostituito l ‘esercito<br />
attaccò con violenza un trinceramento di pali che<br />
i nemici avevano innalzato di fronte al borgo per difendersi.<br />
Attorno alla palizzata si sviluppò la fase<br />
centrale della battaglia, in seguito illustrata in un affresco<br />
del Romanino nel castello di Malpaga, ora<br />
completamente rovinato. Il Colleoni ebbe il cavallo<br />
ucciso a colpi di spada e fu costretto a difendersi<br />
con vigore.<br />
Alla fine però il campo trincerato fu conquistato e<br />
sul terreno si potevano contare duemila cadaveri<br />
franco-savoiardi, altri mille furono fati i prigionieri.<br />
A Borgomanero si erano giocate le sorti dell’Italia<br />
Settentrionale per tutta la seconda metà del Quattrocento:<br />
Ludovico di Savoia fu costretto ad abbandonare<br />
il piano di conquista del ducato lombardo,<br />
Francesco Sforza diveniva signore incontrastato del<br />
Milanese, mentre Bartolomeo Colleoni si affermava<br />
come il maggiore condottiero italiano.<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 9<br />
nuovo
La nuova soggezione feudale<br />
e la fine delle libertà<br />
Per sei anni il nuovo duca di Milano, Francesco<br />
Sforza, rispettò gli accordi presi con i Borgomaneresi<br />
nel 1448, ma poi le pressioni della classe dirigente<br />
novarese per ottenere il controllo della più importante<br />
terra del distretto prevalsero. Così il 15 giugno<br />
1455 il podestà del luogo era di nuovo un cittadino<br />
novarese, sicuramente nominato secondo l’antica<br />
procedura prevista dagli Statuti della città.<br />
Ma anche questa situazione amministrativa era<br />
destinata a cessare nel breve volgere di un decennio:<br />
il 21 novembre 1466, otto mesi dopo la morte<br />
del duca Francesco, la vedova Bianca Maria, oberata<br />
dai debiti e dalle esigenze di tamponare il passivo<br />
del bilancio dello Stato, cedette in feudo per<br />
denaro la terra di Borgomanero a Pietro Trivulzio<br />
con diritto di successione ereditaria. La comunità<br />
reagì con debolezza alla decisione del governo e si<br />
limitò a scrivere una lettera, che si concludeva con<br />
una supplica. I consoli chiedevano che fossero rispettati<br />
i patti firmati da Francesco Sforza nel 1448,<br />
nei quali si stabiliva che “la terra de iure non po esere<br />
alienata, né essi homini eser sottoposti ad altri<br />
che al duca”, sotto al cui dominio “volevano vivere<br />
et morire”. Era solo un’accorata petizione di principio<br />
e non ottenne alcuna risposta.<br />
Ai Trivulzio il feudo di Borgomanero rimase sino<br />
alla fine del Quattrocento ed essi decisero molto<br />
probabilmente di costruire nel settore nord-est del<br />
borgo, tra la chiesa di San Leonardo e l’Agogna, all’interno<br />
delle mura e subito a ridosso di esse, un<br />
castello, ove ora sorge il palazzo degli Este. Il castello<br />
servì come dimora signorile, ma miche per<br />
proteggere i feudatari dalla comunità dei borghigiani.<br />
Le libertà comunali, che avevano accompagnato<br />
la nascita del borgofranco erano definitivamente<br />
tramontate. L’età moderna avrebbe portato per<br />
quasi cinquant’anni una intollerabile soggezione<br />
feudale alternativamente ai Trivulzio e ad Anchise<br />
Visconti. Poi, nel 1552, con il titolo di marchesato,<br />
Borgomanero passò ad Ercole II d’Este, duca di<br />
Modena, Reggio e Ferrara. In cento anni di guerre<br />
e di sottomissione signorile la comunità aveva perso<br />
ben cinquanta fuochi. La nuova, grande ripresa<br />
doveva iniziare nel tempo degli Este, poiché il borgo<br />
era divenuto una piccola capitale di un minuscolo<br />
marchesato, comprendente anche i centri rurali<br />
di Cureggio, Boca e Maggiate. Ma questa è un’altra<br />
storia.<br />
Bibliografia<br />
Per la parte relativa ai problemi del popolamento<br />
e degli insediamenti medievali dell’Italia Settentrionale,<br />
nonché al significato delle infeudazioni.<br />
R. COMBA, La popolazione in Piemonte sul finire<br />
del Medioevo. Ricerche di demografia storica, Torino<br />
1977; COMBA, Emigrare nel Medioevo. Aspetti<br />
economico-sociali della mobilità geografica nei secoli<br />
XI-XV in Strutture familiari, epidemie, migrazioni<br />
nell’Italia medievale, Napoli 1984; A. SETTIA, Castelli<br />
e villaggi nell’Italia padana. Popolamento, potere e<br />
sicurezza fra IX e XIII secolo, Napoli 1984; SETTIA,<br />
Lo sviluppo degli abitanti rurali in Alta Italia: villaggi,<br />
castelli e borghi dall’alto al basso Medioevo rurale,<br />
Bologna 1980, pp. 15-199; I Borghi nuovi. Secoli<br />
XII-XIV, a cura di R. COMBA, A. SETTIA, Cuneo 1993;<br />
F. PANERO, Due borghi franchi padani. Popolamento<br />
ed assetto urbanistico e territoriale di Trino e Tricerro<br />
nel secolo XII, Vercelli 1979; Panero, I borghi<br />
franchi del Comune di Vercelli: problemi territoriali,<br />
urbanistici, demografici, in “Bollettino Storico Vercellese”,<br />
16-17 (1981), pp. 5-43; Cherasco, Origine<br />
e sviluppo di una villanova, a cura di F. PANERO, Cuneo<br />
1994; Metamorfosi di un luogo. Vigevano in età<br />
visconteo-sforzesca, a cura di G. CHIOTTOLINI, Milano<br />
1992; G. CHIOTTOLINI, Infeudazioni e politica feudale<br />
nel ducato visconteo-sforzesco, in “Quaderni<br />
Storici”, 19 (1972), pp. 85-96, ora anche in ID., La<br />
formazione dello Stato regionale e le istituzioni del<br />
contado (secoli XIV-XV), Torino 1979, pp. 36-100.<br />
Per Borgomanero rimando ai lavori di E. LOMA-<br />
GLIO, Le origini di Borgomanero e il medio novarese<br />
in età comunale, Borgomanero 1978; A. PAPALE, Il<br />
paesaggio agrario del Borgomanerese nei secoli XII<br />
eXIV, in Il Contado di Novara, Novara 1977; G.<br />
CHIOTTOLINI, l capitoli di dedizione delle comunità<br />
lombarde a Francesco Sforza: motivi di contrasto<br />
tra città e contado, in Felix olim Lombardia, Milano<br />
1978, pp. 673-698; G. ANDENNA, Castello e mura di<br />
Borgomanero, in Da Novara tutto intorno, Torino<br />
1982, pp. 431-441; Borgomanero “luogo grosso e<br />
bellissimo, quasi una città”, Fondazione Achille Marazza,<br />
Borgomanero 1985; P. ZANETTA, Ad banchum<br />
Iuris Burgi Mayneri. Vicende giudiziarie dei<br />
secoli XV e XVI, Fondazione Achille Marazza, Borgomanero<br />
1986 (Collana di Studi Borgomaneresi<br />
4); G. BECCARIA, La corte ottoniana di Baraggiola di<br />
Borgomanero (secoli X-XIII). Dissoluzione dei mansi<br />
e delle terre vicane tra i secoli XII e XIII, in “Novarien”,<br />
XVII (1987) pp. 69-106.<br />
10 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
I BORGHI FRANCHI E LA LORO EVOLUZIONE (Sec. XII – XV)<br />
Figura 1 - Borgomanero prima<br />
Figura 2 - Borgomanero ora<br />
Figura 3 – Oleggio<br />
Figura 4 - Mandello<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 11<br />
nuovo
Studi e informazioni culturali<br />
Arte orafa<br />
nell’antico Egitto<br />
Laura Pezzolla Paganin<br />
In un lunghissimo periodo di tempo (3100 a.C. -<br />
945 a.C.) la civiltà dell’antico Egitto ha prodotto,<br />
nel campo dell’arte orafa, una grande quantità di<br />
oggetti preziosi di elevato livello tecnico ed artistico.<br />
Fin dal Periodo Arcaico (I e II dinastia, 3100<br />
a.C. - 2 686 a.C.) il gioiello per gli Egizi rappresentò<br />
non solo un ornamento prestigioso, ma anche una<br />
protezione contro le influenze malefiche. A questo<br />
s<strong>cop</strong>o le forme e il materiale utilizzato rivestivano<br />
una particolare importanza. Questi oggetti rappresentavano<br />
anche le diverse forme del “divino” che<br />
manifestava un potere invincibile nel proteggere il<br />
possessore sia in vita sia dopo la morte, nella vita<br />
ultraterrena.<br />
Durante l’Antico Regno i gioielli utilizzati erano<br />
costituiti da colliers, collari, pettorali, cinture, bracciali<br />
e cavigliere. Successivamente apparvero il diadema<br />
e le fasce funerarie. Nei diademi reali, oltre<br />
alle decorazioni floreali, comparve l’ureo (cobra reale).<br />
Gli anelli si diffusero durante il Medio Regno<br />
(XI-XIII dinastia 2040 a.C. - 1633 a.C.); durante<br />
questo periodo si produsse artificialmente l’elettro e<br />
l’oro rosso (con aggiunta di piriti), mentre l’argento<br />
rimase raro; prevalse come ornamento il pettorale e<br />
sul diadema reale comparvero l’avvoltoio e l’ureo,<br />
la cui coda si prolungava sul cranio del re. Gli orecchini<br />
apparvero durante il Secondo Periodo Intermedio<br />
(XIV - XVII dinastia, 1633 a.C. - 1559 a.C.) e<br />
rappresentarono una tipologia di gioiello introdotta<br />
dagli invasori Hiksos di provenienza orientale. Nel<br />
Nuovo Regno (XVIII - XX dinastia, 1599 a.C. -<br />
1085 a.C.) gli anelli presentavano castoni molto elaborati,<br />
gli orecchini diventarono molto complessi e<br />
pesanti e potevano essere portati anche dai ragazzi<br />
fino al raggiungimento della maggiore età. Durante<br />
il Periodo Saitico (XXI dinastia, 1085 a.C. - 945<br />
a.C.), i gioielli diventarono più massicci (il più piccolo<br />
dei collari di Psusennes pesa 8.640 grammi), meno<br />
curati e caratterizzati da tinte fredde e da un particolare<br />
oro verde.<br />
Gli usi dei gioielli potevano essere molto vari, infatti<br />
venivano utilizzati come amuleti con forme e<br />
colori di significato apotropaico e realizzati con pietre<br />
dure, vetro, faience e oro.<br />
Nell’Antico Regno prevalsero gli amuleti in oro e<br />
materiali diversi a forma di artigli e becchi di predatori,<br />
conchiglie e cipree (cinture contro l’aborto). Nel<br />
Occhio wedjet<br />
Medio Regno e nel Nuovo Regno erano molto comuni<br />
gli amuleti a forma di occhio wedjet (occhio di<br />
Horus), segno ankh (vita), segno tyet (forza), segno<br />
djed (durata).<br />
Nei gioielli usati come abbellimento prevalsero<br />
le forme floreali (fiore di loto, frutti, petali, foglie).<br />
Una particolare utilizzazione del gioiello era rappresentata<br />
dalle decorazioni militari o civili quali<br />
le mosche d’oro, i collari a dischi e i bracciali con i<br />
leoni, elargiti a militari o civili che si erano particolarmente<br />
distinti agli occhi del re (N.R.).<br />
Il gioiello poteva anche essere utilizzato come<br />
merce di scambio, moneta o regalo tra monarchi.<br />
Un ultimo uso, ma non il meno importante vide il<br />
gioiello come parte essenziale del corredo funerario,<br />
poiché l’oro, metallo inalterabile, rappresentava<br />
l’incorruttibilità del corpo.<br />
Dal Medio Regno vennero prodotti, sia per il Palazzo<br />
che per usi liturgici e funerari, numerosi e importanti<br />
pezzi da mensa e acquamanili per abluzioni<br />
rituali. Il re poteva donare pezzi di questo vasellame<br />
come ricompensa a personaggi che si erano<br />
particolarmente distinti.<br />
Segno tyet<br />
Segno ankh<br />
Segno djed<br />
12 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
Mosche d’oro<br />
Collana a dischi e pettorale<br />
L’oro venne usato in fogli sottili per rivestire ogni<br />
tipo di oggetti, dai cofani agli stipiti delle porte dei<br />
templi, dagli oggetti di toeletta ai letti, dai carri da<br />
parata alle armi.<br />
Un discorso particolare riguarda i sarcofagi, maschere<br />
funerarie e ushabti, i cui unici esempi ci derivano<br />
dalla tomba di Tuthankamon e dalle tombe<br />
del Periodo Saitico.<br />
Materie prime, utensili e tecniche<br />
Le materie prime utilizzate nell’arte orafa erano di<br />
proprietà esclusiva del faraone, il quale poteva distribuirle<br />
al tesoro dei templi, a funzionari, a membri<br />
dell’esercito o a privati cittadini che si erano particolarmente<br />
distinti ai suoi occhi.<br />
L’oro proveniva da: Deserto orientale, Wady<br />
Hammamat, Punt, Nubia, Sudan, Alto Egitto. Si utilizzavano<br />
sabbie aurifere (pagliuzze e pepite), quarzi<br />
auriferi, ricerca e scavo delle vene aurifere anche<br />
in miniere sotterranee. Le tecniche di estrazione<br />
comprendevano la setacciatura delle sabbie e l’uso<br />
di acque di lavaggio, frantumazione e macinazione<br />
dei quarzi auriferi con l’uso del fuoco.<br />
Le tecniche di lavorazione dell’oro comprendevano<br />
la fusione della materia prima in forni corredati<br />
di cannelli ferruminatori a 1000°C. La colata veniva<br />
immessa in stampi anulari o a lingotto per il trasporto<br />
ai luoghi di lavorazione. Poiché molto spesso l’oro<br />
presentava impurità, specialmente d’argento, si<br />
otteneva direttamente dalla fusione una lega chiamata<br />
electron (più tardi ottenuta mescolando Au<br />
73% Ag 25% Cu 2%). La presenza di altri metalli<br />
poteva dare all’oro colorazioni differenti (rosso, verde,<br />
ecc.) (N.R.). La caratura andava da 17 a 22 carati.<br />
Durante il Nuovo Regno l’operazione successiva<br />
alla fusione era la <strong>cop</strong>pellazione seguita dalla ricottura.<br />
Le leghe Ag-Au ottenute davano origine all’oro<br />
bianco con l’Au che andava dal 38 al 9% e l’Ag<br />
asiatico (M. e N.R.) e con punti di fusione superiori<br />
a quello dell’Au.<br />
Dal deserto orientale provenivano le pietre semipreziose<br />
come la cornalina, il feldspato verde e<br />
l’ametista, mentre la turchese e il granato venivano<br />
cavate dal Sinai; i diaspri rosso giallo e bruno, il<br />
quarzo, l’ossidiana, il calcedonio, la calcite e il berillio<br />
provenivano da miniere dislocate in luoghi diversi<br />
dell’Egitto; il lapislazzuli veniva importato dal lontano<br />
Afganistan.<br />
I materiali artificiali usati nella produzione orafa<br />
erano costituiti dalla faïence (miscela di silice e/o<br />
borace con ossidi di piombo o stagno, ottenuta per<br />
fusione e utilizzata come invetriatura per prodotti<br />
ceramici), dalle paste vitree (dalla IV dinastia) e nel<br />
Nuovo Regno da rari smalti.<br />
Come utensili si utilizzavano martelli, ceselli e<br />
punzoni (in bronzo, rame o pietre dure), cesoie (in<br />
bronzo o rame). Per la lucidatura venivano impiegate<br />
sabbie quarzifere abrasive.<br />
Le tecniche di lavorazione erano diverse e<br />
comprendevano la martellatura e la riduzione dell’oro<br />
in fogli sottili usata per maschere funerarie,<br />
per ri<strong>cop</strong>rire mobili e suppellettili ecc.; il champlevè,<br />
tecnica utilizzata nell’Antico Regno e che<br />
consisteva nella lavorazione ad incavo successivamente<br />
riempito da frammenti di pietre semipreziose<br />
appositamente sagomati; il cloisonnè, lavorazione<br />
“a cellette” realizzata con tramezzi metallici saldati<br />
al fondo pure metallico, solitamente d’oro. Le<br />
cellette venivano riempite con paste vitree o pietre<br />
tagliate; la saldatura per unire le diverse parti del<br />
gioiello; la lavorazione a sbalzo su letto di pece; la<br />
cesellatura; lo stampaggio; l’incisione con asportazione<br />
di metallo (rara); la filigrana e la granulazione;<br />
la fusione a cera persa; l’ageminatura e più raramente<br />
il niello.<br />
Le forme dei gioielli<br />
Le forme dei gioielli si sono evolute e modificate<br />
nel corso della storia millenaria di questa grande civiltà.<br />
Uno dei gioielli più usati dai rappresentanti della<br />
famiglia reale era senza dubbio la corona, in origine<br />
costituita da semplici cerchi con ornamenti di tipo<br />
vegetale.<br />
Anche il diadema, ornato con teste di animali sacri<br />
(Nekhbet, Uto, ecc.), gazzelle, fiori di loto, ecc.,<br />
con nastri d’oro sul retro, era utilizzato particolarmente<br />
dal re, dalle regine e principesse.<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 13<br />
nuovo
Segno pinco<br />
Collana pinco<br />
Collana coki<br />
Collana falco<br />
Gli ornamenti per il capo e i capelli erano costituiti<br />
da rosette e elementi tubulari.<br />
Il pendente nekhan, a forma di pesce, veniva<br />
appeso al collo dei bambini per evitarne l’annegamento<br />
e per trattenerne le trecce venivano usati fermatrecce<br />
o mollette.<br />
Gli orecchini vennero usati solo dopo il II° Periodo<br />
Intermedio ed erano di diverse forme come quella<br />
ad anello, anche in più <strong>cop</strong>pie soprattutto per le<br />
donne; a bottone (Amarna); a tampone (grossi fori<br />
nei lobi) durante il Nuovo Regno.<br />
Gli ornamenti per collo e tronco erano molto diversificati,<br />
anche a causa del loro significato e uso.<br />
Nella preistoria e nell’A.R. gli amuleti di varia natura<br />
venivano infilati in un laccio di cuoio o fibre vegetali<br />
intrecciate.<br />
Il collare costituiva forse il gioiello più rappresentato,<br />
anche perché poteva essere prodotto con materiali<br />
diversi e anche poco costosi, per cui poteva<br />
essere utilizzato anche da persone non particolarmente<br />
abbienti.<br />
Il collare largo era costituito da file di elementi di<br />
natura diversa e di diversi colori e terminante con<br />
due elementi a semicerchio con relativo laccio. Era<br />
il più utilizzato.<br />
Il collare del falco era simile al precedente, ma<br />
terminante con due teste di falco aveva un uso prettamente<br />
funerario.<br />
Il collare a dischi di pietre verdi, di lapislazzuli,<br />
d’oro, d’argento, di elettro a seconda del materiale<br />
usato per i singoli elementi, veniva spesso elargito<br />
dal re come ricompensa.<br />
Il collare funerario, prodotto in lamina d’oro o in<br />
cloisonné e raffigurante Horus, Nekhbet, ecc. aveva<br />
un significato apotropaico e protettivo nei confronti<br />
del defunto.<br />
Il collare floreale (N. R.) riprende i motivi delle<br />
ghirlande floreali in versione duratura; usato spesso<br />
come collare funerario e terminante a testa di falco.<br />
I contrappesi menkhet mantenevano il collare<br />
nella giusta posizione.<br />
La collana a girocollo era particolarmente usata<br />
durante l’Antico Regno.<br />
Il pendente sweret raffigurava una conchiglia o<br />
un amuleto raffigurante la dea Bat o il sistro (A.R.) e<br />
la dea Hathor (M.R.).<br />
I pettorali erano placche trapezoidali sospese<br />
mediante strisce di vari materiali e terminanti con teste<br />
di falco (A.R.). Successivamente il pettorale prese<br />
la forma di chiosco, con all’interno lavori in cloisonné,<br />
le catene di sospensione diventarono molto elaborate<br />
e terminanti con un contrappeso (M. e N.R.). Spesso<br />
nel N.R. venne raffigurato lo scarabeo sacro con<br />
funzioni magiche, ma solo a s<strong>cop</strong>o funerario.<br />
Le cinture ebbero nel M.R. una funzione apotropaica<br />
ed erano formate da grani di pietre diverse e<br />
oro e da conchiglie e teste di leopardo. Nel N.R. divennero<br />
più leggere. Sono conosciute anche cinture<br />
da uomo per trattenere il gonnellino sui fianchi.<br />
Gli ornamenti per gli arti erano rappresentati dai<br />
bracciali (A. e M.R.), per entrambi i sessi, e potevano<br />
essere rigidi o formati da serie di elementi diversi<br />
separati da barrette d’oro. Servivano a proteggere<br />
le vene dei polsi.<br />
Disposizione gioielli<br />
Pesce<br />
Pettorale<br />
14 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
Contrappeso di pettorale<br />
Le armille erano rigide e derivanti da prototipi<br />
antichi in avorio, comparvero nel N.R. e spesso<br />
vennero portate sulla parte alta del braccio a <strong>cop</strong>pie.<br />
Mentre nel M.R. bracciali e armille risultarono<br />
meno pesanti, nel N.R. diventarono più massicci,<br />
spesso costituiti da placche lavorate e parti rigide<br />
semicilindriche che si chiudevano con perni d’oro.<br />
Le cavigliere erano simili ai bracciali, ma più rare;<br />
nel M.R. erano caratterizzate da pendenti ad artiglio.<br />
I sigilli a scarabeo (N.R.) vennero usati come<br />
pendenti, anelli, ecc..<br />
Gli anelli vennero usati specialmente nel N.R.; il<br />
castone poteva essere di vario genere ed era utilizzato<br />
sia come sigillo che come amuleto con funzioni<br />
magiche o con elementi a rilievo.<br />
Vennero prodotti anche gioielli particolari come<br />
l’acconciatura ad avvoltoio per le regine madri e i<br />
corsaletti per il re, gli astucci per le dita delle mani e<br />
dei piedi della mummia reale, i sandali d’oro a s<strong>cop</strong>o<br />
funerario e nastri d’oro per capelli e mummie.<br />
Sebbene l’arte orafa dell’antico Egitto abbia prodotto<br />
moltissimi capolavori, purtroppo la preziosità<br />
stessa degli oggetti ha determinato, fin dall’antichità,<br />
una forsennata attività di spogliazione delle<br />
tombe che ha permesso di conservare nel tempo<br />
solo una piccolissima parte di questi splendidi oggetti.<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 15<br />
nuovo
Studi e informazioni culturali<br />
Controlli dimensionali<br />
in campo automotive<br />
Un viaggio nella tecnologia della pressocolata e della metallizzazione<br />
di parabole in alluminio pressofuso per l’automotive<br />
Dott. Ing. Laura Piazzo - Tecnomeccanica s.r.l. (*)<br />
Tecnomeccanica nasce nel 1945 come fonderia<br />
di alluminio; attualmente ha un organico di circa 80<br />
persone e alcuni reparti lavorano su tre turni.<br />
I prodotti di Tecnomeccanica sono particolari destinati<br />
alla componentistica per auto. Si tratta di riflettori<br />
fendinebbia e di profondità.<br />
La peculiarità di Tecnomeccanica è legata al fatto<br />
che non è più solo fonderia di alluminio ma ha<br />
aggiunto al suo processo produttivo il processo di<br />
verniciatura e metallizzazione. In questo modo è<br />
quindi possibile fornire al cliente un prodotto finito<br />
pronto per essere assemblato nel proiettore.<br />
Ai moderni gruppi ottici, con il continuo evolversi<br />
del mercato automobilistico, vengono richieste caratteristiche<br />
estremamente elevate.<br />
È necessario un design accattivante, che segua<br />
l’evolversi delle moderne carrozzerie, delle forme<br />
aerodinamiche, prestazioni elevate e delle capacità<br />
adattative alle condizioni di guida. Per tutti questi<br />
motivi i riflettori devono assolutamente essere esenti<br />
da imperfezioni e devono avere forme complesse<br />
in spazi ristretti. Con l’evoluzione delle nuove lampadine,<br />
la temperatura a cui i riflettori devono resi-<br />
(*) Via Fauser 37, 28100, Novara. Tel 0321 689300<br />
e-mail: lucia.piazzo@tecnomeccanicasrl.it<br />
Sito Web: www.tecnomeccanicasrl.it<br />
stere, è notevolmente elevata. Infine i nostri prodotti<br />
devono mantenere nel tempo tutte le loro caratteristiche<br />
sia dimensionali che ottiche. Per tutti i motivi<br />
sopra citati i riflettori vengono prodotti in alluminio<br />
pressocolato.<br />
Le parabole in alluminio pressofuso presentano<br />
le seguenti caratteristiche/peculiarità:<br />
– È possibile ottenere particolari con uno spessore<br />
molto ridotto fino a 1.8 mm<br />
– Possibile raggiungere una elevata accuratezza dimensionale,<br />
sulle parabole fino a ±0.03mm<br />
– Per il tipo di materiale usato, l’alluminio, e per il tipo<br />
di trattamento superficiale applicato, verniciatura<br />
e metallizzazione, le parabole possono resistere<br />
fino ad una temperatura di circa 260°<br />
– Il corpo della parabola è <strong>cop</strong>erto da una resina<br />
epossifenolica che, oltre a fungere da primer per il<br />
successivo trattamento di deposizione sotto vuoto,<br />
preserva il particolare dalla corrosione<br />
– Il prodotto finito, dopo metallizzazione, è a sua volta<br />
protetto da un sottilissimo strato di polimero (plasil).<br />
Questo preserva dalla corrosione il film riflettente<br />
– Il riflettore verniciato e metallizzato è, inoltre, garantito<br />
per quanto concerne le caratteristiche di<br />
adesione del rivestimento al substrato nel tempo.<br />
– Altra peculiarità dell’alluminio è la totale riciclabilità<br />
al termine della vita utile.<br />
Il nostro ciclo produttivo parte dalle specifiche del<br />
cliente che progetta il riflettore e ci invia il modello<br />
matematico.<br />
Il nostro ufficio tecnico analizza i dati e considera<br />
la fattibilità della costruzione dello stampo e di tutte<br />
le fasi del processo.<br />
Una volta ricevuto l’ordine, l’ufficio tecnico avvia<br />
la progettazione e costruzione dello stampo, supportata<br />
anche da simulazioni del riempimento con<br />
appositi software. Lo stampo viene poi realizzato<br />
nella nostra officina interna.<br />
La produzione del particolare vero e proprio si articola<br />
in alcune fasi principali:<br />
– La pressofusione dell’alluminio nel reparto fonderia<br />
dove abbiamo attualmente 13 presse che vanno<br />
dalle 200 alle 600 tonnellate<br />
– La tranciatura e la burattatura che prepara i particolari<br />
per i successivi trattamenti<br />
– La verniciatura preceduta da un lavaggio. Attualmente<br />
abbiamo due linee di verniciatura di cui una<br />
ci permette di verniciare solo la parte interna della<br />
parabola. Abbiamo deciso di costruire questo<br />
nuovo impianto perché per alcuni clienti è molto<br />
importante avere zone del riflettore esenti da verniciatura<br />
16 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
– La metallizzazione che deposita sui pezzi verniciati,<br />
con un processo sotto vuoto, un sottile strato<br />
di alluminio purissimo (99,9%) che dà le caratteristiche<br />
riflettenti alla parabola.<br />
Il processo è corredato da una serie di controlli<br />
che garantiscono la conformità del prodotto. Vengono<br />
eseguiti controlli dimensionali mediante scansione<br />
ottica e controlli, solo visivi, per la distribuzione<br />
del fascio luminoso.<br />
Per quanto riguarda i controlli visivi del fascio luminoso<br />
lo scorso anno Tecnomeccanica ha costruito<br />
una camera fotometrica, lunga 10 metri, per accendere<br />
i propri riflettori.<br />
Da questa prima analisi, seppur grossolana, si<br />
possono cominciare a valutare eventuali problemi<br />
del particolare.<br />
Nell’immagine di sinistra potete vedere un fascio<br />
di luce conforme a quanto richiesto dal cliente, nell’immagine<br />
di destra è invece rappresentato un riflettore<br />
con dei problemi. In particolare si possono<br />
osservare delle striatura più scure.<br />
poi, se necessario, essere fatte delle misurazioni<br />
(raggi, diametri, parallelismi…).<br />
Al termine del lavoro viene stilato un report per<br />
l’analisi del problema o da inviare al cliente come<br />
documento di campionatura.<br />
Nel caso in esame sono visibili, sul riflettore, due<br />
zone rosse bene definite e chiaramente fuori tolleranza.<br />
Dalla nostra esperienza possiamo affermare<br />
che esse sono direttamente collegate alle zone scure<br />
individuate nella distribuzione della luce.<br />
Per risalire alla causa di queste deformazioni sul<br />
particolare pressofuso viene ora analizzato il punzone.<br />
Questa è la parte dello stampo che dà la forma<br />
alla superficie parabolica; per tale motivo risulta<br />
molto importante.<br />
Consideriamo quindi il punzone attualmente in<br />
produzione e lo misuriamo con le stesse modalità<br />
di prima.<br />
Questo tipo di problema può avere molte cause<br />
che vanno ricercate e analizzate attentamente.<br />
La nostra analisi parte dal prodotto grezzo sul<br />
quale, in questo caso, non è possibile individuare<br />
alcuna anomalia. Il riflettore viene preparato per la<br />
misurazione e su di esso viene eseguita una scansione<br />
con ATOS II SO. Dalla scansione si ottiene la<br />
nuvola di punti sotto forma di file .stl che verrà paragonato<br />
alla matematica CAD del riflettore.<br />
Questi due elementi sono i dati in ingresso per il<br />
successivo processo di controllo/comparazione. I files<br />
vengono importati in un apposito software per la<br />
comparazione: Geomagic Qualify.<br />
In questo ambiente viene fatto un allineamento/sovrapposizione<br />
dei due modelli tramite piani e/o<br />
punti di riferimento. I modelli vengono comparati e,<br />
come si può vedere, cominciano ad essere visibili<br />
alcune anomalie sul riflettore. Su di esso possono<br />
Confrontiamo il modello matematico con il file<br />
*.stl ottenuto da ATOS. I files importati in Geomagic<br />
vengono allineati e comparati. Dal report emerge<br />
chiaramente una correlazione tra i difetti presenti<br />
sul riflettore e il punzone. Per ripristinare il fascio luminoso<br />
corretto è necessaria un’azione correttiva<br />
sul punzone. Avendo a disposizione i dati 3D possiamo,<br />
nella nostra officina, costruire un nuovo maschio.<br />
Ora, a s<strong>cop</strong>o di controllo, prima di mettere in produzione<br />
il nuovo maschio, esso viene misurato. In<br />
caso di esito positivo, come possiamo vedere, lo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 17<br />
nuovo
stampo produce i primi campioni che vengono subito<br />
scansionati. Anche il riflettore risulta essere in tolleranza,<br />
allora in ultima analisi si controlla la distribuzione<br />
del fascio luminoso, se anche questa verifica<br />
ha esito positivo i particolari possono essere inviati<br />
al cliente per la procedura di benestare.<br />
Un altro esempio interessante legato all’utilizzo<br />
di ATOS è legato a questo riflettore. Per i riflettori ellittici<br />
la posizione della lampadina è molto importante<br />
poiché strettamente correlata alla forma del fascio<br />
luminoso e alla posizione dei massimi e minimi<br />
di luce. Questo posizione è determinata da tre piani<br />
di appoggio posti all’interno del collo lampada. Al fine<br />
di analizzare il posizionamento della lampadina<br />
rispetto al riflettore utilizziamo il seguente espediente.<br />
Per la nostra scansione la lampadina viene sostituita<br />
con un cilindro tornito avente le medesime dimensioni<br />
e gli stessi appoggi. Sul corpo in plastica<br />
vengono posti i marker per ATOS.<br />
Come visto in precedenza la nuvola di punti rilevata<br />
nella scansione viene confrontata con il model-<br />
lo matematico in cui è stato inserito, nella corretta<br />
posizione, il cilindretto.<br />
Il risultato è quello che vediamo nella foto dove si<br />
capisce che la posizione della lampadina non è perfettamente<br />
in accordo con quanto previsto dal modello<br />
matematico. Per avere maggiore conferma e<br />
capire da dove potrebbe derivare il problema eseguiamo<br />
la scansione completa del pezzo e misuriamo<br />
gli scostamenti sui pianetti di appoggio della<br />
lampadina. Ora è possibile apportare, se necessario,<br />
le opportune correzioni.<br />
Questo esempio mi sembra interessante perché<br />
il riflettore viene analizzato come se fosse già assemblato<br />
e, come strumenti per la scansione, vengono<br />
sfruttati i dispositivi di produzione di serie.<br />
In conclusione l’utilizzo di ATOS appaiato all’uso<br />
del software Geomagic Qualify permette oggi a<br />
Tecnomeccanica un buon controllo di qualità sia sul<br />
prodotto finito o semilavorato, i riflettori grezzi o metallizzati,<br />
che sulle attrezzatura di produzione, stampi<br />
e in modo specifico, maschi.<br />
È ora possibile controllare superfici complesse<br />
che prima, con la nostra strumentazione, non eravamo<br />
in grado di verificare. Possiamo avere un riscontro<br />
di quanto eventualmente reclamato dal<br />
cliente e o individuare il problema prima che raggiunga<br />
le sue linee di produzione. Per quanto concerne<br />
le campionature siamo ora in grado di dare<br />
informazioni aggiuntive che possono velocizzare il<br />
procedimento di benestare.<br />
Il Presidente della Tecnomeccanica<br />
Guglielmo Agradi è morto a 86 anni il<br />
24 ottobre 2006. Ha sempre avuto molta<br />
considerazione per l’Istituto <strong>Omar</strong> e per<br />
i suoi diplomati. L’Associazione <strong>Omar</strong>isti<br />
partecipa al lutto.<br />
La nuova sede della Tecnomeccanica s.r.l.<br />
<strong>18</strong> OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
Studi e informazioni culturali <br />
L’avvento della stampa a Novara<br />
3° - La produzione tipografica novarese nel XVI secolo<br />
Chiara Carpani<br />
In questo capitolo cercheremo di approfondire<br />
l’analisi delle opere pubblicate a Novara dal 1549,<br />
anno d’avvento della stampa in città, al 1600 circa e<br />
di metterle in relazione, dove possibile, con la situazione<br />
politica, culturale e religiosa che il territorio attraversò<br />
durante questi cinquant’anni.<br />
Per agevolare la comprensione si è ritenuto opportuno<br />
suddividere le edizioni a seconda del tipografo<br />
che le ha stampate.<br />
1 - Francesco e Giacomo Sesalli<br />
(1549-1559)<br />
Sebbene i fratelli Sesalli abbiano aperto bottega<br />
nel 1549, il primo frutto del loro torchio uscì solo due<br />
anni dopo.<br />
Si tratta di una Lettera di Bartolomeo Taegio indirizzata<br />
a Monsignor di Verrua, concernente due dialoghi<br />
composti dal giureconsulto milanese durante<br />
l’esilio.<br />
Le pubblicazioni che interessarono i primi anni di<br />
attività della tipografia sono quasi tutte legate ai<br />
membri dell’Accademia dei Pastori d’Agogna: nel<br />
1552 uscirono Le rime spirituali di Giovanni Agostino<br />
Caccia, una raccolta di poesie indirizzate a vari<br />
personaggi come Giulio III, Caterina de’Medici, Pietro<br />
Aretino, Giovanni Battista Piotti e Bartolomeo<br />
Taegio, completate da alcuni sonetti rivolti al Caccia<br />
da altri poeti e le rispettive risposte. Nel 1554 vennero<br />
pubblicate, sempre del Taegio, l’Oratione nel<br />
principio dell’Academia de Pastori in Novara e Le risposte,<br />
cinquantaquattro lettere ad amici, l’ultima<br />
delle quali indirizzata a Francesco Sesalli: costui,<br />
avendo chiesto di poter stampare “i Dialoghi e la<br />
Commedia”, ottiene in risposta un invito ad attendere<br />
ancora fino a che le opere non siano perfette.<br />
L’anno seguente videro la stampa le Nuove rime<br />
in lode della molto illustre D. Portia Toralta Contessa<br />
Torniella dello stesso autore e, nel 1557, abbiamo<br />
l’opera di un altro giureconsulto, Giovanni Battista<br />
Piotti. Il volume ha titolo Repetitio legis Si quando.<br />
Codex Vnde vi e raccoglie, in verità, ben quattro<br />
trattati: Tractatus de in litem iurando, Tractatus interpretationum<br />
novarum constitutionum domini Mediolani,<br />
Tractatus damnorum datorum, Tractatus inditiorum<br />
ad inquisitionem et torturam. Il tutto è corredato<br />
da un importante Index dove, alla voce Novaria,<br />
vi è praticamente la storia che il Piotti scrisse<br />
della sua città. Purtroppo l’atteggiamento con cui<br />
egli si accosta alle vicende è più “orgoglio di esser<br />
figlio della propria città che non rigore d’accertamento<br />
critico”; un orgoglio dimostrato anche attraverso<br />
la strenua difesa degli interessi del Comune<br />
nei confronti di Milano e, soprattutto, con l’impegno<br />
con cui perorò la fine delle demolizioni atte a trasformare<br />
Novara in una solida fortezza.<br />
Di tutt’altro carattere furono le rimanenti opere<br />
che uscirono dall’officina sesalliana: del 1553 sono<br />
gli Aedicta sive Constitutiones del cardinale Giovanni<br />
Morone che formarono, insieme a quelli del vescovo<br />
di Verona Matteo Giberti, i modelli fatti propri<br />
ed inculcati dal Concilio di Trento; dopo il 1557, abbiamo<br />
la pubblicazione degli Statuta del comune di<br />
Biandrate e del 1559 è la stampa dell’Index auctorum<br />
et librorum emanato da Paolo IV.<br />
Dopo questa data, Giacomo scompare dalle indicazioni<br />
tipografiche e dalla stessa officina, dedicandosi<br />
completamente al proprio canonicato.<br />
La dispersione dei membri dell’Accademia coincise,<br />
pressappoco, con il nuovo indirizzo che i fratelli<br />
Sesalli diedero alla loro attività. Dopo il 1555,<br />
infatti, andarono infittendosi le pubblicazioni di carattere<br />
ecclesiastico a scapito di quelle letterarie,<br />
che scomparvero quasi totalmente; promotori di tutto<br />
ciò furono i vescovi diocesani che si susseguirono,<br />
nel corso del Cinquecento, sulla cattedra novarese,<br />
facendosi portavoce di una certa rinascita cristiana<br />
della città.<br />
2 - Francesco Sesalli (1559-1588)<br />
Finora non è stata reperita alcuna opera stampata<br />
tra il 1559 e il 1562.<br />
È a quest’ultima data, infatti, che dobbiamo far risalire<br />
i primi documenti sui quali compare l’indicazione<br />
“Apud Franciscum Sesallum”.<br />
La produzione, di stampo religioso-ecclesiastico,<br />
stava iniziando a prendere il sopravvento: per i vescovi<br />
più impegnati la riorganizzazione della diocesi<br />
di San Gaudenzio richiedeva, assieme a pubblicazioni<br />
di carattere normativo, opere di educazione ed<br />
istruzione per il clero e i fedeli.<br />
Oltre ai catechismi, ai vari Edicta e Decreta promossi<br />
attraverso i Sinodi Diocesani, ai Canones del<br />
Concilio di Trento, agli indici dei libri proibiti e al De<br />
censuris di Carlo Borromeo, nonché ai Canones dei<br />
suoi Concili Provinciali, il Sesalli si fece promotore<br />
della ristampa delle già famose edizioni di Johann<br />
Burchard e Johannes a Lapide sulla celebrazione<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 19<br />
nuovo
20 OMAR<br />
nuovo<br />
della Messa (1568) (fig. 20a). In una lettera dedicatoria<br />
egli dice infatti che, conosciuto il desiderio del<br />
cardinale Giovanni Antonio Serbelloni vescovo di<br />
Novara, di divulgare tra il clero i detti libri, più volte<br />
stampati ma scarsamente diffusi nel novarese, subito<br />
li mise in produzione a sue spese.<br />
Dal suo torchio uscirono anche gli Avisi di Juan<br />
Bernardo Diaz de Luco (1583) sulla cura d’anime, I<br />
sette salmi penitentiali dell’inquisitore Domenico<br />
Buelli (1572), le Sententiae di Giovanni Bernardino<br />
dalla Porta (1585), la pluri-ristampata Summa doctrinae<br />
christianae di Peeter Canis (1574), la Tavola<br />
delli Inquisitori e parte dell’Opera della Croce di un<br />
altro inquisitore, Cipriano Uberti (1586).<br />
Il vescovo Archinto giunse ad ordinare ad Antonio<br />
Mirico la compilazione di un’opera sul sacramento<br />
della confessione (1575) mentre, alcuni anni<br />
più tardi, il suo successore Francesco Bossi volle la<br />
pubblicazione degli Avertimenti per chi volesse<br />
prendere gli ordini (1581) e dei Ricordi d’alcune cose,<br />
che si hanno da osservare nella settimana Santa<br />
(1584).<br />
Come già accennato, Francesco Sesalli fu uomo<br />
di una certa cultura: ciò è attestato, oltre dal fatto<br />
che promosse in prima persona la stampa di taluni<br />
libri che riteneva “utili” (ad esempio, L’assedio et la<br />
guerra di Malta raccolta da Marino Fracasso del<br />
1566 che, in una lettera ai lettori, il tipografo dice di<br />
aver voluto pubblicare in ricordo dei cavalieri novaresi<br />
morti durante la guerra contro i Turchi nel 1565)<br />
anche dalle sue lettere dedicatorie redatte in latino<br />
e volgare su molte edizioni, dai suoi “componimenti”<br />
o trascrizioni e dai suoi studi e ricerche in varie biblioteche<br />
per trovare documenti degni di pubblicazione.<br />
Tali, per esempio, furono considerati i Consilia<br />
del giureconsulto Martino Garrati del 1568, il cui<br />
testo manoscritto fu trovato dal Sesalli nel convento<br />
di San Nicola tra i libri del giureconsulto novarese<br />
Melchiorre Boniperti; dopo aver chiesto un parere a<br />
G.B. Piotti e al vescovo di Alessandria Gerolamo<br />
Gallarati, il tipografo decise di pubblicarli grazie anche<br />
ad un finanziamento del Collegio dei Giureconsulti<br />
di Lodi.<br />
Per quanto riguarda i “componimenti” e le trascrizioni,<br />
due possiamo attribuirne, senz’ombra di dubbio,<br />
al nostro tipografo. Il primo è la Breve descrittione<br />
del Sacro Monte di Varallo di Valsesia, una<br />
piccola storia in prosa della fondazione del santuario<br />
accompagnata dalla descrizione in versi del Sacro<br />
Monte. Di quest’opera esistono varie edizioni<br />
(dal 1566 all’ultima del 1587) via via aggiornate.<br />
Il secondo esemplare riguarda una trascrizione<br />
fatta dal Sesalli delle Vite dei Santi patroni della città<br />
di Novara (1587), estratte da alcuni manoscritti appartenenti<br />
al Duomo e alla chiesa di San Gaudenzio.<br />
Per il Sesalli “la lettura delle Vite, […], deve generare<br />
una riflessione personale sulle virtù cristiane”,<br />
deve avviare alla pratica di esercizi spirituali e<br />
all’osservanza responsabile dei precetti evangelici.<br />
Tutta questa religiosità contribuisce a definire la<br />
“distinzione” di Novara che, nella visione della cultura<br />
locale, viene riportata alla antiquissima civitas<br />
fondata da Ercole Egizio, restituita alla cristianità da<br />
Gaudenzio e tramandata dall’aristocrazia consolare<br />
cittadina. Una civitas che temeva la disintegrazione;<br />
per questo i decurioni si fecero promotori della cultura<br />
religiosa e retorica della Novara erculea, gaudenziana,<br />
poi aristocratica e municipale. Al loro s<strong>cop</strong>o<br />
si servirono, oltre che della ricostruzione della<br />
basilica di San Gaudenzio, anche della pubblicazione<br />
degli Statuti (1562, 1583), le cui precedenti edizioni<br />
erano state stampate a Milano.<br />
Giovanni Battista Piotti fu uno dei più tenaci sostenitori<br />
degli interessi del Comune e dell’idea di civitas;<br />
di lui il Sesalli pubblicò, in più edizioni, i Consiliorum<br />
sive responsorum (1575-1578) e i trattati<br />
De Blasphemia e De in litem iurando (1586).<br />
Nel campo dell’editoria statutaria il Sesalli ottenne,<br />
nel 1567, il privilegio di stampare le Constitutiones<br />
dominii Mediolanensis, facendone un aggiornamento.<br />
L’iniziativa ebbe successo, tanto da richiederne<br />
più di un’edizione. Nel 1574 iniziò a stampare<br />
anche gli Ordines ac decreta editi dal Senato di Milano.<br />
Dello stesso anno sono le Indulgenze della<br />
Compagnia di San Giuseppe e le due Repetitiones<br />
di Pierre Rebuffi.<br />
Più modesto il contributo che il Sesalli diede nel<br />
campo editoriale scolastico: l’unico libro di grammatica<br />
giunto fino a noi, Linguae latinae exercitatio, risale<br />
al 1567 ed è stato scritto da Juan Luis Vives,<br />
istitutore di Filippo II, mentre del 1574 sono le Eleganze<br />
di Aldo Manuzio. La ragione di tutto ciò va ricercata<br />
in ambito storico: la rovina del Comune, dovuta<br />
alle guerre che si susseguirono fino alla prima<br />
metà del Cinquecento, travolse anche le già povere<br />
istituzioni scolastiche e l’insegnamento grammaticale-letterario,<br />
anche se affidato a maestri privati, dovette<br />
languire (la fondazione del primo Seminario<br />
diocesano risale al 1566 e solo nel 1575 si ebbe la<br />
costituzione di una pubblica scuola).<br />
Curiosa, infine, è l’incursione che il Sesalli fa nell’ambito<br />
dell’astrologia: al 1567 circa risale il Pronostico<br />
di Tomasino Girardelli al quale si affiancano le<br />
previsioni del ferrarese Antonio Arcuato, redatte per<br />
Mattia Corvino.<br />
Vanno segnalate, per ultimo, le edizioni sesalliane<br />
non riportate nel catalogo delle cinquecentine di<br />
M. Bersano Begey e G. Dondi.<br />
Si tratta di un Baptizandi sacra institutio iuxta ritum<br />
sanctae Romanae Ecclesiae pubblicato nel<br />
1569 e di alcuni fogli volanti stampati per le pubbliche<br />
grida del Comune o del Podestà e altri ad uso<br />
notarile.<br />
Questi ultimi documenti non costituiscono una<br />
“preziosa opera di stampa” ma, comunque, riflettono<br />
il gusto compositivo del Sesalli, che li “abbellisce”<br />
corredandoli di qualche iniziale xilografica. Il<br />
committente privato (autore o mecenate) era in grado<br />
di garantire una quota di ordinazioni limitata e<br />
occasionale perciò il tipografo non si è lasciato sfuggire<br />
l’occasione di rinforzare le sue entrate con incarichi<br />
pubblici e civili, che convogliavano un flusso<br />
costante di ordini.<br />
Da quanto detto possiamo affermare che le pubblicazioni<br />
di tipo ecclesiastico o comunque riguardanti<br />
la sfera religiosa furono in netta prevalenza<br />
sulle altre; la rinascita di un’identità storica e culturale<br />
trovò, in alcuni uomini illustri, dei forti sostenitori<br />
e il Sesalli se ne fece promotore, pubblicando i loro<br />
scritti e quelli da loro sostenuti. Grande importanza,<br />
in questo senso, ebbe la ristampa degli Statuti di<br />
Novara, simbolo di un’autonomia che la città cercan.<br />
<strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
va di rivendicare e che il dominio spagnolo era ben<br />
lungi dal volerle concedere.<br />
La pubblicazione dei decreti del Concilio Provinciale<br />
milanese nonché delle Constitutiones mette in<br />
luce gli stretti legami che Novara manteneva con la<br />
capitale lombarda: legami politici, economici, culturali<br />
e religiosi.<br />
Da un’analisi quantitativa risulta che il Sesalli<br />
stampò almeno un’opera all’anno. Nel 1574 egli riuscì<br />
a produrre addirittura otto opere, di carattere<br />
prevalentemente giuridico-istituzionale; un periodo<br />
fecondo fu anche quello compreso tra il 1583 e il<br />
1586 in cui, dalla tipografia, uscirono tra le tre e le<br />
cinque pubblicazioni all’anno, la maggioranza delle<br />
quali di tipo religioso.<br />
Sicuramente la scelta tematica che il Sesalli attuò<br />
per la sua produzione fu condizionata dagli<br />
orientamenti politici e religiosi del tempo; anche il<br />
settore editoriale, infatti, finì col “beneficiare” di una<br />
libertà vigilata, sollecita nel privilegiare un prodotto<br />
ora “neutrale” ora di supporto alle istanze ideologiche<br />
del potere e poco disposta ad avventurarsi in<br />
iniziative dalla ricaduta incerta.<br />
L’attrezzatura della bottega non fu particolarmente<br />
ricca.<br />
I caratteri romano e corsivo furono quelli più usati,<br />
limitando il gotico ai soli due testi stampati all’inizio<br />
dell’attività senza il fratello e cioè gli Statuta di<br />
Novara e gli Edicta del 1562.<br />
Il Sesalli privilegiò di norma il testo a piena pagina,<br />
utilizzando la doppia colonna solo per le opere<br />
in folio.<br />
Usò prevalentemente due tipi di alfabeti xilografici<br />
come capolettera; le altre xilografie, come vedremo<br />
in seguito, sono di fattura abbastanza modesta<br />
ma vengono utilizzate con una certa competenza e<br />
senso estetico.<br />
Il frontespizio è costituito, per la maggior parte<br />
delle volte, dal titolo e dalle semplici indicazioni dello<br />
stampatore, accompagnate dalla marca tipografica.<br />
Tutto sommato possiamo ritenere la produzione<br />
di Francesco Sesalli di discreto livello: l’impaginazione<br />
è pulita e ordinata, l’illustrazione non è di alto<br />
valore ma neanche scadente o eccessiva; sicuramente<br />
avrebbe meritato un maggior successo ma<br />
purtroppo, come si dirà, i figli non seppero mantenere<br />
lo standard qualitativo che avevano ereditato<br />
e, nel giro di un quarantennio, l’officina perse il suo<br />
splendore e finì col chiudere per sempre.<br />
3 - Giovan Battista Sesalli (1588-1593)<br />
Una volta deceduto Francesco, la tipografia passò<br />
in mano al figlio Giovan Battista che la resse per<br />
soli sei anni, fino a quando gli succedette il fratello<br />
Gerolamo.<br />
Che cosa ne sia stato di Giovan Battista dopo il<br />
1593 non ci è dato sapere: non è certo che egli lasciò<br />
la tipografia, più probabilmente divenne un “dipendente”<br />
del fratello minore e il suo nome venne a<br />
scomparire dalle indicazioni tipografiche per prender<br />
posto sotto la neutrale dicitura “Appresso gli Heredi<br />
di Fr. Sesalli”. Il dubbio di una sua definitiva<br />
scomparsa però rimane: essendo Gerolamo troppo<br />
giovane, per i primi anni fu la madre Margherita a<br />
portare avanti l’attività; non si capisce altrimenti perché<br />
non fosse stata possibile una continuazione da<br />
parte di Giovan Battista.<br />
Dei sei anni in cui resse l’officina, il 1590 e il 1592<br />
sono gli unici periodi dove non risulta alcuna produzione<br />
a stampa. Verosimilmente la tipografia lavorò<br />
anche allora ma, per sfortuna, non se ne è ritrovata<br />
ancora alcuna testimonianza.<br />
Nei complessivi quattro anni, Giovan Battista<br />
stampò undici opere, cinque delle quali concentrate<br />
nel solo 1593.<br />
Al 1588 risale un editto dell’Ospedale Maggiore<br />
della Carità, in cui si trova la dicitura “Appresso<br />
gl’heredi di Francesco Sesalli”, la stessa che compare<br />
negli Statuti della Compagnia della Santissima<br />
Pietà del 1589. A quanto pare l’inizio dell’attività di<br />
Giovan Battista fu in campo neutrale; solo nel 1591<br />
il suo nome viene indicato esplicitamente.<br />
Il primo documento che lo riporta riguarda il Synodus<br />
diocesano voluto dal vescovo Cesare Speciano;<br />
dello stesso anno sono gli Statuta del comune<br />
di Galliate, ristampati successivamente anche<br />
nel 1593.<br />
L’ultimo anno di attività in proprio di Giovan Battista<br />
vede l’avvento di una figura emblematica per la<br />
situazione religiosa e culturale di Novara: sulla cattedra<br />
di San Gaudenzio si insediò Carlo Bascapè.<br />
Ex-barnabita, coadiutore di Carlo Borromeo nell’opera<br />
di riforma della chiesa ambrosiana, il Bascapè<br />
divenne il medico della diocesi novarese,<br />
svolgendo un piano organico di riforma religiosa.<br />
Il caposaldo della sua riforma era la riorganizzazione<br />
del clero: si sforzò perché gli ecclesiastici rispettassero<br />
l’obbligo di residenza e attendessero ai<br />
loro doveri religiosi e non ad altro, vietò l’uso di armi,<br />
la caccia, i giochi, i balli e le commedie, proibì<br />
l’avvalersi dell’aiuto di fanciulle e ragazzini; dedicò<br />
grandi cure alla predicazione, sviluppando i canoni<br />
del Concilio Tridentino ed anche quelli dei concili<br />
provinciali di Carlo Borromeo.<br />
Base della predicazione doveva essere il Vangelo<br />
e fondamentale importanza assunse il rispetto dei<br />
riti religiosi.<br />
Il Bascapè, attraverso regolari visite pastorali,<br />
controllò di persona che i suoi precetti fossero rispettati<br />
e si servì della stampa come importante<br />
mezzo di diffusione del proprio volere a tutta la diocesi.<br />
Nel 1593 Giovan Battista Sesalli iniziò a pubblicare<br />
due lettere del nuovo vescovo al “diletto Clero,<br />
et Popolo della Città, et Diocesi nostra” e, forse sulla<br />
scia di religiosità apportata, stampò anche i versi<br />
sul Martirio di Santa Caterina di Ettore Colombo.<br />
Non dimenticando il campo giuridico, nello stesso<br />
anno mise sul mercato gli Statuta del Collegio<br />
dei Giudici di Novara.<br />
Emulo della metodologia paterna, Giovan Battista<br />
riutilizzò gli stessi caratteri e le stesse xilografie.<br />
Nell’impaginazione e nel testo però comparvero delle<br />
imperfezioni e la presenza di fregi tipografici nel<br />
decoro della pagina iniziò ad essere prevalente.<br />
La qualità di stampa cominciò a diminuire ma,<br />
data l’esiguità delle opere pervenuteci, mi sembra<br />
abbastanza pretenzioso dare un giudizio definitivo<br />
sull’attività di questo tipografo.<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 21<br />
nuovo
4 - Gerolamo Sesalli (1594-1631)<br />
Eredi di Francesco Sesalli<br />
A Giovan Battista succedette, per un certo periodo,<br />
la madre Margherita in attesa che l’altro figlio,<br />
Gerolamo, fosse in grado di gestire l’officina tipografica<br />
da solo.<br />
Il Bascapè fu il dominatore, quasi incontrastato,<br />
delle edizioni sesalliane degli ultimi anni del Cinquecento.<br />
Sulle ventinove pubblicazioni del XVI secolo finora<br />
conosciute (undici delle quali non presenti nel catalogo<br />
Bersano-Dondi) ben ventuno riguardano le<br />
disposizioni del vescovo o sono libri da lui “consigliati”.<br />
Numerose sono le Lettere e gli editti sopra vari<br />
aspetti della vita cristiana: l’Avvento, il Natale, la<br />
Cresima, i balli, le processioni, l’onestà del clero.<br />
Con il Bascapè, vero organizzatore della Chiesa novarese,<br />
l’attività pubblicistica ecclesiastica raggiunse<br />
il massimo livello; i Sesalli, avendo assorbito la<br />
maggior parte delle sue commesse, si poterono fregiare<br />
del titolo di “stampator di Monsignore reverendissimo”.<br />
I pochi altri libri trattanti argomento religioso sono<br />
le Meditationi sopra la vita del Salvatore di Giovanni<br />
Battista Boniperti del 1598, il Compendio delle<br />
gratie, indulgentie, et privilegi concessi da diversi<br />
pontefici alla Confraternita del Santissimo Sacramento<br />
(1594) e una Tabula disciplinae sinodalis.<br />
Di tutt’altro genere i restanti titoli: due raccolte<br />
con le Constitutiones e gli Ordines del Senato milanese<br />
ad istantiam di Melchiorre Perotti (1597), una<br />
Oratio di Federico Caccia recitata dal pronipote<br />
Francesco in occasione del suo ingresso nel Collegio<br />
dei Conti Cavalieri e Giudici di Novara (1596) e,<br />
trascendendo l’interesse locale, il Viaggio di Terra<br />
Santa di Giovanni Francesco Alcarotti (1596), dedicato<br />
a Ranuccio Farnese, duca di Parma e Piacenza.<br />
L’officina tipografica dei Sesalli continuò la sua<br />
attività anche nel XVII secolo.<br />
La maggior parte del lavoro venne assorbito dalle<br />
pubblicazioni del già citato Bascapè: nel 1612, ad<br />
esempio, abbiamo la Novaria seu de ecclesia Novariensi,<br />
nel 1613 le Lettere di governo epis<strong>cop</strong>ale,<br />
nel 1615 i Commentarii Canonici e l’Historiae Ecclesia<br />
Mediolanensis.<br />
Dopo la morte di costui (1615), grida ed editti comunali<br />
e podestarili occuparono una gran fetta dell’attività<br />
di Gerolamo.<br />
Le edizioni di carattere letterario sono esigue: al<br />
periodo compreso tra il 16<strong>18</strong> e il 1620 si rifanno le<br />
pubblicazioni di due Orazioni di Francesco Ambivero<br />
e de La ristorata arcadia di Bartolomeo Fascina. Al<br />
1612 risale, invece, la prima raccolta di epigrafi dei<br />
monumenti novaresi, l’Antiqua Novariensium monumenta<br />
collecta, redatta da Paolo Gallarati. Purtroppo,<br />
data l’assenza degli annali novaresi del Seicento,<br />
non mi è stato possibile analizzare a fondo la produzione<br />
sesalliana di detto periodo. Per questo motivo,<br />
non sono in grado di stabilire quanto il campione<br />
esaminato possa essere rappresentativo.<br />
Dopo esser stato minacciato di perdere tutti i privilegi<br />
per darli ad un nuovo stampatore, Gerolamo<br />
dovette correre ai ripari sia migliorando la qualità di<br />
stampa sia svolgendo una piccola attività di tuttofare<br />
e questo solo per ingraziarsi il Consiglio.<br />
In effetti il livello di stampa andò peggiorando: la<br />
pagina non fu più chiara e pulita come quella del padre<br />
Francesco, i frontespizi vennero occupati quasi<br />
interamente dai titoli delle opere, lasciando poco<br />
spazio ad una possibile illustrazione, i fregi tipografici<br />
vennero usati con eccessiva abbondanza e alcune<br />
xilografie, ereditate dai familiari, erano ormai<br />
troppo consunte.<br />
L’avvento del gusto barocco si fece sentire anche<br />
nel campo dell’editoria e della stessa produzione letteraria:<br />
ad esso, infatti, sono da ricondursi la profusione<br />
di decorazioni, usate a volte senza criterio, e<br />
l’allungamento dei titoli ad opera degli autori che,<br />
adeguandosi ai colleghi artisti, introdussero nei loro<br />
scritti un eccesso di pomposità e di termini sfarzosi.<br />
Durante il Seicento la produzione sesalliana<br />
sembra essere ridotta più a fogli volanti e fascicoletti<br />
che a veri e propri libri.<br />
L’ultimo documento che sono riuscita a recuperare<br />
è una Grida, in cui vengono obbligati i compratori<br />
e venditori della città a notificare i propri beni all’estimo<br />
civile. La qualità di tale foglio è decisamente<br />
scadente ma risulta interessante per l’indicazione<br />
tipografica: in calce vi è riportato “In Novara Appresso<br />
Francesco Sesalli 1631”.<br />
Tutti gli studiosi che finora si sono occupati della<br />
tipografia novarese, hanno attribuito a Gerolamo la<br />
fine dell’attività, indicando come data il 1630.<br />
A quanto pare la bottega riesce a resistere ancora<br />
un anno e a tirarne le redini, sebbene per poco, è<br />
un altro Francesco. Purtroppo, chi sia costui non<br />
sono riuscita a s<strong>cop</strong>rirlo. Forse un altro figlio di<br />
Francesco Sesalli senior o forse lo stesso Gerolamo<br />
che, in un ultimo tentativo di ridare un debole ricordo<br />
del lustro della tipografia, ha utilizzato il nome<br />
del padre.<br />
In ogni caso fu uno sforzo inutile. Ormai c’erano<br />
altri stampatori in città, con bottega più attrezzata e<br />
che godevano della simpatia comunale e vescovile.<br />
La tipografia Sesalli scomparve e nessuno se ne<br />
occupò più sino alla fine dell’Ottocento quando due<br />
operai della Stamperia Fratelli Miglio raccolsero alcune<br />
notizie sulle loro edizioni. Venticinque anni dopo<br />
vi si accinsero gli illustri professori Alessandro<br />
Viglio e Giovan Battista Morandi, portando alla luce<br />
nuove notizie e correggendo alcune affermazioni errate.<br />
Ancora oggi, purtroppo, la produzione sesalliana<br />
non è completamente descritta. Questo libro vuole<br />
essere un contributo alle ricerche fin qui svolte sull’avvento<br />
della stampa nel novarese ed anche un ricordo<br />
di quelli che, in città, furono i “pionieri” di quest’arte.<br />
5 - Giovanni Angelo Caccia e i suoi eredi<br />
(1597-<strong>18</strong>10 ca.)<br />
Alla fine del Cinquecento un’altra officina tipografica<br />
iniziò a far concorrenza a quella sesalliana.<br />
Giovanni Angelo Caccia aprì una bottega ben<br />
fornita, con diversi tipi di caratteri e un discreto numero<br />
di iniziali e vignette xilografiche a varia grandezza.<br />
Le opere del XVI secolo a noi pervenuteci sono<br />
22 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
solo tre: nel 1597 stampò una favola tragisatiricomica<br />
intitolata Roselmina e nel 1598 la Prattica per<br />
l’essame della conscienza di Giovanni Bellarino, libro<br />
che ristampò anche l’anno seguente.<br />
Quest’ultima opera è divisa in due parti: la prima<br />
serve ai penitenti per fare l’esame della propria coscienza,<br />
la seconda ai confessori per esaminare bene<br />
i penitenti.<br />
La migliore qualità di stampa e un corredo iconografico<br />
più ricco, gli fecero ottenere ben presto dei<br />
privilegi che riuscì a mantenere nel tempo, tanto<br />
che i suoi eredi poterono fregiarsi dei titoli di “Impressores<br />
Epis<strong>cop</strong>ales” e di “Stampatore del<br />
Sant’Officio, e della Città”.<br />
La tipografia Caccia si occupò di svariati argomenti,<br />
che <strong>cop</strong>rivano sia l’ambito legale che religioso<br />
e letterario. Molti, inoltre, sono i loro manifesti reperibili<br />
presso l’Archivio di Stato di Novara.<br />
Coprendo la loro attività più di due secoli, mi è<br />
impossibile fare un resoconto dettagliato del loro lavoro.<br />
Oltretutto, occupandomi specificatamente della<br />
produzione cinquecentesca, questo non è il luogo<br />
adatto per dilungamenti. Il motivo per cui ho trattato<br />
brevemente anche della tipografia Caccia è che esiste<br />
un legame tra le illustrazioni usate da questi<br />
stampatori e quelle dei Sesalli. Chiarimenti maggiori<br />
verranno dati nel capitolo riguardante l’analisi delle<br />
xilografie.<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 23<br />
nuovo
Studi e informazioni culturali<br />
La paciòliga (1) .Sapori, colori, onori<br />
della tavola di montagna<br />
(Mostra a Santa Maria Maggiore dal 26-12-2005 al 2-4-2006) (2ª parte)<br />
Monica Mattei ed Altri - Amministrazione<br />
Comunale di S. Maria Maggiore (VCO) 2<br />
Le stoviglie<br />
1<br />
Dialetto vigezzino che significa riunione conviviale con grandi<br />
mangiate e abbondanti bevute.<br />
2<br />
Si ringraziano per la collaborazione e per il materiale messo<br />
a disposizione: il sig. Franco Bonardi Sindaco di S. Maria Maggiore<br />
(omarista), il prof. Claudio Cottini Assessore alla Cultura, la<br />
dott.a Monica Mattei che è stata magna pars nell’impostazione e<br />
nella preparazione della mostra.<br />
La cucina, nelle casa più modeste, era la stanza<br />
più importante, quella in cui si riuniva tutta la famiglia<br />
intorno al camino di beola. Il muro del camino<br />
era protetto dalla fiamma da una lastra di serpentino<br />
(laugèra) (nell’Ottocento, vennero in uso anche lastre<br />
di ferro, variamente decorate). Ai lati del focolare<br />
erano spesso fissate al muro due panche di legno<br />
(bankèt) e, sopra una di queste, un armadietto a<br />
un’anta, ribaltabile a tavolino. Guarnivano il camino<br />
piccoli mobili, i credenzini, sui quali erano riposte le<br />
boccaline, rustiche brocche di terraglia con manico<br />
provenienti da Laveno, da Premia o acquistate all’estero<br />
dagli emigranti, dalle quali si beveva il vino,<br />
passando il recipiente da una persona all’altra, fra<br />
quelle raccolte intorno al focolare. Poche sedie, un<br />
tavolo di legno, stoviglie di terracotta e piatti di peltro<br />
costituivano l’arredamento della cucina che, solitamente,<br />
era pavimentata con grosse pietre squadrate.<br />
Nel muro della cucina era spesso ricavato un armadio<br />
o vi era un mobile adibito a tale uso.<br />
Nelle case più signorili, la cucina comunicava<br />
con la sala da pranzo (la quale era spesso foderata<br />
di legno, per renderla più calda); i mobili non presentavano<br />
notevoli differenze da quelli della cucina,<br />
ma il tavolo era più elegante. Completavano l’arredamento<br />
seggiole, seggioloni, talvolta <strong>cop</strong>erti in<br />
cuoio impresso e decorato, e un armadio contenente<br />
le suppellettili da tavola. I più antichi hanno sportelli<br />
e fianchi ripartiti a quadrati, altri di ornamentazione<br />
rustica o di stile piemontese, con un’alzata<br />
(peltriera o piattaia), per contenere i peltri di provenienza<br />
francese o svizzera, e le ceramiche d’uso.<br />
Nell’800 cominciarono ad essere introdotti anche<br />
peltri di fabbricazione inglese, specialmente teiere.<br />
Alle pareti, qualche dipinto di natura morta.<br />
Nel <strong>18</strong>08, a Premia venne impiantata una fabbrica<br />
di ceramiche fondata dal parroco don Bartolomeo<br />
Tonietti, che sfruttava il deposito di argilla del<br />
fiume Alfenza a Vicino. La produzione di queste ceramiche,<br />
gradevoli e comode, segnò il declino del<br />
peltro ossolano.<br />
Questa attività artigianale, chiusa nel <strong>18</strong>62, è stata<br />
riattivata nel 1978: sono stati studiati gli antichi<br />
modelli ricchi di eleganti fioriture, selezionate le decorazioni<br />
(foglia di vite, ricciolo, fogliolina, fiorellini) e<br />
riprodotti i colori. Oltre alle consuete stoviglie (piatti,<br />
vasellami, zuppiere) oggi si producono altri originali<br />
contenitori, attrezzi e complementi d’arredo per la<br />
cucina.<br />
Le ricette<br />
Minestra negra<br />
Lardo, cotenna, verza, porri, fagioli secchi scuri<br />
vigezzini, cicoria, acqua, sale.<br />
Soffriggere un abbondante battuto di lardo, aggiungere<br />
i fagioli, precedentemente ammollati in acqua<br />
tiepida, la verza, i porri e la cicoria. Quando il<br />
tutto è rosolato, aggiungere l’acqua, salare e lasciare<br />
cuocere a lungo. Un tempo, era usanza mettere<br />
in pentola anche qualche pezzo di cotenna che finiva<br />
nei piatti dei più fortunati i quali avevano qualcosa<br />
da gustare oltre ai fagioli e alla verdura.<br />
Chi poteva, arricchiva la minestra negra con il riso,<br />
cosa che, oggi, accade abitualmente.<br />
Supa da màgar<br />
Pane raffermo, cipolla, formaggio nostrano, burro,<br />
brodo di dado.<br />
Spezzettare il pane in una fondina con il formaggio<br />
a dadini, buttarvi il brodo bollente e <strong>cop</strong>rire con<br />
un altro piatto. Aggiungere un soffritto di burro e cipolla.<br />
È fondamentale che il brodo sia bollente, per<br />
consentire al formaggio di sciogliersi e diventare “filante”.<br />
I bisachit da Pasqua<br />
Intestino e stomaco di capretto completo delle<br />
sue varie parti. A scelta, il sangue del capretto. Una<br />
cipolla bionda, alloro, pepe, sale.<br />
Piatto straordinariamente delicato e croccante,<br />
molto diffuso un tempo e anche oggi, nella bassa<br />
Vigezzo (Re, Folsogno, Dissimo), ma anche in altri<br />
paesi, dove si chiama “brüsàa”, nel periodo pasquale,<br />
allorché vengono immolati i capretti. La difficoltà<br />
di preparazione risiede tutta nella particolare laboriosità<br />
che la pulitura della materia prima richiede.<br />
Occorre staccare gli stomaci dall’intestino e la-<br />
24 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
varli separatamente. Mentre i primi non prevedono<br />
particolare impegno, per le budella e il resto è indispensabile,<br />
per ovvi motivi, servirsi di una sorgente<br />
fuori casa (l’ideale era il torrente). L’operazione è<br />
assai delicata e, se male eseguita, vanifica la riuscita<br />
del piatto. È sufficiente un centimetro di budello<br />
mal lavato per rendere immangiabile la portata.<br />
Ogni tratto di intestino viene raschiato, girato e rigirato<br />
più volte, ricorrendo a particolari accorgimenti.<br />
Ad operazione conclusa, si scotta il tutto in acqua<br />
bollente, dopodiché bisachit e stomaci, tagliati a<br />
pezzetti, si buttano in padella, dove è stata messa<br />
ad imbiondire, in olio abbondante, la cipolla, con<br />
due foglie di alloro, sale e pepe. Quando sono belli<br />
croccanti, servirli con patate bollite e cicorietta dei<br />
prati.<br />
Il sangue del capretto, scottato a parte e tagliato<br />
a pezzi, può essere aggiunto oppure utilizzato da<br />
solo in un soffritto di patate, cipolla, pepe, sale e alloro.<br />
Accompagnarlo con insalatina.<br />
Frittata di spinaci selvatici<br />
Spinaci selvatici dell’alpe, uova, burro, sale.<br />
Pulire e lavare accuratamente gli spinaci selvatici<br />
e poi tagliarli fini a bastoncino. In una terrina sbattere<br />
le uova, il sale, gli spinaci, fino a creare un impasto<br />
omogeneo. Sciogliere il burro in una padella<br />
di ferro e aggiungervi il tutto. Quando la frittata è<br />
rassodata, girarla e terminare la cottura.<br />
Polenta sfragaìda (a grani)<br />
È la più difficile da ottenere. Bisogna ridurre la<br />
quantità d’acqua a tre quarti di litro a testa. Come<br />
per la polenta dura, mettere l’acqua nel paiolo e aggiungervi<br />
a freddo il sale e una manciata o due di<br />
farina a spaglio. Quando l’acqua bolle, buttare la farina,<br />
sempre a spaglio ma, attenzione, senza girarla,<br />
lasciando il mestolo nel paiolo, fino a quando la<br />
farina sale a sfiorare l’acqua in superficie.<br />
A questo punto, sollevare con movimento rotatorio<br />
dal basso all’alto col mestolo la farina e, sempre<br />
con il mestolo, allagarla sfregandola delicatamente<br />
in superficie, si badi bene, senza schiacciarla. In<br />
questo modo, la farina s’asciuga perdendo l’umidità.<br />
Il trucco è tutto qui: sollevare e sfregare delicatamente.<br />
La polenta diventerà granulosa e soffice.<br />
Rusumàa<br />
Un uovo, uno o due cucchiai di zucchero, mezzo<br />
bicchiere di vino rosso oppure caffè o marsala.<br />
Montare l’albume ben sodo, aggiungere il tuorlo,<br />
lo zucchero e mischiare. Aggiungere infine, a piacere,<br />
il vino o un po’ di marsala o il caffè caldo. A<br />
merenda si poteva aggiungere anche latte, soprattutto<br />
per i ragazzi e i bambini. La rusumàa era la tipica<br />
colazione per gli uomini che si recavano al<br />
mattino presto a falciare il fieno. A Finero veniva<br />
preparata, sempre durante il periodo della fienagione,<br />
quale merenda corroborante.<br />
La letteratura<br />
Degli scrittori presentati, di area novarese per nascita<br />
o per destino, vengono offerti in lettura stralci<br />
di opere nelle quali, in modo tangente, si affronta il<br />
tema del cibo.<br />
Nelle opere che traggono la propria essenza dal<br />
quotidiano, cioè da ciò che gli uomini sono e fanno,<br />
gli accenni alle attività vitali (mangiare, bere, dormire)<br />
non possono essere dissimulate, poiché se i luoghi<br />
fisici del sonno sono quelli del soliloquio e della<br />
confessione a se stessi, quelli del cibo costituiscono<br />
la scenografia nella quale si mettono in atto il confronto<br />
familiare e sociale, il teatrino delle apparenze<br />
e delle chiacchiere inutili o il dramma dello smascheramento.<br />
Quest’ultimo, spesso, è causato da<br />
un generoso consumo di cibi e bevande le quali, da<br />
semplice “sfondo”, diventano causa anche di dissapori.<br />
I brani citati offrono diverse sfaccettature sull’atto<br />
del mangiare e bere: il gusto di assaporare il buon<br />
vino e di trarre del piacere nel guardarne il colore,<br />
gli umori della tavola, il triste consumo del rancio di<br />
guerra, il freddo ma saggio riutilizzo degli avanzi, la<br />
celebrazione dei cibi.<br />
Allargando lo sguardo al panorama regionale,<br />
toccando anche le rive lombarde del nostro lago<br />
Maggiore, rintracciamo interessanti commenti e osservazioni<br />
sul cibo e la tavola coerenti con quelle<br />
locali, dai rimproveri ai ragazzi che non sanno stare<br />
a tavola.<br />
“Nella mia casa paterna, quand’ero ragazzina, a<br />
tavola, se io o i miei fratelli rovesciavamo il bicchiere<br />
sulla tovaglia, o lasciavamo cadere un coltello, la<br />
voce di mio padre tuonava (...) Se inzuppavamo il<br />
pane nella salsa, gridava: Non leccate i piatti! Non<br />
fate sbrodeghezzi! Non fate potacci! (...)<br />
Nelle gite in montagna era consentito portare soltanto<br />
una sorta determinata di cibi, e cioè: fontina,<br />
marmellata, pere, uova sode; ed era consentito bere<br />
solo del tè, che preparava lui stesso, sul fornello<br />
a spirito” (“Lessico familiare” di Natalia Ginzburg, Einaudi)<br />
Al topos del cibo salutare della campagna:<br />
“Andiamo a vivere in campagna nell’aria buona.<br />
Vedrai che ti farà bene. Mangerai uova fresche, pollastrelli<br />
e soprattutto frutta e verdura appena colta,<br />
che è quello che ci vuole per la tua stitichezza” (“Il<br />
pretore di Cuvio” di Piero Chiara)<br />
Fino alle descrizioni dei pasti dei militari:<br />
“Non c’era ancora niente di pronto e così i partigiani<br />
cominciarono a rubarsi l’uno all’altro il pane<br />
fresco. Poi arrivò il cuciniere con un piatto di bistecche<br />
e per primi servì Marco e Jole e fin lì nessuno<br />
disse niente. Ma quando distribuì le rimanenti ad altri<br />
che loro, gridarono al cuciniere: Ferdinando, venduto!<br />
Chi t’ha detto di farlo di lì il giro Noi siamo i figli<br />
della serva” (“I ventitrè giorni della città di Alba”<br />
di Beppe Fenoglio)<br />
E ai legami del buon cibo con altri aspetti della vita<br />
dell’uomo:<br />
“Tu sei giovane, Pablo, non sai che tre nasi sono<br />
quel che ci vuole per bere il barolo (...) Adesso Linda<br />
ci racconta qual è il vino da bere facendo l’amore<br />
in un giorno d’inverno. Sono cose che solo le<br />
donne capiscono. (...) Linda buttò la testa all’indietro<br />
e disse pronta: Quel che si ha sottomano” (...) Se il<br />
barolo lo bevono in tre, disse Linda, beviamo il barolo”<br />
(“Il compagno” di Cesare Pavese)<br />
C’è, poi, oltre i confini regionali, tutto un settore<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 25<br />
nuovo
della letteratura “didascalica” che si propone di insegnare<br />
a stare a tavola con misura e buona educazione.<br />
Questo tipo di trattazione prende l’avvio<br />
con il “Galateo” del Della Casa, cui fa da contr’altare<br />
il “Morgante” di Luigi Pulci, nel quale Margutte,<br />
dimenticate le buone maniere e irrisa la sacralità legata<br />
al consumo cristiano dei pasti, elabora un proprio<br />
“credo”:<br />
(...) io non credo più al nero ch’a l’azzurro<br />
ma nel cappone, o lesso o vuogli arrosto;<br />
e credo alcuna volta anco nel burro,<br />
nella cervogia, e quando io n’ho, nel mosto<br />
e molto più nell’aspro che il mangurro;<br />
ma sopra tutto nel buon vino ho fede,<br />
e credo che sia salvo chi gli crede;<br />
e credo nella torta e nel tortello:<br />
l’uno è la madre e l’altro è il suo figliuolo;<br />
e ’l vero paternostro è il fegatello (...)<br />
Per finire, citiamo l’area dei numerosissimi libri<br />
dedicati alla storia della cucina, della cottura dei cibi,<br />
all’arte di tagliare i formaggi o di assaporare i vini,<br />
alla preparazione della tavola con i giusti accessori,<br />
agli oggetti di design per la tavola.<br />
La musica<br />
I musicisti amano il cibo, ma per altro verso anche<br />
il cibo ama la musica, esempio delle molteplici<br />
interconnessioni tra sacro e profano, tra intelletto e<br />
materia, tra corpo e spirito.<br />
L’unione di musica e cibo è cara agli dei e il suo<br />
percorso storico è talmente complesso e articolato<br />
che possiamo solo, in questa sede, fornire esempi<br />
sommari e necessariamente incompleti.<br />
Sin dai tempi remoti, l’uomo amava banchettare<br />
a suon di musica. Tacciono però, per le nostre orecchie,<br />
le sontuose pitture egizie o i fregi babilonesi<br />
che descrivono re e faraoni accompagnati a mensa<br />
da strumentisti e flessuose e sensuali danzatrici.<br />
Un frammento aristofanesco ci tramanda la prima<br />
tremolante melodia (ricostruita con molte incertezze)<br />
da tavola, abitudine che i greci trasmisero ai<br />
romani: questi, pensate, amavano accompagnare i<br />
convivi con il suono potente dell’organo (strumento<br />
poi destinato a ben altro uso) cui si aggiungevano al<br />
momento della danza flauti, aulos e crotali per sonorità<br />
orgiastiche e piene di sensualità.<br />
Ma per trovare le prime melodie dobbiamo arrivare<br />
al medioevo con le musiche dei giullari. Ad<br />
esempio, la “Virtus asinaracuriosa” è una curiosa<br />
giullarata in cui un asino, divenuto Re di Francia,<br />
canta più volte la bontà del vino e la squisitezza dei<br />
cibi. Alla “taverna” sono dedicate alcune melodie dei<br />
“Clerici vagantes” raccolte nel celebre codice dei<br />
Carmina Burana, ma alla tavola e al convivio appartengono<br />
anche prodotti musicali e poetici più nobili<br />
come quelli dei Trovati, dei Trovieri e Minessänger.<br />
Non furono da meno gli arsnovisti italiani che dedicarono<br />
alla tavola molte elaborate composizioni ricche<br />
di vivacità ritmica e arguzia testuale.<br />
Nel rinascimento gli esempi si moltiplicano e si<br />
fanno gustosi. Il grasso e ridanciano bolognese<br />
Adriano Banchieri ci lascia esempi memorabili: il madrigale<br />
“Rostiva i corni e le castagne al forno” parodia<br />
del petrarchesco “Vestiva i colli”, anticipa le follie<br />
del “Festino del giovedì grasso” o la colossale bevuta<br />
del tedesco nella “Barca da Venezia a Padova”.<br />
Ma come dimenticare le strofe bacchiche del “Convitto”<br />
di Orazio Vecchi o l’impacciato Ianzo di Lasso<br />
Nel barocco la musica da tavola diventa un vero<br />
e proprio genere coltivato da sommi autori.<br />
Michael Praetorius detta addirittura “regole per<br />
ben allestire una musica buona per la tavola di un<br />
gran signore”. Scheidt, Hammerschmidt, Simpson,<br />
Telemann compongono vere e proprie raccolte di<br />
Tafelmusik che vengono pubblicate e diffuse in tutta<br />
Europa.<br />
In Francia il sontuoso cerimoniale di corte prevede<br />
musiche per la colazione, il pranzo e la cena del<br />
Re, famose quelle composte da Delalande e da Lully<br />
(n.d.r.: Faticosa doveva essere la vita del re di<br />
Francia perseguitato dalla sua orchestra che aveva<br />
compito di accompagnare il suo risveglio, le sue cerimonie,<br />
gli incontri galanti, le passeggiate, i pasti sino<br />
all’ora di coricarsi; ve lo immaginate un povero<br />
Luigi qualsiasi muoversi furtivamente per la corte<br />
sperando in un poco di pace, ma no, ecco subito i<br />
maledetti oboi e violini a far fracasso. Forse per un<br />
poco di silenzio doveva rifugiarsi in bagno: non ci<br />
sono infatti giunte musiche “pour le roi qui pisse”).<br />
Sempre in Francia nel periodo barocco era in<br />
gran voga la “Chanson a boire” per voce e liuto, più<br />
maneggevole e adatta alle piccole osterie e alle case<br />
private. Ne furono pubblicate decine di raccolte,<br />
alcune di queste fanno ancora parte del repertorio<br />
popolare di alcune regioni come la deliziosa “Le vin<br />
et la table” di Etienne Merimé che ascoltai io stessa<br />
intonata da rubicondi Borgognoni nel bistrot di fronte<br />
al sublime “Hopital” di Beaune.<br />
Nel barocco meritano citazione cibaria i due più<br />
importanti compositori: Haendel e Bach.<br />
Facile immaginare Georg Friedrich alle prese<br />
con la buona tavola, egli aveva fama di divoratore<br />
orchesco. Maiwaring narra che “egli giunse da solo<br />
in una locanda e ordinò un pasto per tre persone.<br />
Dopo un po’ di tempo, non essendo servito, sollecitò<br />
l’oste il quale si giustificò dicendo che aspettava<br />
gli altri commensali. Haendel rise fragorosamente e<br />
disse: sono io gli altri commensali, dopodiché divorò<br />
tutto quanto gli venne portato’’. Mentre era a tavola<br />
ospite di amici sovente Haendel si ritirava per annotare,<br />
diceva lui, nuove idee musicali. Una volta alcuni<br />
lo seguirono di nascosto e s<strong>cop</strong>ersero che in effetti<br />
tracannava del vino speciale che si era portato<br />
da casa sapendo non eccellente quello offerto dall’ospite”.<br />
Lo stesso autore commenta poi: “chiedere<br />
a Haendel di essere morigerato a tavola è come<br />
chiedere ad un mercante italiano di avere la precisione<br />
di un orologiaio svizzero”.<br />
Più inusuale è invece l’abbinamento Bachiano. È<br />
vero che egli ha dedicato al caffè una delle sue più<br />
belle cantate profane, ma l’iconografia ce lo tramanda<br />
come uomo parco e morigerato. Forse gli storici<br />
dovrebbero scorrere l’elenco delle vivande da lui<br />
consumate in occasione dell’organo della Liebfrauenkirke<br />
di Halle puntigliosamente annotata dal<br />
fabbriciere, forse per giustificarne la spesa, (prevedeva:<br />
luccio con salsa di burro all’acciuga, prosciutto<br />
affumicato con piselli, piatto di patate, salsiccia<br />
con spinaci, quarto d’arrosto di montone, zucca bollita,<br />
frittelle, scorza di limone candita, ciliege in con-<br />
26 OMAR<br />
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n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
serva, insalata di asparagi, lattuga, ravanelli, arrosto<br />
di vitello e burro fresco), ma anche le numerose fatture<br />
di birra e sidro e una lettera al cugino che gli<br />
aveva inviato in dono alcune botti di sidro. Bach ringrazia,<br />
ma lamentandosi del costo eccessivo di<br />
spedizione, dogana e dei molteplici assaggi fatti dai<br />
doganieri.<br />
Anche Mozart fu amante della buona tavola e nel<br />
suo corposo epistolario sottolinea più volte la bontà<br />
di cibi o vini. Come dimenticare poi che nelle sue<br />
opere la tavola ha sovente funzione essenziale: la<br />
scommessa del “Così fan tutte” nasce durante un<br />
banchetto e Don Giovanni porta a compimento il<br />
suo dramma in una luculliana cena accompagnata<br />
(notate bene) da un’orchestrina che viene solitamente<br />
posta in scena accanto al dissoluto prossimo<br />
alla punizione.<br />
Anche i compositori romantici si distinsero per<br />
qualità masticatorie. Schubert ha composto, ad<br />
esempio, un delizioso terzetto intitolato “L’arrosto<br />
del giorno di nozze”: in esso si decanta la qualità<br />
della cucina nuziale; un invitato, però, invidia lo sposo<br />
novello perché la bella sposina è “un arrostino<br />
niente male”.<br />
Schumann e il suo enturage frequentavano la<br />
Zur Kaffebaum e qui alternavano corpose mangiate<br />
e bevute con memorabili esecuzioni del grande repertorio<br />
romantico.<br />
Brahms fu bevitore gagliardissimo e forchetta temibile.<br />
Una memoria commovente ce lo descrive ormai<br />
in punto di morte quando il giovane medico che<br />
lo assiste accondiscende a fargli bere una <strong>cop</strong>pa di<br />
vino, <strong>cop</strong>pa che il musicista tracanna in due sorsate<br />
per esclamare ormai sfinito con un ultimo barlume<br />
di gioia “ach, Das ist Gut”.<br />
Anche Hector Berlioz compone una “Chanson a<br />
boire” su versi di Thomas Moore, melodia in cui allo<br />
spensierato ritornello fanno da eco due strofe di malinconia<br />
infinita (notoriamente il nostro aveva la<br />
sbronza triste!).<br />
Nel Novecento gli esempi sono pressoché infiniti:<br />
dai “Canti popolari” di Bartok, alle “Chanson a<br />
Boire” di Martin, dall’elogio del “Wine” di Alban<br />
Berg, a quello di Gustav Mahler nel “Lieder von der<br />
erde” sino alle gustose ricette di cucina messe paro<br />
paro in musica dall’estroso Leonard Bernstein.<br />
Alcuni musicisti hanno iniziato ad occuparsi di fame<br />
nel mondo e di cibo in senso di privazione; è il<br />
caso di Kurt Weill in opere su testo di Brecht, ma<br />
anche autori che descrivono momenti di guerra o<br />
memorie dell’olocausto come Penderecki, Ulmann,<br />
sino a quelli della nuova generazione aperti ed attenti<br />
ai nuovi problemi sociali dei poveri della società<br />
globalizzata.<br />
Numerosissimi gli esempi nella musica di consumo<br />
o leggera. Alcuni musicisti hanno fatto della esagerazione<br />
alcoolica uno stile di lavoro. È utile a tal<br />
proposito citare le sagge parole di Charlie Parker:<br />
“Un musicista che afferma di far meglio dopo aver<br />
bevuto è un bugiardo, quando sono sbronzo le mie<br />
idee sono povere e non ho controllo sulle dita; al<br />
momento penso di suonare meglio, ma quando mi<br />
riascolto mi vergogno di me stesso”.<br />
Che dire poi della miriade di canzonette che ci<br />
parlano, magari ironicamente, di bevande gassate o<br />
spaghetti etc etc; mi piace ricordarne tre: la stralunata<br />
giungle della metà novecento dedicata alle<br />
Terme di Bognanco (Bognanco tu Bognanco sollievo<br />
dai al cittadino stanco...) la travolgente “Ciliegie<br />
Ciliegie” del gruppo rock domese “I Raccomandati”<br />
(effimera presenza nel panorama discografico internazionale)<br />
e l’inverosimile Giorgio del Lago Maggiore<br />
con le sue buffe ripetizioni onomatopeiche di<br />
“Chianti Chianti, polenta polenta” etc.<br />
Un discorso a parte merita invece la tavola nell’Opera.<br />
Testimonia il giovane Stendhal quando arrivato a<br />
Milano si reca al Teatro alla Scala: “Nei palchi i cavalieri<br />
fanno portare, alle dame e non solo, frutta,<br />
gelati sorbetti e vini e ogni deliziosa cibaria; mentre<br />
l’opera è in corso se ne discute la bontà. Vi sono tre<br />
specie di delizie: gelati, crepes e pezzi duri, ancora<br />
non so dire quale sia migliore”. Un’abitudine che oggi<br />
sopravvive, per fortuna, solo negli assalti ai buffet<br />
degli intervalli (memorabili quelli delle prime al Regio<br />
di Parma).<br />
Ma la tavola nell’opera ha anche un’importante<br />
funzione scenica. E qui dobbiamo parlare del principe<br />
dei musicisti buongustai Gioacchino Rossini.<br />
Una fama leggendaria, secondo Oettinger. Egli era<br />
solito dichiarare “Lo stomaco è il maestro, sprona<br />
l’orchestra delle grandi idee e passioni. Lo stomaco<br />
vuoto sprona il fagotto del livore e il flauto dell’invidia,<br />
quello pieno suona il sistro del piacere e il tamburo<br />
della gioia”. Dichiarazioni programmatiche.<br />
Egli fu infatti autore di tanta bella musica (tra i pieces<br />
de vieillesse alcuni portano titoli gastronomici<br />
come “Piselli, Saltato in padella, Quattro antipasti<br />
etc), ma anche di ricette ancora in voga come i suntuosi<br />
tournedos.<br />
Ma infiniti sono gli esempi operistici che potremmo<br />
citare: ad esempio i buffi ubriachi dell’“Anacreonte’’<br />
di Rameau, i vini citati dal Don Giovanni di<br />
Mozart (Marzemino) dalla Carmen di Bizet (Vini di<br />
Spagna) dalla Tosca di Puccini (Vino di Cipro) dal<br />
Pipistrello di Strauss e dalla Vedova Allegra di<br />
Lehar (Champagne ovviamente e che altro).<br />
Ma anche i numerosissimi brindisi (etimo non<br />
certo, forse da Bring dir’s lo porto a te o Trinken Sie)<br />
che costellano con effetti ora drammatici ora comici<br />
la “Lucrezia Borgia” e l’“Elisir d’amore” di Donizetti,<br />
la “Traviata”, l’“Otello” e il “Falstaff” di Verdi, la “Cavalleria<br />
rusticana” di Mascagni, sino all’orgia rossiniana<br />
che unisce al piacere del bere altri meno nominabili.<br />
E via sino alle opere recenti di Ligeti, Shostakovitc<br />
e altri musicisti a noi contemporanei.<br />
Curiosa è poi l’idolatria dei personaggi della lirica<br />
che porta alla nascita di ricette a loro dedicate da<br />
grandi chef: Valga per tutti quella di Auguste Escoffier<br />
per Nellye Melba (deliziosa soprano interprete di un<br />
memorabile Lohengrin a Londra): dopo la recita il<br />
sommo cuoco le presentò pesche affogate in un letto<br />
di gelato alla vaniglia incastonate tra biscotti in forma<br />
di ali di cigno (omaggio all’opera wagneriana) cosparse<br />
di zucchero a velo: come Così è la pesca Melba<br />
che oggi mangiamo nelle gelaterie più raffinate.<br />
Anche l’acqua ha una sua funzione in scena, ma<br />
essa serve in genere a purificare, viene attinta alle<br />
fonti sacre, per cui la si beve per dovere, senza<br />
troppa enfasi, semmai se ne enfatizza il benefico effetto.<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 27<br />
nuovo
Un’ultima nota riguarda il particolare uso che, a<br />
volte, il pubblico fa di taluni alimenti per esprimere<br />
insoddisfazione o scarso gradimento delle esecuzioni<br />
musicali. Un noto psicologo afferma cha tale<br />
lancio sottolinea la frattura tra l’artista e la sua capacità<br />
orale che il pubblico vuole ricomporre attraverso<br />
il lancio di cibarie che riconcilino il musicista<br />
con il proprio stomaco riportandolo alla condizione<br />
rossiniana sopra descritta. Fatti salvi i rapanelli offerti<br />
alla Callas (feroce caricatura del mazzo di rose)<br />
e la funesta ira susseguente della Divina, in genere<br />
esistono a tal proposito due scuole di pensiero: l’uovo<br />
marcio e il pomodoro (sempre marcio se possibile).<br />
Tuttavia vi è alla base di tutto ciò una maldisposizione<br />
preventiva; infatti, come ben sottolinea il Perec,<br />
chi pensa di andare normalmente all’opera o ad<br />
un concerto con frutta marcia maleodorante nella<br />
tasca del vestito buono<br />
Chiuderò con una citazione di Lutero “Chi non<br />
ama la buona musica, il buon cibo ed il buon vino<br />
resta pazzo per tutta la vita”. Si può dargli torto<br />
La pittura<br />
GIAN MARIA RASTELLINI (<strong>18</strong>69-1927)<br />
“Natura morta con mele cotogne e uva”, <strong>18</strong>85 circa<br />
Olio su tela, cm 36.3x54.3<br />
Collezione privata<br />
Nasce a Buttogno da famiglia benestante. Apprende<br />
le basi della pittura alla Scuola di Belle Arti<br />
Rossetti Valentini sotto la guida di Enrico Cavalli insieme<br />
con Carlo Fornara, Giovanni Battista Ciolina<br />
e Maurizio Borgnis. Nel <strong>18</strong>89 si trasferisce a Milano<br />
con il fratello Gian Battista e gravita intorno all’ambiente<br />
dell’Accademia di Brera. Partecipa a quattro<br />
Triennali organizzate da questa e nel 1902 con Sognando<br />
riceve la medaglia d’oro all’Esposizione Internazionale<br />
di Monaco di Baviera. Successivamente,<br />
si dedicherà con impegno quasi esclusivo al ritratto<br />
su commissione, diventando uno degli interpreti<br />
più ricercati dall’aristocrazia e dalla borghesia<br />
imprenditoriale lombarda.<br />
La natura morta, un génere quasi del tutto disertato<br />
da Rastellini nel corso della sua attività artistica,<br />
appartiene agli anni del tirocinio pittorico da lui effettuato<br />
alla Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini di<br />
Santa Maria Maggiore sotto la guida di Enrico Cavalli,<br />
con ogni probabilità all’epoca delle prime prove<br />
realizzate per impratichirsi nell’uso della pittura ad<br />
olio, elemento che suggerisce una datazione al<br />
<strong>18</strong>85. Non si tratta di una composizione autonoma,<br />
scaturita dalla fantasia del giovanissimo allievo, ma<br />
da una <strong>cop</strong>ia derivata da un modello di Enrico Cavalli,<br />
che presenta quasi le stesse dimensioni (Sergio<br />
Rebora, “Gian Maria Rastellini” - I quaderni del<br />
Museo del Paesaggio, n.14)<br />
ENRICO CAVALLI (<strong>18</strong>49-1919)<br />
“Natura morta con pesci e limone”, 1900 circa<br />
Olio su tavola, cm 19x32.5<br />
Collezione privata<br />
Il grande maestro della storia artistica vigezzina<br />
nasce a Santa Maria Maggiore da padre pittore che,<br />
nel <strong>18</strong>55, si trasferisce in Francia portando con sé il<br />
figlio. A Lione Enrico frequenta la Scuola di Belle<br />
Arti, sotto la guida del Guichard. Cavalli conosce, in<br />
Francia, anche Adolphe Ponticelli, modernissimo<br />
artista che influenza la formazione pittorica del vigezzino.<br />
Il periodo d’oro della sua attività artistica è quello<br />
che va dal <strong>18</strong>81 al <strong>18</strong>93.<br />
Enrico Cavalli è stato un grande artista (colui che<br />
ha assorbito, vissuto e rielaborato con lo sua forte<br />
personalità, tutte le novità che fervevano in terra di<br />
Francia tra lo seconda metà dell’Ottocento e l’inizio<br />
del Novecento) e un grande maestro per i pittori vigezzini,<br />
anche se fu incompreso dai suoi conterranei<br />
e contemporanei. Così parla di lui l’allievo Carlo<br />
Fornara: “Il Cavalli, mirabile colorista, sviluppò in<br />
me il senso dell’armonia del colore, la comprensione<br />
delle bellezze naturali e mi iniziò all’indagine del<br />
fenomeno luminoso, (...) mi parlava dei grandi maestri<br />
del Rinascimento e, a quelle ardenti parole io,<br />
che non ero mai uscito dalla Valle, sentivo la mente<br />
riempirsi di meravigliose visioni.”<br />
Nel campo della natura morta, un punto fermo<br />
dell’opera di Cavalli è “Fiori e frutta” del <strong>18</strong>84, rutilante<br />
di colori sontuosi, che segna il passaggio a toni<br />
più vivaci e matrici. Le nature morte di Enrico Cavalli<br />
costituirono un punto di riferimento per tutta la<br />
pittura vigezzina.<br />
GIOVANNI BATTISTA CIOLINA (<strong>18</strong>70-1955)<br />
“Ciliegie”, 1930 circa<br />
Olio su tavola, 38.5x28.5 cm,<br />
firma in basso a sinistra<br />
Il grande poeta della pittura vigezzina, Giovanni<br />
Battista Ciolina, nasce a Toceno nel <strong>18</strong>70.<br />
Con Fornara, è tra i migliori allievi di Enrico Cavalli<br />
alla Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini. Finiti<br />
i corsi, Ciolina e Fornara trascorrono molti mesi a<br />
Lione, centro di notevoli tradizioni pittoriche.<br />
Alla Mostra Triennale di Milano del <strong>18</strong>97, il Ciolina<br />
presenta “Il filo spezzato”, quadro tanto ammirato<br />
da indurre il pittore vigezzino ad aprire uno studio<br />
in quella città. Nel 1914, le preoccupazioni familiari<br />
lo riportano per sempre in Valle.<br />
Tra i suoi capolavori, “Il filo spezzato” (<strong>18</strong>92-<br />
<strong>18</strong>93) e il “Ritorno dall’ Alpe” (1920). Peculiarità fondamentale<br />
della sua produzione sono l’intimismo e<br />
la liricità che esprime in tutti i campi della pittura, dal<br />
quadro a olio all’affresco, dal ritratto all’acquaforte.<br />
G.B.Ciolina dipinse numerose nature morte che,<br />
per giustezza di toni e poesia d’atmosfera possono<br />
considerarsi una della manifestazioni essenziali della<br />
sua pera. La frutta e gli oggetti delle sue nature<br />
morte sono immersi in una luce diffusa e pacata che<br />
nasce da un’ispirazione gentile, autentica, emozionante.<br />
LORENZO PERETTI jr. (<strong>18</strong>71-1953)<br />
“Forme colorate”, senza data<br />
olio su cartone telato, 26.5x42 cm<br />
Discendente di un’eccellente dinastia di pittori,<br />
Lorenzo jr., molto dotato e di grande personalità,<br />
non si dedica alla pittura con costanza, anche se è<br />
allievo della Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini.<br />
28 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
Dice di lui il Cavalli: “non espone e non fa vedere.<br />
Mio allievo, caratteristico misantropo e concentrato,<br />
valente pittore e critico d’arte, molto studioso e fine<br />
osservatore, temperamento d’artista nel vero senso”.<br />
Ad oggi, non sono, purtroppo, ancora stati pubblicati<br />
studi approfonditi sulla sua opera .<br />
La natura morta, insieme con i paesaggi, è un<br />
genere nel quale questo artista si esprime con maestrìa<br />
e viva sensibilità.<br />
La natura morta presente in mostra, di grande<br />
modernità, mette in luce una tecnica matura (gli oggetti<br />
si smaterializzano, restano i segni fondamentali<br />
delle forme) e una personalità forte e indipendente,<br />
eccentrica rispetto agli altri pittori.<br />
ALFREDO BELCASTRO (<strong>18</strong>93-1961)<br />
“Spazio metafisico”, 1909<br />
Acquarello, 48,5x32 cm<br />
Nasce ad Omegna il 6 agosto <strong>18</strong>93. Dal 1908 al<br />
1912 frequenta la Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini<br />
con il professore Dante Comelli. A Torino e<br />
Milano dove lavora nel campo del design industriale,<br />
le conoscenze di Belcastro nel campo artistico<br />
sono ampliate e approfondite. Inizia una lotta interiore<br />
per liberarsi dall’accademismo e dalla suggestione<br />
di nomi importanti e rielaborare una visione<br />
personale. Verso il 1924-25 Belcastro non è più uno<br />
sconosciuto: la sua pittura supera gli angusti confini<br />
della Valle e nel 1929 un suo quadro è acquistato<br />
dal Capo del governo che gli accorda un’udienza.<br />
Gli è accanto, con incitamenti preziosi espressi<br />
in articoli e conferenze, l’avvocato milanese Eugenio<br />
Squassoni e tutta la stampa è concorde nell’apprezzamento<br />
positivo del nostro pittore.<br />
Il Comanducci fa posto al Belcastro nel proprio<br />
dizionario dei pittori moderni italiani.<br />
L’amico avvocato Squassoni, in uno scritto del 5<br />
aprile 1938, parla di Belcastro come di un artista primitivo<br />
che all’anelito di contemplazione fa corrispondere<br />
tonalità coloristiche che traducono perfettamente<br />
il pensiero.<br />
Nel 1961, pago di aver vissuto ed operato generosamente<br />
ed onestamente, Alfredo Belcastro chiude<br />
la sua lunga e faticosa giornata di artista e di uomo.<br />
La natura morta esposta, una pera appesa ad un<br />
muro come fosse un quadro, è uno studio giovanile.<br />
GIUSEPPE MAGISTRIS (1911-1967)<br />
“Natura morta”, 1957<br />
Olio su tavola, 49.5x39.5 cm<br />
Nasce a Santa Maria Maggiore nel 1911. Gli anni<br />
di scuola sono un tormento: liti con gli insegnanti<br />
e allievi (viene sospeso dal liceo classico Rosmini di<br />
Domodossola per idee antifasciste), ma trova grande<br />
sollievo nella pittura e negli studi musicali (violino,<br />
organo, gregoriano).<br />
Nel 1944 viene condannato a morte dal Governo<br />
Repubblicano Fascista a Novara con una taglia di<br />
50.000 £. È del 1945 la prima mostra personale a<br />
Legnano. Esegue concerti d’organo nella Svizzera e<br />
tiene uno studio aperto a Milano con lo scultore Sangregorio<br />
in una casa sinistrata dove lavorano anche<br />
l’editore Longanesi e gli scrittori Monti e Vittorini.<br />
Tra il 1951 e il ’55 riceve degli incarichi per il Museo<br />
S. Paolo del Brasile, mentre nel 1961 è invitato<br />
al Salon d’Hiver a Parigi; nel 1963 è invitato agli Indipendenti<br />
a Parigi con tre opere e, nello stesso anno,<br />
riceve il premio europeo Award per lo pittura e<br />
l’attestato di merito con medaglia dell’Istituto Internazionale<br />
delle Arti e delle Lettere di Zurigo<br />
Marco Rosci definisce quella di Magistris un’eredità<br />
di “espressionismo alpino, fra tradizione locale<br />
e apertura europea dalla Brucke e dall’espressionismo<br />
fiammingo in avanti con tutto il loro incrocio di<br />
drammatizzazione umanitaria della pavesiana fatica<br />
di vivere e di simbolizzazione del messaggio sociale<br />
cristiano delle origini”.<br />
Sempre Rosci sottolinea che, nella seconda<br />
metà degli anni Cinquanta, l’elaborazione cromatica<br />
e materia dell’immagine espressionistica perviene<br />
ai suoi più alti risultati nella stupenda natura morta<br />
(esposta), degna di Soutine.<br />
SEVERINO FERRARIS (1903-1979)<br />
“Vaso di frutta”<br />
Olio su tela, cm 40x60 cm<br />
Nasce a Prestinone nel 1903 da Pio e frequenta<br />
lo Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini a Santa Maria<br />
Maggiore studiando disegno e pittura sotto lo<br />
guida di Enrico Cavalli, di Dario Giorgis ed infine<br />
dello zio Carlo Fornara. Insegna a sua volta presso<br />
la Scuola, tenendo viva un’istituzione in un’epoca di<br />
decadimento spirituale ed artistico.<br />
Fecondo lavoratore, è presente a tutte le mostre<br />
locali e regionali, collettive e sindacali; espone alla<br />
Nazionale di Milano, alla Promotrice di Torino, alla<br />
Prima Sindacale di Novara dove ottiene il secondo<br />
premio con l’opera “Triste fine d’autunno”. Conquista<br />
il premio Bognanco e la medaglia d’argento alla<br />
Prima Mostra Nazionale d’Arte Pura a Napoli.<br />
Pittore che attinge con umiltà alle sorgenti vive<br />
del colore e della luce ricreando, su grandi tele come<br />
su modesti bozzetti, la luminosità delle valli ossolane,<br />
lo splendore delle loro nevi, lo sequela romantica<br />
dei casolari e degli svettanti campanili, tutto<br />
il calore degli autunni od il sospiro delle primavere<br />
che tornano a risvegliarsi.<br />
Pittore che penetrò i soggetti per trarne oltre al<br />
contenuto una dimensione simbolica, che è possibile<br />
rintracciare in questa bella natura morta, Severino<br />
Ferraris restò sempre insoddisfatto di sé.<br />
Severino Ferraris appartiene alla Valle Vigezzo e<br />
questa a lui, come a pochi è capitato. Se alla parola<br />
“popolarità” vogliamo dare il significato di compenetrazione<br />
tra una gente, un ambiente e il singolo,<br />
questo spetta a Severino Ferraris. Cordiale, sincero,<br />
amico schietto, battagliero, egli è stato l’alfiere<br />
di una valle, della montagna con le sue tradizioni e<br />
la sua fede.<br />
ANTONIO GENNARI (1923-2002)<br />
“Déjeuner sur l’ herbe”<br />
Olio su tavola, 40x50 cm<br />
“Io nacqui per l’appunto a Buttogno di Valle Vigezzo<br />
il 7 settembre 1923 (…). E vide Dio che ciò<br />
bene stava. Solo non capisco come in un mondaccio<br />
sin dall’inizio così malcombinato, Dio vedeva<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 29<br />
nuovo
sempre che ciò bene stava. Famiglia anche di onesti<br />
emigranti la mia. Appena nato mi portarono in Argentina<br />
da dove tornai a sei anni. Il ritorno dalla<br />
grande Buenos Aires alla piccola lampadina a filamento<br />
a carbone causò in me un trauma che mi seguì<br />
per tutta la vita.<br />
Diversamente da molti pittori, appena nato non mi<br />
diedi subito a disegnare sulle parti di casa mia e nemanco<br />
disegnai vulve stilizzate sui muri delle case<br />
altrui (a quei tempi, ero ragazzo assai ben educato).<br />
Ora vi dovrei dire che scuole ho frequentato,<br />
quali premi e riconoscimenti ho conseguito, a quali<br />
mostre e mostrette ho partecipato, su quali cataloghi<br />
a pagamento tanto per pagina sono apparso, di<br />
quali chincaglierie sono stato insignito, se sono nobile<br />
o plebeo.<br />
Posso dire solo questo senza tema di peccare di<br />
presunzione: come pittore mi pare di valer più di<br />
Amintore Fanfani. (…)”<br />
Antonio Gennari<br />
L’opera presente in mostra rappresenta una beffarda<br />
e geniale “irrisione” dei civettuoli “déjeuner”<br />
della borghesia francese, che tanto successo regalarono<br />
ai pittori impressionisti.<br />
FRANCESCO GIORGIS (GHILlN) (<strong>18</strong>28-1904)<br />
“Interno (vecchia cucina vigezzina)”, senza data<br />
Olio su tela, 40x60 cm<br />
Francesco, detto Ghilin, è il capostipite della dinastia<br />
di pittori Giorgis. Apprende i primi elementi di<br />
pittura da un Simonis di Buttogno; opera a Torino e<br />
soggiorna spesso in Francia. Egli non dipinge per<br />
vivere, tant’è che accetta per paga dei libri di viaggio<br />
e della stoffa di lana.<br />
Egli si occupa anche di restauro, mostrando un<br />
fecondo rapporto con la tradizione degli artisti che<br />
l’hanno preceduto. Dipinge cappelle ed ex voto.<br />
Alcuni dei suoi dipinti, nati da esigenze occasionali,<br />
non si discostano da un’attività di routine, sebbene<br />
la varietà delle opere realizzate testimoni, oltre<br />
che la flessibilità e la sicurezza nel mestiere, anche<br />
quanto Francesco Giorgis sia riuscito ad inserirsi<br />
negli ambienti più diversi. Egli crea una galleria di<br />
personaggi efficacemente caratterizzati.<br />
Dipinge nature morte, piene di silenzio, che risultano<br />
esercizi meditativi di autodisciplina, colme di silenzio,<br />
i cui oggetti richiamano i valori di una dimensione<br />
intima e quotidiana.<br />
30 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
Studi e informazioni culturali <br />
Osvaldo Provvidone<br />
Caro Osvaldo,<br />
anche se tu hai qualche annetto in più, ma il tuo spirito<br />
un po’ folle di colore è rimasto lo stesso di quando, dipingevi<br />
le piume di un uccello impagliato, le nostre strade<br />
sull’arte contemporanea sono iniziate e sono proseguite,<br />
assieme, tu come operatore, io come critico.<br />
Erano gli anni in cui le Biennali del secondo dopoguerra<br />
ci facevano conoscere l’ultimo Picasso, l’ultimo<br />
Matisse, ci rivelavano Klee e Kandinsky e la grande<br />
svolta del colore espressionista astratto, gestuale,<br />
informale, con l’orologio del contemporaneo non più fisso<br />
su Parigi, ma come pendolo oscillante fra U.S.A. e<br />
un’Europa nuova tra Francia e Italia, Spagna e Germania.<br />
A Novara, questa nuova rivoluzione di metà secolo,<br />
io la constatavo e la studiavo da neo laureato in storia e<br />
critica dell’arte (ricordo una breve stagione di articoli<br />
sull’“Avanti” di Milano dopo la scomparsa improvvisa di<br />
un bravissimo critico, oggi dimenticato, Giampiero Giani,<br />
grande amico di Sormani), tu e altri tre artisti la viveste<br />
come parte attiva, creativa, di piena e felice partecipazione al di là delle diverse fortune e delle diverse scelte<br />
di stile e di linguaggio.<br />
Provvidone, Aimone, Scarenzi, Parzini (e negli stessi anni, sulla linea del realismo esistenziale, era presente<br />
anche Franco Francese, emigrato per amore): per la prima volta quattro giovani novaresi seguivano fra Torino<br />
e Milano regolari corsi accademici essendosi parzialmente aperto a partire dagli anni ’40 anche il mondo<br />
delle accademie d’arte almeno alle forme contemporanee, se non ancora alle avanguardie, specie al Nord (Torino,<br />
Milano, Venezia), grazie alla presenza di Argan e di Brandi all’educazione artistica presso il Ministero dell’Istruzione<br />
di Bottai.<br />
Tu mi ricordi, durante la tua accademia torinese, le cene in collina della scuola di Paulucci assieme a Casorati<br />
e, appunto, Argan, così come Aimone tante volte mi ha ricordato il mondo milanese del “Giamaica” in via<br />
Brera.<br />
Siete rimasti tu e Aimone, i più anziani, in perfetto equilibrio di testimonianza dei due centri al momento della<br />
rivoluzione, Torino e Milano, e delle due scuole, di Paulucci, uno dei sei di Torino, e di Carpi, maestro dei<br />
giovani di “Corrente” e della loro eredità neocubista dopo la Liberazione.<br />
Se ora guardo le tele e le carte di questa antologica, lungo sessant’anni rivedo e ripenso con nostalgia le<br />
forme e i colori di questa svolta epocale, dopo la quale l’idea stessa dell’immaginario artistico è radicalmente<br />
mutata e la libertà soggettiva di questo immaginario ha recuperato e potenziato ed arricchito i valori rivoluzionari<br />
delle avanguardie storiche dei primi due decenni del secolo: nel tuo caso, e qui c’è alla radice la scuola di<br />
Paulucci, l’espressività lirica ma anche costruttiva dei ritmi e delle armonie dei rapporti e dei flussi cromatici al<br />
diapason alto della luminosità tonale; e accanto a questo, l’amore sottile per le alchimie materiche di quel materiale<br />
cromatico e luministico, esteso anche al campo della grafica e della cromografica non ad olio.<br />
Questo amore di equilibri cromatici affiora già nella costruttività, neocubista in senso lato, delle tue nature<br />
morte “povere” (lucerne, sedie da cucina) dei tardi anni ’40, tipiche delle svolte italiane di quegli anni rispetto<br />
all’arte fra le due guerre.<br />
L’esordio, già pienamente maturo in questa fase “accademica”, con una natura morta di memoria cézanniana<br />
mi ricorda la dichiarata impronta appunto cézanniana delle nature morte e dei paesaggi liguri di Paulucci<br />
alla fine degli anni ’30 e durante la guerra, che lascia poi il campo nei secondi anni ’40 a strutture cubisteggianti<br />
anche in Paulucci, seguito da Menzio (Picasso, ma anche Braque), con forti contrasti di timbri cromatici.<br />
Tu, l’allievo, nasci alla pittura in questo clima e con questi modelli, ma sovrapponendo subito il marchio personale<br />
di una effusa sensibilità tonale che avvolge ed ammorbidisce i meccanismi strutturali, preparando la tua<br />
tavolozza, fonte dei rapporti di luce e colore, a divenire protagonista primaria se non esclusiva dell’organizzazione<br />
del dipinto.<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 31<br />
nuovo
La controprova è offerta, negli esempi grafici in mostra, corrispondente a questa fase, del fatto che le immagini<br />
figurative saldamente costruite dal tratto sono avvolte, soprattutto nelle incisioni, da una sottile tramatura<br />
segnica chiaroscurale.<br />
La tua immersione nel grande flusso globale internazionale della primaria espressività cromatica cade puntuale<br />
negli anni ’50 e sarà da allora il tuo personale, felicissimo “marchio di fabbrica”.<br />
Ma, è fondamentale sottolinearlo, non è per nulla un’immersione irrazionale, acritica, “alla moda”, che caratterizza<br />
troppa parte dei seguaci improvvisati dell’arte informale, disegno, di gesto, intesa come pura espressività<br />
senza ordine, senza regole, emozione pura e viscerale al di fuori del tempo e dello spazio, slegata dall’esperienza<br />
e dalla memoria.<br />
Nelle tue opere invece, dalle più “sognate” e fluide alle più organizzate per masse cromatiche interagenti e<br />
cangianti, dalle più evocatrici di “paesaggi” mentali alle più pulsanti di vitalità e sensualità naturale, si sente costantemente<br />
vibrare l’esperienza umana, il punto d’incontro e di equilibrio fra questa esperienza, l’ordine mentale<br />
anche nell’apertura al magico e al fantastico (anche all’ironico e al paradossale, per chi ti conosce e per<br />
questo sa leggere e interpretare i tuoi titoli, spesso rivestiti dal colore cangiante di un dialetto che entrambi<br />
amiamo come un bene sempre più perduto ed evanescente), l’ordine superiore della natura con le sue stagioni.<br />
È questa la peculiarità del tuo informale (in realtà ricco, denso, organico di forma-colore), che lo accomuna<br />
ai migliori della tua generazione o di quella immediatamente alle spalle, dall’ultimo Birolli all’ultimo Afro, da Burri<br />
a Scialoia ammaliato dagli americani: il pulsare vivo e naturale della materia, del tempo, dell’esperienza quotidiana<br />
sotto la superficie della non figurazione; il non lasciarsi irretire – e insieme non ingannare l’occhio di chi<br />
guarda le tue opere – dal puro autocompiacimento edonistico della luminosa superficie cromatica.<br />
Giustamente hai voluto, dopo le nature morte iniziali e prima della trionfale e trionfante cavalcata dei tuoi<br />
rossi, gialli, aranci, rosa degli ultimi quarant’anni, dare massima evidenza a due delicatissime sinfonie di luci e<br />
toni morbidi, bassi – ma misteriosamente iridescenti –, che quasi sfiorano il bianco e nero, a dimostrazione che<br />
il mistero della forma pittorica non ha bisogno di clangori solari.<br />
La controprova di quale e quanta minuta, capillare elaborazione organica e mentale è sottesa ai ritmi ed agli<br />
intrecci del canto cromatico (a contrappunto), è offerta dalla straordinaria arte del disegno a partire dagli anni<br />
’50: l’intrico quasi miniaturistico di misteriosi paesaggi mentali di un mondo fantascientifico di rovine e di materiali<br />
organici.<br />
Il punto d’incontro fra le due materie e sfere creative del pennello e della matita si realizza in quella che ritengo<br />
la tua produzione di massimo fascino e nel contempo di più profonda emersione (ma anche sublimazione,<br />
organizzazione) dell’inconscio: i pastelli, le cere.<br />
Marco Rosci<br />
Osvaldo Provvidone è nato a Novara nel 1920.<br />
Nel 1941 si diploma perito meccanico all’Istituto <strong>Omar</strong> di Novara.<br />
Dal 1946 al 1951 frequenta a Torino l’Accademia Albertina di Belle Arti sotto la presidenza di Felice Casorati.<br />
Suoi maestri sono Aldo Bertini, Alberto Cibrario, Marcello Boglione, Mario Calandri ed Enrico Paolucci.<br />
È insegnante di disegno all’<strong>Omar</strong> nel 1973-74 e poi all’Istituto Bellini per periti maglieri.<br />
Viene chiamato da Paolucci per insegnare “Materie tecniche tessili” all’Istituto di Arte e Moda del Figurino<br />
(a quei tempi l’unico in Europa), ma dopo pochi anni rinuncia.<br />
Fino all’età della pensione insegna disegno in scuole medie superiori di Novara.<br />
32 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
Studi e informazioni culturali - Poesie <br />
“Lo sbadiglio” e “L’irritazione”<br />
Basilio Giuseppe Catania Romano<br />
Lo sbadiglio<br />
Ogni volta che a fauci spalancate,<br />
l’ugola e le tonsille son mostrate,<br />
a tutti è chiaro il tacito linguaggio:<br />
di noia, sonno o fame danno un saggio.<br />
Quando si ac<strong>cop</strong>pia<br />
[ad un mugghio profondo,<br />
tanto più lo sbadiglio è inverecondo.<br />
Perciò nel “Galateo” da lui stilato,<br />
monsignor Della Casa ha dichiarato<br />
nei suoi confronti rigida avversione,<br />
quale segno di scarsa educazione.<br />
“Lo sbadiglio determina disagio<br />
in quanto si propaga per contagio;<br />
se proprio, aggiunge ancora, non si blocca<br />
occorre, almen, <strong>cop</strong>rir la propria bocca:<br />
chè, se le bocche aperte sono tante<br />
la scena appare poco edificante”.<br />
Certo il rilassamento è assai piacevole<br />
però, in presenza d’altri, è deplorevole.<br />
Del resto qualche volta questo vezzo<br />
può costare, davvero, un alto prezzo.<br />
Ci narra, per esempio, il “Novellino”<br />
che un filosofo, ch’era di un Delfino<br />
ospite in Francia, provò un imbarazzo<br />
quando s’accorse che quel gran palazzo<br />
era nitido, lindo e rilucente,<br />
ma senza un opportuno recipiente<br />
in cui lanciare un impellente sputo<br />
che aveva in gola. Si sentì sperduto.<br />
Vedendo, poi, che il principe sbadiglia,<br />
per sputacchiera la sua bocca piglia.<br />
Ignaro della buona educazione,<br />
il principe pensò che quell’azione<br />
fosse un insulto, ma restò di sasso,<br />
e il suo prestigio tosto andò in ribasso.<br />
Concludendo, un consiglio si vuol dare:<br />
meglio, in presenza altrui, non sbadigliare,<br />
per evitar sgradevoli sorprese<br />
e non pagare il conto a proprie spese.<br />
Del contenuto ameno e stravagante<br />
si chiede venia al corpo giudicante.<br />
L’irritazione<br />
Se si cade in errore per la fretta,<br />
per distrazione oppure per disdetta;<br />
se dal traffico l’ansia è procurata,<br />
da villania di autista provocata,<br />
per un sorpasso rischioso ed incauto<br />
il noto gesto della man dall’auto;<br />
se l’allievo, per studio o per condotta,<br />
spinge il docente a votazion ridotta;<br />
se un lavoro senza capo e coda<br />
un dirigente, sconcertato, inchioda;<br />
se nella gerarchia vi è contesa<br />
e i candidati lottan per l’ascesa;<br />
in questi casi ed altri, a dismisura,<br />
cresce la collera e l’arrabbiatura.<br />
Si lancia, prima, uno sguardo irato<br />
con l’impulso dell’animo eccitato,<br />
si disapprova con accanimento,<br />
non si controlla più l’atteggiamento.<br />
Il male che da molti si trascura<br />
è proprio quello dell’arrabbiatura.<br />
Si comincia con l’essere iracondo<br />
per divenire tosto furibondo.<br />
La rabbia, certo non si può stroncare,<br />
né, oltre certi limiti, sfogare.<br />
C’è chi, assai dimesso nel lavoro,<br />
si sfoga su altri senza alcun decoro.<br />
Occorre, attenti e senza ipocrisia,<br />
guardarsi dentro se l’ira è andata via,<br />
ricordando quel detto: “Calma e Gesso”<br />
senza cui non si perverrà al successo.<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 33<br />
nuovo
Istituto Tecnico Industriale <strong>Omar</strong><br />
Robotica: dalla scuola all’azienda<br />
Una nuova metodologia didattica per motivare<br />
e coinvolgere gli studenti<br />
fornendo competenze specialistiche<br />
Convegno del 10 marzo 2006 presso l’<strong>ITI</strong> <strong>Omar</strong><br />
La robotica è stata presentata sotto diversi punti di vista, secondo l’estrazione culturale dei relatori.<br />
Gianmarco Veruggio – ingegnere elettronico, fondatore e responsabile del Reparto Robotica del<br />
CNR-IAN, si occupa di progettazione, sviluppo e sperimentazione di prototipi di robot sottomarini<br />
da ricerca ed è presidente della Scuola di Robotica di Genova. Ha presentato “Robotica nuova<br />
scienza”.<br />
Emanuele Micheli – laureato in ingegneria meccanica, con specializzazione in robotica, membro della<br />
Scuola di Robotica di Genova, si occupa del progetto “Robot @ Scuola” e nell’ambito del progetto<br />
“Robot in città” ha insegnato robotica alla città dei bambini e dei ragazzi di Genova. Sua la<br />
relazione “L’impatto della robotica sull’economia nazionale e sull’Europa”.<br />
Fiorella Operto – proveniente dalla filosofia, da anni si occupa di comunicazione della scienza, in collaborazione<br />
con laboratori e centri di ricerca in Europa e negli Stati Uniti; è vicepresidente della<br />
Scuola di Robotica di Genova. Ha parlato su “I robot a scuola”.<br />
Paolo Bianchetti – laureato in lingue e letterature straniere, con due master in “Tecnologia e comunicazione<br />
multimediale” e in “E-learning per la scuola, l’università e l’impresa”, si occupa di progettazione<br />
web, progettazione e-learning, didattica e nuove tecnologie collaborando con New Economy,<br />
ITD-CNR e Scuola di Robotica.<br />
Giovanni Scancarello – coordinatore nazionale della rete degli studi di eccellenza ENIS del Ministero<br />
dell’Istruzione, referente MIUR del progetto Robot @ Scuola. Ha presentato la relazione “Verso<br />
una certificazione di robotica nella scuola”.<br />
Riccardo Cavanna – amministratore delegato dell’azienda Cavanna S.p.A., leader dei sistemi integrati<br />
di confezionamento, ha parlato sulla “Robotica applicata ai processi industriali”.<br />
Carlo Valentini – ingegnere meccanico, docente presso l’<strong>ITI</strong> <strong>Omar</strong>, si occupa di robotica, sistemistica<br />
e automazione. Ha presentato “Il progetto OmaRobot”.<br />
Paolo De Vittor – dottore in fisica, docente presso l’<strong>ITI</strong> <strong>Omar</strong> di tecnologia, disegno e progettazione<br />
elettronica, collabora alla redazione della rivista “Elettronica Oggi”. Ha presentato la relazione<br />
“Robot e interdisciplinarietà”.<br />
34 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
Istituto Tecnico Industriale <strong>Omar</strong> <br />
Diplomati dell’Istituto <strong>Omar</strong> nel 2006<br />
CHIMICA<br />
Classe 5CA<br />
ASCONE DOMENICO – Novara<br />
BASANA ALESSANDRA – Romentino<br />
BERGAMO ALESSANDRO – Novara<br />
CHIRCO MARIA ANTONIETTA – Novara<br />
COLOMBO SIMONE – Marcallo con Casone<br />
DE ANGELIS SALVATORE – Novara<br />
GALLUZZO CHRISTIAN – Novara<br />
GIORDANO DAVIDE MARIA – Briona<br />
LORENZINI PAOLO – Novara<br />
MANZO SARA – Ghemme<br />
MIGLIO GABRIELE – Bellinzago<br />
MORA ALESSANDRO – Novara<br />
MOSSINI LAURA – Casalbeltrame<br />
NEGRO SALVATORE – Novara<br />
PARIETTI ELENA – Novara<br />
RAINERI ALBERTO – Garbagna<br />
RECENTI DANIELE – Cameri<br />
ELETTROTECNICA E AUTOMAZIONE<br />
Classe 5EA<br />
ASKLOU SAMIR – Trecate<br />
CASACCIA FRANCESCO – Varallo<br />
GHIRELLO MARCO – Galliate<br />
GUAGLIO FABIO – Novara<br />
MONTESANTI SAMUEL – Recetto<br />
PERROTTA ALESSANDRO – Novara<br />
PICCIALLO COSTANTINO SILVANO – Novara<br />
ROSA FABRIZIO – Novara<br />
SORBELLO DANIELE – Novara<br />
STEFANI GIORGIO – Novara<br />
DI MARZO NICOLA - Novara<br />
FOLEGATI ALEX - Novara<br />
PERUGIA MARIO – Novara<br />
TRECATE ANDREI - Novara<br />
Classe 5EB<br />
BOLES ANDREA – Bellinzago<br />
BRANDINO DANILO – Novara<br />
BRUZZESE MARCO – Novara<br />
BUONAROTA NICOLA DENIS – Novara<br />
BUONGIORNO ARTURO – Novara<br />
CALCATERRA ALESSANDRO – Novara<br />
CATTANEO PAOLO – Oleggio<br />
FERRARI FILIPPO – Novara<br />
LOVATI STEFANO MARIO – Robecchetto con Induno<br />
MARSEGLIA ANDREA – Novara<br />
MESSINA ANDREA – Novara<br />
PANAGINI ALBERTO – Bellinzago<br />
TREVISAN MARCO – Oleggio<br />
TURANO MARCO GIOVANNI – Oleggio<br />
ALBINI SIMONE - Novara<br />
CERVELLI ANTONIMO - Novara<br />
FASSOLA CORRADO - Novara<br />
GALLO PIETRO - Novara<br />
MOMI DANIELE - Novara<br />
PERRI FRANCESCO - Novara<br />
ROSSI ERNESTO - Novara<br />
ELETTRONICA E TELECOMUNICAZIONI<br />
Classe 5TA<br />
ANTONIOLI CHRISTIAN – Bellinzago<br />
BOBBIO FABIO – Novara<br />
BORSA MARTINO – Robecchetto con Induno<br />
BRICCO MARCO GIUSEPPE ANTONIO – Cerano<br />
CARBONE GIUSEPPE – Bellinzago<br />
COMMISSO DOMENICO – Novara<br />
DE BERNARDI EMANUELE OPNA – Castano Primo<br />
FALCONELLI MARCELLO – Novara<br />
FERRARI FRANCO – Robecchetto con Induno<br />
GAMBERO ANDREA – Buscate<br />
GRASSI MATTEO – Novara<br />
MATRAXHI NESAJM – Momo<br />
UBEZIO DARIO – Cerano<br />
Classe 5TB<br />
AVINCI ANDREA – Castano Primo<br />
BALDO ALESSANDRO – Novara<br />
BEGGIATO MIRKO – Novara<br />
FERRARI MARCO – Divignano<br />
FLORIO ANDREA – Trecate<br />
INZILLO STEFANO – Novara<br />
MADERNA DAVIDE – Novara<br />
MARONGIU CLAUDIO – Sozzago<br />
PANNO MARCO – Galliate<br />
PASTROVICCHIO IVAN – Novara<br />
RIZZOTTI GIACOMO – Novara<br />
ROMEO GIUSEPPE – Novara<br />
ROSINA ALESSANDRO – Trecate<br />
TAMBURINI TOMMASO – Tornaco<br />
TERRASI SERGIO – Novara<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 35<br />
nuovo
MECCANICA<br />
Classe 5MA<br />
BIGNOTTI LUCA - Novara<br />
BOLOGNESI FABIO – Biandrate<br />
CRIVELLI FABIO – Novara<br />
DELLA VEDOVA LUCA – Turbigo<br />
DI PAOLO FABIO – Vaprio d’Agogna<br />
GRANZIERO MARCO – Cameri<br />
INVERNIZZI MATTIA ANDREA – Galliate<br />
MILANESI ALESSANDRO – Galliate<br />
PACCAGNINI FABRIZIO – Castano Primo<br />
POLETTI STEFANO – Boffalora sopra Ticino<br />
PORAZZI LORENZO – Cameri<br />
POZZI MAICOL – Cameri<br />
TOTTOLI STEFANO – Vanzaghello<br />
ZAVAGLIA RICCARDO MARIA – Galliate<br />
Classe 5MB<br />
ACCAROLI MARCO – Briona<br />
BIASIOLI LUCA – Cameri<br />
BONANDIN LUCA – Trecate<br />
CACCIAMALI ANDREA – Sozzago<br />
CATTARIN GABRIELE – Romentino<br />
CESCO MATTEO – Romentino<br />
COMUNALE CLAUDIO – Romentino<br />
GALLI ALESSIO – Novara<br />
LO PALCO FRANCESCO – Trecate<br />
MANCIN OSCAR – Oleggio<br />
MOLINARI GABRIELE – Cameri<br />
PAGANI ALESSANDRO – Novara<br />
RICCARDI ALBERTO – Novara<br />
PETA CORRADO – Galliate<br />
DISTRIBUZIONE DELLE VOTAZIONI DEI DIPLOMATI<br />
60 61 - 70 71 - 80 81 - 90 91 - 99 100<br />
Interni 20 36 <strong>18</strong> 7 8 7<br />
Esterni 3 5 3 1<br />
TOTALE 23 41 21 8 8 7<br />
36 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
Associazione <strong>Omar</strong>isti <br />
L’assemblea dell’Associazione<br />
<strong>Omar</strong>isti del 28 maggio 2006<br />
Nella S. Messa in suffragio degli omaristi defunti (concelebrata<br />
dall’omarista don Pierangelo Rossi presso il Santuario di Maria<br />
Ausiliatrice) sono stati ricordati: Alessio Biletta, Celestino Cardani,<br />
Franco Ferdeghini, Francesco Ginipro, Giuseppe Mora,<br />
Umberto Carnisio, Renato Meloni, Andrea Ranza, Mario Tealdi,<br />
Rino Tessarin, della cui scomparsa si è venuti recentemente a<br />
conoscenza.<br />
È seguita la visita al Museo di Archeologia Industriale con la<br />
guida dell’ing. Giovanni Bonetti.<br />
L’assemblea vera e propria è iniziata con il saluto del presidente<br />
ing. Sandro Porzio che, quale membro della Giunta della<br />
Camera di Commercio di Novara, rappresentava anche il presidente<br />
della stessa ing. Gianfredo Comazzi. Porzio ha informato<br />
che un’apposita Commissione del Consiglio direttivo sta preparando<br />
una nuova edizione dello statuto dell’Associazione per<br />
permettere una gestione più snella e moderna.<br />
Il preside ing. Francesco Romano ha esposto i dati sulla consistenza<br />
dell’Istituto <strong>Omar</strong> e sui progetti in corso. L’<strong>Omar</strong> risulta<br />
sempre un grande Istituto sotto tutti gli aspetti.<br />
Il presidente della Fondazione <strong>Omar</strong>, prof. Franco Ticozzi, ha<br />
riferito sui lavori del primo anno di gestione del nuovo Consiglio<br />
d’amministrazione. Ha confermato che quest’anno verrà assegnato<br />
per la prima volta il premio Fondazione <strong>Omar</strong> di 2000 € ad<br />
uno studente dell’Istituto. La Commissione aggiudicatrice è composta<br />
da 5 persone: i presidenti della Fondazione e dell’Associazione,<br />
il preside dell’Istituto e due membri del Consiglio della<br />
Fondazione. Il premio sarà conferito all’<strong>Omar</strong> Day alla fine del<br />
prossimo autunno.<br />
La situazione economico-finanziaria è stata dettagliatamente<br />
illustrata dal tesoriere dott. Fernando Dulio. In estrema sintesi, la<br />
situazione patrimoniale al 31-12-2005 era di € 14.841,61. Il conto<br />
economico dell’esercizio 2005 espone un totale di spese di €<br />
7.890,44 e un totale di entrate di € 8.966,30 con un conseguente<br />
risultato attivo di € 1.075,86.<br />
Il bilancio preventivo per il 2006 prevede spese per € 12 620,<br />
notevolmente lievitate per il maggior costo della rivista a colori,<br />
ed entrate per € 7.651, con un risultato negativo di € 4.969 che<br />
verrà <strong>cop</strong>erto con le rimanenze positive del passato.<br />
I bilanci consuntivo e preventivo sono stati approvati all’unanimità.<br />
Il presidente Porzio ha stimolato tutti a trovare contributi, pubblicità<br />
e fiancheggiamenti per sostenere la rivista.<br />
La prof. Paola Turchelli, vicepresidente della Provincia di Novara,<br />
si è complimentata con l’Istituto <strong>Omar</strong> che continua ad essere<br />
scuola di eccellenza e punto di riferimento per altre scuole<br />
che lavorano insieme con perfetta collaborazione. Ha annunciato<br />
che la Regione Piemonte ha recentemente stanziato un considerevole<br />
finanziamento per la conclusione dei lavori, non solo<br />
per l’area museale, ma anche per il ricupero dei locali seminterrati,<br />
in modo da fare rientrare in sede le classi ospitate in dependence.<br />
I lavori dovrebbero iniziare presto. L’ing. Porzio si augura<br />
che da questi interventi si possa ottenere anche una capiente<br />
sala conferenze da mettere a disposizione pure di terzi.<br />
Il progetto “Dalla scuola all’azienda sulle vie informatiche” è<br />
stato illustrato dalla vicepreside prof. Franca Brusotti.<br />
In Italia ci sono 36 scuole di eccellenza selezionate dal Ministero<br />
in base a caratteristiche innovazioni tecnologiche; di queste,<br />
tre sono in Piemonte: due a Torino e l’<strong>Omar</strong> a Novara. Fra le<br />
innovazioni tecnologiche ha citato il progetto <strong>Omar</strong>obot che è<br />
stato illustrato anche ai giovani alunni delle scuole medie inferiori.<br />
L’<strong>Omar</strong>, scuola di qualità certificata, vuole mantenere i contatti<br />
con allievi ed ex allievi. Alle numerose richieste di aziende alla<br />
ricerca di neoperiti, l’Istituto vuole dare risposte mirate ed esaurienti.<br />
Per questo sta realizzando una struttura informatica, corredata<br />
anche delle aspettative e dei desideri dei giovani. Questa<br />
struttura sarà molto utile sia ai ragazzi che alle aziende.<br />
La prof. Brusotti inoltre ha informato che la rivista “<strong>Omar</strong> nuovo”<br />
è ora leggibile anche in Internet sul sito dell’<strong>Omar</strong> www.itiomar.net.<br />
Il vicepresidente dott. Stefano Bonetti ha precisato che verso<br />
fine anno sarà convocata un’assemblea straordinaria per la presentazione<br />
del nuovo statuto, la cui bozza verrà preventivamente<br />
distribuita. Ha raccomandato una numerosa partecipazione.<br />
PREMIAZIONI<br />
Il segretario dell’Associazione, Franco La Sala, ha proceduto<br />
alla premiazione dei migliori diplomati nel 2005 e degli omaristi<br />
che hanno compiuto 50 anni di diploma (diplomati nel 1956).<br />
Le medaglie sono state offerte dalla Camera di Commercio di<br />
Novara.<br />
Premiazione dei migliori diplomati del 2005<br />
Due neoperiti hanno avuto la votazione di 100/100 e ad essi è<br />
stata conferita la medaglia d’oro: Claudio Vismara e Davide Tagliafierro,<br />
entrambi del Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni.<br />
Vengono inoltre premiati per le alte votazioni conseguite:<br />
Dip. Chimica: Matteo Clerici e Paolo Grassi<br />
Dip. Elettronica e Telecomunicazioni: Giovanni Martucci, Diego<br />
Amati, Marco Casiraghi, Andrea Graziano, Renato Angelina,<br />
Benedetto Salvo.<br />
Dip. Elettrotecnica e Automazione: Mattia Ferraris, Andrea<br />
Masciaga, Antonio Vanoli<br />
Dip. Meccanica: Marco Milani, Stefano Pironi, Diego Venditti.<br />
Premiazione dei periti al 50° anno di diploma<br />
Elettrotecnici: Angelo Ambu, Giancarlo Bovio, Giancarlo Carbonati,<br />
Antonio Carollo, Silvano Didò, Elio Frontini, Giovanni Luigi<br />
Luparia, Gianfranco Marcodini, Oscar Monzani, Mario Moro,<br />
Giovanni Mottini, Giancarlo Plazzi, Luigi Ravizzotti, Pierangelo<br />
Rossi.<br />
Meccanici: Sergio Bignoli, Albino Caldiroli, Giuliano Cappellaro,<br />
Giorgio Colli, Carlo Costa, Franco Fontana, Giovanni Galante,<br />
Alfio Greco, Piero Martinoli, Angelo Ottolini, Giulio Pastore,<br />
Gaudenzio Vercelloni.<br />
Aeronautici: Carlo Bensi, Giovanni Cardani, Aldo Gioberge,<br />
Pietro Luigi Silvestri, Emilio Vallenzasca, Carmelo Zappelloni,<br />
Angelo Monti.<br />
Hanno concluso i lavori un rinfresco nell’Istituto ed il pranzo<br />
sociale in un vicino ristorante.<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 37<br />
nuovo
Fondazione <strong>Omar</strong><br />
Il D.L. 223/2006 (C.D. “Manovra Prodi”)<br />
Struttura del provvedimento e riepilogo novità fiscali (in sintesi)<br />
Luca Manfredini e Stefano Baron<br />
Dottori Commercialisti associati<br />
Revisori Contabili<br />
1. Premessa<br />
A circa due mesi dal proprio insediamento, il nuovo<br />
Esecutivo ha avvertito la necessità di approvare<br />
“Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale,<br />
per il contenimento della spesa pubblica, nonché<br />
interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione<br />
fiscale”.<br />
Tali disposizioni sono state introdotte mediante<br />
l’emanazione del DL 4-7-2006 n. 223 (del quale il<br />
virgolettato che precede costituisce la rubrica), la<br />
cui conversione, ancorché con rilevanti modifiche rispetto<br />
al testo del decreto originario, si è perfezionata<br />
con l’approvazione da parte dei due rami del<br />
Parlamento della L. 4-8-2006 n. 248.<br />
Per quanto concerne la parte fiscale del provvedimento<br />
(la cui analisi costituisce l’oggetto del presente<br />
lavoro), le relative disposizioni sono rinvenibili<br />
nei commi degli artt. 35, 36, 37 e 39 del DL<br />
223/2006.<br />
All’indomani dell’approvazione definitiva della<br />
legge di conversione del DL 223/2006, l’Agenzia<br />
delle Entrate ha diramato i primi chiarimenti sulle<br />
numerose novità fiscali introdotte dal provvedimento,<br />
licenziando in data 4-8-2006 due distinte Circolari,<br />
aventi per oggetto:<br />
– l’una, i primi chiarimenti concernenti le novità specificamente<br />
afferenti il regime di imposizione indiretta<br />
(IVA e altre imposte indirette) gravante sulle<br />
operazioni di cessione e locazione di beni immobili<br />
effettuate nell’esercizio di impresa, arte o professione<br />
(Circolare 4-8-2006 n. 27/E);<br />
– l’altra, i primi chiarimenti concernenti la generalità<br />
delle altre novità fiscali introdotte dal DL 223/2006<br />
(Circolare 4-8-2006 n. 28/E).<br />
Su alcuni dei più rilevanti profili di novità fiscale<br />
introdotti dal DL 223/2006, si segnalano inoltre i primi<br />
commenti di carattere interpretativo diramati da<br />
Assonime, in occasione della propria Circolare 3-8-<br />
2006 n. 36.<br />
La presente circolare si propone di ripercorrere<br />
la struttura del provvedimento e di segnalare tutti<br />
gli ambiti disciplinari interessati dalle novità di carattere<br />
fiscale introdotte dal DL 223/2006, rinviando<br />
poi a successive circolari “dedicate” l’approfondimento<br />
delle singole tematiche fiscali di maggiore<br />
interesse.<br />
2. Struttura del provvedimento<br />
Il testo post conversione in legge del DL<br />
223/2006 si compone di 52 articoli, ripartiti in 4 Titoli,<br />
taluni dei quali suddivisi a loro volta in Capi.<br />
Il Titolo I comprende gli articoli da 1 a 15, recanti<br />
“Misure urgenti per lo sviluppo, la crescita e la promozione<br />
della concorrenza e della competitività, per<br />
la tutela dei consumatori e per la liberalizzazione<br />
dei settori produttivi”.<br />
Il Titolo II comprende gli articoli da 16 a 34-quinquies,<br />
recanti “Misure per la ripresa degli interventi<br />
infrastrutturali, interventi per il sostegno della famiglia<br />
e misure di contenimento e razionalizzazione<br />
della spesa pubblica”, a loro volta suddivisi in tre distinti<br />
Capi.<br />
Il Capo I del Titolo II comprende gli articoli da 16<br />
a <strong>18</strong>-bis, recanti “Misure per la ripresa degli interventi<br />
infrastrutturali”.<br />
Il Capo II del Titolo II comprende il solo articolo<br />
19, recante “Interventi per le politiche della famiglia,<br />
per le politiche giovanili e per le politiche relative ai<br />
diritti e alle pari opportunità”.<br />
Il Capo III del Titolo II comprende gli articoli da<br />
20 a 34-quinquies, recanti “Misure di contenimento<br />
e razionalizzazione della spesa pubblica”.<br />
Il Titolo III comprende gli articoli da 35 a 38, recanti<br />
“Misure in materia di contrasto all’evasione ed<br />
elusione fiscale, di recupero della base imponibile,<br />
di potenziamento dei poteri di controllo dell’amministrazione<br />
finanziaria, di semplificazione degli adempimenti<br />
tributari e in materia di giochi”.<br />
Il Titolo IV comprende gli articoli da 39 a 41, recanti<br />
“Disposizioni finali”.<br />
3. Disposizioni di carattere fiscale<br />
Come si è accennato, le disposizioni di carattere<br />
fiscale introdotte dal DL 223/2006 sono rinvenibili<br />
nei commi degli artt. 35, 36, 37 e 39.<br />
A parte l’art. 39, il quale reca una specifica modifica<br />
di carattere interpretativo in materia di ICI, gli<br />
altri articoli “fiscali” del DL 223/2006 hanno una natura<br />
estremamente composita, sia per quanto concerne<br />
l’aspetto formale della numerosità dei commi<br />
di cui si compongono, sia per quanto attiene l’aspetto<br />
sostanziale degli ambiti disciplinari interessati<br />
dalle novità e dalle modifiche normative.<br />
Il comparto che senza dubbio risulta maggiormente<br />
interessato dalla manovra fiscale inserita nel<br />
DL 223/2006 è quello immobiliare.<br />
Sugli immobili si può infatti affermare che il legi-<br />
38 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
slatore sia intervenuto “a tutto campo”, introducendo<br />
modifiche e novità in materia di imposizioni dirette,<br />
nonché in materia di accertamento, interessando<br />
al contempo sia la fiscalità degli immobili<br />
posseduti nell’esercizio di impresa (o di arti o professioni),<br />
sia la fiscalità degli immobili posseduti al<br />
di fuori di tale ambito.<br />
Tra i numerosi altri ambiti disciplinari, interessati<br />
dalla manovra fiscale inserita nel DL 223/2006, si ricordano<br />
inoltre:<br />
– le novità in materia di riporto ed utilizzo delle perdite<br />
fiscali conseguite nell’esercizio di impresa,<br />
arti o professioni;<br />
– le novità in materia di determinazione del reddito<br />
di impresa;<br />
– le novità specificamente afferenti gli esercenti arti<br />
e professioni, sia per quel che attiene la determinazione<br />
del reddito di lavoro autonomo, sia per<br />
quel che attiene le modalità di incasso dei compensi<br />
e di pagamento delle spese professionali;<br />
– le novità in materia di trasparenza fiscale delle<br />
società di capitali;<br />
– le novità in materia di società non operative;<br />
– le novità in materia di tassazione dei redditi prodotti<br />
all’estero;<br />
– le novità in materia di presentazione delle dichiarazioni<br />
fiscali annuali e di versamento delle relative<br />
imposte;<br />
– le novità in materia di accertamento sulla base<br />
degli studi di settore;<br />
– le novità in materia di adempimenti IVA (c.d. “elenchi<br />
clienti e fornitori” e certificazione dei corrispettivi),<br />
nonché in materia di rilascio della partita IVA;<br />
– le novità in materia di responsabilità solidale per<br />
IVA, ritenute fiscali e contributi previdenziali tra<br />
committente e appaltatore, nonché tra appaltatore<br />
e subappaltatore.<br />
DL 223/2006 NORME DI CARATTERE FISCALE<br />
Art. 35 Co. 1<br />
Art. 35 Co. 2 - 4<br />
Art. 35 Co. 5 - 6-ter<br />
Art. 35 Co. 7<br />
Art. 35 Co. 8 - 10-sexies<br />
Art. 35 Co. 11<br />
Art. 35 Co. 12 - 12-bis<br />
Art. 35 Co. 13 - 14<br />
Art. 35 Co. 15 - 16<br />
Art. 35 Co. 17 - <strong>18</strong><br />
Art. 35 Co. 19 - 20<br />
Art. 35 Co. 21 - 23-ter<br />
Art. 35 Co. 24<br />
Art. 35 Co. 25 - 26-quater<br />
Art. 35 Co. 26-quinquies<br />
Art. 35 Co. 27<br />
Aliquota IVA applicabile sulle c.d. “consumazioni obbligatorie” nelle discoteche e<br />
sale da ballo<br />
Accertamento ai fini del reddito di impresa e dell’IVA delle operazioni di trasferimento<br />
di beni o diritti reali immobiliari<br />
Responsabilità solidale per l’IVA tra appaltatore e subappaltatore nel settore dell’edilizia<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
Introduzione dei nuovi reati tributari di “Omesso versamento di IVA” e “Indebita<br />
compensazione<br />
Imposizione indiretta (IVA e altre imposte indirette) su cessioni e locazioni immobiliari<br />
effettuate nell’esercizio di impresa, arti o professioni<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
Individuazione dei veicoli per i quali si rendono applicabili le disposizioni limitative<br />
in materia di detraibilità IVA e deducibilità dal reddito di impresa<br />
Obbligo di conto corrente bancario per gli esercenti arti e professioni e modalità<br />
di incasso dei relativi compensi<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
Norme di contrasto al fenomeno delle c.d. “società estero-vestite”<br />
Modifiche alla disciplina in materia di società non operative<br />
Limiti in materia di riporto delle perdite fiscali nel caso di perfezionamento di operazioni<br />
di fusione o scissione<br />
Nuovi obblighi formali ai fini del diritto alla detrazione IRPEF 41% sui lavori di ristrutturazione<br />
immobiliare<br />
Obblighi concernenti la stesura degli atti di compravendita immobiliare e accertamento<br />
degli atti medesimi ai fini dell’imposta di registro<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
Poteri degli Uffici per l’accertamento ai fini dell’imposta di registro<br />
Disposizioni in materia di riscossione<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
Ulteriori atti impugnabili davanti alle commissioni tributarie<br />
Norma introdotta in sede di conversione in legge<br />
Obblighi di comunicazione all’anagrafe tributaria per gli operatori nel settore delle<br />
assicurazioni<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 39<br />
nuovo
Art. 35 Co. 28 - 34 Responsabilità solidale per ritenute fiscali su lavoro dipendente e contributi previdenziali<br />
tra committente e appaltatore<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
Art. 35 Co. 35<br />
Poteri dell’Agenzia delle Dogane per l’espletamento dei controlli<br />
Art. 35 Co. 35-bis Obblighi di comunicazione all’Agenzia delle Entrate da parte delle società di calcio<br />
professionistiche<br />
Norma introdotta in sede di conversione in legge<br />
Art. 35 Co. 35-ter e quater Ripristino dell’aliquota IVA agevolata al 10% sui lavori di ristrutturazione edilizia<br />
fatturati dall’1-10-2006<br />
Norma introdotta in sede di conversione in legge<br />
Art. 36 Co. 1<br />
Abolizione dell’aliquota IVA agevolata al 10% sulle locazioni di fabbricati abitativi<br />
effettuate dalle imprese costruttrici dei medesimi<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
Art. 36 Co. 2<br />
Individuazione delle nozione, ai fini fiscali, di area fabbricabile<br />
Art. 36 Co. 5 - 6-ter Limiti alla deduzione dal reddito di impresa del costo sostenuto per l’acquisto di<br />
autoveicoli<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
Art. 36 Co. 7 - 8<br />
Deducibilità fiscale delle quote di ammortamento relative a fabbricati strumentali<br />
Art. 36 Co. 9 - 11 Limiti alla compensazione delle perdite fiscali con i redditi imputati per trasparenza<br />
da società di capitali<br />
Art. 36 Co. 12 - 14 Limiti al riporto e all’utilizzazione delle perdite fiscali<br />
Art. 36 Co. 15<br />
Aliquota agevolata ai fini dell’imposta di registro per i trasferimenti di immobili in<br />
piani urbanistici “particolareggiati”<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
Art. 36 Co. 16 - 17 Modifiche alla disciplina della trasparenza fiscale delle società di capitali<br />
Art. 36 Co. <strong>18</strong> - 19 Indeducibilità dal reddito di impresa delle minusvalenze realizzate per effetto di<br />
assegnazione o di destinazione a finalità estranee all’impresa<br />
Art. 36 Co. 20 - 21 Modifiche alla disciplina fiscale, nell’ambito del reddito di impresa, dei lavori in<br />
corso di durata ultrannuale<br />
Art. 36 Co. 22 - 23 Determinazione del reddito complessivo dei residenti e dei non residenti<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
Art. 36 Co. 24<br />
Applicazione della ritenuta fiscale alla fonte sui compensi percepiti in relazione ad<br />
obblighi di fare, non fare o permettere<br />
Art. 36 Co. 25 - 26 Disciplina fiscale delle c.d. “stock options”<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
Art. 36 Co. 27 - 28 Modifiche alla disciplina delle perdite fiscali realizzate nell’esercizio di imprese in<br />
contabilità semplificata o nell’esercizio di arti o professioni<br />
Art. 36 Co. 29<br />
Modifiche alla disciplina del reddito di lavoro autonomo<br />
Art. 36 Co. 30<br />
Norma interpretativa concernente la disciplina del credito per le imposte pagate all’estero<br />
Art. 36 Co. 31<br />
Abrogazione dell’articolo del TUIR specificamente dedicato alla località di Campione<br />
d’Italia<br />
Art. 36 Co. 32<br />
Deducibilità dei contributi previdenziali obbligatori in presenza di sospensione<br />
dell’obbligo di versamento per calamità pubbliche<br />
Art. 36 Co. 33<br />
Abrogazioni varie di norme tributarie<br />
Art. 36 Co. 34<br />
Rideterminazione dell’acconto IRES ed IRAP dovuto per il 2006 tenendo conto<br />
delle novità introdotte dal DL 223/2006 per la determinazione della base imponibile<br />
delle relative imposte<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
Art. 36 Co. 34-bis Norma interpretativa in materia di tassazione dei proventi illeciti<br />
Norma introdotta in sede di conversione in legge<br />
Art. 37 Co. 1<br />
Estensione della qualifica di sostituti di imposta ai curatori fallimentari ed ai commissari<br />
liquidatori<br />
Art. 37 Co. 2 - 3<br />
Ampliamento dell’accertabilità sulla base degli studi di settore<br />
Art. 37 Co. 4 - 5<br />
Novità in materia di anagrafe tributaria<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
40 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
Art. 37 Co. 6 - 7<br />
Art. 37 Co. 8 - 9<br />
Art. 37 Co. 10 - 14<br />
Art. 37 Co. 15 - 17<br />
Art. 37 Co. <strong>18</strong> - 20<br />
Art. 37 Co. 21 - 23<br />
Art. 37 Co. 24 - 26<br />
Art. 37 Co. 27 - 28<br />
Art. 37 Co. 29 - 30<br />
Art. 37 Co. 31 - 32<br />
Art. 37 Co. 33 - 37<br />
Art. 37 Co. 38 - 39<br />
Art. 37 Co. 40 - 44<br />
Art. 37 Co. 45 - 48<br />
Art. 37 Co. 49<br />
Art. 37 Co. 50<br />
Art. 37 Co. 51 - 52<br />
Art. 37 Co. 53 - 56<br />
Art. 37 Co. 57<br />
Art. 39<br />
Modifiche alla disciplina delle sanzioni amministrative tributarie<br />
Reintroduzione dell’obbligo di compilazione e presentazione dei c.d. “elenchi<br />
clienti e fornitori”<br />
Modifiche ai termini di presentazione delle dichiarazioni fiscali annuali e di versamento<br />
delle relative imposte e ritenute<br />
Introduzione di un nuovo regime di esclusione da IVA per contribuenti con volume<br />
di affari non superiore a 7.000 euro<br />
Nuova procedura di rilascio della partita IVA e relativi vincoli<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
Regolamentazione dei flussi informativi tra Camere di Commercio e Agenzia delle<br />
Entrate<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
Allungamento dei termini per l’accertamento, ai fini delle imposte sul reddito ed ai<br />
fini IVA, in presenza di reati penalmente rilevanti<br />
Novità in materia di notifiche<br />
Sanzioni applicabili sulle mancate restituzioni dei questionari inviati dall’Agenzia<br />
delle Entrate<br />
Modifiche concernenti la disciplina dell’accertamento ai fini delle imposte sul<br />
reddito<br />
Obbligo di trasmissione all’Agenzia delle Entrate dei corrispettivi giornalieri da<br />
parte dei commercianti al minuto e soggetti assimilati<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
Modifiche alla disciplina dei redditi diversi per quanto concerne le plusvalenze su<br />
immobili precedentemente ricevuti in donazione<br />
Norme parzialmente modificate in sede di conversione in legge<br />
Liquidazione delle imposte dovute su TFR e indennità equipollenti<br />
Modifiche alla disciplina del reddito di impresa per quanto attiene la deducibilità<br />
degli ammortamenti su immobilizzazioni materiali e delle spese di ricerca e sviluppo<br />
Obbligo di presentazione telematica degli F24 per i soggetti titolari di partita IVA<br />
Esclusione dell’anatocismo sugli interessi previsti per il rimborso dei tributi<br />
Abrogazioni varie di norme tributarie<br />
Novità in materia di dichiarazione e versamento dell’ICI<br />
Copertura finanziaria delle minori entrate derivanti dall’adeguamento alla normativa<br />
comunitaria della disciplina sui c.d. “dividendi madre-figlie”<br />
Norma interpretativa concernente il diritto all’esenzione ICI per taluni immobili di<br />
enti non commerciali<br />
4. DECORRENZA<br />
Il DL 223/2006 è entrato in vigore il giorno stesso<br />
della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ossia<br />
il 4-7-2006.<br />
La L. 248/2006 (nella quale il decreto è stato convertito<br />
con modificazioni) è entrata in vigore il giorno<br />
successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta<br />
Ufficiale, ossia il 12-8-2006.<br />
In sede di conversione in legge del DL 223/2006,<br />
è stato peraltro inserito l’art. 41-bis, ai sensi del quale<br />
gli atti e i contratti pubblici e privati, emanati, stipulati<br />
o comunque posti in essere nello stesso giorno<br />
della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto<br />
(4-7-2006) restano assoggettati alla disciplina<br />
previgente.<br />
La presente circolare è stata redatta in collaborazione<br />
con l’Associazione Dottori Commercialisti Milano<br />
e con il Gruppo di Studio - Eutekne.<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 41<br />
nuovo
Fondazione Tera<br />
Incontro-convegno “Elettricità per la ricerca sul cancro”<br />
Nell’ambito della fiera “Elettrica” indetta a Novara dalla Comoli Ferrari & C. (30<br />
marzo – 2 aprile 2006), la Fondazione Tera ha organizzato l’incontro-convegno in<br />
argomento. Dopo il saluto dell’ing. Giuseppe Ferrari, vicepresidente della Comoli<br />
Ferrari & C. S.p.A., ha tenuto la prolusione il prof. Paolo Garbarino, rettore<br />
dell’Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro”. Sono poi seguite le relazioni<br />
del prof. Ugo Amaldi, presidente Fondazione Tera, Cern di Ginevra, Università<br />
Milano Bicocca; della prof.ssa Eliana Baici, vice presidente Banca Popolare di<br />
Novara, Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro”; del prof. Elio Borgonovi,<br />
direttore SDA Bocconi; del dott. Saverio Braccini, direttore ricerca Tera. Si riportano,<br />
qui di seguito, stralci delle relazioni dei professori Amaldi, Baici, Braccini.<br />
L’elettricità: dalla s<strong>cop</strong>erta<br />
al suo uso nella terapia dei tumori<br />
Ugo Amaldi<br />
Università Milano Bicocca e Fondazione Tera<br />
I primi 150 anni<br />
42 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 43<br />
nuovo
44 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
Gli “acceleratori”<br />
producono nel vuoto<br />
correnti fatte<br />
di elettroni<br />
o di adroni<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 45<br />
nuovo
46 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 47<br />
nuovo
48 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 49<br />
nuovo
Fondazione Tera<br />
Incontro-convegno “Elettricità per la ricerca sul cancro”<br />
L’attività innovativa<br />
in provincia di Novara<br />
Eliana Baici<br />
Università Piemonte Orientale “A. Avogadro”<br />
50 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 51<br />
nuovo
52 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 53<br />
nuovo
Fondazione Tera<br />
Incontro-convegno “Elettricità per la ricerca sul cancro”<br />
Le attività di ricerca<br />
della Fondazione Tera<br />
Saverio Braccini<br />
Fondazione per Adroterapia Oncologica Tera<br />
54 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 55<br />
nuovo
56 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 57<br />
nuovo
58 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 59<br />
nuovo
60 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 61<br />
nuovo
62 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX
Spigolature <br />
Giochi matematici<br />
Basilio a cura Catania di Silvano Andorno<br />
Problema n. 1<br />
Un cacciatore di orsi parte per una battuta di caccia. Raggiunto il luogo desiderato pianta la sua tenda prepara<br />
tutte le sue cose. Si incammina verso Sud per un chilometro alla ricerca di orsi, ma non trova nulla. Decide<br />
perciò di deviare percorrendo un chilometro verso Est. Di nuovo non trova nulla e si dirige ora verso Nord. Dopo<br />
un chilometro trova un orso che sta frugando proprio nella tenda che lui aveva piantato poco prima; lo agguanta<br />
con la sua rete e lo cattura. Di che colore è l’orso e perché è certamente di quel colore<br />
Problema n. 2<br />
Quest’estate vado in vacanza in Sildavia. Ecco gli orari dei voli, per l’andata e per il ritorno, espressi nell’ora locale.<br />
Partenza da Parigi: ore 23.30. Arrivo a Sildavalle: ore 9.45 del giorno successivo. Partenza da Sildavalle:<br />
ore 11.00. Arrivo a Parigi: ore 15.15 dello stesso giorno. La durata del volo è la stessa all’andata e al ritorno.<br />
Qual è questa durata<br />
Problema n. 3<br />
Una piccola rana si trova alla base di una scala composta da 21 gradini. Con un primo salto arriva al secondo<br />
gradino; poi continua a salire la scala con balzi di due gradini. Purtroppo i gradini che portano i numeri 5, 10,<br />
15 e 20 sono scivolosi e quando la rana arriva su uno di questi scivola e ridiscende di un gradino. Quanti salti<br />
deve fare la rana per raggiungere il ventunesimo gradino<br />
Soluzioni dei problemi apparsi sul n. 17<br />
Soluzione del problema n. 1<br />
Indicate con v e w le velocità, rispettivamente, di Angelo e di Renato, con l lo sviluppo della pista e con t il tempo<br />
impiegato da Angelo per sorpassare Renato, si ha:<br />
(v – w)t = l [1]<br />
L’informazione che Angelo e Renato si incrociano ogni 20 secondi (correndo in senso opposto) porta, indicato<br />
con t* il tempo che intercorre tra due incroci successivi, alla seguente equazione:<br />
(v + w)t* = l [2]<br />
Risolvendo il sistema formato dalle [1] e [2], si ottiene:<br />
v = 600 m / min = 36 km / h<br />
Soluzione del problema n. 2<br />
L’ordine di partenza delle carte era: 7, 1, 5, 10, 2, 9, 3, 6, 8, 4.<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX<br />
OMAR 63<br />
nuovo
Spigolature<br />
Motivazioni esilaranti<br />
di sinistri stradali<br />
Giuseppe Alberti 1<br />
Ricordate il celebre libro di Marcello D’Orta “Io<br />
speriamo che me la cavo” Le ingenue e sgrammaticate<br />
analisi di quei rampolli delle elementari impallidiscono<br />
al cospetto delle giustificazioni che tanti<br />
padri (e madri) affidano al Cid, il modulo di constatazione<br />
amichevole nato per snellire i risarcimenti<br />
dopo un incidente, oppure ai verbali di descrizione<br />
unilaterale dei sinistri.<br />
Nelle caselle riservate alla descrizione compare<br />
di tutto, un involontario umoristico bestiario che gli<br />
assicuratori hanno raccolto (con il solo beneficio<br />
dell’anonimato per proteggere gli autori) in un curioso<br />
poster e addirittura affisso a mo’ di quadro in<br />
qualche ufficio: serve, dicono, a rallegrare l’atmosfera.<br />
Sono affermazioni tutte rigorosamente vere e<br />
non possono certo lasciare indifferenti.<br />
L’Oscar dell’ilarità spetta indubbiamente a questa<br />
spiegazione: “Mi sono scontrato con una pompa<br />
di benzina proveniente dall’altra direzione”.<br />
Gli arredi urbani, si sa, rappresentano un vero<br />
pericolo; infatti non viaggiano soltanto i distributori:<br />
“Il palo della luce si stava avvicinando, stavo tentando<br />
di schivarlo quando mi venne addosso”. Di<br />
più: “Giungevo all’incrocio quando improvvisamente<br />
apparve un cartello di stop dove non era mai apparso;<br />
non riuscii a fermarmi in tempo”.<br />
Molto vasta la casistica degli errori: “Andando a<br />
casa ho girato nella villetta sbagliata e mi sono<br />
scontrato con un albero che non ho”. E ancora: “Il tipo<br />
barcollava in mezzo alla strada, ho dovuto sterzare<br />
diverse volte prima di investirlo”. “Ho guidato<br />
40 anni poi mi sono addormentato al volante e ho<br />
avuto un incidente”. “Per evitare di colpire il paraurti<br />
della macchina davanti stirai il pedone”.<br />
Due davvero mitiche: “Avevo detto alla polizia<br />
che non ero ferito, ma togliendomi il cappello ho<br />
s<strong>cop</strong>erto di avere il cranio fratturato”. “Il pedone non<br />
aveva idea di dove scappare e così io andai verso<br />
di lui”.<br />
Dopo gli errori, il capitolo dispetti: “L’altra vettura<br />
mi ha urtato senza dare avviso delle sue intenzioni”;<br />
“Un pedone mi ha colpito ed è finito sotto la mia auto”;<br />
“Avevo comprato diverse piante, arrivato ad un<br />
incrocio una di queste mi si fece davanti <strong>cop</strong>rendomi<br />
la visuale: ecco perché non vidi l’altra macchina”.<br />
Sezione animali: “Dopo il piccolo incidente il mio<br />
cane che era nell’auto si è messo ad abbaiare, così<br />
la mia controparte è scappata”; “Mentre tentavo di<br />
uccidere una mosca mi sono scontrato con un palo<br />
del telefono”.<br />
Stranieri: “Chi mi ha tamponato voleva scrivere il<br />
Cid in arabo, così mi sono rifiutato di firmarlo”.<br />
Figli: “L’autoradio era a pieno volume, mio figlio<br />
che mi era accanto cantava, così non ho sentito la<br />
sirena dell’autoambulanza, scontrandola”.<br />
Sezione mogli: “Un camion si è scontrato con la<br />
faccia di mia moglie”; “Non vorrei che di questa denuncia<br />
ne fosse informata mia moglie”.<br />
Invisibili: “Una macchina invisibile uscì da chissà<br />
dove, urtò la mia auto e scomparve”.<br />
1<br />
Tratto da “La Stampa” del 30-3-2006, pag. 35<br />
64 OMAR<br />
nuovo<br />
n. <strong>18</strong> • Novembre 2006 • Anno IX