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2011. Secondo semestre. - Il Covile

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A<br />

B<br />

N°650<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

6 LUGLIO 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

S U L L A R I M A<br />

DOVE VENGONO SPIEGATE LE RAGIONI<br />

D I U N A D E L L E N O S T R E P I Ù<br />

I M P O R T A N T I B A T T A G L I E<br />

( G I À V I N T A )<br />

N<br />

I testi che seguono risalgono al 2008, n°433, e segnano l'inizio<br />

del nostro impegno per la ripresa della poesia in<br />

rima. Nel sottotitolo in alto si parla di una battaglia forse<br />

già vinta, la conferma ci viene sia dalla quantità e qualità<br />

delle rime che continuano a comparire nel <strong>Covile</strong> 1 , sia<br />

dai segnali di sconfitta e desolazione, e soprattutto di<br />

oblio, che giungono dal campo di quella che Dalmazio<br />

Masini chiama “non poesia”. Basti pensare che nel maggio<br />

dello scorso anno, per la morte del celebrato poeta d'avanguardia<br />

Edoardo Sanguineti (Gruppo '63), <strong>Il</strong> Manifesto<br />

era costretto a pubblicare gli unici suoi due versucci<br />

in rima e neanche uno dei mille sconclusionati ed illeggibili<br />

“versi liberi”. N<br />

INDICE<br />

p. 1 Nicola Casanova illustra le convincenti posizioni di<br />

Carl Schmitt sulla rima.<br />

p. 4 Dalmazio Masini, paroliere (ha vinto anche un Festival<br />

di S.Remo) e poeta, spiega perché in difesa della<br />

rima ha fondato a Firenze la benemerita Accademia Vittorio<br />

Alfieri http://www.accademia-alfieri.it.<br />

p. 6 Un commento a caldo di Fabio Brotto.<br />

p. 7 Tre poesie scelte, una di Dalmazio Masini e due di<br />

Giorgio Caproni.<br />

p. 8 <strong>Il</strong> Manifesto del Dolce Stile Eterno dell'Accademia<br />

Vittorio Alfieri, un buon punto di partenza.<br />

1 N°557 (dic. 2009) Luca Nocenti traduce La ballata del vecchio<br />

marinaio di Samuel T. Coleridge, n°581 (apr. 2010) Gabriella<br />

Rouf traduce La dama di Shalott di Alfred Tennyson, n°584 (apr.<br />

2010) Rodolfo Caroselli traduce il Sonetto XL di Edmund Spenser<br />

(e ancora nel n°615, dic. 2010 un altro sonetto), n°591 (mag.<br />

2010) Sergio Castrucci propone il suo poemetto didascalico SN<br />

1054 (crab nebula), n°644 (mag. 2011) Gabriella Rouf traduce<br />

Maud Muller.<br />

a La poesia per Carl Schmitt: rima e<br />

ordine.<br />

DI NICOLA CASANOVA<br />

Da: “La rima e lo spazio (‘Reim und Raum’): Carl Schmitt<br />

fra poeti e scrittori”, di Nicola Casanova, in Confini in disordine,<br />

a cura di Bruno Accarino, manifestolibri, Roma,<br />

settembre 2007, p. 103-107.<br />

La poesia è il genere letterario più amato da<br />

Carl Schmitt. Già durante gli anni del<br />

Gymnasium di Attendom ebbe l’idea di scrivere<br />

un romanzo in versi dal titolo Die blutige<br />

Schlacht um Mitternacht. Conservò comunque<br />

l’abitudine di comporre versi fino<br />

in tarda età.<br />

Noto è il suo Canto del sessantenne, riportato<br />

in Ex Captivitate Salus, dove ripercorre<br />

in rima le vicissitudini e i rovesci della<br />

propria vita e del proprio tempo. Frequenti,<br />

nelle lettere agli amici, le strofe in cui esprimeva<br />

il suo punto di vista su qualche personaggio<br />

della cultura contemporanea. Canzonava<br />

spesso in versi, e con eguale frequenza<br />

spediva versi dei suoi poeti preferiti,<br />

Konrad Weiss e Theodor Däubler, quando<br />

voleva spiegare allusivamente un problema<br />

di particolare complessità.<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2010 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

<strong>Il</strong> suo saggio del 1916 sul Nordlichf di<br />

Däubler non può affatto essere considerato<br />

una casuale intromissione, dettata dalla passione<br />

per la letteratura, nel curriculum di un<br />

giurista. Schmitt, giovane e attento lettore<br />

di lirica contemporanea, fu uno dei primi e<br />

fra i pochi ad accorgersi della pubblicazione<br />

del poema di Däubler, ed a leggere e subito<br />

amare i circa trentamila versi che lo compongono.<br />

Däubler è citato sei volte anche<br />

nella dissertazione Der Wert des Staates und<br />

die Bedeutung des Einzelnen, che Schmitt<br />

diede alle stampe nel 1914 e presenterà pochi<br />

anni più tardi come tesi di abilitazione<br />

alla docenza universitaria.<br />

La scelta di campo per la poesia si precisa<br />

rapidamente come una consapevole scelta<br />

per la poesia in rima. Già nel 1914 il giurista<br />

aveva scritto un breve saggio su Däubler,<br />

preparatorio a quello del 1916 e poi ritrovato<br />

nel Nachlass. Esso si intitola: Theodor<br />

Däubler, der Dichter des ‘Nordlicht’, e vi si<br />

legge:<br />

«La rima diventa per la prima volta l’essenza<br />

della poesia, non un passatempo amabile e occasionalmente<br />

profondo, ma il più importante<br />

portatore dei suoi effetti, ed ancora di più: essa<br />

scopre le relazioni fra i pensieri, e diventa<br />

la cisterna della più profonda bellezza dei<br />

pensieri».<br />

Per riprendere il filo del ragionamento di<br />

Schmitt intorno al significato della rima<br />

dobbiamo lasciar trascorrere trent’anni,<br />

spostarci nel secondo dopoguerra, e mettere<br />

in sequenza alcuni passi, che traiamo dagli<br />

scritti autobiografici, dalle lettere e dagli<br />

appunti del periodo 1945-1952. Sono anni<br />

amari per Schmitt. La sequenza appesantisce<br />

la nostra esposizione, ma contiene il<br />

nocciolo del ragionamento ed è perciò necessaria.<br />

Nel 1945, in una lettera a Jünger, Schmitt<br />

così descrive la lettura di una poesia di<br />

Annette von Droste-Hùlsoff, la poetessa<br />

cattolica vissuta nella prima metà dell’Ottocento,<br />

caratteristica per il suo stile sobrio,<br />

estraneo al romanticismo contemporaneo:<br />

«Io mi sprofondo con tutte le radici della mia<br />

anima, in ogni parola ed in ogni verso, e nel<br />

ritmo della sua metrica da libro delle preghiere,<br />

il quale circonda la poesia e la protegge<br />

come un baluardo (umhegt wie ein Schutzwall),<br />

un muro difensivo da una bellezza soltanto<br />

lirica».<br />

Tra il 1945 ed il 1947 Schmitt viene accusato<br />

di collaborazionismo, conosce l’internamento<br />

e viene più volte interrogato.<br />

Ex Captivitate Salus è frutto di quella difficile<br />

fase, e si chiude con un breve testo, La<br />

sapienza della cella. Un testo che contiene<br />

importanti e famose frasi sull’identità del<br />

nemico, del quale noi mettiamo invece in<br />

evidenza questo passaggio:<br />

«Io perdo il mio tempo e guadagno il mio spazio.<br />

D’un tratto mi sorprende la quiete che<br />

custodisce il senso delle parole. Raum (spazio)<br />

e Rom (Roma) sono la stessa parola. Meravigliose<br />

sono l’energia spaziale e la forza germinativa<br />

della lingua tedesca. Essa ha fatto sì<br />

che Wort (parola) e Ort (luogo) rimino fra loro.<br />

Ha addirittura conservato a Reim (rima) il<br />

suo senso spaziale e permette ai suoi poeti il<br />

gioco oscuro di Reim e Heimat (patria).<br />

Nella rima la parola cerca il suono fraterno<br />

del suo senso. La rima tedesca non è il fuoco<br />

luminoso delle rime di Victor Hugo. È eco,<br />

abito e ornamento e al tempo stesso una bacchetta<br />

da rabdomante delle dislocazioni di<br />

senso. Ora mi afferra la parola di poeti sibillini,<br />

dei miei così diversi amici Theodor Däubler<br />

e Konrad Weiss. L’oscuro gioco delle loro<br />

rime diviene senso e preghiera».<br />

Anche il Glossario riserva alla rima la<br />

stessa enfatica partecipazione dell’autore.<br />

Nel novembre del 1949 Schmitt appunta:<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 650


| ( 3 ) |<br />

«Come sono belle e piacevoli le rime felici e<br />

ben riuscite. Con Geschrei (urlo) fa sorprendentemente<br />

rima Schalmei (piffero); con<br />

Reim, con mia grande soddisfazione, Heim<br />

(dimora). La rima è il grande criterio.<br />

L’esistenzialismo ateo uccide la rima. Anche<br />

tragicità e rima sono incompatibili. Fintanto<br />

che si realizza anche una sola rima, non c’è<br />

ancora il caos e il nichilismo non ha ancora<br />

trionfato. Appena una rima autentica risuona,<br />

l’anima il caos d’un tratto abbandona... La rima<br />

non si lascia isolare; in essa tutto è incontro,<br />

eco e controeco delle parole, tutto è massima<br />

libertà e massimo ordine».<br />

Negli anni, Schmitt legge i poeti (maggiori<br />

e minori) sempre guidato dalle considerazioni<br />

sulla rima. Alvaro d’Ors, uno dei<br />

molti amici spagnoli, ricorda di avergli sentito<br />

identificare la rima «come essenzialmente<br />

(non solo storicamente) cristiana, a<br />

guisa di ascesi estetica del “minus ut plus”».<br />

Nel 1949 accenna per due volte, nel Glossario<br />

al debordante amore per la rima presente<br />

nella poesia di Victor Hugo. Nel secondo<br />

caso, sottolinea un’osservazione di Ernest<br />

Hello, che stabiliva un’analogia fra la rima<br />

ed il colore: la rima è per il verso quel che il<br />

colore è per la pittura. Schmitt annota:<br />

«Importante nell’epoca del colore<br />

sfrenato!». Nel febbraio del 1952, scrive ad<br />

Armin Mohler:<br />

«II senso della rima si diffonde poco a poco.<br />

Stefan George è più solido di Rilke proprio<br />

nella rima. Costui ha soltanto rime fuori del<br />

comune».<br />

Ma in questo periodo commenta e chiede<br />

continuamente notizie di Erhard Hürsch<br />

(«E veramente un grande poeta e nel Gestirn<br />

ci sono magnifiche frasi. Vorrei un<br />

giorno confrontare da vicino il suo ‘astrismo’<br />

terraneo con quello cosmico di Däubler»).<br />

Nel 1965 appare la poesia di Paul<br />

Gerhardt:<br />

«A partire dal problema della rima (e della<br />

questione per cui egli è scomparso a partire<br />

dal 1945) mi sono imbattuto da un anno in<br />

Paul Gerhardt quale mio poeta-consolatore;<br />

naturalmente si tratta di un luterano».<br />

Tra il 1914 e il secondo dopoguerra non<br />

c’è, in effetti, discordanza. Schmitt aveva<br />

già individuato il nodo che lo interessava, e<br />

della poesia lo interessava l’aspetto ordinativo,<br />

non quello lirico. Quel che ancora gli<br />

mancava era una connessione fra la poesia e<br />

il diritto, che gli permettesse di interpretare<br />

compiutamente la rima poetica come una<br />

forma ordinativa del reale, un principio di<br />

ordine (retorico, e non ontologico), di difesa<br />

da un caos che incombe e va trattenuto.<br />

Potremmo dire: un ulteriore strumento katechontico.<br />

Carl Schmitt che accosta Wort e Ort è<br />

però l’uomo che da una decina d’anni si affatica<br />

sui rapporti fra la spazialità, la politica<br />

e il diritto delle genti, e che sta per pubblicare<br />

II Nomos della terra. In questo<br />

splendido libro, uno dei temi d’apertura del<br />

primo fra i corollari introduttivi è la delimitazione,<br />

la recinzione della terra; e il primo<br />

paragrafo del successivo capitolo, che apre<br />

la storia dello jus publicum Europaeum, si<br />

intitola: «Le prime linee globali».<br />

Quel che a Schmitt si andava chiarendo<br />

era la possibilità di un’analogia in grande<br />

stile fra poesia e diritto sul terreno della<br />

spazialità. Un’analogia che ricorda la sua<br />

antica dimestichezza con l’analogia strutturale<br />

fra teologia e dottrina dello Stato,<br />

avanzata nel 1922 in Teologia politica. Questa<br />

volta, Schmitt disvela come il rapporto fra<br />

la rima e la parola sia simile a quello fra i<br />

confini e lo spazio terrestre.<br />

Quest’analogia fra il ruolo della rima e<br />

quello della linea si inoltra anche negli elementi<br />

spaziali non originari per l’uomo, il<br />

6 luglio 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

mare e l’aria. Così come Schmitt insiste sulla<br />

«tecnica scatenata» – effetto della conquista<br />

inglese del mare e della decisione degli<br />

inglesi per un’esistenza marittima – si da<br />

nel Novecento la «rima scatenata»:<br />

«La rima scatenata, il cui primo scoppio è avvenuto<br />

– sì, avvenuto – nel corso della prima<br />

guerra mondiale, in agosto (August<br />

Stramm)».<br />

Questa osservazione chiude una nota del<br />

Glossario nella quale Schmitt ha ripreso il<br />

tema del rapporto rima-colore, che abbiamo<br />

già ricordato, con qualche aggiunta:<br />

«Oggi sperimentiamo il colore come elemento,<br />

il colore assolutamente libero, la cui forza<br />

spaziale è più grande dell’illusione spaziale di<br />

qualsiasi prospettiva lineare. Viviamo Paul<br />

Klee come un mondo nuovo».<br />

La perdita di forma e di misura, che ha<br />

attecchito tanto nella pittura che nella poesia,<br />

viene identificata proprio in Stramm, il<br />

rilevante drammaturgo e poeta espressionista,<br />

caduto al fronte nel 1915. I suoi drammi<br />

violenti, l’estrema concisione del linguaggio,<br />

il semplice grido utilizzato nelle poesie,<br />

si oppongono alla funzione ordinativa della<br />

rima su cui insisteva Schmitt.<br />

NICOLA CASANOVA<br />

a Poesie senza memoria.<br />

DI DALMAZIO MASINI<br />

Da: “<strong>Il</strong> Dolce Stile Eterno” supplemento de L’Alfiere del<br />

giugno 2003.<br />

Venerdì 2 Maggio, ore 14,30 circa. Accendo<br />

il televisore e immediatamente mi blocca la<br />

prima immagine perché su RAI 1, nella trasmissione<br />

di Massimo Giletti, vedo campeggiare<br />

il volto noto di Maria Luisa Spaziani<br />

(da molte parti indicata come la maggiore<br />

poetessa italiana del secondo novecento).<br />

L’intervista è appena iniziata. Si sta parlando<br />

di poesia contemporanea e di quanto<br />

questa sia scaduta nell’interesse della gente<br />

(la Spaziani dice che l’indifferenza è la peggiore<br />

nemica della poesia. Non chi brucia i<br />

libri, ma coloro che i libri li guardano come<br />

se fossero niente). Intanto Giletti avanza l’ipotesi<br />

che gran parte di questa “indifferenza”<br />

sia dovuta anche all’uso e abuso del facile<br />

prosaico “verso libero”, ma la Spaziani<br />

ribatte dicendo la cosa che da sempre aspettavo<br />

di sentire: dice che quando si parla di<br />

“verso libero” bisogna fare attenzione, perché<br />

molti “non poeti” credono che sia poesia<br />

andare al rigo di sotto a proprio piacimento,<br />

e invece, secondo lei, il verso libero<br />

è frutto di studio e grande fatica, mentre,<br />

sempre secondo lei, l’uso di metri e rime è<br />

solo un facile modo di fare poesia.<br />

E Giletti allora pone la domanda che sognavo:<br />

“Vuol dare un esempio ai telespettatori”<br />

Capirete il mio interesse, visto che nel<br />

mio desiderio di dare solide regole ai miei<br />

scritti devo continuamente sudarmi endecasillabi<br />

e settenari proprio perché la regolamentazione<br />

del verso libero non l’ho mai<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 650


| ( 5 ) |<br />

conosciuta. (E non mi vergogno a confessare<br />

che, quando avevo vent’anni e scrivevo<br />

quasi esclusivamente in versi liberi seguendo<br />

una facile moda, sudavo molto meno i miei<br />

scritti e andavo al rigo di sotto sempre a<br />

caso, come pensavo facessero tutti).<br />

Ma capirete anche la mia delusione quando<br />

la Spaziani temporeggia dicendo che in<br />

quel momento non le viene in mente nessun<br />

possibile esempio. Giletti insiste, ma lei fermamente<br />

rifiuta ogni ragionamento esplicativo.<br />

E a quel punto la mia delusione diventa<br />

entusiasmo, perché mi appare più chiaro<br />

quello che mi appare chiaro da 20 anni: il<br />

grande bluff della poesia del nostro secolo.<br />

Ma non finisce qui, anzi qui inizia la parte<br />

migliore del programma, perché interviene<br />

Cristiano Malgioglio (autore di testi di<br />

tante canzoni) e dice che oggi molta gente<br />

considera le parole di certe canzoni più impegnate<br />

la migliore forma di poesia del XX<br />

secolo. La Spaziani nega questa possibilità,<br />

e su questo io, che pure ho pubblicato più di<br />

400 canzoni, delle quali almeno 4 o 5 anche<br />

di buon livello letterario, concordo con<br />

lei. La canzone, a differenza della poesia,<br />

nasce subito come “oggetto” da destinare a<br />

un vasto pubblico, deve piacere per vivere, e<br />

per piacere deve venire a compromessi con<br />

le esigenze del musicista e con quelle del discografico.<br />

Quindi, più che di prodotto artistico,<br />

si può parlare di buono o cattivo prodotto<br />

artigianale.<br />

Poi entra in scena uno strano tipo di cabarettista<br />

che usa musicare e cantare testi di<br />

grandi poeti, da Dante a D’Annunzio, ai<br />

contemporanei, e per fare un esempio pratico<br />

di come una buona poesia possa diventare<br />

una buona canzone canta un brano fatto su<br />

una poesia del repertorio italiano più recente.<br />

La Spaziani ascolta con distacco senza<br />

battere ciglio e alla fine Giletti le chiede se<br />

ha gradito la sorpresa. Ma lei non capisce il<br />

senso della domanda e allora le viene precisato<br />

che il brano era una sua poesia edita.<br />

Chiaramente lei accusa il colpo, ma dopo un<br />

attimo di imbarazzo si giustifica dicendo che<br />

ha scritto più di 3.000 poesie e che non può<br />

ricordarsele tutte.<br />

Ed io quanto gongolo a questa risposta!<br />

Mi chiedo come una grande poetessa come<br />

lei, pupilla di Montale, non capisca che non<br />

può smentirsi così platealmente. Essere lei<br />

la prima grande indifferente davanti ad un<br />

suo testo poetico e poi, con l’affermazione<br />

di aver scritto migliaia di poesie, far capire<br />

che quel tipo di poesia non è il lavoro faticoso<br />

prima detto. Ce ne sono di bravi poeti<br />

che, scrivendo in metrica e in rima, hanno<br />

scritto più di 3.000 poesie Non ne conosco<br />

né tra i contemporanei né tra quelli di altri<br />

secoli. In compenso conosco moltissimi<br />

poeti e poetesse, anche ripetutamente premiati<br />

in concorsi letterari, che impiegano in<br />

media una decina di minuti per scrivere una<br />

poesia e che oggi affermano di averne già<br />

scritte 20/30.000; per non parlare poi di un<br />

certo Martini che si vanta di aver superato il<br />

numero di 1.200.000.<br />

Ma noi sappiamo che non è la grande<br />

produzione che può fare grande un autore,<br />

bensì la bellezza che si raggiunge con un<br />

grande impegno di elaborazione. E crediamo<br />

che solo combattendo la faciloneria della<br />

maggior parte della “non poesia” del Novecento<br />

si possa sperare di tornare a vedere<br />

in un futuro, che ci auguriamo sempre più<br />

vicino, l’oggetto “poesia” tornare ad essere<br />

uno degli amorosi oggetti capaci di rendere<br />

bello il vivere.<br />

DALMAZIO MASINI<br />

6 luglio 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

a Un commento.<br />

DI FABIO BROTTO<br />

La questione della poesia di questi anni è una<br />

questione smisurata, che provoca una “smisurata<br />

sentenza” che io non pronuncio. Sono<br />

contentissimo di apprendere della figuraccia<br />

della Spaziani (non amo le poetesse incoronate<br />

— il femminile non è casuale). Molto<br />

di quel che si dice qui sul “poetare” lo condivido,<br />

e in un certo senso lo si potrebbe<br />

estendere al dipingere. La musica è differente:<br />

in essa l’elemento tecnico è irriducibile.<br />

Credo che a ogni autopretendentesi poeta<br />

italiano occorrerebbe chiedere di dimostrare<br />

di saper comporre un endecasillabo e un settenario<br />

su due piedi, e senza contare le sillabe<br />

(ma forse molti non sanno più neppure contare<br />

le sillabe e individuare gli accenti).<br />

Va detto, però, che anche al tempo della<br />

settecentesca Arcadia si era vista una proliferazione<br />

di poeti, sebbene la tecnica versificatoria<br />

fosse obbligo. E le migliaia e migliaia<br />

di opere prodotte, che esistono ancora nelle<br />

polverose biblioteche del Paese, non le legge e<br />

non le ricorda più nessuno. E Leopardi stesso<br />

diceva che al tempo suo tutti scrivevano<br />

versi...<br />

Nella mia visione, si tratta di una delle<br />

possibili forme di tendenza verso il Centro da<br />

parte di coloro che sono alla Periferia. La<br />

forza centripeta è sempre attiva in qualsiasi<br />

gruppo di umani. Tutti vorrebbero occupare<br />

il Centro Sacro, abbandonando il proprio<br />

anonimo locus nella Periferia. <strong>Il</strong> poeta —<br />

l’artista in genere — è titolato ad appetire il<br />

Centro, nella tradizione, più di altri soggetti.<br />

Nella smisurata Periferia della società tecnotronica<br />

l’impulso al Centro spiega il proliferare<br />

dei blog, dei filmati su You Tube, e dei<br />

blog poetici, ecc. ecc. <strong>Il</strong> fenomeno non è arginabile.<br />

Almeno si eviti l’ipocrisia. (F. B.)<br />

ZZZZZZZZZZZZZZZZZZ<br />

La rima<br />

K<br />

zzzzzzzzzzzzzzzzzz<br />

DALMAZIO MASINI<br />

<strong>Il</strong> prezzo<br />

V<br />

olevo l’onda calma e la tempesta,<br />

il vino e l’acqua, il cielo e l’arenile,<br />

gli alberi, enormi re della foresta<br />

e le tenere erbette dell’aprile.<br />

In cambio avrei donato solo file<br />

di versi da cantare ogni momento,<br />

certo d’essere il capro dell’ovile,<br />

quello che solo vale più di cento.<br />

E più che avevo e meno ero contento<br />

negli anni accesi dell’età più forte,<br />

quando ambizioso come un monumento<br />

sognai perfin di vincere la morte.<br />

Ora che ho spalancato le mie porte<br />

a una realtà che mai volli vedere<br />

neppure un’ombra siede alla mia corte,<br />

e nessun verso nasce al mio cantiere<br />

Niente sono riuscito a trattenere<br />

sprecando ad una ad una ogni occasione<br />

per declinare sempre il verbo avere<br />

e recitar la parte del leone.<br />

Oggi mi basterebbe l’emozione<br />

di un fresco bacio a risvegliarmi in festa<br />

e in cambio di quest’ultima illusione<br />

darei tutta la vita che mi resta.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 650


| ( 7 ) |<br />

GIORGIO CAPRONI<br />

Fonte: Giorgio Caproni, Tutte le poesie, Garzanti.<br />

© Garzanti editore<br />

Per lei<br />

P<br />

er lei voglio rime chiare,<br />

usuali: in -are.<br />

Rime magari vietate,<br />

ma aperte, ventilate.<br />

Rime coi suoni fini<br />

(di mare) dei suoi orecchini.<br />

O che abbiano, coralline,<br />

le tinte delle sue collanine.<br />

Rime che a distanza<br />

(Annina era così schietta)<br />

conservino l'eleganza<br />

povera, ma altrettanto netta.<br />

Rime che non siano labili<br />

Anche se orecchiabili.<br />

Rime non crepuscolari,<br />

ma verdi, elementari.<br />

Battendo a macchina<br />

M<br />

ia mano, fatti piuma:<br />

fatti vela; e leggera<br />

muovendoti sulla tastiera,<br />

sii cauta. E bada, prima<br />

di fermare la rima,<br />

che stai scrivendo d’una<br />

che fu viva e fu vera.<br />

Tu sai che la mia preghiera<br />

è schietta, e che l’errore<br />

è pronto a stornare il cuore.<br />

Sii arguta e attenta: pia.<br />

Sii magra e sii poesia<br />

se vuoi essere vita.<br />

E se non vuoi tradita<br />

la sua semplice gloria,<br />

sii fine e popolare<br />

come fu lei – sii ardita<br />

e trepida, tutta storia<br />

gentile, senza ambizione.<br />

Allora sul Voltone,<br />

ventilata in un maggio<br />

di barche, se paziente<br />

chissà che, con la gente,<br />

non prenda aire e coraggio<br />

anche tu, al suo passaggio.<br />

6 luglio 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

Manifesto del<br />

DOLCE STILE ETERNO<br />

1 Noi vogliamo che armonia, bellezza e forza espressiva dei versi<br />

siano i valori fondanti del dolce stile eterno.<br />

2 Noi vogliamo costruire una poesia moderna nei contenuti e<br />

nella sintassi, ma rigorosa nell'uso del verso ritmico.<br />

3 Noi vogliamo opporci all'indifferenza di fronte al bello e riscattare la<br />

dimensione estetica insita nell'atto creativo, contro l'offuscamento del<br />

gusto, rifiutando uno sperimentalismo logoro e di maniera, che ha<br />

condannato a morte la poesia stessa.<br />

4 Noi vogliamo ritrovare i valori condivisi, le radici comuni della poesia,<br />

contro “le parole in libertà” degli stanchi epigoni novecentisti.<br />

5 Noi vogliamo recuperare l'uso di un linguaggio chiaro e aperto alla<br />

comprensione di tutti, contro un linguaggio onirico, evocativo, ermetico<br />

e selettivo.<br />

6 Noi vogliamo far sì che il poeta, dopo anni di monologhi destrutturati,<br />

torni a dialogare con il lettore, e che i libri di poesia divengano un<br />

invito ineludibile alla lettura.<br />

7 Noi vogliamo rivalutare la conoscenza della realtà come fonte di<br />

ispirazione artistica, contro l'immagine deformata di una realtà autonoma,<br />

autoreferenziale, incomunicabile, priva di nessi logici e coerenti.<br />

8 Noi vogliamo coniugare l'originale creatività emotiva, disciplinata<br />

dai canoni metrici, con la musicalità scaturita dal suono delle parole.<br />

9 Noi vogliamo una poesia dalla voce sobria, che canti con lucida forza<br />

il quotidiano e le ragioni del cuore.<br />

10 Noi abbiamo la consapevolezza di rinunciare ai facili, effimeri consensi<br />

che la poesia dei nostri tempi ottiene perché noi siamo il futuro<br />

della poesia.<br />

Accademia Vittorio Alfieri Firenze 1999<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 650


A<br />

B<br />

N°651<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

21 LUGLIO 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

a Questo numero.<br />

Naturale seguito del N°592 del giugno dello scorso<br />

anno, questo numero è un omaggio alla memoria dell'Arciduca<br />

Otto D'Asburgo. Sotto trovate i densi commenti<br />

del “nostro incognito redattore” Almanacco<br />

Romano e a pagina 5 il bel ricordo comparso sul sito 1<br />

del Museo del Piave “Vincenzo Colognese”. N<br />

a La morte dell’Arciduca Otto D’Asburgo.<br />

DI ALMANACCO ROMANO<br />

Fonte: http://almanaccoromano.blogspot.com.<br />

. L'IMPERO DEI SOGNI.<br />

Si legge nella rete:<br />

martedì 5 luglio 2011<br />

«Nella notte tra il 4 e il 5 luglio il Signore ha<br />

chiamato a Sé l’anima buona e fedele dell’ultimo<br />

figlio vivente del beato Imperatore Carlo<br />

d’Asburgo e di Zita di Borbone-Parma, S.A.I.R.<br />

l’Arciduca Otto d’Asburgo-Lorena, ultimo discendente<br />

della dinastia imperiale d’Austria.<br />

Nelle sue vene scorreva il sangue di tante famiglie<br />

reali e imperiali (Asburgo, Lorena, Borbone,<br />

Braganza, etc.). Le esequie saranno celebrate<br />

a Vienna il 16 Luglio. Riposerà con i suoi va-<br />

1 Un grazie alla cortesia di Diotisalvi Perin, presidente del Museo,<br />

che ci ha concesso di riprodurre testi e immagini per i nostri<br />

lettori.<br />

lorosi avi nella Cripta del Cappuccini (Kapuzinergruft).<br />

Con lui, grandissimo patriota europeo,<br />

scompare l’ultima nobile e tangibile vestigia<br />

di una delle più gloriose monarchie. In memoria<br />

aeterna erit justus: ab auditione mala non<br />

timebit. Requiescat in pace».<br />

Franz Josef Otto Robert Maria Anton Karl<br />

Max Heinrich Sixtus Xaver Felix Renatus Ludwig<br />

Gaetan Pius Ignatius von Habsburg-Lothringen<br />

aveva 99 anni. Era stato un vero avversario<br />

dei nazisti, un pericolo per la loro Anschluss. Nel<br />

dopoguerra fu deputato e eurodeputato del Partito<br />

popolare. Condannato all’esilio per aver perso<br />

la guerra mondiale che la massoneria e i nazionalismi<br />

mossero nel 1914 all’impero davvero multietnico<br />

(cattolico), dovette chiedere la patente<br />

democratica agli austriaci che avevano votato in<br />

massa l’annessione alla Germania hitleriana. Ma<br />

era un garbatissimo signore e come tutti i gentiluomini<br />

d’un tempo sapeva sorridere generosamente<br />

davanti ai piccoli imbrogli politici. È morto<br />

in Baviera dove visse per mezzo secolo.<br />

L'Arciduca Otto D'Asburgo<br />

Joseph Roth, in fuga dai nazisti, si convinse<br />

che l’Arciduca fosse l’unico che potesse salvare<br />

l’Austria dalle camicie brune. In quegli anni il romanziere<br />

esaltava Pio XII come il provvidenziale<br />

difensore degli ebrei e si faceva paladino dell’ere-<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2010 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

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| ( 2 ) |<br />

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☞ È uscito il numero 11.<br />

Cultura & Identità - Rivista di studi conservatori ·<br />

Direttore: Oscar Sanguinetti · Per abbonamenti<br />

scrivere a: info@culturaeidentita.org ·<br />

Redazione e amministrazione: via<br />

Ugo da Porta Ravegnana 15,<br />

00166 Roma.<br />

#<br />

de degli Asburgo, ossia del protettore cattolico<br />

delle minoranze. Ci siamo ormai dimenticati che<br />

alcuni letterati ed artisti nella prima metà del<br />

Novecento seppero resistere alle sirene chiassose<br />

degli espressionismi d’ogni sorta, alle grida delle<br />

avanguardie, o talvolta superarono certi entusiasmi<br />

giovanili, per riscoprire il gusto elevato, la<br />

forma eterna. Per dei Brecht e dei Céline che<br />

mettevano il proprio talento al servizio della plebe,<br />

mimando il gergo grossolano che diventava il<br />

loro stigma, c’erano gli Hofmannsthal e i Borchardt<br />

che inseguivano un sogno antico più nobile<br />

d’ogni utopia moderna. Fantasticavano un’araldica<br />

del cuore, coniugavano in modo novalisiano<br />

Europa e poesia.<br />

«<strong>Il</strong> plebeismo delle idee moderne è opera dell’Inghilterra»,<br />

sosteneva Nietzsche, «il plebeismo<br />

dell’agire moderno è opera della cosiddetta arte<br />

contemporanea», si potrebbe aggiungere, ma un<br />

drappello di letterati, artisti e musicisti si schierò<br />

con l’aristocrazia anche nel Novecento. Da Baudelaire<br />

in poi, lungo è l’elenco dei pugnaci conservatori.<br />

Dall’«interiorità protetta dal potere»<br />

alla mobilitazione della interiorità per proteggere<br />

il potere: era lo schizzo per ricostruire un passaggio<br />

fondamentale della cultura europea tracciato<br />

dal nostro Marianello Marianelli, chiosatore di<br />

Borchardt. E quest’ultimo, prendendo a pretesto<br />

il giovane Kaiser germanico che nel 1908 compiva<br />

vent’anni, considerava l’imperatore un oggetto<br />

della «fantasia utilizzatrice dei popoli», la «figura<br />

che non invecchia mai», «il giovane re che esercita<br />

tutto il suo dominio sugli oscuri sentimenti, che<br />

una volta era proprio delle figure mitiche e poetiche»<br />

(in indubitabile assonanza con Stefan George).<br />

E ancora Marianelli, commentando il borchardtiano<br />

Der Fürst (dell’anno fatale 1933) spiega<br />

come<br />

«il principe, il monarca non ha più nulla di istituzionale,<br />

di storico: è, semmai, una delle figure<br />

fisse dell’umanità, come l’‘eroe, il santo, l’amazzone,<br />

il poeta, il giocoliere, il veggente,<br />

l’aedo’. Si tratta ovviamente delle figure riprese<br />

da teatro del mondo, dal carillon di archetipi<br />

del suo amico Hofmannsthal…».<br />

L’ebreo Borchardt auspicava un Terzo Reich,<br />

un Regno dello spirito che gli fu rubato nel nome<br />

da violenti demagoghi, il cattolico Hofmannsthal<br />

predicava la Rivoluzione conservatrice. In Der<br />

Fürst, Borchardt ragionava:<br />

«Annientata, la regalità nutre di sé ogni secolo e<br />

perfino le repubbliche sue naturali nemiche: le<br />

repubbliche francesi si sono protette dalle conseguenze<br />

della loro decadenza solo in grazia di<br />

un concetto di monarca nato nel medioevo.<br />

L’immagine di un universo fondato sulla giustizia<br />

romana, nato entro l’occhio regale di Cesare,<br />

ha costretto un millennio di storia europea a<br />

conformarsi su quella».<br />

Sembra di leggere Carl Schmitt. E aggiungeva<br />

un ammonimento:<br />

«il mondo intero sta diventando conservativo<br />

per autodifesa, per difesa della propria eredità».<br />

La regalità dipende dalla sua vitalità, non certo<br />

dalle sue fortune e sfortune storiche. La regalità<br />

dipendeva dal ‘clima nobile’ ricreato da Hofd<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 651


| ( 3 ) |<br />

mannsthal che lo scopriva in quegli anni nei personaggi<br />

di Shakespeare come nella geografia teresiana<br />

che trova il suo vertice nella Venezia fuori<br />

del tempo del romanzo di Andreas. Se Roth aveva<br />

narrato l’epopea asburgica moderna e Musil ne<br />

aveva contemplato ironicamente il tramonto (ma<br />

in quell’ironia, nel sorriso mentre ci si inabissa,<br />

era nascosta la cifra aristocratica e cattolica),<br />

Hofmannsthal aveva parlato del sistema asburgico<br />

quale «imperio non solo temporale ma anche<br />

sacrale che si sovrappose alle nazioni». Abituati<br />

questi signori a pensare «sub specie aeternitatis»,<br />

riuscivano a vedere il carattere sacrale della forma<br />

imperiale. Tuttavia, in quell’epoca incerta e<br />

carica di pericoli, l’impero era alla ricerca di un<br />

casato e con esso la piccola folla di letterati e artisti.<br />

Roth, con il senso pratico degli esuli inseguiti,<br />

lo trovava nel giovane arciduca scomparso l’altro<br />

giorno. Hofmannsthal in modo più letterario riprendeva<br />

da George tale ricerca e la trasformava<br />

nella versione calderoniana del suo ultimo dramma,<br />

Der Turm. Borchardt la rievocava, piuttosto,<br />

in quel possente canto d’amore dedicato a Pisa,<br />

città imperiale.<br />

Ma in cerca di una aristocrazia ‘moderna' furono<br />

pure i pensatori francofortesi che inventarono<br />

antenati alto-borghesi in luogo dei loro genitori<br />

bottegai, per ricreare una civiltà delle buone<br />

maniere novecentesca, un gusto aulico raggiunto<br />

con i più severi ascetismi, un understatement che<br />

li portò a nascondersi nei panni prosaici dei sociologi<br />

pur di non concedere nulla allo snobismo<br />

proustiano: era la nuova nobiltà degli ebrei. Else<br />

Lasker-Schüler ne tracciò alcune figure suggestive<br />

con le corone di latta benché assai eleganti.<br />

Gottfried Benn si spingeva fino ai Dori, Ernst<br />

Jünger con più cinismo lasciava da parte la ricerca<br />

di un casato e si limitava ai geniali cavalieri che<br />

salvano l'Occidente nella geografia tormentata<br />

intorno alle scogliere di marmo...<br />

Un culto democratico ormai secolare ha cancellato<br />

questo tema. Forse anche a causa della<br />

vulgata di Hermann Broch sul mondo decadente<br />

delle gaie apocalissi, degli ebrei amici di sovversivi,<br />

di freudismo, di modernismi, di cancellazione<br />

degli ornamenti, perfino di nostalgie asburgiche<br />

che si colorano di folclore, di rimpianti della<br />

Vienna degli ufficialetti, viene nascosto il tormento<br />

di coloro che lavorarono con le parole, i<br />

pensieri, i suoni e le immagini, alla restaurazione.<br />

La notizia della morte dell’ultimo erede di quel<br />

mondo, del prodigo amico dei letterati, finito con<br />

loro nell’esilio interminabile del nostro tempo, ne<br />

ha risvegliato per una notte il ricordo.<br />

Nella foto, i Wiener Sängerknaben (i piccoli cantori di<br />

Vienna), che intoneranno la “Deutsche Messe” di Shubert<br />

mercoledì nella basilica del santuario di Mariazell.<br />

. CERIMONIA FUNEBRE.<br />

sabato 16 luglio 2011<br />

Gabriella Bemporad con signorile sottotono le<br />

chiamava «note», senza alcun titolo, e le apponeva<br />

in guisa di postfazione a testi bellissimi che traduceva<br />

dal tedesco; vi concentrava le ultime stille<br />

di un’eleganza ormai introvabile nella consuetudine<br />

editoriale. In una di queste, che accompagnava<br />

l’hofmannsthaliano romanzo Andrea o I ricongiunti<br />

(Andreas oder die Vereinigten), a proposito<br />

della geografia culturale che aveva come poli<br />

Vienna e Venezia scriveva: «il più singolare luogo<br />

geometrico dei congedi e delle nuove partenze».<br />

Oggi a Vienna, dopo tredici giorni di lutto, ci si<br />

accomiata dall’ultimo imperatore, riconosciuto<br />

nella sua maestà solo dagli esuli, nobili ed ebrei.<br />

La nobiltà è una maschera – spiegava la eccelsa<br />

germanista – evita la rude socievolezza dell’homo<br />

homini lupus. L’ingenuità dei repubblicani<br />

dal volto nudo, dell’uomo senza passato che perciò<br />

deve rinunciare anche alle meraviglie sperimentate<br />

nell’infanzia, conduce al puritanesimo<br />

21 luglio 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

triste, senza ornamenti (o con ornamenti rubati ai<br />

re spodestati). I riconciliati con il passato, con la<br />

tradizione, con il mondo aureo, possono credere<br />

alla sapienza delle fiabe.<br />

Della scrittura del Maestro delle maschere diceva:<br />

«la pagina – che pure narra incertezze e angosce<br />

esistenziali e le intuizioni confuse […] – appare<br />

difesa da una superficie liscia come uno specchio,<br />

priva di crepe o spiragli, da un fluire ininterrotto<br />

ma mai turbinoso […]. La materia appare<br />

pacificata…». La forma – politica, imperiale,<br />

e letteraria – rappacifica. La signora fiorentina<br />

parlava con garbo di «quel felice componimento<br />

delle dissonanze che è il fine della narrazione».<br />

Estraneo adesso ai più che trafficano<br />

con la scrittura e con il pensiero.<br />

E celebrando la «sobrietà del ricco», la «semplicità<br />

del raffinato», l’amica di Cristina Campo<br />

sempre in quella stessa Nota citava una frase di<br />

Hofmannsthal nella parte incompiuta dell’Andreas,<br />

riferita al Cavaliere di Malta:<br />

«Mania di perfezione: immaginare splendide feste<br />

conduce a non trovare perfetta alcuna festa,<br />

salvo le esequie di un monaco certosino».<br />

Avvolta nella bandiera imperiale giallo-nera,<br />

la salma dell’ultimo imperatore senza impero, di<br />

un fantasma imperiale, è tornata a Vienna. <strong>Il</strong> corteo<br />

funebre si snoderà nel centro storico della città<br />

per portare Otto nella cripta imperiale dei<br />

Cappuccini, dove dal 1633 sono sepolti più di cento<br />

suoi antenati. Al termine del tragitto – raccontano<br />

i cronisti – l’araldo busserà con la mazza alla<br />

porta della chiesa. Dall’interno, come è sempre<br />

avvenuto nei secoli, un cappuccino chiederà: «Chi<br />

vuole entrare». L’araldo risponderà: «Otto d’Asburgo,<br />

erede al trono d’Austria e d’Ungheria, dei<br />

regni di Boemia, Croazia, Dalmazia, Slavonia,<br />

Galizia, delle contee di Gorizia e Gradisca...».<br />

«Non lo conosco» dirà il frate. L’araldo ci proverà<br />

di nuovo annunciando «l’erede al trono di Austria<br />

e Ungheria». E riceverà un altro rifiuto. Alla<br />

fine annuncerà semplicemente: «Otto, un povero<br />

peccatore». E la porta della chiesa si aprirà all’ultimo<br />

Asburgo, che ha vissuto la fine dell’impero.<br />

Barocco asburgico, particolarmente funereo.<br />

A pochi passi dalla Cripta, c’è la chiesa di Sant’Agostino,<br />

l’imperiale Augustinerkirche, il tempio<br />

che conserva i cuori asburgici e dove si celebrarono<br />

le nozze di Sissi con Francesco Giuseppe<br />

e quelle di Maria Luisa con Napoleone Bonaparte<br />

nemico dei re. Lì Antonio Canova, in un’èra rivoluzionaria,<br />

senza fondamento, innalzò una sepoltura<br />

tragica, tradusse in scabro moderno il barocco<br />

lugubre degli Asburgo. La giovane Maria<br />

Cristina si avvia sola, patetica, verso il mistero cupo<br />

del tenebrosissimo Ade. La si vorrebbe abbracciare<br />

e confortarla con la «lux perpetua» che invochiamo<br />

nel Requiem. La piramide del mondo<br />

pre-cristiano però accenna a morti pagane. Forse<br />

Canova vi ha messo in scena il contrappasso per<br />

l’egoismo moderno.<br />

In un balenio di spirito aristocratico, di irriproducibile,<br />

di unico, Sacramozo, personaggio<br />

dell’Andreas che «conosce la potenza dell’azione<br />

creatrice» dice:<br />

«il rapporto più sacro è quello tra apparenza e<br />

sostanza – e come viene incessantemente ferito!<br />

si può pensare che Dio l’abbia nascosto tra aculei<br />

e spine –. Noi possediamo un arsenale di verità,<br />

forte abbastanza da ritrasformare il mondo<br />

in un pulviscolo di stelle, ma ogni arcanum è<br />

chiuso in un crogiolo di ferro, per colpa della<br />

nostra durezza e della nostra stolidità, dei nostri<br />

pregiudizi, della nostra incapacità di concepire<br />

l’irripetibile».<br />

ALMANACCO ROMANO<br />

P<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 651


| ( 5 ) |<br />

a Dal sito del Museo del Piave<br />

“Vincenzo Colognese” Caorera di Vas<br />

(BL).<br />

Fonte: www.museodelpiavevincenzocolognese.it.<br />

. I° APRILE 2006. RICORDO DI UNA<br />

GIORNATA INDIMENTICABILE<br />

. LA SINCERA AMICIZIA DEL COMITATO<br />

IMPRENDITORI VENETI “PIAVE 2000” E<br />

DELL’ASSOCIAZIONE MUSEO DEL PIAVE<br />

“VINCENZO COLOGNESE” CON L’ARCIDUCA<br />

OTTO D’ASBURGO<br />

La saggezza della Chiesa ha voluto dichiarare<br />

Beato l’ultimo Imperatore della Casa d’Austria.<br />

La cerimonia ha avuto luogo a Piazza San Pietro<br />

il 3 ottobre 2004. Tra i motivi dichiarati ci furono<br />

la condotta, la vita esemplare e il concreto amore<br />

della pace di Carlo I d’Asburgo.<br />

Qualora siffatte virtù avessero riguardato un<br />

uomo qualsiasi, esse sarebbero state più o meno<br />

circoscritte alla sua persona. Ma un Imperatore è<br />

un uomo pubblico e tutto quanto egli dice e fa riguarda<br />

vaste realtà e numerose vicende, come è<br />

giusto che sia.<br />

Quando si pensa all’Austria nostra confinante<br />

“terra mitica più che reale”, come scrisse Paolo<br />

Rumiz, bisognerebbe pensare un poco anche all’ultimo<br />

Imperatore e al suo impegno per far cessare<br />

la Grande Guerra anche a costo di andare<br />

contro i propri interessi. Potrebbe sembrare incredibile,<br />

come inverosimile apparirebbe qui da<br />

noi immaginare un ministro senza scorta e senza<br />

seguito. Tale eventualità si verifica invece in Autria.<br />

Quando poi si pensa a Vienna, bisognerebbe<br />

anche sapere che in quella città è certamente possibile<br />

che un genio sia considerato uno stupido,<br />

ma non che un cretino sia considerato un genio.<br />

Non è cosa da poco.<br />

Queste pagine lasceranno delle domande aperte,<br />

ma ci ripetono che un valido scrittore deve<br />

sempre disturbare, come sostenne il Premio Nobel<br />

per la letteratura V. S. Naipaul nel 2001.<br />

Con la morte di Otto d’Asburgo finisce purtroppo<br />

la dinastia degli Asburgo.<br />

Cerimonia a Bressanone, 1 aprile 2006, nell’84°<br />

anniversario della scomparsa dell’imperatore<br />

Carlo I d’Asburgo, alla presenza del figlio Arciduca<br />

Otto d’Asburgo.<br />

L’invito alla cerimonia ci è pervenuto dal Comandante<br />

del Corpo Forestale dello Stato (provincia<br />

di Treviso) dott. Guido Spada e rappresentante<br />

della Croce nera Austriaca e in quella occasione<br />

ci fu uno scambio di doni tra Diotisalvi Perin,<br />

Presidente del Comitato Imprenditori Veneti<br />

“Piave 2000” e dell’Associazione Museo del Piave<br />

“Vincenzo Colognese” e Otto d’Asburgo con<br />

firma autografa dell’Arciduca sul libro di Erich<br />

Feigl Mezzaluna e Croce, Marco d’Aviano e la salvezza<br />

d’Europa da noi tradotto.<br />

DIOTISALVI PERIN<br />

21 luglio 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

Traduzione dell’articolo del 2 aprile 2006<br />

ESORDIO DELLA BANDA “IMPERATORE CARLO” DEGNA DELL’IMPERATORE<br />

Bressanone s’inchina al Beato Imperatore Carlo. Otto von Habsburg, insieme al Comandante degli<br />

Schützen Paul Bacher e al Maggiore Circondariale, ha partecipato ieri alla funzione commemorativa<br />

in onore di suo padre.<br />

Bressanone. “Questa ricorrenza e questa musica sono degne di mio padre e della città di Bressanone”.<br />

Otto d’Asburgo ha ringraziato in maniera molto commossa la città di Bressanone per l’84° anniversario<br />

della morte dell’Imperatore Carlo.<br />

La messa è stata celebrata nel duomo di Bressanone dal Decano Capitolare Ivo Muser. Hanno concelebrato<br />

Josef Gelmi e il Cappellano Regionale degli Schützen Paul Rainer. La banda cittadina di<br />

Bressanone, diretta dal Maestro Guenther Klausner, ha suonato per la prima volta la festosa “Musica<br />

dell’Imperatore Carlo”. Tale opera era stata commissionata al compositore di Innsbruck Hermann<br />

Pallhuber dagli Schützen del circondario di Bressanone e avrebbe dovuto essere suonata due anni fa in<br />

occasione della Beatificazione dell’Imperatore Carlo.<br />

Nel suo discorso nella piazza del Duomo, Otto d’Asburgo ha accennato anche alle “gravi difficoltà<br />

che ci attendono. Emergono infatti attacchi contro la propria terra, la fede, la tradizione”. Un esempio<br />

sarebbe rappresentato dalla Costituzione Europea, nella quale manca qualsiasi riferimento a Dio.<br />

Hanno partecipato alla festa numerosi ospiti d’onore come i Sindaci Albert Puergstaller (Bressanone)<br />

e Arthur Scheidle (Chiusa), l’Europarlamentare Michl Ebner, il Deputato Hans Widmann e i Deputati<br />

regionali Walter Baumgartner e Pius Leitner. C’erano inoltre gruppi folcloristici e una rappresentanza<br />

giunta dalla Slovenia. Per quest’ultima presenza il figlio dell’Imperatore ha manifestato particolare<br />

soddisfazione.<br />

I video della cerimonia a Bressanone dell’1 Aprile 2006 sono visibili nel sito del Museo del Piave<br />

(www.museodelpiave.it) e su YouTube.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 651


| ( 7 ) |<br />

21 luglio 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 651


A<br />

B<br />

N°652<br />

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RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

30 LUGLIO 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

a Questo numero.<br />

Ci è sembrato doveroso iniziare con una riflessione<br />

sulle stragi norvegesi, abbiamo optato per quella, essenziale,<br />

di Roberto De Mattei comparsa su l'Occidentale.<br />

In seconda pagina un annuncio librario importante<br />

(il libro di Jousse è frutto della passione e del lavoro<br />

di anni dell'amico Antonello Colimberti ☞, i cui<br />

primi risultati furono pubblicati proprio sul <strong>Covile</strong>)<br />

segue, a pag. 3, Cartagloria, la rubrica di tipografia:<br />

questa volta Sergio Castrucci ci racconta, ovviamente<br />

utilizzandolo, l'inquietante storia del carattere Times,<br />

il più diffuso nell'era dei computer. A pagina 6 Piero<br />

Vassallo rende evidente, con ampie e opportune citazioni,<br />

il fondo nichilista della teologia di Fijodor Dostoewskij,<br />

giungendo, ci sembra, a conclusioni vicine a<br />

quelle del Carl Schmitt dello straordinario Cattolicesimo<br />

romano e forma politica. N<br />

☞ Antonello sta curando su Radiotre, “rubrica Passioni”, un<br />

ciclo di quattro trasmissioni dal titolo L’armonia del mondo:<br />

II.<br />

I. (sabato 30 luglio ore 10,50) dedicata a Marius Schneider,<br />

ospite Nuccio D’Anna.<br />

(domenica 31 luglio ore 10,50) dedicata al pensiero<br />

armonicale (Hans Kaiser in particolare), ospite Maria<br />

Franca Frola.<br />

III. (sabato 6 agosto ore 10,50) dedicata all’ecologia<br />

della musica, ospite Roberto Barbanti.<br />

IV. (domenica ore 10,50) dedicata al pensiero armonico<br />

del tarantismo, ospite Pierpaolo De Giorgi.<br />

a Breivik è un ‘figlio' del nazionalismo<br />

nordico nient'affatto cristiano.<br />

DI ROBERTO DE MATTEI<br />

Fonte e ©: l'Occidentale, 26 luglio <strong>2011.</strong><br />

Anders Behring Breivik è convinto di essere un eroe<br />

anti islamico, ma l’Islam in Europa non ha avuto, fino<br />

ad oggi, migliore alleato di lui. C’è da prevedere<br />

infatti che gli illiberali progetti di legge contro<br />

l’“islamofobia”, che faticano a imporsi in molte nazioni<br />

europee, riceveranno un decisivo impulso dalle<br />

stragi di Oslo e dell’isola di Utoya.<br />

Breivik non è un pazzo, se con ciò si intende, nel<br />

senso stretto del termine, un uomo con turbe psichiche,<br />

incapace di intendere e di volere. Egli si è dimostrato<br />

lucido e determinato in quella che, in senso lato,<br />

si può definire la sua follia omicida. Ma Breirik è<br />

tutt’altro che un fondamentalista cristiano, perché,<br />

al di là della giustificazione ideologica del suo gesto<br />

apparsa su Internet, si è dimostrato, nei fatti, assolutamente<br />

privo di fondamenti etico-religiosi e del tutto<br />

estraneo a quei valori assoluti che guidano la condotta<br />

di chi si dice cristiano. <strong>Il</strong> primo di questi valori,<br />

secondo Benedetto XVI, è il riconoscimento del diritto<br />

alla vita, mentre lo stragismo di Breivik manifesta<br />

il più radicale disprezzo per il precetto morale<br />

che vieta di uccidere l’innocente. <strong>Il</strong> principio secondo<br />

cui il fine giustifica i mezzi (anche i più criminosi)<br />

ha caratterizzato il totalitarismo del Novecento ed è<br />

figlio del relativismo che dissolve ogni legge naturale<br />

e morale.<br />

Beirik dovrebbe essere più precisamente definito<br />

come uno squilibrato, cioè come un uomo mancante<br />

di baricentro morale e di punti di riferimento assoluti.<br />

Lo squilibrio psichico, che non è la follia, oggi è<br />

un fenomeno diffuso, come la depressione. Esso ci<br />

sconvolge quando si trasforma in aggressività sociale,<br />

ma non dobbiamo dimenticare che si manifesta<br />

anche in forme in cui lo squilibrato è la vittima e non<br />

il giustiziere. L’uomo del XXI secolo è psichicamente<br />

instabile, perché relativista e priva e di fondamenti<br />

è la società contemporanea, in cui gli eccessi riman-<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

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<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2010 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

O<br />

Marcel Jousse<br />

LA SAPIENZA ANALFABETA DEL BAMBINO<br />

Introduzione alla mimopedagogia<br />

A cura di Antonello Colimberti<br />

R<br />

Per la prima volta al mondo sono qui pubblicate una<br />

serie di memorabili lezioni che Marcel Jousse ha tenuto<br />

alla Sorbona negli anni ‘930 e che hanno ispirato<br />

le tendenze più avanzate e critiche sulla pedagogia,<br />

compresa la visione dei libri di Ivan <strong>Il</strong>lich<br />

Descolarizzare la società e Nella vigna del testo. Jousse<br />

conferma qui con dimostrazioni scientifiche che<br />

il bambino prima ancora di imparare a parlare ha in<br />

sé la conoscenza dell’universo e la parola non è altro<br />

che una forma di riecheggiare i ritmi dell’universo<br />

che trova in sé oltre che intorno a sé.<br />

Marcel Jousse (1886-1961). Ordinato Gesuita nel 1910 si specializza<br />

con grandi maestri del calibro di Rousselot (fonetica), Janet et<br />

Dumas (patologia), Mauss (etnologia). Nel 1925 esce la sua tesi di<br />

dottorato in psicologia linguistica Le style oral rythmique et mnémotechnique<br />

chez les verbo-moteurs, la cui eco fu eccezionale (da<br />

Bremond a Valéry, da Bergson a Blondel). Jousse espose le proprie<br />

scoperte sullo stile orale e la memorizzazione davanti ad uditori<br />

calorosi: all’Istituto biblico di Roma (1927), all’anfiteatro della<br />

Sorbona (1931-1957), alla Scuola di antropologia dove venne creata<br />

per lui la cattedra di linguistica (1932-1950), all’École des Hautes<br />

études (1933-1945). Tuttavia, a partire dal 1929 Jousse si scontra<br />

con le reticenze di esegeti esclusivamente formati ai metodi<br />

della filosofia greco-latina. Occorrerà attendere la “rivoluzione”<br />

del ’68 per veder rinascere l’interesse intorno alla figura di questo<br />

pioniere dell’antropologia. Grazie soprattutto all’opera della sua<br />

più fedele collaboratrice, Gabrielle Baron, usciranno per l’editore<br />

Gallimard i suoi testi inediti. Per Jousse l’uomo è gesto e memoria<br />

sin dal seno materno, e bisogna riscoprire, tramite il linguaggio di<br />

rabbi Yeshua, la continuità della tradizione giudaicocristiana. I<br />

metodi joussiani, oltre a rinnovare la catechesi, rivelano una certa<br />

affinità con le analisi etniche di Leroi-Gourhan (<strong>Il</strong> gesto e la parola,<br />

1965) e letterarie di W.J. Ong (La presenza della parola, 1971).<br />

dano ad altri eccessi. L’Eurabia paventata da Breivik<br />

non è un brutto sogno, ma una drammatica realtà:<br />

immaginare però di combatterla con il terrore è una<br />

forma di squilibrio che evoca incubi non meno terribili<br />

di quelli cui pretende opporsi.<br />

Eppure sarebbe miope voler fare di questo caso<br />

un problema psicologico, senza comprenderne la dimensione<br />

anche ideologica, così come sarebbe fuorviante<br />

inseguire i presunti legami operativi di Breivik,<br />

senza preoccuparsi del contagio psichico che la<br />

sua azione può avere, al di là delle sue relazioni organizzative.<br />

Gesti come il suo, carichi del fascino sinistro<br />

del male, possono avere purtroppo un effetto<br />

moltiplicatore, come dimostra il caso dei kamikaze<br />

islamici. C’è da dire, però, che dietro i terroristi di<br />

Allah c’è una cultura jihadista ampiamente condivisa<br />

nel mondo islamico, mentre Breivik non ha ricevuto,<br />

e sarebbe impensabile che ricevesse, alcuna espressione<br />

di solidarietà in Occidente. Ciò non toglie che<br />

lo stragista di Oslo sia portatore di una esasperata visione<br />

del mondo che inizia ad affiorare all’estremo<br />

nord dell’Europa in antitesi a quella che preme dalle<br />

sponde sud del Mediterraneo.<br />

Al nazionalismo islamico, panarabo e panturco, si<br />

contrappone un nazionalismo nordico, di impronta<br />

non cristiana, ma paganeggiante, che ricorda la<br />

“morale dei signori” hitleriana contrapposta alla<br />

morale degli schiavi plebea e democratica. C’è un’unica<br />

risposta di fronte alle ideologie del male del nostro<br />

tempo: il ritorno all’equilibrio, che è la tranquillità<br />

dell’ordine di cui parla sant’Agostino: l’ordine<br />

dei valori immutabili a cui l’Occidente ha voltato<br />

le spalle e che deve ritrovare se non vuole trasformarsi<br />

in campo di battaglia tra fanatici di opposte<br />

tendenze. La guerra tra razze prevista da Oswald<br />

Spengler è un fantasma che si affaccia all’orizzonte<br />

del XXI secolo. Favorire Eurabia, come vorrebbero i<br />

multiculturalisti, non risolve il problema, ma lo aggrava<br />

pesantemente.<br />

ROBERTO DE MATTEI<br />

Libreria Editrice Fiorentina<br />

www.lef.firenze.it<br />

S<br />

V<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 652


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m<br />

Cartagloria<br />

<strong>Il</strong> carattere “Times”. Una storia faustiana.<br />

§ ›<br />

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DI SERGIO CASTRUCCI<br />

Quel lontano mattino del 3 ottobre del 1932,<br />

nell’aprire la loro copia del Times, i londinesi<br />

ebbero un attimo di sgomento. Appena percettibile<br />

e ben controllato ma, senza alcun dubbio,<br />

un attimo di sgomento. <strong>Il</strong> loro giornale aveva<br />

cambiato il carattere di stampa.<br />

Cosa stava mai succedendo Possibile che a<br />

un popolo capace di tenersi la stessa regina per<br />

sessant’anni si potesse cambiare così, dall’oggi<br />

al domani, il carattere di stampa del giornalesimbolo<br />

del Regno Unito Quasi come cambiare<br />

il colore di fondo dell’Union Jack.<br />

Beninteso, giunsero subito spiegazioni anche<br />

se nessuno credette molto alle motivazioni estetiche<br />

che pur con qualche ragione vennero addotte,<br />

che cioè il vecchio carattere era rozzo e<br />

tendeva a formare i fastidiosi “canaletti” fra le<br />

righe del testo, una sorta di precipizi visivi che<br />

interrompono l’andamento orizzontale della lettura<br />

facendo sprofondare lo sguardo del lettore<br />

diverse righe più in basso. In realtà il vecchio<br />

carattere aveva ben altre responsabilità; era tozzo,<br />

complesso e faceva sprecare una quantità<br />

ragguardevole di inchiostro e di carta. Le leggi<br />

dell’economia cui i cittadini britannici sono devoti<br />

non meno che al culto della tradizione imponevano<br />

di usarne uno nuovo, uno che ricordasse<br />

un po’ il vecchio ma che fosse più semplice,<br />

snello e dunque più economico. La sua realizzazione<br />

fu affidata a Stanley Morison l’uomo<br />

che in quel momento era il più autorevole studioso<br />

di caratteri di stampa e in quella – immaginiamo<br />

– brumosa mattina di ottobre veniva<br />

portata a compimento l’audace innovazione.<br />

Se la storia del “Times New Roman” – questo<br />

il nome del nuovo carattere – fosse tutta qui<br />

non metterebbe davvero conto raccontarla ma la<br />

nascita di questo carattere, divenuto in seguito il<br />

“font” più usato e diffuso del mondo, ha invece<br />

una storia complessa e dai risvolti inquietanti.<br />

Tre anni prima, nel 1929, il primo a criticare<br />

il vecchio carattere del quotidiano è proprio lo<br />

| ( 3 ) |<br />

stesso Stanley Morison, consulente della Monotype<br />

Corporation inglese. Per tutta risposta i dirigenti<br />

del giornale propongono a lui di trovare<br />

qualcosa di meglio. Creare il nuovo carattere di<br />

stampa dello storico e prestigioso Times di Londra<br />

è una sfida irresistibile e, per un uomo ambizioso<br />

come Morison, un’occasione da non perdere.<br />

<strong>Il</strong> compito però appare subito più impegnativo<br />

del previsto; Morison disegna una interminabile<br />

serie di prototipi nessuno dei quali gli<br />

pare tuttavia soddisfacente. Inizia allora a consultare<br />

progettisti esterni sino a giungere al celebre<br />

Harry Carter il quale gli butta giù diverse<br />

proposte. Ebbene quei fogli resteranno per anni<br />

sepolti nei cassetti di Carter. Morison non andrà<br />

mai a ritirarli né mai ne farà parola con alcuno e<br />

il motivo è semplice: la soluzione, lui, l‘ha già<br />

in tasca, una soluzione che dietro un nome banale,<br />

“Number 54”, cela un oggetto misterioso e<br />

sfuggente.<br />

La storia del “Number 54” ha inizio con i primi<br />

anni del secolo scorso ed è legata ad un personaggio<br />

singolare, William Starling Burgess,<br />

rampollo di una nota famiglia di Boston, uomo<br />

dalla vita brillante e movimentata, “a dazzling<br />

life“ come dicono gli americani. In quegli anni<br />

Burgess è poco più che ventenne e, quasi alla fine<br />

del corso, interrompe i suoi studi di architettura<br />

ad Harvard per aprire uno studio di progettazione<br />

navale. Poco dopo apre un cantiere navale<br />

e quindi un altro dove costruisce aerei su licenza<br />

dei fratelli Wright, progetta idrovolanti<br />

per l’US Navy, studia aerei e veicoli sperimentali.<br />

<strong>Il</strong> ragazzo ha poi conoscenze ed amicizie importanti,<br />

basti quella con Franklin Delano Roosevelt,<br />

e c’è da chiedersi perché nell’America di<br />

Da The Times, 1929.<br />

30 luglio 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

quegli anni un uomo tanto dinamico non diventi<br />

ricchissimo e famoso, come in fondo desidera<br />

da sempre, e perché i suoi successi professionali<br />

si intreccino sempre a difficoltà finanziarie, fallimenti,<br />

scandali, suicidi. Purtroppo Burgess non<br />

conosce le doti della costanza e della determinazione<br />

e i suoi molteplici interessi lo portano a<br />

disperdere in troppi rivoli le indubbie capacità.<br />

La sua stessa vita sentimentale, con ben cinque<br />

matrimoni e un numero imprecisato di avventure,<br />

è segnata dalla mutevolezza di interessi e di<br />

passioni. Ebbene, il “Number 54” è anch’esso<br />

figlio e vittima di questa instabilità emotiva.<br />

Da The Times, 1937.<br />

Ma torniamo ai primi anni del ‘900. Da poco<br />

rientrato da Harvard, Burgess scrive libri di poesie,<br />

progetta barche che vincono le regate e, fra<br />

le altre cose, si appassiona al progetto di un nuovo<br />

carattere di stampa. I caratteri che ci sono in<br />

giro sono goffi, rozzi ed hanno un gran bisogno<br />

di un tocco di modernità. Per fare un passo in<br />

avanti, pensa, niente di meglio che farne quattro<br />

all’indietro. Fa due viaggi a Londra ed ha contatti<br />

con i pre-raffaelliti, specialisti in questo genere<br />

di approccio; il suggerimento è infatti di ripartire<br />

dallo stile dei primi disegnatori di caratteri<br />

e al British Museum, in mezzo a una raccolta<br />

di coperte di libri del 16-17° secolo, scova ciò<br />

che gli interessa. Torna negli U.S., ci lavora un<br />

po’ su e nel 1904 commissiona alla Lanston Monotype,<br />

compagnia specializzata nelle progettazione<br />

e produzione di attrezzature per la stampa,<br />

la fabbricazione di una serie di caratteri. Vuole<br />

essere il primo ad utilizzarli e lo farà per i documenti<br />

del suo cantiere a Marblehead nel Massachusetts,<br />

solo che mentre la Lanston sta ancora<br />

lavorando ai prototipi, Burgess assiste ad un volo<br />

sperimentale di un aereo dei fratelli Wright.<br />

Grande emozione e amore a prima vista; ancora<br />

una volta molla tutto e si lancia nella nuova avventura,<br />

costruire aerei, gettando alle ortiche il<br />

progetto del nuovo-antico carattere tipografico<br />

che finirà, disegni e prototipi, negli scaffali della<br />

Lanston Monotype dove giacerà dimenticato per<br />

anni col nome di “Number 54”.<br />

La ri-scoperta del “Number 54” si deve ad un<br />

pittoresco canadese di origine italiana, Gerald<br />

Giampa, amico di Kerouac, di Ginzberg, di Janis<br />

Joplin. Appassionato conoscitore dell’arte<br />

della stampa, nel 1987 acquista ciò che rimane<br />

della Lanston Monotype. Frugando negli archivi<br />

della società, Giampa scopre dei documenti che<br />

si riferiscono ad un certo carattere tipografico il<br />

cui unico identificativo è “Number 54”. Incuriosito<br />

legge, guarda ma stenta a credere a ciò che<br />

vede. Interpella allora il suo amico Mike Parker,<br />

uno dei massimi esperti di caratteri tipografici,<br />

al quale mostra alcuni esempi del “Number 54”.<br />

Non ci sono dubbi: si tratta del “Times New Roman”<br />

solo che la documentazione porta la data<br />

del 1904, quasi trent’anni di anticipo rispetto alla<br />

sua nascita ufficiale e il designer non è, ovviamente,<br />

Stanley Morison bensì William Starling<br />

Burgess.<br />

Parker fa studi, ricerche e scopre che intorno<br />

agli anni trenta i disegni del “Number 54” erano<br />

in mano a un certo Frank Hinman Pierpont, un<br />

individuo in forte odore di zolfo, il cui incarico<br />

ufficiale, qui sulla terra, è quello di manager di<br />

una fabbrica inglese della Monotype. Non sappiamo<br />

la natura del patto stipulato fra Morison e<br />

Pierpont. Non sappiamo in particolare cosa abbia<br />

ceduto Morison in cambio di quanto ha ricevuto<br />

da Pierpont ovvero il “Number 54”, ciò che<br />

gli ha risolto tutti i problemi col Times di Londra<br />

e lo ha consacrato padre del più famoso carattere<br />

tipografico del mondo.<br />

In effetti, Morison non ha mai sostenuto di<br />

aver “disegnato” o “creato” quel carattere ma di<br />

averlo “escogitato”, termine anch’esso ambiguo,<br />

aperto ad ogni tipo di interpretazione. Lo stesso<br />

giudizio che dà sul carattere appare singolare,<br />

apparentemente tendente a minimizzane il valore:<br />

“il suo merito è quello di non sembrare disegnato<br />

da qualcuno in particolare”, come dire<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 652


| ( 5 ) |<br />

anonimo, senza alcuna personalità. Va anche<br />

detto, per inciso, che per Morison proprio questa<br />

povertà, questa umiltà del carattere è paradossalmente<br />

un pregio. <strong>Il</strong> tipografo, ha sempre sostenuto,<br />

non è un artista e il suo compito non è<br />

esprimere se stesso ma l’autore di ciò che stampa;<br />

certo, deve cercare di renderne gradevole la<br />

lettura ma sempre con semplicità e modestia,<br />

sempre restando nell’ombra, ed anche il carattere<br />

non deve mai essere qualcosa di veramente<br />

speciale o eccentrico. Predica insomma ai tipografi<br />

una virtù, l’umiltà, che sicuramente non gli<br />

appartiene.<br />

Ma il patto luciferino non può comunque<br />

esaurirsi nel semplice passaggio di mano dei disegni<br />

di Burgess. A Stanley Morison, un Doktor<br />

Faustus piuttosto sbrigativo, deve essere garantita<br />

una certa sicurezza che il gioco non sarà<br />

scoperto. Da qui una serie interminabile di incidenti<br />

distruggerà tutto quanto in grado di far luce<br />

sull’operazione. <strong>Il</strong> cantiere di Burgess va a<br />

fuoco e vanno perduti tutti i documenti e la corrispondenza<br />

relativa agli anni in cui questi aveva<br />

lavorato al “Number 54”; siamo nel 1918,<br />

vari anni prima della transazione e l’incidente<br />

ha per Morison un chiaro valore dimostrativo.<br />

Dall’altra parte dell’Atlantico, nel 1941, una<br />

bomba caduta sugli uffici londinesi della Lanston<br />

Monotype distrugge tutta la documentazione<br />

relativa all’attività di Morison per lo sviluppo<br />

del “Times New Roman”.<br />

Riguardo al “Number 54” il poco che ancora<br />

rimane si trova presso gli archivi della Lanston<br />

Monotype ma nel 2000 un’alluvione travolge e<br />

trascina con sé, oltre a quel progetto, cento anni<br />

di storia della stampa. Una copia del “Number<br />

54” esiste tuttavia anche a Washington, presso<br />

lo Smithsonian Institution. Forse si tratta addirittura<br />

dei disegni originali di Burgess; Parker<br />

dice di averne fatta una copia nel 1996 ma, successivamente,<br />

il sito risulta contaminato dall’asbesto<br />

e dal piombo, dichiarato “off limits” e il<br />

suo accesso interdetto a tempo indeterminato.<br />

Ogni genere di disastro si è dunque abbattuto<br />

sulle tracce del fantomatico “Number 54”: incendi,<br />

alluvioni, bombe e inquinamenti. Lo stesso<br />

Gerard Giampa, l’altro testimone oculare della<br />

documentazione originale, muore prematuramente<br />

fulminato da un ictus. Resta così ben poco<br />

a sostegno della ricostruzione della storia fatta<br />

da Parker: la fotografia di alcuni caratteri del<br />

“Number 54”, in tutto simili a quelli del “Times<br />

New Roman”, incisi su placche di metallo delle<br />

quali però solo una, quella della lettera “B”, è<br />

scampata all’alluvione della Lanston Monotype<br />

ed è ora in possesso dello stesso Parker. Si tratta<br />

di una placca ottenuta seguendo un tipo di lavorazione<br />

in uso all’inizio del secolo, ai tempi del<br />

“Number 54”, ma non più nel 1932, quando nasce<br />

il “Times New Roman” e questa, secondo<br />

Parker, sarebbe la prova tangibile di quanto sostiene.<br />

Oltre queste due “prove” esistono alcune<br />

testimonianze sul carattere ambiguo di Morison,<br />

vari indizi e coincidenze difficili da spiegare<br />

ma, tutto sommato, niente di veramente conclusivo.<br />

Quando Parker rende pubblica questa storia,<br />

nel mondo della grafica e dell’editoria succede<br />

un mezzo finimondo. Morison è morto da<br />

più di trenta anni ma ha ancora molti estimatori<br />

fra cui lo scrittore Nicolas Barker che insinua<br />

che Giampa e Parker abbiano messo in piedi<br />

questa storia per una questione di brevetti e di<br />

copyright, in altri termini per bassi interessi di<br />

bottega. Anche Barker tuttavia, in quanto biografo<br />

di Morison, ha interesse a difenderlo e le<br />

sue parole non sono, come si dice, al di sopra di<br />

ogni sospetto. <strong>Il</strong> mondo della grafica si spacca<br />

in due partiti, quello di chi crede a Parker e<br />

quello di chi difende Morison. Questi ultimi<br />

hanno il loro miglior argomento contro Parker<br />

nel fatto che questi ha di recente prodotto un<br />

“suo” carattere, praticamente identico al “Times<br />

New Roman” ma che lui dice derivato dal<br />

“Number 54” e che infatti è stato battezzato<br />

“Starling”, uno dei prenomi di Burgess.<br />

Ad oggi la situazione è dunque questa: è probabile<br />

che Parker abbia raccontato la verità e<br />

che Morison abbia realmente copiato da Burgess<br />

ma è anche possibile che il “Times New Roman”<br />

sia invece frutto di studio e di ricerca e<br />

che il “Number 54”, se pure esiste, contenga tutt’altre<br />

cose. In questo caso sarebbe, Dio non voglia,<br />

il vecchio Parker ad aver copiato il suo<br />

“Starling” dal “Times New Roman”.<br />

Evidentemente, ma lo sapevamo da prima, i<br />

frutti offerti dal Maligno sono sempre avvelenati;<br />

nel corso degli oltre cinquecento anni di storia<br />

della stampa la sua costante presenza si avverte<br />

nelle forme e nelle movenze dei suoi servitori<br />

più fidati: avidità, invidia, menzogna, orgoglio<br />

e, soprattutto, plagio.<br />

Ma, tornando alla storia del “Times New Ro-<br />

30 luglio 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

man”, è assai difficile che si possa ormai provare<br />

con certezza chi ne sia veramente il padre.<br />

L’ombra sulfurea del dubbio avvolge tanto l’immagine<br />

di Morison quanto quella di Parker. Lo<br />

stesso Times, d’altronde, alcuni anni fa dichiarava<br />

che il “Times New Roman” era stato disegnato<br />

da Stanley Morison o “forse” da Starling<br />

Burgess. Per quanto poi riguarda quest’ultimo, il<br />

fatto che abbia progettato il “Number 54” e che<br />

questo contenga realmente i disegni del “Times<br />

New Roman” appare in qualche modo ininfluente.<br />

Nonostante Enterprise, Rainbow e Ranger,<br />

le sue tre barche vincitrici di altrettante edizioni<br />

dell’America’s Cup degli anni 30, nonostante<br />

il Burgess-Dunne Flying Boat, l’idrovolante<br />

da lui costruito per l’ US Navy, nonostante<br />

il suo libro di poesie The Eternal Laughter and<br />

Other Poems, Burgess sarebbe ormai pressoché<br />

dimenticato. La fama da lui tanto affannosamente<br />

cercata, una fama non effimera che superasse<br />

gli angusti limiti di un’esistenza umana, ebbene,<br />

quella fama gli sarebbe venuta, meritata o meno,<br />

proprio da quel carattere tipografico il cui glorioso<br />

e curioso destino non avrebbe mai potuto<br />

immaginare. O forse si. Forse il vero patto col<br />

diavolo l’aveva fatto proprio lui.<br />

SERGIO CASTRUCCI<br />

a Dostoewskij teologo della morte<br />

di Dio.<br />

DI PIERO VASSALLO<br />

Fonte: Riscossa cristiana, 26 luglio <strong>2011.</strong><br />

<strong>Secondo</strong> Dostoewskij le creature aderiscono a Cristo<br />

perché mosse da una simpatia indifferente al problema<br />

della verità:<br />

“La mia professione di fede è molto semplice, eccola:<br />

credere che non c’è nulla di più bello, di più<br />

profondo, di più coraggioso, di più simpatico né di<br />

più perfetto del Cristo e che mai nulla ci può essere.<br />

Più ancora: se qualcuno mi avesse dimostrato<br />

che il Cristo è al di fuori della verità e se fosse matematicamente<br />

certo che la verità è al di fuori del<br />

Cristo, avrei preferito restare col Cristo piuttosto<br />

che con la verità” 1 .<br />

L’enunciazione del paradosso, che pone Cristo al<br />

di fuori della verità, è una fra le più sconcertanti pagine<br />

della letteratura moderna: il Cristo immaginario<br />

rappresenta, infatti, la perfezione dell’amore separato<br />

dalla verità. Tra le righe del testo si afferma<br />

risolutamente che l’amore perfetto può essere falso.<br />

<strong>Il</strong> Cristo della letteratura è un’icona sublime, ma<br />

talmente lontana dalla verità, da far diventare impensabile<br />

una partecipazione al suo essere.<br />

La contorta professione di fede, dimostra che il<br />

pensiero di Dostoewskij contempla la reciproca opposizione<br />

degli attributi divini: la bontà trascende la<br />

verità, e la verità è ostile alla bontà. La bontà è totalmente<br />

altro da verità.<br />

L’affermazione di un tale principio introduce nei<br />

meandri di una teologia dialettica, che indirizza al<br />

superamento della verità e del suo fondamento ontologico.<br />

Nel linguaggio psicoanalitico, la teologia di Dostoewskij<br />

si potrebbe definire antipaterna: Cristo non<br />

è il figlio di Dio ma un Redentore inviato fra gli uomini<br />

da una vuota e abissale bontà, in aperto conflitto<br />

con il Padre, creatore e signore del mondo.<br />

Le rappresentazioni Dostoewskijane di Cristo,<br />

peraltro, sono allegorie della sfida alla verità e allusioni<br />

all’indicibile regno di pace, che è stabilito oltre<br />

l’Essere e le sue leggi.<br />

Nella rappresentazione dell’irriducibilità di Cristo<br />

all’essere si può quasi vedere un’anticipazione del<br />

grottesco errore di Léon Bloy, che definisce lo Spi-<br />

1 Fijodor Dostoewskij I Demoni, p. II, c. 2.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 652


| ( 7 ) |<br />

rito Santo quale principio antitetico alla giustizia del<br />

Dio di Abramo:<br />

“Egli è a tal punto il Nemico, a tal punto coincide<br />

con quel Lucifero che fu detto Principe delle Tenebre,<br />

che separarli — foss’anche nell’estasi beatifica<br />

— è quasi impossibile” 2 .<br />

Certo è che, nei Demoni, Cristo appare nella forma<br />

di un miracolo emergente dalla profonda e silenziosa<br />

quiete dell’abisso, che s’immagina oltre il regno<br />

dell’Essere. La discesa di Cristo fra gli enti<br />

creati, pertanto, si risolve nella crocifissione sull’albero<br />

della legge, ossia nella perdita della nobiltà che<br />

appartiene agli abitanti del luogo senza vita. L’elogio<br />

di Cristo diventa l’elogio dell’essere impossibile sacrificato<br />

sulla croce dell’essere reale:<br />

“Non c’è stato né prima né dopo di Lui uno simile<br />

a Lui, e non ci sarà mai, nemmeno per miracolo. In<br />

ciò appunto sta il miracolo, che non c’è stato e non<br />

ci sarà mai uno simile. E se è così, se le leggi della<br />

natura non hanno risparmiato neppure questo, non<br />

hanno avuto pietà neppure del proprio miracolo,<br />

ma lo hanno costretto a vivere in mezzo alla menzogna<br />

e a morire per la menzogna, vuol dire che<br />

tutto il pianeta è menzogna e si regge sulla menzogna<br />

e su una stolta irrisione” 3 .<br />

Nell’orizzonte della teologia negativa, Kirillov, il<br />

martire della libertà nichilista, conclude la propria<br />

esistenza con il suicidio: l’autodistruzione – l’uscita<br />

dall’essere – è la via all’unione con la libertà che ha<br />

sede oltre la vita:<br />

“Per anni ho cercato l’attributo della divinità e l’ho<br />

trovato: l’attributo della mia divinità è il libero arbitrio.<br />

E tutto ciò con cui io posso dimostrare il<br />

punto supremo della mia rivolta e la mia nuova<br />

paurosa libertà. Poiché essa è assai paurosa. Io mi<br />

ucciderò per affermare la rivolta e la mia nuova<br />

paurosa libertà” 4 .<br />

Kirillov si uccide per attuare la mossa decisiva<br />

della ribellione contro il creatore dell’universo, che<br />

opprime e frustra la bontà dell’ineffabile e impotente<br />

redentore. La ragione della rivolta nichilista contro<br />

la vita è dichiarata nel capitolo dei Fratelli Karamazov,<br />

in cui la figura eminentemente paterna del<br />

grande inquisitore cattolico rivela che l’unica felicità<br />

possibile nel regno del creatore è una pace incosciente<br />

e servile, dunque che la libertà promessa da Cristo<br />

è un mito, che non tiene conto della reale condizione<br />

2 Cfr.: Dagli ebrei la salvezza, Adelphi, Milano 1994, pag. 123.<br />

3 I Demoni, p. III, c. 6.<br />

4 Ibidem.<br />

dell’uomo.<br />

Al Cristo nichilista l’inquisitore cattolico muove,<br />

infatti, l’accusa di aver proposto un ideale troppo alto<br />

per gli uomini:<br />

“Tu hai scelto quello che c’è di più insolito, di più<br />

problematico, hai scelto tutto quello che era superiore<br />

alle forze degli uomini e perciò hai agito come<br />

se tu non li amassi affatto. … Ma è possibile che<br />

Tu non abbia pensato che alla fine l’uomo avrebbe<br />

discusso e rifiutato la tua immagine e la tua verità,<br />

se lo si opprimeva con un peso così spaventoso come<br />

la libertà di scelta Alla fine grideranno che la<br />

verità non è in te, perché era impossibile lasciarli in<br />

mezzo a tormenti e inquietudini maggiori di quelle<br />

in cui Tu li hai lasciati” 5 .<br />

<strong>Il</strong> Cristo avventizio di Dostoewskij ha fatto entrare<br />

nel mondo la luce della libertà assoluta, la luce del<br />

Nulla; in essa si rivela l’essenza dell’inganno cattolico:<br />

sottomettere l’umanità al potere alienante del<br />

Creatore. Nella totale distorsione della dottrina cristiana<br />

è visibile chiaramente l’influsso della biografia<br />

di Dostoewskij: il ricordo corrusco del padre, la tragica<br />

esperienza della prigione zarista e, sopra tutto,<br />

la frequentazione dei maestri di cristianesimo alternativo,<br />

conosciuti durante l’esilio in Siberia.<br />

<strong>Il</strong> cuore della teologia nichilista, dunque, consiste<br />

nella tesi che Cristo non è il Verbo creatore ma<br />

l’epifania dell’altro dio, abisso silenzioso e irreale.<br />

Al Cristo romanzato si oppone lo spirito della<br />

terra, che pervade la Chiesa cattolica e la dispone all’esercizio<br />

di un potere sconsacrato.<br />

Spaventosa caricatura dell’autorità cattolica, l’inquisitore<br />

afferma, infatti, che la opaca realtà trionfa<br />

sulla luminosa irrealtà cristiana:<br />

“Tu obiettasti che l’uomo non vive di solo pane.<br />

Ma lo sai, Tu, che proprio in nome di questo pane<br />

terreno lo spirito della terra insorgerà e lotterà<br />

contro di Te e alla fine Ti vincerà … Tu promettesti<br />

loro il pane celeste, ma può questo pane, agli<br />

occhi della debole razza umana,eternamente depravata,<br />

paragonarsi a quello terreno E se pochi<br />

eletti ti seguiranno in nome del pane celeste che ne<br />

sarà dei milioni e dei miliardi che non avranno la<br />

forza di seguirti, di disprezzare il pane terreno per<br />

quello celeste O forse a Te sono care solamente le<br />

poche migliaia di eletti No, a noi sono cari anche i<br />

deboli, anche i reietti! Ad essi noi diremo che obbediamo<br />

a Te e regniamo in Tuo nome. E in questo<br />

inganno sarà il nostro dolore, giacché siamo co-<br />

5 I fratelli Karamazov, p. II. C. 5.<br />

30 luglio 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

stretti a mentire per tua colpa” 6 .<br />

Affinché gli uomini abbiano la misera felicità che<br />

conviene alla loro natura, l’inquisitore assumerà il<br />

peso del peccato e dirà agli uomini che la colpa sarà<br />

perdonata, se commessa col suo consenso:<br />

“È permesso il peccato perché io li amo e il castigo<br />

di questi peccati lo assumo su di me … essi moriranno<br />

dolcemente, si spegneranno dolcemente nel tuo<br />

nome e oltre la tomba troveranno solo la morte.<br />

Ma io manterrò il segreto e per la loro felicità li<br />

cullerò nell’idea di una ricompensa eterna” 7 .<br />

L’intenzione blasfema di Dostoewskij sale allo<br />

scoperto nel giudizio di Cristo a favore dell’Inquisitore:<br />

“Ecco che Egli in silenzio si avvicina al Grande<br />

Inquisitore e lo bacia sulle vecchie labbra esangui.<br />

E questa è tutta la sua risposta” 8 .<br />

<strong>Il</strong> giudizio che assolve l’inquisitore trasforma la<br />

teologia in filosofia del sospetto, che contempla<br />

l’Essere come inganno e gli uomini come “creature<br />

incompiute, fatte per esperimento e per burla”.<br />

Ora la contemplazione del male invincibile obbliga<br />

ad abbracciare la soluzione nichilista, cioè a rassegnarsi<br />

al<br />

“terribile spirito della morte e della distruzione … a<br />

questo scopo bisogna accettare la menzogna e l’inganno<br />

e guidare gli uomini fino alla morte e alla<br />

distruzione, ingannandoli per tutta la strada affinché<br />

non capiscano dove sono condotti e si credano<br />

felici almeno durante il cammino” 9 .<br />

Motore del delirio teologico adesso è il mito dell’eterno<br />

ritorno. Nella parte conclusiva dei Fratelli<br />

Karamazov si affaccia l’idea ossessiva, che domina<br />

l’ultima scena del mondo moderno:<br />

“La terra si è ripetuta milioni e milioni di volte: è<br />

morta, si è congelata, si è spezzata, frantumata, decomposta<br />

nei suoi elementi costitutivi, è diventata,<br />

di nuovo, l’acqua che era sopra il firmamento e poi<br />

di nuovo cometa, di nuovo sole e di nuovo dal sole è<br />

uscita la terra, e forse questo ciclo si è ripetuto milioni<br />

di volte, sempre uguale, in ogni minimo particolare.<br />

Una noia da morire” 10 .<br />

La vita è ripetizione e noia senza fine. La verità è<br />

una cattiva novella, che descrive un incubo, l’assurdo<br />

vagare. Solo il trionfo dell’Antivita potrebbe inter-<br />

6 Ibidem.<br />

7 Ibidem.<br />

8 Ibidem.<br />

9 Ibidem.<br />

10 I fratelli Karamazov, p. IV, c. 12.<br />

rompere la sequela irragionevole, ma la follia è indispensabile<br />

alla vita, senza di lei<br />

“nel mondo comincerebbe a regnare la ragione, ma<br />

la ragione naturalmente sarebbe la fine: tutto si<br />

spegnerebbe e non accadrebbe più nulla” 11 .<br />

La storia procederà in eterno, verso la ripetizione<br />

e gli uomini avranno un sollievo soltanto dall’adesione<br />

alla cattiva novella. All’orizzonte dell’ateismo<br />

moderno sorge il sole della finzione buonista:<br />

“Ogni uomo saprà di essere mortale per intero,<br />

senza possibilità di resurrezione, e accetterà la<br />

morte con tranquilla fierezza, come un dio. Nella<br />

sua fierezza l’uomo capirà che non deve lamentarsi<br />

se la vita è un attimo e amerà il proprio fratello<br />

senza bisogno di ricompensa. L’amore riempirà solamente<br />

quell’attimo di vita, ma la consapevolezza<br />

della sua fugacità basterà da sola a ravvivare la<br />

fiamma” 12 .<br />

L’amore senza verità trascina l’umanità verso<br />

quella cultura della dolce morte, che Augusto Del<br />

Noce definì magistralmente totalitarismo della dissoluzione.<br />

In questa luce si comprende perché, nelle<br />

storie di Dostoewskij, la malattia è circondata da un<br />

sacro alone e perché agisce come una forza sacra, che<br />

si impossessa degli uomini ora precipitandoli nelle<br />

tenebre ora coprendoli di luce abbagliante: la malattia,<br />

infatti, rivela la debolezza dell’Essere e la potenza<br />

del Nulla.<br />

Dostoewskij predica la religione nuova, che ha<br />

sfondato le porte dell’illuminismo: la contemplazione<br />

della malattia, del malessere e del disordine quali<br />

versanti di una montagna incantata, da scalare in vista<br />

della realizzazione nichilista.<br />

La fede nella malattia, forza illuminante e terribile,<br />

cui Thomas Mann darà il nome di “via geniale<br />

verso l’umanità e l’amore”, è il perfetto rovescio dell’Eucarestia<br />

13 .<br />

Bestemmiata la santità del Padre e negata la sapienza<br />

del Figlio non rimane che la buona malattia.<br />

La felicità si converte nel piacere morboso della dissoluzione:<br />

Dostoewskij dichiara che un attimo di<br />

ebrietà epilettica vale l’intera esistenza e Mann che<br />

descrive Faustus-Nietzsche nell’atto d’implorare l’iniziazione<br />

luetica 14 .<br />

PIERO VASSALLO<br />

11 Ibidem.<br />

12 Ibidem.<br />

13 Al riguardo cfr.: Thomas Mann, Dostoewskij, con misura.<br />

14 Thomas Mann, Lo spirito della medicina.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 652


A<br />

B<br />

N°653<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

7 AGOSTO 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

a Questo numero.<br />

Le notizie dalla Francia fanno la parte del leone. Inizia<br />

la rubrica Siti freschi segnalando un sito d'oltralpe,<br />

Polémia, che ci aggiorna su fermenti della cultura<br />

francese per noi confortanti: nell'elenco dei temi della<br />

“rivolta degli intellettuali contro il Sistema” troviamo<br />

infatti quasi tutti quelli a noi cari, sembrano mancare<br />

solo la critica dell'architettura e dell'urbanistica novecentesca.<br />

In sesta pagina Gabriella Rouf presenta<br />

L'hiver de la culture, il recentissimo libro di Jean<br />

Clair, in corso di traduzione. In ultima, evocata dall'accenno<br />

di pagina 5 ad «une opinion molle, une pensée<br />

loukoum», una poesia di Carlo Poggiali (1935-2005),<br />

indimenticato maestro e collaboratore del <strong>Covile</strong>. N<br />

ABBBBBBBBBC<br />

H d Siti freschi (23) D<br />

H<br />

Polémia D<br />

EFFFFFFFFFG<br />

A CURA DI GABRIELLA ROUF<br />

Di grande interesse il sito francofono Polémia<br />

(www.polemia.com), che così si presenta:<br />

Polémia: Perché<br />

Perché in un mondo in preda al caos e sempre<br />

più dominato dallo scontro di civiltà, dobbiamo<br />

avere il coraggio di individuare le nuove<br />

linee di frattura e discernere i conflitti futuri<br />

per meglio prevenirli.<br />

Poiché nel momento della normosi e dei tabù<br />

imposti dal politicamente corretto, occorre<br />

reintrodurre il libero confronto delle idee nel<br />

dibattito pubblico.<br />

Perché Polemos, la guerra, è inseparabile dalla<br />

vita. Affermata dai presocratici, questa evidenza<br />

ha da tempo attraversato il pensiero<br />

europeo, fino a Nietzsche, Hölderlin, Hegel<br />

e Marx. Di fronte ai tempi di confusione che<br />

segnano l’uscita dalla modernità, occorre<br />

riabilitare la feconda opposizione dei contrari.<br />

Polemos<br />

è il padre di tutti gli esseri,<br />

il re di tutti gli esseri.<br />

Agli uni ha dato forma di dei,<br />

agli altri di uomini.<br />

Ha fatto gli uni schiavi<br />

gli altri liberi .<br />

Eraclito (frammento 53)<br />

Polémia, che ci è stato segnalato da Aude de<br />

Kerros, ha offerto recentemente, anche in forma<br />

di consigli di lettura, una panoramica della<br />

cultura francese anticonformista. La rassegna<br />

ci sembra utile e incoraggiante.<br />

. LA RIVOLTA DEGLI INTELLETTUALI CONTRO IL<br />

SISTEMA.<br />

DI ANDREA MASSARI/ POLÉMIA<br />

Fonte: www.polemia.com/article.phpid=3948.<br />

<strong>Il</strong> dissenso degli intellettuali ha preceduto la<br />

caduta dell'Unione Sovietica. La rivolta degli<br />

intellettuali contemporanei potrebbe pure annunciare<br />

la caduta dell'impero cosmopolita.<br />

Certo, gli oligarchi del Sistema sono potenti:<br />

hanno soldi e controllano i media tradizionali.<br />

Ma il potere degli oligarchi è sotto una triplice<br />

minaccia: la rivolta populista, la rivolta informatica,<br />

ma anche la rivolta degli intellettuali.<br />

Filosofi, antropologi, economisti, geo-politici,<br />

geografi e sociologi sono sempre più numerosi<br />

a sfidare il disordine istituzionalizzato [...]<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2010 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

Filosofi alla ricerca del senso<br />

Nel 1950, la maggior parte dei filosofi erano<br />

marxisti; sono diventati poi dirittidelluomisti<br />

negli anni 1970/1980. Oggi, molti filosofi sono<br />

critici acerbi della modernità e si fanno sostenitori<br />

di un ritorno alla tradizione. Questo è il<br />

caso di Jean-François Mattéi, autore di Barbarie<br />

intérieure e Procès de l’Europe. È il caso di<br />

Philippe Nemo, autore di La Régression intellectuelle<br />

de la France. Chantal Delsol denuncia<br />

L’Age du renoncement. E con grande rabbia<br />

letteraria lo scrittore Richard Millet denuncia<br />

La Fatigue du sens e l’orizzontalità del mondo.<br />

[...]<br />

<strong>Il</strong> ritorno delle frontiere<br />

Nella neolingua contemporanea la parola<br />

«frontiere» era diventata tabù: non se ne parlava,<br />

se non per... abbatterle. Régis Debray ha<br />

infranto il tabù pubblicando un Eloge des frontières.<br />

L’elogio delle frontiere è anche il filo<br />

conduttore del libro folgorante di Hervè Juvin:<br />

Le Renversement du monde. L'economista<br />

e antropologo si unisce così al filosofo. [...]<br />

La riabilitazione del protezionismo<br />

Di fronte alla grande minaccia industriale, il<br />

vecchio gollista Jean-Noël Jeanneney aveva<br />

pubblicato nel 1978 Pour un nouveau protectionnisme.<br />

In forma di canto del cigno, perché<br />

dalla fine del 1970, è il libero scambio che si<br />

impone, riuscendo perfino a far censurare il<br />

Premio Nobel Maurice Allais. Questa epoca di<br />

censura è finita: ci sono oggi economisti che<br />

hanno il coraggio di apparire protezionisti:<br />

Jacques Sapir e Jean-Luc Gréau si sono aggiunti<br />

a Gerard Dussouy, teorico della globalizzazione,<br />

e ad Alain Chauvet (Un autre monde;<br />

Protectionnisme contre prédation) .<br />

Sociologi e geografi volgono uno sguardo critico sull’immigrazione<br />

<strong>Il</strong> geografo Christophe Guilly ha gettato un<br />

sasso nello stagno con le sue Fractures françaises.<br />

Esso mostra l'entità delle divisioni etniche:<br />

fratture etniche che non sono necessariamente<br />

sociali [...] Da parte sua, Malika Sorel afferma<br />

Le langage de vérité: immigration, intégration.<br />

Nelle stesse prospettuve Michéle Tribalat<br />

(INED) in Les yeux grands fermés: l'immigration<br />

en France o Hugues Lagrange in Le déni<br />

des cultures.<br />

<strong>Il</strong> grande ritorno della geopolitica<br />

Ogni anno il festival della geopolitica di Grenoble,<br />

organizzato da Pascal Gauchon e Jean-<br />

Marc Huissoud, segna il ritorno degli intellettuali<br />

alle preoccupazioni di potenza: Aymeric<br />

Chauprade, autore della Chronique di choc des<br />

civilisations può incontrarvi Pascal Boniface,<br />

autore di Atlas du monde global e distruttore<br />

degli Intellectuels falsaires. Fuori campo, non<br />

possiamo dimenticare il generale Desportes,<br />

ex direttore della Scuola di Guerra e critico<br />

delle guerre degli Stati Uniti. Né Alain Soral,<br />

che non vuole solo Comprendre l’empire, ma<br />

combatterlo. Né Christian Harbulot, teorico<br />

della guerra economica. Né François-Bernard<br />

Huyghe, chiarissimo mediologo.<br />

Lo smascheramento dell’arte “contemporanea"<br />

L'arte “contemporanea" ha più di un secolo.<br />

È più che centenaria! È nata nel 1890 e troneggia<br />

nei musei dai tempi dell’Orinatoio di<br />

Duchamp del 1917! Ma le critiche all'arte<br />

“contemporanea" sono sempre più numerose e<br />

spietate. Jean-Philippe Domecq annuncia che<br />

“l'arte del contemporaneo è finita". Questi<br />

Artistes sans art sono criticati anche da Jean<br />

Clair, accademico ed ex direttore del Museo<br />

Picasso in L’hiver de la culture e in Le dialogue<br />

avec les morts. Senza dimenticare le argomentate<br />

accuse di Aude de Kerros in L’art caché, di<br />

Christine Sourgins in Les mirages de l’art contemporain,<br />

di Jean-Louis Harouel in La grande<br />

falsification de l’art contemporain, o di<br />

Alain Paucard nel Manuel de résistence à l’art<br />

contemporain.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 653


| ( 3 ) |<br />

La denuncia delle oligarchie<br />

Dieci anni fa, con “oligarchi" si designavano i<br />

dirigenti russi più o meno mafiosi che si arricchivano<br />

sulle rovine dell’ex Unione Sovietica.<br />

Oggi, la critica agli oligarchi ha superato il<br />

muro dell’ ex “cortina di ferro". Apostolo della<br />

democrazia diretta, Yvan Blot pubblica L’oligarchie<br />

au pouvoir. Si trova in compagnia di<br />

Alain Cotta denunciante Le Règne des oligarchies<br />

e di Hervè Kempf, che pubblica L'oligarchie,<br />

ca suffit, vive la démocratie. E il liberale<br />

Vincent Bénard, Direttore dell’ Istituto<br />

Hayek, denuncia gli “oligarchismi". Un punto<br />

di vista ripreso in un altro modo dall'antropologo<br />

Paolo Jorion ne Le Capitalisme à l’agonie.<br />

Così cinque autori partendo da cinque diversi<br />

punti di vista convergono nella stessa critica.<br />

Al posto degli oligarchi ci sarebbe da preoccuparsi!<br />

Neuroscienze contro la televisione e le nuove pedagogie<br />

Migliaia di studi scientifici hanno stabilito i<br />

danni della televisione sulla salute (obesità,<br />

malattie cardiovascolari) e sullo sviluppo mentale,<br />

dei bambini in particolare. Con TV-lobotomie<br />

Michel Desmurget fa il punto senza alcuna<br />

concessione, colpendo al cuore lo strumento<br />

centrale del controllo delle menti.<br />

Le neuroscienze forniscono anche argomenti<br />

decisivi contro i metodi di insegnamento<br />

cosiddetti “nuovi" i cui disastri nel settore dell'istruzione<br />

sono costantemente criticati, specialmente<br />

da Laurent Lafforgue, medaglia<br />

Fields 1 .<br />

Un ribollire fruttuoso<br />

Ciò che colpisce in questo nuovo panorama intellettuale<br />

è la diversità di coloro che lo compongono.<br />

Ci sono i protagonisti e i marginali,<br />

coloro che hanno l’insegna a Gallimard e a<br />

Seuil, e quelli che pubblicano i loro libri al limite<br />

dell’autoedizione. Non fa differenza, l’u-<br />

1 Premio internazionale. È la massima onorificenza, equivalente<br />

al Nobel, per la matematica.<br />

no e l'altro riscuotono successo, soprattutto<br />

grazie ad Amazon.<br />

Ci sono quelli che vengono dalle sponde<br />

della sinistra e del marxismo e quelli che si<br />

presentano come reazionari. Ci sono dei liberali<br />

lucidi e dei lettori di Krisis 2 . Ci sono cattolici,<br />

laici e panteisti. Ci sono quelli che escono<br />

da tre decenni di conformismo e coloro che<br />

lottano da 30 anni contro il conformismo. Ci<br />

sono anche quelli che non vengono fuori da<br />

nessuna parte, ma che guardano ai fatti.<br />

<strong>Il</strong> potere degli oligarchi e l’ordine politicamente<br />

corretto (globalizzato, «antirazzista»,<br />

liberoscambista, di rottura con le tradizioni)<br />

sono sotto un triplice fuoco: movimenti populisti,<br />

blogsfera dissenziente e intellettuali in rivolta.<br />

Speriamo che gli eventi futuri li portino<br />

a convergere!<br />

☞ Sul libro di Régis Debray sono già apparsi<br />

resoconti e commenti anche sulla stampa italiana,<br />

e sulla critica al sistema dell’arte contemporanea<br />

AC siamo intervenuti più volte;<br />

riportiamo invece gli approfondimenti specifici<br />

su due delle opere citate, che intervengono su<br />

aspetti dell’emergenza educativa: il pericolo<br />

prossimo venturo di inserimento delle teorie di<br />

gender nei programmi scolastici, e la già ahimè<br />

da lungo tempo operante «lobotomia televisiva».<br />

. TEORIA DEL GENERE: DESTITUIRE L'UOMO<br />

DALLA SUA UMANITÀ.<br />

Fonte: www.polemia.com/article.phpid=3930.<br />

Luc Chatel 3 ha appena imposto nei programmi<br />

di prima classe di Scienze della vita e della<br />

terra la “teoria del genere". <strong>Il</strong> Prof. Jean-<br />

Francois Mattéi analizza qui il senso filosofico<br />

di questa lysenkismo pedagogico. Si tratta per<br />

lui di una negazione pura e semplice della nozione<br />

di umanità, di un ritorno alla barbarie in<br />

2 Rivista tedesca di elaborazione teorica neomarxista.<br />

3 Attuale Ministro di Francia dell’Educazione nazionale, della<br />

gioventù e dell’associazionismo.<br />

7 agosto 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

una prospettiva post-sessantottesca. (Polémia)<br />

«Non si comprende l'ondata dei gender studies<br />

americani che muove all’assalto delle<br />

sponde francesi, se uno si accontenta di vedervi<br />

un avatar del femminismo. Non si tratta<br />

infatti di liberare la donna dall'oppressione<br />

biologica dell’uomo, quanto piuttosto di<br />

rimuovere l’uomo dal suo fondamento ontologico,<br />

in un inaspettato capovolgimento. <strong>Il</strong><br />

“genere", infatti, non concerne l'uomo in<br />

quanto maschio, sessuato secondo il sistema<br />

eterogametico XY di cui la biologia dimostra<br />

la necessità, ma l'uomo in quanto umanità,<br />

votata ad un’essenza di cui l’etica afferma la<br />

dignità. Per dirla in breve, la teoria del genere<br />

vuole farla finita con l'umanesimo occidentale<br />

dal Rinascimento in poi per abolire<br />

ogni forma di universalità. La diagnosi di<br />

Michel Foucault sarà così ben corroborata:<br />

“l'uomo" è in Occidente un’ “invenzione recente"<br />

il cui volto di sabbia si cancella a poco<br />

a poco, come “al bordo del mare."<br />

I lavori sul genere partono da una premessa<br />

radicale: la differenza tra l’uomo e la donna<br />

deriva da un genere sociale che non ha rapporto<br />

con il genere sessuale, nella misura in<br />

cui il comportamento umano dipende esclusivamente<br />

dal contesto culturale. Se c'è una<br />

differenza biologica fra i sessi, essa non ha alcuna<br />

rilevanza antropologica, e tanto meno<br />

etica, per cui l'eterosessualità non è una pratica<br />

orientata dalla natura, ma l'effetto di un<br />

determinismo culturale che ha imposto le sue<br />

norme oppressive. Si attacca pertanto la differenza<br />

tra maschile e femminile annullando,<br />

con la loro identità, la loro inclusione nella<br />

categoria dell’umano. […] se il genere grammaticale<br />

non esistesse, il sesso biologico sarebbe<br />

ridotto a un’insignificante differenza<br />

fisica.<br />

Si sostiene, quindi, in una dichiarazione pregiudiziale,<br />

che le differenze tra il femminile e<br />

maschile sono effetti perversi della costruzione<br />

sociale. Occorre quindi procedere ad una<br />

decostruzione. Ma non ci si chiede in alcun<br />

momento perché le società umane hanno<br />

sempre distinto uomini e donne, né su quale<br />

base l’edificio grammaticale, culturale e politico<br />

si appoggia. Come spiegare che tutti i<br />

gruppi sociali si sono ordinati in base alle<br />

“opposizioni binarie e gerarchiche" dell'eterosessualità,<br />

come riconosciuto anche da Judith<br />

Butler 4 Lungi dall’interrogarsi su questa<br />

costante, la neutralità di genere si accontenta<br />

di dissociare il biologico dall’antropologico,<br />

o, se preferite, la natura dalla cultura,<br />

al fine di espellere la funzione tirannica del<br />

sesso.<br />

Questa strategia di decostruzione non è riducibile<br />

alla negazione della eterosessualità. I<br />

gender studies, così come i queer studies o i<br />

multicultural studies, hanno lo scopo di minare,<br />

con un lavoro di scavo instancabile le<br />

forme universali generate dal pensiero europeo.<br />

Judith Butler non esita a sostenere che<br />

“il sesso che non è tale", vale a dire il genere,<br />

costituisce “una critica della rappresentazione<br />

occidentale e della metafisica della sostanza<br />

che struttura l’idea stessa di soggetto"<br />

(Trouble dans le genre, p. 73). Ci si sbarazza<br />

con un tratto di penna, del sesso, dell’uomo,<br />

della donna e del soggetto preso nella forma<br />

dell’umanità. <strong>Il</strong> che porta con sé, per una serie<br />

di contraccolpi, la distruzione dell'umanesimo,<br />

imposto alle altre culture dall'imperialismo<br />

occidentale, e, più ancora, la distruzione<br />

della repubblica, dello Stato e della razionalità.<br />

La decostruzione, esportata negli<br />

USA dalla French Theory prima che ci ritornasse<br />

addosso come un boomerang, ha<br />

come fine ultimo di distruggere il logocentrismo<br />

identificato da Derrida con l’eurocentrismo,<br />

e in altre parole con la ragione universale.<br />

Ella si fonda per questo sulla confusione di<br />

generi, tra uomo e donna, ma anche tra realtà<br />

e virtualità. È quello che lasciava intendere<br />

la critica dell’eterosessualità da parte di Foucault<br />

a favore dell'omosessualità che permet-<br />

4 Teorica americana della critica sul sesso e sul genere. Varie<br />

opere tradotte in italiano, tra cui Scambi di genere.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 653


| ( 5 ) |<br />

terebbe di “riaprire virtualità affettive e relazionali”<br />

(Dits et Ecrits). È per sacrificare a<br />

queste virtualità che una coppia canadese ha<br />

recentemente deciso di non rivelare il sesso<br />

del loro bambino di pochi mesi, chiamato<br />

Storm, così che possa sceglierlo lui liberamente,<br />

in seguito.»<br />

da: Jean-Francois Mattéi, Le Procès de l’Europe,<br />

PUF, 2011<br />

. TV LOBOTOMIA.<br />

GABRIELLE CLUZEL/MONDE ET VIE)<br />

Fonte: www.polemia.com/article.phpid=3947.<br />

Fino a poche settimane fa, ero come voi: una<br />

madre che ascoltava con orecchio distratto i<br />

detrattori della televisione. Un po' eccessiva,<br />

no, questa pretesa di sradicare il piccolo schermo<br />

[…]. Ma era prima d’aver letto TV lobotomia<br />

5 , il libro di Michel Desmurget, dottore<br />

di neuropsicologia e direttore di ricerca presso<br />

l'INSERM in neuroscienze cognitive, dal sottotitolo<br />

esplicito La verità scientifica sugli effetti<br />

della televisione.<br />

L'autore critica, ovviamente, il vuoto dei<br />

programmi, che produce nei giovani “un’opinione<br />

molle, un pensiero loukoum [...]" Ma<br />

con una veemenza supportata da studi scientifici,<br />

ci dimostra anche i danni intrinseci all'esposizione<br />

passiva dei nostri figli al piccolo<br />

schermo.<br />

Così, due ore di esposizione giornaliera nell’età<br />

compresa tra 1 e 4 anni comporterebbe<br />

moltiplicare per tre il rischio di ritardo del<br />

linguaggio. Ogni ora consumata ogni giorno<br />

durante il periodo della scuola elementare indurrebbe<br />

il 43% in più di probabilità di lasciare<br />

la scuola senza un diploma e il 25% di probabilità<br />

addizionale di non sedersi sui banchi<br />

dell'università.<br />

Per quanto riguarda la TV baby-sitter, egli<br />

per suo conto la chiama “tele-Valium" e affer-<br />

ma che ha sul bambino lo stesso effetto di una<br />

droga che gli fosse somministrata per renderlo<br />

inattivo, dal momento che proprio le esplorazioni,<br />

manipolazioni e continue esperienze di<br />

causa ed effetto, che tanto stancano i genitori,<br />

sono necessarie per lo sviluppo del bambino.<br />

[…]. <strong>Secondo</strong> Michel Desmurget,<br />

“L’esposizione televisiva non rende i bambini<br />

visibilmente idioti o ritardati. Essa non li rincretinisce<br />

palesemente. Essa riduce il campo<br />

delle loro esperienze e, di fatto, l’universo<br />

delle loro possibilità. Avrebbero avuto 150 di<br />

QI, si dovranno accontentare forse di 110.<br />

Avrebbero avuto l’audacia letteraria di un<br />

Thomas Mann, saranno soddisfatti di una<br />

penna appena mediocre."<br />

Da una rapida carrellata su siti francofoni<br />

di discussione dei temi educativi e sociali,<br />

emerge la grande eco che ha avuto il libro di<br />

Desmurget, in quanto sintesi di migliaia di studi<br />

(per lo più nordamericani), che forniscono<br />

dati ed un consenso unanime sui danni della<br />

televisione in quanto tale, in aggiunta alla negativa<br />

influenza dei contenuti dei programmi.<br />

Di fronte all’univocità dei risultati, tutti si<br />

chiedono come sia possibile ignorarli (il paragone<br />

è con il rapporto fumo/cancro): se infatti<br />

la legislazione pone (fragili ed ipocriti) limiti a<br />

tutela dell’infanzia riguardo ai contenuti, sull’eventualità<br />

del disastro ontogenetico, tutto è<br />

affidato alle famiglie, a loro volta messe in crisi<br />

dalla dipendenza televisiva.<br />

I commenti e la discussione in rete mettono<br />

in evidenza un’ampia testimonianza di famiglie<br />

che avendo risolutamente bandito l’apparecchio<br />

televisivo, ne hanno ricavato benefici e<br />

vera gioia dello stare insieme, più che compensativi<br />

dell’assenza della malefica baby sitter.<br />

Q P<br />

5 Michel Desmurget, TV lobotomie. La vérité scientifique sur les<br />

effets de la télévision, Max Milo Editions, <strong>2011.</strong><br />

7 agosto 2011 Anno XI


†‡·•‡·•‡‚<br />

„ ”<br />

V Invito alla lettura<br />

» …<br />

Jean Clair. L’inverno della cultura.<br />

„ ”<br />

‰`ˆ¿´`´¿ˆ`˜<br />

DI GABRIELLA ROUF<br />

Dovrebbe uscire in autunno, presso le edizioni<br />

Skira, la traduzione italiana dell'ultimo libro<br />

di Jean Clair, dall’icastico titolo L’inverno<br />

della cultura 6 : nonostante lo scenario, vi troviamo<br />

tutt’altro che un arreso cordoglio, bensì<br />

uno sdegno fiammeggiante, lo stesso che vibrava<br />

nella Comunicazione al Cortile dei Gentili<br />

di Parigi. 7<br />

U<br />

Anticipiamo alcuni brani del capitolo VI<br />

(L’Action et l’amok), in cui l’autore ripercorre<br />

le tappe della «marcia della follia» 8 , distruttiva<br />

dei valori qualitativi e della stessa esistenza<br />

dell’opera d’arte: l’attuale scomposta ricerca<br />

di spettacolarità in arte — dice Jean Clair —<br />

«ricorda il gesticolare di un uomo che annega<br />

dibattendosi in movimenti sempre più disordinati.<br />

L’arte contemporanea è la storia di un<br />

naufragio e di uno sprofondamento.»<br />

«È nel 1972, quattro anni dopo il 1968, che<br />

Harald Szeemann, all’esposizione Documenta<br />

di Kassel, proponeva una mostra che si sarebbe<br />

chiamata When attitudes become forms.<br />

Essa inaugurò un'epoca in cui il corpo dell'uomo<br />

pretendeva di sostituirsi alle sue opere.<br />

Con il termine “atteggiamenti", bisognava<br />

intendere le posizioni morali, la Weltan-<br />

6 Jean Clair L’hiver de la culture ed. Flammarion <strong>2011.</strong><br />

7 Vedi <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> N°642.<br />

8 Questa immagine viene dall’omonimo libro di Barbara Tuchman,<br />

la quale si riferisce alla fattispecie del «perseguire una politica<br />

contraria agli interessi del gruppo che si rappresenta», anche in<br />

presenza di una linea d’azione alternativa. Pur fruttando guadagni<br />

favolosi agli speculatori e alle star, il suicidio dell’ambiente e del<br />

mercato dell’arte ha i caratteri di questo perverso accecamento.<br />

| ( 6 ) |<br />

schauung, l'ideologia necessariamente libertaria<br />

ed esplicita del nuovo mago che è diventato<br />

1'artista contemporaneo nella società<br />

contemporanea. Ma questa visione del mondo<br />

non si sarebbe comunicata più attraverso le<br />

opere, bensì si manifesterebbe con immediatezza,<br />

attraverso la presenza stessa dell’artista<br />

nella sua realtà fisica, nei suoi atteggiamenti<br />

corporei, come un grande sacerdote,<br />

come un profeta o come un leader politico,<br />

producendosi tout de go, e facendo della sua<br />

figura e dei suoi movimenti — talvolta delle<br />

sue parole — un exemplum, inedito per il<br />

pubblico delle mostre e delle fiere d’arte.<br />

Szeemann era colui che aveva fatto rinascere<br />

in un’esposizione commemorativa il Monte<br />

Verità, questo falansterio di uomini e di donne,<br />

fondato verso il 1900, al di sopra di Ascona<br />

sul lago Maggiore, che, in nome della<br />

Kleidreform, la riforma dell’abbigliamento,<br />

dei regimi vegetariani del dott. Kneipp, delle<br />

dottrine antroposofiche di Rudolf Steiner, e<br />

di un sincretismo artificiale tra l’anarchia<br />

alla Bakunin e l’occultismo della Blavatsky,<br />

correvano nudi, la mattina nella rugiada, e<br />

adoravano il sole 9 . C’erano tra loro degli anziani<br />

simbolisti e dei giovani astrattisti, degli<br />

espressionisti e dei dadaisti come Hans Harp<br />

e Bruno Ball, dei riformatori e dei rivoluzionari,<br />

dei mistici e dei terroristi, dei partigiani<br />

della rivoluzione sessuale come Otto Gross e<br />

degli psicanalisti volti alla spiritualità come<br />

C. G. Jung, e anche dei settari vicini al nazismo<br />

nella loro volontà di resuscitare i saturnali<br />

come Fidus, [...] Tutti condividevano lo<br />

stesso ideale: rigenerare l’uomo attraverso<br />

l’arte e il culto del corpo. Non creare un’opera,<br />

ma perpetuare la purezza biologica di<br />

un organismo nel seno del Grande Tutto.<br />

André Masson, in un omaggio al suo amico<br />

Malraux, doveva scrivere, in eco al Faust di<br />

Goethe: “In un mondo abbandonato dagli<br />

dei, sembrerebbe che non ci fosse posto che<br />

9 Per i precedenti delle mitologie del corpo e del gesto, vedi anche<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> N°626 e Romano Guardini e i movimenti moderni.<br />

Breve viaggio all’origine di un disastro, <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> – Raccolta , aprile<br />

2011: .<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 653


| ( 7 ) |<br />

per l’azione, per l’azione senza la motivazione<br />

di uno scopo.” È esatto: nell’assenza di<br />

Dio, si agitano le false divinità dei teosofi,<br />

delle avanguardie e del neo-paganesimo nazista,<br />

e il sogno di rigenerazione che li accompagna,<br />

diventa presto un incubo da cui<br />

non si esce più.»<br />

Ecco il «terreno di coltura» su cui germogliano<br />

i nuovi miti della modernità, con gli artisti<br />

come figure oracolari:<br />

«.. il vecchio ego dei romantici, radicato nel<br />

logos della Storia, si era dissolto. Ma per rinascere,<br />

più smisurato, più infantile, più totalitario<br />

ancora. Nella disfatta delle ideologie<br />

politiche e sociali che ha avuto inizio negli<br />

anni settanta e nella cancellazione della<br />

Storia, il concetto vago di "mitologia personale"<br />

applicato all'artista ha permesso la nascita<br />

di una mistagogia che pretendeva di stabilire<br />

le leggi nuove di un’Arte divenuta una<br />

gnosi.<br />

La sola apparizione dell’artista-Dio, Santo,<br />

Sacro o Eroe, era sufficiente per i fedeli.<br />

Quello che cadeva dalle sue mani non erano<br />

più opere, ma reliquie.»<br />

Ma altre componenti, se possibile ancora<br />

più deleterie, vanno a confluire nel torbido<br />

flusso sgorgato dalle avanguardie degli inizi<br />

del secolo: gli Azionisti, gruppo fondato a<br />

Vienna nel 1963, riprendono «in nome dell’avanguardia<br />

e della libertà inalienabile del genio,<br />

un termine, quello di Aktion, che era stato<br />

reso famoso dalle S.A», per designare le loro<br />

manifestazioni pubbliche provocatorie, dai<br />

tratti sadomasochisti e osceni:<br />

<strong>Il</strong> loro leader, Otto Muehl, teorico dell’atto<br />

violento e sanguinario come «solo dramma che<br />

valga di essere visto» finirà condannato nel<br />

1990, a sette anni di carcere per abuso sessuale<br />

di minori, stupri e aborti forzati. Qui è il punto<br />

in cui più vibra lo sdegno di Jean Clair: alla<br />

sua liberazione, il fetido Otto Muhel è stato<br />

salutato come un eroe della «lotta anti-fascista<br />

e contro la morale borghese», e ospitato al<br />

Museo del Louvre nel simposio «Pittura e crimine»,<br />

come illustre esponente di un’arte «resistente»!<br />

U<br />

Jean Clair ci ammonisce a risalire alle origini,<br />

ai cattivi maestri:<br />

«“L'atto surrealista più semplice consiste<br />

nello scendere, rivoltella in mano, per strada<br />

e sparare più a caso che si può tra la folla ... "<br />

Chi non conosce questa citazione da André<br />

Breton, pubblicata nel 1929 nel <strong>Secondo</strong> Manifesto<br />

del Surrealismo Occupati a celebrarne<br />

1'audacia, ci siamo dimenticati di misurarne<br />

l'orrore. [...] »<br />

È l’amok, termine che<br />

«designa l’esplosione inaspettata e brutale in<br />

un individuo di una rabbia incontrollabile e<br />

per lo più omicida. Si tratta di una sindrome<br />

specifica legata ad una cultura — a culture<br />

bound syndrome — nel caso la cultura malese,<br />

[...] ma se ne trova gli equivalenti in altre<br />

culture sotto altri nomi, berserk per esempio<br />

nelle tradizioni scandinave. <strong>Il</strong> gusto del sangue,<br />

del crimine gratuito o rituale, ha impregnato<br />

tutto il movimento surrealista.»<br />

U<br />

Jean Clair ritrova nella storia dell’arte concettuale,<br />

da Beuys («Ogni uomo è un artista»),<br />

a Warhol («Ognuno nella sua vita può conoscere<br />

un quarto d’ora di celebrità») l’ambigua<br />

filiazione di un sillogismo che accomuna l’impulsività<br />

— fino all’amok. — alla creazione<br />

artistica. E conclude il capitolo sui desolati<br />

scenari dell’«inverno della cultura»:<br />

«Oggi, per una distorsione progressiva, si potrebbe<br />

sostenere che è l'intero sistema delle<br />

belle arti, dai musei alle gallerie, dagli artisti<br />

ai falsari, che, conquistato alla causa del seducente<br />

assassino, sembra essere diventato di<br />

essenza criminale.»<br />

7 agosto 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

Sono i territori estremi dell’arte, estremi<br />

non tanto per genio e coraggio, quanto per<br />

estenuazione, per conformismo, e vuoto. Si<br />

guardi, ahimè, qualunque immagine di mostra<br />

e museo di AC, e si vedrà il tedioso riproporsi<br />

delle pochissime varianti di questo triste gioco.<br />

E le polemiche che via via si affacciano a<br />

criticare — giustamente — la natura affaristica<br />

ed autoreferenziale dell’AC come sistema<br />

«chiuso», non devono farci dimenticare che la<br />

questione dell’arte è incardinata nei modi storici<br />

della modernità, ed occorre in questa fase,<br />

più che cercare visibilità e risarcimenti per gli<br />

«esclusi», risalire «all’origine del disastro» ed<br />

applicare un rigoroso discernimento sulla qualità<br />

delle opere, sulla condivisione e sull’etica<br />

del lavoro artistico. (G. R.)<br />

ıłłłłłłłłłłø<br />

œ<br />

K La rima<br />

œ<br />

<br />

Come di Syròs i lucumi.<br />

œ<br />

<br />

߬¬¬¬¬¬¬¬¬¬μ<br />

COME di Syròs i lucumi<br />

è il fiato degli anni duri.<br />

Accanto alla dolcezza degli inizi<br />

sta il fiato delle rinunce estreme;<br />

e torna germogliato<br />

un già perduto seme,<br />

di poter fare qualcosa<br />

di non accettare rigori.<br />

Ma è come i lucumi di Syròs<br />

insulsi dentro e viscidi di fuori.<br />

DI CARLO POGGIALI<br />

☞Syros: isola greca, delle Cicladi settentrionali, famosa per i<br />

dolci tra i quali i loukumia, gelatine aromatizzate solitamente al<br />

bergamotto o alla rosa, affogate nello zucchero a velo e spesso<br />

impreziosite da pezzetti di mandorla.<br />

DON DIEGO DE SAAVEDRA FAXARDO, Empresas polìticas ò Idea de un prìncipe polìtico christiano — representata en cien empresas,<br />

Tomo II, oficina Benito Cano, Madrid 1790. Empresa XXXVI.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 653


A<br />

B<br />

N°654<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

22 AGOSTO 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

P L U S V I T E , H É L A S ! Q U E<br />

LE COEUR D'UN MORTEL<br />

ANTOLOGIA POETICO LETTERARIA<br />

S U MUTAMENTO E MORTE<br />

DELLE CITTÀ.<br />

F H<br />

Presentiamo un reprint del n°433, arricchito in anteprima<br />

per i nostri lettori da una nuova traduzione in rima<br />

de <strong>Il</strong> cigno di Charles Baudelaire. Concordi, da secoli diversi,<br />

Guy Debord, Charles Peguy, Charles Baudelaire e<br />

Dante Alighieri ci raccontano che la la loro città non esiste<br />

più. L'apparente contraddizione è sciolta da Baudelaire<br />

con la sua risolutiva constatazione: la forma della<br />

città cambia più velocemente di quanto i nostri cuori possano<br />

sopportare. N<br />

“Non indigniamoci che i corpi mortali si disgreghino:<br />

ecco che possono anche le città<br />

morire.”<br />

RUTILIO NAMAZIANO (c.a 401-404 )<br />

“La vecchia Parigi non esiste più.”<br />

CHARLES BAUDELAIRE (1861)<br />

“La caratteristica stessa della storia è questo<br />

stesso cambiamento, questa generazione e<br />

questo corrompimento, quest'abolizione continua,<br />

questa rivoluzione perpetua. Questa<br />

morte.”<br />

CHARLES PÉGUY (1910)<br />

“Io mi limiterò dunque a poche parole per annunciare<br />

che Parigi, checché ne vogliano dire<br />

altri, non esiste più.”<br />

GUY DEBORD (1978)<br />

“Se tu riguardi Luni e Orbisaglia / come sono<br />

ite, e come se ne vanno / di retro ad esse Chiusi<br />

e Sinigaglia, / udir come le schiatte si disfanno<br />

/ non ti parrà nova cosa né forte, / poscia<br />

che le cittadi termine hanno.”<br />

DANTE ALIGHIERI (c.a 1304 )<br />

“E in Roma stessa Roma più non trovi; / son<br />

cadaveri i muri che eran nuovi, / e tomba di se<br />

stesso è l’Aventino.”<br />

FRANCISCO DE QUEVEDO (1580- 1645)<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


Guy<br />

Debord<br />

“In girum imus nocte et consumimur igni’ in Opere cinematografiche<br />

complete 1952-1978, Roma, 1980, pp. 250-255.<br />

RA a Parigi, una città che era allora<br />

così bella che molti furono quelli<br />

che si preferirono là poveri, piutto-<br />

Esto che ricchi da qualsiasi altra parte.<br />

Chi potrebbe, oggi che non ne rimane<br />

niente, comprendere questo; al di fuori di<br />

quelli che si ricordano di questa gloria<br />

Chi altri potrebbe sapere le fatiche e i piaceri<br />

che abbiamo conosciuto in questi luoghi<br />

dove tutto è fatto sì malvagio<br />

| ( 2 ) |<br />

“Qui era l'antica dimora del re di Wu. L'erba fiorisce<br />

in pace sulle sue rovine.<br />

Là, il profondo palazzo degli Tsin, sontuoso<br />

un tempo e temuto.<br />

Tutto questo è finito per sempre, tutto scorre<br />

insieme, gli eventi e gli uomini,<br />

come le onde incessanti dello Yang-tsechiang,<br />

che vanno a perdersi nel mare”.<br />

Parigi allora, entro i confini dei suoi venti<br />

Arrondissements, non dormiva mai tutta intera,<br />

e permetteva alla deboscia di cambiare tre<br />

volte quartiere ogni notte. Non se ne erano<br />

ancora “disuniti e dispersi gli abitatori”. Vi<br />

restava un popolo, che aveva dieci volte barricato<br />

le sue strade e messo in fuga dei re. Era<br />

un popolo che non si appagava d'immagini.<br />

Non si sarebbe osato, quando ancora viveva<br />

nella sua città, fargli mangiare o fargli bere<br />

quello che la chimica di sostituzione non aveva<br />

ancora osato inventare.<br />

Non vi erano nel centro case deserte, o rivendute<br />

a degli spettatori di cinema nati altrove,<br />

sotto altre travi rustiche 1 .<br />

La merce moderna non era ancora venuta a<br />

mostrarci tutto ciò che si può fare di una strada<br />

2 . Nessuno, a causa degli urbanisti, era costretto<br />

ad andare a dormire lontano.<br />

Non si era ancora visto, per colpa del governo,<br />

il cielo oscurarsi e il bel tempo sparire,<br />

né la falsa nebbia dell'inquinamento coprire<br />

in permanenza la circolazione meccanica delle<br />

cose, in questa valle della desolazione. Gli<br />

alberi non erano morti soffocati; e le stelle<br />

non erano spente dal progresso dell'alienazione.<br />

I mentitori erano, come sempre, al potere;<br />

ma lo sviluppo economico non aveva ancora<br />

dato loro i mezzi per mentire su ogni cosa, né<br />

per confermare le loro menzogne falsificando<br />

il contenuto effettivo dell'intera produzione.<br />

Si sarebbe stati allora tanto stupiti di trovare<br />

stampati o costruiti in Parigi tutti questi libri<br />

redatti dopo in cemento e in amianto, e tutti<br />

questi edifici costruiti in piatti sofismi, quanto<br />

lo si sarebbe oggi se si vedesse risorgere un<br />

Donatello o un Tucidite 3 .<br />

Musil, ne L'uomo senza qualità, osserva<br />

che<br />

“vi sono attività intellettuali in cui non i grossi<br />

volumi, ma i piccoli trattati possono fare<br />

l'orgoglio di un uomo. Se qualcuno, per esempio,<br />

scoprisse che le pietre, in certe circostanza<br />

finora mai osservate, sono capaci di parlare,<br />

gli basterebbero poche pagine per descrivere<br />

e spiegare un fenomeno così rivoluzionario”.<br />

Io mi limiterò dunque a poche parole per<br />

annunciare che Parigi, checché ne vogliano<br />

1 <strong>Il</strong> brano, giusta la lettura di Vincenzo Bugliani, è un detournement<br />

del canto XV del Paradiso, quello di Cacciaguida:<br />

“Non avea case di famiglia vòte”.<br />

2 “non v'era giunto ancor Sardanapalo a mostrar ciò che 'n<br />

camera si puote.”<br />

3 “Saria tenuta allor tal maraviglia una Cianghella, un Lapo<br />

Salterello, qual or saria Cincinnato e Corniglia.”.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 654


| ( 3 ) |<br />

dire altri, non esiste più. La distruzione di Parigi<br />

non è che un'illustrazione esemplare della<br />

malattia mortale che si abbatte in questo momento<br />

su tutte le grandi città, e questa malattia<br />

stessa non è che uno dei numerosi sintomi<br />

della decadenza materiale di una società. Ma<br />

Parigi aveva più da perdere di qualunque altra.<br />

È una grande fortuna essere stato giovane<br />

in questa città quando, per l'ultima volta, essa<br />

brillava di un fuoco così intenso.<br />

Charles<br />

Péguy<br />

La nostra gioventù, UTET, pp. 117-118.<br />

QUANTE volte ho risalito quella via<br />

Firenze. Per tutti i quartieri di Parigi<br />

esiste, non solo una personalità costituita,<br />

ma questa personalità ha una storia<br />

come noi. Non è stato molto tempo fa, eppure<br />

ogni cosa ha una storia. Di già. La caratteristica<br />

stessa della storia è questo stesso cambiamento,<br />

questa generazione e questo corrompimento,<br />

quest'abolizione continua, questa rivoluzione<br />

perpetua. Questa morte. Sono passati<br />

appena alcuni anni, otto, dieci e come<br />

tutto è già irriconoscibile negli stabili.<br />

“Le vieux Paris n'est plus (la forme d'une ville<br />

Change plus vite, hélas! que le coeur d'un<br />

mortel)” 4<br />

Si abitava allora in quella Parigi alta dove<br />

oggi nessuno abita più. Si costruiscono tante<br />

case nuove, nel Boulevard Raspail. <strong>Il</strong> Signor<br />

Salomon Reinach doveva ancora abitare al 36<br />

o 38 di via Lisbona. O a un altro numero. Ma<br />

Bernard-Lazare ci passava, poteva passarci<br />

come un vicino, di passaggio. <strong>Il</strong> quartiere San<br />

Lazzaro. La via Roma e la via Costantinopoli.<br />

Tutto il quartiere d'Europa.<br />

Tutta l'Europa. Risonanze di nomi che alludevano<br />

segretamente al loro bisogno di<br />

viaggiare, alla loro facilità di viaggiare, alla<br />

loro residenza Europea. Un quartiere nei<br />

pressi della stazione che accarezzava il loro<br />

desiderio di strada ferrata, la loro facilità di<br />

mettersi in viaggio. Tutti hanno cambiato casa.<br />

Alcuni hanno trovato casa nella morte.<br />

Molti anzi. Zola abitava in via Bruxelles,<br />

all'81 o all'81 bis o all'83 di via Bruxelles. Prima<br />

udienza. — Udienza del 7 Febbraio. —<br />

Lei si chiama Emile Zola — Sì signore. —<br />

Che professione — Letterato. — Quanti anni<br />

ha — Cinquantotto anni. — Dove abita<br />

— In via Bruxelles, 81 bis. <strong>Il</strong> Signor Lodovico<br />

Halévy abitava anch'egli in via Douai, che<br />

dev'essere nello stesso quartiere, via Douai,<br />

22 e ancor oggi, via Roma, 62, Boulevard<br />

Haussmann, 155, erano gli indirizzi di quei<br />

tempi. Anche Dreyfus era di questo quartiere.<br />

Solo Labori abita ancora al 41 o al 45 di via<br />

Condorcet. Mi si dice che solo da poco si è<br />

trasferito nel XII circondario, in via Pigalle,<br />

12. Tutta una popolazione, tutto un popolo<br />

abitava così nelle parti alte di Parigi, sulle<br />

pendici della Parigi alta e compatta, tutto un<br />

popolo, amici, nemici, che si conoscevano,<br />

non si conoscevano, ma si sentivano, si sapevano<br />

vicini di casa in quell'immensa Parigi.<br />

4 “[...] la vecchia Parigi non esiste più ben prima del 1910:<br />

Peguy cita <strong>Il</strong> cigno di Baudelaire (I fiori del Male sono del<br />

1857). Alle spalle c'è lo sventramento della città [Haussmann,<br />

1853-1869] indotto dai moti rivoluzionari del '48: i<br />

boulevard si controllano meglio delle strade strette, dove<br />

basta niente a fare una barricata.” Paolo Squillacioti .<br />

22 agosto 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

Charles<br />

Baudelaire<br />

<strong>Il</strong> cigno<br />

I<br />

traduzione di Gabriella Rouf<br />

ANDROMACA, io penso a voi. Vena sottile<br />

d’acqua, misero specchio, ove un dì maestoso<br />

splendeva il vostro immenso cordoglio vedovile,<br />

quel falso Simoenta, di lacrime goloso,<br />

ha fecondato a un tratto la mia memoria, nel<br />

traversare la piazza del nuovo Carousel.<br />

E la vecchia Parigi non c’è più. (Forma urbana,<br />

che ahimè cambia veloce, più che l’anima umana)<br />

Ma il campo di baracche mi illudo di vedere,<br />

coi franti capitelli, e le colonne mozze,<br />

l’erba, il brillio dai vetri di qualche rigattiere,<br />

e i blocchi maculati di verde nelle pozze.<br />

Là pur vidi, dov’era un serraglio una volta,<br />

nell’ora che si desta con il Lavoro umano<br />

la città, sotto un cielo livido, e la raccolta<br />

delle sporcizie scaglia come un cupo uragano<br />

nell’aria immota, un cigno, evaso dalle gabbie,<br />

che coi piedi palmati grattando il suolo secco<br />

traea le bianche piume sopra le scabre sabbie.<br />

Presso un’arida traccia la bestia aprendo il becco<br />

le ali dibatteva tra la polvere infetta<br />

e dicea, volto il cuore al bel lago natale:<br />

«Acqua, quando verrai Quando cadrai, saetta»<br />

Vedo quel disperato, mito strano e fatale,<br />

tale l’uomo d’Ovidio, or verso il cielo, verso<br />

il cielo blu irridente e crudelmente terso,<br />

in un gesto convulso tender l’avida testa<br />

come volgesse a Dio una muta protesta.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 654


II<br />

| ( 5 ) |<br />

Parigi cambia! In nulla la mia malinconia<br />

è mutata, ma tutto diventa allegoria<br />

per me: vecchi quartieri, impalcature, blocchi<br />

e i miei cari ricordi più pesi di un macigno;<br />

al Louvre mi ritorna così davanti agli occhi<br />

con quei suoi gesti folli l’immagine del cigno,<br />

e penso a lui, esiliato, ridicolo e sublime,<br />

roso da un desiderio senza tregua, e al destino<br />

vostro, Andromaca, penso, dalle gloriose cime<br />

dell’amor dello sposo caduta a vil bottino<br />

di Pirro, curva in estasi presso la tomba vuota,<br />

la vedova di Ettore, ahimè, ad Eleno unita!<br />

Penso alla donna negra, smagrita, intisichita<br />

che si trascina invano vagando nella mota<br />

e cerca con lo sguardo allucinato e fosco<br />

dell’Africa superba l’inesistente bosco<br />

dei palmizi da cocco al di là dell’immenso<br />

impenetrabil muro di nebbia. Ancora penso<br />

a chi ha perduto cosa che tornar non potrà<br />

mai più, mai più! A chi si strugge in pianto, e sa<br />

come da sen di lupa succhiar lutto e dolori!<br />

Agli orfani languenti, che seccan come fiori!<br />

Così dal bosco, all’esule mio spirito dimora,<br />

un’antica Memoria dal corno alza la nota:<br />

i marinai scordati in un’isola ignota,<br />

i prigionieri, i vinti! e tanti altri ancora!<br />

22 agosto 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

Francisco<br />

de<br />

Quevedo<br />

A Roma sepolta nelle sue rovine<br />

traduzione di Marco Boccaccio<br />

TU cerchi Roma a Roma, o pellegrino!<br />

E in Roma stessa Roma più non trovi;<br />

son cadaveri i muri che eran nuovi,<br />

e tomba di se stesso è l’Aventino.<br />

Giace dove regnava il Palatino;<br />

e corrose dal tempo, le medaglie<br />

mostrano più rovine di battaglie<br />

del tempo andato, che blason latino.<br />

Solo il Tevere resta, e la corrente<br />

che la città bagnò, qui, sepoltura,<br />

la piange con funesto suon dolente.<br />

Oh Roma! In tua grandezza bella e pura<br />

fuggì quel che era fermo, e solamente<br />

il fuggevole sta, rimane, e dura.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 654


| ( 7 ) |<br />

Dante<br />

Alighieri<br />

Paradiso, canto XV.<br />

IORENZA dentro da la cerchia antica,<br />

ond'ella toglie ancora e terza e nona,<br />

si stava in pace, sobria e pudica. FNon avea catenella, non corona,<br />

non gonne contigiate, non cintura<br />

che fosse a veder più che la persona.<br />

Non faceva, nascendo, ancor paura<br />

la figlia al padre, che 'l tempo e la dote<br />

non fuggien quinci e quindi la misura.<br />

Non avea case di famiglia vòte;<br />

non v'era giunto ancor Sardanapalo<br />

a mostrar ciò che 'n camera si puote.<br />

Non era vinto ancora Montemalo<br />

dal vostro Uccellatoio, che, com'è vinto<br />

nel montar sù, così sarà nel calo.<br />

Bellincion Berti vid'io andar cinto<br />

di cuoio e d'osso, e venir da lo specchio<br />

la donna sua sanza 'l viso dipinto;<br />

e vidi quel d'i Nerli e quel del Vecchio<br />

esser contenti a la pelle scoperta,<br />

e le sue donne al fuso e al pennecchio.<br />

Oh fortunate! ciascuna era certa<br />

de la sua sepultura, e ancor nulla<br />

era per Francia nel letto diserta.<br />

L'una vegghiava a studio de la culla,<br />

e, consolando, usava l'idioma<br />

che prima i padri e le madri trastulla;<br />

22 agosto 2011 Anno XI


l'altra, traendo a la rocca la chioma,<br />

favoleggiava con la sua famiglia<br />

d'i Troiani, di Fiesole e di Roma.<br />

Saria tenuta allor tal maraviglia<br />

una Cianghella, un Lapo Salterello,<br />

qual or saria Cincinnato e Corniglia.<br />

A così riposato, a così bello<br />

viver di cittadini, a così fida<br />

cittadinanza, a così dolce ostello,<br />

Maria mi diè, chiamata in alte grida;<br />

e ne l'antico vostro Batisteo<br />

insieme fui cristiano e Cacciaguida.<br />

| ( 8 ) |<br />

Rutilio<br />

Namaziano<br />

De reditu suo / <strong>Il</strong> ritorno, Einaudi, Torino, 1992, pp. 30-31..<br />

PROSSIMA Populonia schiude il suo lido<br />

sicuro portando il golfo naturale<br />

in mezzo ai campi. E qui non alza fino<br />

al cielo le sue moli edificate, e luce nella<br />

notte, Faro, ma trovando in sorte gli antichi<br />

l’osservatorio di una forte rupe dove il ripido<br />

picco stringe i flutti domi, vi posero una fortezza<br />

che fosse di doppio beneficio per le genti,<br />

difesa a terra, segnale per il mare.<br />

Non si possono più riconoscere i monumenti<br />

dell’epoca trascorsa, i numerosi spalti<br />

ha consunto il tempo vorace. Restano solo<br />

tracce tra crolli e rovine di muri, giacciono<br />

tetti sepolti in vasti ruderi. Non indigniamoci<br />

che i corpi mortali si disgreghino: ecco che<br />

possono anche le città morire.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 654


A<br />

B<br />

N°655<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

31 AGOSTO 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

a Questo numero.<br />

Ci è sembrato doveroso iniziare il numero del<br />

rientro con uno dei pochi segnali confortanti in<br />

questi tempi inclementi (come recita Gómez Dávila<br />

nella nostra testata): in prima pagina quindi<br />

il resoconto diretto di Francesco Agnoli delle<br />

giornate della gioventù di Madrid, in quarta pagina<br />

seguono le ultime, sempre per noi imprescindibili,<br />

riflessioni di Almanacco romano che trattano<br />

anche di qualche aspetto lacunoso della<br />

GMG, in sesta pagina l'autorevole parere di Ettore<br />

Maria Mazzola sulla recente proposta del sindaco<br />

Matteo Renzi di completare la facciata di<br />

San Lorenzo a Firenze. N<br />

Da: Christoval Perez De Herrera, Proverbios morales<br />

y consejos christiano, Madrid 1733<br />

a Reduci dalle GMG di Madrid.<br />

DI FRANCESCO AGNOLI<br />

Fonte: La Bussola Quotidiana, 24 agosto <strong>2011.</strong><br />

“Cosa è stata la GMG di Madrid Cosa avete<br />

fatto". Ho pensato più volte a come rispondere<br />

alle domande che mi avrebbero fatto parenti<br />

e amici al ritorno da Madrid, dove sono<br />

stato dal 15 al 21 agosto insieme a 30 ragazzi.<br />

Rispondere è molto difficile, ma penso sia opportuno<br />

raccontare una esperienza indimenticabile,<br />

e forse, in verità, indescrivibile.<br />

Madrid, è stata anzitutto, dicevo al telefono<br />

a mia moglie, un “delirio": ore e ore di<br />

viaggio, con l’aereo o con il pullman, per italiani,<br />

asiatici, americani, australiani... Al termine<br />

delle quali si approdava in un'immensa<br />

città in cui per sette giorni abbiamo vissuto<br />

tutti “gomito a gomito" con migliaia e migliaia<br />

di connazionali e di stranieri. Condividendo<br />

i bagni, ridotti spesso a latrine, le docce,<br />

e le interminabili file per raggiungerli;<br />

condividendo la caccia a un ristorante dove<br />

mangiare, magari dopo un’ora o più di coda;<br />

provando la stessa sete, sotto un sole agostano<br />

sempre abbacinante e implacabile.<br />

Non sto raccontando i contorni, come si<br />

potrebbe credere, ma una parte sostanziale<br />

della GMG. Prima dei catechismi, delle messe,<br />

delle preghiere, la GMG è stata tutto questo:<br />

un immenso esercizio alla pazienza, alla<br />

condivisione, alla fatica. Pellegrinaggio, infatti,<br />

è, da sempre nella storia, sinonimo di sacrificio:<br />

i pellegrini sono coloro che vogliono<br />

raggiungere una meta, lontana, difficile, ma<br />

per cui vale la pena partire. Sono persone che<br />

lasciano tutto ciò che hanno, il conforto delle<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

loro case, la vita agiata e sicura di ogni giorno,<br />

per un qualcosa di più, che però non è<br />

gratis, né immediato.<br />

Personalmente, in questi sette giorni di<br />

preparazione e di attesa per l’incontro col Papa,<br />

ho visto i miei ragazzi, alcuni dei quali,<br />

magari, un po’ viziati come siamo tutti noi europei<br />

di oggi, stringere i denti, aiutarsi l’un<br />

l’altro, obbedire senza lamentarsi, fare interminabili<br />

file sotto il sole senza maledire nessuno.<br />

Perdonandosi volentieri a vicenda per<br />

questa o quella mancanza.<br />

Ricordo una cena all’una di notte, un’altra<br />

alle due, perché prima era stato impossibile<br />

raggiungere un qualsiasi locale; bagni sognati,<br />

ma introvabili; docce raggiunte dopo code<br />

interminabili, eppure gelide; ricordo un po’<br />

d’acqua, anche calda, cercata con l’avidità dei<br />

beduini nel deserto; oppure ragazze a terra,<br />

sfinite dal sole, e gli amici intorno, a dar loro<br />

acqua, a sventolare giornali e ventagli. Ricordo<br />

camerate con migliaia di persone, afose<br />

e, diciamolo, puzzolenti, in cui non è mai (o<br />

quasi) sparito un oggetto, in cui non c’è mai<br />

stato un attimo di vera tensione.<br />

Ecco, questo era il contorno alla vita di<br />

migliaia e migliaia di giovani che ogni mattina<br />

si spostavano - dopo aver passato la notte<br />

in grandi dormitori, per terra -, per raggiungere<br />

un luogo, costipato sino all’inverosimile,<br />

in cui avrebbero ascoltato un vescovo o un<br />

predicatore. <strong>Il</strong> tutto senza scenate, stringendo<br />

i denti, tirando fuori il meglio, nelle condizioni<br />

peggiori. Sino alla sera della veglia, il<br />

sabato 20: dopo anche otto ore ad attendere al<br />

sole, finalmente l’arrivo del Papa, il tempo di<br />

emozionarsi un po’ e poi, subito dopo, un<br />

vento potente e la pioggia pungente…<br />

Mentre il Papa parlava, anche lui stupito di<br />

quella immensa folla sconfinata, i pellegrini<br />

lanciavano sguardi ai sacchi a pelo bagnati,<br />

comprendendo che un’altra notte sarebbe<br />

passata senza quasi dormire. Ridere o piangere<br />

Molti hanno iniziato a cantare, altri a ridere,<br />

altri ad abbracciarsi di fronte all’ennesima<br />

difficoltà. Pronti, però, a inginocchiarsi,<br />

in più di due milioni di persone, contemporaneamente,<br />

per adorare Cristo Eucaristia al<br />

canto del Tantum Ergo, in un perfetto, incredibile<br />

silenzio, rotto qua e là solo dal passare<br />

di un’ambulanza che andava a accogliere l’ennesima<br />

persona crollata a terra per la fatica.<br />

In quel silenzio, in quell’atmosfera incredibile,<br />

il senso del Mistero si è fatto presente,<br />

con una forza inaudita. Lì, tra milioni di persone,<br />

di tende, di bandiere colorate, di anime<br />

tese e vibranti. In mezzo a quel silenzio quasi<br />

irreale. Ammoniva madre Tersa di Calcutta:<br />

«<strong>Il</strong> frutto del silenzio è la preghiera; il frutto<br />

della preghiera, la fede; il frutto della fede,<br />

l’amore».<br />

Sì, a Madrid c’è stata anche tanta preghiera.<br />

Così tanta, che proprio non me la aspettavo.<br />

Pensavo che avrei sicuramente visto tanti<br />

giovani ardenti, ma anche tanta promiscuità,<br />

tanta voglia di fare solo “casino", come avviene<br />

nei raduni di massa dei concerti o dei moderni<br />

baccanali pagani, a base di alcol e dissipazione.<br />

Invece ho negli occhi ragazzi e ragazze<br />

vicini, accanto, per ore, capaci di parlare,<br />

pregare, cantare, magari riposare un attimo,<br />

sempre con uno spirito buono, semplice,<br />

con stile cristiano.<br />

<strong>Il</strong> Papa, certamente, ha aiutato. Ha voluto,<br />

infatti, celebrazioni sobrie, con tanto latino,<br />

la lingua della chiesa, sacrale ed universale;<br />

ha ridotto al minimo lo spazio per gli applausi<br />

alla sua stessa persona; ha caldeggiato svariati<br />

momenti di preghiera e di adorazione eucaristica,<br />

sia durante la veglia che in tutti i giorni<br />

della settimana.<br />

Soprattutto Benedetto XVI ha voluto che<br />

si dedicasse tanto tempo a un sacramento essenziale,<br />

ma piuttosto dimenticato anche dai<br />

cattolici: la confessione. Nel Parco del Buon<br />

Ritiro, duecento confessionali disposti in due<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 655


| ( 3 ) |<br />

lunghe file, sono stati sempre a disposizione<br />

dei pellegrini. Ho visto persone piangere, come<br />

liberate, grazie al sacramento della penitenza,<br />

dal male che sentivano dentro; ho visto<br />

confessarsi persone che non lo facevano più<br />

da anni; ho visto volti assorti, nel silenzio e<br />

nella contemplazione. Volti belli, sereni, illuminati<br />

dal sorriso e dalla compunzione.<br />

Ho visto migliaia di giovani inginocchiati,<br />

umilmente, a implorare il perdono e ad assaporare<br />

l’immensa Misericordia di Dio, pronta<br />

sempre ad abbracciare il peccatore pentito.<br />

Memori, i più fortunati, di una strepitosa catechesi<br />

del cardinal Angelo Bagnasco, in cui<br />

ci aveva ricordato che esiste il peccato, che il<br />

relativismo separa e divide, mentre la verità<br />

unisce; che la gioventù sta nel cuore e non negli<br />

anni; che la “vecchiaia vera” è quella del<br />

peccato e del rifiuto di Dio…<br />

A Madrid, insomma, ho notato una attenzione<br />

nuova ai sacramenti fondamentali della<br />

vita cristiana, Eucaristia e confessione; ho<br />

sentito parole forti, e giovani contenti di<br />

ascoltarle; ho visto ragazzi e ragazze di tutti i<br />

paesi del mondo sentirsi uniti dalla fede, nonostante<br />

le differenze di paese, di cultura, di<br />

colore, di lingua; ho osservato sacerdoti e religiosi<br />

portare con orgoglio il proprio abito;<br />

ho ammirato giovani pregare ad alta voce nei<br />

ristoranti, prima di mangiare, senza vergogna;<br />

ho visto 28mila volontari per lo più spagnoli<br />

dare ogni attimo delle loro giornate,<br />

gratuitamente, per indicare una strada, per<br />

segnalare una via…<br />

Accanto a tutte queste cose belle, non posso<br />

non rilevare alcune pecche. Anzitutto la<br />

disorganizzazione, soprattutto l’ultimo giorno,<br />

quando oltre due milioni di persone si sono<br />

trovate spesso senza acqua, sotto un sole<br />

cocente. Penso sia inevitabile notare che l’incapacità<br />

degli organizzatori di affrontare un<br />

sì grande oceano di folla, sia stata dovuta anche<br />

alla sorda ostilità del governo Zapatero,<br />

fieramente deciso a boicottare l’evento (come<br />

è chiaro se si pensa ad esempio che le forze<br />

dell’ordine in un aeroporto che conteneva oltre<br />

due milioni di persone erano alcune decine,<br />

cioè quelle che nel nostro paese si mandano<br />

fuori da un palazzetto dello sport durante<br />

una partitella di pallavolo).<br />

La seconda nota stonata sono stati i manifestanti<br />

cosiddetti "laici", intolleranti e violenti,<br />

che hanno insultato, sputacchiato, oltraggiato<br />

centinaia di pellegrini, compresi<br />

adolescenti intimoriti e spaventati, incapaci di<br />

comprendere il motivo di tanto odio. A tener<br />

bordone a questi scalmanati, le paginate piene<br />

di bile e di rancore del quotidiano di sinistra<br />

El Pais, volgare nei suoi titoli, nelle sue cronache,<br />

nei suoi commenti, nelle sue banalizzazioni<br />

e falsificazioni, come neanche la Repubblica,<br />

in Italia, riesce a essere.<br />

Ma a ben vedere anche questo, anche l’ostilità<br />

di Zapatero, dei giornali e degli indignados<br />

“laici”, hanno avuto il loro significato:<br />

ci hanno ricordato che non sono mai mancati<br />

i nemici di Cristo. Anche lui è stato sputacchiato<br />

ed insultato. Esserlo oggi, significa,<br />

forse, aver ritrovato un po’ di quel sale che<br />

rende la Fede più saporita, più vigorosa, più<br />

capace di essere segno di contraddizione e<br />

pungolo per tutti.<br />

FRANCESCO AGNOLI<br />

31 agosto 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

a Post agostani.<br />

DI ALMANACCO ROMANO<br />

. SOLO UN «REGNUM GRATIAE» CI PUÒ<br />

SALVARE.<br />

Si può uscire dalla sub-cultura attuale.<br />

Fonte: Almanacco romano, 8 agosto <strong>2011.</strong><br />

Tutti leggono, dalla mattina alla sera, nella<br />

metropolitana e sulle spiagge, e spendono assai<br />

nelle librerie, informandosi attraverso le<br />

recensioni e le presentazioni nella rete e sui<br />

giornali – piccole, continue evasioni senza respiro<br />

nel contemporaneo, roba da carcerati a<br />

vita – , ma chi sfoglia ancora Dante o Ariosto,<br />

Tommaso d’Aquino o Guicciardini Anche<br />

più ristretta schiera quella di coloro che li<br />

meditano. Ecco perché George Steiner, pure<br />

in una intervista su la Repubblica del 25 luglio,<br />

tornava a parlare ormai di «una sub-cultura<br />

odierna». E alla intervistatrice che, perplessa,<br />

forse in quanto adepta dello spirito della testata,<br />

chiedeva: «perché si ostina a ripetere<br />

che l’idea di cultura è andata in pezzi», Steiner<br />

spiegava con pazienza:<br />

«Sono i fatti a provarlo. In paesi come l’Inghilterra,<br />

la Francia e l’Italia, la scuola primaria e<br />

secondaria è in una crisi gravissima. Quand’ero<br />

giovane, le università tedesche costituivano una<br />

garanzia per la vita intellettuale europea e statunitense.<br />

Poi non è più stato così. Oggi nelle<br />

università occidentali, e anche in Italia, ci sono<br />

alcuni docenti notevoli, ma in generale è tramontato<br />

il prestigio della ricerca e della trasmissione<br />

di cultura universitaria. Gli studenti<br />

più validi di Cambridge finiscono a lavorare in<br />

Borsa o nelle grandi banche, e considerano la<br />

politica come qualcosa di ridicolo e corrotto.<br />

Per non parlare della decadenza del mestiere<br />

d’insegnante».<br />

( ( (<br />

Gli fa eco Jean Clair. <strong>Il</strong> Corriere della Sera<br />

dell’otto agosto riporta un’anticipazione del<br />

suo ultimo libro, L’inverno della cultura, dove<br />

i giochi del contemporaneo vengono dannati<br />

definitivamente; vi si parla di «degenerazioni<br />

dell’arte contemporanea»: «la discesa dall’high<br />

culture alla low culture è una discesa agli<br />

inferi», i suoi protagonisti conoscono solo le<br />

tecniche del marketing. Un’altra anticipazione<br />

del testo polemico di Clair è offerta in rete<br />

da <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>, numero 653. «L’arte contemporanea<br />

– vi si legge – è la storia di un naufragio e<br />

di uno sprofondamento». Sacrosante reazioni<br />

di nobili figure a situazioni insopportabili. I<br />

giornali però, inclini a conclusioni a effetto,<br />

propendono per l'ipotesi di una prossima fine<br />

di questo infernale gioco, quasi si trattasse di<br />

una moda sconfitta ormai dalla noia. Si dovrebbe<br />

essere meno ottimisti. Davanti ai restauri<br />

contemporanei di un ufficio postale anni<br />

Trenta, di fronte alle soluzioni standard,<br />

omologate, un’amica ci diceva realista che<br />

questa specie di arte attuale non può che essere<br />

così, funzionale al sistema che non concede<br />

deroghe. Ovvero, l’arte del capitalismo estremo<br />

non può che essere brutta. L’arte di massa<br />

in una società definitivamente nichilista non<br />

ha più neppure delle tracce di bellezza. Soltanto<br />

l’avvento di un «regnum gratiae» potrebbe<br />

modificare l’estetica.<br />

( ( (<br />

All’inizio del Novecento c’era ancora chi sosteneva<br />

che «per un uomo di cultura la peggiore<br />

immoralità sarebbe quella di accettare i<br />

parametri della sua epoca» (Hugo Ball, Die<br />

Flucht aus der Zeit). Per Carl Schmitt la parola<br />

«contemporaneo» suonava come «complice<br />

dell’epoca meccanicistica», perché colui che<br />

crede di dover andare col tempo si è già da sé<br />

escluso dalla cerchia degli spiriti indipendenti<br />

(si veda l’ediz. italiana di Aurora boreale, un<br />

saggio di Schmitt tradotto per le Edizioni<br />

scientifiche italiane e ricco di apparati a cura<br />

di S. Nienhaus). Intanto si andava diffondendo<br />

il dogma che economia, finanza e arte si<br />

riconciliassero tra loro. Oggi l’economia send<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 655


| ( 5 ) |<br />

z’anima rivolge ovunque i suoi artigli, facendo<br />

intorno a sé il deserto.<br />

. IL MESSIA NON SI VENDE.<br />

L’alternativa dell’arte sacra.<br />

Fonte: Almanacco romano, 25 agosto <strong>2011.</strong><br />

Nella noticina dello scorso 8 agosto [v. sopra]<br />

dicevamo dell’infimo ruolo dell’arte nell’epoca<br />

del funzionalismo capitalista. L’attività<br />

che accostava in modo particolare l’uomo a<br />

Dio, la bellezza generata non dal capriccio<br />

individuale bensì dall’imitazione della liturgia<br />

paradisiaca (si veda la Commedia di Dante), in<br />

un mondo all’insegna del mercato diventa comunicazione,<br />

orpello del processo comunicativo,<br />

enfasi pubblicitaria del mondo delle<br />

merci. <strong>Il</strong> Bauhaus lanciò il programma per<br />

l’allucinato svuotamento dell’arte, la moda<br />

piccolo borghese del design, la grafica per caratterizzare<br />

un prodotto, per sedurre un consumatore,<br />

l’esprit de géométrie senza più il<br />

conforto dell’esprit de finesse; Guy Debord<br />

ne denuncerà il gretto risultato finale. <strong>Il</strong><br />

trionfo della macchina richiede che tutto, anche<br />

la casa e l’anima umana, sia riconducibile<br />

alla sua disciplina, onde sfruttare l’energia<br />

meccanica che è il suo unico scopo su questa<br />

terra. Perciò, si sottolineava in quello scrittarello,<br />

l’arte della nostra epoca è condannata a<br />

essere brutta (e c’è qualcuno tanto autolesionista<br />

da compiacersene). Ma perché, ci domandiamo<br />

oggi, anche l’arte sacra, cattolica –<br />

da cui nacquero i massimi capolavori nella<br />

storia dell’Occidente, dal Medioevo in poi – si<br />

deve piegare a una simile condanna Perché,<br />

per esempio, le decorazioni, il logo, l’altare di<br />

Madrid dove le folle dei giovani hanno pregato<br />

con il papa devono obbedire alla maledizione<br />

dell’universo mercificato Anzi, perché<br />

un logo per tale raduno, non bastava la croce,<br />

si doveva forse vendere qualcosa Si doveva<br />

comunicare col tono sintetico e nevrotico della<br />

réclame Eppure la buona notizia cristiana<br />

non appartiene al linguaggio delle news, è<br />

una faccenda che attraversa i secoli, che parla<br />

solenne, che annuncia nientedimeno che la<br />

sconfitta della morte, non si tratta di un consiglio<br />

etico, di un invito new age, di un brand<br />

spirituale da lanciare. Non è uno spettacolo,<br />

anche se i più devoti cronisti della televisione<br />

dei vescovi parlavano l’altro giorno di palco<br />

invece che di altare, ara del sacrificio. Certi<br />

preti si assoggettano ai peggiori dettami del<br />

marketing considerandosi i pr di Cristo, ma il<br />

Messia non si vende, è un dono. L’arte sacra<br />

dunque non può essere il riflesso di quanto<br />

accade nel mondo, soprattutto quando questo<br />

ha tagliato le radici con la tradizione e vive<br />

angosciosamente solo le oscillazioni economiche,<br />

le contorsioni demoniache dei soldi.<br />

Meglio sarebbe se si presentasse come l’unica<br />

alternativa a quel ‘contemporaneo’ asservito<br />

al denaro, e parlasse di un altro tempo: l’eterno.<br />

ALMANACCO ROMANO<br />

31 agosto 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

a Sull’ipotesi di completare la<br />

facciata di San Lorenzo a Firenze.<br />

DI ETTORE MARIA MAZZOLA<br />

Fonte: De Architectura, 19 agosto <strong>2011.</strong><br />

Lunedì 25 luglio 2011, il Corriere della Sera ha<br />

pubblicato una di quelle notizie definibili<br />

“shock” in ambito architettonico e accademico:<br />

il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, previo<br />

referendum popolare, propone di completare<br />

la facciata della Basilica di San Lorenzo<br />

secondo il progetto elaborato da Michelangelo<br />

nel 1515!<br />

<strong>Il</strong> sindaco di Firenze, in occasione del 150°<br />

anniversario di Firenze Capitale d’Italia<br />

(2015), propone la “riqualificazione” dell’edificio,<br />

con una previsione di spesa di circa 2<br />

milioni e mezzo di euro, in gran parte sostenuta<br />

da privati. In concreto, il piano prevede<br />

il completamento della facciata costruendo ex<br />

novo l’ingresso della Basilica.<br />

La notizia, come era preventivabile, ha suscitato<br />

un vespaio di domande, la più ricorrente<br />

delle quali è stata: Ma è lecito riprendere<br />

in mano i progetti di un architetto scomparso più<br />

di 500 anni fa e tentare di andare incontro al suo<br />

volere con gli strumenti e le idee di oggi<br />

Michelangelo Buonarroti, modello per la facciata<br />

di San Lorenzo-Firenze<br />

Inizialmente mi sono chiesto: ma con tutti<br />

i problemi delle periferie, del traffico e del<br />

degrado urbano che possono rilevarsi a Firenze,<br />

è davvero necessario ipotizzare una “riqualificazione”<br />

di San Lorenzo E ancora,<br />

indipendentemente dalla facciata incompleta,<br />

considerata la vitalità della piazza in tutte le<br />

ore del giorno, pensiamo davvero che San<br />

Lorenzo sia un edificio che necessiti di essere<br />

riqualificato<br />

Ebbene, per non avvalorare le tesi di coloro<br />

i quali dicono di no a tutto – spesso stupidamente<br />

– e mettendo da parte questi interrogativi<br />

maliziosi, voglio prendere per buone le<br />

intenzioni del sindaco, e voglio dare dei suggerimenti<br />

a sostegno di questa proposta, affinché<br />

non si avvalori la posizione dei sostenitori<br />

della “necessità di evitare falsi storici,<br />

realizzando qualcosa di contemporaneo”, che<br />

già sta prendendo piede.<br />

( ( (<br />

Che l’ambiente accademico italiano sia totalmente<br />

avverso a certi temi è cosa ben nota: a<br />

causa delle Carte del Restauro di Atene (1931) e<br />

Venezia del (1964), e soprattutto a causa delle<br />

teorie del restauro di Cesare Brandi, l’Italia è<br />

oggi il Paese dove, più di tutti gli altri, vige il<br />

terrore della “falsificazione della storia”, un<br />

problema del tutto falso, nato solo ed esclusivamente<br />

per tutelare il mercato nero delle<br />

opere d’arte! Sicché, in base a questa assurda<br />

posizione, e pensando di essere nel giusto, si<br />

insegna nelle università, si scrive sui libri e<br />

sulle riviste e si esercita la professione.<br />

Così, a proposito della proposta del sindaco<br />

fiorentino, c’è stato chi si è chiesto: “che<br />

senso avrebbe dover rispettare il progetto di Michelangelo<br />

piuttosto che realizzare finalmente<br />

qualcosa che mostri che siamo nel XXI secolo”<br />

Questa domanda esprime il generale sentimento<br />

serpeggiante tra gli architetti e i critici<br />

di architettura formatisi nella scuola modernista-storicista,<br />

quella scuola che ha fatto<br />

delle teorie di Gropius e di Zevi (l’insegnamento<br />

della storia andrebbe eliminato perché limitativo<br />

delle potenzialità della mente degli ard<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 655


| ( 7 ) |<br />

chitetti), il proprio cavallo di battaglia. Partendo<br />

da questa affermazione, la scuola modernista<br />

ha via via sviluppato idee come “tutti<br />

abbiamo il diritto di esprimere la nostra arte”,<br />

oppure “tutti siamo artisti”, “tutti hanno diritto<br />

ai propri 15 minuti di notorietà” ecc. e,<br />

altrettanto gradualmente, ha formato una<br />

massa “ignorante" di professionisti (e di critici),<br />

questi, grazie a questa semplificazione<br />

della professione, hanno potuto credersi artisti,<br />

architetti, critici e storici.<br />

<strong>Il</strong> lavaggio del cervello operato da questa<br />

scuola di pensiero impostasi come l’élite colta<br />

portatrice del verbo – specie a partire dal secondo<br />

dopoguerra – è stato talmente vasto<br />

che oggi molta gente, per paura di essere accusata<br />

di anacronismo e/o ignoranza, finge di<br />

comprendere il significato di determinate<br />

opere che non hanno alcun senso, se non<br />

quello dettato dalla legge del “prendi i soldi e<br />

scappa”.<br />

( ( (<br />

La cosa gravissima è che questo fenomeno si<br />

ritrova anche in ambiente ecclesiastico, ragion<br />

per cui, chi dovrebbe tutelare l’istituzione<br />

della chiesa, spesso e volentieri si lascia<br />

ammaliare dalla visione consumistica dell’architettura<br />

dettata dall’ignorantissima “società<br />

dello spettacolo”, visione che consente, con il<br />

minimo sforzo intellettuale, di produrre forme<br />

architettoniche generate da uno scarabocchio<br />

– opportunamente trasformato in tre dimensioni<br />

dal computer – che nulla hanno a<br />

che vedere con l’architettura delle chiese, con<br />

la liturgia, e con la religione stessa e, più in<br />

generale, con l’architettura degli edifici …<br />

non è un caso se Patrick Schumacher, partner<br />

di Zaha Hadid, ha avuto l’ardire di affermare<br />

che il “parametricism” – secondo il quale è il<br />

computer, grazie ad appositi softwares, e non<br />

più la mano dell’architetto a generare il progetto<br />

– da loro teorizzato, sta diventando la<br />

“nuova tradizione egemone!”.<br />

Ebbene, alla domanda sulla legittimità o meno<br />

di realizzare la facciata di San Lorenzo<br />

progettata 500 anni fa, e considerato che chi<br />

ha posto questa domanda l’ha giustificata tirando<br />

in ballo Le Sette Lampade dell’Architettura<br />

di Ruskin:<br />

«[...] lo spirito dell’artefice morto non può essere<br />

rievocato, né gli si può comandare di dirigere<br />

altre mani e altre menti. E, quanto alla copia<br />

semplice e diretta, è chiaramente impossibile,<br />

Come si possono copiare superfici consumate<br />

per mezzo pollice L’intera finitura del lavoro<br />

era nel mezzo pollice sparito; se si tenta di restaurare<br />

quella finitura, lo si fa congetturalmente;<br />

se si copia ciò che è rimasto, affermando che<br />

la fedeltà è possibile, [...] come può il nuovo lavoro<br />

essere migliore del vecchio C’era ancora<br />

un po’ di vita, in quello vecchio, un misterioso<br />

suggerimento di ciò che era stato e di ciò che<br />

aveva perduto[...]»<br />

voglio brevemente esprimere il mio parere.<br />

( ( (<br />

Che senso avrebbe avuto, per tutti gli architetti<br />

che si sono succeduti nella realizzazione<br />

del Duomo di Firenze, dover giurare con una<br />

mano sulla Bibbia e l’altra sul modello ligneo<br />

del progetto di Arnolfo di Cambio (1296), che<br />

avrebbero portato a compimento l’opera originaria<br />

Chi conosce la storia del Duomo di Firenze<br />

sa che il progetto di Arnolfo venne interrotto<br />

nel 1330, privo della cupola perché non<br />

si sapeva come realizzarla. Nel 1367 Neri di<br />

Fioravante, sviluppò uno modello alto 4 metri<br />

che mostrava come, rinforzando le strutture<br />

arnolfiane, fosse possibile realizzare la gigantesca<br />

cupola ogivale. Tuttavia sorse il<br />

dubbio su come reperire il materiale e realizzare<br />

una centinatura e delle gru in grado di<br />

realizzare la struttura vera. Nel 1418 venne<br />

bandito il concorso, vinto da Brunelleschi e<br />

Ghiberti (ma questo nel ’25 venne rimosso)<br />

per realizzare la struttura medievale che venne<br />

portata a compimento nel 1468 con il<br />

31 agosto 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

completamento, ad opera del Verrocchio,<br />

della lanterna sormontata dall’enorme sfera<br />

dorata. Tutti questi personaggi, nonostante la<br />

loro fama, vennero costretti, dai membri dell’Opera<br />

del Duomo, a giurare sul modello di<br />

Neri, che avrebbero realizzato quella cupola.<br />

La facciata venne addirittura realizzata solo<br />

nel 1871, da Emilio De Fabris (l’opera venne<br />

completata dopo la morte di quest’ultimo,<br />

nel 1887 da Luigi Del Moro) sulla base di un<br />

progetto che prendeva ispirazione dalla porzione<br />

basamentale già rivestita nel medioevo.<br />

La stessa storia si ritrova per la Basilica di<br />

Santa Croce, sempre a Firenze, progettata da<br />

Arnolfo di Cambio nel 1294-95, dove il campanile<br />

venne realizzato ex-novo da Gaetano<br />

Baccani tra il 1847 e il ’65 e la facciata da<br />

Niccolò Matas tra il 1853 e il ’63!<br />

Ma se andiamo in altre realtà, come il<br />

Duomo di Siena o quello di Orvieto, abbiamo<br />

facciate che ci raccontano fino a 700 anni di<br />

lavori, durante i quali si sono succeduti fior di<br />

architetti, scultori, mosaicisti e lapicidi … eppure<br />

l’immagine d’insieme ci mostra una coerenza<br />

e un carattere senza tempo e, soprattutto,<br />

una profonda devozione nei confronti del<br />

Signore.<br />

( ( (<br />

Ecco, è proprio questo il punto, diversamente<br />

da oggi, un tempo non era la firma e/o il nome<br />

dell'architetto, né la "datazione", ad avere<br />

importanza, ma l'edificio costruito per il<br />

Signore!<br />

Basta dunque con la lettura della storia<br />

fatta di schede datate infilate in cassetti la cui<br />

riapertura è vietata. Basta con l'egoismo dei<br />

critici e degli storiografi, che per dare un senso<br />

al loro mestiere e alla loro visione ideologica<br />

debbono imporre a tutti quella che è la loro<br />

lettura della storia. Se Renzi vuole completare<br />

San Lorenzo, come già era stato fatto a Firenze<br />

(con grande apprezzamento dei turisti)<br />

per Santa Maria del Fiore e per Santa Croce,<br />

che lo faccia, purché si proceda fedelmente<br />

nel rispetto del lavoro Michelangiolesco, (o<br />

arnolfiano, perché no) senza stravaganze necessarie<br />

a far riconoscere che il lavoro sia stato<br />

fatto nel 2011!<br />

Certo, Michelangelo non aveva tenuto in<br />

grande considerazione il programma medievale<br />

della Basilica di San Lorenzo, però aveva<br />

progettato una facciata in perfetta armonia<br />

con la “grammatica”, le proporzioni, i materiali<br />

e i colori dell’architettura fiorentina dopo<br />

l’opera di Brunelleschi, Michelozzo, Alberti<br />

e Rossellino.<br />

Come propone il sindaco dunque, spero<br />

davvero che sarà la cittadinanza ad esprimere<br />

il proprio parere, Michelangelo o Arnolfo,<br />

purché tutto avvenga nel massimo rispetto<br />

della filologia e del contesto!<br />

ETTORE MARIA MAZZOLA<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 655


A<br />

B<br />

N°656<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

7 SETTEMBRE 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

LA QUESTIONE MASCHILE<br />

U N A P A N O R A M I C A<br />

1<br />

Inizia con questa panoramica una serie di<br />

Speciali volti a coprire il deficit di informazione<br />

su una delle questioni più importanti della nostra<br />

epoca. La serie è curata da Armando Ermini, presidente<br />

dell'Associazione culturale Maschi Selvatici.<br />

Nei prossimi numeri approfondiremo alcuni dei temi<br />

qui tratteggiati, primi argomenti l’identità maschile<br />

e il rapporto fra il maschile e l’aborto. N<br />

INDICE<br />

1 Prologo.<br />

2 La Questione Maschile, tentativo di definizione.<br />

Un breve cenno storico.<br />

4 I movimenti maschili in Italia.<br />

I progressisti.<br />

5 Gli antifemministi.<br />

6 I liberali.<br />

I radicali.<br />

14 Le tematiche di discussione.<br />

18 Risorse.<br />

Sitografia.<br />

19 Bibliografia.<br />

DI ARMANDO ERMINI<br />

j<br />

a Prologo.<br />

Quando si parla, e lo si fa ormai da molto tempo,<br />

di Questione femminile, ognuno capisce immediatamente<br />

di cosa si tratta: del cammino delle<br />

donne per recuperare un gap socioculturale nei<br />

confronti degli uomini, indipendentemente dal<br />

vario significato che si attribuisce al termine parità.<br />

Fino a non molti anni orsono nessuno parlava<br />

invece di Questione maschile, e il perché<br />

era tanto chiaro quanto scontato. I maschi, nella<br />

visione comunemente accettata, detenevano il<br />

potere pubblico e familiare, disponevano di privilegi<br />

e maggiori opportunità sociali rispetto alle<br />

femmine, e dunque una Questione Maschile 1<br />

non poteva esistere e neanche essere concepita.<br />

<strong>Il</strong> fatto che da qualche anno anche quell’espressione<br />

sia entrata nel lessico corrente ci indica<br />

che qualcosa è profondamente mutato, qualsiasi<br />

sia l’accezione che si intende attribuirle. Contrariamente<br />

al simmetrico femminile, infatti, non<br />

esiste affatto accordo, neanche di massima, circa<br />

il suo significato che può essere inteso in modi<br />

1 <strong>Il</strong> termine Questione Maschile, salvo errori, fu usato per la prima<br />

volta nel febbraio del 1998, quando fu organizzato a Milano un<br />

convegno dal titolo omonimo, patrocinato dalla Regione Lombardia.<br />

Le relazioni introduttive al Convegno, dal titolo “Maschio<br />

e Padre: identità politicamente scorrette”, furono tenute da Claudio<br />

Risè (università di Trieste/Gorizia), Claudio Bonvecchio (università<br />

di Trieste) e Graziano Martignoni (Università di Friburgo)<br />

e sono raccolte in La Questione Maschile, Società Editrice Barbarossa,<br />

1998).<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

diametralmente opposti, aventi un unico punto<br />

in comune: il maschio è in crisi. Su tutto il resto,<br />

cause, effetti, rimedi etc. la distanza all’interno<br />

degli stessi movimenti che si occupano del “maschile”,<br />

rimane notevole. Cercherò pertanto di<br />

tracciare per i lettori un panorama, il più oggettivo<br />

possibile compatibilmente col mio essere<br />

militante di uno di essi, delle concezioni dei movimenti<br />

maschili culturalmente più significativi<br />

del nostro paese.<br />

j<br />

a Tentativo di definizione.<br />

Personalmente credo che la QM si possa definire,<br />

in modo sintetico, come questione di indebolimento<br />

identitario 2 . La sua origine è lontana<br />

nel tempo, risalendo all’inizio del processo di<br />

secolarizzazione della società concomitante con<br />

quello di industrializzazione, ma ha avuto una<br />

accelerazione decisiva nel secondo dopoguerra.<br />

Da allora i maschi non sono più stati iniziati al<br />

sociale e introdotti nella società da altri maschi<br />

(i padri, gli istruttori etc.) ma dalle madri e comunque<br />

da figure femminili. Ciò ha prodotto,<br />

scrive Claudio Risè, una interruzione nella trasmissione<br />

della cultura materiale e istintuale<br />

maschile, per l’ovvia ragione che le donne non<br />

la posseggono. Contemporaneamente tutti gli<br />

sforzi sociali si sono concentrati sul principio<br />

della soddisfazione dei bisogni, fino a diventare<br />

non solo obbiettivo funzionale all’espandersi dei<br />

consumi e quindi alla crescita della società industriale,<br />

ma anche e soprattutto lo scopo supremo<br />

della politica. Ma il principio della soddisfazione<br />

dei bisogni è tipicamente materno,<br />

perché è la madre che fin dalla nascita vi è preposta,<br />

altre essendo le funzioni paterne. Dunque,<br />

tutta la società si è progressivamente orientata<br />

sul principio femminile, e di ciò ne hanno<br />

fatto le spese i maschi e i padri privati della loro<br />

2 In ogni caso, il lettore interessato può trovare in<br />

http://metromaschile.it/blog/2010/questione-maschile-la-miadefinizione<br />

(dove sono contenute anche le righe che seguono) una<br />

discussione il cui interesse, al di là della condivisione di certe tesi,<br />

sta nei diversi punti di vista dai quali l’argomento è trattato.<br />

identità, e dietro di loro il principio fallico di<br />

forza, di azione e di libertà. Quello che ne è seguito,<br />

anche in termini di penalizzazione sul<br />

piano giuridico e concreto di tutto ciò che è maschile,<br />

è una conseguenza necessaria di questo<br />

processo, che però non è affatto indolore per la<br />

società nel suo insieme. La crisi di civiltà dell’Occidente,<br />

che presto lascerà la scena centrale<br />

ad altre culture, è la crisi dell’identità maschile,<br />

checché se ne pensi.<br />

“Se il maschile si indebolisce, scrive ancora Risè<br />

3 , l’atto nuovo, l’idea folle, ma anche semplicemente<br />

l’idea, tende a non esserci più, e senza<br />

idea, senza la spinta del maschile, senza la<br />

capacità di dono gratuito assicurato dall’impulso<br />

della forza fallica, la società dei consumi non<br />

può rinnovarsi e corre verso la crisi”.<br />

j<br />

a Breve cenno storico.<br />

Come ogni fenomeno sociale, anche la Questione<br />

Maschile ha una gestazione più o meno lunga<br />

ma inizialmente sotterranea, e la pretesa di datarla<br />

con precisione cronologica opinabile. Tuttavia<br />

ci sono eventi “simbolo” che segnano l’emersione<br />

del fenomeno, sia per i contenuti sia<br />

per la risonanza mediatica, quest’ultima direttamente<br />

proporzionale al successo di partecipazione<br />

ottenuto. In questo senso possiamo<br />

prendere come data simbolica della nascita della<br />

QM il 4 ottobre 1997, quando si svolse a Washington<br />

la marcia dei Promise Keepers che vide<br />

la partecipazione di un milione di uomini. I<br />

Promise Keepers erano sorti nel 1990 ad opera di<br />

Bill Mc Cartney, ex allenatore della squadra di<br />

football della Università del Colorado, con i seguenti<br />

impegni:<br />

1. Onorare Gesù Cristo attraverso il culto,<br />

la preghiera e l'obbedienza alla Parola di<br />

Dio nella potenza dello Spirito Santo.<br />

3 C. Risè. “Movimenti nell'ombra. <strong>Il</strong> maschile rimosso e il passaggio<br />

al bosco”, in Bonvecchio-Risè, L’ombra del potere, Red edizioni,<br />

Como 1998.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 656


| ( 3 ) |<br />

2. Perseguire rapporti d’amicizia fraterna<br />

con un numero limitato di altri uomini, poiché<br />

necessita di fratelli che lo aiutino a mantenere<br />

le sue promesse.<br />

3. Praticare la purezza spirituale, morale,<br />

etica e sessuale.<br />

4. Costruire un forte legame matrimoniale<br />

e familiare attraverso l'amore, la protezione<br />

e i valori biblici.<br />

5. Sostenere la missione della sua Chiesa<br />

onorando il suo pastore, pregando per lui, e<br />

offrendo attivamente il suo tempo e le sue risorse.<br />

6. Superare ogni barriera razziale e confessionale<br />

per dimostrare il valore riunificatore<br />

del messaggio biblico.<br />

7. Influenzare il suo mondo, tramite l’obbedienza<br />

al Grande Comandamento (Marco<br />

12:30-31) e al Grande Mandato (Matteo 28:19-<br />

20). 4<br />

Ho voluto riportare per intero i sette impegni<br />

dei Promise Keepers perché ci aiutano a focalizzare<br />

alcuni aspetti essenziali della QM come viene<br />

percepita e vissuta in Occidente, e del disagio<br />

che gli uomini di oggi vivono. In sostanza tale<br />

disagio è generato dalla difficoltà a rispettare<br />

quegli impegni che tradizionalmente ogni uomo<br />

chiede a se stesso e che, nonostante tutto, la comunità,<br />

ed anche le donne, si aspettano ancora<br />

da lui. Quegli uomini riuniti a Washington chiedevano<br />

“solo” che il mondo circostante non<br />

ostacolasse in modo schizofrenico la loro voglia<br />

di essere uomini e padri a tutto tondo, con la relativa<br />

forte assunzione di responsabilità. E ammettevano<br />

anche che lasciati soli difficilmente<br />

avrebbero potuto ottenere l’obbiettivo che si<br />

proponevano. Da qui, e al netto del linguaggio<br />

di ascendenza protestante USA, il richiamo a<br />

fondare la maschilità e la paternità sull’elemento<br />

religioso, da qui anche la necessità di aiutarsi<br />

e sostenersi l’un l’altro in un’ottica di fraternità<br />

e cameratismo maschili. Ora non ci sono dubbi<br />

4 La traduzione dei sette impegni, da Wikipedia, è opera mia.<br />

sul fatto che agli uomini la società moderna<br />

mandi messaggi contraddittori. Basta essere attenti<br />

ai giornali e alle TV per accorgersi che, in<br />

nome della parità e dell’emancipazione femminile,<br />

i valori tradizionalmente maschili vengono<br />

letti in chiave negativa e/o, nel migliore dei casi,<br />

dileggiati come anacronistici e fuori dal tempo.<br />

Contemporaneamente, però, si rimprovera agli<br />

uomini di non sapere più fare i padri, di non<br />

porsi più come protettori della famiglia, di aver<br />

perso mordente etc. etc., nel mentre si ostacolano<br />

quegli spazi di genere che tradizionalmente<br />

gli uomini si sono sempre ritagliati. Le opposte<br />

pressioni spiegano, a mio parere, la nascita e l’evoluzione<br />

dei movimenti maschili nel mondo,<br />

nonché le diversità d’impostazione fra chi avverte<br />

la necessità di recuperare e valorizzare alcuni<br />

aspetti tradizionali della virilità e chi, al contrario,<br />

intende ripensare la maschilità alla luce di<br />

quei mutamenti che ritiene acquisiti per sempre.<br />

Ma su questo ritorneremo.<br />

Per quanto riguarda l’Italia, la prima uscita<br />

ufficiale di un movimento maschile si tenne in<br />

Lombardia, nell’area del Parco Regionale del<br />

Ticino, il giorno seguente al convegno citato in<br />

nota 1, allorché i Maschi Selvatici parteciparono<br />

alla manifestazione che aveva come tema conduttore<br />

“Uomini nella natura, cammino, meditazione,<br />

arte, affetti, nell’incontro maschile con<br />

la terra, l’acqua, il fuoco e l’aria”.<br />

j<br />

a I movimenti maschili in Italia.<br />

Limitando la nostra indagine ai movimenti maschili<br />

presenti nel nostro paese, possiamo intanto<br />

tracciare una prima ripartizione con la precisazione<br />

che si basa sul criterio primario del significato<br />

attribuito alla Questione Maschile 5 .<br />

5 Pertanto le definizioni adottate non significano un’automatica<br />

sovrapposizione con precise aree culturali e politiche, perché le<br />

tematiche di genere sorte e sviluppatesi con la modernità hanno<br />

una complessità tale da non poter essere ricomprese, se non tendenzialmente,<br />

nelle tradizionali categorie usate in politica. Ce ne<br />

possiamo rendere conto facendo attenzione a come si muovono i<br />

partiti, i quali, anche al netto della (massiccia) quota di opportu-<br />

7 settembre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

1. Progressisti. I gruppi che considerano la<br />

crisi maschile come salutare in quanto indotta<br />

dal tramonto del patriarcato, concepito come<br />

struttura psico-socioculturale modellata sul<br />

genere maschile, messo pesantemente in crisi<br />

dal nuovo protagonismo femminile.<br />

2. Antifemministi. Sono quei movimenti<br />

che si propongono in primo luogo di contrastare<br />

il femminismo nei suoi diversi filoni, in<br />

quanto ritenuto responsabile della devirilizzazione<br />

degli uomini. In quanto vincente sul piano<br />

culturale, il femminismo è all’origine anche<br />

della crisi sociale e culturale delle società occidentali.<br />

3. Liberali. Quelli per i quali la crisi del<br />

maschio è dovuta, essenzialmente, ad una evoluzione<br />

in senso pro-female del diritto e delle<br />

leggi che, nell’intento di superare le antiche discriminazioni<br />

contro le donne, hanno finito per<br />

disegnare un sessismo alla rovescia in cui il<br />

gruppo discriminato è divenuto quello maschile.<br />

4. Radicali. Purtroppo in Italia ormai il<br />

termine “radicale” tende ad identificarsi col<br />

partitino laicista di Pannella, ma qui è inteso<br />

nel suo significato originario di “coloro che<br />

cercano di andare alle radici”. Questa quarta<br />

area riunisce, con forti differenze interne, tutti<br />

coloro che ritengono essere la crisi del maschile<br />

tanto reale quanto disastrosa, per gli uomini<br />

ma non solo. Rispetto all'area precedente<br />

non si disconosce lo squilibrio a livello giuridico<br />

che colpisce il mondo maschile e la necessità<br />

di leggi davvero paritarie. Si considerano però<br />

questi problemi come non originari ma derivanti<br />

da fattori di ordine socioculturale sui<br />

quali, peraltro, non c’è identità di vedute.<br />

Vediamo ora in dettaglio le varie aree del movimento.<br />

nismo elettorale, mostrano sostanziale confusione e fraintendimento<br />

circa il reale significato culturale della questione, nonché<br />

un fondamentale appiattimento sulle concezioni della cultura dominante<br />

di cui fanno propri i luoghi comuni.<br />

. I PROGRESSISTI.<br />

In questa accezione, la crisi maschile nasce dalla<br />

perdita dell’antico potere sull’altro sesso, ed<br />

avrebbe come effetto primario quello di un rigurgito<br />

revanscista manifestantesi come recrudescenza<br />

di violenza contro le donne di cui non<br />

si accetterebbe la nuova autonomia psichica e<br />

sociale. Da notare l’analogia di questo schema<br />

interpretativo con quello utilizzato da Stalin<br />

nella Russia sovietica, quando sosteneva la tesi<br />

che proprio a causa dell’avanzare trionfale del<br />

socialismo, le classi spodestate avrebbero reagito<br />

sempre più violentemente nel tentativo disperato<br />

e inutile perché antistorico, di riconquistare il<br />

potere perduto. Più pacificamente, i teorici del<br />

rigurgito dovuto al tramonto del patriarcato, si<br />

accontentano di agire sul piano culturale e giuridico.<br />

Forti di un potere mediatico e culturale<br />

schierato per motivi diversi dalla loro parte o<br />

nella migliore delle ipotesi paralizzato nel dissentire<br />

dal mainstream, promuovono campagne<br />

di informazioni fondate sul presupposto che violenza<br />

ed oppressione, poiché in sé maschili (o<br />

meglio del maschio bianco adulto), colpiscano<br />

esclusivamente le donne. Di fronte a fenomeni di<br />

segno opposto si preferisce glissare, attribuendoli<br />

o ad una reazione per torti storici e personali,<br />

o comunque come il frutto dell’assunzione da<br />

parte delle donne dei canoni culturali maschili e<br />

patriarcali. Sul piano legislativo appoggiano tutte<br />

quelle leggi che, partendo dai presupposti prima<br />

enunciati, si ripromettono di annullare lo<br />

squilibrio fra i sessi. Così per le quote rosa, così,<br />

ad esempio, per la legge spagnola sulla “violenza<br />

di genere” che amplifica le pene quando un<br />

reato di violenza è compiuto da un uomo, o infine<br />

per la legge sullo stalking la quale, forse oltre<br />

le intenzioni, finisce per rovesciare l’onere della<br />

prova sull’accusato e, considerando prova sufficiente<br />

la parola della vittima, annulla di fatto un<br />

cardine dello stato di diritto quale la ricerca, per<br />

quanto possibile, della verità basata su fatti oggettivamente<br />

verificabili. A questo filone culturale,<br />

si riferiscono quei movimenti per i quali la<br />

crisi del maschio è la benvenuta in quanto coind<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 656


| ( 5 ) |<br />

cide con la crisi dell’ordine simbolico patriarcale<br />

ed apre la strada verso una maggiore libertà per<br />

tutti. I maschi dovrebbero rinunciare definitivamente<br />

alla loro identità tradizionale fondata<br />

sulla competizione e sul dominio del più forte,<br />

per riscoprire, semplifico, la propria parte femminile,<br />

inclusiva, antigerarchica, non violenta.<br />

Si tratta dunque di inventarsi una identità del<br />

tutto nuova, e finora mai esplorata.<br />

Politicamente questi gruppi si collocano genericamente<br />

a sinistra. Più in particolare in<br />

quella sinistra genericamente progressista di<br />

stampo liberal che superata la concezione marxista<br />

della storia come lotta fra classi dominanti<br />

e subalterne, finisce in realtà per accettarla metodologicamente<br />

semplicemente sostituendo le<br />

classi coi sessi. 6<br />

. GLI ANTIFEMMINISTI.<br />

Come si può leggere sul manifesto della rivista<br />

on line Antifeminist 7 , che possiamo classificare<br />

come il principale sito d’area, il primo<br />

posto del programma, sia nella parte destruens<br />

sia in quella construens, è occupato<br />

dall’obbiettivo di contrapporsi ai movimenti<br />

femministi. Soltanto dopo ci si rivolge agli<br />

uomini, ma anche in questo caso in primo<br />

luogo per metterli in guardia contro le trappole<br />

loro tese (ad esempio il matrimonio).<br />

Le priorità sono così chiaramente delineate,<br />

nel senso che la promozione di modelli maschili<br />

forti e validi, nonché il richiamo a l’indipendenza<br />

emotiva dalle femmine, che pure sono obbiettivi<br />

dichiarati, appaiono subordinati a quello<br />

principale. I gruppi d’area antifemminista, in effetti,<br />

sono movimenti militanti, simmetrici alla<br />

controparte femminista, che alle analisi culturali<br />

antepongono la lotta: Dum Romae consulitur,<br />

Saguntum expugnatur potrebbe essere il<br />

loro motto. È questo, a mio avviso, un limite<br />

dell’area di cui stiamo parlando, ma proprio per<br />

questa loro caratteristica svolgono una funzione<br />

6 Per un approfondimento della discussione con alcuni di questi<br />

gruppi, si veda in www.maschiselvatici.it -> Le iniziative dei Maschi<br />

selvatici -> iniziative avvenute -> articoli 8, 9, 10, 11.<br />

7 Per gli indirizzi dei siti citati si rimanda alla Sitografia finale.<br />

utile come primo collettore del disagio maschile,<br />

ed anche e soprattutto come instancabili raccoglitori<br />

di notizie di cronaca, di leggi, di sentenze,<br />

di accadimenti in ogni parte del mondo che<br />

offrono, commentate, ai lettori.<br />

Altro elemento da sottolineare è che i movimenti<br />

appartenenti a quest’area stanno tentando<br />

di darsi una forma di coordinamento internazionale,<br />

per ora allo stato nascente, di cui sono<br />

stati momenti importanti due convegni svoltisi<br />

entrambi in Svizzera nel 2010 e nel <strong>2011.</strong><br />

. I LIBERALI.<br />

Questo filone accetta la definizione di società<br />

patriarcale e la necessità storica del suo tramonto,<br />

ma ritiene che non ci sarebbe una vera e<br />

propria crisi d’identità maschile. Poco attenti alle<br />

questioni di ordine simbolico e antropologico,<br />

nonché al problema della differenza/uguaglianza<br />

ontologica fra maschile e femminile, i<br />

sostenitori di questa tesi si propongono di agire<br />

essenzialmente sul piano giuridico perorando<br />

una piena uguaglianza formale e sostanziale fra<br />

donne e uomini. Questa corrente, almeno in Italia<br />

fra le prime ad aver sollevato la QM, si rifà<br />

ad una tradizione culturale di tipo liberale. Suo<br />

esponente di spicco è Marco Faraci, fondatore<br />

del sito Pari diritti per gli uomini, ma ad essa<br />

fanno capo anche altri blogger indipendenti.<br />

Un cenno a parte meritano i siti espressione<br />

delle varie associazioni dei padri separati. Come<br />

emersione di un fenomeno tangibile e ormai diventato<br />

emergenza sociale riconosciuta, queste<br />

associazioni, numerose e talvolta in reciproca<br />

polemica, sono da considerare parte integrante<br />

nella più generale Questione Maschile, sebbene<br />

al loro interno si stenti spesso a prendere atto<br />

che la tragedia dei padri separati non origini solo<br />

dalle leggi o dalla loro applicazione da parte<br />

della magistratura, ma sia parte di una questione<br />

culturale di amplissima portata.<br />

. I RADICALI.<br />

Dei movimenti che abbiamo chiamato “radicali”<br />

per il modo con cui affrontano la questione, ne<br />

7 settembre 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

presentiamo i tre più rappresentativi.<br />

L'approccio neomarxista: Uomini Beta.<br />

Fondato nel 2009 da Fabrizio Marchi, giornalista<br />

free-lance romano ed autore del libro Donne,<br />

una rivoluzione mai nata 8 (Mimesis, 2007),<br />

Uomini Beta è un movimento maschile dichiaratamente<br />

collocato, sul piano culturale, a sinistra.<br />

Sul piano politico, invece, Uomini Beta non si<br />

riconosce in particolare in nessuna delle attuali<br />

formazioni, che anzi critica pesantemente.<br />

Uomini Beta su base rigorosamente laica, individua<br />

la causa principale della crisi maschile<br />

nella trasformazione economica capitalistica.<br />

Come vedremo, è uno schema interpretativo che<br />

si rifà all’essenza dell’analisi marxista delle classi<br />

e della loro dinamica conflittuale, introducendovi<br />

però una importante variabile di<br />

genere. Per i suoi sostenitori, la vera soluzione<br />

del conflitto maschile femminile in una sostanziale<br />

parità e reciprocità, sarebbe in ultima analisi<br />

possibile solo in una società senza classi.<br />

Premesso realisticamente che non è mai esistito<br />

fino ad oggi un sistema capace di superare<br />

nei fatti la contraddizione fra ceti dominanti e<br />

dominati e di<br />

“costruire una società realmente nuova, fatta di<br />

uomini e donne realmente liberi/e ed eguali” 9 ,<br />

il capitalismo è un sistema sociale ed economico<br />

“sostanzialmente dominato dalla ragione strumentale<br />

ed utilitaristica e dal dominio assoluto<br />

del mercato e della sua ideologia”<br />

che in termini concreti significa mercificazione<br />

di ogni rapporto umano, proprio a partire<br />

dalla sessualità, forza potente della natura<br />

“che è stata ridotta dal sistema capitalistico attuale<br />

a due concetti fondamentali: merce e consumo”.<br />

Non che la repressione sessuale sia fenomeno<br />

nuovo. Anche in passato la sessualità<br />

8 Recensito da chi scrive in www.maschiselvatici.it/index.php<br />

option=com_content&id=498.<br />

9 Tutte le citazioni sono tratte dall’editoriale dello stesso Marchi,<br />

“<strong>Il</strong> movimento”, accessibile dalla home page del suo sito.<br />

“è stata pesantemente condizionata dalle religioni<br />

organizzate e dalle loro istituzioni nonché<br />

da una montagna di precetti e pseudo costruzioni<br />

moralistiche.”<br />

La differenza è che oggi le antiche forme di<br />

organizzazione sociale e politica fondate su un<br />

mix di rapporti di forza e costrizioni moralistico/religiose,<br />

sono divenute<br />

“inadeguate a governare e a gestire società complesse<br />

come quelle capitalistiche occidentali (e<br />

non solo occidentali ormai …) contemporanee le<br />

quali, per sopravvivere e autoalimentarsi, hanno<br />

bisogno di meccanismi sociali, culturali e psicologici<br />

estremamente più complessi del semplice<br />

esercizio della forza che strutturalmente non<br />

può essere sufficiente a promuovere e mobilitare<br />

forze e risorse produttive, sia in termini quantitativi<br />

che soprattutto qualitativi, necessarie ad<br />

alimentare l’intero sistema.”<br />

Da qui il non casuale indebolimento del vecchio<br />

sistema,<br />

“sostituito con quello dell’ideologia della mercificazione<br />

totale dei corpi e delle anime degli<br />

individui.”<br />

Nel processo di mercificazione totalizzante,<br />

un ruolo specifico è stato assegnato alle donne, o<br />

meglio al femminismo, movimento nato con<br />

l’intenzione di trasformare radicalmente la società<br />

ma che invece, assumendone come propri i<br />

fondamenti,<br />

“ha finito per diventare lo strumento privilegiato<br />

proprio di quel sistema che avrebbe dovuto<br />

combattere […] Le donne, che sembrava dovessero<br />

rappresentare il soggetto di una trasformazione<br />

sociale e culturale epocale, hanno finito<br />

col diventare, nella loro grande maggioranza,<br />

uno strumento attivo e spesso consapevole del<br />

sistema, facendo proprie le logiche strumentali<br />

di cui è portatore, diventandone complici e ricavandosi<br />

uno spazio di potere al suo interno, [...]<br />

anche se, ovviamente, con differenti ruoli e livelli<br />

di responsabilità.”<br />

Hanno cioè accettato<br />

“di essere ridotte ma in larga parte di autoridursi<br />

a merce, non solo dal punto di vista pratico<br />

ma soprattutto da quello psicologico, cioè<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 656


| ( 7 ) |<br />

New York 1932.<br />

del loro modo di essere, di vivere e di concepirsi<br />

all’interno della relazione con l’altro genere.<br />

Questa scelta è stata profumatamente pagata dal<br />

sistema dominante che ha avuto e ha un grande<br />

bisogno di loro. Le donne insomma sono state<br />

promosse, hanno acquistato uno spazio notevolissimo<br />

all’interno della complessa struttura gerarchica<br />

della piramide sociale senza però metterne<br />

in discussione le fondamenta che anzi, oggi,<br />

grazie al loro contributo, sono ancora più solide<br />

rispetto al passato.”<br />

<strong>Il</strong> motivo di tale promozione del genere femminile<br />

appare semplice.<br />

“La sessualità femminile costituisce da sempre<br />

un fattore straordinariamente potente di incentivazione<br />

per gli uomini; una spinta nei confronti<br />

della quale, specie per gli uomini in giovane<br />

età, è praticamente impossibile opporre resistenza.<br />

Attribuendogli un valore di mercato e<br />

un valore d’uso (e di scambio) e rendendola<br />

conseguentemente accessibile solamente a coloro<br />

che sono in grado di esserne fruitori, viene<br />

così a costituire uno strumento formidabile e<br />

ineguagliabile al fine di alimentare il sistema<br />

stesso non solo dal punto di vista economico ma<br />

anche da quello culturale e psicologico; tutti<br />

aspetti intimamente connessi e non separabili<br />

nei moderni sistemi sociali.”<br />

La maggior parte delle donne, beninteso, rimane<br />

subalterna alle élite dei cosiddetti maschi<br />

dominanti (i maschi alpha)<br />

“che sono al vertice della catena di comando insieme<br />

alle nuove élite femminili, ma per contro<br />

hanno acquistato, o meglio, è stato loro conferito,<br />

un ruolo dominante sul resto della popolazione<br />

maschile (i maschi beta) che si trova a sua<br />

volta in una posizione di subalternità e subordinazione<br />

non solo nei confronti delle élite dominanti,<br />

maschili e femminili, ma anche nei confronti<br />

della grande maggioranza delle donne<br />

che sono forti del peso specifico rappresentato<br />

dalla loro sessualità e dal valore di mercato a<br />

questa attribuito.”<br />

Ne risulta che questi ultimi sono oggi il gruppo<br />

sociale veramente oppresso, il nuovo proletariato<br />

della società del mercato totale, perché<br />

privi di ogni potere contrattuale e, differentemente<br />

dalle donne,<br />

“senza alcun peso specifico, da mettere sulla bilancia.<br />

Nel corso di questi ultimi decenni gli uomini<br />

beta sono stati martellati senza sosta dal punto di<br />

vista psicologico e culturale, le loro identità di<br />

uomini sono state distrutte con una raffinatissima<br />

tecnica di manipolazione psicologica e<br />

7 settembre 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

mediatica fino a farli addirittura sentire colpevoli<br />

di essere nati uomini.<br />

“Completamente inermi e devastati sotto ogni<br />

punto di vista, non è rimasto loro che cercare di<br />

adeguarsi ad una realtà che considerano immutabile<br />

e scimmiottare i modelli maschili dominanti,<br />

senza averne però le possibilità e gli strumenti<br />

[…] in una recita disperata con la quale<br />

cercano faticosamente di conquistarsi un piccolo<br />

spazio e di essere socialmente e umanamente<br />

accettati, soprattutto dall’altro sesso.”<br />

Per cambiare questo stato di cose ed accedere<br />

ad una vera uguaglianza nella libertà e nel reciproco<br />

rispetto e riconoscimento dell’altro, gli<br />

uomini beta, la stragrande maggioranza, devono<br />

“rivisitare completamente la propria maschilità<br />

all’interno dei profondi cambiamenti avvenuti e,<br />

sulla base di questo, rivedere completamente il<br />

proprio atteggiamento nei confronti del genere<br />

femminile.”<br />

Rifiutare cioè falsi atteggiamenti da machi,<br />

non sentirsi in dovere di essere loro a proporsi<br />

sempre e comunque, “e di recitare copioni preconfezionati<br />

[…]” Essere cioè se stessi in ogni<br />

circostanza, anche con le proprie fragilità,<br />

“senza finzioni o recite di sorta, con la massima<br />

disinvoltura e senza MAI tradire la propria indole,<br />

la propria dignità e la propria libertà.”<br />

Se oggi l’identità maschile è in crisi, occorre<br />

allora rifiutare tutto un sistema che induce gli<br />

uomini a credere di essere veramente tali<br />

“solo se si ha un determinato reddito, se si occupa<br />

una determinata posizione all’interno del<br />

contesto sociale e se si compare sugli schermi di<br />

questo o quel network televisivo.”<br />

Questa, per Uomini Beta, l’essenza della questione<br />

maschile per come oggi si pone e che ingloba<br />

in sé anche la questione paterna, vista come<br />

parte importante della prima ma non interamente<br />

sovrapponibile ad essa. Nell’ottica di<br />

questo movimento, in coerenza con i suoi motivi<br />

ispiratori, non interessa tanto capire l’origine<br />

naturale o culturale delle differenze fra i sessi,<br />

anche perché i due fattori sono tanto intrecciati<br />

da essere inestricabili, quanto promuovere il mutamento<br />

secondo i principi della filosofia della<br />

prassi. Analogamente, anche il dibattito sui temi<br />

della bioetica (aborto, fecondazione artificiale<br />

etc.), viene considerato non tanto per l’importanza<br />

che riveste in sé dal punto di vista antropologico<br />

e per le possibili ripercussioni sul concetto<br />

stesso di maschile e femminile, quanto<br />

piuttosto dal punto di vista di un necessario riequilibrio<br />

di poteri fra uomini e donne in un’ottica<br />

di reciprocità all’interno della concezione<br />

pro-choise.<br />

L'approccio decostruttivista transpolitico:<br />

Uomini 3000.<br />

È questa la definizione data dallo stesso Rino<br />

Barnart 10 , da me interpellato, dell’approccio<br />

con il quale ha fondato movimento Uomini 3000.<br />

Decostruttivista perché si propone di disvelare<br />

l’ideologia sottesa al modo con cui il rapporto<br />

maschile/femminile viene raccontato, ma anche,<br />

più in generale, ogni narrazione del mondo.<br />

Transpolitica perché se ogni narrazione è ideologica,<br />

anche ogni espressione politica lo è necessariamente.<br />

Per Barnart la questione maschile si<br />

pone nel momento in cui si è rotto il mutuo patto<br />

di scambio che ha sempre contrassegnato la<br />

relazione maschile/femminile.<br />

Da una parte gli uomini che cercano nella<br />

donna “sesso e cura”, dall’altro le donne che<br />

chiedono all’uomo “protezione e mantenimento”.<br />

<strong>Il</strong> patto si è rotto concretamente con<br />

l’avvento della Società Industriale Avanzata<br />

(SIA) perché solo quest’ultima ne ha svelato la<br />

natura non simmetrica, fondata su un baratto<br />

ineguale:<br />

“benefici solo materiali (protezione e mantenimento)<br />

contro benefici sia materiali (cura) che<br />

psicologici (psicoemotivi: orgasmo). Benefici<br />

acquisibili anche senza relazioni con l’altro<br />

(protezione e mantenimento) o impossibili da<br />

ottenere autonomamente (attività sessuale). Libertà<br />

potenziale (ora fattuale) per F contro di-<br />

10 Rino Della Vecchia Barnart, oltre che animatore di U3000,<br />

www.uomini3000.it, ha fondato anche un altro sito<br />

www.altrosenso.info “Pagine di filosofia della maschilità”, ed è<br />

autore del libro Questa metà della terra, scaricabile gratuitamente<br />

da www.uomini3000.it.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 656


| ( 9 ) |<br />

Cracovia 2005.<br />

pendenza sistematica e ineliminabile per M.” 11<br />

La SIA, consentendo l’emancipazione femminile<br />

dalla dipendenza materiale dal maschio<br />

ha frantumato uno dei termini della relazione<br />

lasciando intatto l’altro, per sua stessa natura<br />

immodificabile.<br />

“Di qui la supremazia strutturale del Genere F.<br />

Si tratta di un fatto fondante che potrebbe durare<br />

sino a quando esisterà la SIA nei suoi diversi<br />

stadi di sviluppo. Stadi che, prospetticamente,<br />

lasciano intravedere come certo l’avvento di una<br />

società nella quale le attività di polarità maschili<br />

(comportanti fatiche, usura, rischi, sporcizia)<br />

saranno ridotte a frazioni minimali e infine del<br />

tutto eliminate dalla robotizzazione del lavoro.<br />

Società dunque in cui tutte le attività produttrici<br />

di reddito potranno essere svolte dalle DD. Nel<br />

suo sviluppo la SIA ha poi aperto la possibilità<br />

dell’autoriproduzione femminile, prima a mezzo<br />

della fecondazione assistita (fatto reale) e poi<br />

con la clonazione (prospettiva imminente). Due<br />

eventi dirompenti sul piano simbolico in quanto<br />

escludono il maschio e l’intero Genere anche<br />

dalla funzione riproduttiva. La femmina si<br />

11 Le citazioni sono tratte dall’articolo di Barnart, “L’emergere<br />

storico della Questione Maschile”, pubblicato su<br />

www.uominibeta.org.<br />

mantiene e si riproduce da sola: l’inutilità maschile<br />

è conclamata. La distruzione strutturale<br />

del valore maschile sembra compiuta.”<br />

Viene quindi introdotto nell’analisi della<br />

questione maschile il fattore tecnico, che però<br />

non basta, da solo, a spiegare la nuova realtà sociale.<br />

In stretto connubio con la tecnica, che ne<br />

costituisce la premessa e la possibilità, è tutta la<br />

società che si va femminilizzando. La SIA,e qui i<br />

punti di contatto con la tesi illustrata in precedenza<br />

sono evidenti,<br />

“si fonda infatti sull’espansione del ciclo produzione-consumo-produzione,<br />

e quindi sul consumismo<br />

(shopping), sulla creazione (per l’immediata<br />

soddisfazione) di nuovi e crescenti bisogni<br />

(capricci/mode). <strong>Il</strong> progresso tecnico aumenta<br />

poi senza fine il numero e l’estensione applicativa<br />

delle facilitazioni/semplificazioni (le “comodità”),<br />

degli automatismi, delle sicurezze etc.”<br />

tutti elementi tradizionalmente più consoni e<br />

congrui con le caratteristiche e la psiche femminili<br />

che col maschile.<br />

Tuttavia non si può parlare, come sembrerebbe<br />

da quanto esposto finora, di una concezione<br />

meramente deterministica dettata da fattori<br />

puramente materiali. Così fosse la storia sa-<br />

7 settembre 2011 Anno XI


| ( 10 ) |<br />

rebbe<br />

“prescritta, ogni azione mirante a orientarne il<br />

corso sarebbe assurda, la responsabilità individuale<br />

e collettiva svanirebbe ed il valore dei fattori<br />

culturali sarebbe nullo. Così non è, perché<br />

in realtà tutte le relazioni sociali si collocano in<br />

una zona intermedia tra la dimensione materiale<br />

e quella immateriale (culturale in senso ampio)<br />

[…] Nel rapporto tra i sessi poi, i fattori psicoemotivi<br />

hanno un peso ancora maggiore che nelle<br />

altre relazioni (e in quello genitori-figli essi<br />

sono decisivi).”<br />

Esiste quindi uno spazio di movimento e di<br />

azione sul piano culturale in senso lato, quello<br />

stesso spazio l’occupazione indisturbata del quale<br />

ha consentito al femminismo di riscrivere la<br />

storia secondo i propri canoni. Barnart definisce<br />

questo processo come la Grande Narrazione<br />

Femminista 12 , che nella coscienza collettiva ha<br />

azzerato il valore degli uomini caricandoli della<br />

colpa inestinguibile … di essere maschi. Infatti la<br />

GNF mira a individuare in tutta la storia , in<br />

tutti i fatti che sono accaduti e accadono, un elemento<br />

unificante che tutto lega e collega sul<br />

piano collettivo ma anche su quello individuale.<br />

Tale elemento unificante si chiama “società patriarcale”,<br />

ai cui valori deve essere ricondotto<br />

non solo ogni singolo atto come materializzazione<br />

di un principio, ma anche ogni individuo il<br />

cui valore viene così messo in discussione da una<br />

colpa storica, “l’universale usurpazione maschile”<br />

13 di cui, in quanto maschio, è portatore.<br />

Quello spazio psicoemotivo che è stato conquistato<br />

dalla GNF è definito, per contrasto alla<br />

Noosfera 14 , come Etosfera 15 , il luogo del bene e<br />

del male, o meglio in cui si decide cosa è bene e<br />

cosa è male in funzione però non di uno sforzo<br />

verso la ricerca della verità oggettiva possibile,<br />

bensì di utilità per la propria causa.<br />

Due appaiono dunque essere i fattori principali<br />

della crisi maschile. Da un lato la tecnica<br />

che sta decretando l'inutilità degli uomini, dall'altro<br />

l'azzeramento di ogni loro valore positivo<br />

sancito dalla GNF.<br />

Comunque si giudichi la SIA, prodotto diretto<br />

del Capitalismo in stretta identità con quel<br />

modo di produzione oppure una tecnica di produzione<br />

dei beni che può vivere e svilupparsi anche<br />

nell’ambito di altri modi di produzione 16 , è<br />

un fatto che la società contemporanea ne sia<br />

permeata profondamente, e che all’orizzonte<br />

non si prospetta nessun ritorno all’indietro, salvo<br />

pensare a sconvolgimenti epocali o immani<br />

catastrofi, “temute” o anche quasi auspicate come<br />

reazione esacerbata da chi, profondamente a<br />

disagio per i suoi esiti, non vede alcuna luce in<br />

fondo al tunnel. Nella situazione data e nel presente,<br />

perciò, dobbiamo considerare irreversibili<br />

alcuni effetti della SIA sui rapporti fra uomini e<br />

donne, ma anche tenere bene in mente che, per<br />

sua stessa natura di spinta costante e irreversibile,<br />

la Tecnica potrebbe in futuro sconvolgerli<br />

nuovamente. Ad esempio con l’invenzione, per<br />

ora allo stato di prototipo, dell’utero artificiale o<br />

dell’amante sintetica che avrebbero l’effetto di<br />

azzerare anche il valore delle donne come è già<br />

accaduto agli uomini. La domanda, angosciosa,<br />

che si pone, è allora se il rimedio allo squilibrio<br />

prodotto dalla Tecnica possa trovarsi solo nella<br />

Tecnica stessa e nei suoi aberranti ritrovati.<br />

“La parità dovrebbe collocarsi solo al fondo<br />

della disumanizzazione e nelle forme dell’apartheid<br />

I ponti crollati non sono in alcun<br />

modo sostituibili, bypassabili e quelli che pos-<br />

12 “Come il marxismo-leninismo fu la Grande Narrazione del<br />

proletariato, così il femminismo è la Grande Narrazione delle<br />

donne occidentali che si va progressivamente mondializzando, ad<br />

imitazione e, di fatto, in sostituzione del primo.” R.B. op. cit.<br />

13 Diotima (comunità filosofica femminile presso l’Università di<br />

Verona). Oltre l’uguaglianza, le radici femminili dell’autorità. Liguori,<br />

Napoli 1995.<br />

14 Termine coniato da Teilhard de Chardin a designare la dimensione<br />

sia della conoscenza che dei valori.<br />

15 <strong>Il</strong> termine Etosfera appare ed è spiegato nel suo esatto significato<br />

in R. Barnart, Op. Cit.<br />

16 Da questo punto di vista, è interessante notare l’assonanza con<br />

quanto scrive, a proposito del sistema Tecnico, Jacques Ellul ne <strong>Il</strong><br />

sistema tecnico.La gabbia delle società contemporanee (Jaca Book,<br />

2009). Per Ellul la tecnica è il vero fattore determinante della società,<br />

più dell’economia e della politica, più dei sistemi ideologici<br />

contrapposti (Ellul scriveva nel 1977) su cui ogni società crede di<br />

essere fondata. Le scelte di ogni società sono in realtà dettate dalle<br />

esigenza della tecnica, la quale risponde solo alla propria logica e,<br />

informando di sé l’ambiente e le stesse persone, è di fatto la negazione<br />

di ogni reale libertà di scelta, nonché del principio di responsabilità.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 656


| ( 11 ) |<br />

sono crollare, lo faranno necessariamente<br />

No se si riconosce l’esistenza di condizioni e<br />

forze in grado di equilibrare il rapporto ad onta<br />

di quei fatti. Ora, non potendosi trovare sul piano<br />

materiale (che opera in direzione opposta),<br />

quelle forze devono agire nella dimensione immateriale,<br />

psicologica e valoriale. E infatti è là<br />

che si trovano ed è a mezzo di una battaglia, o<br />

meglio di una guerra culturale — di lunga durata<br />

— che la partita può essere vinta.<br />

In sostanza siamo chiamati ad intervenire nella<br />

dimensione psichica, a rigenerare il sistema simbolico,<br />

l’insieme dei valori (stati, condizioni, dinamiche<br />

psicoemotive) che presiedono, regolano<br />

e guidano la relazione M/F e l’intera società.<br />

Si sa e, prima ancora, si sente che quello è il terreno<br />

di lotta. Di qui il fascino oscuro — quasi<br />

inconfessabile — dell’Islam (comunque lo si<br />

giudichi), che fonda la sua forza sulla difesa di<br />

un sistema simbolico intatto e che ne protegge<br />

l’integrità in tutti i modi, come se temesse che,<br />

corroso quello, la rovina dilaghi [...]<br />

Ora quelle forze e dinamiche immateriali che di<br />

fatto agiscono in direzione mortifera possono e<br />

devono agire nell’altra, quella salvifica.<br />

La QM innesca un aperto conflitto culturale<br />

volto a modificare lo stato psichico collettivo<br />

attraverso la costruzione di un nuovo racconto<br />

maschile, da gettare sul piatto della bilancia. Vi<br />

è inclusa la riumanizzazione della relazione. Un<br />

nuovo Passato e un nuovo Presente per un futuro<br />

vivibile. Sotto qualsiasi cielo.”<br />

Si tratta dunque, per gli uomini, di ri-raccontare<br />

se stessi, oltre ogni pretesa di raccontare<br />

anche il femminile, con il principale e necessario<br />

fine di rilegittimarsi ai propri stessi occhi in<br />

quanto maschi 17 . In questo racconto di sé, entreranno<br />

necessariamente, poiché il maschile è Lo-<br />

17 R. Barnart, Op. cit. “Sta dunque davanti agli uomini la necesità<br />

di costruire un autonomo sistema di Senso, totalmente separato<br />

da quello che il femminismo sta imponendo […] Si fonderà sulle<br />

specificità originarie della maschilità, su quelle polarità che ne<br />

individuano i caratteri universali: creazione contro manutenzione,<br />

dono contro calcolo, realizzazione contro appagamento, coscienza<br />

contro incoscienza, responsabilità contro innocenza, rinuncia<br />

contro soddisfazione, frugalità contro consumo, Spirito contro<br />

Materia [...] Gli uomini sono diventati inutili, ma si tratta di una<br />

inutilità relativa nel senso che sono diventati inutili per le donne,<br />

le quali però rappresentano solo la metà del mondo, l’altra metà è<br />

formata dagli uomini e non si è ancora trovata una ragione sulla<br />

cui base affermare che siano diventati inutili a se stessi.”<br />

gos e Spirito, anche i temi del sacro e della paternità.<br />

Passaggio intermedio necessario della rilegittimazione<br />

diventa però, nelle condizioni<br />

date, l’ottenimento di un potere su se stessi analogo<br />

a quello di cui godono le donne, ad esempio<br />

per la questione della volontà o non volontà di<br />

essere madri. Se e quando questo potere sarà riconquistato,<br />

sarà allora possibile guardare a temi<br />

come l’aborto o la fecondazione artificiale in ottica<br />

non di genere ma universale, considerandone<br />

tutte le implicazioni dal punto di vista antropologico.<br />

L'approccio antropologico: Maschi Selvatici.<br />

Gli accenni immediatamente sopra ci servono<br />

per introdurre un altro sguardo sulla Questione<br />

Maschile, a cui attingeremo in modo privilegiato,<br />

essendone parte in causa, per trattare in seguito,<br />

più in profondità, le singole questioni attinenti<br />

al maschile, la sua identità profonda e la<br />

sua attuale crisi. Si tratta dell’associazione<br />

Maschi Selvatici , promotrice del convegno citato<br />

all’inizio dell’articolo, nata alla fine degli anni<br />

’90 ispirandosi ai lavori di Claudio Risè 18 , il<br />

primo nel nostro paese a sollevare la QM col suo<br />

libro <strong>Il</strong> maschio selvatico, edito nel 1996 e ormai<br />

giunto oltre la quindicesima edizione. Come<br />

scrivevo sopra, le radici della crisi dell’identità<br />

maschile nell’Occidente moderno non sono da<br />

ricercarsi nell’economia o nel modo di produrre<br />

i beni, nel mutamento della struttura sociale e<br />

familiare o nel femminismo e nel protagonismo<br />

delle donne. Sono tutti, beninteso, fenomeni<br />

reali ed influenti con cui fare i conti ma non c’è<br />

fra essi un elemento scatenante originario, la<br />

causa per eccellenza. Si tratta piuttosto di un<br />

processo secolare e non uniforme al quale concorrono<br />

tanti elementi. Si dice spesso ad esempio<br />

che la crisi d’identità maschile sia tutt’uno con<br />

la crisi d’identità della figura paterna. L’affievolirsi<br />

della seconda nella coscienza di sé paterna e<br />

nella coscienza sociale collettiva incidono gravemente<br />

sullo sviluppo identitario del giovane<br />

uomo, ed è senza dubbio vero. La virilità non è<br />

18 Risè ha trattato della QM in altri suoi lavori e da differenti<br />

angolazioni, v. Bibliografia finale.<br />

7 settembre 2011 Anno XI


| ( 12 ) |<br />

Caerano di San Marco 1938.<br />

solo un fatto biologico ma anche un complesso<br />

di fattori psichici e sociali, in senso lato culturali,<br />

che sulla biologia si innestano e che devono<br />

essere “appresi” in quanto l’essere umano ha un<br />

corredo istintuale ridotto. Quando viene a mancare<br />

chi dovrebbe insegnare la virilità al giovane<br />

maschio, tradizionalmente il padre o un suo sostituto<br />

di sesso maschile, questi si ritrova “disarmato”<br />

e soggetto a influenze altre. È esattamente<br />

questa la situazione di oggi in cui, in famiglia<br />

e nella scuola, i processi educativi sono affidati<br />

praticamente per intero in mani femminili. Tuttavia<br />

c’è da chiedersi, ovviamente, il perché della<br />

“scomparsa” del padre. Allo stesso modo, osservando<br />

che la crisi del maschile diviene evidente<br />

nella modernità (o nella ormai post-modernità)<br />

e che questa si caratterizza come società<br />

interamente secolarizzata e desacralizzata (non<br />

nel senso di distinzione laica fra Regno di Cesare<br />

e Regno di Dio, ma come marginalizzazione del<br />

fenomeno religioso nella sfera intimistico-individuale<br />

che si pretende debba essere socialmente<br />

irrilevante), viene da interrogarsi sulla relazione<br />

fra questi fenomeni. Così come sulla relazione<br />

esistente con il prevalere di filosofie utilitaristiche<br />

e con il materialismo pratico che impronta<br />

lo stile di vita contemporaneo. Potremmo continuare<br />

ancora con altri esempi, ma è già chiaro<br />

che il tutto ci rimanda costantemente ad altro in<br />

un intreccio di cause/effetti difficilmente dipanabile.<br />

Tuttavia, se, come credo, la crisi non<br />

colpisce solo questo o quel gruppo, o solo i maschi<br />

di alcune classi sociali, ma seppure con modalità<br />

apparentemente diverse coinvolge l’intero<br />

gruppo maschile, allora deve esistere un punto<br />

di rottura che ha generato, diciamo, una scissione<br />

del maschio da se stesso e la perdita, o l’impossibilità<br />

a riconoscere, vivere concretamente e<br />

rigenerare continuamente, il proprio sistema<br />

simbolico.<br />

Ora, il maschile è universalmente rappresentato,<br />

dalle antiche filosofie orientali a quelle<br />

della Grecia classica, come verticalità, tensione<br />

verso l’alto, il cielo. Secco, luminoso, apollineo,<br />

superuranico, ma anche Spirito, Logos, Coscienza,<br />

in contrapposizione simbolica col femminile<br />

umido, ctonio, oscuro, natura, inconscio.<br />

C’è in questa descrizione dei caratteri maschili<br />

un evidente rimando al Sacro, al religioso, a Dio<br />

la cui dimora è inevitabilmente in cielo. Scrive<br />

Claudio Bonvecchio 19 a proposito del simbolismo<br />

maschile di Artù:<br />

“[…] in quanto prototipo del sovrano si mostra<br />

19 Op. Cit. pag. 51.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 656


| ( 13 ) |<br />

insensibile ad ogni istanza emotiva e passionale,<br />

in nome della giustizia e dell’ordine che ritiene<br />

di impersonare al più alto grado. Si percepisce<br />

come Imago Christi in terra. E Cristo, a sua<br />

volta, come ribadisce Jung 20 , è una spada affilata.”<br />

Ecco dunque delinearsi un aspetto importante<br />

della crisi. <strong>Il</strong> sistema simbolico maschile non<br />

può prescindere dal trascendente, ma neanche<br />

disinteressarsi degli aspetti più terreni dell’esistenza.<br />

Da quella rottura, a cascata, se ne generano<br />

nel tempo infinite altre, fino a ripercuotersi<br />

sulla stessa corporeità, se è vero che è in netto<br />

aumento la sterilità maschile, che è poi la somatizzazione<br />

della paura di riprodursi. 21<br />

L’accenno alla crisi del corpo non è casuale.<br />

La società tecnica 22 ha separato l’uomo dal<br />

mondo della natura, a tutto vantaggio di processi<br />

di pensiero astratti e intellettuali, di produzioni<br />

artificiali e tecnologiche entro le quali si racchiude<br />

ormai tutta l’esperienza del mondo che<br />

all’uomo è dato compiere. Ma il mondo della<br />

natura, nelle società tradizionali, era anche<br />

quello del Sacro. Erich Neumann 23 definisce<br />

questo processo anche come scissione fra coscienza<br />

e sistema inconscio. Per il maschile, dato<br />

il suo diverso e meno immediato rapporto col<br />

corpo/natura/inconscio rispetto alla donna, questa<br />

scissione ha conseguenze ancora più disastrose.<br />

In primo luogo per la perdita di contatto col<br />

proprio simbolo per eccellenza, il fallo eretto<br />

che da terra si slancia verso il cielo, quasi appunto<br />

a simboleggiarne la necessità dell’unione fra i<br />

due poli. E poiché un simbolo è qualcosa di vivo<br />

che tiene insieme fisico e psichico (definizione di P.<br />

Ferliga), si delinea così un altro aspetto della<br />

crisi generata dall’allontanamento dalla dimensione<br />

trascendente: l’effetto disgregante sulla<br />

psiche maschile della scissione fra corpo e spirito,<br />

fra terra e cielo. <strong>Il</strong> mito di Icaro che per es-<br />

20 C. G. Jung, Risposta a Giobbe.<br />

21 C. Risè, La Questione Maschile.<br />

22 Inevitabile il riferimento ai recenti numeri de <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> dedicati<br />

alla modernità, e in particolare alla discussione su Romano<br />

Guardini.<br />

23 E. Neumann, Storia delle origini della coscienza, Astrolabio,<br />

Roma 1978.<br />

sersi allontanato troppo dalla terra nel suo slancio<br />

verso il cielo, vi riprecipita pesantemente<br />

perché le sue ali si sono bruciate, serve assai bene<br />

ad illustrare la situazione dell’uomo moderno,<br />

ed indica anche la via per la sua rinascita. Lo<br />

slancio maschile verso l’alto che si disancori dalla<br />

natura, finisce per produrre l’effetto opposto,<br />

risottoponendolo in realtà al dominio dell’inconscio<br />

rimosso in un movimento di natura regressiva,<br />

riscontrabile fra l’altro nell’insieme<br />

della società. <strong>Il</strong> mito di Icaro ci indica però, come<br />

dicevo, anche la via d’uscita per riconquistare<br />

la perduta integrità identitaria. È ciò che Junger<br />

24 definisce come il passaggio al bosco, il luogo<br />

della selvaticità, ossia il processo di rigenerazione<br />

psichica indotto dalla riunificazione fra<br />

mente e forze primordiali. Esso, scrive Risè nell’opera<br />

citata,<br />

“crea una nuova coscienza, che non confonde<br />

l’uomo con la terra, ma mostra all’uomo che la<br />

sperimenta (come avveniva nelle società tradizionali,<br />

presecolarizzate, nelle quali il Sacro<br />

naturale non era separato dall’uomo e dalla sua<br />

riflessione), un movimento ascensionale.”<br />

Potremmo allora partire da qui per approfondire<br />

successivamente gli aspetti che disegnano la<br />

crisi del maschile. Da qui e da queste parole del<br />

poeta Ezra Pound :<br />

<strong>Il</strong> cuore fallico dell’uomo proviene dal cielo<br />

fonte chiara di giustezza<br />

l’ingordigia lo svia.<br />

<strong>Il</strong> cuore sia retto<br />

<strong>Il</strong> fallo percepisca il suo scopo.<br />

(canto 99)<br />

j<br />

a Le tematiche di discussione.<br />

Schematizzando, i temi di discussione all’interno<br />

dei movimenti degli uomini, e che questi<br />

propongono all’attenzione della società, pos-<br />

24E. Junger, Trattato del Ribelle, Adelphi, Milano 1990. Per una<br />

discussione più approfondita si veda C. Risè, “<strong>Il</strong> Ribelle e il<br />

bosco”, in L’ombra del potere, op, cit.<br />

7 settembre 2011 Anno XI


| ( 14 ) |<br />

sono essere raggruppati per grandi aree tematiche<br />

che, naturalmente, si intrecciano fra loro e<br />

segnano anche prospettive e obbiettivi strategici<br />

che ciascun movimento assegna a se stesso.<br />

Z<br />

Sul piano filosofico/antropologico è fondamentale<br />

il tema del valore e del senso della differenza<br />

sessuale. L’essere maschio (o femmina),<br />

è un dato di natura che partendo dal corpo disegna<br />

anche la psiche, oppure è un puro costrutto<br />

culturale modellabile a piacere e comunque dipendente<br />

dalle scelte soggettive In altri termini,<br />

è possibile individuare una differenza ontologica<br />

fra maschile e femminile, quindi destinata a<br />

riprodursi nel tempo e nelle diverse culture nonostante<br />

l’evoluzione e i mutamenti delle stesse<br />

Come vedremo concretamente meglio parlando<br />

del problema delle Quote, la concezione antropologica<br />

ormai prevalente in Occidente è che<br />

maschilità e femminilità siano determinati unicamente<br />

dalle strutture culturali e che uomini e<br />

donne, se non condizionati dalle stesse, si distribuirebbero<br />

in modo analogo rispetto a tutte attività<br />

umane. Da questa concezione nasce la convinzione<br />

che laddove esista una minor presenza<br />

femminile ciò non accada per libera scelta soggettiva,<br />

ma sempre a causa di discriminazioni<br />

culturali da correggere per legge. È la così detta<br />

discriminazione positiva, la quale però ha come<br />

effetto necessario una discriminazione negativa,<br />

ed è questo l’aspetto più grave della questione,<br />

istituita per legge, che colpisce gli individui non<br />

rientranti nella categoria protetta.<br />

Altrettanto fondamentale è il tema dell'autorità<br />

e della sua fonte. Riguarda ovviamente tutta<br />

la società, ma poiché i suoi tradizionali portatori<br />

sono stati da sempre gli uomini, crisi del maschile<br />

e crisi del concetto di autorità finiscono per<br />

coincidere, e a loro volta rimandano direttamente<br />

alla crisi del padre e della sua Legge. Anche<br />

su questo tema esistono vedute diverse fra le<br />

concezioni più libertarie e quelle più, diciamo<br />

così, tradizionaliste. Senza poterci addentrare<br />

nella questione generale, possiamo provare a<br />

sintetizzare la discussione nel modo che segue.<br />

<strong>Il</strong> prestigio e l'autorità del padre nascono dal<br />

suo essere rappresentante in terra dell'ordine<br />

simbolico divino Oppure si possono individuare<br />

in fattori di natura puramente terrena 25 . Dalla<br />

risposta a questo interrogativo emergono non<br />

solo analisi diverse circa i motivi della crisi paterna<br />

e maschile, ma anche differenti prospettive<br />

strategiche della QM, ad esempio fra il recupero<br />

della funzione simbolica ( e concreta) del padre,<br />

necessario per la stessa identità maschile, oppure,<br />

dando come irreversibile la situazione attuale,<br />

la necessità di reinventarsi l'identità maschile<br />

ex novo<br />

Se viene posto in modo forte il legame fra Padre<br />

divino e padre terreno, torna allora il problema<br />

del nesso fra desacralizzazione del mondo,<br />

tramonto della Legge del padre e crisi d'identità<br />

maschile, con perdita di funzioni, prestigio<br />

e prerogative, non più fondate su un ordine<br />

superiore a quello terreno e quindi non più “giustificate"<br />

e legittimate. Tuttavia, di fronte all'evidenza<br />

dei fatti che ci dicono quanto la crisi del<br />

paterno sia dannosa per i giovani e per la società<br />

nel suo insieme, e quanto sia carente un'impostazione<br />

del problema su basi esclusivamente razionali<br />

e intellettualistiche, la questione del padre<br />

torna prepotentemente d'attualità ed è oggetto<br />

di analisi che, pur muovendosi su un terreno<br />

diverso, offrono notevoli spunti d'interesse. 26<br />

25 Scrive ad esempio Risè in <strong>Il</strong> padre l'assente inaccettabile (San<br />

Paolo.2003): “La relazione tra paternità ed esperienza religiosa,<br />

da cui la figura paterna trae la propria funzione ed efficacia, fa si<br />

però che l'eclissi del padre terreno, la sua perdita di senso socialmente<br />

riconosciuto, si accompagna a un corrispondente indebolimento<br />

della figura del Padre divino nell'esperienza dell'uomo. Si<br />

realizza così lo sprofondamento dell'uomo in una materia svilita,<br />

disanimata, dissacrata, e contemporaneamente uno sbiadimento<br />

dell'esperienza religiosa.”<br />

26 Mi riferisco, fra gli altri, allo psicanalista lacaniano Massimo<br />

Recalcati, recente autore del libro Cosa resta del padre La paternità<br />

nell'epoca ipermoderna (Raffaello Cortina Editore. 2011), significativamente<br />

intervistato anche da <strong>Il</strong> Manifesto. Per una recensione<br />

più puntuale del lavoro di Recalcati si veda in<br />

www.maschiselvatici.it/index.phpview=article&id=900. In questa<br />

sede mi limito a sottolineare due elementi significativi ai fini di<br />

questa discussione. <strong>Il</strong> primo è diciamo pure scontato per chi sa<br />

qualcosa di psicanalisi, ma vale sempre la pena ripeterlo. La Legge<br />

del padre è, in ultima ed essenziale analisi, l'interdizione dell'incesto<br />

madre/bambino. Mentre è solo su quel limite che può<br />

fondarsi un desiderio autentico, la sua mancanza, come appunto<br />

nella nostra epoca ipermoderna, produce la tendenza ad un godid<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 656


| ( 15 ) |<br />

E dunque, sul piano sociologico, esistono o no<br />

campi, ruoli, funzioni, competenze, lavori, interessi,<br />

passioni, su cui maschi e femmine si polarizzano<br />

spontaneamente e di cui la società farebbe<br />

bene a tener conto, fatta salva naturalmente<br />

la libertà individuale È saggio o sbagliato, perciò,<br />

favorire in certa misura la separatezza fra<br />

maschi e femmine al fine di sviluppare e preservare<br />

le rispettive identità di genere con lo scopo<br />

ultimo di coltivare la fecondità dell’incontro<br />

con l’irriducibile diversità dell’altro/a, anziché<br />

stimolare, come sta avvenendo, una competizione/confronto<br />

distruttivi fra i generi in lotta sugli<br />

stessi terreni per identici traguardi e che, inevitabilmente,<br />

finisce per ri-proporre gerarchie 27<br />

mento immediato, caotico, smarrito, assoluto, privo di ancoraggi simbolici.<br />

Ma ciò che è più interessante è il fatto che Recalcati nota la<br />

“prossimità" fra la Legge paterna come interdizione e dono, e la<br />

Legge biblica (pag. 57 e segg.).<br />

Questa relazione che Recalcati nota, è importante da qualunque<br />

parte la si legga. Sia che la legge biblica fondi la legge paterna, sia<br />

che sia stata la legge del padre a ispirare la Bibbia nel dettare la<br />

sua legge, ne risulta comunque l'imprenscindibile importanza e<br />

del padre e della sua funzione per una società che non voglia regredire<br />

e sprofondare nel caos. Tanto basta per spazzare via ogni<br />

ipotesi che fonda la libertà umana sulla scomparsa del padre, e per<br />

estensione logica della maschilità così come da sempre si è espressa<br />

nei suoi punti più alti.<br />

27 Per Ivan <strong>Il</strong>lich (<strong>Il</strong> genere e il sesso. Mondadori 1982, ormai introvabile),<br />

il sessismo delle società moderne, che lui, all'inizio degli<br />

anni '80 leggeva solo in senso antifemminile ma che per l'evoluzione<br />

sociale è suscettibile di cambiare di segno, non è causato<br />

dalla codificazione culturale della differenza sessuale, ma all'opposto<br />

dal suo misconoscimento. Nelle società preindustriali il genere,<br />

che <strong>Il</strong>lich definisce “vernacolare", delimita gli spazi e i domini<br />

propri di ciascun sesso, che non è mai immagine speculare<br />

dell'altro.<br />

“Quando fin dall’infanzia, uomini e donne cominciano a comprendere<br />

il mondo secondo due modi complementari, essi elaborano<br />

due modelli differenti di concettualizzazione dell’universo. Un<br />

modo di percezione legato al genere corrisponde all’insieme degli<br />

utensili e dei compiti propri di ogni genere. Non solo si vedono le<br />

cose con differenti sfumature, ma si impara sin dall’inizio che ogni<br />

cosa ha sempre un altro aspetto. E ci sono cose che sono sempre<br />

alla portata di un ragazzo, ma — quasi sempre — non di una ragazza”.<br />

Viene così a stabilirsi fra uomini e donne una situazione di complementarietà<br />

asimettrica. Dove per asimmetria si intende il fatto<br />

che il maschile è dominante nel pubblico e il femminile nel privato,<br />

e per complementarietà si intende che entrambi partecipavano<br />

all'economia familiare ed erano indispensabili l'uno all'altro.<br />

Questo stato di “equilibrio", seppure mai identico a se stesso, esisteva<br />

tuttavia in ogni società , e viene rotto soltanto con l'avvento<br />

della società industriale.<br />

“Una società industriale non può esistere se non impone certi<br />

presupposti unisex: il presupposto che entrambi i sessi siano fatti<br />

per lo stesso lavoro, percepiscano la stessa realtà e abbiano, a parte<br />

Tipica a questo proposito è la questione delle<br />

classi separate o unisex nelle scuole, laddove ritengo<br />

che le classi separate favorirebbero, in linea<br />

di massima, metodologie didattiche ritagliate<br />

su misura per la diversa psiche e i differenti<br />

tempi di sviluppo psicofisico di ragazze e ragazzi.<br />

L’argomento scuola rimanda immediatamente<br />

al fenomeno della sua femminilizzazione e<br />

della scomparsa progressiva degli insegnanti<br />

maschi, praticamente già conclusa nella scuola<br />

primaria, con implicazioni multiple. Da quella<br />

già accennata circa la mancanza per i giovani<br />

maschi di modelli con cui identificarsi, a metodologie<br />

didattiche che, oltre la bravura e l’impegno<br />

delle insegnanti, finiranno per modellarsi<br />

necessariamente sulla sensibilità e sul modo<br />

d’apprendimento propri del femminile.<br />

Se la questione della scuola è un tema particolarmente<br />

importante perché decisivo per l'identità<br />

di genere in formazione, nondimeno non<br />

è l'unica in cui si esercita l'egemonia culturale<br />

del politically correct. Sull'onda dell'offensiva<br />

“modernizzatrice", ormai anche i corpi militari<br />

hanno aperto i propri ranghi alle donne, salvo,<br />

naturalmente, per quei reparti destinati al combattimento<br />

di prima linea e, per facilitare l'accesso<br />

del gentil sesso, abbassando i parametri di<br />

efficienza fisica minima necessari per essere arruolati.<br />

A parte questo, questione comunque di<br />

non poco conto, recenti fatti di cronaca in Italia,<br />

ma ancor prima negli USA e in GB, pongono<br />

in evidenza problemi rilevanti causati dalla<br />

promiscuità fra i sessi, dai quali davvero non si<br />

capisce cosa le donne abbiano da guadagnare,<br />

salvo che non vogliano assomigliare sempre di<br />

più ai maschi, o meglio al loro lato più criticato<br />

e criticabile, quello del machismo.<br />

L'offensiva “emancipazionista" non risparmia,<br />

ed è ovvio, neanche le Chiese cristiane. In<br />

quest'ambito, se fra i Protestanti ha ottenuto riqualche<br />

trascurabile variante esteriore, gli stessi bisogni. Ed anche<br />

il presupposto della scarsità, fondamentale in economia, è logicamente<br />

basato su questo postulato unisex. Sarebbe impossibile una<br />

concorrenza per il lavoro fra uomini e donne, se del lavoro non<br />

fosse stata data la nuova definizione di attività che si confà a tutti<br />

gli umani, indipendentemente dal loro sesso. <strong>Il</strong> soggetto su cui si<br />

basa la teoria economica è proprio questo essere umano neutro.”<br />

7 settembre 2011 Anno XI


| ( 16 ) |<br />

Mazara del Vallo 1960.<br />

levanti vittorie come il Sacerdozio femminile, le<br />

resistenze iniziano però a farsi valere, ad iniziare<br />

dagli Anglicani molti dei quali si sono riavvicinati<br />

alla Chiesa di Roma proprio in contrasto coi<br />

provvedimenti di apertura al sacerdozio femminile.<br />

28<br />

Ed ancora, come si intrecciano questione maschile<br />

e femminismo È quest’ultimo la causa<br />

della crisi del maschile, e quindi la QM si configura<br />

come risposta difensiva, o al contrario il<br />

femminismo nasce e si sviluppa proprio a causa<br />

di un maschile già minato al suo interno e incapace<br />

di risposte in grado di tenere insieme la co-<br />

28 Sembra, almeno per ora, che la Chiesa Cattolica costituisca<br />

un baluardo difficilmente attaccabile su questo piano, avendo più<br />

volte ribadito il senso e i motivi teologici che riservano il sacerdozio<br />

ai soli maschi, nonostante si siano affacciate correnti teologiche<br />

propense a rompere la tradizione millenaria. Ci piacerebbe ritornare<br />

in futuro sul problema in modo più approfondito e con voci<br />

ben più autorevoli di chi scrive, in questa sede voglio rilevare<br />

soltanto che alcune gerarchie ecclesiastiche stanno assumendo<br />

consapevolezza che il tema dell'identità di genere, e quindi dei rispettivi<br />

ruoli e funzioni all'interno della stessa comunità dei fedeli,<br />

è di grande importanza per l'avvenire della Chiesa stessa.<br />

Nelle diocesi statunitensi, laddove cioè l'ideologia modernista è<br />

penetrata per prima e più profondamente, i Vescovi di Phoenix<br />

(Arizona) e Lincoln (Nebraska), hanno deciso che la funzione di<br />

chierichetto, in quanto nella tradizione precedente i Seminari era<br />

considerata un momento di apprendistato al sacerdozio, deve di<br />

nuovo essere riservata ai soli maschi.<br />

La cosa più “stupefacente" è che l'effetto di quelle misure è stato<br />

un rifiorire delle vocazioni, maschili ma anche femminili, come se<br />

la chiarezza su ruoli e funzioni costituisse un potente fattore d'attrazione.<br />

(Fonte: http://blog.messainlatino.it)<br />

munità oltre le differenze sessuali e di genere<br />

con la conseguenza del loro divergere in un’ottica<br />

di contrapposizione anziché convergere in ottica<br />

di complementarietà/collaborazione<br />

Z<br />

Risulta evidente che risposte diverse a questi<br />

quesiti implicano diverse prospettive a lungo<br />

termine, anche se non pregiudicano la convergenza<br />

concreta su molti problemi attuali, in primo<br />

luogo quelli di natura legislativa e giuridica,<br />

influenzati, per giudizio comune di pressoché<br />

tutti i gruppi, da un pre-giudizio antimaschile e<br />

antipaterno.<br />

Alla fine è proprio questo il terreno, nonché<br />

quello della rappresentazione mediatica della<br />

dialettica fra i generi 29 , su cui si misura l’orien-<br />

29 Si veda in proposito il n.°357 del 17.12.2006 de <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>. In<br />

questa occasione aggiungo un altro tema su cui i media tacciono o<br />

glissano. I morti sul lavoro, che per il 96% sono maschi, e che<br />

quindi si configura interamente come una questione di genere. L’identità<br />

sessuale dei morti sul lavoro sparisce, dissimulata nei termini<br />

neutri di operai o lavoratori. Allo stesso modo, i media tacciono<br />

sul fatto che i suicidi nelle carceri sono quasi esclusivamente<br />

di uomini, e più in generale che il sovrappopolamento delle nostre<br />

carceri maschili ha raggiunto livelli insostenibili, mentre quello<br />

nelle carceri femminili è solo poco oltre il limite che la legge consente.<br />

Anche questo, dunque, è un problema di genere misconosciuto.<br />

Per quanto riguarda il modo con il quale i media, ma non<br />

solo, trattano la questione della violenza, rimandiamo a questi due<br />

importanti lavori scientifici di Eugenio Pelizzari:<br />

www.maschiselvatici.it/index.phpview=article&id=372<br />

http://www.psychomedia.it/pm/grpind/separ/pelizzari.pdf<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 656


| ( 17 ) |<br />

tamento di una società. Quello che segue è un<br />

puro e semplice elenco di temi, molto diversi per<br />

importanza e incidenza, sui quali i movimenti<br />

maschili vogliono attirare l’attenzione dell’opinione<br />

pubblica perché registrano storture o insufficiente<br />

attenzione da parte del legislatore e<br />

del magistrato.<br />

1. Le leggi sull’aborto che escludono<br />

completamente l’opinione del padre, anche solo<br />

consultiva, sulla possibilità che un figlio che<br />

è anche suo possa o meno nascere. Su questo<br />

argomento sono da registrare impostazioni divergenti<br />

anche fra quei movimenti che abbiamo<br />

definito “radicali”. Schierati dalla stessa parte<br />

nel constatare come le leggi abortive siano antimaschili<br />

e antipaterne, non c’è però identità<br />

di pensiero sulla strada da seguire per correggere<br />

quell’impostazione. Si fronteggiano impostazioni<br />

pro-choise, per le quali il riequilibrio<br />

può essere ottenuto solo attribuendo anche ai<br />

padri una sorta di “diritto all’aborto” nel senso<br />

della libertà di rifiutare una paternità non voluta,<br />

e impostazioni pro-life, per le quali non<br />

solo è da mettere in primo piano il diritto alla<br />

vita del bambino, ma da quella strada passa anche<br />

il recupero di una maschilità e paternità<br />

autentiche, troppo spesso tradite dagli stessi<br />

uomini.<br />

2. Su un argomento affine, ma per ora fortunatamente<br />

non in Italia, le leggi che consentono<br />

a donne single di avere figli con l’inseminazione<br />

eterologa negando di fatto ogni<br />

importanza alla paternità, oltre che negare al<br />

figlio un padre concreto. Anche qui vale quanto<br />

detto sopra sulla diversità di vedute fra chi,<br />

in sostanza, considera la questione paterna come<br />

fondante anche la questione maschile e chi<br />

vede la prima solo come parte della seconda.<br />

3. L’atteggiamento della magistratura<br />

nelle cause di separazione e divorzio. Sia per<br />

l’affidamento dei figli, ancora largamente a favore<br />

della madre nonostante la legge sull’affido<br />

condiviso, sia per il destino di povertà a cui sono<br />

destinati molti padri e mariti separati. Condannati<br />

a pagare alimenti misurati sul tenore di<br />

vita precedente, quasi sempre espropriati della<br />

casa familiare per la quale sono comunque tenuti<br />

a continuare a pagare le rate di mutuo (o<br />

che, addirittura, era di loro intera proprietà),<br />

sono i “nuovi poveri”, frequentatori spesso della<br />

mense della Caritas o degli “alberghi popolari”.<br />

<strong>Il</strong> tema delle separazioni implica, più in<br />

generale, l’atteggiamento rispetto al matrimonio<br />

e alla famiglia, fra chi le considera istituzioni<br />

ormai diventate una trappola per gli uomini<br />

da cui tenersi alla larga, e chi invece intende<br />

recuperare in esse il senso profondo dell’essere<br />

maschi e padri, sia pure tenendo conto<br />

delle trasformazioni sociali avvenute.<br />

4. <strong>Il</strong> comportamento della magistratura di<br />

fronte alle denunce per violenza o molestie. È<br />

noto da statistiche ufficiali, che circa l’80%<br />

delle denunce di molestie, soprattutto in fase di<br />

separazione matrimoniale, risulta completamente<br />

falso, usato strumentalmente per ottenere<br />

vantaggi ingiusti sul piano economico e<br />

per l’esclusione del coniuge dall’affido dei figli.<br />

Nonostante questo, basta la denuncia affinché<br />

il padre sia inibito dal vedere i figli almeno fino<br />

a che la causa non avrà fatto il suo corso, e<br />

dunque perda il rapporto con loro. Ma nessuna<br />

conseguenza penale è mai stata posta a carico<br />

delle calunniatrici. Più in generale, la legge<br />

sullo stalking, in sé condivisibile, esime in pratica<br />

l’accusatrice dal portare le prove delle molestie,<br />

mentre rimane a carico dell’accusato provare<br />

la sua innocenza. Prova quasi sempre impossibile<br />

perché affinché ci sia molestia basta la<br />

percezione soggettiva della molestata. Così<br />

che, casi realmente accaduti, anche uno sguardo<br />

insistito o il regalo di un mazzo di fiori, possono<br />

essere sanzionati penalmente. Si tratta, in<br />

pratica, del ribaltamento di uno dei cardini<br />

dello stato di diritto.<br />

5. <strong>Il</strong> fatto, statisticamente accertato e comune<br />

a tutto l’Occidente, che per identici reati<br />

le pene inflitte agli uomini sono in media superiori<br />

a quelle inflitte alle donne, sfruttando i<br />

margini di discrezionalità del giudice. In materia<br />

è insuperabile il premier spagnolo Zapa-<br />

7 settembre 2011 Anno XI


| ( 18 ) |<br />

Beslan 2004 .<br />

tero che, affinché non sussistessero dubbi, ha<br />

fatto approvare una legge che maggiora le pene<br />

quando un reato è compiuto da un maschio nei<br />

confronti di una femmina.<br />

6. La questione delle Quote Rosa, prima<br />

in politica ed ora anche nei cda delle aziende<br />

(ma naturalmente non per i lavori usuranti),<br />

che inopinatamente, in nome delle pari opportunità<br />

rovescia proprio il principio delle pari<br />

opportunità. L’insospettabile John Stuart Mill,<br />

diceva che “A ogni individuo va data la stessa<br />

posizione di partenza senza però dover assicurare<br />

la medesima meta d’arrivo”. Esattamente<br />

l’opposto di ciò che accade con le quote, che<br />

per applicare il principio della discriminazione<br />

positiva, finiscono per discriminare in negativo<br />

i singoli individui, ovviamente di sesso maschile,<br />

alcuni dei quali si vedranno superati per meriti<br />

di sesso riconosciuti per legge. Non ci si<br />

sbaglia di molto a paragonare quel tipo di merito<br />

con quello messo in pratica da Berlusconi<br />

con le sue favorite che tanto ha scandalizzato i<br />

benpensanti. Senza parlare del fatto che la richiesta<br />

sempre più pressante di partecipazione<br />

paritaria, non solo è limitata ai settori ben specifici<br />

dove si esercita (o si crede sia esercitato) il<br />

potere mentre è inesistente per tutti quei lavori<br />

che richiedono fatica e rischio, ma va ad incidere<br />

sia sul principio della libertà di determinazione<br />

delle aziende e dei partiti politici, sia sul<br />

concetto stesso di rappresentanza, che non è<br />

scritto da nessuna parte debba essere rappresentanza<br />

per sesso. Ma non basta ancora. Introducendo<br />

un principio che potremmo definire<br />

“corporativo”, allora, e proprio in base alle<br />

stesse concezioni che muovono quella richiesta,<br />

non si capisce perché non istituire adeguate<br />

quote in funzione di religione, razza, etnia, inclinazione<br />

sessuali etc. Ed infine contraddice<br />

clamorosamente un fatto che a qualsiasi persona<br />

di buon senso appare scontato. La mission di<br />

un’impresa è quella di produrre profitto, mentre<br />

quella di un partito è di attirare consenso,<br />

ed è logico pensare che agiscano in tal senso.<br />

Le Quote ci dicono invece che non è così e che<br />

subordinerebbero il loro scopo istituzionale alla<br />

discriminazione verso le donne. È credibile<br />

E se non lo è, allora la selezione per sesso obbligatoria<br />

avrà l’effetto di diminuire il livello di<br />

efficienza e di competenza.<br />

7. Infine, e mi fermo qui per brevità, le<br />

questioni delle leggi sull’imprenditoria femminile<br />

che offrono finanziamenti per le nuove<br />

imprese a patto che siano rette da una donna,<br />

oppure l’annosa e perfino offensiva questione<br />

dell’età pensionabile. In base a cosa si pretende<br />

che una donna, la cui vita media è di circa cinque<br />

anni più lunga di quella di un uomo, vada<br />

in pensione cinque anni prima Eppure solo<br />

ora il nostro paese, e solo perché costretto, ha<br />

deciso l’equiparazione fra mille polemiche, la<br />

più pretestuosa delle quali era la pretesa che le<br />

risorse così risparmiate tornassero indietro alle<br />

donne in altro modo. Come se già non fossero<br />

le quasi esclusive beneficiarie delle famigerate<br />

pensioni baby che hanno non poco contribuito<br />

a scassare i conti dello stato.<br />

ARMANDO ERMINI<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 656


| ( 19 ) |<br />

a Risorse.<br />

. SITOGRAFIA.<br />

Fuori d'Italia<br />

• Patriarchy http://groups.yahoo.com/group/patriarchy<br />

• The Men's Tribune www.menstribune.com<br />

• The Men's Center www.themenscenter.com<br />

• The Abuse Excuse www.abuse-excuse.com<br />

• The Australian Men's Health Network www.ozemail.-<br />

com.au/~irgeo<br />

• The Australian Men's Party www.ozemail.com.au/~irgeo/amp.htm<br />

• Battered Men www.vix.com/menmag/battered.htm<br />

• Choice for Men www.nas.com/c4m/<br />

• M.A.L.E. www.malesurvivor.org<br />

• Manorama www.menmedia.org/online/1/263.htm<br />

• Men's Defense Association www.mensdefense.org<br />

• The Men's Issues Page www.vix.com/pub/men/index.html<br />

• The men's media Network www.he.net/~menmedia<br />

• Men's Rights, Inc. www.mens-rights.org<br />

• A Million Man March<br />

www.afrinet.net/~islam/March/march.html<br />

• National Coaltion of Free Men www.ncfm.org<br />

• National Organization for Men, Inc. www.tnom.com<br />

• Promise Keepers www.promisekeepers.org<br />

• Choice for men www.nas.com/c4m<br />

Siti Italiani<br />

Progressisti<br />

• Maschile Pluràle www.maschileplurale.it il cui animatore,<br />

il sociologo Stefano Ciccone è autore, fra le altre sue opere, di<br />

un libro di recentissima uscita Essere maschi-tra potere e libertà.<br />

• <strong>Il</strong> Cerchio degli Uomini www.cerchiodegliuomini.org.<br />

• Uomini in Cammino www.uominincammino.it<br />

Antifemministi<br />

• Anti-Feminist (Feminism cannot survive an open<br />

debate) http://antifeminist.altervista.org/index.htm<br />

• Zerbini (<strong>Il</strong> sito sui maschietti femministi) http://zerbini.altervista.org<br />

• No-Matrimonio (in una società femminista, sposarsi<br />

equivale giocare alla roulette russa) http://nomatrimonio.altervista.org<br />

• FeMatrix (Magazine italiano AntiFemminista)<br />

http://fematrix.altervista.org<br />

• <strong>Il</strong> Femminismo (Separazioni e divorzi in Italia<br />

scanditi da Leggi di Genere) www.ilfemminismo.it<br />

• <strong>Il</strong> Blog di Icarus.10 http://ilvolodidedalo.blogspot.com<br />

Liberali<br />

• Pari diritti per gli uomini (il sito sulla condizione<br />

maschile) http://digilander.libero.it/uomini.<br />

• Pari Opportunità e Uomini - (glossario sui diritti<br />

umani e civili da recuperare)<br />

http://pariopportunita.wiki.zoho.com<br />

• Ragioni maschili http://ragionimaschili.blogspot.com.<br />

• maschile individuale http://maschileindividuale.wordpress.com/<br />

Nella stessa area i siti delle associazioni dei padri separati:<br />

• Bentornato padre www.paternita.info<br />

• Adiantum www.adiantum.it<br />

• Fe.N.Bi. (Federazione Nazionale per la<br />

Bigenitorialità) www.fenbi.it<br />

• Gesef (Genitori separati dai figli) www.gesef.org<br />

• Papà separati www.papaseparati.it<br />

Radicali<br />

• Maschi selvatici (blog) www.maschiselvatici.blogsome.com<br />

• Uomini Beta www.uominibeta.org<br />

• Uomini 3000 www.uomini3000.it<br />

• Altrosenso www.altrosenso.info<br />

• Maschi selvatici (sito) www.maschiselvatici.it<br />

• Metro maschile http://metromaschile.it Un sito che non è<br />

espressione di un vero e proprio movimento organizzato, ma<br />

che, oltre alle idee del suo fondatore, Carlo Ziino, raccoglie e<br />

pubblica gli articoli più significativi che appaiono sugli altri<br />

blog e siti dei movimenti degli uomini.<br />

Siti personali<br />

I siti di due studiosi della questione paterna e maschile:<br />

• Antonello Vanni www.antonello-vanni.it<br />

• Paolo Ferliga www.paoloferliga.it.<br />

I siti di Claudio Risè, che trattano di QM e non solo:<br />

• Diario di bordo http://claudiorise.blogsome.com<br />

• Psiche lui http://blog.leiweb.it/psiche-lui.<br />

. BIBLIOGRAFIA.<br />

Materiali<br />

AA.VV. (A CURA DI PAOLO FERLIGA)<br />

Fine millennio. L’occidente di fronte al sacro, Grafo,<br />

Brescia 1998.<br />

BONVECCHIO, CLAUDIO<br />

<strong>Il</strong> pensiero forte: la sfida simbolica alla modernità,<br />

Edizioni settimo sigillo 2000.<br />

Apologia dei doveri dell’uomo, Asefi, 2002.<br />

DUMEZIL, GIORGES<br />

Le sorti del guerriero. Aspetti della funzione guerriera<br />

presso gli indoeuropei. Adelphi, Milano 1990.<br />

JUNGER, ERNST<br />

<strong>Il</strong> trattato del ribelle. Adelphi, Milano 1998.<br />

MITSCHERLICH, ALEXANDER<br />

Verso una società senza padre, Feltrinelli, Milano<br />

1977.<br />

POUND, EZRA<br />

I Cantos, Mondadori, Milano 1997.<br />

7 settembre 2011 Anno XI


| ( 20 ) |<br />

WHITMAN, WALT<br />

Foglie d'erba, Rizzoli, Milano 1988.<br />

Movimenti<br />

AA.VV.<br />

La questione maschile, Soc. Ed. Barbarossa, 1998.<br />

BLY, ROBERT<br />

Per diventare uomini: come un bambino spaventato<br />

si può trasformare in un uomo completo e maturo, Mondadori,<br />

Milano 1992.<br />

<strong>Il</strong> piccolo libro dell'ombra. Guida alla scoperta del nostro<br />

lato oscuro, Red, Como 1992.<br />

Iron John a Book About Men, letto dall'autore stesso<br />

è scaricabile a www.scribd.com/doc/9271303.<br />

BERRY, WENDELL<br />

Con i piedi per terra, Red edizioni, Como 1996.<br />

BERTINELLI, ANTONIO<br />

Sulle orme del padre. Attraverso il ’68 e gli anni del<br />

pensiero egemonico, FeNBi 2007 (volume non in commercio,<br />

richiedibile all’autore).<br />

CAVINA, MARCO<br />

<strong>Il</strong> padre spodestato. L’autorità paterna dall’antichità<br />

ad oggi, Laterza 2007.<br />

DELLA VECCHIA, RINO<br />

Questa metà della terra. Parole degli uomini del XXI<br />

secolo. AltroSenso saggi 2004 (ora scaricabile da Internet<br />

collegandosi a www.U3000.it).<br />

DURDANT-HOLLAMBY, BARRY<br />

Questa volta parliamo di uomini, Terra nuova edizioni<br />

2009.<br />

ESTRELLA, LUCAS<br />

L’oracolo del guerriero, Tea 2001.<br />

FARREL, WARREN<br />

<strong>Il</strong> mito del potere maschile, Frassinelli 2004.<br />

FERLIGA, PAOLO<br />

<strong>Il</strong> segno del padre, nel destino dei figli e della comunità,<br />

Moretti e Vitali 2005.<br />

L'eterno fanciullo, Red Edizioni, Como 1989.<br />

GALEOTTI, GIULIA<br />

In cerca del padre. Storia dell’identità paterna in età<br />

contemporanea, Laterza 2009.<br />

GRUN, ANSELM<br />

Lottare ed amare. Come gli uomini possono ritrovare<br />

se stessi, Edizioni San Paolo 2004.<br />

ILLICH, IVAN<br />

<strong>Il</strong> genere e il sesso, Mondadori 1982.<br />

LA CECLA, FRANCO<br />

Modi bruschi. Antropologia del maschio, Bruno<br />

Mondadori 2000.<br />

LENZEN, DIETER<br />

Alla ricerca del padre. Dal patriarcato agli alimenti,<br />

Laterza 1994.<br />

MONICK, EUGÈNE<br />

Phallos: il maschile nel mito, nella storia, nella coscienza<br />

d'oggi, Red edizioni, Como 1989.<br />

<strong>Il</strong> maschio ferito: l'esperienza della castrazione nello<br />

sviluppo dell'uomo, Red edizioni, Como 1993.<br />

RECALCATI, MASSIMO<br />

Cosa resta del padre La paternità nell’epoca contemporanea,<br />

Raffaello Cortina <strong>2011.</strong><br />

RHOADS, STEVEN<br />

Uguali mai. Quello che tutti sanno sulle differenze<br />

tra i sessi ma non osano dire. Lindau 2006.<br />

RISÈ, CLAUDIO.<br />

Parsifal. L’iniziazione maschile all’amore, Red edizioni,<br />

Como 1988.<br />

<strong>Il</strong> maschio selvatico. Ritrovare la forza dell’istinto<br />

rimosso dalle buone maniere, Red Edizioni, Como 1993.<br />

Maschio amante felice. Ovvero la bellezza di essere<br />

Uomini, Frassinelli 1995.<br />

Diventa te stesso. Le immagini dell’individuazione,<br />

Demetra 1997.<br />

Essere Uomini. La virilità in un mondo femminilizzato,<br />

Red edizioni, Como 2000.<br />

<strong>Il</strong> selvatico, il padre, il dono, Libuk 2006.<br />

L’ombra del potere, il lato oscuro della società (con<br />

Claudio Bonvecchio), Red edizioni, Como 1998.<br />

<strong>Il</strong> padre l’assente inaccettabile, San Paolo 2003.<br />

<strong>Il</strong> mestiere di padre, San Paolo 2004.<br />

SCHELLENBAUM, PETER<br />

<strong>Il</strong> no in amore. Dipendenza e autonomia nella vita<br />

di coppia, Red edizioni, Como 1996.<br />

La ferita dei non amati. <strong>Il</strong> marchio della mancanza<br />

d'amore, Red edizioni, Como 1991.<br />

Tra uomini. La dinamica omosessuale nella psiche<br />

maschile, Red edizioni, Como 1993.<br />

SNYDER, GARY<br />

Nel mondo selvaggio, Red edizioni, Como 1992.<br />

VANNI, ANTONELLO<br />

<strong>Il</strong> padre e la vita nascente. Una proposta alla coscienza<br />

cristiana in favore della vita e della famiglia. Francesco<br />

Nastro editore 2004.<br />

ZAMMOUR, ERICH<br />

L’uomo maschio, Piemme 2007.<br />

ZOJA, LUIGI<br />

<strong>Il</strong> Gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa<br />

del padre, Bollati Boringhieri, Torino, 2000.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 656


A<br />

B<br />

N°657<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

14 SETTEMBRE 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

a Questo numero.<br />

Numero corposo e vario; in prima pagina l'informatissimo<br />

articolo di apertura segna il felice ritorno<br />

del nostro vecchio collaboratore Claudio<br />

Dettorre (alias Omar Wisyam) e conferma la nostra<br />

storica attenzione a quei casi di “sinistra pensante”,<br />

si conceda l'ossimoro, rappresentati, insieme<br />

a pochissimi altri, in Italia da P. P. Pasolini<br />

e Giorgio Cesarano ed in Francia da Guy Debord<br />

e Jacques Camatte; a pagina 5 Pietro De Marco,<br />

glossando due recenti omelie, fa venire alla mente<br />

il titolo del recente libro di Nicola Bux Come andare<br />

a Messa e non perdere la fede; a pag. 7 Massimo<br />

Introvigne ci parla di Augusto Del Noce e la<br />

modernità; conclude, a pag. 11, la dotta presentazione<br />

di Andrea Morabito, è anche un invito alla<br />

visita, della meravigliosa Fontana dell'Organo al<br />

Quirinale. In prima ed in ultima, poi, due appuntamenti:<br />

consideriamo il loro intersecarsi un sintomo<br />

positivo. N<br />

FIRENZE<br />

Sabato 24 –Dom. 25 Settembre.<br />

Villa Morghen - Via Feliceto 8, Settignano.<br />

www.villamorghen.com<br />

PRIMO INCONTRO DEGLI<br />

AMICI DEL COVILE<br />

Per partecipare scrivere a<br />

il.covile@gmail.com.<br />

a Con le peggiori intenzioni...<br />

DI OMAR WISYAM<br />

“J’ai mérité la haine universelle de la société de<br />

mon temps.” 1 Guy Debord<br />

In un breve testo del 7 dicembre 2009 dal titolo:<br />

Guy Debord in 2009, Spinning or Laughing<br />

Bill Not Bored (sito web: Not Bored!) si interroga<br />

su alcuni aspetti del comportamento e su<br />

alcune scelte di Guy Debord e della sua vedova,<br />

Alice Becker-Ho. La domanda del titolo è puramente<br />

retorica e oziosa quanto più non si riesce<br />

ad immaginare (Debord non si rivolta nella<br />

tomba, né in essa può farsi grasse risate, dato<br />

che le sue ceneri sono state disperse nella Senna<br />

e ora si troveranno nell'Atlantico o chissà<br />

dove). Tuttavia gli interrogativi di Bill Not<br />

Bored non sono del tutto vacui.<br />

Si tratta della coerenza tra le scelte in vita di<br />

Guy Debord e quelle prese post-mortem da<br />

Alice Debord.<br />

Nel titolo citato sopra si affianca al nome<br />

del teorico francese l'anno 2009, perché nel<br />

gennaio di quell'anno lo Stato francese decise<br />

di classificare l'opera di Debord come “tesoro<br />

nazionale” (trésor national). Con la misura<br />

adottata il 29 gennaio dal ministro della Cultura,<br />

Christine Albanel, pubblicata nel Journal<br />

Officiel della Repubblica francese, il 12 febbraio<br />

2009, si stabilisce che gli archivi di Debord rivestono<br />

“une grande importance pour l’histoire<br />

des idées de la seconde moitié du Xxe siècle et<br />

la connaissance du travail toujours controversé<br />

de l’un des derniers grands intellectuels français<br />

de cette période” 2 .<br />

1 Ho meritato l’odio universale della società del mio tempo.<br />

2 Una grande importanza per la storia delle idee della seconda metà<br />

del XX secolo e per la conoscenza del lavoro sempre al centro di<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

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<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

Bruno Racine, presidente della Bibliothèque<br />

Nationale de France (BNF), sottolinea che<br />

“ce classement comme trésor national s’interprète<br />

comme une reconnaissance par l’Etat de<br />

ce que représente Debord dans la vie intellectuelle<br />

et artistique du siècle écoulé” 3 .<br />

Queste parole preludono alla decisione di<br />

non permettere il trasferimento all'estero dell'archivio<br />

personale di Debord, che viene prese<br />

a metà febbraio. La Commissione consultiva<br />

“des trésors nationaux” esprimeva un parere<br />

negativo all'esportazione:<br />

“ces documents, qui illustrent le processus créatif<br />

complet de la pensée de l’auteur, permettent<br />

d’appréhender sa façon assidue de travailler, sa<br />

grande érudition et son style, héritier des plus<br />

grands classiques, mis au service de son analyse<br />

critique de la société moderne.” 4<br />

Da due anni la Beinecke Library della Yale<br />

University aveva mostrato interesse all'acquisizione<br />

dell'intero archivio e la vedova aveva incaricato<br />

Benoît Forgeot, libraio, e Pierre Bravo<br />

Gala di condurre la transazione.<br />

Si deve dire che le carte da conservare erano<br />

state già ordinate dallo scrittore stesso, in vita.<br />

Infatti nell'ottobre del 1994 (un mese prima<br />

del suicidio) egli aveva scritto a Ricardo Paseyro:<br />

“Nous avons fait le tri, brûlé une masse de papiers<br />

inutiles et gardé ici à la disposition de mes<br />

lecteurs tout ce qui importe.” 5 Una preoccupazione<br />

non inutile.<br />

Dunque il centro di ricerca sulle avanguardie<br />

dell'Università di Yale aveva proposto alla<br />

vedova dell'autore una cifra compresa tra i due<br />

discussioni di uno degli ultimi grandi intellettuali francesi del periodo.<br />

3 Questa classificazione come tesoro nazionale va interpretata come<br />

riconoscimento da parte dello Stato di ciò che Debord rappresenta<br />

nella vita intellettuale e artistica del secolo scorso)<br />

4 Questi documenti, che testimoniano il processo creativo completo<br />

del pensiero dell’autore, permettono di conoscere il suo modo assiduo<br />

di lavorare, la sua grande erudizione e il suo stile, erede dei più<br />

grandi classici, messo al servizio della sua analisi critica della società<br />

moderna<br />

5 Abbiamo fatto un riordino, bruciato una massa di carte inutili e<br />

conservato qui a disposizione dei miei lettori tutto ciò che ha importanza.<br />

e i tre milioni di euro per acquisire il fondo<br />

(Bill Not Bored indica la cifra di 2.34 milioni<br />

di dollari).<br />

Dal momento in cui l'opera del situazionista<br />

era stata riconosciuta come tesoro nazionale, lo<br />

Stato francese disponeva di trenta mesi per fare<br />

un'offerta equivalente a quella americana.<br />

“C’est la première fois qu’un écrivain aussi<br />

proche de nous” 6 viene considerato “comme<br />

trésor national”, commenta, orgoglioso, Bruno<br />

Racine.<br />

<strong>Il</strong> problema era quello di raccogliere i soldi<br />

necessari all'acquisizione.<br />

<strong>Il</strong> 17 giugno del 2009 si leggeva su Le Monde<br />

che la sera del 15 erano stati invitati da Racine<br />

ad una cena nella Hall des Globes della Bibliothèque<br />

nationale de France più di duecento<br />

potenziali mecenati, ma che in quell'occasione<br />

erano stati raccolti “solo” 180.000 euro, meno<br />

di un decimo del totale (Su L'Express del 6<br />

agosto 2009 la cifra sale a 240.000 euro). Era<br />

presente il ministro della Cultura, Christine<br />

Albanel, ma forse più imbarazzante ancora teneva<br />

banco, tra i convitati Philippe Sollers,<br />

premiato con il primo Prix della BNF (dotazione:<br />

10.000 euro), che tra le altre cose ha<br />

detto: “J’avais une grande admiration pour Debord,<br />

même s’il m’a critiqué” 7 . Tra gli altri invitati<br />

c'erano Robert Peugeot (direttore dell’innovazione<br />

nella Peugeot), Pierre Leroy<br />

(numero due del gruppo Lagardère e grande<br />

collezionista di manoscritti letterari) e Jean-<br />

Claude Meyer, presidente del Cercle della<br />

BNF e associato della Banca d’affari Rothschild<br />

et Cie. In totale diciotto tavoli con dodici<br />

convitati a 500 euro per coperto. <strong>Il</strong> menù<br />

della cena:<br />

“tartare de bar de ligne et salade d’herbes et légumes<br />

croquants, filet de veau rôti au four, girolles<br />

poêlées et asperges aux senteurs de thym<br />

citron, volupté glacé fraises des bois, orgeat,<br />

compote de rhubarbe, arrosé entre autres de<br />

6 È la prima volta che uno scrittore così prossimo a noi.<br />

7 Avevo una grande ammirazione per Debord, anche se mi ha criticato.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 657


| ( 3 ) |<br />

château Dassault 2001.”<br />

Passa qualche mese e poi nel Journal Officiel<br />

del 4 febbraio 2010 si poteva leggere: “Le<br />

ministre de la Culture et de la Communication<br />

informe les entreprises imposées à l’impôt sur<br />

les sociétés d’après leur bénéfice réel qu’elles<br />

peuvent bénéficier de la réduction d’impôt sur<br />

les sociétés prévue à l’article 238 bis 0 A du<br />

code général des impôts égale à 90% des versements<br />

qu’elles pourraient effectuer en participant<br />

à l’acquisition par l’État, pour la Bibliothèque<br />

Nationale de France, des archives personnelles<br />

de Guy Debord (1931-1994) constituées<br />

d’un ensemble de manuscrits et de documents<br />

divers, vers 1950-1994.” 8 . Cioè il Ministero<br />

della Cultura lanciava un'offerta per recuperare<br />

un milione di euro attraverso dei mecenati<br />

(“Le présent avis d’appel au mécénat<br />

d’entreprise porte sur 1'080'000 euros” 9 ), ma<br />

questo significava pure che Bruno Racine aveva<br />

già riunito più della metà del totale.<br />

Dunque l'archivio rimane in Francia, con<br />

qualche disappunto di Benoît Forgeot, libraio<br />

di Parigi, che aveva condotto le trattative con<br />

l'Università di Yale, il quale in un'intervista a<br />

Libération del 16.2.2009, raccolta da Frédérique<br />

Roussel, dichiara che “cette université a<br />

créé un centre de recherche sur les avantgardes<br />

qui devait les accueillir. Alice Debord,<br />

sensible à cette démarche, jugeait que ce centre<br />

représentait une destination naturelle. Sa volonté<br />

est que tout soit conservé en un seul lieu à<br />

la disposition des chercheurs, que ces archives<br />

soient montrées, confrontées ” 10 .<br />

8 <strong>Il</strong> ministro della Cultura e della Comunicazione informa le imprese<br />

tenute al versamento dell’imposta sui profitti delle società, che<br />

esse possono beneficiare della riduzione d’imposta, prevista<br />

dall’art.238bis0A del codice generale delle imposte, pari al 90% dei<br />

versamenti che potranno effettuare partecipando all’acquisizione da<br />

parte dello Stato, per la Biblioteca Nazionale di Francia, degli archivi<br />

personali di Guy Debord (1931/1994) costituiti da un insieme di<br />

manoscritti e documenti diversi, dal 1950 al 1994.<br />

9 <strong>Il</strong> presente appello alla sponsorizzazione d’impresa ha una consistenza<br />

di 1.080.000 euro.<br />

10 Questa università ha creato un centro di ricerca sulle avanguardie<br />

che doveva accoglierlo. Alice Debord, sensibile alle motivazioni<br />

del progetto, riteneva che questo centro ne rappresentasse la destinazione<br />

naturale. La sua volontà è che tutto sia conservato in un<br />

unico luogo a disposizione degli studiosi, che questi archivi siano<br />

La decisione dello Stato francese, “ce classement<br />

comme trésor national peut être vu<br />

comme une décision autoritaire, mais c’est surtout<br />

une reconnaissance” 11 .<br />

La giornalista chiede a Forgeot quali materiali<br />

compongano l'archivio, ed egli così risponde:<br />

“Essi comprendono l’essenziale di quello che<br />

Guy Debord ha prodotto dagli anni ’50 fino al<br />

1994, tutto quello che ha potuto e voluto conservare.<br />

La maggior parte è stata classificata da lui stesso<br />

prima del suo suicidio. Questi archivi comprendono<br />

i suoi manoscritti, di cui il più prezioso è<br />

evidentemente quello de La società dello Spettacolo,<br />

ma anche degli inediti, un progetto di Dizionario...<br />

Vi si trovano inoltre varie centinaia<br />

di schede con le sue note di lettura, che formano<br />

una specie di manoscritto inedito e che danno<br />

indicazioni sull’origine dei «détournements». E’<br />

appassionante vedere non solo quello che Debord<br />

leggeva, ma soprattutto come lo leggeva.<br />

<strong>Il</strong> fondo comprende anche la sua biblioteca di<br />

lavoro, con centinaia di volumi classificati per<br />

argomenti («marxismo», «strategia e tattica militare»,<br />

«avanguardie»..) Anche i suoi film ne<br />

formano una delle parti più importanti: vi si<br />

trova tutto o quasi, dal manoscritto preparatorio<br />

ai diversi stadi della sceneggiatura, fino alle foto<br />

di scena. Ci sono anche alcuni oggetti, come la<br />

sua macchina da scrivere, i suoi occhiali o un tavolino<br />

di legno sul quale egli ha posto la nota<br />

manoscritta: «Guy Debord ha scritto su questa<br />

tavola La Società dello Spettacolo dal 1966 al<br />

1967 a Parigi al n.169 della rue Saint-Jacques»<br />

La sua corrispondenza, infine, che comprende<br />

molte minute e copie, e che è stata ampiamente<br />

utilizzata da Alice Debord per la sua pubblicazione<br />

dell’epistolario generale — un monumento<br />

— di cui deve uscire l’ultimo volume.”.<br />

Su L'Express del 6.8.2009 (già citato) si accenna<br />

a “un projet inachevé de dictionnaire intitulé<br />

Apologie” 12 laddove Forgeot nella sua risposta<br />

omette il titolo del “projet de Dictionesposti,<br />

messi a confronto<br />

11 Questa classificazione come tesoro nazionale può essere vista come<br />

una decisione autoritaria, ma è soprattutto un riconoscimento.<br />

12 Un progetto incompleto di dizionario intitolato “Apologia”.<br />

14 settembre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

naire”.<br />

Infine la storia si conclude il 23 febbraio del<br />

2011 quando l'archivio di Debord va ad aggiungersi<br />

alla collezione del Dipartimento dei Manoscritti<br />

della BNF (forse vicino a quelli del<br />

marchese de Sade...).<br />

<strong>Il</strong> comunicato stampa della BNF del 24<br />

febbraio 2011 così recita:<br />

Détournement d'un détournement.<br />

«Poeta, cineasta, teorico della società e del potere,<br />

Guy Debord fonda e anima successivamente<br />

l’Internazionale lettrista (1952/57), poi l’Internazionale<br />

situazionista (1957/72). La sua<br />

opera più famosa, La Società dello spettacolo<br />

(1967), è una critica intransigente delle condizioni<br />

moderne di esistenza determinate dal capitalismo<br />

avanzato: consumi, svaghi, pubblicità,<br />

urbanesimo, ecc. Le sue teorie si traducono in<br />

pratiche — deriva, détournement, psicogeografia,<br />

gioco permanente —che mirano alla costruzione<br />

di situazioni, il cui scopo annunciato è<br />

la sconfitta di tutto quello che si frappone tra<br />

l’uomo e la sua vita.<br />

Conservati e messi in ordine da Guy Debord<br />

stesso, i suoi archivi testimoniano, con la loro<br />

ricchezza, la loro varietà e quasi esaustività, il<br />

lavoro dell’autore e il suo inserimento nell’intensa<br />

attività artistica e politica del suo tempo.<br />

L’insieme dei fondi comprende tutte le versioni<br />

dei suoi scritti e dei suoi films, un’importante<br />

corrispondenza, le sue carte personali, documentazione<br />

stampa, documentazione editoriale,<br />

quaderni e schede di lettura, tutte le note preparatorie<br />

alle sue opere cinematografiche e anche<br />

archivi fotografici, oggetti personali e la sua biblioteca<br />

come era nel 1994.<br />

A partire da Hurlements en faveur de Sade fino a<br />

Panégyrique, ogni opera — libro o film — è il<br />

frutto di un lavorio di scrittura e di détournement<br />

di cui il fondo dà conto. Così, il vasto insieme<br />

dei documenti riguardanti il film In Girum<br />

imus nocte et consumimur igni (1978) dà testimonianza<br />

dell’elaborazione minuziosa dell’opera:<br />

manoscritto, stesura dattilografica con<br />

correzioni, commento del film e documenti preparatori<br />

per l’edizione Gallimard, ma anche<br />

raccolta di immagini ritagliate, sottoposte a détournement<br />

e preparate per un’ eventuale utilizzazione<br />

nei titoli, schede, diari di regia e montaggio<br />

del film.<br />

Gli archivi comprendono inoltre dei documenti<br />

di lavoro dell’Internazionale situazionista, ritagli<br />

stampa e pubblicazioni di vari gruppi d’avanguardia<br />

politica o artistica contemporanea all’autore:<br />

surrealisti belgi, Socialismo o Barbarie,<br />

i Britannici di King Mob, ecc..: Si può seguire a<br />

partire dal 1959 gli avvenimenti artistici e le<br />

pubblicazioni militanti a cui Debord s’interessa,<br />

che si riferiscono a lui o di cui lo tengono al<br />

corrente. Vi si trovano così raccolti i commenti<br />

nella stampa ai films, ai libri e alle iniziative di<br />

Guy Debord, dei situazionisti, e della nebulosa<br />

che li circonda. Questa vasta documentazione<br />

viene a completare, su scala di tutta una vita, il<br />

lavoro di raccolta critica di cui sono testimonianza<br />

testi come “Ordures et decombres”<br />

(1982) o “Considération sur l’assassinat de Gérard<br />

Lebovici (1985).<br />

Accuratamente classificata e conservata, essa ci<br />

mostra l’autore di Jeu de guerre, stratega nel suo<br />

secolo,nell’atto di misurare il terreno della sua<br />

azione e delle forze i campo. Infine, alcuni oggetti<br />

e carte personali, così come le foto del set<br />

dei primi films e dei periodi lettristi e situazionisti,<br />

permettono di prendere contatto non tanto<br />

con spettacolari aspetti privati, quanto semplicemente<br />

con un po’ del quotidiano di colui che<br />

era “tanto abile nel condurre un’esistenza oscura<br />

e inafferrabile”.<br />

Nei suoi archivi, Guy Debord si presenta quale<br />

egli si è sempre descritto, intento ad affilare le<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 657


| ( 5 ) |<br />

armi della sua critica e a reggere il filo della sua<br />

opera e delle vite coinvolte nella sua.»<br />

Ritornando alla domanda iniziale sulla coerenza<br />

delle scelte operate in vita e in morte, si<br />

deve ricordare che nel 1992 Guy Debord aveva<br />

negoziato il passaggio alla casa editrice Gallimard<br />

per la somma di 700.000 franchi e che<br />

due settimane prima del suo suicidio aveva ottenuto<br />

750.000 franchi da Canal Plus per una<br />

“Soirée Guy Debord”, non trascurando di domandare<br />

alla società televisiva criptata di scalare<br />

i versamenti in tre anni per ragioni fiscali.<br />

Se Debord avesse voluto, avrebbe trasferito<br />

personalmente il suo archivio all'International<br />

Institute of Social History di Amsterdam (il situazionista<br />

René Vienet l'ha fatto, come anche<br />

Yves Le Manach, per esempio).<br />

Forse era nelle sue originarie intenzioni, ma<br />

in seguito esse sono cambiate (si sono capovolte).<br />

Alice Debord ha proseguito sul sentiero<br />

percorso dal marito negli ultimi anni della sua<br />

vita. Si tratta della constatazione di un dato di<br />

fatto, non di un giudizio.<br />

Per concludere, l'Observatoir des subventions,<br />

un sito web che si propone di “surveiller,<br />

informer et alerter” 13 a proposito di “subventions,<br />

abus et gaspillages” 14 , informa che l'archivio<br />

di Debord costerà un milione di euro ai<br />

contribuenti francesi grazie al 90% di riduzione<br />

d'imposta concessa ai donatori.<br />

Ecco perché Debord si merita l'odio universale,<br />

oggi.<br />

OMAR WISYAM<br />

13 Sorvegliare, informare e dare l’allarme.<br />

14 Sovvenzioni, abusi e sprechi.<br />

a Omelie laureate.<br />

DI PIETRO DE MARCO<br />

Prima versione ridotta in Toscana Oggi del 4 settembre <strong>2011.</strong><br />

Messa domenicale in un grande monastero. La<br />

predicazione è affidata a religiosi di qualità,<br />

che ascolto con rispetto, come d’altronde invitava<br />

a fare il p. De Lubac di fronte ad ogni predicatore.<br />

La XXI domenica del tempo ordinario<br />

(anno A) propone il magnifico, e impegnativo,<br />

testo (Matteo 16, 13-20) della professione<br />

di fede di Pietro e della fondazione del ‘ministero<br />

petrino’. La garbata omelia, di fronte ad<br />

un pubblico di fedeli numeroso — è falso che le<br />

chiese siano ‘sempre più vuote’ — è dedicata al<br />

‘dialogo’. Attraente il ‘dialogare’ tra Maestro e<br />

discepoli, che sembra rendere la pagina evangelica<br />

alla portata della nostra vita. Così ci viene<br />

detto che, in Mt 16, Gesù rivelerebbe un<br />

umanissimo bisogno di riconoscimento e Pietro<br />

affermerebbe (ma nel testo non c’è) con calore,<br />

con personale veracità, la fede nel Figlio del<br />

Dio vivente, che ha dinanzi. Gesù riconosce e<br />

premia Pietro, per dire così, non tanto per l’esattezza,<br />

la verità, della professione di fede<br />

quanto per la sua qualità esistenziale. Con l’immancabile<br />

evocazione (non rara, se il tipo di<br />

pubblico lo permette) del filosofo Lévinas, il<br />

predicatore elogia di Pietro non la conoscenza,<br />

che ‘imprigiona’ l’Altro (insopportabile novecentismo,<br />

creduto ormai solo da letterati e teologi),<br />

ma la scoperta.<br />

<strong>Il</strong> ‘dialogo’ di Mt 16, di enorme portata nella<br />

storia e fede cristiana, viene così piegato all’incontro<br />

tra due psicologie, nel migliore dei<br />

casi tra due persone particolari, dando sfogo ai<br />

predicabili conseguenti: la nostra fragilità e la<br />

sincerità reciproca, il giudizio di una vita (‘cosa<br />

sono per te’). Solo poi, dalla lettura della preghiera<br />

dei fedeli, i presenti scoprono che la liturgia<br />

della domenica è infine dedicata a Pietro<br />

(Tu es Petrus, non prevalebunt, il potere delle<br />

chiavi, sono in Mt 16), e che la lex orandi di<br />

14 settembre 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

questa domenica guarda al vescovo di Roma.<br />

Ma, anche (mal) tollerando la sottovalutazione<br />

dei contenuti cattolici delle parole di Gesù, restano<br />

drammaticamente in ombra i significati<br />

della ‘confessione’ dell’apostolo: ‘Tu sei il Cristo,<br />

il Figlio del Dio vivente’; un ‘sapere’ decisivo<br />

per noi, e non certo perché Mt 16 sarebbe<br />

un buon esempio di dichiarazione d’amore e di<br />

scoperta dell’Altro. E perché ignorare ciò che<br />

Gesù dice a Pietro: “né carne né sangue te<br />

l’hanno rivelato, ma il Padre mio” <strong>Il</strong> cuore di<br />

Mt 16 è teocentrico, anzi trinitario; perché farne<br />

una fiaba relazionale per l’esistenza cristiana,<br />

che è molto di più ed è anche intelletto<br />

La domenica precedente, altrove, avevo<br />

ascoltato, con profondo disagio, un’omelia non<br />

meno fine, nella quale il ‘dialogo’ di Gesù con<br />

la Cananea (Mt 15, 21-28) era ricondotto ad un<br />

processo di conversione di Gesù stesso (!), che<br />

dall’ostilità iniziale per i ‘cani’ cananei muterebbe<br />

cuore e riverserebbe anche sul non ebreo<br />

la sua misericordia. Questo trasformare la maieutica<br />

di un riconoscimento (‘Signore, figlio di<br />

David’) e di una affermazione gesuana dell’universale<br />

destinazione alla Salvezza in una parabola<br />

dell’accoglienza, a spese della Cristologia,<br />

è omogeneo al caso appena ricordato di Mt 16,<br />

sintomi entrambi di una banalizzazione neomoraleggiante<br />

(e post-modernamente tutta ‘affettiva’)<br />

della pastorale che sembra colpire i<br />

migliori. In effetti ciò che Gesù e Pietro dicono<br />

non sembra interessare la pastorale.<br />

Mi chiedo spesso: dov’è (oggi) il centro dell’infezione<br />

Chi mette in giro queste banalità<br />

insidiose, che (oggi) arrivano ai monaci come ai<br />

cleri diocesani e ai laici Dietro la perdonabile<br />

retorica che fa dire dal pulpito: ‘è più importante<br />

in Pietro l’accento che il contenuto del<br />

Tu sei il Cristo, più la risposta del cuore che la<br />

verità della mente’ — per cui (a rigore) qualsiasi<br />

cosa detta da Pietro con la stessa intensità<br />

soggettiva sarebbe ‘vera’ — si riconosce però la<br />

rottura postconciliare dell’unità necessaria tra<br />

fides quae e fides quā. La popolarizzazione recente<br />

di teologie un tempo di moda, sotto l’effetto<br />

delle vulgate à la Lévinas che hanno contaminato<br />

saperi teologici (e non) trasformandoli<br />

in chiacchiera zuccherosa, produce una<br />

‘spiritualità’ e una predicazione per cui i Vangeli<br />

sono anzitutto modelli, naturalmente ‘deboli’,<br />

di atteggiamenti e disposizioni e cure della<br />

‘vita’, una Vita — un dato che sfugge a chi<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 657


| ( 7 ) |<br />

predica e scrive — più psico-biologica che etica.<br />

Questo sarebbe fede vivente! Ma tra la fede<br />

che è creduta, cioè il canone di fede, l’analogia<br />

fidei, e la fede con cui si crede, ovvero tra la Verità<br />

e l’atto di assenso ad essa (e il ‘sentire’ di<br />

fede), il rapporto è inscindibile; non è il tono<br />

dell’assenso che fa la Verità. Non esiste assenso<br />

senza il suo oggetto, non fides quā creditur senza<br />

fides quae creditur che la precede; la Fede<br />

non è generata, né autenticata, dall’atto, o dal<br />

sentimento, individuale. Non lo si creda chiarimento<br />

superfluo. Su questo vi è un penoso disordine<br />

nelle chiese cristiane. Ma se la verità<br />

del ‘Tu es Christus’ come del ‘Tu es Petrus’ si<br />

riducessero davvero a figure o parabole per vivere<br />

meglio piccole vite, piccole biografie, piccole<br />

comunità di affetti e di pratiche, sarebbe<br />

coerente smettere di confessare Cristo, Figlio<br />

del Dio vivente.<br />

PIETRO DE MARCO<br />

a Del Noce maestro di modernità<br />

Dipende.<br />

DI MASSIMO INTROVIGNE<br />

Fonte: La Bussola Quotidiana, 30 agosto <strong>2011.</strong><br />

<strong>Il</strong> libro di Massimo Borghesi Augusto Del Noce,<br />

La legittimazione critica del moderno (Marietti,<br />

Genova 2011), presentato al Meeting di<br />

Rimini, ha rilanciato su diversi quotidiani italiani<br />

il dibattito sulla figura del filosofo cattolico<br />

Augusto Del Noce (1910-1989). Si deve essere<br />

grati a Borghesi perché, dopo le iniziative<br />

per il ventennale della morte nel 2009 e quelle<br />

per il centenario della nascita nel 2010, tiene<br />

vivo l’interesse per un punto di riferimento<br />

fondamentale della cultura cattolica italiana<br />

del secolo XX. La tesi di fondo di Borghesi può<br />

sembrare provocatoria. Del Noce, a torto considerato<br />

un pensatore antimoderno o reazionario,<br />

avrebbe invece “sdoganato" la modernità,<br />

prendendo certo le distanze dall’entusiasmo<br />

acritico dei cattolici modernisti e neomodernisti,<br />

ma criticando a fondo anche l’antimodernità<br />

della scuola contro-rivoluzionaria.<br />

Giustamente Borghesi mette in luce l’importanza<br />

del rapporto, insieme di ammirazione<br />

e critico, che lega Del Noce al filosofo cattolico<br />

francese Jacques Maritain (1882-1973).<br />

Del Noce mette in luce come nel corso della<br />

vita di Maritain più volte è cambiato il giudizio<br />

sul processo storico del pensiero moderno, ma<br />

non è mai cambiata la descrizione di questo<br />

processo, che rimane fondamentalmente quella<br />

contro-rivoluzionaria. <strong>Secondo</strong> questa descrizione<br />

la modernità è un processo di progressiva<br />

scristianizzazione che va in modo lineare dal<br />

Rinascimento e da Martin Lutero (1483-1546)<br />

fino all’illuminismo, alla Rivoluzione francese<br />

e al marxismo. Se questo processo sia da combattere<br />

— secondo la posizione contro-rivoluzionaria<br />

— o se invece occorra cercare qualche<br />

forma di composizione e di dialogo è questione<br />

su cui Maritain ha cambiato idea più volte.<br />

14 settembre 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

Resta, tuttavia, una visione della storia che<br />

secondo Del Noce sarebbe comune alla scuola<br />

contro-rivoluzionaria e a Maritain, ma anche<br />

— cambiata di segno quanto al giudizio di valore,<br />

cioè intesa come “processo verso la pienezza"<br />

anziché “verso la catastrofe" — alle<br />

prospettive laiciste dominanti. Per Del Noce la<br />

visione contro-rivoluzionaria della modernità<br />

come processo rivoluzionario lineare che avanza<br />

in direzione della scristianizzazione, e dunque<br />

«di un processo unitario della filosofia moderna»<br />

non solo è in «simmetria» con una lettura<br />

laicista uguale e contraria, ma in un certo<br />

senso ne dipende in posizione di «subalternità».<br />

Per usare un’espressione che non è di Del Noce,<br />

si potrebbe dire che il filosofo italiano accusa<br />

la lettura contro-rivoluzionaria della storia<br />

europea — che coinvolge anche Maritain, non<br />

solo nella sua fase giovanile — di regalare la<br />

modernità ai laicisti. Dal momento che la modernità<br />

appare inevitabilmente vittoriosa, questa<br />

lettura preparerebbe dunque la sconfitta dei<br />

cattolici.<br />

Intendiamoci: Del Noce riconosce alla<br />

scuola contro-rivoluzionaria il merito di avere<br />

colto il carattere profondo di un pensiero ideologico<br />

che va da Jean-Jacques Rousseau (1712-<br />

1778) a Karl Marx (1818-1883) e oltre. Qui la<br />

negazione del peccato originale porta a sostituire<br />

la politica alla religione come strumento<br />

di salvezza. In questa prospettiva anche Del<br />

Noce parla di Rivoluzione con la R maiuscola<br />

come processo unitario. Rileggiamo un suo<br />

brano:<br />

«La Rivoluzione, con la maiuscola e senza plurale,<br />

è quell’evento unico, doloroso come i travagli<br />

del parto (la metafora che torna continuamente<br />

nei suoi teorici) che media il passaggio<br />

dal regno della necessità a quello della libertà,<br />

raffigurato questo, né può essere altrimenti, attraverso<br />

la semplice generica negazione delle<br />

istituzioni del passato (società senza stato, senza<br />

chiese, senza eserciti, senza delitti, senza magistratura,<br />

senza polizia…); che genera un avvenire<br />

in cui non ci sarà più nulla di simile alla vecchia<br />

storia; che, in ciò, è la risoluzione del mistero<br />

della storia».<br />

È una pagina molto bella, anche dal punto<br />

di vista letterario, che conferma la frequentazione<br />

dei classici della Contro-Rivoluzione da<br />

parte di Del Noce. Dov’è, allora, il dissenso<br />

sottolineato ora da Borghesi <strong>Il</strong> filosofo italiano<br />

pensa che le origini della Rivoluzione<br />

«con la maiuscola» «siano abbastanza recenti,<br />

non antecedenti a Rousseau»: quello che, nel<br />

pensiero della modernità, viene prima non è<br />

tanto rivoluzionario quanto ambiguo. Sullo<br />

sfondo c’è qui la polemica con l’opera di Maritain<br />

più apprezzata dagli ambienti contro-rivoluzionari,<br />

Tre riformatori, il cui sottotitolo<br />

— Lutero - Cartesio - Rousseau — indica già<br />

l’elemento da cui dissente Del Noce. In verità,<br />

il dissenso non riguarda tanto Lutero quanto<br />

Cartesio (René Descartes, 1596-1650). Principalmente<br />

nel suo libro <strong>Il</strong> problema dell’ateismo,<br />

ma anche altrove, Del Noce ha avvertito<br />

come suo compito quello di smontare pezzo per<br />

pezzo la rappresentazione comune di Cartesio,<br />

da manuale scolastico ma anche da Tre riformatori<br />

di Maritain. In verità nel pensiero del<br />

filosofo francese coesistono secondo Del Noce<br />

spunti molto diversi: alcuni, certo, suscettibili<br />

di essere continuati in senso anticristiano, altri<br />

invece profondamente e sinceramente cristiani.<br />

Da questi ultimi partirebbe una versione cristiana<br />

della modernità che passa per alcuni<br />

aspetti del pensiero di Blaise Pascal (1623-<br />

1662), la cui contrapposizione a Cartesio sarebbe<br />

dunque esagerata (e lo sarebbe, talora, da<br />

Pascal stesso), e per il filosofo napoletano<br />

Giambattista Vico (1668-1744) per arrivare fino<br />

al beato Antonio Rosmini-Serbati (1797-<br />

1855).<br />

Del Noce si rende conto che questa catena<br />

storica è problematica, anzi non è condivida<br />

dalla storia della filosofia maggioritaria. Ma il<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 657


| ( 9 ) |<br />

filosofo italiano pensa che la storia della filosofia<br />

sia una vera scienza nel senso moderno<br />

del termine, le cui acquisizioni possono sempre<br />

essere rimesse in discussione da nuovi studi e<br />

documenti. E, per Borghesi, mentre i cattolici<br />

progressisti che hanno cercato di riabilitare la<br />

modernità si sono di solito avventurati sul terreno<br />

scivoloso della politica, Del Noce è invece<br />

l’unico pensatore che abbia indicato un aspetto<br />

positivo della modernità nella sua stessa essenza<br />

filosofica, a partire dalle sue radici in Cartesio.<br />

Del Noce sarebbe dunque all’interno della<br />

filosofica cattolica il pensatore per eccellenza<br />

della modernità.<br />

Ma anche no, si potrebbe rispondere con<br />

un’espressione in voga. Per Del Noce, in effetti,<br />

ci sono due modernità: quella rivoluzionaria<br />

e quella cristiana. La visione contro-rivoluzionaria<br />

della storia, secondo il filosofo,<br />

giustamente critica la prima modernità ma secondo<br />

lui dimentica o sottovaluta la seconda, la<br />

linea che va da Cartesio a Vico e a Rosmini.<br />

Così facendo, si espone al rischio di adottare lo<br />

schema storico-filosofico dell’avversario laicista<br />

e di favorirne la vittoria.<br />

La ricostruzione del pensiero di Del Noce<br />

da parte di Borghesi è sostanzialmente corretta,<br />

anche se si tratta di un pensiero con molteplici<br />

sfaccettature, e la rivalutazione di una<br />

modernità “buona" coesiste con la ferma denuncia<br />

della modernità “cattiva" di matrice illuminista<br />

e laicista. In tema di modernità le<br />

provocazioni di Del Noce sono certo importanti<br />

e precorrono quelle di autori contemporanei<br />

come la storica statunitense di origine tedesca<br />

Gertrude Himmelfarb, che in un certo<br />

senso va oltre Del Noce distinguendo una linea<br />

anticristiana e una compatibile con il cristianesimo<br />

anche nello stesso illuminismo. <strong>Il</strong> 12 maggio<br />

2010 a Lisbona Benedetto XVI ha messo in<br />

luce il corretto atteggiamento nei confronti di<br />

queste provocazioni:<br />

«la Chiesa, partendo da una rinnovata consapevolezza<br />

della tradizione cattolica, prende sul serio<br />

e discerne, trasfigura e supera le critiche che<br />

sono alla base delle forze che hanno caratterizzato<br />

la modernità, ossia la Riforma e l’<strong>Il</strong>luminismo.<br />

Così da sé stessa [con il Concilio Vaticano<br />

II] la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle<br />

istanze della modernità, da un lato superandole<br />

e, dall’altro evitando i suoi errori e vicoli<br />

senza uscita».<br />

Personalmente ricordo, da studente universitario<br />

che frequentava Del Noce nelle sue<br />

case di Savigliano (Cuneo) e di Roma, di avere<br />

discusso molte volte con lui di questa problematica:<br />

ho imparato molte cose, ma sono<br />

anche rimasto fermo nella mia convinzione<br />

della verità di fondo della tesi contro-rivoluzionaria<br />

sulla storia moderna. Certo, Del Noce<br />

con le sue critiche ci ha obbligati a riflettere<br />

sulla distinzione fra una nozione cronologica e<br />

una ideologica di modernità. Non tutti coloro<br />

che sono vissuti e vivono nell’epoca moderna<br />

appartengono alla “modernità" come categoria<br />

ideologica. Occorre distinguere fra moderno e<br />

contemporaneo, e il fatto che Vico termini la<br />

sua vita in piena epoca dell’illuminismo non ne<br />

fa — benché si vada oggi sostenendo, ma infondatamente,<br />

anche il contrario — un illuminista.<br />

Ancora, Benedetto XVI invita come si è<br />

visto a distinguere nella modernità le domande<br />

in parte giuste e le risposte sbagliate, i veri problemi<br />

e le false soluzioni, le «istanze», di cui la<br />

Chiesa si è fatta carico nella loro parte migliore<br />

— ma «superandole» —, e gli «errori e vicoli<br />

senza uscita» in cui la linea prevalente della<br />

modernità ha fatto precipitare queste istanze,<br />

ultimamente travolgendo e negando quanto nel<br />

loro originario momento esigenziale potevano<br />

avere di ragionevole e di condivisibile.<br />

Tuttavia, per quanto autori di scuola contro-rivoluzionaria<br />

abbiano parlato abbastanza<br />

male di Cartesio, e talora anche di Pascal e del<br />

beato Rosmini, non mi sembra che stia nella<br />

14 settembre 2011 Anno XI


| ( 10 ) |<br />

critica di questi autori l’essenziale dello schema<br />

contro-rivoluzionario. <strong>Il</strong> pensiero contro-rivoluzionario<br />

postula essenzialmente che la modernità<br />

come ideologia — che è cosa diversa<br />

dall’epoca moderna come semplice dato cronologico<br />

— abbia un orientamento nettamente<br />

prevalente di tipo laicista e anticristiano. Lo<br />

stesso Del Noce nelle sue analisi dell’ateismo<br />

moderno, del marxismo, del progressismo cattolico<br />

e del 1968 ha confermato questo postulato.<br />

<strong>Il</strong> fatto che nello scorrere della storia moderna<br />

si siano manifestati anche pensatori cristiani<br />

— così come sono apparsi, grazie a Dio,<br />

tanti santi — non modifica la conclusione secondo<br />

cui il carattere dominante — anche se<br />

non unico — della modernità è la deriva anticristiana<br />

e laicista.<br />

La deriva non è “necessaria" di diritto, come<br />

pensa un certo tradizionalismo sedotto da<br />

visioni pagane oD orientali della storia come<br />

decadenza obbligatoria da un’età dell’oro originaria<br />

verso l’età oscura chiamata dai libri sacri<br />

induisti Kali Yuga, in cui tutti coloro che<br />

hanno la sventura di vivere in una determinata<br />

epoca sarebbero volenti o nolenti coinvolti.<br />

Questa prospettiva non solo non resiste alla<br />

critica dell' “antimoderno" proposta da Del<br />

Noce, ma nel suo nucleo profondo nega la libertà<br />

umana sottomettendola deterministicamente<br />

alla storia e ai suoi “cicli", così da rivelarsi<br />

incompatibile con il cristianesimo. Ma la<br />

scuola contro-rivoluzionaria non sostiene —<br />

certamente nelle sue articolazioni più mature,<br />

ma in realtà già nelle sue origini — la necessità<br />

di diritto di una deriva anticristiana della modernità.<br />

La constata di fatto leggendo la storia,<br />

dove la nobilissima resistenza di stili di pensiero<br />

alternativi non inficia la conclusione secondo<br />

cui la linea della modernità come ideologia<br />

si afferma come culturalmente, sociologicamente<br />

e politicamente dominante.<br />

Alla scuola di Benedetto XVI penso che si<br />

debbano accogliere le domande della modernità,<br />

ma non accettare le risposte di un’ideologia<br />

che comporta il rifiuto della tradizione e<br />

l’idolatria del presente. In Portogallo nel 2010<br />

il Papa ha appunto denunciato l’ideologia che<br />

«assolutizza il presente, staccandolo dal patrimonio<br />

culturale del passato» e quindi fatalmente<br />

finisce per presentarsi «senza l’intenzione<br />

di delineare un futuro». Considerare il presente<br />

la sola «fonte ispiratrice del senso della<br />

vita», il che è l’essenza della modernità come<br />

ideologia, porta a svalutare e attaccare la tradizione,<br />

che in Portogallo — e non solo — «ha<br />

dato origine a ciò che possiamo chiamare una<br />

“sapienza", cioè, un senso della vita e della storia<br />

di cui facevano parte un universo etico e un<br />

"ideale" da adempiere», strettamente legati all’idea<br />

di verità e all’identificazione di questa<br />

verità con Gesù Cristo. Dunque «si rivela<br />

drammatico il tentativo di trovare la verità al di<br />

fuori di Gesù Cristo»: un altro elemento costitutivo<br />

del dramma della modernità.<br />

La critica di Del Noce — come mostra Borghesi<br />

— ha messo in crisi un “antimoderno"<br />

così fissato nella sua rigidità da diventare caricaturale.<br />

Ma il nucleo profondo del pensiero<br />

contro-rivoluzionario — cioè la denuncia della<br />

linea di fatto dominante nella modernità come<br />

ideologia del progresso e assolutizzazione del<br />

presente — a mio avviso resiste a tale critica,<br />

anzi ne esce rafforzata. Della linea ideologica,<br />

anti-tradizionale e relativista della modernità<br />

Del Noce era e rimane un critico rigoroso. <strong>Il</strong><br />

suo dissenso dalla scuola contro-rivoluzionaria<br />

riguarda il carattere dominante di questa linea<br />

nel decorso del moderno, non la sua radicale<br />

inconciliabilità con la fede cattolica.<br />

MASSIMO INTROVIGNE<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 657


| ( 11 ) |<br />

a La Fontana dell’Organo nei<br />

giardini del Quirinale.<br />

Un interessante quesito iconografico ancora<br />

non risolto del tutto.<br />

DI ANDREA MORABITO<br />

Nel giardino del Quirinale, situata a ridosso<br />

dello sperone nord-ovest del palazzo di Giovanni<br />

Fontana, vi è una fontana monumentale<br />

collegata ad un organo ad acqua come poche ce<br />

ne sono in Italia, e la cui struttura e l’odierno<br />

funzionamento dello strumento a canne del<br />

XVII secolo, lascia i visitatori, talora presenti<br />

anche in veste di amatori delle opere interpretati<br />

da sapienti maestri organisti, ancora stupefatti<br />

per le perfomances loro regalate. È della<br />

Fontana dell’Organo del Quirinale di cui si sta<br />

parlando, voluta alla fine del Cinquecento da<br />

Papa Clemente VIII Aldobrandini e realizzata<br />

in quegli anni grazie all’aiuto di diversi esperti<br />

riuniti insieme dal desiderio, forse un po’ inusuale<br />

in tale periodo, di proporre un’opera unica<br />

e affascinante.<br />

Fontana dell'organo, incisione del XIX sec.<br />

La fontana è un ulteriore orpello di fine secolo<br />

XVI che mostra il progressivo interesse<br />

dei papi alla proprietà di ‘Monte Cavallo’, secondo<br />

l’antica denominazione del colle dettata<br />

dalla positura delle mitologiche statue dei Dioscuri<br />

di attica memoria, archeologico vanto<br />

della classe optimates dei patrizi d’un tempo e<br />

di quelli moderni. L’antica vigna d’Ippolito II<br />

d’Este, meritorio membro della fortunatissima<br />

famiglia ferrarese, che era proprietaria dell’appezzamento<br />

di terreno che giungeva fino alla<br />

Fontana del Mosè a Termini, cominciò ad attirare<br />

originariamente l’attenzione di Gregorio<br />

XIII, che infatti fece realizzare al suoi architetti,<br />

Flaminio Ponzio e Ottavio Mascarino, un<br />

villino in prossimità dell’attuale via del Quirinale.<br />

Oggi l’erezione della fontana è contesa<br />

tra Carlo Maderno e Giovanni Fontana, anche<br />

se gli studi in merito hanno proteso maggiormente<br />

per il secondo proprio per essere stato<br />

implicato nell’ampliamento della proprietà.<br />

Costituita da un nicchione centrale, e di due<br />

ambienti laterali di pianta rettangolare, la fontana<br />

di papa Aldobrandini vede l’organo al<br />

centro dell’invaso dell’emiciclo, attorniato da<br />

una massa di materiale greggio: di tartari, pomici,<br />

frammenti di cocci, stucco, spolvero,<br />

concorrono a creare un’ambientazione rustica<br />

in linea col giardino. Attorno a esso, quasi programmaticamente<br />

e come se da esso prendessero<br />

vita, vi sono, disposti per molteplici registri,<br />

Muse allogate all’interno delle nicchie,<br />

diverse Storie tratte dalla Sacra Scrittura (Genesi,<br />

Esodo), Nereidi e mostri marini, Virtù.<br />

Nel proscenio, una scalinata si apre sullo spazio<br />

antistante alla fontana, catturando lo<br />

sguardo del riguardante attraverso lo zampillio<br />

dell’acqua, che programmaticamente si fa prorompere<br />

da delle apposite bocchette situate<br />

lungo le gradinate mediante dei vasi disposti<br />

per l’occasione. Ai lati vi sono due camere rettangolari<br />

in cui in una, quella di destra, è allocato<br />

un gruppo scultoreo con Vulcano e i ciclopi.<br />

L’opera è stata ampiamente ignorata per<br />

un notevole lasso di tempo: c’è molto su cui<br />

14 settembre 2011 Anno XI


| ( 12 ) |<br />

ragionare a proposito dello stato degli studi<br />

storico-artistici a inizio secolo, dove le posizioni<br />

accademiche italiane sembrano essere<br />

state drastiche, e fortemente orientate a escludere<br />

alcuni campi di ricerca piuttosto che altri,<br />

ritardando così la studio sui giardini e sulle<br />

cosiddette “arti minori”. 15 Luigi Dami a tale<br />

proposito rimarca questa distanza del mondo<br />

accademico dall’oggetto dei suoi interesse<br />

proprio in un articolo, molto breve non a caso,<br />

che fu così importante per l’avvio degli<br />

studi sull’opera in analisi. 16 Intanto proprio<br />

per tale disinteresse si applicò ad aprire lo<br />

studio sui giardini del Quirinale che fu successivamente<br />

seguito da Pecchiai a metà degli<br />

anni Trenta che si limitò a descriverne brevemente<br />

la fondazione e la struttura. 17 <strong>Il</strong> primo<br />

articolo monografico e degno di nota fu di<br />

Luigi Salerno, negli anni Sessanta, in cui per<br />

la prima volta si dedicò a fare una cronistoria<br />

della fontana, precisandone gli estremi temporali<br />

in cui fu realizzata l’opera e i principali<br />

interventi di quegli anni, grazie al ritrovamento<br />

di alcuni pagamenti dell’opera nell’Archivio<br />

di Stato. 18 Le piante di Cartaro e Dupérac,<br />

rispettivamente del 1575 e 1577, aiutarono<br />

lo studioso a identificare l’opera nell’immaginario<br />

dei secoli passati e ad averne<br />

un’immagine circostanziata. <strong>Il</strong> ritrovamento<br />

dei documenti che attestano la partecipazione<br />

di Carlo Lambardi e Bernardo Valperga, come<br />

tecnici per la realizzazione delle acque di<br />

15 A questo proposito, non si può non menzionare l’arte dei giardini<br />

e lo studio del paesaggio che solo di recente ha avuto una sua<br />

qualificazione precisa, attivando architetti — prevalentemente — e<br />

storici dell’arte nella salvaguardia di tale preziosità.<br />

16 «Da qualche tempo mi vado aggirando, con mio grandissimo<br />

personale godimento, tra i giardini italiani. Sto dietro a una quantità<br />

di minutaglie che non servono a nulla; scopro gli infinitesimali segreti<br />

di una statua o d’una fontanella, che non interessano a nessuno»,<br />

tratto da Dami, L., “<strong>Il</strong> giardino Quirinale ai primi del ‘600”,<br />

in Bollettino d’arte del ministero della Pubblica istruzione, 1919,<br />

13, pp. 113-116.<br />

17 Pecchiai, P., Acquedotti e fontane di Roma nel Cinquecento: con<br />

documenti inediti, Roma, Staderini, 1944, pp. 57-72.<br />

18 Salerno, L., La Fontana dell’Organo nei giardini del Quirinale,<br />

in Capitolium, 36, 4, 1961, pp. 3-9.<br />

scolo nel 1595, è segno certo che per quelle<br />

date il cantiere della fontana doveva essere attivo.<br />

Si cominciò quindi col concepimento ed<br />

attuazione della condotta idraulica per l’incanalamento<br />

dell’acqua felice, annoso problema<br />

che oberò non poco Sisto V dapprima e Clemente<br />

VIII in seguito; altro problema era il<br />

deflusso delle acque, opportunamente deviate<br />

verso le già esistenti condotte fognarie del<br />

rione sottostante.<br />

Pianta di Roma di G. Maggi.<br />

<strong>Il</strong> progetto si struttura più come un’aggiunta<br />

che una costruzione ex-nihilo, come argutamente,<br />

da un’iscrizione posta al centro<br />

del nicchione, lo studioso deduce: CLE-<br />

MENS. VIII. PONT. MAX. LOCUM. OR-<br />

NAVIT. / AQUAM. ADDUXIT. MDXCVI.<br />

PONT. SUI. V. Aggiunta che il pontefice fece<br />

curare da vicino, maggiormente per il programma<br />

iconografico, forse dal suo intimo<br />

amico, e confessore, Cesare Baronio, con uno<br />

studio accurato delle scene veterotestamentarie<br />

rappresentate. La decorazione originaria,<br />

infatti, (oggi non del tutto integra, a causa del<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 657


| ( 13 ) |<br />

restauro successivo di Clemente XI e in seguito<br />

anche di Gregorio XVI) 19 era ispirata alla<br />

storia sacra e alla mitologia antica: gran parte<br />

di essa ci è pervenuta integra, come si può ammirare,<br />

anche se in alcuni casi non è possibile<br />

goderne a pieno, a causa del passare dei secoli<br />

e molteplici restauri susseguitisi, procurando<br />

la dissoluzione del vivace cromatismo. Nella<br />

prima fascia sono raffigurate deità marine e<br />

animali acquatici; nella seconda, Storie di<br />

Mosè e statue di Virtù negli scomparti. Nella<br />

volta e nel catino vi sono altre scene veterotestamentarie,<br />

e nell’arco trionfale dell’ingresso<br />

le Storie della Genesi. I motivi araldici Aldobrandini<br />

ricorrono per tutta la decorazione<br />

musiva, come nell’arco sopra l’organo, dove<br />

in aggiunta è situata l’arme del pontefice sostenuta<br />

da due Virtù.<br />

Bugi, organista, che doveva curare il funzionamento<br />

degli strumenti musicali. 21<br />

In seguito, con la monografia di Briganti sul<br />

Quirinale, non solo si riportarono le posizioni<br />

documentate di Salerno, ma vi si aggiunsero ulteriori<br />

commenti sulle carte topografiche della<br />

città, utilizzate per chiarimenti e datazioni dell’inizio<br />

dei cantieri, che lo studioso fece in merito<br />

alla villa, che approfondiscono lo stato e la<br />

situazione della villa dalla fondazione estense<br />

sino al periodo clementino e che qui si omettono<br />

per brevità, rinviandovi invece per una più<br />

profittevole lettura.<br />

Salerno poi rende noti i documenti ritrovati<br />

presso l’Archivio di Stato, dai quali si è potuto<br />

apprendere con certezza che Giovanni<br />

Fontana fu il responsabile del piano ingegneristico-idraulico<br />

della fontana e dei relativi<br />

scoli d’acqua, cui faceva riferimento l’atto del<br />

fondo Camerale citato in precedenza; Pompeo<br />

Maderno e Giovan Giacomo da Neri, detto il<br />

Tivoli, furono gli autori dei mosaici rustici<br />

delle grotte artificiali e degli stucchi policromi;<br />

i pagamenti vanno dal settembre del 1595<br />

al febbraio del 1597. 20 Infine dal 1596 al 1609<br />

compaiono vari mandati di pagamento a Luca<br />

19 Si veda per uno studio su di questo argomento almeno Pampalone,<br />

A., “<strong>Il</strong> restauro di Clemente XI alla fontana dell’Organo nei<br />

giardini del Quirinale”, in Bollettino d’arte, 6 ser., 93, 146, 2008<br />

(2009), pp. 167-182.<br />

20 ASR, Camerale I, Giustificazioni di Tesoreria, busta 27, 7 settembre<br />

del 1595. Mesure delli lavori di M.o fatti nel Giardino di<br />

Monte Cavallo fatti da Mr. Pompeo Maderni e compagni, fatti fare<br />

da S.ta di N. S.re Papa Clemente Ottavo. Dal 29 gennaio 1596 al 21<br />

ottobre 1596 cfr. Per la mett.ra della statua di Apollo qual si è sotto<br />

la fontana del nicchione overo platani e messa in opera della d.a fontana<br />

con suo piedistallo di Matt.ni; Mesura del lavoro di stucco fatto da<br />

m.ro Gio. Jacomo de Neri detto il Tivoli et mr. Pompeo Maderni di<br />

tutta sua robba eccetto le lumache et madreperle fatte fare da S. ta di<br />

N. S. re Al Giar. No di Monte Cavallo nel Nichione alla Piazza delli<br />

Platani et a diversi luoghi; in Salerno, (1961, p. 8-9) che non fornisce<br />

però i riferimenti alle pagine precise.<br />

Jardins du Palais du Quirinal, inc. di P. Benoist, 1870.<br />

Solo alla fine degli anni novanta e in seguito<br />

ai restauri operatisi in quegli anni si riaccese<br />

l’interesse e la produzione scientifica sull’argomento:<br />

in primo luogo va menzionato<br />

21 Orbaan, J.A.F., Documenti sul Barocco a Roma, 1920, p. 154 e<br />

segg.<br />

14 settembre 2011 Anno XI


| ( 14 ) |<br />

lo studio di Delfini Filippi 22 sui restauri del<br />

giardino, realizzati tra gli anni Venti del<br />

XVII alla metà del XIX secolo, che continua<br />

a mostrare un’evanescente impronta delle linee<br />

guida d’analisi e ricerca, che avevano guidato<br />

la critica fino a quel tempo, in massima<br />

parte interessata e rivolta ai processi socio-economici<br />

dell’età rinascimentale. In secondo<br />

luogo il contributo di Simona Antellini Donnelli,<br />

23 che prestò invece maggiore attenzione<br />

alla commissione Aldobrandini e ai lavori<br />

compiuti all’interno del pontificato stesso, risulta<br />

essere, al momento attuale, ancora il lavoro<br />

più completo, raccogliendo non solo le<br />

evoluzioni della critica sino allora prodotte<br />

ma aggiungendo una costruttiva analisi della<br />

funzione dell’opera all’interno del contesto<br />

politico storico e sociale nel quale fu concepita.<br />

Luciana Cassanelli propose, all’interno<br />

del volume collectanea in cui sono raccolti<br />

questi articoli, una lettura iconografica molto<br />

avvincente e attrattiva, sebbene complessa e<br />

dalle supposizioni un po’ fragili. 24 L’ipotesi<br />

vedrebbe la partecipazione di Atanasius Kircher<br />

al progetto iconografico della fontana,<br />

che, nella volontà di tradurre iconograficamente<br />

quanto proposto nella sua Musurgia, 25<br />

avrebbe realizzato un complesso sistema di riferimenti<br />

iconologici e musicologici atti a riproporre<br />

la sapienza degli antichi obelischi<br />

egizi, e dei segreti musicali della natura, nell’ardimentoso<br />

congegno Aldobrandini. <strong>Il</strong><br />

grande programma del colto gesuita sarebbe<br />

stato poi rivisto in gran parte per timore di<br />

una denuncia al Santo Uffizio: nel periodo<br />

22 Delfini Filippi, G., La Fontana dell'Organo nei giardini del palazzo<br />

del Quirinale: i restauri, in Campitelli, A., Ville e parchi storici:<br />

storia, conservazione e tutela, Roma, Argos Ed., 1994, pp. 85-93.<br />

23 Antellini Donnelli, S., La Fontana dell’Organo nei giardini del<br />

Quirinale: nascita, storia e trasformazioni, Roma, Palombi, 1995.<br />

24 Cassanelli Olivieri, L., Atanasius Kircher, singolare presenza al<br />

Quirinale, in Antellini Donnelli, op. cit., (1995, p. 70).<br />

25 Kircherius, A., Musurgia Universalis Sive Ars Magna Consoni<br />

Et Dissoni: In X. Libros Digesta; Qua Universa Sonorum doctrina,<br />

& Philosophia, Musicaeque tam Theoricae, quam practicae scientia,<br />

summa varietate traditur, Romae, Corbelletti, 1650.<br />

complesso di dialogo con i protestanti a fine<br />

Cinquecento, Clemente VIII ebbe l’occasione<br />

di promuovere una posizione filosofica ermetica,<br />

che avrebbe dovuto conciliare equilibristicamente<br />

cristianesimo e neo-platonismo, al<br />

fine d’attrarre anche gli interessi protestanti<br />

alla cultura cattolica, sino ad allora dominata<br />

da un forte aristotelismo tomista. Per le evidenti<br />

lacunosità e indeterminatezze del programma,<br />

finì presto quanto, poco, era stato<br />

avviato: le insufficienti prove legate alla validità<br />

degli insegnamenti forniti da Francesco<br />

Patrizi, gesuita, invitato a insegnare filosofia<br />

platonica alla Gregoriana di Roma, fecero ritrattare<br />

le tesi sottoposte al giudizio del papa,<br />

sospendere lo stesso dall’insegnamento e<br />

oscurare tutto il progetto sulla fontana fatto<br />

da Kircher, che conterrebbe quindi in nuce gli<br />

elementi essenziali del programma (di cui si<br />

rimanda una piena e arricchente lettura) ma<br />

non il suo pieno sviluppo e dettaglio. Al di là<br />

dell’effettiva veritierità della tesi di Cassanelli,<br />

sulla quale alcuni studiosi hanno mostrato<br />

le loro perplessità, la scelta dei brani veterotestamentari,<br />

legati in massima parte alla figura<br />

di Mosè, sono dovute all’attinenza del<br />

tema dell’acqua, quasi pleonastico da ricordare,<br />

ma che si riporta comunque per chiarezza<br />

espositiva.<br />

L’ultimo studio, non riassuntivo, è della<br />

studiosa San Mauro, 26 autrice di un recente<br />

articolo su gli usi ottocenteschi del giardino e<br />

della visita di Gregorio XVI dopo i restauri<br />

voluti dallo stesso nel 1833, ormai fuori dei limiti<br />

cronologici prefissati nel presente studio,<br />

ma contenente alcune precisazioni utili a una<br />

conferma di certe posizioni precedentemente<br />

affermate e volte a appurare le interessanti<br />

evoluzioni della collezione di statue dispostevi<br />

nel XIX secolo e afferenti alla casa Cybo.<br />

Grazie ad esso si pone un problema interessante<br />

ancore insoluto: la studiosa afferma che<br />

26 San Mauro, M.A., <strong>Il</strong> corteo dionisiaco alla Fontana dell'Organo,<br />

in <strong>Il</strong> Quirinale, 2, 4, 2006, pp. 27-42.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 657


| ( 15 ) |<br />

a metà Ottocento fu spostato un gruppo di<br />

statue antiche della collezione Cybo, per l’appunto,<br />

ritraenti una fucina di Vulcano e dei<br />

satiri che andarono ad occupare le due camere<br />

ai lati del nicchione centrale. In quella di sinistra<br />

furono allocati le erme dei Satiri attorno<br />

al perimetro della stessa, e nella seconda la<br />

fucina del dio-fabbro. Per quanto la sistemazione<br />

suddetta fosse di metà Ottocento, l’ambientazione<br />

“paganeggiante” della fontana<br />

— precisata già nel suo altero nome di ‘ninfeo<br />

Aldobrandino’ — era un carattere comunque<br />

garantito dalla presenza delle statue di Apollo<br />

e delle Muse, che sostituivano già la precedente<br />

fontana di Apollo, in seguito distrutta,<br />

in liea con la passione archeologica dell’originario<br />

fondatore della vigna estense. Non sembra<br />

sia stata adeguatamente approfondita dagli<br />

studi la figura del protagonista dell’Esodo<br />

nei palazzi romani, compiendo un’analisi<br />

comparativa che ne illustri i punti in comune<br />

tra i diversi cicli e le scelte icnografiche e iconologiche<br />

fatte nei diversi siti e che in questa<br />

sede non è possibile fare. Non si capisce, infine,<br />

la funzione delle due stanze ai lati della<br />

fontana, e quale sia la relazione queste ebbero<br />

con l’invaso centrale, senza l’aggiunta delle<br />

statue settecentesche: a proposito di ciò non si<br />

riscontra nessuna indicazione e/o traccia da<br />

parte delle fonti succitate, lasciando quindi<br />

ancora irrisolto il dilemma.<br />

La speranza che una lettura ermetica del<br />

Cristianesimo potesse avere fortuna presso i<br />

protestanti pone alcuni dubbi, perché, sebbene<br />

sia plausibile sotto il piano teorico come posizione<br />

filosofica, non si può dire lo stesso sotto<br />

quello esegetico: l’interpretazione dei testi biblici,<br />

operata dalla Chiesa di Roma, era uno dei<br />

principali motivi di scandalo per i luterani.<br />

Pensare che questi ultimi sarebbero stati più disponibili<br />

a dialogare con i cattolici, su una rielaborazione<br />

della storia della salvezza che unisse<br />

promiscuamente Bibbia e filosofia neoplatonica,<br />

appare quantomeno sospetto, giacché il<br />

purismo che rivendicavano i primi nella traduzione<br />

e studio letterale della Parola di Dio, era<br />

manifesto, e di certo senza speranze di un colloquio,<br />

almeno in queste guise, con i secondi.<br />

ANDREA MORABITO<br />

La fontana.<br />

14 settembre 2011 Anno XI


| ( 16 ) |<br />

ROMA RINASCE DALLA PERIFERIA<br />

LA CITTÀ DELL'UOMO DOPO LA CITTÀ DEL CEMENTO<br />

Roma, 23-24 settembre 2011<br />

Auditorium Ara Pacis Augustae<br />

Regione Lazio - Assessorato Politiche per la Casa 3° Settore, Servizio Civile e Tutela<br />

dei Consumatori in collaborazione con:<br />

Lab. CivicArch Dipartimento Ingegneria Università di Ferrara www.unife.it<br />

Gruppo Salìngaros www.grupposalingaros.net<br />

A Vision of Europe www.avoe.org<br />

Eco Compact City Network www.ecocompactcity.org<br />

Agenzia per la Città, Roma<br />

Fondazione CE.S.A.R, Roma www.cesar-eur.it<br />

Comune di Roma www.comune.roma.it<br />

Segreteria:<br />

Regione Lazio - Assessorato Politiche per la Casa - Via Capitan Bavastro, 108 - 00154<br />

Roma - Tel: 0651686762 / 0651686760 / 0651686451-065168 - www.regione.lazio.it<br />

ARGOMENTI: 20 anni di demolizioni e ricostruzioni / principi della eco città compatta<br />

/ la rinascita della periferia europea / housing sociale / sostenibilità / casi di studio<br />

europei di demolizioni e ricostruzioni / progetti di ri-urbanizzazione del Corviale<br />

INTERVENGONO: On. Teodoro Buontempo, Ass. Politiche per la Casa Regione Lazio<br />

/ Paolo Agostini, Dir. Politiche per la Casa Regione Lazio / Pasquale Cascella, Architetto<br />

/ Stefano Chiavalon, Dir. Commerciale Impresa General Smontaggi / Francesco<br />

Coccia, Dir. Dip. Politiche Riqualif. Periferie Roma Capitale / Alessandro Bucci, Segr.<br />

A Vision of Europe, Università di Ferrara / Bernard Durand Rival, Dir. Uff. Urbanistico<br />

Val d’Europe, Paris / On. Fabrizio Ghera, Ass. Lavori Pubblici e Periferie, Comune<br />

Roma / Fabrizio Giulietti, Sociologo Urbanista / Ettore Maria Mazzola, Docente<br />

University of Notre Dame, Usa / Carlo Patrizio, Istituto nazionale di Bioarchitettura /<br />

Philippe Pemezec, Sindaco di Plessis Robinson, <strong>Il</strong>e-de-France / Bruno Prestagiovanni,<br />

Commissario Ater Roma / Cristiano Rosponi, Presidente Fondazione CE.S.A.R Onlus /<br />

Nikos Salìngaros, Docente University of Texas, S. Antonio, Usa / Stefano Serafini, Direttore<br />

Gruppo Salìngaros, Direttore Ricerca Soc. Internazionale di Biourbanistica / Gabriele<br />

Tagliaventi, Docente Università di Ferrara, Dir. A Vision of Europe.<br />

14 settembre 2011Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) Anno XI


A<br />

B<br />

N°658<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

19 SETTEMBRE 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

SENZA EREDITÀ<br />

I L TEMA DELL A TRASMISSI O N E DEI BENI DI<br />

FAMIGLIA IN R. M. RILKE E G. DEBORD,<br />

CON UN'IPOTESI SUL SUICIDIO<br />

DEL SECONDO.<br />

F H<br />

A CURA DI STEFANO BORSELLI.<br />

a Rainer Maria Rilke (1875-1926).<br />

E non si ha più nulla e nessuno e si viaggia<br />

per il mondo con un baule e una cassa di<br />

libri e di fatto senza curiosità. Di fatto,<br />

senza casa, senza cose ereditate, senza cani,<br />

che vita è mai questa 1<br />

. LA CASA EREDITATA.<br />

Non sapete che cosa sia un poeta Verlaine...<br />

Nulla Nessun ricordo No. Non lo avete distinto<br />

fra coloro che conosceste Distinzioni<br />

non ne fate, lo so. Ma è un altro poeta quello<br />

che io leggo, un altro che non abita a Parigi,<br />

uno completamente diverso. Uno che ha una<br />

casa silenziosa sui monti. Risuona come una<br />

campana nell'aria tersa. Un poeta felice che<br />

narra della sua finestra e delle porte a vetri<br />

della sua libreria, che riflettono assorte uno<br />

spazio amato e solitario. È il poeta che io sarei<br />

voluto divenire; poiché sa tante cose delle fanciulle,<br />

e anch'io avrei saputo molto di loro.<br />

a Guy Debord (1931-1994).<br />

Sono nato praticamente rovinato. Non ho,<br />

propriamente parlando, mai ignorato di<br />

non dovermi attendere eredità, e in definitiva<br />

non ne ho avuta. 2<br />

. GLI SPETTATORI DEI MIEI FILM.<br />

[...] Sono dei salariati poveri che si credono dei<br />

proprietari, degli ignoranti mistificati che si<br />

credono istruiti, e dei morti che credono di votare.<br />

Come il modo di produzione li ha trattati<br />

duramente! Di progresso in promozione hanno<br />

perduto il poco che avevano, e ottenuto quello<br />

che nessuno voleva. [...]<br />

Somigliano molto agli schiavi; perché sono<br />

parcheggiati in massa, e allo stretto, in cattivi<br />

fabbricati lugubri e malsani; mal nutriti di<br />

un'alimentazione inquinata e senza gusto;<br />

☞ Segue a pag. 11. ☞ Segue a pag. 11.<br />

1 Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge, trad.<br />

Furio Jesi, Garzanti 1974, pag. 11.<br />

2 Guy Debord, Panégyrique, tome premier, Gallimard, 1993 (prima<br />

ed.1989), p.25.<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

. La casa ereditata. ☞ Segue dalla prima.<br />

Sa di fanciulle che sono vissute cent'anni fa;<br />

non importa più nulla che siano morte, poiché<br />

egli sa tutto. Ed è questo l'essenziale. Egli pronuncia<br />

i loro nomi, i nomi lievi, scritti a caratteri<br />

lunghi e slanciati, a volute del tempo antico,<br />

e i nomi fatti adulti delle loro amiche più<br />

grandi, in cui già risuona un po' di destino, un<br />

po' di delusione e di morte. Forse, in un cassetto<br />

del suo scrittoio di mogano giacciono le loro<br />

lettere sbiadite e i fogli sciolti dei loro diari, in<br />

cui ricorrono compleanni, gite estive, compleanni.<br />

O può darsi che nel cassettone panciuto<br />

in fondo alla sua camera da letto ci sia un<br />

cassetto in cui si conservano i loro abiti di primavera;<br />

abiti bianchi, che furono indossati per<br />

la prima volta a Pasqua, abiti di tulle a pois,<br />

che erano destinati all'estate ma che non s'aspettava<br />

l'estate per indossare. Oh, che destino<br />

felice stare nella camera silenziosa di una casa<br />

ereditata, fra cose fidate e quiete, stabili, e udire<br />

fuori, nel verde giardino leggero e luminoso,<br />

le prime cincie che provano il loro canto, e in<br />

lontananza l'orologio del villaggio. Starsene<br />

seduti e guardare una calda striscia di sole pomeridiano<br />

e sapere molte cose di fanciulle<br />

scomparse ed essere un poeta. 3<br />

RAINER MARIA RILKE<br />

3 Ivi pp. 31-32.<br />

. Gli spettatori... ☞ Segue dalla prima.<br />

[...] continuamente e meschinamente sorvegliati;<br />

tenuti nell'analfabetismo modernizzato<br />

e nelle superstizioni spettacolari che corrispondono<br />

agli interessi dei loro padroni. Sono<br />

trapiantati lontano dalle loro province o dai<br />

loro quartieri, in un paesaggio nuovo e ostile,<br />

secondo le convenienze di concentrazione totalitaria<br />

dell'industria attuale. Non sono che<br />

delle cifre nei grafici tracciati da imbecilli.<br />

Essi muoiono in serie sulle strade, ad ogni<br />

epidemia d'influenza, ad ogni ondata di caldo,<br />

ad ogni errore di coloro che falsificano i loro<br />

alimenti, ad ogni innovazione tecnica che profitta<br />

ai vari imprenditori di un paesaggio urbano<br />

di cui sono i primi a fare le spese. Le loro<br />

provate condizioni di esistenza determinano la<br />

loro degenerazione fisica, intellettuale, mentale.<br />

Si parla loro sempre come a dei bambini obbedienti,<br />

a cui basta dire: “bisogna", perché<br />

siano disposti a crederlo. Ma soprattutto li si<br />

tratta come dei bambini stupidi, di fronte ai<br />

quali balbettano e delirano decine di specializzazioni<br />

paternaliste, improvvisate il giorno<br />

prima, che possono far lor ammettere qualsiasi<br />

cosa in qualunque modo gliela dicano; e così<br />

pure il contrario l'indomani.<br />

Separati fra loro dalla perdita generale di<br />

ogni linguaggio adeguato ai fatti, perdita che<br />

vieta loro il minimo dialogo; separati dalla loro<br />

incessante concorrenza, sempre pungolati<br />

dalla frusta, nel consumo ostentato del nulla, e<br />

dunque separati dall'invidia meno fondata e<br />

meno capace di trovare soddisfazione alcuna,<br />

sono separati anche dalla propria prole, che<br />

era fino a ieri la sola proprietà di coloro che<br />

non hanno nulla. Si toglie loro, in tenera età, il<br />

controllo di questi bambini, già loro rivali, che<br />

non ascoltano più affatto le informi opinioni<br />

dei genitori, e sorridono del loro flagrante fallimento;<br />

[…].<br />

Tuttavia questi lavoratori privilegiati della<br />

società mercantile non assomigliano agli schiad<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 658


| ( 3 ) |<br />

vi in questo senso, che devono provvedere da se<br />

stessi al proprio mantenimento. La loro condizione<br />

può essere paragonata al servaggio perché<br />

sono legati esclusivamente a un'impresa e<br />

al buon andamento di questa, benché senza reciprocità<br />

a loro favore; e soprattutto perché<br />

sono strettamente costretti a risiedere in uno<br />

spazio unico: lo stesso circuito di abitazioni,<br />

uffici, autostrade, vacanze e aeroporti sempre<br />

identici.<br />

Ma essi somigliano anche ai proletari moderni<br />

per l'insicurezza delle loro risorse, che è<br />

in contraddizione con la routine programmata<br />

delle loro spese; e per il fatto di doversi vendere<br />

su un mercato libero senza possedere alcuno<br />

degli strumenti del loro lavoro: per il fatto di<br />

aver bisogno di denaro. Sono obbligati a comprare<br />

delle merci, e si è fatto in modo che non<br />

possano mantenere contatto con nulla che non<br />

sia una merce.<br />

Ma dove tuttavia la loro posizione economica<br />

presenta una più precisa affinità con il sistema<br />

particolare del “peonaggio", è nel fatto<br />

che, questo denaro attorno a cui ruota tutta la<br />

loro attività, non glielo si lascia più maneggiare<br />

neanche momentaneamente. Essi non possono<br />

evidentemente che spenderlo, dal momento<br />

che lo ricevono in quantità troppo piccola<br />

per accumularlo. Ma in fin dei conti si vedono<br />

costretti a consumare a credito; e si trattiene<br />

sul loro salario il credito che è loro consentito,<br />

da cui dovranno liberarsi lavorando<br />

ancora.<br />

Non cadrò nell'errore semplificatore d'identificare<br />

interamente la condizione di questi<br />

salariati di prima classe con delle forme anteriore<br />

d'oppressione socio-economica. Prima di<br />

tutto perché se si mette da parte il loro surplus<br />

di falsa coscienza e la loro partecipazione doppia<br />

o tripla all'acquisto della desolante paccottiglia<br />

che copre la quasi totalità del mercato, si<br />

vede bene che essi non fanno che condividere<br />

la triste vita della grande massa dei salariati<br />

d'oggi: del resto è nell'ingenua intenzione di<br />

far perdere di vista questa irritante trivialità,<br />

che molti assicurano di provare imbarazzo a vivere<br />

tra le delizie, allorché dei popoli lontani<br />

sono oppressi dall'indigenza. Un'altra ragione<br />

per non confonderli con gli infelici del passato<br />

è che il loro statuto specifico comporta in se<br />

stesso dei caratteri indiscutibilmente moderni.<br />

Per la prima volta nella storia, ecco degli<br />

agenti economici altamente specializzati che,<br />

al di fuori del loro lavoro, devono fare tutto da<br />

sé: guidano le loro macchine e cominciano a<br />

pompare da sé la loro benzina, fanno da sé gli<br />

acquisti o ciò che chiamano della cucina, si<br />

servono da sé nei supermercati come in ciò che<br />

ha sostituito i vagoni ristorante. Senza dubbio<br />

la lor qualifica molto indirettamente produttiva<br />

ha potuto essere rapidamente acquisita, ma<br />

in seguito, quando hanno fornito il loro quoziente<br />

orario di lavoro specializzato, gli tocca<br />

fare con le loro mani tutto il resto. La nostra<br />

epoca non è ancora giunta a superare la famiglia,<br />

il denaro, la divisione del lavoro; e tuttavia<br />

si può dire che la loro realtà effettiva si sia<br />

già, per costoro, quasi interamente dissolta, nel<br />

puro spossessamento. Uccelli che non hanno<br />

mai avuto preda e l'hanno lasciata per il suo riflesso.<br />

<strong>Il</strong> carattere illusorio delle ricchezze che la<br />

società attuale pretende di distribuire sarebbe<br />

sufficientemente dimostrato, se non lo si fosse<br />

riconosciuto in tutte le altre cose, da quest'unica<br />

osservazione, che è la prima volta che un sistema<br />

di tirannia tratta così male i suoi famigli,<br />

i suoi esperti, i suoi buffoni. Servitori oberati<br />

del vuoto, il vuoto li gratifica in moneta a sua<br />

effigie. In altre parole, è la prima volta che dei<br />

poveri credono di fare parte di un'élite economica,<br />

nonostante l'evidenza contraria. Non<br />

soltanto lavorano, questi infelici spettatori, ma<br />

nessuno lavora per loro, e la gente che essi pagano<br />

meno di tutti: perché i loro fornitori si<br />

considerano piuttosto come i loro capireparto,<br />

e giudicano se sono venuti abbastanza valorosamente<br />

all'incetta dei surrogati che hanno il<br />

19 settembre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

dovere di comprare. Niente riesce a nascondere<br />

l'usura rapida che è integrata all'origine,<br />

non soltanto in ogni oggetto materiale, ma fin<br />

sul piano giuridico, nelle loro rare proprietà.<br />

Così come non hanno ricevuto eredità, essi non<br />

ne lasceranno. 4<br />

GUY DEBORD<br />

a Un buon affare.<br />

«Sulla scia immediata del suicidio di Debord, il<br />

romanziere Philippe Sollers, uno dei più influenti<br />

personaggi della scena intellettuale parigina,<br />

ha dichiarato al giornale Libération, che il<br />

colpo che ha ucciso Debord aveva “un significato<br />

rivoluzionario". Sollers ha spiegato che, per<br />

Debord, il suicidio era la più pura critica dello<br />

“spettacolo": l'ultimo atto di Debord, conseguenza<br />

di questa logica, è stata anche la sua<br />

azione politica più importante.» ANDREW<br />

HUSSEY, “Situation abnormal", The Guardian<br />

28 luglio 2001.<br />

Anche sull'interpretazione del suicidio del<br />

capo situazionista Philippe Sollers è stato all'altezza<br />

della sua reputazione (Debord lo qualificò<br />

una volta per tutte come «insignifiant» 5 );<br />

tuttavia la sua banale ipotesi è divenuta luogo<br />

comune e, per quanto ne so, nessuno ci ha più<br />

ragionato sopra.<br />

Nel numero scorso Claudio Dettorre ha raccontato<br />

come l' “archivio Debord” abbia fruttato<br />

alla vedova “entre deux et trois millions<br />

d'euros", e come il fondo fosse stato meticolosamente<br />

preparato dallo stesso Debord:<br />

«Si deve dire che le carte da conservare erano<br />

4 Guy Debord, “In girum imus nocte et consumimur igni”, in<br />

Opere cinematografiche complete, Arcana, Roma 1980, pp. 218-230<br />

5 Per un gustoso florilegio di giudizi debordiani su Sollers si veda<br />

http://julesbonnotdelabande.blogspot.com/2009/06/sollers-laramene.html.<br />

state già ordinate dallo scrittore stesso, in vita.<br />

Infatti nell'ottobre del 1994 (un mese prima del<br />

suicidio) egli aveva scritto a Ricardo Paseyro:<br />

“Abbiamo fatto un riordino, bruciato una massa<br />

di carte inutili e conservato qui a disposizione<br />

dei miei lettori tutto ciò che ha importanza.”» 6<br />

Dettorre lamenta che l'archivio non sia stato<br />

reso di pubblico dominio, bensì venduto a caro<br />

prezzo dalla vedova, ma conferma che questa<br />

era certamente la volontà del marito: non per<br />

nulla il fondo è stato organizzato dallo stesso<br />

Debord con una logica da mercante antiquario.<br />

«Ci sono anche alcuni oggetti, come la sua macchina<br />

da scrivere, i suoi occhiali o un tavolino di<br />

legno sul quale egli ha posto la nota manoscritta:<br />

“Guy Debord ha scritto su questa tavola La<br />

Società dello Spettacolo dal 1966 al 1967 a Parigi<br />

al n.169 della rue Saint-Jacques”.» 7<br />

E qualsiasi mercante antiquario sa che questo<br />

tipo di merce si valorizza solo con la morte<br />

del produttore. Con tutta evidenza quindi Guy<br />

Debord, diversamente dall'ipotesi mitizzante<br />

di Sollers, ha concepito il proprio suicidio non<br />

come un gesto critico bensì come un buon affare<br />

economico: è un topos anche cinematografico<br />

quello dell'imprenditore sull'orlo del fallimento<br />

che per garantire un avvenire alla propria<br />

famiglia truffa l'assicurazione col proprio<br />

suicidio mascherato da incidente. Come Rilke,<br />

l'abbiamo visto nei brani introduttivi, Debord<br />

aveva avuto la vita segnata dalla mancanza di<br />

beni di famiglia e non voleva finire come gli<br />

spettatori dei suoi film, così disprezzati e magistralmente<br />

dipinti, i quali «così come non hanno<br />

ricevuto eredità, ... non ne lasceranno»; e<br />

col suo calcolato suicidio è riuscito nell'intento:<br />

Alice Debord qualcosa in eredità l'ha certamente<br />

ricevuto, tanto che, sempre a differenza<br />

di quelli che «devono fare tutto da sé», potrà<br />

perfino, in questi tempi bui, permettersi dei<br />

domestici.<br />

STEFANO BORSELLI<br />

6 <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> N°657 del 14 settembre <strong>2011.</strong><br />

7 Ibidem.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 658


A<br />

B<br />

N°659<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

26 SETTEMBRE 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

LA COMPASSIONEVOLE STORIA DI<br />

INES DE CASTRO<br />

L'episodio più popolare dei Lusiadi di Luís Vaz de Camões (1524-1580)<br />

nella traduzione di Felice Bellotti (1786-1858).<br />

8<br />

A que depois de morta foi rainha, Lima de Freitas (1927-1998).<br />

COSÌ Alfonso vinceva; ed al suo regno<br />

Tornato poi nella nativa terra,<br />

Pace illustre goder vi fea disegno,<br />

Quanto illustre per lui fu già la guerra.<br />

Ma il tristo caso e della fama degno,<br />

Della fama che l’uom trae di sotterra,<br />

Seguì di quella misera e meschina,<br />

Che dopo morte diventò reina.<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

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☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

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<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2010 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


Tu sol, tu solo, o penetrante Amore,<br />

Lo cui poter sì gli uman cuori implica,<br />

Tu fosti a lei di dura morte autore,<br />

Qual se a te stata fosse aspra nemica.<br />

Non s’acqueta di tua sete l’ardore<br />

Per le lagrime nostre, e fai ch’uom dica<br />

Che sei fiero tiranno, e che tu vuoi<br />

Bagnar di sangue uman gli altari tuoi.<br />

| ( 2 ) |<br />

Tu, bell’Ines gentil, tranquilla e queta<br />

Tuoi begli anni godevi in quella cara<br />

<strong>Il</strong>lusïon dell’anima, a cui vieta<br />

Lunga durata la fortuna avara.<br />

Mira degli occhi tuoi la consueta<br />

Luce il Mondego 1 , e da te il monte impara<br />

E il piano a replicar quel che nel petto<br />

Porti scritto d’amor nome diletto.<br />

Ines de Castro e don Pedro, Ernesto Ferreira Condeixa (1858-1933).<br />

1 <strong>Il</strong> Mondego è il più importante fiume portoghese, bagna Coimbra.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 659


| ( 3 ) |<br />

Del tuo prence colà ti rispondea<br />

L’innamorato spirito presente,<br />

Che innanzi agli occhi suoi te ognor vedea,<br />

Quando era pur da' tuoi begli occhi assente.<br />

Di notte ei sogna la tua cara idea,<br />

A te vola nel dì l’agil sua mente:<br />

E quanto pensa insomma e quanto mira,<br />

Tutto è memoria che dolcezza spira.<br />

D’ogni dama regal bella e gentile<br />

<strong>Il</strong> talamo ricusa pertinace;<br />

Ché tu, Amor, tutto sprezzi e tieni a vile,<br />

Quando servo a un bel volto il cor soggiace.<br />

Del fantastico suo ritroso stile<br />

La segreta cagion vede il sagace<br />

Suo vecchio genitor, che molto cura<br />

Pur la maligna popolar censura.<br />

Toglier quindi alla vita Ines disegna<br />

Per torle il figlio a sue bellezze preso,<br />

Credendo che in quel sangue anco si spegna<br />

L’amore in lui sì ardentemente acceso.<br />

Ahi! qual furore acconsentì, la degna<br />

Nobile spada , che sostenne il peso<br />

Del poter Mauritan, contra una bella<br />

Innocente levar debil donzella <br />

Morte di Ines de Castro, Karl Bryullov (1799-1852).<br />

26 settembre 2011 Anno XI


E già gli orrendi manigoldi innante<br />

Traggonla al re, che ne sentì pietade;<br />

Ma con false ragion la imperversante<br />

Plebe al crudo supplicio il persuade.<br />

Ella è tutta accorata e sospirante<br />

Per lo prence fedel, ch’altre contrade<br />

Or tengon lungi, e per l’amata prole,<br />

Cui, più che il morir suo, lasciar le duole.<br />

| ( 4 ) |<br />

E al cristallino ciel, misera! alzava<br />

Gli occhi afflitti, di lagrime lucenti, ...<br />

Gli occhi, poi che le man le avvince e grava<br />

Di ferro un di que' truci empi sergcnti:<br />

Poi sovra i pargoletti gli abbassava<br />

Figli suoi sì a lei cari e sì piacenti,<br />

Che orfanelli di madre, ahi! già vedea;<br />

E al lor avo crudel così dicea:<br />

Deh, se i bruti talor fieri animanti,<br />

Cui fé natura di crudel talento;<br />

Se gli augelli per l’aere volanti,<br />

Che istinto han solo alle rapine intento,<br />

Mostrar fûr visti a’ tenerelli infanti<br />

Spirto alcun di pietate e sentimento,<br />

Come di Nino alla consorte 2 , e come<br />

Ai due, che a Roma origin diero e nome:<br />

Tu che umana hai sembianza e umano petto<br />

(Se umano è a debil donna il viver torre,<br />

Sol perché fe’ in amore a sé soggetto<br />

Uom che a lei seppe un egual giogo imporre)<br />

Di questi piccioletti abbi rispetto,<br />

Se vuoi la madre a dura morte porre.<br />

Abbi per loro alma benigna e pia,<br />

Poi che non l’hai della innocenza mia!<br />

2 Semiramide, che sarebbe stata allevata dalle colombe. <strong>Il</strong> verso successivo accenna a Romolo e Remo, nutriti dalla celebre lupa.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 659


| ( 5 ) |<br />

E se vincendo il Mauritan furore,<br />

A dar morte imparasti in guerra aperta,<br />

Sappi ancora dar vita a chi d’errore<br />

È scevro in tutto, e perderla non merta.<br />

Che se, innocente anch’io, merto favore,<br />

Pommi pure in qual vuoi spiaggia deserta,<br />

Nell’arsa Libia, o al freddo Tanai in riva,<br />

Dovunque in somma in pianto eterno io viva:<br />

Pommi la dove tutto è feritate,<br />

In fra tigri e leoni, e sì vedrai<br />

Se saprò in essi ritrovar pietate,<br />

Quella che in petti umani io non trovai;<br />

Ivi queste di lui reliquie amate,<br />

Di quell’uom, per cui sono in tanti guai,<br />

Crescerò con amore, e della loro<br />

Trista madre ei saran dolce ristoro.<br />

Commosso il re da que’ pietosi accenti,<br />

Ben mostrava a salvarla animo prono;<br />

Ma quelle triste, infellonite genti,<br />

E il suo destino le negar perdono:<br />

Già snudano le spade rilucenti<br />

Quei che fatto sì reo tengon per buono.<br />

Oh sanguinarii petti! oh! cavallieri,<br />

Voi, contro a donna sì spietati e fieri <br />

Siccome incontro a Polissena 3 bella,<br />

Conforto estremo dell’antica madre,<br />

Sta il crudo Pirro, apparecchiato in ella<br />

A placar l’ombra dell’irato padre:<br />

Essa qual pazïente e mite agnella,<br />

Guardando con le sue luci leggiadre<br />

La genitrice che per duol delira,<br />

Offresi al duro sagrificio, e spira.<br />

Ines de Castro, anonimo portoghese.<br />

3 Figlia di Priamo e d Ecuba, sacrificata da Pirro sulla tomba del padre Achille.<br />

26 settembre 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

Tal que’ barbari bruti ucciditori<br />

Nel collo d’alabastro, che reggea<br />

L'opra, onde il cor conquiso avean gli amori<br />

Del signor che regina indi la fea,<br />

Bagnan le spade e que' candidi fiori<br />

Troncan ch’ella di lagrime aspergea;<br />

E in quell’ebro furor pensier non fanno<br />

Qual poi castigo a sopportar n’avranno.<br />

Ben potevi tu allor della celeste<br />

Lampa la luce indi ritrarre, o sole,<br />

Come già dalla mensa, ove Tieste<br />

Cibò le carni della propria prole 4 .<br />

Voi, o cave convalli, che intendeste<br />

Del freddo labro l’ultime parole,<br />

A lungo il nome replicaste poi<br />

Di Pedro, in che finir gli accenti suoi.<br />

Qual della bianca margherita il fiore<br />

Colto anzi tempo, e dalla man lasciva<br />

Di villanella brancicato, smuore,<br />

E l’odor perde onde gradito oliva:<br />

Così repente di mortal pallore<br />

Quel sembiante gentil si ricopriva;<br />

Le rose illanguidirono e sparita<br />

La bianchezza de’ gigli è con la vita.<br />

Pianser lunga stagion l’alta sciagura<br />

Le figlie del Mondego, e delle sparse<br />

Molte lagrime lor quivi una pura<br />

Fonte, a ricordo eterno allor n'apparse;<br />

E le diêr nome, che tuttor le dura,<br />

Degli amori, onde il petto ad Ines arse.<br />

Mira il fresco ruscel, che irriga i fiori:<br />

Lagrime è l’onda, e il nome suo gli Amori.<br />

Fonte das Lágrimas, Coimbra.<br />

www.flickr.com/photos/lambcover<br />

4 Atreo, dopo aver ucciso Plistene, figlio del fratello Tieste, ne diede le carni in pasto al padre.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 659


| ( 7 ) |<br />

Ma dell’atroce uccisïone indegna<br />

Non fu gran tempo la vendetta lunge;<br />

Ché Pedro appena il soglio ascende, e regna,<br />

Que' fuggiaschi uccisori anco raggiunge.<br />

Altro Pedro crudel glieli rassegna,<br />

Cui commune desío con lui congiunge<br />

Di mieter vite e il fero patto ingiusto,<br />

Che con Lepido strinse Antonio e Augusto 5 .<br />

Egli punì, castigatore acerbo,<br />

Le morti, i ladroneggi e l'adultèro:<br />

Fu dolcezza per lui senza riserbo<br />

Contro a' malvagi esser crudele e fiero.<br />

E in purgar le città d’0gni superbo<br />

Oltraggiatore, esercitò l’impero;<br />

E più ladroni ei castigando uccide,<br />

Che già Tesèo, che già l’errante Alcide.<br />

Tomba di Ines de Castro, Monastero di Alcobaça.<br />

5 <strong>Il</strong> secondo triumvirato, contro Bruto e Cassio (43 avantiCristo).<br />

26 settembre 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />

a Notizia.<br />

Fonte: I Lusiadi di Luigi Camoens, traduzione di Antonio<br />

Nervi, Milano 1821, pp. 164-170.<br />

DI DAVIDE BERTOLOTTI<br />

Non avvi storia più commovente per alcuni riguardi,<br />

né per molt1 altri più atroce di quella<br />

che dipinse i fatti di don Pedro e d'Ines, episodio<br />

il più bello di questo poema. Sotto un certo<br />

aspetto può anche dirsi non esservene alcuno<br />

che presenti alla morale conseguenze sì rilevanti,<br />

perocché i disastri e i delitti di cui abbonda<br />

questo racconto, ebbero origine da un amore illegittimo.<br />

Locandina del film spagnuolo Ines de Castro (1944).<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> continua a proporre opere poetiche che<br />

hanno allo stesso tempo incontrato il favore popolare<br />

ed ispirato generazioni di artisti, i quali quelle<br />

stesse opere hanno illustrate, musicate, messe in<br />

scena (si vedano i NN. 557, 581, 621, 644). Oggi è<br />

la volta della parte del canto III dei Lusiadi di<br />

Camões (su questo oggi politicamente scorrettissimo<br />

capolavoro contiamo di ritornare a breve) che<br />

narra la storia immortale di Ines e Don Pedro.<br />

Come sempre il testo è presentato nella traduzione<br />

in rima; tra le tante disponibili abbiamo scelto<br />

quella ottocentesca di Felice Bellotti, noto anche<br />

per avere collaborato con Vicenzo Monti alla sua<br />

insuperata traduzione dell'<strong>Il</strong>iade. N<br />

Etichetta di sigaro.<br />

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />

Luís de Camões, François Gérard (1770-1837).<br />

Don Pedro, figliuolo d Alfonso IV re del<br />

Portogallo, si maritò a Costanza, figlia di don<br />

Manuele di Penafiel, il più possente fra i signori<br />

spagnuoli; né principessa meritò mai tanto<br />

amore, bench'ella dal suo sposo non l'ottenesse.<br />

Ines di Castro, datale per damigella d'onore,<br />

inspirò al principe una fervente passione che seco<br />

lui ebbe comune. Costanza, che amava teneramente<br />

il consorte, non appena fu certa della<br />

propria sventura n'ebbe cordoglio vivissimo, cui<br />

abbandonandosi interamente, morì nel 1345,<br />

dopo di avere trascorsi nove angustiosi anni in<br />

questo nodo malaugurato.<br />

Ines, nella quale tutti gli storici concordemente<br />

esaltarono e rara bellezza, e indole d'anid<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 659


| ( 9 ) |<br />

mo soavissima, pianse sinceramente colei la cui<br />

morte ella si dovea rimproverare; mentre don<br />

Pedro, caldo più che dianzi d'amore, non ebbe<br />

più freno a manifestare la passione di che ardeva<br />

per la medesima. Laonde appena gli fu lecito<br />

di farlo senza offendere i debiti riguardi, sua<br />

sposa la dichiarò. Spiacque grandemente ad Alfonso<br />

tale condotta del figlio, erede della corona<br />

paterna; ma i preparamenti della guerra che<br />

mossi aveva contro la Castiglia, e la peste del<br />

1348 che funesta all'intera Europa, più grave<br />

sterminio arrecò al Portogallo, chiamarono a sé<br />

per allora tutte le sollecitudini di quel monarca.<br />

Nel 1354 don Pedro sposò Ines nella città di<br />

Braganza al cospetto del suo ciamberlano e<br />

d'un vescovo, lasciando fin d'allora scorgere il<br />

divisamento in cui venne di acclamarla regina,<br />

non sì tosto salirebbe sul soglio del padre. I prelati<br />

ed i grandi, studiosi di contestare un fatto<br />

che in loro sentenza era un disdoro del trono<br />

portoghese, persuasero Alfonso affinché proponesse<br />

un secondo maritaggio al suo figlio; proferta<br />

nel cui rifiuto mostrò la massima fermezza<br />

don Pedro. Bastò questo perché i nemici di Ines<br />

e tutti coloro che ingelosiva tanto innalzamento<br />

d'una famiglia privata, divenuta parente della<br />

famiglia reale, raddoppiassero istanze al sovrano<br />

affinché Ines severamente fosse punita.<br />

Tre di questi grandi soprattutto, cioè Gonzales<br />

Facheco e Coello, si segnalarono nel manifestare<br />

contr'essa un astio che a furore rassomigliava,<br />

onde senza altri riguardi non isgomentirono<br />

di offerirsi al Re per trucidare di propria<br />

mano una donna senza difesa. Comunque grande<br />

fosse contr'essa l'ira d'Alfonso, pure allora<br />

fremette di tale proposta, e senza secondarla si<br />

affrettò a combattere i Mori che di recente gli<br />

aveano tolta una città negli Algarvi.<br />

Ma non tornò appena da questa spedizione,<br />

breve quanto felice per le sue armi, che i tre nemici<br />

di Ines rinnovarono con maggiore insistenza<br />

le inumane loro sollecitazioni, cui faceva<br />

pretesto l'onore del principe, e principalmente<br />

la salvezza dello stato, al quale d'uopo era di<br />

estranie parentele che lo fortificassero; e tanto<br />

in queste istigazioni durarono che ad esse finalmente<br />

il Re condiscese.<br />

Quanto su questo atroce affare si deliberò<br />

non rimase talmente segreto, che molti cortigiani<br />

non ne venissero informati, e fra gli altri<br />

l'arcivescovo di Braga e la stessa regina Beatrice,<br />

madre di don Pedro, i quali lo avvertirono<br />

delle trame che ordite erano contro di Ines. Ma<br />

il principe, cui tanto colmo d'empietà pareva<br />

impossibile, credé piuttosto si volesse intimorirlo<br />

per più facilmente indurlo a separarsi da colei<br />

che ogni dì gli cresceva in amore.<br />

Venne finalmente giorno, in cui standosi don<br />

Pedro alla caccia, Alfonso partì da Montemayor<br />

per rendersi a Conimbra residenza di<br />

Ines; la quale ebbe appena il tempo d'essere avvisata<br />

che il Re moveva verso il palazzo ov'ella<br />

soggiornava, deliberato di farla morire. Non<br />

tardò essa a corrergli incontro, ed a presentargli<br />

prostratasi innanzi a lui, i tre figli che di don<br />

Pedro le erano nati. La presenza di questi sfortunati<br />

fanciulli, in cui non poteva Alfonso non<br />

ravvisare il proprio sangue, la beltà d'Ines che<br />

le materne lagrime facevano più commovente,<br />

toccarono in sì fatto modo il cuore del Re, che<br />

Supplica di Ines de Castro, Vieira Portuense (1765-1805).<br />

26 settembre 2011 Anno XI


| ( 10 ) |<br />

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☞ È uscito il nuovo numero.<br />

Cultura & Identità - Rivista di studi conservatori ·<br />

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00166 Roma.<br />

#<br />

si ritirò privo di forza a compire il crudele disegno,<br />

per cui erasi ivi condotto. Ma non cessarono<br />

perciò le feroci prove di Gonzales, Pacheco<br />

e Coello, le quali fatalmente riuscirono agli<br />

scellerati, dopo che Alfonso non ebbe più innanzi<br />

agli occhi la misera Ines e i figli della medesima.<br />

Costoro, ottenuto appena il regio consenso,<br />

si affrettarono al palagio di Ines dove orrendo<br />

spettacolo fu il vedere cavalieri, nati a difendere<br />

la beltà, divenirne i carnefici.<br />

Non fa mestieri il descrivere da quanto acerbo<br />

dolore fosse trafitto don Pedro; ma tal non<br />

era la sua indole da appagarsi di disfogarlo con<br />

pianti e querele. Nell'eccesso di sua disperazione<br />

divenne ribelle; onde unitosi a Fernando e ad<br />

Alvaro de Castro, fratelli di Ines, per primo atto<br />

di vendetta devastò le province poste tra il<br />

Douro e il Mino, e quelle di Tra-los-montes,<br />

ove i traditori della sua sposa avevano possedimenti;<br />

né il furor che lo invase diede in esso<br />

luogo alla pietà per tanto stuolo d'innocenti,<br />

fatti vittima della sua sete di vendicarsi.<br />

Qual fu l'afflizione in Alfonso che soprappiù<br />

rammentava aver mossa egli stesso una guerra<br />

empia al proprio padre, il re Dionigi. Ogni dì<br />

cresceano la mestizia e i disastri che minacciavano<br />

quel regno, quando la medesima regina,<br />

accompagnata da parecchi prelati, si trasportò a<br />

pregare il figlio perché deponesse le armi.<br />

Non acconsentì egli che al solo patto di vedersi<br />

consegnati Gonzales, Facheco e Coello;<br />

alla quale inchiesta ben sentiva di non potere,<br />

senza suo disdoro, condiscendere Alfonso, da<br />

cui alla fin fine erano partiti gli ordini che quei<br />

malvagi eseguirono. Pure, più gravi facendosi di<br />

giorno in giorno le sciagure del Portogallo, ebbe<br />

a ventura l'ottenere che don Pedro si contentasse<br />

di saperli esigliati. Oppresso egualmente<br />

dai cordogli e dalle senili infermità, morì Alfonso<br />

prima di rivedere il figlio. Giunto egli era<br />

al settantasettesimo anno dei viver suo.<br />

Nell'anno 1356 don Pedro salì il trono in età<br />

di trentasei anni. Sua prima cura fu di collegarsi<br />

col re di Castiglia contro il re di Aragona, comunque<br />

la ragione di stato gli suggerisse una<br />

condotta affatto opposta; ma qual re in allora<br />

non comportavasi, bensì qual nemico implacabile<br />

dei carnefici di Ines che nella Castiglia si<br />

erano riparati. Sperò, né invano, che per riguardo<br />

a tale confederazione costoro gli sarebbero<br />

consegnati da don Pedro re di Castiglia,<br />

tanto conosciuto dopo sotto nome di Pietro il<br />

Crudele, il quale certamente non fu di tal tempra<br />

da avere per sacri i doveri dell'ospitalità. In<br />

fatti colse questi tal destro per farsi restituire<br />

alcuni signori che, per sottrarsi al suo giogo,<br />

cercato avevano il Portogallo; ed in contraccambio<br />

mise nelle mani del vedovo d'Ines Gonzales<br />

e Coello. Quanto a Pacheco, dovette ad<br />

una buona azione il proprio scampo: poiché nel<br />

giorno che seguì l'arresto de' suoi compagni,<br />

avvertito in tempo da un mendicante cui solito<br />

era fare elemosina, si salvò nelle terre dell'Aragona.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 659


| ( 11 ) |<br />

Dolente don Pedro che questo solo si fosse<br />

involato alla sua vendetta, ne cercò un compenso<br />

nell'incrudelire maggiormente sugli altri.<br />

Tutti già erano stati dichiarati traditori in verso<br />

la patria, e come tali ne furono confiscati i beni.<br />

Ordinato che si applicassero alla tortura Gonzales<br />

e Coello, volle saziarsi contemplando egli<br />

stesso gli orrendi tormenti che sofferirono, senza<br />

perciò lasciarsi indurre a palesare i lor complici,<br />

o la natura dei segreti abboccamenti avuti<br />

con essi dal re Alfonso.<br />

Fatto feroce dal rancore, non bastò a don<br />

Pedro l'essere stato spettatore di tanti patimenti<br />

de' suoi nemici. Per suo comando, innalzato un<br />

palco rimpetto alla finestra del reale palagio,<br />

dond'ei potea contemplare le vittime di sue<br />

vendette, volle che ai pazienti si strappasse il<br />

cuore, mentre erano ancora in vita, spaventevole<br />

supplizio del quale il Portogallo non avea per<br />

anche visto l'esempio, e per cui don Pedro giunse<br />

a svegliare compassione in favore d'uomini<br />

Incoronazione di Ines, Pierre-Charles Comte (1853-1895).<br />

cotanto vili e colpevoli. Arsi indi i lor corpi ne<br />

furono gettate le ceneri al vento.<br />

Serbato era a don Pedro l'offerire uno spettacolo,<br />

sott'altro aspetto, più straordinario, e<br />

tale che dimostrando l'eccesso dell'amore da lui<br />

provato per Ines, lo presentasse come un oggetto<br />

degno d'inspirare pietà anziché orrore.<br />

Egli si trasferì a Castagnedo, ove i primi signori<br />

del regno lo accompagnarono. Ivi, dopo<br />

aver giurato che il suo maritaggio con Ines era<br />

accaduto nella città di Braganza, volle s'interrogassero<br />

i testimoni, e fece indi pubbliche queste<br />

nozze. Stata era fra i due conjugi una di<br />

quelle affinità che, chiamate spirituali, hanno<br />

più o meno, giusta i tempi, portato impedimento<br />

ai matrimoni: gli storici più non ci danno<br />

maggiori spiegazioni del modo con cui questa<br />

affinità si fosse contratta.<br />

Don Pedro si affrettò a far nota una bolla di<br />

Giovanni XXII che gli concedea tutte le volute<br />

dispense; pei quali diversi atti non ammise più<br />

dubbio la legittimità dei figli di don Pedro, e il<br />

loro diritto di succedere al trono.<br />

Dopo di essersi prese tali cure, di lor natura<br />

lodevoli, comandò si fabbricassero nel Monasterio<br />

d'Alcobassa, così per sé come per l'Ines,<br />

due sepolcri di bianco marmo, sopra l'uno de'<br />

quali stavasi, cinta di regale corona, la statua<br />

della sua moglie.<br />

Presedette indi all'ultima cerimonia, per cui<br />

di compassione dicemmo il delirio del suo dolore.<br />

Fu questa far disotterrare il cadavere d'Ines,<br />

sepolto più di sett'anni nella chiesa di S. Chiara<br />

di Conimbra, il quale vestito di regali abiti, e<br />

postagli una corona sul capo, venne adagiato<br />

sul trono. Ivi, per comando dello sfortunato<br />

marito, convennero tutti i signori e le dame della<br />

corte, che prostratisi innanzi a salma cui don<br />

Pedro portò amore sì intenso, la riconobbero<br />

per loro sovrana, e baciarono quelle che scarne<br />

ossa erano divenute.<br />

Collocati indi su maestoso carro i resti di<br />

Ines, il medesimo corteggio l'accompagnò, e la<br />

pompa funebre fu continuata per tutte le diciassette<br />

leghe da Alcobassa disgiungono Conim-<br />

26 settembre 2011 Anno XI


| ( 12 ) |<br />

bra. I signori teneano avvolti il capo in un cappuccio,<br />

ch'era il segno di lutto in quella contrada,<br />

mentre le dame vestivano lunghe zimarre<br />

nere, da bianchi manti coperte. Da un lato e<br />

l'altro della strada erano file d'uomini che portavano<br />

fiaccole.<br />

Comunque eccessivi potessero sembrare questi<br />

segni del cordoglio che annunziava don Pedro,<br />

essi furono però tanto sinceri, che quel popolo<br />

per natura affettuoso, anziché mostrarsene<br />

maravigliato, prese parte al lugubre di tal ceremonia<br />

con una verità da cui ebbe qualche sollievo<br />

il cuore di un inconsolabil consorte.<br />

Del rimanente, poiché narrammo, senza palliarli,<br />

gli errori in cui lo trasse una passione infelice;<br />

poiché lo biasimammo e di aver impugnate<br />

le armi contro il proprio genitore e di<br />

aver spinto alla crudeltà la vendetta che prese<br />

degli uccisori di Ines, ci è forza il dire quanto<br />

cara ricordanza di sé lasciasse a' suoi popoli don<br />

Pedro, morto nel 1367, sei anni dopo questa ceremonia<br />

unica nella storia.<br />

Ognuno angoscioso si mostrò per tal morte,<br />

e fu universale il compianto, allorché il cadavere<br />

di don Pedro fu trasportato nella tomba ove<br />

posavano le ossa di Ines. Su questa tomba si ripetevan<br />

sospirando que' detti che gli furono famigliari<br />

“Un Re che lascia trascorrere un giorno<br />

senza avere sparso beneficenze, non merita<br />

nome di Re”. Ivi ciascuno avea cura di dimostrare<br />

come nel durar del suo regno si fosse<br />

mantenuto consentaneo a sì fatta massima. Per<br />

la quale senza che le ostilità fossero spinte<br />

tropp'oltre fu sollecito di far la pace con Enrico<br />

di Transtamare, che il voto dei Castigliani e<br />

l'armi del celebre Duguesclin aveano posto sul<br />

trono, prima occupato da Pietro il Crudele,<br />

confederato di don Pedro. Ben sentì lo sposo di<br />

Ines quanto gli fosse disdicevole il proteggere<br />

un principe, il quale comecché legittimo, avea<br />

colle sue crudeltà alienato l'animo ne' sudditi, e<br />

fatto erasi indegno del soglio. Laonde don Pedro<br />

cessò dall'inviargli ajuti, e gli negò perfino<br />

asilo negli stati portoghesi, facendogli intendere<br />

che cedea per tal modo all'interesse de' propri<br />

sudditi, in lui maggiore d'ogni altra considerazione.<br />

Proteggitore del terzo stato contro la nobiltà,<br />

don Pedro ebbe coi legislatori repubblicani e<br />

coi despoti comune la massima di riguardare innanzi<br />

alla legge eguali tutte le classi della società;<br />

e a dimostrare com'egli a tal dettame fosse<br />

fedele, si narra un giudizio che questo Re pronunziò<br />

quando il clero ed un calzolaio erano le<br />

parti convenute al suo tribunale. Avendo un canonico<br />

dato morte al padre del secondo, non<br />

ebbe dai propri superiori ecclesiastici maggior<br />

castigo dell'essere escluso del coro per un intero<br />

anno; venne al calzolajo il destro di uccidere il<br />

canonico: per la qual cosa avendo fatto ricorso<br />

gli altri canonici, il colpevole fu condannato<br />

dal Re a non fare scarpe in tutto il volger d'un<br />

anno.<br />

DAVIDE BERTOLOTTI<br />

Tomba di Ines e don Pedro, Monastero di Alcobaça.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 659


A<br />

B<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

N°660<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

8 OTTOBRE 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

1° I N C O N T R O<br />

D E G L I A M I C I<br />

DEL COVILE.<br />

MATERIALI.<br />

d<br />

Villa Morghen, Settignano, Firenze<br />

24-25 Settembre <strong>2011.</strong><br />

PRIMA GIORNATA<br />

<strong>Il</strong> recente incontro degli amici del <strong>Covile</strong> per contenuti,<br />

clima conviviale, bellezza del luogo e accoglienza,<br />

è riuscito al di là delle aspettative. In questo numero<br />

presentiamo soltanto quegli interventi della prima giornata<br />

che i relatori ci hanno inviato e in verità con ciò<br />

pensavamo di concludere, lasciando il resto al ricordo<br />

dei partecipanti, ma ci ha scritto Riccardo De Benedetti:<br />

“La disponibilità a discutere si è moltiplicata domenica<br />

mattina con l'intervento di Giannozzo e il fitto<br />

scambio di posizioni tra tutti i partecipanti che ne è seguito<br />

e che sarebbe proseguito ben oltre la pausa<br />

pranzo... se non ci fossero stati i treni. Offrirne una<br />

traccia ai lettori del <strong>Covile</strong> credo sia doveroso”. Abbiamo<br />

dunque deciso di seguire il suo consiglio e della seconda<br />

giornata intendiamo pubblicare la registrazione<br />

integrale. N<br />

INDICE<br />

1 Stefano Borselli. <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> e la condizione antimoderna.<br />

5 Armando Ermini. Decostruire l’umanità.<br />

13 Pietro Pagliardini. <strong>Il</strong> ritorno dell'urbanistica.<br />

18 Gabriella Rouf. <strong>Il</strong> deserto e l’oasi.<br />

a <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> e la condizione antimoderna.<br />

DI STEFANO BORSELLI<br />

Se non in maggioranza certamente molti<br />

dei nostri lettori, abbiamo avuto modo di verificarlo,<br />

arrivano al <strong>Covile</strong> perché vi trovano<br />

un daviliano “rifugio contro l'inclemenza del<br />

tempo”, come la nostra testata auspica. Sono<br />

uomini e donne che sperimentano quella che<br />

Andrea G. Sciffo ha chiamato “la condizione<br />

antimoderna”. 1<br />

Andrea ha coniato il termine riferendosi a<br />

quel gruppo di intellettuali attivi nel pieno<br />

della catastrofe degli anni '60 composto da<br />

Augusto Del Noce, Rodolfo Quadrelli, Emanuele<br />

Samek Lodovici, Cristina Campo ecc.,<br />

1 “La condizione antimoderna”, è il titolo posto da Andrea G.<br />

Sciffo ad un paragrafo del suo saggio Operaio e filosofo. Un ricordo<br />

di Mario Marcolla, pubblicato nel luglio 2009 negli ABC e integralmente<br />

ripreso dal <strong>Covile</strong> N°632 del 26 febbraio <strong>2011.</strong><br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

alla cui memoria storica egli ha avuto accesso<br />

tramite il suo maestro Mario Marcolla. Qualche<br />

giorno fa Almanacco romano rievocava<br />

nel suo blog quegli anni a proposito della<br />

Chiesa:<br />

Si arresero alle peggiori forme del moderno.<br />

Con le migliori intenzioni del mondo, naturalmente,<br />

al fine di aggiornare la religione di Cristo,<br />

di lucidarla con l’illuminismo, di arricchirla<br />

con la terrena ‘questione sociale’ (che facesse<br />

da contrappeso al Cielo), di renderla attraente<br />

per il pubblico della televisione, per i consumatori<br />

di cultura a fascicoli e di psicoanalisi, per il<br />

popolo che cominciava a firmare cambiali, per<br />

le vestali del Progresso, per i fans del rock e i<br />

lettori di Sartre, per i recenti inurbati e i crescenti<br />

inurbani; al fine di rendere accettabile<br />

anche ai cattolici ‘adulti’ il catechismo e i prodigi<br />

biblici, ai liberali un Dio intollerante, ai<br />

socialisti lo sfarzo della religione di Roma, i disgraziati<br />

preti degli anni Sessanta/Settanta si<br />

prodigarono nel buttare a mare le più preziose<br />

formule liturgiche e la prosa latina che le rivestiva;<br />

tradirono così l’arte millenaria e la musica<br />

altrettanto millenaria, tolsero l’aureola ai<br />

santi che non possedevano il certificato filologico,<br />

si lasciarono suggestionare dalla desolazione<br />

protestante, si illusero fosse un’arte nuova<br />

(con lo spirituale incorporato), si piegarono<br />

di fronte ai totalitarismi del dopoguerra — non<br />

solo con i regimi che opprimono i suoi fedeli,<br />

come la Chiesa aveva sempre fatto, trattando<br />

saggiamente con i tiranni, cercando di strappare<br />

dalle loro grinfie il più gran numero di vittime<br />

—, bensì intrattenendosi stavolta con ideologi<br />

senza potere, complici e nunzi di quei mascalzoni;<br />

aprirono infine le porte a massoni,<br />

garibaldini, a tutte le sètte, chiedendo scusa a<br />

ciascuno di loro, autolesionismo impressionante,<br />

confondendo pericolosamente cristianesimo<br />

e masochismo; svendettero o regalarono<br />

la tradizione agli antiquari, se ne vergognarono,<br />

si inebriarono con gli argomenti dei<br />

nemici; camminarono in punta di piedi, clero<br />

timidone e laici con il complesso di inferiorità<br />

verso i miscredenti: per donare un maggiore<br />

appeal della Chiesa finirono per sopprimerla,<br />

per cancellare il sacrificio della messa, per riscrivere<br />

i libri sacri in traduzioni penose. 2<br />

Era quella un'epoca per dei versi più terribile<br />

della nostra: ci voleva allora una gran fede<br />

per pensare che un Ratzinger sarebbe così<br />

cambiato e soprattutto che sarebbe divenuto<br />

Papa.<br />

Z [<br />

Se Sciffo avesse avuto modo di preparare il<br />

suo intervento per questo incontro, avrebbe<br />

esteso il suo concetto ben oltre un ristretto<br />

gruppo di studiosi, per comprendervi tutti coloro<br />

che conoscono, prima che un pensiero,<br />

una difficoltà, un disagio a volte quasi fisico, a<br />

vivere nel mondo moderno. Da cosa nasce<br />

questo disagio è presto detto: dallo spettacolo<br />

desolante della modernità e dal dissenso radicale,<br />

e ancor più dalla divaricazione del gusto,<br />

verso lo spirito del tempo che imperversa non<br />

solo nei media, ma anche nella conversazione<br />

sociale, nei salotti, nelle cene.<br />

Si giri un pomeriggio per Firenze: arredi<br />

urbani minimalisti che contrastano e distruggono<br />

la finezza di quelli nostri tradizionali,<br />

scritte deformi sui muri secolari, volti tesi,<br />

gente trasandata oltre il limite (Alzek Misheff<br />

ha scritto pagine definitive su questa scena urbana),<br />

masse di erranti indottrinati e senza<br />

scopo: niente a che vedere con la folla di una<br />

festa patronale, di una sagra, di un palio. Possiamo<br />

provare a definire meglio la condizione<br />

antimoderna come quella di chi assiste, accorgendosene<br />

dolorosamente, alla distruzione di<br />

ogni forma. Corollario di questa semplificante<br />

definizione è che <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> difende e cerca<br />

di mettere in collegamento coloro che vogliono<br />

conservare-creare forme umanizzanti.<br />

Un esempio: nel film Ti va di ballare Antonio<br />

Banderas interpreta Pierre Dulaine, un<br />

ballerino che nei ghetti americani insegna con<br />

successo ai ragazzi il ballo da sala (tango ecc.,<br />

2 Almanacco romano, 17 settembre 2011, <strong>Il</strong> santo che oscurò il<br />

Concilio.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660


| ( 3 ) |<br />

balli formali non quelli tribali in voga) per<br />

abituarli, spiega, alle “competenze trasferibili<br />

di decoro, etichetta, essere educati con l'altro,<br />

rispetto, dignità”. Purtroppo il film è così<br />

pieno di luoghi comuni da distruggere quasi<br />

completamente il messaggio, ma tant'è.<br />

Ho scelto questo esempio solo per variare<br />

dai nostri temi consueti, avrei potuto parlare<br />

di arte, di poesia (la battaglia di Carl Schmitt<br />

per la rima, che abbiamo fatto nostra, è tanto<br />

diversa da quella di Pierre Dulaine per il ballo<br />

da sala), di scuola: nel mondo moderno non<br />

c'è niente che nel suo aspetto più comune ci<br />

possa piacere, anzi quasi sempre ci disturba, ci<br />

spinge alla fuga.<br />

Ma per fortuna ci sono ancora mille possibilità<br />

di ritrovare, ed a costi irrisori, ciò che<br />

cerchiamo. Sono generi che oggi hanno poco<br />

mercato, se non ne sono sempre stati fuori: si<br />

assiste gratis al prodigio di una messa in latino,<br />

celestialmente cantata, nella chiesa d'Ognissanti...<br />

E tra le maglie del sistema resta<br />

ancora tanto di nuovo e buono da scoprire,<br />

anch'esso nascosto e isolato.<br />

Ecco quindi il primo scopo che <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> si<br />

è dato e perlomeno in qualche caso ha raggiunto:<br />

aiutare questi refrattari a non dubitare<br />

di se stessi, dei propri gusti e delle proprie<br />

idee, a dirsi “nonostante tutto sono gli altri ad<br />

essere pazzi, non io”.<br />

L’esistenza del vero reazionario di solito scandalizza<br />

il progressista. La sua presenza in qualche<br />

modo lo disturba. Di fronte all’atteggiamento<br />

reazionario il progressista prova un leggero<br />

disprezzo, accompagnato da sorpresa e da<br />

inquietudine. Per placare i propri timori, il<br />

progressista è solito interpretare questo atteggiamento<br />

inopportuno e urtante come travestimento<br />

d’interessi o come sintomo di stoltezza;<br />

ma soltanto il giornalista, il politico e lo stupido<br />

non si turbano, segretamente, di fronte alla<br />

tenacia con cui le più elevate intelligenze d’Occidente,<br />

da centocinquant’anni, accumulano<br />

obiezioni contro il mondo moderno. Infatti, un<br />

disprezzo di compiacenza non sembra la risposta<br />

adeguata a un atteggiamento nel quale un<br />

Goethe si può affratellare a un Dostoievski. 3<br />

Z [<br />

Un rischio, anzi, il rischio, della condizione<br />

antimoderna (corso anche dallo stesso<br />

Marcolla) è la possibile cattura da parte delle<br />

fascinose teorie guenoniane, quindi anticristiane,<br />

alla Roberto Calasso: neopaganesimo,<br />

induismo, esoterismo, mito della società castale<br />

contrapposta a quella “liquida”. Su questo<br />

punto dobbiamo fare, abbiamo fatto, delle<br />

scelte<br />

Qui devo sintetizzare fortemente, richiamando<br />

opere come il film Apocalypto di Mel<br />

Gibson, il bel testo divulgativo Indagine sul<br />

cristianesimo di Francesco Agnoli e soprattutto<br />

i lavori di René Girard. Esse ci parlano dei<br />

meriti della società occidentale-cristiana: il<br />

superamento della pervasiva paura dei morti,<br />

la cura dei bambini e delle donne, dei malati e<br />

dei vecchi, lo sviluppo della persona, la fine<br />

della logica del sacrificio della vittima innocente<br />

(secondo Girard “l'esca” Gesù immolandosi<br />

ha reso la società del sacrificio ormai<br />

irripetibile). Chi si aggiri andando con la<br />

mente oltre la museificazione nell'ex Ospedale<br />

di Santa Maria della Scala di Siena, o<br />

consideri quanta bellezza c'è ancora dentro<br />

quello non ex di S. Maria Nuova di Firenze<br />

(anche se purtroppo oggi le opere d'arte sono<br />

separate dai malati) può rendersi facilmente<br />

conto di come il mutamento, il progresso,<br />

non abbia necessariamente un esito nichilista.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> sta quindi dalla parte dell'Occidente<br />

cristiano, ed accetta, come peraltro<br />

hanno fatto i grandi pensatori ed artisti del<br />

medioevo o dell'epoca barocca, la sfida del<br />

cambiamento, senza rimpianti per la società<br />

castale. Ma la situazione è sconfortante: la<br />

modernità, figlia del cristianesimo, ha ormai<br />

imboccato una strada distruttiva della quale<br />

3 Nicolás Gómez Dávila (1913-1994) <strong>Il</strong> vero reazionario, in Cristianità<br />

N.287-288, marzo aprile 1999.<br />

8 ottobre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

non si vede via d'uscita; unica possibile forza<br />

rilevante che potrebbe porsi di mezzo, e che<br />

in parte lo ha fatto e lo fa, è la Chiesa cattolica,<br />

dentro la quale, e questa è una buona<br />

notizia, è sempre più forte la spinta ad uscire<br />

dalla subalternità e dal vicolo cieco imboccato<br />

(non dottrinariamente, ma operativamente sì)<br />

col Concilio Vaticano II. Ce lo assicurano i<br />

buoni teologi e soprattutto il Vangelo, dove è<br />

scritto che non prevarranno.<br />

Z [<br />

Nondimeno non vediamo avere tregua l'opera<br />

di distruzione dell'intero mondo umano:<br />

si pensi solo al nuovo lysenkismo rappresentato<br />

dalla cosiddetta teoria dei gender, ce ne<br />

parlerà Armando Ermini, che sta profilando<br />

la più tremenda delle rovine antropologiche,<br />

e non c'è solo quel veleno... Sembra quindi,<br />

per ora, che la modernità si stia rivolgendo<br />

contro le premesse cristiane che l'hanno prodotta.<br />

Non venga vista come irriverente l'analogia<br />

col triste bilancio di Guy Debord:<br />

(Una linea di giganteschi grattacieli investe la<br />

vecchia Parigi) Quanto a ciò che abbiamo fatto,<br />

come sarebbe possibile valutarne il risultato attuale<br />

Noi attraversiamo oggi questo paesaggio<br />

devastato dalla guerra che una società combatte<br />

contro se stessa, contro le sue proprie possibilità.<br />

(Alcune vedute della neo-Parigi, e altri paesaggi<br />

sconvolti per i bisogni dell'abbondanza di<br />

merci) L'imbruttimento di tutto era senza dubbio<br />

il prezzo inevitabile del conflitto. […] La<br />

causa più vera della guerra, di cui si sono date<br />

tante spiegazioni fallaci, è che doveva necessariamente<br />

nascere come uno scontro sul cambiamento;<br />

nulla le restava più dei caratteri di una<br />

lotta tra conservazione e cambiamento, in un<br />

tempo che cambia. I proprietari della società<br />

erano costretti, per mantenersi, a volere un<br />

cambiamento che era l'inverso del nostro. Noi<br />

volevamo ricostruire tutto, e loro anche, ma in<br />

direzioni diametralmente opposte. Ciò che<br />

hanno fatto è sufficiente a mostrare, in negativo,<br />

il nostro progetto. I loro immensi lavori<br />

non li hanno dunque condotti che a questo<br />

punto, a questa corruzione. L'odio della dialettica<br />

4 ha condotto i loro passi fino a questo<br />

grande letamaio. (Terreno di decantazione degli<br />

scarichi industriali contemporanei). 5<br />

A mio giudizio il fallimento senza appello<br />

dei situazionisti è dato proprio dal non aver<br />

saputo trarre le conclusioni (che non potevano<br />

che essere la conversione, alla Huysmans)<br />

delle loro premesse di critica della dissoluzione<br />

del rapporto sociale generata dal capitalismo...<br />

Z [<br />

Così stando le cose <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> non vuole alimentare<br />

illusioni, ma essere positivo sì, come i<br />

nostri lettori sanno. Facciamo nostra la raccomandazione<br />

di Gómez Dàvila “non rifiutare,<br />

ma preferire”, che si associa all'aureo detto<br />

“meglio accendere una candela che maledire<br />

l'oscurità”. Per concludere ricorro ancora<br />

a parole del grande pensatore colombiano:<br />

Se il progressista si volge al futuro, e il conservatore<br />

al passato, il reazionario non misura i<br />

propri desideri con la storia di ieri o con la storia<br />

di domani. <strong>Il</strong> reazionario non plaude a<br />

quanto porterà l’alba prossima, né si aggrappa<br />

alle ultime ombre della notte. La sua abitazione<br />

si leva nello spazio luminoso in cui le essenze<br />

lo chiamano con le loro presenze immortali.<br />

<strong>Il</strong> reazionario sfugge alla schiavitù della storia<br />

perché ricerca nella selva umana l’orma di passi<br />

divini. Gli uomini e i fatti sono, per il reazionario,<br />

una carne servile e mortale animata da venti<br />

di tramontana.<br />

Essere reazionario significa difendere cause<br />

che non girano sulla scacchiera della storia,<br />

cause che non importa perdere.<br />

Essere reazionario significa che ci limitiamo a<br />

scoprire quanto crediamo d’inventare; [...]<br />

Essere reazionario non significa abbracciare<br />

4 Si potrebbe sostituire con “L'odio per Cristo”.<br />

5 Guy Debord, “In girum imus nocte et consumimur igni”, in<br />

Opere cinematografiche complete, Arcana, Roma 1980, p.315. Trattandosi<br />

del testo di un film, abbiamo lasciato anche i rimandi alle<br />

immagini.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660


| ( 5 ) |<br />

determinate cause, né patrocinare determinati<br />

fini, ma assoggettare la nostra volontà alla necessità<br />

che ci costringe, arrendere la nostra libertà<br />

all’esigenza che ci spinge; significa trovare<br />

le evidenze che ci guidano addormentate<br />

sulla riva di stagni millenari.<br />

<strong>Il</strong> reazionario non è il sognatore nostalgico di<br />

passati conclusi, ma il cacciatore di ombre sacre<br />

sulle colline eterne. 6<br />

STEFANO BORSELLI<br />

6 <strong>Il</strong> vero reazionario, op. cit.<br />

a Decostruire l’umanità.<br />

DI ARMANDO ERMINI<br />

Più che del maschile in senso stretto, come<br />

da programma, vorrei piuttosto contestualizzare<br />

il tema del maschile e del femminile oggi<br />

in un contesto più vasto, connesso con quanto<br />

accade in altri ambiti della vita sociale.<br />

Credo infatti che ogni tema che affrontiamo<br />

resterebbe per così dire monco o meglio muto<br />

ad una comprensione più profonda delle sue<br />

origini se contemporaneamente non lo vediamo<br />

come parte di un flusso nel quale ogni fenomeno<br />

è connesso con gli altri.<br />

j<br />

Vorrei partire da due concetti in apparenza<br />

estranei al tema, espressi uno da Ciro Lomonte<br />

in “Un calice del 1998” pubblicato sul<br />

n°624 de <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>, l’altro pubblicato dapprima<br />

sul n°320 dello stesso e poi ripreso in Antiarchiettura<br />

e demolizione (Libreria Editrice<br />

Fiorentina 2007), di Nikos Salìngaros, ed entrambi<br />

riferentesi all’architettura ed agli oggetti.<br />

Scrive Lomonte:<br />

“Con il termine decorazione non intendiamo un<br />

abbellimento giustapposto all’oggetto. La vera<br />

architettura non è costituita mai solo da struttura<br />

e materiali ostentati come uno scheletro (elegante<br />

ma pur sempre insufficiente) senza carne<br />

e senza pelle. <strong>Il</strong> vero ornamento è coessenziale all’organismo<br />

architettonico. In qualche modo deve<br />

esserci e non può essere tolto senza mettere a<br />

repentaglio la vita dell’opera”.<br />

E riferendosi al design moderno prosegue<br />

“esso va bene per prodotti industriali di uso comune,<br />

non per oggetti carichi di significato e<br />

con esigenze funzionali complesse che richiedono<br />

una progettazione e una realizzazione artigianale<br />

anche quando sono prodotti in serie”.<br />

Da parte sua Salìngaros scrive:<br />

“il nostro corpo e i nostri sensi riconoscono le<br />

strutture adatte che dispongono di una similarità<br />

fondamentale con la nostra struttura. <strong>Il</strong><br />

8 ottobre 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

benessere fisiologico e psicologico è basato sulla<br />

consanguineità con l’ambiente”.<br />

Ora, mentre gli stili architettonici tradizionali<br />

o vernacolari, sia pure nella loro diversità,<br />

rispondono a quel criterio di similarità,<br />

ciò non accade nell’architettura modernista,<br />

prosegue Salìngaros. Sempre nell’articolo<br />

citato, riprende il concetto di biofilia elaborato<br />

da Edward Wilson, secondo il quale il<br />

corpo umano, formatosi nel lontano passato<br />

preistorico, conserva memoria ereditaria dell’ambiente<br />

di allora e cerca continuamente di<br />

riprodurlo nel nostro ambiente contemporaneo.<br />

“La qualità del nostro ambiente primordiale<br />

originale, cioè una savana con alberi distanziati,<br />

è matematicamente complessa in modo molto<br />

preciso. È la stessa complessità frattale che<br />

si trova nella struttura biologica (per esempio il<br />

polmone). Riconosciamo la stessa complessità,<br />

o la sua assenza, nelle strutture costruite. Dove<br />

c’è, sentiamo bene, e dove non c’è, sentiamo male.”<br />

Parole che potrebbero trovar posto alla<br />

perfezione nelle Lettere dal lago di Como di<br />

Romano Guardini quando descrive, meravigliato<br />

e attonito, l’ambiente intorno al lago,<br />

laddove l’uomo seppe costruire e modellare il<br />

paesaggio in modo congruente non solo con<br />

un ideale estetico, ma in armonia con la sua<br />

anima e il suo corpo.<br />

Dall’unione/combinazione dei due concetti<br />

si deducono quindi due cose. 1) Un edificio,<br />

per essere “vitale”, deve possedere una sua<br />

coerenza fra la struttura interna e l’aspetto<br />

esterno. 2) Nel suo complesso tale edificio,<br />

ma in generale vale anche per un aggregato di<br />

edifici come una città o un villaggio, deve riprodurre<br />

in scala una struttura simile a quella<br />

biologica. Quando queste due condizioni non<br />

si verificano, si produce nell’osservatore o nel<br />

fruitore di quell’edificio o di quella città un<br />

effetto di disagio e di malessere, proprio come<br />

il corpo percepisse e somatizzasse una stonatura,<br />

benché non sempre sappia rendersi esattamente<br />

conto del perché.<br />

Ora, se noi proviamo ad applicare quei<br />

concetti all’essere umano, possiamo renderci<br />

conto ad esempio del perché è inevitabile<br />

provare un senso di disagio dinanzi ad una<br />

persona la cui struttura corporea è maschile<br />

ma abiti e gestualità femminili, e naturalmente<br />

viceversa. Accade ancora oggi nonostante<br />

la massiccia offensiva mediatica tesa a<br />

convincerci del contrario. <strong>Il</strong> disagio non origina<br />

da giudizi morali (moralistici) che non ci<br />

competono e che non hanno motivo d’essere<br />

pronunciati, ma proprio dalla percezione di<br />

una frattura fra complessivo aspetto esteriore<br />

e ciò che si suppone essere il carattere sessuale<br />

interno proprio del maschio o della femmina.<br />

E d’altra parte, mentre un/una omosessuale<br />

che si muova e si vesta in modo consono al suo<br />

sesso non produce nessun effetto di quel tipo,<br />

quel senso di disagio tende a ripresentarsi allorché<br />

gli aspetti esteriori tradizionalmente<br />

propri del maschile e del femminile vengono<br />

accentuati in modo parossistico, come se si<br />

percepisse che l’accentuazione dell’esterno<br />

servisse a coprire un deficit d’identità interna.<br />

Come in un oggetto o un edificio, l’ornamento<br />

è coessenziale alla struttura, e l’osservatore<br />

coglie l’eventuale distonia. Nell’essere umano,<br />

da sempre, l’immagine esteriore è stata<br />

congrua con le caratteristiche psichiche interiori,<br />

e ciò assicurava equilibrio e consapevolezza<br />

della propria identità di genere, senza<br />

che ciò fosse sentito come una costrizione<br />

“sociale” ma come corrispondenza naturale e<br />

ovvia fra i caratteri di genere interni ed<br />

esterni.<br />

Non vuol dire che dappertutto e in ogni<br />

tempo abiti, costumi, ornamenti, abitudini di<br />

vita maschili da una parte e femminili dall’altra<br />

siano stati sempre identici a se stessi, ma<br />

che ogni civiltà ha sempre elaborato propri<br />

canoni stilistici esterni diversificati fra mad<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 660


| ( 7 ) |<br />

schile e femminile che, in linea di sostanza,<br />

erano congrui con ciò che era attribuito al<br />

maschile e ciò che era attribuito al femminile<br />

in quanto carattere interno.<br />

La cultura, potremmo dire, ha dunque il<br />

compito, se indirizzata al benessere dell’umanità,<br />

di favorire l’armonia interna dell’essere<br />

umano e quella fra l’uomo e l’ambiente che<br />

egli contribuisce a modellare, senza che ciò<br />

significhi in alcun modo procedere verso l’omologazione.<br />

Esiste, al contrario, uno spazio<br />

immenso in cui la creatività e la naturale tendenza<br />

alla diversificazione e all’innovazione si<br />

possono esercitare senza allontanarsi dal dato<br />

naturale, esattamente come non esiste armonia<br />

solo intorno al lago di Como, e come<br />

quell’armonia può essere rintracciata in stili<br />

architettonici diversi fra di loro. Lo stesso vale,<br />

a mio avviso, per il maschile e il femminile,<br />

diversi fra di loro e diversi al loro interno per<br />

il modo con cui le culture hanno contribuito a<br />

modellarne forme esteriori e caratteristiche<br />

interiori, ma sempre rispettando il loro “programma”<br />

fondamentale che è dato in natura<br />

o, se si vuole, è stato stabilito da Dio.<br />

. IL DECOSTRUTTIVISMO, PROGRAMMA<br />

DELLA MODERNITÀ.<br />

In Antiarchiettura e demolizione, Salìngaros<br />

definisce la filosofia decostruttivista come<br />

l’antitesi del procedimento scientifico. La<br />

scienza tenta di comprendere la complessità<br />

ordinata dell’universo. Essa procede assemblando<br />

idee diverse, messe a punto da ricercatori<br />

diversi con tecniche diverse, in un quadro<br />

coerente. A volte gli scienziati isolano una<br />

struttura per studiarne le parti, ma solo al fine<br />

di comprendere meglio il funzionamento dell’insieme.<br />

La decostruzione è l’antitesi di questo<br />

procedimento: è l’isolamento della forma<br />

per il piacere del gesto. Si distrugge così la<br />

complessità ordinata che la natura ha meravigliosamente<br />

sintetizzato, dalla quale noi stessi<br />

deriviamo. Questa distruzione è solo una rivolta<br />

contro le forze evolutive che ci hanno<br />

creato.<br />

“La decostruzione cancella il modo normale di<br />

pensare [...] smantella strutture, proposizioni<br />

logiche, osservazioni e credenze tradizionali<br />

[...]”<br />

e lo fa introducendo un virus, come lo stesso<br />

Derrida, suo fondatore, rivendica. Prosegue<br />

Salìngaros:<br />

“La decostruzione cancella il modo normale di<br />

pensare. Può apparire incomprensibile, ma è<br />

nondimeno molto efficace: cancella le connessioni<br />

che formano pensieri coerenti. Agisce come<br />

un virus informatico che cancella l informazioni<br />

nel disco rigido. <strong>Il</strong> virus Derrida tenta<br />

di minare qualunque significato primario tramite<br />

un gioco di parole complesso e interamente<br />

autoreferenziale 7 . D'altra parte critici acuti<br />

hanno licenziato Derrida come un altro degli<br />

oscuri filosofi francesi. Invece, ciò che ha introdotto<br />

è molto pericoloso. Egli trasforma la<br />

conoscenza in casualità, così come un virus distrugge<br />

gli organismi viventi disintegrando le<br />

singole cellule. Le sue proprietà possono essere<br />

sintetizzare come segue:<br />

(1) È una quantità minima di informazioni<br />

codificate come un elenco di istruzioni da seguire<br />

o di esempi da copiare.<br />

(2) Dall’interno il virus dirige la parziale distruzione<br />

dell’ordine e della connettività<br />

nella struttura ospitante.<br />

(3) <strong>Il</strong> virus dirige in seguito il riassemblaggio<br />

delle parti della struttura ospite ormai disintegrata,<br />

ma in maniera tale da negare le connessioni<br />

necessarie per raggiungere la coerenza<br />

e la vita.<br />

(4) <strong>Il</strong> prodotto finale deve codificare il virus<br />

all’interno della propria struttura.<br />

(5) Un prodotto destrutturato è il veicolo<br />

per la trasmissione del codice virale a un<br />

prossimo ospite.”<br />

In tal modo<br />

7 Vedi Roger Scruton, “the Devil's Work”, capitolo 12 di “An<br />

Intelligent Person's Guide to Modern Culture”, St. Augustine's<br />

Press, Indiana 2000.<br />

8 ottobre 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

“la decostruzione è riuscita a smantellare la<br />

letteratura, l’arte e l’architettura tradizionali<br />

in modo sorprendente [...] distrugge soltanto<br />

parzialmente il suo ospite perché la distruzione<br />

totale impedirebbe un’ulteriore trasmissione<br />

[...] rompe la serie coerente delle idee separando<br />

gli insiemi naturali in sottoinsiemi. Alcuni<br />

di questi sottoinsiemi sono distrutti selettivamente<br />

per poi ricollocare in maniera casuale gli<br />

elementi in un insieme incoerente”.<br />

Mi fermo qui con la citazione, aggiungendo<br />

che non solo sono state smantellate l’arte,<br />

e l’architettura e la letteratura, ma prima ancora<br />

si è reso necessario smantellare la concezione<br />

antropologica tradizionale secondo la<br />

quale maschile e femminile sono ontologicamente<br />

diversi e come tali si manifestano interiormente<br />

ed esteriormente, pur godendo ovviamente<br />

di identica natura,e quindi dignità,<br />

umana.<br />

È sorprendente come quel programma di<br />

decostruzione di cui scrive Salìngaros a proposito<br />

di letteratura e architettura si applichi<br />

perfettamente alla nuova antropologia che si<br />

vorrebbe diventasse patrimonio comune dell’umanità.<br />

Nello specchietto che segue, sulla sinistra<br />

ho trascritto dall’articolo di Nikos Salìngaros<br />

i cinque punti tramite i quali opera il virus di<br />

Derrida, mentre sulla destra ho cercato di<br />

schematizzare il modus operandi del virus<br />

sull’antropologia “tradizionale”, trovando<br />

una analogia impressionante, a dimostrazione,<br />

se ancora ce ne fosse bisogno, che tutti i<br />

campi dell’agire umano sono connessi e che il<br />

maintream agisce a tutti i livelli, ognuno dei<br />

quali converge verso l’identico obbiettivo di<br />

smantellare e annullare ogni visione tradizionale<br />

sedimentata nella psiche profonda dell’uomo,<br />

bollandola come costruzione idelogica<br />

oscurantista e retrograda. Vale per l’arte,<br />

per l’architettura, per la letteratura, ma anche<br />

per come l’umanità percepisce se stessa.<br />

Per fare ciò mi sono anche avvalso del contributo<br />

offerto dal libro, assolutamente da<br />

leggere, di Alessandra Nucci, La donna a<br />

una dimensione (Marietti 2006), che assembla<br />

una serie di dati, fatti, documenti, testimonianze<br />

e quant’altro che dimostrano oltre<br />

ogni dubbio l’esistenza di un disegno preciso,<br />

sostenuto e promosso da Enti che sono riusciti<br />

ad ottenere grande credibilità presso l’opinione<br />

pubblica, tale da sentirsi in diritto di sostenere<br />

certe concezioni senza sentire la necessità<br />

di dimostrarle. Loro scopo, scrive, è<br />

“promuovere attivamente un modello androgino<br />

e scomponibile di umanità”.<br />

IL MODUS OPERANDI DEL VIRUS DI DERRIDA<br />

1<br />

In generale<br />

È una quantità minima di informazioni<br />

codificate come un<br />

elenco di istruzioni da seguire o di<br />

esempi da copiare.<br />

(Le informazioni, o gli esempi, vengono<br />

da coloro che godono di così grande<br />

fama e autorevolezza nel loro<br />

campo che le loro affermazioni vengono<br />

assunte come vere aprioristicamente<br />

per il solo fatto di essere pronunciate,<br />

come ad esempio le Archistar moderniste<br />

in campo architettonico. )<br />

Sul piano antropologico<br />

(In questo caso sono i grandi enti internazionali, l’ ONU e le<br />

sue Agenzie quali Unesco, Unicef, Oms, e le Ong che vi gravitano<br />

intorno, seguite a ruota dall’immancabile UE, a dettare<br />

l’agenda, ossia a iniettare il virus in modo sistematico, sfruttando<br />

il credito e l’autorevolezza di cui sono stati investiti, come<br />

argomenta A. Nucci nel libro citato.)<br />

1a) Si da per cosa acquisita e scontata, senza necessità di dimostrazione,<br />

che uomini e donne siano per natura identici<br />

quanto a gusti, passioni, inclinazioni, obbiettivi di vita, modi<br />

di pensare e concepire il mondo e la realtà circostante.<br />

Con la conseguenza automatica che quando in qualsiasi<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660


| ( 9 ) |<br />

1 campo dell’operare umano esiste una diversa partecipazione per<br />

sesso, ciò è sempre e comunque dovuto ad una discriminazione di<br />

ordine culturale. O, per essere più esatti, ad una discriminazione<br />

di tipo patriarcale che gli uomini, da sempre, avrebbero esercitato<br />

sul gruppo femminile. La natura, cioè, sarebbe neutra e inesistente<br />

il rapporto fra il corpo e la psiche. La concezione del<br />

Gender (ogni differenza fra maschi e femmine è un costrutto culturale<br />

ai danni delle donne), è alla base di innumerevoli documenti<br />

programmatici dell’Onu e delle Agenzie di cui si avvale.<br />

Quando la realtà contraddice il presupposto, come in ogni ideologia,<br />

la si ignora o non potendolo fare, la si imputa alla “cultura”<br />

oppressiva che avrebbe influenzato comportamenti e modi di<br />

essere altrimenti diversi.<br />

1b) Parallelamente si da per scontato da un lato che la figura del<br />

padre non sia necessaria per il figlio, e dall’altro che per una<br />

donna la maternità sia, anche quando voluta e cercata, un ostacolo<br />

alla piena realizzazione esistenziale e alla sua libertà, un peso<br />

che impedirebbe alle donne di sviluppare le loro capacità in<br />

altri campi. Anche in questi casi si ignora che non solo centinaia<br />

di studi teorici dicano il contrario, ma che anche che tutte le statistiche<br />

contraddicano questi assunti.<br />

2<br />

3<br />

Dall’interno il virus dirige la<br />

parziale distruzione dell’ordine<br />

e della connettività nella<br />

struttura ospitante.<br />

<strong>Il</strong> virus dirige in seguito il<br />

riassemblaggio delle parti<br />

della struttura ospite ormai<br />

disintegrata, ma in maniera<br />

tale da negare le connessioni<br />

necessarie per raggiungere la<br />

coerenza e la vita.<br />

In conseguenza alla distruzione dell’ordine simbolico tradizionale<br />

maschi e femmine (più i primi che le seconde, per motivi<br />

che è qui troppo lungo trattare) entrano in uno stato di crisi<br />

identitaria. I maschi si abituano a pensarsi portatori di violenza<br />

ed oppressione, quindi a svalutarsi in quanto persone e rinnegare<br />

come intrinsecamente sbagliato e fonte di sofferenza per gli altri,<br />

ciò che sentono dentro se stessi, con sviluppo di sensi di colpa<br />

opprimenti o, al contrario, di ribellioni violente e controproducenti.<br />

Le donne si abituano a considerarsi sempre le vittime in<br />

ogni situazione esistenziale, a sviluppare un senso di rivalsa e invidia<br />

contro gli uomini, a percepirsi, per motivi opposti a quelli<br />

dei maschi, sbagliate e manipolate quando il loro sentire non è<br />

conforme a quello che si propaganda come ovvio e normale.<br />

Precipitati nel caos e nella contraddizione fra il corpo che sente<br />

in un modo e la mente addomesticata in un altro, gli individui di<br />

entrambi i sessi cercano faticosamente di ricostruirsi, ma lo faranno<br />

necessariamente senza potersi sentire mai “interi”, ossia<br />

connessi con se stessi ed il proprio programma biologico. L’aumento<br />

dei comportamenti omosessuali sono un sintomo, ma basta<br />

osservare i costumi in voga per rendersene conto. I maschi<br />

tendono a femminilizzarsi (consumo di cosmetici, depilazione<br />

etc), e le femmine a mascolinizzarsi (corpi muscolosi, attività<br />

sportive che implicano molta forza fisica, boxe, rugby etc.),<br />

mentre anche il modo di vestire unisex tende alla confusione e<br />

all’ibridazione. D’altra parte anche nei rapporti reciproci, maschi<br />

e femmine tendono sempre di più al cameratismo e a non tener<br />

conto delle differenze, con reciproca insoddisfazione.<br />

8 ottobre 2011 Anno XI


4<br />

5<br />

<strong>Il</strong> prodotto finale deve codificare<br />

il virus all’interno della<br />

propria struttura.<br />

Un prodotto destrutturato è<br />

il veicolo per la trasmissione<br />

del codice virale a un prossimo<br />

ospite.<br />

| ( 10 ) |<br />

<strong>Il</strong> nuovo individuo androgino, ha ormai incorporato il virus.<br />

Ormai non sa più individuare l’ origine del disagio e ha dimenticato<br />

il suo programma originario.<br />

L’uomo e la donna nuovi, in carenza di robusti anticorpi, sono<br />

così pronti a trasmettere il virus incorporato alle nuove generazioni,<br />

anche non volendolo fare espressamente.<br />

Ora, poiché il presupposto è che l’essere<br />

mentalmente e psicologicamente maschi o<br />

femmine è un puro costrutto culturale, e che<br />

tale costrutto è quello che i maschi avrebbero<br />

imposto alle donne, la destrutturazione antropologica<br />

si fonda su alcuni passaggi fondamentali.<br />

a) La svalutazione e la distruzione della<br />

maschilità tradizionale, presupposto per la liberazione<br />

sia delle donne che degli uomini. È<br />

significativa a questo proposito la storia della<br />

parola Virtù, come osserva Julius Evola in<br />

L’arco e la clava, cap. V (Scheiwiller, Milano<br />

1971):<br />

“Anche le parole hanno una loro storia e spesso<br />

il mutamento subito dai loro contenuti è un interessante<br />

indice barometrico di corrispondenti<br />

mutamenti di sensibilità generale e della visione<br />

del mondo. In particolare, sarebbe interessante<br />

fare un confronto fra il significato che alcune<br />

parole ebbero nell’antica lingua latina e<br />

quello che è proprio a termini corrispondenti,<br />

rimasti quasi uguali, della lingua italiana [...]<br />

In genere si può osservare una caduta di livello.<br />

<strong>Il</strong> senso più antico o è andato perduto, o sopravvive<br />

in forma residuale in qualche particolare<br />

accezione o locuzione […] o ancora, appare<br />

del tutto discordo e di frequente banalizzato<br />

[…] il caso più tipico e noto è costituito dalla<br />

parola virtus. La virtù in senso moderno non<br />

ha quasi nulla a che fare con l’antica virtus.<br />

Virtus significava forza d’animo, coraggio,<br />

prodezza, saldezza virile. Si legava a Vir, termine<br />

designante l’uomo come veramente tale,<br />

non come uomo in senso generico e naturalistico.<br />

La stessa parola nella lingua moderna ha<br />

assunto, invece, un senso essenzialmente moralistico,<br />

spessissimo associato a pregiudizi sessuali,<br />

tanto che riferendosi ad esso Vilfredo Pareto<br />

ha coniato il termine virtuismo per designare<br />

la morale puritana e sessuofobica borghese<br />

[…] E la differenza non di rado può trasformarsi<br />

quasi in una antitesi. Infatti un animo<br />

saldo, fiero, intrepido, eroico, è il contrario di<br />

ciò che significa una persona virtuosa nel senso<br />

moralistico e conformistico moderno.”<br />

Non mi interessa, in questa sede, discutere<br />

del nuovo significato moderno del termine<br />

così come lo definisce Evola, quanto piuttosto<br />

di cosa significa la scomparsa del significato<br />

originario. <strong>Il</strong> maschio saldo, fiero, intrepido<br />

ed eroico, oggi è il contrario del virtuoso, è<br />

tendenzialmente un violento aggressivo. Anche<br />

altri termini da sempre associati al maschile<br />

hanno seguito la stessa trasformazione.<br />

Ad esempio Onore, che dal significato di rispetto<br />

della parola data, capacità di mantenere<br />

le promesse, di saldare i debiti, di difendere<br />

i più deboli dall’arroganza e dalla prepotenza<br />

dei più forti, è passato dapprima a significare<br />

la fedeltà muliebre nel matrimonio di<br />

cui lo sposo si fregia, per poi finire come autoidentificazione<br />

del mafioso, l’uomo d’onore.<br />

Un totale rovesciamento, anche in questo<br />

caso, del significato originario che disegna la<br />

parabola del maschile dall’antichità ai giorni<br />

nostri.<br />

L’opera di svalutazione si avvale di ogni<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660


| ( 11 ) |<br />

mezzo mediatico, ma inizia fin nella scuola.<br />

Perfino una scrittrice femminista della prima<br />

ora come Doris Lessing, si dovette convincere<br />

che tutto il sistema scolastico inglese era indirizzato<br />

in quel senso. E C. Off Sommers, in<br />

The war Against Boys (Touchstone, N.Y.<br />

2000), scrive:<br />

“I maschi sono continuamente attaccati per la<br />

loro identià. Abbiamo creato a scuola il senso<br />

che la mascolinità sia qualcosa di cattivo. I maschi<br />

si sentono in colpa ed è sorta una cultura<br />

scolastica che è sospettosa ed ha paura dei maschi.”<br />

b) L’attacco sistematico alla religione cristiana<br />

ma in particolare alla Chiesa Cattolica,<br />

considerata maschilista, oppressiva verso le<br />

donne e strumento principe del patriarcato.<br />

c) La svalutazione conseguente della donna/madre,<br />

e in particolare della figura della<br />

Madonna, vista simbolo della sottomissione<br />

femminile e della sua relegazione nell’ambito<br />

domestico. “La maternità è una delle insidie<br />

più velenose del patriarcato” (Lidia Menapace).<br />

Per dirla con le parole della Nucci,<br />

“<strong>Il</strong> conseguente assalto alla cultura popolare<br />

ha preso sostanzialmente cinque direzioni: delegittimare<br />

la normalità (stereotipizzare), far<br />

diventare norma l’eccezione (culto della diversità),<br />

inculcare motivi di risentimento e di accusa<br />

(vittimismo), delegittimare su questa base<br />

la religione cristiana e in particolare la gerarchia<br />

cattolica (patriarcato), sacralizzare con<br />

intento risarcitorio il femminile (neopaganesimo).”<br />

j<br />

Mi fermo qui, e non perché non vi sarebbero<br />

problemi importanti di cui discutere:<br />

a) Posto che incontestabilmente l’uomo<br />

nuovo, individuo parziale senza identità e memoria<br />

storica, è , in qualità di mero consumatore<br />

non solo di oggetti ma anche del tempo,<br />

funzionale all’economia globalizzata, perché<br />

i governi occidentali, anche quelli che in teoria<br />

dovrebbero essere su posizioni opposte,<br />

hanno finito per delegare queste questioni alle<br />

Agenzie Onu, per di più finanziandole abbondantemente<br />

Solo per colpevole sottovalutazione<br />

di questioni non direttamente attinenti<br />

alla “roba”, detto in termini più eleganti<br />

all’economia, il nuovo “feticcio” della modernità<br />

b) Oppure c’è di più, oppure sono compartecipi<br />

di una visione del mondo tesa a sacralizzare<br />

il femminile e che ha fatto breccia anche<br />

in settori della Chiesa Cattolica La teologia<br />

femminista, scrive A. Nucci,<br />

“[…] pretendendo di continuare a chiamarsi<br />

cristiana, anzi cattolica, riflette il neo-gnosticismo<br />

New Age e teosofico di cui mira ad attuare,<br />

secondo lo spirito dell’Età dell’Acquario,<br />

il principio dell’egemonia della donna, ripristinando<br />

un’ordine ribaltato dal Dio della<br />

Genesi.”<br />

Del resto la neoteologia femminista si salda<br />

con tutte quelle antropologie che, col pretesto<br />

di una malintesa salvaguardia della natura,<br />

assumono aspetti psichicamente regressivi<br />

che riporterebbero l’umanità al tempo in<br />

cui l’uomo non distingueva se stesso dal resto<br />

del cosmo, non aveva cioè elaborato compiutamente<br />

la distinzione autoriflessiva fra “io” e<br />

“tu”. Wangari Maathai, che fa parte del comitato<br />

promotore della Carta della Terra e<br />

della Croce Verde internazionale, vorrebbe<br />

riscrivere la Bibbia nel senso di<br />

“una Bibbia nella quale l’uomo, la natura e Dio<br />

siano parte di un tutto indifferenziato, per rompere<br />

la tradizione abramitica del giudaismo, del<br />

cristianesimo e dell’islam, dominata dall’antropocentrismo”<br />

(ciclo di conferenze nell’ottobre<br />

1998 organizzato dal Programma per l’Ambiente<br />

delle Nazioni Unite)<br />

Sulla stessa linea di pensiero totalizzante,<br />

che vede “il mondo come un tutto unico, in<br />

cui l’umanità è posta sullo stesso livello delle<br />

8 ottobre 2011 Anno XI


| ( 12 ) |<br />

piante e degli animali e il raziocinio è secondario<br />

all’emozione” (A. Nucci, op. cit.) si situano<br />

personaggi assai diversi, da Michael<br />

Gorbaciov a Vandana Shiva. Personalmente<br />

non sono un complottista e non penso che<br />

tutto ciò nasca da un disegno studiato a tavolino<br />

dalla massoneria internazionale. Credo<br />

piuttosto nel fatto che esistano momenti storici<br />

in cui correnti di pensiero, forze e interessi<br />

di origini varie, anche opposte, finiscono<br />

per saldarsi e confluire in uno stesso alveo,<br />

sebbene con intenti e ruoli diversi. Alcune di<br />

queste forze sono vincenti, altre, illudendosi<br />

di ritornare all’Arcadia, sono funzionali alle<br />

prime.<br />

In ogni caso, ed oltre le risposte che possiamo<br />

dare ai quesiti posti sopra, alcune cose<br />

mi sembrano già evidenti.<br />

1) la concezione vincente della modernità<br />

sta disarticolando tutto il sistema simbolico su<br />

cui l’Occidente ha costruito la sua civiltà e<br />

l’ha resa vincente non tanto e non solo sul<br />

piano economico, ma prima ancora culturale.<br />

Tale sistema simbolico, se ha avuto origine e<br />

tratto alimento dal mondo greco e giudaico,<br />

tuttavia è fondato dal e sul cristianesimo, e<br />

come tale è arrivato fino ai giorni nostri. Ci si<br />

può allora meravigliare se altre civiltà, mi riferisco<br />

all’Islam che sistema simbolico forte è<br />

senza dubbio, ed oltre i suoi contenuti specifici,<br />

stanno diventando un polo d’attrazione<br />

forte, mentre il fascino dell’Occidente sta tramontando<br />

oltre le evidenti difficoltà della sua<br />

economia<br />

2) La modernità, nella sua concezione attualmente<br />

vincente, sta contraddicendo i presupposti<br />

che asserisce essere alla sua base, in<br />

primo luogo la razionalità e l’uguaglianza di<br />

ogni uomo. Lo spiega a mio parere molto bene<br />

Francesco Maria Colombo su <strong>Il</strong> Foglio del<br />

17 agosto parlando di aborto. L’attribuire a<br />

qualcuno, sostiene Colombo, il diritto di vita<br />

e di morte su un altro soggetto (il bambino),<br />

contraddice il principio dell’uguaglianza. <strong>Il</strong><br />

farlo negando ciò che la razionalità ci indica,<br />

e cioè che il feto è vita umana distinta da<br />

quella materna e già dal suo inizio unica e irriducibile<br />

a quella di qualsiasi altro soggetto,<br />

e negarlo sostituendo al principio della ricerca<br />

della verità oggettiva quello delle tante verità<br />

centrate sulle percezioni soggettive, quindi<br />

“affettive” e “sentimentali”, di ciò che è<br />

giusto, contraddice il principio laico e razionale<br />

di universalità. L’Occidente sta cioè<br />

perdendo quel carattere di Universalità che<br />

ne aveva assicurato l’egemonia oltre la potenza<br />

tecnologica e militare, e lo sta perdendo<br />

perché ormai rifiuta le sue origini.<br />

ARMANDO ERMINI<br />

FIRENZE, 15 ottobre 2011 ore 18. Chiesa di San Salvatore in Ognissanti, Borgo Ognissanti 42.<br />

CONVEGNO La Chiesa dopo l'ultimo Concilio,<br />

interverranno Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro, Alfio Krancic, Paolo Deotto.<br />

Con la presentazione del libro La Bella addormentata di A. Gnocchi e M. Palmaro, Vallecchi.<br />

Alle 16.30 celebrazione della S.Messa in rito romano antico.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660


| ( 13 ) |<br />

a <strong>Il</strong> ritorno dell'urbanistica.<br />

DI PIETRO PAGLIARDINI<br />

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />

<strong>Il</strong> tema che mi è stato assegnato non è solo difficile, è<br />

rischioso, perché può sconfinare nell’agiografia. Non<br />

intendo evitarlo questo rischio, anzi mi ci immergerò<br />

completamente con leggerezza e abbandono, a metà<br />

tra sentimento e ragione, senza false modestie ma senza<br />

intenzioni superbe. Comunque vada, se avrò avuto<br />

ragione o torto, difficilmente mi sarà concesso il tempo<br />

per scoprirlo. (PP)<br />

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />

Tutto ebbe inizio a Firenze con Giannozzo<br />

Pucci e il Piano di Novoli. Ma procediamo<br />

con ordine.<br />

Per tentare di dare una struttura logica al<br />

tema del ritorno dell’urbanistica occorre porsi<br />

prima di tutto la domanda se esista ancora la<br />

politica, nel significato originario di amministrazione<br />

della città.<br />

Non è data infatti urbanistica senza idea di<br />

città, di società, di comunità, non è data senza<br />

la percezione stessa del valore della civitas e<br />

quindi dell’urbs che la contiene, la accoglie e<br />

ne permette il pieno esercizio della cittadinanza<br />

e della vita urbana.<br />

Esiste infatti un rapporto intuitivo tra forma<br />

della società e forma della città. Si pensi<br />

alla città romana: una società autoritaria e<br />

militarizzata genera il proprio modello urbano<br />

da un accampamento militare. La città<br />

medioevale è invece espressione di una società<br />

nella quale sono presenti una pluralità di corpi<br />

sociali, più che soggetti individuali, in relazione<br />

o in conflitto tra loro, e la forma che ne<br />

risulta è l’espressione di questa pluralità: il<br />

Palazzo Comunale, la cattedrale, le piazze e<br />

le strade tematizzate in base al loro utilizzo<br />

prevalente, le strade conventuali e soprattutto<br />

l’edilizia di base, quella dei cittadini il cui requisito<br />

per avere la cittadinanza era il possedere<br />

casa. Tutto ciò spiega, almeno in parte e<br />

non in modo deterministico, la ricchezza, la<br />

varietà e infine la bellezza di quelle città che<br />

ancora oggi noi possiamo ammirare.<br />

Attualmente si esercita la pratica urbanistica,<br />

che trova la sua legittimazione nella legislazione<br />

e nella norma ma, senza una visione<br />

politica di città e di comunità che indichi una<br />

direzione, essa si riduce a somma di procedure<br />

che producono una forma di piano e di città<br />

svincolata da ogni legame con la realtà e con<br />

la vita delle persone.<br />

Con grande cautela vorrei fare ricorso,<br />

adattandolo allo scopo, al discorso di Papa<br />

Benedetto XVI a Berlino: “Togli il diritto<br />

fondato sulla ragione che ti fa distinguere tra<br />

bene e male e allora che cosa distingue lo stato<br />

da una banda di briganti”.<br />

Per capire se c’è possibilità di un ritorno<br />

dell’urbanistica dobbiamo anche capire quando<br />

e perché se ne è andata.<br />

È sempre difficile stabilire date in processi<br />

così complicati ma, escludendo la fase del<br />

boom, che tutto ha comprensibilmente travolto,<br />

direi che ideologicamente e culturalmente<br />

l’urbanistica si è persa del tutto nel periodo<br />

a cavallo degli anni ’70. In quel tempo,<br />

paradossalmente, c’era una certa coincidenza<br />

tra politica e città. Solo che era sbagliata la politica<br />

e quindi la città è risultata sbagliata, anzi<br />

una non-città, come vedremo dopo. Appare<br />

tuttavia singolare che una visione politica<br />

prevalentemente impostata sul welfare-state,<br />

quindi potenzialmente orientata al “bene comune”,<br />

abbia invece prodotto, come scelta, il<br />

“male comune” cioè la periferia.<br />

Perché dunque la politica degli anni ’70 ha<br />

prodotto una città apparentemente non coerente<br />

con il suo pensiero collettivo, quindi<br />

una città in cui lo spazio pubblico avrebbe dovuto<br />

esserne il protagonista<br />

Perché qualche decennio prima era intervenuto<br />

un evento nuovo e dirompente nella<br />

cultura urbanistica: l’avvento del Movimento<br />

Moderno che ha scardinato tutti i processi di<br />

8 ottobre 2011 Anno XI


| ( 14 ) |<br />

formazione e trasformazione della città, ha liquidato<br />

come non adatto alla modernità tutto<br />

il passato e ha avuto la pretesa e l’arroganza<br />

di ricominciare da zero, riuscendo ad inventare<br />

e ad imporre la propria idea di modernità.<br />

Quanto il Movimento moderno sia causa<br />

sovrastrutturale o non sia piuttosto effetto di<br />

un sistema economico e sociale che ha generato<br />

le idee ad esso più congeniali, è argomento<br />

di eterno dibattito. Di certo nella società<br />

della comunicazione, che oggi è a livelli parossistici<br />

ma che è cominciata molto prima di<br />

oggi con la diffusione di giornali e radio e cinema,<br />

la trasmissione e l’influenza delle idee<br />

sui comportamenti collettivi è risultata determinante<br />

perché le idee viaggiano non solo attraverso<br />

i media ma anche nella scuola, nell’università,<br />

nei salotti, nei bar, nei partiti, nei<br />

circoli, nel dopolavoro, con il passaparola e<br />

raggiungono praticamente ogni soggetto, anche<br />

coloro che non sono interessati, e diventano<br />

patrimonio comune. Se poi questa idea di<br />

città è addirittura congeniale ad un sistema di<br />

pensiero politico-ideologico che usa il welfare<br />

come protezione dei cittadini ma anche come<br />

strumento per legare a sé gli individui, e creare<br />

così un apparato pubblico imponente, sicuro<br />

serbatoio elettorale e di moltiplicazione del<br />

modello culturale che pone al centro lo Stato,<br />

per impossessarsi perfino del corpo dei cittadini<br />

attraverso un servizio sanitario che obbliga<br />

tutti a sentirci malati per creare le condizioni<br />

per curarci, ecco che il modo migliore<br />

per evitare qualsiasi possibile spinta dal basso,<br />

qualsiasi relazione e reazione sociale spontanea<br />

a tutto vantaggio delle tante corporazioni<br />

o dalle varie forme associative legate ai partiti<br />

di allora e da essi pilotati, era quello di disgregare<br />

la città, per impedire che si creassero<br />

autentiche comunità urbane, e di produrre<br />

abitazioni collettive — i casermoni — per<br />

isolare i cittadini tra loro.<br />

I PEEP 8 hanno assolto egregiamente a<br />

questo scopo, anche se quello ufficiale, ed in<br />

buona parte autentico, era di “garantire il diritto<br />

alla casa”. E tanto che c’erano hanno<br />

istituito anche i PIP 9 , per legare a sé non solo<br />

gli individui ma anche il mondo della produzione.<br />

<strong>Il</strong> meccanismo era assolutamente coerente<br />

e oleato, una burocratica macchina da<br />

guerra.<br />

La politica di quegli anni, in realtà, si è dimostrata<br />

perfettamente coerente con la città<br />

che ha prodotto, perché la sua idea di comunità<br />

non era fondata sulla libera scelta dell’individuo.<br />

Tutto ciò è potuto accadere perché il modernismo<br />

è penetrato a fondo fino nei gangli<br />

dell’università e, grazie all’università di massa,<br />

ha trovato una numero straordinario di sacerdoti<br />

indottrinati pronti a diffondere il verbo,<br />

fino al punto di non lasciare nemmeno<br />

immaginare una città diversa da quella basata<br />

sulla divisione in zone funzionalmente omogenee,<br />

sulla totale mancanza di una rete di<br />

connessioni vitali quali le strade della città<br />

tradizionale, sostituite da strade per le auto<br />

che collegano quartieri diversi monofunzionali<br />

e ciascuno privo di vita urbana.<br />

In questa monocultura, in questo pensiero<br />

unico senza possibilità di alternative si sono<br />

levate voci diverse e di grande qualità, ma sono<br />

rimaste elitarie, a livello di nicchia e sostanzialmente<br />

ininfluenti per il fatto che il<br />

pensiero urbanistico non può essere che militante.<br />

<strong>Il</strong> motivo di questa condizione risiede nel fatto<br />

che non siamo in presenza di una scienza<br />

così detta pesante, come la fisica o la chimica<br />

o la biologia in cui il ricercatore quando trova<br />

pubblica, se necessario brevetta, quindi il suo<br />

sapere si diffonde nella comunità scientifica<br />

fino a che non ricade nel mercato sotto forma<br />

di tecnologia e di prodotti di consumo.<br />

L’urbanistica è una scienza umana, ha a<br />

8 P.E.E.P.: Piani di Edilizia Economica e Popolare.<br />

9 P.I.P.: Piani per gli Insediamenti Produttivi.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660


| ( 15 ) |<br />

che fare con le dinamiche sociali, la sua forma<br />

è il risultato del progetto dell’architetto ma è<br />

decisa e approvata dalla politica e soprattutto<br />

da quella più vicina ai cittadini, cioè le amministrazioni<br />

locali. La città è il patrimonio di<br />

tutti i cittadini, è lo spazio entro il quale possono<br />

o non possono svolgersi le relazioni sociali<br />

e personali, gli scambi economici e culturali<br />

ed esiste una forte interrelazione tra<br />

spazio e comportamento umano. Quindi l’urbanistica<br />

riguarda tutti i cives ed è sempre sottesa<br />

da una visione politica, in senso alto.<br />

Ma ad un certo momento qualcosa è cambiato.<br />

E qui comincia il ritorno dell’urbanistica.<br />

È sempre rischioso giudicare il presente<br />

sperando di essere obiettivi ma io credo che la<br />

spinta per il viaggio di ritorno provenga dagli<br />

USA con il New Urbanism. Come ripete<br />

spesso Gabriele Tagliaventi, l’America precorre<br />

i tempi e ciò che accade là oggi, arriverà a<br />

noi domani, ma arriva inesorabilmente, nel<br />

bene e nel male. Questa volta è arrivata nel<br />

bene.<br />

Certamente la militanza di Léon Krier unita<br />

al fascino della sua teoria ha contribuito a<br />

far circolare l’idea di classicismo architettonico<br />

e urbano. Krier ha dato a molti il coraggio<br />

di fare uso, senza vergogna, della categoria<br />

della bellezza; la possibilità offertagli di realizzare<br />

la cittadina inglese di Poundbury ha<br />

costituito un esempio necessario ma non sufficiente<br />

senza le massicce realizzazioni americane,<br />

sempre in base alla potenza delle comunicazioni<br />

di massa, perché difficilmente questa<br />

idea avrebbe potuto uscire dall’ambito elitario<br />

del Principe Carlo. In urbanistica, come<br />

in architettura, l’esempio realizzato ha più<br />

forza di qualsiasi teoria: immaginare e fare sono<br />

inscindibili.<br />

Parlando di Lèon Krier entra in scena<br />

Giannozzo Pucci e con lui la politica.<br />

Agli inizi degli anni ’90, su sollecitazione<br />

di Giannozzo, presidente della commissione<br />

urbanistica, Krier viene incaricato dal Comune<br />

di Firenze di redigere il Piano di Novoli.<br />

La discussione sull’area di Novoli, e di quella<br />

FIAT in particolare, assume risonanza nazionale<br />

e la figura di Krier e della sua visione urbana,<br />

comincia di conseguenza a farsi strada<br />

anche fuori del circolo di pochi appassionati<br />

cultori. Fino a quel momento, probabilmente,<br />

solo Gabriele Tagliaventi, con i suoi convegni<br />

bolognesi, riesce a dare visibilità ad una idea<br />

di città classica e tradizionale.<br />

Ma il ruolo di Giannozzo Pucci non finisce<br />

qui. <strong>Il</strong> progetto per Novoli di Krier viene<br />

stravolto, ma Giannozzo non ha certo cambiato<br />

idea e con la sua casa editrice nel 2008,<br />

con notevole intuito, pubblica il libro di Nikos<br />

Salìngaros, Antiarchitettura e demolizione,<br />

cambiando sapientemente il titolo e traducendo<br />

“deconstruction” con “demolizione”, che<br />

esprime un concetto ma anche un’azione allusiva<br />

al fatto che la brutta architettura, se irrecuperabile,<br />

non può che essere abbattuta.<br />

Non a caso in Italia è stata la presenza, più<br />

virtuale che fisica in verità, di Nikos Salìngaros<br />

l’elemento di grande novità nell’asfittico e<br />

anche modesto, me lo si lasci dire, panorama<br />

urbanistico accademico italiano.<br />

L’entrata in scena di Nikos con libri e una<br />

serie di articoli, saggi e interviste in quotidiani<br />

e periodici nazionali prima, in rete poi, suscita<br />

interesse, curiosità o scetticismo, ma lascia<br />

tracce importanti. Come sempre accade<br />

in questi casi, al successo della diffusione delle<br />

sue idee corrisponde l’inevitabile domanda<br />

— senza volerne minimamente sottostimare<br />

l’importanza — su come sia stato possibile<br />

che una classe accademica e un ambiente culturale<br />

così intellettualmente vecchio possa essere<br />

durato così a lungo — e duri ancora in<br />

verità. Se è potuto accadere, ciò è stato dovuto<br />

al blocco di potere perfettamente organizzato.<br />

8 ottobre 2011 Anno XI


| ( 16 ) |<br />

Cosa sta cambiando dunque, se sta cambiando<br />

Anche questa volta è necessario tenere presente<br />

la molteplicità delle cause, non solo legate<br />

ai media ma ai cambiamenti intervenuti<br />

nella società italiana. Non posso assicurare<br />

che il mio pensiero non sia influenzato, poco<br />

o tanto, dalle mie personali convinzioni politiche,<br />

che sono mie e non coinvolgono il<br />

gruppo di cui faccio parte, ma mi è veramente<br />

difficile non vedere il legame tra la rottura<br />

degli equilibri politici intervenuta nel 1994 e<br />

la conseguente liberazione delle idee in soggetti,<br />

diciamo così latenti, da certi consolidati<br />

schemi culturali e direi “riflessi condizionati”.<br />

La cultura di centro-destra non sarà<br />

certo dominante, non sarà troppo strutturata,<br />

non è un sistema consolidato come quello<br />

precedente, né lo dovrebbe essere, non avrà<br />

piena consapevolezza di sé, ma non si può dire<br />

che non esista.<br />

La strategia utilizzata dal gruppo che fa riferimento<br />

a Salìngaros per veicolare il messaggio,<br />

è iniziata prima in maniera separata ed<br />

episodica, poi in modo più strutturato, attraverso<br />

la rete, con la critica, la provocazione e<br />

la demolizione della cultura accademica, riconosciuta<br />

a ragione come l’establishment. In<br />

questo Stefano Serafini è stato un organizzatore<br />

instancabile. Ma è <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> che condensa,<br />

riassume e omogeneizza le idee e le iniziative<br />

dei singoli e dei gruppi, con una sequenza<br />

cospicua e qualificata di articoli e di progetti<br />

di urbanistica e di architettura tradizionali,<br />

oltre che dotarli di una veste grafica non solo<br />

raffinata, ma coerente con quel pensiero.<br />

In fondo questa strategia non è sostanzialmente<br />

diversa, nel metodo, da quella utilizzata<br />

dalle avanguardie del novecento: mettere<br />

alla gogna il modernismo, adducendone le ragioni,<br />

detronizzare i maestri e le archistar<br />

mostrandoli nudi, farsi beffa di quelli che io<br />

chiamo i collezionisti di francobolli dell’architettura,<br />

cioè tutti coloro che si trastullano<br />

con i vari Maestri moderni e contemporanei,<br />

chiamare eco-mostro il Corviale, l’edificio romano<br />

lungo un chilometro o lo Zen di Palermo,<br />

e fare progetti che ne prevedono la demolizione<br />

(appunto), proprio come gli eco-mostri<br />

abusivi, sostituendoli con villaggi di tipo<br />

urbano, come ha fatto Ettore Maria Mazzola,<br />

insomma scandalizzare, bestemmiare gli dei<br />

dell’Olimpo dell’architettura e della critica,<br />

ma con proposte che riallacciano i fili tagliati<br />

con la storia. Tutto ciò ci ha permesso di indignare<br />

qualcuno (l’indignazione è un sentimento<br />

sterile) ma di insinuare parecchi dubbi<br />

e di contribuire a creare un clima adatto al<br />

cambiamento.<br />

Con una grande differenza, però, rispetto<br />

alle avanguardie storiche: i valori e i principi<br />

che vengono perseguiti trovano un riscontro a<br />

livello popolare, perché tutti sappiamo quanto<br />

l’architettura della purezza di forme geometriche<br />

astratte e del monocolore bianco o<br />

grigio sia adatta alle riviste e al cinema, al<br />

mondo dello spettacolo, ma risulti invivibile<br />

ai più i quali, appena possono, si comprano<br />

una casa da ristrutturare in campagna, con<br />

tanto di archi, di tetto con tegole antiche o<br />

antichizzate e, se possibile, una villa storica<br />

con qualche parete affrescata. Tutti, compresi<br />

gli architetti modernisti. Primi fra tutti Gregotti<br />

e Fuksas. Solo Eisenmann, il guru del<br />

de-costruttivismo, seguace e ispiratore allo<br />

stesso tempo di Derrida, ha rilasciato un’intervista<br />

in cui dichiara di abitare a New York<br />

in un piccolo appartamento pieno zeppo di<br />

mobili e suppellettili e molto intimo, proprio<br />

come i comuni mortali, e di possedere una casa<br />

in campagna che è bella proprio perché ha<br />

subìto rimaneggiamenti dai precedenti proprietari<br />

senza l’intervento dell’architetto. Ha<br />

di fatto rinnegato i progetti di residenze decostruttiviste<br />

che aveva fatto in gioventù perché<br />

inabitabili.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660


| ( 17 ) |<br />

Tornando all’urbanistica e riprendendo la<br />

domanda iniziale se esista ancora la politica,<br />

sembra fin troppo facile rispondere di no, o<br />

meglio, che c’è una politica debole. E allora,<br />

come potrà esserci una bella città<br />

Potrebbe esserci, invece, perché con la politica<br />

in vacanza, grazie anche a quella rottura<br />

degli schemi del 1994, la gente si è risvegliata<br />

e pur nel comprensibile caos di questo risveglio<br />

inaspettato, emergono spinte verso una<br />

progettazione più condivisa e partecipata.<br />

Non è una strada facile, è una sfida, ma i segnali<br />

di cambiamento ci sono. Uno per tutti il<br />

caso di Palermo dove un gruppo nutrito di<br />

cittadini e di politici di varia estrazione, su<br />

iniziativa di Ciro Lomonte e altri, si sta autotassando<br />

per finanziare un progetto di demolizione<br />

e di rigenerazione dello Zen di Palermo,<br />

redatto da Ettore Maria Mazzola. Come<br />

finirà non lo sappiamo, non sarà certo facile<br />

realizzare una cittadina dai costi ingenti, ma<br />

certo il messaggio sta passando, la voglia di<br />

città vera, di città urbanisticamente tradizionale<br />

e viva c’è.<br />

Concludo, io che ho dichiarato apertamente<br />

le mie inclinazioni politiche, citando un<br />

primo esempio virtuoso della Legge regionale<br />

toscana modificata dall’assessore regionale,<br />

espressione dell’Italia dei Valori, che indica i<br />

seguenti obiettivi:<br />

☞ Favorire la densificazione delle aree urbane.<br />

☞ La riqualificazione del patrimonio edilizio<br />

esistente volta a migliorare la relazione<br />

con i tessuti urbani circostanti o la ricomposizione<br />

dei margini urbani, tenuto<br />

conto del necessario rapporto visuale e morfo-tipologico<br />

con l’insediamento storico.<br />

☞ La compresenza di funzioni urbane diversificate<br />

e complementari.<br />

☞ Interventi atti a modificare la sagoma degli<br />

edifici, finalizzati a conseguire un migliore<br />

allineamento della cortina edilizia in coerenza<br />

con l’assetto planimetrico urbano storicizzato<br />

e tenuto conto del necessario<br />

rapporto visuale con gli elementi espressivi<br />

dell’identità dei luoghi.<br />

Queste regole sono la trasposizione nel<br />

linguaggio legislativo della città tradizionale<br />

europea, mediante interventi che non escludono<br />

affatto anche la demolizione (modificare<br />

la sagoma degli edifici). Sono le stesse che noi<br />

predichiamo da qualche anno insistentemente.<br />

Sono regole che mettono al centro della<br />

città l’uomo e l’ecologia umana. Sono la certificazione<br />

scritta della consonanza tra legge<br />

e ragione.<br />

Non le abbiamo inventate noi quelle regole,<br />

c’erano già e noi le abbiamo solo rispolverate<br />

e diffuse. La legge non è stata certo fatta<br />

per soddisfare noi, ma forse abbiamo contribuito<br />

a creare un clima adatto a poterle scrivere<br />

contro la cultura imperante e ad essere<br />

accolte con favore. Di questo possiamo andare<br />

orgogliosi.<br />

Primo fra tutti <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>, il cui instancabile<br />

curatore, Stefano Borselli, ci ha covato con<br />

passione, intelligenza e pazienza, sempre<br />

molto silenzioso e prudente ma pronto a intervenire<br />

tra la naturale litigiosità degli architetti.<br />

Oggi è giusto esagerare e immaginare un<br />

Nuovo Rinascimento Urbano che ancora una<br />

volta riparta da Firenze. Grazie Stefano.<br />

PIETRO PAGLIARDINI<br />

8 ottobre 2011 Anno XI


| ( 18 ) |<br />

a <strong>Il</strong> deserto e l’oasi.<br />

Come sopravvivere e attraversare l’uno, come raggiungere<br />

e coltivare l’altra.<br />

DI GABRIELLA ROUF<br />

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />

Approfitto dell’opportunità di sistemare il testo, per<br />

annettere ad esso un’immagine che viene dall’intervento<br />

di Giannozzo Pucci, svoltosi in realtà il giorno<br />

dopo, ma verso il quale sembra che tutti ci avviassimo,<br />

e ne fossimo già sollecitati.<br />

È l’immagine dell’oasi, misterioso miracolo della<br />

natura, ma anche frutto della paziente e sapiente opera<br />

dell’uomo. L’oasi lussureggiante sulle vene d’acqua<br />

emerse da cammini sotterranei sotto sabbie rosa o grige<br />

distese sassose, spazzate da venti o in un torpore<br />

mortale. Si vede qualcosa oltre il deserto dell’arte contemporanea<br />

10 — ci ha chiesto Stefano —. Forse l’oasi,<br />

di cui preserviamo i pozzi profondi, ove si può gioire<br />

austeramente in quiete e bellezza, senza paura, ma<br />

tenendo d’occhio i margini delle terre sterili, i loro<br />

miraggi, i vuoti padiglioni... (GR)<br />

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />

Ad un paragone con la natura ci chiama<br />

Jean Clair nel titolo del suo libro: L’inverno<br />

della cultura 11 , dove il genitivo significa che la<br />

sterile stagione non è subita, ma prodotta dalla<br />

cultura stessa, a danno della verità dell’uomo.<br />

Termini parimenti recisi ed ultimativi ha<br />

usato nel suo intervento al Cortile dei Gentili<br />

di Parigi: “Culto dell’avanguardia e cultura<br />

della morte” 12 .<br />

Occorre oggi chiamar le cose col loro nome,<br />

e prender partito, perché cadono l’un dopo<br />

l’altro equivoci ed illusioni, si dissolvono i<br />

miraggi 13 , e il caravanserraglio dell’arte contemporanea<br />

stenta sulle piste, lasciando le<br />

tracce infette del suo passaggio.<br />

10 Era questo il titolo proposto per la relazione di G. R. (N.D.R.<br />

Le altre note sono dell'Autore)<br />

11 Jean Clair L’hiver da la culture ed. Flammarion <strong>2011.</strong> Vedi <strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong> n°653.<br />

12 Vedi <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> n°642 — Speciale. Jean Clair al Cortile dei<br />

Gentili di Parigi.<br />

13 L’immagine viene da C. Sourgins Les mirages de l’Art contemporain<br />

puntuale descrizione della deriva liberticida celata dietro le<br />

cortine illusorie del radicalismo dell’AC.<br />

Inverno della cultura: merce di apparati<br />

specializzati a promuoverla e gestirla; cultura<br />

per progetti, autoreferenziale, avida di pubblico<br />

denaro, frantumata per segmenti più che<br />

per professioni, con relativi linguaggi e caste:<br />

giornalismo, editoria, televisione, spettacolo,<br />

eventi; centrifuga di sottoculture, mentre le<br />

strutture tradizionali della trasmissione del<br />

sapere, cioè della sintesi, si estinguono o si<br />

rassegnano a malinconiche derive.<br />

0<br />

Se l’albero si giudica dai suoi frutti, amarissimi<br />

sono i frutti della modernità in campo<br />

artistico, del resto a suo tempo preannunciati<br />

come “morte dell’arte”, poi assunti in proprio<br />

dai dissettori e dai guru della decostruzione:<br />

un rito funerario che dura da decenni, ma che<br />

ironicamente ha prodotto l’arte più superflua,<br />

ingombrante e costosa che sia mai esistita,<br />

tanto quanto in passato l’Arte era necessaria,<br />

elegante, ovunque e per tutti profusa.<br />

Le tendenze individuate a suo tempo da<br />

Sedlmayr 14 , hanno bruciato in tempi brevissimi<br />

la tradizione artistica, distrutto i percorsi<br />

formativi, il mercato dell’arte, la critica d’arte,<br />

fino a minacciare attualmente lo stesso patrimonio.<br />

Si fa risalire normalmente “le origini del<br />

disastro” al viaggio di Duchamp in USA e al<br />

successivo ritorno sull’Europa in varie ondate<br />

del culto delle avanguardie, funzionale all’intellighenzia<br />

e alla politica degli USA. Alla riproducibilità<br />

fotografica delle immagini, che<br />

aveva squalificato il realismo in pittura e banalizzato<br />

le immagini, si contrappone così via<br />

via il gesto creativo, il narcisismo dell’artista,<br />

nuovi stili di vita libertari e snob, mentre vanno<br />

formandosi aggressivi apparati per tradurre<br />

il successo di scandalo in nuovi consumi di<br />

élite .<br />

0<br />

14 Hans Sedlmayr, La perdita del centro (1948), ed. italiana Rusconi<br />

1974.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660


| ( 19 ) |<br />

Ma certo l’origine del male è prima, altrimenti<br />

l’Europa non sarebbe stata così arrendevole<br />

di fronte ad un’offensiva che, per<br />

quanto agguerrita, aveva dalla sua solo la forza<br />

del denaro; vi era invece quella predisposizione<br />

caratteristica della modernità: il culto<br />

della libertà individuale e del progresso, la<br />

mentalità storicistica “anacronista”, pronta a<br />

stralciare dalle ideologie del 900 un inedito<br />

privilegio dell’artista, nuovo dio ed insieme<br />

balocco del futuro radical-chic. <strong>Il</strong> culto del<br />

“nuovo” come unico criterio e senso dell’arte,<br />

spazzando via i tempi lunghi della formazione,<br />

della tecnica, del confronto nel mercato,<br />

induce ad un frenetico consumo di mitologie<br />

artistico/esistenziali: dopo l’ubriacatura dell’astrattismo<br />

(che presto rivela la sua natura<br />

gracilmente decorativa), si abbozzano esperimenti<br />

di tutti i tipi, che trovano infine la loro<br />

consacrazione negli anni 60 con il lancio internazionale<br />

dell’“arte concettuale”.<br />

0<br />

Con la teorizzazione di essa si arriva alla<br />

quadratura del cerchio, in quanto l’apparato<br />

di addetti ai lavori si impone aggressivamente<br />

come unico definitore di un insieme/arte che<br />

coincide con la sua definizione concettuale, e<br />

negando l’opera come progetto integralmente<br />

umano e responsabile, assume il dato grezzo<br />

della realtà, il gesto, la performance, ecc..: è<br />

arte ciò che è definito tale, ovviamente da una<br />

lobby internazionale che decide investimenti<br />

e quotazioni, muovendosi tra la società dello<br />

spettacolo, la domanda di status symbol, l’egemonia<br />

politica ed economica statunitense<br />

attraverso fondazioni e banche.<br />

Con questa sistemazione dottrinale si elimina<br />

anche la possibile contraddizione che<br />

potrebbe venire dall’art brut, dove tutte le<br />

bizzarrie delle avanguardie sono anticipate e<br />

ben sopravanzate in coerenza etica e potenza<br />

fantastica. Si realizza così un evento paradossale:<br />

un prodotto che non cela la sua origine<br />

casuale e commerciale insieme, ottiene successo<br />

proprio perché “non è capito”, perché<br />

deve, per essere celebrato e remunerare l’investimento,<br />

offendere il senso comune, il<br />

buon gusto, la sensibilità estetica e morale, affinché<br />

si dimostri che è rivoluzionario, originale,<br />

libero, godibile solo da un’élite economica<br />

e intellettuale (il fenomeno speculativo<br />

globalizzato — financial art — è pertanto<br />

nelle premesse, non una degenerazione).<br />

Questa produzione, che oggi è definita<br />

“arte contemporanea” tout court, necessita di<br />

una precoce musealizzazione, di una specie di<br />

consacrazione museale in simultanea, a spese<br />

del denaro pubblico in Europa (contrariamente<br />

ai musei privati americani), con la quale<br />

se ne sancisce la continuità ed insieme il<br />

ruolo di rottura con l’arte del passato, in<br />

quanto punto d’arrivo di una totale autonomia<br />

e di una creatività irresponsabile e pulsionale.<br />

In realtà, costretta a raschiare il fondo<br />

degli abissi già ampiamente sfruttati dai surrealisti<br />

e dalle avanguardie del 900, l’arte<br />

contemporanea è ridotta a palestra degli sport<br />

estremi del pensiero debole e della vanità disperata:<br />

una fenomenologia così repellente da<br />

essere definita da J. Clair “di essenza criminale”.<br />

Nell’attualità, il mondo politico, per gli<br />

interessi suoi propri, si serve, subisce e si adegua:<br />

l’AC mette d’accordo tutti, da una parte<br />

chi se ne compiace in quanto genuina e perversa<br />

espressione del postcapitalismo, dall’altra<br />

chi ne fa il simbolo di una libertà di<br />

espressione senza precedenti, che può impunemente<br />

spaziare dall’osceno all’idiota al blasfemo.<br />

0<br />

Ma anche qui, di nuovo, occorre risalire ad<br />

una debolezza filosofica e morale insita nel<br />

canone della modernità, perché l’operazione<br />

in Europa non poteva trionfare se non nella<br />

predisposizione, acquiescenza e complicità<br />

8 ottobre 2011 Anno XI


| ( 20 ) |<br />

dell’ambiente artistico tradizionale, degli storici<br />

dell’arte, dei responsabili del patrimonio<br />

e degli istituti di formazione.<br />

La mistificazione operata dal sistema AC<br />

col puntello di teorie nichiliste e rozze approssimazioni<br />

ad uso di TV e stampa spazzatura,<br />

col sostegno delle lugubri kermesse degli<br />

stilisti di moda, non potrebbe raggiungere<br />

l’obiettivo di gloriarsi di essere “incomprensibile”,<br />

se “i cattivi maestri” non avessero preparato<br />

il terreno. Non a caso l’AC segna i suoi<br />

massimi successi in Cina, in cui la sua natura<br />

futile e arrogante si presta al maquillage di<br />

una società materialista e totalitaria.<br />

0<br />

La vicenda dell’AC va infatti a confluire ed<br />

intrecciarsi con un altro processo, derivante<br />

anch’esso dall’albero avvelenato della modernità.<br />

Si tratta della tendenza alla museificazione<br />

del passato e alla decontestualizzazione teorica<br />

ed ambientale di opere e tradizioni, considerate<br />

come superate dal progresso e pertanto<br />

isolate, come un documento, una curiosità,<br />

un’immagine ammirevole, ma di cui si è smarrito<br />

il senso profondo e la cui origine e destinazione<br />

può ignorarsi o essere addirittura imbarazzante,<br />

per esempio quando si parli della<br />

committenza.<br />

<strong>Il</strong> riferimento alla bellezza “che salverà il<br />

mondo” 15 , è infatti a dir poco equivoco se si<br />

toglie ad essa gli elementi connettivi con la<br />

società umana da cui è nata e l’aspirazione al<br />

bene e alla trascendenza che la illumina.<br />

In altre parole, se l’arte europea è scissa —<br />

spazialmente e storicamente — dalle radici<br />

cristiane dell’Europa, il patrimonio stesso è<br />

minacciato, e lo squallore dell’AC, nonché<br />

espropriarci della risorsa artistica nel presente,<br />

desertificherà il passato, divenuto incomprensibile<br />

anch’esso, bisognoso di grottesche<br />

15 Diffusissima e spesso banalizzata citazione da Dostojeskji, che<br />

già nel testo originale presenta un carattere enigmatico.<br />

“attualizzazioni” e mero rito turistico di massa.<br />

Infatti la tragedia 16 non sta tanto nell’irriconoscibilità<br />

dell’arte contemporanea, nella<br />

sua incapacità nell’offrirci consolazione, piacere<br />

e pensiero, cosa che non è un fallimento<br />

ma addirittura un vanto ed una necessità del<br />

sistema dell’AC e dei suoi esegeti, quanto nella<br />

proiezione a ritroso della rinuncia al godimento<br />

estetico della forma significante, illuminata<br />

dalla ragione e dal cuore.<br />

0<br />

<strong>Il</strong> museo, nato come istituzione formativa<br />

(oltre che di conservazione e prestigio), venuta<br />

oggi meno la continuità del mestiere, eliminata<br />

la contiguità con l’architettura, l’artigianato,<br />

la decorazione, l’illustrazione, le arti<br />

applicate, testimonia un mondo scomparso,<br />

lontanissimo, mentre si tratta di opere che<br />

giungono fino al secolo scorso!<br />

<strong>Il</strong>leggibili o appiattiti in una fredda iconologia<br />

i riferimenti religiosi, mitologici, storici,<br />

letterari! Squalificata la committenza, come<br />

limitativa della libertà dell’artista!<br />

Così l’opera, prosciugata della sua verità<br />

umana, è mera immagine, da fotografare, da<br />

consumare, con cui giocherellare in funeste<br />

sezioni didattiche, da confrontare con il contemporaneo,<br />

con la pubblicità, con il fumetto,<br />

ecc: anche nella sua concretezza, assume un<br />

carattere virtuale, interscambiabile, fluttuante<br />

in uno spazio senza radici.<br />

L’arte antica è materia di turismo, cioè di<br />

nuovo di un’attività specializzata, professionalizzata,<br />

massificata, con tutti caratteri dell’insostenibilità<br />

e dell’inversione degli effetti<br />

descritta da <strong>Il</strong>lich in riferimento alla scuola,<br />

alla sanità e ai trasporti. <strong>Il</strong> Grande Museo<br />

realizza un rituale quasi di culto (che Jean<br />

Clair paragona ad un mattatoio), in cui è da<br />

escludere ogni possibilità di contemplazione,<br />

16 La definizione dello stato dell’arte contemporanea come<br />

“tragedia” è assai diffusa. Jean Clair la definisce un naufragio.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660


| ( 21 ) |<br />

mentre il piccolo museo, che non si avvale<br />

dell’impatto dimensionale ed è meno devastante<br />

sotto il profilo della delocalizzazione, è<br />

vuoto e spesso chiuso.<br />

E mentre si destinano sempre più a “spazi<br />

espositivi” chiese e ambienti architettonici<br />

d’epoca (in cui spesso si realizzano “mostre<br />

fotografiche” chiudendo così il cerchio con<br />

un ulteriore paradosso), e interi centri storici<br />

si museificano a pro di un alienato consumo<br />

turistico, prolifera la smania di ristrutturazioni<br />

museali, di mostre temporanee e di eventi,<br />

intorno alle quali si è consolidato da tempo<br />

uno smisurato apparato di agenzie e di servizi,<br />

vendemmia di scenografi, architetti e curatori.<br />

Con il risultato di inserire le opere in una<br />

specie di Luna park, con gadget, percorsi obbligati,<br />

supporti elettronici e didascalie per<br />

mentecatti, animazioni sonore ed effetti speciali,<br />

a realizzare anche qui, se possibile, l’effetto<br />

ludico e frastornante che fa il successo<br />

delle mostre di AC.<br />

E sempre si ripropone, anche nei contesti<br />

più insospettabili, l’isolamento dell’opera<br />

d’arte antica nonché dalla sua origine e destinazione,<br />

addirittura dall’ambiente espositivo,<br />

anche quando pregevole e del tutto congruo,<br />

inserendola a scrigno in pannellature di colori<br />

inverosimili, sempre con luci artificiali, arrivando<br />

così al danneggiamento specifico dell’opera,<br />

divenuta oggetto in vetrina, addobbato<br />

da restauri e mirabolanti attribuzioni.<br />

0<br />

I due filoni vanno a confluire e intrecciarsi<br />

nella realizzazione dei Musei di arte contemporanea<br />

e nell’inserimento violento dell’AC<br />

nei Musei di arte antica e moderna e negli<br />

spazi storico-artistici prestigiosi (doloroso è il<br />

fatto dell’accoglienza di essa nelle chiese).<br />

Nel primo caso, il fenomeno, nato in America<br />

come veri e propri showroom e quindi<br />

con un’esplicita natura commerciale, si è pervertito<br />

in Europa (non certo per caso o per<br />

ingenuità) nel prestarsi dello Stato e delle<br />

istituzioni pubbliche a finanziare contenitori<br />

di prestigio per imporre e sostenere le quotazioni<br />

dei nomi dell’AC, affidando nell’occasione<br />

incarichi progettuali milionari alle archistar<br />

per nuovi edifici, ristrutturazioni e allestimenti.<br />

In questo la subalterneità degli intellettuali<br />

di regime europei è tale da stupire gli stessi<br />

americani, che da tempo dubitano del valore<br />

d’investimento delle opere di AC e cercano di<br />

collocarle al più presto nei nuovi musei del<br />

contemporaneo sorti ovunque in grandi e piccole<br />

città. 17<br />

L’altro aspetto è invece tipicamente europeo,<br />

in quanto con queste contaminazioni si<br />

intende dimostrare una confrontabilità tra<br />

l’arte antica e l’arte contemporanea, che proietti<br />

sulla seconda credibilità e prestigio, secondo<br />

un disinvolto relativismo che ci prepara<br />

già ai fasti interculturali: si va dalla mera<br />

ambientazione tipo showroom, agli accostamenti<br />

improbabili e trasgressivi, al pastiche,<br />

alla parodia, alla provocazione, a tutte le varianti<br />

della ricerca dello scandalo. Data la futilità<br />

dell’operazione, si potrebbe passarci sopra,<br />

se l’inciamparci continuamente non testimoniasse<br />

della sua capillarità e dello sconcertante<br />

spreco di risorse economiche, in<br />

molti casi destinate istituzionalmente al patrimonio.<br />

<strong>Il</strong> Circo Barnum dell’AC, parto mostruoso<br />

della modernità, non va sottovalutato, perché<br />

la sua avidità, il suo cinismo, il suo terrorismo<br />

ideologico, la sua adattabilità a tutti i possibili<br />

17 Marc Fumaroli in Paris-New York et retour descrive con ironia<br />

lo stupore dei suoi corrispondenti statunitensi di fronte all’arrendevolezza<br />

della cultura europea alla colonizzazione da parte<br />

dell’AC americana. Essi non arrivano a comprendere come paesi<br />

con un patrimonio, tradizione e prestigio artistico mondiale possano<br />

aver ceduto il loro primato di fronte ad una sistema artificioso e<br />

palesemente mercantile. Nel caso, si parla della Francia (dove<br />

l’AC è addirittura “arte di stato”), ma il discorso può valere, e a<br />

maggior ragione, per l’Italia, la cui produzione artistica ha riempito<br />

i musei di tutto il mondo, e il cui patrimonio, nonostante questa<br />

dispersione, è il più cospicuo e splendido del pianeta.<br />

8 ottobre 2011 Anno XI


| ( 22 ) |<br />

segmenti di mercato, ne fanno un prodotto<br />

industriale aggressivo e inquinante; produce<br />

un conformismo che è una specie di cecità,<br />

l’esproprio del sentimento e dell’aspirazione<br />

al bello, al puro, al vero, della gioia di avvicinarsi<br />

attraverso i sensi alla trascendenza, al<br />

senso e al destino dell’uomo e dell’universo,<br />

nella contemplazione della forma, di cui alcuna<br />

scienza potrà mai dar conto.<br />

Dall’anonimo artefice dell’arte medievale,<br />

corale nei suoi protagonisti e destinatari siamo<br />

passati — attraverso l’ubriacatura romantica<br />

dell’artista superuomo, genio incompreso<br />

e rivoluzionario — ad un prodotto futile e orrendo,<br />

che vale solo per il nome che vi si affigge,<br />

a sua volta evocato dal nulla in base al<br />

marketing.<br />

Eppure quanta ricchezza e gioia ci dona<br />

l’arte del passato, fino a quella di un’epoca<br />

nemmeno tanto lontana! Arte davvero contemporanea<br />

al nostro difficile cammino, arte<br />

diffusa nel nostro paese in misura non paragonabile<br />

con altri, arte vivente nella liturgia e<br />

nella devozione, nelle città, nei paesi, nelle<br />

architetture, nelle case, nelle piccole collezioni<br />

amatissime…arte come risorsa viva, abitudine,<br />

lettura, scoperta, gioia e inquietitudine,<br />

mistero e trascendenza.<br />

0<br />

Ho l’impressione che su questo la stragrande<br />

maggioranza sia d’accordo. Infatti le difese<br />

dell’AC 18 sono sempre così balbettanti e squalificate,<br />

che esse non hanno la pretesa di convincere,<br />

ma solo l’arroganza di prevalere nei<br />

fatti, avvalendosi delle reti di interessi, del<br />

conformismo, dell’ingenuità, del senso d’inferiorità<br />

culturale degli uni, come della ripulsa<br />

sdegnata degli altri.<br />

Del resto, quando si arriva, dopo queste argomentazioni<br />

al negativo, alle proposte e te-<br />

18 Un tipico difensore di prima linea è Francesco Bonami, le cui<br />

esternazioni sono esemplari per piaggeria e conformismo. Vedi, fra<br />

l’altro, <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> n°620.<br />

stimonianze al positivo, si manifesta una debolezza,<br />

e talvolta un’ambiguità, che forse è<br />

inevitabile.<br />

Anche la discussione, ormai aperta anche<br />

in Italia, sugli aspetti speculativi e affaristici<br />

dell’AC, con relativi appelli ad una “democratizzazione”<br />

di essa verso i giovani, le donne<br />

ecc.., oppure il richiamo ipocrita ad “educare”<br />

la gente a capirla, non affronta i nodi<br />

profondi della questione, non osando certo<br />

mettere in dubbio l’intoccabilità delle avanguardie<br />

e la griglia concettuale da cui dipende<br />

la sopravvivenza delle miriadi di “addetti ai<br />

lavori”: dagli pseudogalleristi che affittano<br />

spazi (ognuno può essere artista) ai grandi curatori<br />

di mostre, ai sovrintendenti assetati di<br />

passaggi mediatici e folgorati dalle archistar.<br />

Dato che è stata fatta tabula-rasa nella formazione,<br />

nel mercato, nella critica d’arte, è<br />

evidente che non può esserci pronta un’alternativa<br />

a cui manchino solo gli spazi della visibilità.<br />

A questo si aggiunge l’effetto disastroso<br />

della scolarizzazione artistica, parcheggio ludico<br />

e improduttivo, distruttore di talenti,<br />

esempio anch’esso dei fenomeni descritti da<br />

<strong>Il</strong>lich.<br />

Occorre pertanto, tanto per restare ad <strong>Il</strong>lich,<br />

agire nella convivialità, realizzare nel<br />

concreto le condizioni umane, integrali, sane,<br />

spontanee, del produrre e godere dell’arte;<br />

scoprire ed amare l’arte nel quotidiano, nella<br />

normalità della vita, nella sua integrazione<br />

visiva e pratica nei percorsi degli uomini; visitare<br />

i luoghi con acutezza di sguardi ma larghezza<br />

di tempi, ed eventualmente i musei,<br />

cercando di proiettarne le opere all’esterno<br />

per lo meno con l’immaginazione; non frequentare<br />

normalmente mostre ed eventi, e nel<br />

caso esprimere critiche e dissenso, ma privilegiare<br />

le collezioni permanenti e l’arte diffusa<br />

sul territorio (spesso ahimè non accessibile<br />

oppure resa tale solo dalla disponibilità dei<br />

volontari); comprare un’opera che ci piace,<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660


| ( 23 ) |<br />

incoraggiare gli artisti che ci piacciono, fidandoci<br />

del nostro gusto, perché se un buon<br />

effetto può avere la pessima fama dell’ambiente<br />

artistico ufficiale, è nel rafforzarci nel<br />

nostro intuito, visto che degli “esperti” non ci<br />

si può certo fidare!<br />

Riscoprire la gioia di portarci a casa una<br />

piccola scultura, come di trovare in una chiesa<br />

una dolcissima Madonna, venerata sull’altare,<br />

magari con gli abiti ottocenteschi, mentre<br />

tante altre, in certi casi sottoposte a dissennati<br />

restauri, se ne stanno squallidamente<br />

ed ossessivamente in fila in una sala (ci può<br />

essere — salvo la distruzione — un danneggiamento<br />

specifico peggiore)<br />

Sostenere l’artigianato artistico, le tradizioni<br />

artigianali, i cui confini con l’arte erano<br />

un tempo sfumati, e che talvolta oggi appaiono<br />

suggestivi rifugi di saperi antichi e raffinati.<br />

Raccogliere notizie, documentazione, opere<br />

di artisti del 900 misconosciuti ed emarginati<br />

dal trionfo delle avanguardie. Agire pertanto<br />

per ricostituire concretamente un mercato<br />

indipendente ed anticonformistico, che<br />

applichi un discernimento sulla qualità (pur<br />

nella pluralità dei gusti personali).<br />

0<br />

Questo è anche il significato e lo scopo di<br />

ciò che ho pubblicato su <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>. En amateur,<br />

poiché le gerarchie culturali e i cosiddetti<br />

esperti hanno tradito, ho voluto dare testimonianza<br />

del mio modo di vivere l’arte come<br />

una risorsa, che incardina l’itinerario fisico<br />

— un viaggio — e spirituale a momenti di incontro,<br />

di riconoscimento. In questo molto ha<br />

contato per me la lettura di Pavel Florenskij,<br />

e i testi del cardinale Ratzinger.<br />

e la sua considerazione sui destini dell’uomo e<br />

della vita. La fede nel trascendente ha dato il<br />

volto alle nostre città, e la nostra arte è annuncio<br />

o tormento di fede, è amore del reale,<br />

perché in esso può trasparire il divino, è figura<br />

e volto di speranza, non angoscia iconoclastica.<br />

La nostra arte non ha bisogna dell’“aura”,<br />

perché partecipa di una millenaria dimestichezza<br />

con la manipolazione creatrice di<br />

ideale bellezza, fatta propria e resa integralmente<br />

umana dal cristianesimo, affermatasi<br />

come valore collettivo e civico, segno identitario<br />

e pervasivo di territori e città, con un’inesauribile<br />

ricchezza simbolica. Se guardiamo<br />

alle quantità, le presenze di AC e bruttezze<br />

novecentesche che ci appaiono così disturbanti,<br />

sono insignificanti, imbarazzanti nella loro<br />

miseria: è l'effetto amplificatorio dei media<br />

disciplinatamente al servizio di chi paga che<br />

falsa le proporzioni.<br />

Alla modernità come conservazione torva e<br />

nevrotica dei resti di un fallimento plurigenerazionale<br />

va contrapposto il sereno possesso<br />

di un presente illuminato dalla tradizione vivente<br />

e dalla speranza.<br />

GABRIELLA ROUF<br />

0<br />

L’arte antica in Italia è prevalentemente<br />

arte sacra o a soggetto religioso: e quali che<br />

siano i percorsi individuali, l’esperienza visiva<br />

e razionale interpella la totalità della persona<br />

8 ottobre 2011 Anno XI


| ( 24 ) |<br />

Immagine tratta da: R.Bradley, The Riches of a Hop-Garden explaind, Printed for C.Davis & T.Green. Londra 1729.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 660


A<br />

B<br />

N°661<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

14 OTTOBRE 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

I N V I T O A L L A L E T T U R A .<br />

I L U S I A D I<br />

DI LUÍS VAZ DE<br />

CAMÕES.<br />

V<br />

Abbiamo un grosso problema nell'invitare alla lettura<br />

dei Lusiadi. Non nutriamo dubbi sul fatto che il testo<br />

sia godibilissimo per il lettore dei nostri giorni; soprattutto<br />

nell'ultima edizione, quella del 2001 nei BUR<br />

Classici con la traduzione fresca e appassionata di Riccardo<br />

Averini (1915-1980) e il testo a fronte. L'edizione,<br />

con la curatela di Giuseppe Mazzocchi e le note di<br />

Valeria Tocco, è ottima per l'acribia e la completezza<br />

degli apparati ma, ecco il problema, è esaurita dal 2005<br />

e per ora non si parla di ristampa. Dunque da sei anni<br />

nelle librerie mancano i Lusiadi, si tratta di una piccola<br />

vergogna per l'editoria italiana ma si sa la moneta<br />

cattiva scaccia quella buona: o Antonio Tabucchi e il<br />

politicamente corretto o Louís Vaz de Camões e l'epica<br />

della conquista. Nelle more di una ristampa, alla quale<br />

ci piace pensare questo numero possa contribuire, i<br />

lettori potranno cercare nel mercato dell'usato oppure<br />

scaricare una delle versioni ottocentesche disponibili in<br />

Google libri, ad es.:<br />

http://books.google.it/booksid=9aoDAAAAYAAJ.N<br />

INDICE<br />

1 <strong>Il</strong> VII canto dei Lusiadi.<br />

14 Francesco Pappalardo. Camões.<br />

16 La bandiera portoghese.<br />

16 La vera gloria.<br />

17 Sulle immagini.<br />

18 <strong>Il</strong> ricordo del naufragio.<br />

18 Aurelio Roncaglia. Una raccolta di emblemi morali.<br />

a <strong>Il</strong> settimo canto nella traduzione<br />

di Felice Bellotti (1786-1858).<br />

1<br />

GIUNTI ormai si vedean presso alla terra,<br />

Già di tanti desio, cui la corrente<br />

Quinci dell'Indo, e quindi il Gange inserra.<br />

Quel che nel ciel terrestre ha la sorgente.<br />

Su dunque tu che coglier cerchi in guerra<br />

La vincitrice palma, o ardita gente!<br />

Ecco attinto hai lo scopo; ecco a te innante<br />

<strong>Il</strong> suol d'ogni ricchezza esuberante.<br />

2<br />

Dico di Luso a voi schiatta gentile,<br />

Che del mondo non sol, ma del buon gregge<br />

Siete parte sì poca, e dell'ovile<br />

Di quel Signor che l'universo regge:<br />

Voi cui nullo periglio il cor fa vile<br />

Nel conquistare il popol senza legge;<br />

Né avarizia v'arresta, o scarso zelo<br />

Di quella madre, ond'è l'essenza in cielo.<br />

2 dell'ovile: la cristianità. madre, ond'è l'essenza in cielo: la Chiesa<br />

Cattolica, insieme di terrestre Chiesa militante e celeste Chiesa<br />

trionfante.<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

3<br />

Portoghesi, voi pochi al par che forti,<br />

Che il fral vostro poter non ponderate;<br />

Voi che a costo di mille orride morti<br />

L'eterna Fede a dilatar pugnate:<br />

Privilegiati han voi del ciel le sorti<br />

A molto oprar, benché sì pochi siate,<br />

Per lo impero di Cristo. A cotant'alti<br />

Onori, o Dio, tu l'umiltade esalti!<br />

4<br />

Gli Alemanni vedete, armento altero,<br />

Che pasce in sì gran campi, ed or s'attenta<br />

Farsi ribelle al successor di Piero,<br />

E pastor nuovo e nuovo culto inventa;<br />

E tutto freme di furor guerriero<br />

(Che nel cieco error suo mal s'accontenta)<br />

Non contra il superbissimo Ottomano,<br />

Ma per tòrsi al divin giogo sovrano.<br />

5<br />

D'Anglia vedete il re, che pur s'appella<br />

Della città santissima signore,<br />

Che al turpe Ismaelita or geme ancella,<br />

(Chi vide mai più menzognero onore)<br />

Tra sue brume ei gavazza, e di novella<br />

Cristianità farsi presume autore.<br />

Nuda ha la spada incontro a quei di Cristo.<br />

Non di quel regno a ritentar l'acquisto.<br />

6<br />

Gli tiene intanto un re profano e rio<br />

La terrestre Sion, mentre ai celesti<br />

Dell'eterea Sion dòmmi restio<br />

L'animo ei serba, e fatti adopra infesti. —<br />

Gallo indegno, e di te che dir degg'io<br />

Che il nome Cristianissimo volesti,<br />

Non per esser campione in sua difesa,<br />

Ma contr'esso accamparti, e fargli offesa.<br />

7<br />

Dritto aver su Cristiane altre contrade<br />

Vuole il dominio tuo, grande già tanto;<br />

E non del Nil, non del Cinifo invade<br />

Le rive che de' Santi odiano il Santo<br />

Quivi il filo a provar s'ha delle spade<br />

In chi la Chiesa di sprezzar fa vanto.<br />

Di Carlo e di Luigi e nome e terra,<br />

Non la giusta redasti ira di guerra!<br />

8<br />

Che di quelli dirò, che fra delizie,<br />

Onde l'ozio è compagno e vile amico,<br />

Logran le vite e fondon le dovizie,<br />

Sdimenticati del valore antico<br />

Nascon da tirannia le inimicizie<br />

Fra quel popolo forte a sé nimico.<br />

Parlo, Italia, con te, con te sommersa<br />

In vizj mille, ed a te stessa avversa.<br />

9<br />

Siete voi forse, o miseri Cristiani,<br />

Di Cadmo i denti sul terren gittati,<br />

Che gli uni gli altri vi struggete insani,<br />

Sendo pur d'un sol alvo al mondo nati<br />

Non vedete voi forse in man de'cani<br />

<strong>Il</strong> sepolcro di Cristo, e congiurati<br />

Quei la vostra a ritorvi antica parte,<br />

Farsi famosi nella bellic'arte<br />

10<br />

Ha per uso, il vedete, anzi precetto,<br />

(E osservarlo ben sa) quella genia<br />

Sempre esercito aver d'arme in assetto<br />

Contra ogni gente che Cristiana sia,<br />

Né fra voi seminar mai cessa Aletto<br />

Di sue zizanie la semenza ria.<br />

Pensate a vostra securtà, quand'essi<br />

Vi son nimici, e siete a voi voi stessi.<br />

4 al successor di Pie[t]ro: il Papa. Pastor nuovo: Lutero.<br />

5 il re: Enrico VIII re d'Inghilterra. S'appella […] signore: a partire<br />

da Riccardo Cuor di Leone i re d'Inghilterra avevano il titolo<br />

di re di Gerusalemme.<br />

6 un re profano e rio: quello Turco, regnante sulla Gerusalemme<br />

terrestre (La terrestre Sion). Gallo indegno: Francesco I, re di Francia<br />

alleato dei turchi contro Carlo V. Di novella Cristianità: il riferimento<br />

è allo scisma anglicano.<br />

7 Cinifo: il fiume che bagna Tripoli. Di Carlo e di Luigi: Carlo<br />

Magno e San Luigi IX. Di Cadmo: abbattuto un drago, Cadmo ne<br />

seminò i denti; ne nacquero guerrieri che presero subito ad uccidersi<br />

fra loro. In man de' cani: i mussulmani, l'epiteto era già in<br />

Petrarca ed Ariosto.<br />

10 Aletto: la Furia che semina discordia.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 661


| ( 3 ) |<br />

11<br />

Che se brama di stati o di tesoro,<br />

Estranie terre a conquistar vi mena,<br />

L'Ermo e il Pattòlo non vedete, d'oro<br />

Volger con l'onde rilucente arena<br />

Tesson Lidia ed Assiria aureo lavoro;<br />

Molta d'Africa i monti han aurea vena.<br />

L'idea vi mova di ricchezza tanta,<br />

Se muover non vi può la Tomba santa.<br />

12<br />

Quelle machine orrende, e quelle nuove<br />

Di morte invenzioni e di paura,<br />

Far ben dovrian le lor tremende prove<br />

Di Bizanzio e Turchia contra le mura.<br />

De' Caspii monti alle silvestri cove<br />

Fate, e di Scizia, ritornar l'impura<br />

Turca razza, che già cresce e s'acclima<br />

Nella gentile Europa vostra opima.<br />

13<br />

Armeni e Greci e Georgiani e Traci<br />

A voi gridan riparo all'empio oltraggio,<br />

Onde a forza i lor figli ella seguaci<br />

Fa del Corano: ahi troppo duro omaggio!<br />

Nel punir que' crudeli atti rapaci<br />

Gloriatevi di senno e di coraggio:<br />

Né ricercate il petulante onore,<br />

Di possanza su i vostri aver maggiore.<br />

14<br />

Ma intanto che voi ciechi ed assetiti<br />

Del vostro sangue andate, o gente insana,<br />

Non mancar, no, cristiani petti arditi<br />

Nella picciola terra Lusitana.<br />

Porti ella tien su gli Africani liti;<br />

Più d'ogni altra nell'Asia ella è sovrana;<br />

Miete del mondo nella parte nuova.<br />

E in altra mieterà, s'altra si trova.<br />

15<br />

Or veggiam ciò che avvenne in cotal punto<br />

A que' suoi sì famosi naviganti,<br />

Da che Ciprigna blandamente emunto<br />

Ha de' venti il furor forte-soffianti,<br />

E il navilio alla terra in vista è giunto.<br />

Ch'è fin de' sforzi lor tanto costanti,<br />

Ove a dar nuovo re, nuovo costume<br />

Vengono, e legge di verace Nume.<br />

16<br />

Mentre più presso al nuovo suol si fanno,<br />

Lievi schifi incontrar di pescatori,<br />

Che lor per dritta via mostrando vanno<br />

Calecut, di cui sono abitatori.<br />

Vèr là tosto le prue la volta danno,<br />

Ché quella è la miglior delle migliori<br />

Del Malabar cittadi, e quivi ha sede<br />

<strong>Il</strong> re che tutto quel tener possede.<br />

17<br />

Di qua il Gange e di là l'Indo fiancheggia<br />

Un terren vasto e per gran fama noto:<br />

Lo cinge all'Austro il mare, e lo fronteggia<br />

L'Emodio, al Norte, per caverne vuoto.<br />

Giogo di re diversi il tiranneggia<br />

Con varia fede. Altri a Macon devoto;<br />

Altri è idolatra; altri per numi adora<br />

I bruti che fra loro hanno dimora.<br />

18<br />

Del gran monte colà, che in mezzo fende<br />

Quella terra, e per tutta Asia discorre,<br />

E dalle varie regïon che prende<br />

Si fa vario pur anche il nome imporre,<br />

L'onda d'ambo que' fiumi a paro scende,<br />

E nell'Indico mare a morir corre;<br />

E il terren che fra lor giace compreso<br />

Rende aspetto a veder di Chersoneso.<br />

11 L'Ermo e il Pattolo: fiumi auriferi della Lidia. La Tomba santa:<br />

orig. “a Casa Santa”, la Chiesa.<br />

14 Parte nuova: orig. “quarta parte nova”, il Brasile.<br />

16 schifi: piccole barche.<br />

17 Un terren vasto: l'India. L'Emodio: l'Himalaia. Altri a Macon<br />

devoti: i maomettani.<br />

18 di Chersoneso: di penisola.<br />

14 ottobre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

19<br />

Tra quel fiume e quell'altro a simiglianza<br />

Di piramide in mar con lunga punta<br />

Una contrada estendesi e s'avanza,<br />

E di Ceilàn vêr l'isola s'appunta.<br />

E su del Gange in vêr la fonte ha stanza<br />

(Se di ciò vera a noi la fama è giunta)<br />

Tale una gente, che de' cari odori<br />

Sol si nudria de' variopinti fiori.<br />

20<br />

Ma di nome e costumi or differenti<br />

Popoli varii ha quella terra in seno.<br />

Havvi i Delii e i Patani assai possenti<br />

Di numero, e di ricco ampio terreno;<br />

V'ha Decani ed Oriàs che alle correnti<br />

Speran del Gange esser fidata appieno<br />

La lor salvezza; e v'ha il Bengàl, feconda<br />

Terra così, che ogni altra è a lei seconda.<br />

21<br />

Là di Cainbaja è il bellicoso stato<br />

(Di Poro un dì, se il grido in ciò non erra)<br />

Là v'è quel di Narsinga, assai pregiato<br />

Per oro e gemme, più che forte in guerra.<br />

E dall'alto del mare un elevato<br />

Monte si scorge che s'allunga, e serra<br />

Da un lato il Malabar, qual saldo muro,<br />

Che da quei del Canara il fa securo.<br />

19 Tale una gente: il leggendario popolo privo di bocca che si nutriva<br />

attraverso le narici, coi profumi.<br />

21 Delii: abitanti la regione di Delhi. Patani: Afgani. Decani:<br />

abitanti al regione del Deccan. Oriàs: abitanti dell'Orish.<br />

22<br />

Gate appellan quell'erta e lunga balza;<br />

E si stende da piè di quella china<br />

Stretta falda di suol, cui batte e incalza<br />

<strong>Il</strong> natural furor della marina.<br />

Quivi superba Calecut s'inalza,<br />

Fra molt'altre città capo e regina;<br />

Anzi capo d'impero opima e bella;<br />

E Samorino il suo signor s'appella.<br />

23<br />

Tocche appena l'armata ha quelle sponde.<br />

Ne va da Gama un Portoghese eletto,<br />

Che al re, qual gente alla sua terra e donde<br />

Sia giunta, annunzii con verace detto.<br />

<strong>Il</strong> messo per lo fiume entra, che l'onde<br />

Quivi mesce col mare; e il nuovo aspetto,<br />

Le stranie fogge, ed il color del volto,<br />

Traggono a riguardarlo il popol folto.<br />

22 Cainbaja: Cambaia. Poro: re dell'India sconfitto da d'Alessandro<br />

Magno. Samorino: titolo che equivale a imperatore.<br />

23 Tocche appena: nota Enzio di Poppa Vòlture: “È il 20 maggio<br />

1498: la via delle Indie è aperta. <strong>Il</strong> primo contraccolpo lo sentirà<br />

Venezia che aveva il monopolio delle spezie per tutta l'Europa e<br />

comincerà a perdere, da questo momento, due milioni di zecchini<br />

d'oro all'anno.”<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 661


| ( 5 ) |<br />

24<br />

Fra la turba accorrente al nuovo grido,<br />

Uno evvi a caso di Macon devoto,<br />

Nato di Barberia là sovra il lido,<br />

In quel paese, onde fu Anteo despòto.<br />

O perché presso del natal suo nido<br />

A lui non era il Portogallo ignoto;<br />

0 ché già l'armi ei ne provasse in guerra;<br />

Poi sorte il trasse a sì lontana terra.<br />

25<br />

Vede il messo, e con volto a lui giocondo<br />

Così favella in idioma ispano:<br />

Che mai dalla tua patria a tal del mondo<br />

Altra parte ti addusse, o Lusitano<br />

E questi: Aprendo un vasto mar profondo<br />

Non corso pria da navigante umano,<br />

Veniam l'Indo a cercar, per far che sede<br />

Quivi abbia pur del vero Dio la fede.<br />

26<br />

Stupì di così lungo arduo viaggio<br />

Monzaide (ché tal nome il Moro avea),<br />

E quante ansie e travagli in quel passaggio<br />

Aver sofferti il Lusitan dicea.<br />

Ma poich'inteso egli ha che il suo messaggio<br />

Al re dirittamente espor dovea,<br />

Fuor (dice) egli è della città; ma poco<br />

Di qua lontano è di sua stanza il loco.<br />

27<br />

E l'invitò che, mentre il portentoso<br />

Suo arrivo al Samorin venga rapporto,<br />

Nel povero suo tetto entri a riposo,<br />

E di fresche vivande abbia conforto.<br />

Egli stesso con lui volonteroso<br />

Indi a veder verrìa lo stuolo al porto;<br />

Ché gran gioja è trovar su peregrine<br />

Terre genti di patria a noi vicine.<br />

28<br />

Ciò che Monzaide gli offería, con grata<br />

Alacre voglia il Lusitan riceve;<br />

E con lui, qual fra lor fosse già stata<br />

Lunga amicizia, e piglia cibo e beve.<br />

Poi van dalla città tosto all'armata,<br />

Cui riconosce il Mauritan di lieve.<br />

Salgon la capitana, e benigni atti<br />

Ivi son d'accoglienza al Moro fatti.<br />

29<br />

Lieto l'abbraccia il Capitan, che intese<br />

Com'egli in chiaro Castiglian favella.<br />

Al suo fianco l'asside, e del paese<br />

Molta gli chiede e del suo re novella.<br />

E qual le piante, di piacer già prese,<br />

Dietro all'amante d'Euridice bella<br />

Correano al tocco della cetra d'oro,<br />

Tal s'affolla or la gente intorno al Moro.<br />

30<br />

E quei comincia: O popol cui natura<br />

Fe' al mio suolo natal crescer vicino,<br />

Qual possanza di fato o qual ventura<br />

Per sì lungo vi trasse arduo cammino<br />

Certo non è senz'alta causa oscura,<br />

Fin dal Tago venirne e fin dal Mino,<br />

Mari solcando ad altra nave ignoti,<br />

A sì divisi regni e sì remoti.<br />

31<br />

Per certo Iddio vi spinge: Iddio vi guida<br />

A qualch'opra per sé d'alto cimento:<br />

Per ciò sol da' nemici Egli v'affida,<br />

Dal mare irato e dall'irato vento.<br />

Or nell'India voi siete, ove s'annida<br />

Popol vario e felice ed opulento<br />

D'oro e di gemme di diversi nomi,<br />

Di droghe ardenti, e di soavi aromi.<br />

24 Barberia: antico nome del Nord Africa. Anteo: il mitico gigante<br />

ucciso da Ercole. Re del Marocco, fondò Tangeri.<br />

29 all'amante d'Euridice: Orfeo.<br />

14 ottobre 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

32<br />

Questa, a cui giunti or sono i vostri legni,<br />

La terra ell'è, che Malabar si chiama.<br />

Adora degli antichi idoli i segni,<br />

E intorno il culto lor pur si dirama.<br />

Or diversi monarchi han questi regni;<br />

Ma che d'un sol fosser già tutti, e fama.<br />

Saramà Perimàl fu quei che impero<br />

Ebbe ultimo su tutti uno ed intero.<br />

33<br />

Dall'Arabico golfo a questo lato<br />

Un'altra gente allor venne, da cui<br />

Qui addotto fu di Maometto il rito,<br />

Nel qual dal padre instituito io fui.<br />

Di loro ai preghi e all'eloquente invito<br />

Perimàl si converse, e tanto in lui<br />

Inspirar zelo per la fé novella,<br />

Che morir santo ei fe' disegno in quella.<br />

34<br />

E là rendersi volle, ove adorato<br />

Giace il profeta che la legge diede:<br />

Navi appresta e di quanto ha più pregiato,<br />

Per tributo a lui farne, le provede.<br />

Ma fra' più cari suoi l'amplo suo stato<br />

Partisce pria (ché non ha proprio erede);<br />

E di poveri, ricchi; e di soggetti,<br />

Liberi fa quei che gli son più accetti.<br />

35<br />

E l'un Cochino, e l'altro Cananore,<br />

E l'isola del Pepe un'altro ottiene:<br />

Altri han Chale, e Colano, e Cranganore;<br />

E a chi meglio il servì, meglio n'avviene.<br />

Un giovenetto, che di molto amore<br />

Ei diligeva, innanzi alfin gli viene:<br />

Resta sol Calecut, citta fiorente<br />

Per mercimonio, e nobile e possente.<br />

36<br />

Gli dà questa, e del nome anco il decora<br />

D'imperador che sovra gli altri imperi.<br />

Parte, ciò fatto, e va dove dimora<br />

Far vuole in atti di pietade austeri.<br />

Di Samorin l'eccelso nome allora,<br />

Primo titol d'onore infra i primieri,<br />

A quel garzon rimase, e a tutti poi,<br />

Fino al presente, i successori suoi.<br />

37<br />

Religion tutta di fole impura<br />

Ricchi e indigenti sotto sè rassegna.<br />

Nudi van, fuor che un panno alla cintura<br />

Copre ciò che coprir natura insegna.<br />

Due caste v'ha: la più di sangue pura<br />

È de' Náiri nomata, e la men degna<br />

È de' Poléas, a cui la legge niega<br />

<strong>Il</strong> far con l'altra mescolanza e lega.<br />

38<br />

E l'uom che un'arte esercitò, consorte<br />

Fra quei dell'arte sua convien che pigli;<br />

Né officio altro aver mai, sino alla morte,<br />

Fuor che quello de' padri, è dato a' figli.<br />

A' Nàiri poi, se avvien talor per sorte<br />

D'esser tocchi da quei, par che s'appigli<br />

Sì gran macchia, che tosto a farsen tersi<br />

Mille adopran di rito atti diversi.<br />

37 Nàiri: la casta dei nobili-guerrieri. Poléas: i paria, gli intoccabili.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 661


| ( 7 ) |<br />

39<br />

Tal le genti toccar Samaritane<br />

Aborriva l'Ebreo popolo antico.<br />

Ma in questa terra anco altre molte e strane<br />

Costumanze vedrai, più ch'io non dico.<br />

Qui dell'arme il maneggio anco rimane<br />

Solo a' Nairi fidato; e dal nemico<br />

Essi guardano il re, targa portando<br />

Al manco braccio, e nella destra il brando.<br />

40<br />

Bramani han nome i sacerdoti, augusto<br />

Nome antico fra loro, e le famose<br />

Leggi osservano d'un che nel vetusto<br />

Tempo un proprio al saper titolo impose.<br />

Nulla uccidon di vivo, e carni al gusto<br />

Non danno mai; nelle veneree cose<br />

Usan sol più licenza, e i lor corregge<br />

Accoppiamenti una men dura legge.<br />

41<br />

Communanza di mogli ella consente,<br />

Fra' congiunti però sol de' mariti.<br />

Felice sorte, avventurosa gente,<br />

Non mai turbata di gelose liti!<br />

E tal de' Malabari è il differente<br />

Costume, ed altri han usi ancora e riti.<br />

Opulento è il paese, e d'ogni merce<br />

Fra la Cina ed il Nil trafico eserce.<br />

42<br />

Così il Moro favella. E già vagando<br />

Ne va per tutta la città la fama<br />

Dell'approdata estrania gente, quando<br />

Vien d'intenderne il vero al re la brama.<br />

Onde suoi messi, a cui per via passando<br />

Curioso desire intorno chiama<br />

Ogni sesso ed età, del Lusitano<br />

Navil vengon cercando il capitano.<br />

43<br />

Questi, poi che dal re n'ebbe balía,<br />

Col suo nobil corteggio in su l'istante<br />

Nel palischermo alla città s'avvia<br />

Di ricche vesti adorno e sfolgorante.<br />

Di que' varii color la leggiadría<br />

L'occhio rallegra al popolo ammirante.<br />

Batte il remo in cadenza del mar l'onde,<br />

Poi del fiume procede in fra le sponde.<br />

44<br />

Stava su queste un reggitor del regno,<br />

In suo linguaggio Catuàl nomato,<br />

E là, cinto da Náiri, a Gama un degno<br />

Accoglimento appresta inusitato.<br />

Nelle braccia il riceve a uscir del legno<br />

E in palanchin pomposamente ornato<br />

L'adagia, e come usanza han quelle genti,<br />

Su gli omeri portato è da sergenti.<br />

45<br />

Così va il Malabàr, così di Luso<br />

Va il Capitan, là dove il re gli aspetta.<br />

Dietro ne vien de' Portoghesi, all'uso<br />

Di pedestre squadron, la schiera eletta.<br />

V'accorre intorno il popolo confuso,<br />

E di più cose a domandar s'affretta;<br />

Ma qui fanno le ignote a lui favelle<br />

Quel che alla torre un dì fêr di Babelle.<br />

46<br />

Van Gama e il Catuàl parlando intanto<br />

Di ciò che a lor l'occasìon porgea:<br />

Ed è Monzaide interprete di quanto<br />

L'uno all'altro di lor dire intendea.<br />

E per città fatto cammino han tanto,<br />

Che là giunti già sono, ove surgea<br />

Alto un tempio ch'entrambo insieme accoglie<br />

Entro le ricche sontuose soglie.<br />

40 d'un che nel vetusto tempo: Pitagora, che dette il nome alla filosofia<br />

e predicava il vegetarianesimo e la metempsicosi.<br />

43 Palischermo: Imbarcazione a remi al servizio di una nave<br />

maggiore.<br />

44 Catuàl: Governatore.<br />

45 Quel che alla torre un dì fer di Babelle: la diversità delle lingue<br />

non permette al popolo la comunicazione coi portoghesi.<br />

14 ottobre 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

47<br />

Sculte in tronco ed in pietra ivi le forme<br />

Stan degl'idoli loro, e differente<br />

Di ciascuno è l'aspetto e sì deforme,<br />

Qual figurolli di Satàn la mente:<br />

Lavoro orrendo, in varietà conforme<br />

Alla Chimera dell'antica gente.<br />

Stupiscono i Cristiani, ai quali usanza<br />

È Dio vedere in bella d'uom sembianza.<br />

50<br />

E già presso son giunti agli olezzanti<br />

Vaghi giardini, in mezzo a cui nascosi<br />

Son gli alberghi del re, non torreggianti,<br />

Ma pur nobili molto e sontuosi.<br />

Ché le lor regie ivi usano i regnanti<br />

In boschi edificar delizïosi:<br />

Di tal guisa il soggiorno hanno ad un punto<br />

Di villa insieme e di città congiunto.<br />

48<br />

L'uno la testa di due corna appunta,<br />

Qual Giove Ammone in Libia: un altro accoppia<br />

Una faccia ad un'altra in un congiunta,<br />

Giano imitando dalla fronte doppia.<br />

Gran numero di braccia a un altro spunta,<br />

Qual Briareo che braccia a braccia addoppia:<br />

Altro con ceffo appar di can, siccome<br />

Quel che in Menfi si cole, e Anubi ha nome.<br />

51<br />

Nel portical, che del palagio è chiostra,<br />

Con dedaleo lavor quant'arte puote,<br />

Storie v'ha figurate, in cui dimostra<br />

India l'alte sue origini remote:<br />

E sì bella vi fanno e viva mostra,<br />

Che ogni uomo, a cui sien quelle geste note,<br />

Tosto che a riguardar l'occhio v'affisa,<br />

I veri objetti ivi adombrati avvisa.<br />

49<br />

Qui superstizïoso in atto adora<br />

Suoi falsi numi il barbaro pagano;<br />

Poi diritto ne van, senza dimora,<br />

Di quella terra al regnator sovrano.<br />

Vie più il popolo ingrossa ad ora ad ora<br />

Di veder curioso il duce estrano:<br />

Donne, fanciulle, e vecchi, e pargoletti<br />

Affollano i balconi e gli alti tetti.<br />

52<br />

Grande esercito v'è, che d'Orïente<br />

Preme la terra dell'Idaspe in riva:<br />

La guida un duce in gioventù fiorente,<br />

Che frondiferi tirsi in man brandiva.<br />

Su le sponde del fiume ivi scorrente<br />

La fondata da lui Nisa appariva.<br />

Se qui Semele fosse (al vivo espresso<br />

Tant'è) direbbe: ecco, il mio figlio; è desso.<br />

52 La guida un duce: Bacco, figlio di Sèmele.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 661


| ( 9 ) |<br />

53<br />

V'è d'Assirii sì folto indi un guerriero<br />

Armento, che bevendo asciuga il fiume;<br />

Donna sovr'essi ha signoria d'imperio,<br />

Bella al par che lasciva in suo costume.<br />

Ha sculto al fianco un generoso e fiero<br />

Corsier, ch'ella col figlio a parte assume<br />

Nel suo cuor d'un affetto abominando.<br />

Oh brutta incontinenza! amor nefando!<br />

54<br />

In altro più lontano campo distinto<br />

Fa l'aura tremolar greche bandiere.<br />

La terza è questa monarchia che sointo<br />

Fino all'acque del Gange ha il suo potere,<br />

Guida giovane eroe, la fronte cinto<br />

D'inclita palma, le vittrici schiere:<br />

Né già più di Filippo essere ei vuole.<br />

Ma sì di Giove indubitata prole.<br />

55<br />

Mira Gama co' suoi quelle memorie,<br />

E il Catuàl tali a lui volge accenti:<br />

Tempo in breve verrà ch'altre vittorie<br />

Vinceran queste, in ch'ora hai gli occhi intenti;<br />

e nuove qui si scriveranno istorie<br />

Di nuove che verranno estrane genti;<br />

Giusta ciò che del ver disser presaghi,<br />

Esplorando il futuro, i nostri maghi.<br />

56<br />

E disse ancor la magica scïenza,<br />

Che tal destino ad evitar, d'umana<br />

Forza né d'arte varrà potenza;<br />

Ché contra il cielo umana possa è vana.<br />

Ma ben disse del par, che l'eccellenza<br />

In guerra e in pace di tal gente estrana<br />

Tanta fia, che nel mondo il vincitore<br />

Darà sol col suo nome ai vinti onore.<br />

57<br />

Sì tra lor favellando, entran que' dui<br />

Nella grand'aula, e gli altri appresso a loro.<br />

Là posa il re su tale un letto, a cui<br />

Nulla è par di materia e di lavoro.<br />

Signor beato e venerando in lui<br />

Mostra il contegno suo calmo e decoro.<br />

Aureo drappo lo cinge, e di gran pregio<br />

Un gemmato diadema al capo è fregio.<br />

58<br />

Presso un vecchio gli sta, che in reverente<br />

Atto, a terra il ginocchio, a quando a quando<br />

Una verde a lui dà foglia d'ardente<br />

Sapor, ch'egli, qual suol, vien ruminando.<br />

Un Braman, personaggio ivi eminente,<br />

Verso Gama ne va grave, e con blando<br />

Modo il presenta al gran prence, che ad esso<br />

Cenno fa di sedere ivi dappresso.<br />

59<br />

Siede egli accanto al sontuoso letto;<br />

Stanno i suoi più discosto. Intento avvista<br />

<strong>Il</strong> Samorino e gli abiti e l'aspetto<br />

Di quella gente a lui dappria non vista.<br />

Grave la voce trae dal saggio petto,<br />

Che grande a un tratto autorità gli acquista<br />

Appo quel sire e le sue tutte genti,<br />

<strong>Il</strong> Capitan, parlando in questi accenti:<br />

60<br />

Un magno re là in quelle parti, d'onde<br />

<strong>Il</strong> mobil ciel con sua perpetua volta<br />

Sotto la terra il solar lume asconde,<br />

Lasciando questa in buja notte avvolta;<br />

La fama udendo, che di là risponde,<br />

Come dell'India tutta in te raccolta<br />

La maestade e la possanza siede,<br />

Teco aver d'amistà vincolo chiede.<br />

53 Donna sovr'essi: la lussuriosa e incestuosa Semiramide.<br />

54 giovane eroe: la terza monarchia è quella di Alessandro Magno.<br />

58 una verde: la foglia di bètel.<br />

60 un magno re: Don Manuel.<br />

14 ottobre 2011 Anno XI


| ( 10 ) |<br />

61<br />

E per lunghi viaggi a te mi manda,<br />

Perché conto ti sia, che quante avviene<br />

Che la terra ed il mar ricchezze spanda<br />

Di là dal Tago alle Niliache arene,<br />

Ed ancor dalla gelida Zelanda<br />

Fin dove il sole egual misura tiene<br />

Sempre ne' giorni, là sovra Etiopia,<br />

Tutto egli ha<br />

62<br />

Che se per lega di concorde pace<br />

Per sacro nodo d'amistà fra voi<br />

Mutuo commercio statuir ti piace<br />

Di che tu abondi, e de' produtti suoi;<br />

Agi e averi, che l'uoni con pertinace<br />

Travaglio cerca, a' suoi dominii e tuoi<br />

Cresceranno opulenza, e verrà certo<br />

A te gran giovamento, a lui gran merto.<br />

63<br />

E quando il signor mio con fermo patto<br />

Stringersi teco d'amistade ottenga,<br />

Ei verrà fido in tua difesa, e ratto<br />

Ad ogni guerra, che al tuo regno avvenga,<br />

Con genti, arme, e navigli; e mostra in atto<br />

Farà com'egli per fratel ti tenga.<br />

Or ti piacia, gran sire, a tal proposta<br />

Darmi del voler tuo certa risposta.<br />

64<br />

Sì l'ambasciata il Capitano espose;<br />

E il re, molto di gloria essergli objetto<br />

Veder di popol sì lontan (rispose)<br />

Venirne ambasciadori al suo cospetto.<br />

Ma il senno udir su le proposte cose<br />

Vuol del Consiglio suo, pria d'ogni effetto,<br />

E ben chiarir qual sia quel sire, e quella<br />

Nazione e contrada, ond'ei favella.<br />

65<br />

E che tempo però d'ir gli rimane<br />

Al riposo, ond'ha d'uopo; e apparecchiata<br />

Da portarne al suo re per la dimane<br />

Gli sarà la risposta amica e grata.<br />

E già la notte alle fatiche umane<br />

Fine ponea con la quiete usata,<br />

In che gli occhi a' mortali occupa un dolce<br />

Ozio, e le lasse membra il sonno molce.<br />

66<br />

Allor Gama e i seguaci entro le soglie<br />

Del suo nobil palagio il reggitore<br />

Cortesemente festeggiando accoglie,<br />

E rende a tutti officioso onore.<br />

Ma sollecito in sé carco si toglie,<br />

Obedendo al voler del suo signore,<br />

Di tal gente indagar, d'onde venia,<br />

Patria, costumi e il culto lor qual sia.<br />

67<br />

Appena in ciel l'ignea quadriga ei vede<br />

Di quel giovine iddio che il dì rinova,<br />

Fa Monzaide chiamar; che brama e crede<br />

Trar di tutto da lui verace nuova.<br />

E curioso scrutator gli chiede,<br />

Se tien piena contezza e certa prova<br />

Que' stranieri chi son; ché il lor paese<br />

Giacer vicino alla sua patria intese.<br />

68<br />

E il domandò che un più distinto d'essi<br />

Conto gli dia, poi che servigio il sire<br />

N'avrà non lieve, e apprenderà qual dèssi<br />

Via di governo in tanto affar seguire.<br />

E Monzaide a rincontro: <strong>Il</strong> pur volessi,<br />

Io di quel ch'or dirò, più non so dire.<br />

So che di Spagna ei son, delle contrade<br />

Al mio nido vicine, ove il Sol cade.<br />

67 quel giovine iddio: Apollo, cioè il Sole.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 661


| ( 11 ) |<br />

69<br />

Han la fé d'un profeta, il qual concetto<br />

Fu senza macchia della vergin madre;<br />

Tal che del soffio esser si crede effetto<br />

D'Iddio, rettor dell'universo e padre:<br />

Ed antico è fra noi publico detto,<br />

Che di fiero valore in fra le squadre<br />

Splende il lor braccio, e memorandi esempi<br />

N'ebbero i nostri ne' passati tempi.<br />

70<br />

Perocché, con tremende opre famose<br />

Di bellica virtude oltre l'umana,<br />

Li cacciar delle ricche ed ubertose<br />

Terre cui Tago irriga e Guadiana.<br />

E non contenti ancor, le tempestose<br />

Solcan onde, varcando all'Africana<br />

Costa, e grave ne dan briga e paura,<br />

Togliendone cittadi e forti mura.<br />

71<br />

E non men di possanza e di guerriera<br />

Arte han mostro poi sempre in tutte imprese,<br />

O battagliando con la gente Ibera,<br />

O con qual'altra da Pirene scese.<br />

Né che in somma giammai lancia straniera<br />

Vittoria avesse sovra lor, s'intese;<br />

Né fu mai (ciò t'affermo e ti suggello)<br />

Contro Annibali tali alcun Marcello.<br />

72<br />

Che se nel mio narrar non tutto acchiuso<br />

Trovi ciò che saper da te s'attende,<br />

Chiedine lor; ché verità per uso<br />

Seguono, e in tutto falsità gli offende.<br />

Va' lor navi a veder, l'armi, e quel fuso<br />

Cavo metallo che tutto scoscende.<br />

Godrai certo in mirar qual disciplina<br />

Ogni lor modo in pace e in guerra affina.<br />

73<br />

Arde già l'idolatra in gran desire<br />

Di veder ciò che il Moro a lui racconta.<br />

Ir vuol di Gama ai legni, onde allestire<br />

Fa palischermi, e su con lui vi monta.<br />

Salpano, e il mar de' schifi lor coprire<br />

Vedi la Náira gente a seguir pronta.<br />

Salgon la Capitana, e sovra quella<br />

Lor fa Paolo accoglienza onesta e bella.<br />

74<br />

Son purpuree le tende; e le bandiere<br />

Del fil, cui tragge il filugel, tessute,<br />

Pinte portan le belle opre guerriere<br />

Dal braccio loro in ogni età compiute.<br />

V'ha battaglie campali e avventuriere;<br />

Disfide v'ha di marzïal virtute.<br />

Fiere pitture; e pien di meraviglia,<br />

Fisse in quelle il pagan pasce le ciglia.<br />

75<br />

E già domanda ei ne movea; ma Gama<br />

Pria lo invita che quivi a mensa seggia,<br />

E vi gusti il piacer che cotant'ama<br />

La d'Epicuro settatrice greggia.<br />

Entro a' nappi il licor, che, come è fama,<br />

Mostrò al mondo Noè, fuma e spumeggia;<br />

Ma cosa alcuna il Catuàl non prende,<br />

Quando la legge sua glielo difende.<br />

76<br />

La tromba, che di guerra imagin desta,<br />

L'aere spezza col stridente suono:<br />

<strong>Il</strong> cavo bronzo, opra infernal, funesta,<br />

Fin nel fondo de' mari udir fa il tuono.<br />

Tutto nota il pagan; ma in quelle gesta<br />

Sempre volti i suoi sguardi e intenti sono,<br />

Che in breve spazio e in bei colori vive<br />

Quivi la muta poesia descrive.<br />

71 da Pirene scese: dai Pirenei. Alcun Marcello: Marco Claudio<br />

Marcello, che riuscì a sconfiggere Annibale.<br />

14 ottobre 2011 Anno XI


| ( 12 ) |<br />

77<br />

Sorge, e Gama con esso al destro fianco,<br />

Ed all'altro Coeglio; e l'Indïano<br />

Mira, in nobile aspetto, ed il crin bianco,<br />

Quivi ritratto un capitan sovrano,<br />

Lo cui nome giammai non verrà manco,<br />

Ma durerà quanto il mondo lontano.<br />

Veste ha de' Greci alla perfetta usanza,<br />

E verga in mano di regal possanza.<br />

78<br />

Ha verga in man ... Ma oh temerario e stolto<br />

Io che senza di voi correr m'attento,<br />

Del Tago o Ninfe, e del Mondego, il molto<br />

Di sì lungo cammino arduo cimento!<br />

Invoco or voi, ché il fragil legno ho sciolto<br />

Per alto mar con sì contrario vento,<br />

Che dal vostro favor se non è scorto,<br />

Temo nell'onde andrà fra breve assorto.<br />

79<br />

Mentre che il vostro Tago e i cari figli<br />

Vo di Luso cantando or già tant'anni,<br />

Mirate come a dolorosi esigli<br />

Me fortuna ognor tragge e a nuovi danni;<br />

E or del mar le tempeste ed i perigli,<br />

Or sostengo di Marte i duri affanni,<br />

Qual Canace a morir presso, impugnando<br />

La penna in una, in altra mano il brando.<br />

80<br />

Or pane e asilo a domandar dannato<br />

Dall'aborrita povertade umíle;<br />

Or da concette alte speranze a stato<br />

Ruinar più che mai misero e vile;<br />

Or la vita campar da estremo fato,<br />

La vita che pendea da sì sottile<br />

Filo, che non campò da morte cruda<br />

Per miracol maggiore il re di Giuda.<br />

81<br />

Né bastò, care Ninfe, alla mia prava<br />

Sorte, in tante miserie traboccarmi,<br />

Che que' medesmi ch'io cantando andava,<br />

Così trista mercè diero a' miei carmi;<br />

Ed invece del lauro, ond'io sperava<br />

In orrevol riposo inghirlandarmi,<br />

Inventarmi per me travagli e guai<br />

Mai non trovati e non usati mai.<br />

82<br />

Vedete, o Ninfe, i generosi e degni<br />

Signori, ond'è fastoso il vostro fiume,<br />

Come pregiar, quai di favor dar pegni<br />

Sanno al cantor, che d'esaltarli assume!<br />

Quale a' futuri de' lor dotti ingegni<br />

Esempio e impulso a esercitar l'acume,<br />

E fatti celebrar, ch'eterna gloria<br />

Merteran di poema o pur d'istoria!<br />

83<br />

Ma se la sorte è sì nemica a noi,<br />

Deh non ne sia la vostra aíta incerta,<br />

Or vie più ch'alte geste e magni eroi<br />

Ho a cantar con solenne arte diserta!<br />

Deh m'assistete! ed io qui giuro a voi<br />

Non più corda toccar, per chi nol merta;<br />

E se laude mendace a' grandi io dono,<br />

Grato non sia più de' miei carmi il suono.<br />

84<br />

Né credete che porre io voglia in fama<br />

Uom che al publico bene e del suo sire<br />

L'util proprio antepone, e a Dio non ama<br />

Né docile a civil legge obedire.<br />

Né canterò chi ambizïoso brama<br />

A grandi officii, a gradi alti salire,<br />

Sol per poter con ministero osceno<br />

Scioglier più largo a tutti vizii il freno.<br />

79 Qual Canace: Canace, figlia d'Eolo, che, costretta dal padre,<br />

si suicidò impugnando con la destra il calamo e con la sinistra il<br />

ferro.<br />

80 il re di Giuda: Ezechiele.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 661


| ( 13 ) |<br />

85<br />

Né l'uom che di sua possa usa a far pago<br />

Suo rio talento, o per piaggiar lo stolto<br />

Volgo, ora in una ed ora in altra imago,<br />

Nuovo Proteo, trasmuta il proprio volto.<br />

Né ch'io canti fia mai, dive del Tago,<br />

Uom che di onesto e grave manto avvolto,<br />

Per far grati al suo re suoi nuovi offici<br />

Ruba e dispoglia i popoli infelici.<br />

86<br />

Né colui che dover, che giusto pone<br />

Del re i dritti servar severamente,<br />

E non giusto e dover, che guiderdono<br />

Abbia il sudor della soggetta gente.<br />

Né colui che un'astuta e vil ragione<br />

Sempre va maciullando entro la mente,<br />

Per tassar con rapace, a pro di lui,<br />

Avara mano le fatiche altrui.<br />

87<br />

Quelli io sol canterò, che a Dio, che al loro<br />

Sire han sacro la vita; e se perduta<br />

L'han poi, risorta ad immortal decoro,<br />

Fama la spande a' merti lor dovuta.<br />

Apollo e l'alme Muse al mio lavoro<br />

La lena addoppieran già conceduta,<br />

Poi che alquanto posato il petto stanco,<br />

Tornerò l'opra a ripigliar più franco.<br />

FINE DEL SETTIMO CANTO.<br />

14 ottobre 2011 Anno XI


| ( 14 ) |<br />

a Camões.<br />

DI FRANCESCO PAPPALARDO<br />

Quando Louís Vaz de Camões nasce, fra<br />

il 1517 e il 1525, probabilmente a Lisbona o<br />

a Coimbra, il Regno del Portogallo non è<br />

più soltanto la terrazza d’Europa sull’Oceano<br />

Atlantico, ma è diventato la base di un<br />

impero in rapida espansione. Dopo il viaggio<br />

di Bartolomeo Diaz, che nel 1488 doppia<br />

il Capo di Buona Speranza ed entra nell’Oceano<br />

Indiano, avevano avuto luogo<br />

l’impresa di Vasco de Gama, che nel 1498<br />

navigava fino in India, unendo Lisbona a<br />

Calcutta, e lo sbarco di Pedro Alvares Cabral<br />

sulla Terra de Vera Cruz, l’odierno<br />

Brasile, nel 1500. Quando, nel 1519, Ferdinando<br />

Magellano, un marinaio lusitano al<br />

servizio della Corona spagnola, intraprendeva<br />

la prima circumnavigazione del globo,<br />

i vascelli portoghesi erano alle soglie dell’Oceania:<br />

l’arrivo di Jorge de Meneses in<br />

Nuova Guinea, agli estremi confini del<br />

mondo, nel 1526, e lo sbarco in Cina e in<br />

Giappone nei decenni successivi, sono le<br />

tappe ulteriori dell’eroica impresa del Portogallo,<br />

che, secondo Papa beato Giovanni<br />

Paolo II, «tracciò con la sua scienza nautica e<br />

l’“audacia cristiana”, nuove rotte oceaniche<br />

fino ai confini della terra, entrando così per<br />

sempre nella storia della civiltà».<br />

In circa cinquant’anni i portoghesi avevano<br />

esteso il loro dominio, più commerciale<br />

che militare, su un’area infinitamente più<br />

vasta di quella di partenza, definita inizialmente,<br />

nel 1143, con il trattato di Zamora<br />

che riconosceva l’indipendenza del Portogallo,<br />

oggi uno dei più antichi Stati del continente,<br />

e poi — ma era occorso più di un<br />

secolo — dal completamento della riconquista<br />

dell’area occidentale della penisola<br />

iberica: nel 1249 Alfonso III di Borgogna,<br />

raggiunti i confini portoghesi attuali, aveva<br />

assunto il titolo di «re del Portogallo e degli<br />

Algarve al di qua e al di là del mare», così<br />

manifestando la vocazione oceanica del regno.<br />

Proseguendo idealmente la Reconquista,<br />

nel secolo XIV i portoghesi avevano dato<br />

inizio alla loro espansione oltremare, stimolati<br />

da molteplici fattori, fra cui la collocazione<br />

geografica, la tradizione marinara, il<br />

desiderio di controllare il commercio delle<br />

spezie, l’aspirazione a trovare un alleato cristiano<br />

in Africa per organizzare una crociata<br />

contro l’islam e la volontà di diffondere il<br />

Vangelo nel mondo. L’epica impresa del<br />

Portogallo reca il sigillo di un grande spirito<br />

organizzatore e trascinatore, l’infante<br />

Enrico il Navigatore — quarto figlio di re<br />

Giovanni I, fondatore della Casa di Avis —,<br />

che aveva dato fin dalla giovane età un contributo<br />

importante alla Reconquista e alla<br />

diffusione dell’idea di crociata in Occidente.<br />

Grazie al suo impegno «cominciano i molteplici<br />

assalti contro i musulmani del Marocco,<br />

poi contro il mare. Quasi ogni anno le caravelle<br />

dell’Infante comandate dai suoi signori cavad<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 661


| ( 15 ) |<br />

lieri — secondo la felice definizione del medievista<br />

Jacques Heers — partono per il Sud<br />

lontano, bordeggiando faticosamente al largo<br />

delle coste marocchine, lottando contro le correnti<br />

avverse».<br />

Dietro i navigatori arrivano i missionari,<br />

altrettanto audaci: il gesuita spagnolo san<br />

Francesco Saverio, inviato da re Giovanni<br />

III a evangelizzare l’Estremo Oriente; Luís<br />

de Almeida (1525-1583), missionario in Cina;<br />

Luís Fróis (1532-1597), primo storico<br />

occidentale del Giappone; Antonio Andrade<br />

(1580-1634), che nel 1624 giungerà in Tibet,<br />

primo europeo, «nuotando nella neve»,<br />

come scrive in un rapporto ai suoi superiori,<br />

e tanti altri. Grazie a costoro e grazie all’impresa<br />

di Afonso de Albuquerque (1453-<br />

1515), primo viceré dell’India, che pone le<br />

basi dell’impero commerciale lusitano e di<br />

una politica d’integrazione fondata su incroci<br />

razziali, l’impronta culturale lasciata<br />

dai portoghesi in quelle aree durante centocinquant’anni<br />

sarà molto più marcata di<br />

quella del successivo secolo e mezzo di governo<br />

olandese.<br />

È più che mai giustificata, allora, l’ammirazione<br />

manifestata da Luis de Camões<br />

nei versi de I Lusiadi, il poema con cui celebra<br />

appunto le gesta del suo popolo:<br />

Voi Portoghesi, pochi quanto forti<br />

che il debole poter non soppesate<br />

e a costo delle stesse vostre morti<br />

del tempo eterno i limiti allargate;<br />

assegnate così dal Ciel le sorti<br />

sono, che Voi, per quanto pochi siate<br />

per la Cristianità molto farete:<br />

esalta Cristo l’umiltà che avete 1 .<br />

Erede e interprete di una storia plurisecolare,<br />

egli diventa il più celebre poeta della<br />

letteratura portoghese, massimo rappresentante<br />

del rinascimento lusitano, autore di<br />

moltissime liriche e di alcuni drammi ma<br />

universalmente noto come autore del poema<br />

epico I Lusiadi, in cui canta la gloria dei figli<br />

del mitico progenitore Luso, cioè il popolo<br />

portoghese, attingendo però a valori<br />

universali.<br />

Dato alle stampe a Lisbona nel 1572, tre<br />

anni dopo il ritorno dell'autore dall’Oriente,<br />

l’opera è composta da dieci canti e 1102<br />

strofe, le ottave endecasillabiche, dette anche<br />

ottave ariostesche. Incentrata sul viaggio<br />

di Vasco de Gama — «l’armi e i guerrieri<br />

insigni che attraverso mari sino allora mai<br />

percorsi/ edificarono fra popoli remoti un nuovo<br />

regno» —, descrive anche altri episodi<br />

della storia del Portogallo, cantando «le imprese<br />

gloriose dei sovrani che andaron dilatando<br />

la fede e il regno/ e devastando le terre infedeli<br />

d’Africa e d’Asia». Una storia non alla<br />

moda, politicamente scorretta, che invoca la<br />

crociata contro i mori, ma indispensabile<br />

per capire le radici dell’Europa in cui viviamo.<br />

FRANCESCO PAPPALARDO<br />

1 VII, 3 nella traduzione dell'Averini. Cfr. pag.2. (NDR)<br />

14 ottobre 2011 Anno XI


| ( 16 ) |<br />

a La bandiera portoghese.<br />

a La vera gloria.<br />

Rotti i Mauri e fugati, il vincitore<br />

Le ricche e belle raccogliendo venne<br />

Spoglie compre col sangue e col valore,<br />

E il re nel campo anco tre dì si tenne:<br />

E nel bianco suo scudo a proprio onore,<br />

E di tal fatto a testimon solenne,<br />

Cinque scudi in sereno azzurro pinse,<br />

Segno e trofeo de' cinque re ch'ei vinse.<br />

III, 53-54.<br />

E in que' scudi a color vario dipinti<br />

Ha i trenta nummi, onde fu Dio venduto,<br />

Dell'alta aita, ond'ei que' regi ha vinti,<br />

Grato rendendo al suo Signor tributo.<br />

Fan gli scudi una croce, e ognun distinti<br />

Ha cinque nummi, e il novero compiuto<br />

Fia se conti due volte i nummi dentro<br />

Di quello scudo che alla croce è centro.<br />

Bandiera (militare) del Portogallo.<br />

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />

I colori della bandiera portoghese sono il verde per un terzo e<br />

il rosso per due terzi. […] Al centro della bandiera si colloca<br />

una sfera armillare [v. la macchina del mondo in Lusiadas X,<br />

76-143], simbolo del mondo scoperto dai navigatori portoghesi<br />

nel XV e XVI secolo. Sulla sfera posa uno scudo con sette castelli,<br />

simbolo delle fortificazioni conquistate da D. Afonso<br />

Henriques, e cinque scudetti che rappresentano i cinque re mori<br />

sconfitti da D. Afonso Henriques nella battaglia di Ourique<br />

(1139). I cinque puntini all'interno degli scudetti rappresentano<br />

le cinque piaghe di Cristo. Si narra, infatti, che durante la battaglia<br />

di Ourique, Gesù crocifisso apparve al re D. Afonso<br />

Henriques e disse: «Con questo segno vincerai!». Sommando i<br />

puntini in croce si contano due volte quelli dello scudetto centrale,<br />

giungendo alla somma di 30, simbolo dei 30 denari che<br />

ebbe Giuda per aver tradito Gesù.<br />

(Modificato da: www.lusomondo-italia.it)<br />

VI, 95-99.<br />

Sol per mezzo a sì dure aspre fatiche,<br />

A travagli, a perigli, ed a terrori<br />

Giungon le genti della fama amiche<br />

A gradi eccelsi, ad immortali onori;<br />

Non sempre ai tronchi delle piante antiche<br />

S'appoggiando de' chiari antecessori;<br />

Non in letti dorati, avvolti in fini<br />

Velli di moscoviti zibellini.<br />

Non con nuovi a gustar cibi esquisiti,<br />

Non co' molli passeggi ed oziosi,<br />

Non co' dolci diletti ed infiniti,<br />

Ch'effeminan pur anco i generosi;<br />

Non co' varii non mai vinti appetiti,<br />

Cui fortuna ognor crea sì leziosi,<br />

Che non soffron che passo altri pur muova<br />

Per alcuna d'onor nobile prova:<br />

Ma sol col braccio suo, con le sue geste<br />

L'uom merca onori, che ben suoi poi noma.<br />

Uom che lutta del mar con le tempeste,<br />

Che suda d'aspro acciar sotto la soma;<br />

Vince i ghiacci, onde al polo il suol si veste;<br />

In brulle regioni al Sol si doma;<br />

E di cibo talor fetido e putre,<br />

Dal suo condito arduo soffrir, si nutre.<br />

Né al suo volto cangiar lascia colore,<br />

Ma franco e lieto ad apparir l'avvezza,<br />

Se ignito globo con feral fragore<br />

Braccio o stinco al compagno incoglie e spezza<br />

Così si forma orrevol callo il cuore<br />

Disprezzator d'onori e di ricchezza;<br />

Di ricchezza e d'onor' cui dà la sorte.<br />

Non virtù giusta ed operosa e forte.<br />

Così l'alma si fa pura e gentile,<br />

E sperienza i moti suoi corregge;<br />

E l'uom mira dall'alto al basso il vile<br />

Affacendarsi dell'umano gregge;<br />

E, ovunque impone al vivere civile<br />

Imparzial giustizia ordine e legge,<br />

Ei, qual dee, poggerà, pur nol cercando,<br />

A gradi illustri ed a sovran commando.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 661


| ( 17 ) |<br />

a Sulle immagini.<br />

VII, 47, VII, 51.<br />

Sculte in tronco ed in pietra ivi le forme<br />

Stan degl'idoli loro, e differente<br />

Di ciascuno è l'aspetto e sì deforme,<br />

Qual figurolli di Satàn la mente:<br />

Lavoro orrendo, in varietà conforme<br />

Alla Chimera dell'antica gente.<br />

Stupiscono i Cristiani, ai quali usanza<br />

È Dio vedere in bella d'uom sembianza.<br />

Ali estão das deidades as figuras<br />

Esculpidas em pau e em pedra fria;<br />

Vários de gestos, vários de pinturas,<br />

A segundo o Demônio lhe fingia:<br />

Vêem-se as abomináveis esculturas,<br />

Qual a Quimera em membros se varia:<br />

Os Cristãos olhos, a ver Deus usados<br />

Em forma humana, estão maravilhados.<br />

Peter Paul Rubens, Resurrezione, 1616.<br />

Nel portical, che del palagio è chiostra,<br />

Con dedaleo lavor quant'arte puote,<br />

Storie v'ha figurate, in cui dimostra<br />

India l'alte sue origini remote:<br />

E sì bella vi fanno e viva mostra,<br />

Che ogni uomo, a cui sien quelle geste note,<br />

Tosto che a riguardar l'occhio v'affisa,<br />

I veri objetti ivi adombrati avvisa.<br />

Pelos portais da cerca a sutileza<br />

Se enxerga da Dedálea facultade,<br />

Em figuras mostrando, por nobreza,<br />

Da Índia a mais remota antigüidade.<br />

Afiguradas vão com tal viveza<br />

As histórias daquela antiga idade,<br />

Que quem delas tiver notícia inteira,<br />

Pela sombra conhece a verdadeira.<br />

Marten de Vos, Le Nozze di Cana, 1596-97.<br />

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />

Si incontrano con i temi della nostra battaglia per il<br />

ritorno alla bellezza e contro il sistema della<br />

cosiddetta arte contemporanea, questi versi che<br />

illustrano forma e funzione dell'arte cristiana.<br />

14 ottobre 2011 Anno XI


| ( 18 ) |<br />

a Una raccolta di emblemi morali.<br />

DI AURELIO RONCAGLIA<br />

a <strong>Il</strong> ricordo del naufragio.<br />

X, 127-128.<br />

Ve' passar per Camboja il Mecon fiume,<br />

<strong>Il</strong> qual dell'aque capitano è detto,<br />

Poi che tanto di varie aque volume<br />

Nella estate riceve entro il suo letto,<br />

Che soperchia le sponde, ed ha costume<br />

D'allagar, come il Nilo, il pian suggetto.<br />

Quivi crede la gente avere in sorte<br />

Pena o gloria ogni bruto oltre la morte.<br />

Questo il fiume sarà, che nel suo blando<br />

Seno que' carmi accoglierà, che a stento<br />

Da orribile naufragio e miserando,<br />

E da sirti e da scogli a salvamento<br />

Verranno allor che dall'ingiusto bando,<br />

Onde fu oppresso, tornerà redento<br />

Quel cantor, la cui lira armoniosa<br />

Più assai chiara sarà che avventurosa.<br />

Fonte: I “Lusiadi" di Camões nel quarto centenario, Roma,<br />

Accademia Nazionale dei Lincei, 1975, pp. 11-14. Citato in<br />

I Lusiadi, a cura di Giuseppe Mazzocchi, BUR Rizzoli,<br />

Milano, 1972.<br />

Tuttavia — ed è questa l'intuizione decisiva<br />

che conferisce al poema camoniano una<br />

forza d'impressività non conseguita dalle<br />

precedenti soluzioni — di fronte alla storia,<br />

la sua arte non si lascia ridurre all'ufficio<br />

marginale d'un pittoricismo meramente<br />

esornativo. Ben altro: all'unisono con la più<br />

consapevole pittura del nostro Rinascimento,<br />

essa si attribuisce un compito dimostrativo<br />

ed etico: additare la nobreza dell'uomo e<br />

destarne così coscienza e gusto in altri uomini.<br />

Pittura sì, ma nel senso più pieno: pittura<br />

moralmente intenzionata.<br />

E m b l e m a t a Vo l s i n n i g h e u y t b e e l s e l s<br />

b y G a b r i e l e m R o l l e n h a g i u s .<br />

Door Zacharias Heyns.<br />

By Ian Ian s z en,<br />

A r n h e m<br />

1615<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 661


| ( 19 ) |<br />

I Lusiadi vogliono essere un poema umanistico<br />

De dignitate hominis, e il loro affisare<br />

la storia em figuras — procedimento formale<br />

che tende a fissare presenze ideali e<br />

momenti assoluti, sottratti al flusso delle<br />

contingenze e consegnati a perenne durata<br />

— è consapevole assunzione della forma<br />

che il neoplatonismo rinascimentale proponeva<br />

come più idonea ed efficace a questo<br />

scopo. Non tanto si tratta d'una personale<br />

disposizione della sensibilità, quanto d'una<br />

lucida adesione a premesse culturali, addirittura<br />

filosofiche, da cui lo spirito del tempo<br />

era largamente permeato.<br />

Di fatto — anche se ovviamente, non per<br />

ogni sua manifestazione possa riscontrarsi<br />

una coscienza dei presupposti culturali così<br />

esplicita e chiara come in Camões — il naturale<br />

desiderio di dare forma figurativa alle<br />

memorie storiche, per circondarne prestigiosamente<br />

la vita ufficiale ed esaltare gli<br />

spiriti nella loro contemplazione, era sentito<br />

con intensità particolarissima dalla fastosa<br />

civiltà cinquecentesca. Torna qui pertinente<br />

ricordare le istruzioni dettate dal re<br />

Emanuele I per una serie d'arazzi illustrativi<br />

delle scoperte e conquiste portoghesi in<br />

Oriente. [...] È proprio questo stesso gusto<br />

di selezione e composizione iconografica<br />

che ritroviamo nei Lusiadi. Nei portali del<br />

palazzo di Calicut, nelle bandiere della nave<br />

ammiraglia portoghese, la reminiscenza virgiliana<br />

ci appare ora come sigillo di legittimazione<br />

letteraria su un procedimento di visualizzazione<br />

emblematica della storia, che<br />

all'esterno del testo trova riscontri immediati<br />

nella realtà del costume contemporaneo.<br />

L'adozione di tale procedimento non rimane<br />

artificio localizzato, ma si generalizza<br />

come abito dell'immaginazione. La concezione<br />

e la tecnica costruttiva dei Lusiadi si<br />

conformano intenzionalmente allo spirito e<br />

ai modi della contemporanea arte figurativa,<br />

non solo nelle quattro ottave dedicate<br />

alle porte di Calicut e nella dieci volte più<br />

lunga illustrazione delle bandiere navali, ma<br />

— possiamo ben dire — in tutto il poema.<br />

È così che il critico può riconoscere a quegli<br />

episodi una rivelatrice portata simbolica e<br />

trarre da essi una chiave di lettura storicamente<br />

motivata e strutturalmente valida per<br />

tutto il testo. Dall'organizzazione generale<br />

ai più minuti particolari, non solo le qualità<br />

positive, ma anche i limiti della creazione<br />

camoniana trovano una spiegazione coerente<br />

e una giustificazione appropriata alla luce<br />

di questo principio interpretativo. […]<br />

Così, tutt'altro che unitaria risulta la trama.<br />

<strong>Il</strong> filo che segue le vicende del viaggio<br />

di Vasco da Gama si torce nelle inversioni<br />

dell'ordo artificialis con l'esordio in medias<br />

res alla maniera dell'Eneide e dell'Odissea; si<br />

spezza sull'asse temporale, dove il passato<br />

dell'evocazione e il futuro della profezia<br />

s'alternano all'imperfetto della narrazione e<br />

al presente delle considerazioni introdotte<br />

14 ottobre 2011 Anno XI


| ( 20 ) |<br />

di volta in volta dal poeta; si complica nel<br />

continuo sovrapporsi di riscontri classici ai<br />

fatti portoghesi; si sdoppia tra il piano della<br />

storia e una parallela dimensione mitica;<br />

s'annoda a ogni nome come a un nucleo<br />

evocativo autonomo; si sfrangia in culte perifrasi;<br />

s'assottiglia in sbrigativi trapassi; sicché<br />

la vera sostanza del poema, piuttosto<br />

che da tale trama, appare costituita da una<br />

serie d'immagini e scene giustapposte, ciascuna<br />

delle quali ha una propria consistenza<br />

spaziale di retrato breve. Di qui l'impressione<br />

di discontinuità, che troviamo riassunta<br />

nel giudizio di Voltaire [...].<br />

<strong>Il</strong> fatto è che l'evidenza visivo-emblematica<br />

delle figure — si vorrebbe dire delle<br />

bandeiras pintadas — importa nei Lusiadi<br />

assai più della liaison narrativa. Fermare in<br />

ritratti celebrativi la sostanza ideale di personaggi<br />

e situazioni, esaltandone i valori assoluti,<br />

o inseguire con aderente continuità il<br />

flusso della cangiante complessità fenomenica,<br />

armonizzandone i ritmi vitali, sono<br />

operazioni di segno opposto. Camões ha fatto<br />

la sua scelta e, insieme con i fondamenti<br />

ideologici, dovremo anche riconoscerne la<br />

funzionalità estetica: giacché, dopo avere<br />

eletto a proprio soggetto la verità della storia<br />

contro la libertà della fantasia, in quale<br />

altro modo avrebb'egli potuto superare il rischio<br />

della cronaca versificata Come con la<br />

materia, così con la struttura del suo poema<br />

egli si colloca, consapevolmente, agli antipodi<br />

del Furioso. Sotto il rispetto strutturale,<br />

i Lusiadi si possono piuttosto avvicinare<br />

(e cito di proposito opere tra loro assai diverse,<br />

per sottolineare la genericità del comun<br />

denominatore) ai Fasti d'Ovidio, al<br />

Trionfi di Petrarca, agli Emblemata dell'Alciati;<br />

o magari, guardando più avanti, alle<br />

gallerie e alle «peintures morales» della letteratura<br />

secentesca.<br />

Sulla stessa linea si può rispondere a<br />

quanti rimproverano a Camões, soprattutto<br />

paragonandolo al Tasso, il modo sommario<br />

di trattare la psicologia dei personaggi. Qui<br />

ancora, so. no operazioni opposte approfondire<br />

l'analisi dei caratteri individuali nella<br />

loro inesauribile varietà e complessità psicologica,<br />

o puntare alla sintesi di valori universali<br />

in modelli tipi. ci d'umanità; e anche<br />

qui Camões ha compiuto una scelta coerente<br />

con le premesse della sua cultura e con gli<br />

scopi della sua poesia. Egli tende a non<br />

complicare, bensì a semplificare i personaggi;<br />

rinuncia a scavare nelle ombre segrete<br />

della loro psicologia, perché vuole innalzarne<br />

in piena luce agli occhi di tutti la perfezione<br />

esemplare; nella loro presentazione<br />

— ch'è anzitutto rappresentazione visiva,<br />

ma d'una visività più intellettuale che sensibile<br />

— non cerca il reale caratteristico, ma<br />

il vero ideale.<br />

AURELIO RONCAGLIA<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 661


A<br />

B<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

N°662<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

18 OTTOBRE 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

a Questo numero.<br />

Giusta la sentenza di Hegel, “La nottola di Minerva<br />

inizia il suo volo sul far del crepuscolo”, il <strong>Covile</strong><br />

prende normalmente un certo tempo, cerca una<br />

qualche distanza dai fatti, prima di iniziare le sue riflessioni.<br />

Ma di tanto in tanto, quando le circostanze<br />

lo richiedono, non si sottrae ad intervenire in tempo<br />

reale, come oggi suol dirsi. Ecco quindi in questo<br />

numero notizie fresche da Parigi e soprattutto il Manifesto-Lettera<br />

aperta, di importanza a nostro avviso<br />

più che rilevante, che quattro intellettuali di area<br />

marxista i cui nomi tanto hanno significato nella storia<br />

recente dell'alta cultura italiana, hanno stilato rivolgendosi<br />

in primo luogo, ma non solo, ai dirigenti<br />

del Pd. Una citazione di Czeslaw Milosz che spesso<br />

riprendiamo continua a dare conto del perché per la<br />

sinistra che Marx lo ha letto davvero (quindi inevitabilmente<br />

più che minoritaria) certi cammini siano in<br />

qualche modo un destino. N<br />

INDICE<br />

1 Gabriella Rouf. Onda d'urto. Notizie incoraggianti<br />

da Parigi.<br />

2 Gabriella Rouf. Vale il viaggio. Biéler a Berna.<br />

4 Pietro Barcellona, Paolo Sorbi, Mario Tronti, Giuseppe<br />

Vacca. LETTERA APERTA.<br />

7 Pietro De Marco. Invito alla lettura. I tradizionalisti<br />

e la “bella addormentata”.<br />

a Onda d'urto.<br />

Notizie incoraggianti da Parigi.<br />

DI GABRIELLA ROUF<br />

Ci scrive Aude de Kerros da Parigi che all’intervento<br />

di Jean Clair all’Associazione<br />

francese degli psicanalisti, che riproponeva le<br />

tematiche della relazione al Cortile dei Gentili<br />

1 ,<br />

«è seguito anche questa volta un gran silenzio.<br />

Ma curiosamente non ostile, solo che non avevano<br />

risposte. L’onda d’urto (piuttosto positiva)<br />

fa il giro di Parigi, in questi giorni. Ma non<br />

una parola sui media… C’è sempre un momento<br />

nella storia in cui tutto quello che è vivo e<br />

attivo non si vede, ma circola sotto terra. Mi fa<br />

pensare al fuoco di torbiera. <strong>Il</strong> fuoco sotterraneo<br />

divampa improvvisamente nel luogo piu’<br />

inatteso con una fiamma evidente. Abbiamo visto<br />

la caduta del muro di Berlino, e ne vedremo<br />

altre ancora! Di fronte all’uno e all’altro intervento<br />

di Jean Clair dedicati al tema della<br />

bellezza, lo stesso silenzio... il primo ostile,<br />

l’altro no [...]»<br />

In realtà la riflessione di Jean Clair trascende<br />

la squallida fenomenologia del sistema<br />

AC e delle sue star 2 per interpellare uno scenario<br />

più ampio e ben più inquietante:<br />

«Già nel II secolo,» ci ricorda il grande studioso<br />

francese «Tertulliano scriveva: Os humani,<br />

id est divina imago, per opporre la dignità del<br />

volto umano all’indegnità degli spettacoli che<br />

sfigurano i suoi tratti: il circo e la sua frenesia,<br />

1 Vedi <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> n.642, “Culto dell’avanguardia e cultura di morte”<br />

di Jean Clair. Di Jean Clair è uscito in Italia L’inverno della<br />

cultura, edizioni Skira, su cui abbiamo riferito nel n.653.<br />

2 Nel frattempo il furbo Pinault/Barnum sbarca un campionario<br />

dei suoi orrori a Seul. Ma anche Firenze ha qualcosa in prestito,<br />

nel nuovo Museo Gucci.<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


il teatro e le sue oscenità, lo stadio e la sua vanità,<br />

l’anfiteatro e la sua ferocia.. Egli descriveva<br />

la decomposizione dell’impero romano,<br />

mettendo sotto accusa aspetti che sono diventati,<br />

o ridiventati, da venti o trent’anni, la nostra<br />

pastura quotidiana, al cinema, alla televisione,<br />

negli incontri di calcio o di boxe, nelle gallerie<br />

d’arte d’avanguardia, e anche ormai nelle chiese,<br />

segno evidente della decomposizione strisciante<br />

della nostra epoca, l’inverso della sublimazione<br />

che costruisce una cultura.».<br />

Quel silenzio forse sbigottito di cui ci riferisce<br />

Aude de Kerros appare l’unica risposta<br />

ad un’analisi irrefutabile, che conclude:<br />

«È una constatazione: due dei più importanti<br />

pilastri della società, lo Stato e la Chiesa, si sono<br />

volti ad incoraggiare, nelle produzioni intellettuali<br />

ed artistiche che costituiscono la<br />

nostra cultura, le forme più basse, come se il<br />

pubblico avesse bisogno, per poter godere dell’arte,<br />

di un degrado, un Erniedrigung, analogo<br />

al degrado della vita sessuale, quando si presenta<br />

come una pornografia generalizzata. [...]<br />

E la psicanalisi in tutto questo Sarebbe stata<br />

l’ultima istituzione a osare ancora di parlare di<br />

morale e sublimazione. Ultima autorità morale,<br />

sembra rifugiarsi nel silenzio . Essa tace oggi,<br />

di fronte agli attacchi sempre più gravi che subisce<br />

la nostra Kultur: la credenza che l’uomo<br />

perfetto verrà in breve grazie ai progressi della<br />

genetica, della selezione e dell’eliminazione<br />

degli embrioni,, la credenza che diventerà immortale<br />

grazie ai progressi della medicina, e<br />

che l’unica morte che egli subirà sarà quella<br />

che gli dispenserà l’eutanasia, la libertà sessuale<br />

estesa a tutte le forme della sessualità, compresa<br />

la libertà di cambiare genere ecc... Di fronte<br />

a tutte queste forme di devianza, se mi è permesso<br />

di usare questa parola ormai tabù., le<br />

vecchie idee di Freud sulla sublimazione, che<br />

furono quelle di un vecchio saggio formato<br />

dalla cultura antica, sono diventate più che<br />

inoperanti: esse fanno nascere un sorriso d’intesa<br />

sui volti dei nostri contemporanei, che<br />

condanna al silenzio.»<br />

| ( 2 ) |<br />

†‡·•‡·•‡‚<br />

„ ”<br />

I Vale il viaggio<br />

» …<br />

Biéler a Berna.<br />

„ ”<br />

‰`ˆ¿´`´¿ˆ`˜<br />

DI GABRIELLA ROUF<br />

Riferiamo di una bella opportunità, che a<br />

distanza di un anno dal triste spettacolo della<br />

Mostra di Albert Anker 3 accatastata nel seminterrato<br />

del museo, ci fa riconciliare con il<br />

Kunstmuseum di Berna. Si tratta dell'esposizione<br />

dedicata a Ernest Biéler (1863-1948),<br />

questa volta ben allestita in ampie sale. E’ l’esempio<br />

di una mostra utile (raccoglie opere<br />

diffuse in varie sedi e presso privati) e che<br />

suggerisce al visitatore sorpreso ed affascinato<br />

ulteriori itinerari sul territorio per vedere affreschi,<br />

mosaici, vetrate e cicli decorativi realizzati<br />

da questo artista, pienamente inserito<br />

nella tradizione simbolista svizzera Hodler-Anker-Vallotton.<br />

0<br />

Ernest Biéler, Autoritratto.<br />

0<br />

3 Vedi <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> n.601.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 662


| ( 3 ) |<br />

Ernest Biéler Le foglie morte (1899) Kunstmuseum Bern<br />

Ad evocare il «fuoco di torbiera» che forse<br />

circola sotto gli squallidi orpelli dell’AC, riportiamo<br />

un brano dal catalogo della mostra,<br />

che fino a qualche tempo fa non ci si poteva<br />

aspettare (del resto nemmeno una mostra di<br />

Bièler, che il Museo di Losanna teneva nei<br />

depositi). Motivando la trascuratezza subita<br />

dalle sue opere simboliste della fine dell’800 e<br />

l’interesse solo regionale attribuito a quelle<br />

del 900 inoltrato, M. Frehner scrive:<br />

«All’epoca in cui l’avanguardia si orientava in<br />

Svizzera verso l’astrazione e l’espressionismo,<br />

con l’obiettivo di dar conto delle evoluzioni<br />

economiche, sociali e culturali in un linguaggio<br />

visuale nuovo, Biéler si volse ad un realismo<br />

atemporale. Per l’avanguardia, le sue opere<br />

mostravano un mondo immutabile, fisso nella<br />

tradizione, che era, agli occhi della detta avanguardia<br />

completamente scomparso. [...] In<br />

qualità di maestro principale della Scuola di<br />

Savièse, Bièler divenne così un baluardo politico-culturale<br />

della “difesa dello spirito nazionale”».<br />

Che tale artista «reclami una nuova considerazione<br />

scevra di pregiudizi» e che una prestigiosa<br />

mostra ed impegnativi restauri delle<br />

opere ne diano testimonianza, è il segno di<br />

una crisi della visione del progresso delle arti<br />

costretto nell’imbuto delle avanguardie del<br />

900.<br />

La mostra si sposterà dall’1.12.2011 al<br />

26.2.2012 presso la Fondazione Gianadda di<br />

Martigny 4 , a ribadire il «nuovo posizionamento<br />

di Biéler nella storia dell’arte internazionale»;<br />

che siano «gli addetti ai lavori» a<br />

dover rivedere i loro schemi conformistici,<br />

che hanno condannato a depositi e dispersioni<br />

opere di grande qualità<br />

GABRIELLA ROUF<br />

Ernest Biéler, Tre fanciulle di Savièse (1920).<br />

4 Si spera che in quell’occasione sia esposto anche «L’acqua misteriosa»,<br />

di cui abbiamo riferito in <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> n.538. <strong>Il</strong> grande quadro<br />

del Museo Cantonale di Losanna, pur presente nel catalogo,<br />

non è in mostra a Berna.<br />

18 ottobre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

PIETRO BARCELLONA, PAOLO<br />

SORBI, MARIO TRONTI,<br />

GIUSEPPE VACCA<br />

LETTERA APERTA<br />

L'emergenza antropologica:<br />

per una nuova alleanza.<br />

La manipolazione della vita, originata dagli<br />

sviluppi della tecnica e dalla violenza insita<br />

nei processi di globalizzazione in assenza di<br />

un nuovo ordinamento internazionale, ci pone<br />

di fronte ad una inedita emergenza antropologica.<br />

Essa ci appare la manifestazione più<br />

grave e al tempo stesso la radice più profonda<br />

della crisi della democrazia. Germina sfide<br />

che esigono una nuova alleanza fra uomini e<br />

donne, credenti e non credenti, religioni e<br />

politica. Pertanto riteniamo degne di attenzione<br />

e meritevoli di speranza le novità che<br />

nel nostro Paese si annunciano in campo religioso<br />

e civile.<br />

A noi pare che negli ultimi anni – un periodo<br />

storico cominciato con la crisi finanziaria<br />

del 2007 e in Italia con il crepuscolo della<br />

“seconda Repubblica” – mentre la Chiesa italiana<br />

si impegnava sempre più a rimodulare la<br />

sua funzione nazionale, un interlocutore come<br />

il Partito democratico sia venuto definendo<br />

la sua fisionomia originale di “partito di<br />

credenti e non credenti”. Sono novità significative<br />

che ampliano il campo delle forze che,<br />

cooperando responsabilmente, possono concorrere<br />

a prospettare soluzioni efficaci della<br />

crisi attuale.<br />

<strong>Il</strong> terreno comune è la definizione della<br />

nuova laicità, che nelle parole del segretario<br />

del Pd muove dal riconoscimento della rilevanza<br />

pubblica delle fedi religiose e nel magistero<br />

della Chiesa da una visione positiva della<br />

modernità, fondata sull’alleanza di fede e<br />

ragione. Nel suo libro-intervista Per una buona<br />

ragione, Pier Luigi Bersani afferma che il<br />

“confronto con la dottrina sociale della<br />

Chiesa” è un tratto distintivo della ispirazione<br />

riformistica del Pd e che la presenza in Italia<br />

“della massima autorità spirituale cattolica”<br />

può favorire il superamento del bipolarismo<br />

etico che in passaggi cruciali della vita del<br />

Paese ha condizionato negativamente la politica<br />

democratica. Ribadendo, infine, la “responsabilità<br />

autonoma della politica”, Bersani<br />

esprime una opzione decisa per una sua visione<br />

“che non volendo rinunciare a profonde<br />

e impegnative convinzioni etiche e religiose,<br />

affida alla responsabilità dei laici la mediazione<br />

della scelta concreta delle decisioni politiche”.<br />

Per quanto riguarda la Chiesa cattolica vi<br />

sono due punti della relazione del cardinale<br />

Bagnasco alla riunione del Consiglio permanente<br />

dei vescovi del 26-29 settembre 2011<br />

che meritano particolare attenzione.<br />

<strong>Il</strong> primo riguarda la critica della “cultura<br />

radicale”: essa è rivolta a quelle posizioni che,<br />

“muovendo da una concezione individualistica”,<br />

rinchiudono “la persona nell’isolamento<br />

<br />

SI È RIUSCITI<br />

A FAR CREDERE ALL’UOMO<br />

CHE SE VIVE È SOLO PER<br />

GRAZIA DEI POTENTI.<br />

PENSI DUNQUE A BERE IL<br />

CAFFÈ E A DARE LA<br />

CACCIA ALLE FARFALLE:<br />

CHI AMA LA RES PUBLICA<br />

AVRÀ LA MANO MOZZATA.<br />

Czeslaw Milosz<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 662


| ( 5 ) |<br />

Ernest Biéler L’acqua misteriosa (1911) Museo<br />

Cantonale delle Belle Arti di Losanna.<br />

triste della propria libertà assoluta, slegata<br />

dalla verità del bene e da ogni relazione sociale”.<br />

<strong>Il</strong> secondo è la proposta di nuove modalità<br />

dell’impegno comune dei cattolici per contrastare<br />

quella che in una precedente occasione<br />

aveva definito “la catastrofe antropologica”:<br />

“la possibilità di un soggetto culturale e sociale<br />

di interlocuzione con la politica”. E non<br />

è meno significativa la sua giustificazione storica:<br />

“A dar coscienza ai cattolici oggi non è<br />

anzitutto un’appartenenza esterna, ma i valori<br />

dell’umanizzazione [che] sempre di più richiamano<br />

anche l’interesse di chi esplicitamente<br />

cattolico non si sente”. In altre parole,<br />

la “possibilità” di questo nuovo soggetto origina<br />

dall’impegno sociale e culturale del laicato,<br />

nel quale i cattolici sono “più uniti di<br />

quanto taluno vorrebbe credere” grazie alla<br />

bussola che li guida: la costruzione di un umanesimo<br />

condiviso.<br />

La definizione della nuova laicità e l’assunzione<br />

di una responsabilità più avvertita<br />

della Chiesa per le sorti dell’Italia esigono<br />

uno sviluppo dell’iniziativa politica e culturale<br />

volta non solo a interloquire con il mondo<br />

cattolico, ma anche a cercare forme nuove di<br />

collaborazione con la Chiesa, nell’interesse<br />

del Paese. A tal fine appare dirimente il confronto<br />

su due temi fondamentali del magistero<br />

di Benedetto XVI che nell’interpretazione<br />

prevalente hanno generato confusioni e distorsioni<br />

tuttora presenti nel discorso pubblico:<br />

il rifiuto del “relativismo etico” e il concetto<br />

di “valori non negoziabili”.<br />

Per chi dedichi la dovuta attenzione al<br />

pensiero di Benedetto XVI non dovrebbero<br />

sorgere equivoci in proposito. La condanna<br />

del “relativismo etico” non travolge il pluralismo<br />

culturale, ma riguarda solo le visioni nichilistiche<br />

della modernità che, seppur praticate<br />

da minoranze intellettuali significative,<br />

non si ritrovano a fondamento dell’agire democratico<br />

in nessun tipo di comunità: locale,<br />

nazionale e sovranazionale. <strong>Il</strong> “relativismo<br />

etico” permea, invece, profondamente, i processi<br />

di secolarizzazione, nella misura in cui<br />

siano dominati dalla mercificazione. Ma non<br />

è chi non veda come la lotta contro questa deriva<br />

della modernità costituisca l’assillo fondamentale<br />

della politica democratica, comunque<br />

se ne declinino i principii, da credenti o<br />

da non credenti.<br />

D’altro canto, non dovrebbero esserci<br />

equivoci neppure sul concetto di “valori non<br />

negoziabili” se lo si considera nella sua precisa<br />

formulazione. Un concetto che non discrimina<br />

credenti e non credenti, e richiama alla<br />

18 ottobre 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

/000000221220000003<br />

COMINCERÒ CON UNA MANCANZA<br />

DI TAT TO, CONFESSANDO CIOÈ DI<br />

CREDERE NELLA NATURA UMANA.<br />

QUESTA IDEA È PASSATA DI MODA, È STATA<br />

ANZI GIUDICATA INDECOROSAMENTE<br />

CONSERVATRICE, E IN CIÒ IL PENSIERO<br />

PROGRESSISTA NON DÀ PROVA DI COERENZA<br />

[…] UN ALTRO PASSI, MA KARL MARX<br />

DIFFICILMENTE PUÒ VENIR ACCUSATO DI<br />

ESSERE UN CONSERVATORE. A QUESTO<br />

PROPOSITO MI RIFACCIO A LESZEK<br />

KOLAKOWSI CHE DICE «BISOGNA DUNQUE<br />

RICHIAMARE L’ATTENZIONE SUL FATTO<br />

CHE L’IDEA DEL “RITORNO DELL’UOMO A<br />

SE STESSO” È CONTENUTA NELLA CATE-<br />

GORIA STESSA DELL’ALIENAZIONE, DI CUI<br />

MARX CONTINUAVA SEMPRE A SERVIRSI.<br />

CHE COS’È L’ALIENAZIONE, IN REALTÀ, SE<br />

NON UN PROCESSO IN CUI L’UOMO SI PRIVA<br />

DI QUALCOSA CHE EGLI È DAVVERO, SI<br />

PRIVA DUNQUE DELLA PROPRIA UMANITÀ<br />

PER POTER ADOPERARE IN MODO SENSATO<br />

QUESTO TERMINE, DOBBIAMO SUPPORRE DI<br />

SAPERE IN CHE COSA CONSISTE IL CONDI-<br />

ZIONAMENTO DELL’UOMO, OSSIA CHE<br />

COS’È L’UOMO REALIZZATO A DIFFERENZA<br />

DELL’UOMO SMARRITO, CHE COS’È L’“U-<br />

MANITÀ”, OVVERO LA NATURA UMANA […].<br />

MANCANDO QUEST’ESEMPIO O MODELLO,<br />

ANCHE SE TRACCIATO IN MANIERA<br />

PIUTTOSTO VAGA, NON V’È MODO DI DARE<br />

UN SIGNIFICATO ALLA PAROLA<br />

“ALIENAZIONE”».<br />

CZESLAW MILOSZ, LA TERRA<br />

DI ULRO, ADELPHI, P. 112<br />

k<br />

:;;;;;;==<br />

responsabilità della coerenza fra i comportamenti<br />

e i principii ideali che li ispirano. Un<br />

concetto che attiene, appunto, alla sfera dei<br />

valori, cioè dei criteri che debbono ispirare<br />

l’agire personale e collettivo, ma non nega<br />

l’autonomia della mediazione politica. Non si<br />

può quindi far risalire a quel concetto la responsabilità<br />

di decisioni in cui, per fallimenti<br />

della mediazione laica, o per non nobili ragioni<br />

di opportunismo, vengano offese la libertà<br />

e la dignità della persona umana fin dal<br />

suo concepimento.<br />

Ad ogni modo, se nell’approccio alle sfide<br />

inedite della biopolitica ci sono stati e si verificano<br />

equivoci e cadute di tal genere non solo<br />

in scelte opportunistiche del centrodestra, ma<br />

anche nel determinismo scientistico del centrosinistra,<br />

la riaffermazione del valore della<br />

mediazione laica che sembra ispirare “la possibilità<br />

di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione<br />

con la politica” rischiara il terreno<br />

del confronto fra credenti e non credenti.<br />

Quindi dipenderà dall’iniziativa culturale e<br />

politica delle forze in campo se quella “possibilità”<br />

acquisterà un segno progressivo o meno<br />

nella vicenda italiana.<br />

A tal fine noi riteniamo che il Pd debba<br />

promuovere un confronto pubblico con la<br />

Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose<br />

operanti in Italia oltre che sui temi cosiddetti<br />

“eticamente sensibili”, su quelli che<br />

attengono in maniera più stringente ai rischi<br />

attuali della nazione italiana: la tenuta della<br />

sua unità, la “sostanza etica” del regime democratico.<br />

Tanto sull’uno, quanto sull’altro, la storia<br />

dell’Italia unita dimostra che la funzione nazionale<br />

assolta o mancata dal cattolicesimo<br />

politico è stata determinante e lo sarà anche<br />

in futuro.<br />

PIETRO BARCELLONA, PAOLO SORBI, MARIO<br />

TRONTI, GIUSEPPE VACCA.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 662


| ( 7 ) |<br />

ABBBBBBBBBC<br />

H V Invito alla lettura D<br />

H I tradizionalisti e la “bella addormentata”. D<br />

EFFFFFFFFFG<br />

DI PIETRO DE MARCO<br />

Fonte: <strong>Il</strong> testo, successivamente ampliato dall'Autore, è<br />

comparso sul Corriere Fiorentino del 15 ottobre <strong>2011.</strong><br />

Chi conosce il paesaggio ecclesiastico fiorentino<br />

sa che la comunità francescana di S.<br />

Salvatore di Ognissanti unisce studio, cura<br />

d’anime e difesa della Tradizione liturgica e<br />

teologica cattolica. Una scelta coraggiosa,<br />

dunque, quella del direttore Ermini di dar<br />

spazio sul Corriere della Sera-Corriere Fiorentino<br />

del 13 ottobre al p. Serafino Lanzetta f.i.<br />

(Francescani dell’Immacolata), parroco di<br />

Ognissanti, perché presentasse le tesi del libro<br />

di Gnocchi e Palmaro 5 . <strong>Il</strong> p. Serafino è<br />

un giovane religioso, apprezzato per dottrina<br />

e molto amato, mi si dice. Non è secondario,<br />

neppure questo: le voci che propongono da<br />

tempo la questione della corretta interpretazione<br />

(dell’ermeneutica) del Concilio non sono<br />

una livorosa espressione di cattolicesimo<br />

reazionario. L’assunto della irrinunciabile<br />

continuità e integrità dell’intera Tradizione<br />

cristiana — contro la ‘rivoluzione’, il ‘tutto è<br />

mutato’, che connotano spesso la menzione<br />

del Concilio in pastorale, catechesi, stampa<br />

religiosa — è espresso ormai da voci giovani,<br />

teologicamente attrezzate e, per quanto è<br />

possibile ad una minoranza, serene.<br />

Queste giovani intelligenze, che preferirei<br />

chiamare ‘semitradizionalistiche’, sono attrezzate,<br />

perché la loro teologia non è né il<br />

minimalismo religioso corrente, né il colto<br />

discorso di varia umanità destinato agli inserti<br />

dei quotidiani, e neppure l’insegnamento problematico<br />

e sfumato, incapace di approdo al<br />

5 A. Gnocchi, M. Palmaro, La Bella Addormentata. Perché<br />

dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà,<br />

Vallecchi, Firenze, <strong>2011.</strong><br />

canone positivo della fede, di tante cattedre<br />

teologiche. E la serenità, maggiore che in<br />

passato, proviene dalla forza delle ragioni critiche<br />

contro l’illogicità e il danno del<br />

“sogno” delle sinistre conciliari (espressione<br />

mia) “di veder all’orizzonte la realizzazione<br />

di una Chiesa che non c’era né poteva<br />

esserci”, come scrive p. Lanzetta; una Chiesa<br />

onirica, aggiungo, costruita con un’arbitraria<br />

selezione di (pochi) testi del Vaticano II, nella<br />

relativizzazione degli altri (persino dei<br />

grandi Concili cristologici del IV-V secolo) e<br />

della tradizione della Chiesa; insomma un tipico<br />

prodotto eversivo da intelligencija.<br />

La nuova critica è aiutata dall’evidenza che<br />

Benedetto XVI è deciso nel contrastare l’interpretazione<br />

del Vaticano II come ‘rottura<br />

creativa’ col passato cattolico. Ma il tradizionalismo<br />

non si risparmia, e non gli risparmia,<br />

una domanda difficile: il Concilio, i suoi protagonisti,<br />

i suoi documenti hanno in qualche<br />

modo favorito, pur nella continuità, tesi (e<br />

pratiche ecclesiali) di rottura entro la Tradizione<br />

La stessa convinzione di molti, in passato,<br />

d’essere divenuti ‘altri cristiani’ o tout<br />

court ‘cristiani’ o semplicemente ‘altri’, per<br />

influenza del Concilio era equivoca e generata<br />

da equivoci. Aberrante in sé l’idea della<br />

‘conversione’ al Vaticano II come ad una<br />

‘nuova fede’, anche se il mito di un ‘nuovo<br />

cristianesimo’ percorre gli ultimi due secoli.<br />

18 ottobre 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

Ernest Biéler Le sorgenti (1900) Kunstmuseum Bern<br />

Noti teologi e élites cattoliche vissero un gratificante<br />

senso di ‘mutazione’, che li ha fatti<br />

vagare in attesa del niente, prima nel mimetismo<br />

delle ideologie ‘rivoluzionarie’, poi delle<br />

loro trasformazioni New Age. <strong>Il</strong> Concilio ha<br />

responsabilità riguardo alla sua stessa recezione,<br />

contemporanea e posteriore, gravemente<br />

alterata<br />

Non possiamo occuparci qui delle linee di<br />

soluzione di una questione molto complessa.<br />

Ma giova aggiungere questo. La capacità critica,<br />

nella Chiesa, verso una passata stagione<br />

di riforme merita attenzione anche da chi non<br />

ne vive le vicende. Costituisce un capitolo<br />

avanzato del severo riesame del Novecento,<br />

oggi necessario su tutti i fronti, ma in ritardo.<br />

<strong>Il</strong> Novecento è facilmente ripudiato per i suoi<br />

mali palesi (le guerre mondiali, l’Olocausto),<br />

quanto subìto in tutto ciò che riteniamo irreversibilmente<br />

‘moderno’. Pure, le sue maggiori<br />

ambizioni ‘rivoluzionarie’, dalla politica all’economia,<br />

dalle ‘religioni’ alle arti, si sono<br />

risolte in un fallimento. Rispetto a tale mancata<br />

autocritica della cultura europea, la<br />

Chiesa cattolica, che più di ogni altra istituzione<br />

(e cultura) ha cura per la qualità del<br />

proprio “rappresentare” — perché rappresenta<br />

Cristo — mostra capacità di misura e di<br />

verifica di sé. Reformata reformanda intitolava<br />

la sua raccolta di scritti un celebre storico<br />

del Concilio di Trento: anche le cose ‘riformate’<br />

sono da ri-formare, ovvero da ricondurre<br />

a quella forma che è canone, regola non<br />

alterabile.<br />

La Chiesa non è, dunque, “l’addormentata”<br />

del brillante libro di Gnocchi e Palmaro;<br />

la metafora non mi pare appropriata 6 . Certo,<br />

nel dopo-Concilio le dimensioni ‘affermative’<br />

e istituzionali sono state salvate da Roma e dai<br />

due ultimi pontefici, mentre molta chiesa ‘locale’<br />

e ‘intellettuale’ sembrava senza capacità<br />

(e volontà) di manifestarsi come Chiesa, di<br />

dare conto del proprio fondamento e compito,<br />

che non erano mutati. Metteva in ‘cattedra’<br />

i non credenti. Lo stile e le cose dette da<br />

Benedetto XVI nel recente viaggio tedesco<br />

sono un grande esempio contro questo genere<br />

di inazione. Ma la fede e la dedizione di tante<br />

individualità, comunità e istituzioni cattoliche<br />

non si possono ignorare. Una Chiesa comunque<br />

desta; schiacciata semmai sul presente,<br />

come le culture contemporanee, e su un Gesù<br />

‘troppo umano’. È necessaria una reintegrazione<br />

‘tradizionale’, nell’orizzonte del Credo<br />

che professiamo, senza cui il Vaticano II non<br />

sarebbe esistito e che, con la sua verità ad un<br />

tempo necessaria e antichissima, invalida ogni<br />

‘velo d’ignoranza’ interposto, nell’illusione<br />

del Nuovo, tra noi e la Tradizione.<br />

PIETRO DE MARCO<br />

6 A parte la metafora adottata come titolo, che si può discutere,<br />

il saggio di Gnocchi e Palmaro appare seriamente concepito e documentato.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 662


A<br />

B<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

N°663<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

21 OTTOBRE 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

a Questo numero.<br />

Volendo tempestivamente far conoscere il commento<br />

di Armando Ermini a due articoli del numero<br />

scorso, cogliamo l'occasione di questa uscita frettolosa<br />

per pubblicare la recente presentazione di Andrea<br />

Sciffo della Mostra “Dalla Brianza al mondo:<br />

lo scrittore Eugenio Corti”, la trovate in terza pagina.<br />

N<br />

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ƒ ‹<br />

P Lettere al direttore<br />

Due osservazioni sull'ultimo numero.<br />

§ ›<br />

¤'“'“'“«<br />

DI ARMANDO ERMINI<br />

Caro Stefano, è un altro bel numero. Due<br />

brevi commenti a caldo.<br />

j<br />

Sul silenzio della psicanalisi di cui parla<br />

Jean Clair nell'articolo Onda d'urto: per la<br />

mia esperienza concreta, quel silenzio da un<br />

lato mi sbigottisce, dall'altro non mi meraviglia.<br />

Mi sbigottisce perché ritengo che le pratiche<br />

e le teorizzazioni della modernità, dal<br />

diritto d'aborto alla fabbricazione in laboratorio<br />

di esseri umani teoricamente sempre più<br />

“perfetti", passando per una sessualità polimorfa<br />

e senza tabù, siano in flagrante contraddizione<br />

con i cardini stessi della psicanalisi.<br />

Almeno questo è ciò che ho appreso nei<br />

lunghi anni di frequentazione di un setting<br />

particolare nel quale si sviluppavano relazioni<br />

che facevano affiorare l'inconscio degli individui.<br />

Ma, direi meglio, non tanto appreso,<br />

concetto che potrebbe far pensare ad una<br />

scuola, quanto invece vissuto anche con dolore<br />

e lacerazione. Non sono in gioco, è perfino<br />

scontato dirlo, valutazioni moralistiche del<br />

tutto estranee a quella disciplina, ma i fondamenti<br />

stessi dell'essere umano. Si tratti del<br />

rapporto triadico padre/madre/figlio o dell'imprinting<br />

impresso al bambino fin nella<br />

pancia materna, o ancora dell'inconscio collettivo<br />

junghiano, non vi è nulla che possa andare<br />

nella direzione di quelle pratiche e di<br />

quelle teorizzazioni. Anzi, gli psicanalisti dovrebbero<br />

essere i primi a far sentire alta la loro<br />

voce contro la disumanizzazione e contro il<br />

rischio di un uomo che si senta onnipotente,<br />

senza che ciò implichi questioni di fede che<br />

sono altra cosa. Mi confortano, in questa mia<br />

acquisita convinzione, anche le parole di Pietro<br />

Barcellona nel suo libro <strong>Il</strong> furto dell'anima<br />

che <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> ha recensito tempo addietro<br />

[v. n°493]. Perché allora il silenzio degli psicanalisti<br />

Avanzo due ipotesi, non necessariamente<br />

alternative. La prima è che gran parte<br />

delle scuole di psicoterapia hanno ormai cambiato<br />

“oggetto sociale", nel senso che non si<br />

propongono tanto di aiutare il paziente a<br />

scoprire e diventare se stesso, quanto piuttosto<br />

di far si che, bene o male, si “adatti" alla<br />

realtà qualsiasi sia. E se la realtà è questa...<br />

La seconda ipotesi, forse più fondata, è che<br />

la psicanalisi, ma sarebbe più esatto dire molti<br />

fra gli psicanalisti e i loro pazienti, sono persone<br />

che si sentono “evolute" e moderne proprio<br />

in virtù del fatto che praticano quella disciplina,<br />

vissuta come opposta al dogmatismo,<br />

al potere repressivo e autoritario ed a tutto ciò<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

che suona “oscurantista". Si innesca perciò<br />

una dinamica pressoché identica a quella che<br />

vive gran parte della sinistra politica rispetto<br />

alla modernità. Questa, nella sua evoluzione,<br />

ha preso una direzione non rintracciabile, anzi<br />

contraddittoria, rispetto alle ragioni originarie<br />

di quei movimenti e partiti. I quali però<br />

si vengono a trovare in un cul de sac. O rinnegano<br />

la modernità e il progresso di cui si dicono<br />

gli interpreti autentici, oppure rinnegano<br />

la loro ragion d'essere originale. Così è stato,<br />

ne abbiamo già discusso, per moltissimi ex<br />

sessantottini che culturalmente hanno ormai<br />

abbracciato in pieno, loro gli antidogmatici, i<br />

nuovi dogmi del mondo moderno trascurando<br />

il fatto evidentissimo che sono quanto di più<br />

lontano dagli ideali giovanili. E, tranne poche<br />

eccezioni pensanti, si rifiutano di accorgersi<br />

della metamorfosi, illudendosi di essere<br />

ancora loro i portabandiera dell'emancipazione<br />

e della libertà. Così è per gli psicanalisti,<br />

che almeno hanno il pudore di tacere di fronte<br />

alle contraddizioni in cui sono finiti, forse<br />

perchè più abituati per mestiere a capire qualcosa<br />

di se stessi.<br />

j<br />

Sulla Lettera aperta di Tronti e degli altri<br />

intellettuali di area marxista: ineccepibile<br />

l'incipit, del tutto condivisibile il richiamo<br />

forte al pericolo di catastrofe antropologica,<br />

lodevoli gli intenti. Ma debole, temo, la prospettiva,<br />

e illusoria la speranza che il Partito<br />

Democratico possa essere il promotore, o anche<br />

solo l'interlocutore, di un dialogo con la<br />

Chiesa che non chieda ad essa di rinunciare ai<br />

suoi “valori non negoziabili", che pure gli<br />

estensori della lettera dichiarano di condividere<br />

laicamente nella sostanza.<br />

A meno che il PD non cambi pelle, o non si<br />

sfasci e quindi non sia più il PD che conosciamo.<br />

Oppure, a meno che la Chiesa, dietro le<br />

petizioni di principio non sia in realtà disposta<br />

a negoziare mediazioni politiche pratiche<br />

necessariamente al ribasso proprio rispetto ai<br />

suoi valori non negoziabili. Ma oltre ogni interpretazione<br />

del concetto, il richiamo forte<br />

alla dignità della vita umana dal concepimento<br />

alla morte ed alla necessità di difenderla<br />

anche come condizione necessaria per politiche<br />

di autentica giustizia sociale, sembrano<br />

mettere il PD nella condizione di dover fare<br />

una scelta secca. O dalla parte di quei principi,<br />

non solo con generiche affermazioni di<br />

astratta condivisione ma anche con scelte politiche<br />

e legislative chiare e con essi coerenti,<br />

ma allora la spaccatura con i settori più laicisti<br />

è certa, oppure ci si schiererà con questi<br />

ultimi, e nessun dialogo sarà possibile. La terza<br />

e secondo me più probabile alternativa è<br />

che si tenti una parvenza di dialogo sui temi<br />

sociali che proprio quei principi tenga fuori.<br />

E quì la palla ripasserebbe ai così detti cattolici<br />

adulti, che di valori “non negoziabili" mi<br />

sembra abbiano solo l'antiberlusconismo.<br />

Intendo dire insomma che le questioni antropologiche<br />

non consentono mediazioni<br />

che possano soddisfare entrambi gli interlocutori,<br />

perché l'una concezione e l'altra non<br />

si pongono su una linea retta lungo la quale è<br />

possibile l'incontro su un punto più o meno<br />

mediano, come potrebbe essere per i fatti sociali<br />

ed economici. Le questioni antropologiche,<br />

al contrario, dislocano gli interlocutori<br />

su due piani diversi e sfalsati, destinati per definizione<br />

a non potersi incontrare. <strong>Il</strong> solo incontro<br />

possibile è che uno dei due interlocutori<br />

abbandoni il suo piano e scenda (o salga)<br />

su quello altrui. Ma chiaramente non si tratterebbe<br />

più di una mediazione.<br />

ARMANDO ERMINI<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 663


| ( 3 ) |<br />

a Dalla Brianza al mondo: lo<br />

scrittore Eugenio Corti.<br />

Inaugurazione della Mostra presso la Camera dei<br />

Deputati, Roma, 5 ottobre <strong>2011.</strong><br />

DI ANDREA G. SCIFFO<br />

. L’INCONTRO FRA PAESE REALE E<br />

PAESE LEGALE.<br />

L’occasione offerta dal fatto che le parole e<br />

le opere di Eugenio Corti giungano oggi all’attenzione<br />

delle Istituzioni e in particolare<br />

della Camera dei Deputati ha il significato di<br />

un incontro tra Paese Reale e Paese Legale: in<br />

altri termini, avviene qui e ora il contatto tra<br />

un’opera d’arte “nazionale” e il suo destinatario<br />

politico “nazionale”.<br />

Sì perché le milleduecento pagine del romanzo<br />

maggiore di Corti, <strong>Il</strong> Cavallo Rosso e<br />

almeno le due prove narrative che lo precedono<br />

e lo seguono (il diario di guerra I più non<br />

ritornano e Gli ultimi soldati del re), esprimono<br />

ancora oggi la vox populi di un’Italia che è<br />

uscita dalle dure prove del Dopoguerra, della<br />

Ricostruzione, del Miracolo Economico e degli<br />

Anni di Piombo. In un certo senso, a parlare,<br />

nei romanzi di Corti, è un’altra Italia<br />

cioè quella che di fronte ai drammi e alle sfide<br />

del secondo Novecento ha proposto un modo<br />

di vivere “civile”, mite e operoso, a volte inconsapevole<br />

e generoso: un modo di vivere<br />

che ha soretto la società e le istituzioni sino<br />

alle soglie degli anni Ottanta.<br />

Quando cioè uscì <strong>Il</strong> Cavallo Rosso, questo<br />

epico romanzo dal titolo enigmatico, semiclandestinamente<br />

pubblicato nel 1983 da un<br />

piccolo editore controcorrente; da allora, si<br />

sono susseguite ventisette riedizioni e traduzioni<br />

in molte altre lingue. Ma soprattutto è<br />

diventato un caso di “letteratura popolare”<br />

nell’epoca contemporanea, nel tempo cioè dei<br />

best-seller: è accaduto che persone di qualunque<br />

ceto e istruzione apprezzassero l’opera,<br />

consentendone la diffusione quasi in un passaparola.<br />

È questo il metodo “democratico”<br />

della letteratura cortiana: cioè di un insieme<br />

di scritti la cui forza politica è aver dato voce<br />

a chi non ha avuto voce in mezzo secolo di vita<br />

civile nazionale.<br />

Si verifica finalmente oggi, qui e ora, quell’incontro<br />

tra Paese Reale (impersonato dalle<br />

migliaia di lettori entusiasti) e Paese Legale<br />

auspicato per decenni da Giacomo Noventa, il<br />

pensatore irregolare che osava definire alla<br />

pari fascismo e antifascismo in Italia, leggendo<br />

il primo come un “errore della cultura” e<br />

non “contro” la cultura idealistica del primo<br />

Novecento.<br />

Ma l’occasione odierna è gravida di tanti<br />

altri auspici: bisogna fare il nome se non altro<br />

di Augusto Del Noce, che proprio qui fu senatore<br />

dal 1983 tra gli indipendenti della DC,<br />

e che fu il filosofo della politica che vide nella<br />

storia italiana “il suicidio della rivoluzione”<br />

costruita dalla mentalità moderna. E poiché<br />

si è fatto il nome di Noventa e di Del Noce, è<br />

chiaro che la questione di cui si tratta, di<br />

fronte all’opera di Eugenio Corti, è la questione<br />

lasciata in sospeso persino da Maritain:<br />

ovverosia, la natura della democrazia in Europa<br />

nel XX secolo.<br />

. LA DOMANDA DI PIERELLO.<br />

La Mostra che oggi s’inaugura è un percorso<br />

di interpretazione dell’opera cortiana<br />

che tiene conto di tutta questa profondità di<br />

apporti: è in un certo senso un lavoro<br />

“corale”. Non solo perché i lettori si possono<br />

riconoscere nelle immagini allegate ai testi<br />

(spiccano le rare foto di Don Carlo Gnocchi<br />

cappellano degli alpini) e non soltanto perché<br />

un gruppo di studenti del Liceo Don Gnocchi<br />

di Carate Brianza (qui presenti) ha contribuito,<br />

con il proprio studio, alla realizzazione dei<br />

materiali.<br />

È proprio la pretesa di risposta alla que-<br />

21 ottobre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

stione centrale del nostro tempo, che differenzia<br />

per natura <strong>Il</strong> Cavallo Rosso da altri romanzi<br />

di testimonianza, di reduci, di militaristi<br />

e anti-militaristi: qui si tratta di capire da<br />

dove viene il ‘900 e come fare per uscirne. È<br />

la domanda che si pone, tra sé e sé, il personaggio<br />

Pierello quando si chiede “cosa diavolo<br />

stava succedendo in fin dei conti… Dopo<br />

la guerra, il benessere di tutti era cresciuto, il<br />

popolo, gli operai […]” (pag.1254).<br />

Ecco perché nel presente lavoro sono<br />

coinvolti i massimi teorici della filosofia e<br />

della cultura novecentesca (i già citati Noventa,<br />

Del Noce), però vi sono coinvolti assieme<br />

a degli adolescenti, gli studenti di liceo<br />

di cui sopra, che si sentono premere dalle medesime<br />

domande degli illustri maestri. E che<br />

hanno oscuramente capito che la letteratura<br />

non è intrattenimento, e non è fine a se stessa:<br />

la letteratura serve.<br />

. UNA VIA D’USCITA CERTA.<br />

Ci sono due pagine de <strong>Il</strong> Cavallo Rosso che<br />

illustrano, pur parlando del passato, il nostro<br />

presente attuale: nella prima, c’è un dialogo<br />

tra l’ufficiale Manno e i suoi soldati, in addestramento,<br />

subito dopo lo sbandamento dell’esercito<br />

italiano l’8 settembre 1943. I quali<br />

gli dicevano:<br />

“Ma alla fine di questo corso” gli obiettava con<br />

amarezza qualche allievo “noi non sappiamo<br />

neppure se riceveremo la nomina a sottotenente<br />

o no. (…) Signor tenente: noi a volte ci chiediamo<br />

se il nostro studiare non sia semplicemente<br />

inutile.”<br />

Per niente scoraggiato dalla liquefazione<br />

del grosso delle forze militari, Manno rimane<br />

inquadrato e si dà a istruire gli allievi ufficiali<br />

di complemento a Murgiano rispondendo loro<br />

così:<br />

“No. Non fosse perché, rifiutando di studiare,<br />

favorireste per quanto vi riguarda questo tremendo<br />

caos in cui stiamo sempre più sprofondando.<br />

Ci sono dei momenti, a volte periodi di<br />

pochi mesi, in cui si gioca il futuro di un popolo<br />

per molto tempo. E noi ci troviamo in uno di<br />

tali momenti, come non ve ne rendete conto”<br />

(pp. 679-680)<br />

Questa è la proposta culturale e politica di<br />

Eugenio Corti: una ricostruzione della nazione<br />

italiana a partire dalla libera adesione del<br />

popolo al sacrificio comune connesso a qualunque<br />

progetto di ricostruzione, di uscita<br />

dalla crisi.<br />

L’altra pagina mirabile è al termine del<br />

colloquio tra un personaggio, un frate missionario<br />

in procinto di partire per l’Africa equatoriale<br />

nel 1955 e i suoi anziani genitori, industriali<br />

brianzoli di estrazione popolare e in<br />

quel momento assediati dai debiti delle loro<br />

aziende. La tribolazione economica trova anch’essa<br />

il suo senso, nelle parole che padre<br />

Rodolfo (questo è il nome del personaggio)<br />

rivolge ai propri genitori:<br />

“questa grossa prova è voluta da lui, a fin di bene.<br />

Vi impedirà, a tutti, di diventare ricchi, come<br />

c’era effettivamente il pericolo (...). <strong>Il</strong> pericolo<br />

c’era: che prendessimo gusto alla ricchezza,<br />

che attaccassimo il cuore all’abbondanza<br />

materiale”.<br />

Mi sembra superfluo, e offensivo, aggiungere<br />

qualunque commento. Questa è la tempra<br />

della narrativa di Corti, questa la direzione<br />

del suo andare dalla Brianza al mondo,<br />

questa la sua politica “poetica” e morale: la<br />

prospettiva è evidente a quegli adulti e a quegli<br />

studenti che davvero vogliono costruire,<br />

domani. Come scrisse l’autore stesso sul finale<br />

del suo libro:<br />

“Aveva messo mano a una grande opera narrativa…<br />

per quelli che, domani, dovranno pur accingersi<br />

a ricostruire” (p. 1256)<br />

ANDREA G. SCIFFO<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 663


A<br />

B<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

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N°664<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

26 OTTOBRE 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

a Questo numero.<br />

Leggendolo per intero, com'è d'obbligo al tipografo,<br />

stupisce quanto questi testi, dalla provenienza<br />

così disparata, si tengano insieme l'un l'altro.<br />

N<br />

INDICE<br />

1 Lettere al direttore. Giuseppe Ghini. <strong>Il</strong> mito che<br />

mi affascina.<br />

3 Siti freschi (24). L'Omo Salvatico. Recinti.<br />

5 Cesare Brivio. Aborto, luogo dell'annientamento<br />

della vita, dell'identità maschile e della paternità.<br />

6 Fabio Brotto. Specismo.<br />

8 La rima. Domenico Giuliotti. La corona.<br />

¢£⁄£⁄£⁄¥<br />

ƒ ‹<br />

P Lettere al direttore<br />

<strong>Il</strong> mito che mi affascina.<br />

§ ›<br />

¤'“'“'“«<br />

DI GIUSEPPE GHINI<br />

Caro Stefano, come hai visto non sono riuscito<br />

a partecipare all'incontro e me ne dolgo<br />

assai. Da quello che leggo, deve essere stato<br />

molto interessante. Spero di non dover attendere<br />

troppo per il prossimo... Intanto ti mando<br />

una cosetta che ho scritto per una rivistina che<br />

faccio con alcuni studenti di Urbino, tutti<br />

pazzi scatenati appassionati di letterature<br />

classiche, poesia e simili amenità. È l'organo<br />

di un'Associazione che abbiamo formato e che<br />

si chiama La resistenza della poesia. Non<br />

credo che le sue pubblicazioni fuoriescano dalle<br />

mura di Urbino. In compenso ci troviamo a<br />

mangiare la pizza – io e gli studenti: qualcuno<br />

fa una relazione, io ho una rubrica fissa<br />

“Dalle lezioni del prof. Ghini", e ci divertiamo:<br />

Universitas magistrorum et scholarium<br />

intorno a una sana pizza. […]<br />

. IL MITO CHE MI AFFASCINA.<br />

In generale, i miti in sé non mi hanno<br />

mai affascinato. Le cosmogonie mi sono<br />

sempre sembrate piuttosto noiose, i racconti<br />

eziologici assai forzati, i miti di fondazione<br />

– niente più che ingenue favolette.<br />

Quello che invece mi ha profondamente<br />

affascinato fin dalla sua scoperta è il mito<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

ritualizzato. Ricordo bene l'impressione<br />

provocatami da un libro dalla copertina azzurra<br />

che riportava le tradizioni e i riti degli<br />

Indiani d'America (allora si chiamavano ancora<br />

così), letto nell'esaltazione dei sedici<br />

anni: lo ieratico saluto del neomarito ai<br />

quattro angoli dell'universo, prima di giacere<br />

nella capanna insieme alla sua squaw,<br />

«unendosi come il cielo si era unito alla terra<br />

ai tempi della creazione del mondo».<br />

Ecco: la cosa affascinante, per me, non<br />

era il racconto della creazione del mondo,<br />

quanto piuttosto il fatto che quella creazione<br />

avvenisse nuovamente nel matrimonio di<br />

ogni coppia indiana. <strong>Il</strong> mito ritualizzato, insomma,<br />

l'attualizzazione di quell'evento<br />

prototipico a dar senso e profondità e divinità<br />

alla vita dei credenti indiani.<br />

Mi sembrava che in quel mito ritualizzato<br />

si nascondesse il segreto del significato dell'esistenza<br />

per quelle persone, l'antidoto più<br />

radicale alla mancanza di senso, la vera minaccia<br />

per me sedicenne e per l'uomo in generale.<br />

Non erano il dolore, la fatica, la<br />

morte a pesare in modo insopportabile sulle<br />

mie spalle di sedicenne; no, lo spauracchio<br />

era la mancanza di senso. Dio mio, morire<br />

senza che la mia morte avesse un senso!<br />

Questo poi no! E – ugualmente terrorizzante<br />

– vivere senza che la vita avesse ricevuto<br />

un senso sufficiente, senza che si fosse librata<br />

sopra la mera sopravvivenza! Che orrore<br />

insopportabile!<br />

L'uomo del mito, invece, l'indiano che<br />

fumava il calumet seduto davanti alla sua<br />

tenda invocando Manitù prima di lanciarsi<br />

nella prateria in una pericolosa scorribanda<br />

era sereno perché sapeva che tutta la sua vita<br />

era immersa in un senso. Era imbevuta di significato.<br />

Qualche anno dopo ne trovai conferma in<br />

un corso universitario: Università di Bologna,<br />

Corso di Letteratura anglo-americana<br />

del prof. Franco La Polla, anno 1979-80:<br />

Mito e modelli mitologici nel romanzo americano<br />

del '900.<br />

«<strong>Il</strong> compito del mito – spiegava il professore<br />

nella dispensa – è quello di far ritrovare nella<br />

natura, al primitivo, il senso, il valore, il modello<br />

dell’esistenza umana. <strong>Il</strong> mito quindi è<br />

attuale nel senso che pur con molte differenze<br />

anche noi viviamo la stessa situazione esistenziale<br />

del primitivo». E ancora: «[Per questo]<br />

dice Campbell che non esistono riti intesi ad<br />

allontanare l’inverno: esistono riti che cercano<br />

di far sì che l’uomo accetti l’inverno come<br />

una cosa ineluttabile e necessaria che fa parte<br />

della vita».<br />

Ora, nella lettura di La Polla – prematuramente<br />

morto qualche anno fa – questo<br />

senso si allargava al romanzo. Per meglio<br />

dire, nel romanzo andava a rintracciare le<br />

orme di quel significato che la vita riceveva<br />

dal mito riattualizzato. Quello che agli occhi<br />

del fenomenologo delle religioni – che<br />

per me voleva dire Mircea Eliade e Gerardus<br />

van der Leeuw – appariva come una degradazione<br />

del mito nella narrazione letteraria,<br />

dal punto di vista del critico letterario<br />

appariva come il tentativo del racconto-mito<br />

di partecipare alla sfera religiosa. Un tentativo<br />

cioè di trasferire il racconto dal piano<br />

della lettura, se mai formativa, al piano della<br />

«salvezza»: proprio riconnettendosi alla<br />

capacità del mito di «dare significato», il<br />

racconto aspirava a diventare uno strumento<br />

di salvezza. Niente meno.<br />

Sullo sfondo, irrisolto, restava per me un<br />

problema di non poco conto: che rapporto<br />

c'era tra la fede cristiana che avevo ricevuto<br />

e questo significato, questa salvezza dovuta<br />

al mito<br />

Solo più tardi lessi le illuminanti parole<br />

di C.S. Lewis, l'autore delle Cronache di<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 664


Narnia, uno che i miti li conosce bene, e che<br />

tutto spiega senza necessità di troppi commenti:<br />

«Come il mito trascende il pensiero, così l’Incarnazione<br />

trascende il mito. <strong>Il</strong> cuore del cristianesimo<br />

è un mito che è anche un fatto.<br />

L’antico mito del Dio Morente, senza cessare<br />

di essere mito, scende dal cielo della leggenda<br />

e dell’immaginazione alla terra della storia.<br />

Accade: in un tempo preciso, in un luogo preciso,<br />

accompagnato da conseguenze storiche<br />

ricostruibili. Si passa da un Balder o da un<br />

Osiride, che muoiono nessuno sa né quando né<br />

dove, a una Persona storica crocifissa sotto<br />

Ponzio Pilato. Divenendo fatto, non cessa di<br />

essere mito: questo è il miracolo. Per essere<br />

davvero cristiani si deve sia dare assenso al<br />

fatto storico sia ricevere il mito (benché divenuto<br />

fatto) con lo stesso abbraccio immaginativo<br />

che si accorda a tutti i miti. E uno non è<br />

affatto più necessario dell’altro. Se Dio sceglie<br />

di essere mitopoietico, ci rifiuteremo noi<br />

di essere mitopatici».<br />

Detto con Dante: rifiuteremo noi di indiarci<br />

in Cristo<br />

GIUSEPPE GHINI<br />

| ( 3 ) |<br />

†‡·•‡·•‡‚<br />

„<br />

d<br />

”<br />

Siti freschi (24)<br />

» …<br />

L'Omo Salvatico<br />

„ ”<br />

‰`ˆ¿´`´¿ˆ`˜<br />

DE L'OMO SALVATICO<br />

Già il titolo di questo blog, che per intero recita<br />

L'Omo Salvatico – ciò che salva è nella<br />

foresta, di per sé ci fa intuire una consonanza;<br />

l'articolo che presentiamo oltre a confermarla<br />

rende ragione della menzione del blog<br />

quale ventiquattresimo della nostra esclusiva<br />

serie. N<br />

. RECINTI.<br />

Fonte: L'omo salvatico, 23 agosto <strong>2011.</strong><br />

Ancora una volta qui, salita dopo salita,<br />

tornante dopo tornante, sono arrivato anche<br />

quest’anno sull’altopiano delle Serre, per ritrovarmi<br />

davanti allo stesso immenso portone<br />

che già so, rimarrà sbarrato … Quella<br />

del monastero certosino è una soglia che<br />

non si varca. <strong>Il</strong> solito cartello comunica,<br />

con modi garbati, che per favorire la meditazione<br />

e la preghiera dei monaci non è<br />

consentito l’accesso di visitatori alla certosa.<br />

Giro le spalle e torno sui miei passi per la<br />

consueta passeggiata attorno alle mura di<br />

cinta, fortificate da stupendi torrioni simili<br />

a coni di gelato rovesciato. Architettura inconsueta<br />

che parla della storia di un uomo,<br />

26 ottobre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

San Bruno da Colonia, e dei suoi confratelli<br />

che, nell’anno mille, fondano la prima comunità<br />

di monaci in Francia, sulle montagne<br />

della Chartreuse, per poi portare in Calabria,<br />

alle porte del Mediterraneo, un pezzo<br />

del cuore profondo dell’Europa.<br />

Che ci faccio ancora qui All’esterno di<br />

quattro inaccessibili mura che ormai conosco<br />

meglio delle mie tasche … Perché tornare,<br />

anno dopo anno, senza vedere, incontrare,<br />

toccare Che cosa ha da dirmi una comunità<br />

di monaci invisibili, al punto, da incominciare<br />

a pensare che in fondo possa essere<br />

già estinta e che ciò che aleggia nell’aria<br />

non è nient’altro che la sua ombra, l’ombra<br />

di Kakemusha … Eppure sono persuaso che<br />

proprio qui, davanti ad un portone chiuso,<br />

ci sia ancora qualcosa da imparare. L’uomo<br />

occidentale ha, da tempo, lasciato la terra e<br />

preso il largo, nel mare aperto senza limiti e<br />

confini. Con la sua carta di credito può raggiungere<br />

qualsiasi angolo del pianeta, può<br />

comprare titoli nei più disparati mercati, beni<br />

di ogni genere su tutte le piazze del mondo,<br />

ma non può entrare nel monastero di<br />

Serra San Bruno. Qui non c’è moneta, non<br />

c’è scambio, non c’è negozio. Qui le relazioni<br />

si danno gratuitamente secondo il giogo<br />

dolce di Cristo e si custodiscono e difendono<br />

attraverso un confine ben definito e marcato<br />

da alte e spesse mura.<br />

La situazione, i luoghi, lo spazio mi rimandano<br />

a quanto avevo letto una volta sul<br />

Nomos della Terra di Carl Schmitt:<br />

“In principio sta il recinto. Recinto, recinzione,<br />

confine determinano profondamente nei<br />

suoi concetti il mondo formato dagli uomini.<br />

La recinzione è ciò che produce il luogo Sacro<br />

sottraendolo al consueto, sottoponendolo<br />

alla sua propria legge, consegnandolo al Divino”.<br />

Questa immagine mi aveva così profondamente<br />

impressionato da averla assunta a<br />

coronamento del mio matrimonio. In fondo<br />

anche questa è una vocazione! A proposito<br />

di rito nuziale mi aveva colpito, tempo fa,<br />

vedere ad Atene due coniugi ortodossi infrangere<br />

i loro calici dopo aver bevuto l’uno<br />

nell’altro, ciò perchè nessuno vi potesse più<br />

bere … Cingere i fianchi, tracciare un cerchio,<br />

definire, delimitare, significa in qualche<br />

modo dare forma all’informe, appartenere,<br />

radicarsi, scegliere la terra. Dopotutto<br />

il mare non ha carattere, dice Schmitt, parola<br />

che deriva dal greco charassein, che significa,<br />

appunto, scavare, incidere, imprimere.<br />

“Nel mare non è possibile seminare e neanche<br />

scavare linee nette. Le navi che solcano il mare<br />

non lasciano dietro di sé nessuna traccia.<br />

Sulle onde tutto è onda.”<br />

L'OMO SALVATICO<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 664


| ( 5 ) |<br />

a Aborto, luogo dell'annientamento<br />

della vita, dell'identità maschile<br />

e della paternità.<br />

DI CESARE BRIVIO<br />

Come è possibile che noi maschi occidentali<br />

abbiamo accettato che fosse dichiarata,<br />

per legge non esistente, su volontà della<br />

donna, la persona chiamata alla vita da un<br />

rapporto tra noi e la nostra donna, che fosse<br />

dichiarato non esistente il nostro ruolo di<br />

concreatori, non esistente il nostro diritto di<br />

essere maschi e padri innamorati e compagni<br />

di una persona da noi concepita<br />

Come è possibile che accettiamo di vivere<br />

in uno Stato nel quale per legge non è rivendicabile,<br />

non è difendibile il rapporto tra<br />

noi e il figlio da noi concepito Non è forse<br />

questo il più grave fra gli innumerevoli atti<br />

vigliacchi di abdicazione di noi maschi occidentali,<br />

abdicazioni che sono a fondamento<br />

della nostra sempre maggiore difficoltà a far<br />

emergere dal profondo il volto dei padri e<br />

dei maschi che ci hanno preceduto, il nostro<br />

volto.<br />

Sono volti che affiorano infatti nella stima,<br />

nel rispetto e nella considerazione di sé.<br />

Quale stima infatti possiamo avere di noi,<br />

avendo concesso alla donna, senza peraltro<br />

averne noi il potere, il diritto di uccidere i<br />

nostri figli, e come si poteva pensare che<br />

questo non si traducesse nella dichiarazione<br />

di fatto della nullità del nostro rapporto con<br />

la vita, del nostro amore per la vita, della<br />

nostra paternità sulla vita<br />

Senza l' affiorare di questi volti, senza la<br />

tenerezza, e la forza, e la giustizia e la consolazione<br />

e l'abbandono e la gioia, unica<br />

possibile, connessa alla intimità con loro,<br />

che cosa potremo mai avere che valga questa<br />

rinuncia, chi mai potremo essere che valga<br />

la pena di essere<br />

Siamo diventati i più poveri della Terra,<br />

che non sono quelli che non hanno da mangiare<br />

o da bere bensì quelli che non hanno<br />

nemmeno l'identità, nemmeno cioè la possibilità<br />

di dirsi chi è che ha fame e sete.<br />

Di questa estrema povertà dobbiamo renderci<br />

consapevoli, di questa ricchezza dobbiamo<br />

avere il coraggio di farci mendicanti!<br />

Come può non esserci, infatti, nel nostro<br />

sguardo sul figlio, fin da subito la consapevolezza<br />

di questa tremenda negazione di noi<br />

e del padre e la percezione di una storia affettiva<br />

che inizia a partire da un' irrimediabile<br />

perdita, da un lutto non elaborabile come<br />

quello di un giudizio di morte possibile,<br />

e tuttavia non avvenuto, giudizio di morte<br />

per opporci al quale nulla avremmo potuto<br />

fare, potere insindacabile riconosciuto alla<br />

donna, per di più come diritto!<br />

E nostro figlio come guarderà a noi<br />

quando saprà che siamo stati nella condizione<br />

di imbelli davanti alla sua vita e che il<br />

nostro amore non aveva la forza e il potere<br />

di chiedere ed ottenere la sua vita se la madre<br />

avesse deciso il contrario<br />

In una bellissima canzone di Eric Clapton<br />

si dice "il ponte è spezzato, l'edificio<br />

senza fondamento è crollato" e questo perché<br />

suo padre se ne è andato da casa, ma noi<br />

maschi occidentali, dichiarando res nullius il<br />

concepito quale ponte abbiamo spezzato e<br />

quali fondamenta abbiamo sbriciolato con<br />

criminale leggerezzaSi può essere davvero<br />

maschi e padri infatti se si è accettato che il<br />

proprio figlio nasca nella condizione di chi<br />

è sfuggito ad una decisione di morte connessa<br />

a un diritto della nostra donna di ucciderlo<br />

Quale forza istintiva maschile potremo<br />

mai trasmettere a nostro figlio quando ci avvieremo<br />

lungo le strade del profondo per<br />

26 ottobre 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

realizzare quel tipo di incontro che determina<br />

il destino e l'identità queste sono<br />

strade infatti che si possono percorrere con<br />

certezze istintive del tutto integre e indivise,<br />

e non<br />

latori di missive di grazia dalla morte per<br />

interposta persona.<br />

Siamo sicuri che in queste condizioni<br />

l'incontro potrà dunque avvenire comunque<br />

e nello stesso identico modo e che nel profondo<br />

non finiremo per incontrare ostacoli<br />

nuovi e inconsueti per cui al momento dell'incontro<br />

non corriamo il rischio di fermarci<br />

come cavalli imbizzarriti davanti ad<br />

un terrore e ad uno sconforto oscuri e invincibili<br />

Non è forse sintomatico che fra tutti i<br />

luoghi della coscienza maschile questo luogo<br />

è oggetto di una rimozione totale Questo<br />

luogo della morte, costruito e promosso<br />

proprio da noi, poi festeggiato nelle piazze,<br />

poi definito nei testi di legge e poi eletto<br />

nelle cliniche e poi imposto nella psiche<br />

maschile e femminile e poi scavato nei corpi<br />

di donna e poi inflitto alle nuove vite e infine<br />

accettato dalla coscienza, questo luogo<br />

dove dare la morte, ovvero negare la vita, è<br />

un diritto della donna e che chiunque oggi<br />

nasca deve attraversare, è davvero senza<br />

conseguenze profonde sulla nostra identità<br />

maschile sulla nostra capacità di essere padri<br />

È credibile pensare questo per un essere<br />

che vive di simboli come l'essere umano<br />

CESARE BRIVIO<br />

a Specismo.<br />

DI FABIO BROTTO<br />

Fonte: Brotture, 3 settembre <strong>2011.</strong><br />

“<strong>Il</strong> bosco, dentro il quale vivano anche specie<br />

animali inconciliate con noi, è più naturale e<br />

più vitale, perché amplia il concetto di vita e<br />

di natura. Anche gli animali hanno un progetto<br />

di vita e mirano a realizzarlo. Anzitutto,<br />

cercano ciò che gli fa piacere ed evitano ciò<br />

che gli dà dolore. In secondo luogo, mirano a<br />

riprodursi. Se un’altra specie vivente si attribuisce<br />

il diritto di stroncare questi progetti,<br />

stabilisce di fatto una graduatoria fra le specie,<br />

non molto diversa dalla graduatoria fra le<br />

razze, di recente memoria. Non sarà razzismo,<br />

ma è specismo.”<br />

Queste parole sono di Ferdinando Camon<br />

(La Stampa 20 agosto 2011). <strong>Il</strong> discorso, se<br />

lo analizziamo attentamente, fa acqua da<br />

tutte le parti, e il concetto stesso di specismo<br />

appare infondabile.<br />

“Anche gli animali hanno un progetto di vita<br />

e mirano a realizzarlo”.<br />

Non è vero. Qui ci troviamo di fronte al<br />

solito antropomorfismo, alla proiezione<br />

dell’umanità su ciò che sta al di fuori di essa.<br />

In fondo, si tratta di qualcosa di infantile,<br />

che ritorna riverniciato di scientificità: il<br />

bambino attribuisce una intenzione umana<br />

ad animali e cose. Così, nel nostro tempo di<br />

maturità mai raggiunta, di adolescenza indefinita,<br />

di bambini-adulti e adulti-bambini,<br />

gli animali sono percepiti come quasi-umani.<br />

L’animale non ha un progetto di vita, che<br />

è una rappresentazione di possibilità future<br />

differenti, tra cui uno sceglie quella che<br />

preferisce, e poi lotta per conseguire la sua<br />

meta: io farò il medico, tu farai il soldato,<br />

lei farà l’avvocato, ecc. Progetti che possono<br />

riuscire o fallire. Una volpe non ha un progetto<br />

di vita. Vivrà cacciando e mangiando<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 664


| ( 7 ) |<br />

altri animali, integrando la dieta con bacche<br />

e frutti, da buon canide selvaggio, si accoppierà<br />

e riprodurrà secondo quanto le impone<br />

il suo dna. Non si porrà mai il problema<br />

se sia il caso di passare ad una dieta vegetariana<br />

né si sentirà colpevole per aver scannato<br />

un coniglio. E nemmeno potrà un<br />

giorno pensare: che sfortunata, il mio progetto<br />

di vita è fallito! <strong>Il</strong> progetto di vita implica<br />

la rappresentazione, che è una caratteristica<br />

soltanto umana, e che fonda la libertà<br />

(che a sua volta è una rappresentazione).<br />

“Se un’altra specie vivente si attribuisce il diritto<br />

di stroncare questi progetti …”<br />

Ma anzitutto occorrerebbe specificare se<br />

si parla del progetto di un singolo individuo o<br />

di quello dell’intera specie. Perché se una<br />

volpe uccide una gallina, rimanendo nella<br />

terminologia camoniana, essa interromperà<br />

il progetto di vita di quella singola gallina,<br />

non altrimenti da come un assassino che mi<br />

uccidesse interromperebbe il mio progetto<br />

di vita. Non certo quello dei polli come specie.<br />

Ma gli umani hanno modificato profondamente<br />

e interrotto anche drasticamente<br />

molti progetti di vita di intere specie. Per<br />

esempio: qual era il progetto della specie bovina<br />

da cui derivano le vacche ridotte a fabbriche<br />

di latte, che vivono in pochi metri<br />

quadrati, nutrite di mangimi a base di mais,<br />

del tutto innaturali Ma tutti quelli che si<br />

scandalizzano della sorte funesta dell’orso<br />

fucilato non dicono una parola sui lager dove<br />

vivono le mucche, e si bevono il loro bicchiere<br />

di latte e mangiano il loro stracchino.<br />

“… stabilisce di fatto una graduatoria fra le<br />

specie, non molto diversa dalla graduatoria<br />

fra le razze, di recente memoria.”<br />

Quindi l’allevatore di vacche o polli, il<br />

macellaio, per non dire il cacciatore, sarebbero<br />

assimilabili ai nazisti. Non so se Camon,<br />

solitamente acuto, abbia adeguatamente<br />

riflettuto sulla portata delle sue parole.<br />

Temo di no, del resto oggi si parla e scrive<br />

molto pensando relativamente poco. Allora<br />

i predatori naturali, le volpi e i lupi, le<br />

aquile e i leoni, sarebbero specisti Ogni gerarchia<br />

è assimilabile al razzismo O lo specismo<br />

apparterrebbe invece soltanto all’unica<br />

specie che possiede rappresentazione e<br />

cultura, cioè a quella umana Chiaramente,<br />

Camon pensa che lo specismo sia solo umano,<br />

ma non si accorge che l’unicità, che anche<br />

in questo modo viene affermata come<br />

propria della nostra specie, fonda la differenza<br />

radicale dall’animale, e rende lo specismo<br />

stesso un arnese concettualmente inutilizzabile,<br />

un pleonasmo che non spiega<br />

nulla, e che serve soltanto come espressione<br />

del senso di colpa occidentale, inizialmente<br />

legato alla Shoah e alla colonizzazione, poi<br />

esteso ad ogni forma di rapporto tra umano<br />

e natura (anch’essa peraltro una rappresentazione<br />

degli umani).<br />

FABIO BROTTO<br />

26 ottobre 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

LA RIMA<br />

A<br />

LDA, se luce ed armonia consenta<br />

alle mie rime dolcemente Amore,<br />

sarete forse voi l’unico fiore<br />

che fiorirà di tutta la sementa.<br />

Voi m’appariste, quando le fontane<br />

del canto, in me, tacevano riarse;<br />

e i miei pensieri, come foglie sparse,<br />

cadevan lenti sulle carte vane.<br />

Veniste lieve, come un’alba, d’onde<br />

vengono i sogni, e, nella bella mano<br />

bianca, recaste un dolce melograno<br />

a dissetar le labbra sitibonde.<br />

Trasse la bocca avidamente a suggere<br />

quel divin mèle granulo e scarlatto;<br />

e l’arte mia, già timida, d’un tratto,<br />

si mosse per creare e distruggere.<br />

Alte canzoni allor batteron l’ali,<br />

per tutti i cieli, melodiose, errando;<br />

e nel mio nuovo spirto, alleluiando,<br />

molte passâr visioni trionfali.<br />

Ma più perfetto e nobile lavoro,<br />

se la mia rima a voi grave non suona,<br />

vi sacrerò, foggiando una corona<br />

di fiorentini fiordalisi d’oro.<br />

LA CORONA<br />

di<br />

DOMENICO GIULIOTTI<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 664


A<br />

B<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

N°665<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

3 NOVEMBRE 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

F A N T A S I A L O N G O B A R D A<br />

DI RODOLFO CAROSELLI, CHIARA PALUMBO E GABRIELLA ROUF.<br />

Q<br />

In prima pagina l'invito di Gabriella Rouf ad un<br />

viaggio, immaginario e non, nei luoghi della memoria<br />

della regina longobarda Teodolinda, è anche l’occasione<br />

per l’incontro con una poliedrica figura di artista, Lodovico<br />

Pogliaghi (1857-1950), le cui tavole “longobarde”<br />

fondono elementi realistici e documentari in un’affascinante<br />

visionarietà. Di Pogliaghi, che ha lasciato<br />

numerose ed importanti opere, ed immagini assai note<br />

(dal Cristo dell’Università Cattolica di Milano, al<br />

drammaticissimo “La morte di Giovanni Maria Visconti”<br />

dell’Accademia di Brera) ci parla a pagina 5<br />

Chiara Palumbo, la persona più competente a farlo, che<br />

ci rassicura di un interesse crescente intorno all’artista.<br />

A sua cura gli è completamente dedicato l’ottimo sito<br />

MILANO<br />

Dal 26.10 al 23.12.<strong>2011.</strong><br />

Una mostra alla Compagnia del<br />

Disegno, Via Santa Maria Valle 5.<br />

LODOVICO POGLIAGHI PER MILANO.<br />

LA GENESI DELLE SUE OPERE.<br />

Mostra e catalogo a cura di Chiara Palumbo.<br />

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Orari: dal martedi al venerdi, dalle<br />

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19.30; sabato su<br />

appuntamento.<br />

www.lodovicopogliaghi.it, che comprende tutte le notizie<br />

relative alla biografia e alle opere.<br />

La suggestione fantastica dell’epopea longobarda<br />

anima, in settima pagina, il poemetto di Rodolfo<br />

Caroselli, in presa diretta dai tempi di Alboino: un<br />

dialogo – oggi si direbbe «interetnico» – in cui l’abile<br />

contadino italico non fa la figura del «volgo disperso che<br />

nome non ha». (red.)<br />

†‡·•‡·•‡‚<br />

„ ”<br />

I Vale il viaggio<br />

» …<br />

Le corone delle Regine.<br />

„ ”<br />

‰`ˆ¿´`´¿ˆ`˜<br />

DI GABRIELLA ROUF<br />

La diffusione del cristianesimo nell’impero<br />

romano, la conversione realizzatasi per capillarità,<br />

penetrazione e trasmissione, può riferirsi<br />

anche all’azione, pervasiva e consapevole, delle<br />

donne: nell’ambito della famiglia (gens), nell’educazione,<br />

nelle piccole comunità domestiche<br />

divenute chiese domestiche, ma anche nelle<br />

forme di una mediazione culturale esercitata da<br />

personalità influenti e autorevoli. 1<br />

Un’altra fase decisiva e delicata, in cui si ripresenta<br />

tale riconoscibile mediazione cultura-<br />

1 La critica biblica femminista sembra paradossalmente cieca di<br />

fronte a questa realtà incontrovertibile per dimensioni ed efficacia,<br />

andando invece in cerca delle tracce di un sacerdozio femminile<br />

individuale (v. E. Schussler Fiorenza, In memoria di lei, Claudiana<br />

ed. 1990).<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

le, questa volta attraverso figure-simbolo, è<br />

quella della conquista al cristianesimo delle tribù<br />

barbariche: le antiche cronache si concentrano<br />

intorno a personalità eccezionali, in un<br />

alone leggendario, come nel caso della regina<br />

Teodolinda (570-627), collaboratrice di San<br />

Gregorio Magno nella decisiva conversione dei<br />

Longobardi al cattolicesimo. Si attribuisce infatti<br />

alla regina la capacità e il merito di aver<br />

imposto attraverso il prestigio dinastico e la<br />

forza della sua personalità, una nuova identità<br />

culturale all’ideologia guerriera delle tribù nordiche.<br />

Questa vittoria pacifica fu trasformata,<br />

dalle mani stesse della regina, in offerta ad una<br />

superiore regalità: le corone e il tesoro, patrimonio<br />

e gloria del Duomo di Monza.<br />

Oscilla nella storiografia la stella longobarda<br />

2 , dalle accensioni romantiche per le giovani<br />

stirpi emerse dalle selve germaniche, all’esclusivismo<br />

del retaggio romano/cristiano, ad una<br />

considerazione forse più equanime, ma che si<br />

frantuma e si raffredda in segmenti specialistici,<br />

tal che una nebbia cala di nuovo sul passato, e<br />

così finiscono per essere le tradizioni e le leggende<br />

a conservarne una verità più umana.<br />

Immaginiamo un’epoca tra le più dure e terribili<br />

della storia italiana, in cui vennero a maturazione<br />

importanti elementi identitari, tra<br />

componenti gravemente conflittuali; il momento<br />

in cui la Chiesa conserva e trasmette il patrimonio<br />

culturale, spirituale, istituzionale della<br />

civiltà romana, operando con realismo nei confronti<br />

dei barbari invasori. E dove però nello<br />

stesso tempo, è proprio l’Italia il laboratorio<br />

ove conflitti, ricomposizioni, alleanze, si giocano<br />

e si concertano, producendo una frammentazione<br />

politica che non sarà più ricomponibile.<br />

Nella Chiesa, all’epoca della dominazione<br />

longobarda, si fa riferimento a figure di altissimo<br />

prestigio e complessa operatività: al papa S.<br />

Gregorio Magno e al monaco irlandese S. Co-<br />

2 Rinnovata luce le viene dall’iscrizione (giugno 2011) nella Lista<br />

del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO di 7 siti italiani con<br />

significative vestigia architettoniche longobarde. Vedi il sito<br />

www.italialangobardorum.it che opportunamente propone itinerari<br />

di visita, a cui va integrato il Duomo di Monza e il suo Tesoro.<br />

lombano, con i quali collabora (e la bella leggenda<br />

dice il vero) la Regina Teodolinda, fiduciaria<br />

di S. Gregorio, cofondatrice del monastero<br />

di Bobbio, modello di una regalità istituzionale,<br />

non più legata alla fara e alle insanguinate<br />

alternanze di capi guerrieri.<br />

Teodolinda è bavara, e porta alla dinastia<br />

longobarda un prestigio comparabile alla regalità<br />

bizantina, una simbologia istituzionale più<br />

matura. La sposa di Autari “edifica", rende stabile,<br />

con la fondazione della reggia di Monza<br />

che affianca quella di Pavia, un’immagine regale<br />

non oscillante sulle punte delle spade, negli<br />

accampamenti nomadi, nelle terre desolate degl’incolti<br />

e dei pascoli, ma da subito corredata<br />

di sacralità: la cappella palatina, il tesoro del<br />

tempio, le corone preziose appese sopra gli altari.<br />

La fondazione e la dotazione di Bobbio promuove<br />

altresì il patrimonio culturale e l’operosità<br />

sul territorio.<br />

La leggenda di Teodolinda si basa perciò su<br />

dati storici ben saldi, sulla pietra, sull’oro, sulle<br />

LodovicoPogliaghi. Incontro di<br />

Autari con Teodolinda.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 665


| ( 3 ) |<br />

terre messe a frutto, nella luce aurorale di una<br />

nuova epoca, anche se di fatto saranno i Franchi<br />

e Carlo Magno a segnare il punto di arrivo<br />

del processo istituzionale universalistico: ma a<br />

questo punto l’integrazione delle popolazioni è<br />

avvenuta, le stirpi regali e ducali longobarde<br />

(tranne a Benevento) scompaiono dalla storia,<br />

il flusso culturale confluisce nella rinascenza<br />

carolingia.<br />

Le trasformazioni ambientali ed architettoniche,<br />

oltre a distruzioni e spoliazioni, hanno<br />

allontanato più del dovuto nel tempo la complessa<br />

realtà di quell’epoca, di cui scarse sono le<br />

cronache e fonti documentarie 3 . Ci è giunto,<br />

pur gravemente diminuito, il fulcro splendente<br />

del tesoro di Teodolinda, e ad esso collegata, la<br />

Corona Ferrea, simbolo così suggestivo da traversare<br />

la storia fino al ‘900.<br />

Grande splendore avrà certo la Cappella di<br />

Teodolinda nel Duomo di Monza 4 a conclusione<br />

dei restauri in corso. Nonostante l’ingombro<br />

dei ponteggi, si può accedere tuttora alla vista<br />

della Corona ferrea, conservata nell’altare centrale<br />

della cappella. Questa specie di rito è<br />

commovente, perché la corona è tratta e mostrata,<br />

con apertura di sportellini, chiavette, da<br />

una ragazza in divisa, gentilissima, competente<br />

e compunta. Eppure come non sentire un’ironia,<br />

in questo prosaico esporre, a visitatori talvolta<br />

inconsapevoli, ma che “vogliono vedere<br />

da vicino” un oggetto così carico di storia e di<br />

un valore simbolico a pochi altri comparabile!<br />

<strong>Il</strong> chiodo della Croce! La sovranità sacra e<br />

mondana! <strong>Il</strong> Regno d’Italia, lascito grandioso e<br />

denso di mistero di una tradizione di cultura, di<br />

fede, di storia! La Corona Ferrea!<br />

Nel Tesoro del Duomo un’altra corona, uni-<br />

3 La fonte principale è Paolo Diacono (720-789), longobardo,<br />

che scrive già ai tempi di Carlo Magno, collocando la sua Historia<br />

langobardorum (787-789) nella prospettiva mitica e gloriosa della<br />

sua stirpe sconfitta.<br />

4 Purtroppo la piazza del Duomo di Monza, è incredibilmente<br />

deturpata da un bistrot “concettuale”, nel senso che solo il fatto<br />

che tale si definisca lo fa essere tale, dato che l’aspetto è quello di<br />

un deposito di imballaggi o di un cantiere dismesso. L’abitudine<br />

alla bruttezza non è mai ininfluente. Nel nuovo Museo del Duomo<br />

ce lo ricordano un’incongrua vistosa scala “d’autore” e un’opera<br />

sgargiante di Mimmo Paladino.<br />

ca superstite del complesso di corone votive offerte<br />

da Teodolinda, risplende accanto ai doni<br />

preziosi di oro e gemme fatti raccogliere nel<br />

mondo dalla regina per glorificare la nuova<br />

Cattedrale, ma anche ad oggetti semplici, di<br />

rozza fattura: dalle fiale con l’olio delle catacombe<br />

dei martiri, a certe borsine in foglia di<br />

palma così antiche da autorizzare la credenza<br />

— o il sogno — che appartenessero agli Apostoli!<br />

O Regine! O corone!<br />

In realtà la leggenda devota di Teodolinda<br />

giunge a noi da un varco di più di 1400 anni<br />

poggiando su una fioritura intermedia, che le dà<br />

un volto più manierato 5 , e rischia di lasciare<br />

sullo sfondo le figure gigantesche e drammatiche<br />

degli inizi: sono gli anni del dominio dei<br />

Visconti, che fanno di Monza un centro strategico,<br />

rilanciando il prestigio della città e della<br />

sua Basilica. <strong>Il</strong> Duomo di S. Giovanni, in cui<br />

nel 1300, anno giubilare, vengono rinvenute (a<br />

seguito dell’apparizione in sogno di S. Elisabet-<br />

Lodovico Pogliaghi. Battesimo di Agilolfo.<br />

5 Ma per me il volto di Teodolinda è Elisa Cegani ne La corona<br />

di ferro di Blasetti...<br />

3 novembre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

ta e di Teodolinda ad un sacerdote) le preziose<br />

reliquie del Battista, viene ricostruito completamente<br />

ed ampliato, come sede legittima dell’incoronazione<br />

dei re d’Italia. A conclusione di<br />

questa fase, dal 1440 al 1446 i fratelli Zavattari<br />

realizzano la Cappella di Teodolinda, in onore<br />

della fondatrice del tempio originario, ma evocando<br />

in immagini eleganti e di tono profano,<br />

gli splendori di corte e le vicende dinastiche dei<br />

Visconti stessi. Le 45 scene ripercorrono i fatti<br />

della vita della regina, evidenziandone il ruolo<br />

ispirato e pacificatore, nonché di devota mecenate<br />

della Basilica, con l’offerta del tesoro e<br />

della Corona Ferrea. La presenza del sepolcro<br />

della regina riattiva intorno ad essa una tradizione<br />

e quasi un alone di santità, tanto che la<br />

cappella con i suoi affreschi tardogotici non è<br />

coinvolta nella ristrutturazione barocca degli<br />

interni, e a fine '800 Luca Beltrami ne cura un<br />

restauro con rifacimenti in neogotico.<br />

La memoria della regina passa indenne tra le<br />

tempeste della storia (non il tesoro del Duomo,<br />

depredato da Napoleone) e nel XIX secolo, il<br />

principe — poi re — Massimiliano di Baviera,<br />

nei rifacimenti del castello di Hohenschwangau,<br />

fa realizzare dal pittore Moritz von Schwind<br />

un ciclo di affreschi con gli episodi della<br />

vita di Teodolinda, celebrandone l’origine bavarese<br />

e accentuando i toni eroici dell’epopea<br />

longobarda.<br />

La prospettiva storica appiattisce nel tempo i<br />

fatti e i protagonisti in immagini simbolo: in una<br />

delle sculture nelle guglie della facciata, realizzate<br />

ai primi del ‘900, Teodolinda è rappresentata<br />

nell’atto di donare il Duomo, però<br />

nella sua forma architettonica trecentesca. Certo<br />

la figura di Teodolinda presenta una ricchezza<br />

di motivi — il prestigio culturale, l’autorevolezza<br />

nella famiglia, la fede fervida e operante,<br />

la capacità mediatrice e di realizzazioni — da<br />

testimoniare di una specifica presenza femminile<br />

nella storia, soprattutto in epoche di crisi. 6<br />

All’estremo della penisola, Monte Sant’Angelo<br />

sul Gargano conserva le vestigia della devozione<br />

longobarda all’Arcangelo Michele, assunto<br />

per la sua immagine fiera a Santo protettore<br />

del ducato longobardo di Benevento.<br />

L’antichissimo Santuario porta nella roccia<br />

delle grotte le epigrafi dei duchi, ma anche i<br />

graffiti dei devoti provenienti da tutta Europa;<br />

e proprio rivolgendosi al pellegrino giunto al<br />

lontano santuario pugliese, Paolo Diacono scrive<br />

nell’epitaffio di Ansa, un’altra regina longobarda<br />

della dinastia di Pavia: “non avrai da temere<br />

né le frecce dei predoni, né le nubi della<br />

notte oscura: per te ella ha fatto approntare<br />

spaziosi ricoveri e cibo”.<br />

Assorbiti dopo due secoli nel grande fiume<br />

della storia, i longobardi sono legati alle radici<br />

cristiane dell’Europa: scomparsi i loro palazzi e<br />

fortezze, ne resta un lascito di luoghi santi, di<br />

memorie e leggende devote, in misteriose corrispondenze<br />

lungo il cammino di San Colombano,<br />

da Mont Saint Michel, a Bobbio, fino a<br />

Monte sant’Angelo. (G.R.)<br />

Lodovico Pogliaghi. Rotari promulga la legge<br />

longobarda dalla cattedrale di Pavia.<br />

6 Sempre nel giugno 2011, su proposta del Club UNESCO di<br />

Monza, Teodolinda è stata proclamata Regina testimone di pace.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 665


| ( 5 ) |<br />

a Lodovico Pogliaghi illustratore:<br />

la Storia d’Italia.<br />

DI CHIARA PALUMBO<br />

Verso la fine della seconda metà dell’Ottocento,<br />

il giovane Lodovico Pogliaghi, avendo<br />

già avuto buone affermazioni in opere a soggetto<br />

religioso, fu incaricato dalla casa editrice<br />

Fratelli Treves di un’opera di grande impegno:<br />

l’illustrazione della colossale collana della Storia<br />

d’Italia: l’intero prodotto editoriale fu curato<br />

da Francesco Bertolini e aveva l’ambizioso<br />

obiettivo di ripercorrere, in un equilibrato connubio<br />

di testo e immagini, l’intero percorso storico<br />

e identificativo della patria italiana.<br />

<strong>Il</strong> primo tomo, intitolato Storia di Roma dalle<br />

origini italiche sino alla caduta dell’Impero di<br />

Occidente fu pubblicato nel 1886, seguito nel<br />

1892 da <strong>Il</strong> Medioevo, dalla Storia del Rinascimento<br />

edito nel 1897 per terminare con <strong>Il</strong> Settecento<br />

e <strong>Il</strong> primo Regno d’Italia pubblicato nel<br />

1913. A completare cronologicamente il quadro<br />

si aggiunse la Storia del Risorgimento Italiano,<br />

illustrata con 97 tavole da Edoardo Matania e<br />

pubblicata nel 1889.<br />

L’artista ideò più di 350 tavole a cui si aggiungono<br />

i capilettera e i frontespizi dell’ultimo<br />

volume; il tutto realizzato in una gradazione<br />

cromatica dal nero al grigio, che si accende di<br />

particolari e sfumature bianche. Tale tavolozza<br />

tonale fu scelta in quanto fin dall’inizio le illustrazioni<br />

furono concepite per una loro successiva<br />

traduzione xilografica, che in realtà trovò<br />

piena attuazione solo nei primi due tomi, in<br />

quanto il Rinascimento vide l’inserimento di alcune<br />

tavole a illustrazione miste a incisioni e<br />

l’ultimo volume fu dedicato completamente alle<br />

riproduzioni pittoriche dell’artista senza la successiva<br />

trasformazione grafica.<br />

La familiarità che l’artista aveva nei confronti<br />

del disegno, la madre di tutte le arti, gli<br />

permise di cimentarsi nell’illustrazione, che sarà<br />

di fatto la forma artistica a lui maggiormente<br />

congeniale e alla quale continuerà a dedicarsi<br />

nel corso di tutta la sua longeva carriera, realizzando<br />

in essa l’elevata e rigorosa qualità artistica<br />

e la scrupolosa ricerca a carattere storico-filologico<br />

e documentario. Sono ancora tutti da<br />

indagare i numerosi riferimenti iconografici che<br />

costellano ciascuna tavola e che denotano una<br />

cura quasi maniacale con la quale l’artista affrontava<br />

ogni singola rappresentazione pittorica.<br />

Ciascun evento illustrato aveva sempre alle<br />

spalle un’indagine approfondita sia a carattere<br />

prettamente storico, per mezzo della consultazione<br />

di testi e manuali, sia diretto, attraverso la<br />

visita dei luoghi stessi che avrebbero dovuto essere<br />

rappresentati in qualità di quinta scenografica<br />

agli avvenimenti narrati. Ad arricchire tali<br />

conoscenze Pogliaghi affiancava lo studio di<br />

“accessori”, elementi solo apparentemente secondari,<br />

ma che in realtà avrebbero animato la<br />

scena di particolari che avrebbero contestualizzato<br />

e donato veridicità all’illustrazione; per<br />

questo motivo non mancano palesi riferimenti a<br />

reperti archeologici, oggetti artistici o di abbigliamento,<br />

copiati dal vero presso musei e raccolte<br />

civiche in Italia e all’estero, o facenti parte<br />

della sua variegata e curiosa collezione.<br />

Nel corso degli anni l’artista andò costruendosi<br />

un prezioso e quanto mai corposo vocabolario<br />

iconografico, che soprattutto nei primi<br />

due volumi dedicati alla storia di Roma e al<br />

Medioevo trovò il suo pieno utilizzo.<br />

CHIARA PALUMBO<br />

U<br />

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />

. Pogliaghi al lavoro: un esempio.<br />

Sullo scorcio del 572 o sul principiare dell’anno<br />

seguente, Pavia finalmente si arrese. Narra Paolo<br />

Diacono, che mentre Alboino stava entrando in<br />

città per la porta di San Giovanni, il cavallo gli si<br />

impennò e stramazzò al suolo. Invano aizzava egli<br />

la bestia cogli sproni per farla alzare; essa non si<br />

muoveva. Allora un Longobardo gli rammentò il<br />

voto fatto durante l’assedio, che avrebbe, cioè, pas-<br />

3 novembre 2011 Anno XI


sato a fil di spada tutti i cittadini. Alboino revocò il<br />

voto, e il cavallo per impulso proprio si alzò e portò<br />

il re dentro la città. (Storia d’Italia - “<strong>Il</strong> Medio<br />

Evo”, pag. 168)<br />

| ( 6 ) |<br />

Lodovico Pogliaghi. L’ingresso di Alboino a Pavia.<br />

Tavola originale.<br />

Tra le illustrazioni maggiormente riuscite del<br />

secondo tomo, vi è certamente quella raffigurante<br />

L’ingresso di Alboino a Pavia, che immortala l’abile<br />

condottiero re dei Longobardi che riuscì a conquistare<br />

gran parte della penisola italiana e a guadagnarsi<br />

un ruolo di riguardo nella Historia Langobardorum<br />

di Paolo Diacono. L’opera di Pogliaghi<br />

traduce alla lettera la vicenda narrata dallo<br />

storico Francesco Bertolini, con un punto di vista<br />

alquanto studiato ed efficace che vede nella figura<br />

del prode comandante in sella al suo destriero il<br />

fulcro di tutta la composizione. Pogliaghi ci rende<br />

spettatori privilegiati tra la folla e testimoni dell’evento,<br />

collocandoci idealmente in prima fila di<br />

fronte alla scena, in posizione leggermente laterale,<br />

così da poter ammirare l’impennata del nero cavallo<br />

del leggendario Alboino in tutta la sua irruenza.<br />

La prospettiva e l’inquadratura conferiscono<br />

dinamicità alla scena: il punto di fuga, relativamente<br />

basso che ha il suo centro nella parte inferiore<br />

dell’arco d’ingresso dove si ammassano i soldati<br />

e dove si affastellano le lunghe lance, ben suggerisce<br />

l’idea di movimento, sottolineata da alcune<br />

“comparse” ritratte parzialmente che sembrano<br />

quindi uscire dal nostro campo visivo e proseguire<br />

in uno spazio immaginario. A suggerire la veridicità<br />

del fatto narrato sono alcuni particolari a carattere<br />

prettamente popolare: la donna accovacciata<br />

che avvicina a sé il bimbo nel chiaro intento di proteggerlo<br />

e alcune figure di curiosi che si sporgono<br />

dalla finestra a seguire l’avvenimento.<br />

Un ultimo elemento importante è la perizia con<br />

la quale l’artista ha reso gli elmi e le armature di<br />

alcuni soldati, la ricca bardatura del cavallo, nonché<br />

le folte barbe e lunghi baffi che per tradizione<br />

venivano associati proprio al popolo barbaro.<br />

Paragonando la tavola originale con la relativa<br />

incisione xilografica balzano immediatamente all’occhio<br />

alcune differenze nella resa finale: difatti,<br />

nonostante la grande forza espressiva del segno<br />

grafico dei tanto acclamati e validi xilografi di casa<br />

Treves, non sempre questi si dimostrarono all’altezza<br />

delle bellissime creazioni plastiche di Lodovico<br />

Pogliaghi, che tra l’altro solitamente realizzava<br />

i suoi dipinti in dimensioni sensibilmente superiori<br />

rispetto alla misura con le quali sarebbero state<br />

riprodotti; elemento, questo, che ben suggerisce<br />

come l’artista considerasse ciascuna tavola opera<br />

pittorica a sé stante. (Chiara Palumbo)<br />

. Una stagione fruttuosa.<br />

Furono gli artisti stessi dell’800 a rammaricarsi<br />

talvolta della loro produzione “accademica”, lamentando<br />

la subordinazione dell’arte a finalità ritenute<br />

ad essa esterne, non presaghi degli amari<br />

frutti che all’arte stessa sarebbero venuti dall’albero<br />

della modernità, fecondato dal culto dell’artista,<br />

ma poi distorto e inaridito, nel giro di un secolo,<br />

a servire ben più liberticidi interessi. Tali opere,<br />

ove non in forma di affresco o integrate nel dècor<br />

di architetture d’epoca, sono finite in depositi o in<br />

reparti misconosciuti di musei d’arte moderna, come<br />

documentazione di un’epoca e di un gusto.<br />

Quelle in mano privata, in verità, continuano a far<br />

bella mostra nei salotti e presso gli antiquari.<br />

Un ripescaggio d’attualità ha avuto recented<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 665


| ( 7 ) |<br />

mente l’arte a soggetto risorgimentale, mentre via<br />

via si affacciano mostre monografiche locali, ogni<br />

volta occasione di scoperta di straordinari artisti,<br />

con il conseguente impaccio a collocarne l’opera in<br />

una storiografia costretta in un univoco sbocco<br />

“progressista”.<br />

La pittura definita “romanticismo storico”, annovera<br />

un’enorme quantità di artisti, e molti di alto<br />

livello, alcuni dei quali l’hanno esercitata in tutta<br />

la loro carriera, in alternanza a scene di genere,<br />

paesaggi, ritratti e soggetti religiosi, mostrando un<br />

dominio tecnico stupefacente, scrupolo di documentazione<br />

storica e vitalità fantastica, e realizzando<br />

spesso tutt’altro che “fredde esercitazioni<br />

accademiche”, bensì le scene di un melodramma<br />

sotto al quale sembra di udire l’orchestra. Territori<br />

di confine, ove l’arte si è espressa in contiguità con<br />

l’artigianato, l’illustrazione, la scenografia, e dove<br />

si può incontrare una visionarietà e una potenza<br />

fantastica che forse oggi è migrata nel cinema fantasy<br />

.<br />

L’ispirazione al medioevo e al Rinascimento<br />

delle corti, repertorio storico e favoloso inesauribile,<br />

ricorre spesso, come del resto nella letteratura<br />

e nell’opera lirica, con reciproci influssi ed intrecci,<br />

soprattutto nella ormai perduta arte dell’illustrazione.<br />

(Gabriella Rouf )<br />

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />

Z [<br />

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />

O. Alberti, La vita. Le opere. La casa. Le raccolte di<br />

Lodovico Pogliaghi, Milano, 1955.<br />

U. Nebbia, La vita e le opere, note critiche e biografiche,<br />

in “Lodovico Pogliaghi nella vita e nelle opere”, a cura<br />

del Comitato per le Onoranze “Fontes Ambrosiani”,<br />

XXXIII, (Studi in onore di Lodovico Pogliaghi), Milano,<br />

1959.<br />

F. Gualdoni, R. Prina, Lodovico Pogliaghi. L’accademia<br />

e l’invenzione, catalogo della mostra, ed. Lativa,<br />

Varese 1997.<br />

C. Palumbo, Lodovico Pogliaghi. Se si studiasse!, catalogo<br />

della mostra, Ed. Ghiggini, Varese, 2006.<br />

C. Palumbo, Studiando Lodovico Pogliaghi, catalogo<br />

della mostra, Ed. Ghiggini, Varese, 2007.<br />

a Dalla terra e dal sole (1996).<br />

DI RODOLFO CAROSELLI<br />

IL sole già sul mare si è levato,<br />

luce e calore manda ormai sui colli<br />

di questa terra che mi ha conquistato,<br />

di questa terra che mi ha fatto suo.<br />

E gli aurei raggi il verde già ravvivano<br />

degli acini superbi fra le foglie,<br />

chicchi fragranti, tondi e levigati,<br />

buoni custodi di quei raggi d'oro.<br />

Li serbano gelosi, anche se presto<br />

li doneranno all'aureo sacro liquido<br />

di terra e sole straordinario figlio,<br />

li doneranno lieti a quell'umore<br />

che gli uomini fa schietti e generosi,<br />

li doneranno lieti ed orgogliosi<br />

al forte e delicato nostro vino.<br />

Queste mie piante sono i miei gioielli,<br />

di Arichi, della fara di Grimaldo,<br />

sculdascio del gran duce di Spoleto.<br />

Seguii Alboino giù nella Romània,<br />

giovane imberbe ma già buona spada,<br />

bramavo l'oro e solo quella gloria<br />

con ferro, fuoco e sangue conquistata;<br />

Faraldo poi mi dette questo suolo,<br />

il duce Ariulfo me l'ha confermato.<br />

Io giunsi come un lupo sull'agnello,<br />

ebbro di birra e sidro, ottenebrato:<br />

volevo trarre tutto, di rapina,<br />

ciò che di buono c'era in queste valli<br />

in oro e argento ed in bestiame e donne.<br />

Presi e distrussi, estinsi e trucidai<br />

finché tutti i superstiti latini<br />

raccolti in cima ai monti del Piceno<br />

Arichi maledissero piangendo,<br />

Arichi, il biondo diavolo lombardo.<br />

In caccia di uno schiavo fuggitivo<br />

un giorno giunsi sopra a questo colle.<br />

Avida la mia turba d'arimanni<br />

3 novembre 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

si ristorò di grata uva carnosa<br />

e quando i ventri poi furono sazi<br />

di quella verde frutta deliziosa,<br />

prese a far strame dei suoi tronchi e tralci<br />

con spade e daghe lorde già di sangue.<br />

Infine s'accostò con una torcia<br />

per completare quel disfacimento<br />

un giovane guerriero sogghignante.<br />

“Ti prego," – disse – "fermalo, Signore!"<br />

un vecchio contadino di quel campo.<br />

“E perché mai" – io feci – “E se ti lego<br />

invece alle tue piante e ti ci brucio"<br />

“Signore, fallo, ma tu perdi il vino<br />

migliore che ci sia su questa terra.<br />

Da queste belle viti io lo traggo:<br />

un'anfora ne tengo alla capanna."<br />

Nella stamberga lo seguii curioso<br />

a bere un nettare color dell'oro<br />

che non avevo mai, fino ad allora,<br />

neppure vagamente concepito.<br />

Quel vino da quel giorno luminoso,<br />

prole miracolosa della terra,<br />

socio mi fu, ché io ne fui padrone<br />

non meno che custode e protettore.<br />

M'avea mostrato l'ingegnoso vecchio<br />

come il connubio di fatica umana,<br />

d'umano studio, di pazienza ed arte<br />

con la natura nei suoi frutti primi<br />

originasse il balsamo gioioso,<br />

bevanda, cibo e farmaco prezioso,<br />

ricordo sacro del divino sangue.<br />

Da allora non fui più l'antico uomo:<br />

io posi qui questa mia casa in pietra<br />

che in nome di Gesù fu benedetta,<br />

spingendo nell'oblio della memoria<br />

le tende ed i bivacchi fumiganti<br />

delle brumose piane di Pannonia,<br />

con le ordalie, le faide e il crudo Wotan<br />

massacrator divino nella guerra.<br />

Del duplice lavoro del mio fabbro<br />

non più la sola spada io pregiai<br />

ma il vomere con essa parimenti.<br />

I servi miei non furon più bestiame,<br />

ma uomini ad immagine di Cristo,<br />

che Arichi sanno rigido ma giusto,<br />

che la fatica loro sa e comprende.<br />

Né mi vergogno, nobile arimanno,<br />

con queste mani di trattar la terra<br />

crescendo ed educando le mie piante.<br />

O tu che sali al mio piceno colle,<br />

un posto troverai nella mia mensa,<br />

un calice d'argento lucidato<br />

e in esso fresco, forte e profumato,<br />

un teste franco d'ospitalità:<br />

rampollo biondo della verde vigna,<br />

che nella verità riunisce gli uomini,<br />

che il cor riscalda alle migliori imprese,<br />

amico, il vin dorato tu berrai<br />

del longobardo Arichi, lo sculdascio<br />

del grande Ariulfo, duce di Spoleto.<br />

Q<br />

Tempietto longobardo di Cividale nel Friuli (VIII/IX sec.)<br />

particolari scultorei dall’abside interna.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 665


A<br />

B<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

N°666<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

9 NOVEMBRE 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

a Questo numero.<br />

La nuova rubrica Retrobottega, ultima nell'indice,<br />

sarà forse letta per prima dai più curiosi perché<br />

spiega le ragioni di questo numero un po' speciale<br />

dedicato e posto sotto la protezione della Madonna<br />

di S. Luca di Bologna che dall'alto del<br />

monte della Guardia tutti ci saluta quando transitiamo<br />

lungo l'Autosole. Ne approfittiamo per<br />

proporre una bella poesia rococò dell'abate Frugoni,<br />

anche lui calunniato da Benedetto Croce,<br />

ma questo ormai dovrebbe essere tenuto come un<br />

titolo di merito.<br />

<strong>Il</strong> richiesto articolo di Hans Sedlmayr su Arte e<br />

demoniaco ad un prossimo numero. N<br />

INDICE<br />

1 Mario Fanti. <strong>Il</strong> Santuario della Madonna di San<br />

Luca.<br />

3 <strong>Il</strong> portico.<br />

4 L'impegno di un popolo.<br />

6 La rima. Carlo Innocenzo Frugoni. Alla B. V. di S.<br />

Luca di Bologna l'autore risanato dal vajuolo.<br />

7 Retrobottega. Carteggio redazionale 3-4 novembre<br />

<strong>2011.</strong><br />

venerata è la stessa tuttora custodita nel santuario<br />

e nota col nome di Madonna di San<br />

Luca.<br />

La venerazione per questa immagine divenne<br />

un fatto collettivo e di importanza<br />

cittadina a partire dal 1433, quando l'immagine<br />

per la prima volta fu portata in città<br />

per impetrare la cessazione di un lungo periodo<br />

di maltempo.<br />

Nacque così l'usanza, praticata ininterrottamente<br />

fino ad oggi, dell'annuale discesa<br />

della Madonna a Bologna: un avvenimento<br />

che ha sempre costituito uno dei momenti<br />

più significativi nella vita religiosa e<br />

sociale della comunità cittadina.<br />

a <strong>Il</strong> Santuario della Madonna di<br />

San Luca.<br />

DI MARIO FANTI<br />

Fonte: www.informagiovani-italia.com<br />

L'origine dei santuario sul monte della<br />

Guardia è legata ad un eremitorio femminile<br />

che esisteva, sulla cima del colle fino dal<br />

1192. La prima pietra della chiesa fu posta il<br />

25 maggio 1194: l'immagine che vi veniva<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

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<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

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Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

<strong>Il</strong> santuario attuale fu costruito dal 1723<br />

al 1774 su progetto di Carlo Francesco<br />

Dotti.<br />

La prima idea di costruire un porticato<br />

che collegasse la città alla cima del colle,<br />

permettendo un facile e comodo accesso al<br />

santuario in ogni stagione, fu avanzata nel<br />

1655. Ma solo vent'anni più tardi l'impresa<br />

poté iniziare, ad opera precipua di D. Lodovico<br />

Generoli che riuscì a raccogliere un<br />

folto gruppo di cittadini disposti a cominciare<br />

i lavori con denaro raccolti mediante<br />

pubbliche sottoscrizioni.<br />

<strong>Il</strong> 28 giugno 1674 fu posta la prima pietra<br />

del porticato e nel breve giro di due anni<br />

furono compiuti i trecento archi del tratto<br />

di pianura. <strong>Il</strong> tratto in salita fu iniziato nel<br />

1706 e nel 1715 raggiunse la vetta del colle;<br />

la congiunzione fra i due tratti, mediante lo<br />

scenografico “arco del Meloncello" (anche<br />

questo opera del Dotti) fu realizzata fra il<br />

1721 e il 1732.<br />

Era così compiuta la grande impresa che<br />

aveva visto la partecipazione corale della<br />

cittadinanza, poiché tutti i bolognesi, nobili<br />

e popolani, ecclesiastici e laici, in proprio o<br />

come membri di associazioni e corporazioni,<br />

avevano contribuito alle spese per la costruzione<br />

del portico, ponendo nei suoi 666 archi<br />

i loro nomi e i loro stemmi.<br />

<strong>Il</strong> santuario e il portico divennero ben<br />

presto una inconfondibile caratteristica del<br />

panorama cittadino; visibili a grande distanza<br />

anche da buona parte del territorio bolognese,<br />

accentuarono il valore simbolico che<br />

il culto della Madonna di San Luca rivestiva<br />

da secoli nella vita religiosa e civile della<br />

città.<br />

Grazie al portico il colle di San Luca divenne<br />

la meta classica delle scampagnate dei<br />

bolognesi, specie per quella tradizionale del<br />

lunedì di Pasqua; e fu ancora il portico di<br />

San Luca a suggerire nell'Ottocento la diramazione<br />

del nuovo portico della Certosa,<br />

e a condizionare, nel nostro secolo, gli sviluppi<br />

dell'urbanizzazione della zona esterna<br />

a Porta Saragozza.<br />

<strong>Il</strong> portico di San Luca costituisce ancor<br />

oggi un eccezionale capitolo di architettura<br />

e di urbanistica e un autentico valore, religioso<br />

e civico, per la cui conservazione tutta<br />

la cittadinanza può e deve sentirsi coinvolta.<br />

MARIO FANTI<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 666


| ( 3 ) |<br />

a <strong>Il</strong> Portico.<br />

Fonte: http://www.sanlucabo.org/portico.html.<br />

Nei secoli la devozione popolare portò ad<br />

effettuare il pellegrinaggio verso la cima del<br />

monte e questo continuo andare dei pellegrini<br />

tracciò dapprima un sentiero, poi una<br />

mulattiera. Nel 1598 si decise di selciare il<br />

percorso.<br />

Nel 1640 la vicaria suor Angiola Mirandola<br />

promosse la costruzione delle 15 cappelle<br />

con i Misteri del Rosario anche perché<br />

la devozione popolare aveva già provveduto<br />

a creare delle «stazioni» appendendo immagini<br />

sacre agli alberi. La strada restava tuttavia<br />

poco più che una mulattiera rendendo<br />

difficile il percorso ai pellegrini<br />

Nel 1655 a Don Ludovico Genaroli (o<br />

Zenaroli), Canonico della Pieve di Cento,<br />

venne l'idea di costruire un portico che congiungesse<br />

la città alla cima del colle.<br />

Presentata la proposta al senato Bolognese<br />

essa fu respinta causa l'elevato costo<br />

dell'opera; la città era appena uscita da un<br />

lungo periodo di carestia e dalla peste del<br />

1630 che avevano causato un calo demografico<br />

del 25%.<br />

<strong>Il</strong> virtuoso Canonico, davanti al rifiuto,<br />

non abbandonò il suo proposito anzi cercò<br />

persone favorevoli alla sua causa oltre ad organizzare<br />

un sistema di offerte dei devoti<br />

per finanziale l'opera.<br />

Nell'anno 1674, assieme al marchese Girolamo<br />

Albergati, al pittore Giacomo Monti<br />

e a Giacomo Landi, ripresentò la supplica al<br />

Senato che questa volta l'accolse.<br />

<strong>Il</strong> 28 giugno dello stesso anno fu posta la<br />

prima pietra dell'arco posto fra i numeri 130<br />

e 131 di via Saragozza, cioè a metà del tratto<br />

in pianura, poi i lavori proseguirono in entrambe<br />

le direzioni, essendo architetto dell'eccezionale<br />

impresa Giacomo Monti. Nel<br />

giro di due anni furono completati i 316 archi<br />

del tratto in pianura. <strong>Il</strong> tratto in salita fu<br />

realizzato tra il 1706 e il 1715.<br />

L'opera fu terminata nel 1732 sotto la direzione<br />

dell'architetto Carlo Francesco<br />

9 novembre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

Dotti, che progettò anche l'arco del Meloncello<br />

che unisce i due portici, quello della<br />

pianura, da porta Saragozza, e quello del<br />

monte fino al Santuario.<br />

La costruzione consta di 666 archi per<br />

complessivi m 3796 così suddivisi:<br />

• tratto in pianura da porta Saragozza all'arco<br />

del Meloncello 316 arcate per m 1520<br />

• tratto collinare dall'arco del Meloncello<br />

al santuario 350 arcare per m 2276. In questo<br />

tratto sono comprese le 15 cappellette<br />

dei Misteri del Rosario poste a cadenza regolare<br />

(circa ogni 20 archi).<br />

<strong>Il</strong> portico è realizzato con un modello ripetitivo:<br />

ogni arco viene retto da due colonne,<br />

questo in pianura mentre per il tratto<br />

collinare in uno dei due lati la successione di<br />

colonne è sostituita da una parete. Alternandosi<br />

il lato chiuso ad ogni curva si ha ora<br />

la visione sulla città ora sul paesaggio collinare,<br />

nascondendosi sempre alla vista la meta<br />

finale della chiesa.<br />

Non sarebbe casuale il fatto che il portico<br />

sia composto esattamente da 666 archi (numero<br />

diabolico). Detto numero sarebbe stato<br />

utilizzato per indicare che il porticato<br />

simboleggia il «serpente», ossia il Demonio,<br />

sia per la sua forma sia perché, terminando<br />

ai piedi del santuario, ricorda la tradizionale<br />

iconografia del Diavolo sconfitto e schiacciato<br />

dalla Madonna sotto il suo calcagno.<br />

a L'impegno di un popolo.<br />

. LA CUPOLA DELLE FANTESCHE.<br />

Fonte: Giuseppe Cappelletti, Le chiese d'Italia: dalla loro<br />

origine sino ai nostri giorni, vol. 3, pa. 543, Antonelli ed.,<br />

Venezia 1845.<br />

La magnifica chiesa, eretta sul monte della<br />

Guardia, e consacrata nel 1481, ove si custodisce<br />

la preziosa immagine di Maria santissima,<br />

detta volgarmente di s. Luca, era ridotta alla<br />

necessità di un radicale ristauro, per impedirne<br />

il totale disfacimento. Fu in questo tempo<br />

perciò, che la pietà dei bolognesi ne progettò<br />

una rifabbrica dalle fondamenta. Con grande<br />

pompa e solennità ne pose la prima pietra<br />

l'arcivescovo cardinale, nell'anno 1723. Già<br />

sino dal 1674 s'era cominciato il grandioso lavoro<br />

de' maestosi portici, i quali dalla porta<br />

della città dovevano condurre, serpeggiando<br />

su per la collina per un tratto di due crescenti<br />

miglia sino al santuario. Sotto gli auspizii del<br />

pontefice Clemente X erano stati incominciati<br />

i portici nel dì 28 giugno dell' anno indicato:<br />

essi furono compiuti nel 1739. Luminosa vi risplende<br />

la pietà dei bolognesi, i quali a tanta<br />

impresa si accinser ; e lungh'esso il tratto, che<br />

li percorre, vollero inoltre erigere quindici<br />

cappelle, in memoria de' misteri del Rosario,<br />

adorna ciascheduna di buoni dipinti che li<br />

rappresentano. La struttura interna del tempio<br />

ha la forma di due ovali in croce, contornati<br />

da cornicione d'ordine corintio con grosse<br />

ed alte colonne scannellate dell'ordine stesso.<br />

Copre il tempio una grandiosa cupola, eseguita<br />

colle limosine dei servitori e delle fantesche<br />

di Bologna: del che conservano ai posteri<br />

perenne memoria le parole stragrandi, che si<br />

leggono intorno nella fascia della cupola stessa<br />

: FAMVLI FAMVLAEQVE CIVITATIS<br />

BONONIAE THOLVM HVNC SVA IM-<br />

PENSA FECERVNT A PARTV B. VIRGI-<br />

NIS MDCCXXXXII.<br />

8<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 666


| ( 5 ) |<br />

. IL PASSAMANO DEL 1677.<br />

Fonte: www.passamanopersanluca.it/filato.htm<br />

Li 17 Ottobre. Questa mattina (essendo gran<br />

quantità di Pietre e Sassi, materia raddunata a<br />

Meloncello per fabbricare il Portico per la<br />

commodità d'andare alla Chiesa di S. Lucca)<br />

li raggazzi del Filatoglio essendo posti in fila<br />

su la strada che va a S.Lucca, in distanza che<br />

uno puol arrivare all'altro pigliando una pietra,<br />

e sporgendola all'altro, e l'altro all'altro,<br />

con tal ordine dal primo sino all'ultimo che<br />

era a piè della scala di pietra della Chiesa di S.<br />

Lucca, hanno con tal ordine senza muoversi<br />

da luogo portate dette Pietre e Sassi sul luogo<br />

della Fabbrica di detto Portico col passare di<br />

una mano in un'altra; quale invenzione fu cavata<br />

da quelli li quali fabricarono il Castello<br />

di Varignana, che per l'altezza del Monte non<br />

potendo con Carri e Birocci trasportare le<br />

macerie, si disposero gl'Abitatori con tale ordine,<br />

e senza fattica ed incommodo portarono<br />

nel luogo tutta la materia necessaria per la<br />

Fabbrica. (Biblioteca Comunale di Bologna<br />

dell'Archiginnasio, Raccolta Gozzadini, 185,<br />

f. 95).<br />

XXXXXXXXXXXXXXXXX<br />

☞ Incidentalmente: un Karl Marx distratto<br />

sul passamano.<br />

Benché molte persone compiano insieme e<br />

contemporaneamente la stessa operazione, oppure<br />

operazioni dello stesso genere, il lavoro individuale<br />

di ciascuno può tuttavia rappresentare,<br />

come parte del lavoro complessivo, differenti<br />

fasi del processo di lavoro di per sé preso,<br />

fasi che l’oggetto del lavoro percorre più rapidamente<br />

in conseguenza della cooperazione.<br />

Per esempio, quando dei muratori fanno catena<br />

per passare le pietre da costruzione di mano<br />

in mano dai piedi fino alla cima d’una impalcatura,<br />

ciascuno di essi fa la stessa cosa, ma<br />

tuttavia le singole operazioni costituiscono<br />

parti continue d’una operazione complessiva,<br />

fasi particolari che nel processo lavorativo<br />

debbono esser percorse da ogni pietra da costruzione,<br />

e attraverso le quali per esempio le<br />

ventiquattro mani dell’operaio complessivo la<br />

mandano avanti più alla svelta delle due mani<br />

di ogni singolo operaio che salga e scenda per<br />

l’impalcatura. L’oggetto del lavoro percorre lo<br />

stesso spazio in un tempo più breve. 1<br />

Nel trattare la tecnica del passamano, Marx riprende<br />

esattamente l'interpretazione di Skarbek 2 ,<br />

non cogliendo così l'altro vantaggio, forse il principale,<br />

di questo caso particolare di cooperazione: il risparmio<br />

di energia ottenuto evitando lo spostamento della<br />

massa corporea dei lavoratori (che restano fermi) e riducendolo<br />

solo a quella dei materiali utili. C'è inoltre<br />

da aggiungere che dopo qualche minuto di pratica i<br />

mattoni procedono di mano in mano senza fermarsi, a<br />

velocità quasi costante, con ulteriore risparmio energetico<br />

(S. B.)<br />

1 Karl Marx, <strong>Il</strong> Capitale, a cura di Delio Cantimori libro I sezione<br />

IV capitolo II pag. 368, Editori Riuniti, 1993.<br />

2 Trovandola in Théorie des richesses sociales, 2 ed., Parigi, 1839,<br />

vol. I, pp. 97-98, ci informa Cantimori.<br />

9 novembre 2011 Anno XI


¢£⁄£⁄£⁄¥<br />

ƒ K La rima ‹<br />

Alla B. V. di S. Luca di Bologna l'autore<br />

§ ›<br />

risanato dal vajuolo.<br />

¤'“'“'“«<br />

DI CARLO INNOCENZO FRUGONI<br />

S<br />

E Nocchier d'aspra procella<br />

Col suo legno salvo uscì,<br />

E a veder tornò la stella,<br />

Che fra i nembi già sparì,<br />

Non sì tosto l'infedele<br />

Torbid'onda superò,<br />

E nel Porto l'ampie vele<br />

Alle antenne alto legò,<br />

Che il soffiar d'Euro e di Noto<br />

Pur membrando con orror,<br />

Scioglie il passo, e porta il voto<br />

Al buon Dio liberator .<br />

Con la cetra io pure in mano,<br />

Sacra Immago, or vengo a te,<br />

Vengo a te, che sovrumano<br />

Color pinse, e viver fe':<br />

Vengo a te, cui già si estolle<br />

Tempio chiaro in ogni età,<br />

Che sul giogo al vicin Colle<br />

Nostra guardia siede e sta:<br />

E perché le ciglia inarchi<br />

Sul gran culto il Passegger,<br />

Di Colonne immense e d'Archi<br />

Va su tutti gli altri altier:<br />

Vengo a te pur rammentando,<br />

Che è tuo dono e tua mercè,<br />

Se qui siedo te cantando<br />

Pien d'amore, e pien di fé;<br />

E a te canto Inno votivo,<br />

Qual già un dì Mosè cantò,<br />

Quando il Popol salvo e vivo<br />

Pel diviso mar guidò;<br />

| ( 6 ) |<br />

E su l'altra sponda assiso<br />

Riunirsi vide il mar,<br />

E sommerse all'improvviso<br />

Aste e carri e schiere andar.<br />

Deh! poichè mia debil vita,<br />

A te cara tanto fu,<br />

Che non cadde in sua fiorita<br />

E ancor fresca gioventù,<br />

Come falce di Bifolco<br />

Nel suo primo e verde onor<br />

Talor tronca in mezzo al solco<br />

Giovinetto e vago fior.<br />

Quel che resta de' miei giorni<br />

Pur difenda tua pietà:<br />

Me ria voglia non distorni,<br />

Che al ben ciechi ognor ne fa.<br />

Questo dì sempre onorato<br />

Per me fia finchè vivrò,<br />

Ed ogn'anno su l'aurato<br />

Sacro plettro il canterò.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 666


| ( 7 ) |<br />

ABBBBBBBBBC<br />

H A Retrobottega D<br />

H Carteggio redazionale 3-4 novembre <strong>2011.</strong> D<br />

EFFFFFFFFFG<br />

Caro Stefano, scusa se mi permetto questo<br />

suggerimento un po' bizzarro, ma visto che il<br />

<strong>Covile</strong> si è ormai avvicinato al numero 665<br />

(complimenti!), mi sembrerebbe di cattivo auspicio<br />

fare anche un numero sei sei sei. Sfortunatamente<br />

(è il caso di dirlo), io sono molto<br />

superstizioso, ma considerando che per la cristianità<br />

da secoli e secoli il “numero della bestia"<br />

rappresenta un segno di cattivo augurio,<br />

penso che tutti i lettori del <strong>Covile</strong> capirebbero<br />

se tu volessi fare un 665bis e poi saltare direttamente<br />

al 667. Comunque è solo una stramberia<br />

personale, anche se pure il dotto Frazer<br />

scrisse una bella apologia della superstizione<br />

come motore di civiltà (dunque in parte sarei<br />

giustificato Speriamo!) […] ROBERTO<br />

MANFREDINI<br />

( ( (<br />

Alla redazione. Trasmetto la mail di Manfredini<br />

e chiedo consiglio. STEFANO BORSELLI<br />

( ( (<br />

Dai numeri non c'è scampo: che tu gli dia nella<br />

serie il 665bis o che tu passi direttamente al<br />

667 sarebbe sempre il sei sei sei quello che<br />

enumereresti 667 o 665bis. Peggio sarebbe il<br />

numero mancante... questo sì diabolico. Sono<br />

per il numero 666 e per giunta dedicato all'arte<br />

e il demoniaco, così fughiamo gli spettri<br />

direttamente chiamandoli in causa... abbiamo<br />

più possibilità di sconfiggerli. […] RICCARDO<br />

DE BENEDETTI<br />

( ( (<br />

Beh, penso che un po' tutti abbiamo pensato a<br />

una simile cosa, davanti alla fatidica soglia.<br />

Ma poiché Cristo ha vinto sugli Inferi e ci ha<br />

salvati, parrebbe a me di cattivo auspicio avere<br />

invece paura dei segni, e così sviarci dall'unica<br />

cosa che conta: il significato, che ha rinnovato<br />

il mondo da dentro. Viva il nr. 666 de <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>,<br />

dunque, per me, senza timori vani che —<br />

come la parola vana — sviano. […] STEFANO<br />

SERAFINI<br />

( ( (<br />

Perché non dedicare il 666 proprio ad una demitizzazione<br />

della Bestia, perché non affrontare<br />

il diavolo per le corna Che so Un numero<br />

sulla bellezza di Dio e la bruttezza (non<br />

solo architettonica) come attributo<br />

diabolico... Con una bella intervista a p. Gabriele<br />

Amorth ;-)) GIUSEPPE GHINI<br />

( ( (<br />

Concordo con i pareri che mi hanno preceduto,<br />

in particolare sul tema del n. 666 proposto<br />

da De Benedetti e Ghini. CIRO LOMONTE<br />

( ( (<br />

Carissimi, non mi pongo il problema della superstizione,<br />

quindi viva il 666! ... che mi ricorda<br />

anche una bella canzone di Paul Mc-<br />

Cartney, anche se non trattava di numeri.<br />

Scherzi a parte mi piace molto la proposta di<br />

Ghini […] ETTORE MARIA MAZZOLA<br />

( ( (<br />

Concordo, l'introduzione al numero 666 del<br />

<strong>Covile</strong> potrebbe essere data proprio da questo<br />

scambio di mail, mi fate ricordare che a Bologna<br />

i portici che conducono alla Madonna di<br />

San Luca sono proprio 666, un gigantesco<br />

serpente che dal centro di Bologna arriva ai<br />

piedi del santuario dedicato alla Madonna,<br />

enorme opera simbolica incarnata nel cuore<br />

della città. Oggi il santuario è illuminato ed è<br />

esperienza rara, ma al chiaro di luna e senza<br />

luci artificiali la sua sagoma appare come una<br />

Madonna che abbraccia la città. […]<br />

STEFANO SILVESTRI<br />

( ( (<br />

La Madonna di San Luca, una meraviglia assoluta<br />

(Arco del Meloncello incluso). Forse<br />

l'unico che ha sofferto del numero fatidico sarà<br />

il povero Carlo Francesco Dotti, totalmen-<br />

9 novembre 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

te sconosciuto nelle facoltà di architettura italiane,<br />

architetto che invece meriterebbe di<br />

avere una biografia accompagnata da foto.<br />

[…] ETTORE MARIA MAZZOLA<br />

( ( (<br />

[…] orientamento unanime, però la scaramanzia<br />

affonda le radici nelle tradizioni, che<br />

non sono necessariamente blasfeme o miscredenti.<br />

Io non metto mai il cappello sul letto<br />

per rispetto della memoria di mia mamma.<br />

Non ho paura che accada qualcosa ma a me<br />

sembra di vedere mia mamma che mi rimprovera.<br />

Le tradizioni sono tradizioni e queste non<br />

mi sembrano pericolose. […] PIETRO<br />

PAGLIARDINI<br />

( ( (<br />

Direi di fare tranquillamente il numero 666, e<br />

mostrare la vanità del male, più che la sua forza.<br />

Forse citare la Kristeva Forse citare Mancuso<br />

Con qualche rima di Leporeo, magari...<br />

GABRIELLA ROUF<br />

( ( (<br />

Perché allora non dedichiamo il prossimo numero<br />

alla Madonna di San Luca, protettrice<br />

del numero 666 Con una prima, veloce, ricognizione<br />

ho anche trovato una bella poesia<br />

dell'abate Frugoni dedicata alla Madonna di<br />

San Luca. Ettore potrebbe scrivere due cose<br />

su Carlo Francesco Dotti Ci vorrebbe anche<br />

qualcosa sulla scalinata... STEFANO<br />

BORSELLI<br />

( ( (<br />

L'Almanacco romano concorda con De Benedetti<br />

e Ghini, lieto che una questione superstiziosa<br />

provochi un bel tema come “arte e demoniaco”,<br />

magari andando a riprendere l'intervento<br />

di Hans Sedlmayr al convegno di<br />

Enrico Castelli (Università di Roma, metà<br />

anni Cinquanta). ALMANACCO ROMANO<br />

( ( (<br />

Mi sembra una buona idea, quella dell'esorcismo.<br />

ARMANDO ERMINI<br />

( ( (<br />

Anch'io ritengo che si possa saltare il fatidico<br />

numero, sarebbe un segno intelligente di amore<br />

della tradizione: […] saltiamo al 667 […]<br />

ANDREA G. SCIFFO<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 666


A<br />

B<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

N°667<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

13 NOVEMBRE 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

a Questo numero.<br />

Sembra un foglio volante questo numero di sole<br />

due pagine, ma il commento di Almanacco romano<br />

ci è parso così perfetto e tempestivo da indurci<br />

a pubblicarlo subito. Non sappiamo poi il perché<br />

ma abbiano trovato consonante una poesia autunnale<br />

di Domenico Giuliotti. C'è anche un avviso<br />

importante per i lettori di Roma. N<br />

a È arrivato Godot<br />

La vita comunque se ne è andata.<br />

DI ALMANACCO ROMANO<br />

Fonte: almanaccoromano.blogspot.com, 13.11.2011<br />

Poveri connazionali ingannati dalle loro<br />

piccole furbizie. Sono quasi vent’anni che<br />

hanno avuto la testa piena del tycoon prestato<br />

alla politica, tornando ossessivamente a lui<br />

nei discorsi, giorno e notte, quando Jünger affermava<br />

di non aver concesso il suo tempo ai<br />

tristi ed esorbitanti figuri davvero tirannici<br />

che si trovò di fronte, dedicandosi a ben più<br />

nobili imprese, in ogni caso a pensieri più liberi.<br />

Loro invece si dedicavano a lui senza<br />

tregua laddove perfino i suoi devoti si concessero<br />

distrazioni e qualche dimenticanza. Non<br />

sapevano liberarsi da questa italianissima figura<br />

che volgeva al grottesco (del resto era<br />

sopravvissuta alle mode del suo tempo, dalla<br />

tv dispiegata si è arrivati al più privato tablet,<br />

dalle canzonettiste sanremesi ai romanzieri<br />

della camorra, agli scultori del dito medio<br />

eretto nella piazza della Borsa a Milano, forme<br />

più ambigue di cultura pop, certamente<br />

più sguaiate e arroganti). Le loro letture,<br />

conversazioni, interessi, battute, spettacoli,<br />

talvolta perfino amori, si son nutriti dell’odio<br />

per un miliardario lombardo che provava a<br />

governare l’Italia. Si ruppero antiche amicizie,<br />

cene e feste domestiche finirono in rissa.<br />

Erano la migliore prova di un bisogno di idoli,<br />

anche se rovesciati. Si risuscitò allora, e<br />

fuori tempo massimo, la fede nella politica<br />

benché la società del tutto privatizzata cominciasse<br />

ad accettare l’eventualità che anche<br />

il governo potesse diventare un affare privato<br />

delle banche e dei mercati; infatti quando il<br />

gioco si fa duro, quando la crisi si aggrava,<br />

ROMA<br />

Sede Nazionale di Italia<br />

Nostra, Viale Liegi, 33 tel. 068537271.<br />

CONFERENZA STAMPA<br />

Martedì 15 novembre, ore 11.00-12.30<br />

La recente istituzione della Commissione “Grattacieli" voluta<br />

dal Sindaco Alemanno ha lasciato nello sconforto i romani,<br />

gli italiani e tutto coloro i quali, nel mondo, amano la Città<br />

Eterna. <strong>Il</strong> Gruppo Salìngaros, la Società Internazionale di<br />

Biourbanistica, la Commissione Urbanistica della Sezione<br />

Romana di Italia Nostra hanno dunque deciso di convocare<br />

questa conferenza stampa al fine di far riflettere il Primo<br />

Cittadino sulla inopportunità e pericolosità di questa scelta.<br />

Interventi di:<br />

CARLO RIPA DI MEANA, ETTORE MARIA<br />

MAZZOLA, GABRIELE TAGLIAVENTI,<br />

NIKOS SALÌNGAROS, PIETRO<br />

SAMPERI.<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


quel che resta della finzione politica viene accantonato<br />

e si chiama il tecnico, l’impolitico<br />

per eccellenza: a che serve allora la nobile arte<br />

della politica Buona per i soli giorni di festa<br />

Rispuntavano anche dei culti dimenticati,<br />

perfino il patriottismo, politeismo dei tempi<br />

di crisi profonda. All’ombra del nichilismo<br />

sorgono infatti idoli nani. Nell’epoca della<br />

privatizzazione della fede religiosa, si rendono<br />

pubblici gli umori, le morali fai da te, all’opposto<br />

esatto di quanto andava dicendo il<br />

poeta Charles Lamb:<br />

«Le pubbliche faccende – a meno che non mi<br />

tocchino direttamente e così si tramutino in<br />

private – non posso sforzare l’animo mio a<br />

provarci alcun interesse».<br />

Ma lo scrittore inglese era sotto la potestà<br />

della letteratura, i nostri indignati sono agitprop<br />

della cultura, un’entità astratta che,<br />

proprio mentre si fa più corriva e mediocre,<br />

viene posta sugli altari. La si è usata recentemente<br />

come macchinetta da guerra, in assonanza<br />

con quanto rappresentò nell’èra dei totalitarismi<br />

europei, almeno secondo l’enfatica<br />

ricostruzione storica per cui fu come una fonte<br />

di resistenza al potere, irriducibile al Male;<br />

ma anche in quel tempo i nomi di Gentile, Sironi,<br />

Pirandello, Schmitt, Pound, Jung, Heidegger,<br />

von Karajan e tanti altri, pur con distinguo<br />

e sfumature, finirono dall’altra parte.<br />

Brutti scherzi fa la cultura come talismano.<br />

Godot non arrivava mai e intanto il tempo<br />

passava. Vent’anni sono un notevole pezzo di<br />

vita, nello specchio ci si riconosce a stento.<br />

Allora si finge magari una malinconia per<br />

motivi pubblici, in realtà cambia il paesaggio<br />

cui eravamo abituati, è la giovinezza che fugge<br />

via. Adesso che il signore delle televisioni<br />

sembra uscire di scena, le loro chiacchiere si<br />

svuotano di senso e i chiacchieroni appaiono<br />

intontiti come pugili suonati. Seguirà il rimpianto<br />

per un pezzo di vita sprecato.<br />

ALMANACCO ROMANO<br />

| ( 2 ) |<br />

¢£⁄£⁄£⁄¥<br />

ƒ K La rima ‹<br />

Rosa Autunnale.<br />

§ ›<br />

¤'“'“'“«<br />

DI DOMENICO GIULIOTTI<br />

T<br />

rentasett'anni, Vergine, è che vo<br />

stanco e cencioso come un vagabondo,<br />

lungo il torto viottolo del mondo;<br />

e quando e dove poserò non so.<br />

Ma tu, che d'ogni sconsolato errante,<br />

segui, dall'alto, le intrigate peste,<br />

volgi i begl'occhi al tuo Figliol celeste,<br />

digli che m'apra le sue braccia sante.<br />

Digli che ho sete e secca è la cisterna,<br />

digli che ho fame ed ho per pane sassi,<br />

digli che, a notte, sugli incerti passi,<br />

mi si spegne, guizzando, la lanterna.<br />

Tuo Figlio, o Madre, è pane ed acqua e luce<br />

che pienamente illumina e ristora;<br />

Egli, accogliendo l'anima che implora,<br />

seco, se degna, al Padre la conduce.<br />

Egli è l'amore che ci sana e sbenda,<br />

Ei, se ammutimmo, ci dà nuova voce;<br />

Ei, lampeggiando, si fa viva croce<br />

a ciò che l'uomo nuovo vi si stenda.<br />

Ma io, che son fra gl'infimi il meschino<br />

e non son degno ancor del mio Signore,<br />

(dacché, come lo stolto potatore,<br />

mi sopravanza alla vendemmia il tino)<br />

se Tu non vieni, Vergine, a pigliarmi<br />

col tuo mistico remo e col tuo lume,<br />

giunto sull'orlo dell'infernal fiume,<br />

non ho da me speranza di salvarmi.<br />

Vedi, pia Madre, come già la morte<br />

tutto, pel mondo, capovolge e oscura;<br />

schiava del corpo, l'anima ha paura,<br />

sotto il flagello, di non esser forte.<br />

Recala dunque, Ausiliatrice bella,<br />

teco, da questo umano carcer tristo,<br />

su, fin nel sole in cui sfavilla Cristo,<br />

ed ogni assorta anima intorno è stella.<br />

E mentre sciolta da' suoi pensieri vani,<br />

solo in te goda, Vergin gaudiosa,<br />

falla cader, com'autunnale rosa,<br />

del Figliol tuo sulle trafitte mani.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 667


A<br />

B<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

N°668<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

22 NOVEMBRE 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

a Questo numero.<br />

L'invito alla lettura di Mario Bernardi Guardi<br />

dell'ultima fatica, imperdibile, del nostro Riccardo<br />

De Benedetti è seguita, a pagina 3 dall'illuminante<br />

(e preoccupante) resoconto di Ciro Lomonte<br />

di un recente convegno sul futuro urbanistico<br />

di Palermo. Fa poi quasi da commento al testo<br />

di Lomonte, a pagina 7, la poesia di Giuseppe<br />

Capparozzo sulla La festa del gnocco a Verona, che<br />

è poi il carnevale di quella città. I lettori troveranno<br />

qualche consonanza con le rime di Ludovico<br />

Leporeo, lo straordinario poeta anticruscante<br />

rievocato di recente da Gabriella Rouf e da noi<br />

presentato nei nn. 552, 553, 586 e 635.<br />

Allegato a questo numero un manifesto praziano<br />

che il <strong>Covile</strong> offre alle cause del lavoro libero e<br />

artigiano e della difesa delle belle arti. Invitiamo<br />

tutti gli amici a diffonderlo tra i loro conoscenti<br />

antiquari e rigattieri. N<br />

ABBBBBBBBBC<br />

H V Invito alla lettura D<br />

H Storia di una caso editoriale. D<br />

EFFFFFFFFFG<br />

Riccardo De Benedetti, Céline e il caso delle “Bagatelle”,<br />

postfazione di Giancarlo Pontiggia,<br />

Medusa, pp. 168, euro 14.<br />

RECENSIONE DI MARIO BERNARDI GUARDI<br />

Fonte e © Libero, 8 novembre <strong>2011.</strong><br />

“Che cosa c'è di più iniquo per gli uomini dell'odiare<br />

una cosa che ignorano anche se è meritevole<br />

di odio Essa non merita il vostro<br />

odio, se voi non sapete che lo meriti”.<br />

La citazione di Quintiliano, tratta dall'Apologeticum,<br />

fa da esergo al saggio con cui<br />

Riccardo De Benedetti rilancia il dibattito sul<br />

Céline delle Bagatelle per un massacro: un libro<br />

non solo maledetto ma addirittura proibito.<br />

Nel senso che, come è noto, nel 1982, tre<br />

mesi dopo che era apparso in libreria, tradotto<br />

da Pontiggia per i tipi della Guanda, fu tolto<br />

dalla circolazione per volontà dell'avvocato<br />

Françoise Gibault, che minacciava una<br />

causa su richiesta Lucette Almanzor, vedova<br />

di Louis-Ferdinand.<br />

Fine delle Bagatelle Niente affatto: il libro<br />

circolava prima e ha continuato a circolar dopo.<br />

Piace ai nazi, ai fondamentalisti islamici,<br />

ai libertari senza se e senza ma. A chi spudoratamente<br />

lo confessa e a chi pudicamente lo<br />

nega. In ogni caso, chiunque scriva di Céline<br />

non può ignorare l'apocalittico antisemita<br />

delle Bagatelle e dunque ne riporta abbondanti<br />

citazioni. Però al lettore medio è negato il<br />

diritto di addentrarsi nel fastoso delirio dello<br />

scrittore, in quell' “immenso e virulento poe-<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

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| ( 2 ) |<br />

ma dell'odio”, scrive De Benedetti, “nel quale<br />

si esprime l'intero alfabeto della rabbia e<br />

nel quale l'odio stesso ne esce alfabetizzato e,<br />

proprio per questo, rilanciato da uno stile<br />

volgarmente sontuoso e inarrivabile”.<br />

Ma insomma chi ha paura di Céline Come<br />

si può essere tanto ipocriti da riservare all'autore<br />

del Viaggio al termine della notte e di<br />

Morte a credito esercizi di grondante ammirazione,<br />

magari eleggendolo a nume di tutte le<br />

scritture creative e trasgressive, e dire che invece<br />

il più che mai creativo e trasgressivo Céline<br />

delle Bagatelle e degli altri pamphlet è un<br />

essere abbietto, osceno e ripugnante E che<br />

merita l'indignazione di tutti i giusti Ma di<br />

che cosa ci si indigna se, almeno ufficialmente,<br />

non si può leggere il libro che ciripugna<br />

È chiaro che chiunque sia adulto e vaccinato<br />

non teme il contagio dell'antisemita Louis-<br />

Ferdinand Destouches. E si chiede se mai da<br />

dove venga quell'odio lussureggiante e vaticinante,<br />

e se sia il caso che noi tutti ci si faccia i<br />

conti.<br />

Magari proprio con una nuova edizione<br />

delle Bagatelle e di tutti gli altri testi ingombranti.<br />

Già, ma perché ingombranti Disturbano<br />

la nostra cattiva coscienza, risponde De Benedetti.<br />

Chiamandoci a confronti spassionati.<br />

Tanti gli interrogativi che ne seguono. Ad<br />

esempio: il forsennato antisemitismo delle<br />

Bagatelle non discende forse – ein linea diretta<br />

– dall'antimilitarismo e dal pacifismo del<br />

Voyage<br />

Di sicuro, Céline accusa gli ebrei di volere<br />

la guerra contro la Germania per mandare a<br />

farsi fottere tutta l'Europa in nome del neocolonialismo<br />

dell'alta finanza massonica e<br />

yankee.<br />

Céline, il medico Céline, più ancora che<br />

degli ebrei, ha comunque in schifo la sua<br />

Francia, “femmina, puttana, accolita di<br />

ubriachi”, che, devastata nel corpo e nello<br />

spirito, rischia di sprofondare nella dissoluzione.<br />

<strong>Il</strong> mostro Céline, l'aedo del Male Assoluto<br />

Nazista, è per tanti versi un don Chisciotte<br />

anarchico e allucinato, Che parte lancia in resta<br />

contro il Male.<br />

Infilzando gli ebrei E con una enfatizzazione<br />

degli stereotipi razzisti e antisemiti (peraltro<br />

abbondantemente diffusi in Francia e<br />

con tanto di nobili ascendenze nella cultura<br />

illuminata, da Rousseau a Montesquieu, da<br />

Voltaire a Buffon, da Kant ad Herder) che<br />

anticipa la Shoah<br />

De Benedetti non nega che, all'interno di<br />

un preciso contesto storico e culturale, lo<br />

scrittore, anche in forza della sua grandiosa<br />

cifra visionaria, abbia delle responsabilità. E<br />

dunque, con onestà intellettuale, esamina<br />

ogni possibile atto di accusa. Esortando tutti,<br />

però, a guardare in Céline e nel Novecento<br />

come in uno specchio. È quel che insegna il<br />

céliniano Henry Miller: la moralità è lo scandalo<br />

del vero, non la sua rimozione.<br />

MARIO BERNARDI GUARDI<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 668


| ( 3 ) |<br />

a L'insostenibile leggerezza dell’architettura.<br />

Osservazioni a margine del convegno di Confindustria<br />

Palermo.<br />

. LA RABBIA & L’ORGOGLIO<br />

DI CIRO LOMONTE<br />

I pomeriggi di sabato 12 e domenica 13 novembre<br />

2011 hanno visto trasformarsi ancora<br />

una volta piazza Politeama in un genere di<br />

agorà sognato da quel sindaco che, qualche<br />

anno fa, le ha dato questa forma. Sarebbe meglio<br />

definirla una non forma, perché l’odierno<br />

centro di Palermo (le piazze Ruggiero Settimo<br />

e Castelnuovo nel loro insieme) è uno spazio<br />

a metà fra una piazza indefinita di paese e<br />

uno slargo anonimo dell’EUR.<br />

Tra la piazza e il Teatro Politeama si è<br />

svolta nel fine settimana una manifestazione a<br />

sostegno della piena attuazione dello Statuto<br />

siciliano. Bandiere e copie dello Statuto sono<br />

state distribuite ai passanti, fra le esibizioni di<br />

artisti di strada e musicisti, mentre in Teatro<br />

si tenevano incontri e seminari dedicati al tema.<br />

<strong>Il</strong> raduno è stato organizzato dall’Associazione<br />

“La Sicilia e i siciliani per lo Statuto” e<br />

mirava a sensibilizzare i cittadini, le istituzioni<br />

e la politica sulla mancata applicazione di<br />

alcune parti dello Statuto siciliano sin dalla<br />

sua nascita, nel 1946. Maria Grazia Cucinotta<br />

è stata testimonial dello Statutofest. L’attrice<br />

ha anche ricevuto un premio per il suo impegno<br />

per la Sicilia. L’iniziativa era patrocinata<br />

della Presidenza della Regione e dall’assessore<br />

regionale all’Economia Gaetano Armao.<br />

Quella per lo Statuto è stata una festa di<br />

popolo, non molto partecipata in verità, ma<br />

pur sempre utile per sondare l’estensione di<br />

quel risveglio di coscienze atteso da tempo<br />

nell’Isola. A quanto pare gli animi non si sono<br />

scaldati ancora a sufficienza. Non è chiaro<br />

quanti si siano accorti che, in contemporanea,<br />

le sere di sabato e di domenica, si svolgeva una<br />

performance di videomapping sulla facciata del<br />

Teatro Politeama: un proiettore faceva scorrere<br />

immagini piuttosto incomprensibili, anche<br />

perché esse tracimavano dallo schermo<br />

posto sul portale sulle ghiere ed i fregi dell’arco<br />

di trionfo. La performance era l’anticipo<br />

della presentazione del masterplan (i progetti<br />

e le proposte urbanistiche) che Confindustria<br />

Palermo avrebbe presentato nel convegno<br />

di lunedì mattina, sempre al Politeama,<br />

dal titolo “14.11.<strong>2011.</strong> Basta un giorno per cambiare<br />

Palermo”. Di sicuro il pubblico della piazza<br />

ha apprezzato che, oltre alla performance,<br />

Confindustria Palermo offrisse panelle e caldarroste.<br />

. UNO SPETTACOLO BEN ORCHESTRATO.<br />

La mattina di lunedì 14 la piazza era piena<br />

di auto blu e la sala del Politeama, quasi del<br />

tutto al buio, era gremita come nelle grandi<br />

occasioni. Sembrava che un Ignazio Florio<br />

redivivo avesse convocato gli stati generali<br />

dell’Isola per sancire la nascita del Consorzio<br />

Agrario Siciliano. In platea e nei palchi si era<br />

sistemato un pubblico di imprenditori, universitari,<br />

politici, banchieri, magistrati e professionisti.<br />

In loggione c’erano studenti delle<br />

superiori che avevano partecipato ad alcuni<br />

programmi di visita alle imprese, organizzati<br />

sempre da Confindustria Palermo.<br />

Ma era il palcoscenico quello che incuriosiva<br />

di più, anche perché era l’unica zona illuminata.<br />

Su quattro schermi si succedevano<br />

immagini su immagini, in un’atmosfera allucinogena,<br />

accentuata dalle luci soffuse e da<br />

qualche difficoltà della regia. Introduceva gli<br />

interventi una voce senza volto. Sugli angoli<br />

c’erano alcuni plastici di progetto, evidenziati<br />

a turno sugli schermi dalle telecamere. Al<br />

centro un podio per i relatori e, dietro, quindici<br />

sedie vuote, dello stesso design minimalista<br />

della tribuna. A destra un tavolino con il<br />

22 novembre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

piano-display delle presentazioni, ad uso dei<br />

relatori, con una scritta sul fronte verso il<br />

pubblico. Un altro slogan: “Niente cambierà se<br />

ci credo solo io”. Tutto aveva l’aria di essere organizzato<br />

per vendere qualcosa o per giustificare<br />

i 100.000 € (presi dalle quote dei soci)<br />

spesi per il progetto. Dicono sia quella la cifra<br />

impegnata.<br />

. LA PAROLA AGLI ARCHITETTI.<br />

Dopo il saluto, non di circostanza, del Presidente<br />

dell’ARS («questo non è un libro dei sogni»),<br />

venivano chiamati sul palco i due progettisti<br />

genovesi: Gianluca Pelufo e Alfonso<br />

Femia, dello Studio 5+1AA.<br />

Alessandro Albanese, Presidente di Confindustria<br />

Palermo, li presentava dichiarando<br />

di avere incaricato due professionisti non palermitani<br />

per mantenersi libero da condizionamenti<br />

e per la loro esperienza nell’elaborazione<br />

del masterplan di Marsiglia. L’arch.<br />

Femia ha esordito con una captatio benevolentiae,<br />

dichiarando che un anno di lavoro nel capoluogo<br />

siciliano li ha fatti innamorare di<br />

questa città. <strong>Il</strong> pubblico non si è lasciato impressionare<br />

più di tanto: se conosci Palermo<br />

non puoi fare a meno di amarla, bisogna solo<br />

verificare di che tipo di amore si tratta. Altre<br />

sono state le cose che hanno colpito gli astanti.<br />

Intanto l’aspetto molto curato dei due professionisti:<br />

giacca, cravatta, gilet; capelli e<br />

barba ben acconciati. Un look normale. Non<br />

maglietta nera, giacca nera, calvizie ostentata<br />

(l’ornamento è delitto!). E poi l’affabulazione<br />

ermetica con cui hanno elencato i criteri dell’analisi<br />

e del progetto. Le parole chiave erano<br />

tante, ma forse una è stata ripetuta più di<br />

altre: pragmatismo. Si percepiva questa come<br />

linea guida dei sette progetti, redatti con sovrabbondanza<br />

di tavole e di plastici: fare in<br />

fretta, aldilà della complessa storia urbanistica<br />

di questa terra e degli intrecci ingarbugliati<br />

di interessi. Un po’ disarmante è stata una dichiarazione:<br />

«noi non siamo urbanisti, siamo architetti».<br />

Cosa significava questo Che la diagnosi<br />

e la terapia di un’appendicite retrocecale<br />

erano state affidate a due dermatologi<br />

L’arch. Pelufo si è alternato con il collega<br />

nella spiegazione degli elementi essenziali del<br />

territorio palermitano. <strong>Il</strong> cardo (via Oreto –<br />

viale Croce Rossa) e il decumano (corso Vittorio<br />

Emanuele – corso Calatafimi); i bordi; le<br />

trasversalità. Cinquecento milioni di euro di<br />

investimenti. 3,7 milioni di metri quadri di<br />

nuove aree verdi, definite tregue vegetali. Le<br />

zone interessate sono il nuovo stadio (che dovrebbe<br />

nascere nel quartiere Zen), la Fiera del<br />

Mediterraneo (da trasformare in centro congressi<br />

e shopping), il mercato ortofrutticolo<br />

(che potrebbe diventare una cittadella della<br />

scienza e della tecnica), il mercato ittico (dove<br />

potrebbe sorgere un acquario), la grande<br />

area verde adiacente denominata piazza Einstein,<br />

i capannoni della Zisa (che dovrebbero<br />

diventare un nucleo di cultura e cinematografia)<br />

e un Urban Center nell’area Palagonia, vicino<br />

al Politeama. Quest’ultimo è l’oggetto<br />

più misterioso di tutti, ricorda gli inutili centri<br />

polifunzionali di qualche anno fa.<br />

. HOMO LUDENS.<br />

Gli architetti contemporanei parlano in<br />

modo iniziatico, incomprensibile ai profani.<br />

Del resto, a giudicare dalla raffinata veste del<br />

loro sito web, gli architetti dello Studio 5+1AA<br />

si trovano a loro agio nella società liquida.<br />

Prima di entrare nella home page vieni accolto<br />

da un sottomarino, che ti guiderà nell’immersione<br />

fra le diverse bolle scaturite dalla fantasia<br />

dei progettisti. I loro progetti per Palermo<br />

non risolvono problemi strutturali, creano<br />

una rete di passeggiate per il tempo libero.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 668


| ( 5 ) |<br />

Tranne in due casi, almeno dal punto di vista<br />

strategico: il grande centro congressi, di cui<br />

Palermo non è ancora dotato, e l’acquario,<br />

che potrebbe costituire una degna conclusione<br />

delle migliorie in corso di realizzazione nell’area<br />

della Cala.<br />

Dopo di loro è salito sul palco Alessandro<br />

Cecchi Paone, che ha rotto l’incantesimo dialogando<br />

con i ragazzi del loggione. Non tutti<br />

possiedono l’arte di divulgare con chiarezza e<br />

così lui, da maestro navigato della comunicazione,<br />

ha tradotto i complicati concetti<br />

espressi prima: «Che vuol dire masterplan Possiamo<br />

dire progetto», «Che vuol dire cardo e decumano<br />

Gli assi principali della città».<br />

La cosa più sorprendente è che ha spiegato<br />

cosa serve a Palermo con una iniezione di<br />

buon senso inattesa. Lo ha fatto illustrando<br />

quattro città con dei filmati girati dalla sua<br />

troupe: Helsinki, Copenaghen, Shangai,<br />

Melbourne. Non ha intessuto un panegirico<br />

del progresso e dell’innovazione, anzi ha esaltato<br />

la salvaguardia della storia e, nel caso di<br />

Copenaghen, la copia di architetture classiche<br />

italiane. Ha sottolineato la necessità di città<br />

«più comode». Ottimi servizi pubblici per favorire<br />

la pedonalizzazione degli spazi; molto<br />

verde; rapporto stretto con il mare: questi alcuni<br />

degli ingredienti di successo illustrati.<br />

Meno convincente l’esaltazione della luce<br />

nell’architettura: in qualche maniera si è contraddetto,<br />

presentando le mostruose centrali<br />

elettriche necessarie ad alimentare le architetture<br />

recenti di Shangai.<br />

. PATHOS POSTMODERNO.<br />

Alla fine del suo intervento Cecchi Paone<br />

ha chiamato Maurizio Zamparini, provocandolo<br />

sulla sua pretesa di realizzare il nuovo<br />

stadio in sei mesi. <strong>Il</strong> Presidente del Palermo<br />

Calcio è stato accolto dallo scroscio degli applausi<br />

dei ragazzi. Ha arringato la folla con il<br />

suo consueto modo di fare burbero e sarcastico.<br />

Ha additato il nemico pubblico numero<br />

uno: la burocrazia. Non i politici, ma i brutti<br />

figli dei politici, i burocrati che gli fanno perdere<br />

dieci ore su dodici della sua giornata di<br />

lavoro. E non solo al Sud, anche a Grado. Per<br />

risolvere il problema, ha proposto al Presidente<br />

della Regione una soluzione insensata:<br />

creare un Assessorato del Buon Senso. Ottima<br />

idea! Così assumiamo altri burocrati che controlleranno<br />

i loro colleghi! E poi … quis custodiet<br />

ipsos custodes Non sarà che la burocrazia è<br />

figlia di un’idea sbagliata di amministrazione<br />

statale<br />

Non pago della prima boutade, ne ha sparata<br />

un’altra (con la stessa serietà). Presentando<br />

il progetto del nuovo stadio, da realizzare<br />

al posto del Velodromo dello ZEN (che forse<br />

il Comune di Palermo non ha neppure finito<br />

di pagare), ha affermato di non avere dato alcun<br />

compenso al progettista: «Perché è così che<br />

si deve fare. Gli architetti si pagano dopo che i progetti<br />

vengono finanziati». Ma questa prassi, in<br />

uso fino a qualche decennio or sono, non è illegale<br />

oggi<br />

Non c’è stato il tempo di riflettere, perché<br />

Zamparini intendeva fare ancora più leva sulle<br />

emozioni. Ha chiesto di far partire il video<br />

di presentazione del nuovo stadio ed è tornato<br />

in platea. Le luci si sono spente e si è acceso il<br />

pathos. Mentre le immagini mostravano una<br />

Palermo al buio su cui sorge il sole nuovo del<br />

“faro tecnologico” (lo stadio), in sala si diffondevano<br />

le note della fanfara di apertura<br />

Einleitung del famosissimo Also sprach Zarathustra<br />

di Richard Strauss. I ragazzi non hanno<br />

retto e sono esplosi in una fragorosa ovazione.<br />

Ecco l’avvento della nuova era del superuomo:<br />

il Presidente di una squadra di calcio può<br />

salvare l’intera città dal degrado. Gli imprenditori<br />

possono arrestare il declino, a favore<br />

delle nuove generazioni. È questo il messaggio<br />

del convegno<br />

22 novembre 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

www.culturaeidentita.org<br />

☞ È uscito il nuovo numero.<br />

Cultura & Identità - Rivista di studi conservatori ·<br />

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Ugo da Porta Ravegnana 15,<br />

00166 Roma.<br />

#<br />

. UNO SLOGAN PER CAMBIARE PALERMO.<br />

Lo spettacolo è continuato con identica<br />

profusione di mezzi. Raffaele Lombardo ha<br />

assicurato che il pomeriggio stesso la Giunta<br />

Regionale avrebbe discusso una delibera per<br />

dichiarare il masterplan “progetto di interesse<br />

strategico regionale”. Dall’indomani si sarebbe<br />

potuta convocare una conferenza di servizi<br />

per accelerare i tempi di realizzazione.<br />

L’arch. Roland Carta ha presentato, parlando<br />

in francese, i progetti per Marsiglia.<br />

Perfettamente in linea con l’atmosfera allucinogena<br />

dell’incontro. Le immagini dei progetti<br />

hanno mostrato numerosi interventi di<br />

archistar per trasformare un’antica capitale<br />

del Mediterraneo in un luna park. Fra gli altri<br />

l’architetto anglo-iracheno Zaha Hadid. La<br />

traduttrice non la conosceva e l’ha trasformata<br />

in un architetto arabo. Proteste dal pubblico<br />

colto delle prime file.<br />

Un responsabile del Gruppo Acqua Pia<br />

Antica Marcia ha portato i saluti di Francesco<br />

Caltagirone Bellavista, elogiando l’iniziativa.<br />

Melissa Collingham, della Ryanair, ha illustrato<br />

i programmi di sviluppo della compagnia<br />

aerea per la Sicilia, lamentando l’inerzia<br />

che consente che due isole uguali per estensione<br />

e popolazione abbiano tanta differenza<br />

di flussi turistici: 35 milioni di turisti l’Irlanda,<br />

12 milioni la Sicilia.<br />

Infine Felice Cavallaro, dopo una lucida<br />

sintesi di quanto era stato detto prima, ha invitato<br />

sul palco quindici rappresentanti delle<br />

banche, dell’università, del sindacato, dell’amministrazione<br />

cittadina, coordinando il<br />

dibattito su quanto si può fare davvero per Palermo,<br />

anche aldilà del masterplan. Albanese<br />

aveva per esempio proposto la privatizzazione<br />

dell’AMIA e della Gesip. Cavallaro ha incalzato<br />

il segretario della CISL, fino a quando<br />

quest'ultimo ha ammesso che sarebbe meglio<br />

trasferire la gestione dei servizi ai privati, con<br />

la possibilità di licenziare chi non vuole lavorare.<br />

Va rilevato però che sul palco era presente<br />

anche un responsabile dell’AMG, a testimoniare<br />

il fatto che un’azienda municipalizzata<br />

può essere in attivo.<br />

. ECCESSO DI FRIVOLEZZA.<br />

Alla fine della carrellata, sono rimasti un<br />

po’ di dubbi sulla validità dell’iniziativa. Paradossalmente<br />

ne esce valorizzato l’operato di<br />

una Giunta vituperata e assente (del sindaco<br />

nessuna traccia al convegno). In realtà il Presidente<br />

Albanese se l’è presa di più con un<br />

Consiglio Comunale inerte, proponendo di<br />

assegnare gli emolumenti ai consiglieri sulla<br />

base dei risultati raggiunti e non delle presenze.<br />

Ma, tornando alle scelte dell’attuale governo<br />

cittadino, ce ne sono almeno due degne<br />

di rilievo: i lavori per la metropolitana, di cui<br />

verrà aperto un tratto consistente l’11 dicemd<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 668


e, e l’eliminazione di alcune rigidità del<br />

PPE, che hanno consentito ti trasformare alcuni<br />

grandi immobili del Centro Storico in<br />

alberghi.<br />

L’architettura contemporanea è affetta da<br />

un’insostenibile leggerezza. È la frivolezza<br />

del postmoderno filosofico, che fra gli architetti<br />

ha assunto le sembianze del decostruttivismo.<br />

L’architettura del passato non era così:<br />

rispondeva davvero alle esigenze della vita<br />

della gente, creando luoghi belli per il lavoro,<br />

per l’abitazione, per le istituzioni, per il tempo<br />

libero. Palermo ha bisogno di quel tipo di<br />

soluzioni, non di costosissime macchine per il<br />

nulla.<br />

CIRO LOMONTE<br />

FIRENZE<br />

Sabato 10 dicembre ore 18.00<br />

Chiesa di Ognissanti<br />

Convegno:<br />

<strong>Il</strong> Concilio alla luce della Tradizione della Chiesa.<br />

Interverranno:<br />

Padre Serafino Lanzetta, Prof. Pietro De Marco,<br />

Prof. Massimo de Leonardis, Prof. Roberto<br />

de Mattei<br />

Nel corso del convegno saranno presentate le<br />

recentissime pubblicazioni Concilio Ecumenico<br />

Vaticano II a cura di P. Stefano M. Manelli e P.<br />

Serafino M. Lanzetta, e Apologia della Tradizione<br />

di Roberto de Mattei.<br />

<strong>Il</strong> convegno sarà preceduto alle ore 16.00, come<br />

di consueto, dalla celebrazione della S.<br />

Messa in rito romano antico.<br />

| ( 7 ) |<br />

†‡·•‡·•‡‚<br />

„<br />

K<br />

”<br />

La rima<br />

» …<br />

La festa del gnocco a Verona.<br />

„ ”<br />

‰`ˆ¿´`´¿ˆ`˜<br />

DI GIUSEPPE CAPPAROZZO (1892-1884)<br />

C<br />

ANTO la ghiotta pasta, ond'ebbe origine<br />

Tra l'annue feste il baccanal Brennonico;<br />

Quando ai tempi, che involve alta caligine,<br />

Da pria l'uso ne venne al suolo Ausonico.<br />

Dalla lunga, che il copre, atra rubigine<br />

Scuòti, o lepida Musa, il plettro armonico,<br />

E tra l'eterno piagnistèo romantico<br />

<strong>Il</strong> suon risveglia d'un allegro cantico.<br />

Meco volger ti piaccia i prischi storici,<br />

E de' tempi che furo il vel rimovere.<br />

Da prima i Frigi si nutriro e i Dorici<br />

Del frutto vil della Caonia rovere;<br />

Poi, come ancor tra gl'irti Cimbri e i Norici,<br />

Fornissi il desco di vivande povere,<br />

Che, logrando al lavor le braccia e l'omero,<br />

Quell'aspra gente ritraea dal vomero.<br />

Frutta piaquero allor di vario genere,<br />

Né le cipolle e i porri a vil si tennero:<br />

Daini, damme, cerbiatti ed agne tenere<br />

Le agresti mense ad allegrar poi vennero:<br />

E abbrustolate tra le brage e il cenere<br />

De'buoi l'ispide terga il pregio ottennero<br />

Rozzo era il cibo; né inventata a nuocere<br />

Era ancor l'arte del moderno cuocere.<br />

Nè men di fasto o di dovizia scevere<br />

Fûr le Sabine cene e i prandi Italici;<br />

Ma poi che d'Asia a dominar sul Tevere<br />

Venner le pompe co' tesori Attalici,<br />

In creta vil non fu più dolce il bevere,<br />

E si mutar le coppe in aurei calici;<br />

E gli Assiri tappeti e i lini Batavi<br />

Coprir la nuda povertà degli atavi.<br />

Fu allor che i cuochi a gareggiar si posero,<br />

E all'alto studio delle mense intesero:<br />

Tripodi e tegghie sulle brage imposero,<br />

E fumanti lebeti al foco appesero;<br />

22 novembre 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

E zughi e torte e fricassèe composero,<br />

E l'arte varia dei pasticci appresero:<br />

Ma perché molto nel lavor sudassero<br />

L'arte dei gnocchi dal cervel non trassero.<br />

Nelle splendide sale a mensa nobile<br />

Quest'umil arte non avea ricovero;<br />

Amò l'umil tugurio, e l'ombra mobile<br />

Dell'alno agreste e del selvaggio rovero:<br />

Ivi negletta del Sabaudo ignobile<br />

Fe' lieto il desco verecondo e povero;<br />

Finché venne a far sazi i ventri lubrici<br />

De' Veneti Luculli e degl'Insubrici.<br />

Al suo primo apparir le mense arrisero,<br />

Quasi risorte dall'età Vandaliche:<br />

I caudati Patrizi allor derisero<br />

Le Ciprie tazze e le vivande Saliche:<br />

Ebre d'ignota voluttà sorrisero<br />

Lieve col labro le matrone Italiche,<br />

E nel tripudio dell'allegre tavole<br />

Spianâr la fronte i grinzi nonni e l'avole.<br />

Per l'Ausonico suolo allor si stesero,<br />

E più celebri i gnocchi ognor divennero;<br />

Ma i tuoi, Verona, miglior forma presero,<br />

E fra l'altre pastiglie in grido vennero:<br />

E sì chiari e famosi indi si resero,<br />

Che ai prischi tempi un'annua festa ottennero,<br />

E i memori nipoti rinovellano<br />

Quell'annua festa, che dal gnocco appellano.<br />

Fanciul non è, che in sì bel giorno a prendere<br />

L'usate larve non saltelli e dondoli<br />

Né giovinetta che non ami appendere<br />

I vezzi al collo, ed agli orecchi i ciondoli:<br />

Ognun vedi abbigliarsi, ognun risplendere<br />

In vesti adorne di frastagli e dondoli;<br />

E, serve agli usi del leggiadro secolo,<br />

Le vecchie anch'esse consultar lo specolo.<br />

Già fresca vita sulle grinze infondono<br />

Unguenti eletti d'odoroso bucchero,<br />

E della fronte la calvezza ascondono<br />

Chiome olezzanti di soave mucchero:<br />

Le tremole pupille amor diffondono,<br />

Sorride il labro, che ti par di zucchero;<br />

E rughe e schianze, cui le vesti celano,<br />

Giovin bellezza e leggiadria rivelano.<br />

Altri con tirso di corimbi e d'edere<br />

Menan carole, e per le vie folleggiano;<br />

Altri tu vedi in lunghe cappe incedere,<br />

E larghi feltri che la fronte ombreggiano;<br />

Altri pe' trivi andar baccanti, e riedere<br />

Con nastri e code che sul dorso ondeggiano:<br />

Mille forme diverse ognor si mutano,<br />

E mille voci il baccanal salutano.<br />

Altri sul foco le caldaje appendono,<br />

Ove la pasta cerëal condensano;<br />

Altri sul desco le tovaglie stendono,<br />

E l'eletta vivanda altrui dispensano:<br />

Accorron tutti, e già le man protendono,<br />

Già col petto e cogli omeri s'addensano,<br />

E il ghiotto cibo a piene fauci ingozzano,<br />

E di lubrico burro il mento insozzano.<br />

Tal le passere ingorde a stormo volano<br />

Ove l'aride spiche al Sol si battono;<br />

Altre la preda alle compagne involano,<br />

Altre le penne sul terren dibattono:<br />

Ed or calano a piombo, ed or sorvolano,<br />

Or coll'avido rostro insiem combattono;<br />

E rotarsi le vedi, e seco volvere<br />

Le lievi paglie e la minuta polvere.<br />

Odi un rumor di mille ruote, un gemere<br />

Di carri adorni di mortelle e bacchere;<br />

Un echeggiar di liete grida, un fremere<br />

Di pazza gioja, ed un sonar di nacchere:<br />

Un correr vedi, un aggirarsi, un premere,<br />

Un mover d'anche, un agitar di zacchere;<br />

Un tumulto s'inalza, a cui s'accordano<br />

I suoni e i canti che le piazze assordano.<br />

Così pe'l sacro Citeron correvano<br />

Le Menadi all'antiche orgie festevoli;<br />

Quando l'Indiche tigri il Dio traevano,<br />

Fatti gl'ispidi colli al fren pieghevoli:<br />

Con alte grida i cembali scotevano,<br />

Guizzando in giro sulle gambe agevoli,<br />

E fean confuso mormorìo per l'etere<br />

I rauchi sistri e le strepenti cetere.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 668


A<br />

B<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

N°669<br />

d<strong>Il</strong><br />

ANNOXI<br />

<strong>Covile</strong>f<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

28 NOVEMBRE 2011<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

F A N T A S M I M A R X I S T I<br />

ESITI DISCORDI NEGLI ULTIMI GRANDI INTERPRETI<br />

DEL PENSIERO CHE HA TRAGICAMENTE<br />

SEGNATO L'INTERO NOVECENTO.<br />

U<br />

Ha fatto qualche cerchio in quella che sembrava ormai<br />

la del tutto morta gora della sinistra, la recente lettera<br />

aperta al PD di “quattro intellettuali di area marxista<br />

i cui nomi tanto hanno significato nella storia recente<br />

dell'alta cultura italiana” come scrivevamo presentandola<br />

lo scorso ottobre, n°662: il Manifesto e l'Unità<br />

non hanno potuto ignorarla e qualche giorno fa al gruppo<br />

si è aggiunto virtualmente anche Costanzo Preve,<br />

anch'egli serio studioso di Marx, di scuola althusseriana.<br />

Si potrebbe dire che questi intellettuali provano a<br />

smentire la profezia di Augusto Del Noce sul destino<br />

tecnocratico-nichilista del pensiero marxista e sull'inevitabile<br />

trasformazione del PCI in “partito radicale di<br />

massa”. La profezia resta sostanzialmente avverata,<br />

ma va ad onore di questi generosi militanti della vecchia<br />

guardia l'estremo tentativo di confutarla.<br />

Questo numero, per gran parte a cura di Armando Ermini,<br />

cerca di documentare come il marxismo critico<br />

della seconda metà del novecento 1 avesse due soli possibili<br />

esiti: uno gnosticismo sempre più esplicito o la scoperta<br />

della Chiesa cattolica come solo Katechon capace<br />

di orientare, dall'interno della modernità, la resistenza<br />

alla sussunzione dell'intera vita da parte dei meccanismi<br />

autoriproduttivi di Capitale. Da questo punto di<br />

vista si registra come un sempre più schmittiano Tronti<br />

abbia finalmente smesso di dialogare, assurdamente,<br />

con forze (Giuseppe Dossetti, Enzo Bianchi ecc.) di<br />

fatto antiromane, dissolutrici del tipo di Chiesa che<br />

rende possibile l'esistenza del Decisore cattolico, per riferirsi<br />

finalmente a quest'ultimo. N<br />

1 Su questi temi si veda utilmente di Riccardo De Benedetti La<br />

fenice di Marx, Medusa Edizioni, 2003.<br />

a Da Cesarano e Camatte a Tronti<br />

e Barcellona, intrecci e irriducibili<br />

differenze.<br />

DI ARMANDO ERMINI<br />

. LA RECENTE LETTERA APPELLO.<br />

Mi sono chiesto più volte quale fossero il senso<br />

e le origini della lettera/appello al PD dei<br />

quattro intellettuali di estrazione e cultura marxista.<br />

Affermazioni forti quali la necessità di tutela<br />

della libertà e della dignità della persona<br />

umana dal concepimento alla morte, ed espressioni<br />

altrettanto forti come “disastro antropologico”,<br />

“deriva della modernità” dominata dalla<br />

“mercificazione”, la condanna del relativismo<br />

etico, del nichilismo e dello scientismo domi-<br />

INDICE<br />

1 Armando Ermini. Da Cesarano e Camatte a<br />

Tronti e Barcellona, intrecci e irriducibili differenze.<br />

3 Pietro Barcellona, Paolo Sorbi, Mario Tronti,<br />

Giuseppe Vacca. L'emergenza antropologica:<br />

per una nuova alleanza.<br />

9 Costanzo Preve. Una lettera aperta su marxismo<br />

e religione.<br />

11 Armando Ermini. Pietro Barcellona (scheda).<br />

13 Mario Tronti. Estratti.<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

nanti, il richiamo positivo a concetti quali “valori<br />

non negoziabili”, l’esigenza di ricercare un<br />

“umanesimo condiviso” fra credenti e non credenti,<br />

e infine la scelta della Chiesa come interlocutore<br />

privilegiato e comunque non bypassabile,<br />

disegnano una visione del mondo “inaudita”.<br />

Non solo per le sinistre di ogni tipo, progressiste<br />

o antagoniste che siano, ma per tutti coloro che,<br />

anche a destra, hanno sposato i miti e i feticci<br />

della modernità, cattolici compresi. Visione del<br />

mondo inaudita, facilmente tacciabile di oscurantismo,<br />

ma non estranea al punto di partenza<br />

della riflessione, in anni ormai lontani, di un filone<br />

di pensiero che ha cercato in Marx non solo<br />

gli strumenti di analisi delle tendenze del capitalismo,<br />

ma anche una soteriologia, una teoria di<br />

salvezza dell’umanità, con l’elaborazione di un<br />

pensiero non immune da contraddizioni o pericolose<br />

ambiguità ma che certamente riusciva a<br />

scavare nella carne viva della contemporaneità.<br />

E che ha avuto il pregio di porre un problema<br />

reale e attuale oggi più di ieri, quello dell’alienazione<br />

crescente, anche se ha creduto di risolverlo<br />

nel modo peggiore. <strong>Il</strong> pensiero va immediatamente<br />

a Pier Paolo Pasolini ed alla sua intensissima,<br />

religiosa ricerca di senso che, per sua stessa<br />

esplicita ammissione, non poteva trovare nel<br />

marxismo. Non mi interessa arruolare Pasolini o<br />

nessun altro fra le schiere dei non progressisti,<br />

ma se all’epoca in cui scriveva fu accusato di derive<br />

reazionarie, e se dopo la sua morte è stato<br />

progressivamente dimenticato, o meglio sono<br />

cadute nell’oblio le sue più importanti intuizioni,<br />

peraltro riprese da autori, come Camillo<br />

Langone, dichiaratamente antiprogressisti, non<br />

è un caso.<br />

. CAMATTE E CESARANO.<br />

Lo stesso può dirsi per quell’area ultraminoritaria<br />

della sinistra rappresentata a cavallo fra<br />

gli anni ’60 e ’70 dal gruppo di uomini raccolti<br />

intorno a Giorgio Cesarano in Italia, e da J. Camatte<br />

e i situazionisti in Francia. E grande è stato<br />

il merito di Stefano Borselli e de <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> che<br />

negli anni hanno riproposto criticamente il loro<br />

pensiero, che anch’io, allora attardato nelle categorie<br />

classiche del marxismo (lotta di classe,<br />

proletariato, rivoluzione, borghesia, teoria leninista<br />

dello Stato), non conoscevo affatto.<br />

Non è il caso, e non ci riuscirei in maniera<br />

sintetica, di riassumere quel filone di pensiero<br />

con tutte le sue innumerevoli implicazioni, per il<br />

quale rimando ai pregressi numeri de <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>. 2<br />

Voglio solo, allo scopo della presente riflessione,<br />

richiamare il concetto di antropomorfosi del capitale.<br />

Si tratta del processo in virtù del quale il<br />

capitale si appropria interamente del tempo<br />

umano (dominio reale), diversamente dall’epoca<br />

in cui si appropriava sì del tempo di lavoro, ma<br />

lasciava all’individuo la proprietà del tempo di<br />

non lavoro (dominio formale).<br />

Si è arrivati – scrive Camatte – all’organizzazione<br />

del tempo per il capitale ed è a partire da ciò<br />

che il capitale ha potuto mettere a punto la programmazione<br />

di ogni aspetto della vita umana. 3<br />

Ne è conseguenza l’introiezione da parte degli<br />

individui della percezione e rappresentazione<br />

di sé come capitale, che rende inutile, se non come<br />

pura rappresentazione di cui si appropria il<br />

capitale stesso nella sua dinamica interna, la lotta<br />

di classe. Sempre Camatte scrive che<br />

“ciò comporta l’abbandono di ogni teoria classista<br />

e la comprensione del fatto che una immensa<br />

fase storica si è conclusa” 4<br />

Ed anche le controculture giovanili, che pure<br />

esprimono l’immenso disagio di un modo di vivere<br />

sempre più alienato, finiscono per ricadere<br />

sotto il dominio del capitale, diventandone anch’essi<br />

sua espressione funzionale. Mi sembra<br />

utile richiamare di passaggio, a questo proposito,<br />

i numeri de <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> dedicati ai movimenti<br />

moderni 5 , dove queste dinamiche sono analizza-<br />

2 Si vedano i NN. 52 (febbraio 2002, “Tributo a Giorgio<br />

Cesarano”), 140 (aprile, “Pierotto, in memoria” 2003), 225 (ottobre<br />

2004, “Ben scavato Claudio!”), 342 (settembre 2006, “Le<br />

fatiche di Claudio Dettorre”), 400 (giugno 2007, “Archivio<br />

Cesarano, Lampi di Critica radicale”), 615 (novembre 2010) e in<br />

Raccolta il capitolo 10 “Difesa del lavoro”.<br />

3 Jacques Camatte, <strong>Il</strong> Disvelamento, traduzione di Giovanni<br />

Dettori, edizione elettronica sulla base di quella La Pietra del<br />

1978, pag. 6. <strong>Il</strong> testo è disponibile in rete a<br />

www.nelvento.net/critica/disvelamento.pdf .<br />

4 Ivi, pag. 2.<br />

5 Ora raccolti in Romano Guardini e i movimenti moderni.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 669


| ( 3 ) |<br />

\ Lettera aperta<br />

L'EMERGENZA ANTROPOLOGICA:<br />

PER UNA NUOVA ALLEANZA.<br />

La manipolazione della vita, originata dagli sviluppi della<br />

tecnica e dalla violenza insita nei processi di globalizzazione in<br />

assenza di un nuovo ordinamento internazionale, ci pone di<br />

fronte ad una inedita emergenza antropologica. Essa ci appare la<br />

manifestazione più grave e al tempo stesso la radice più profonda<br />

della crisi della democrazia. Germina sfide che esigono una nuova<br />

alleanza fra uomini e donne, credenti e non credenti, religioni<br />

e politica. Pertanto riteniamo degne di attenzione e meritevoli di<br />

speranza le novità che nel nostro Paese si annunciano in campo<br />

religioso e civile.<br />

A noi pare che negli ultimi anni – un periodo storico cominciato<br />

con la crisi finanziaria del 2007 e in Italia con il crepuscolo<br />

della “seconda Repubblica” – mentre la Chiesa italiana si impegnava<br />

sempre più a rimodulare la sua funzione nazionale, un<br />

interlocutore come il Partito democratico sia venuto definendo<br />

la sua fisionomia originale di “partito di credenti e non<br />

credenti”. Sono novità significative che ampliano il campo delle<br />

forze che, cooperando responsabilmente, possono concorrere a<br />

prospettare soluzioni efficaci della crisi attuale.<br />

<strong>Il</strong> terreno comune è la definizione della nuova laicità, che nelle<br />

parole del segretario del PD muove dal riconoscimento della<br />

rilevanza pubblica delle fedi religiose e nel magistero della Chiesa<br />

da una visione positiva della modernità, fondata sull’alleanza<br />

di fede e ragione. Nel suo libro-intervista Per una buona ragione,<br />

Pier Luigi Bersani afferma che il “confronto con la dottrina<br />

sociale della Chiesa” è un tratto distintivo della ispirazione riformistica<br />

del PD e che la presenza in Italia “della massima autorità<br />

spirituale cattolica” può favorire il superamento del bipolarismo<br />

etico che in passaggi cruciali della vita del Paese ha condizionato<br />

negativamente la politica democratica. Ribadendo, infine,<br />

la “responsabilità autonoma della politica”, Bersani esprime<br />

una opzione decisa per una sua visione “che non volendo rinunciare<br />

a profonde e impegnative convinzioni etiche e religiose,<br />

affida alla responsabilità dei laici la mediazione della scelta<br />

concreta delle decisioni politiche”.<br />

Per quanto riguarda la Chiesa cattolica vi sono due punti della<br />

relazione del cardinale Bagnasco alla riunione del Consiglio<br />

permanente dei vescovi del 26-29 settembre 2011 che meritano<br />

particolare attenzione.<br />

<strong>Il</strong> primo riguarda la critica della “cultura radicale”: essa è rivolta<br />

a quelle posizioni che, “muovendo da una concezione individualistica”,<br />

rinchiudono “la persona nell’isolamento triste della<br />

propria libertà assoluta, slegata dalla verità del bene e da ogni<br />

relazione sociale”.<br />

<strong>Il</strong> secondo è la proposta di nuove modalità dell’impegno comune<br />

dei cattolici per contrastare quella che in una precedente<br />

occasione aveva definito “la catastrofe antropologica”: “la possibilità<br />

di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la<br />

politica”. E non è meno significativa la sua giustificazione storica:<br />

“A dar coscienza ai cattolici oggi non è anzitutto un’appartenenza<br />

esterna, ma i valori dell’umanizzazione [che] sempre di<br />

più richiamano anche l’interesse di chi esplicitamente cattolico<br />

non si sente”. In altre parole, la “possibilità” di questo nuovo<br />

soggetto origina dall’impegno sociale e culturale del laicato, nel<br />

X<br />

quale i cattolici sono “più uniti di quanto taluno vorrebbe credere”<br />

grazie alla bussola che li guida: la costruzione di un umanesimo<br />

condiviso.<br />

La definizione della nuova laicità e l’assunzione di una responsabilità<br />

più avvertita della Chiesa per le sorti dell’Italia esigono<br />

uno sviluppo dell’iniziativa politica e culturale volta non<br />

solo a interloquire con il mondo cattolico, ma anche a cercare<br />

forme nuove di collaborazione con la Chiesa, nell’interesse del<br />

Paese. A tal fine appare dirimente il confronto su due temi fondamentali<br />

del magistero di Benedetto XVI che nell’interpretazione<br />

prevalente hanno generato confusioni e distorsioni tuttora<br />

presenti nel discorso pubblico: il rifiuto del “relativismo etico” e<br />

il concetto di “valori non negoziabili”.<br />

Per chi dedichi la dovuta attenzione al pensiero di Benedetto<br />

XVI non dovrebbero sorgere equivoci in proposito. La condanna<br />

del “relativismo etico” non travolge il pluralismo culturale,<br />

ma riguarda solo le visioni nichilistiche della modernità che,<br />

seppur praticate da minoranze intellettuali significative, non si<br />

ritrovano a fondamento dell’agire democratico in nessun tipo di<br />

comunità: locale, nazionale e sovranazionale. <strong>Il</strong> “relativismo etico”<br />

permea, invece, profondamente, i processi di secolarizzazione,<br />

nella misura in cui siano dominati dalla mercificazione. Ma<br />

non è chi non veda come la lotta contro questa deriva della modernità<br />

costituisca l’assillo fondamentale della politica democratica,<br />

comunque se ne declinino i principii, da credenti o da non<br />

credenti.<br />

D’altro canto, non dovrebbero esserci equivoci neppure sul<br />

concetto di “valori non negoziabili” se lo si considera nella sua<br />

precisa formulazione. Un concetto che non discrimina credenti e<br />

non credenti, e richiama alla responsabilità della coerenza fra i<br />

comportamenti e i principii ideali che li ispirano. Un concetto<br />

che attiene, appunto, alla sfera dei valori, cioè dei criteri che<br />

debbono ispirare l’agire personale e collettivo, ma non nega<br />

l’autonomia della mediazione politica. Non si può quindi far risalire<br />

a quel concetto la responsabilità di decisioni in cui, per<br />

fallimenti della mediazione laica, o per non nobili ragioni di opportunismo,<br />

vengano offese la libertà e la dignità della persona<br />

umana fin dal suo concepimento.<br />

Ad ogni modo, se nell’approccio alle sfide inedite della biopolitica<br />

ci sono stati e si verificano equivoci e cadute di tal genere<br />

non solo in scelte opportunistiche del centrodestra, ma anche<br />

nel determinismo scientistico del centrosinistra, la riaffermazione<br />

del valore della mediazione laica che sembra ispirare “la possibilità<br />

di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la<br />

politica” rischiara il terreno del confronto fra credenti e non<br />

credenti. Quindi dipenderà dall’iniziativa culturale e politica<br />

delle forze in campo se quella “possibilità” acquisterà un segno<br />

progressivo o meno nella vicenda italiana.<br />

A tal fine noi riteniamo che il PD debba promuovere un confronto<br />

pubblico con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni<br />

religiose operanti in Italia oltre che sui temi cosiddetti “eticamente<br />

sensibili”, su quelli che attengono in maniera più stringente<br />

ai rischi attuali della nazione italiana: la tenuta della sua<br />

unità, la “sostanza etica” del regime democratico.<br />

Tanto sull’uno, quanto sull’altro, la storia dell’Italia unita dimostra<br />

che la funzione nazionale assolta o mancata dal cattolicesimo<br />

politico è stata determinante e lo sarà anche in futuro.<br />

PIETRO BARCELLONA, PAOLO SORBI, MARIO<br />

TRONTI, GIUSEPPE VACCA.<br />

_<br />

[<br />

28 novembre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

te nella loro genesi e nei loro esiti. Con ciò si<br />

chiude il cerchio e, scrive Camatte,<br />

È l’alienazione portata a termine. Gli esseri<br />

umani sono totalmente divenuti altro. 6<br />

A sua volta Cesarano, nella tesi 73 di Apocalisse<br />

e rivoluzione 7 , afferma che<br />

Non si tratta più di discutere su questioni distributive,<br />

su argomenti di ricchezza e povertà, su<br />

moralità di appropriatori e di espropriati, quando<br />

a vivere veramente non è più nessuno, quando<br />

a rischiare di morire sono indifferentemente<br />

tutti. 8<br />

. LA RIVOLUZIONE DEI CORPI.<br />

La conseguenza che Cesarano e Camatte<br />

traggono dall’appropriazione da parte del capitale<br />

di ogni piega del tempo di un uomo ormai<br />

totalmente alienato, è che la rivoluzione o è biologica<br />

o non è. O è una rivoluzione che parte dal<br />

corpo e in esso incide, quindi assai più radicale e<br />

liberatoria di ogni altra sua forma parziale, o è<br />

destinata ad essere riassorbita dalla capacità<br />

(diabolica) del capitale di appropriarsi di ogni<br />

espressione della vita umana e dei suoi bisogni e<br />

rimetterla in scena come rappresentazione mistificata.<br />

Sulle ambiguità del concetto di rivoluzione<br />

biologica come declinato da Cesarano e Camatte,<br />

rimando a quanto scritto da Stefano nella<br />

sua prefazione al libro di Claudio D’Ettorre<br />

Giorgio Cesarano e la critica capitale. Qui mi preme<br />

sottolineare invece che se alla metà degli anni<br />

’70 potevano sembrare elucubrazioni un po’<br />

fantasiose permeate da un assolutismo profetico<br />

difficile da condividere per la stragrande maggioranza,<br />

oggi si può dire che la realtà ha superato<br />

l’immaginazione.<br />

Si definisca il moderno Leviatano come capitale<br />

astratto o come degenerazione di un capitalismo<br />

disancorato dall’uomo, come onnipotenza<br />

del sistema Tecnico o come volontà umana<br />

6 Ivi, pag. 5.<br />

7 Gianni Collu e Giorgio Cesarano, Apocalisse e rivoluzione,<br />

Edizioni Dedalo 1974.<br />

8 Citato in Claudio D’Ettorre, Giorgio Cesarano e la critica capitale,<br />

I testi del <strong>Covile</strong>, 2004, p. 11. <strong>Il</strong> testo è disponibile in rete a<br />

www.ilcovile.it.<br />

di sganciarsi da ogni legame con Dio e dalla natura,<br />

è un fatto che oggi il Leviatano si è impossessato<br />

della vita umana dall’origine mediante<br />

l’ingegneria genetica e la possibilità di fabbricare<br />

artificialmente gli individui scegliendone i caratteri<br />

genetici, fino alla non tanto futuribile<br />

clonazione delle cellule umane, con le inevitabili<br />

implicazioni eugeniste mascherate da una falsa<br />

libertà di scelta. Ed è un fatto che ormai la vita<br />

stessa è diventata oggetto di business o, in altri<br />

termini, inserita nel processo di riproduzione allargata<br />

del capitale.<br />

Abbiamo salutato come conquista di libertà,<br />

anche a ragione, la separazione della sessualità<br />

dalla procreazione e tutt’ora siamo ancorati a<br />

quella visione, ma non ci siamo ancora sufficientemente<br />

resi conto che era solo la prima di<br />

due tappe. Quella successiva, e decisiva, è stata<br />

la separazione della procreazione dalla sessualità,<br />

che ha disancorato la generazione della vita<br />

dall’unione naturale dei corpi, dal desiderio del<br />

corpo, dai sensi del corpo. Ed è perciò singolare<br />

leggere da Cesarano, in L’insurrezione erotica,<br />

che<br />

l’orgasmo, ripristinando nel suo attimo separato<br />

il dominio reale della corporeità organica, nega<br />

d’un colpo il corpo ridotto a strumento di produzione<br />

e di riproduzione, 9<br />

mentre è in realtà vero l’opposto, che spostando<br />

la riproduzione da atto naturale a artificiale<br />

la si inserisce immediatamente nel processo<br />

produttivo controllato e controllabile. Sotto<br />

questo punto di vista Camatte mi sembra più<br />

consapevole della questione quando, in “Amore<br />

o combinatoria sessuale” scrive che quando si<br />

realizzasse la dissociazione fra procreazione e<br />

sessualità,<br />

sarà difficile vivere al momento voluto tutta la<br />

dimensione specifica, paleontologica e cosmica<br />

dell’atto sessuale che si sviluppa nello sfociare-aprirsi<br />

procreativo. […] <strong>Il</strong> pericolo di una riduzione<br />

a particelle neutre è molto reale, perché<br />

da diversi orizzonti si propone in definitiva<br />

di sopprimere la procreazione (che permetterebbe<br />

una liberazione completa della donna e<br />

9 Citato in Giorgio Cesarano e la critica capitale, cit., p. 63.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 669


| ( 5 ) |<br />

dell’amore). 10<br />

Eccellente analisi, ma contraddetta proprio<br />

dalle teorizzazioni del movimento femminista, e<br />

di parte consistente dell’universo femminile a<br />

cui, come vedremo poi, assegna il ruolo salvifico<br />

del mondo. D’altro canto le contraddizioni abbondano<br />

in Camatte. Sempre nello stesso scritto<br />

dice infatti, riferendosi agli Usa, che<br />

in seguito alla caducità dei ruoli, uomini e donne<br />

hanno perduto qualsiasi asse di riferimento e<br />

sono capaci soltanto di portarsi un odio sessuale,<br />

ciascuno di essi volendo preservare a qualsiasi<br />

prezzo la propria identità e non perdersi nell’unione<br />

sessuale. Ci si può chiedere se, a questo<br />

punto, non si verifichi la regressione assoluta. 11<br />

Mi sembra vero l’opposto. La regressione assoluta<br />

è la fusionalità assoluta, non la difesa della<br />

propria identità. E se ci si difende nell’atto<br />

sessuale non è perché si ha paura di perdersi in<br />

quell’atto, ma perché si teme che quel perdersi<br />

sia senza ritorno in quanto sono venuti meno,<br />

nella vita quotidiana, i confini e i limiti, Renè<br />

Girard direbbe le differenze, ostacolo all’odio<br />

mimetico di tutti contro tutti.<br />

. L’INDIVIDUO ASTRATTO O<br />

FABBRICATO.<br />

Quando Camatte scrive che “<strong>Il</strong> capitale<br />

astrae l’uomo” o che “L’uomo della società borghese<br />

è puro spirito” 12 , fa riferimento, mi sembra,<br />

al processo di alienazione dell’uomo da se<br />

stesso come essere in cui corpo e anima, materia<br />

e spirito, siano uniti indissolubilmente e traggano<br />

l’uno dall’altro alimento e senso. La possibilità<br />

concreta di fabbricare artificialmente l’essere<br />

umano, ancorché per ora limitata nella sua<br />

applicazione (ma secondo alcuni guru della modernità<br />

come il prof. Veronesi, sarà questo il futuro<br />

per tutti), è l’atto finale di un processo progressivo<br />

di distacco dell’uomo dal suo corpo e<br />

dai suoi sensi, in definitiva dalla sua identità più<br />

profonda, nonostante che di corpo si parli fin<br />

troppo sui media. Ma, come abbiamo già detto,<br />

10 <strong>Il</strong> Disvelamento, cit., pag. 61.<br />

11 Ivi, pag. 59.<br />

12 Citazioni tratte da Giorgio Cesarano e la critica capitale, cit.<br />

quelle attuali sono solo “rappresentazioni”! Vale<br />

la pena citare un passo dell’ultimo libro di Claudio<br />

Risè Guarda, tocca, vivi 13 :<br />

Più il corpo diventava un “discorso” – mediatico,<br />

scientifico, politico, artistico, addirittura giuridico<br />

(i celebrati “diritti del corpo”) – più l’esperienza<br />

che l’individuo ne faceva si alleggeriva,<br />

svaporava, diventava più intellettuale che fisica.<br />

[...] Più se ne parlava, più il corpo si allontanava,<br />

alzandosi dalla terra su cui, in tutta la storia<br />

umana, era rimasto saldamente poggiato e<br />

trasferendosi nell’iperspazio virtuale della rete,<br />

sulle immagini dei media, della comunicazione,<br />

dei sogni e degli incubi collettivi. [...] Ai sensi si<br />

sostituivano dunque le parole e i ragionamenti<br />

sui sensi; all’esperienza spontanea, diretta, della<br />

relazione con l’altro si sostituivano i ragionamenti<br />

sull’altro; all’immersione personale nella<br />

natura si sostituiva la descrizione mediatica o<br />

l’organizzazione e la vendita turistica dello<br />

sguardo sulla natura.<br />

Tornando all’appello dei quattro, mi sembra<br />

dunque che, niente affatto estraneo alle riflessioni<br />

di partenza di Camatte e Cesarano, ne eviti<br />

però le secche.<br />

Due della quali sono i concetti di “uscita della<br />

specie dalla preistoria per realizzare la totalità<br />

organica naturante” e la paura della “moltiplicazione<br />

quantitativa”, quasi che la vita si muovesse<br />

secondo un programma interno già stabilito<br />

a priori verso un continuo miglioramento.<br />

Anche restando nell’ambito delle teorie evolutive,<br />

sappiamo bene che se alcune specie si sono<br />

evolute per adattarsi all’ambiente, altre si sono<br />

estinte per lo stesso motivo. La natura non offre<br />

in sé nessuna garanzia di totalità organica. Ciò<br />

che l’uomo può fare è, invece, di modificare la<br />

propria, di natura, diciamo così denaturalizzandosi.<br />

Ossia staccandosi dai processi della natura<br />

per inventarsene dei propri e diversi, artificiali,<br />

ed accedere così ad una nuova realtà virtuale parallela,<br />

un gigantesco Matrix, destinata a soppiantare<br />

la realtà naturale come è sempre stata<br />

vissuta dai primordi ad oggi, così che sarebbe più<br />

giusto parlare non di uscita dalla preistoria ma<br />

13 Sperling & Kupfer, <strong>2011.</strong><br />

28 novembre 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

di inizio di un’altra storia, totalmente diversa.<br />

Questo è, in buona sostanza, il nocciolo della<br />

questione antropologica, di cui fa parte anche<br />

l’ossessione per la moltiplicazione quantitativa<br />

di cui parla Camatte, che peraltro riprende alcuni<br />

passaggi di Marx nei Grundrisse.<br />

. ANGOSCIA E REGRESSIONE IN<br />

CESARANO.<br />

Giustamente Stefano fa notare che quella<br />

paura, quella onnipotente necessità di controllo,<br />

male si sposa con l’amore per la vita. 14 C’è, qui,<br />

una contraddizione interna insanabile, peraltro<br />

non la sola.<br />

Conoscendo Cesarano solo attraverso il libro<br />

di D’Ettorre, ne ho ricavato la sensazione di una<br />

ricerca di senso urgente e indilazionabile, di un<br />

anelito “religioso” verso la perfetta beatitudine<br />

che non si concilia con i limiti del corpo vivente,<br />

tanto da fargli scrivere che<br />

Effettivamente un corpo che è morto è visto dai<br />

corpi vivi emancipato in una sua conclusione in<br />

sé. La morte appare il modo misterioso dell’emancipazione<br />

del corpo, ai corpi vivi che la<br />

guardano. 15<br />

Un’altra vita dunque, disincarnata, che superi<br />

i limiti dell’umano. Ma quale<br />

Una vita, risponde nel Manuale di sopravvivenza,<br />

che sia liberata dall’io.<br />

Non si tratta di liberare l’io, si tratta di liberarsi<br />

dall’io, liberando così la storia dal principio. E<br />

questo fin d’ora. Non c’è nulla da aspettare. <strong>Il</strong><br />

tempo è questo tempo, il tempo della fine del<br />

dolore è il tempo in cui il dolore si fa intollerabile.<br />

16<br />

Posso sbagliarmi, posso non aver compreso il<br />

senso di quelle parole, ma il corpo che si emancipa<br />

con la morte e la liberazione dall’io come<br />

fine del dolore intollerabile di vivere, mi sembra<br />

14 «Ci si chiede: cos’è quella paura della “inumana” (perché<br />

inumana) “moltiplicazione quantitativa” che bisognerebbe in tutti<br />

i modi “controllare” Non è che Camatte alla fin fine abbia<br />

paura della vita stessa, dei suoi eccessi, del suo essere spreco, dono<br />

smisurato» Giorgio Cesarano e la critica capitale, cit., Prefazione, p.<br />

6.<br />

15 Citato in Giorgio Cesarano e la critica capitale, cit., p. 97.<br />

16 Tesi n° 12.<br />

una invocazione al ritorno nel ventre della madre<br />

biologica e della madre terra, che simbologicamente<br />

si identificano. Tanto più che Cesarano<br />

ha studiato le opere, fra gli altri, di Melanie<br />

Klein che si concentrò sul concetto angoscia<br />

primaria dovuta alla separazione dell’unità biologica<br />

madre/bambino e che nel suo lessico, nota<br />

D’Ettorre, abbondano termini quali pienezza,<br />

organicità, intierezza, fusione, totalità, che appunto<br />

contrassegnano lo stato di beatitudine fetale<br />

nel grambo materno interrotta bruscamente<br />

e dolorosamente, e per sempre, con la nascita al<br />

mondo. “L’alieno, ciò in cui irromperà il feto,<br />

cioè nel non corporeo. L’angoscia – scrive ancora<br />

– è il memento vivere della corporeità”. Pare<br />

così che l’invocata “pienezza dell’essere”, la liberazione<br />

dall’alienazione, diventi possibile solo<br />

nel dissolvimento del corpo individuale che torni<br />

alla sua propria origine, oppure in un improbabile<br />

nuovo inizio della specie (la storia contrapposta<br />

alla preistoria) che sembra poggiare<br />

sul nulla, dal momento che tutto, nel passato<br />

“preistorico”, ha negato quella pienezza. È significativo<br />

in questo senso che Camatte, poiché<br />

per lui “tremila anni di arco storico del<br />

capitale” 17 , cioè in pratica tutta la storia (ma poi<br />

perché tremila e non ad esempio quattromila o<br />

duemila) sono opera esclusivamente maschile, e<br />

poiché sarebbe solo preistoria, affidi la invece la<br />

storia vera, ossia la salvezza dell’umanità, alle<br />

donne. “Un’altra dinamica è quindi concepibile<br />

solo a partire da un polo predominante femminile”<br />

18 , scrive. Riappare l’equazione di cui ci siamo<br />

già occupati in altre circostanze. Capitale =<br />

maschile = oppressione = alienazione, e simmetricamente<br />

la sua reciproca al femminile. Riemergono<br />

innocenza e colpevolezza ontologiche<br />

attribuite per sesso, e una mistica della salvezza<br />

non più riposta nel proletariato ma nel genere<br />

femminile come unico “universale”, capace, almeno<br />

in potenza, di costruire il paradiso in terra.<br />

La rivoluzione biologica si arena così nella<br />

regressione o nell’indeterminatezza immaginifi-<br />

17 “Amore o combinatoria sessuale” in <strong>Il</strong> Disvelamento, cit.,<br />

pag. 67.<br />

18 Ibidem.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 669


| ( 7 ) |<br />

ca di un uomo senza passato e senza identità sociale<br />

e individuale, negate come specchio deformante<br />

che altri impongono al soggetto. “La parola<br />

dis-conoscente”, “I nomi che negano”, “Gli<br />

occhi che ti inchiodano a ciò che non sei”, “Gli occhi<br />

del padre, della madre, gli occhi dei fratelli, gli occhi<br />

dei figli”, sono espressioni eloquenti, in definitiva,<br />

dell’impossibilità di relazione umana autentica.<br />

L’esito non può non essere che la solitudine<br />

esistenziale, perché negando ogni veridicità<br />

dello sguardo dell’altro su di noi, si nega anche<br />

la veridicità del nostro sguardo sull’altro.<br />

. UNA NUOVA RELIGIONE LAICA.<br />

Paralizzata nell’oscillazione fra la nostalgia<br />

per una impossibile totalità armonica che sfocia<br />

in regressione mortifera e la fuga in avanti di un<br />

salto evolutivo che nel recidere ogni legame con<br />

il passato rischia di affidarsi inerme a nuovi stregoni<br />

(contraddicendo le proprie premesse e i fini<br />

dichiarati, nonché scivolando in una forma di<br />

razzismo), fra pessimismo angosciato e volontà<br />

prometeica, quell’area culturale riesce a pensare<br />

l’essere umano solo in senso di dicotomia assoluta.<br />

Da un lato capace di conquistare la pienezza<br />

dell’essere qui ed ora “solo” che si liberi dal dominio<br />

reale del capitale, dall’altro, però, incapace<br />

di produrre autonomamente anticorpi ai pericoli<br />

(reali) ai quali è esposto, e incapace continuare<br />

a pensarsi, pur abitando questo mondo,<br />

con categorie estranee alla dinamica imboccata<br />

dalla modernità.<br />

“Da questo mondo gravido di catastrofi non<br />

c’è da aspettarsi nulla […] Bisogna lasciarlo e<br />

cominciare un’altra dinamica di vita” 19 , perché,<br />

scrive Camatte, “La comunità umana si pone al<br />

di fuori di questo mondo” 20 .<br />

Gli fa eco Cesarano quando, in Cronaca di un<br />

ballo mascherato, parla con evidente disprezzo<br />

per l’uomo come è, di “collettività –sotto umana”,<br />

o di una “umanità” (virgolettato suo) fatta<br />

di automi che, come in ogni gnosi, può essere<br />

salvata solo dagli iniziati al vero sapere, quasi<br />

fossero costoro nuovi Dei o meglio nuove, e an-<br />

19 Ivi, pag. 69.<br />

20 “Marx e il Gemeinwesen” in <strong>Il</strong> Disvelamento, cit., pag. 12.<br />

tichissime, Dee.<br />

Dicevo all’inizio della componente soteriologica<br />

di Marx, che Camatte e Cesarano assumono<br />

sostituendo al proletariato il genere femminile, e<br />

con ciò spostandosi dal terreno dei puri rapporti<br />

socio/economici su quello di una neo-religione<br />

matriarcale ri-naturalizzata, e in buona sostanza,<br />

anche se non lo ammetterebbero mai, arcaica.<br />

Perché infine di questo si tratta quando il<br />

primo scrive che “l’eterno femminino [...] è il<br />

dato della comunità” 21 , con ciò riallacciandosi<br />

alle contestate teorizzazioni di Bachofen sul matriarcato<br />

originario e ad Engels che quelle tesi<br />

riprese in L’origine della famiglia, ma anche liquidando<br />

millenni si sforzo dell’umanità per acquisire<br />

coscienza di sé, per uscire dall’indistinzione<br />

originaria e dalla “partecipation mistique”<br />

al cosmo, riduttivamente letti come il cammino<br />

(maschile) del dominio del capitale. Tutto, o<br />

quasi tutto, converge verso questa interpretazione.<br />

Sul piano filogenetico quando appunto si<br />

pensa alla comunità reale contrapposta alla comunità/capitale<br />

fittizia, e da ricostituire sul calco<br />

di quella originaria di carattere femminile.<br />

Sul piano ontogenetico quando, come ho già<br />

scritto, si pensa nostalgicamente alla fusionalità<br />

feto/madre e a quella condizione paradisiaca in<br />

grado di soddisfare esaudire ogni desiderio e<br />

soddisfare ogni bisogno. Valga, e mi fermo, la<br />

lettura del punto 11 dell’appendice “Ciò che non<br />

si può tacere” al testo di Cesarano, Coppo e Fallisi<br />

Cronaca di un ballo mascherato. Vi si legge:<br />

La vera fame è millenaria: già carica della sapienza<br />

di sé che le consente d’insorgere contro<br />

ogni eteronomia tesa a ricacciarla in un limite<br />

designato come l’insuperabilità della “condizione<br />

umana”. Questo il senso dell’autogenesi<br />

creativa: l’autogestione generalizzata come abbattimento<br />

reiterato d’ogni barriera al farsi<br />

umano, all’origine in divenire della specie signora<br />

in sé; lotta a oltranza contro ogni riprodursi<br />

aggiornato della ristrettezza politica; abolizione<br />

violenta di ogni potere delle contingenze<br />

amministrate sulla pelle degli oppressi e a loro<br />

nome; riconoscimento e rigenerazione, contro il<br />

21 “Contro ogni attesa” in <strong>Il</strong> Disvelamento, cit., pag. 67.<br />

28 novembre 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

bisogno, del desiderio; inverarsi della passione<br />

di vivere contro ogni retorica del limite e ogni<br />

poetica del sacrificio. Le condizioni di questa<br />

lotta sono inscritte nel desiderio di comunismo<br />

come il desiderio di comunismo è inscritto nell’iter<br />

preistorico. 22<br />

Abbastanza facile notare, a oltre quarant’anni<br />

da quelle parole, che ancora una volta, il capitale<br />

si è appropriato sia del desiderio che del comunismo<br />

per riproporli nelle sue proprie forme<br />

di rappresentazione fittizia e distorta. <strong>Il</strong> che dovrebbe<br />

far riflettere sul fatto che mentre quelle<br />

domande di senso e di comunità sono reali, confermate<br />

e giustificate nel mondo post-moderno<br />

ancor più di ieri, la strada proposta è stata totalmente<br />

fallimentare.<br />

Esaltazione aprioristica del desiderio, rifiuto<br />

di accettare i limiti della condizione umana, della<br />

stessa identità storica di individui e popoli, sono<br />

proprio gli ingredienti utilizzati per rendere<br />

“liquida” la società e liquidi gli individui che la<br />

compongono, senza che questi, disarmati spiritualmente<br />

anche dalle idee muoventesi in quell’ambito<br />

intellettuale, e oltre le “buone intenzioni”<br />

di chi le ha elaborate, oppongano significativa<br />

resistenza. Per cui le stesse parole di Cesarano,<br />

le avanguardie della politica e della pop-politica<br />

militante agiscono come il forzuto idiota delle<br />

comiche, che per sfondare porte aperte, finisce<br />

con tutta la forza nel bidone delle immondizie,<br />

23<br />

potrebbero calzare perfettamente per la sua<br />

elaborazione e per gli esiti della “totalizzazione<br />

organica della propria rivolta radicale” 24 . Eterogenesi<br />

dei fini.<br />

Se a tanto tempo di distanza siamo ancora a<br />

indugiare su questi temi non è solo per curiosità<br />

storica o per “archeologia culturale”, ma per<br />

l’incapacità (o l’impossibilità) della sinistra in<br />

tutte le sue ramificazioni, progressista e “anta-<br />

22 Giorgio Cesarano, Piero Coppo, Joe Fallisi, Cronaca di un<br />

ballo mascherato,Varani Editore, Milano 1983. Cit. da pag. 13 dell'edizione<br />

elettronica disponibile in rete a<br />

www.nelvento.net/pdf/Cronaca-di-un-ballo-mascherato.pdf.<br />

23 Citato in Giorgio Cesarano e la critica capitale, cit., p. 19.<br />

24 Ivi, p. 60.<br />

gonista” ma anche libertaria, a fare davvero i<br />

conti con la cultura che a partire dalla fine degli<br />

anni ’60 ha creduto di diventare egemone e costituire<br />

la leva di un vero cambiamento sociale<br />

nel senso della libertà, mentre invece è stata fagocitata<br />

dall’avversario di cui è diventata strumento<br />

e veicolo. Al centro di questa incapacità o<br />

impossibilità esiste, in sostanza, il rifiuto del cristianesimo<br />

e della sua antropologia, letti in modo<br />

del tutto superficiale e contingente come bastioni<br />

del potere, e in particolare del capitalismo.<br />

È naturalmente del tutto legittimo indagare<br />

in maniera critica non solo le contaminazioni<br />

materiali fra la Chiesa e il potere, ma anche il<br />

rapporto fra universalismo cristiano e il suo<br />

messaggio di libertà individuale, con gli sviluppi<br />

dell’Occidente. Ciò che invece è oggi del tutto<br />

inammissibile è attardarsi in letture legate alle<br />

contingenze, e non scorgere che proprio nel nucleo<br />

di quel messaggio, mai rinnegato dalla<br />

Chiesa, esistono gli antidoti alla deriva antropologica<br />

che pure è ammessa da tutti, con ciò consegnandosi<br />

mani e piedi a tutto ciò che si dice di<br />

voler combattere.<br />

. TORNANDO ALL’APPELLO.<br />

È per questo che l’iniziativa di Barcellona,<br />

Tronti, Vacca e Sorbi deve essere salutata come<br />

una novità importante. Una parte della sinistra,<br />

quantunque nettamente minoritaria, si riappropria<br />

nei fatti, e laicamente, di concetti e principi<br />

convergenti con la visione cristiana di un umanesimo<br />

integrale messo in pericolo dalla postmodernità.<br />

La concezione cristiana è incompatibile<br />

con lo sfruttamento/stravolgimento incondizionato<br />

della natura organica e inorganica<br />

perché si rivela, alla fine, irrazionale e contrario<br />

al benessere vero della persona che non è solo<br />

funzione della ricchezza materiale disponibile;<br />

ma è incompatibile anche con l’identificazione<br />

totale dell’uomo in essa, data la posizione speciale<br />

che occupa nel suo ambito. È quindi incompatibile<br />

sia con uno sviluppo capitalistico<br />

che pieghi entrambi al profitto, sia con quelle<br />

concezioni che, in nome di un continuum indifd<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 669


| ( 9 ) |<br />

ferenziato, vorrebbero un ritorno integrale alla<br />

Madre Terra più o meno dissimulato. E come il<br />

destino dell’umanità è l’emancipazione dalla<br />

“partecipation mistique” con la natura, altrettanto<br />

il destino del singolo è l’emancipazione<br />

dal rapporto fusionale con la propria madre biologica.<br />

Emancipazione alla base della quale è la<br />

ferita impressa al figlio dal padre, così come la<br />

salvezza dell’umanità è resa possibile dal sacrificio<br />

del Figlio voluto, per amore delle sue creature,<br />

dal Padre. Quando si perdono o si rifiutano<br />

queste coordinate, che poi non sono altro che la<br />

coscienza del limite, non rimangono altre alternative<br />

che la pervasività del capitale antropoformizzato<br />

o la regressione a forme di matriarcato<br />

che, in nome della legge del desiderio e della sua<br />

istantanea soddisfazione, finiscono per convergere<br />

nei fatti col primo. Tutto può essere detto<br />

della Chiesa, ma non che non abbia tenuti fermi<br />

i suoi capisaldi antropologici, fra i quali spicca la<br />

difesa della dignità e della libertà della persona<br />

umana dal concepimento alla morte. Questa formulazione<br />

non ha solo un significato simbolico,<br />

e non solo vuole sottrarre al capitale, o se si vuole<br />

usare un altro linguaggio alla legge del profitto,<br />

i due momenti chiave dell’esistenza, ma ha<br />

anche un importante riverbero sul piano sociale.<br />

Sottolineando l’unitarietà di ogni momento della<br />

vita dell’uomo, afferma anche che dignità e libertà<br />

non sono segmentabili rispetto ai diversi<br />

momenti dell’esistenza. Se non esiste dignità e<br />

libertà della persona quando è lesa la giustizia<br />

sociale, altrettanto non può esistere giustizia sociale<br />

autentica quando quei principi sono lesi in<br />

uno qualsiasi dei momenti di cui si compone la<br />

vita. Nella lettera/appello dei quattro intellettuali,<br />

il richiamo alla dottrina sociale della<br />

Chiesa combinato con la difesa della dignità<br />

umana dal concepimento alla morte, significa<br />

una ulteriore presa di consapevolezza che ne accresce<br />

il valore. Non c’è che augurarsi che abbia<br />

un seguito.<br />

ARMANDO ERMINI<br />

a Una lettera aperta su marxismo<br />

e religione.<br />

DI COSTANZO PREVE<br />

Fonte: Arianna Editrice 21 novembre <strong>2011.</strong><br />

Alla vigilia del convegno politico dei cattolici<br />

a Todi (17 ottobre 2011) un gruppo di intellettuali<br />

di formazione marxista ha firmato una interessante<br />

lettera aperta. Si tratta del filosofo del<br />

diritto Barcellona, del sociologo Paolo Sorbi,<br />

del filosofo già teorico dell'operaismo italiano<br />

Mario Tronti e dello storico barese Giuseppe<br />

Vacca, autore di studi apologetici su Togliatti e<br />

la linea politica del PCI negli anni Settanta e<br />

Ottanta.<br />

Benché io non abbia assolutamente nulla che<br />

fare con l'ambiente intellettuale di questi distinti<br />

signori, e sia uscito dalla loro cultura e del loro<br />

riti di appartenenza identitaria da molto tempo,<br />

devo dire che concordo pienamente con loro nel<br />

metodo e del merito, e mi permetto di fare alcune<br />

ulteriori osservazioni.<br />

1. Essi si collocano sul terreno del PD, “partito<br />

di credenti e di non credenti", e lo invitano<br />

ad un dialogo con la Chiesa cattolica (e quindi<br />

non solo con generici e indifferenziati credenti),<br />

a partire da una nuova emergenza antropologica<br />

il cui aspetto più allarmante è la manipolazione<br />

biologica genetica della vita. Inoltre propugnano<br />

l'apertura di un dialogo pubblico su due temi<br />

del magistero di Benedetto XVI, e cioè rispettivamente<br />

il rifiuto del relativismo etico ed il concetto<br />

di valori non negoziabili.<br />

La risposta laica non è mancata, ed è venuta<br />

con una lettera sull'Unità dello storico PD<br />

Francesco Benigno, che ha parlato di “marxisti<br />

ratzingeriani", i quali avrebbero compiuto una<br />

doppia semplificazione: ridurre il ruolo della religione<br />

nel mondo contemporaneo a quello della<br />

presenza della sola Chiesa cattolica, escludendo<br />

la pluralità delle fedi, e di sorvolare non solo<br />

sulle divergenze del mondo cristiano ma anche<br />

su quelle interne allo stesso mondo cattolico.<br />

Ripeto: sono completamente estraneo al<br />

mondo dei cosiddetti “intellettuali di sinistra", e<br />

28 novembre 2011 Anno XI


| ( 10 ) |<br />

tanto più al mondo dei fiancheggiatori culturali<br />

del Partito democratico, ma l'argomento mi interessa<br />

molto, e per questo ritengo opportuno<br />

fare alcune osservazioni.<br />

2. In primo luogo non ha nessun senso parlare<br />

di “marxisti ratzingeriani", in quanto oggi<br />

nessuno sa seriamente dire chi è ancora marxista<br />

e chi non lo è più da tempo. Venuto meno il canone<br />

marxista comune, sia eretico che ortodosso,<br />

frantumate le discipline specialistiche su basi<br />

universitarie (filosofi, politologi, economisti,<br />

storici, sociologi, eccetera), il marxismo segue<br />

ormai nel mondo intero il principio pirandelliano<br />

del “così è se vi pare".<br />

Si è qui invece palesemente di fronte non tanto<br />

di un discorso sul marxismo e la religione, il<br />

suo ruolo sociale ed il suo contenuto o meno di<br />

verità o di falsità, quanto ad una valutazione sul<br />

laicismo assai più che sulla laicità costituzionale,<br />

che nessuno mette più seriamente in discussione.<br />

I quattro firmatari (che hanno tutto il mio assenso)<br />

rifiutano il terreno laicista alla Pannella-<br />

Bonino (No Taleban, No Vatican), che è disposto<br />

al massimo a riconoscere ai cattolici un ruolo<br />

caritativo subalterno di assistenza a drogati, malati<br />

e poveracci vari, e che riconosce ipocritamente<br />

un ruolo ai cattolici come belatori ritualistici<br />

in cortei pecoreschi di generiche grida di<br />

“paceee, paceee" approvando simultaneamente<br />

le guerre e di bombardamenti contro i dittatori<br />

barbuti o baffuti. È questa la linea dei vari Bertinotti,<br />

Diliberto, Vendola, eccetera: la Chiesa<br />

non ficchi il suo naso medievale sui costumi modernizzati<br />

e sui diritti assoluti degli individui, e<br />

poi le si può riconoscere un ruolo integrativo subalterno<br />

sui “valori", e sull'integrazione dello<br />

smantellamento dei sistemi di welfare state. Eutanasia,<br />

manipolazione genetica incontrollata,<br />

matrimonio gay, eccetera, e poi si può sempre<br />

concedere ai preti di fornire ciotole di minestra<br />

ai poveracci ed alle suore di pulire caritatevolmente<br />

il culo agli invalidi e paralitici che non<br />

sono in grado di pagarsi privatamente badanti<br />

rumene o moldave. Di fronte a questa cialtroneria<br />

da ipocriti è evidente che il manifesto dei<br />

quattro intellettuali è tutto oro colato.<br />

3. Ma vediamo ora il problema filosofico del<br />

“relativismo etico". È noto che il corpaccione<br />

intellettuale colto di “sinistra" è passato in massa<br />

negli anni Ottanta da Hegel e Marx (sia pure<br />

letti storicisticamente con gli occhiali croce-gentiliani<br />

di Gramsci) a Nietzsche e Heidegger<br />

letti con gli occhiali di Vattimo e di Cacciari.<br />

Questo passaggio al postmoderno è basato proprio<br />

sul relativismo etico come terreno del rifiuto<br />

di un concetto normativo di natura umana,<br />

che parte da Aristotele e giunge anche alla fine<br />

al concetto marxiano di “ente naturale generico"<br />

(Gattungswesen), che però non è affatto un<br />

involucro vuoto destinato ad essere riempito di<br />

ogni aleatoria casualità storica, ma significa adeguamento<br />

alle potenzialità (l'aristotelica dynamei<br />

on) della vera natura dell'uomo. L'antropologia<br />

ratzingeriana è aristotelismo puro, ed a<br />

mio avviso prescinde completamente dalla credenza<br />

in un disegno intelligente o in un creazionismo<br />

più o meno antropomorfizzato. So bene<br />

che il teologo bavarese Ratzinger non la ammetterebbe,<br />

ma personalmente credo che la sua visione<br />

antropologica sarebbe valida anche se Dio<br />

non esistesse (etsi Deus non daretur).<br />

Detto questo, Ratzinger, nel suo rifiuto di<br />

Marx (evidentemente ridotto ad economista ricardiano<br />

ateo ed a politologo dittatoriale totalitario),<br />

non riesce spiegare le radici economiche<br />

sociali del relativismo, e si ha allora il paradosso<br />

del fatto che da un lato accetta il capitalismo, e<br />

dall'altro non vuole il relativismo, che ne è un<br />

portato culturale inevitabile. La moderna forma<br />

assoluta, totalitaria e “speculativa" di capitalismo,<br />

infatti, si è lasciata alle spalle i vecchi limiti<br />

borghesi e proletari, e nella sua deriva post-borghese<br />

e post-proletaria “relativizza" ormai tutto<br />

alla forma di merce e alla solvibilità monetaria<br />

del suo portatore. Non a caso il fondatore filosofico<br />

dell'auto-istituzione su se stessa della società<br />

capitalistica, lo scettico relativista scozzese<br />

David Hume, aveva rifiutato ogni fondazione<br />

religiosa (Dio), filosofica (il diritto naturale),<br />

politica (il contratto sociale), propugnando la<br />

totale auto-fondazione dell'economia politica su<br />

se stessa, e cioè sull'abitudine allo scambio radid<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 669


| ( 11 ) |<br />

cata nella natura umana. È quindi impossibile<br />

essere “marxisti ratzingeriani", con tutta la buona<br />

volontà. Si tratta di un epiteto laicista, tipico<br />

della cultura odiosa dei Bonino-Pannella, che va<br />

molto al di là delle nicchie dei radicali propriamente<br />

detti.<br />

4. Passiamo ora al concetto di valori non negoziabili.<br />

Nell'ottica cattolica si tratta essenzialmente<br />

se non esclusivamente della vita, con il<br />

correlato rifiuto dell'eutanasia, accettando però<br />

il rifiuto del cosiddetto “accanimento terapeutico",<br />

che però ormai è diventato un dato della<br />

prassi medica informata largamente non ideologico<br />

ed accettato da tutti. Ma quali sono i valori<br />

non negoziabili Certamente la vita, ma come<br />

allargarne la natura <strong>Il</strong> discorso qui si fa simile a<br />

quello del tempo del giusnaturalismo, in cui si<br />

trattava di stabilire quali fossero, e se vi fossero,<br />

dei diritti naturali. Qualcuno ne toglieva, e<br />

qualcuno ne aggiungeva (ad esempio, il diritto di<br />

resistenza alla tirannia).<br />

Per la Chiesa cattolica, la famiglia è un diritto<br />

non negoziabile. Sono pienamente d'accordo.<br />

Non nascondiamoci dietro un dito. La cultura<br />

laicista odia la famiglia, e non perde occasione<br />

per delegittimarla, partendo dalle sue innegabili<br />

patologie, senza tener conto che esistono certamente<br />

patologie della famiglia, ma esistono patologie<br />

ancora maggiori dei cosiddetti single, e<br />

cioè della non-famiglia. Dietro l'apologia delle<br />

coppie gay non ci sta soltanto un giustificato riconoscimento<br />

dei diritti delle convivenze (che<br />

non mi sogno minimamente di negare, impedire<br />

o rendere difficili), ma ci stavano proprio odio<br />

futuristico per la cosiddetta “normalità" piccolo-borghese,<br />

ereditata dalla vecchia cultura<br />

avanguardistica novecentesca.<br />

E tuttavia fra i diritti non negoziabili io inserisco<br />

il diritto alla casa, alle cure mediche, all'abitazione<br />

per tutti ed al lavoro. A mio parere,<br />

se ci mettiamo sul piano dei diritti umani non<br />

negoziabili, anche questi sono valori non negoziabili.<br />

Accettando il capitalismo, e per di più<br />

nella forma americana globalizzata neoliberale<br />

gestita oggi dal partito degli economisti contro<br />

quello dei politici, la Chiesa cattolica di fatto<br />

promuove l'ipocrisia. Certo, il quotidiano Avvenire<br />

è culturalmente molto meglio di Repubblica,<br />

ma Casini ed il suo elettorato cattolico, ed anche<br />

Fioroni ed il suo, credo proprio che non estendano<br />

il principio della non-negoziabilità dei valori<br />

anche a quanto detto sopra.<br />

A parole, la sinistra è per l'egualitarismo, ed<br />

ecco perché si è tanto riconosciuta nel libro di<br />

Bobbio a proposito della dicotomia Destra/ Sinistra.<br />

Ma nei fatti, avendo delegato la riproduzione<br />

sociale al partito degli economisti (più a<br />

destra di Gengis Khan e di Attila, re degli Unni),<br />

questo è rimasto sulla carta.<br />

Tanti problemi aperti. E comunque una lode<br />

ai quattro intellettuali. Meglio loro del ghigno<br />

teratomorfo di Pannella e dei laicisti fanatici.<br />

COSTANZO PREVE<br />

a Pietro Barcellona (scheda).<br />

DI ARMANDO ERMINI<br />

Pietro Barcellona è uomo di lunga militanza<br />

a sinistra, senza che ciò gli impedisca una critica<br />

anche impietosa della sua elaborazione politica e<br />

culturale di cui coglie da tempo le macroscopiche<br />

contraddizioni. Come, ad esempio, quando<br />

ne nota lo slittamento verso la teorizzazione di<br />

forme di radicalismo di massa individualistico.<br />

In Alzata con pugno. Dentro la crisi della sinistra<br />

(Città aperta Edizioni. 2002), polemizzando col<br />

filosofo francese decostruzionista Jean Luc<br />

Nancy scrive:<br />

“Nancy decostruisce infatti ogni discorso sulla<br />

libertà, giacché, se si intende parlare di libertà si<br />

deve fatalmente sottostare ai vincoli della grammatica,<br />

della sintassi e ai presupposti di ogni<br />

strategia discorsiva e quindi si intrappola la libertà<br />

entro un paradigma che la vincola fin dall'inizio,<br />

vanificando la sua vocazione radicale,<br />

28 novembre 2011 Anno XI


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estrema, all'assenza di ogni vincolo. Bisogna essere<br />

liberi di essere liberi, e cioè esperire nella<br />

relazione dell'agire l'avvenire di se stessi e del<br />

mondo in una pura reciprocità/fattività senza<br />

valore/i. [...] Piuttosto questa libertà del “farsi"<br />

nella pura fisicità relazionale dei “corpi", questa<br />

singolarità così puntiforme da non poter essere<br />

declinata neppure in un discorso, è in sorprendente<br />

sintonia con la libertà di quanti intendono<br />

affermare che nessun vincolo può essere<br />

posto al “desiderio singolare" di procreare un<br />

figlio anche attraverso le tecniche e gli artifici<br />

che oggi consentono praticamente di produrre<br />

embrioni utilizzando gameti e oviciti di varia<br />

provenienza, e di impiantarli in un utero consenziente.<br />

Poiché [...] dubito fortemente che<br />

siffatte pratiche rispondano ad autentiche esigenze<br />

di liberazione e ritengo anzi che esse rischiano<br />

di alterare lo statuto antropologico<br />

(psico-sociale) costruito attraverso millenni dagli<br />

abitanti di questo pianeta (come patrimonio<br />

di tutti gli uomini, in quanto opera di tutti), mi<br />

permetto di formulare alcuni dubbi su siffatto<br />

modo di concepire la libertà, e ancor più sulla<br />

sua connotazione di sinistra. […] <strong>Il</strong> progetto di<br />

libertà non può mai significare per ciò stesso assoluta<br />

assenza di vincoli e norme, e nessuno può<br />

reclamare, argomentando filosoficamente dall'assenza<br />

di leggi eterne e dall'assenza di significati<br />

e senso trascendenti, la disponibilità individuale/singolare<br />

dei processi che coinvolgano<br />

l'esistenza di tutti nella forma storico sociale in<br />

cui si dà, specie del processo di procreazione di<br />

altri esseri umani che di per sé coinvolge i rapporti<br />

fra le generazioni e lo stesso modo in cui<br />

ciascuno si rappresenta come figlio di altri uomini.<br />

[…] Quanto, infine, al nesso fra libertà e<br />

sinistra vorrei aggiungere che trovo assai strano<br />

combattere il liberismo economico e poi sostenere<br />

il radicalismo libertario in una materia così<br />

complessa e così densa di implicazioni collettive<br />

come la procreazione dei futuri uomini.”<br />

Eppure è esattamente questo l'ambito culturale<br />

in cui si muove ormai tutta la sinistra. Ma, a<br />

parte ciò, è da notare che Barcellona, parlando<br />

di fisicità relazionale dei corpi, e di libertà senza<br />

vincoli, si muove, polemizzando, nell'ambito dei<br />

concetti di “rivoluzione biologica" e di appagamento<br />

istantaneo del desiderio cari a Camatte e<br />

Cesarano. Non è il solo punto in cui le idee di<br />

Barcellona intersecano le loro, pur traendone<br />

conseguenze diverse. Quando scrive infatti (op.<br />

Cit) che “ormai siamo entrati talmente in questa<br />

società (è la storia dell'auto-introiezione dei valori<br />

dominanti) da pensare che l'economia e il<br />

mercato sono, come dicono, una cosa naturale,”<br />

esiste una assonanza stretta con il concetto di<br />

antropomorfosi del capitale. Allo stesso modo,<br />

allorché scrive che “non c'è un modo per misurare<br />

i valori perché siamo in una economia che<br />

sta sfuggendo da tutti i lati alle categorie classiche”,<br />

se ne deve dedurre logicamente l'obsolescenza<br />

delle corrispondenti categorie della politica<br />

come classe o lotta di classe, le quali rimangono<br />

in piedi solo come "rappresentazioni".<br />

“Può costrirsi il conflitto politico — si chiede<br />

— ancora sull'antagonismo fra capitale e lavoro”<br />

In questo senso Barcellona riconosce a Debord<br />

e ai situazionisti la giustezza dell'intuizione<br />

che la nostra è ormai la società dello spettacolo,<br />

anche se poi critica lo stesso Debord per essersi<br />

fossilizzato su di essa.<br />

Merita infine un cenno il tema rapporto individuo/comunità<br />

che B. problematizza dichiarandosi<br />

contrario all'idea di Comunità per l'istanza<br />

di chiusura che comporterebbe, ma contrario<br />

anche all'idea di un individuo “cittadino del<br />

mondo". Cesarano e Camatte hanno a lungo insistito<br />

sul tema della Comunità a partire dal<br />

concetto di Gemeinwesen in Marx e dalla loro<br />

elaborazione sulla Comunità/capitale. Potrebbe<br />

essere questo un argomento da sviluppare su <strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>, anche alla luce dell'interpretazione che<br />

ne offre un altro filosofo non ortodosso di estrazione<br />

marxista come Costanzo Preve. (A. E.)<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 669


| ( 13 ) |<br />

a Mario Tronti (estratti).<br />

. DA “UN’AUTOBIOGRAFIA FILOSOFICA”.<br />

Fonte e © www.centroriformastato.org pubblicata in Storia<br />

della filosofia, 14, Filosofi italiani contemporanei, Le Grandi<br />

Opere del Corriere della Sera, Bompiani, Milano 2008,<br />

pp. 586-595<br />

[…] Risale agli anni universitari l’incontro<br />

con l’opera di Marx, intorno a cui ruoterà gran<br />

parte della sua produzione intellettuale. Ma i<br />

primi due scritti editi riguardano la figura di<br />

Gramsci, il suo concetto di filosofia della prassi,<br />

in rapporto con la tradizione dell’idealismo italiano<br />

di Croce e di Gentile.<br />

E qui si verifica il primo strappo con l’ortodossia<br />

allora imperante nel marxismo italiano,<br />

lo storicismo della linea De Sanctis - Labriola -<br />

Croce - Gramsci. Attraverso Lucio Colletti, assistente<br />

nella cattedra di Filosofia teoretica di<br />

Spirito, fa propria la lettura di Marx, elaborata<br />

da Galvano Della Volpe, lettura antihegeliana,<br />

antistoricista, neomaterialistica. Studia la logica<br />

del Capitale, soprattutto attraverso la valorizzazione<br />

della marxiana Einleitung del ’57. Traduce<br />

e presenta alcuni scritti giovane-marxiani che<br />

anticipano la più matura critica dell’economia<br />

politica (K. Marx, Scritti inediti di economia politica,<br />

Editori Riuniti, Roma 1963). È la scelta di<br />

un marxismo critico, non catechistico, non dogmatico.<br />

Questa posizione teorica si aggancia a<br />

un’esperienza pratica, molto intensa, che è quella<br />

dell’operaismo dei primi anni Sessanta. Accomuna<br />

le due cose un radicalismo di fondo, che<br />

privilegia il conflitto tesi-antitesi, senza margini<br />

per la sintesi. In questa fase la ricerca intellettuale-politica<br />

di Tronti si concentra sull’analisi<br />

del capitalismo fordista e taylorista, come si realizzava<br />

nella grande fabbrica, e sull’emergere di<br />

un nuovo tipo di lotte operaie, centrate sulla figura<br />

dell’operaio-massa, l’operaio alla catena di<br />

montaggio. Intanto, rileggeva il Marx del Primo<br />

Libro del Capitale e dei Grundrisse. E sullo<br />

scontro frontale, tipico del capitalismo industriale<br />

sviluppato, tra salario e profitto, viene<br />

O<br />

S<br />

R<br />

<strong>Il</strong> dominio del "capitale", esercitato dietro le<br />

quinte, non è ancora una forma, anche se può<br />

certamente svuotare una forma politica esistente<br />

e ridurla a vuota facciata. Se il capitale riesce in<br />

questo intento, potrà dire di avere completamente<br />

“spoliticizzato" lo Stato; se il pensiero economico<br />

riesce a realizzare i propri fini utopistici, di<br />

condurre la società umana ad una condizione assolutamente<br />

impolitica, la Chiesa resterà l'unica<br />

depositaria di pensiero politico e di forma politica:<br />

deterrebbe così un monopolio mostruoso, e la<br />

gerarchia ecclesiastica sarebbe allora più vicina<br />

al dominio politico mondiale di quando lo sia<br />

mai stata nel medioevo. Ma secondo la sua stessa<br />

teoria e la sua struttura ideale, la Chiesa non dovrebbe<br />

affatto desiderare una situazione di questo<br />

tipo, dato che presuppone accanto a sé lo<br />

Stato politico, una società perfecta e non un trust<br />

d'interessi.<br />

CARL SCHMITT, Cattolicesimo romano e forma<br />

politica, il Mulino, Bologna 2010<br />

(ed. orig. 1923), pp. 50–51.<br />

V<br />

elaborato il concetto di «punto di vista operaio»,<br />

una parzialità, soprattutto di lotta, la sola in<br />

grado di cogliere la totalità del processo di produzione,<br />

circolazione, consumo e riproduzione<br />

allargata.<br />

Gli scritti pubblicati nella rivista periodica<br />

Quaderni rossi, diretta da Raniero Panzieri, e poi<br />

nel mensile Classe operaia, Giornale politico degli<br />

operai in lotta, diretta dallo stesso Tronti, verranno<br />

poi raccolti, insieme a un lungo saggio<br />

inedito, Marx, forza-lavoro, classe operaia, in<br />

un volume Einaudi che esce nel 1966, Operai e<br />

capitale. […]<br />

Chi vuole saperne di più dell’esperienza dell’operaismo,<br />

che tra l’altro insieme a Tronti<br />

coinvolse personalità come quelle di Alberto<br />

Asor Rosa, Toni Negri, Massimo Cacciari e<br />

molti altri, ha a disposizione oggi un documentato<br />

libro, di 900 pagine, uscito nel 2008 presso<br />

DeriveApprodi, L’operaismo degli anni Sessanta,<br />

[…] La figura di Mario Tronti è rimasta legata,<br />

e quasi imprigionata, nella figura di leader teorico<br />

dell’operaismo. Questo in virtù del successo<br />

28 novembre 2011 Anno XI


| ( 14 ) |<br />

dell’opera pubblicata da Einaudi, a soli trentacinque<br />

anni. Ma il periodo che racchiude questa<br />

esperienza è di fatto molto breve, niente più che<br />

gli anni Sessanta. Già alla fine del decennio, il<br />

suo pensiero scarta verso un orizzonte molto diverso.<br />

È la fase che occuperà tutti gli anni Settanta<br />

e tutti gli anni Ottanta, e che va sotto il titolo<br />

di «autonomia del politico». […] Sulla base<br />

dell’esperienza fatta, che vedeva le lotte operaie<br />

non in grado di mettere in crisi il meccanismo<br />

della produzione capitalistica, si ricavava la conseguenza<br />

che il terreno del politico, tutto nelle<br />

mani della parte avversa, era proprio quello che<br />

impediva uno sfondamento delle linee. Con questo<br />

terreno bisognava allora fare i conti, impadronirsi<br />

della sua logica di funzionamento, occupare<br />

parte del territorio per contrastarlo dall’interno.<br />

Una tesi molto difficile da accettare in<br />

un ambito marxista, che vedeva il politico sempre<br />

determinato dal sociale, come questo era determinato<br />

dall’economico. La, non assoluta ma<br />

relativa, autonomia del politico da queste condizioni<br />

strutturali sarà l’altra grande eresia trontiana,<br />

che si svilupperà e approfondirà negli anni<br />

a seguire.<br />

[…] Dai primi anni Settanta fa data […] l’incontro<br />

di Mario Tronti con la personalità e l’opera<br />

di Carl Schmitt, incontro determinante per<br />

la piega che il suo pensiero prenderà negli anni<br />

successivi. Qui si realizza la vecchia idea trontiana<br />

dell’uso rivoluzionario del grande pensiero<br />

conservatore. Ha scritto: ci serve di più, per capire,<br />

un grande reazionario che un piccolo rivoluzionario.<br />

Tronti è tra quelli che hanno introdotto<br />

Schmitt in Italia ed è quello che ha cercato,<br />

tra grandi difficoltà, di introdurlo nel discorso<br />

della sinistra italiana. Ne La politica al tramonto,<br />

Einaudi, 1998, un capitolo porta il titolo<br />

«Karl und Carl», per sottolineare, anche qui allusivamente,<br />

la necessità di completare Marx<br />

con Schmitt.<br />

Intanto l’orizzonte si allarga, i tempi intristiscono<br />

e si corrompono, e cioè cambiano, ma<br />

in senso opposto a quello che gli anni Sessanta<br />

avevano fatto intravedere, avanza la crisi dei<br />

fondamenti, strutturali e teorici, di quel mondo<br />

O<br />

S<br />

R<br />

È impossibile una riunificazione fra la Chiesa<br />

cattolica e l'odierna forma dell'industrialismo<br />

capitalistico. All'alleanza di trono ed altare non<br />

seguirà quella di ufficio ed altare, né quella di<br />

fabbrica e altare. [...] Rimane tuttavia ben vero<br />

che il cattolicesimo saprà adattarsi ad ogni ordine<br />

sociale e politico, anche a quello in cui dominano<br />

gli imprenditori capitalistici o le organizzazioni<br />

dei lavoratori r dei consigli di fabbrica.<br />

Ma questo adattarsi gli è possibile solo se il potere<br />

basato su una situazione economica sarà divenuto<br />

politico, cioè se i capitalisti o i lavoratori<br />

giunti al potere si assumeranno la responsabilità,<br />

in tutte le forme, della rappresentazione statale.<br />

[...] Non appena ciò sarà avvenuto, la Chiesa<br />

potrà ristabilire un rapporto con questi nuovi ordini,<br />

così come ha fatto con ogni ordine politico.<br />

Essa [...] ha bisogno di una forma statale, poiché<br />

altrimenti non vi è nulla che corrisponda alla sua<br />

attitudine essenzialmente rappresentativa.<br />

CARL SCHMITT, Cattolicesimo romano<br />

e forma politica, cit., pp. 49–50.<br />

V<br />

di appartenenza che Tronti aveva riconosciuto<br />

come proprio, la grande storia del movimento<br />

operaio. Nel 1987 esce il primo numero di Bailamme,<br />

«Rivista di spiritualità e politica», promossa<br />

dall’Associazione milanese «Amici don<br />

Giuseppe De Luca». Tronti vi partecipa fin dall’ideazione<br />

e vi collaborerà per circa un decennio.<br />

Tiene lì un Dizionario politico, affiancato a<br />

un Dizionario teologico, a cura di Edoardo Benvenuto.<br />

La redazione, animata dalla persona di<br />

Pino Trotta, comprende Romana Guarnieri,<br />

Giovanni Bianchi, Fabio Milana, Salvatore Natoli,<br />

Sergio Quinzio, a cui si aggiungeranno altri,<br />

Paolo Prodi, Amos Luzzatto, Luisa Muraro.<br />

Incontra più volte Giuseppe Dossetti, a Monte<br />

Veglio, e per le edizioni Marietti cura insieme a<br />

Pino Trotta e introduce una raccolta di Scritti<br />

politici del monaco politico. […]<br />

Gli anni seguenti sono dedicati a disincantati<br />

approfondimenti. <strong>Il</strong> movimento operaio non ha<br />

perso una battaglia, ha perso la guerra, la guerra<br />

della lotta di classe contemporanea e interna all’età<br />

delle guerre civili europee e mondiali. L’ed<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 669


| ( 15 ) |<br />

poca novecentesca delle rivoluzioni – rivoluzione<br />

operaia e rivoluzione conservatrice – si è<br />

chiusa. Comincia un’età di restaurazione. Questi<br />

temi convergono in La politica al tramonto, Einaudi,<br />

1998. <strong>Il</strong> saggio iniziale porta il titolo Politica<br />

Storia Novecento. La prima parte del secolo,<br />

«il grande Novecento», fino a tutta la terza<br />

guerra, quella fredda, ha visto il primato della<br />

politica: poi c’è la rivincita della storia, l’eterno<br />

ritorno del sempre eguale. Capitalismo-mondo e<br />

società democratica, funzionali l’uno all’altra,<br />

reimpongono un dominio assoluto. Movimento<br />

operaio e politica moderna cadono insieme.<br />

[…] La prima delle Tesi su Benjamin, che<br />

concludono La politica al tramonto, recita questa<br />

sorprendente affermazione apodittica:<br />

«<strong>Il</strong> movimento operaio non è stato sconfitto dal<br />

capitalismo. <strong>Il</strong> movimento operaio è stato sconfitto<br />

dalla democrazia. Questo è l’enunciato del<br />

problema che il secolo ci mette davanti. <strong>Il</strong> fatto,<br />

die Sache selbst, che adesso dobbiamo pensare».<br />

Parte di lì un nuovo percorso di ricerca, tuttora<br />

in atto, che va sotto il titolo di «per la critica<br />

della democrazia politica», che sposta su un<br />

altro terreno, con lo stesso metodo, la marxiana<br />

critica dell’economia politica: messa in discussione<br />

dei fondamenti e delle conseguenze e assunzione<br />

del nucleo di verità che l’oggetto polemico<br />

nasconde. In un libro collettaneo della<br />

manifestolibri, 2005, Guerra e democrazia, uno<br />

scritto di Tronti, con quello stesso titolo, argomenta<br />

intorno a questa frontiera di ricerca. <strong>Il</strong> filone<br />

è quello tocquevilliano, che parte dalla Democrazia<br />

in America, dove l’avvento della società<br />

democratica viene messo in pericoloso contrasto<br />

con la tradizione dello Stato liberale. <strong>Il</strong> fatto<br />

che la democrazia realizzata d’Occidente porti<br />

in corpo il virus di un totalitarismo di tipo nuovo,<br />

liberamente accettato da una massa di individui<br />

omologati, sulla base di una servitù volontaria,<br />

è un drammatico punto di riflessione per il<br />

pensiero politico contemporaneo.<br />

<strong>Il</strong> percorso di Tronti si va infatti sviluppando<br />

intorno alla elaborazione, teorica e storica, della<br />

figura del Freigeist, dello spirito libero, inassimilabile<br />

all’attuale ordine del mondo, ed erede dei<br />

falliti tentativi novecenteschi di liberazione<br />

umana.<br />

[…] Chi volesse cogliere il fondo, all’apparenza<br />

oscuro in realtà solo complesso, rintracciabile<br />

nella ricerca dell’ultimo Tronti, dovrebbe<br />

leggere un libro recente, composto da un<br />

gruppo di suoi fedeli allievi, che simbolicamente<br />

prendono il nome di Epimeteo 25 , «colui che vede<br />

dopo», o «colui che impara solo dopo»,<br />

«l’imprudente», opposto e complementare rispetto<br />

a «il preveggente», Prometeo. Titolo del<br />

libro: Finis Europae. Una catastrofe teologico-politica,<br />

Bibliopolis, Napoli 2008. […]<br />

. DA “LA TEOLOGIA DI SAN PAOLO PUÒ<br />

INTERESSARE IL POLITICO”.<br />

Introduzione all’incontro del 18 maggio 2009 promosso<br />

da CRS e Istituto Universitario Sophia.<br />

DI MARIO TRONTI<br />

Fonte e © www.centroriformastato.org<br />

[…] Ma entriamo in medias res. <strong>Il</strong> punto di<br />

scatto che ha portato all’interesse per l’anno<br />

paolino è di questo tipo: secondo noi, l’attuale<br />

crisi della politica è una crisi dei fondamenti.<br />

Non è crisi congiunturale, è crisi strutturale. Per<br />

continuare a civettare con il linguaggio dell’economia,<br />

ha la dimensione della “grande crisi”,<br />

come “crollo”, great crash. Quando si festeggia<br />

la fine del Novecento, bisognerebbe sapere che<br />

si sta festeggiando questa cosa qui. Comprensibile<br />

che facciano festa i padroni del mondo, che da<br />

quel loro momento magico hanno ripreso possesso<br />

di tutto intero il pianeta terra e costituito il<br />

loro dominio democratico sulla stragrande maggioranza<br />

dei suoi abitanti. Incomprensibile,<br />

sempre più per me incomprensibile, che partecipino<br />

alla festa quelli che il mondo e il modo di<br />

stare al mondo che ne è uscito, avrebbero il dovere<br />

di contestare, appunto per trasformare.<br />

Perché la tragedia non è che il Novecento c’è<br />

stato, e forse nemmeno che è finito – anche la<br />

25 Sulla figura d'Epimeteo è per noi d'obbligo il rimando al<br />

Quaderno del <strong>Covile</strong> n° 4, Indagini su Epimeteo tra Ivan <strong>Il</strong>lich,<br />

Konrad Weiss e Carl Schmitt. N.D.R.<br />

28 novembre 2011 Anno XI


| ( 16 ) |<br />

più potente delle epoche è destinata a transitare<br />

– la tragedia è che è finito male. [...] I leader<br />

politici possono dire cose diverse, e anche opposte,<br />

ma è incredibile come lo dicano, tutti, da<br />

Berlusconi a Obama, allo stesso modo. Prima di<br />

tutto, commedianti. [...] Perché è evidente che<br />

stanno recitando un copione scritto da quella<br />

sorta di maghi, che sono gli esperti della comunicazione.<br />

Si potrebbe dire che il Novecento non<br />

scherzava con la spettacolarizzazione di massa<br />

della politica. I totalitarismi insegnano. Ma era<br />

diverso, se non l’opposto. Lì la spettacolarità di<br />

massa era strumento della decisione politica. Qui<br />

la decisione politica è diventata strumento dello<br />

spettacolo pubblico. Si decide quello che serve<br />

per avere consenso: consenso di una massa passiva<br />

a cui bisogna far credere di essere una massa<br />

attiva. La crisi della politica è crisi dell’autonomia<br />

della decisione politica.<br />

E vengo al punto. Ho fatto questa descrizione<br />

dei “segni dei tempi”, per usare un’espressione<br />

consona all’argomento di oggi. Che cosa stiamo<br />

cercando Cerchiamo, provando e riprovando,<br />

guardando dentro di noi come persone e<br />

fuori di noi come movimento, avendo capito che<br />

ci sono più cose, e più interessanti, nel passato di<br />

quanto non possa offrircene il presente, cerchiamo<br />

il pertugio attraverso cui passare per uscire<br />

dalla stretta in cui si è cacciata l’istanza rivoluzionaria<br />

e, a questo punto direi, anche la possibilità<br />

riformista. Dall’interno della politica, non<br />

riusciamo a uscire dalla sua crisi. E se non usciamo<br />

dalla sua crisi, nessuno più sarà in grado di<br />

sovvertire le cose, in senso alto, in senso così altamente<br />

umano da avvicinarsi a quanto di oltre<br />

umano ci si presenta, non solo come prospettiva<br />

escatologica ma come realistica via all’assoluto.<br />

Perché, non nella politica in generale, e certamente<br />

non nella politica conservatrice, o innovatrice,<br />

che sono più o meno la stessa cosa, ma<br />

nella politica della trasformazione dei rapporti e<br />

della trasvalutazione dei valori, in questa politica<br />

l’assoluto c’è, ed è sempre qualcosa che è trascendente<br />

rispetto al tuo agire qui e ora. Per cui,<br />

politica e trascendenza è un nostro tema e ogni<br />

debole relativismo, progressista, laicista, razionalista,<br />

illuminista, è destinato a iscriversi, e così<br />

di fatto è avvenuto, nell’altro campo, come gestione<br />

appena appena migliorativa dell’attuale<br />

stato delle cose. [...]<br />

MARIO TRONTI<br />

/000000221220000003<br />

COMINCERÒ CON UNA MANCANZA<br />

DI TAT TO, CONFESSANDO CIOÈ DI<br />

CREDERE NELLA NATURA UMANA.<br />

QUESTA IDEA È PASSATA DI MODA, È STATA<br />

ANZI GIUDICATA INDECOROSAMENTE<br />

CONSERVATRICE, E IN CIÒ IL PENSIERO<br />

PROGRESSISTA NON DÀ PROVA DI COERENZA<br />

[…] UN ALTRO PASSI, MA KARL MARX<br />

DIFFICILMENTE PUÒ VENIR ACCUSATO DI<br />

ESSERE UN CONSERVATORE. A QUESTO<br />

PROPOSITO MI RIFACCIO A LESZEK<br />

KOLAKOWSI CHE DICE «BISOGNA DUNQUE<br />

RICHIAMARE L’ATTENZIONE SUL FATTO<br />

CHE L’IDEA DEL “RITORNO DELL’UOMO A<br />

SE STESSO” È CONTENUTA NELLA CATE-<br />

GORIA STESSA DELL’ALIENAZIONE, DI CUI<br />

MARX CONTINUAVA SEMPRE A SERVIRSI.<br />

CHE COS’È L’ALIENAZIONE, IN REALTÀ, SE<br />

NON UN PROCESSO IN CUI L’UOMO SI PRIVA<br />

DI QUALCOSA CHE EGLI È DAVVERO, SI<br />

PRIVA DUNQUE DELLA PROPRIA UMANITÀ<br />

PER POTER ADOPERARE IN MODO SENSATO<br />

QUESTO TERMINE, DOBBIAMO SUPPORRE DI<br />

SAPERE IN CHE COSA CONSISTE IL CONDI-<br />

ZIONAMENTO DELL’UOMO, OSSIA CHE<br />

COS’È L’UOMO REALIZZATO A DIFFERENZA<br />

DELL’UOMO SMARRITO, CHE COS’È L’“U-<br />

MANITÀ”, OVVERO LA NATURA UMANA […].<br />

MANCANDO QUEST’ESEMPIO O MODELLO,<br />

ANCHE SE TRACCIATO IN MANIERA<br />

PIUTTOSTO VAGA, NON V’È MODO DI DARE<br />

UN SIGNIFICATO ALLA PAROLA<br />

“ALIENAZIONE”».<br />

CZESLAW MILOSZ, LA TERRA<br />

DI ULRO, ADELPHI, P. 112<br />

k<br />

:;;;;;;==<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 669


ARIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

N°670<br />

B<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

4 DICEMBRE 2011<br />

U<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong><br />

ANNOXI<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

)<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

a Questo numero.<br />

La scelta dello scorso anno di abbellire la nostra testata<br />

in tempo d'Avvento con i Deutscher Schmuck e<br />

qualche colore è già diventata tradizione. Poiché tra<br />

i lettori ve ne sono molti di nuovi, abbiamo pensato<br />

di inviare un'altra volta i font per i biglietti natalizi,<br />

riprendendo, in prima pagina, anche la rubrica che li<br />

presentava. Seguono a pagina 2, in forse solo apparente<br />

contraddizione con la lietezza del tempo, le<br />

illuminanti considerazioni di Pietro De Marco su<br />

un recente fatto di cronaca: il suicidio assistito di<br />

Lucio Magri. Estende le riflessioni di De Marco, a<br />

pagina 3, una microantologia sul tema. N<br />

ZZZZZZZZZZZZZZZZZZ<br />

Risorse conviviali<br />

Y<br />

zzzzzzzzzzzzzzzzzz<br />

Caratteri per l'Avvento<br />

Fonte: <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> n° 619.<br />

L'immagine sovrastante è uno specimen per l'uso<br />

dei caratteri Deutscher Schmuck (“gioielli tedeschi”,<br />

i tedeschi chiamano gioielli le decorazioni<br />

natalizie e pasquali) basati su disegni di<br />

Eduard Ege (1893-1978). Grafico ed illustratore<br />

Ege ha lavorato ed insegnato a Monaco di<br />

Baviera, città della quale nel 1957 ha realizzato<br />

lo stemma attualmente in uso.<br />

Eduard Ege, Stemma ufficiale (dal 1957)<br />

della città di Monaco.<br />

La raccolta di ornamenti e di cornici originali<br />

di Ege fu pubblicata da Genzsch & Heyse nel<br />

1922, insieme ad una serie di varie dimensioni<br />

del carattere Deutsche Druckschrift (Heinz König,<br />

1888) e ad un set corrispondente di capilettera,<br />

Druckschrift-Initialen; ne vedete un esempio<br />

nel del titolo della rubrica.<br />

Disegni e caratteri sono stati digitalizzati e<br />

rielaborati da Manfred Klein, prolificissimo<br />

creatore di font, anch'egli tedesco, che li ha offerti<br />

al pubblico dominio con le Condizioni di<br />

utilizzo che trovate più avanti.<br />

Link.<br />

I DeutscherSchmuck sono gratuitamente scaricabili da:<br />

www.moorstation.org/typoasis/blackletter/htm/deutscher_schmuc<br />

k.htm,<br />

i DeutscheDruckschrift ed i DruckschriftInitialen da:<br />

www.moorstation.org/typoasis/blackletter/htm/deutsche_druck.ht<br />

m.<br />

Condizioni di utilizzo dei font.<br />

“I font di Manfred Klein sono gratuiti per uso privato e di carità.<br />

Essi sono anche liberi per uso commerciale — ma se non<br />

c'è alcun profitto, si prega di fare una donazione ad organizzazioni<br />

come Medici Senza Frontiere. Questi caratteri non possono<br />

essere inclusi in qualsiasi CD di compilation, dischi o<br />

prodotti, siano esse commerciali o shareware, salvo previa autorizzazione<br />

concessa. Tutti i caratteri sono stati creati da<br />

Manfred Klein 2001-2008.”<br />

VEDI: http://manfred-klein.ina-mar.com<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

a ‘Governare la propria vita fino<br />

in fondo’<br />

DI PIETRO DE MARCO<br />

Fonte: http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it<br />

Le letture del suicidio di Lucio Magri si riconducono<br />

a tre temi, compendiati nelle dichiarazioni<br />

di Valentino Parlato a Repubblica (30 novembre<br />

2011) ma condivisi da più testimonianze:<br />

il suo ‘governare la vita fino in fondo ’, il suo voler<br />

morire (suicida) ‘in modo pulito’, e il suo:<br />

‘per me non c’è più niente da fare’ nell’incombere<br />

dell’età e della morte della compagna. Queste<br />

linee guida, così umane da rivelarsi ‘troppo<br />

umane’, accentuano (se vere) nella decisione di<br />

Magri una preoccupazione di stile, che per le sue<br />

implicazioni è la vera, forse unica, dimensione<br />

drammatica di questa morte.<br />

Un legame, anzi un sillogismo, insidioso tiene<br />

insieme il ‘più niente da fare’ con il ‘governare<br />

la propria vita fino in fondo ’: quel ‘più<br />

niente’ infatti intende dire che il pieno governo<br />

della propria vita esige e giustifica allora un ‘più<br />

niente’ vita, ciò che con scontata brutalità si<br />

chiama ‘staccare la spina’. Va detto subito che il<br />

‘per me — più niente da fare’, in una persona integra,<br />

è un errore morale, se non è l’effetto di un<br />

quadro depressivo. La maggior parte delle persone<br />

che escono da un lutto per cui hanno detto:<br />

‘la mia vita non ha più alcun senso’, sanno che si<br />

è trattato di un necessario e fecondo rito di lutto,<br />

non di una verità su di sé e sulle cose. Ma in personalità<br />

come quelle di Magri questo errore è<br />

ideo-logico, un teorema senza uscita. Se il poter<br />

fare e il non poter-fare-più sono definiti dalla<br />

sola politicicità e da quella tutta verbale di una<br />

société de pensée, la sconfitta politica, ovvero la<br />

frustrante opacità della realtà, la sua resistenza<br />

alla chiacchiera ‘critica’, si rovesciano in anomia.<br />

La genealogia durkheimiana del suicidio<br />

anomico si conferma sul terreno di un estenuato<br />

postmarxismo che Durkheim non poteva conoscere.<br />

In effetti la politica dell’ideologo da société<br />

de pensée non è il compimento aristotelico<br />

dell’uomo nella sfera pubblica, ne è la contrazione;<br />

un nomos indeterminato (utopico) sostiene,<br />

ma non lo può veramente, una persona fragile<br />

perché non altrimenti fondata.<br />

Per questo, chi si ‘governa fino in fondo ’,<br />

nella crisi anomica traccia arbitrariamente a se<br />

stesso un riga per terra da non oltrepassare. Certo,<br />

oltre la riga, nella morte, non vi saranno più<br />

incertezza né bisogno di governo di sé. È proprio<br />

di una mente freddamente utopica (un ossimoro)<br />

supporre che la Realtà ti sia solo allieva,<br />

non possa insegnare: il “fare” politico è solo la<br />

verifica degli effetti, la tua ricerca di riscontri<br />

dell’utopia. E si capisce che l’assenza di riscontri<br />

sia effettivamente devastante. Solo chi si dispone<br />

ad apprendere dalla Realtà avrà sempre “da<br />

fare”: un serio intelletto capisce, nel tempo, che<br />

tra non realizzazione e non realizzabilità vi è un<br />

nesso, che la base diagnostica era errata, che c’è<br />

altro da fare. Infine, che il governo di sé nel<br />

mondo di sogno dell’ideologia è illusorio, che si<br />

governa la propria vita solo quando la si cala in<br />

mare. E basterebbero radici semplici, da simpliciores,<br />

nella tradizione cristiana per sapere che il<br />

presunto pieno governo della propria vita è governo<br />

dell’inessenziale; ciò che conta ci governa e<br />

quello solo è anche lo spazio del nostro ‘poter<br />

fare’.<br />

<strong>Il</strong> passaggio da questa incomprensione al primato<br />

del momento estetico, a quel voler morire<br />

“in modo pulito”, così sintomatico su più dimensioni,<br />

è immediato. Infatti il governare la<br />

vita “fino in fondo”, che significa nient’altro<br />

che morte, non solo si impone un non-essere-più<br />

come volontà di non-apparire inutile e sconfitto,<br />

ma si sceglie un transito che non sia inelegante,<br />

sporco, fastidioso per gli altri. Una scelta che<br />

Eduard Ege. Armi dalla Baviera (1946).<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 670


| ( 3 ) |<br />

sembra andare da sé e che è, invece, sovraccarica<br />

di significato. Perché darsi la morte con minimo<br />

sforzo (anzitutto), senza esporre carne e sangue<br />

Perché la paura del sangue sul tappeto o del corpo<br />

sfasciato sul marciapiede Eppure il sangue<br />

del suicida come ogni sangue intenzionalmente<br />

versato ha la sua sacertà. Sappiamo, anche se<br />

qualche teologo se ne vergogna, che nel nuovo<br />

ordine dell’Incarnazione il sangue versato, l’effusio<br />

sanguinis Christi, è il paradigma stesso della<br />

salvezza: iustificati in sanguine (Paolo, Rm<br />

5,9); facti estis prope [siete diventati vicini] in<br />

sanguine Christi ( Paolo, Ef 2,13). Non confondiamo:<br />

il sangue di un suicida non può essere venerato;<br />

non è il sangue del martire. Nella oscillazione<br />

tra estremi del sacro è il suo opposto. <strong>Il</strong><br />

suo martyrion, la sua testimonianza, è aberrante,<br />

intimamente anticristiana. I richiami pasticcioni,<br />

di questi giorni, al Sansone biblico, non distinguono<br />

tra ciò che non un teologo ma Durkheim<br />

coglieva nettamente, la differenza essenziale<br />

tra il ‘suicidio altruistico’ del combattente<br />

(che in genere si definisce sacrificio) e il collasso<br />

anomico o egoistico che governa una privata vicenda<br />

suicidaria. Ma il sacro impuro del sangue<br />

versato è riscattato comunque nel sangue del<br />

Crocefisso; il sangue di un suicida parla, in<br />

drammatica contraddizione, della santità del vivente.<br />

La tetra, anestetizzata, interruzione assistita<br />

della vita in Svizzera, dopo l’ultimo sguardo ad<br />

un futile paesaggio da cartolina (come sembra<br />

possa avvenire), con servizi di segreteria, lontano<br />

dal sangue che appiccica e si lava a fatica,<br />

senza terribile epifania, senza sorpresa né orrore<br />

in altri, è l’apice del misconoscimento di sé, un<br />

apice nichilistico e un capolinea che spettano al<br />

nulla dell’utopia ma ripugnano all’umano. Non<br />

è ‘rispetto’ per gli altri, poiché gli “altri” sono<br />

considerati (e magari meritano di esserlo) vulnerabili,<br />

schifiltosi, non all’altezza della rivelazione<br />

della morte e del sangue, incapaci di sacro.<br />

Così un’esistenza estrovertita nella politica ‘rivoluzionaria’<br />

si risolve nella cura massimamente<br />

borghese, anzi piccolo borghese, dell’esteriorità,<br />

del ‘buon gusto’ sposati alla praticità. Solo non<br />

ci si inibisce di concordare con gli ‘amici’ un’estrema<br />

pubblicità davvero radical chic alla dolce<br />

morte. Fate così (conato ideologico), ma non<br />

create disagio e non sporcate!<br />

In fin dei conti non si dice questo contro Lucio<br />

Magri, che era e resta contra spem persona ad<br />

immagine e similitudine di Dio, ma contro il suo<br />

argomento, la sua retorica. Ad esser sincero non<br />

provo per questa morte una particolare compassione;<br />

e non perché non riesca ad assaporarvi<br />

“energia vitale” come chiede Vito Mancuso (una<br />

teologia alla Bram Stoker), ma perché anche essere<br />

cum patiens è un atto di responsabilità.<br />

PIETRO DE MARCO<br />

a Considerazioni sul suicidio.<br />

. L. WITTGENSTEIN.<br />

Se è permesso il suicidio tutto è permesso. Se<br />

qualcosa non è permesso, il suicidio non è permesso.<br />

Questo fatto getta luce sull'essenza dell'etica.<br />

Infatti il suicidio è, per così dire, il peccato<br />

elementare. E se lo si indaga, è come<br />

quando si indaga il vapore di mercurio per<br />

comprendere l'essenza dei vapori. O anche il<br />

suicidio è, in sé, né buono né cattivo 1<br />

. G.K. CHESTERTON.<br />

Certi odierni sapienti ci hanno insegnato che<br />

non bisogna dire «pover'uomo» di un uomo che<br />

s'è fatto saltare le cervella, poiché egli era una<br />

persona invidiabile, e, se si è colpito al cervello,<br />

è stato perché aveva un cervello eccezionalmente<br />

fine. William Archer ha anche proposto<br />

che, nell'età aurea, vi siano delle macchine au-<br />

1 L.WITTGENSTEIN, Quaderni 1914-1916, Einaudi 974, p.195-<br />

4 dicembre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

tomatiche dove si possa, tirando la manovella,<br />

procurarsi la morte per un soldo. Io mi dichiaro,<br />

in tutto ciò, avversario deciso di molti che si<br />

chiamano liberali e umanitari. Per me, il suicidio<br />

non è soltanto un peccato, è il peccato; è il<br />

male supremo ed assoluto, il rifiuto di prendere<br />

interesse all'esistenza, di prestare il giuramento<br />

di fedeltà alla vita. L'uomo che uccide un<br />

uomo, uccide un uomo; l'uomo che uccide se<br />

stesso, uccide tutti gli uomini: per quanto lo riguarda,<br />

distrugge il mondo. <strong>Il</strong> suo atto (simbolicamente<br />

parlando) è peggiore di qualsiasi ratto<br />

o attentato dinamitardo: abbatte tutti gli<br />

edifici, offende tutte le donne. <strong>Il</strong> ladro, i diamanti<br />

lo appagano; il suicida, no: questo è il<br />

suo delitto. Egli non si lascia sedurre nemmeno<br />

dalle pietre fiammeggianti della Città celeste.<br />

<strong>Il</strong> ladro rende omaggio alle cose che ruba se<br />

non al loro proprietario; il suicida insulta tutte<br />

le cose per il fatto stesso di non rubarle. Rifiutando<br />

di vivere per amore di un fiore, oltraggia<br />

tutti i fiori. Non c'è al mondo la più piccola<br />

creatura, cui egli non irrida con la sua morte.<br />

Quando un uomo si impicca ad un albero, le foglie<br />

potrebbero cadere giù indispettite e gli uccelli<br />

volar via infuriati come se ciascuno avesse<br />

ricevuto un affronto personale. Naturalmente<br />

questo atto può avere delle scuse patetiche e<br />

commoventi. Ce ne sono spesso anche per il<br />

ratto, e quasi sempre per la dinamite. Ma se si<br />

vogliono chiarificare le idee e fermarsi al senso<br />

intelligente delle cose, allora c'è molta più razionale<br />

e filosofica verità nell'interramento ad<br />

un crocevia col palo infisso sul cadavere, che<br />

nei distributori automatici del signor Archer.<br />

Non è senza significato il seppellimento separato<br />

dei suicidi. <strong>Il</strong> suicidio differisce dagli altri<br />

delitti perché rende impossibili anche i delitti. 2<br />

essa saltellerà l’ultimo uomo, quegli che tutto<br />

rimpicciolisce. La sua genia è indistruttibile,<br />

come la pulce di terra; l’ultimo uomo campa<br />

più a lungo di tutti.<br />

“Noi abbiamo inventato la felicità” — dicono<br />

gli ultimi uomini, e strizzano l’occhio.<br />

Essi hanno lasciato le contrade dove la vita era<br />

dura: giacché si ha bisogno di calore. Si ama<br />

anche il vicino e a lui ci si strofina: perché ci<br />

vuole calore.<br />

Ammalarsi e essere diffidenti è ai loro occhi<br />

una colpa: guardiamo dove si mettono i piedi.<br />

Folle chi ancora inciampa nelle pietre e negli<br />

uomini!<br />

Un po’ di veleno qui, un po’ di veleno là; ciò<br />

dona dei sogni gradevoli. E molto veleno infine<br />

per morire piacevolmente.<br />

Si lavora ancora poiché il lavoro è uno svago.<br />

Ma si ha cura che lo svago non affatichi troppo.<br />

Non si diventa più né poveri né ricchi, sono<br />

delle cose troppo penose.<br />

Chi vuole ancora regnare Chi ancora ubbidire<br />

Entrambe queste cose sono troppo penose.<br />

Nessun pastore e un solo gregge! Tutti vogliono<br />

la stessa cosa, tutti sono uguali: chi sente altrimenti<br />

va da sé al manicomio.<br />

“Una volta erano tutti pazzi” dicono i più astuti,<br />

e strizzano l’occhio.<br />

Ora la gente ha gli occhi aperti, e sa bene tutto<br />

ciò che accade: se non ne ha di motivi da ridere!<br />

Ci si bisticcia ancora, ma subito ci si riconcilia,<br />

altrimenti ci si rovina lo stomaco.<br />

Ci sono piccoli piaceri per il giorno e piccoli<br />

piaceri per la notte: ma sempre badando alla<br />

salute.<br />

“Noi abbiamo inventato la felicità” — dicono<br />

gli ultimi uomini, e strizzano l’occhio. 3<br />

. FRIEDRICH NIETZSCHE.<br />

Guardate! Io vi mostro l’ultimo uomo.<br />

“Che cos’è l’amore e la creazione e il desiderio<br />

che cos’è una stella”: così chiede l’ultimo<br />

uomo, e strizza l’occhio.<br />

La terra allora sarà diventata piccola e su di<br />

2 G. K. CHESTERTON, L'ortodossia, Morcelliana, Brescia, 1947,<br />

pp. 69-70.<br />

3 Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Si veda anche <strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>, n°72.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 670


ARIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

N°671<br />

B<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

8 DICEMBRE 2011<br />

U<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong><br />

ANNOXI<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

)<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

1° I N C O N T R O<br />

D E G L I A M I C I<br />

DEL COVILE<br />

DISCUSSIONI<br />

d<br />

Villa Morghen, Settignano, Firenze<br />

24-25 Settembre <strong>2011.</strong><br />

SECONDA GIORNATA<br />

“<strong>Il</strong> recente incontro degli amici del <strong>Covile</strong> per contenuti,<br />

clima conviviale, bellezza del luogo e accoglienza,<br />

è riuscito al di là delle aspettative. In questo<br />

numero presentiamo soltanto quegli interventi della<br />

prima giornata che i relatori ci hanno inviato e in verità<br />

con ciò pensavamo di concludere, lasciando il<br />

resto al ricordo dei partecipanti, ma ci ha scritto<br />

Riccardo De Benedetti: «La disponibilità a discutere<br />

si è moltiplicata domenica mattina con l'intervento<br />

di Giannozzo e il fitto scambio di posizioni tra tutti i<br />

partecipanti che ne è seguito e che sarebbe proseguito<br />

ben oltre la pausa pranzo... se non ci fossero<br />

stati i treni. Offrirne una traccia ai lettori del <strong>Covile</strong><br />

credo sia doveroso». Abbiamo dunque deciso di seguire<br />

il suo consiglio e della seconda giornata intendiamo<br />

pubblicare la registrazione integrale.”-<br />

Così scrivevamo nel n°660, lo scorso ottobre. Ecco ora,<br />

come promesso, la seconda giornata sbobinata e rivista<br />

dagli intervenuti. E non è finita: a breve contiamo di<br />

pubblicare anche la lectio magistralis su Cattolicesimo<br />

romano di Carl Schmitt che Pietro De Marco ha tenuto<br />

al termine della prima giornata. N<br />

a La Chiesa e il giuramento antimodernista.<br />

LA RELAZIONE DI GIANNOZZO PUCCI<br />

Interventi di Stefano Borselli, Riccardo De Benedetti,<br />

Pietro De Marco, Armando Ermini, Gabriella<br />

Rouf, Francesco Borselli.<br />

GIANNOZZO. Posso solo porre dei problemi,<br />

degli interrogativi, e quindi visto che siamo in<br />

diversi, se questi interrogativi riescono a sviluppare<br />

una ricerca, una riflessione comune, a<br />

me personalmente piacerebbe molto e mi sarebbe<br />

molto utile.<br />

Non so se lo sapete, ma la ragione fondamentale<br />

per cui mi sono dedicato alla Libreria<br />

Editrice Fiorentina, e fra poco si spera anche<br />

di riaprire la libreria, è proprio per due ragioni<br />

fondamentali. Una è la ragione per cui e con<br />

che ipotesi di lavoro sono uscito dai verdi, italiani<br />

in particolare, e vi annuncio intanto che<br />

alla fiera del libro sociale che ci sarà a Roma a<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

fine di ottobre, primo novembre, presenterò<br />

questo libro Hitler precursore, con il sottotitolo<br />

“<strong>Il</strong> ventunesimo secolo inizia ad Auschwitz”<br />

di Carl Amery, lo presenterò insieme a Gianni<br />

Mattioli e quindi potrà diventare un’occasione<br />

per una riflessione sull’ambientalismo scientifico.<br />

La ragione per cui sono uscito dai verdi<br />

italiani è che erano tutti impostati sull'ambientalismo<br />

scientifico, quindi una idea scientifica<br />

della natura e anche delle leggi di natura,<br />

e non resistono le leggi di natura in base<br />

alla scienza perché cambiano continuamente,<br />

invece ho iniziato la traduzione dell’Ecologist<br />

in italiano perché Teddy Goldsmith è stato<br />

uno dei pochissimi fondatori del movimento<br />

verde, che avevano come ispirazione i popoli<br />

indigeni quindi una certa visione religiosa, anche<br />

se lui la vedeva un po’ oggettivamente,<br />

però abbracciava questa linea in qualche<br />

modo. Allora, il motivo che mi ispira è: non è<br />

possibile avere un rapporto rispettoso, simbiotico,<br />

con la natura, al di fuori di una scelta<br />

etica, e una scelta etica, il miglior modo perché<br />

sia radicata, è quello di un senso di integrazione<br />

col cosmo, con l’infinito, con ciò che<br />

sta aldilà del cosmo. Questo molto sinteticamente,<br />

molto poco forse detto bene, insomma,<br />

questo è il senso.<br />

Quindi, per me è molto importante, attraverso<br />

la LEF, fare un discorso culturale che<br />

stimoli anche il mondo cattolico ma anche il<br />

mondo non cattolico visto che ormai certe<br />

barriere sono cadute, a una riflessione etica<br />

che va aldilà delle pure leggi morali. In questo<br />

percorso, ci son stati alcuni amici, personalità,<br />

che hanno fatto e fanno da punto di riferimento<br />

nel cammino di questa epoca molto<br />

speciale che stiamo vivendo. Una di queste<br />

persone è Ivan <strong>Il</strong>lich, il quale nelle conversazioni<br />

personali che abbiamo avuto spesso a casa<br />

mia, quando passava da Firenze, quando avevamo<br />

un po' d'agio per riflettere, appunto mi<br />

colpì il fatto che mi disse un giorno “Io sono<br />

l’unico prete che conosco che è rimasto fedele al<br />

giuramento antimodernista”.<br />

Ora, io non ho mai approfondito la condanna<br />

del modernismo di Pio X, ho un po’ riflettuto<br />

sul Sillabo di Pio IX, in cui ci sono vari<br />

elementi di critica al pensiero cosiddetto moderno,<br />

però non è che ho specificamente riflettuto<br />

sulla condanna del modernismo di Pio<br />

X. Come esperienza indiretta, ho avuto l’esperienza<br />

dell’Eremo di Campello dove la fondatrice<br />

sorella Maria aveva in qualche modo,<br />

ospitato, protetto, Ernesto Buonaiuti, umanamente,<br />

perché questa condanna della scomunica<br />

Vitandi, come modernista, lei l’aveva in<br />

qualche modo bypassata per una questione di<br />

carità umana, non so come dire, però non è<br />

che abbia mai letto nulla di Buonaiuti...<br />

Quello che a me stimola molto, questo discorso<br />

della condanna del modernismo, e questo<br />

discorso che Ivan diceva “Io son l’unico<br />

prete che è rimasto fedele al giuramento antimodernista”,<br />

è prima di tutto vedere quali<br />

sono i legami fra modernismo come lo concepiva<br />

la condanna di Pio X e il modernismo<br />

diffuso di oggi. Certo, io vedo una specie di abbraccio<br />

della modernità, da parte di gran parte<br />

della Chiesa, della Chiesa intesa non come cristiani<br />

ma della Chiesa intesa normalmente,<br />

come istituzione, preti, vescovi, eccetera eccetera.<br />

In fondo la stessa Cei è una struttura, diciamo<br />

così, istituzionale, che un pochino contrasta<br />

con il dono dello Spirito Santo, perché<br />

quando si crea questa struttura in cui il segretario,<br />

il presidente della Cei vale più dei singoli<br />

vescovi, è una forma di istituzionalizzazione<br />

moderna che contrasta. Ma non è solo questo:<br />

c’è una specie... quello che diceva don Milani,<br />

che quello che veniva condannato ed era oggetto<br />

di urgente confessione, dopo dieci anni<br />

lo insegnano le scuole dell’asilo, insomma un<br />

arrivare più tardi dove sono arrivati gli altri...<br />

a me sembra di assistervi abbastanza spesso<br />

così, nelle strutture del mondo cattolico, mentre<br />

tutta questa riflessione e tentativo di recuperare<br />

un percorso che in fondo ora, secondo<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 671


| ( 3 ) |<br />

me sarebbero maturi i tempi, visto ormai la caduta<br />

delle contrapposizioni così profonde tra<br />

destra e sinistra, che ormai hanno assunto,<br />

così, dei caratteri, in fondo sono in crisi tutti i<br />

due, cos’è la destra e cosa la sinistra non si capisce<br />

più, forse andrà riletto, rivisto.<br />

Però c’è una riflessione sulla modernità,<br />

che aldilà della condanna di Pio X, appunto,<br />

che non conosco nei minimi particolari, che<br />

mi sento di fare, che in fondo comincia, se si<br />

vuole, dalla Rivoluzione Francese, ma che poi,<br />

con una specie di stile o di metodo si rivede e si<br />

ripercorre in tutti i movimenti innovativi, che<br />

si sono succeduti da allora in poi, e di cui anch’io<br />

ho fatto parte, che è una tendenziale incapacità<br />

di conversione profonda personale,<br />

ma questo fatto che ogni movimento che si<br />

suppone rivoluzionario, o riformatore, o innovatore<br />

eccetera, tende a far piazza pulita di<br />

tutto il passato, oppure del supposto nemico,<br />

no E in questa maniera proietta forse alcuni<br />

vizi del supposto nemico, e non riesce a agganciare<br />

con la tradizione, non intesa come tradizionalismo<br />

eccetera, ma veramente la capacità<br />

di trasmissione dei valori profondi da una generazione<br />

all’altra. Trasmissione che non è<br />

possibile se uno non si mette in una condizione,<br />

diciamo così, di umiltà, magari non come il<br />

pubblicano in fondo al tempio, perché quella è<br />

una cosa specificamente cristiana, però un pochino<br />

in questa dimensione qua. Per cui si<br />

hanno molti cambiamenti di fronte, che nascono<br />

da scoperte intellettuali eccetera eccetera,<br />

ma vere e profonde conversioni sono abbastanza<br />

difficili. Ecco, ora, in questo tema della<br />

modernità, non c’è bisogno di conversione,<br />

cioè nel senso che la conversione la fanno le<br />

strutture, la fanno le tecniche, le tecnologie,<br />

sono loro che ci cambiano la vita, questo lo diceva<br />

bene Ivan quando sottolineava come i libretti<br />

di istruzione che ci vendono insieme al<br />

computer, che poi son molto più lunghi del<br />

Vangelo naturalmente, e quando li hanno introiettati,<br />

hanno introiettato un modo di vivere,<br />

di rapportarti e non te ne accorgi, però lo<br />

fai quasi automaticamente, obbedisci molto di<br />

più che al decalogo, e con quelli si inserisce<br />

nelle nostre reazioni, quasi ipnotizzate, una<br />

dinamica che forse col Vangelo, col Vecchio<br />

Testamento, con tutto quello che è la proiezione<br />

culturale, storica, religiosa nostra, ha<br />

poco a che vedere. Non so se c’è qualcuno che<br />

ha fatto uno studio sui libretti di istruzione in<br />

rapporto alla tradizione morale, no Però,<br />

questo discorso qui, per i tempi, quali sono...<br />

ecco, io so solo degli Amish, che sottopongono<br />

in maniera orale, che ne sappia io, poco in maniera<br />

scritta, che sottopongono le tecniche, le<br />

innovazioni, ad una riflessione morale, cioè<br />

perché loro hanno come riferimento le conseguenze<br />

delle tecnologie sulla loro vita comunitaria,<br />

no<br />

STEFANO. Potremmo chiamarla una riflessione<br />

antropologica, per parlar difficile, più<br />

che morale<br />

GIANNOZZO. Sì, puoi dirla antropologica, però<br />

c’è anche un connotato morale, sempre un<br />

profondo afflato morale, perché lo vedo anche<br />

nelle loro rivistine per esempio, è continua<br />

questa cosa, sulle singole scelte<br />

STEFANO. Puoi fare un esempio È importante,<br />

siccome da loro ci sei stato...<br />

GIANNOZZO. Un esempio è questo: la cosa è<br />

cominciata molto spontaneamente, quasi per<br />

caso, all’inizio del 900, 1910, quando è arrivata<br />

la luce elettrica, è successo esattamente<br />

come è successo tra noi, quando è arrivata la<br />

televisione, una famiglia ha detto: per ora non<br />

la prendiamo, e poi pian piano l’han presa tutti.<br />

Lo stesso è successo a loro: “È arrivata la<br />

luce elettrica, la prendiamo, non la prendiamo”.<br />

All’inizio han detto “Eh, aspettiamo”.<br />

Poi hanno cominciato a riflettere sulla differenza<br />

tra averla e non averla. La dipendenza<br />

che gli creava questa cosa, quali eran le conseguenze<br />

sul loro vivere insieme. Allora la luce<br />

naturale e la luce artificiale, che conseguenze<br />

8 dicembre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

aveva sul tempo della giornata in rapporto alla<br />

loro vita familiare per esempio. E la stessa<br />

cosa è successa con le altre cose che sono arrivate,<br />

per cui hanno avuto sempre una reazione<br />

molto sperimentale, ad esempio il telefono. In<br />

casa non ce l’hanno, ma hanno la cabina telefonica<br />

fuori, per cui se tu vuoi parlare con loro<br />

gli scrivi una cartolina, e dici “Io mercoledì a<br />

mezzogiorno ti telefono”, e loro mercoledì a<br />

mezzogiorno si fanno trovare.<br />

STEFANO. Quindi loro, non tutti lo sanno...<br />

analizzano, vedono le cose e poi prendono decisioni<br />

di tutti i tipi.<br />

GIANNOZZO. Di tutti i tipi.<br />

RICCARDO. Non è che le ignorino le novità, le<br />

prendono in carico in quel modo là. Quindi<br />

non le rifiutano per principio<br />

GIANNOZZO. No. È strano, hanno un rapporto,<br />

per esempio... per me è più facile dire<br />

“no”. Loro invece hanno un rapporto che,<br />

mettiamo, non li usano i concimi chimici, ma<br />

una piccolissima quantità per certe cose particolari.<br />

La luce elettrica no, però usano elettricità<br />

a batterie per raffreddare il latte, hanno<br />

fatto questo compromesso perché vendono il<br />

latte, allora per raffreddarlo fanno con la corrente<br />

a batterie, hanno i pannelli solari, le batterie<br />

e queste cose. Quindi le macchine non le<br />

hanno, se devono andare in un posto dove si<br />

può andare solo in macchina, prendono in affitto<br />

la macchina con l’autista. Però la scelta di<br />

avere i cavalli e di avere i mezzi di trasporto, le<br />

carrozzelle coi cavalli, li ha costretti ad avere<br />

un raggio di movimento di dieci chilometri più<br />

o meno. Quindi la loro comunità rimane abbastanza<br />

unita... i loro rapporti sono quotidiani,<br />

sarebbe come se... non so, se noi vivessimo tutti<br />

a portata di gambe e ci incontrassimo per caso<br />

tutti i giorni. Cosa diversa è incontrarsi per<br />

caso tutti i giorni, magari ti viene per caso<br />

quell’idea e la dici, che non organizzarsi per<br />

trovarsi, è tutta un’altra cosa. Io vedo che le<br />

comunicazioni sono molto più ricche e numerose<br />

in quel modo lì, quando ci incontriamo<br />

per caso, siamo in treno per esempio, facciamo<br />

un viaggio insieme, magari ci vengono delle<br />

idee che se invece siamo lì apposta non ci vengono<br />

in quel modo. Questi sono degli esempi,<br />

ce ne sono anche altri. Loro son l’unica realtà<br />

che fa riferimento al Cristianesimo e che si è<br />

posta in questo modo di fronte al problema<br />

della modernità, cioè in un modo critico, ma<br />

non critico di condanna a priori, perché tra<br />

l’altro sono aggiornatissimi, cioè tutti i dibattiti<br />

più profondi, fra di loro sono lì. Magari<br />

non sanno i dettagli dell’ultimo tipo di telefonino,<br />

che poi... sono fino a un certo punto,<br />

poco significativi, mentre conoscono tutto il<br />

dibattito sugli Ogm.<br />

Un’altra cosa che si collega a questa, l’avere<br />

girato pagina rispetto alla condanna della modernità,<br />

è la scarsa capacità, almeno che vedo<br />

io nel mondo cattolico, di applicare al rapporto<br />

con la nostra quotidianità, quindi alle scelte<br />

piccole di ogni giorno, i temi dello spirito, in<br />

qualche modo... non tanto il cuore della fede,<br />

ma tutto quello che ne deriva. Mentre invece<br />

vedo, avendo messo i bambini alla scuola steineriana,<br />

che lì è abbastanza più sviluppato, anche<br />

nei rapporti tra i genitori. Cioè, Benedetta,<br />

mia moglie, che aveva scarsa capacità di<br />

interagire con me su certi temi, quando dicevo<br />

“La plastica cerchiamo di evitarla”, lì sta capendo<br />

il senso. Loro per esempio dicono<br />

“Guardate, i bambini metteteli in contatto con<br />

materie naturali perché sono più vicine alla<br />

creazione”, e quindi a una dimensione spirituale<br />

delle cose, mentre la plastica è più lontana.<br />

Ecco, io questo non sapevo esplicitarlo<br />

razionalmente. Loro hanno un modo di esplicitarlo.<br />

Sento un po’ risuonare Fukuoka quando<br />

parlava della natura dei giardini attorno<br />

agli alberghi come una natura artefatta, quasi<br />

di plastica, sentivo che era vero, mentre invece<br />

sento che dormire all’aperto, fare il viaggio a<br />

piedi, in pellegrinaggio eccetera, con quella<br />

realtà anche dura, se vuoi in certi modi difficid<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 671


| ( 5 ) |<br />

le, della natura, degli altri eccetera, mi sento<br />

più vicino a Dio in qualche modo. Tutte le dimensioni<br />

della vita quotidiana, un po’ come<br />

Giuseppe Sandri, quando diceva “La piccola<br />

propagandista dell’Azione Cattolica, che una<br />

volta viaggiava in terza classe, oggi viaggia in<br />

un vagone letto, ma chi lo sa se lo spirito colpirà<br />

con più forza le persone con cui ella entrerà<br />

in contatto una volta arrivata a destinazione”<br />

Ecco, un po’ tutta questa problematica<br />

qua, è abbastanza assente, e devo dire, quel libro<br />

di Mounier, La paura del secolo XX, che<br />

credo sia stato l’ultimo libro che lui ha scritto,<br />

che in parte aveva anche sollecitato la riflessione<br />

di La Pira quando usava questa espressione<br />

“Convertiamo la modernità”, cioè vediamone<br />

gli agganci con la fede cristiana, con<br />

Dio. Però, in quel caso, mi sembra che qualche<br />

contraddizione col discorso della condanna<br />

del modernismo ci sia, e <strong>Il</strong>lich aveva questa<br />

idea, che a me sembra abbastanza stimolante,<br />

quando diceva che la modernità è un capitolo<br />

dell’ecclesiologia, secondo lui probabilmente<br />

si sono inserite, nell’ecclesiologia, delle eresie<br />

che non son state ancora riconosciute come<br />

tali, ma che sono in contraddizione col Vangelo<br />

e col Vecchio Testamento, e quindi hanno<br />

promosso, aiutato, o diffuso delle idee che<br />

hanno creato un cattolicesimo moderno, una<br />

cattolicità tecnologica, che non ha nulla a che<br />

vedere veramente con la Chiesa ma che cerca<br />

di inglobare anche la stessa Chiesa.<br />

Da questa riflessione, viene fuori l’altra domanda,<br />

cioè come il lavorare a un processo che<br />

non è solo nostro, che non deriva solo dalla<br />

nostra testa, o dalle scelte che noi possiamo<br />

fare, anche se queste sono importanti, lavorare<br />

a un processo di cambiamento di stile di vita in<br />

cui ci sia posto per questi temi, e in cui si ritrovi<br />

un’architettura di valori nella pratica concreta<br />

di ogni giorno. Sono molto stimolato dal<br />

lavoro che sto facendo, l’introduzione del libro<br />

di McNabb, La Chiesa e la Terra, in cui ci<br />

sia appunto un’architettura di valori in cui<br />

McNabb dice che c’è speranza solo se i contemplativi<br />

ritornano alla terra, cioè se chi ritorna<br />

alla Terra è al vertice della spiritualità.<br />

Ma in questo riecheggia anche un certo modello<br />

che ho trovato in Fukuoka...<br />

STEFANO. McNabb<br />

GIANNOZZO. Vincent McNabb, uno dei fondatori<br />

del movimento distributista, era il confessore<br />

di Chesterton. Era un domenicano, è<br />

morto nel 43, e io sarò ben contento di pubblicare<br />

questo libro dove nell’ultima di copertina<br />

c’è una frase del genere: “la modernità,<br />

vuole portare tutti in città, mentre la Chiesa<br />

cattolica ritiene che la campagna sia il luogo<br />

ideale per vivere la propria fede.” Mettere<br />

questo in ultima di copertina sarà una bella<br />

soddisfazione. Anche se forse non è vero oggi,<br />

credo che sia un bello stimolo. In questa posizione<br />

si riecheggia una cosa che ho trovato anche<br />

in Fukuoka, in cui lui, essendo buddista<br />

zen ricorda l’architettura sociale della tradizione<br />

giapponese nella quale il contadino era<br />

il più vicino a Dio, e invece via via che ci si allontana<br />

dalla cura della terra, dalla simbiosi<br />

con la terra, commercianti e altre attività, si<br />

prende un posto che è più lontano da Dio. Siccome<br />

penso che una delle opere più grandi che<br />

una civiltà possa compiere è proprio quella di<br />

tessere la simbiosi con la natura, che in qualche<br />

modo continui, ecco il discorso della contingenza,<br />

continui la sintonia con l’attività<br />

creatrice di Dio, ecco, io penso che questo sia<br />

il compito di liberazione dalla modernità che<br />

potremo avere davanti.<br />

STEFANO. Ti ringrazio, comunque anche altri<br />

hanno parlato a braccio, l'incontro è amichevole,<br />

di questo tipo, vero Riccardo<br />

RICCARDO. Ma il suo è un braccio che funziona<br />

meglio del mio.<br />

GIANNOZZO. In compenso non le gambe...<br />

PIETRO. Non si può avere tutto no<br />

8 dicembre 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

ARMANDO. Cercheremo... basta che funzioni<br />

la testa...<br />

GIANNOZZO. Don Giuseppe De Luca rispose a<br />

Giuseppe Sandri quando gli chiese “Cos’è essenziale<br />

nella vita del cristiano”, e Giuseppe<br />

De Luca disse “Tre cose: il legame esclusivo<br />

con Gesù, la presenza reale e l’unità col Papa.<br />

Tutto il resto fottitenne”, e lui l'ha preso alla<br />

lettera.<br />

ARMANDO. Giannozzo, a me piacerebbe che tu<br />

ci approfondissi il concetto di simbiosi dell’uomo<br />

con la terra, cioè... cosa significa il<br />

rapporto, la distinzione tra una concezione<br />

antropocentrica dell’umanità e una concezione<br />

invece che tende a riportare l’uomo come<br />

elemento della natura, tutto sommato, indistinto<br />

da essa e quindi equiparabile agli animali<br />

e/o alle cose della natura che ne fanno<br />

parte. Questa mi sembra una distinzione abbastanza<br />

importante, anche proprio dal punto di<br />

vista della concezione cattolica, che è stata appunto<br />

accusata di antropocentrismo e quindi<br />

di svalutazione poi del resto del mondo della<br />

natura.<br />

GIANNOZZO. Ti ringrazio perché è una domanda<br />

molto importante. Io sono antropocentrico.<br />

Sono ferocemente antropocentrico e<br />

ritengo che, invece, tutta la modernità non sia<br />

antropocentrica, perché, da quando Galileo<br />

inizia a dire che è la Terra che gira intorno al<br />

Sole e non il contrario, praticamente non c’è<br />

più l’antropocentrismo. C’è il tecnocentrismo,<br />

il centrismo di altre cose, che poi uno ci può<br />

mettere la natura, la tecnica, la scienza, tutto<br />

quello che vuole, ma non c’è più l’antropocentrismo.<br />

L’antropocentrismo è l’uomo, non è le<br />

strutture dell’uomo, l’architettura dell’uomo e<br />

tutte queste cose qua, è l’uomo. E se l’uomo<br />

non può giudicare con i suoi occhi quello che<br />

vede, non può essere al centro. C’è un altro<br />

punto essenziale, che quando l’uomo è al centro,<br />

per essere veramente al centro, lo può essere<br />

solo se mette Dio al centro, cioè se lui<br />

mette Dio al centro, quindi se il suo essere al<br />

centro prende ispirazione da qualcosa che sta<br />

aldilà dell’universo, no Da qualcuno che sta<br />

aldilà dell’universo. Allora il concetto di simbiosi,<br />

secondo me, è perfettamente coerente<br />

col discorso “Crescete e moltiplicatevi”, cioè<br />

moltiplicatevi non significa moltiplicarsi solo<br />

come esseri umani. Significa “Moltiplicatevi<br />

in tutte le cose della natura”. Allora se tu<br />

prendi come esempio l’oasi, come modello<br />

l’oasi, alcuni esseri umani che si sono dedicati<br />

alla natura e nel deserto hanno moltiplicato le<br />

forme di vita, le quali a loro volta moltiplicano<br />

se hanno altri che si dedicano a questo ovviamente.<br />

Allora, simbiosi cosa significa Nel<br />

campo della natura, sono i batteri azotofissatori<br />

che rendono più fertile, per certe piante, il<br />

terreno che sta intorno, quindi la loro presenza<br />

è essenziale per la vitalità di quelle piante.<br />

Nel campo umano è la massima, più alta rotta<br />

di una civiltà, cioè la capacità degli esseri<br />

umani di fare esattamente l’opposto di quanto<br />

sta facendo la società dei consumi oggi, cioè di<br />

rendere la natura sempre più ricca per esseri<br />

umani, piante, animali ecc.<br />

Ci sta a proposito la storia dello stato dell’Arizona<br />

che a un certo momento decise di fare<br />

una riserva integrale per gli uccelli, e rilocalizzò<br />

una tribù indiana che viveva in quel<br />

territorio per paura che desse noia agli uccelli.<br />

Classico modello del primo WWF, cioè l’uomo<br />

non può che dare noia alla natura. Poi,<br />

dopo quindici anni, mandano un ornitologo e<br />

trova molte meno famiglie di uccelli in quella<br />

zona lì che in una zona non molto lontana, aldilà<br />

dei confini con il Messico, dove però gli<br />

indiani ci sono e non ha quelle regole lì. Gli<br />

indiani commentano “Agli uccelli piace venire<br />

dove siamo noi perché trovano da mangiare e<br />

compagnia”. Ma lo si vede anche con le piante.<br />

Gli ulivi vicini a casa fanno più olive di<br />

quelli lontani. C’è una dinamica di rapporto<br />

fra la natura e gli esseri umani, per cui un certo<br />

tipo di presenza dell’uomo, non qualsiasi<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 671


| ( 7 ) |<br />

presenza dell’uomo, migliora la terra. Quando<br />

si dice che il cane da passeggio americano consuma<br />

più natura di venti indiani, indiani dell’India,<br />

si intende questo. C’è un tipo di essere<br />

umano, di società che distrugge e c’è un tipo di<br />

essere umano invece che può rispettare il comando<br />

biblico di “Crescete e moltiplicatevi”<br />

perché è una moltiplicazione di forme di vita.<br />

ARMANDO. Questo è importante, quindi simbiosi<br />

come integrazione dell’essere umano nella<br />

natura, di prendersi cura e che non esclude<br />

anche la trasformazione dell’ambiente, anzi<br />

RICCARDO. Non è la caduta nel panico.<br />

STEFANO. E poi non è a pari, non è fondersi, è<br />

un... se capisco bene, è l’uomo che cura, Giannozzo<br />

diceva il giardiniere, non è una fusione,<br />

non sono uguali, se capisco bene<br />

GIANNOZZO. C’è un giardiniere e un giardino,<br />

STEFANO. Non è tutto giardino, ecco.<br />

GIANNOZZO. Che io sappia nelle università<br />

del mondo non ci sono ricerche in questo senso,<br />

però, per dire, se fosse praticabile la proposta<br />

di Fukuoka, che riesce su 1000 mq a<br />

produrre con questi sistemi naturali, quindi<br />

non arando la terra, con una buona combinazione<br />

delle piante, 3-4 volte più dell’agricoltura<br />

industriale, ecco, è un esempio di simbiosi<br />

senza la tecnologia. Un altro aspetto molto<br />

importante perché non c’è una dipendenza da<br />

una catena di montaggio, da un’industria tecnologica.<br />

Questo è il modello della simbiosi.<br />

Volevo aggiungere un altro punto, un dettaglio.<br />

Gli europei quando sono arrivati in<br />

America ci hanno messo due secoli per accorgersi<br />

che nel deserto, per esempio dell’Arizona,<br />

del Nuovo Messico, le piante erano coltivate<br />

dagli indiani, sembravano selvatiche. Nel<br />

nord degli Stati Uniti c’era un tipo di tecnica<br />

colturale degli indiani, che si chiama agricoltura<br />

alveolare, in cui, rispettando certi magnetismi<br />

del terreno, in mezzo a boschi, coltivavano.<br />

Quindi tutto questo sapere era anche<br />

antico. Sulle Ande peruviane, ancora oggi seminano<br />

quaranta o cinquanta varietà di patate<br />

nello stesso campo di mezzo ettaro, con varie<br />

conseguenze, e poi si mescolavano certe tecniche<br />

di coltura a certi aspetti morali. Quando<br />

Gary Nabhan, uno dei più grandi ricercatori di<br />

piante alimentari indiane, è andato in un campo<br />

di una vecchia indiana del Nuovo Messico,<br />

che coltivava girasoli, a un certo punto si è accorto<br />

che c’erano dei girasoli selvatici seminati<br />

intorno al campo, le ha chiesto “Ma scusi,<br />

perché lei ha seminato girasoli selvatici intorno<br />

al campo”, e lei ha risposto “Perché<br />

non bisogna essere troppo attaccati alle cose”.<br />

E poi c’era una conseguenza anche genetica,<br />

perché i girasoli selvatici, incrociandosi con<br />

quelli domestici, mantenevano ricca la variabilità.<br />

Quindi, tutti questi aspetti, anche morali,<br />

non essere troppo attaccati alle cose, che<br />

sono opposti rispetto all’agricoltura industriale,<br />

fanno parte del quadro della simbiosi.<br />

Anche questo è sempre un progetto umano.<br />

Credo che ci siano pochi posti nel mondo dove<br />

non ci sia, anche da parte di indigeni, i cosiddetti<br />

uomini primitivi... una qualche modifica<br />

o correzione della natura. <strong>Il</strong> prossimo numero<br />

dell’Ecologist è intitolato “<strong>Il</strong> valore della persona<br />

umana dell’età della pietra”, primitiva,<br />

primaria. Spesso quando si dice “Valore della<br />

persona umana”, come diceva La Pira, si intende<br />

una persona umana come noi, ma quando<br />

viene fuori il primitivo, che vive direttamente<br />

di natura, di terra, è diverso... forse vi<br />

ricordate l’uomo di Similaun, che all’inizio<br />

sembrava un soldato della prima guerra mondiale,<br />

poi quando si scoprì che invece era di<br />

quarantamila anni fa, venne un’altra concezione<br />

dell’uomo, un uomo diverso.<br />

Ecco, quindi... mi preme molto questo discorso<br />

dell’antropocentrismo. Io credo che, in<br />

contrasto con tutto quello che dicono contro<br />

l’antropocentrismo, in realtà la condanna dell’antropocentrismo<br />

faccia parte della modernità,<br />

sia all’origine della modernità.<br />

8 dicembre 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

PIETRO. Sì e no, a seconda un po’ delle accezioni<br />

di antropocentrismo. Semmai poi dico<br />

qualcosa.<br />

GABRIELLA. Volevo dire, qualcosa su questo<br />

aspetto del rapporto con l’antroposofia, perché<br />

mi stupisce lo scarso interesse o addirittura<br />

la ripulsa che ha il mondo cattolico verso le<br />

istituzioni steineriane, mentre dall’altra parte,<br />

viene manifestata grande apertura e sollecitazione<br />

al dialogo verso Julia Kristeva e personaggi<br />

del modernismo più sfrenato.<br />

Io credo che questo discorso sull’antroposofia<br />

vada ripreso, perché è una presenza nel<br />

mondo moderno che, nel tempo, lasciando<br />

sullo sfondo le connotazioni esoteriche e i collegamenti<br />

con i filoni teosofici e spiritisti, ha<br />

sviluppato tecniche serie e sperimentate di intervento,<br />

soprattutto sull’infanzia, sull’handicap,<br />

sull’agricoltura, che nascono da<br />

una visione filosofica profondamente spirituale,<br />

attenta alla realtà dell’uomo.<br />

Prima si parlava del disastro della scuola.<br />

Nelle scuole antroposofiche si fanno quelle attività<br />

che si facevano un tempo nelle nostre<br />

scuole, i laboratori, attività espressive disciplinate,<br />

le passeggiate nella natura, cioè tutte<br />

cose che c’erano nella nostra scuola e ce le<br />

hanno distrutte sotto gli occhi. Ma soprattutto<br />

si guarda al bambino nel suo insieme, nella sua<br />

originalità singola, nel suo bisogno di amore,<br />

di fantasia, di bellezza.<br />

Allora, queste cose, bisogna intanto conoscerle<br />

di più, e vederle nella concretezza di<br />

quello che sono, di quello che ci offrono: ci<br />

può essere un dono che ci viene da qualcosa di<br />

inaspettato, da eventi imprevedibili.<br />

Rudolph Steiner è stata una grande figura,<br />

di elevata dignità morale. Era forse inevitabile<br />

che, partendo da premesse di uno pseudoscientifismo<br />

spiritualista, il movimento antroposofico<br />

prendesse i caratteri di una setta, con<br />

aspetti new age e di sincretismo religioso superficiale.<br />

D’altra parte la sua impostazione antimaterialistica<br />

e di contrasto alla destrutturazione<br />

dell’uomo, di difesa della famiglia e dell’infanzia<br />

dal mondo consumistico e televisivo, è<br />

portata avanti con grande coerenza, e va rispettata<br />

e conosciuta. L’architettura del Goetheanum,<br />

per esempio, era anticipatrice della<br />

bioarchitettura…<br />

STEFANO. Ti rispondo, ti ho anche, a volte,<br />

già risposto, lo rifaccio in questo momento<br />

conviviale di discussione. Invece per i cattolici,<br />

ma non solo, il problema è molto serio. Non<br />

tutto è condivisibile, di quel che hai detto.<br />

L’antroposofia è un’altra religione, una religione<br />

vera e propria. Detto questo allora sono<br />

cattivi Certamente no, ma è un’altra religione<br />

quindi non c’è da meravigliarsi di determinate<br />

cautele e reazioni. In secondo luogo, è una religione<br />

che non dice di esserlo, e questo crea<br />

ulteriori problemi. Inoltre, non è una creazione<br />

romantica, di un impulso che poi è diventata<br />

una setta, nasce da una setta, la Teosofia.<br />

Rudolph Steiner è stato capo della Teosofia in<br />

Germania, dopodiché c’è stata una deriva, una<br />

deriva autonomista, nazionalista eccetera, per<br />

cui c’è stata una scissione vera e propria, fa<br />

parte della storia della Teosofia questa scissione,<br />

perché non ci fu soltanto quella... Come<br />

struttura, fin dalla nascita l'Antroposofia è una<br />

struttura iniziatica, quindi ci sono verità e conoscenze<br />

che mutano secondo i livelli, come la<br />

massoneria, quindi quello che viene detto su<br />

un livello non corrisponde a quello che sanno<br />

gli adepti di livello superiore e poi ci sono<br />

quelli di livello ancora superiore. La dottrina<br />

prende tantissimo dalla Teosofia, sapete che<br />

tutto il moderno razzismo, nasce da lì Ci sono<br />

tutte queste razze, superiori e inferiori, che<br />

vengono da vari pianeti, prima da Marte e cose<br />

del genere, poi finiscono sulla Terra. Questo è<br />

il mondo di Steiner, che ha scritto molti libri,<br />

ha fatto qualche migliaio di conferenze in giro<br />

per l'Europa. Kafka a un certo punto lo seguì,<br />

era interessato. Venne anche a Firenze, aveva<br />

una sua missione. Io mi fermo, ma credo prod<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 671


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prio che sia da quel tipo di ambiente che nasce<br />

la Bauhaus, che tanto combattiamo, Frank<br />

Gehry il creatore del mostro alieno di Bilbao è<br />

antroposofo ecc..<br />

GABRIELLA. Io parlavo del primo Goetheanum,<br />

che è bruciato completamente..<br />

GIANNOZZO. Io posso dire l’esperienza mia<br />

personale. Mi sono imbattuto nell’antroposofia<br />

di Steiner alla fine degli anni sessanta, perché<br />

influenzato dalla concezione di lotta di<br />

classe di don Milani che è diversa da quella di<br />

Marx, pensavo che la classe rivoluzionaria dovesse<br />

avere un’agricoltura diversa, un’architettura<br />

diversa, un’urbanistica diversa, una<br />

medicina diversa eccetera, e quindi andavo alla<br />

ricerca di queste diversità, rispetto all’architettura,<br />

la medicina, alla fabbrica borghese,<br />

in questa ricerca mi sono imbattuto nel mondo<br />

steineriano, partendo dalla biodinamica. Sono<br />

stato al Goetheanum nel 73, e, per mia sensazione<br />

di pelle, percepivo questa sensazione<br />

della setta; in questo viaggio sono andato a<br />

trovare varie persone, e ce n’erano alcune che<br />

probabilmente facevano parte di questo livello<br />

più alto, e guardavano dall’alto in basso, avevo<br />

questa sensazione della setta. Poi, un altro<br />

aspetto che mi dava noia, era il fatto dello<br />

scientismo, cioè che loro avessero trasformato<br />

in concezione scientifica delle cose che sono<br />

spirituali, e questo mi ha allontanato.<br />

Dopo che abbiamo iniziato, a casa mia, a fare<br />

l’asilo nel bosco, e avevo desiderio di fare<br />

anche la scuola elementare, ho fatto un paio di<br />

campi di lavoro con diverse persone che avevano<br />

esperienza di scuola famigliare, quindi le<br />

responsabili di una scuola di Nomadelfia, di<br />

una scuola familiare di Latina, alcuni che avevano<br />

fatto esperienza di scuola ai loro figli direttamente<br />

ecc. Poi non ho trovato la maestra,<br />

quindi abbiamo dovuto rivolgerci alla scuola<br />

pubblica. A un certo punto, Maria Novella andava<br />

a scuola a Settignano in terza elementare<br />

la sua maestra è andata in pensione e lei ha<br />

detto “Io in quella scuola non ci torno”. Dato<br />

che Giacomo entrava in prima, siamo andati a<br />

cercare una scuola che non avesse i moduli,<br />

che avesse almeno il maestro prevalente, e abbiamo<br />

trovato gli Scolopi, solo che Maria Novella<br />

è stata fortunata, Giacomo meno, e ha<br />

avuto una maestra che, per dire, in terza elementare<br />

aveva scelto un libro di testo che a<br />

storia aveva una pagina sul big bang e una pagina<br />

sull’uomo che nasce dalle scimmie. Scuola<br />

cattolica! Sono andato a lamentarmi in direzione,<br />

dicendo “Scusate, ma perché insegnate<br />

delle ipotesi scientifiche a un bambino di<br />

terza elementare”, “Noi abbiamo consultato<br />

il teologo e va bene così”, questo è un po’ l’atteggiamento<br />

della scuola pubblica e parificata,<br />

che quando vai a porre il problema, “No, il<br />

problema è tuo, nella scuola va tutto bene, non<br />

c'è nulla da cambiare” e quando c’è un problema<br />

vero, dicono “<strong>Il</strong> problema è tuo”<br />

Poi nella scuola pubblica, la mattina gli<br />

fanno fare poco ma danno una marea di compiti<br />

a casa, per cui non si può come genitori<br />

fare la nostra esperienza pedagogica, in altro<br />

modo, a casa. Quindi i genitori contano sempre<br />

meno. Dopo la terza elementare, iniziando<br />

la quarta, Giacomo ha dato di fuori, perché insomma...<br />

era indietro. Alla fine l’abbiamo levato,<br />

senza sapere dove andare, e poi l’abbiamo<br />

messo nella scuola steineriana. Con tutte le<br />

difficoltà di inserimento, ma devo dire che lì è<br />

cominciato piano piano a trovare qualcosa di<br />

diverso dall'essere sempre fuori posto. Nella<br />

scuola pubblica quando andavo, e non andavo<br />

più, agli incontri dei genitori, io ero una noce<br />

in un sacco, e ogni volta che ponevo dei problemi<br />

gli altri genitori pensavano all’opposto<br />

di me. Quando io proclamavo l’assurdità che i<br />

genitori non potessero contare mai, che i bambini<br />

non potessero avere un’esperienza fisica di<br />

apprendimento fuori della scuola, che tutto<br />

dovesse essere colonizzato dalla scuola, loro<br />

dicevano anzi “I nostri bambini sono indietro,<br />

quell’altra scuola è più avanti di noi”. Quindi<br />

8 dicembre 2011 Anno XI


| ( 10 ) |<br />

io che ci andavo a fare a queste riunioni Invece<br />

le riunioni dei genitori della scuola steineriana<br />

sono un'esperienza forte, entusiasmante.<br />

Io pongo il problema dei film, dvd, della televisione,<br />

del computer, del telefonino ecc. Inizia<br />

subito il dibattito su queste cose. Può darsi<br />

non siamo d’accordo su tutto, non importa, ma<br />

il dibattito c’è, è sentito, è profondo. E la<br />

maestra porta ad esempio una conferenza di<br />

Steiner, in cui si parla degli angeli, e si dice<br />

“Gli angeli parlano alle singole persone, alle<br />

generazioni, alle città, alle epoche, attraverso<br />

le immagini”. Per cui, indirettamente, viene<br />

l’idea: guardate, state attenti alle immagini artificiali,<br />

che vi disturbano le immagini degli<br />

angeli. Allora a me cosa mi importa se loro<br />

sono una setta Se questo è il livello del dibattito,<br />

io lo sfrutto nella mia direzione. Un altro<br />

esempio: la calligrafia. Io ne facevo una malattia<br />

del fatto che non insegnassero la calligrafia.<br />

C’è un rapporto tra lo scrivere come<br />

calligrafia e la mente dell’uomo, no Ecco, lì<br />

prima di insegnargli la calligrafia, gli fanno<br />

disegno di forme per esempio, che li prepara<br />

alla calligrafia, una forma di artigianato.<br />

Quindi io me ne frego se sono una setta, perché<br />

io non ci entro nella setta<br />

STEFANO. Io sono intervenuto semplicemente<br />

per dare informazioni sul quadro.<br />

GIANNOZZO. Non solo, ma agli Scolopi, di religioso,<br />

cosa c’è La Messa. Non tutti i giorni,<br />

ma tutti a Messa, solo quello. Alla scuola steineriana,<br />

anticattolica, protestante, altra religione,<br />

tutto quel che vuoi, la mattina tutti i<br />

bambini cominciano col Prologo di Giovanni,<br />

è quello l’argomento, mentre di là gli argomenti<br />

non ci sono mai. Ecco il discorso della<br />

modernità che ha invaso quelli che pure ufficialmente<br />

sono nella Chiesa. E lì c’è un altro<br />

problema, ora io non so fino a che punto questo<br />

è un problema vero, ma mi sembra di ritrovarlo<br />

in un’altra esperienza che ho fatto in<br />

questi giorni.<br />

E allora quanti si nascondono dietro la maschera<br />

cattolica per poi invece diventare moltiplicatori<br />

di modernismo L’eterogenesi dei<br />

fini! Questo è un argomento abbastanza serio.<br />

PIETRO. Giannozzo sa che ho qualche imbarazzo<br />

a intervenire, perché su molti temi<br />

siamo davvero distanti. Quindi azzardo due o<br />

tre neppure osservazioni ma modi di intervento,<br />

un po’ indiretti, nella sua posizione di problemi.<br />

Su modernità, modernismo, antropocentrismo.<br />

Mi ero subito segnato, ascoltandoti, la questione<br />

modernità/ modernismo. Facevi questo<br />

esempio: la Conferenza Episcopale Italiana,<br />

una Conferenza Episcopale, è una manifestazione<br />

della Modernità nella Chiesa, come efficienza,<br />

organizzazione: aspetti estrinseci che si<br />

opporrebbero ad una vera religio. Ma torniamo<br />

allora a Pio X: il Papa che promulga la Pascendi<br />

è paradossalmente (ma, forse, senza paradosso)<br />

un Papa moderno. In che accezione<br />

<strong>Il</strong> nostro problema è questa benedetta nozione<br />

di Modernità. Sarei tentato di volta in volta<br />

(infatti anche ieri) di distinguere e precisare,<br />

pedantemente. Almeno una distinzione essenziale<br />

va introdotta e ricordata sempre: quella<br />

tra Modernità come condizione di esistenza<br />

data di uomini, culture e istituzioni in un determinato<br />

momento del calendario della storia<br />

universale e Modernità come canone o molteplicità<br />

di canoni interpretativi di quello stato<br />

di cose che chiamiamo per (buona) convenzione<br />

Modernità. Uno stato di cose costituito di<br />

momenti o epoche (prima modernità, tarda modernità,<br />

ecc.) non meno che di ‘ambiti’ (modernità<br />

economica, scienza moderna, stato<br />

moderno ecc.) con i rispettivi indicatori di soglia<br />

(per la periodizzazione) e di ‘velocità’<br />

(per la questione delle ‘anticipazioni’, influenze,<br />

connessioni). Quando si dice ‘modernità’,<br />

bisognerebbe dunque mettere degli indici, sovrascritti<br />

e sottoscritti: modernità di tipo A, B,<br />

uno, due, tre, quattro, per controllare le diverse<br />

referenze e accezioni che si mettono in<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 671


| ( 11 ) |<br />

campo. Ora, il caso di Pio X, esplorato di recente<br />

da una imponente ricerca di Carlo Fantappiè,<br />

è davvero interessante. Pio X, da un<br />

lato, concepì l’esercizio del governo primaziale<br />

in termini molto personali: aveva una sua<br />

piccola segreteria con cui sostanzialmente evitava<br />

o anticipava gli apparati curiali, più lenti.<br />

Questo papa colpisce il Modernismo, che coglie<br />

(profondamente) come falsa modernizzazione<br />

della Chiesa, e, nello stesso tempo, promuove<br />

i lavori del Codice di diritto canonico<br />

(la codificazione è una radicale novità per la<br />

Chiesa, nella direzione degli stato moderni) e<br />

una serie di potenti interventi a tanti livelli,<br />

dalla riforma dei seminari e della vita sacerdotale,<br />

alla musica liturgica, al celebre Catechismo.<br />

Come sta, in questo caso, la questione<br />

della modernità Quale coerenza lega la Pascendi<br />

‘antimoderna’ con Roma capitale della<br />

Chiesa universale, tramite la ‘modernità’ degli<br />

apparati centrali e di un codice che permette<br />

di governare la Chiesa in maniera universale e<br />

uniforme in ogni parte del mondo Senza dubbio<br />

il piano di coerenza è il rigore della dottrina<br />

coniugato, nella chiesa, alla santità della<br />

vita sacerdotale e alla ferma, ortodossa, essenzialità<br />

della educazione cristiana. Quello che<br />

appare importante in questa modernità antimoderna<br />

è dunque il contrasto del Moderno<br />

nei suoi contenuti ideali, paradigmatici, non<br />

nelle sue forme ‘tecniche’.<br />

Per esempio, mi permetto di osservare che<br />

c’è solo un passo tra ciò che a te, Giannozzo,<br />

piace (e che capisco quanto sia importante) in<br />

termini di spiritualità del creato, e un monismo<br />

che sostanzialmente porta Dio nel cuore<br />

della realtà (come motore della evoluzione<br />

spirituale cosmica) e la sacralizza, e che è<br />

quello di molto Modernismo, forse è il Modernismo.<br />

Io temo questo, se posso dire così, e<br />

non il fatto che la curia sia un organismo moderno.<br />

Temo l’immanentismo del divino, serpeggiante<br />

nelle metamorfosi New Age della<br />

cultura cristiana. Non casualmente, credo,<br />

molte forme di spiritualità che troviamo oggi<br />

sono già presenti nel neocristianesimo e nel<br />

vario spiritualism tra otto e novecento, che poi<br />

verrà chiamato modernista.<br />

Dico questo, perché c’è un paradosso nelle<br />

tue istanze. È un problema la ‘modernità’ dell’organizzazione,<br />

della razionalizzazione dei<br />

mezzi e degli istituti Per la tradizione e, in<br />

particolare, per la Chiesa cattolica non lo è<br />

mai stato. <strong>Il</strong> problema della modernità si verifica<br />

quando i diversi orizzonti antropocentrici<br />

(ma anche antiantropocentrici — le diverse<br />

forme dello spinozismo) investono la dottrina,<br />

l’intelligenza della fede. L’emergere dell’autosufficienza<br />

della realtà cosmica e umana rispetto<br />

a Dio, o senza Dio, questo è un problema<br />

vero di modernismo. Dunque il rilievo,<br />

questo sí grave, dell’antropocentrismo moderno<br />

che hai toccato. La questione della definizione<br />

o delle definizioni di Modernità si determina<br />

così, meglio: cos’è/qual’è la Modernità<br />

che colpisce internamente la verità cattolica<br />

Anche a me interessa profondamente, forse sopra<br />

ogni altra questione (anche perché mi sono<br />

formato, in decenni lontani, anzitutto come<br />

storico dell’Umanesimo). Le piccole battaglie<br />

pubblicistiche sono continuamente in questa<br />

direzione, quale ne sia l’occasione. Ad esempio,<br />

quando negli studi biblici come nella predicazione<br />

si propone (da tempo) un Gesù<br />

“umano troppo umano” e l’orizzonte della Rivelazione,<br />

il fondamentale orizzonte trinitario,<br />

appare occultato o abbandonato (a chi),<br />

reagisco. Avverto una potenziale (magari inconsapevole)<br />

eresia di tipo modernistico, perché<br />

l’umanizzazione, la storicizzazione di<br />

Gesù di Nazaret, insomma la sua immanentizzazione,<br />

è cosa modernistica (e prima protestante<br />

liberale), e tutti i Modernisti (quelli<br />

‘teologici’ se non i ‘politici’) sono investiti dalla<br />

critica biblica e dal riduzionismo teologico<br />

‘liberale’.<br />

Insomma (e a parte il terreno del ‘Gesù storico’<br />

che ha radici culturali ancora diverse dal-<br />

8 dicembre 2011 Anno XI


| ( 12 ) |<br />

la tua spiritualità) questo è un punto di divaricazione;<br />

abbiamo degli indicatori diversi nell’avvertire<br />

il problema della Modernità (sono<br />

anche distantissimo dal tuo <strong>Il</strong>lich). Ricordo<br />

sempre che quando al convegno su La Pira,<br />

Milani, Balducci del 2008 mi facesti una domanda<br />

a proposito di modernità e Chiesa, e io<br />

risposi: “Ma la Chiesa è moderna!” (nel senso<br />

di un saggio del 2000, una delle poche cose<br />

elaborate che ho scritto, che si intitola Modernità<br />

di Roma 1870-1962), ti irritasti.<br />

Questo è il primo nodo.<br />

Per quanto riguarda l’antropocentrismo,<br />

solo un dettaglio perché si può essere d’accordo.<br />

È vero: l’anthropos è biblicamente al centro<br />

del cosmo; è per lui, per l’uomo, che il cosmo è<br />

stato creato nella cosmologia ebraica e cristiana.<br />

Si può discutere, ma è un dato teologico<br />

grande e originale. Allora, nel momento in cui<br />

l’uomo diventa l’abitante, e una particella, di<br />

una grande macchina cosmica che esiste per se<br />

stessa e che può ignorare l’esistenza dell’uomo,<br />

certamente vi è un declassamento dell’umano.<br />

la Modernità, in questo senso, smarrisce l’antropocentrismo<br />

cristiano. Però, attenzione: la<br />

modernità ha ‘recuperato’ in questo piccolo<br />

spazio del cosmo un primato dell’uomo, fino<br />

ad una sua sostanziale divinizzazione. Abbiamo<br />

un rovesciamento: da un declassamento<br />

dell’uomo rispetto al cosmo ad una nuova centralità<br />

dell’uomo rispetto a se stesso.<br />

<strong>Il</strong> pessimismo materialistico e l’idealismo<br />

(poi i monismi evoluzionistici) rappresentano<br />

gli estremi dell’escursione tra visioni della<br />

realtà generate sul collasso del peculiare antropocentrismo<br />

cristiano. L’antropocentrismo<br />

moderno consiste nell’essere l’uomo Dio a se<br />

stesso, per usare delle formule diffuse, che dal<br />

punto di vista storico-filosofico si potrebbero<br />

molto sfumare.<br />

Allora, se anche questo è antropocentrismo,<br />

di nuovo dobbiamo chiarire i termini. Per questo<br />

prima interloquivo: ‘è vero e non vero”. Se<br />

dici: “Attualmente io [sottintendendo: io, che<br />

sono cristiano,] sono ferocemente antropocentrico”,<br />

va chiarito cosa vuoi dire; ma è più<br />

una questione di metodo ‘dialogico’.<br />

Un cenno alla vostra discussione steineriana.<br />

Non entro nel merito perché non ho né<br />

conoscenze particolari né memoria fresca sulle<br />

cose. Qui c’è una voce di enciclopedia su Steiner.<br />

Abbiamo dei libri, facciamoli servire<br />

[l’incontro si svolge nella biblioteca di Villa<br />

Morghen n.d.r.]. La si può consultare.<br />

Ma la questione che è stata posta sui due<br />

fronti è di portata più generale. Sono d’accordo<br />

con Stefano, aldilà del merito delle questioni<br />

di cronologia e biografia di Steiner;<br />

d’accordo che lo steinerismo sia un sistema e<br />

che, la contaminazione di questo sistema con<br />

la tradizione cristiana (dico così per semplicità)<br />

è un problema, di cui essere comunque consapevoli.<br />

Vediamo, per esempio, il fatto di “leggere il<br />

Vangelo di Giovanni” di cui ci hai parlato.<br />

Certamente una bella cosa, ma è veramente<br />

una lettura del Vangelo di Giovanni è significativamente<br />

integrabile nella verità cattolica<br />

Me lo domando, perché la tradizione giovannea<br />

ha sempre appassionato i romantici, può<br />

restare o diventare un appassionante complesso<br />

di immagini sullo spirito nel mondo, su luce<br />

e tenebre; ancora implicazioni gnostiche.<br />

Questo è cristianesimo Si può discutere. E<br />

peggio la questione degli angeli.<br />

Dico peggio, perché, che le immagini possano<br />

alterare o occultare la comunicazione naturale<br />

degli angeli con la filosofia o la teologia<br />

cristiana non ha nulla a che fare. E’ una sacralizzazione<br />

del cosmo, per cui io penso che ciò<br />

che affiora dalla realtà, se puramente ‘naturale’<br />

(vs artificiale) è essenzialmente divino.<br />

Potrei dire radicalmente che il cristianesimo<br />

è contro questo, nasce contro questo, o<br />

perlomeno si costruisce in piena chiarificazione<br />

di sé contro tutte le religioni di tipo naturale<br />

o sacro naturali o del sacro. Le sintonie<br />

tra cristianesimo e correnti teosofiche, sped<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 671


| ( 13 ) |<br />

cialmente tra otto e novecento, ma ancora nel<br />

corso del novecento, sono state molto forti, e<br />

si capisce anche. Per esempio sostengo, aldilà<br />

del cristianesimo in senso strettamente dogmatico,<br />

spesso con colleghi e anche con i miei<br />

studenti: “Attenzione, perché la scienza delle<br />

religioni, cioè la capacità profonda di comprensione<br />

del religioso, che è un’acquisizione<br />

delle scienze, dei saperi del novecento, deve<br />

moltissimo alle culture teosofiche e antroposofiche”,<br />

perché senza il senso profondo del<br />

pulsare del sacro, difficilmente posso arrivare<br />

a considerare le religioni e i miti come delle<br />

verità profonde. Quindi l’apporto è stato<br />

estremamente importante, però qui esiste il<br />

problema dell’utilità ermeneutica, della rilevanza<br />

ermeneutica delle teosofie, degli esoterismi,<br />

e la verità cristiana insomma. Allora lì<br />

c’è il momento in cui noi non possiamo dimenticare<br />

che lì vi è un aut aut, che la trascendenza<br />

del Creatore, la radicale unicità<br />

della salvezza in Cristo, la stessa diversa concezione<br />

degli angeli che c’è nel cristianesimo<br />

rispetto al neoplatonismo o altro, nonostante<br />

tutte le profonde possibilità di connessione, e<br />

queste sono cose rilevanti.<br />

Allora io temo poi nell’assottigliamento di<br />

queste cose in contesti new age, novecenteschi,<br />

io potrei temere dalla formazione dei miei figli<br />

nella scuola steineriana, che ne vengano sì, capaci<br />

di sentire qualcosa di profondo, di rivelativo<br />

nella natura eccetera, ma che restino però<br />

per esempio profondamente difformi rispetto a<br />

tutto ciò che è costruito dall’uomo, nel bene e<br />

nel male, ma insomma difformi, estranei, e mi<br />

domando se vi sia una capacità ultima di cogliere<br />

l'ordine cristiano insomma, l’ordine<br />

propriamente cristiano. Non so se sia una strada<br />

o un buon preambolo alla fede. Può darsi di<br />

sì, può darsi di no. Io lo temo e non lo celebrerei.<br />

In questo senso la penso diversamente: ieri<br />

avevo sotto gli occhi un passo di Schmitt che<br />

non ho citato, ma accennato appena, vi ricordate,<br />

in cui dice “Attenzione, c’è un rischio<br />

profondo nella valorizzazione che moderni (i<br />

nostri contemporanei, anni Venti), fanno della<br />

Chiesa, quello del supplemento d’anima”; rischio,<br />

perché la Chiesa non è un supplemento<br />

d’anima. Se destiniamo Chiesa e cristianesimo<br />

ad essere un supplemento d’anima rispetto alla<br />

meccanizzazione, noi condanniamo il cristianesimo<br />

ad essere un rifugio meramente personale,<br />

ciò che è tentato prevalentemente di essere<br />

in Occidente. Ora, io temo molto che le<br />

culture spirituali alla Steiner siano solo dei<br />

supplementi d’anima. Invece la visione cristiana<br />

del mondo attraversa tutto, non ha paura di<br />

niente, e tra l’altro non ha paura della modernità<br />

sotto l’aspetto delle razionalità tecniche,<br />

in virtù della sua antropologia: l’antropologia<br />

cristiana (che, con le sue radici greche ed<br />

ebraiche, ha due millenni e mezzo) sa che in<br />

ultima istanza l’uomo, senza tecnica, non esiste.<br />

L’uomo, l’ominazione, è la capacità prima<br />

di integrarsi con uno strumento e con questo<br />

strumento fare qualcosa di più che col mero<br />

corpo. Nelle antropologie filosofiche (da Herder<br />

a Gehlen) ove si sostiene che l’uomo è sostanzialmente<br />

un essere carente, il famoso<br />

Mängelwesen, che si costituisce nell’integrazione<br />

col Mondo, acquisendo dal mondo ciò<br />

che non ha come individuo, come organismo,<br />

alla nascita, si offre una prospettiva molto importante,<br />

antiroussoviana, sulla relazione uomo-tecnica.<br />

Naturalmente questa è una questione<br />

complicata. Certo, poi, vi è l’uso: il<br />

buon uso, il cattivo uso, questa è un’altra cosa.<br />

La questione degli angeli mi ha colpito, anche<br />

se non mi stupisce, è perfettamente coerente<br />

col quadro che ci hai proposto. Ma la tesi, la<br />

suggestione, che le tecniche disturbino il messaggio<br />

degli angeli a me pare estranea al cristianesimo,<br />

del tutto gnostica (gnostico-moderna),<br />

se vuoi.<br />

GIANNOZZO. Posso<br />

PIETRO. Devi<br />

GIANNOZZO. Inizio il discorso delle strutture<br />

8 dicembre 2011 Anno XI


| ( 14 ) |<br />

moderne, la Cei eccetera. Io non è che ho parlato<br />

contro la Cei come struttura moderna nel<br />

senso di usare il computer piuttosto che altre<br />

cose, ma la Cei come una struttura contro lo<br />

spirito, perché lo spirito, che è personale, e investe<br />

me, non potrà mai investire una struttura.<br />

Quindi, lo spirito investe il singolo vescovo<br />

che è vescovo per i suoi fratelli. Quando<br />

questa realtà viene sostituita da una struttura<br />

burocratica, che c’è un palazzone grande, un<br />

segretario, un mucchio di personale e via dicendo<br />

STEFANO. Uno “sportello”...<br />

PIETRO. Dei tavoli... in senso metaforico eh...<br />

GIANNOZZO. Lì c’è un problema di despiritualizzazione,<br />

è molto facile. Poi certo, si può<br />

discutere se Gesù fosse nato oggi se avrebbe<br />

avuto la bici o no, o se avrebbe avuto l’aereo o<br />

roba del genere, e riprendo il discorso di Sandri<br />

sulla giovane dell'Azione Cattolica, perché<br />

probabilmente c’è anche un problema lì, perché<br />

non a caso... ti ringrazio Padre perché hai<br />

rivelato le cose ai semplici e le hai tenute nascoste<br />

ai sapienti e intelligenti, mentre i sapienti<br />

da Galileo in poi dominano il mondo,<br />

perché quando hai tolto il senso dell’antropocentrismo,<br />

il senso di vedere il mondo coi tuoi<br />

occhi, lo devi vedere attraverso gli occhi degli<br />

scienziati infatti solo loro sanno qual’è la realtà,<br />

è chiaro che qualcosa di importante viene<br />

meno. Ora, son d’accordo con te che la storicizzazione,<br />

l’immanentismo, ma molte altre<br />

cose di questo genere sono contro il cristianesimo,<br />

però un momento, non esageriamo<br />

neanche l’altra parte.<br />

Cioè, cos’è il concetto di contingenza<br />

Spiegami esattamente il concetto teologico di<br />

contingenza, cioè qual’è la parte in cui Dio<br />

continua in qualche modo la creazione Perché<br />

se si esagera nel senso della trascendenza è<br />

un Dio che solo sta là, ma dov’è presente qua<br />

nel mio vivere di ogni giorno Ora, il discorso<br />

che il cosmo è per l’uomo, se non è completato<br />

dal fatto che l’uomo è per Dio, e anche il cosmo<br />

ha una sua ragion d’essere per Dio, perché<br />

sennò non aspetterebbe anche lui le doglie del<br />

parto, anche il cosmo. Quindi, l’uomo non ha<br />

un suo compito di guida del cosmo indipendente<br />

dalla natura del cosmo. Nel cosmo c’è<br />

una natura, così come Dio l’ha voluta, ecco il<br />

discorso di simbiosi, che l’uomo può esercitare<br />

la simbiosi solo se rispetta la natura che Dio ha<br />

voluto mettere nel cosmo, la sua essenza. Ecco<br />

perché la natura era maestra fino ad una certa<br />

epoca, cioè per l’appunto fino all’epoca più o<br />

meno di Galileo o poco dopo. La natura era<br />

maestra, per San Tommaso era maestra. Da<br />

quel momento in poi non è più maestra, è l’uomo<br />

che scopre le leggi di natura come leggi<br />

scientifiche separate dall'etica. Allora, il discorso<br />

della divinizzazione dell’uomo non è<br />

antropocentrismo. Quando viene divinizzato,<br />

l’uomo non è più al centro. Mette al centro un<br />

simulacro dell’uomo che prende il posto di<br />

Dio ma che non è l’uomo, perché l’uomo non<br />

può essere divinizzato. La sua natura è una natura<br />

divina solo in quanto è a immagine e somiglianza<br />

di Dio, ma non è una sua natura divina<br />

propria. Io mi sono dichiarato ferocemente<br />

antropocentrico perché voglio sempre<br />

fare questa provocazione nei confronti di<br />

quelli che sono contro l’antropocentrismo. La<br />

mia concezione antropocentrica è assolutamente<br />

legata e dipendente dalla creazione e da<br />

Dio, non è separabile in nessuna maniera. Riguardo<br />

al prologo di Giovanni, io sto parlando<br />

di leggere il prologo di Giovanni ai bambini di<br />

terza e quarta elementare, o terza elementare,<br />

“dal principio era il verbo” ecc., quindi l’importanza<br />

della parola nella scuola, no Preferisco<br />

che recitino il prologo di Giovanni in<br />

terza elementare piuttosto che niente, o piuttosto<br />

che andare alla Messa dove si scocciano.<br />

Se gli insegnano a fare le lettere ebraiche è un<br />

tipo di artigianato della scrittura, no Che loro<br />

considerano la loro tradizione. Poi un’altra<br />

cosa: là cominciavano dalla storia con il big<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 671


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bang e con l’uomo che nasce dalla scimmia.<br />

Qua nella scuola antroposofica la cominciano<br />

con la Genesi, e gli fanno disegnare la creazione<br />

dell’acqua. Anche la Genesi se vuoi è religione<br />

naturale perché sì, l’ebraismo ha l’anticipazione<br />

della venuta di Gesù, però è Vecchio<br />

Testamento, è ancora una religione naturale se<br />

vuoi. I ragazzi li sollecita molto di più la Genesi<br />

che non l’uomo che nasce dalle scimmie...<br />

Sono molto d’accordo che la Chiesa non è<br />

supplemento d’anima, per niente, anzi, a proposito<br />

di questo discorso dell’uomo che senza<br />

tecnica non esiste. Prima di tutto bisogna distinguere<br />

la tecnica dalla tecnologia. Cioè, la<br />

tecnica... può esserci anche la tecnica di seminare<br />

un chicco di grano alla distanza di dieci<br />

centimetri piuttosto che trenta, e poi seminarlo<br />

in fondo a un solco che poi si rincalza,<br />

come facevano gli antichi egiziani che da dieci<br />

semi riuscivano a fare mille spighe, è una tecnica.<br />

Una tecnologia è un ambiente chiuso tecnologicamente,<br />

cioè in cui tu vieni inserito, e<br />

che sostituisce l’ambiente naturale, che è un<br />

po’ il discorso anche della plastica. E qui c’è<br />

stato il dibattito che ha distrutto filosoficamente<br />

i verdi italiani, secondo cui la natura è<br />

cultura, perché non c’è niente della natura che<br />

non passa attraverso la cultura dell’uomo, indi<br />

l’uomo ha il potere utendi et abutendi di fare<br />

tutto quello che vuole sulla natura. È indifferente,<br />

che poi tutto il dibattito, anche sull’omosessualità,<br />

anzi non sull’omosessualità,<br />

sul gay, cioè il diritto di scegliere il proprio<br />

sesso alla maggiore età o quel che è. Quindi si<br />

può fare tutto quel che si vuole sulla natura<br />

perché la natura è cultura, quindi non c’è nella<br />

natura una legge morale, non c’è un’indicazione<br />

morale ecco, e questo nasce nel periodo di<br />

inizio della scienza, quando la natura non è<br />

più maestra, già da Kant, quando la natura<br />

non è più maestra di morale. Arriva fino ai gay<br />

allora...<br />

PIETRO. Però è un problema di soglie. può implicare.<br />

che la natura sia cultura non significa<br />

che tu possa fare qualsiasi cosa. I veri terreni di<br />

discussione sono nel definire soglie piuttosto<br />

che affermare o negare radicalmente, no<br />

GIANNOZZO. Sì, però capisci, le soglie, è uno<br />

dei dibattiti più importanti quello della soglia,<br />

dei confini, dei limiti. E in fondo nasce dal<br />

peccato originale, perché la condizione dell’uomo<br />

nel peccato originale è di avere un limite.<br />

Sì, non puoi mangiare questo, questo era<br />

l’unico limite, poi i limiti aumentano dopo il<br />

peccato originale. Però il problema del rapporto<br />

col limite è un problema morale<br />

PIETRO. Morale in senso ampio...<br />

GIANNOZZO. Vabbè però... la società scientifica<br />

non è morale. Ha espulso, cioè non ci<br />

può essere una società scientifica che abbia una<br />

morale, perché per la società scientifica il<br />

principio ordinatore è il principio di efficienza,<br />

non quello etico. E quando il principio di<br />

efficienza è il principio dominante, l’etica sparisce.<br />

<strong>Il</strong> principio di efficienza deve essere una<br />

serva sciocca del principio etico. Allora funziona,<br />

ma quando, praticamente, ogni innovazione<br />

è ammessa e possibile salvo dibattitucci,<br />

supplementi d’anima ecc., allora questo non..<br />

RICCARDO. Sono mere opportunità.<br />

PIETRO. Su questo si può essere facilmente<br />

d’accordo. Ma anche qui, per l’appunto, c’è un<br />

problema di soglia. Nella irregredibilità dalla<br />

nostra componente tecnica, tecnico-tecnologica,<br />

il vero problema teorico, filosofico, e<br />

pratico, sia la determinazione di soglie, data la<br />

complessità. Sono molto affezionato all’idea di<br />

catastrofe positiva, nel senso di Thom. Invece<br />

che un percorso inarrestabile, che bisogna decidersi<br />

a troncare sul nascere (o regredendo),<br />

vi un punto in cui razionalmente correggerne<br />

l’andamento. Dobbiamo essere in grado non di<br />

usare lo strumento elementare per cui, siccome<br />

questo percorso è pericoloso noi lo neghiamo<br />

pressoché interamente, ma di individuare il<br />

punto di catastrophè, di arresto e parziale in-<br />

8 dicembre 2011 Anno XI


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versione. Come le celebri ‘creste’ (onde, dune)<br />

di Thom. Questa è una questione, se tu vuoi, di<br />

metodo. Sono d’accordissimo ovviamente sulla<br />

difficoltà (anzi l’impossibilità) di fondare<br />

umanesimi da una cultura scientifica. Anche se<br />

l’immagine che tu ne dai, di scienza come<br />

ideatrice del progresso umano, è più quella<br />

della scienza otto-novecentesca (non oltre la<br />

prima guerra mondiale), forse già tardo illuministica.<br />

Ed è vero che le tecnologie oggi<br />

sono così autoalimentanti, autopoietiche, che<br />

rubano il terreno alla riflessione e alle pratiche…<br />

RICCARDO. Dicevi appunto la soglia.. subito<br />

dopo la guerra, ce lo stiamo dimenticando<br />

perché l’abbiamo legato molto alla conformazione<br />

geopolitica del mondo, ma c’è il problema<br />

dell’energia atomica e della forza autodistruttiva<br />

e collassante di un... quando lui dice<br />

che non c’è, all’interno del mondo, diciamo<br />

così, scientifico, mondo della logica scientifica,<br />

possibilità alcuna di inserire morale, è una<br />

cosa che è, discende immediatamente dal fatto<br />

che ad un certo punto, talmente era vero questo,<br />

che ti creano i presupposti per la sparizione<br />

del pianeta Terra, perché le famose bombe<br />

atomiche che se esplodevano cancellavano la<br />

vita sul pianeta non è mica un’invenzione. Da<br />

quel punto di vista lì, io sono assolutamente<br />

d’accordo con quello che dice Giannozzo, sul<br />

fatto che sì, c’è un’irreversibilità, ma dove<br />

Nel senso che la scienza stessa, in certe condizioni,<br />

è capace di annullarsi, cioè di cancellarsi.<br />

Se un processo, diciamo così, logico e di<br />

scoperta logico-scientifica, arriva al punto in<br />

cui pone in se stessa le stesse premesse per cui<br />

si autocancella, lì c’è un problema nel movimento<br />

stesso in cui la scienza e la logica scientifica<br />

si presenta ed espone il proprio essere e<br />

la propria essenza. Infatti, la maggior parte<br />

dell’intellighenzia, che magari veniva da Gunther<br />

Anders, piuttosto che lo stesso Jaspers, su<br />

questa roba qua, si sono fermati e hanno presentato<br />

degli elementi di riflessione magari poi<br />

non più seguiti o comunque che non sono andati<br />

avanti tantissimo, però il problema se lo<br />

son posto, a differenza della nostra attuale<br />

condizione in cui la bomba atomica diventa<br />

un’altra cosa, diventa bomba biotecnologica,<br />

diventa capacità di modificare nel profondo la<br />

stessa dimensione umana attraverso la manipolazione<br />

genetica, in cui non abbiamo riflessione<br />

all’altezza di quella che fu la riflessione<br />

del pensiero occidentale all’altezza della presentazione<br />

della potenza atomica, nell’immediato<br />

dopoguerra. Io questo, penso Giannozzo,<br />

che tu sia d’accordo, non abbiamo un pensiero<br />

all’altezza di questo. L’abbiamo avuto<br />

parzialmente all’altezza della presenza dell’energia<br />

atomica come capacità autodistruttiva<br />

dell’uomo, anche in questa è una confutazione<br />

nei fatti di quella divinizzazione, autodivinizzazione<br />

presunta dell’uomo, che non può che<br />

concludersi in autodistruzione. La posizione<br />

anche su piano antropologico del dire “Io sono<br />

una persona che, a prescindere dal dato ontologico<br />

essenziale”, ne parlavamo ieri, per cui<br />

io lo scelgo individualmente mai di venire al<br />

mondo, ma è qualcun altro che sceglie per me<br />

di farmi venire al mondo, che è un deficit assolutamente<br />

devastante per chi dice che in<br />

realtà, nel momento in cui sono al mondo, io<br />

determino tutte le mie condizioni di vita. La<br />

conclusione di quel discorso è che io recupero<br />

la mia divinizzazione annullandomi, cioè scegliendo<br />

la morte. Cioè l’ultima libertà che io<br />

ho, la libertà che mi costruisce all’indietro la<br />

mia divinizzazione è il fatto che io mi tolgo di<br />

mezzo. Se io mi tolgo di mezzo, allora ho realizzato<br />

la mia...<br />

PIETRO. Questo è il sistema dei paradossi attuali.<br />

RICCARDO. È un paradosso attuale, dal punto<br />

di vista individuale è questo il movimento. Dal<br />

punto di vista più complessivo della logica<br />

scientifica, ci siamo, e l’anticipo l’abbiamo<br />

avuto con la storia della bomba atomica, che è<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 671


| ( 17 ) |<br />

stata percepita dalle menti più lucide dell’occidente<br />

come un punto in cui alt, cioè quando,<br />

a differenza di tutto il resto, noi siamo l’unica<br />

specie in grado di autodistruggerci, in funzione<br />

di un meccanismo che abbiamo messo in<br />

moto, su cui tu dici è irreversibile. Sarà irreversibile<br />

nella sua logica, ma ciò non toglie<br />

che il compito morale è quello di rendere reversibile.<br />

Noi dobbiamo tornare indietro su alcune<br />

vicende. Come vicende dobbiamo dire<br />

che la logica lì si ferma. Attualmente sulla manipolazione<br />

del codice genetico va detto basta,<br />

è chiusa sta storia qua. Se vogliamo continuare<br />

a rimanere quello che siamo... se invece... in<br />

quel caso lì la posizione della Chiesa come tu<br />

l’hai esposta, per cui non ha paura di niente...<br />

beh sì, è vero, non ha paura di niente, però occorre<br />

effettivamente che ci si metta su un binario<br />

diverso<br />

PIETRO. Niente significa anche la capacità<br />

diagnostica<br />

RICCARDO. Però è molto poco, cioè lo trovi sì,<br />

trovi degli allarmi, però.<br />

PIETRO. Beh, sul terreno delle bioetiche è l’unica<br />

istanza mondiale che si muova su questo<br />

terreno<br />

ARMANDO. Ad inizio estate ho letto Jacques<br />

Ellul, <strong>Il</strong> sistema Tecnico, che conoscerete. È<br />

un libro scritto nel 1977 quindi con una capacità<br />

profetica paurosa che mi ha turbato, di cui<br />

non so dare sinceramente una valutazione<br />

complessiva, né ho ben chiare le conclusioni, o<br />

meglio se secondo lui esistono ancora spazi di<br />

manovra di fronte alla pervasività della tecnica.<br />

Sostanzialmente Ellul distingue tra tecnica,<br />

come cosa spicciola, e sistema tecnico, che<br />

è tale in quanto praticamente non solo si autoalimenta,<br />

ma decide esso stesso in che direzione<br />

andare ed è capace di piegare ogni decisione<br />

alla sua logica interna. Non l’economia,<br />

non la politica, né qualsiasi altro fattore è in<br />

realtà in grado di determinare le decisioni in<br />

funzione dei propri parametri. Le decisioni<br />

che vengono prese e la direzione in cui vanno,<br />

sono funzioni e variabili interne al sistema tecnico,<br />

non sono determinate esternamente ad<br />

esso. Questo, sostiene, finisce in realtà per mutare<br />

profondamente anche la concezione antropologica<br />

dell’uomo. È illusorio, per esempio,<br />

fare il confronto, ricordo che scrive nel<br />

77, tra le decisioni prese in occidente e certe<br />

decisioni prese nell’Unione Sovietica. In realtà,<br />

dice, nonostante le differenze fra i due sistemi,<br />

tutte rispondono alla stessa logica, che<br />

è quella interna del sistema tecnico che pervade<br />

di sé ogni campo del vivere umano. Questo<br />

mi ha turbato. Siamo oggi già a un punto di<br />

non ritorno, oltre il quale non si sa che cosa ci<br />

aspetta, oppure l’uomo ha ancora la possibilità,<br />

e come e in base a cosa, di rompere questo<br />

processo È un interrogativo che faccio, a cui<br />

non ho risposta... però questo libro mi fa pensare,<br />

sinceramente.<br />

STEFANO. Volevo dire che, siccome è teso<br />

questo confronto, non nel senso personale,<br />

che in questa discussione c’è un po’ di rappresentazione<br />

anche in senso teatrale, cioè Pietro<br />

rappresenta la Chiesa...<br />

PIETRO. Sì, nella divisione delle parti<br />

STEFANO. Nella divisione delle parti, esatto<br />

GABRIELLA. A me Stefano ha assegnato la<br />

parte della criptosteineriana...<br />

STEFANO. <strong>Il</strong> ruolo, lo dico anche con una certa<br />

serietà, che assume in questa conversazione<br />

Giannozzo è quello di profeta, e secondo me<br />

questo profeta dovrebbe essere ascoltato, e dico<br />

perché. Intanto le premesse, insomma io<br />

parlo liberamente e anche scherzosamente, ma<br />

fino a un certo punto. Le premesse sono queste:<br />

che il discorso di ieri di Pietro sulla definizione<br />

di Schmitt della Chiesa come complexio<br />

oppositorum ed istituzione capace di decidere<br />

ecc., è riconosciuto dal profeta. Questo è molto<br />

importante. Dopo di che ecco perché Giannozzo<br />

dovrebbe essere ascoltato di più. Quan-<br />

8 dicembre 2011 Anno XI


| ( 18 ) |<br />

do un farmaco, messo sul mercato, non funziona,<br />

risulta dannoso, cosa devi fare Lo ritiri<br />

dal mercato e ovviamente ti metti a indagare<br />

sulle cause della sua nocività, e magari le trovi...<br />

Ma insieme devi mettere in discussione le<br />

stesse procedure di controllo che non hanno<br />

intercettato l'errore prima della messa sul<br />

mercato. La valutazione non è solo sul perché<br />

è successo l’errore, ma se l’impostazione del<br />

sistema di controllo funzionava o no. L'errore<br />

diventa poi inescusabile quando si ripete.<br />

Quello che emerge è che la Chiesa, via il complesso<br />

di Galileo, ha abbandonato ogni controllo<br />

sulla tecnica. E sulle possibili buone<br />

metodologie di controllo, quello che racconta<br />

Giannozzo sugli Amish ci può insegnare qualcosa.<br />

Aggiungo un’altra cosa che mi pare importante:<br />

essendo così isolati, da qualche decennio<br />

gli Amish hanno maturato, anzi è diventata<br />

costume, questa pratica: che i ragazzi a<br />

sedici anni sono obbligati ad andare in città, e<br />

qualcuno ci resta, però la maggioranza, ed è<br />

stupefacente, ritorna alla comunità. Quindi<br />

vanno in città, stanno un annetto esposti alle<br />

tentazioni della modernità...<br />

PIETRO. Anche nei conventi le novizie vengono<br />

rimandate in famiglia prima di...<br />

STEFANO. Esattamente. Torniamo al tema: se<br />

la Chiesa, schmittianamente, ha questo compito<br />

di governo, non può non valutare le tecnologie.<br />

Ma la situazione presente non è soltanto<br />

che le nuove tecnologie sono di per sé<br />

pervasive: si è tolto ogni controllo, in maniera<br />

totale, e di fatto nonostante gli avvertimenti<br />

autorevolissimi non c’è nessuno che controlla.<br />

Sulla televisione, la Chiesa ha sempre disciplinato<br />

solo i contenuti... sulla televisione mai<br />

nessuna autorità, nessuna intelligenza cattolica,<br />

ha invitato i fedeli a non mettere la televisione<br />

nelle stanze dei bambini... Quindi non è<br />

che si può far finta che non c’è un problema.<br />

C’è una situazione pazzesca, a cui va posto rimedio,<br />

e ci sono anche tante chiacchiere che in<br />

qualche modo puntellano questa situazione insostenibile.<br />

La causa di questo lo sappiamo<br />

qual’è, è il complesso di Galileo. Ma questa<br />

pratica della valutazione Amish di fronte a<br />

qualcosa di nuovo, io l’approvo. In medicina si<br />

fa così. Viene proposto un farmaco nuovo, si<br />

prova, non è che si prova un sola volta, ci sono<br />

vari livelli di test, prima la prova teorica, poi<br />

sugli animali, e poi c’è la prova vera, sull'uomo.<br />

Ma nella Chiesa, tecnologie riproduttive a<br />

parte, sembra vi sia stata una dismissione totale<br />

da questo compito.<br />

ARMANDO. Diceva Stefano della Chiesa che<br />

ha abbandonato ogni controllo sulla tecnica.<br />

La mia domanda è: dovrebbe essere un controllo<br />

a priori, preventivo, cioè questo tipo di<br />

ricerca scientifica o di tecnologia non si applica,<br />

o non si deve fare per motivi x,x,y Oppure<br />

dovrebbe essere un controllo a posteriori di<br />

giudizio sull’applicabilità di scelte scientifiche<br />

Mi spiego meglio. Le ricerche sulla clonazione<br />

delle cellule umane, sono inammissibili<br />

fin dall’inizio, e quindi non si devono<br />

fare, oppure se la ricerca scientifica può essere<br />

fatta, poi l’umanità sarebbe in grado di dire<br />

“NO” alla loro applicazione nel concreto<br />

GIANNOZZO. Allora se posso... non avevo finito<br />

il discorso degli angeli, son portato purtroppo<br />

a dare tante cose per scontate. Noi tutte<br />

le sere in famiglia recitiamo l’Angelo Custode,<br />

e la Fioretta [Mazzei] mi diceva gli ultimi<br />

tempi, prima di morire “Guarda che gli angeli<br />

custodi sono tanti, non è uno solo”, poi ci sono<br />

gli angeli custodi di città. Ma qual’è la comunicazione<br />

dell’angelo custode Cioè, c’è un<br />

rapporto con Dio diretto, c’è un rapporto con<br />

Dio che passa attraverso gli angeli, cioè che<br />

passa attraverso, per dire, anche nel sonno, nei<br />

sogni, delle fantasie che ti collegano con Dio<br />

in qualche modo, e che ti collegano sia come<br />

persona, te, personalmente, sia anche come<br />

parte di un insieme, di vari tipi di insieme.<br />

Ecco, sono domande che possiamo lasciare<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 671


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aperte, però certamente a me queste domande<br />

mi sollecitano, difatti immediatamente ho dato<br />

incarico a padre Sorgia di fare un libro sugli<br />

angeli e lui l’ha fatto sull’angelo custode che ti<br />

protegge, e a me non basta perché, rimanendo<br />

fedele a quello che mi diceva la Fioretta, io<br />

voglio qualcosa in più, no Allora dico, in senso<br />

cristiano, cattolico, cosa sono gli angeli custodi<br />

Ti comunicano qualcosa A San Giuseppe<br />

cosa hanno comunicato Hanno dato dei<br />

messaggi precisi, ma ci possono essere anche<br />

dei messaggi che ti sollecitano la fantasia. Per<br />

me è un problema aperto, non è che quando si<br />

apre un discorso angeli nel senso della conferenza<br />

di Steiner viene fuori l’angelo della new<br />

age. No, non c’entra nulla. È quest’angelo custode<br />

qui a cui dò un’interpretazione o che<br />

sono sollecitato dare un’interpretazione che<br />

fino ad ora non davo perché vedevo l’angelo<br />

con le ali che mi sta dietro e non so bene cosa<br />

fa. Quindi in questo senso mi sollecita ad approfondire<br />

il tema, e il fatto è che certe tecnologie<br />

delle immagini in realtà mi distraggono<br />

da un approfondimento spirituale. Intanto basta<br />

questo, enuncia il problema. Non posso demonizzare,<br />

sennò mi chiudo la porta ad approfondimenti<br />

successivi. Questa cosa è venuta<br />

fuori in un dialogo tra genitori, i bambini non<br />

c’entrano. Quindi non me la sento di demonizzare,<br />

anzi, mi ha sollecitato ad un approfondimento<br />

che altrimenti non avrei fatto.<br />

Sul discorso della clonazione delle cellule<br />

umane ma ci metterei anche vegetali e animali,<br />

perché quello che l'uomo fa alla natura lo fa a<br />

se stesso, ma siamo nel regno della scienza e,<br />

secondo me, il motivo della condanna a Galileo<br />

è stato l’errore della Chiesa, non la condanna,<br />

perché Galileo è stato condannato perché<br />

non aveva dimostrato abbastanza le sue tesi,<br />

come se la dimostrazione delle sue tesi<br />

scientifiche, cioè il principio di efficienza, fosse<br />

stato assunto dalla Chiesa, (è visibile nella<br />

lettera fra cardinal Bellarmino e Paolo Antonio<br />

Foscarini, no). Se ci avesse sufficientemente<br />

dimostrato... Ma non si sono posti<br />

il problema delle conseguenze, cioè, come cristiani,<br />

come cattolici, non c’è mai un dibattito<br />

sulle possibili conseguenze. Ora, le conseguenze<br />

di questo tipo di pensiero sono state<br />

grossissime. È stata la vera divisione in classi<br />

del mondo, gli scienziati da una parte e gli uomini<br />

dall'altra. Mi ricordo un’opera di Lanza<br />

Del Vasto, “Noè”, in cui c’erano le due classi,<br />

i figli degli uomini e i figli degli angeli, che si<br />

fronteggiavano, cioè le due classi, quindi figli<br />

delle donne e degli angeli e figli delle donne e<br />

degli uomini, che si fronteggiavano. Anche qui<br />

si son formate queste due classi: praticamente<br />

gli scienziati che hanno la conoscenza su come<br />

è fatto il mondo, e gli altri. Questa divisione è<br />

nata da quella concezione e nessuno si è posto<br />

il problema di quale conseguenza avrebbe avuto<br />

sul mondo Ci si può convertire una volta assunto<br />

anche implicitamente, senza accorgersene,<br />

un concetto del genere, oppure la conversione<br />

è solo una cosa personale che è limitata a<br />

un discorso di coscienza e quindi sul peccato,<br />

sulla fede eccetera Non ci si può convertire<br />

anche da questo piano qui E la conversione<br />

non può avere delle conseguenze anche inaspettate<br />

tanto quanto e non più della modernità<br />

Cioè, il discorso della clonazione delle<br />

cellule umane, ma non solo di cellule umane,<br />

anche quelle vegetali e animali. Come<br />

principio, è moralmente ammissibile o è una<br />

artificializzazione della natura che contrasta<br />

con la creazione Noi dobbiamo dirlo. <strong>Il</strong> bombardamento<br />

degli atomi, quello che dà il via<br />

anche all’uso pacifico dell’energia nucleare,<br />

contrasta con le leggi della creazione e con il<br />

rispetto che l’uomo deve alla creazione o no<br />

Di quali capitali ha bisogno Può essere considerato<br />

“Ti ringrazio Iddio perché hai rivelato<br />

le cose ai semplici e le hai tenute nascoste ai<br />

sapienti e intelligenti” è in contrasto o no col<br />

Vangelo, per non parlare del Vecchio o Antico<br />

Testamento Abbiamo dei criteri per stabilirlo<br />

Voglio dire, sarebbe già molto su questi ar-<br />

8 dicembre 2011 Anno XI


| ( 20 ) |<br />

gomenti dare una risposta che è anche teologicamente<br />

fondata.<br />

FRANCESCO. Una cosa sulle catastrofi. L’idea<br />

di criticismo, anche l’idea dei limiti, di porsi i<br />

limiti... Io sinceramente dubito che l’uomo sia<br />

in grado di... Cioè, quando vede la catastrofe,<br />

la catastrofe è già arrivata praticamente. Forse<br />

è una necessità addirittura dell’uomo, ha bisogno<br />

di vedere la catastrofe e poi a quel punto<br />

se ne rende conto davvero. Però non credo sia<br />

plausibile l’idea “Arriviamo fino a qua e poi<br />

diciamo basta”, perché non mi sembra sia mai<br />

successo nella storia dell’uomo. Abbiamo tirato<br />

la bomba, non è che non sapevano cosa sarebbe<br />

successo. Abbiamo tirato la bomba, abbiamo<br />

visto e a quel punto<br />

PIETRO. Ci siamo fermati...<br />

ARMANDO. Solo nel tirarle, le bombe, magari...<br />

FRANCESCO. Ovviamente c’è sempre una catastrofe<br />

maggiore, non è la catastrofe finale.<br />

Per essere generico, si può andare in là chiaramente,<br />

potremmo esserci annullati completamente<br />

di già, e invece... però, temo che il discorso<br />

anche sulle biotecnologie, sulle tecnologie,<br />

sia quello che dire “Andiamo avanti finché<br />

non vediamo all’orizzonte la catastrofe”<br />

sia un ragionamento... È molto pericoloso<br />

perché non è dell’uomo, non è un comportamento<br />

umano secondo me. Io come sempre<br />

vedo un problema e non vedo una medicina,<br />

cioè non vedo una soluzione, anche l'idea...<br />

dove stiamo andando, fermiamoci, non capisco<br />

come e quanto sia praticabile, però come sempre<br />

riconoscere che c’è un problema è già un<br />

primo passo.<br />

GABRIELLA. C’è un libro di divulgazione,<br />

quasi un romanzo, si chiama La marcia della<br />

follia, di una scrittrice americana [Barbara W.<br />

Tuchman], non è un libro di grande spessore,<br />

però è interessante perché definisce «follia»<br />

quando un gruppo agisce testardamente contro<br />

il suo stesso interesse, fa delle cose che<br />

sono esattamente il contrario di quello che gli<br />

converrebbe, e l’autrice fa tutta una serie di<br />

esempi, dalla guerra di Troia alla guerra nel<br />

Vietnam.<br />

Però è chiaro che se agisce contro il suo interesse,<br />

ma senza poterlo ragionevolmente<br />

prevedere, quella non è follia, quelli sono i limiti<br />

della natura umana. Quando è follia<br />

Quando ci sono persone, minoranze, gruppi,<br />

profeti, che dicono “Attenzione, state sbagliando”,<br />

lo dicono pubblicamente, proponendo<br />

alternative, ma non sono ascoltati,<br />

come Cassandra: questa è la follia che porta<br />

alla rovina, e trascina con sé i responsabili, i<br />

rassegnati e gli indifferenti.<br />

Perciò bisogna dare importanza alle voci<br />

che si dichiarano contro, che sono controcorrente,<br />

anticonformistiche, che sono di allarme,<br />

e su queste cose di cui stiamo parlando ce<br />

n’è in abbondanza. Si parla ovunque di primato<br />

della scienza: allora si prendano in considerazione<br />

i risultati della ricerca scientifica.<br />

Ormai è acquisito scientificamente, per esempio,<br />

da ricerche fatte nel corso di decenni negli<br />

Stati Uniti, che i bambini che sono esposti<br />

alla televisione hanno gravi danni nello sviluppo,<br />

anche a prescindere dai contenuti dei<br />

programmi.<br />

Questa cosa non viene detta, o considerata<br />

un’opinione come tante, quando invece è un<br />

allarme scientifico, non una fissa da steineriani<br />

o di qualche nostalgico del passato.<br />

E così, sulla questione bioetica, aldilà della<br />

posizione forte e coerente della Chiesa cattolica,<br />

ci sono altre voci, come quella di Habermas,<br />

che dicono cose chiarissime contro il liberalismo<br />

genetico. Ma come si fa ad andare<br />

avanti su quella strada ignorando i profeti, le<br />

voci di allarme, la scienza <br />

E per questo io personalmente vedo nella<br />

Chiesa cattolica una testimonianza e un magistero<br />

all’altezza dei tempi, perché qui si parla<br />

di salvezza ormai, di una marcia della follia<br />

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globale, non di opzioni che stanno tutte nel<br />

campo delle razionali possibilità..<br />

Quindi ascoltiamo i profeti, io cerco sempre<br />

di ascoltarli, e poi a ricomporre la complessità<br />

siamo ancora in tempo.<br />

GIANNOZZO. Tutta la riflessione che ho fatto<br />

dopo i verdi, è stata ispirata dal libro di Giovanni<br />

Haussmann, La terra come placenta, che<br />

ho stampato, in cui lui dice che l’uomo, quando<br />

è dominato dal principio egoistico di conservazione,<br />

non è razionale. Anteponendo un<br />

suo interesse immediato a un suo interesse per i<br />

suoi figli anche di poco procrastinato nel tempo.<br />

Quand’è che diventa razionale Quando è<br />

dominato dal principio altruistico di solidarietà,<br />

cioè quando è dominato da un principio<br />

che lo travalica. Allora diventa razionale.<br />

Ecco il discorso di Dio, cioè quando l’uomo ha<br />

Dio al centro è capace di essere antropocentrico.<br />

Quando invece ha se stesso al centro, non è<br />

più capace di essere razionale, non è capace di<br />

rispondere al compito che ha nel cosmo. <strong>Il</strong><br />

problema è individuare... riscoprire, da San<br />

Tommaso, dalla Summa tradotta oggi la linea<br />

etica ed esservi fedeli fino all’ultimo. Questo è<br />

il nostro compito. Poi succeda quel che succeda.<br />

Gli Amish sono altrettanto consapevoli di<br />

noi, e ci sono tanti gruppi diversi di Amish, chi<br />

è più rigido, chi meno, come sempre, però<br />

sono altrettanto consapevoli di noi del disastro<br />

che ci sovrasta, che sta dietro l’angolo. La catastrofe<br />

in certi casi potrebbe anche essere un<br />

aiuto, teoricamente. La nostra fede non sta<br />

nella catastrofe, la nostra fede deve stare ben<br />

oltre la catastrofe, non è che è tanto peggio o<br />

tanto meglio. A differenza del mio amico Teddy<br />

Goldsmith, il quale ci è morto, perché lui,<br />

che pure era stato convertito dai boscimani nel<br />

deserto del Kalahari all’ecologia, in fondo è<br />

rimasto un occidentale abbastanza credente<br />

alla scienza e quando la scienza ormai gli ha<br />

detto che il cambiamento climatico avrebbe<br />

portato alla fine dell’umanità nell’arco del<br />

prossimo secolo, lui praticamente è entrato in<br />

crisi proprio psicologica, ed è morto della sindrome<br />

della sentinella che non è riuscita a<br />

dare l’allarme. Io non ci credo a questo, io<br />

credo a quel che è scritto nel Vangelo, che la<br />

fine del mondo verrà quando Gesù tornerà, e<br />

non prima, e l’ho detto anche a <strong>Il</strong>lich, il quale<br />

è rimasto colpito da questa risposta. Io credo<br />

al Vangelo, per cui quello che dice la scienza è<br />

galleggiante, cambia sempre, oggi hanno scoperto<br />

una cosa, domani ne scoprono un’altra<br />

eccetera. Però la catastrofe ci potrebbe aiutare<br />

come ci potrebbe danneggiare. Potrebbe succedere<br />

come in Tunisia che quando manca il<br />

pane tutti si sparano, potrebbe succedere invece<br />

che si organizzano le parrocchie i gruppi<br />

ecc. e si ricostruisce un tessuto sociale o comunitario<br />

che oggi è tutto spappolato, non si sa,<br />

ma certamente, se mancano le persone che<br />

hanno un’architettura morale chiara, e camminano<br />

in quella direzione e cercano di stimolare<br />

la Chiesa anche come istituzione a fare altrettanto,<br />

certamente il fatto che ci si spari<br />

l'un l'altro e basta diventa molto più vicino nel<br />

momento della catastrofe.<br />

PIETRO. Mi date cinque minuti Io ho il mio<br />

difetto. Ma ormai gli amici lo sanno: sento il<br />

bisogno di distinguere. Intanto, la questione<br />

della katastrophé. Devo deludere, non parlavo<br />

delle ‘catastrofi’ oggettive, non a caso mi rivolgevo<br />

a Francesco come filosofo. Dicevo catastrofe<br />

nel senso di René Thom, del grande<br />

matematico, nella accezione (e come risorsa)<br />

formale: un trasformazione che avviene in<br />

modo brusco, una discontinuità che interviene<br />

nello stesso incremento continuo di due o più<br />

variabili. Con diverso linguaggio: entro ogni<br />

regime di continuità vi sono soglie. Come<br />

quando diciamo che, entro la continuità di una<br />

pratica, ‘scatta qualcosa’. La metodologia delle<br />

soglie ci evita di essere dicotomici, in un regime<br />

di incrementi: o verso tutto o verso niente,<br />

o linearmente verso A o verso B. Certo,<br />

poiché in re le soglie ci sono (oltre le quali ad<br />

8 dicembre 2011 Anno XI


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es. una struttura collassa, un circuito surriscaldato<br />

salta ecc.), la katastrophé può essere<br />

catastrofica nel senso ordinario. Ma le soglie<br />

possono essere di tutt’altro tipo, logico o epistemologico.<br />

Individuare una soglia permette<br />

di lavorare secondo ragione. Sottolineo la<br />

questione di ciò che è ‘giusto’ agli effetti dello<br />

sviluppo del ragionamento, ovvero di ciò che è<br />

epistemicamente vantaggioso, epistemicamente<br />

più ricco di altre soluzioni impostate<br />

razionalmente su altre soglie. Per esempio, a<br />

mio parere la soglia Amish è una soglia troppo<br />

precoce, anticipata, in quel regime di continuità<br />

che è lo svolgimento di una ricerca di<br />

equilibrio tra tecnica e ‘vita buona’. A me la<br />

soglia Amish non serve, perché tu non vivi come<br />

gli Amish, perché già un gruppo di cinquediecimila<br />

persone non potrebbe vivere come<br />

gli Amish. Anche dal punto di vista religioso, è<br />

l’esperienza di una setta (setta come termine<br />

tecnico, non deteriore, che indica una ‘comunità<br />

di salvati’, per rinviare al famoso libro di<br />

Troeltsch sulle Dottrine sociali delle Chiese e<br />

dei gruppi cristiani) non adatta ad una Chiesa.<br />

Un’esperienza che ha la sua radicalità, un<br />

gruppo di eletti e un nucleo che si autoalimenta<br />

nella condizione di elezione, e vive<br />

nelle condizioni elementari, le meno complesse<br />

dal punto di vista degli strumenti; perché<br />

ciò che conta è altro. Naturalmente questo è<br />

sempre un gran modello il rapporto/conflitto<br />

Chiesa-Setta, chiesa societas - chiesa communitas.<br />

Però, noi-società non possiamo essere<br />

Amish. Credo che, razionalmente, per la grande<br />

società come per la grande tradizione religiosa,<br />

il modello setta fallisce se non entra nella<br />

complexio oppositoriom, cioè nel disegno per<br />

cui le due parti si illuminano, si ammaestrano<br />

reciprocamente, non l’una delle due illumina<br />

l’altra. La grande Chiesa non potrà essere mai<br />

setta, e una grande città non potrà mai essere<br />

comunità. Dunque, se affrontiamo questioni<br />

critiche, la soglia Amish è presa troppo presto<br />

nel percorso, è una katastrophé che non ci insegna<br />

niente, al massimo una istanza…<br />

STEFANO. Ma loro hanno una soglia, qui non<br />

c’è nessuna soglia...<br />

PIETRO. Benissimo, e questo è il problema.<br />

Ma se è una soglia che non mi serve, non mi<br />

serve. È questa è una soglia che non serve.<br />

RICCARDO. Ha però una sua logica, come l'ha<br />

precisata Giannozzo...<br />

PIETRO. Sì, ha una sua logica; il fatto che non<br />

serva non significa che non abbia una logica.<br />

Non serve a livelli macro.<br />

STEFANO. La valutazione sulla tecnologia<br />

non serve<br />

PIETRO. Non serve a quel livello radicalmente<br />

escludente..<br />

STEFANO. Volevo dire che il modello Amish è<br />

che qualcuno almeno riflette sulla soglia, qui<br />

nessuno ci riflette.<br />

PIETRO. Non è vero. Noi stiamo riflettendo<br />

sulle soglie. Tutto il mondo riflette da decenni<br />

sulle soglie, scusami tanto. Ora, da un lato c’è<br />

lo sviluppo delle tecniche e dall’altro c’è il<br />

mondo che si assilla, non solo gli intellettuali.<br />

Altra cosa è se le soglie sono state trovate. Altro<br />

ancora è se queste soglie possono diventare<br />

prescrittive, imperative nel senso che possono<br />

effettivamente controllare i processi e si impongono<br />

a tutti. Si potrebbe dire pessimisticamente<br />

che questa riflessione sulle soglie è<br />

pragmatica, un mero dato di fatto. Per esempio,<br />

c’è tutta la letteratura sulla cosiddetta sociologia<br />

del rischio, molto diffusa e anche molto<br />

alla moda (fino a qualche anno fa), almeno accademicamente<br />

alla moda, nella quale afferma<br />

che ormai ogni soluzione tecnica, anche quella<br />

riparatoria dei danni delle tecniche, produce<br />

altri danni. Anche in questo caso, più che affermare<br />

un regime di continuità irreparabilmente<br />

negativo, si tratta trovare la soglia razionalmente<br />

efficace (una katastrophé positiva)<br />

rispetto al grado di complessità. Per questo<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 671


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dico: in rapporto al grado di complessità cui<br />

dobbiamo affrontare la questione della soglia,<br />

il modello Amish non mi serve, non so che farmene.<br />

Certo, può essere un grande paradigma<br />

di alterità, come d’altronde quello di una comunità<br />

primitiva per le utopie politico-economiche.<br />

È più di due secoli che queste comunità<br />

forniscono dei modelli. Ma modelli che siano<br />

stati efficienti, salvo suggestionale piccoli<br />

gruppi occidentali utopizzanti Credo si debba<br />

essere ‘realisti’, cioè allievi della Realtà.<br />

Qui si può inserire la questione Galileo. Anche<br />

per questo aspetto farei una distinzione.<br />

Tu dici che la condanna di Galileo fu fondata<br />

dai teologi romani su un principio di efficienza<br />

scientifica (dimostrazione o non dimostrazione<br />

delle tesi eliocentriche) e non sul calcolo delle<br />

conseguenze. È tesi classica, prevalentemente<br />

(ma non solo) di parte cattolica, difensiva della<br />

legittimità ‘scientifica’ della condanna. La<br />

mia convinzione sulla posizione di Bellarmino<br />

(che riguarda solo un primo periodo della vicenda),<br />

e in genere sulla la cultura dei teologi<br />

romani, è invece che si fosse ben consapevoli<br />

delle conseguenze sull’intero edificio della<br />

teologia della Creazione (anzi, per dirla con i<br />

titoli del trattato classico, sull’intero orizzonte<br />

de Deo creante et elevante). Naturalmente l’intelletto<br />

cattolico non concettualizza il caso<br />

Galileo come poté parlarne Husserl negli anni<br />

Trenta del secolo scorso (nella Krisis), ma intravedeva<br />

che introdurre al posto del cosmo<br />

creatura, che è anche anche il cosmo angelico,<br />

un cosmo macchina, avrebbe avuto delle implicazioni<br />

dogmatiche di grande portata. Credo<br />

che i teologi romani fossero consapevoli, e<br />

non a caso lo stesso Galileo è costretto a muoversi<br />

in questo senso; la sua famosa distinzione,<br />

per cui la Bibbia non ci dice cos’è il<br />

cielo ma come arrivare in cielo (che è una soluzione<br />

squisitamente, si potrebbe dire, modernistica,<br />

un cristianesimo ‘morale’ indifferente<br />

al cosmo, quindi assolutamente insufficiente,<br />

forse erronea), non è che manchi di consapevolezza<br />

ultima. La Chiesa ha, dunque, esercitato<br />

rispetto alla scienza un controllo, quel controllo<br />

di cui la si accusa. Proprio le accuse da<br />

parte degli storici, filosofi, ideologi ‘laici’ ecc.<br />

indicano che quel controllo c’è stato, e a lungo.<br />

Questo quanto alla scienza; per le tecniche<br />

è diverso. <strong>Il</strong> controllo della Chiesa sulle tecniche<br />

è piuttosto un controllo sulle loro conseguenze<br />

È morali, e alla fine antropologiche (di<br />

antropologia cristiana, sempre ordinata alla<br />

Salvezza). Sarebbe una ricerca interessante,<br />

probabilmente anche già fatta, per settori (ad<br />

es. l’ambito delle tecniche in bioetica) e per<br />

periodi (cosa pensano i grandi teologi morali,<br />

ancora tra sei-settecento, dell’uso di questa o<br />

di quella tecnica, dalle finanziarie alle produttive,<br />

in economia) Nella tradizione cattolica,<br />

mi pare, abbiamo essenzialmente attenzione<br />

all’intenzione dell’uso e alle conseguenze<br />

eventualmente di danno. Quindi, la tecnica<br />

come tale (anche perché non vi sono ancora le<br />

invasive tecnologie contemporanee, parlo<br />

sempre dei livelli moderni) è sotto gli occhi<br />

della Chiesa per l’aspetto per l’aspetto tecnicamente<br />

teologico-morale. Questa situazione<br />

si estende, si potrà anche dire con le sue intrinseche<br />

debolezze, ma si estende, alla contemporaneità.<br />

La Chiesa non si pone il problema<br />

della televisione, ma di ciò che la televisione<br />

opera, comunica. Chiunque della mia<br />

generazione, la generazione anche di Giannozzo,<br />

ricorda la situazione già della radio,<br />

dello spettacolo, del cinema nel dopoguerra,<br />

nell’età di McLuhan: il controllo della Chiesa<br />

è sempre stato forte, assillante persino, ma non<br />

era sul cinema, o sulla stampa popolare come<br />

tale, ma sui contenuti. Cioè, sugli effetti degli<br />

strumenti del comunicare nelle idee, nei valori e<br />

nelle condotte. Si può dire che questo controllo<br />

fu certamente inferiore al livello di complessità<br />

in cui fu posto da McLuhan (ad esempio<br />

Gli strumenti del comunicare — titolo italiano<br />

— è un libro geniale; riletto oggi è ancora<br />

più importante, perché non è tanto l’analisi<br />

8 dicembre 2011 Anno XI


| ( 24 ) |<br />

dei mezzi di comunicazione: quest’uomo lavora<br />

in antropologia generale e in storia generale<br />

della cultura). Quindi non c’è mancanza<br />

di controllo; vale, però, anzitutto la sostanza,<br />

è importante ciò che entra nella mente. Almeno<br />

fino a ieri; non direi oggi, perché il dibattito<br />

che stiamo facendo troverebbe una parte dei<br />

teologi molto più in sintonia con te che con<br />

me, in realtà. La situazione contemporanea<br />

dell’intelletto cattolico è paradossale. Ma, almeno<br />

fino a ieri, il problema era essenzialmente<br />

ciò che arriva all’intelletto, e il<br />

possibile stravolgimento dei modelli morali,<br />

simbolici e ideali. Questo controllo della<br />

Chiesa sugli strumenti del comunicare (nell’età<br />

di papa Pacelli, specialmente) trovò talmente<br />

resistente il livello delle condotte collettive,<br />

anche ‘cattoliche’, che ha finito per<br />

spuntarsi e poi essere abbandonato. Anche qui<br />

è un problema di distinzione e di soglia. Qual’è<br />

il confine che non è stato valicato dal controllo<br />

della Chiesa È stato un controllo di verità<br />

che, però, non ha recepito l’assunto del<br />

medium è il messaggio Bisogna anche considerare<br />

che il principio di ragione e il principio di<br />

realtà (mai in sé negativa), che regolano la tradizione<br />

cattolica, portano a distinguere sempre<br />

mezzi e fini. E la tendenza a considerare il<br />

mezzo, il medium, ‘neutrale’ è stata, di conseguenza,<br />

prevalente nelle pratiche e nel magistero<br />

ordinario.<br />

FINE<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 671


ARIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

N°672<br />

B<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

16 DICEMBRE 2011<br />

U<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong><br />

ANNOXI<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

)<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

a Questo numero.<br />

“È raro avere la capacità di condensare in poche righe<br />

la storia e contemporaneamente fotografare la<br />

forma grattacielo e la società che la esprime. <strong>Il</strong> prof.<br />

Giorgio Muratore ci è riuscito, anzi ci era già riuscito,<br />

visto che l'articolo è del 2008. Davvero è difficile<br />

aggiungere altro alla denuncia di questa condizione<br />

che è, prima di tutto, politica ad un sistema di potere<br />

che oggi è molto più riconoscibile, vicino e incombente.”<br />

Così Pietro Pagliardini ha segnalato nel<br />

suo blog l'articolo che proponiamo in prima pagina.<br />

Segue, da Parigi, una necessaria riflessione di Aude<br />

De Kerros su abominevoli approdi dell'AC, mentre<br />

Gabriella Rouf commenta la recente messa in scena<br />

del Don Giovanni. In ultima pagina, lo annunciamo<br />

con particolare soddisfazione, Giuseppe Ghini inaugura<br />

la sua geniale attualizzazione degli emblemi di<br />

Andrea Alciato. Un altro privilegio per i nostri lettori,<br />

ma sulla straordinaria stagione, morale e tipografica,<br />

degli emblemi dovremo ritornare. N<br />

INDICE<br />

1 Giorgio Muratore. <strong>Il</strong> Grattacielo, una tipologia<br />

vecchia e disgustosa.<br />

4 Aude de Kerros. La metamorfosi del blasfemo in<br />

arte.<br />

7 Gabriella Rouf. Mozart non c’era.<br />

8 Giuseppe Ghini. Gli Emblemi del 2000. In silenzio.<br />

a <strong>Il</strong> Grattacielo, una tipologia<br />

vecchia e disgustosa.<br />

DI GIORGIO MURATORE<br />

Fonte: http://archiwatch.wordpress.com<br />

Metropolis la pellicola-culto di Fritz<br />

Lang che nel 1927 profetizzava il trionfo e<br />

la catastrofe della civiltà della macchina<br />

era una città di grattacieli. Una città utopica<br />

verticale vissuta come un incubo da<br />

un intellettuale europeo alle soglie della<br />

grande crisi del ’29 nella quale all’acme<br />

della poetica espressionista venivano a sintetizzarsi,<br />

catalizzandosi criticamente in<br />

forma visiva, tutti gli umori di un modernismo<br />

esasperato da ben più di mezzo secolo<br />

di trionfo industriale che a partire dai<br />

lontani fasti del Cristal Palace londinese<br />

passando per Eiffel sarebbe approdato al<br />

Chrysler newyorkese dopo essere passata<br />

per i capolavori sullivaniani della scuola di<br />

Chicago.<br />

Un itinerario affascinante quello dei<br />

primi decenni del grattacielo americano<br />

che avrebbe poi trovato, ancora e soprattutto<br />

nelle due già citate metropoli statunitensi,<br />

modo di affermarsi con l’Empire<br />

State Building e con il Rockfeller Centre,<br />

da un lato, e con le prime grandi opere<br />

verticali di Mies van der Rohe, dall’altro,<br />

che finalmente affacciandosi sul Michigan<br />

trovava modo di coronare un sogno pluridecennale<br />

coltivato fin da quando, nei primi<br />

venti, aveva progettato il suo profetico<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

Fonte: http://archiwatch.wordpress.com<br />

grattacielo di cristallo sulla Friedrichstrasse<br />

berlinese e che troverà modo di<br />

concludere la sua conquista del cuore<br />

americano con l’esemplare Seagram Building<br />

piazzato proprio nel baricentro finanziario<br />

di Manhattan.<br />

Dall’Art-Deco al Razionalismo più radicale<br />

quindi e, da lì in poi, di successo in<br />

successo, il grattacielo americano continua<br />

la sua ascesa fisica e simbolica contaminandosi<br />

con i linguaggi più corrivi dei decenni<br />

successivi, dall’International Style<br />

al Post-Modern, dai monumentali manufatti<br />

dello studio Skidmore, Owings &<br />

Merril, fino ai totemici stilismi postmodernisti<br />

dell’ultimo Philips Johnson. E saranno<br />

poi ancora gli architetti europei a<br />

riflettere criticamente sulla portata simbolico-figurativa<br />

di quella ormai storicizzata<br />

tipologia verticale quando Rem Koolhas<br />

uno dei profeti della globalizzazione decostruttivista<br />

degli ultimi trent’anni (sponsorizzato<br />

dall’immarcescibile e luciferino<br />

Philip Johnson), nel suo bestseller Delirious<br />

New York ne riprenderà, in certo<br />

modo il testimone, per poi dilagare a livello<br />

internazionale sull’onda della globalizzazione<br />

finanziaria e tecnocratica degli ultimi<br />

trent’anni. Non c’è infatti ormai regione,<br />

sia pur remota, della terra a non essere<br />

assoggettata alla presenza di questa tipologia<br />

edilizia che, se da un lato, rappresenta<br />

la cristallizzazione più ingenua e<br />

volgare delle aspirazioni dei nuovi ricchi,<br />

dall’altro testimonia del prevalere di un<br />

know-how tecnologico e progettuale dove<br />

la grande industria di ultima e penultima<br />

generazione, e l’apparato economico-finanziario<br />

che ne è espressione e sostanza<br />

strutturale, trovano modo di autorappresentarsi<br />

con facilità attraverso la vasta e<br />

disponibile schiera di progettisti e di ard<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 672


| ( 3 ) |<br />

chistar che ne sono prolungamento a livello<br />

figurativo, decorativo, stilistico e architettonico.<br />

Si assiste quindi, e non da oggi, al proliferare<br />

di grattacieli di tutte le taglie e di<br />

tutte le fogge, un po’ in tutto il mondo, dai<br />

distretti commerciali delle metropoli occidentali<br />

alle sempre più numerose città<br />

nuove che si affollano a decine dall’oriente<br />

estremo fino alle, un tempo, desolate e pastorali<br />

plaghe dell’Asia centrale, dalle assolate,<br />

assetate e desertiche realtà del Golfo<br />

fino alle più remote e paradossali situazioni<br />

latino-americane, tutte località, a<br />

vario modo, assoggettate a questa nuova<br />

forma di colonialismo tipologico, ove il<br />

protagonismo di massa del grattacielo la fa<br />

ormai da padrone indiscusso. Migliaia di<br />

grattacieli, una volta confinati in rari<br />

esemplari nei distretti finanziari delle<br />

grandi metropoli statunitensi, dilagano<br />

ormai senza freno dai deserti alle praterie,<br />

dalle spiagge alle savane del mondo intero.<br />

Soprattutto nei luoghi dove è più debole la<br />

storicità e la memoria stessa dei siti al<br />

grattacielo sembra affidato il ruolo fondante<br />

di edificio-pioniere, quasi a segnalare<br />

una nuova presenza, a testimoniare con<br />

arroganza una presa di possesso, a testimoniare<br />

l’orgoglio volgare di un finalmente<br />

raggiunto dominio simbolico e materiale<br />

sui luoghi.<br />

Per nostra fortuna il nostro paese, per<br />

tutta una serie di evidenti priorità di ordine<br />

culturale, ma anche e soprattutto di limiti<br />

economici e finanziarii era stata fin<br />

qui evitata una simile violenza. Qualche<br />

“torre” a dire il vero era spuntata, soprattutto<br />

negli anni del rapido benessere qua e<br />

là, a Milano, a Genova, all’Eur di Roma e<br />

in qualche cittadina piuttosto derelitta sul<br />

piano urbanistico come Livorno, Nettuno,<br />

Cesenatico, Gallipoli, tanto per fare qualche<br />

esempio diffuso sul piano nazionale.<br />

Casi, al fondo, sporadici di periferica isterìa<br />

da campanile, senza contare che il caso<br />

milanese ha, comunque, prodotto almeno<br />

due edifici di rilevante significato architettonico<br />

come la Torre Velasca e il “Pirellone”.<br />

Purtroppo però in questi ultimi anni<br />

sull’onda di un laissez-faire di stampo<br />

anarco-liberista, molte barriere, anche etico-psicologiche<br />

sono crollate e sono quindi<br />

sempre più numerosi i casi in cui il nostro<br />

patrimonio ambientale e paesaggistico<br />

viene aggredito in forme concitate, avventate<br />

e aggressive in nome di una sedicente<br />

modernizzazione che trova, proprio nel<br />

grattacielo, la sua formula più immediata,<br />

sbrigativa e redditizia, perciò, vincente.<br />

Basterebbe considerare il caso di Roma,<br />

città fin qui, sostanzialmente, scampata al<br />

rischio grattacielo, ove sono già previsti<br />

almeno cinque interventi in tal senso che,<br />

se portati sventuratamente a compimento,<br />

stagliandosi sulla campagna romana, snaturerebbero,<br />

per sempre e in forme irreversibili,<br />

il, più che prezioso, profilo capitolino.”<br />

GIORGIO MURATORE agosto 2008<br />

16 dicembre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

a La metamorfosi del blasfemo in<br />

arte.<br />

DI AUDE DE KERROS<br />

Blasfemo Non blasfemo Questa è la<br />

questione! Novità in Francia, tre “eventi"<br />

— Piss Christ, Le concept du visage du Fils<br />

de Dieu e Golgota Picnic 1 , attirano nello<br />

stesso anno l’attenzione della cronaca per<br />

motivi di blasfemia.<br />

Eppure ce ne vuole per scioccare i francesi...<br />

nel paese degli Incoerenti, dei Dada,<br />

dei surrealisti, anticlericali e dei libertini,<br />

il puritanesimo non è una tradizione. Mai<br />

il Carnevale o la Festa dei Folli è stato vietato.<br />

Dalla notte dei tempi, si prendono in<br />

giro i potenti e i principi della Chiesa.<br />

Ma i “goliardi" 2 troverebbero oggi un<br />

po' tristi i nostri trasgressori sovvenzionati..<br />

Romanici e gotici non scolpivano solo<br />

santi e vergini, ma anche scene abbastanza<br />

crude su frontoni e capitelli. Queste pratiche<br />

hanno svolto il ruolo di contropotere<br />

ricorrente ad una "arte alta" di una grande<br />

1 Difficile descrivere in poche parole il disgustoso guazzabuglio<br />

di questi tipici esemplari AC. Piss Christ è la nota (1987)<br />

fotografia di Andres Serrano (USA), icona del festival di Avignone.<br />

Rappresenta un crocifisso immerso in un bicchiere di<br />

urina dell’autore. Stesso trattamento per la Madonna col<br />

Bambino. Le concept du visage du Fils de Dieu è una performance<br />

teatrale del pessimo Romeo Castellucci (IT), dove,<br />

avendo per sfondo l’immagine del Salvator Mundi di Antonello<br />

da Messina, si inscena una specie di festival delle deiezioni,<br />

beffardamente mascherato da pietà per l’umano corporeo. Golgota<br />

Picnic di Rodrigo Garcia (E), è un’altra performance teatrale,<br />

una specie di summa di oscenità, blasfemia, odio anticristiano.<br />

Chi ha curiosità e stomaco, può controllare su Wikipedia.<br />

Sarebbe comico, se non fosse tristissimo, leggere le elucubrazioni<br />

di commentatori vari su questi ignobili prodotti, la cui<br />

fortuna mediatica è affidata solo alla provocazione e allo scandalo.<br />

Le Associazioni cattoliche che hanno protestato sono etichettate<br />

come integraliste e fasciste.<br />

2 Movimento medievale (XII/XIII sec.) di chierici itineranti<br />

che, per criticare le gerarchie ecclesiastiche usavano componimenti<br />

poetici burleschi e anche osceni.<br />

spiritualità. Esse sono la salvaguardia contro<br />

ogni tentazione totalitaria. E' la loro<br />

funzione, ma anche il loro limite. Per questo<br />

motivo, in Francia, non abbiamo conosciuto<br />

né un maccartismo, né le “guerre<br />

culturali" degli anni novanta, come negli<br />

Stati Uniti.<br />

Ora, improvvisamente, non è più così.<br />

Ma è da mezzo secolo a questa parte, che<br />

ha avuto luogo la mutazione del blasfemo<br />

in arte...<br />

Non è più l’ostia trafitta, o certe vecchie<br />

pratiche derivanti da azioni individuali<br />

o riti satanici. Oggi la trasgressione<br />

del sacro assume altre forme: è Arte Contemporanea<br />

(AC) ...<br />

L'essenza della pratica dell’AC, arte ufficiale<br />

e sovvenzionata 3 , è la trasgressione.<br />

<strong>Il</strong> suo scopo è minare il “contesto", far<br />

saltare il senso delle cose , attraverso le detournement<br />

alla Duchamp. Ma se in passato<br />

si intendeva con ciò sottoporre a satira l'arte<br />

ufficiale, questo è impossibile oggi. E’ diventato<br />

un servizio pubblico! Da 30 anni lo<br />

Stato dirige burocraticamente l'arte in<br />

Francia. I grandi media non fanno mai l'eco<br />

del dissenso intellettuale, del resto ormai<br />

riconosciuto.<br />

È per questo che nel caso Castellucci 4 ,<br />

di fronte ad un pubblico scontento e incontrollabile,<br />

tacciato di “populista", il<br />

sindaco di Parigi e il ministro della Cultura<br />

si sono ufficialmente indignati, i vescovi<br />

hanno rampognato i fedeli, la forza pub-<br />

3 «AC» (acronimo per Arte Contemporanea) designa il sistema<br />

commerciale-speculativo che ha imposto sul mercato internazionale<br />

un prodotto pseudoartistico prevalentemente concettuale.<br />

Vedi, fra l’altro, la Raccolta de <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> AC e gli interventi<br />

di Jean Clair (<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> nn.642-653) In Francia, l’AC è<br />

«arte di Stato», sovvenzionata con denaro pubblico, con esclusione<br />

di ogni diversa espressione artistica.<br />

4 Vedi nota 1.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 672


| ( 5 ) |<br />

blica ha respinto brutalmente i manifestanti,<br />

i giudici li hanno condannati, i media<br />

li hanno catalogati come “fondamentalisti",<br />

cioè “terroristi" .<br />

M UN TRANSFERT DEL SACRO.<br />

Ma dato che queste reazioni erano ben<br />

prevedibili, appare con chiarezza il perché<br />

l'AC aggredisca con tanta durezza il cristianesimo.<br />

Si tratta di una necessità artistica:<br />

non c'è più molto altro che sia nello<br />

stesso tempo trasgressivo e politicamente<br />

corretto. Attaccare il sacro cristiano è simultaneamente<br />

permesso, accessibile, visibile<br />

e forte. La blasfemia ha la virtù di<br />

operare un trasferimento di “aura" e di<br />

“sacro" dalla Chiesa all’AC. Produce<br />

scandalo e dà legittimità.<br />

<strong>Il</strong> risultato è raggiunto, proprio quando<br />

si vede il pubblico salire sul palco per recitare<br />

il rosario, mettere fiori, lumini e ceri<br />

di fronte al teatro. Pratiche talvolta malviste<br />

nelle chiese.<br />

È così che l’AC è “sacralizzata" grazie<br />

allo Stato, grazie alla Chiesa.<br />

L'arte contemporanea ha per decenni<br />

suscitato una sorta di stupore, di soggezione.<br />

L’interrogativo che suscitava rimaneva<br />

senza risposta, il pubblico ignorante mostrava<br />

un timore reverenziale. Per il borghese<br />

colto o il povero illetterato, la situazione<br />

era la stessa. <strong>Il</strong> divario tra la nullità e<br />

banalità di ciò che era visto, e il riconoscimento<br />

economico e sociale che gli era invece<br />

tributato, imponeva il silenzio..<br />

<strong>Il</strong> colmo fu raggiunto quando alcune<br />

autorità ecclesiastiche videro “autentiche<br />

opere d'arte cristiana" là dove il pubblico<br />

dei non iniziati non percepiva che irrisione<br />

o bestemmia.<br />

Presepe napoletano<br />

16 dicembre 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

M UN PRODOTTO FINANZIARIO DERIVATO.<br />

L'ordine ha regnato tuttavia per alcuni<br />

decenni, fino a quando Internet ha fatto<br />

emergere altri punti di vista e anche un'analisi<br />

colta di tutti questi fenomeni. <strong>Il</strong> dibattito<br />

pubblico sull’arte, evitato dai media<br />

in Francia, si è intensificato dal 2005 e<br />

ha preso un grande rilievo a partire dal<br />

crack finanziario dell’ottobre 2008. <strong>Il</strong><br />

velo del mistero sul valore dell’AC si è lacerato,<br />

e il grande pubblico ha finalmente<br />

capito: le quotazioni dell’AC non hanno<br />

nulla a che fare con i valori fondamentali,<br />

come la bellezza e la verità. L’AC è altra<br />

cosa dall'arte e, a parte rare trasgressioni<br />

“virtuose" fondate su una sincera critica<br />

sociale, è destinata a diventare un prodotto<br />

finanziario derivato.<br />

Lo stato di stupefazione è cessato. Internet<br />

e la strada ormai dicono la loro.....<br />

Cosa fare Certamente non una legge di<br />

censura. [...]<br />

Se la religione cattolica è vulnerabile<br />

nelle sue immagini e nei suoi sacramenti,<br />

essa d’altra parte si avvale di una immunità<br />

nei confronti della blasfemia. L'identità<br />

del cristiano non è lesa, perché si identifica<br />

con il Cristo oltraggiato, sorgente della<br />

sua Salvezza. Grazie a questo, non può lasciarsi<br />

trascinare nel meccanismo mimetico<br />

e fatale della violenza. <strong>Il</strong> cristiano può<br />

avere il coraggio di correre il rischio della<br />

libertà, dunque dell'arte e del pensiero.<br />

Ma deve anche avere il coraggio di difenderla,<br />

questa libertà.<br />

La soluzione è semplice. Occorre intellettualmente<br />

riconoscere l'esistenza attuale<br />

di due definizioni della parola “arte". È<br />

qui la fonte della confusione. Si tratta infatti<br />

di due pratiche che non hanno nulla<br />

in comune:<br />

1. Arte che attraverso la pienezza della<br />

forma esprime il senso, e assume il male e<br />

la contraddizione per mezzo della grazia<br />

della bellezza<br />

2. L'AC, il cui scopo è quello di distruggere<br />

il contesto e conturbare chi<br />

guarda. Essa pretende di essere un contropotere,<br />

ma la sua pratica di trasgressione è<br />

finanziata dallo Stato e difesa con la polizia!<br />

(Lo Stato, dovrebbe in ogni caso astenersi<br />

dal promuovere, con i soldi dei contribuenti,<br />

delle opere, quando esse attaccano<br />

le credenze religiose dei cittadini. Si<br />

lasci ciò agli sponsor del settore privato.)<br />

<strong>Il</strong> riconoscimento di questo scisma è un'emergenza<br />

intellettuale, perché solo il riconoscimento<br />

di esso permette la libertà di scelta.<br />

AUDE DE KERROS<br />

Traduzione e note di Gabriella Rouf<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 672


| ( 7 ) |<br />

a Mozart non c’era.<br />

DI GABRIELLA ROUF<br />

La pubblicità di un appestante profumo<br />

utilizza come sonoro il Lacrimosa dalla<br />

Messa di requiem di Mozart, e presumo<br />

non sia per propagandare un fascino cadaverico<br />

spray. D’altra parte, ci è capitato di<br />

sentire i Carmina Burana come sottofondo<br />

delle immagini di un funerale. Devono<br />

esistere dei repertori sonori a cui i decerebrati-creativi<br />

attingono, in base a certi parametri<br />

pulsionali dell’ascolto: musica<br />

frammentata e distrutta, a dimostrare che<br />

la bellezza non è in se stessa, ma nell’umanità<br />

integra, nella moralità dell’opera.<br />

L’agguato del brutto/sciocco può sortire<br />

inaspettato a riproporre altrove lo stesso<br />

schema: spettacoli di mero consumo, che si<br />

intrufolano nei luoghi della tradizione per<br />

degradare e confondere, livellando al più<br />

basso, al banale, allo scontato, forse al rassegnato.<br />

È il caso del Don Giovanni della Scala,<br />

di cui non sappiamo se ringraziare dell’opportunità<br />

della visione in TV, visto che ce<br />

ne resta sconcerto e noia. Ché, sotto la direzione<br />

letargica di un imbambolato Barenboim,<br />

si è messo in scena, anche qui, un<br />

degrado dell’opera mozartiana, una specie<br />

di desertificazione spirituale, di compressione<br />

nel contenitore del politically correct,<br />

tanto che essa si è dileguata, e si è assistito<br />

a tutt’altra cosa, ad un contraffatto Don<br />

Giovanni messo in burletta, senza nemmeno<br />

l’intelligenza della parodia.<br />

L’eliminazione della trascendenza dal<br />

Don Giovanni mozartiano, non è interpretazione,<br />

attualizzazione o altro, ma è semplicemente<br />

un atto nullo, professionalmente<br />

ed istituzionalmente, che deriva ed<br />

insieme incrementa senza possibili eccezioni,<br />

l’atonia direzionale, il dilettantismo<br />

registico, la banalità scenografica.<br />

La miseria intellettuale e il disagio dei<br />

protagonisti e dei commentatori emergeva<br />

del resto nei siparietti dal continuo bla bla<br />

sul mito di Don Giovanni — sedotto o seduttore<br />

—, raccomandandosi a DaPonte<br />

che, libertino spretato, sembrava offrire<br />

una sponda rassicurante al cieco (e sordo)<br />

vagare della compagnia 5 .<br />

Insomma, anche qui, uno spettacolino<br />

(sponsorizzato Philip Morris e qualche<br />

stilista, dato l’insistere su sigarette e appendiabiti)<br />

mendica l’aura dell’arte, ricicla<br />

i cascami delle mode registiche europee,<br />

e si appaga di lodi complici o ignare.<br />

C’era Napolitano, c’era Monti, ma Mozart<br />

non c’era.<br />

5 Anche il continuo riferirsi al Don Giovanni come «dramma<br />

giocoso», nonché ignorare (o fingere di ignorare) che al tempo<br />

di Mozart si trattava di una definizione generica, che atteneva<br />

gli elementi strutturali dell’opera, distinguendola altresì<br />

dall’«opera buffa» proprio per i suoi contenuti elevati, e<br />

dall’«opera seria» per il riferimento all’ambiente contemporaneo,<br />

sembrava un disperato mendicar consensi allo sberleffo<br />

volgare e alla più che ovvia deriva peep show.<br />

16 dicembre 2011 Anno XI


O<br />

| ( 8 ) |<br />

GIUSEPPE GHINI GLI EMBLEMI DEL 2000.<br />

R<br />

I N S I L E N Z I O .<br />

S<br />

<strong>Il</strong> buio e il silenzio, si dice, non esistono più,<br />

ma gli occhi si possono chiudere, le orecchie no,<br />

e c'è sempre qualcuno che lascia il cellulare acceso.<br />

Molti ignorano che, finché non rispondono al cellulare,<br />

il saggio e lo stolto non si distinguono.<br />

†<br />

I IN SILENTIUM.<br />

V<br />

16 dicembre 2011Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) Anno XI


ARIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

N°673<br />

B<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

21 DICEMBRE 2011<br />

U<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong><br />

ANNOXI<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

)<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

CON GLI AUGURI DI UN SANTO NATALE<br />

A TUT TI I LET TORI<br />

UNA BREVE<br />

ANTOLOGIA POETICA<br />

C H E S T E R T O N I A N A<br />

NELLA TRADUZIONE DI<br />

RODOLFO CAROSELLI.<br />

N<br />

M L’ASINO<br />

Pesci volaron, camminaron boschi<br />

da spino un fico è nato<br />

di sangue era la luna, son sicuro,<br />

quand’io fui generato<br />

Capo mostruoso, un verso che ripugna<br />

orecchie come ali<br />

parodia quadrupede del diavolo<br />

fra tutti gli animali.<br />

Straccione io, reietto della terra,<br />

da sempre il più ostinato;<br />

fame, frusta, ludibrio: resto muto,<br />

il segreto è celato<br />

Un breve componimento fra i più<br />

famosi (a suo tempo) del nostro grande<br />

fratello inglese Gilbert Keith Chesterton.<br />

G.K.C. non era certo un animalista,<br />

ma lasciatemi credere (a me che<br />

animalista lo sono) che almeno una<br />

sfumatura della simpatia e del rispetto<br />

presenti in questi versi vadano anche al<br />

quadrupede che, sia pure metaforicamente,<br />

ne è protagonista. La metafora<br />

non è difficile da comprendere: anche<br />

il più disgraziato e vilipeso degli esseri<br />

(umani) può trovare il suo riscatto e la<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

Io pure, sciocchi! ebbi la mia ora;<br />

gloriosa la gustavo:<br />

clamore nelle orecchie ed un tappeto<br />

di palme calpestavo.<br />

sua gloria nel servire silenziosamente il<br />

Signore. Pazienza, fede, umiltà: a queste<br />

semplici e grandi virtù cristiane ci<br />

richiama Chesterton tracciando con<br />

pochi, sapienti tratti la figura dell’asinello<br />

che portò Gesù a Gerusalemme<br />

nella Domenica delle Palme. E, dunque:<br />

“L’asino – ovvero la gloria di servire<br />

Cristo”.<br />

metro: quartine di endecasillabi sciolti<br />

alternati a settenari in rima<br />

M DAL BAMBINO NON NATO<br />

Se l’erba fosse bassa e alti gli alberi,<br />

come in un folle mito,<br />

se qui e là un mare si estendesse<br />

azzurro e proibito,<br />

se un fuoco stesse appeso su nell’aria<br />

il giorno a riscaldarmi,<br />

se verdi chiome i colli ricoprissero,<br />

io saprei comportarmi.<br />

Nel buio giaccio: sogno grandi occhi<br />

gelidi oppur clementi,<br />

e vie tortuose e porte silenziose,<br />

e dietro dei viventi.<br />

Che venga la tempesta: meglio un’ora,<br />

aperta a pianti e lotte,<br />

di tutti i secoli che ho dominato<br />

gli imperi della notte<br />

Nel paese fatato, questo credo,<br />

se l’entrata ottenessi,<br />

per l’intera giornata sarei buono<br />

che laggiù rimanessi.<br />

Nessuna mia parola avara o ria<br />

raggiungerebbe essi,<br />

se soltanto mi aprissero la porta,<br />

se solo io nascessi.<br />

Gilbert Keith Chesterton è stato, a<br />

ragione, definito “il profeta del nostro<br />

tempo”. Nei suoi anni non fu chiamato<br />

a combattere l’aborto, nostra tragedia<br />

contemporanea, e tuttavia si batté contro<br />

le politiche di controllo delle nascite<br />

che, di questa tragedia, furono la<br />

premessa. Credo che questa magnifica<br />

poesia, da cui emerge uno straordinario<br />

amore per la vita, dimostri in tutta<br />

evidenza la sua profeticità.<br />

quartine di endecasillabi sciolti alternati<br />

a settenari in rima<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 673


| ( 3 ) |<br />

M LO STATO MONDIALE<br />

O, quanto amo io l’umanità,<br />

di un amor così puro e cortinglese,<br />

e quanto odio l’orrido francese,<br />

che non potrà giammai esser inglese!<br />

E questa Idea che è Internazionale,<br />

la più diffusa e più intelligente,<br />

unisce adesso tutte le nazioni,<br />

eccetto quella che ci è adiacente.<br />

Compromesso da tempo conosciuto,<br />

questo sistema di mezze indulgenze,<br />

sia nelle società chiamate etiche<br />

che nelle suburbane residenze -<br />

nelle cappelle e nelle ville dove<br />

senza grande fatica io imparavo<br />

il modo per amare il mio prossimo<br />

mentre il vicino tuttavia l’odiavo.<br />

Quanto magistralmente Chesterton<br />

svela qui l’ipocrisia dei filantropi e dei<br />

pacifisti che amano (a parole) l’umanità<br />

disprezzando poi, nel concreto, i<br />

singoli esseri umani.<br />

quartine di endecasillabi con il 2° e il 4°<br />

verso rimati<br />

M IL CONVERTITO<br />

Dopo un momento che, piegato il capo<br />

crollato il mondo, poi ritornò dritto,<br />

uscii fuori: la strada biancheggiava,<br />

giravo ed ascoltavo quella gente,<br />

selve di lingue, foglie ormai ingiallite,<br />

sgradite no, però sommesse e strane;<br />

lievi vecchi misteri e nuovi credi<br />

come a commemorare, senza scorno.<br />

I saggi ti daranno cento mappe<br />

guide ramificate dei lor cosmi,<br />

sezionan la ragione coi setacci<br />

che lascian l’oro per raccoglier sabbia;<br />

ma questo è men che polvere per me:<br />

perché mi chiamo Lazzaro e son vivo.<br />

Questa formidabile “<strong>Il</strong> Convertito",<br />

al pari di “Una preghiera nell'oscurità",<br />

credo illustri bene, insieme alla radicalità<br />

del divenire cristiani in generale,<br />

il fatto che la conversione, per<br />

questo grande uomo, non fu certo un<br />

passaggio facile o indolore.<br />

endecasillabi sciolti<br />

21 dicembre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

M PREGHIERA NELL’OSCURITÀ<br />

Questo Ti chiedo, o Cielo, se impazzissi,<br />

niente pietà; ma che si nutra il mondo,<br />

sì, se io, folle, a morte mi colpissi,<br />

cura Tu l’erba sopra al mio sepolcro.<br />

Se impegolato qui fra sole e terra<br />

urla e rumore, lasciami la grazia,<br />

nel sole, nella pioggia e nei Tuoi frutti,<br />

del muto, scintillante, sdegno Tuo.<br />

Le stelle, grazie a Dio, mi son precluse<br />

nel mio notturno, tormentato pianto<br />

che, grazie a Dio, non turba una falena,<br />

né il maledire mio recide un fiore.<br />

Benché si dica: il sole fu oscurato,<br />

splendeva io credo anche sul Calvario;<br />

ed Egli udendo, appeso a quella Croce,<br />

tutti i grilli cantar, fu consolato.<br />

Questa poesia ci ricorda che l’avventura<br />

Cristiana di Gilbert Keith<br />

Chesterton non è stata un costante,<br />

tranquillo navigare ma, al contrario,<br />

ha visto momenti di forte conflitto interiore.<br />

Certo, bisogna considerare che il<br />

protagonista- “io narrante” di una<br />

poesia, anche di una lirica, non coincide<br />

mai, esattamente, con l’autore e,<br />

tuttavia, la drammaticità di questi versi<br />

può indurre a riconsiderare quell’immagine<br />

di pacifico, olimpico gigante<br />

buono che si può ricavare di Chesterton<br />

dalla lettura dei suoi scritti.<br />

endecasillabi sciolti<br />

M NON AMMAZZARE<br />

Più non lo sopportavo; ero stufo<br />

del viso, delle mani, del suo alito.<br />

Quella voce, quel passo strascicati;<br />

io non l’odiavo: lo volevo morto.<br />

E la sua faccia vuota mi opprimeva –<br />

mi offuscava; così presi un coltello.<br />

Ma prima che colpissi, dal profondo,<br />

mi giunse un grido, “Sappi ciò che fai”.<br />

“Anima, tu sai questo uom comune<br />

che cosa è Dove scorrono gli anni<br />

c’è un essere vivente a cui quest’uomo<br />

è come l’infinito in una spanna,<br />

a un’anima tu il mondo porti via –<br />

Ora sai bene ciò che fai. Uccidi!”<br />

Così il coltello lo gettai per terra<br />

e scorsi l’uomo gretto incoronato.<br />

Ridendo, perché lì non c’era alcuno –<br />

e chi volevo uccidere ero io.<br />

Questa bellissima lirica di Chesterton<br />

ha, a mio avviso, più di un significato.<br />

La lettura dei primi diciassette<br />

versi, che condanna con profonda sensibilità<br />

l’omicidio, non è completamente<br />

rovesciata dalla sorpresa finale<br />

dell’ultimo verso, che ci svela il tutto<br />

come un tentativo di suicidio. <strong>Il</strong> primo<br />

punto di vista mantiene, anzi, la sua<br />

validità, e tutta l’originale struttura di<br />

questa composizione afferma, implicitamente,<br />

una terza verità, e cioè che<br />

omicidio e suicidio, agli occhi del Signore,<br />

non differiscono.<br />

endecasillabi sciolti<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 673


| ( 5 ) |<br />

M NOVITÀ<br />

Perché dei secoli dovrei curarmi<br />

Forse perché essi son vecchi e grigi<br />

Come un riso che scoppia inaspettato,<br />

per me le stelle sono allegre e vive;<br />

il mondo è un’audace fantasia,<br />

e completata ieri.<br />

Perché inchinarmi ai secoli dovrei<br />

Perché aridi e tetri essi furono<br />

Alberi lenti e prati rigogliosi<br />

per me son lì che corrono ruggendo<br />

una vivente carica, un assalto<br />

Per espugnare il cielo.<br />

I soli eterni e gli eterni sistemi,<br />

solidi tutti e tutti silenziosi,<br />

non son per me che stelle di un momento,<br />

le scintille del buon razzo di Dio<br />

che s’innalza nel cielo della notte<br />

di questo carnevale.<br />

Chesterton esprime qui, ancora una<br />

volta, con straordinaria potenza il proprio<br />

sconfinato e incondizionato amore<br />

per il Creato.<br />

strofe di versi sciolti, endecasillabi con<br />

settenario finale<br />

Immagine tratta da Missale romanum Ex Decretoi Sacrosanti Concilij Tridentini restitutum, Plantini, Antuerpiae 1577.<br />

21 dicembre 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

M ECCLESIASTE<br />

Solo peccato è dire… grigia una foglia verde,<br />

perché di questo il sole nei ciel rabbrividisce.<br />

C’è un’unica bestemmia: pregare per la morte,<br />

ché solo Dio conosce della morte la lode.<br />

Esiste un solo credo: non c’è terror del mondo<br />

che può distrar le mele dal crescere sui meli.<br />

Solo una cosa serve ed essa è – ogni cosa –<br />

<strong>Il</strong> resto è vanità di ogni vanità.<br />

L’accettazione radicale della vita e<br />

del Creato è alla base di questa breve<br />

lirica.<br />

settenari doppi sciolti<br />

M L’ANTICO DI GIORNI<br />

Un bimbo siede al sole e il suo sorriso<br />

non ne riesce a contener la gioia,<br />

e gioca in tutta quella lunga festa,<br />

fa rotolare biglie e le raccoglie;<br />

accanto a lui un mulino dipinto<br />

gira con un’allegra musichetta<br />

ma le sue vele sono i quattro venti<br />

e quelle biglie sono sole e luna.<br />

Una casa di bambole gli mostra<br />

verdi impiantiti e soffitti stellati,<br />

e le bambole poi multicolori<br />

vive per il suo riso solitario.<br />

Hanno corone e aureole quelle bambole,<br />

Oppure elmi e corna o anche ali.<br />

perché esse sono i santi e i serafini,<br />

esse sono i profeti e sono i re.<br />

Quanto sono piccoli e insignificanti<br />

anche i più importanti fra gli uomini al<br />

cospetto di Dio!<br />

endecasillabi sciolti<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 673


N IL VINO E L’ACQUA<br />

| ( 7 ) |<br />

La seguente canzone è cantata nel<br />

romanzo L’osteria volante dal protagonista,<br />

l’irlandese Capitano Patrick<br />

Dalroy. Per la presenza di numerose<br />

poesie e canzoni, questo romanzo<br />

umoristico (che ha comunque il valore<br />

profondo di una difesa senza compromessi<br />

dell’identità culturale e spirituale<br />

del popolo inglese) assume i toni e le<br />

cadenze della commedia musicale. Qui<br />

è presente, in particolare, la polemica<br />

contro le campagne proibizionistiche<br />

delle bevande alcoliche allora in corso,<br />

che minacciavano di fare assomigliare<br />

l’Inghilterra a un paese islamico.<br />

Polli e struzzi avea Noè… nella più gigante scala,<br />

il suo uovo era in un secchio… lo mangiava con la pala.<br />

<strong>Il</strong> suo brodo d’elefante… il suo pesce una balena,<br />

ma in confronto alla cantina… giù nell’arca facean pena,<br />

E cenando spesso disse… alla moglie là vicino,<br />

“Non m’importa dov’è l’acqua… pur che poi non va nel vino.”<br />

Su del ciel le cateratte… l’orizzonte l’oscurarono<br />

quasi schiuma in lavandino… ogni stella dilavarono,<br />

Ed i sette ciel ruggenti… inondarono l’inferno,<br />

strizzò l’occhio il buon Noè:… “Forse piove, pare inverno.<br />

Come un pozzo giù in miniera… l’acqua affonda anche il Cervino<br />

ma che importa dov’è l’acqua… purché poi non va nel vino.”<br />

Con Noè abbiam peccato;… barcollando camminato.<br />

finché un grande, scuro astemio… per punirci fu mandato,<br />

non da P.S.A. né ad Eisteddfod… vino in chiesa non c’è più,<br />

perché Dio di nuovo irato… il Diluvio mandò giù,<br />

acqua a mensa per il Vescovo… pel Filosofo divino,<br />

ma che importa dov’è l’acqua... purché poi non va nel vino.<br />

ottonari doppi in distici rimati<br />

21 dicembre 2011 Anno XI


| ( 8 ) |<br />

N CANZONE DEL GIUSTO E DELLO<br />

SBAGLIATO<br />

Celebrate a vino o ad acqua:<br />

l’onestà sarà sicura,<br />

figlio e figlia del Gran Dio<br />

egli il prode, ella la pura;<br />

ma se v’offre altre bevande<br />

un celeste serafino,<br />

accettate ringraziando,<br />

poi versate in lavandino.<br />

<strong>Il</strong> te è come il patrio Oriente<br />

mandarin giallo e onorevole<br />

cortesissimo nei modi<br />

del peccato inconsapevole;<br />

ché le donne al suo codino<br />

gli si attaccano, n’è pieno;<br />

però è come il patrio Oriente,<br />

quando è forte egli è veleno.<br />

<strong>Il</strong> te, anche se orientale,<br />

è cortese (è elementare);<br />

è un codardo il cioccolato,<br />

è una bestia ed è volgare,<br />

è sleale il cioccolato,<br />

mente e striscia per di più<br />

e può esser grato al pazzo<br />

che lo prende e manda giù.<br />

Quanto ad ogni sciapo liquido<br />

un diluvio giù n’è sceso<br />

quando i superalcolisti<br />

il buon bere hanno offeso;<br />

e come una danza macabra<br />

poi che il vin rosso infierì<br />

mandò il Signore la soda<br />

e ogni peccato punì.<br />

<strong>Il</strong> Capitano Dalroy ritorna sul tema<br />

delle bevande, fondamentale nell’Osteria<br />

Volante, in quanto la cultura della<br />

bevanda alcolica è sentita come parte<br />

insopprimibile dell’identità occidentale<br />

e britannica in contrapposizione<br />

alle bibite e agli infusi delle civiltà<br />

orientali. A riprova dell’assoluta incapacità<br />

da parte di Chesterton di ogni<br />

calcolo sulla convenienza di proferire<br />

certe affermazioni, si può ricordare<br />

che uno dei finanziatori del suo giornale<br />

produceva cioccolato.<br />

strofe di ottonari con il 2° e il 4° e poi il 6°<br />

e l’8° verso in rima<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 673


| ( 9 ) |<br />

N CANZONE CONTRO I DROGHIERI<br />

Iddio creò il malvagio Droghiere<br />

come un mistero e un segno, sì che l’uomo<br />

rifuggisse le orride botteghe<br />

e per cenare andasse all’osteria;<br />

con la pancetta appesa su alla trave,<br />

e il vino che sta lì dentro la botte,<br />

e Dio che il buon ridere creò<br />

il tutto vide e disse che era buono.<br />

<strong>Il</strong> Droghiere dal cuore depravato<br />

chiama talvolta sua madre “Signora”<br />

la riverisce e le fa complimenti,<br />

con l’intenzione di dannarle l’anima,<br />

e a lei, fregandosi le mani orribili,<br />

“che articolo desidera” domanda,<br />

anche se il testo che le converrebbe<br />

sarebbe proprio mortis in articulo.<br />

non sono figli suoi i suoi commessi<br />

ma sfrontati garzoni malpagati,<br />

che gridano “Contanti!” e il suo commercio<br />

portano avanti rio con gran rumore;<br />

lui tiene una signora in una gabbia<br />

con grande crudeltà per tutto il giorno,<br />

la chiama la sua “Miss” e la costringe<br />

fino all’esaurimento a fare conti.<br />

Spinti dall’onestà dei loro animi<br />

di tanto in tanto gli osti con gli amici<br />

sono indotti a stappare una bottiglia,<br />

servono anche qualche squattrinato,<br />

invece chi ha visto mai il Droghiere<br />

offrire il te ad una sua domestica,<br />

oppure aprir di salsa una bottiglia,<br />

offrire a un tale un pezzo di formaggio<br />

Soldi sonanti incassa per lo zucchero<br />

che invece è solo sabbia del deserto;<br />

spazza il locale e ne vende la polvere<br />

come il sale miglior della città,<br />

La “Canzone contro i Droghieri” è<br />

attribuita da Chesterton all’oste Humphrey<br />

Pump, personaggio dell’Osteria<br />

Volante che è un po’ il “Sancio Panza”<br />

del protagonista, Patrick Dalroy. Inutile<br />

dire che la comica virulenza della<br />

polemica del buon Pump contro l’avarizia<br />

dei bottegai si spiega in buona<br />

parte con il fatto che egli parla “pro<br />

domo sua”.<br />

endecasillabi sciolti<br />

21 dicembre 2011 Anno XI


di carne avvelenata egli rimpinza<br />

in scatolette i sudditi del Re,<br />

e quando essi muoiono a migliaia<br />

Beh, lui ne ride come niente fosse.<br />

Drogheggia il rio droghiere in questo modo<br />

trattando vino e superalcolici<br />

non con franchezza ed in compagnia<br />

com’è per gli uomini all’osteria;<br />

ma col sapone insieme alle sardine<br />

li affida impacchettati ai fattorini<br />

per essere ghermiti da duchesse<br />

E poi bevuti nelle lor tolette.<br />

| ( 10 ) |<br />

<strong>Il</strong> Droghiere istruito dall’inferno<br />

possiede un tempio che di latta è fatto,<br />

la rovina per tutti i bravi osti<br />

è lì che ad alta voce è invocata;<br />

però la sabbia è quasi esaurita<br />

da miscelar al suo scadente zucchero;<br />

trema il Droghiere ché il suo tempo è scarso<br />

come nella bilancia era il suo peso.<br />

N L’INGLESE<br />

San Giorgio proteggeva l’Inghilterra<br />

e poco prima che uccidesse il drago<br />

di birra inglese egli bevve una pinta<br />

da una caraffa che era pure inglese.<br />

Anche se sempre pronto a digiunare<br />

nel suo cilicio o nella sua corazza<br />

offrirgli una torta non è saggio<br />

a meno che tu non gli dia la birra.<br />

San Giorgio proteggeva l’Inghilterra,<br />

assai galantemente liberò<br />

la signora lasciata come pasto<br />

a un albero legata per il drago;<br />

ma già che sosteneva l’Inghilterra<br />

sapendo Inghilterra che significa,<br />

Altra canzone di Patrick Dalroy<br />

che, da irlandese, descrive umoristicamente<br />

San Giorgio come il prototipo<br />

dell’Inglese assolutamente fedele alle<br />

proprie tradizioni e “associazioni” di<br />

cibi e bevande. L’identità “gastronomica”<br />

è irrinunciabile.<br />

endecasillabi sciolti<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 673


| ( 11 ) |<br />

a meno che tu non gli dia del bacon<br />

non devi certo offrirgli dei fagioli.<br />

San Giorgio, sì, protegge l’Inghilterra<br />

e porterà lo scudo che portava<br />

quando noi si usciva in armatura<br />

con davanti la croce di battaglia.<br />

Ma benché sia d’allegra compagnia<br />

e si compiaccia molto di pranzare,<br />

non è prudente offrirgli delle noci<br />

A meno che tu non gli dia del vino.<br />

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />

vicina Beaconsfield. Gilbert e Frances rimasero<br />

E GILBERT KEITH CHESTERTON<br />

sempre uniti da un tenero affetto, ma si trattò<br />

Gilbert Keith Chesterton (Londra, 1874 – Beaconsfield<br />

anche di un matrimonio in cui la donna dovette<br />

1936) nacque da famiglia borghese an-<br />

occuparsi di ogni aspetto della vita familiare per<br />

glicana. Studente non troppo brillante, frequentò<br />

l’incapacità del marito di trattare faccende pra-<br />

la Slade School of Art (e di ciò rimane tiche.<br />

traccia nei suoi originali disegni) e poi lo University<br />

Chesterton cercò di esprimere concretamendonò<br />

College di Londra, che tuttavia abbante<br />

il proprio interesse sociale attraverso la teoria<br />

senza essersi laureato.<br />

del Distributismo, basata, in contrapposizione<br />

Ventenne, attraversò una fase depressiva che al capitalismo e al socialismo, su un rafforzamento<br />

si tradusse in crisi religiosa. Tuttavia, seppe<br />

della piccola proprietà individuale e di<br />

uscirne confermato nella fede cristiana e, nel ogni tipo di lavoro autonomo agricolo e artigianale.<br />

1895, cominciò la carriera giornalistica su vari<br />

<strong>Il</strong> Distributismo fu certo influenzato dalla<br />

quotidiani londinesi per poi dar vita al giornale Rerum Novarum di Leone XIII e dalla Dottrina<br />

Eye Witness insieme con il fratello minore Cecil.<br />

Sociale della Chiesa Cattolica che da quel-<br />

In effetti, quella di giornalista rimarrà sempre<br />

l’enciclica aveva avuto origine. La conversione<br />

la principale occupazione di Chesterton, ufficiale di Chesterton al Cattolicesimo risale al<br />

proseguita nel New Witness, (portato avanti 1922, ma già molto tempo prima di allora la sua<br />

dopo la morte in guerra, nel 1918, dell’amato attrazione verso il cattolicesimo romano era<br />

Cecil) insieme con l’amico, lo scrittore cattolico<br />

evidente.<br />

Hilaire Belloc e, infine, nel settimanale Umorista e polemista straordinario, era ri-<br />

G.K.’s Weekly da lui personalmente diretto. In cercatissimo per conferenze e dibattiti, che<br />

quarant’anni pubblicò migliaia di articoli sugli spesso consistevano in una sorta di duelli verbali<br />

argomenti più svariati, tutti uniti però da un con altre famose personalità della cultura inglese<br />

fondamentale interesse etico per la persona<br />

contemporanea molto lontane dalle sue<br />

umana e la società.<br />

idee, come i socialisti George Bernard Shaw e<br />

Nel 1901 Chesterton sposò Frances Blogg. H.G. Wells i quali, pur in eterna polemica con<br />

La coppia, che purtroppo non fu mai allietata lui, gli rimanevano amici, inchinandosi di fronte<br />

dalla nascita di un figlio, si stabilì dapprima a<br />

al suo genio e apprezzando comunque una<br />

Londra per poi trasferirsi in una villetta nella lealtà e una bonomia che superavano ogni<br />

contrapposizione ideologica. Gli scontri fra<br />

21 dicembre 2011 Anno XI


“G.B.S.” e “G.K.C”, in particolare, furono negli<br />

anni ’20 il clou della scena culturale inglese.<br />

Negli anni ’30 Chesterton mantenne la sua<br />

straordinaria popolarità anche grazie al nuovo<br />

mezzo della radio. Dai microfoni della BBC,<br />

infatti, fu diffusa una serie di suoi discorsi la cui<br />

sapiente miscela di saggezza, cultura e umorismo<br />

affascinò milioni di ascoltatori.<br />

Venendo a Chesterton scrittore, si trova anche<br />

qui una straordinaria molteplicità di interessi<br />

e di risultati. La poesia lo accompagnò per<br />

tutta la vita, ma si può dire che l’anno 1911, con<br />

la pubblicazione dei due poemi <strong>Il</strong> cavallo bianco<br />

e Lepanto, segni l’acme in questa attività. Si<br />

tratta di poesia eroica e cristiana con i due protagonisti,<br />

rispettivamente re Alfredo il Grande<br />

e Don Giovanni d’Austria ritratti nel salvare il<br />

proprio mondo cristiano dall’invasione pagana.<br />

Molte altre sono, comunque, le opere in versi di<br />

Chesterton che in stili e toni diversi trattano<br />

vari temi, non dimenticando alcune potenti liriche<br />

che ci aprono squarci interessanti sulla personalità<br />

dell’autore, probabilmente più tormentata<br />

di quanto comunemente si pensi.<br />

La critica degli ultimi anni ha considerato<br />

con sempre maggiore interesse la produzione<br />

saggistica di G.K. Chesterton. Opere come<br />

Eretici (1905), Ortodossia (1908), le biografie di<br />

San Francesco d’Assisi (1923) e di San Tommaso<br />

d’Aquino (1933) rappresentano punti fermi del<br />

pensiero cristiano e cattolico del XX secolo.<br />

Tuttavia, è sui romanzi e, ancor più, sui racconti<br />

che si basa tuttora la sua popolarità. Le successive<br />

raccolte dei Racconti di Padre Brown,<br />

dal 1911 al 1935, ottennero un successo strepitoso<br />

(e anche quel discreto reddito che consentì<br />

all’autore di vivere agiatamente e tenere in vita i<br />

suoi giornali) che tuttora continua. E a ragione,<br />

perché nelle storie del piccolo prete detective<br />

sono presenti non solo l’acume e lo spirito dell’autore<br />

ma anche la sua sensibilità e il suo cuore.<br />

Da non sottovalutare, inoltre, il fatto che<br />

Padre Brown rappresenta tecnicamente una<br />

tappa importante nella storia del giallo, poiché<br />

qui Chesterton è il primo a costruire il gioco in<br />

| ( 12 ) |<br />

cui, attraverso la discreta offerta degli indizi, il<br />

lettore è stimolato a scoprire la soluzione della<br />

vicenda.<br />

Per finire, quelli di Chesterton sono romanzi<br />

molto particolari, ammesso che tali possano essere<br />

definiti. <strong>Il</strong> Napoleone di Notting Hill<br />

(1904), L’uomo che fu Giovedì (1908), Le avventure<br />

di un uomo vivo (1912) sono più che altro<br />

apologhi, allegorie, sogni in cui l’umorismo<br />

fantastico dello scrittore serve ottimamente il<br />

proposito di esporre tesi solo apparentemente<br />

paradossali ma fondate sul concretissimo terreno<br />

del buon senso cristiano. Per L’osteria volante<br />

(1914) il caso è alquanto diverso. Qui la struttura<br />

narrativa è più tradizionale, anche se originale<br />

(e molto riuscita) è l’inserzione di canzoni<br />

e poesie che trasformano il romanzo in una sorta<br />

di esilarante commedia musicale. Forse, però,<br />

l’aspetto più valido dell’opera sta nel suo valore<br />

profetico. Per certi versi una sorta di versione in<br />

prosa fantastica e umoristica di Lepanto, L’Osteria<br />

volante descrive un complotto<br />

politico/culturale islamico per soggiogare l’Inghilterra<br />

alla fine sventato per merito di un ufficiale<br />

irlandese e di un oste inglese.<br />

LA SCHEDA E I COMMENTI SONO A CURA<br />

DI RODOLFO CAROSELLI.<br />

<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 673


<strong>Covile</strong> ) ANNOXI<br />

B<br />

RISORSE CONVIVIALI<br />

E VARIA UMANITÀ<br />

26 DICEMBRE 2011<br />

¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />

A <strong>Il</strong><br />

N°674<br />

RIVISTA APERIODICA<br />

DIRETTA DA<br />

STEFANO BORSELLI<br />

XY X<br />

Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />

a Questo numero.<br />

Mentre i re Magi proseguono il loro cammino, Pietro<br />

De Marco e Almanacco romano ci propongono<br />

un momento di riflessione sulla forma del Natale,<br />

segue, evocata da De Marco ma è un invito all'ascolto,<br />

il testo di una bella musica natalizia; conclude un<br />

altro emblema di Giuseppe Ghini. N<br />

INDICE<br />

1 Pietro De Marco. Due lettere.<br />

3 Almanacco romano. Piccoli orrori natalizi.<br />

5 S'apra al riso ogni labro. Cantata per la Notte del<br />

Santissimo Natale. Musica di Alessandro Stradella,<br />

testo di anonimo.<br />

8 Giuseppe Ghini. Gli Emblemi del 2000: 2 . Anche<br />

i più feroci si possono domare.<br />

123<br />

a Due lettere.<br />

DI PIETRO DE MARCO<br />

M SUL NATALE, A GIULIANO FERRARA.<br />

Caro direttore, mi ero sorpreso, a prima<br />

vista, di fronte al Suo invito a papa Benedetto<br />

(<strong>Il</strong> Foglio di lunedì 19 dicembre): non<br />

‘festeggiare’ il Natale data la forma orrenda<br />

che ha assunto il mondo. Anche tra cristiani<br />

(e preti) ‘di base’ non è mai mancato qualcosa<br />

di simile: sospendere il Natale finché v’è<br />

un emarginato, qualcuno che soffre; ma (mi<br />

sono detto) non hanno parentela con Ferrara!<br />

Ho visto subito dopo che il quadro del<br />

mondo che Lei profila è quello dell’uccisione<br />

dei non nati a diabolica tutela di un bene<br />

privato o pubblico; questione che in genere<br />

ai contestatori ecclesiali non interessa. Ma<br />

vorrei dirLe perché il Natale va ‘festeggiato’,<br />

comunque.<br />

Anzitutto qualcosa sul ‘festeggiare’; separiamo<br />

il far festa, umanissimo, per e in un<br />

periodo festivo, dal celebrare una Festa, una<br />

potente ricorrenza che dice, anzi ‘rappresenta’<br />

e ‘contiene’, la storia (sacra) del mondo.<br />

Possiamo ben chiedere di non gioire,<br />

emotivamente, secolarmente, durante le feste,<br />

riflettendo sulle morti autorizzate e deliberate<br />

per il peggior fine, per la nostra<br />

condizione di ultimi uomini. Gli ‘ultimi uomini’<br />

elevano sacrifici umani per la propria<br />

‘felicità’ (animale, per ricordare le tesi di<br />

Alexandre Kojève) che chiede solo appagamento.<br />

Ma non possiamo, non dobbiamo,<br />

chiedere di non celebrare, e con gioia, la fe-<br />

sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />

Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />

Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />

Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />

☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />

www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />

<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />

Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />

nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />

minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />

cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />

Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,


| ( 2 ) |<br />

sta della Nascita di Gesù. Poiché qualsiasi<br />

cosa avvenga nella storia, quell’evento (l’Incarnazione)<br />

è certitudo salutis. Non nel senso<br />

di uno stolido ‘siamo tutti salvi per bontà<br />

di Dio’, di un ‘ora siamo a posto’ poiché<br />

tutto verrà perdonato – che detto così, simpliciter,<br />

è estraneo alla Rivelazione. <strong>Il</strong> Natale<br />

esige per se stesso la festa, la rottura del<br />

tempo ordinario (secondario), l’intensificazione<br />

del Tempo che rende attuale l’Evento,<br />

e ne gioiamo perché di nuovo è, ora. Certo:<br />

il Natale esige una gioia rivolta esclusivamente<br />

a quella carne divina, poiché a rigore<br />

nient’altro è festeggiato; ogni altro motivo<br />

può essere messo tra parentesi, politicamente<br />

– cioè nell’evidenza del Nemico, e contro il<br />

desiderio dell’ultimo uomo di non avere altro<br />

Nemico se non colui che casualmente<br />

contrasta il suo inerte otium.<br />

La gioia del Natale è giudizio (krisis),<br />

dunque, e fondamento di giudizio. Senza la<br />

certezza dell’Incarnazione qualsiasi salvazione<br />

diviene credibile, la più ingenua o la<br />

più infame, ma solo col canone dell’Incarnazione<br />

ogni sacrificio umano (qual è anche<br />

l’aborto) risulta svuotato, per rispetto che<br />

quegli esseri – che chiamiamo embrioni o<br />

feti – chiedono e, ancora di più (se vi è un di<br />

più), per l’assenza di ogni ragione fondante.<br />

<strong>Il</strong> Natale ci rende estranei alla nostra chiusa<br />

eudemonia, e capaci di storia. Piuttosto che<br />

una sospensione, come Lei chiede, chiederei<br />

a Benedetto XVI – ma non ve n’è bisogno –<br />

una celebrazione splendente e ridente (perché<br />

ogni liturgia partecipa alla gioia dei cieli)<br />

del hodie natus est nobis. Riderà anche<br />

Lei, a quel punto, con gratitudine per la<br />

maternità di Maria. Saprà, sapremo, che<br />

solo così è possibile opporsi alla festa di chi<br />

insidia gli Innocenti.<br />

Buon Natale. Pietro De Marco<br />

M IN MARGINE E NEL CUORE.<br />

LUCY NICHOLSON, Los Angeles 2009. © REUTERS/Lucy Nicholson.<br />

Cari Padri, ho visto nel vostro messaggio<br />

d’auguri la foto-biglietto d’auguri Los Angeles<br />

2009 e capisco la tentazione, vostra,<br />

nostra, di fare di uno squallido ‘interno con<br />

bambino’ (un’installazione una finzione ad<br />

uso dell’artista) l'iconografia del Natale.<br />

Ma credo sia un errore; la nascita di Gesù va<br />

celebrata, quindi riattualizzata (secondo il<br />

mistero della liturgia, il mistero che è la lid<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 674


| ( 3 ) |<br />

turgia) nello splendore e nella gioia; la mimetica<br />

della povertà (in realtà non tale nei<br />

vangeli: ‘non trovarono alloggio', è un'altra<br />

cosa, è anzitutto sui eum non receperunt) non<br />

deve stravolgere i segni, o la memoria sacramentale<br />

e la stessa lex credendi si depauperano.<br />

Cos'è, o rischia di essere, il ‘Natale' della<br />

Nicholson se non rivolgere un attimo il<br />

cuore (‘cuore' forse nel senso più superficiale:<br />

l'emozione) su povertà e abbandono (altrui)<br />

prima di andare al pranzo di Natale<br />

Giuliano Ferrara, con la sua intelligenza<br />

cristiana (un non credente [] ma cristiano<br />

esplicito di fronte a tanti credenti [] ma<br />

cristiani anonimi), ha proposto a Benedetto<br />

XVI di non celebrare o non festeggiare (in<br />

lui non è chiaro) il Natale, di fronte all'orrore<br />

quotidiano della deriva bioetica del<br />

mondo. Gli ho replicato, nel modo che vi<br />

allego e sottopongo al vs giudizio, perché<br />

esplicita quello che ho appena scritto. <strong>Il</strong><br />

Natale deve essere celebrato con segni intatti<br />

di gioia, poiché non vi ‘rappresentiamo’<br />

le nostre venture o sventure personali o sociali,<br />

ma un inalterabile fatto e motivo di<br />

‘riso', come ripetevano le mirabili Cantate<br />

per il ss. Natale di Alessandro Stradella (siamo<br />

negli anni Settanta del Seicento, incomparabilmente<br />

più duri, poveri, dei nostri;<br />

l’autore del testo è ignoto, ma – giudicando<br />

da un’antologia – potrebbe essere il friulano<br />

Ciro di Pers le cui poesie postume circolano<br />

a stampa dal 1666): “Si apra al riso ogni labro<br />

/ e si racchiuda ogni pupilla al<br />

pianto / ... / Perché, perché / La cagion<br />

d'ogni gioia è il gran Natale / di fanciullo<br />

Reale / ...". Ve lo sottolineo, anche con quel<br />

tanto di lievità che viene dai paradossi (noi a<br />

scuola del devozionalismo barocco il nostro<br />

Natale tra barocco e infantile pietà alfonsiana!);<br />

ma non spetta alla tradizione benedettina<br />

servare (conservare-salvare) la<br />

forza dei segni della lex orandi, trascendente<br />

ogni contingenza di fatti e di umori dei nostri<br />

cuori<br />

L'augurio più affettuoso. Vostro Pietro<br />

De Marco.<br />

123<br />

a Piccoli orrori natalizi.<br />

DI ALMANACCO ROMANO<br />

Fonte: http://almanaccoromano.blogspot.com 21.12.2011<br />

Gesù disegnato come un marmocchio con<br />

un solo dentone, lentiggini e ciuffetto, che<br />

pende dal becco di una cicogna: così una<br />

parrocchia di Monte Mario a Roma narra<br />

sul suo bollettino l’incarnazione divina. Una<br />

spiritosaggine o piuttosto il dramma della<br />

incapacità di esprimersi, la confusione sui<br />

fondamentali, l’assoggettamento al gergo<br />

dominante, quello parodistico e comico.<br />

L’ossessivo ‘aggiornamento’ dei cattolici ha<br />

tanto in uggia l’eternità da diventare feticismo<br />

dell’immaginario reclamistico; il prete<br />

sull’altare non parla e canta nella lingua<br />

contemporanea, ripete nelle forme cheap<br />

della parrocchietta il tracotante idioma dei<br />

pubblicitari. A maggior gloria del Kitsch. I<br />

misteri cristiani spariscono, al loro posto si<br />

avverte l’enigma della merce.<br />

(<br />

Violata la regola universale della Catholica,<br />

si improvvisa continuamente con le migliori<br />

intenzioni di questo mondo (del mondo,<br />

appunto), ci si diverte a colpi di creatività<br />

da maestre di asilo in un ambito che non<br />

ha niente della ludoteca. C’è chi distribuisce<br />

26 dicembre 2011 Anno XI


| ( 4 ) |<br />

la comunione facendo zuppetta con l’ostia<br />

nel «sangue di Cristo» contenuto in un calice<br />

che il celebrante affida a un ragazzo o a<br />

una matura signora della prima fila, chi pretende<br />

di ricevere l’ostia in mano e, appena<br />

girato, se la porta in bocca col gesto prosaico<br />

del Mangiatore di fagioli di Annibale<br />

Carracci, c’è l’officiante che nel bel mezzo<br />

del sacro rito si dilunga nell’informazione<br />

spicciola, invogliando alla gita parrocchiale<br />

in Spagna o ad acquistare il biglietto dello<br />

spettacolo di beneficenza dove sono assicurate<br />

matte risate, chi dopo una breve lettura<br />

va a sedersi su uno scranno e resta in un lungo<br />

silenzio che mette in ansia i fedeli su un<br />

possibile mal di pancia del prete o su una sua<br />

improvvisa conversione al Quietismo, chi<br />

evita le candele e chi la croce, chi va a stringere<br />

la mano in segno di pace per tutta la<br />

chiesa, alla maniera dei politicanti in cerca<br />

di voti, rendendo vana quella lavanda dei<br />

polpastrelli da ogni impurità prima di toccare<br />

le sacre specie, chi spiega di volta in<br />

volta ogni suo gesto quasi si fosse in piena<br />

didattica catechistica invece che nella ripetizione<br />

di un sacrificio… Un prete in vena di<br />

cortesie per gli ospiti lodava la pazienza dei<br />

fedeli per aver assistito alla messa domenicale,<br />

quasi si trattasse di una sua conferenza<br />

poco brillante, chissà che ne avrebbe pensato<br />

sulla croce il Patiens per antonomasia.<br />

(<br />

Un giorno, in Paradiso, magari ci si accorgerà<br />

della manchevolezza armonica delle<br />

più elevate composizioni di Beethoven, e<br />

tutte le opere musicali, pittoriche e letterarie<br />

che tanto sembravano accostarci al Cielo<br />

– l’arte è quella attività che più somiglia alla<br />

religione, sosteneva Pio XII – mostreranno<br />

da una tale distanza la loro debolezza, però<br />

della volgarità di tutte le canzoncine postconciliari<br />

si è consapevoli fin da adesso. Né<br />

vale obiettare che anche i pii canti di una<br />

volta apparivano teologicamente zoppicanti,<br />

i testi ingenui, semplici le melodie: erano<br />

infatti espressione popolare, niente di male,<br />

mentre ora si tratta di sottospecie del pop,<br />

di scarti festivalieri, ovvero di prodotti mercificati<br />

(non c’è bisogno di aver letto Adorno<br />

per capirlo), in ogni caso i dolci inni in<br />

onore della Madonna e dei santi si intonavano<br />

nelle processioni e nelle funzioni minori,<br />

non accompagnavano la somma liturgia<br />

della messa.<br />

(<br />

Restiamo a Monte Mario, l’altura che fa<br />

ombra alla valle del Vaticano, il Monte<br />

Gaudio dei pellegrini – risuona anche in<br />

Dante –, luogo felice dunque perché da lassù<br />

si vedeva finalmente la meta, la basilica di<br />

San Pietro. Su questo ‘monte’, di appena 139<br />

metri, sorge la chiesa di Santa Maria del<br />

Rosario, un rifugio delizioso tra il modernismo<br />

delle case anni Cinquanta. Qui, Franz<br />

Liszt si nascose al mondo e contemplò<br />

Roma. Dopo «il virtuoso degli anni del pellegrinaggio»,<br />

dopo «lo tzigano delle rapsodie<br />

ungheresi», dopo «il maestro di cappella<br />

di corte», si presentò alla vita musicale come<br />

«l’abate Liszt». Ospite del convento che affiancava<br />

la settecentesca chiesa, uno dei<br />

massimi geni musicali serviva umilmente la<br />

liturgia suonando un armonium – mancando<br />

i soldi per acquistare un organo – e componeva<br />

musica sacra nel silenzio del luogo.<br />

Liszt «vide in Roma – si legge in un vecchio<br />

programma di sala – un forum mondiale<br />

dove realizzare le sue ambizioni riformatrici<br />

nei generi e nelle istituzioni della musica liturgica<br />

cattolica. Suo desiderio era poter diventare<br />

un “nuovo Palestrina, salvatore della<br />

musica”». Quale migliore occasione allod<strong>Il</strong><br />

<strong>Covile</strong>f N° 674


| ( 5 ) |<br />

ra, in queste celebrazioni del bicentenario<br />

lisztiano che ci hanno accompagnato nell’anno<br />

ormai alla fine, per una riflessione<br />

solenne, magari proprio in questo eremo,<br />

sul ruolo della musica nei riti cattolici di<br />

oggi Invece, la scorsa domenica, forse per<br />

un improvvido dono di Natale, la messa nella<br />

chiesa ‘di Liszt’ era accompagnata dalle<br />

chitarre e dalle solite, bruttissime, canzonette.<br />

(<br />

Non è la chitarra in sé che irrita i disgraziati<br />

fedeli (anche se non è un caso che il regale<br />

organo, con i suoi soffi evocanti lo Spirito<br />

santo, sia il principe degli strumenti<br />

musicali liturgici), la leggenda che accompagna<br />

la notissima Stille Nacht sta a dimostrarlo:<br />

alla vigilia di Natale del primo Ottocento<br />

l’organo di una chiesetta alpina si<br />

era rotto e il compositore austriaco Franz<br />

Xaver Gruber, in mancanza di meglio, eseguì<br />

il suo canto romantico alla chitarra, ma<br />

suonandola appunto in modo ‘classico’, pizzicando,<br />

arpeggiando, non battendo tempi<br />

corrivi con ‘pennate’ – cioè a colpi di plettro<br />

– accompagnamento più adatto ai coretti<br />

della gita scolastica. Quando non si ricorre<br />

alla violenza beat, moda peraltro che<br />

risale a mezzo secolo fa, si ripiega su melodie<br />

del tutto simili alle colonne sonore delle<br />

soap: perché mai i fedeli devono trovare nel<br />

tempio di Dio i medesimi suoni che ci tormentano<br />

nel regno dell’effimero televisivo<br />

Perché il prete deve trasformarsi in animatore<br />

Tutti da rianimare, tutti senz’anima<br />

ALMANACCO ROMANO<br />

(<br />

0112334<br />

S'APRA AL RISO<br />

/ OGNI LABRO :<br />

Cantata per la Notte del Santissimo Natale<br />

/ Musica di ALESSANDRO STRADELLA, :<br />

testo di anonimo.<br />

/ :<br />

5667889<br />

Per soprano, alto & basso<br />

Due violini e basso continuo<br />

ANGELO 1 Soprano<br />

GIOVANE PASTORE Alto<br />

PASTORE Basso<br />

ANGELO<br />

S'apra al riso ogni labro<br />

e si racchiuda ogni pupilla al pianto!<br />

GIOVANE PASTORE<br />

Di giubilo cotanto<br />

chi fia giocondo fabro<br />

ANGELO<br />

La torbida tempesta<br />

raserenar convien<br />

d'ogni cura molesta,<br />

e spezzar le catene<br />

ch'il primo genitor<br />

ci pose al piè.<br />

1 Poiché negli originali mss. (Torino e Modena) dello spartito<br />

non sono esplicitate le parti, altri, ad es. l'Area della ricerca<br />

linguistica dell'Università di Pisa, propongono in rete versioni<br />

con un altro pastore in luogo dell'angelo, rendendo così il dialogo<br />

poco perspicuo; noi seguiamo sostanzialmente la scrupolosa,<br />

e ben più plausibile, lezione di Franco Pavan adottata<br />

dall'Orchestra Barocca della Civica Scuola di musica di Milano,<br />

direttore E. Gatti, in un bel CD diffuso dalla rivista Amadeus.<br />

26 dicembre 2011 Anno XI


| ( 6 ) |<br />

Perché Perché<br />

I DUE PASTORI<br />

Chi Chi<br />

I DUE PASTORI<br />

ANGELO<br />

La cagion d'ogni gioia è il gran Natale<br />

di fanciullo reale<br />

a cui gl'astri più belli<br />

ornan le chiome.<br />

Come Come<br />

I DUE PASTORI<br />

ANGELO<br />

Quel ch'al Fato dà legge,<br />

quel che dà 'l volo ai venti,<br />

il corso all'acque,<br />

quello ch'il mondo regge<br />

sotto povero tetto or ora nacque;<br />

e in sembianza di tenero bambino<br />

il suo corpo divin<br />

d'umanità vestì.<br />

ANGELO<br />

Vostra stupida mente<br />

non si confonda più:<br />

quello ch'è nato è il Redentor Gesù.<br />

O fortunato avviso!<br />

GIOVANE PASTORE<br />

PASTORE<br />

O prospera novella!<br />

I DUE PASTORI<br />

S'apra ogni labro al riso!<br />

Su su, al canto si sciolga ogni favella!<br />

Immagini tratte da Missale romanum Ex Decretoi Sacrosanti Concilij Tridentini restitutum, Plantini, Antuerpiae 1577.<br />

d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 674


| ( 7 ) |<br />

TUTTI<br />

O di notte felice e beata<br />

ombra amata,<br />

gradito orrore in cui sorge<br />

e vita a noi porge<br />

delle stelle il supremo Fattore.<br />

ANGELO<br />

Con insoliti e chiari splendori<br />

al Natale del Re delle sfere,<br />

ogni tenebra par che s'indori<br />

e scintillin le nubi più nere.<br />

Le caligini oscure il ciel disgombra,<br />

all'apparir del sol sparisce ogn'ombra.<br />

PASTORE<br />

Della gregge mansueta<br />

fida turba conduttrice,<br />

godi pur festosa e lieta<br />

ad annuncio sì felice.<br />

TUTTI<br />

Temer più non lice<br />

d'arciera severa<br />

il colpo mortale:<br />

spezza al nascer di Dio morte lo strale.<br />

ANGELO<br />

Or mirate il gran tonante,<br />

ch'umanato pargoleggia<br />

e nel fieno ha la sua reggia,<br />

ch'ha nel ciel soglio stellante.<br />

Gl'occhi volgete a Dio ch'a voi si svela;<br />

quindi ardete per lui s'ei per voi gela.<br />

GIOVANE PASTORE<br />

All'ignudo Redentore,<br />

se non fosse troppo angusto<br />

e di colpe così onusto,<br />

offrirei per cuna il core,<br />

o col foco de' caldi sospir miei<br />

le fredde membra sue riscalderei.<br />

PASTORE<br />

Con quel gel ch'il sen gl'agghiaccia<br />

vibra altrui celeste arsura,<br />

ond'avvien ch'ogn'alma pura<br />

dolcemente si disfaccia.<br />

Ei regge il mondo eppur vagisce infante:<br />

ha le saette in mano ed è tremante.<br />

I DUE PASTORI<br />

Mentre ingemmano il suo viso<br />

vive perle ruggiadose,<br />

da sue lagrime preziose<br />

ha il natale il nostro riso.<br />

E mentre ei dà principio a un mesto pianto<br />

il nostro lagrimar termina intanto.<br />

E non si spezza<br />

a tant'amore<br />

l'aspra durezza<br />

d'ingrato core,<br />

ANGELO<br />

TUTTI<br />

O gran bontà del regnator dell'Etra:<br />

Iddio si fa di carne e l'uom di pietra.<br />

IL FINE<br />

1111112333333<br />

26 dicembre 2011 Anno XI


O<br />

| ( 8 ) |<br />

GIUSEPPE GHINI GLI EMBLEMI DEL 2000.<br />

R<br />

ANCHE I PIÙ FEROCI SI POSSONO DOMARE.<br />

Leoncelli, lupi grigi, ultras, no-global:<br />

a tutti si mettono le briglie, volendo.<br />

Più difficile è che si dia meta,<br />

il figlio di un pedagogista sessantottino.<br />

†<br />

S<br />

II ETIAM FEROCISSIMOS DOMARI.<br />

V<br />

26 dicembre 2011Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) Anno XI

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