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A<br />
B<br />
N°650<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
6 LUGLIO 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
S U L L A R I M A<br />
DOVE VENGONO SPIEGATE LE RAGIONI<br />
D I U N A D E L L E N O S T R E P I Ù<br />
I M P O R T A N T I B A T T A G L I E<br />
( G I À V I N T A )<br />
N<br />
I testi che seguono risalgono al 2008, n°433, e segnano l'inizio<br />
del nostro impegno per la ripresa della poesia in<br />
rima. Nel sottotitolo in alto si parla di una battaglia forse<br />
già vinta, la conferma ci viene sia dalla quantità e qualità<br />
delle rime che continuano a comparire nel <strong>Covile</strong> 1 , sia<br />
dai segnali di sconfitta e desolazione, e soprattutto di<br />
oblio, che giungono dal campo di quella che Dalmazio<br />
Masini chiama “non poesia”. Basti pensare che nel maggio<br />
dello scorso anno, per la morte del celebrato poeta d'avanguardia<br />
Edoardo Sanguineti (Gruppo '63), <strong>Il</strong> Manifesto<br />
era costretto a pubblicare gli unici suoi due versucci<br />
in rima e neanche uno dei mille sconclusionati ed illeggibili<br />
“versi liberi”. N<br />
INDICE<br />
p. 1 Nicola Casanova illustra le convincenti posizioni di<br />
Carl Schmitt sulla rima.<br />
p. 4 Dalmazio Masini, paroliere (ha vinto anche un Festival<br />
di S.Remo) e poeta, spiega perché in difesa della<br />
rima ha fondato a Firenze la benemerita Accademia Vittorio<br />
Alfieri http://www.accademia-alfieri.it.<br />
p. 6 Un commento a caldo di Fabio Brotto.<br />
p. 7 Tre poesie scelte, una di Dalmazio Masini e due di<br />
Giorgio Caproni.<br />
p. 8 <strong>Il</strong> Manifesto del Dolce Stile Eterno dell'Accademia<br />
Vittorio Alfieri, un buon punto di partenza.<br />
1 N°557 (dic. 2009) Luca Nocenti traduce La ballata del vecchio<br />
marinaio di Samuel T. Coleridge, n°581 (apr. 2010) Gabriella<br />
Rouf traduce La dama di Shalott di Alfred Tennyson, n°584 (apr.<br />
2010) Rodolfo Caroselli traduce il Sonetto XL di Edmund Spenser<br />
(e ancora nel n°615, dic. 2010 un altro sonetto), n°591 (mag.<br />
2010) Sergio Castrucci propone il suo poemetto didascalico SN<br />
1054 (crab nebula), n°644 (mag. 2011) Gabriella Rouf traduce<br />
Maud Muller.<br />
a La poesia per Carl Schmitt: rima e<br />
ordine.<br />
DI NICOLA CASANOVA<br />
Da: “La rima e lo spazio (‘Reim und Raum’): Carl Schmitt<br />
fra poeti e scrittori”, di Nicola Casanova, in Confini in disordine,<br />
a cura di Bruno Accarino, manifestolibri, Roma,<br />
settembre 2007, p. 103-107.<br />
La poesia è il genere letterario più amato da<br />
Carl Schmitt. Già durante gli anni del<br />
Gymnasium di Attendom ebbe l’idea di scrivere<br />
un romanzo in versi dal titolo Die blutige<br />
Schlacht um Mitternacht. Conservò comunque<br />
l’abitudine di comporre versi fino<br />
in tarda età.<br />
Noto è il suo Canto del sessantenne, riportato<br />
in Ex Captivitate Salus, dove ripercorre<br />
in rima le vicissitudini e i rovesci della<br />
propria vita e del proprio tempo. Frequenti,<br />
nelle lettere agli amici, le strofe in cui esprimeva<br />
il suo punto di vista su qualche personaggio<br />
della cultura contemporanea. Canzonava<br />
spesso in versi, e con eguale frequenza<br />
spediva versi dei suoi poeti preferiti,<br />
Konrad Weiss e Theodor Däubler, quando<br />
voleva spiegare allusivamente un problema<br />
di particolare complessità.<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />
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<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
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Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
<strong>Il</strong> suo saggio del 1916 sul Nordlichf di<br />
Däubler non può affatto essere considerato<br />
una casuale intromissione, dettata dalla passione<br />
per la letteratura, nel curriculum di un<br />
giurista. Schmitt, giovane e attento lettore<br />
di lirica contemporanea, fu uno dei primi e<br />
fra i pochi ad accorgersi della pubblicazione<br />
del poema di Däubler, ed a leggere e subito<br />
amare i circa trentamila versi che lo compongono.<br />
Däubler è citato sei volte anche<br />
nella dissertazione Der Wert des Staates und<br />
die Bedeutung des Einzelnen, che Schmitt<br />
diede alle stampe nel 1914 e presenterà pochi<br />
anni più tardi come tesi di abilitazione<br />
alla docenza universitaria.<br />
La scelta di campo per la poesia si precisa<br />
rapidamente come una consapevole scelta<br />
per la poesia in rima. Già nel 1914 il giurista<br />
aveva scritto un breve saggio su Däubler,<br />
preparatorio a quello del 1916 e poi ritrovato<br />
nel Nachlass. Esso si intitola: Theodor<br />
Däubler, der Dichter des ‘Nordlicht’, e vi si<br />
legge:<br />
«La rima diventa per la prima volta l’essenza<br />
della poesia, non un passatempo amabile e occasionalmente<br />
profondo, ma il più importante<br />
portatore dei suoi effetti, ed ancora di più: essa<br />
scopre le relazioni fra i pensieri, e diventa<br />
la cisterna della più profonda bellezza dei<br />
pensieri».<br />
Per riprendere il filo del ragionamento di<br />
Schmitt intorno al significato della rima<br />
dobbiamo lasciar trascorrere trent’anni,<br />
spostarci nel secondo dopoguerra, e mettere<br />
in sequenza alcuni passi, che traiamo dagli<br />
scritti autobiografici, dalle lettere e dagli<br />
appunti del periodo 1945-1952. Sono anni<br />
amari per Schmitt. La sequenza appesantisce<br />
la nostra esposizione, ma contiene il<br />
nocciolo del ragionamento ed è perciò necessaria.<br />
Nel 1945, in una lettera a Jünger, Schmitt<br />
così descrive la lettura di una poesia di<br />
Annette von Droste-Hùlsoff, la poetessa<br />
cattolica vissuta nella prima metà dell’Ottocento,<br />
caratteristica per il suo stile sobrio,<br />
estraneo al romanticismo contemporaneo:<br />
«Io mi sprofondo con tutte le radici della mia<br />
anima, in ogni parola ed in ogni verso, e nel<br />
ritmo della sua metrica da libro delle preghiere,<br />
il quale circonda la poesia e la protegge<br />
come un baluardo (umhegt wie ein Schutzwall),<br />
un muro difensivo da una bellezza soltanto<br />
lirica».<br />
Tra il 1945 ed il 1947 Schmitt viene accusato<br />
di collaborazionismo, conosce l’internamento<br />
e viene più volte interrogato.<br />
Ex Captivitate Salus è frutto di quella difficile<br />
fase, e si chiude con un breve testo, La<br />
sapienza della cella. Un testo che contiene<br />
importanti e famose frasi sull’identità del<br />
nemico, del quale noi mettiamo invece in<br />
evidenza questo passaggio:<br />
«Io perdo il mio tempo e guadagno il mio spazio.<br />
D’un tratto mi sorprende la quiete che<br />
custodisce il senso delle parole. Raum (spazio)<br />
e Rom (Roma) sono la stessa parola. Meravigliose<br />
sono l’energia spaziale e la forza germinativa<br />
della lingua tedesca. Essa ha fatto sì<br />
che Wort (parola) e Ort (luogo) rimino fra loro.<br />
Ha addirittura conservato a Reim (rima) il<br />
suo senso spaziale e permette ai suoi poeti il<br />
gioco oscuro di Reim e Heimat (patria).<br />
Nella rima la parola cerca il suono fraterno<br />
del suo senso. La rima tedesca non è il fuoco<br />
luminoso delle rime di Victor Hugo. È eco,<br />
abito e ornamento e al tempo stesso una bacchetta<br />
da rabdomante delle dislocazioni di<br />
senso. Ora mi afferra la parola di poeti sibillini,<br />
dei miei così diversi amici Theodor Däubler<br />
e Konrad Weiss. L’oscuro gioco delle loro<br />
rime diviene senso e preghiera».<br />
Anche il Glossario riserva alla rima la<br />
stessa enfatica partecipazione dell’autore.<br />
Nel novembre del 1949 Schmitt appunta:<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 650
| ( 3 ) |<br />
«Come sono belle e piacevoli le rime felici e<br />
ben riuscite. Con Geschrei (urlo) fa sorprendentemente<br />
rima Schalmei (piffero); con<br />
Reim, con mia grande soddisfazione, Heim<br />
(dimora). La rima è il grande criterio.<br />
L’esistenzialismo ateo uccide la rima. Anche<br />
tragicità e rima sono incompatibili. Fintanto<br />
che si realizza anche una sola rima, non c’è<br />
ancora il caos e il nichilismo non ha ancora<br />
trionfato. Appena una rima autentica risuona,<br />
l’anima il caos d’un tratto abbandona... La rima<br />
non si lascia isolare; in essa tutto è incontro,<br />
eco e controeco delle parole, tutto è massima<br />
libertà e massimo ordine».<br />
Negli anni, Schmitt legge i poeti (maggiori<br />
e minori) sempre guidato dalle considerazioni<br />
sulla rima. Alvaro d’Ors, uno dei<br />
molti amici spagnoli, ricorda di avergli sentito<br />
identificare la rima «come essenzialmente<br />
(non solo storicamente) cristiana, a<br />
guisa di ascesi estetica del “minus ut plus”».<br />
Nel 1949 accenna per due volte, nel Glossario<br />
al debordante amore per la rima presente<br />
nella poesia di Victor Hugo. Nel secondo<br />
caso, sottolinea un’osservazione di Ernest<br />
Hello, che stabiliva un’analogia fra la rima<br />
ed il colore: la rima è per il verso quel che il<br />
colore è per la pittura. Schmitt annota:<br />
«Importante nell’epoca del colore<br />
sfrenato!». Nel febbraio del 1952, scrive ad<br />
Armin Mohler:<br />
«II senso della rima si diffonde poco a poco.<br />
Stefan George è più solido di Rilke proprio<br />
nella rima. Costui ha soltanto rime fuori del<br />
comune».<br />
Ma in questo periodo commenta e chiede<br />
continuamente notizie di Erhard Hürsch<br />
(«E veramente un grande poeta e nel Gestirn<br />
ci sono magnifiche frasi. Vorrei un<br />
giorno confrontare da vicino il suo ‘astrismo’<br />
terraneo con quello cosmico di Däubler»).<br />
Nel 1965 appare la poesia di Paul<br />
Gerhardt:<br />
«A partire dal problema della rima (e della<br />
questione per cui egli è scomparso a partire<br />
dal 1945) mi sono imbattuto da un anno in<br />
Paul Gerhardt quale mio poeta-consolatore;<br />
naturalmente si tratta di un luterano».<br />
Tra il 1914 e il secondo dopoguerra non<br />
c’è, in effetti, discordanza. Schmitt aveva<br />
già individuato il nodo che lo interessava, e<br />
della poesia lo interessava l’aspetto ordinativo,<br />
non quello lirico. Quel che ancora gli<br />
mancava era una connessione fra la poesia e<br />
il diritto, che gli permettesse di interpretare<br />
compiutamente la rima poetica come una<br />
forma ordinativa del reale, un principio di<br />
ordine (retorico, e non ontologico), di difesa<br />
da un caos che incombe e va trattenuto.<br />
Potremmo dire: un ulteriore strumento katechontico.<br />
Carl Schmitt che accosta Wort e Ort è<br />
però l’uomo che da una decina d’anni si affatica<br />
sui rapporti fra la spazialità, la politica<br />
e il diritto delle genti, e che sta per pubblicare<br />
II Nomos della terra. In questo<br />
splendido libro, uno dei temi d’apertura del<br />
primo fra i corollari introduttivi è la delimitazione,<br />
la recinzione della terra; e il primo<br />
paragrafo del successivo capitolo, che apre<br />
la storia dello jus publicum Europaeum, si<br />
intitola: «Le prime linee globali».<br />
Quel che a Schmitt si andava chiarendo<br />
era la possibilità di un’analogia in grande<br />
stile fra poesia e diritto sul terreno della<br />
spazialità. Un’analogia che ricorda la sua<br />
antica dimestichezza con l’analogia strutturale<br />
fra teologia e dottrina dello Stato,<br />
avanzata nel 1922 in Teologia politica. Questa<br />
volta, Schmitt disvela come il rapporto fra<br />
la rima e la parola sia simile a quello fra i<br />
confini e lo spazio terrestre.<br />
Quest’analogia fra il ruolo della rima e<br />
quello della linea si inoltra anche negli elementi<br />
spaziali non originari per l’uomo, il<br />
6 luglio 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
mare e l’aria. Così come Schmitt insiste sulla<br />
«tecnica scatenata» – effetto della conquista<br />
inglese del mare e della decisione degli<br />
inglesi per un’esistenza marittima – si da<br />
nel Novecento la «rima scatenata»:<br />
«La rima scatenata, il cui primo scoppio è avvenuto<br />
– sì, avvenuto – nel corso della prima<br />
guerra mondiale, in agosto (August<br />
Stramm)».<br />
Questa osservazione chiude una nota del<br />
Glossario nella quale Schmitt ha ripreso il<br />
tema del rapporto rima-colore, che abbiamo<br />
già ricordato, con qualche aggiunta:<br />
«Oggi sperimentiamo il colore come elemento,<br />
il colore assolutamente libero, la cui forza<br />
spaziale è più grande dell’illusione spaziale di<br />
qualsiasi prospettiva lineare. Viviamo Paul<br />
Klee come un mondo nuovo».<br />
La perdita di forma e di misura, che ha<br />
attecchito tanto nella pittura che nella poesia,<br />
viene identificata proprio in Stramm, il<br />
rilevante drammaturgo e poeta espressionista,<br />
caduto al fronte nel 1915. I suoi drammi<br />
violenti, l’estrema concisione del linguaggio,<br />
il semplice grido utilizzato nelle poesie,<br />
si oppongono alla funzione ordinativa della<br />
rima su cui insisteva Schmitt.<br />
NICOLA CASANOVA<br />
a Poesie senza memoria.<br />
DI DALMAZIO MASINI<br />
Da: “<strong>Il</strong> Dolce Stile Eterno” supplemento de L’Alfiere del<br />
giugno 2003.<br />
Venerdì 2 Maggio, ore 14,30 circa. Accendo<br />
il televisore e immediatamente mi blocca la<br />
prima immagine perché su RAI 1, nella trasmissione<br />
di Massimo Giletti, vedo campeggiare<br />
il volto noto di Maria Luisa Spaziani<br />
(da molte parti indicata come la maggiore<br />
poetessa italiana del secondo novecento).<br />
L’intervista è appena iniziata. Si sta parlando<br />
di poesia contemporanea e di quanto<br />
questa sia scaduta nell’interesse della gente<br />
(la Spaziani dice che l’indifferenza è la peggiore<br />
nemica della poesia. Non chi brucia i<br />
libri, ma coloro che i libri li guardano come<br />
se fossero niente). Intanto Giletti avanza l’ipotesi<br />
che gran parte di questa “indifferenza”<br />
sia dovuta anche all’uso e abuso del facile<br />
prosaico “verso libero”, ma la Spaziani<br />
ribatte dicendo la cosa che da sempre aspettavo<br />
di sentire: dice che quando si parla di<br />
“verso libero” bisogna fare attenzione, perché<br />
molti “non poeti” credono che sia poesia<br />
andare al rigo di sotto a proprio piacimento,<br />
e invece, secondo lei, il verso libero<br />
è frutto di studio e grande fatica, mentre,<br />
sempre secondo lei, l’uso di metri e rime è<br />
solo un facile modo di fare poesia.<br />
E Giletti allora pone la domanda che sognavo:<br />
“Vuol dare un esempio ai telespettatori”<br />
Capirete il mio interesse, visto che nel<br />
mio desiderio di dare solide regole ai miei<br />
scritti devo continuamente sudarmi endecasillabi<br />
e settenari proprio perché la regolamentazione<br />
del verso libero non l’ho mai<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 650
| ( 5 ) |<br />
conosciuta. (E non mi vergogno a confessare<br />
che, quando avevo vent’anni e scrivevo<br />
quasi esclusivamente in versi liberi seguendo<br />
una facile moda, sudavo molto meno i miei<br />
scritti e andavo al rigo di sotto sempre a<br />
caso, come pensavo facessero tutti).<br />
Ma capirete anche la mia delusione quando<br />
la Spaziani temporeggia dicendo che in<br />
quel momento non le viene in mente nessun<br />
possibile esempio. Giletti insiste, ma lei fermamente<br />
rifiuta ogni ragionamento esplicativo.<br />
E a quel punto la mia delusione diventa<br />
entusiasmo, perché mi appare più chiaro<br />
quello che mi appare chiaro da 20 anni: il<br />
grande bluff della poesia del nostro secolo.<br />
Ma non finisce qui, anzi qui inizia la parte<br />
migliore del programma, perché interviene<br />
Cristiano Malgioglio (autore di testi di<br />
tante canzoni) e dice che oggi molta gente<br />
considera le parole di certe canzoni più impegnate<br />
la migliore forma di poesia del XX<br />
secolo. La Spaziani nega questa possibilità,<br />
e su questo io, che pure ho pubblicato più di<br />
400 canzoni, delle quali almeno 4 o 5 anche<br />
di buon livello letterario, concordo con<br />
lei. La canzone, a differenza della poesia,<br />
nasce subito come “oggetto” da destinare a<br />
un vasto pubblico, deve piacere per vivere, e<br />
per piacere deve venire a compromessi con<br />
le esigenze del musicista e con quelle del discografico.<br />
Quindi, più che di prodotto artistico,<br />
si può parlare di buono o cattivo prodotto<br />
artigianale.<br />
Poi entra in scena uno strano tipo di cabarettista<br />
che usa musicare e cantare testi di<br />
grandi poeti, da Dante a D’Annunzio, ai<br />
contemporanei, e per fare un esempio pratico<br />
di come una buona poesia possa diventare<br />
una buona canzone canta un brano fatto su<br />
una poesia del repertorio italiano più recente.<br />
La Spaziani ascolta con distacco senza<br />
battere ciglio e alla fine Giletti le chiede se<br />
ha gradito la sorpresa. Ma lei non capisce il<br />
senso della domanda e allora le viene precisato<br />
che il brano era una sua poesia edita.<br />
Chiaramente lei accusa il colpo, ma dopo un<br />
attimo di imbarazzo si giustifica dicendo che<br />
ha scritto più di 3.000 poesie e che non può<br />
ricordarsele tutte.<br />
Ed io quanto gongolo a questa risposta!<br />
Mi chiedo come una grande poetessa come<br />
lei, pupilla di Montale, non capisca che non<br />
può smentirsi così platealmente. Essere lei<br />
la prima grande indifferente davanti ad un<br />
suo testo poetico e poi, con l’affermazione<br />
di aver scritto migliaia di poesie, far capire<br />
che quel tipo di poesia non è il lavoro faticoso<br />
prima detto. Ce ne sono di bravi poeti<br />
che, scrivendo in metrica e in rima, hanno<br />
scritto più di 3.000 poesie Non ne conosco<br />
né tra i contemporanei né tra quelli di altri<br />
secoli. In compenso conosco moltissimi<br />
poeti e poetesse, anche ripetutamente premiati<br />
in concorsi letterari, che impiegano in<br />
media una decina di minuti per scrivere una<br />
poesia e che oggi affermano di averne già<br />
scritte 20/30.000; per non parlare poi di un<br />
certo Martini che si vanta di aver superato il<br />
numero di 1.200.000.<br />
Ma noi sappiamo che non è la grande<br />
produzione che può fare grande un autore,<br />
bensì la bellezza che si raggiunge con un<br />
grande impegno di elaborazione. E crediamo<br />
che solo combattendo la faciloneria della<br />
maggior parte della “non poesia” del Novecento<br />
si possa sperare di tornare a vedere<br />
in un futuro, che ci auguriamo sempre più<br />
vicino, l’oggetto “poesia” tornare ad essere<br />
uno degli amorosi oggetti capaci di rendere<br />
bello il vivere.<br />
DALMAZIO MASINI<br />
6 luglio 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
a Un commento.<br />
DI FABIO BROTTO<br />
La questione della poesia di questi anni è una<br />
questione smisurata, che provoca una “smisurata<br />
sentenza” che io non pronuncio. Sono<br />
contentissimo di apprendere della figuraccia<br />
della Spaziani (non amo le poetesse incoronate<br />
— il femminile non è casuale). Molto<br />
di quel che si dice qui sul “poetare” lo condivido,<br />
e in un certo senso lo si potrebbe<br />
estendere al dipingere. La musica è differente:<br />
in essa l’elemento tecnico è irriducibile.<br />
Credo che a ogni autopretendentesi poeta<br />
italiano occorrerebbe chiedere di dimostrare<br />
di saper comporre un endecasillabo e un settenario<br />
su due piedi, e senza contare le sillabe<br />
(ma forse molti non sanno più neppure contare<br />
le sillabe e individuare gli accenti).<br />
Va detto, però, che anche al tempo della<br />
settecentesca Arcadia si era vista una proliferazione<br />
di poeti, sebbene la tecnica versificatoria<br />
fosse obbligo. E le migliaia e migliaia<br />
di opere prodotte, che esistono ancora nelle<br />
polverose biblioteche del Paese, non le legge e<br />
non le ricorda più nessuno. E Leopardi stesso<br />
diceva che al tempo suo tutti scrivevano<br />
versi...<br />
Nella mia visione, si tratta di una delle<br />
possibili forme di tendenza verso il Centro da<br />
parte di coloro che sono alla Periferia. La<br />
forza centripeta è sempre attiva in qualsiasi<br />
gruppo di umani. Tutti vorrebbero occupare<br />
il Centro Sacro, abbandonando il proprio<br />
anonimo locus nella Periferia. <strong>Il</strong> poeta —<br />
l’artista in genere — è titolato ad appetire il<br />
Centro, nella tradizione, più di altri soggetti.<br />
Nella smisurata Periferia della società tecnotronica<br />
l’impulso al Centro spiega il proliferare<br />
dei blog, dei filmati su You Tube, e dei<br />
blog poetici, ecc. ecc. <strong>Il</strong> fenomeno non è arginabile.<br />
Almeno si eviti l’ipocrisia. (F. B.)<br />
ZZZZZZZZZZZZZZZZZZ<br />
La rima<br />
K<br />
zzzzzzzzzzzzzzzzzz<br />
DALMAZIO MASINI<br />
<strong>Il</strong> prezzo<br />
V<br />
olevo l’onda calma e la tempesta,<br />
il vino e l’acqua, il cielo e l’arenile,<br />
gli alberi, enormi re della foresta<br />
e le tenere erbette dell’aprile.<br />
In cambio avrei donato solo file<br />
di versi da cantare ogni momento,<br />
certo d’essere il capro dell’ovile,<br />
quello che solo vale più di cento.<br />
E più che avevo e meno ero contento<br />
negli anni accesi dell’età più forte,<br />
quando ambizioso come un monumento<br />
sognai perfin di vincere la morte.<br />
Ora che ho spalancato le mie porte<br />
a una realtà che mai volli vedere<br />
neppure un’ombra siede alla mia corte,<br />
e nessun verso nasce al mio cantiere<br />
Niente sono riuscito a trattenere<br />
sprecando ad una ad una ogni occasione<br />
per declinare sempre il verbo avere<br />
e recitar la parte del leone.<br />
Oggi mi basterebbe l’emozione<br />
di un fresco bacio a risvegliarmi in festa<br />
e in cambio di quest’ultima illusione<br />
darei tutta la vita che mi resta.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 650
| ( 7 ) |<br />
GIORGIO CAPRONI<br />
Fonte: Giorgio Caproni, Tutte le poesie, Garzanti.<br />
© Garzanti editore<br />
Per lei<br />
P<br />
er lei voglio rime chiare,<br />
usuali: in -are.<br />
Rime magari vietate,<br />
ma aperte, ventilate.<br />
Rime coi suoni fini<br />
(di mare) dei suoi orecchini.<br />
O che abbiano, coralline,<br />
le tinte delle sue collanine.<br />
Rime che a distanza<br />
(Annina era così schietta)<br />
conservino l'eleganza<br />
povera, ma altrettanto netta.<br />
Rime che non siano labili<br />
Anche se orecchiabili.<br />
Rime non crepuscolari,<br />
ma verdi, elementari.<br />
Battendo a macchina<br />
M<br />
ia mano, fatti piuma:<br />
fatti vela; e leggera<br />
muovendoti sulla tastiera,<br />
sii cauta. E bada, prima<br />
di fermare la rima,<br />
che stai scrivendo d’una<br />
che fu viva e fu vera.<br />
Tu sai che la mia preghiera<br />
è schietta, e che l’errore<br />
è pronto a stornare il cuore.<br />
Sii arguta e attenta: pia.<br />
Sii magra e sii poesia<br />
se vuoi essere vita.<br />
E se non vuoi tradita<br />
la sua semplice gloria,<br />
sii fine e popolare<br />
come fu lei – sii ardita<br />
e trepida, tutta storia<br />
gentile, senza ambizione.<br />
Allora sul Voltone,<br />
ventilata in un maggio<br />
di barche, se paziente<br />
chissà che, con la gente,<br />
non prenda aire e coraggio<br />
anche tu, al suo passaggio.<br />
6 luglio 2011 Anno XI
| ( 8 ) |<br />
Manifesto del<br />
DOLCE STILE ETERNO<br />
1 Noi vogliamo che armonia, bellezza e forza espressiva dei versi<br />
siano i valori fondanti del dolce stile eterno.<br />
2 Noi vogliamo costruire una poesia moderna nei contenuti e<br />
nella sintassi, ma rigorosa nell'uso del verso ritmico.<br />
3 Noi vogliamo opporci all'indifferenza di fronte al bello e riscattare la<br />
dimensione estetica insita nell'atto creativo, contro l'offuscamento del<br />
gusto, rifiutando uno sperimentalismo logoro e di maniera, che ha<br />
condannato a morte la poesia stessa.<br />
4 Noi vogliamo ritrovare i valori condivisi, le radici comuni della poesia,<br />
contro “le parole in libertà” degli stanchi epigoni novecentisti.<br />
5 Noi vogliamo recuperare l'uso di un linguaggio chiaro e aperto alla<br />
comprensione di tutti, contro un linguaggio onirico, evocativo, ermetico<br />
e selettivo.<br />
6 Noi vogliamo far sì che il poeta, dopo anni di monologhi destrutturati,<br />
torni a dialogare con il lettore, e che i libri di poesia divengano un<br />
invito ineludibile alla lettura.<br />
7 Noi vogliamo rivalutare la conoscenza della realtà come fonte di<br />
ispirazione artistica, contro l'immagine deformata di una realtà autonoma,<br />
autoreferenziale, incomunicabile, priva di nessi logici e coerenti.<br />
8 Noi vogliamo coniugare l'originale creatività emotiva, disciplinata<br />
dai canoni metrici, con la musicalità scaturita dal suono delle parole.<br />
9 Noi vogliamo una poesia dalla voce sobria, che canti con lucida forza<br />
il quotidiano e le ragioni del cuore.<br />
10 Noi abbiamo la consapevolezza di rinunciare ai facili, effimeri consensi<br />
che la poesia dei nostri tempi ottiene perché noi siamo il futuro<br />
della poesia.<br />
Accademia Vittorio Alfieri Firenze 1999<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 650
A<br />
B<br />
N°651<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
21 LUGLIO 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
a Questo numero.<br />
Naturale seguito del N°592 del giugno dello scorso<br />
anno, questo numero è un omaggio alla memoria dell'Arciduca<br />
Otto D'Asburgo. Sotto trovate i densi commenti<br />
del “nostro incognito redattore” Almanacco<br />
Romano e a pagina 5 il bel ricordo comparso sul sito 1<br />
del Museo del Piave “Vincenzo Colognese”. N<br />
a La morte dell’Arciduca Otto D’Asburgo.<br />
DI ALMANACCO ROMANO<br />
Fonte: http://almanaccoromano.blogspot.com.<br />
. L'IMPERO DEI SOGNI.<br />
Si legge nella rete:<br />
martedì 5 luglio 2011<br />
«Nella notte tra il 4 e il 5 luglio il Signore ha<br />
chiamato a Sé l’anima buona e fedele dell’ultimo<br />
figlio vivente del beato Imperatore Carlo<br />
d’Asburgo e di Zita di Borbone-Parma, S.A.I.R.<br />
l’Arciduca Otto d’Asburgo-Lorena, ultimo discendente<br />
della dinastia imperiale d’Austria.<br />
Nelle sue vene scorreva il sangue di tante famiglie<br />
reali e imperiali (Asburgo, Lorena, Borbone,<br />
Braganza, etc.). Le esequie saranno celebrate<br />
a Vienna il 16 Luglio. Riposerà con i suoi va-<br />
1 Un grazie alla cortesia di Diotisalvi Perin, presidente del Museo,<br />
che ci ha concesso di riprodurre testi e immagini per i nostri<br />
lettori.<br />
lorosi avi nella Cripta del Cappuccini (Kapuzinergruft).<br />
Con lui, grandissimo patriota europeo,<br />
scompare l’ultima nobile e tangibile vestigia<br />
di una delle più gloriose monarchie. In memoria<br />
aeterna erit justus: ab auditione mala non<br />
timebit. Requiescat in pace».<br />
Franz Josef Otto Robert Maria Anton Karl<br />
Max Heinrich Sixtus Xaver Felix Renatus Ludwig<br />
Gaetan Pius Ignatius von Habsburg-Lothringen<br />
aveva 99 anni. Era stato un vero avversario<br />
dei nazisti, un pericolo per la loro Anschluss. Nel<br />
dopoguerra fu deputato e eurodeputato del Partito<br />
popolare. Condannato all’esilio per aver perso<br />
la guerra mondiale che la massoneria e i nazionalismi<br />
mossero nel 1914 all’impero davvero multietnico<br />
(cattolico), dovette chiedere la patente<br />
democratica agli austriaci che avevano votato in<br />
massa l’annessione alla Germania hitleriana. Ma<br />
era un garbatissimo signore e come tutti i gentiluomini<br />
d’un tempo sapeva sorridere generosamente<br />
davanti ai piccoli imbrogli politici. È morto<br />
in Baviera dove visse per mezzo secolo.<br />
L'Arciduca Otto D'Asburgo<br />
Joseph Roth, in fuga dai nazisti, si convinse<br />
che l’Arciduca fosse l’unico che potesse salvare<br />
l’Austria dalle camicie brune. In quegli anni il romanziere<br />
esaltava Pio XII come il provvidenziale<br />
difensore degli ebrei e si faceva paladino dell’ere-<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
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☞ È uscito il numero 11.<br />
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00166 Roma.<br />
#<br />
de degli Asburgo, ossia del protettore cattolico<br />
delle minoranze. Ci siamo ormai dimenticati che<br />
alcuni letterati ed artisti nella prima metà del<br />
Novecento seppero resistere alle sirene chiassose<br />
degli espressionismi d’ogni sorta, alle grida delle<br />
avanguardie, o talvolta superarono certi entusiasmi<br />
giovanili, per riscoprire il gusto elevato, la<br />
forma eterna. Per dei Brecht e dei Céline che<br />
mettevano il proprio talento al servizio della plebe,<br />
mimando il gergo grossolano che diventava il<br />
loro stigma, c’erano gli Hofmannsthal e i Borchardt<br />
che inseguivano un sogno antico più nobile<br />
d’ogni utopia moderna. Fantasticavano un’araldica<br />
del cuore, coniugavano in modo novalisiano<br />
Europa e poesia.<br />
«<strong>Il</strong> plebeismo delle idee moderne è opera dell’Inghilterra»,<br />
sosteneva Nietzsche, «il plebeismo<br />
dell’agire moderno è opera della cosiddetta arte<br />
contemporanea», si potrebbe aggiungere, ma un<br />
drappello di letterati, artisti e musicisti si schierò<br />
con l’aristocrazia anche nel Novecento. Da Baudelaire<br />
in poi, lungo è l’elenco dei pugnaci conservatori.<br />
Dall’«interiorità protetta dal potere»<br />
alla mobilitazione della interiorità per proteggere<br />
il potere: era lo schizzo per ricostruire un passaggio<br />
fondamentale della cultura europea tracciato<br />
dal nostro Marianello Marianelli, chiosatore di<br />
Borchardt. E quest’ultimo, prendendo a pretesto<br />
il giovane Kaiser germanico che nel 1908 compiva<br />
vent’anni, considerava l’imperatore un oggetto<br />
della «fantasia utilizzatrice dei popoli», la «figura<br />
che non invecchia mai», «il giovane re che esercita<br />
tutto il suo dominio sugli oscuri sentimenti, che<br />
una volta era proprio delle figure mitiche e poetiche»<br />
(in indubitabile assonanza con Stefan George).<br />
E ancora Marianelli, commentando il borchardtiano<br />
Der Fürst (dell’anno fatale 1933) spiega<br />
come<br />
«il principe, il monarca non ha più nulla di istituzionale,<br />
di storico: è, semmai, una delle figure<br />
fisse dell’umanità, come l’‘eroe, il santo, l’amazzone,<br />
il poeta, il giocoliere, il veggente,<br />
l’aedo’. Si tratta ovviamente delle figure riprese<br />
da teatro del mondo, dal carillon di archetipi<br />
del suo amico Hofmannsthal…».<br />
L’ebreo Borchardt auspicava un Terzo Reich,<br />
un Regno dello spirito che gli fu rubato nel nome<br />
da violenti demagoghi, il cattolico Hofmannsthal<br />
predicava la Rivoluzione conservatrice. In Der<br />
Fürst, Borchardt ragionava:<br />
«Annientata, la regalità nutre di sé ogni secolo e<br />
perfino le repubbliche sue naturali nemiche: le<br />
repubbliche francesi si sono protette dalle conseguenze<br />
della loro decadenza solo in grazia di<br />
un concetto di monarca nato nel medioevo.<br />
L’immagine di un universo fondato sulla giustizia<br />
romana, nato entro l’occhio regale di Cesare,<br />
ha costretto un millennio di storia europea a<br />
conformarsi su quella».<br />
Sembra di leggere Carl Schmitt. E aggiungeva<br />
un ammonimento:<br />
«il mondo intero sta diventando conservativo<br />
per autodifesa, per difesa della propria eredità».<br />
La regalità dipende dalla sua vitalità, non certo<br />
dalle sue fortune e sfortune storiche. La regalità<br />
dipendeva dal ‘clima nobile’ ricreato da Hofd<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 651
| ( 3 ) |<br />
mannsthal che lo scopriva in quegli anni nei personaggi<br />
di Shakespeare come nella geografia teresiana<br />
che trova il suo vertice nella Venezia fuori<br />
del tempo del romanzo di Andreas. Se Roth aveva<br />
narrato l’epopea asburgica moderna e Musil ne<br />
aveva contemplato ironicamente il tramonto (ma<br />
in quell’ironia, nel sorriso mentre ci si inabissa,<br />
era nascosta la cifra aristocratica e cattolica),<br />
Hofmannsthal aveva parlato del sistema asburgico<br />
quale «imperio non solo temporale ma anche<br />
sacrale che si sovrappose alle nazioni». Abituati<br />
questi signori a pensare «sub specie aeternitatis»,<br />
riuscivano a vedere il carattere sacrale della forma<br />
imperiale. Tuttavia, in quell’epoca incerta e<br />
carica di pericoli, l’impero era alla ricerca di un<br />
casato e con esso la piccola folla di letterati e artisti.<br />
Roth, con il senso pratico degli esuli inseguiti,<br />
lo trovava nel giovane arciduca scomparso l’altro<br />
giorno. Hofmannsthal in modo più letterario riprendeva<br />
da George tale ricerca e la trasformava<br />
nella versione calderoniana del suo ultimo dramma,<br />
Der Turm. Borchardt la rievocava, piuttosto,<br />
in quel possente canto d’amore dedicato a Pisa,<br />
città imperiale.<br />
Ma in cerca di una aristocrazia ‘moderna' furono<br />
pure i pensatori francofortesi che inventarono<br />
antenati alto-borghesi in luogo dei loro genitori<br />
bottegai, per ricreare una civiltà delle buone<br />
maniere novecentesca, un gusto aulico raggiunto<br />
con i più severi ascetismi, un understatement che<br />
li portò a nascondersi nei panni prosaici dei sociologi<br />
pur di non concedere nulla allo snobismo<br />
proustiano: era la nuova nobiltà degli ebrei. Else<br />
Lasker-Schüler ne tracciò alcune figure suggestive<br />
con le corone di latta benché assai eleganti.<br />
Gottfried Benn si spingeva fino ai Dori, Ernst<br />
Jünger con più cinismo lasciava da parte la ricerca<br />
di un casato e si limitava ai geniali cavalieri che<br />
salvano l'Occidente nella geografia tormentata<br />
intorno alle scogliere di marmo...<br />
Un culto democratico ormai secolare ha cancellato<br />
questo tema. Forse anche a causa della<br />
vulgata di Hermann Broch sul mondo decadente<br />
delle gaie apocalissi, degli ebrei amici di sovversivi,<br />
di freudismo, di modernismi, di cancellazione<br />
degli ornamenti, perfino di nostalgie asburgiche<br />
che si colorano di folclore, di rimpianti della<br />
Vienna degli ufficialetti, viene nascosto il tormento<br />
di coloro che lavorarono con le parole, i<br />
pensieri, i suoni e le immagini, alla restaurazione.<br />
La notizia della morte dell’ultimo erede di quel<br />
mondo, del prodigo amico dei letterati, finito con<br />
loro nell’esilio interminabile del nostro tempo, ne<br />
ha risvegliato per una notte il ricordo.<br />
Nella foto, i Wiener Sängerknaben (i piccoli cantori di<br />
Vienna), che intoneranno la “Deutsche Messe” di Shubert<br />
mercoledì nella basilica del santuario di Mariazell.<br />
. CERIMONIA FUNEBRE.<br />
sabato 16 luglio 2011<br />
Gabriella Bemporad con signorile sottotono le<br />
chiamava «note», senza alcun titolo, e le apponeva<br />
in guisa di postfazione a testi bellissimi che traduceva<br />
dal tedesco; vi concentrava le ultime stille<br />
di un’eleganza ormai introvabile nella consuetudine<br />
editoriale. In una di queste, che accompagnava<br />
l’hofmannsthaliano romanzo Andrea o I ricongiunti<br />
(Andreas oder die Vereinigten), a proposito<br />
della geografia culturale che aveva come poli<br />
Vienna e Venezia scriveva: «il più singolare luogo<br />
geometrico dei congedi e delle nuove partenze».<br />
Oggi a Vienna, dopo tredici giorni di lutto, ci si<br />
accomiata dall’ultimo imperatore, riconosciuto<br />
nella sua maestà solo dagli esuli, nobili ed ebrei.<br />
La nobiltà è una maschera – spiegava la eccelsa<br />
germanista – evita la rude socievolezza dell’homo<br />
homini lupus. L’ingenuità dei repubblicani<br />
dal volto nudo, dell’uomo senza passato che perciò<br />
deve rinunciare anche alle meraviglie sperimentate<br />
nell’infanzia, conduce al puritanesimo<br />
21 luglio 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
triste, senza ornamenti (o con ornamenti rubati ai<br />
re spodestati). I riconciliati con il passato, con la<br />
tradizione, con il mondo aureo, possono credere<br />
alla sapienza delle fiabe.<br />
Della scrittura del Maestro delle maschere diceva:<br />
«la pagina – che pure narra incertezze e angosce<br />
esistenziali e le intuizioni confuse […] – appare<br />
difesa da una superficie liscia come uno specchio,<br />
priva di crepe o spiragli, da un fluire ininterrotto<br />
ma mai turbinoso […]. La materia appare<br />
pacificata…». La forma – politica, imperiale,<br />
e letteraria – rappacifica. La signora fiorentina<br />
parlava con garbo di «quel felice componimento<br />
delle dissonanze che è il fine della narrazione».<br />
Estraneo adesso ai più che trafficano<br />
con la scrittura e con il pensiero.<br />
E celebrando la «sobrietà del ricco», la «semplicità<br />
del raffinato», l’amica di Cristina Campo<br />
sempre in quella stessa Nota citava una frase di<br />
Hofmannsthal nella parte incompiuta dell’Andreas,<br />
riferita al Cavaliere di Malta:<br />
«Mania di perfezione: immaginare splendide feste<br />
conduce a non trovare perfetta alcuna festa,<br />
salvo le esequie di un monaco certosino».<br />
Avvolta nella bandiera imperiale giallo-nera,<br />
la salma dell’ultimo imperatore senza impero, di<br />
un fantasma imperiale, è tornata a Vienna. <strong>Il</strong> corteo<br />
funebre si snoderà nel centro storico della città<br />
per portare Otto nella cripta imperiale dei<br />
Cappuccini, dove dal 1633 sono sepolti più di cento<br />
suoi antenati. Al termine del tragitto – raccontano<br />
i cronisti – l’araldo busserà con la mazza alla<br />
porta della chiesa. Dall’interno, come è sempre<br />
avvenuto nei secoli, un cappuccino chiederà: «Chi<br />
vuole entrare». L’araldo risponderà: «Otto d’Asburgo,<br />
erede al trono d’Austria e d’Ungheria, dei<br />
regni di Boemia, Croazia, Dalmazia, Slavonia,<br />
Galizia, delle contee di Gorizia e Gradisca...».<br />
«Non lo conosco» dirà il frate. L’araldo ci proverà<br />
di nuovo annunciando «l’erede al trono di Austria<br />
e Ungheria». E riceverà un altro rifiuto. Alla<br />
fine annuncerà semplicemente: «Otto, un povero<br />
peccatore». E la porta della chiesa si aprirà all’ultimo<br />
Asburgo, che ha vissuto la fine dell’impero.<br />
Barocco asburgico, particolarmente funereo.<br />
A pochi passi dalla Cripta, c’è la chiesa di Sant’Agostino,<br />
l’imperiale Augustinerkirche, il tempio<br />
che conserva i cuori asburgici e dove si celebrarono<br />
le nozze di Sissi con Francesco Giuseppe<br />
e quelle di Maria Luisa con Napoleone Bonaparte<br />
nemico dei re. Lì Antonio Canova, in un’èra rivoluzionaria,<br />
senza fondamento, innalzò una sepoltura<br />
tragica, tradusse in scabro moderno il barocco<br />
lugubre degli Asburgo. La giovane Maria<br />
Cristina si avvia sola, patetica, verso il mistero cupo<br />
del tenebrosissimo Ade. La si vorrebbe abbracciare<br />
e confortarla con la «lux perpetua» che invochiamo<br />
nel Requiem. La piramide del mondo<br />
pre-cristiano però accenna a morti pagane. Forse<br />
Canova vi ha messo in scena il contrappasso per<br />
l’egoismo moderno.<br />
In un balenio di spirito aristocratico, di irriproducibile,<br />
di unico, Sacramozo, personaggio<br />
dell’Andreas che «conosce la potenza dell’azione<br />
creatrice» dice:<br />
«il rapporto più sacro è quello tra apparenza e<br />
sostanza – e come viene incessantemente ferito!<br />
si può pensare che Dio l’abbia nascosto tra aculei<br />
e spine –. Noi possediamo un arsenale di verità,<br />
forte abbastanza da ritrasformare il mondo<br />
in un pulviscolo di stelle, ma ogni arcanum è<br />
chiuso in un crogiolo di ferro, per colpa della<br />
nostra durezza e della nostra stolidità, dei nostri<br />
pregiudizi, della nostra incapacità di concepire<br />
l’irripetibile».<br />
ALMANACCO ROMANO<br />
P<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 651
| ( 5 ) |<br />
a Dal sito del Museo del Piave<br />
“Vincenzo Colognese” Caorera di Vas<br />
(BL).<br />
Fonte: www.museodelpiavevincenzocolognese.it.<br />
. I° APRILE 2006. RICORDO DI UNA<br />
GIORNATA INDIMENTICABILE<br />
. LA SINCERA AMICIZIA DEL COMITATO<br />
IMPRENDITORI VENETI “PIAVE 2000” E<br />
DELL’ASSOCIAZIONE MUSEO DEL PIAVE<br />
“VINCENZO COLOGNESE” CON L’ARCIDUCA<br />
OTTO D’ASBURGO<br />
La saggezza della Chiesa ha voluto dichiarare<br />
Beato l’ultimo Imperatore della Casa d’Austria.<br />
La cerimonia ha avuto luogo a Piazza San Pietro<br />
il 3 ottobre 2004. Tra i motivi dichiarati ci furono<br />
la condotta, la vita esemplare e il concreto amore<br />
della pace di Carlo I d’Asburgo.<br />
Qualora siffatte virtù avessero riguardato un<br />
uomo qualsiasi, esse sarebbero state più o meno<br />
circoscritte alla sua persona. Ma un Imperatore è<br />
un uomo pubblico e tutto quanto egli dice e fa riguarda<br />
vaste realtà e numerose vicende, come è<br />
giusto che sia.<br />
Quando si pensa all’Austria nostra confinante<br />
“terra mitica più che reale”, come scrisse Paolo<br />
Rumiz, bisognerebbe pensare un poco anche all’ultimo<br />
Imperatore e al suo impegno per far cessare<br />
la Grande Guerra anche a costo di andare<br />
contro i propri interessi. Potrebbe sembrare incredibile,<br />
come inverosimile apparirebbe qui da<br />
noi immaginare un ministro senza scorta e senza<br />
seguito. Tale eventualità si verifica invece in Autria.<br />
Quando poi si pensa a Vienna, bisognerebbe<br />
anche sapere che in quella città è certamente possibile<br />
che un genio sia considerato uno stupido,<br />
ma non che un cretino sia considerato un genio.<br />
Non è cosa da poco.<br />
Queste pagine lasceranno delle domande aperte,<br />
ma ci ripetono che un valido scrittore deve<br />
sempre disturbare, come sostenne il Premio Nobel<br />
per la letteratura V. S. Naipaul nel 2001.<br />
Con la morte di Otto d’Asburgo finisce purtroppo<br />
la dinastia degli Asburgo.<br />
Cerimonia a Bressanone, 1 aprile 2006, nell’84°<br />
anniversario della scomparsa dell’imperatore<br />
Carlo I d’Asburgo, alla presenza del figlio Arciduca<br />
Otto d’Asburgo.<br />
L’invito alla cerimonia ci è pervenuto dal Comandante<br />
del Corpo Forestale dello Stato (provincia<br />
di Treviso) dott. Guido Spada e rappresentante<br />
della Croce nera Austriaca e in quella occasione<br />
ci fu uno scambio di doni tra Diotisalvi Perin,<br />
Presidente del Comitato Imprenditori Veneti<br />
“Piave 2000” e dell’Associazione Museo del Piave<br />
“Vincenzo Colognese” e Otto d’Asburgo con<br />
firma autografa dell’Arciduca sul libro di Erich<br />
Feigl Mezzaluna e Croce, Marco d’Aviano e la salvezza<br />
d’Europa da noi tradotto.<br />
DIOTISALVI PERIN<br />
21 luglio 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
Traduzione dell’articolo del 2 aprile 2006<br />
ESORDIO DELLA BANDA “IMPERATORE CARLO” DEGNA DELL’IMPERATORE<br />
Bressanone s’inchina al Beato Imperatore Carlo. Otto von Habsburg, insieme al Comandante degli<br />
Schützen Paul Bacher e al Maggiore Circondariale, ha partecipato ieri alla funzione commemorativa<br />
in onore di suo padre.<br />
Bressanone. “Questa ricorrenza e questa musica sono degne di mio padre e della città di Bressanone”.<br />
Otto d’Asburgo ha ringraziato in maniera molto commossa la città di Bressanone per l’84° anniversario<br />
della morte dell’Imperatore Carlo.<br />
La messa è stata celebrata nel duomo di Bressanone dal Decano Capitolare Ivo Muser. Hanno concelebrato<br />
Josef Gelmi e il Cappellano Regionale degli Schützen Paul Rainer. La banda cittadina di<br />
Bressanone, diretta dal Maestro Guenther Klausner, ha suonato per la prima volta la festosa “Musica<br />
dell’Imperatore Carlo”. Tale opera era stata commissionata al compositore di Innsbruck Hermann<br />
Pallhuber dagli Schützen del circondario di Bressanone e avrebbe dovuto essere suonata due anni fa in<br />
occasione della Beatificazione dell’Imperatore Carlo.<br />
Nel suo discorso nella piazza del Duomo, Otto d’Asburgo ha accennato anche alle “gravi difficoltà<br />
che ci attendono. Emergono infatti attacchi contro la propria terra, la fede, la tradizione”. Un esempio<br />
sarebbe rappresentato dalla Costituzione Europea, nella quale manca qualsiasi riferimento a Dio.<br />
Hanno partecipato alla festa numerosi ospiti d’onore come i Sindaci Albert Puergstaller (Bressanone)<br />
e Arthur Scheidle (Chiusa), l’Europarlamentare Michl Ebner, il Deputato Hans Widmann e i Deputati<br />
regionali Walter Baumgartner e Pius Leitner. C’erano inoltre gruppi folcloristici e una rappresentanza<br />
giunta dalla Slovenia. Per quest’ultima presenza il figlio dell’Imperatore ha manifestato particolare<br />
soddisfazione.<br />
I video della cerimonia a Bressanone dell’1 Aprile 2006 sono visibili nel sito del Museo del Piave<br />
(www.museodelpiave.it) e su YouTube.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 651
| ( 7 ) |<br />
21 luglio 2011 Anno XI
| ( 8 ) |<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 651
A<br />
B<br />
N°652<br />
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RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
30 LUGLIO 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
a Questo numero.<br />
Ci è sembrato doveroso iniziare con una riflessione<br />
sulle stragi norvegesi, abbiamo optato per quella, essenziale,<br />
di Roberto De Mattei comparsa su l'Occidentale.<br />
In seconda pagina un annuncio librario importante<br />
(il libro di Jousse è frutto della passione e del lavoro<br />
di anni dell'amico Antonello Colimberti ☞, i cui<br />
primi risultati furono pubblicati proprio sul <strong>Covile</strong>)<br />
segue, a pag. 3, Cartagloria, la rubrica di tipografia:<br />
questa volta Sergio Castrucci ci racconta, ovviamente<br />
utilizzandolo, l'inquietante storia del carattere Times,<br />
il più diffuso nell'era dei computer. A pagina 6 Piero<br />
Vassallo rende evidente, con ampie e opportune citazioni,<br />
il fondo nichilista della teologia di Fijodor Dostoewskij,<br />
giungendo, ci sembra, a conclusioni vicine a<br />
quelle del Carl Schmitt dello straordinario Cattolicesimo<br />
romano e forma politica. N<br />
☞ Antonello sta curando su Radiotre, “rubrica Passioni”, un<br />
ciclo di quattro trasmissioni dal titolo L’armonia del mondo:<br />
II.<br />
I. (sabato 30 luglio ore 10,50) dedicata a Marius Schneider,<br />
ospite Nuccio D’Anna.<br />
(domenica 31 luglio ore 10,50) dedicata al pensiero<br />
armonicale (Hans Kaiser in particolare), ospite Maria<br />
Franca Frola.<br />
III. (sabato 6 agosto ore 10,50) dedicata all’ecologia<br />
della musica, ospite Roberto Barbanti.<br />
IV. (domenica ore 10,50) dedicata al pensiero armonico<br />
del tarantismo, ospite Pierpaolo De Giorgi.<br />
a Breivik è un ‘figlio' del nazionalismo<br />
nordico nient'affatto cristiano.<br />
DI ROBERTO DE MATTEI<br />
Fonte e ©: l'Occidentale, 26 luglio <strong>2011.</strong><br />
Anders Behring Breivik è convinto di essere un eroe<br />
anti islamico, ma l’Islam in Europa non ha avuto, fino<br />
ad oggi, migliore alleato di lui. C’è da prevedere<br />
infatti che gli illiberali progetti di legge contro<br />
l’“islamofobia”, che faticano a imporsi in molte nazioni<br />
europee, riceveranno un decisivo impulso dalle<br />
stragi di Oslo e dell’isola di Utoya.<br />
Breivik non è un pazzo, se con ciò si intende, nel<br />
senso stretto del termine, un uomo con turbe psichiche,<br />
incapace di intendere e di volere. Egli si è dimostrato<br />
lucido e determinato in quella che, in senso lato,<br />
si può definire la sua follia omicida. Ma Breirik è<br />
tutt’altro che un fondamentalista cristiano, perché,<br />
al di là della giustificazione ideologica del suo gesto<br />
apparsa su Internet, si è dimostrato, nei fatti, assolutamente<br />
privo di fondamenti etico-religiosi e del tutto<br />
estraneo a quei valori assoluti che guidano la condotta<br />
di chi si dice cristiano. <strong>Il</strong> primo di questi valori,<br />
secondo Benedetto XVI, è il riconoscimento del diritto<br />
alla vita, mentre lo stragismo di Breivik manifesta<br />
il più radicale disprezzo per il precetto morale<br />
che vieta di uccidere l’innocente. <strong>Il</strong> principio secondo<br />
cui il fine giustifica i mezzi (anche i più criminosi)<br />
ha caratterizzato il totalitarismo del Novecento ed è<br />
figlio del relativismo che dissolve ogni legge naturale<br />
e morale.<br />
Beirik dovrebbe essere più precisamente definito<br />
come uno squilibrato, cioè come un uomo mancante<br />
di baricentro morale e di punti di riferimento assoluti.<br />
Lo squilibrio psichico, che non è la follia, oggi è<br />
un fenomeno diffuso, come la depressione. Esso ci<br />
sconvolge quando si trasforma in aggressività sociale,<br />
ma non dobbiamo dimenticare che si manifesta<br />
anche in forme in cui lo squilibrato è la vittima e non<br />
il giustiziere. L’uomo del XXI secolo è psichicamente<br />
instabile, perché relativista e priva e di fondamenti<br />
è la società contemporanea, in cui gli eccessi riman-<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
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| ( 2 ) |<br />
O<br />
Marcel Jousse<br />
LA SAPIENZA ANALFABETA DEL BAMBINO<br />
Introduzione alla mimopedagogia<br />
A cura di Antonello Colimberti<br />
R<br />
Per la prima volta al mondo sono qui pubblicate una<br />
serie di memorabili lezioni che Marcel Jousse ha tenuto<br />
alla Sorbona negli anni ‘930 e che hanno ispirato<br />
le tendenze più avanzate e critiche sulla pedagogia,<br />
compresa la visione dei libri di Ivan <strong>Il</strong>lich<br />
Descolarizzare la società e Nella vigna del testo. Jousse<br />
conferma qui con dimostrazioni scientifiche che<br />
il bambino prima ancora di imparare a parlare ha in<br />
sé la conoscenza dell’universo e la parola non è altro<br />
che una forma di riecheggiare i ritmi dell’universo<br />
che trova in sé oltre che intorno a sé.<br />
Marcel Jousse (1886-1961). Ordinato Gesuita nel 1910 si specializza<br />
con grandi maestri del calibro di Rousselot (fonetica), Janet et<br />
Dumas (patologia), Mauss (etnologia). Nel 1925 esce la sua tesi di<br />
dottorato in psicologia linguistica Le style oral rythmique et mnémotechnique<br />
chez les verbo-moteurs, la cui eco fu eccezionale (da<br />
Bremond a Valéry, da Bergson a Blondel). Jousse espose le proprie<br />
scoperte sullo stile orale e la memorizzazione davanti ad uditori<br />
calorosi: all’Istituto biblico di Roma (1927), all’anfiteatro della<br />
Sorbona (1931-1957), alla Scuola di antropologia dove venne creata<br />
per lui la cattedra di linguistica (1932-1950), all’École des Hautes<br />
études (1933-1945). Tuttavia, a partire dal 1929 Jousse si scontra<br />
con le reticenze di esegeti esclusivamente formati ai metodi<br />
della filosofia greco-latina. Occorrerà attendere la “rivoluzione”<br />
del ’68 per veder rinascere l’interesse intorno alla figura di questo<br />
pioniere dell’antropologia. Grazie soprattutto all’opera della sua<br />
più fedele collaboratrice, Gabrielle Baron, usciranno per l’editore<br />
Gallimard i suoi testi inediti. Per Jousse l’uomo è gesto e memoria<br />
sin dal seno materno, e bisogna riscoprire, tramite il linguaggio di<br />
rabbi Yeshua, la continuità della tradizione giudaicocristiana. I<br />
metodi joussiani, oltre a rinnovare la catechesi, rivelano una certa<br />
affinità con le analisi etniche di Leroi-Gourhan (<strong>Il</strong> gesto e la parola,<br />
1965) e letterarie di W.J. Ong (La presenza della parola, 1971).<br />
dano ad altri eccessi. L’Eurabia paventata da Breivik<br />
non è un brutto sogno, ma una drammatica realtà:<br />
immaginare però di combatterla con il terrore è una<br />
forma di squilibrio che evoca incubi non meno terribili<br />
di quelli cui pretende opporsi.<br />
Eppure sarebbe miope voler fare di questo caso<br />
un problema psicologico, senza comprenderne la dimensione<br />
anche ideologica, così come sarebbe fuorviante<br />
inseguire i presunti legami operativi di Breivik,<br />
senza preoccuparsi del contagio psichico che la<br />
sua azione può avere, al di là delle sue relazioni organizzative.<br />
Gesti come il suo, carichi del fascino sinistro<br />
del male, possono avere purtroppo un effetto<br />
moltiplicatore, come dimostra il caso dei kamikaze<br />
islamici. C’è da dire, però, che dietro i terroristi di<br />
Allah c’è una cultura jihadista ampiamente condivisa<br />
nel mondo islamico, mentre Breivik non ha ricevuto,<br />
e sarebbe impensabile che ricevesse, alcuna espressione<br />
di solidarietà in Occidente. Ciò non toglie che<br />
lo stragista di Oslo sia portatore di una esasperata visione<br />
del mondo che inizia ad affiorare all’estremo<br />
nord dell’Europa in antitesi a quella che preme dalle<br />
sponde sud del Mediterraneo.<br />
Al nazionalismo islamico, panarabo e panturco, si<br />
contrappone un nazionalismo nordico, di impronta<br />
non cristiana, ma paganeggiante, che ricorda la<br />
“morale dei signori” hitleriana contrapposta alla<br />
morale degli schiavi plebea e democratica. C’è un’unica<br />
risposta di fronte alle ideologie del male del nostro<br />
tempo: il ritorno all’equilibrio, che è la tranquillità<br />
dell’ordine di cui parla sant’Agostino: l’ordine<br />
dei valori immutabili a cui l’Occidente ha voltato<br />
le spalle e che deve ritrovare se non vuole trasformarsi<br />
in campo di battaglia tra fanatici di opposte<br />
tendenze. La guerra tra razze prevista da Oswald<br />
Spengler è un fantasma che si affaccia all’orizzonte<br />
del XXI secolo. Favorire Eurabia, come vorrebbero i<br />
multiculturalisti, non risolve il problema, ma lo aggrava<br />
pesantemente.<br />
ROBERTO DE MATTEI<br />
Libreria Editrice Fiorentina<br />
www.lef.firenze.it<br />
S<br />
V<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 652
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ƒ ‹<br />
m<br />
Cartagloria<br />
<strong>Il</strong> carattere “Times”. Una storia faustiana.<br />
§ ›<br />
¤'“'“'“«<br />
DI SERGIO CASTRUCCI<br />
Quel lontano mattino del 3 ottobre del 1932,<br />
nell’aprire la loro copia del Times, i londinesi<br />
ebbero un attimo di sgomento. Appena percettibile<br />
e ben controllato ma, senza alcun dubbio,<br />
un attimo di sgomento. <strong>Il</strong> loro giornale aveva<br />
cambiato il carattere di stampa.<br />
Cosa stava mai succedendo Possibile che a<br />
un popolo capace di tenersi la stessa regina per<br />
sessant’anni si potesse cambiare così, dall’oggi<br />
al domani, il carattere di stampa del giornalesimbolo<br />
del Regno Unito Quasi come cambiare<br />
il colore di fondo dell’Union Jack.<br />
Beninteso, giunsero subito spiegazioni anche<br />
se nessuno credette molto alle motivazioni estetiche<br />
che pur con qualche ragione vennero addotte,<br />
che cioè il vecchio carattere era rozzo e<br />
tendeva a formare i fastidiosi “canaletti” fra le<br />
righe del testo, una sorta di precipizi visivi che<br />
interrompono l’andamento orizzontale della lettura<br />
facendo sprofondare lo sguardo del lettore<br />
diverse righe più in basso. In realtà il vecchio<br />
carattere aveva ben altre responsabilità; era tozzo,<br />
complesso e faceva sprecare una quantità<br />
ragguardevole di inchiostro e di carta. Le leggi<br />
dell’economia cui i cittadini britannici sono devoti<br />
non meno che al culto della tradizione imponevano<br />
di usarne uno nuovo, uno che ricordasse<br />
un po’ il vecchio ma che fosse più semplice,<br />
snello e dunque più economico. La sua realizzazione<br />
fu affidata a Stanley Morison l’uomo<br />
che in quel momento era il più autorevole studioso<br />
di caratteri di stampa e in quella – immaginiamo<br />
– brumosa mattina di ottobre veniva<br />
portata a compimento l’audace innovazione.<br />
Se la storia del “Times New Roman” – questo<br />
il nome del nuovo carattere – fosse tutta qui<br />
non metterebbe davvero conto raccontarla ma la<br />
nascita di questo carattere, divenuto in seguito il<br />
“font” più usato e diffuso del mondo, ha invece<br />
una storia complessa e dai risvolti inquietanti.<br />
Tre anni prima, nel 1929, il primo a criticare<br />
il vecchio carattere del quotidiano è proprio lo<br />
| ( 3 ) |<br />
stesso Stanley Morison, consulente della Monotype<br />
Corporation inglese. Per tutta risposta i dirigenti<br />
del giornale propongono a lui di trovare<br />
qualcosa di meglio. Creare il nuovo carattere di<br />
stampa dello storico e prestigioso Times di Londra<br />
è una sfida irresistibile e, per un uomo ambizioso<br />
come Morison, un’occasione da non perdere.<br />
<strong>Il</strong> compito però appare subito più impegnativo<br />
del previsto; Morison disegna una interminabile<br />
serie di prototipi nessuno dei quali gli<br />
pare tuttavia soddisfacente. Inizia allora a consultare<br />
progettisti esterni sino a giungere al celebre<br />
Harry Carter il quale gli butta giù diverse<br />
proposte. Ebbene quei fogli resteranno per anni<br />
sepolti nei cassetti di Carter. Morison non andrà<br />
mai a ritirarli né mai ne farà parola con alcuno e<br />
il motivo è semplice: la soluzione, lui, l‘ha già<br />
in tasca, una soluzione che dietro un nome banale,<br />
“Number 54”, cela un oggetto misterioso e<br />
sfuggente.<br />
La storia del “Number 54” ha inizio con i primi<br />
anni del secolo scorso ed è legata ad un personaggio<br />
singolare, William Starling Burgess,<br />
rampollo di una nota famiglia di Boston, uomo<br />
dalla vita brillante e movimentata, “a dazzling<br />
life“ come dicono gli americani. In quegli anni<br />
Burgess è poco più che ventenne e, quasi alla fine<br />
del corso, interrompe i suoi studi di architettura<br />
ad Harvard per aprire uno studio di progettazione<br />
navale. Poco dopo apre un cantiere navale<br />
e quindi un altro dove costruisce aerei su licenza<br />
dei fratelli Wright, progetta idrovolanti<br />
per l’US Navy, studia aerei e veicoli sperimentali.<br />
<strong>Il</strong> ragazzo ha poi conoscenze ed amicizie importanti,<br />
basti quella con Franklin Delano Roosevelt,<br />
e c’è da chiedersi perché nell’America di<br />
Da The Times, 1929.<br />
30 luglio 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
quegli anni un uomo tanto dinamico non diventi<br />
ricchissimo e famoso, come in fondo desidera<br />
da sempre, e perché i suoi successi professionali<br />
si intreccino sempre a difficoltà finanziarie, fallimenti,<br />
scandali, suicidi. Purtroppo Burgess non<br />
conosce le doti della costanza e della determinazione<br />
e i suoi molteplici interessi lo portano a<br />
disperdere in troppi rivoli le indubbie capacità.<br />
La sua stessa vita sentimentale, con ben cinque<br />
matrimoni e un numero imprecisato di avventure,<br />
è segnata dalla mutevolezza di interessi e di<br />
passioni. Ebbene, il “Number 54” è anch’esso<br />
figlio e vittima di questa instabilità emotiva.<br />
Da The Times, 1937.<br />
Ma torniamo ai primi anni del ‘900. Da poco<br />
rientrato da Harvard, Burgess scrive libri di poesie,<br />
progetta barche che vincono le regate e, fra<br />
le altre cose, si appassiona al progetto di un nuovo<br />
carattere di stampa. I caratteri che ci sono in<br />
giro sono goffi, rozzi ed hanno un gran bisogno<br />
di un tocco di modernità. Per fare un passo in<br />
avanti, pensa, niente di meglio che farne quattro<br />
all’indietro. Fa due viaggi a Londra ed ha contatti<br />
con i pre-raffaelliti, specialisti in questo genere<br />
di approccio; il suggerimento è infatti di ripartire<br />
dallo stile dei primi disegnatori di caratteri<br />
e al British Museum, in mezzo a una raccolta<br />
di coperte di libri del 16-17° secolo, scova ciò<br />
che gli interessa. Torna negli U.S., ci lavora un<br />
po’ su e nel 1904 commissiona alla Lanston Monotype,<br />
compagnia specializzata nelle progettazione<br />
e produzione di attrezzature per la stampa,<br />
la fabbricazione di una serie di caratteri. Vuole<br />
essere il primo ad utilizzarli e lo farà per i documenti<br />
del suo cantiere a Marblehead nel Massachusetts,<br />
solo che mentre la Lanston sta ancora<br />
lavorando ai prototipi, Burgess assiste ad un volo<br />
sperimentale di un aereo dei fratelli Wright.<br />
Grande emozione e amore a prima vista; ancora<br />
una volta molla tutto e si lancia nella nuova avventura,<br />
costruire aerei, gettando alle ortiche il<br />
progetto del nuovo-antico carattere tipografico<br />
che finirà, disegni e prototipi, negli scaffali della<br />
Lanston Monotype dove giacerà dimenticato per<br />
anni col nome di “Number 54”.<br />
La ri-scoperta del “Number 54” si deve ad un<br />
pittoresco canadese di origine italiana, Gerald<br />
Giampa, amico di Kerouac, di Ginzberg, di Janis<br />
Joplin. Appassionato conoscitore dell’arte<br />
della stampa, nel 1987 acquista ciò che rimane<br />
della Lanston Monotype. Frugando negli archivi<br />
della società, Giampa scopre dei documenti che<br />
si riferiscono ad un certo carattere tipografico il<br />
cui unico identificativo è “Number 54”. Incuriosito<br />
legge, guarda ma stenta a credere a ciò che<br />
vede. Interpella allora il suo amico Mike Parker,<br />
uno dei massimi esperti di caratteri tipografici,<br />
al quale mostra alcuni esempi del “Number 54”.<br />
Non ci sono dubbi: si tratta del “Times New Roman”<br />
solo che la documentazione porta la data<br />
del 1904, quasi trent’anni di anticipo rispetto alla<br />
sua nascita ufficiale e il designer non è, ovviamente,<br />
Stanley Morison bensì William Starling<br />
Burgess.<br />
Parker fa studi, ricerche e scopre che intorno<br />
agli anni trenta i disegni del “Number 54” erano<br />
in mano a un certo Frank Hinman Pierpont, un<br />
individuo in forte odore di zolfo, il cui incarico<br />
ufficiale, qui sulla terra, è quello di manager di<br />
una fabbrica inglese della Monotype. Non sappiamo<br />
la natura del patto stipulato fra Morison e<br />
Pierpont. Non sappiamo in particolare cosa abbia<br />
ceduto Morison in cambio di quanto ha ricevuto<br />
da Pierpont ovvero il “Number 54”, ciò che<br />
gli ha risolto tutti i problemi col Times di Londra<br />
e lo ha consacrato padre del più famoso carattere<br />
tipografico del mondo.<br />
In effetti, Morison non ha mai sostenuto di<br />
aver “disegnato” o “creato” quel carattere ma di<br />
averlo “escogitato”, termine anch’esso ambiguo,<br />
aperto ad ogni tipo di interpretazione. Lo stesso<br />
giudizio che dà sul carattere appare singolare,<br />
apparentemente tendente a minimizzane il valore:<br />
“il suo merito è quello di non sembrare disegnato<br />
da qualcuno in particolare”, come dire<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 652
| ( 5 ) |<br />
anonimo, senza alcuna personalità. Va anche<br />
detto, per inciso, che per Morison proprio questa<br />
povertà, questa umiltà del carattere è paradossalmente<br />
un pregio. <strong>Il</strong> tipografo, ha sempre sostenuto,<br />
non è un artista e il suo compito non è<br />
esprimere se stesso ma l’autore di ciò che stampa;<br />
certo, deve cercare di renderne gradevole la<br />
lettura ma sempre con semplicità e modestia,<br />
sempre restando nell’ombra, ed anche il carattere<br />
non deve mai essere qualcosa di veramente<br />
speciale o eccentrico. Predica insomma ai tipografi<br />
una virtù, l’umiltà, che sicuramente non gli<br />
appartiene.<br />
Ma il patto luciferino non può comunque<br />
esaurirsi nel semplice passaggio di mano dei disegni<br />
di Burgess. A Stanley Morison, un Doktor<br />
Faustus piuttosto sbrigativo, deve essere garantita<br />
una certa sicurezza che il gioco non sarà<br />
scoperto. Da qui una serie interminabile di incidenti<br />
distruggerà tutto quanto in grado di far luce<br />
sull’operazione. <strong>Il</strong> cantiere di Burgess va a<br />
fuoco e vanno perduti tutti i documenti e la corrispondenza<br />
relativa agli anni in cui questi aveva<br />
lavorato al “Number 54”; siamo nel 1918,<br />
vari anni prima della transazione e l’incidente<br />
ha per Morison un chiaro valore dimostrativo.<br />
Dall’altra parte dell’Atlantico, nel 1941, una<br />
bomba caduta sugli uffici londinesi della Lanston<br />
Monotype distrugge tutta la documentazione<br />
relativa all’attività di Morison per lo sviluppo<br />
del “Times New Roman”.<br />
Riguardo al “Number 54” il poco che ancora<br />
rimane si trova presso gli archivi della Lanston<br />
Monotype ma nel 2000 un’alluvione travolge e<br />
trascina con sé, oltre a quel progetto, cento anni<br />
di storia della stampa. Una copia del “Number<br />
54” esiste tuttavia anche a Washington, presso<br />
lo Smithsonian Institution. Forse si tratta addirittura<br />
dei disegni originali di Burgess; Parker<br />
dice di averne fatta una copia nel 1996 ma, successivamente,<br />
il sito risulta contaminato dall’asbesto<br />
e dal piombo, dichiarato “off limits” e il<br />
suo accesso interdetto a tempo indeterminato.<br />
Ogni genere di disastro si è dunque abbattuto<br />
sulle tracce del fantomatico “Number 54”: incendi,<br />
alluvioni, bombe e inquinamenti. Lo stesso<br />
Gerard Giampa, l’altro testimone oculare della<br />
documentazione originale, muore prematuramente<br />
fulminato da un ictus. Resta così ben poco<br />
a sostegno della ricostruzione della storia fatta<br />
da Parker: la fotografia di alcuni caratteri del<br />
“Number 54”, in tutto simili a quelli del “Times<br />
New Roman”, incisi su placche di metallo delle<br />
quali però solo una, quella della lettera “B”, è<br />
scampata all’alluvione della Lanston Monotype<br />
ed è ora in possesso dello stesso Parker. Si tratta<br />
di una placca ottenuta seguendo un tipo di lavorazione<br />
in uso all’inizio del secolo, ai tempi del<br />
“Number 54”, ma non più nel 1932, quando nasce<br />
il “Times New Roman” e questa, secondo<br />
Parker, sarebbe la prova tangibile di quanto sostiene.<br />
Oltre queste due “prove” esistono alcune<br />
testimonianze sul carattere ambiguo di Morison,<br />
vari indizi e coincidenze difficili da spiegare<br />
ma, tutto sommato, niente di veramente conclusivo.<br />
Quando Parker rende pubblica questa storia,<br />
nel mondo della grafica e dell’editoria succede<br />
un mezzo finimondo. Morison è morto da<br />
più di trenta anni ma ha ancora molti estimatori<br />
fra cui lo scrittore Nicolas Barker che insinua<br />
che Giampa e Parker abbiano messo in piedi<br />
questa storia per una questione di brevetti e di<br />
copyright, in altri termini per bassi interessi di<br />
bottega. Anche Barker tuttavia, in quanto biografo<br />
di Morison, ha interesse a difenderlo e le<br />
sue parole non sono, come si dice, al di sopra di<br />
ogni sospetto. <strong>Il</strong> mondo della grafica si spacca<br />
in due partiti, quello di chi crede a Parker e<br />
quello di chi difende Morison. Questi ultimi<br />
hanno il loro miglior argomento contro Parker<br />
nel fatto che questi ha di recente prodotto un<br />
“suo” carattere, praticamente identico al “Times<br />
New Roman” ma che lui dice derivato dal<br />
“Number 54” e che infatti è stato battezzato<br />
“Starling”, uno dei prenomi di Burgess.<br />
Ad oggi la situazione è dunque questa: è probabile<br />
che Parker abbia raccontato la verità e<br />
che Morison abbia realmente copiato da Burgess<br />
ma è anche possibile che il “Times New Roman”<br />
sia invece frutto di studio e di ricerca e<br />
che il “Number 54”, se pure esiste, contenga tutt’altre<br />
cose. In questo caso sarebbe, Dio non voglia,<br />
il vecchio Parker ad aver copiato il suo<br />
“Starling” dal “Times New Roman”.<br />
Evidentemente, ma lo sapevamo da prima, i<br />
frutti offerti dal Maligno sono sempre avvelenati;<br />
nel corso degli oltre cinquecento anni di storia<br />
della stampa la sua costante presenza si avverte<br />
nelle forme e nelle movenze dei suoi servitori<br />
più fidati: avidità, invidia, menzogna, orgoglio<br />
e, soprattutto, plagio.<br />
Ma, tornando alla storia del “Times New Ro-<br />
30 luglio 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
man”, è assai difficile che si possa ormai provare<br />
con certezza chi ne sia veramente il padre.<br />
L’ombra sulfurea del dubbio avvolge tanto l’immagine<br />
di Morison quanto quella di Parker. Lo<br />
stesso Times, d’altronde, alcuni anni fa dichiarava<br />
che il “Times New Roman” era stato disegnato<br />
da Stanley Morison o “forse” da Starling<br />
Burgess. Per quanto poi riguarda quest’ultimo, il<br />
fatto che abbia progettato il “Number 54” e che<br />
questo contenga realmente i disegni del “Times<br />
New Roman” appare in qualche modo ininfluente.<br />
Nonostante Enterprise, Rainbow e Ranger,<br />
le sue tre barche vincitrici di altrettante edizioni<br />
dell’America’s Cup degli anni 30, nonostante<br />
il Burgess-Dunne Flying Boat, l’idrovolante<br />
da lui costruito per l’ US Navy, nonostante<br />
il suo libro di poesie The Eternal Laughter and<br />
Other Poems, Burgess sarebbe ormai pressoché<br />
dimenticato. La fama da lui tanto affannosamente<br />
cercata, una fama non effimera che superasse<br />
gli angusti limiti di un’esistenza umana, ebbene,<br />
quella fama gli sarebbe venuta, meritata o meno,<br />
proprio da quel carattere tipografico il cui glorioso<br />
e curioso destino non avrebbe mai potuto<br />
immaginare. O forse si. Forse il vero patto col<br />
diavolo l’aveva fatto proprio lui.<br />
SERGIO CASTRUCCI<br />
a Dostoewskij teologo della morte<br />
di Dio.<br />
DI PIERO VASSALLO<br />
Fonte: Riscossa cristiana, 26 luglio <strong>2011.</strong><br />
<strong>Secondo</strong> Dostoewskij le creature aderiscono a Cristo<br />
perché mosse da una simpatia indifferente al problema<br />
della verità:<br />
“La mia professione di fede è molto semplice, eccola:<br />
credere che non c’è nulla di più bello, di più<br />
profondo, di più coraggioso, di più simpatico né di<br />
più perfetto del Cristo e che mai nulla ci può essere.<br />
Più ancora: se qualcuno mi avesse dimostrato<br />
che il Cristo è al di fuori della verità e se fosse matematicamente<br />
certo che la verità è al di fuori del<br />
Cristo, avrei preferito restare col Cristo piuttosto<br />
che con la verità” 1 .<br />
L’enunciazione del paradosso, che pone Cristo al<br />
di fuori della verità, è una fra le più sconcertanti pagine<br />
della letteratura moderna: il Cristo immaginario<br />
rappresenta, infatti, la perfezione dell’amore separato<br />
dalla verità. Tra le righe del testo si afferma<br />
risolutamente che l’amore perfetto può essere falso.<br />
<strong>Il</strong> Cristo della letteratura è un’icona sublime, ma<br />
talmente lontana dalla verità, da far diventare impensabile<br />
una partecipazione al suo essere.<br />
La contorta professione di fede, dimostra che il<br />
pensiero di Dostoewskij contempla la reciproca opposizione<br />
degli attributi divini: la bontà trascende la<br />
verità, e la verità è ostile alla bontà. La bontà è totalmente<br />
altro da verità.<br />
L’affermazione di un tale principio introduce nei<br />
meandri di una teologia dialettica, che indirizza al<br />
superamento della verità e del suo fondamento ontologico.<br />
Nel linguaggio psicoanalitico, la teologia di Dostoewskij<br />
si potrebbe definire antipaterna: Cristo non<br />
è il figlio di Dio ma un Redentore inviato fra gli uomini<br />
da una vuota e abissale bontà, in aperto conflitto<br />
con il Padre, creatore e signore del mondo.<br />
Le rappresentazioni Dostoewskijane di Cristo,<br />
peraltro, sono allegorie della sfida alla verità e allusioni<br />
all’indicibile regno di pace, che è stabilito oltre<br />
l’Essere e le sue leggi.<br />
Nella rappresentazione dell’irriducibilità di Cristo<br />
all’essere si può quasi vedere un’anticipazione del<br />
grottesco errore di Léon Bloy, che definisce lo Spi-<br />
1 Fijodor Dostoewskij I Demoni, p. II, c. 2.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 652
| ( 7 ) |<br />
rito Santo quale principio antitetico alla giustizia del<br />
Dio di Abramo:<br />
“Egli è a tal punto il Nemico, a tal punto coincide<br />
con quel Lucifero che fu detto Principe delle Tenebre,<br />
che separarli — foss’anche nell’estasi beatifica<br />
— è quasi impossibile” 2 .<br />
Certo è che, nei Demoni, Cristo appare nella forma<br />
di un miracolo emergente dalla profonda e silenziosa<br />
quiete dell’abisso, che s’immagina oltre il regno<br />
dell’Essere. La discesa di Cristo fra gli enti<br />
creati, pertanto, si risolve nella crocifissione sull’albero<br />
della legge, ossia nella perdita della nobiltà che<br />
appartiene agli abitanti del luogo senza vita. L’elogio<br />
di Cristo diventa l’elogio dell’essere impossibile sacrificato<br />
sulla croce dell’essere reale:<br />
“Non c’è stato né prima né dopo di Lui uno simile<br />
a Lui, e non ci sarà mai, nemmeno per miracolo. In<br />
ciò appunto sta il miracolo, che non c’è stato e non<br />
ci sarà mai uno simile. E se è così, se le leggi della<br />
natura non hanno risparmiato neppure questo, non<br />
hanno avuto pietà neppure del proprio miracolo,<br />
ma lo hanno costretto a vivere in mezzo alla menzogna<br />
e a morire per la menzogna, vuol dire che<br />
tutto il pianeta è menzogna e si regge sulla menzogna<br />
e su una stolta irrisione” 3 .<br />
Nell’orizzonte della teologia negativa, Kirillov, il<br />
martire della libertà nichilista, conclude la propria<br />
esistenza con il suicidio: l’autodistruzione – l’uscita<br />
dall’essere – è la via all’unione con la libertà che ha<br />
sede oltre la vita:<br />
“Per anni ho cercato l’attributo della divinità e l’ho<br />
trovato: l’attributo della mia divinità è il libero arbitrio.<br />
E tutto ciò con cui io posso dimostrare il<br />
punto supremo della mia rivolta e la mia nuova<br />
paurosa libertà. Poiché essa è assai paurosa. Io mi<br />
ucciderò per affermare la rivolta e la mia nuova<br />
paurosa libertà” 4 .<br />
Kirillov si uccide per attuare la mossa decisiva<br />
della ribellione contro il creatore dell’universo, che<br />
opprime e frustra la bontà dell’ineffabile e impotente<br />
redentore. La ragione della rivolta nichilista contro<br />
la vita è dichiarata nel capitolo dei Fratelli Karamazov,<br />
in cui la figura eminentemente paterna del<br />
grande inquisitore cattolico rivela che l’unica felicità<br />
possibile nel regno del creatore è una pace incosciente<br />
e servile, dunque che la libertà promessa da Cristo<br />
è un mito, che non tiene conto della reale condizione<br />
2 Cfr.: Dagli ebrei la salvezza, Adelphi, Milano 1994, pag. 123.<br />
3 I Demoni, p. III, c. 6.<br />
4 Ibidem.<br />
dell’uomo.<br />
Al Cristo nichilista l’inquisitore cattolico muove,<br />
infatti, l’accusa di aver proposto un ideale troppo alto<br />
per gli uomini:<br />
“Tu hai scelto quello che c’è di più insolito, di più<br />
problematico, hai scelto tutto quello che era superiore<br />
alle forze degli uomini e perciò hai agito come<br />
se tu non li amassi affatto. … Ma è possibile che<br />
Tu non abbia pensato che alla fine l’uomo avrebbe<br />
discusso e rifiutato la tua immagine e la tua verità,<br />
se lo si opprimeva con un peso così spaventoso come<br />
la libertà di scelta Alla fine grideranno che la<br />
verità non è in te, perché era impossibile lasciarli in<br />
mezzo a tormenti e inquietudini maggiori di quelle<br />
in cui Tu li hai lasciati” 5 .<br />
<strong>Il</strong> Cristo avventizio di Dostoewskij ha fatto entrare<br />
nel mondo la luce della libertà assoluta, la luce del<br />
Nulla; in essa si rivela l’essenza dell’inganno cattolico:<br />
sottomettere l’umanità al potere alienante del<br />
Creatore. Nella totale distorsione della dottrina cristiana<br />
è visibile chiaramente l’influsso della biografia<br />
di Dostoewskij: il ricordo corrusco del padre, la tragica<br />
esperienza della prigione zarista e, sopra tutto,<br />
la frequentazione dei maestri di cristianesimo alternativo,<br />
conosciuti durante l’esilio in Siberia.<br />
<strong>Il</strong> cuore della teologia nichilista, dunque, consiste<br />
nella tesi che Cristo non è il Verbo creatore ma<br />
l’epifania dell’altro dio, abisso silenzioso e irreale.<br />
Al Cristo romanzato si oppone lo spirito della<br />
terra, che pervade la Chiesa cattolica e la dispone all’esercizio<br />
di un potere sconsacrato.<br />
Spaventosa caricatura dell’autorità cattolica, l’inquisitore<br />
afferma, infatti, che la opaca realtà trionfa<br />
sulla luminosa irrealtà cristiana:<br />
“Tu obiettasti che l’uomo non vive di solo pane.<br />
Ma lo sai, Tu, che proprio in nome di questo pane<br />
terreno lo spirito della terra insorgerà e lotterà<br />
contro di Te e alla fine Ti vincerà … Tu promettesti<br />
loro il pane celeste, ma può questo pane, agli<br />
occhi della debole razza umana,eternamente depravata,<br />
paragonarsi a quello terreno E se pochi<br />
eletti ti seguiranno in nome del pane celeste che ne<br />
sarà dei milioni e dei miliardi che non avranno la<br />
forza di seguirti, di disprezzare il pane terreno per<br />
quello celeste O forse a Te sono care solamente le<br />
poche migliaia di eletti No, a noi sono cari anche i<br />
deboli, anche i reietti! Ad essi noi diremo che obbediamo<br />
a Te e regniamo in Tuo nome. E in questo<br />
inganno sarà il nostro dolore, giacché siamo co-<br />
5 I fratelli Karamazov, p. II. C. 5.<br />
30 luglio 2011 Anno XI
| ( 8 ) |<br />
stretti a mentire per tua colpa” 6 .<br />
Affinché gli uomini abbiano la misera felicità che<br />
conviene alla loro natura, l’inquisitore assumerà il<br />
peso del peccato e dirà agli uomini che la colpa sarà<br />
perdonata, se commessa col suo consenso:<br />
“È permesso il peccato perché io li amo e il castigo<br />
di questi peccati lo assumo su di me … essi moriranno<br />
dolcemente, si spegneranno dolcemente nel tuo<br />
nome e oltre la tomba troveranno solo la morte.<br />
Ma io manterrò il segreto e per la loro felicità li<br />
cullerò nell’idea di una ricompensa eterna” 7 .<br />
L’intenzione blasfema di Dostoewskij sale allo<br />
scoperto nel giudizio di Cristo a favore dell’Inquisitore:<br />
“Ecco che Egli in silenzio si avvicina al Grande<br />
Inquisitore e lo bacia sulle vecchie labbra esangui.<br />
E questa è tutta la sua risposta” 8 .<br />
<strong>Il</strong> giudizio che assolve l’inquisitore trasforma la<br />
teologia in filosofia del sospetto, che contempla<br />
l’Essere come inganno e gli uomini come “creature<br />
incompiute, fatte per esperimento e per burla”.<br />
Ora la contemplazione del male invincibile obbliga<br />
ad abbracciare la soluzione nichilista, cioè a rassegnarsi<br />
al<br />
“terribile spirito della morte e della distruzione … a<br />
questo scopo bisogna accettare la menzogna e l’inganno<br />
e guidare gli uomini fino alla morte e alla<br />
distruzione, ingannandoli per tutta la strada affinché<br />
non capiscano dove sono condotti e si credano<br />
felici almeno durante il cammino” 9 .<br />
Motore del delirio teologico adesso è il mito dell’eterno<br />
ritorno. Nella parte conclusiva dei Fratelli<br />
Karamazov si affaccia l’idea ossessiva, che domina<br />
l’ultima scena del mondo moderno:<br />
“La terra si è ripetuta milioni e milioni di volte: è<br />
morta, si è congelata, si è spezzata, frantumata, decomposta<br />
nei suoi elementi costitutivi, è diventata,<br />
di nuovo, l’acqua che era sopra il firmamento e poi<br />
di nuovo cometa, di nuovo sole e di nuovo dal sole è<br />
uscita la terra, e forse questo ciclo si è ripetuto milioni<br />
di volte, sempre uguale, in ogni minimo particolare.<br />
Una noia da morire” 10 .<br />
La vita è ripetizione e noia senza fine. La verità è<br />
una cattiva novella, che descrive un incubo, l’assurdo<br />
vagare. Solo il trionfo dell’Antivita potrebbe inter-<br />
6 Ibidem.<br />
7 Ibidem.<br />
8 Ibidem.<br />
9 Ibidem.<br />
10 I fratelli Karamazov, p. IV, c. 12.<br />
rompere la sequela irragionevole, ma la follia è indispensabile<br />
alla vita, senza di lei<br />
“nel mondo comincerebbe a regnare la ragione, ma<br />
la ragione naturalmente sarebbe la fine: tutto si<br />
spegnerebbe e non accadrebbe più nulla” 11 .<br />
La storia procederà in eterno, verso la ripetizione<br />
e gli uomini avranno un sollievo soltanto dall’adesione<br />
alla cattiva novella. All’orizzonte dell’ateismo<br />
moderno sorge il sole della finzione buonista:<br />
“Ogni uomo saprà di essere mortale per intero,<br />
senza possibilità di resurrezione, e accetterà la<br />
morte con tranquilla fierezza, come un dio. Nella<br />
sua fierezza l’uomo capirà che non deve lamentarsi<br />
se la vita è un attimo e amerà il proprio fratello<br />
senza bisogno di ricompensa. L’amore riempirà solamente<br />
quell’attimo di vita, ma la consapevolezza<br />
della sua fugacità basterà da sola a ravvivare la<br />
fiamma” 12 .<br />
L’amore senza verità trascina l’umanità verso<br />
quella cultura della dolce morte, che Augusto Del<br />
Noce definì magistralmente totalitarismo della dissoluzione.<br />
In questa luce si comprende perché, nelle<br />
storie di Dostoewskij, la malattia è circondata da un<br />
sacro alone e perché agisce come una forza sacra, che<br />
si impossessa degli uomini ora precipitandoli nelle<br />
tenebre ora coprendoli di luce abbagliante: la malattia,<br />
infatti, rivela la debolezza dell’Essere e la potenza<br />
del Nulla.<br />
Dostoewskij predica la religione nuova, che ha<br />
sfondato le porte dell’illuminismo: la contemplazione<br />
della malattia, del malessere e del disordine quali<br />
versanti di una montagna incantata, da scalare in vista<br />
della realizzazione nichilista.<br />
La fede nella malattia, forza illuminante e terribile,<br />
cui Thomas Mann darà il nome di “via geniale<br />
verso l’umanità e l’amore”, è il perfetto rovescio dell’Eucarestia<br />
13 .<br />
Bestemmiata la santità del Padre e negata la sapienza<br />
del Figlio non rimane che la buona malattia.<br />
La felicità si converte nel piacere morboso della dissoluzione:<br />
Dostoewskij dichiara che un attimo di<br />
ebrietà epilettica vale l’intera esistenza e Mann che<br />
descrive Faustus-Nietzsche nell’atto d’implorare l’iniziazione<br />
luetica 14 .<br />
PIERO VASSALLO<br />
11 Ibidem.<br />
12 Ibidem.<br />
13 Al riguardo cfr.: Thomas Mann, Dostoewskij, con misura.<br />
14 Thomas Mann, Lo spirito della medicina.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 652
A<br />
B<br />
N°653<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
7 AGOSTO 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
a Questo numero.<br />
Le notizie dalla Francia fanno la parte del leone. Inizia<br />
la rubrica Siti freschi segnalando un sito d'oltralpe,<br />
Polémia, che ci aggiorna su fermenti della cultura<br />
francese per noi confortanti: nell'elenco dei temi della<br />
“rivolta degli intellettuali contro il Sistema” troviamo<br />
infatti quasi tutti quelli a noi cari, sembrano mancare<br />
solo la critica dell'architettura e dell'urbanistica novecentesca.<br />
In sesta pagina Gabriella Rouf presenta<br />
L'hiver de la culture, il recentissimo libro di Jean<br />
Clair, in corso di traduzione. In ultima, evocata dall'accenno<br />
di pagina 5 ad «une opinion molle, une pensée<br />
loukoum», una poesia di Carlo Poggiali (1935-2005),<br />
indimenticato maestro e collaboratore del <strong>Covile</strong>. N<br />
ABBBBBBBBBC<br />
H d Siti freschi (23) D<br />
H<br />
Polémia D<br />
EFFFFFFFFFG<br />
A CURA DI GABRIELLA ROUF<br />
Di grande interesse il sito francofono Polémia<br />
(www.polemia.com), che così si presenta:<br />
Polémia: Perché<br />
Perché in un mondo in preda al caos e sempre<br />
più dominato dallo scontro di civiltà, dobbiamo<br />
avere il coraggio di individuare le nuove<br />
linee di frattura e discernere i conflitti futuri<br />
per meglio prevenirli.<br />
Poiché nel momento della normosi e dei tabù<br />
imposti dal politicamente corretto, occorre<br />
reintrodurre il libero confronto delle idee nel<br />
dibattito pubblico.<br />
Perché Polemos, la guerra, è inseparabile dalla<br />
vita. Affermata dai presocratici, questa evidenza<br />
ha da tempo attraversato il pensiero<br />
europeo, fino a Nietzsche, Hölderlin, Hegel<br />
e Marx. Di fronte ai tempi di confusione che<br />
segnano l’uscita dalla modernità, occorre<br />
riabilitare la feconda opposizione dei contrari.<br />
Polemos<br />
è il padre di tutti gli esseri,<br />
il re di tutti gli esseri.<br />
Agli uni ha dato forma di dei,<br />
agli altri di uomini.<br />
Ha fatto gli uni schiavi<br />
gli altri liberi .<br />
Eraclito (frammento 53)<br />
Polémia, che ci è stato segnalato da Aude de<br />
Kerros, ha offerto recentemente, anche in forma<br />
di consigli di lettura, una panoramica della<br />
cultura francese anticonformista. La rassegna<br />
ci sembra utile e incoraggiante.<br />
. LA RIVOLTA DEGLI INTELLETTUALI CONTRO IL<br />
SISTEMA.<br />
DI ANDREA MASSARI/ POLÉMIA<br />
Fonte: www.polemia.com/article.phpid=3948.<br />
<strong>Il</strong> dissenso degli intellettuali ha preceduto la<br />
caduta dell'Unione Sovietica. La rivolta degli<br />
intellettuali contemporanei potrebbe pure annunciare<br />
la caduta dell'impero cosmopolita.<br />
Certo, gli oligarchi del Sistema sono potenti:<br />
hanno soldi e controllano i media tradizionali.<br />
Ma il potere degli oligarchi è sotto una triplice<br />
minaccia: la rivolta populista, la rivolta informatica,<br />
ma anche la rivolta degli intellettuali.<br />
Filosofi, antropologi, economisti, geo-politici,<br />
geografi e sociologi sono sempre più numerosi<br />
a sfidare il disordine istituzionalizzato [...]<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />
www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />
<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />
minici. ☞ © 2010 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />
cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />
Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
Filosofi alla ricerca del senso<br />
Nel 1950, la maggior parte dei filosofi erano<br />
marxisti; sono diventati poi dirittidelluomisti<br />
negli anni 1970/1980. Oggi, molti filosofi sono<br />
critici acerbi della modernità e si fanno sostenitori<br />
di un ritorno alla tradizione. Questo è il<br />
caso di Jean-François Mattéi, autore di Barbarie<br />
intérieure e Procès de l’Europe. È il caso di<br />
Philippe Nemo, autore di La Régression intellectuelle<br />
de la France. Chantal Delsol denuncia<br />
L’Age du renoncement. E con grande rabbia<br />
letteraria lo scrittore Richard Millet denuncia<br />
La Fatigue du sens e l’orizzontalità del mondo.<br />
[...]<br />
<strong>Il</strong> ritorno delle frontiere<br />
Nella neolingua contemporanea la parola<br />
«frontiere» era diventata tabù: non se ne parlava,<br />
se non per... abbatterle. Régis Debray ha<br />
infranto il tabù pubblicando un Eloge des frontières.<br />
L’elogio delle frontiere è anche il filo<br />
conduttore del libro folgorante di Hervè Juvin:<br />
Le Renversement du monde. L'economista<br />
e antropologo si unisce così al filosofo. [...]<br />
La riabilitazione del protezionismo<br />
Di fronte alla grande minaccia industriale, il<br />
vecchio gollista Jean-Noël Jeanneney aveva<br />
pubblicato nel 1978 Pour un nouveau protectionnisme.<br />
In forma di canto del cigno, perché<br />
dalla fine del 1970, è il libero scambio che si<br />
impone, riuscendo perfino a far censurare il<br />
Premio Nobel Maurice Allais. Questa epoca di<br />
censura è finita: ci sono oggi economisti che<br />
hanno il coraggio di apparire protezionisti:<br />
Jacques Sapir e Jean-Luc Gréau si sono aggiunti<br />
a Gerard Dussouy, teorico della globalizzazione,<br />
e ad Alain Chauvet (Un autre monde;<br />
Protectionnisme contre prédation) .<br />
Sociologi e geografi volgono uno sguardo critico sull’immigrazione<br />
<strong>Il</strong> geografo Christophe Guilly ha gettato un<br />
sasso nello stagno con le sue Fractures françaises.<br />
Esso mostra l'entità delle divisioni etniche:<br />
fratture etniche che non sono necessariamente<br />
sociali [...] Da parte sua, Malika Sorel afferma<br />
Le langage de vérité: immigration, intégration.<br />
Nelle stesse prospettuve Michéle Tribalat<br />
(INED) in Les yeux grands fermés: l'immigration<br />
en France o Hugues Lagrange in Le déni<br />
des cultures.<br />
<strong>Il</strong> grande ritorno della geopolitica<br />
Ogni anno il festival della geopolitica di Grenoble,<br />
organizzato da Pascal Gauchon e Jean-<br />
Marc Huissoud, segna il ritorno degli intellettuali<br />
alle preoccupazioni di potenza: Aymeric<br />
Chauprade, autore della Chronique di choc des<br />
civilisations può incontrarvi Pascal Boniface,<br />
autore di Atlas du monde global e distruttore<br />
degli Intellectuels falsaires. Fuori campo, non<br />
possiamo dimenticare il generale Desportes,<br />
ex direttore della Scuola di Guerra e critico<br />
delle guerre degli Stati Uniti. Né Alain Soral,<br />
che non vuole solo Comprendre l’empire, ma<br />
combatterlo. Né Christian Harbulot, teorico<br />
della guerra economica. Né François-Bernard<br />
Huyghe, chiarissimo mediologo.<br />
Lo smascheramento dell’arte “contemporanea"<br />
L'arte “contemporanea" ha più di un secolo.<br />
È più che centenaria! È nata nel 1890 e troneggia<br />
nei musei dai tempi dell’Orinatoio di<br />
Duchamp del 1917! Ma le critiche all'arte<br />
“contemporanea" sono sempre più numerose e<br />
spietate. Jean-Philippe Domecq annuncia che<br />
“l'arte del contemporaneo è finita". Questi<br />
Artistes sans art sono criticati anche da Jean<br />
Clair, accademico ed ex direttore del Museo<br />
Picasso in L’hiver de la culture e in Le dialogue<br />
avec les morts. Senza dimenticare le argomentate<br />
accuse di Aude de Kerros in L’art caché, di<br />
Christine Sourgins in Les mirages de l’art contemporain,<br />
di Jean-Louis Harouel in La grande<br />
falsification de l’art contemporain, o di<br />
Alain Paucard nel Manuel de résistence à l’art<br />
contemporain.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 653
| ( 3 ) |<br />
La denuncia delle oligarchie<br />
Dieci anni fa, con “oligarchi" si designavano i<br />
dirigenti russi più o meno mafiosi che si arricchivano<br />
sulle rovine dell’ex Unione Sovietica.<br />
Oggi, la critica agli oligarchi ha superato il<br />
muro dell’ ex “cortina di ferro". Apostolo della<br />
democrazia diretta, Yvan Blot pubblica L’oligarchie<br />
au pouvoir. Si trova in compagnia di<br />
Alain Cotta denunciante Le Règne des oligarchies<br />
e di Hervè Kempf, che pubblica L'oligarchie,<br />
ca suffit, vive la démocratie. E il liberale<br />
Vincent Bénard, Direttore dell’ Istituto<br />
Hayek, denuncia gli “oligarchismi". Un punto<br />
di vista ripreso in un altro modo dall'antropologo<br />
Paolo Jorion ne Le Capitalisme à l’agonie.<br />
Così cinque autori partendo da cinque diversi<br />
punti di vista convergono nella stessa critica.<br />
Al posto degli oligarchi ci sarebbe da preoccuparsi!<br />
Neuroscienze contro la televisione e le nuove pedagogie<br />
Migliaia di studi scientifici hanno stabilito i<br />
danni della televisione sulla salute (obesità,<br />
malattie cardiovascolari) e sullo sviluppo mentale,<br />
dei bambini in particolare. Con TV-lobotomie<br />
Michel Desmurget fa il punto senza alcuna<br />
concessione, colpendo al cuore lo strumento<br />
centrale del controllo delle menti.<br />
Le neuroscienze forniscono anche argomenti<br />
decisivi contro i metodi di insegnamento<br />
cosiddetti “nuovi" i cui disastri nel settore dell'istruzione<br />
sono costantemente criticati, specialmente<br />
da Laurent Lafforgue, medaglia<br />
Fields 1 .<br />
Un ribollire fruttuoso<br />
Ciò che colpisce in questo nuovo panorama intellettuale<br />
è la diversità di coloro che lo compongono.<br />
Ci sono i protagonisti e i marginali,<br />
coloro che hanno l’insegna a Gallimard e a<br />
Seuil, e quelli che pubblicano i loro libri al limite<br />
dell’autoedizione. Non fa differenza, l’u-<br />
1 Premio internazionale. È la massima onorificenza, equivalente<br />
al Nobel, per la matematica.<br />
no e l'altro riscuotono successo, soprattutto<br />
grazie ad Amazon.<br />
Ci sono quelli che vengono dalle sponde<br />
della sinistra e del marxismo e quelli che si<br />
presentano come reazionari. Ci sono dei liberali<br />
lucidi e dei lettori di Krisis 2 . Ci sono cattolici,<br />
laici e panteisti. Ci sono quelli che escono<br />
da tre decenni di conformismo e coloro che<br />
lottano da 30 anni contro il conformismo. Ci<br />
sono anche quelli che non vengono fuori da<br />
nessuna parte, ma che guardano ai fatti.<br />
<strong>Il</strong> potere degli oligarchi e l’ordine politicamente<br />
corretto (globalizzato, «antirazzista»,<br />
liberoscambista, di rottura con le tradizioni)<br />
sono sotto un triplice fuoco: movimenti populisti,<br />
blogsfera dissenziente e intellettuali in rivolta.<br />
Speriamo che gli eventi futuri li portino<br />
a convergere!<br />
☞ Sul libro di Régis Debray sono già apparsi<br />
resoconti e commenti anche sulla stampa italiana,<br />
e sulla critica al sistema dell’arte contemporanea<br />
AC siamo intervenuti più volte;<br />
riportiamo invece gli approfondimenti specifici<br />
su due delle opere citate, che intervengono su<br />
aspetti dell’emergenza educativa: il pericolo<br />
prossimo venturo di inserimento delle teorie di<br />
gender nei programmi scolastici, e la già ahimè<br />
da lungo tempo operante «lobotomia televisiva».<br />
. TEORIA DEL GENERE: DESTITUIRE L'UOMO<br />
DALLA SUA UMANITÀ.<br />
Fonte: www.polemia.com/article.phpid=3930.<br />
Luc Chatel 3 ha appena imposto nei programmi<br />
di prima classe di Scienze della vita e della<br />
terra la “teoria del genere". <strong>Il</strong> Prof. Jean-<br />
Francois Mattéi analizza qui il senso filosofico<br />
di questa lysenkismo pedagogico. Si tratta per<br />
lui di una negazione pura e semplice della nozione<br />
di umanità, di un ritorno alla barbarie in<br />
2 Rivista tedesca di elaborazione teorica neomarxista.<br />
3 Attuale Ministro di Francia dell’Educazione nazionale, della<br />
gioventù e dell’associazionismo.<br />
7 agosto 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
una prospettiva post-sessantottesca. (Polémia)<br />
«Non si comprende l'ondata dei gender studies<br />
americani che muove all’assalto delle<br />
sponde francesi, se uno si accontenta di vedervi<br />
un avatar del femminismo. Non si tratta<br />
infatti di liberare la donna dall'oppressione<br />
biologica dell’uomo, quanto piuttosto di<br />
rimuovere l’uomo dal suo fondamento ontologico,<br />
in un inaspettato capovolgimento. <strong>Il</strong><br />
“genere", infatti, non concerne l'uomo in<br />
quanto maschio, sessuato secondo il sistema<br />
eterogametico XY di cui la biologia dimostra<br />
la necessità, ma l'uomo in quanto umanità,<br />
votata ad un’essenza di cui l’etica afferma la<br />
dignità. Per dirla in breve, la teoria del genere<br />
vuole farla finita con l'umanesimo occidentale<br />
dal Rinascimento in poi per abolire<br />
ogni forma di universalità. La diagnosi di<br />
Michel Foucault sarà così ben corroborata:<br />
“l'uomo" è in Occidente un’ “invenzione recente"<br />
il cui volto di sabbia si cancella a poco<br />
a poco, come “al bordo del mare."<br />
I lavori sul genere partono da una premessa<br />
radicale: la differenza tra l’uomo e la donna<br />
deriva da un genere sociale che non ha rapporto<br />
con il genere sessuale, nella misura in<br />
cui il comportamento umano dipende esclusivamente<br />
dal contesto culturale. Se c'è una<br />
differenza biologica fra i sessi, essa non ha alcuna<br />
rilevanza antropologica, e tanto meno<br />
etica, per cui l'eterosessualità non è una pratica<br />
orientata dalla natura, ma l'effetto di un<br />
determinismo culturale che ha imposto le sue<br />
norme oppressive. Si attacca pertanto la differenza<br />
tra maschile e femminile annullando,<br />
con la loro identità, la loro inclusione nella<br />
categoria dell’umano. […] se il genere grammaticale<br />
non esistesse, il sesso biologico sarebbe<br />
ridotto a un’insignificante differenza<br />
fisica.<br />
Si sostiene, quindi, in una dichiarazione pregiudiziale,<br />
che le differenze tra il femminile e<br />
maschile sono effetti perversi della costruzione<br />
sociale. Occorre quindi procedere ad una<br />
decostruzione. Ma non ci si chiede in alcun<br />
momento perché le società umane hanno<br />
sempre distinto uomini e donne, né su quale<br />
base l’edificio grammaticale, culturale e politico<br />
si appoggia. Come spiegare che tutti i<br />
gruppi sociali si sono ordinati in base alle<br />
“opposizioni binarie e gerarchiche" dell'eterosessualità,<br />
come riconosciuto anche da Judith<br />
Butler 4 Lungi dall’interrogarsi su questa<br />
costante, la neutralità di genere si accontenta<br />
di dissociare il biologico dall’antropologico,<br />
o, se preferite, la natura dalla cultura,<br />
al fine di espellere la funzione tirannica del<br />
sesso.<br />
Questa strategia di decostruzione non è riducibile<br />
alla negazione della eterosessualità. I<br />
gender studies, così come i queer studies o i<br />
multicultural studies, hanno lo scopo di minare,<br />
con un lavoro di scavo instancabile le<br />
forme universali generate dal pensiero europeo.<br />
Judith Butler non esita a sostenere che<br />
“il sesso che non è tale", vale a dire il genere,<br />
costituisce “una critica della rappresentazione<br />
occidentale e della metafisica della sostanza<br />
che struttura l’idea stessa di soggetto"<br />
(Trouble dans le genre, p. 73). Ci si sbarazza<br />
con un tratto di penna, del sesso, dell’uomo,<br />
della donna e del soggetto preso nella forma<br />
dell’umanità. <strong>Il</strong> che porta con sé, per una serie<br />
di contraccolpi, la distruzione dell'umanesimo,<br />
imposto alle altre culture dall'imperialismo<br />
occidentale, e, più ancora, la distruzione<br />
della repubblica, dello Stato e della razionalità.<br />
La decostruzione, esportata negli<br />
USA dalla French Theory prima che ci ritornasse<br />
addosso come un boomerang, ha<br />
come fine ultimo di distruggere il logocentrismo<br />
identificato da Derrida con l’eurocentrismo,<br />
e in altre parole con la ragione universale.<br />
Ella si fonda per questo sulla confusione di<br />
generi, tra uomo e donna, ma anche tra realtà<br />
e virtualità. È quello che lasciava intendere<br />
la critica dell’eterosessualità da parte di Foucault<br />
a favore dell'omosessualità che permet-<br />
4 Teorica americana della critica sul sesso e sul genere. Varie<br />
opere tradotte in italiano, tra cui Scambi di genere.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 653
| ( 5 ) |<br />
terebbe di “riaprire virtualità affettive e relazionali”<br />
(Dits et Ecrits). È per sacrificare a<br />
queste virtualità che una coppia canadese ha<br />
recentemente deciso di non rivelare il sesso<br />
del loro bambino di pochi mesi, chiamato<br />
Storm, così che possa sceglierlo lui liberamente,<br />
in seguito.»<br />
da: Jean-Francois Mattéi, Le Procès de l’Europe,<br />
PUF, 2011<br />
. TV LOBOTOMIA.<br />
GABRIELLE CLUZEL/MONDE ET VIE)<br />
Fonte: www.polemia.com/article.phpid=3947.<br />
Fino a poche settimane fa, ero come voi: una<br />
madre che ascoltava con orecchio distratto i<br />
detrattori della televisione. Un po' eccessiva,<br />
no, questa pretesa di sradicare il piccolo schermo<br />
[…]. Ma era prima d’aver letto TV lobotomia<br />
5 , il libro di Michel Desmurget, dottore<br />
di neuropsicologia e direttore di ricerca presso<br />
l'INSERM in neuroscienze cognitive, dal sottotitolo<br />
esplicito La verità scientifica sugli effetti<br />
della televisione.<br />
L'autore critica, ovviamente, il vuoto dei<br />
programmi, che produce nei giovani “un’opinione<br />
molle, un pensiero loukoum [...]" Ma<br />
con una veemenza supportata da studi scientifici,<br />
ci dimostra anche i danni intrinseci all'esposizione<br />
passiva dei nostri figli al piccolo<br />
schermo.<br />
Così, due ore di esposizione giornaliera nell’età<br />
compresa tra 1 e 4 anni comporterebbe<br />
moltiplicare per tre il rischio di ritardo del<br />
linguaggio. Ogni ora consumata ogni giorno<br />
durante il periodo della scuola elementare indurrebbe<br />
il 43% in più di probabilità di lasciare<br />
la scuola senza un diploma e il 25% di probabilità<br />
addizionale di non sedersi sui banchi<br />
dell'università.<br />
Per quanto riguarda la TV baby-sitter, egli<br />
per suo conto la chiama “tele-Valium" e affer-<br />
ma che ha sul bambino lo stesso effetto di una<br />
droga che gli fosse somministrata per renderlo<br />
inattivo, dal momento che proprio le esplorazioni,<br />
manipolazioni e continue esperienze di<br />
causa ed effetto, che tanto stancano i genitori,<br />
sono necessarie per lo sviluppo del bambino.<br />
[…]. <strong>Secondo</strong> Michel Desmurget,<br />
“L’esposizione televisiva non rende i bambini<br />
visibilmente idioti o ritardati. Essa non li rincretinisce<br />
palesemente. Essa riduce il campo<br />
delle loro esperienze e, di fatto, l’universo<br />
delle loro possibilità. Avrebbero avuto 150 di<br />
QI, si dovranno accontentare forse di 110.<br />
Avrebbero avuto l’audacia letteraria di un<br />
Thomas Mann, saranno soddisfatti di una<br />
penna appena mediocre."<br />
Da una rapida carrellata su siti francofoni<br />
di discussione dei temi educativi e sociali,<br />
emerge la grande eco che ha avuto il libro di<br />
Desmurget, in quanto sintesi di migliaia di studi<br />
(per lo più nordamericani), che forniscono<br />
dati ed un consenso unanime sui danni della<br />
televisione in quanto tale, in aggiunta alla negativa<br />
influenza dei contenuti dei programmi.<br />
Di fronte all’univocità dei risultati, tutti si<br />
chiedono come sia possibile ignorarli (il paragone<br />
è con il rapporto fumo/cancro): se infatti<br />
la legislazione pone (fragili ed ipocriti) limiti a<br />
tutela dell’infanzia riguardo ai contenuti, sull’eventualità<br />
del disastro ontogenetico, tutto è<br />
affidato alle famiglie, a loro volta messe in crisi<br />
dalla dipendenza televisiva.<br />
I commenti e la discussione in rete mettono<br />
in evidenza un’ampia testimonianza di famiglie<br />
che avendo risolutamente bandito l’apparecchio<br />
televisivo, ne hanno ricavato benefici e<br />
vera gioia dello stare insieme, più che compensativi<br />
dell’assenza della malefica baby sitter.<br />
Q P<br />
5 Michel Desmurget, TV lobotomie. La vérité scientifique sur les<br />
effets de la télévision, Max Milo Editions, <strong>2011.</strong><br />
7 agosto 2011 Anno XI
†‡·•‡·•‡‚<br />
„ ”<br />
V Invito alla lettura<br />
» …<br />
Jean Clair. L’inverno della cultura.<br />
„ ”<br />
‰`ˆ¿´`´¿ˆ`˜<br />
DI GABRIELLA ROUF<br />
Dovrebbe uscire in autunno, presso le edizioni<br />
Skira, la traduzione italiana dell'ultimo libro<br />
di Jean Clair, dall’icastico titolo L’inverno<br />
della cultura 6 : nonostante lo scenario, vi troviamo<br />
tutt’altro che un arreso cordoglio, bensì<br />
uno sdegno fiammeggiante, lo stesso che vibrava<br />
nella Comunicazione al Cortile dei Gentili<br />
di Parigi. 7<br />
U<br />
Anticipiamo alcuni brani del capitolo VI<br />
(L’Action et l’amok), in cui l’autore ripercorre<br />
le tappe della «marcia della follia» 8 , distruttiva<br />
dei valori qualitativi e della stessa esistenza<br />
dell’opera d’arte: l’attuale scomposta ricerca<br />
di spettacolarità in arte — dice Jean Clair —<br />
«ricorda il gesticolare di un uomo che annega<br />
dibattendosi in movimenti sempre più disordinati.<br />
L’arte contemporanea è la storia di un<br />
naufragio e di uno sprofondamento.»<br />
«È nel 1972, quattro anni dopo il 1968, che<br />
Harald Szeemann, all’esposizione Documenta<br />
di Kassel, proponeva una mostra che si sarebbe<br />
chiamata When attitudes become forms.<br />
Essa inaugurò un'epoca in cui il corpo dell'uomo<br />
pretendeva di sostituirsi alle sue opere.<br />
Con il termine “atteggiamenti", bisognava<br />
intendere le posizioni morali, la Weltan-<br />
6 Jean Clair L’hiver de la culture ed. Flammarion <strong>2011.</strong><br />
7 Vedi <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> N°642.<br />
8 Questa immagine viene dall’omonimo libro di Barbara Tuchman,<br />
la quale si riferisce alla fattispecie del «perseguire una politica<br />
contraria agli interessi del gruppo che si rappresenta», anche in<br />
presenza di una linea d’azione alternativa. Pur fruttando guadagni<br />
favolosi agli speculatori e alle star, il suicidio dell’ambiente e del<br />
mercato dell’arte ha i caratteri di questo perverso accecamento.<br />
| ( 6 ) |<br />
schauung, l'ideologia necessariamente libertaria<br />
ed esplicita del nuovo mago che è diventato<br />
1'artista contemporaneo nella società<br />
contemporanea. Ma questa visione del mondo<br />
non si sarebbe comunicata più attraverso le<br />
opere, bensì si manifesterebbe con immediatezza,<br />
attraverso la presenza stessa dell’artista<br />
nella sua realtà fisica, nei suoi atteggiamenti<br />
corporei, come un grande sacerdote,<br />
come un profeta o come un leader politico,<br />
producendosi tout de go, e facendo della sua<br />
figura e dei suoi movimenti — talvolta delle<br />
sue parole — un exemplum, inedito per il<br />
pubblico delle mostre e delle fiere d’arte.<br />
Szeemann era colui che aveva fatto rinascere<br />
in un’esposizione commemorativa il Monte<br />
Verità, questo falansterio di uomini e di donne,<br />
fondato verso il 1900, al di sopra di Ascona<br />
sul lago Maggiore, che, in nome della<br />
Kleidreform, la riforma dell’abbigliamento,<br />
dei regimi vegetariani del dott. Kneipp, delle<br />
dottrine antroposofiche di Rudolf Steiner, e<br />
di un sincretismo artificiale tra l’anarchia<br />
alla Bakunin e l’occultismo della Blavatsky,<br />
correvano nudi, la mattina nella rugiada, e<br />
adoravano il sole 9 . C’erano tra loro degli anziani<br />
simbolisti e dei giovani astrattisti, degli<br />
espressionisti e dei dadaisti come Hans Harp<br />
e Bruno Ball, dei riformatori e dei rivoluzionari,<br />
dei mistici e dei terroristi, dei partigiani<br />
della rivoluzione sessuale come Otto Gross e<br />
degli psicanalisti volti alla spiritualità come<br />
C. G. Jung, e anche dei settari vicini al nazismo<br />
nella loro volontà di resuscitare i saturnali<br />
come Fidus, [...] Tutti condividevano lo<br />
stesso ideale: rigenerare l’uomo attraverso<br />
l’arte e il culto del corpo. Non creare un’opera,<br />
ma perpetuare la purezza biologica di<br />
un organismo nel seno del Grande Tutto.<br />
André Masson, in un omaggio al suo amico<br />
Malraux, doveva scrivere, in eco al Faust di<br />
Goethe: “In un mondo abbandonato dagli<br />
dei, sembrerebbe che non ci fosse posto che<br />
9 Per i precedenti delle mitologie del corpo e del gesto, vedi anche<br />
<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> N°626 e Romano Guardini e i movimenti moderni.<br />
Breve viaggio all’origine di un disastro, <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> – Raccolta , aprile<br />
2011: .<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 653
| ( 7 ) |<br />
per l’azione, per l’azione senza la motivazione<br />
di uno scopo.” È esatto: nell’assenza di<br />
Dio, si agitano le false divinità dei teosofi,<br />
delle avanguardie e del neo-paganesimo nazista,<br />
e il sogno di rigenerazione che li accompagna,<br />
diventa presto un incubo da cui<br />
non si esce più.»<br />
Ecco il «terreno di coltura» su cui germogliano<br />
i nuovi miti della modernità, con gli artisti<br />
come figure oracolari:<br />
«.. il vecchio ego dei romantici, radicato nel<br />
logos della Storia, si era dissolto. Ma per rinascere,<br />
più smisurato, più infantile, più totalitario<br />
ancora. Nella disfatta delle ideologie<br />
politiche e sociali che ha avuto inizio negli<br />
anni settanta e nella cancellazione della<br />
Storia, il concetto vago di "mitologia personale"<br />
applicato all'artista ha permesso la nascita<br />
di una mistagogia che pretendeva di stabilire<br />
le leggi nuove di un’Arte divenuta una<br />
gnosi.<br />
La sola apparizione dell’artista-Dio, Santo,<br />
Sacro o Eroe, era sufficiente per i fedeli.<br />
Quello che cadeva dalle sue mani non erano<br />
più opere, ma reliquie.»<br />
Ma altre componenti, se possibile ancora<br />
più deleterie, vanno a confluire nel torbido<br />
flusso sgorgato dalle avanguardie degli inizi<br />
del secolo: gli Azionisti, gruppo fondato a<br />
Vienna nel 1963, riprendono «in nome dell’avanguardia<br />
e della libertà inalienabile del genio,<br />
un termine, quello di Aktion, che era stato<br />
reso famoso dalle S.A», per designare le loro<br />
manifestazioni pubbliche provocatorie, dai<br />
tratti sadomasochisti e osceni:<br />
<strong>Il</strong> loro leader, Otto Muehl, teorico dell’atto<br />
violento e sanguinario come «solo dramma che<br />
valga di essere visto» finirà condannato nel<br />
1990, a sette anni di carcere per abuso sessuale<br />
di minori, stupri e aborti forzati. Qui è il punto<br />
in cui più vibra lo sdegno di Jean Clair: alla<br />
sua liberazione, il fetido Otto Muhel è stato<br />
salutato come un eroe della «lotta anti-fascista<br />
e contro la morale borghese», e ospitato al<br />
Museo del Louvre nel simposio «Pittura e crimine»,<br />
come illustre esponente di un’arte «resistente»!<br />
U<br />
Jean Clair ci ammonisce a risalire alle origini,<br />
ai cattivi maestri:<br />
«“L'atto surrealista più semplice consiste<br />
nello scendere, rivoltella in mano, per strada<br />
e sparare più a caso che si può tra la folla ... "<br />
Chi non conosce questa citazione da André<br />
Breton, pubblicata nel 1929 nel <strong>Secondo</strong> Manifesto<br />
del Surrealismo Occupati a celebrarne<br />
1'audacia, ci siamo dimenticati di misurarne<br />
l'orrore. [...] »<br />
È l’amok, termine che<br />
«designa l’esplosione inaspettata e brutale in<br />
un individuo di una rabbia incontrollabile e<br />
per lo più omicida. Si tratta di una sindrome<br />
specifica legata ad una cultura — a culture<br />
bound syndrome — nel caso la cultura malese,<br />
[...] ma se ne trova gli equivalenti in altre<br />
culture sotto altri nomi, berserk per esempio<br />
nelle tradizioni scandinave. <strong>Il</strong> gusto del sangue,<br />
del crimine gratuito o rituale, ha impregnato<br />
tutto il movimento surrealista.»<br />
U<br />
Jean Clair ritrova nella storia dell’arte concettuale,<br />
da Beuys («Ogni uomo è un artista»),<br />
a Warhol («Ognuno nella sua vita può conoscere<br />
un quarto d’ora di celebrità») l’ambigua<br />
filiazione di un sillogismo che accomuna l’impulsività<br />
— fino all’amok. — alla creazione<br />
artistica. E conclude il capitolo sui desolati<br />
scenari dell’«inverno della cultura»:<br />
«Oggi, per una distorsione progressiva, si potrebbe<br />
sostenere che è l'intero sistema delle<br />
belle arti, dai musei alle gallerie, dagli artisti<br />
ai falsari, che, conquistato alla causa del seducente<br />
assassino, sembra essere diventato di<br />
essenza criminale.»<br />
7 agosto 2011 Anno XI
| ( 8 ) |<br />
Sono i territori estremi dell’arte, estremi<br />
non tanto per genio e coraggio, quanto per<br />
estenuazione, per conformismo, e vuoto. Si<br />
guardi, ahimè, qualunque immagine di mostra<br />
e museo di AC, e si vedrà il tedioso riproporsi<br />
delle pochissime varianti di questo triste gioco.<br />
E le polemiche che via via si affacciano a<br />
criticare — giustamente — la natura affaristica<br />
ed autoreferenziale dell’AC come sistema<br />
«chiuso», non devono farci dimenticare che la<br />
questione dell’arte è incardinata nei modi storici<br />
della modernità, ed occorre in questa fase,<br />
più che cercare visibilità e risarcimenti per gli<br />
«esclusi», risalire «all’origine del disastro» ed<br />
applicare un rigoroso discernimento sulla qualità<br />
delle opere, sulla condivisione e sull’etica<br />
del lavoro artistico. (G. R.)<br />
ıłłłłłłłłłłø<br />
œ<br />
K La rima<br />
œ<br />
<br />
Come di Syròs i lucumi.<br />
œ<br />
<br />
߬¬¬¬¬¬¬¬¬¬μ<br />
COME di Syròs i lucumi<br />
è il fiato degli anni duri.<br />
Accanto alla dolcezza degli inizi<br />
sta il fiato delle rinunce estreme;<br />
e torna germogliato<br />
un già perduto seme,<br />
di poter fare qualcosa<br />
di non accettare rigori.<br />
Ma è come i lucumi di Syròs<br />
insulsi dentro e viscidi di fuori.<br />
DI CARLO POGGIALI<br />
☞Syros: isola greca, delle Cicladi settentrionali, famosa per i<br />
dolci tra i quali i loukumia, gelatine aromatizzate solitamente al<br />
bergamotto o alla rosa, affogate nello zucchero a velo e spesso<br />
impreziosite da pezzetti di mandorla.<br />
DON DIEGO DE SAAVEDRA FAXARDO, Empresas polìticas ò Idea de un prìncipe polìtico christiano — representata en cien empresas,<br />
Tomo II, oficina Benito Cano, Madrid 1790. Empresa XXXVI.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 653
A<br />
B<br />
N°654<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
22 AGOSTO 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
P L U S V I T E , H É L A S ! Q U E<br />
LE COEUR D'UN MORTEL<br />
ANTOLOGIA POETICO LETTERARIA<br />
S U MUTAMENTO E MORTE<br />
DELLE CITTÀ.<br />
F H<br />
Presentiamo un reprint del n°433, arricchito in anteprima<br />
per i nostri lettori da una nuova traduzione in rima<br />
de <strong>Il</strong> cigno di Charles Baudelaire. Concordi, da secoli diversi,<br />
Guy Debord, Charles Peguy, Charles Baudelaire e<br />
Dante Alighieri ci raccontano che la la loro città non esiste<br />
più. L'apparente contraddizione è sciolta da Baudelaire<br />
con la sua risolutiva constatazione: la forma della<br />
città cambia più velocemente di quanto i nostri cuori possano<br />
sopportare. N<br />
“Non indigniamoci che i corpi mortali si disgreghino:<br />
ecco che possono anche le città<br />
morire.”<br />
RUTILIO NAMAZIANO (c.a 401-404 )<br />
“La vecchia Parigi non esiste più.”<br />
CHARLES BAUDELAIRE (1861)<br />
“La caratteristica stessa della storia è questo<br />
stesso cambiamento, questa generazione e<br />
questo corrompimento, quest'abolizione continua,<br />
questa rivoluzione perpetua. Questa<br />
morte.”<br />
CHARLES PÉGUY (1910)<br />
“Io mi limiterò dunque a poche parole per annunciare<br />
che Parigi, checché ne vogliano dire<br />
altri, non esiste più.”<br />
GUY DEBORD (1978)<br />
“Se tu riguardi Luni e Orbisaglia / come sono<br />
ite, e come se ne vanno / di retro ad esse Chiusi<br />
e Sinigaglia, / udir come le schiatte si disfanno<br />
/ non ti parrà nova cosa né forte, / poscia<br />
che le cittadi termine hanno.”<br />
DANTE ALIGHIERI (c.a 1304 )<br />
“E in Roma stessa Roma più non trovi; / son<br />
cadaveri i muri che eran nuovi, / e tomba di se<br />
stesso è l’Aventino.”<br />
FRANCISCO DE QUEVEDO (1580- 1645)<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />
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<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
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minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />
cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />
Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
Guy<br />
Debord<br />
“In girum imus nocte et consumimur igni’ in Opere cinematografiche<br />
complete 1952-1978, Roma, 1980, pp. 250-255.<br />
RA a Parigi, una città che era allora<br />
così bella che molti furono quelli<br />
che si preferirono là poveri, piutto-<br />
Esto che ricchi da qualsiasi altra parte.<br />
Chi potrebbe, oggi che non ne rimane<br />
niente, comprendere questo; al di fuori di<br />
quelli che si ricordano di questa gloria<br />
Chi altri potrebbe sapere le fatiche e i piaceri<br />
che abbiamo conosciuto in questi luoghi<br />
dove tutto è fatto sì malvagio<br />
| ( 2 ) |<br />
“Qui era l'antica dimora del re di Wu. L'erba fiorisce<br />
in pace sulle sue rovine.<br />
Là, il profondo palazzo degli Tsin, sontuoso<br />
un tempo e temuto.<br />
Tutto questo è finito per sempre, tutto scorre<br />
insieme, gli eventi e gli uomini,<br />
come le onde incessanti dello Yang-tsechiang,<br />
che vanno a perdersi nel mare”.<br />
Parigi allora, entro i confini dei suoi venti<br />
Arrondissements, non dormiva mai tutta intera,<br />
e permetteva alla deboscia di cambiare tre<br />
volte quartiere ogni notte. Non se ne erano<br />
ancora “disuniti e dispersi gli abitatori”. Vi<br />
restava un popolo, che aveva dieci volte barricato<br />
le sue strade e messo in fuga dei re. Era<br />
un popolo che non si appagava d'immagini.<br />
Non si sarebbe osato, quando ancora viveva<br />
nella sua città, fargli mangiare o fargli bere<br />
quello che la chimica di sostituzione non aveva<br />
ancora osato inventare.<br />
Non vi erano nel centro case deserte, o rivendute<br />
a degli spettatori di cinema nati altrove,<br />
sotto altre travi rustiche 1 .<br />
La merce moderna non era ancora venuta a<br />
mostrarci tutto ciò che si può fare di una strada<br />
2 . Nessuno, a causa degli urbanisti, era costretto<br />
ad andare a dormire lontano.<br />
Non si era ancora visto, per colpa del governo,<br />
il cielo oscurarsi e il bel tempo sparire,<br />
né la falsa nebbia dell'inquinamento coprire<br />
in permanenza la circolazione meccanica delle<br />
cose, in questa valle della desolazione. Gli<br />
alberi non erano morti soffocati; e le stelle<br />
non erano spente dal progresso dell'alienazione.<br />
I mentitori erano, come sempre, al potere;<br />
ma lo sviluppo economico non aveva ancora<br />
dato loro i mezzi per mentire su ogni cosa, né<br />
per confermare le loro menzogne falsificando<br />
il contenuto effettivo dell'intera produzione.<br />
Si sarebbe stati allora tanto stupiti di trovare<br />
stampati o costruiti in Parigi tutti questi libri<br />
redatti dopo in cemento e in amianto, e tutti<br />
questi edifici costruiti in piatti sofismi, quanto<br />
lo si sarebbe oggi se si vedesse risorgere un<br />
Donatello o un Tucidite 3 .<br />
Musil, ne L'uomo senza qualità, osserva<br />
che<br />
“vi sono attività intellettuali in cui non i grossi<br />
volumi, ma i piccoli trattati possono fare<br />
l'orgoglio di un uomo. Se qualcuno, per esempio,<br />
scoprisse che le pietre, in certe circostanza<br />
finora mai osservate, sono capaci di parlare,<br />
gli basterebbero poche pagine per descrivere<br />
e spiegare un fenomeno così rivoluzionario”.<br />
Io mi limiterò dunque a poche parole per<br />
annunciare che Parigi, checché ne vogliano<br />
1 <strong>Il</strong> brano, giusta la lettura di Vincenzo Bugliani, è un detournement<br />
del canto XV del Paradiso, quello di Cacciaguida:<br />
“Non avea case di famiglia vòte”.<br />
2 “non v'era giunto ancor Sardanapalo a mostrar ciò che 'n<br />
camera si puote.”<br />
3 “Saria tenuta allor tal maraviglia una Cianghella, un Lapo<br />
Salterello, qual or saria Cincinnato e Corniglia.”.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 654
| ( 3 ) |<br />
dire altri, non esiste più. La distruzione di Parigi<br />
non è che un'illustrazione esemplare della<br />
malattia mortale che si abbatte in questo momento<br />
su tutte le grandi città, e questa malattia<br />
stessa non è che uno dei numerosi sintomi<br />
della decadenza materiale di una società. Ma<br />
Parigi aveva più da perdere di qualunque altra.<br />
È una grande fortuna essere stato giovane<br />
in questa città quando, per l'ultima volta, essa<br />
brillava di un fuoco così intenso.<br />
Charles<br />
Péguy<br />
La nostra gioventù, UTET, pp. 117-118.<br />
QUANTE volte ho risalito quella via<br />
Firenze. Per tutti i quartieri di Parigi<br />
esiste, non solo una personalità costituita,<br />
ma questa personalità ha una storia<br />
come noi. Non è stato molto tempo fa, eppure<br />
ogni cosa ha una storia. Di già. La caratteristica<br />
stessa della storia è questo stesso cambiamento,<br />
questa generazione e questo corrompimento,<br />
quest'abolizione continua, questa rivoluzione<br />
perpetua. Questa morte. Sono passati<br />
appena alcuni anni, otto, dieci e come<br />
tutto è già irriconoscibile negli stabili.<br />
“Le vieux Paris n'est plus (la forme d'une ville<br />
Change plus vite, hélas! que le coeur d'un<br />
mortel)” 4<br />
Si abitava allora in quella Parigi alta dove<br />
oggi nessuno abita più. Si costruiscono tante<br />
case nuove, nel Boulevard Raspail. <strong>Il</strong> Signor<br />
Salomon Reinach doveva ancora abitare al 36<br />
o 38 di via Lisbona. O a un altro numero. Ma<br />
Bernard-Lazare ci passava, poteva passarci<br />
come un vicino, di passaggio. <strong>Il</strong> quartiere San<br />
Lazzaro. La via Roma e la via Costantinopoli.<br />
Tutto il quartiere d'Europa.<br />
Tutta l'Europa. Risonanze di nomi che alludevano<br />
segretamente al loro bisogno di<br />
viaggiare, alla loro facilità di viaggiare, alla<br />
loro residenza Europea. Un quartiere nei<br />
pressi della stazione che accarezzava il loro<br />
desiderio di strada ferrata, la loro facilità di<br />
mettersi in viaggio. Tutti hanno cambiato casa.<br />
Alcuni hanno trovato casa nella morte.<br />
Molti anzi. Zola abitava in via Bruxelles,<br />
all'81 o all'81 bis o all'83 di via Bruxelles. Prima<br />
udienza. — Udienza del 7 Febbraio. —<br />
Lei si chiama Emile Zola — Sì signore. —<br />
Che professione — Letterato. — Quanti anni<br />
ha — Cinquantotto anni. — Dove abita<br />
— In via Bruxelles, 81 bis. <strong>Il</strong> Signor Lodovico<br />
Halévy abitava anch'egli in via Douai, che<br />
dev'essere nello stesso quartiere, via Douai,<br />
22 e ancor oggi, via Roma, 62, Boulevard<br />
Haussmann, 155, erano gli indirizzi di quei<br />
tempi. Anche Dreyfus era di questo quartiere.<br />
Solo Labori abita ancora al 41 o al 45 di via<br />
Condorcet. Mi si dice che solo da poco si è<br />
trasferito nel XII circondario, in via Pigalle,<br />
12. Tutta una popolazione, tutto un popolo<br />
abitava così nelle parti alte di Parigi, sulle<br />
pendici della Parigi alta e compatta, tutto un<br />
popolo, amici, nemici, che si conoscevano,<br />
non si conoscevano, ma si sentivano, si sapevano<br />
vicini di casa in quell'immensa Parigi.<br />
4 “[...] la vecchia Parigi non esiste più ben prima del 1910:<br />
Peguy cita <strong>Il</strong> cigno di Baudelaire (I fiori del Male sono del<br />
1857). Alle spalle c'è lo sventramento della città [Haussmann,<br />
1853-1869] indotto dai moti rivoluzionari del '48: i<br />
boulevard si controllano meglio delle strade strette, dove<br />
basta niente a fare una barricata.” Paolo Squillacioti .<br />
22 agosto 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
Charles<br />
Baudelaire<br />
<strong>Il</strong> cigno<br />
I<br />
traduzione di Gabriella Rouf<br />
ANDROMACA, io penso a voi. Vena sottile<br />
d’acqua, misero specchio, ove un dì maestoso<br />
splendeva il vostro immenso cordoglio vedovile,<br />
quel falso Simoenta, di lacrime goloso,<br />
ha fecondato a un tratto la mia memoria, nel<br />
traversare la piazza del nuovo Carousel.<br />
E la vecchia Parigi non c’è più. (Forma urbana,<br />
che ahimè cambia veloce, più che l’anima umana)<br />
Ma il campo di baracche mi illudo di vedere,<br />
coi franti capitelli, e le colonne mozze,<br />
l’erba, il brillio dai vetri di qualche rigattiere,<br />
e i blocchi maculati di verde nelle pozze.<br />
Là pur vidi, dov’era un serraglio una volta,<br />
nell’ora che si desta con il Lavoro umano<br />
la città, sotto un cielo livido, e la raccolta<br />
delle sporcizie scaglia come un cupo uragano<br />
nell’aria immota, un cigno, evaso dalle gabbie,<br />
che coi piedi palmati grattando il suolo secco<br />
traea le bianche piume sopra le scabre sabbie.<br />
Presso un’arida traccia la bestia aprendo il becco<br />
le ali dibatteva tra la polvere infetta<br />
e dicea, volto il cuore al bel lago natale:<br />
«Acqua, quando verrai Quando cadrai, saetta»<br />
Vedo quel disperato, mito strano e fatale,<br />
tale l’uomo d’Ovidio, or verso il cielo, verso<br />
il cielo blu irridente e crudelmente terso,<br />
in un gesto convulso tender l’avida testa<br />
come volgesse a Dio una muta protesta.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 654
II<br />
| ( 5 ) |<br />
Parigi cambia! In nulla la mia malinconia<br />
è mutata, ma tutto diventa allegoria<br />
per me: vecchi quartieri, impalcature, blocchi<br />
e i miei cari ricordi più pesi di un macigno;<br />
al Louvre mi ritorna così davanti agli occhi<br />
con quei suoi gesti folli l’immagine del cigno,<br />
e penso a lui, esiliato, ridicolo e sublime,<br />
roso da un desiderio senza tregua, e al destino<br />
vostro, Andromaca, penso, dalle gloriose cime<br />
dell’amor dello sposo caduta a vil bottino<br />
di Pirro, curva in estasi presso la tomba vuota,<br />
la vedova di Ettore, ahimè, ad Eleno unita!<br />
Penso alla donna negra, smagrita, intisichita<br />
che si trascina invano vagando nella mota<br />
e cerca con lo sguardo allucinato e fosco<br />
dell’Africa superba l’inesistente bosco<br />
dei palmizi da cocco al di là dell’immenso<br />
impenetrabil muro di nebbia. Ancora penso<br />
a chi ha perduto cosa che tornar non potrà<br />
mai più, mai più! A chi si strugge in pianto, e sa<br />
come da sen di lupa succhiar lutto e dolori!<br />
Agli orfani languenti, che seccan come fiori!<br />
Così dal bosco, all’esule mio spirito dimora,<br />
un’antica Memoria dal corno alza la nota:<br />
i marinai scordati in un’isola ignota,<br />
i prigionieri, i vinti! e tanti altri ancora!<br />
22 agosto 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
Francisco<br />
de<br />
Quevedo<br />
A Roma sepolta nelle sue rovine<br />
traduzione di Marco Boccaccio<br />
TU cerchi Roma a Roma, o pellegrino!<br />
E in Roma stessa Roma più non trovi;<br />
son cadaveri i muri che eran nuovi,<br />
e tomba di se stesso è l’Aventino.<br />
Giace dove regnava il Palatino;<br />
e corrose dal tempo, le medaglie<br />
mostrano più rovine di battaglie<br />
del tempo andato, che blason latino.<br />
Solo il Tevere resta, e la corrente<br />
che la città bagnò, qui, sepoltura,<br />
la piange con funesto suon dolente.<br />
Oh Roma! In tua grandezza bella e pura<br />
fuggì quel che era fermo, e solamente<br />
il fuggevole sta, rimane, e dura.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 654
| ( 7 ) |<br />
Dante<br />
Alighieri<br />
Paradiso, canto XV.<br />
IORENZA dentro da la cerchia antica,<br />
ond'ella toglie ancora e terza e nona,<br />
si stava in pace, sobria e pudica. FNon avea catenella, non corona,<br />
non gonne contigiate, non cintura<br />
che fosse a veder più che la persona.<br />
Non faceva, nascendo, ancor paura<br />
la figlia al padre, che 'l tempo e la dote<br />
non fuggien quinci e quindi la misura.<br />
Non avea case di famiglia vòte;<br />
non v'era giunto ancor Sardanapalo<br />
a mostrar ciò che 'n camera si puote.<br />
Non era vinto ancora Montemalo<br />
dal vostro Uccellatoio, che, com'è vinto<br />
nel montar sù, così sarà nel calo.<br />
Bellincion Berti vid'io andar cinto<br />
di cuoio e d'osso, e venir da lo specchio<br />
la donna sua sanza 'l viso dipinto;<br />
e vidi quel d'i Nerli e quel del Vecchio<br />
esser contenti a la pelle scoperta,<br />
e le sue donne al fuso e al pennecchio.<br />
Oh fortunate! ciascuna era certa<br />
de la sua sepultura, e ancor nulla<br />
era per Francia nel letto diserta.<br />
L'una vegghiava a studio de la culla,<br />
e, consolando, usava l'idioma<br />
che prima i padri e le madri trastulla;<br />
22 agosto 2011 Anno XI
l'altra, traendo a la rocca la chioma,<br />
favoleggiava con la sua famiglia<br />
d'i Troiani, di Fiesole e di Roma.<br />
Saria tenuta allor tal maraviglia<br />
una Cianghella, un Lapo Salterello,<br />
qual or saria Cincinnato e Corniglia.<br />
A così riposato, a così bello<br />
viver di cittadini, a così fida<br />
cittadinanza, a così dolce ostello,<br />
Maria mi diè, chiamata in alte grida;<br />
e ne l'antico vostro Batisteo<br />
insieme fui cristiano e Cacciaguida.<br />
| ( 8 ) |<br />
Rutilio<br />
Namaziano<br />
De reditu suo / <strong>Il</strong> ritorno, Einaudi, Torino, 1992, pp. 30-31..<br />
PROSSIMA Populonia schiude il suo lido<br />
sicuro portando il golfo naturale<br />
in mezzo ai campi. E qui non alza fino<br />
al cielo le sue moli edificate, e luce nella<br />
notte, Faro, ma trovando in sorte gli antichi<br />
l’osservatorio di una forte rupe dove il ripido<br />
picco stringe i flutti domi, vi posero una fortezza<br />
che fosse di doppio beneficio per le genti,<br />
difesa a terra, segnale per il mare.<br />
Non si possono più riconoscere i monumenti<br />
dell’epoca trascorsa, i numerosi spalti<br />
ha consunto il tempo vorace. Restano solo<br />
tracce tra crolli e rovine di muri, giacciono<br />
tetti sepolti in vasti ruderi. Non indigniamoci<br />
che i corpi mortali si disgreghino: ecco che<br />
possono anche le città morire.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 654
A<br />
B<br />
N°655<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
31 AGOSTO 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
a Questo numero.<br />
Ci è sembrato doveroso iniziare il numero del<br />
rientro con uno dei pochi segnali confortanti in<br />
questi tempi inclementi (come recita Gómez Dávila<br />
nella nostra testata): in prima pagina quindi<br />
il resoconto diretto di Francesco Agnoli delle<br />
giornate della gioventù di Madrid, in quarta pagina<br />
seguono le ultime, sempre per noi imprescindibili,<br />
riflessioni di Almanacco romano che trattano<br />
anche di qualche aspetto lacunoso della<br />
GMG, in sesta pagina l'autorevole parere di Ettore<br />
Maria Mazzola sulla recente proposta del sindaco<br />
Matteo Renzi di completare la facciata di<br />
San Lorenzo a Firenze. N<br />
Da: Christoval Perez De Herrera, Proverbios morales<br />
y consejos christiano, Madrid 1733<br />
a Reduci dalle GMG di Madrid.<br />
DI FRANCESCO AGNOLI<br />
Fonte: La Bussola Quotidiana, 24 agosto <strong>2011.</strong><br />
“Cosa è stata la GMG di Madrid Cosa avete<br />
fatto". Ho pensato più volte a come rispondere<br />
alle domande che mi avrebbero fatto parenti<br />
e amici al ritorno da Madrid, dove sono<br />
stato dal 15 al 21 agosto insieme a 30 ragazzi.<br />
Rispondere è molto difficile, ma penso sia opportuno<br />
raccontare una esperienza indimenticabile,<br />
e forse, in verità, indescrivibile.<br />
Madrid, è stata anzitutto, dicevo al telefono<br />
a mia moglie, un “delirio": ore e ore di<br />
viaggio, con l’aereo o con il pullman, per italiani,<br />
asiatici, americani, australiani... Al termine<br />
delle quali si approdava in un'immensa<br />
città in cui per sette giorni abbiamo vissuto<br />
tutti “gomito a gomito" con migliaia e migliaia<br />
di connazionali e di stranieri. Condividendo<br />
i bagni, ridotti spesso a latrine, le docce,<br />
e le interminabili file per raggiungerli;<br />
condividendo la caccia a un ristorante dove<br />
mangiare, magari dopo un’ora o più di coda;<br />
provando la stessa sete, sotto un sole agostano<br />
sempre abbacinante e implacabile.<br />
Non sto raccontando i contorni, come si<br />
potrebbe credere, ma una parte sostanziale<br />
della GMG. Prima dei catechismi, delle messe,<br />
delle preghiere, la GMG è stata tutto questo:<br />
un immenso esercizio alla pazienza, alla<br />
condivisione, alla fatica. Pellegrinaggio, infatti,<br />
è, da sempre nella storia, sinonimo di sacrificio:<br />
i pellegrini sono coloro che vogliono<br />
raggiungere una meta, lontana, difficile, ma<br />
per cui vale la pena partire. Sono persone che<br />
lasciano tutto ciò che hanno, il conforto delle<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />
www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />
<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />
minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />
cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />
Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
loro case, la vita agiata e sicura di ogni giorno,<br />
per un qualcosa di più, che però non è<br />
gratis, né immediato.<br />
Personalmente, in questi sette giorni di<br />
preparazione e di attesa per l’incontro col Papa,<br />
ho visto i miei ragazzi, alcuni dei quali,<br />
magari, un po’ viziati come siamo tutti noi europei<br />
di oggi, stringere i denti, aiutarsi l’un<br />
l’altro, obbedire senza lamentarsi, fare interminabili<br />
file sotto il sole senza maledire nessuno.<br />
Perdonandosi volentieri a vicenda per<br />
questa o quella mancanza.<br />
Ricordo una cena all’una di notte, un’altra<br />
alle due, perché prima era stato impossibile<br />
raggiungere un qualsiasi locale; bagni sognati,<br />
ma introvabili; docce raggiunte dopo code<br />
interminabili, eppure gelide; ricordo un po’<br />
d’acqua, anche calda, cercata con l’avidità dei<br />
beduini nel deserto; oppure ragazze a terra,<br />
sfinite dal sole, e gli amici intorno, a dar loro<br />
acqua, a sventolare giornali e ventagli. Ricordo<br />
camerate con migliaia di persone, afose<br />
e, diciamolo, puzzolenti, in cui non è mai (o<br />
quasi) sparito un oggetto, in cui non c’è mai<br />
stato un attimo di vera tensione.<br />
Ecco, questo era il contorno alla vita di<br />
migliaia e migliaia di giovani che ogni mattina<br />
si spostavano - dopo aver passato la notte<br />
in grandi dormitori, per terra -, per raggiungere<br />
un luogo, costipato sino all’inverosimile,<br />
in cui avrebbero ascoltato un vescovo o un<br />
predicatore. <strong>Il</strong> tutto senza scenate, stringendo<br />
i denti, tirando fuori il meglio, nelle condizioni<br />
peggiori. Sino alla sera della veglia, il<br />
sabato 20: dopo anche otto ore ad attendere al<br />
sole, finalmente l’arrivo del Papa, il tempo di<br />
emozionarsi un po’ e poi, subito dopo, un<br />
vento potente e la pioggia pungente…<br />
Mentre il Papa parlava, anche lui stupito di<br />
quella immensa folla sconfinata, i pellegrini<br />
lanciavano sguardi ai sacchi a pelo bagnati,<br />
comprendendo che un’altra notte sarebbe<br />
passata senza quasi dormire. Ridere o piangere<br />
Molti hanno iniziato a cantare, altri a ridere,<br />
altri ad abbracciarsi di fronte all’ennesima<br />
difficoltà. Pronti, però, a inginocchiarsi,<br />
in più di due milioni di persone, contemporaneamente,<br />
per adorare Cristo Eucaristia al<br />
canto del Tantum Ergo, in un perfetto, incredibile<br />
silenzio, rotto qua e là solo dal passare<br />
di un’ambulanza che andava a accogliere l’ennesima<br />
persona crollata a terra per la fatica.<br />
In quel silenzio, in quell’atmosfera incredibile,<br />
il senso del Mistero si è fatto presente,<br />
con una forza inaudita. Lì, tra milioni di persone,<br />
di tende, di bandiere colorate, di anime<br />
tese e vibranti. In mezzo a quel silenzio quasi<br />
irreale. Ammoniva madre Tersa di Calcutta:<br />
«<strong>Il</strong> frutto del silenzio è la preghiera; il frutto<br />
della preghiera, la fede; il frutto della fede,<br />
l’amore».<br />
Sì, a Madrid c’è stata anche tanta preghiera.<br />
Così tanta, che proprio non me la aspettavo.<br />
Pensavo che avrei sicuramente visto tanti<br />
giovani ardenti, ma anche tanta promiscuità,<br />
tanta voglia di fare solo “casino", come avviene<br />
nei raduni di massa dei concerti o dei moderni<br />
baccanali pagani, a base di alcol e dissipazione.<br />
Invece ho negli occhi ragazzi e ragazze<br />
vicini, accanto, per ore, capaci di parlare,<br />
pregare, cantare, magari riposare un attimo,<br />
sempre con uno spirito buono, semplice,<br />
con stile cristiano.<br />
<strong>Il</strong> Papa, certamente, ha aiutato. Ha voluto,<br />
infatti, celebrazioni sobrie, con tanto latino,<br />
la lingua della chiesa, sacrale ed universale;<br />
ha ridotto al minimo lo spazio per gli applausi<br />
alla sua stessa persona; ha caldeggiato svariati<br />
momenti di preghiera e di adorazione eucaristica,<br />
sia durante la veglia che in tutti i giorni<br />
della settimana.<br />
Soprattutto Benedetto XVI ha voluto che<br />
si dedicasse tanto tempo a un sacramento essenziale,<br />
ma piuttosto dimenticato anche dai<br />
cattolici: la confessione. Nel Parco del Buon<br />
Ritiro, duecento confessionali disposti in due<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 655
| ( 3 ) |<br />
lunghe file, sono stati sempre a disposizione<br />
dei pellegrini. Ho visto persone piangere, come<br />
liberate, grazie al sacramento della penitenza,<br />
dal male che sentivano dentro; ho visto<br />
confessarsi persone che non lo facevano più<br />
da anni; ho visto volti assorti, nel silenzio e<br />
nella contemplazione. Volti belli, sereni, illuminati<br />
dal sorriso e dalla compunzione.<br />
Ho visto migliaia di giovani inginocchiati,<br />
umilmente, a implorare il perdono e ad assaporare<br />
l’immensa Misericordia di Dio, pronta<br />
sempre ad abbracciare il peccatore pentito.<br />
Memori, i più fortunati, di una strepitosa catechesi<br />
del cardinal Angelo Bagnasco, in cui<br />
ci aveva ricordato che esiste il peccato, che il<br />
relativismo separa e divide, mentre la verità<br />
unisce; che la gioventù sta nel cuore e non negli<br />
anni; che la “vecchiaia vera” è quella del<br />
peccato e del rifiuto di Dio…<br />
A Madrid, insomma, ho notato una attenzione<br />
nuova ai sacramenti fondamentali della<br />
vita cristiana, Eucaristia e confessione; ho<br />
sentito parole forti, e giovani contenti di<br />
ascoltarle; ho visto ragazzi e ragazze di tutti i<br />
paesi del mondo sentirsi uniti dalla fede, nonostante<br />
le differenze di paese, di cultura, di<br />
colore, di lingua; ho osservato sacerdoti e religiosi<br />
portare con orgoglio il proprio abito;<br />
ho ammirato giovani pregare ad alta voce nei<br />
ristoranti, prima di mangiare, senza vergogna;<br />
ho visto 28mila volontari per lo più spagnoli<br />
dare ogni attimo delle loro giornate,<br />
gratuitamente, per indicare una strada, per<br />
segnalare una via…<br />
Accanto a tutte queste cose belle, non posso<br />
non rilevare alcune pecche. Anzitutto la<br />
disorganizzazione, soprattutto l’ultimo giorno,<br />
quando oltre due milioni di persone si sono<br />
trovate spesso senza acqua, sotto un sole<br />
cocente. Penso sia inevitabile notare che l’incapacità<br />
degli organizzatori di affrontare un<br />
sì grande oceano di folla, sia stata dovuta anche<br />
alla sorda ostilità del governo Zapatero,<br />
fieramente deciso a boicottare l’evento (come<br />
è chiaro se si pensa ad esempio che le forze<br />
dell’ordine in un aeroporto che conteneva oltre<br />
due milioni di persone erano alcune decine,<br />
cioè quelle che nel nostro paese si mandano<br />
fuori da un palazzetto dello sport durante<br />
una partitella di pallavolo).<br />
La seconda nota stonata sono stati i manifestanti<br />
cosiddetti "laici", intolleranti e violenti,<br />
che hanno insultato, sputacchiato, oltraggiato<br />
centinaia di pellegrini, compresi<br />
adolescenti intimoriti e spaventati, incapaci di<br />
comprendere il motivo di tanto odio. A tener<br />
bordone a questi scalmanati, le paginate piene<br />
di bile e di rancore del quotidiano di sinistra<br />
El Pais, volgare nei suoi titoli, nelle sue cronache,<br />
nei suoi commenti, nelle sue banalizzazioni<br />
e falsificazioni, come neanche la Repubblica,<br />
in Italia, riesce a essere.<br />
Ma a ben vedere anche questo, anche l’ostilità<br />
di Zapatero, dei giornali e degli indignados<br />
“laici”, hanno avuto il loro significato:<br />
ci hanno ricordato che non sono mai mancati<br />
i nemici di Cristo. Anche lui è stato sputacchiato<br />
ed insultato. Esserlo oggi, significa,<br />
forse, aver ritrovato un po’ di quel sale che<br />
rende la Fede più saporita, più vigorosa, più<br />
capace di essere segno di contraddizione e<br />
pungolo per tutti.<br />
FRANCESCO AGNOLI<br />
31 agosto 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
a Post agostani.<br />
DI ALMANACCO ROMANO<br />
. SOLO UN «REGNUM GRATIAE» CI PUÒ<br />
SALVARE.<br />
Si può uscire dalla sub-cultura attuale.<br />
Fonte: Almanacco romano, 8 agosto <strong>2011.</strong><br />
Tutti leggono, dalla mattina alla sera, nella<br />
metropolitana e sulle spiagge, e spendono assai<br />
nelle librerie, informandosi attraverso le<br />
recensioni e le presentazioni nella rete e sui<br />
giornali – piccole, continue evasioni senza respiro<br />
nel contemporaneo, roba da carcerati a<br />
vita – , ma chi sfoglia ancora Dante o Ariosto,<br />
Tommaso d’Aquino o Guicciardini Anche<br />
più ristretta schiera quella di coloro che li<br />
meditano. Ecco perché George Steiner, pure<br />
in una intervista su la Repubblica del 25 luglio,<br />
tornava a parlare ormai di «una sub-cultura<br />
odierna». E alla intervistatrice che, perplessa,<br />
forse in quanto adepta dello spirito della testata,<br />
chiedeva: «perché si ostina a ripetere<br />
che l’idea di cultura è andata in pezzi», Steiner<br />
spiegava con pazienza:<br />
«Sono i fatti a provarlo. In paesi come l’Inghilterra,<br />
la Francia e l’Italia, la scuola primaria e<br />
secondaria è in una crisi gravissima. Quand’ero<br />
giovane, le università tedesche costituivano una<br />
garanzia per la vita intellettuale europea e statunitense.<br />
Poi non è più stato così. Oggi nelle<br />
università occidentali, e anche in Italia, ci sono<br />
alcuni docenti notevoli, ma in generale è tramontato<br />
il prestigio della ricerca e della trasmissione<br />
di cultura universitaria. Gli studenti<br />
più validi di Cambridge finiscono a lavorare in<br />
Borsa o nelle grandi banche, e considerano la<br />
politica come qualcosa di ridicolo e corrotto.<br />
Per non parlare della decadenza del mestiere<br />
d’insegnante».<br />
( ( (<br />
Gli fa eco Jean Clair. <strong>Il</strong> Corriere della Sera<br />
dell’otto agosto riporta un’anticipazione del<br />
suo ultimo libro, L’inverno della cultura, dove<br />
i giochi del contemporaneo vengono dannati<br />
definitivamente; vi si parla di «degenerazioni<br />
dell’arte contemporanea»: «la discesa dall’high<br />
culture alla low culture è una discesa agli<br />
inferi», i suoi protagonisti conoscono solo le<br />
tecniche del marketing. Un’altra anticipazione<br />
del testo polemico di Clair è offerta in rete<br />
da <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>, numero 653. «L’arte contemporanea<br />
– vi si legge – è la storia di un naufragio e<br />
di uno sprofondamento». Sacrosante reazioni<br />
di nobili figure a situazioni insopportabili. I<br />
giornali però, inclini a conclusioni a effetto,<br />
propendono per l'ipotesi di una prossima fine<br />
di questo infernale gioco, quasi si trattasse di<br />
una moda sconfitta ormai dalla noia. Si dovrebbe<br />
essere meno ottimisti. Davanti ai restauri<br />
contemporanei di un ufficio postale anni<br />
Trenta, di fronte alle soluzioni standard,<br />
omologate, un’amica ci diceva realista che<br />
questa specie di arte attuale non può che essere<br />
così, funzionale al sistema che non concede<br />
deroghe. Ovvero, l’arte del capitalismo estremo<br />
non può che essere brutta. L’arte di massa<br />
in una società definitivamente nichilista non<br />
ha più neppure delle tracce di bellezza. Soltanto<br />
l’avvento di un «regnum gratiae» potrebbe<br />
modificare l’estetica.<br />
( ( (<br />
All’inizio del Novecento c’era ancora chi sosteneva<br />
che «per un uomo di cultura la peggiore<br />
immoralità sarebbe quella di accettare i<br />
parametri della sua epoca» (Hugo Ball, Die<br />
Flucht aus der Zeit). Per Carl Schmitt la parola<br />
«contemporaneo» suonava come «complice<br />
dell’epoca meccanicistica», perché colui che<br />
crede di dover andare col tempo si è già da sé<br />
escluso dalla cerchia degli spiriti indipendenti<br />
(si veda l’ediz. italiana di Aurora boreale, un<br />
saggio di Schmitt tradotto per le Edizioni<br />
scientifiche italiane e ricco di apparati a cura<br />
di S. Nienhaus). Intanto si andava diffondendo<br />
il dogma che economia, finanza e arte si<br />
riconciliassero tra loro. Oggi l’economia send<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 655
| ( 5 ) |<br />
z’anima rivolge ovunque i suoi artigli, facendo<br />
intorno a sé il deserto.<br />
. IL MESSIA NON SI VENDE.<br />
L’alternativa dell’arte sacra.<br />
Fonte: Almanacco romano, 25 agosto <strong>2011.</strong><br />
Nella noticina dello scorso 8 agosto [v. sopra]<br />
dicevamo dell’infimo ruolo dell’arte nell’epoca<br />
del funzionalismo capitalista. L’attività<br />
che accostava in modo particolare l’uomo a<br />
Dio, la bellezza generata non dal capriccio<br />
individuale bensì dall’imitazione della liturgia<br />
paradisiaca (si veda la Commedia di Dante), in<br />
un mondo all’insegna del mercato diventa comunicazione,<br />
orpello del processo comunicativo,<br />
enfasi pubblicitaria del mondo delle<br />
merci. <strong>Il</strong> Bauhaus lanciò il programma per<br />
l’allucinato svuotamento dell’arte, la moda<br />
piccolo borghese del design, la grafica per caratterizzare<br />
un prodotto, per sedurre un consumatore,<br />
l’esprit de géométrie senza più il<br />
conforto dell’esprit de finesse; Guy Debord<br />
ne denuncerà il gretto risultato finale. <strong>Il</strong><br />
trionfo della macchina richiede che tutto, anche<br />
la casa e l’anima umana, sia riconducibile<br />
alla sua disciplina, onde sfruttare l’energia<br />
meccanica che è il suo unico scopo su questa<br />
terra. Perciò, si sottolineava in quello scrittarello,<br />
l’arte della nostra epoca è condannata a<br />
essere brutta (e c’è qualcuno tanto autolesionista<br />
da compiacersene). Ma perché, ci domandiamo<br />
oggi, anche l’arte sacra, cattolica –<br />
da cui nacquero i massimi capolavori nella<br />
storia dell’Occidente, dal Medioevo in poi – si<br />
deve piegare a una simile condanna Perché,<br />
per esempio, le decorazioni, il logo, l’altare di<br />
Madrid dove le folle dei giovani hanno pregato<br />
con il papa devono obbedire alla maledizione<br />
dell’universo mercificato Anzi, perché<br />
un logo per tale raduno, non bastava la croce,<br />
si doveva forse vendere qualcosa Si doveva<br />
comunicare col tono sintetico e nevrotico della<br />
réclame Eppure la buona notizia cristiana<br />
non appartiene al linguaggio delle news, è<br />
una faccenda che attraversa i secoli, che parla<br />
solenne, che annuncia nientedimeno che la<br />
sconfitta della morte, non si tratta di un consiglio<br />
etico, di un invito new age, di un brand<br />
spirituale da lanciare. Non è uno spettacolo,<br />
anche se i più devoti cronisti della televisione<br />
dei vescovi parlavano l’altro giorno di palco<br />
invece che di altare, ara del sacrificio. Certi<br />
preti si assoggettano ai peggiori dettami del<br />
marketing considerandosi i pr di Cristo, ma il<br />
Messia non si vende, è un dono. L’arte sacra<br />
dunque non può essere il riflesso di quanto<br />
accade nel mondo, soprattutto quando questo<br />
ha tagliato le radici con la tradizione e vive<br />
angosciosamente solo le oscillazioni economiche,<br />
le contorsioni demoniache dei soldi.<br />
Meglio sarebbe se si presentasse come l’unica<br />
alternativa a quel ‘contemporaneo’ asservito<br />
al denaro, e parlasse di un altro tempo: l’eterno.<br />
ALMANACCO ROMANO<br />
31 agosto 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
a Sull’ipotesi di completare la<br />
facciata di San Lorenzo a Firenze.<br />
DI ETTORE MARIA MAZZOLA<br />
Fonte: De Architectura, 19 agosto <strong>2011.</strong><br />
Lunedì 25 luglio 2011, il Corriere della Sera ha<br />
pubblicato una di quelle notizie definibili<br />
“shock” in ambito architettonico e accademico:<br />
il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, previo<br />
referendum popolare, propone di completare<br />
la facciata della Basilica di San Lorenzo<br />
secondo il progetto elaborato da Michelangelo<br />
nel 1515!<br />
<strong>Il</strong> sindaco di Firenze, in occasione del 150°<br />
anniversario di Firenze Capitale d’Italia<br />
(2015), propone la “riqualificazione” dell’edificio,<br />
con una previsione di spesa di circa 2<br />
milioni e mezzo di euro, in gran parte sostenuta<br />
da privati. In concreto, il piano prevede<br />
il completamento della facciata costruendo ex<br />
novo l’ingresso della Basilica.<br />
La notizia, come era preventivabile, ha suscitato<br />
un vespaio di domande, la più ricorrente<br />
delle quali è stata: Ma è lecito riprendere<br />
in mano i progetti di un architetto scomparso più<br />
di 500 anni fa e tentare di andare incontro al suo<br />
volere con gli strumenti e le idee di oggi<br />
Michelangelo Buonarroti, modello per la facciata<br />
di San Lorenzo-Firenze<br />
Inizialmente mi sono chiesto: ma con tutti<br />
i problemi delle periferie, del traffico e del<br />
degrado urbano che possono rilevarsi a Firenze,<br />
è davvero necessario ipotizzare una “riqualificazione”<br />
di San Lorenzo E ancora,<br />
indipendentemente dalla facciata incompleta,<br />
considerata la vitalità della piazza in tutte le<br />
ore del giorno, pensiamo davvero che San<br />
Lorenzo sia un edificio che necessiti di essere<br />
riqualificato<br />
Ebbene, per non avvalorare le tesi di coloro<br />
i quali dicono di no a tutto – spesso stupidamente<br />
– e mettendo da parte questi interrogativi<br />
maliziosi, voglio prendere per buone le<br />
intenzioni del sindaco, e voglio dare dei suggerimenti<br />
a sostegno di questa proposta, affinché<br />
non si avvalori la posizione dei sostenitori<br />
della “necessità di evitare falsi storici,<br />
realizzando qualcosa di contemporaneo”, che<br />
già sta prendendo piede.<br />
( ( (<br />
Che l’ambiente accademico italiano sia totalmente<br />
avverso a certi temi è cosa ben nota: a<br />
causa delle Carte del Restauro di Atene (1931) e<br />
Venezia del (1964), e soprattutto a causa delle<br />
teorie del restauro di Cesare Brandi, l’Italia è<br />
oggi il Paese dove, più di tutti gli altri, vige il<br />
terrore della “falsificazione della storia”, un<br />
problema del tutto falso, nato solo ed esclusivamente<br />
per tutelare il mercato nero delle<br />
opere d’arte! Sicché, in base a questa assurda<br />
posizione, e pensando di essere nel giusto, si<br />
insegna nelle università, si scrive sui libri e<br />
sulle riviste e si esercita la professione.<br />
Così, a proposito della proposta del sindaco<br />
fiorentino, c’è stato chi si è chiesto: “che<br />
senso avrebbe dover rispettare il progetto di Michelangelo<br />
piuttosto che realizzare finalmente<br />
qualcosa che mostri che siamo nel XXI secolo”<br />
Questa domanda esprime il generale sentimento<br />
serpeggiante tra gli architetti e i critici<br />
di architettura formatisi nella scuola modernista-storicista,<br />
quella scuola che ha fatto<br />
delle teorie di Gropius e di Zevi (l’insegnamento<br />
della storia andrebbe eliminato perché limitativo<br />
delle potenzialità della mente degli ard<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 655
| ( 7 ) |<br />
chitetti), il proprio cavallo di battaglia. Partendo<br />
da questa affermazione, la scuola modernista<br />
ha via via sviluppato idee come “tutti<br />
abbiamo il diritto di esprimere la nostra arte”,<br />
oppure “tutti siamo artisti”, “tutti hanno diritto<br />
ai propri 15 minuti di notorietà” ecc. e,<br />
altrettanto gradualmente, ha formato una<br />
massa “ignorante" di professionisti (e di critici),<br />
questi, grazie a questa semplificazione<br />
della professione, hanno potuto credersi artisti,<br />
architetti, critici e storici.<br />
<strong>Il</strong> lavaggio del cervello operato da questa<br />
scuola di pensiero impostasi come l’élite colta<br />
portatrice del verbo – specie a partire dal secondo<br />
dopoguerra – è stato talmente vasto<br />
che oggi molta gente, per paura di essere accusata<br />
di anacronismo e/o ignoranza, finge di<br />
comprendere il significato di determinate<br />
opere che non hanno alcun senso, se non<br />
quello dettato dalla legge del “prendi i soldi e<br />
scappa”.<br />
( ( (<br />
La cosa gravissima è che questo fenomeno si<br />
ritrova anche in ambiente ecclesiastico, ragion<br />
per cui, chi dovrebbe tutelare l’istituzione<br />
della chiesa, spesso e volentieri si lascia<br />
ammaliare dalla visione consumistica dell’architettura<br />
dettata dall’ignorantissima “società<br />
dello spettacolo”, visione che consente, con il<br />
minimo sforzo intellettuale, di produrre forme<br />
architettoniche generate da uno scarabocchio<br />
– opportunamente trasformato in tre dimensioni<br />
dal computer – che nulla hanno a<br />
che vedere con l’architettura delle chiese, con<br />
la liturgia, e con la religione stessa e, più in<br />
generale, con l’architettura degli edifici …<br />
non è un caso se Patrick Schumacher, partner<br />
di Zaha Hadid, ha avuto l’ardire di affermare<br />
che il “parametricism” – secondo il quale è il<br />
computer, grazie ad appositi softwares, e non<br />
più la mano dell’architetto a generare il progetto<br />
– da loro teorizzato, sta diventando la<br />
“nuova tradizione egemone!”.<br />
Ebbene, alla domanda sulla legittimità o meno<br />
di realizzare la facciata di San Lorenzo<br />
progettata 500 anni fa, e considerato che chi<br />
ha posto questa domanda l’ha giustificata tirando<br />
in ballo Le Sette Lampade dell’Architettura<br />
di Ruskin:<br />
«[...] lo spirito dell’artefice morto non può essere<br />
rievocato, né gli si può comandare di dirigere<br />
altre mani e altre menti. E, quanto alla copia<br />
semplice e diretta, è chiaramente impossibile,<br />
Come si possono copiare superfici consumate<br />
per mezzo pollice L’intera finitura del lavoro<br />
era nel mezzo pollice sparito; se si tenta di restaurare<br />
quella finitura, lo si fa congetturalmente;<br />
se si copia ciò che è rimasto, affermando che<br />
la fedeltà è possibile, [...] come può il nuovo lavoro<br />
essere migliore del vecchio C’era ancora<br />
un po’ di vita, in quello vecchio, un misterioso<br />
suggerimento di ciò che era stato e di ciò che<br />
aveva perduto[...]»<br />
voglio brevemente esprimere il mio parere.<br />
( ( (<br />
Che senso avrebbe avuto, per tutti gli architetti<br />
che si sono succeduti nella realizzazione<br />
del Duomo di Firenze, dover giurare con una<br />
mano sulla Bibbia e l’altra sul modello ligneo<br />
del progetto di Arnolfo di Cambio (1296), che<br />
avrebbero portato a compimento l’opera originaria<br />
Chi conosce la storia del Duomo di Firenze<br />
sa che il progetto di Arnolfo venne interrotto<br />
nel 1330, privo della cupola perché non<br />
si sapeva come realizzarla. Nel 1367 Neri di<br />
Fioravante, sviluppò uno modello alto 4 metri<br />
che mostrava come, rinforzando le strutture<br />
arnolfiane, fosse possibile realizzare la gigantesca<br />
cupola ogivale. Tuttavia sorse il<br />
dubbio su come reperire il materiale e realizzare<br />
una centinatura e delle gru in grado di<br />
realizzare la struttura vera. Nel 1418 venne<br />
bandito il concorso, vinto da Brunelleschi e<br />
Ghiberti (ma questo nel ’25 venne rimosso)<br />
per realizzare la struttura medievale che venne<br />
portata a compimento nel 1468 con il<br />
31 agosto 2011 Anno XI
| ( 8 ) |<br />
completamento, ad opera del Verrocchio,<br />
della lanterna sormontata dall’enorme sfera<br />
dorata. Tutti questi personaggi, nonostante la<br />
loro fama, vennero costretti, dai membri dell’Opera<br />
del Duomo, a giurare sul modello di<br />
Neri, che avrebbero realizzato quella cupola.<br />
La facciata venne addirittura realizzata solo<br />
nel 1871, da Emilio De Fabris (l’opera venne<br />
completata dopo la morte di quest’ultimo,<br />
nel 1887 da Luigi Del Moro) sulla base di un<br />
progetto che prendeva ispirazione dalla porzione<br />
basamentale già rivestita nel medioevo.<br />
La stessa storia si ritrova per la Basilica di<br />
Santa Croce, sempre a Firenze, progettata da<br />
Arnolfo di Cambio nel 1294-95, dove il campanile<br />
venne realizzato ex-novo da Gaetano<br />
Baccani tra il 1847 e il ’65 e la facciata da<br />
Niccolò Matas tra il 1853 e il ’63!<br />
Ma se andiamo in altre realtà, come il<br />
Duomo di Siena o quello di Orvieto, abbiamo<br />
facciate che ci raccontano fino a 700 anni di<br />
lavori, durante i quali si sono succeduti fior di<br />
architetti, scultori, mosaicisti e lapicidi … eppure<br />
l’immagine d’insieme ci mostra una coerenza<br />
e un carattere senza tempo e, soprattutto,<br />
una profonda devozione nei confronti del<br />
Signore.<br />
( ( (<br />
Ecco, è proprio questo il punto, diversamente<br />
da oggi, un tempo non era la firma e/o il nome<br />
dell'architetto, né la "datazione", ad avere<br />
importanza, ma l'edificio costruito per il<br />
Signore!<br />
Basta dunque con la lettura della storia<br />
fatta di schede datate infilate in cassetti la cui<br />
riapertura è vietata. Basta con l'egoismo dei<br />
critici e degli storiografi, che per dare un senso<br />
al loro mestiere e alla loro visione ideologica<br />
debbono imporre a tutti quella che è la loro<br />
lettura della storia. Se Renzi vuole completare<br />
San Lorenzo, come già era stato fatto a Firenze<br />
(con grande apprezzamento dei turisti)<br />
per Santa Maria del Fiore e per Santa Croce,<br />
che lo faccia, purché si proceda fedelmente<br />
nel rispetto del lavoro Michelangiolesco, (o<br />
arnolfiano, perché no) senza stravaganze necessarie<br />
a far riconoscere che il lavoro sia stato<br />
fatto nel 2011!<br />
Certo, Michelangelo non aveva tenuto in<br />
grande considerazione il programma medievale<br />
della Basilica di San Lorenzo, però aveva<br />
progettato una facciata in perfetta armonia<br />
con la “grammatica”, le proporzioni, i materiali<br />
e i colori dell’architettura fiorentina dopo<br />
l’opera di Brunelleschi, Michelozzo, Alberti<br />
e Rossellino.<br />
Come propone il sindaco dunque, spero<br />
davvero che sarà la cittadinanza ad esprimere<br />
il proprio parere, Michelangelo o Arnolfo,<br />
purché tutto avvenga nel massimo rispetto<br />
della filologia e del contesto!<br />
ETTORE MARIA MAZZOLA<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 655
A<br />
B<br />
N°656<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
7 SETTEMBRE 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
LA QUESTIONE MASCHILE<br />
U N A P A N O R A M I C A<br />
1<br />
Inizia con questa panoramica una serie di<br />
Speciali volti a coprire il deficit di informazione<br />
su una delle questioni più importanti della nostra<br />
epoca. La serie è curata da Armando Ermini, presidente<br />
dell'Associazione culturale Maschi Selvatici.<br />
Nei prossimi numeri approfondiremo alcuni dei temi<br />
qui tratteggiati, primi argomenti l’identità maschile<br />
e il rapporto fra il maschile e l’aborto. N<br />
INDICE<br />
1 Prologo.<br />
2 La Questione Maschile, tentativo di definizione.<br />
Un breve cenno storico.<br />
4 I movimenti maschili in Italia.<br />
I progressisti.<br />
5 Gli antifemministi.<br />
6 I liberali.<br />
I radicali.<br />
14 Le tematiche di discussione.<br />
18 Risorse.<br />
Sitografia.<br />
19 Bibliografia.<br />
DI ARMANDO ERMINI<br />
j<br />
a Prologo.<br />
Quando si parla, e lo si fa ormai da molto tempo,<br />
di Questione femminile, ognuno capisce immediatamente<br />
di cosa si tratta: del cammino delle<br />
donne per recuperare un gap socioculturale nei<br />
confronti degli uomini, indipendentemente dal<br />
vario significato che si attribuisce al termine parità.<br />
Fino a non molti anni orsono nessuno parlava<br />
invece di Questione maschile, e il perché<br />
era tanto chiaro quanto scontato. I maschi, nella<br />
visione comunemente accettata, detenevano il<br />
potere pubblico e familiare, disponevano di privilegi<br />
e maggiori opportunità sociali rispetto alle<br />
femmine, e dunque una Questione Maschile 1<br />
non poteva esistere e neanche essere concepita.<br />
<strong>Il</strong> fatto che da qualche anno anche quell’espressione<br />
sia entrata nel lessico corrente ci indica<br />
che qualcosa è profondamente mutato, qualsiasi<br />
sia l’accezione che si intende attribuirle. Contrariamente<br />
al simmetrico femminile, infatti, non<br />
esiste affatto accordo, neanche di massima, circa<br />
il suo significato che può essere inteso in modi<br />
1 <strong>Il</strong> termine Questione Maschile, salvo errori, fu usato per la prima<br />
volta nel febbraio del 1998, quando fu organizzato a Milano un<br />
convegno dal titolo omonimo, patrocinato dalla Regione Lombardia.<br />
Le relazioni introduttive al Convegno, dal titolo “Maschio<br />
e Padre: identità politicamente scorrette”, furono tenute da Claudio<br />
Risè (università di Trieste/Gorizia), Claudio Bonvecchio (università<br />
di Trieste) e Graziano Martignoni (Università di Friburgo)<br />
e sono raccolte in La Questione Maschile, Società Editrice Barbarossa,<br />
1998).<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />
www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />
<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />
minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />
cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />
Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
diametralmente opposti, aventi un unico punto<br />
in comune: il maschio è in crisi. Su tutto il resto,<br />
cause, effetti, rimedi etc. la distanza all’interno<br />
degli stessi movimenti che si occupano del “maschile”,<br />
rimane notevole. Cercherò pertanto di<br />
tracciare per i lettori un panorama, il più oggettivo<br />
possibile compatibilmente col mio essere<br />
militante di uno di essi, delle concezioni dei movimenti<br />
maschili culturalmente più significativi<br />
del nostro paese.<br />
j<br />
a Tentativo di definizione.<br />
Personalmente credo che la QM si possa definire,<br />
in modo sintetico, come questione di indebolimento<br />
identitario 2 . La sua origine è lontana<br />
nel tempo, risalendo all’inizio del processo di<br />
secolarizzazione della società concomitante con<br />
quello di industrializzazione, ma ha avuto una<br />
accelerazione decisiva nel secondo dopoguerra.<br />
Da allora i maschi non sono più stati iniziati al<br />
sociale e introdotti nella società da altri maschi<br />
(i padri, gli istruttori etc.) ma dalle madri e comunque<br />
da figure femminili. Ciò ha prodotto,<br />
scrive Claudio Risè, una interruzione nella trasmissione<br />
della cultura materiale e istintuale<br />
maschile, per l’ovvia ragione che le donne non<br />
la posseggono. Contemporaneamente tutti gli<br />
sforzi sociali si sono concentrati sul principio<br />
della soddisfazione dei bisogni, fino a diventare<br />
non solo obbiettivo funzionale all’espandersi dei<br />
consumi e quindi alla crescita della società industriale,<br />
ma anche e soprattutto lo scopo supremo<br />
della politica. Ma il principio della soddisfazione<br />
dei bisogni è tipicamente materno,<br />
perché è la madre che fin dalla nascita vi è preposta,<br />
altre essendo le funzioni paterne. Dunque,<br />
tutta la società si è progressivamente orientata<br />
sul principio femminile, e di ciò ne hanno<br />
fatto le spese i maschi e i padri privati della loro<br />
2 In ogni caso, il lettore interessato può trovare in<br />
http://metromaschile.it/blog/2010/questione-maschile-la-miadefinizione<br />
(dove sono contenute anche le righe che seguono) una<br />
discussione il cui interesse, al di là della condivisione di certe tesi,<br />
sta nei diversi punti di vista dai quali l’argomento è trattato.<br />
identità, e dietro di loro il principio fallico di<br />
forza, di azione e di libertà. Quello che ne è seguito,<br />
anche in termini di penalizzazione sul<br />
piano giuridico e concreto di tutto ciò che è maschile,<br />
è una conseguenza necessaria di questo<br />
processo, che però non è affatto indolore per la<br />
società nel suo insieme. La crisi di civiltà dell’Occidente,<br />
che presto lascerà la scena centrale<br />
ad altre culture, è la crisi dell’identità maschile,<br />
checché se ne pensi.<br />
“Se il maschile si indebolisce, scrive ancora Risè<br />
3 , l’atto nuovo, l’idea folle, ma anche semplicemente<br />
l’idea, tende a non esserci più, e senza<br />
idea, senza la spinta del maschile, senza la<br />
capacità di dono gratuito assicurato dall’impulso<br />
della forza fallica, la società dei consumi non<br />
può rinnovarsi e corre verso la crisi”.<br />
j<br />
a Breve cenno storico.<br />
Come ogni fenomeno sociale, anche la Questione<br />
Maschile ha una gestazione più o meno lunga<br />
ma inizialmente sotterranea, e la pretesa di datarla<br />
con precisione cronologica opinabile. Tuttavia<br />
ci sono eventi “simbolo” che segnano l’emersione<br />
del fenomeno, sia per i contenuti sia<br />
per la risonanza mediatica, quest’ultima direttamente<br />
proporzionale al successo di partecipazione<br />
ottenuto. In questo senso possiamo<br />
prendere come data simbolica della nascita della<br />
QM il 4 ottobre 1997, quando si svolse a Washington<br />
la marcia dei Promise Keepers che vide<br />
la partecipazione di un milione di uomini. I<br />
Promise Keepers erano sorti nel 1990 ad opera di<br />
Bill Mc Cartney, ex allenatore della squadra di<br />
football della Università del Colorado, con i seguenti<br />
impegni:<br />
1. Onorare Gesù Cristo attraverso il culto,<br />
la preghiera e l'obbedienza alla Parola di<br />
Dio nella potenza dello Spirito Santo.<br />
3 C. Risè. “Movimenti nell'ombra. <strong>Il</strong> maschile rimosso e il passaggio<br />
al bosco”, in Bonvecchio-Risè, L’ombra del potere, Red edizioni,<br />
Como 1998.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 656
| ( 3 ) |<br />
2. Perseguire rapporti d’amicizia fraterna<br />
con un numero limitato di altri uomini, poiché<br />
necessita di fratelli che lo aiutino a mantenere<br />
le sue promesse.<br />
3. Praticare la purezza spirituale, morale,<br />
etica e sessuale.<br />
4. Costruire un forte legame matrimoniale<br />
e familiare attraverso l'amore, la protezione<br />
e i valori biblici.<br />
5. Sostenere la missione della sua Chiesa<br />
onorando il suo pastore, pregando per lui, e<br />
offrendo attivamente il suo tempo e le sue risorse.<br />
6. Superare ogni barriera razziale e confessionale<br />
per dimostrare il valore riunificatore<br />
del messaggio biblico.<br />
7. Influenzare il suo mondo, tramite l’obbedienza<br />
al Grande Comandamento (Marco<br />
12:30-31) e al Grande Mandato (Matteo 28:19-<br />
20). 4<br />
Ho voluto riportare per intero i sette impegni<br />
dei Promise Keepers perché ci aiutano a focalizzare<br />
alcuni aspetti essenziali della QM come viene<br />
percepita e vissuta in Occidente, e del disagio<br />
che gli uomini di oggi vivono. In sostanza tale<br />
disagio è generato dalla difficoltà a rispettare<br />
quegli impegni che tradizionalmente ogni uomo<br />
chiede a se stesso e che, nonostante tutto, la comunità,<br />
ed anche le donne, si aspettano ancora<br />
da lui. Quegli uomini riuniti a Washington chiedevano<br />
“solo” che il mondo circostante non<br />
ostacolasse in modo schizofrenico la loro voglia<br />
di essere uomini e padri a tutto tondo, con la relativa<br />
forte assunzione di responsabilità. E ammettevano<br />
anche che lasciati soli difficilmente<br />
avrebbero potuto ottenere l’obbiettivo che si<br />
proponevano. Da qui, e al netto del linguaggio<br />
di ascendenza protestante USA, il richiamo a<br />
fondare la maschilità e la paternità sull’elemento<br />
religioso, da qui anche la necessità di aiutarsi<br />
e sostenersi l’un l’altro in un’ottica di fraternità<br />
e cameratismo maschili. Ora non ci sono dubbi<br />
4 La traduzione dei sette impegni, da Wikipedia, è opera mia.<br />
sul fatto che agli uomini la società moderna<br />
mandi messaggi contraddittori. Basta essere attenti<br />
ai giornali e alle TV per accorgersi che, in<br />
nome della parità e dell’emancipazione femminile,<br />
i valori tradizionalmente maschili vengono<br />
letti in chiave negativa e/o, nel migliore dei casi,<br />
dileggiati come anacronistici e fuori dal tempo.<br />
Contemporaneamente, però, si rimprovera agli<br />
uomini di non sapere più fare i padri, di non<br />
porsi più come protettori della famiglia, di aver<br />
perso mordente etc. etc., nel mentre si ostacolano<br />
quegli spazi di genere che tradizionalmente<br />
gli uomini si sono sempre ritagliati. Le opposte<br />
pressioni spiegano, a mio parere, la nascita e l’evoluzione<br />
dei movimenti maschili nel mondo,<br />
nonché le diversità d’impostazione fra chi avverte<br />
la necessità di recuperare e valorizzare alcuni<br />
aspetti tradizionali della virilità e chi, al contrario,<br />
intende ripensare la maschilità alla luce di<br />
quei mutamenti che ritiene acquisiti per sempre.<br />
Ma su questo ritorneremo.<br />
Per quanto riguarda l’Italia, la prima uscita<br />
ufficiale di un movimento maschile si tenne in<br />
Lombardia, nell’area del Parco Regionale del<br />
Ticino, il giorno seguente al convegno citato in<br />
nota 1, allorché i Maschi Selvatici parteciparono<br />
alla manifestazione che aveva come tema conduttore<br />
“Uomini nella natura, cammino, meditazione,<br />
arte, affetti, nell’incontro maschile con<br />
la terra, l’acqua, il fuoco e l’aria”.<br />
j<br />
a I movimenti maschili in Italia.<br />
Limitando la nostra indagine ai movimenti maschili<br />
presenti nel nostro paese, possiamo intanto<br />
tracciare una prima ripartizione con la precisazione<br />
che si basa sul criterio primario del significato<br />
attribuito alla Questione Maschile 5 .<br />
5 Pertanto le definizioni adottate non significano un’automatica<br />
sovrapposizione con precise aree culturali e politiche, perché le<br />
tematiche di genere sorte e sviluppatesi con la modernità hanno<br />
una complessità tale da non poter essere ricomprese, se non tendenzialmente,<br />
nelle tradizionali categorie usate in politica. Ce ne<br />
possiamo rendere conto facendo attenzione a come si muovono i<br />
partiti, i quali, anche al netto della (massiccia) quota di opportu-<br />
7 settembre 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
1. Progressisti. I gruppi che considerano la<br />
crisi maschile come salutare in quanto indotta<br />
dal tramonto del patriarcato, concepito come<br />
struttura psico-socioculturale modellata sul<br />
genere maschile, messo pesantemente in crisi<br />
dal nuovo protagonismo femminile.<br />
2. Antifemministi. Sono quei movimenti<br />
che si propongono in primo luogo di contrastare<br />
il femminismo nei suoi diversi filoni, in<br />
quanto ritenuto responsabile della devirilizzazione<br />
degli uomini. In quanto vincente sul piano<br />
culturale, il femminismo è all’origine anche<br />
della crisi sociale e culturale delle società occidentali.<br />
3. Liberali. Quelli per i quali la crisi del<br />
maschio è dovuta, essenzialmente, ad una evoluzione<br />
in senso pro-female del diritto e delle<br />
leggi che, nell’intento di superare le antiche discriminazioni<br />
contro le donne, hanno finito per<br />
disegnare un sessismo alla rovescia in cui il<br />
gruppo discriminato è divenuto quello maschile.<br />
4. Radicali. Purtroppo in Italia ormai il<br />
termine “radicale” tende ad identificarsi col<br />
partitino laicista di Pannella, ma qui è inteso<br />
nel suo significato originario di “coloro che<br />
cercano di andare alle radici”. Questa quarta<br />
area riunisce, con forti differenze interne, tutti<br />
coloro che ritengono essere la crisi del maschile<br />
tanto reale quanto disastrosa, per gli uomini<br />
ma non solo. Rispetto all'area precedente<br />
non si disconosce lo squilibrio a livello giuridico<br />
che colpisce il mondo maschile e la necessità<br />
di leggi davvero paritarie. Si considerano però<br />
questi problemi come non originari ma derivanti<br />
da fattori di ordine socioculturale sui<br />
quali, peraltro, non c’è identità di vedute.<br />
Vediamo ora in dettaglio le varie aree del movimento.<br />
nismo elettorale, mostrano sostanziale confusione e fraintendimento<br />
circa il reale significato culturale della questione, nonché<br />
un fondamentale appiattimento sulle concezioni della cultura dominante<br />
di cui fanno propri i luoghi comuni.<br />
. I PROGRESSISTI.<br />
In questa accezione, la crisi maschile nasce dalla<br />
perdita dell’antico potere sull’altro sesso, ed<br />
avrebbe come effetto primario quello di un rigurgito<br />
revanscista manifestantesi come recrudescenza<br />
di violenza contro le donne di cui non<br />
si accetterebbe la nuova autonomia psichica e<br />
sociale. Da notare l’analogia di questo schema<br />
interpretativo con quello utilizzato da Stalin<br />
nella Russia sovietica, quando sosteneva la tesi<br />
che proprio a causa dell’avanzare trionfale del<br />
socialismo, le classi spodestate avrebbero reagito<br />
sempre più violentemente nel tentativo disperato<br />
e inutile perché antistorico, di riconquistare il<br />
potere perduto. Più pacificamente, i teorici del<br />
rigurgito dovuto al tramonto del patriarcato, si<br />
accontentano di agire sul piano culturale e giuridico.<br />
Forti di un potere mediatico e culturale<br />
schierato per motivi diversi dalla loro parte o<br />
nella migliore delle ipotesi paralizzato nel dissentire<br />
dal mainstream, promuovono campagne<br />
di informazioni fondate sul presupposto che violenza<br />
ed oppressione, poiché in sé maschili (o<br />
meglio del maschio bianco adulto), colpiscano<br />
esclusivamente le donne. Di fronte a fenomeni di<br />
segno opposto si preferisce glissare, attribuendoli<br />
o ad una reazione per torti storici e personali,<br />
o comunque come il frutto dell’assunzione da<br />
parte delle donne dei canoni culturali maschili e<br />
patriarcali. Sul piano legislativo appoggiano tutte<br />
quelle leggi che, partendo dai presupposti prima<br />
enunciati, si ripromettono di annullare lo<br />
squilibrio fra i sessi. Così per le quote rosa, così,<br />
ad esempio, per la legge spagnola sulla “violenza<br />
di genere” che amplifica le pene quando un<br />
reato di violenza è compiuto da un uomo, o infine<br />
per la legge sullo stalking la quale, forse oltre<br />
le intenzioni, finisce per rovesciare l’onere della<br />
prova sull’accusato e, considerando prova sufficiente<br />
la parola della vittima, annulla di fatto un<br />
cardine dello stato di diritto quale la ricerca, per<br />
quanto possibile, della verità basata su fatti oggettivamente<br />
verificabili. A questo filone culturale,<br />
si riferiscono quei movimenti per i quali la<br />
crisi del maschio è la benvenuta in quanto coind<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 656
| ( 5 ) |<br />
cide con la crisi dell’ordine simbolico patriarcale<br />
ed apre la strada verso una maggiore libertà per<br />
tutti. I maschi dovrebbero rinunciare definitivamente<br />
alla loro identità tradizionale fondata<br />
sulla competizione e sul dominio del più forte,<br />
per riscoprire, semplifico, la propria parte femminile,<br />
inclusiva, antigerarchica, non violenta.<br />
Si tratta dunque di inventarsi una identità del<br />
tutto nuova, e finora mai esplorata.<br />
Politicamente questi gruppi si collocano genericamente<br />
a sinistra. Più in particolare in<br />
quella sinistra genericamente progressista di<br />
stampo liberal che superata la concezione marxista<br />
della storia come lotta fra classi dominanti<br />
e subalterne, finisce in realtà per accettarla metodologicamente<br />
semplicemente sostituendo le<br />
classi coi sessi. 6<br />
. GLI ANTIFEMMINISTI.<br />
Come si può leggere sul manifesto della rivista<br />
on line Antifeminist 7 , che possiamo classificare<br />
come il principale sito d’area, il primo<br />
posto del programma, sia nella parte destruens<br />
sia in quella construens, è occupato<br />
dall’obbiettivo di contrapporsi ai movimenti<br />
femministi. Soltanto dopo ci si rivolge agli<br />
uomini, ma anche in questo caso in primo<br />
luogo per metterli in guardia contro le trappole<br />
loro tese (ad esempio il matrimonio).<br />
Le priorità sono così chiaramente delineate,<br />
nel senso che la promozione di modelli maschili<br />
forti e validi, nonché il richiamo a l’indipendenza<br />
emotiva dalle femmine, che pure sono obbiettivi<br />
dichiarati, appaiono subordinati a quello<br />
principale. I gruppi d’area antifemminista, in effetti,<br />
sono movimenti militanti, simmetrici alla<br />
controparte femminista, che alle analisi culturali<br />
antepongono la lotta: Dum Romae consulitur,<br />
Saguntum expugnatur potrebbe essere il<br />
loro motto. È questo, a mio avviso, un limite<br />
dell’area di cui stiamo parlando, ma proprio per<br />
questa loro caratteristica svolgono una funzione<br />
6 Per un approfondimento della discussione con alcuni di questi<br />
gruppi, si veda in www.maschiselvatici.it -> Le iniziative dei Maschi<br />
selvatici -> iniziative avvenute -> articoli 8, 9, 10, 11.<br />
7 Per gli indirizzi dei siti citati si rimanda alla Sitografia finale.<br />
utile come primo collettore del disagio maschile,<br />
ed anche e soprattutto come instancabili raccoglitori<br />
di notizie di cronaca, di leggi, di sentenze,<br />
di accadimenti in ogni parte del mondo che<br />
offrono, commentate, ai lettori.<br />
Altro elemento da sottolineare è che i movimenti<br />
appartenenti a quest’area stanno tentando<br />
di darsi una forma di coordinamento internazionale,<br />
per ora allo stato nascente, di cui sono<br />
stati momenti importanti due convegni svoltisi<br />
entrambi in Svizzera nel 2010 e nel <strong>2011.</strong><br />
. I LIBERALI.<br />
Questo filone accetta la definizione di società<br />
patriarcale e la necessità storica del suo tramonto,<br />
ma ritiene che non ci sarebbe una vera e<br />
propria crisi d’identità maschile. Poco attenti alle<br />
questioni di ordine simbolico e antropologico,<br />
nonché al problema della differenza/uguaglianza<br />
ontologica fra maschile e femminile, i<br />
sostenitori di questa tesi si propongono di agire<br />
essenzialmente sul piano giuridico perorando<br />
una piena uguaglianza formale e sostanziale fra<br />
donne e uomini. Questa corrente, almeno in Italia<br />
fra le prime ad aver sollevato la QM, si rifà<br />
ad una tradizione culturale di tipo liberale. Suo<br />
esponente di spicco è Marco Faraci, fondatore<br />
del sito Pari diritti per gli uomini, ma ad essa<br />
fanno capo anche altri blogger indipendenti.<br />
Un cenno a parte meritano i siti espressione<br />
delle varie associazioni dei padri separati. Come<br />
emersione di un fenomeno tangibile e ormai diventato<br />
emergenza sociale riconosciuta, queste<br />
associazioni, numerose e talvolta in reciproca<br />
polemica, sono da considerare parte integrante<br />
nella più generale Questione Maschile, sebbene<br />
al loro interno si stenti spesso a prendere atto<br />
che la tragedia dei padri separati non origini solo<br />
dalle leggi o dalla loro applicazione da parte<br />
della magistratura, ma sia parte di una questione<br />
culturale di amplissima portata.<br />
. I RADICALI.<br />
Dei movimenti che abbiamo chiamato “radicali”<br />
per il modo con cui affrontano la questione, ne<br />
7 settembre 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
presentiamo i tre più rappresentativi.<br />
L'approccio neomarxista: Uomini Beta.<br />
Fondato nel 2009 da Fabrizio Marchi, giornalista<br />
free-lance romano ed autore del libro Donne,<br />
una rivoluzione mai nata 8 (Mimesis, 2007),<br />
Uomini Beta è un movimento maschile dichiaratamente<br />
collocato, sul piano culturale, a sinistra.<br />
Sul piano politico, invece, Uomini Beta non si<br />
riconosce in particolare in nessuna delle attuali<br />
formazioni, che anzi critica pesantemente.<br />
Uomini Beta su base rigorosamente laica, individua<br />
la causa principale della crisi maschile<br />
nella trasformazione economica capitalistica.<br />
Come vedremo, è uno schema interpretativo che<br />
si rifà all’essenza dell’analisi marxista delle classi<br />
e della loro dinamica conflittuale, introducendovi<br />
però una importante variabile di<br />
genere. Per i suoi sostenitori, la vera soluzione<br />
del conflitto maschile femminile in una sostanziale<br />
parità e reciprocità, sarebbe in ultima analisi<br />
possibile solo in una società senza classi.<br />
Premesso realisticamente che non è mai esistito<br />
fino ad oggi un sistema capace di superare<br />
nei fatti la contraddizione fra ceti dominanti e<br />
dominati e di<br />
“costruire una società realmente nuova, fatta di<br />
uomini e donne realmente liberi/e ed eguali” 9 ,<br />
il capitalismo è un sistema sociale ed economico<br />
“sostanzialmente dominato dalla ragione strumentale<br />
ed utilitaristica e dal dominio assoluto<br />
del mercato e della sua ideologia”<br />
che in termini concreti significa mercificazione<br />
di ogni rapporto umano, proprio a partire<br />
dalla sessualità, forza potente della natura<br />
“che è stata ridotta dal sistema capitalistico attuale<br />
a due concetti fondamentali: merce e consumo”.<br />
Non che la repressione sessuale sia fenomeno<br />
nuovo. Anche in passato la sessualità<br />
8 Recensito da chi scrive in www.maschiselvatici.it/index.php<br />
option=com_content&id=498.<br />
9 Tutte le citazioni sono tratte dall’editoriale dello stesso Marchi,<br />
“<strong>Il</strong> movimento”, accessibile dalla home page del suo sito.<br />
“è stata pesantemente condizionata dalle religioni<br />
organizzate e dalle loro istituzioni nonché<br />
da una montagna di precetti e pseudo costruzioni<br />
moralistiche.”<br />
La differenza è che oggi le antiche forme di<br />
organizzazione sociale e politica fondate su un<br />
mix di rapporti di forza e costrizioni moralistico/religiose,<br />
sono divenute<br />
“inadeguate a governare e a gestire società complesse<br />
come quelle capitalistiche occidentali (e<br />
non solo occidentali ormai …) contemporanee le<br />
quali, per sopravvivere e autoalimentarsi, hanno<br />
bisogno di meccanismi sociali, culturali e psicologici<br />
estremamente più complessi del semplice<br />
esercizio della forza che strutturalmente non<br />
può essere sufficiente a promuovere e mobilitare<br />
forze e risorse produttive, sia in termini quantitativi<br />
che soprattutto qualitativi, necessarie ad<br />
alimentare l’intero sistema.”<br />
Da qui il non casuale indebolimento del vecchio<br />
sistema,<br />
“sostituito con quello dell’ideologia della mercificazione<br />
totale dei corpi e delle anime degli<br />
individui.”<br />
Nel processo di mercificazione totalizzante,<br />
un ruolo specifico è stato assegnato alle donne, o<br />
meglio al femminismo, movimento nato con<br />
l’intenzione di trasformare radicalmente la società<br />
ma che invece, assumendone come propri i<br />
fondamenti,<br />
“ha finito per diventare lo strumento privilegiato<br />
proprio di quel sistema che avrebbe dovuto<br />
combattere […] Le donne, che sembrava dovessero<br />
rappresentare il soggetto di una trasformazione<br />
sociale e culturale epocale, hanno finito<br />
col diventare, nella loro grande maggioranza,<br />
uno strumento attivo e spesso consapevole del<br />
sistema, facendo proprie le logiche strumentali<br />
di cui è portatore, diventandone complici e ricavandosi<br />
uno spazio di potere al suo interno, [...]<br />
anche se, ovviamente, con differenti ruoli e livelli<br />
di responsabilità.”<br />
Hanno cioè accettato<br />
“di essere ridotte ma in larga parte di autoridursi<br />
a merce, non solo dal punto di vista pratico<br />
ma soprattutto da quello psicologico, cioè<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 656
| ( 7 ) |<br />
New York 1932.<br />
del loro modo di essere, di vivere e di concepirsi<br />
all’interno della relazione con l’altro genere.<br />
Questa scelta è stata profumatamente pagata dal<br />
sistema dominante che ha avuto e ha un grande<br />
bisogno di loro. Le donne insomma sono state<br />
promosse, hanno acquistato uno spazio notevolissimo<br />
all’interno della complessa struttura gerarchica<br />
della piramide sociale senza però metterne<br />
in discussione le fondamenta che anzi, oggi,<br />
grazie al loro contributo, sono ancora più solide<br />
rispetto al passato.”<br />
<strong>Il</strong> motivo di tale promozione del genere femminile<br />
appare semplice.<br />
“La sessualità femminile costituisce da sempre<br />
un fattore straordinariamente potente di incentivazione<br />
per gli uomini; una spinta nei confronti<br />
della quale, specie per gli uomini in giovane<br />
età, è praticamente impossibile opporre resistenza.<br />
Attribuendogli un valore di mercato e<br />
un valore d’uso (e di scambio) e rendendola<br />
conseguentemente accessibile solamente a coloro<br />
che sono in grado di esserne fruitori, viene<br />
così a costituire uno strumento formidabile e<br />
ineguagliabile al fine di alimentare il sistema<br />
stesso non solo dal punto di vista economico ma<br />
anche da quello culturale e psicologico; tutti<br />
aspetti intimamente connessi e non separabili<br />
nei moderni sistemi sociali.”<br />
La maggior parte delle donne, beninteso, rimane<br />
subalterna alle élite dei cosiddetti maschi<br />
dominanti (i maschi alpha)<br />
“che sono al vertice della catena di comando insieme<br />
alle nuove élite femminili, ma per contro<br />
hanno acquistato, o meglio, è stato loro conferito,<br />
un ruolo dominante sul resto della popolazione<br />
maschile (i maschi beta) che si trova a sua<br />
volta in una posizione di subalternità e subordinazione<br />
non solo nei confronti delle élite dominanti,<br />
maschili e femminili, ma anche nei confronti<br />
della grande maggioranza delle donne<br />
che sono forti del peso specifico rappresentato<br />
dalla loro sessualità e dal valore di mercato a<br />
questa attribuito.”<br />
Ne risulta che questi ultimi sono oggi il gruppo<br />
sociale veramente oppresso, il nuovo proletariato<br />
della società del mercato totale, perché<br />
privi di ogni potere contrattuale e, differentemente<br />
dalle donne,<br />
“senza alcun peso specifico, da mettere sulla bilancia.<br />
Nel corso di questi ultimi decenni gli uomini<br />
beta sono stati martellati senza sosta dal punto di<br />
vista psicologico e culturale, le loro identità di<br />
uomini sono state distrutte con una raffinatissima<br />
tecnica di manipolazione psicologica e<br />
7 settembre 2011 Anno XI
| ( 8 ) |<br />
mediatica fino a farli addirittura sentire colpevoli<br />
di essere nati uomini.<br />
“Completamente inermi e devastati sotto ogni<br />
punto di vista, non è rimasto loro che cercare di<br />
adeguarsi ad una realtà che considerano immutabile<br />
e scimmiottare i modelli maschili dominanti,<br />
senza averne però le possibilità e gli strumenti<br />
[…] in una recita disperata con la quale<br />
cercano faticosamente di conquistarsi un piccolo<br />
spazio e di essere socialmente e umanamente<br />
accettati, soprattutto dall’altro sesso.”<br />
Per cambiare questo stato di cose ed accedere<br />
ad una vera uguaglianza nella libertà e nel reciproco<br />
rispetto e riconoscimento dell’altro, gli<br />
uomini beta, la stragrande maggioranza, devono<br />
“rivisitare completamente la propria maschilità<br />
all’interno dei profondi cambiamenti avvenuti e,<br />
sulla base di questo, rivedere completamente il<br />
proprio atteggiamento nei confronti del genere<br />
femminile.”<br />
Rifiutare cioè falsi atteggiamenti da machi,<br />
non sentirsi in dovere di essere loro a proporsi<br />
sempre e comunque, “e di recitare copioni preconfezionati<br />
[…]” Essere cioè se stessi in ogni<br />
circostanza, anche con le proprie fragilità,<br />
“senza finzioni o recite di sorta, con la massima<br />
disinvoltura e senza MAI tradire la propria indole,<br />
la propria dignità e la propria libertà.”<br />
Se oggi l’identità maschile è in crisi, occorre<br />
allora rifiutare tutto un sistema che induce gli<br />
uomini a credere di essere veramente tali<br />
“solo se si ha un determinato reddito, se si occupa<br />
una determinata posizione all’interno del<br />
contesto sociale e se si compare sugli schermi di<br />
questo o quel network televisivo.”<br />
Questa, per Uomini Beta, l’essenza della questione<br />
maschile per come oggi si pone e che ingloba<br />
in sé anche la questione paterna, vista come<br />
parte importante della prima ma non interamente<br />
sovrapponibile ad essa. Nell’ottica di<br />
questo movimento, in coerenza con i suoi motivi<br />
ispiratori, non interessa tanto capire l’origine<br />
naturale o culturale delle differenze fra i sessi,<br />
anche perché i due fattori sono tanto intrecciati<br />
da essere inestricabili, quanto promuovere il mutamento<br />
secondo i principi della filosofia della<br />
prassi. Analogamente, anche il dibattito sui temi<br />
della bioetica (aborto, fecondazione artificiale<br />
etc.), viene considerato non tanto per l’importanza<br />
che riveste in sé dal punto di vista antropologico<br />
e per le possibili ripercussioni sul concetto<br />
stesso di maschile e femminile, quanto<br />
piuttosto dal punto di vista di un necessario riequilibrio<br />
di poteri fra uomini e donne in un’ottica<br />
di reciprocità all’interno della concezione<br />
pro-choise.<br />
L'approccio decostruttivista transpolitico:<br />
Uomini 3000.<br />
È questa la definizione data dallo stesso Rino<br />
Barnart 10 , da me interpellato, dell’approccio<br />
con il quale ha fondato movimento Uomini 3000.<br />
Decostruttivista perché si propone di disvelare<br />
l’ideologia sottesa al modo con cui il rapporto<br />
maschile/femminile viene raccontato, ma anche,<br />
più in generale, ogni narrazione del mondo.<br />
Transpolitica perché se ogni narrazione è ideologica,<br />
anche ogni espressione politica lo è necessariamente.<br />
Per Barnart la questione maschile si<br />
pone nel momento in cui si è rotto il mutuo patto<br />
di scambio che ha sempre contrassegnato la<br />
relazione maschile/femminile.<br />
Da una parte gli uomini che cercano nella<br />
donna “sesso e cura”, dall’altro le donne che<br />
chiedono all’uomo “protezione e mantenimento”.<br />
<strong>Il</strong> patto si è rotto concretamente con<br />
l’avvento della Società Industriale Avanzata<br />
(SIA) perché solo quest’ultima ne ha svelato la<br />
natura non simmetrica, fondata su un baratto<br />
ineguale:<br />
“benefici solo materiali (protezione e mantenimento)<br />
contro benefici sia materiali (cura) che<br />
psicologici (psicoemotivi: orgasmo). Benefici<br />
acquisibili anche senza relazioni con l’altro<br />
(protezione e mantenimento) o impossibili da<br />
ottenere autonomamente (attività sessuale). Libertà<br />
potenziale (ora fattuale) per F contro di-<br />
10 Rino Della Vecchia Barnart, oltre che animatore di U3000,<br />
www.uomini3000.it, ha fondato anche un altro sito<br />
www.altrosenso.info “Pagine di filosofia della maschilità”, ed è<br />
autore del libro Questa metà della terra, scaricabile gratuitamente<br />
da www.uomini3000.it.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 656
| ( 9 ) |<br />
Cracovia 2005.<br />
pendenza sistematica e ineliminabile per M.” 11<br />
La SIA, consentendo l’emancipazione femminile<br />
dalla dipendenza materiale dal maschio<br />
ha frantumato uno dei termini della relazione<br />
lasciando intatto l’altro, per sua stessa natura<br />
immodificabile.<br />
“Di qui la supremazia strutturale del Genere F.<br />
Si tratta di un fatto fondante che potrebbe durare<br />
sino a quando esisterà la SIA nei suoi diversi<br />
stadi di sviluppo. Stadi che, prospetticamente,<br />
lasciano intravedere come certo l’avvento di una<br />
società nella quale le attività di polarità maschili<br />
(comportanti fatiche, usura, rischi, sporcizia)<br />
saranno ridotte a frazioni minimali e infine del<br />
tutto eliminate dalla robotizzazione del lavoro.<br />
Società dunque in cui tutte le attività produttrici<br />
di reddito potranno essere svolte dalle DD. Nel<br />
suo sviluppo la SIA ha poi aperto la possibilità<br />
dell’autoriproduzione femminile, prima a mezzo<br />
della fecondazione assistita (fatto reale) e poi<br />
con la clonazione (prospettiva imminente). Due<br />
eventi dirompenti sul piano simbolico in quanto<br />
escludono il maschio e l’intero Genere anche<br />
dalla funzione riproduttiva. La femmina si<br />
11 Le citazioni sono tratte dall’articolo di Barnart, “L’emergere<br />
storico della Questione Maschile”, pubblicato su<br />
www.uominibeta.org.<br />
mantiene e si riproduce da sola: l’inutilità maschile<br />
è conclamata. La distruzione strutturale<br />
del valore maschile sembra compiuta.”<br />
Viene quindi introdotto nell’analisi della<br />
questione maschile il fattore tecnico, che però<br />
non basta, da solo, a spiegare la nuova realtà sociale.<br />
In stretto connubio con la tecnica, che ne<br />
costituisce la premessa e la possibilità, è tutta la<br />
società che si va femminilizzando. La SIA,e qui i<br />
punti di contatto con la tesi illustrata in precedenza<br />
sono evidenti,<br />
“si fonda infatti sull’espansione del ciclo produzione-consumo-produzione,<br />
e quindi sul consumismo<br />
(shopping), sulla creazione (per l’immediata<br />
soddisfazione) di nuovi e crescenti bisogni<br />
(capricci/mode). <strong>Il</strong> progresso tecnico aumenta<br />
poi senza fine il numero e l’estensione applicativa<br />
delle facilitazioni/semplificazioni (le “comodità”),<br />
degli automatismi, delle sicurezze etc.”<br />
tutti elementi tradizionalmente più consoni e<br />
congrui con le caratteristiche e la psiche femminili<br />
che col maschile.<br />
Tuttavia non si può parlare, come sembrerebbe<br />
da quanto esposto finora, di una concezione<br />
meramente deterministica dettata da fattori<br />
puramente materiali. Così fosse la storia sa-<br />
7 settembre 2011 Anno XI
| ( 10 ) |<br />
rebbe<br />
“prescritta, ogni azione mirante a orientarne il<br />
corso sarebbe assurda, la responsabilità individuale<br />
e collettiva svanirebbe ed il valore dei fattori<br />
culturali sarebbe nullo. Così non è, perché<br />
in realtà tutte le relazioni sociali si collocano in<br />
una zona intermedia tra la dimensione materiale<br />
e quella immateriale (culturale in senso ampio)<br />
[…] Nel rapporto tra i sessi poi, i fattori psicoemotivi<br />
hanno un peso ancora maggiore che nelle<br />
altre relazioni (e in quello genitori-figli essi<br />
sono decisivi).”<br />
Esiste quindi uno spazio di movimento e di<br />
azione sul piano culturale in senso lato, quello<br />
stesso spazio l’occupazione indisturbata del quale<br />
ha consentito al femminismo di riscrivere la<br />
storia secondo i propri canoni. Barnart definisce<br />
questo processo come la Grande Narrazione<br />
Femminista 12 , che nella coscienza collettiva ha<br />
azzerato il valore degli uomini caricandoli della<br />
colpa inestinguibile … di essere maschi. Infatti la<br />
GNF mira a individuare in tutta la storia , in<br />
tutti i fatti che sono accaduti e accadono, un elemento<br />
unificante che tutto lega e collega sul<br />
piano collettivo ma anche su quello individuale.<br />
Tale elemento unificante si chiama “società patriarcale”,<br />
ai cui valori deve essere ricondotto<br />
non solo ogni singolo atto come materializzazione<br />
di un principio, ma anche ogni individuo il<br />
cui valore viene così messo in discussione da una<br />
colpa storica, “l’universale usurpazione maschile”<br />
13 di cui, in quanto maschio, è portatore.<br />
Quello spazio psicoemotivo che è stato conquistato<br />
dalla GNF è definito, per contrasto alla<br />
Noosfera 14 , come Etosfera 15 , il luogo del bene e<br />
del male, o meglio in cui si decide cosa è bene e<br />
cosa è male in funzione però non di uno sforzo<br />
verso la ricerca della verità oggettiva possibile,<br />
bensì di utilità per la propria causa.<br />
Due appaiono dunque essere i fattori principali<br />
della crisi maschile. Da un lato la tecnica<br />
che sta decretando l'inutilità degli uomini, dall'altro<br />
l'azzeramento di ogni loro valore positivo<br />
sancito dalla GNF.<br />
Comunque si giudichi la SIA, prodotto diretto<br />
del Capitalismo in stretta identità con quel<br />
modo di produzione oppure una tecnica di produzione<br />
dei beni che può vivere e svilupparsi anche<br />
nell’ambito di altri modi di produzione 16 , è<br />
un fatto che la società contemporanea ne sia<br />
permeata profondamente, e che all’orizzonte<br />
non si prospetta nessun ritorno all’indietro, salvo<br />
pensare a sconvolgimenti epocali o immani<br />
catastrofi, “temute” o anche quasi auspicate come<br />
reazione esacerbata da chi, profondamente a<br />
disagio per i suoi esiti, non vede alcuna luce in<br />
fondo al tunnel. Nella situazione data e nel presente,<br />
perciò, dobbiamo considerare irreversibili<br />
alcuni effetti della SIA sui rapporti fra uomini e<br />
donne, ma anche tenere bene in mente che, per<br />
sua stessa natura di spinta costante e irreversibile,<br />
la Tecnica potrebbe in futuro sconvolgerli<br />
nuovamente. Ad esempio con l’invenzione, per<br />
ora allo stato di prototipo, dell’utero artificiale o<br />
dell’amante sintetica che avrebbero l’effetto di<br />
azzerare anche il valore delle donne come è già<br />
accaduto agli uomini. La domanda, angosciosa,<br />
che si pone, è allora se il rimedio allo squilibrio<br />
prodotto dalla Tecnica possa trovarsi solo nella<br />
Tecnica stessa e nei suoi aberranti ritrovati.<br />
“La parità dovrebbe collocarsi solo al fondo<br />
della disumanizzazione e nelle forme dell’apartheid<br />
I ponti crollati non sono in alcun<br />
modo sostituibili, bypassabili e quelli che pos-<br />
12 “Come il marxismo-leninismo fu la Grande Narrazione del<br />
proletariato, così il femminismo è la Grande Narrazione delle<br />
donne occidentali che si va progressivamente mondializzando, ad<br />
imitazione e, di fatto, in sostituzione del primo.” R.B. op. cit.<br />
13 Diotima (comunità filosofica femminile presso l’Università di<br />
Verona). Oltre l’uguaglianza, le radici femminili dell’autorità. Liguori,<br />
Napoli 1995.<br />
14 Termine coniato da Teilhard de Chardin a designare la dimensione<br />
sia della conoscenza che dei valori.<br />
15 <strong>Il</strong> termine Etosfera appare ed è spiegato nel suo esatto significato<br />
in R. Barnart, Op. Cit.<br />
16 Da questo punto di vista, è interessante notare l’assonanza con<br />
quanto scrive, a proposito del sistema Tecnico, Jacques Ellul ne <strong>Il</strong><br />
sistema tecnico.La gabbia delle società contemporanee (Jaca Book,<br />
2009). Per Ellul la tecnica è il vero fattore determinante della società,<br />
più dell’economia e della politica, più dei sistemi ideologici<br />
contrapposti (Ellul scriveva nel 1977) su cui ogni società crede di<br />
essere fondata. Le scelte di ogni società sono in realtà dettate dalle<br />
esigenza della tecnica, la quale risponde solo alla propria logica e,<br />
informando di sé l’ambiente e le stesse persone, è di fatto la negazione<br />
di ogni reale libertà di scelta, nonché del principio di responsabilità.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 656
| ( 11 ) |<br />
sono crollare, lo faranno necessariamente<br />
No se si riconosce l’esistenza di condizioni e<br />
forze in grado di equilibrare il rapporto ad onta<br />
di quei fatti. Ora, non potendosi trovare sul piano<br />
materiale (che opera in direzione opposta),<br />
quelle forze devono agire nella dimensione immateriale,<br />
psicologica e valoriale. E infatti è là<br />
che si trovano ed è a mezzo di una battaglia, o<br />
meglio di una guerra culturale — di lunga durata<br />
— che la partita può essere vinta.<br />
In sostanza siamo chiamati ad intervenire nella<br />
dimensione psichica, a rigenerare il sistema simbolico,<br />
l’insieme dei valori (stati, condizioni, dinamiche<br />
psicoemotive) che presiedono, regolano<br />
e guidano la relazione M/F e l’intera società.<br />
Si sa e, prima ancora, si sente che quello è il terreno<br />
di lotta. Di qui il fascino oscuro — quasi<br />
inconfessabile — dell’Islam (comunque lo si<br />
giudichi), che fonda la sua forza sulla difesa di<br />
un sistema simbolico intatto e che ne protegge<br />
l’integrità in tutti i modi, come se temesse che,<br />
corroso quello, la rovina dilaghi [...]<br />
Ora quelle forze e dinamiche immateriali che di<br />
fatto agiscono in direzione mortifera possono e<br />
devono agire nell’altra, quella salvifica.<br />
La QM innesca un aperto conflitto culturale<br />
volto a modificare lo stato psichico collettivo<br />
attraverso la costruzione di un nuovo racconto<br />
maschile, da gettare sul piatto della bilancia. Vi<br />
è inclusa la riumanizzazione della relazione. Un<br />
nuovo Passato e un nuovo Presente per un futuro<br />
vivibile. Sotto qualsiasi cielo.”<br />
Si tratta dunque, per gli uomini, di ri-raccontare<br />
se stessi, oltre ogni pretesa di raccontare<br />
anche il femminile, con il principale e necessario<br />
fine di rilegittimarsi ai propri stessi occhi in<br />
quanto maschi 17 . In questo racconto di sé, entreranno<br />
necessariamente, poiché il maschile è Lo-<br />
17 R. Barnart, Op. cit. “Sta dunque davanti agli uomini la necesità<br />
di costruire un autonomo sistema di Senso, totalmente separato<br />
da quello che il femminismo sta imponendo […] Si fonderà sulle<br />
specificità originarie della maschilità, su quelle polarità che ne<br />
individuano i caratteri universali: creazione contro manutenzione,<br />
dono contro calcolo, realizzazione contro appagamento, coscienza<br />
contro incoscienza, responsabilità contro innocenza, rinuncia<br />
contro soddisfazione, frugalità contro consumo, Spirito contro<br />
Materia [...] Gli uomini sono diventati inutili, ma si tratta di una<br />
inutilità relativa nel senso che sono diventati inutili per le donne,<br />
le quali però rappresentano solo la metà del mondo, l’altra metà è<br />
formata dagli uomini e non si è ancora trovata una ragione sulla<br />
cui base affermare che siano diventati inutili a se stessi.”<br />
gos e Spirito, anche i temi del sacro e della paternità.<br />
Passaggio intermedio necessario della rilegittimazione<br />
diventa però, nelle condizioni<br />
date, l’ottenimento di un potere su se stessi analogo<br />
a quello di cui godono le donne, ad esempio<br />
per la questione della volontà o non volontà di<br />
essere madri. Se e quando questo potere sarà riconquistato,<br />
sarà allora possibile guardare a temi<br />
come l’aborto o la fecondazione artificiale in ottica<br />
non di genere ma universale, considerandone<br />
tutte le implicazioni dal punto di vista antropologico.<br />
L'approccio antropologico: Maschi Selvatici.<br />
Gli accenni immediatamente sopra ci servono<br />
per introdurre un altro sguardo sulla Questione<br />
Maschile, a cui attingeremo in modo privilegiato,<br />
essendone parte in causa, per trattare in seguito,<br />
più in profondità, le singole questioni attinenti<br />
al maschile, la sua identità profonda e la<br />
sua attuale crisi. Si tratta dell’associazione<br />
Maschi Selvatici , promotrice del convegno citato<br />
all’inizio dell’articolo, nata alla fine degli anni<br />
’90 ispirandosi ai lavori di Claudio Risè 18 , il<br />
primo nel nostro paese a sollevare la QM col suo<br />
libro <strong>Il</strong> maschio selvatico, edito nel 1996 e ormai<br />
giunto oltre la quindicesima edizione. Come<br />
scrivevo sopra, le radici della crisi dell’identità<br />
maschile nell’Occidente moderno non sono da<br />
ricercarsi nell’economia o nel modo di produrre<br />
i beni, nel mutamento della struttura sociale e<br />
familiare o nel femminismo e nel protagonismo<br />
delle donne. Sono tutti, beninteso, fenomeni<br />
reali ed influenti con cui fare i conti ma non c’è<br />
fra essi un elemento scatenante originario, la<br />
causa per eccellenza. Si tratta piuttosto di un<br />
processo secolare e non uniforme al quale concorrono<br />
tanti elementi. Si dice spesso ad esempio<br />
che la crisi d’identità maschile sia tutt’uno con<br />
la crisi d’identità della figura paterna. L’affievolirsi<br />
della seconda nella coscienza di sé paterna e<br />
nella coscienza sociale collettiva incidono gravemente<br />
sullo sviluppo identitario del giovane<br />
uomo, ed è senza dubbio vero. La virilità non è<br />
18 Risè ha trattato della QM in altri suoi lavori e da differenti<br />
angolazioni, v. Bibliografia finale.<br />
7 settembre 2011 Anno XI
| ( 12 ) |<br />
Caerano di San Marco 1938.<br />
solo un fatto biologico ma anche un complesso<br />
di fattori psichici e sociali, in senso lato culturali,<br />
che sulla biologia si innestano e che devono<br />
essere “appresi” in quanto l’essere umano ha un<br />
corredo istintuale ridotto. Quando viene a mancare<br />
chi dovrebbe insegnare la virilità al giovane<br />
maschio, tradizionalmente il padre o un suo sostituto<br />
di sesso maschile, questi si ritrova “disarmato”<br />
e soggetto a influenze altre. È esattamente<br />
questa la situazione di oggi in cui, in famiglia<br />
e nella scuola, i processi educativi sono affidati<br />
praticamente per intero in mani femminili. Tuttavia<br />
c’è da chiedersi, ovviamente, il perché della<br />
“scomparsa” del padre. Allo stesso modo, osservando<br />
che la crisi del maschile diviene evidente<br />
nella modernità (o nella ormai post-modernità)<br />
e che questa si caratterizza come società<br />
interamente secolarizzata e desacralizzata (non<br />
nel senso di distinzione laica fra Regno di Cesare<br />
e Regno di Dio, ma come marginalizzazione del<br />
fenomeno religioso nella sfera intimistico-individuale<br />
che si pretende debba essere socialmente<br />
irrilevante), viene da interrogarsi sulla relazione<br />
fra questi fenomeni. Così come sulla relazione<br />
esistente con il prevalere di filosofie utilitaristiche<br />
e con il materialismo pratico che impronta<br />
lo stile di vita contemporaneo. Potremmo continuare<br />
ancora con altri esempi, ma è già chiaro<br />
che il tutto ci rimanda costantemente ad altro in<br />
un intreccio di cause/effetti difficilmente dipanabile.<br />
Tuttavia, se, come credo, la crisi non<br />
colpisce solo questo o quel gruppo, o solo i maschi<br />
di alcune classi sociali, ma seppure con modalità<br />
apparentemente diverse coinvolge l’intero<br />
gruppo maschile, allora deve esistere un punto<br />
di rottura che ha generato, diciamo, una scissione<br />
del maschio da se stesso e la perdita, o l’impossibilità<br />
a riconoscere, vivere concretamente e<br />
rigenerare continuamente, il proprio sistema<br />
simbolico.<br />
Ora, il maschile è universalmente rappresentato,<br />
dalle antiche filosofie orientali a quelle<br />
della Grecia classica, come verticalità, tensione<br />
verso l’alto, il cielo. Secco, luminoso, apollineo,<br />
superuranico, ma anche Spirito, Logos, Coscienza,<br />
in contrapposizione simbolica col femminile<br />
umido, ctonio, oscuro, natura, inconscio.<br />
C’è in questa descrizione dei caratteri maschili<br />
un evidente rimando al Sacro, al religioso, a Dio<br />
la cui dimora è inevitabilmente in cielo. Scrive<br />
Claudio Bonvecchio 19 a proposito del simbolismo<br />
maschile di Artù:<br />
“[…] in quanto prototipo del sovrano si mostra<br />
19 Op. Cit. pag. 51.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 656
| ( 13 ) |<br />
insensibile ad ogni istanza emotiva e passionale,<br />
in nome della giustizia e dell’ordine che ritiene<br />
di impersonare al più alto grado. Si percepisce<br />
come Imago Christi in terra. E Cristo, a sua<br />
volta, come ribadisce Jung 20 , è una spada affilata.”<br />
Ecco dunque delinearsi un aspetto importante<br />
della crisi. <strong>Il</strong> sistema simbolico maschile non<br />
può prescindere dal trascendente, ma neanche<br />
disinteressarsi degli aspetti più terreni dell’esistenza.<br />
Da quella rottura, a cascata, se ne generano<br />
nel tempo infinite altre, fino a ripercuotersi<br />
sulla stessa corporeità, se è vero che è in netto<br />
aumento la sterilità maschile, che è poi la somatizzazione<br />
della paura di riprodursi. 21<br />
L’accenno alla crisi del corpo non è casuale.<br />
La società tecnica 22 ha separato l’uomo dal<br />
mondo della natura, a tutto vantaggio di processi<br />
di pensiero astratti e intellettuali, di produzioni<br />
artificiali e tecnologiche entro le quali si racchiude<br />
ormai tutta l’esperienza del mondo che<br />
all’uomo è dato compiere. Ma il mondo della<br />
natura, nelle società tradizionali, era anche<br />
quello del Sacro. Erich Neumann 23 definisce<br />
questo processo anche come scissione fra coscienza<br />
e sistema inconscio. Per il maschile, dato<br />
il suo diverso e meno immediato rapporto col<br />
corpo/natura/inconscio rispetto alla donna, questa<br />
scissione ha conseguenze ancora più disastrose.<br />
In primo luogo per la perdita di contatto col<br />
proprio simbolo per eccellenza, il fallo eretto<br />
che da terra si slancia verso il cielo, quasi appunto<br />
a simboleggiarne la necessità dell’unione fra i<br />
due poli. E poiché un simbolo è qualcosa di vivo<br />
che tiene insieme fisico e psichico (definizione di P.<br />
Ferliga), si delinea così un altro aspetto della<br />
crisi generata dall’allontanamento dalla dimensione<br />
trascendente: l’effetto disgregante sulla<br />
psiche maschile della scissione fra corpo e spirito,<br />
fra terra e cielo. <strong>Il</strong> mito di Icaro che per es-<br />
20 C. G. Jung, Risposta a Giobbe.<br />
21 C. Risè, La Questione Maschile.<br />
22 Inevitabile il riferimento ai recenti numeri de <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> dedicati<br />
alla modernità, e in particolare alla discussione su Romano<br />
Guardini.<br />
23 E. Neumann, Storia delle origini della coscienza, Astrolabio,<br />
Roma 1978.<br />
sersi allontanato troppo dalla terra nel suo slancio<br />
verso il cielo, vi riprecipita pesantemente<br />
perché le sue ali si sono bruciate, serve assai bene<br />
ad illustrare la situazione dell’uomo moderno,<br />
ed indica anche la via per la sua rinascita. Lo<br />
slancio maschile verso l’alto che si disancori dalla<br />
natura, finisce per produrre l’effetto opposto,<br />
risottoponendolo in realtà al dominio dell’inconscio<br />
rimosso in un movimento di natura regressiva,<br />
riscontrabile fra l’altro nell’insieme<br />
della società. <strong>Il</strong> mito di Icaro ci indica però, come<br />
dicevo, anche la via d’uscita per riconquistare<br />
la perduta integrità identitaria. È ciò che Junger<br />
24 definisce come il passaggio al bosco, il luogo<br />
della selvaticità, ossia il processo di rigenerazione<br />
psichica indotto dalla riunificazione fra<br />
mente e forze primordiali. Esso, scrive Risè nell’opera<br />
citata,<br />
“crea una nuova coscienza, che non confonde<br />
l’uomo con la terra, ma mostra all’uomo che la<br />
sperimenta (come avveniva nelle società tradizionali,<br />
presecolarizzate, nelle quali il Sacro<br />
naturale non era separato dall’uomo e dalla sua<br />
riflessione), un movimento ascensionale.”<br />
Potremmo allora partire da qui per approfondire<br />
successivamente gli aspetti che disegnano la<br />
crisi del maschile. Da qui e da queste parole del<br />
poeta Ezra Pound :<br />
<strong>Il</strong> cuore fallico dell’uomo proviene dal cielo<br />
fonte chiara di giustezza<br />
l’ingordigia lo svia.<br />
<strong>Il</strong> cuore sia retto<br />
<strong>Il</strong> fallo percepisca il suo scopo.<br />
(canto 99)<br />
j<br />
a Le tematiche di discussione.<br />
Schematizzando, i temi di discussione all’interno<br />
dei movimenti degli uomini, e che questi<br />
propongono all’attenzione della società, pos-<br />
24E. Junger, Trattato del Ribelle, Adelphi, Milano 1990. Per una<br />
discussione più approfondita si veda C. Risè, “<strong>Il</strong> Ribelle e il<br />
bosco”, in L’ombra del potere, op, cit.<br />
7 settembre 2011 Anno XI
| ( 14 ) |<br />
sono essere raggruppati per grandi aree tematiche<br />
che, naturalmente, si intrecciano fra loro e<br />
segnano anche prospettive e obbiettivi strategici<br />
che ciascun movimento assegna a se stesso.<br />
Z<br />
Sul piano filosofico/antropologico è fondamentale<br />
il tema del valore e del senso della differenza<br />
sessuale. L’essere maschio (o femmina),<br />
è un dato di natura che partendo dal corpo disegna<br />
anche la psiche, oppure è un puro costrutto<br />
culturale modellabile a piacere e comunque dipendente<br />
dalle scelte soggettive In altri termini,<br />
è possibile individuare una differenza ontologica<br />
fra maschile e femminile, quindi destinata a<br />
riprodursi nel tempo e nelle diverse culture nonostante<br />
l’evoluzione e i mutamenti delle stesse<br />
Come vedremo concretamente meglio parlando<br />
del problema delle Quote, la concezione antropologica<br />
ormai prevalente in Occidente è che<br />
maschilità e femminilità siano determinati unicamente<br />
dalle strutture culturali e che uomini e<br />
donne, se non condizionati dalle stesse, si distribuirebbero<br />
in modo analogo rispetto a tutte attività<br />
umane. Da questa concezione nasce la convinzione<br />
che laddove esista una minor presenza<br />
femminile ciò non accada per libera scelta soggettiva,<br />
ma sempre a causa di discriminazioni<br />
culturali da correggere per legge. È la così detta<br />
discriminazione positiva, la quale però ha come<br />
effetto necessario una discriminazione negativa,<br />
ed è questo l’aspetto più grave della questione,<br />
istituita per legge, che colpisce gli individui non<br />
rientranti nella categoria protetta.<br />
Altrettanto fondamentale è il tema dell'autorità<br />
e della sua fonte. Riguarda ovviamente tutta<br />
la società, ma poiché i suoi tradizionali portatori<br />
sono stati da sempre gli uomini, crisi del maschile<br />
e crisi del concetto di autorità finiscono per<br />
coincidere, e a loro volta rimandano direttamente<br />
alla crisi del padre e della sua Legge. Anche<br />
su questo tema esistono vedute diverse fra le<br />
concezioni più libertarie e quelle più, diciamo<br />
così, tradizionaliste. Senza poterci addentrare<br />
nella questione generale, possiamo provare a<br />
sintetizzare la discussione nel modo che segue.<br />
<strong>Il</strong> prestigio e l'autorità del padre nascono dal<br />
suo essere rappresentante in terra dell'ordine<br />
simbolico divino Oppure si possono individuare<br />
in fattori di natura puramente terrena 25 . Dalla<br />
risposta a questo interrogativo emergono non<br />
solo analisi diverse circa i motivi della crisi paterna<br />
e maschile, ma anche differenti prospettive<br />
strategiche della QM, ad esempio fra il recupero<br />
della funzione simbolica ( e concreta) del padre,<br />
necessario per la stessa identità maschile, oppure,<br />
dando come irreversibile la situazione attuale,<br />
la necessità di reinventarsi l'identità maschile<br />
ex novo<br />
Se viene posto in modo forte il legame fra Padre<br />
divino e padre terreno, torna allora il problema<br />
del nesso fra desacralizzazione del mondo,<br />
tramonto della Legge del padre e crisi d'identità<br />
maschile, con perdita di funzioni, prestigio<br />
e prerogative, non più fondate su un ordine<br />
superiore a quello terreno e quindi non più “giustificate"<br />
e legittimate. Tuttavia, di fronte all'evidenza<br />
dei fatti che ci dicono quanto la crisi del<br />
paterno sia dannosa per i giovani e per la società<br />
nel suo insieme, e quanto sia carente un'impostazione<br />
del problema su basi esclusivamente razionali<br />
e intellettualistiche, la questione del padre<br />
torna prepotentemente d'attualità ed è oggetto<br />
di analisi che, pur muovendosi su un terreno<br />
diverso, offrono notevoli spunti d'interesse. 26<br />
25 Scrive ad esempio Risè in <strong>Il</strong> padre l'assente inaccettabile (San<br />
Paolo.2003): “La relazione tra paternità ed esperienza religiosa,<br />
da cui la figura paterna trae la propria funzione ed efficacia, fa si<br />
però che l'eclissi del padre terreno, la sua perdita di senso socialmente<br />
riconosciuto, si accompagna a un corrispondente indebolimento<br />
della figura del Padre divino nell'esperienza dell'uomo. Si<br />
realizza così lo sprofondamento dell'uomo in una materia svilita,<br />
disanimata, dissacrata, e contemporaneamente uno sbiadimento<br />
dell'esperienza religiosa.”<br />
26 Mi riferisco, fra gli altri, allo psicanalista lacaniano Massimo<br />
Recalcati, recente autore del libro Cosa resta del padre La paternità<br />
nell'epoca ipermoderna (Raffaello Cortina Editore. 2011), significativamente<br />
intervistato anche da <strong>Il</strong> Manifesto. Per una recensione<br />
più puntuale del lavoro di Recalcati si veda in<br />
www.maschiselvatici.it/index.phpview=article&id=900. In questa<br />
sede mi limito a sottolineare due elementi significativi ai fini di<br />
questa discussione. <strong>Il</strong> primo è diciamo pure scontato per chi sa<br />
qualcosa di psicanalisi, ma vale sempre la pena ripeterlo. La Legge<br />
del padre è, in ultima ed essenziale analisi, l'interdizione dell'incesto<br />
madre/bambino. Mentre è solo su quel limite che può<br />
fondarsi un desiderio autentico, la sua mancanza, come appunto<br />
nella nostra epoca ipermoderna, produce la tendenza ad un godid<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 656
| ( 15 ) |<br />
E dunque, sul piano sociologico, esistono o no<br />
campi, ruoli, funzioni, competenze, lavori, interessi,<br />
passioni, su cui maschi e femmine si polarizzano<br />
spontaneamente e di cui la società farebbe<br />
bene a tener conto, fatta salva naturalmente<br />
la libertà individuale È saggio o sbagliato, perciò,<br />
favorire in certa misura la separatezza fra<br />
maschi e femmine al fine di sviluppare e preservare<br />
le rispettive identità di genere con lo scopo<br />
ultimo di coltivare la fecondità dell’incontro<br />
con l’irriducibile diversità dell’altro/a, anziché<br />
stimolare, come sta avvenendo, una competizione/confronto<br />
distruttivi fra i generi in lotta sugli<br />
stessi terreni per identici traguardi e che, inevitabilmente,<br />
finisce per ri-proporre gerarchie 27<br />
mento immediato, caotico, smarrito, assoluto, privo di ancoraggi simbolici.<br />
Ma ciò che è più interessante è il fatto che Recalcati nota la<br />
“prossimità" fra la Legge paterna come interdizione e dono, e la<br />
Legge biblica (pag. 57 e segg.).<br />
Questa relazione che Recalcati nota, è importante da qualunque<br />
parte la si legga. Sia che la legge biblica fondi la legge paterna, sia<br />
che sia stata la legge del padre a ispirare la Bibbia nel dettare la<br />
sua legge, ne risulta comunque l'imprenscindibile importanza e<br />
del padre e della sua funzione per una società che non voglia regredire<br />
e sprofondare nel caos. Tanto basta per spazzare via ogni<br />
ipotesi che fonda la libertà umana sulla scomparsa del padre, e per<br />
estensione logica della maschilità così come da sempre si è espressa<br />
nei suoi punti più alti.<br />
27 Per Ivan <strong>Il</strong>lich (<strong>Il</strong> genere e il sesso. Mondadori 1982, ormai introvabile),<br />
il sessismo delle società moderne, che lui, all'inizio degli<br />
anni '80 leggeva solo in senso antifemminile ma che per l'evoluzione<br />
sociale è suscettibile di cambiare di segno, non è causato<br />
dalla codificazione culturale della differenza sessuale, ma all'opposto<br />
dal suo misconoscimento. Nelle società preindustriali il genere,<br />
che <strong>Il</strong>lich definisce “vernacolare", delimita gli spazi e i domini<br />
propri di ciascun sesso, che non è mai immagine speculare<br />
dell'altro.<br />
“Quando fin dall’infanzia, uomini e donne cominciano a comprendere<br />
il mondo secondo due modi complementari, essi elaborano<br />
due modelli differenti di concettualizzazione dell’universo. Un<br />
modo di percezione legato al genere corrisponde all’insieme degli<br />
utensili e dei compiti propri di ogni genere. Non solo si vedono le<br />
cose con differenti sfumature, ma si impara sin dall’inizio che ogni<br />
cosa ha sempre un altro aspetto. E ci sono cose che sono sempre<br />
alla portata di un ragazzo, ma — quasi sempre — non di una ragazza”.<br />
Viene così a stabilirsi fra uomini e donne una situazione di complementarietà<br />
asimettrica. Dove per asimmetria si intende il fatto<br />
che il maschile è dominante nel pubblico e il femminile nel privato,<br />
e per complementarietà si intende che entrambi partecipavano<br />
all'economia familiare ed erano indispensabili l'uno all'altro.<br />
Questo stato di “equilibrio", seppure mai identico a se stesso, esisteva<br />
tuttavia in ogni società , e viene rotto soltanto con l'avvento<br />
della società industriale.<br />
“Una società industriale non può esistere se non impone certi<br />
presupposti unisex: il presupposto che entrambi i sessi siano fatti<br />
per lo stesso lavoro, percepiscano la stessa realtà e abbiano, a parte<br />
Tipica a questo proposito è la questione delle<br />
classi separate o unisex nelle scuole, laddove ritengo<br />
che le classi separate favorirebbero, in linea<br />
di massima, metodologie didattiche ritagliate<br />
su misura per la diversa psiche e i differenti<br />
tempi di sviluppo psicofisico di ragazze e ragazzi.<br />
L’argomento scuola rimanda immediatamente<br />
al fenomeno della sua femminilizzazione e<br />
della scomparsa progressiva degli insegnanti<br />
maschi, praticamente già conclusa nella scuola<br />
primaria, con implicazioni multiple. Da quella<br />
già accennata circa la mancanza per i giovani<br />
maschi di modelli con cui identificarsi, a metodologie<br />
didattiche che, oltre la bravura e l’impegno<br />
delle insegnanti, finiranno per modellarsi<br />
necessariamente sulla sensibilità e sul modo<br />
d’apprendimento propri del femminile.<br />
Se la questione della scuola è un tema particolarmente<br />
importante perché decisivo per l'identità<br />
di genere in formazione, nondimeno non<br />
è l'unica in cui si esercita l'egemonia culturale<br />
del politically correct. Sull'onda dell'offensiva<br />
“modernizzatrice", ormai anche i corpi militari<br />
hanno aperto i propri ranghi alle donne, salvo,<br />
naturalmente, per quei reparti destinati al combattimento<br />
di prima linea e, per facilitare l'accesso<br />
del gentil sesso, abbassando i parametri di<br />
efficienza fisica minima necessari per essere arruolati.<br />
A parte questo, questione comunque di<br />
non poco conto, recenti fatti di cronaca in Italia,<br />
ma ancor prima negli USA e in GB, pongono<br />
in evidenza problemi rilevanti causati dalla<br />
promiscuità fra i sessi, dai quali davvero non si<br />
capisce cosa le donne abbiano da guadagnare,<br />
salvo che non vogliano assomigliare sempre di<br />
più ai maschi, o meglio al loro lato più criticato<br />
e criticabile, quello del machismo.<br />
L'offensiva “emancipazionista" non risparmia,<br />
ed è ovvio, neanche le Chiese cristiane. In<br />
quest'ambito, se fra i Protestanti ha ottenuto riqualche<br />
trascurabile variante esteriore, gli stessi bisogni. Ed anche<br />
il presupposto della scarsità, fondamentale in economia, è logicamente<br />
basato su questo postulato unisex. Sarebbe impossibile una<br />
concorrenza per il lavoro fra uomini e donne, se del lavoro non<br />
fosse stata data la nuova definizione di attività che si confà a tutti<br />
gli umani, indipendentemente dal loro sesso. <strong>Il</strong> soggetto su cui si<br />
basa la teoria economica è proprio questo essere umano neutro.”<br />
7 settembre 2011 Anno XI
| ( 16 ) |<br />
Mazara del Vallo 1960.<br />
levanti vittorie come il Sacerdozio femminile, le<br />
resistenze iniziano però a farsi valere, ad iniziare<br />
dagli Anglicani molti dei quali si sono riavvicinati<br />
alla Chiesa di Roma proprio in contrasto coi<br />
provvedimenti di apertura al sacerdozio femminile.<br />
28<br />
Ed ancora, come si intrecciano questione maschile<br />
e femminismo È quest’ultimo la causa<br />
della crisi del maschile, e quindi la QM si configura<br />
come risposta difensiva, o al contrario il<br />
femminismo nasce e si sviluppa proprio a causa<br />
di un maschile già minato al suo interno e incapace<br />
di risposte in grado di tenere insieme la co-<br />
28 Sembra, almeno per ora, che la Chiesa Cattolica costituisca<br />
un baluardo difficilmente attaccabile su questo piano, avendo più<br />
volte ribadito il senso e i motivi teologici che riservano il sacerdozio<br />
ai soli maschi, nonostante si siano affacciate correnti teologiche<br />
propense a rompere la tradizione millenaria. Ci piacerebbe ritornare<br />
in futuro sul problema in modo più approfondito e con voci<br />
ben più autorevoli di chi scrive, in questa sede voglio rilevare<br />
soltanto che alcune gerarchie ecclesiastiche stanno assumendo<br />
consapevolezza che il tema dell'identità di genere, e quindi dei rispettivi<br />
ruoli e funzioni all'interno della stessa comunità dei fedeli,<br />
è di grande importanza per l'avvenire della Chiesa stessa.<br />
Nelle diocesi statunitensi, laddove cioè l'ideologia modernista è<br />
penetrata per prima e più profondamente, i Vescovi di Phoenix<br />
(Arizona) e Lincoln (Nebraska), hanno deciso che la funzione di<br />
chierichetto, in quanto nella tradizione precedente i Seminari era<br />
considerata un momento di apprendistato al sacerdozio, deve di<br />
nuovo essere riservata ai soli maschi.<br />
La cosa più “stupefacente" è che l'effetto di quelle misure è stato<br />
un rifiorire delle vocazioni, maschili ma anche femminili, come se<br />
la chiarezza su ruoli e funzioni costituisse un potente fattore d'attrazione.<br />
(Fonte: http://blog.messainlatino.it)<br />
munità oltre le differenze sessuali e di genere<br />
con la conseguenza del loro divergere in un’ottica<br />
di contrapposizione anziché convergere in ottica<br />
di complementarietà/collaborazione<br />
Z<br />
Risulta evidente che risposte diverse a questi<br />
quesiti implicano diverse prospettive a lungo<br />
termine, anche se non pregiudicano la convergenza<br />
concreta su molti problemi attuali, in primo<br />
luogo quelli di natura legislativa e giuridica,<br />
influenzati, per giudizio comune di pressoché<br />
tutti i gruppi, da un pre-giudizio antimaschile e<br />
antipaterno.<br />
Alla fine è proprio questo il terreno, nonché<br />
quello della rappresentazione mediatica della<br />
dialettica fra i generi 29 , su cui si misura l’orien-<br />
29 Si veda in proposito il n.°357 del 17.12.2006 de <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>. In<br />
questa occasione aggiungo un altro tema su cui i media tacciono o<br />
glissano. I morti sul lavoro, che per il 96% sono maschi, e che<br />
quindi si configura interamente come una questione di genere. L’identità<br />
sessuale dei morti sul lavoro sparisce, dissimulata nei termini<br />
neutri di operai o lavoratori. Allo stesso modo, i media tacciono<br />
sul fatto che i suicidi nelle carceri sono quasi esclusivamente<br />
di uomini, e più in generale che il sovrappopolamento delle nostre<br />
carceri maschili ha raggiunto livelli insostenibili, mentre quello<br />
nelle carceri femminili è solo poco oltre il limite che la legge consente.<br />
Anche questo, dunque, è un problema di genere misconosciuto.<br />
Per quanto riguarda il modo con il quale i media, ma non<br />
solo, trattano la questione della violenza, rimandiamo a questi due<br />
importanti lavori scientifici di Eugenio Pelizzari:<br />
www.maschiselvatici.it/index.phpview=article&id=372<br />
http://www.psychomedia.it/pm/grpind/separ/pelizzari.pdf<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 656
| ( 17 ) |<br />
tamento di una società. Quello che segue è un<br />
puro e semplice elenco di temi, molto diversi per<br />
importanza e incidenza, sui quali i movimenti<br />
maschili vogliono attirare l’attenzione dell’opinione<br />
pubblica perché registrano storture o insufficiente<br />
attenzione da parte del legislatore e<br />
del magistrato.<br />
1. Le leggi sull’aborto che escludono<br />
completamente l’opinione del padre, anche solo<br />
consultiva, sulla possibilità che un figlio che<br />
è anche suo possa o meno nascere. Su questo<br />
argomento sono da registrare impostazioni divergenti<br />
anche fra quei movimenti che abbiamo<br />
definito “radicali”. Schierati dalla stessa parte<br />
nel constatare come le leggi abortive siano antimaschili<br />
e antipaterne, non c’è però identità<br />
di pensiero sulla strada da seguire per correggere<br />
quell’impostazione. Si fronteggiano impostazioni<br />
pro-choise, per le quali il riequilibrio<br />
può essere ottenuto solo attribuendo anche ai<br />
padri una sorta di “diritto all’aborto” nel senso<br />
della libertà di rifiutare una paternità non voluta,<br />
e impostazioni pro-life, per le quali non<br />
solo è da mettere in primo piano il diritto alla<br />
vita del bambino, ma da quella strada passa anche<br />
il recupero di una maschilità e paternità<br />
autentiche, troppo spesso tradite dagli stessi<br />
uomini.<br />
2. Su un argomento affine, ma per ora fortunatamente<br />
non in Italia, le leggi che consentono<br />
a donne single di avere figli con l’inseminazione<br />
eterologa negando di fatto ogni<br />
importanza alla paternità, oltre che negare al<br />
figlio un padre concreto. Anche qui vale quanto<br />
detto sopra sulla diversità di vedute fra chi,<br />
in sostanza, considera la questione paterna come<br />
fondante anche la questione maschile e chi<br />
vede la prima solo come parte della seconda.<br />
3. L’atteggiamento della magistratura<br />
nelle cause di separazione e divorzio. Sia per<br />
l’affidamento dei figli, ancora largamente a favore<br />
della madre nonostante la legge sull’affido<br />
condiviso, sia per il destino di povertà a cui sono<br />
destinati molti padri e mariti separati. Condannati<br />
a pagare alimenti misurati sul tenore di<br />
vita precedente, quasi sempre espropriati della<br />
casa familiare per la quale sono comunque tenuti<br />
a continuare a pagare le rate di mutuo (o<br />
che, addirittura, era di loro intera proprietà),<br />
sono i “nuovi poveri”, frequentatori spesso della<br />
mense della Caritas o degli “alberghi popolari”.<br />
<strong>Il</strong> tema delle separazioni implica, più in<br />
generale, l’atteggiamento rispetto al matrimonio<br />
e alla famiglia, fra chi le considera istituzioni<br />
ormai diventate una trappola per gli uomini<br />
da cui tenersi alla larga, e chi invece intende<br />
recuperare in esse il senso profondo dell’essere<br />
maschi e padri, sia pure tenendo conto<br />
delle trasformazioni sociali avvenute.<br />
4. <strong>Il</strong> comportamento della magistratura di<br />
fronte alle denunce per violenza o molestie. È<br />
noto da statistiche ufficiali, che circa l’80%<br />
delle denunce di molestie, soprattutto in fase di<br />
separazione matrimoniale, risulta completamente<br />
falso, usato strumentalmente per ottenere<br />
vantaggi ingiusti sul piano economico e<br />
per l’esclusione del coniuge dall’affido dei figli.<br />
Nonostante questo, basta la denuncia affinché<br />
il padre sia inibito dal vedere i figli almeno fino<br />
a che la causa non avrà fatto il suo corso, e<br />
dunque perda il rapporto con loro. Ma nessuna<br />
conseguenza penale è mai stata posta a carico<br />
delle calunniatrici. Più in generale, la legge<br />
sullo stalking, in sé condivisibile, esime in pratica<br />
l’accusatrice dal portare le prove delle molestie,<br />
mentre rimane a carico dell’accusato provare<br />
la sua innocenza. Prova quasi sempre impossibile<br />
perché affinché ci sia molestia basta la<br />
percezione soggettiva della molestata. Così<br />
che, casi realmente accaduti, anche uno sguardo<br />
insistito o il regalo di un mazzo di fiori, possono<br />
essere sanzionati penalmente. Si tratta, in<br />
pratica, del ribaltamento di uno dei cardini<br />
dello stato di diritto.<br />
5. <strong>Il</strong> fatto, statisticamente accertato e comune<br />
a tutto l’Occidente, che per identici reati<br />
le pene inflitte agli uomini sono in media superiori<br />
a quelle inflitte alle donne, sfruttando i<br />
margini di discrezionalità del giudice. In materia<br />
è insuperabile il premier spagnolo Zapa-<br />
7 settembre 2011 Anno XI
| ( 18 ) |<br />
Beslan 2004 .<br />
tero che, affinché non sussistessero dubbi, ha<br />
fatto approvare una legge che maggiora le pene<br />
quando un reato è compiuto da un maschio nei<br />
confronti di una femmina.<br />
6. La questione delle Quote Rosa, prima<br />
in politica ed ora anche nei cda delle aziende<br />
(ma naturalmente non per i lavori usuranti),<br />
che inopinatamente, in nome delle pari opportunità<br />
rovescia proprio il principio delle pari<br />
opportunità. L’insospettabile John Stuart Mill,<br />
diceva che “A ogni individuo va data la stessa<br />
posizione di partenza senza però dover assicurare<br />
la medesima meta d’arrivo”. Esattamente<br />
l’opposto di ciò che accade con le quote, che<br />
per applicare il principio della discriminazione<br />
positiva, finiscono per discriminare in negativo<br />
i singoli individui, ovviamente di sesso maschile,<br />
alcuni dei quali si vedranno superati per meriti<br />
di sesso riconosciuti per legge. Non ci si<br />
sbaglia di molto a paragonare quel tipo di merito<br />
con quello messo in pratica da Berlusconi<br />
con le sue favorite che tanto ha scandalizzato i<br />
benpensanti. Senza parlare del fatto che la richiesta<br />
sempre più pressante di partecipazione<br />
paritaria, non solo è limitata ai settori ben specifici<br />
dove si esercita (o si crede sia esercitato) il<br />
potere mentre è inesistente per tutti quei lavori<br />
che richiedono fatica e rischio, ma va ad incidere<br />
sia sul principio della libertà di determinazione<br />
delle aziende e dei partiti politici, sia sul<br />
concetto stesso di rappresentanza, che non è<br />
scritto da nessuna parte debba essere rappresentanza<br />
per sesso. Ma non basta ancora. Introducendo<br />
un principio che potremmo definire<br />
“corporativo”, allora, e proprio in base alle<br />
stesse concezioni che muovono quella richiesta,<br />
non si capisce perché non istituire adeguate<br />
quote in funzione di religione, razza, etnia, inclinazione<br />
sessuali etc. Ed infine contraddice<br />
clamorosamente un fatto che a qualsiasi persona<br />
di buon senso appare scontato. La mission di<br />
un’impresa è quella di produrre profitto, mentre<br />
quella di un partito è di attirare consenso,<br />
ed è logico pensare che agiscano in tal senso.<br />
Le Quote ci dicono invece che non è così e che<br />
subordinerebbero il loro scopo istituzionale alla<br />
discriminazione verso le donne. È credibile<br />
E se non lo è, allora la selezione per sesso obbligatoria<br />
avrà l’effetto di diminuire il livello di<br />
efficienza e di competenza.<br />
7. Infine, e mi fermo qui per brevità, le<br />
questioni delle leggi sull’imprenditoria femminile<br />
che offrono finanziamenti per le nuove<br />
imprese a patto che siano rette da una donna,<br />
oppure l’annosa e perfino offensiva questione<br />
dell’età pensionabile. In base a cosa si pretende<br />
che una donna, la cui vita media è di circa cinque<br />
anni più lunga di quella di un uomo, vada<br />
in pensione cinque anni prima Eppure solo<br />
ora il nostro paese, e solo perché costretto, ha<br />
deciso l’equiparazione fra mille polemiche, la<br />
più pretestuosa delle quali era la pretesa che le<br />
risorse così risparmiate tornassero indietro alle<br />
donne in altro modo. Come se già non fossero<br />
le quasi esclusive beneficiarie delle famigerate<br />
pensioni baby che hanno non poco contribuito<br />
a scassare i conti dello stato.<br />
ARMANDO ERMINI<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 656
| ( 19 ) |<br />
a Risorse.<br />
. SITOGRAFIA.<br />
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• The Australian Men's Party www.ozemail.com.au/~irgeo/amp.htm<br />
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• Manorama www.menmedia.org/online/1/263.htm<br />
• Men's Defense Association www.mensdefense.org<br />
• The Men's Issues Page www.vix.com/pub/men/index.html<br />
• The men's media Network www.he.net/~menmedia<br />
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• National Coaltion of Free Men www.ncfm.org<br />
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• Promise Keepers www.promisekeepers.org<br />
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Siti Italiani<br />
Progressisti<br />
• Maschile Pluràle www.maschileplurale.it il cui animatore,<br />
il sociologo Stefano Ciccone è autore, fra le altre sue opere, di<br />
un libro di recentissima uscita Essere maschi-tra potere e libertà.<br />
• <strong>Il</strong> Cerchio degli Uomini www.cerchiodegliuomini.org.<br />
• Uomini in Cammino www.uominincammino.it<br />
Antifemministi<br />
• Anti-Feminist (Feminism cannot survive an open<br />
debate) http://antifeminist.altervista.org/index.htm<br />
• Zerbini (<strong>Il</strong> sito sui maschietti femministi) http://zerbini.altervista.org<br />
• No-Matrimonio (in una società femminista, sposarsi<br />
equivale giocare alla roulette russa) http://nomatrimonio.altervista.org<br />
• FeMatrix (Magazine italiano AntiFemminista)<br />
http://fematrix.altervista.org<br />
• <strong>Il</strong> Femminismo (Separazioni e divorzi in Italia<br />
scanditi da Leggi di Genere) www.ilfemminismo.it<br />
• <strong>Il</strong> Blog di Icarus.10 http://ilvolodidedalo.blogspot.com<br />
Liberali<br />
• Pari diritti per gli uomini (il sito sulla condizione<br />
maschile) http://digilander.libero.it/uomini.<br />
• Pari Opportunità e Uomini - (glossario sui diritti<br />
umani e civili da recuperare)<br />
http://pariopportunita.wiki.zoho.com<br />
• Ragioni maschili http://ragionimaschili.blogspot.com.<br />
• maschile individuale http://maschileindividuale.wordpress.com/<br />
Nella stessa area i siti delle associazioni dei padri separati:<br />
• Bentornato padre www.paternita.info<br />
• Adiantum www.adiantum.it<br />
• Fe.N.Bi. (Federazione Nazionale per la<br />
Bigenitorialità) www.fenbi.it<br />
• Gesef (Genitori separati dai figli) www.gesef.org<br />
• Papà separati www.papaseparati.it<br />
Radicali<br />
• Maschi selvatici (blog) www.maschiselvatici.blogsome.com<br />
• Uomini Beta www.uominibeta.org<br />
• Uomini 3000 www.uomini3000.it<br />
• Altrosenso www.altrosenso.info<br />
• Maschi selvatici (sito) www.maschiselvatici.it<br />
• Metro maschile http://metromaschile.it Un sito che non è<br />
espressione di un vero e proprio movimento organizzato, ma<br />
che, oltre alle idee del suo fondatore, Carlo Ziino, raccoglie e<br />
pubblica gli articoli più significativi che appaiono sugli altri<br />
blog e siti dei movimenti degli uomini.<br />
Siti personali<br />
I siti di due studiosi della questione paterna e maschile:<br />
• Antonello Vanni www.antonello-vanni.it<br />
• Paolo Ferliga www.paoloferliga.it.<br />
I siti di Claudio Risè, che trattano di QM e non solo:<br />
• Diario di bordo http://claudiorise.blogsome.com<br />
• Psiche lui http://blog.leiweb.it/psiche-lui.<br />
. BIBLIOGRAFIA.<br />
Materiali<br />
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Fine millennio. L’occidente di fronte al sacro, Grafo,<br />
Brescia 1998.<br />
BONVECCHIO, CLAUDIO<br />
<strong>Il</strong> pensiero forte: la sfida simbolica alla modernità,<br />
Edizioni settimo sigillo 2000.<br />
Apologia dei doveri dell’uomo, Asefi, 2002.<br />
DUMEZIL, GIORGES<br />
Le sorti del guerriero. Aspetti della funzione guerriera<br />
presso gli indoeuropei. Adelphi, Milano 1990.<br />
JUNGER, ERNST<br />
<strong>Il</strong> trattato del ribelle. Adelphi, Milano 1998.<br />
MITSCHERLICH, ALEXANDER<br />
Verso una società senza padre, Feltrinelli, Milano<br />
1977.<br />
POUND, EZRA<br />
I Cantos, Mondadori, Milano 1997.<br />
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Foglie d'erba, Rizzoli, Milano 1988.<br />
Movimenti<br />
AA.VV.<br />
La questione maschile, Soc. Ed. Barbarossa, 1998.<br />
BLY, ROBERT<br />
Per diventare uomini: come un bambino spaventato<br />
si può trasformare in un uomo completo e maturo, Mondadori,<br />
Milano 1992.<br />
<strong>Il</strong> piccolo libro dell'ombra. Guida alla scoperta del nostro<br />
lato oscuro, Red, Como 1992.<br />
Iron John a Book About Men, letto dall'autore stesso<br />
è scaricabile a www.scribd.com/doc/9271303.<br />
BERRY, WENDELL<br />
Con i piedi per terra, Red edizioni, Como 1996.<br />
BERTINELLI, ANTONIO<br />
Sulle orme del padre. Attraverso il ’68 e gli anni del<br />
pensiero egemonico, FeNBi 2007 (volume non in commercio,<br />
richiedibile all’autore).<br />
CAVINA, MARCO<br />
<strong>Il</strong> padre spodestato. L’autorità paterna dall’antichità<br />
ad oggi, Laterza 2007.<br />
DELLA VECCHIA, RINO<br />
Questa metà della terra. Parole degli uomini del XXI<br />
secolo. AltroSenso saggi 2004 (ora scaricabile da Internet<br />
collegandosi a www.U3000.it).<br />
DURDANT-HOLLAMBY, BARRY<br />
Questa volta parliamo di uomini, Terra nuova edizioni<br />
2009.<br />
ESTRELLA, LUCAS<br />
L’oracolo del guerriero, Tea 2001.<br />
FARREL, WARREN<br />
<strong>Il</strong> mito del potere maschile, Frassinelli 2004.<br />
FERLIGA, PAOLO<br />
<strong>Il</strong> segno del padre, nel destino dei figli e della comunità,<br />
Moretti e Vitali 2005.<br />
L'eterno fanciullo, Red Edizioni, Como 1989.<br />
GALEOTTI, GIULIA<br />
In cerca del padre. Storia dell’identità paterna in età<br />
contemporanea, Laterza 2009.<br />
GRUN, ANSELM<br />
Lottare ed amare. Come gli uomini possono ritrovare<br />
se stessi, Edizioni San Paolo 2004.<br />
ILLICH, IVAN<br />
<strong>Il</strong> genere e il sesso, Mondadori 1982.<br />
LA CECLA, FRANCO<br />
Modi bruschi. Antropologia del maschio, Bruno<br />
Mondadori 2000.<br />
LENZEN, DIETER<br />
Alla ricerca del padre. Dal patriarcato agli alimenti,<br />
Laterza 1994.<br />
MONICK, EUGÈNE<br />
Phallos: il maschile nel mito, nella storia, nella coscienza<br />
d'oggi, Red edizioni, Como 1989.<br />
<strong>Il</strong> maschio ferito: l'esperienza della castrazione nello<br />
sviluppo dell'uomo, Red edizioni, Como 1993.<br />
RECALCATI, MASSIMO<br />
Cosa resta del padre La paternità nell’epoca contemporanea,<br />
Raffaello Cortina <strong>2011.</strong><br />
RHOADS, STEVEN<br />
Uguali mai. Quello che tutti sanno sulle differenze<br />
tra i sessi ma non osano dire. Lindau 2006.<br />
RISÈ, CLAUDIO.<br />
Parsifal. L’iniziazione maschile all’amore, Red edizioni,<br />
Como 1988.<br />
<strong>Il</strong> maschio selvatico. Ritrovare la forza dell’istinto<br />
rimosso dalle buone maniere, Red Edizioni, Como 1993.<br />
Maschio amante felice. Ovvero la bellezza di essere<br />
Uomini, Frassinelli 1995.<br />
Diventa te stesso. Le immagini dell’individuazione,<br />
Demetra 1997.<br />
Essere Uomini. La virilità in un mondo femminilizzato,<br />
Red edizioni, Como 2000.<br />
<strong>Il</strong> selvatico, il padre, il dono, Libuk 2006.<br />
L’ombra del potere, il lato oscuro della società (con<br />
Claudio Bonvecchio), Red edizioni, Como 1998.<br />
<strong>Il</strong> padre l’assente inaccettabile, San Paolo 2003.<br />
<strong>Il</strong> mestiere di padre, San Paolo 2004.<br />
SCHELLENBAUM, PETER<br />
<strong>Il</strong> no in amore. Dipendenza e autonomia nella vita<br />
di coppia, Red edizioni, Como 1996.<br />
La ferita dei non amati. <strong>Il</strong> marchio della mancanza<br />
d'amore, Red edizioni, Como 1991.<br />
Tra uomini. La dinamica omosessuale nella psiche<br />
maschile, Red edizioni, Como 1993.<br />
SNYDER, GARY<br />
Nel mondo selvaggio, Red edizioni, Como 1992.<br />
VANNI, ANTONELLO<br />
<strong>Il</strong> padre e la vita nascente. Una proposta alla coscienza<br />
cristiana in favore della vita e della famiglia. Francesco<br />
Nastro editore 2004.<br />
ZAMMOUR, ERICH<br />
L’uomo maschio, Piemme 2007.<br />
ZOJA, LUIGI<br />
<strong>Il</strong> Gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa<br />
del padre, Bollati Boringhieri, Torino, 2000.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 656
A<br />
B<br />
N°657<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
14 SETTEMBRE 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
a Questo numero.<br />
Numero corposo e vario; in prima pagina l'informatissimo<br />
articolo di apertura segna il felice ritorno<br />
del nostro vecchio collaboratore Claudio<br />
Dettorre (alias Omar Wisyam) e conferma la nostra<br />
storica attenzione a quei casi di “sinistra pensante”,<br />
si conceda l'ossimoro, rappresentati, insieme<br />
a pochissimi altri, in Italia da P. P. Pasolini<br />
e Giorgio Cesarano ed in Francia da Guy Debord<br />
e Jacques Camatte; a pagina 5 Pietro De Marco,<br />
glossando due recenti omelie, fa venire alla mente<br />
il titolo del recente libro di Nicola Bux Come andare<br />
a Messa e non perdere la fede; a pag. 7 Massimo<br />
Introvigne ci parla di Augusto Del Noce e la<br />
modernità; conclude, a pag. 11, la dotta presentazione<br />
di Andrea Morabito, è anche un invito alla<br />
visita, della meravigliosa Fontana dell'Organo al<br />
Quirinale. In prima ed in ultima, poi, due appuntamenti:<br />
consideriamo il loro intersecarsi un sintomo<br />
positivo. N<br />
FIRENZE<br />
Sabato 24 –Dom. 25 Settembre.<br />
Villa Morghen - Via Feliceto 8, Settignano.<br />
www.villamorghen.com<br />
PRIMO INCONTRO DEGLI<br />
AMICI DEL COVILE<br />
Per partecipare scrivere a<br />
il.covile@gmail.com.<br />
a Con le peggiori intenzioni...<br />
DI OMAR WISYAM<br />
“J’ai mérité la haine universelle de la société de<br />
mon temps.” 1 Guy Debord<br />
In un breve testo del 7 dicembre 2009 dal titolo:<br />
Guy Debord in 2009, Spinning or Laughing<br />
Bill Not Bored (sito web: Not Bored!) si interroga<br />
su alcuni aspetti del comportamento e su<br />
alcune scelte di Guy Debord e della sua vedova,<br />
Alice Becker-Ho. La domanda del titolo è puramente<br />
retorica e oziosa quanto più non si riesce<br />
ad immaginare (Debord non si rivolta nella<br />
tomba, né in essa può farsi grasse risate, dato<br />
che le sue ceneri sono state disperse nella Senna<br />
e ora si troveranno nell'Atlantico o chissà<br />
dove). Tuttavia gli interrogativi di Bill Not<br />
Bored non sono del tutto vacui.<br />
Si tratta della coerenza tra le scelte in vita di<br />
Guy Debord e quelle prese post-mortem da<br />
Alice Debord.<br />
Nel titolo citato sopra si affianca al nome<br />
del teorico francese l'anno 2009, perché nel<br />
gennaio di quell'anno lo Stato francese decise<br />
di classificare l'opera di Debord come “tesoro<br />
nazionale” (trésor national). Con la misura<br />
adottata il 29 gennaio dal ministro della Cultura,<br />
Christine Albanel, pubblicata nel Journal<br />
Officiel della Repubblica francese, il 12 febbraio<br />
2009, si stabilisce che gli archivi di Debord rivestono<br />
“une grande importance pour l’histoire<br />
des idées de la seconde moitié du Xxe siècle et<br />
la connaissance du travail toujours controversé<br />
de l’un des derniers grands intellectuels français<br />
de cette période” 2 .<br />
1 Ho meritato l’odio universale della società del mio tempo.<br />
2 Una grande importanza per la storia delle idee della seconda metà<br />
del XX secolo e per la conoscenza del lavoro sempre al centro di<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
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| ( 2 ) |<br />
Bruno Racine, presidente della Bibliothèque<br />
Nationale de France (BNF), sottolinea che<br />
“ce classement comme trésor national s’interprète<br />
comme une reconnaissance par l’Etat de<br />
ce que représente Debord dans la vie intellectuelle<br />
et artistique du siècle écoulé” 3 .<br />
Queste parole preludono alla decisione di<br />
non permettere il trasferimento all'estero dell'archivio<br />
personale di Debord, che viene prese<br />
a metà febbraio. La Commissione consultiva<br />
“des trésors nationaux” esprimeva un parere<br />
negativo all'esportazione:<br />
“ces documents, qui illustrent le processus créatif<br />
complet de la pensée de l’auteur, permettent<br />
d’appréhender sa façon assidue de travailler, sa<br />
grande érudition et son style, héritier des plus<br />
grands classiques, mis au service de son analyse<br />
critique de la société moderne.” 4<br />
Da due anni la Beinecke Library della Yale<br />
University aveva mostrato interesse all'acquisizione<br />
dell'intero archivio e la vedova aveva incaricato<br />
Benoît Forgeot, libraio, e Pierre Bravo<br />
Gala di condurre la transazione.<br />
Si deve dire che le carte da conservare erano<br />
state già ordinate dallo scrittore stesso, in vita.<br />
Infatti nell'ottobre del 1994 (un mese prima<br />
del suicidio) egli aveva scritto a Ricardo Paseyro:<br />
“Nous avons fait le tri, brûlé une masse de papiers<br />
inutiles et gardé ici à la disposition de mes<br />
lecteurs tout ce qui importe.” 5 Una preoccupazione<br />
non inutile.<br />
Dunque il centro di ricerca sulle avanguardie<br />
dell'Università di Yale aveva proposto alla<br />
vedova dell'autore una cifra compresa tra i due<br />
discussioni di uno degli ultimi grandi intellettuali francesi del periodo.<br />
3 Questa classificazione come tesoro nazionale va interpretata come<br />
riconoscimento da parte dello Stato di ciò che Debord rappresenta<br />
nella vita intellettuale e artistica del secolo scorso)<br />
4 Questi documenti, che testimoniano il processo creativo completo<br />
del pensiero dell’autore, permettono di conoscere il suo modo assiduo<br />
di lavorare, la sua grande erudizione e il suo stile, erede dei più<br />
grandi classici, messo al servizio della sua analisi critica della società<br />
moderna<br />
5 Abbiamo fatto un riordino, bruciato una massa di carte inutili e<br />
conservato qui a disposizione dei miei lettori tutto ciò che ha importanza.<br />
e i tre milioni di euro per acquisire il fondo<br />
(Bill Not Bored indica la cifra di 2.34 milioni<br />
di dollari).<br />
Dal momento in cui l'opera del situazionista<br />
era stata riconosciuta come tesoro nazionale, lo<br />
Stato francese disponeva di trenta mesi per fare<br />
un'offerta equivalente a quella americana.<br />
“C’est la première fois qu’un écrivain aussi<br />
proche de nous” 6 viene considerato “comme<br />
trésor national”, commenta, orgoglioso, Bruno<br />
Racine.<br />
<strong>Il</strong> problema era quello di raccogliere i soldi<br />
necessari all'acquisizione.<br />
<strong>Il</strong> 17 giugno del 2009 si leggeva su Le Monde<br />
che la sera del 15 erano stati invitati da Racine<br />
ad una cena nella Hall des Globes della Bibliothèque<br />
nationale de France più di duecento<br />
potenziali mecenati, ma che in quell'occasione<br />
erano stati raccolti “solo” 180.000 euro, meno<br />
di un decimo del totale (Su L'Express del 6<br />
agosto 2009 la cifra sale a 240.000 euro). Era<br />
presente il ministro della Cultura, Christine<br />
Albanel, ma forse più imbarazzante ancora teneva<br />
banco, tra i convitati Philippe Sollers,<br />
premiato con il primo Prix della BNF (dotazione:<br />
10.000 euro), che tra le altre cose ha<br />
detto: “J’avais une grande admiration pour Debord,<br />
même s’il m’a critiqué” 7 . Tra gli altri invitati<br />
c'erano Robert Peugeot (direttore dell’innovazione<br />
nella Peugeot), Pierre Leroy<br />
(numero due del gruppo Lagardère e grande<br />
collezionista di manoscritti letterari) e Jean-<br />
Claude Meyer, presidente del Cercle della<br />
BNF e associato della Banca d’affari Rothschild<br />
et Cie. In totale diciotto tavoli con dodici<br />
convitati a 500 euro per coperto. <strong>Il</strong> menù<br />
della cena:<br />
“tartare de bar de ligne et salade d’herbes et légumes<br />
croquants, filet de veau rôti au four, girolles<br />
poêlées et asperges aux senteurs de thym<br />
citron, volupté glacé fraises des bois, orgeat,<br />
compote de rhubarbe, arrosé entre autres de<br />
6 È la prima volta che uno scrittore così prossimo a noi.<br />
7 Avevo una grande ammirazione per Debord, anche se mi ha criticato.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 657
| ( 3 ) |<br />
château Dassault 2001.”<br />
Passa qualche mese e poi nel Journal Officiel<br />
del 4 febbraio 2010 si poteva leggere: “Le<br />
ministre de la Culture et de la Communication<br />
informe les entreprises imposées à l’impôt sur<br />
les sociétés d’après leur bénéfice réel qu’elles<br />
peuvent bénéficier de la réduction d’impôt sur<br />
les sociétés prévue à l’article 238 bis 0 A du<br />
code général des impôts égale à 90% des versements<br />
qu’elles pourraient effectuer en participant<br />
à l’acquisition par l’État, pour la Bibliothèque<br />
Nationale de France, des archives personnelles<br />
de Guy Debord (1931-1994) constituées<br />
d’un ensemble de manuscrits et de documents<br />
divers, vers 1950-1994.” 8 . Cioè il Ministero<br />
della Cultura lanciava un'offerta per recuperare<br />
un milione di euro attraverso dei mecenati<br />
(“Le présent avis d’appel au mécénat<br />
d’entreprise porte sur 1'080'000 euros” 9 ), ma<br />
questo significava pure che Bruno Racine aveva<br />
già riunito più della metà del totale.<br />
Dunque l'archivio rimane in Francia, con<br />
qualche disappunto di Benoît Forgeot, libraio<br />
di Parigi, che aveva condotto le trattative con<br />
l'Università di Yale, il quale in un'intervista a<br />
Libération del 16.2.2009, raccolta da Frédérique<br />
Roussel, dichiara che “cette université a<br />
créé un centre de recherche sur les avantgardes<br />
qui devait les accueillir. Alice Debord,<br />
sensible à cette démarche, jugeait que ce centre<br />
représentait une destination naturelle. Sa volonté<br />
est que tout soit conservé en un seul lieu à<br />
la disposition des chercheurs, que ces archives<br />
soient montrées, confrontées ” 10 .<br />
8 <strong>Il</strong> ministro della Cultura e della Comunicazione informa le imprese<br />
tenute al versamento dell’imposta sui profitti delle società, che<br />
esse possono beneficiare della riduzione d’imposta, prevista<br />
dall’art.238bis0A del codice generale delle imposte, pari al 90% dei<br />
versamenti che potranno effettuare partecipando all’acquisizione da<br />
parte dello Stato, per la Biblioteca Nazionale di Francia, degli archivi<br />
personali di Guy Debord (1931/1994) costituiti da un insieme di<br />
manoscritti e documenti diversi, dal 1950 al 1994.<br />
9 <strong>Il</strong> presente appello alla sponsorizzazione d’impresa ha una consistenza<br />
di 1.080.000 euro.<br />
10 Questa università ha creato un centro di ricerca sulle avanguardie<br />
che doveva accoglierlo. Alice Debord, sensibile alle motivazioni<br />
del progetto, riteneva che questo centro ne rappresentasse la destinazione<br />
naturale. La sua volontà è che tutto sia conservato in un<br />
unico luogo a disposizione degli studiosi, che questi archivi siano<br />
La decisione dello Stato francese, “ce classement<br />
comme trésor national peut être vu<br />
comme une décision autoritaire, mais c’est surtout<br />
une reconnaissance” 11 .<br />
La giornalista chiede a Forgeot quali materiali<br />
compongano l'archivio, ed egli così risponde:<br />
“Essi comprendono l’essenziale di quello che<br />
Guy Debord ha prodotto dagli anni ’50 fino al<br />
1994, tutto quello che ha potuto e voluto conservare.<br />
La maggior parte è stata classificata da lui stesso<br />
prima del suo suicidio. Questi archivi comprendono<br />
i suoi manoscritti, di cui il più prezioso è<br />
evidentemente quello de La società dello Spettacolo,<br />
ma anche degli inediti, un progetto di Dizionario...<br />
Vi si trovano inoltre varie centinaia<br />
di schede con le sue note di lettura, che formano<br />
una specie di manoscritto inedito e che danno<br />
indicazioni sull’origine dei «détournements». E’<br />
appassionante vedere non solo quello che Debord<br />
leggeva, ma soprattutto come lo leggeva.<br />
<strong>Il</strong> fondo comprende anche la sua biblioteca di<br />
lavoro, con centinaia di volumi classificati per<br />
argomenti («marxismo», «strategia e tattica militare»,<br />
«avanguardie»..) Anche i suoi film ne<br />
formano una delle parti più importanti: vi si<br />
trova tutto o quasi, dal manoscritto preparatorio<br />
ai diversi stadi della sceneggiatura, fino alle foto<br />
di scena. Ci sono anche alcuni oggetti, come la<br />
sua macchina da scrivere, i suoi occhiali o un tavolino<br />
di legno sul quale egli ha posto la nota<br />
manoscritta: «Guy Debord ha scritto su questa<br />
tavola La Società dello Spettacolo dal 1966 al<br />
1967 a Parigi al n.169 della rue Saint-Jacques»<br />
La sua corrispondenza, infine, che comprende<br />
molte minute e copie, e che è stata ampiamente<br />
utilizzata da Alice Debord per la sua pubblicazione<br />
dell’epistolario generale — un monumento<br />
— di cui deve uscire l’ultimo volume.”.<br />
Su L'Express del 6.8.2009 (già citato) si accenna<br />
a “un projet inachevé de dictionnaire intitulé<br />
Apologie” 12 laddove Forgeot nella sua risposta<br />
omette il titolo del “projet de Dictionesposti,<br />
messi a confronto<br />
11 Questa classificazione come tesoro nazionale può essere vista come<br />
una decisione autoritaria, ma è soprattutto un riconoscimento.<br />
12 Un progetto incompleto di dizionario intitolato “Apologia”.<br />
14 settembre 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
naire”.<br />
Infine la storia si conclude il 23 febbraio del<br />
2011 quando l'archivio di Debord va ad aggiungersi<br />
alla collezione del Dipartimento dei Manoscritti<br />
della BNF (forse vicino a quelli del<br />
marchese de Sade...).<br />
<strong>Il</strong> comunicato stampa della BNF del 24<br />
febbraio 2011 così recita:<br />
Détournement d'un détournement.<br />
«Poeta, cineasta, teorico della società e del potere,<br />
Guy Debord fonda e anima successivamente<br />
l’Internazionale lettrista (1952/57), poi l’Internazionale<br />
situazionista (1957/72). La sua<br />
opera più famosa, La Società dello spettacolo<br />
(1967), è una critica intransigente delle condizioni<br />
moderne di esistenza determinate dal capitalismo<br />
avanzato: consumi, svaghi, pubblicità,<br />
urbanesimo, ecc. Le sue teorie si traducono in<br />
pratiche — deriva, détournement, psicogeografia,<br />
gioco permanente —che mirano alla costruzione<br />
di situazioni, il cui scopo annunciato è<br />
la sconfitta di tutto quello che si frappone tra<br />
l’uomo e la sua vita.<br />
Conservati e messi in ordine da Guy Debord<br />
stesso, i suoi archivi testimoniano, con la loro<br />
ricchezza, la loro varietà e quasi esaustività, il<br />
lavoro dell’autore e il suo inserimento nell’intensa<br />
attività artistica e politica del suo tempo.<br />
L’insieme dei fondi comprende tutte le versioni<br />
dei suoi scritti e dei suoi films, un’importante<br />
corrispondenza, le sue carte personali, documentazione<br />
stampa, documentazione editoriale,<br />
quaderni e schede di lettura, tutte le note preparatorie<br />
alle sue opere cinematografiche e anche<br />
archivi fotografici, oggetti personali e la sua biblioteca<br />
come era nel 1994.<br />
A partire da Hurlements en faveur de Sade fino a<br />
Panégyrique, ogni opera — libro o film — è il<br />
frutto di un lavorio di scrittura e di détournement<br />
di cui il fondo dà conto. Così, il vasto insieme<br />
dei documenti riguardanti il film In Girum<br />
imus nocte et consumimur igni (1978) dà testimonianza<br />
dell’elaborazione minuziosa dell’opera:<br />
manoscritto, stesura dattilografica con<br />
correzioni, commento del film e documenti preparatori<br />
per l’edizione Gallimard, ma anche<br />
raccolta di immagini ritagliate, sottoposte a détournement<br />
e preparate per un’ eventuale utilizzazione<br />
nei titoli, schede, diari di regia e montaggio<br />
del film.<br />
Gli archivi comprendono inoltre dei documenti<br />
di lavoro dell’Internazionale situazionista, ritagli<br />
stampa e pubblicazioni di vari gruppi d’avanguardia<br />
politica o artistica contemporanea all’autore:<br />
surrealisti belgi, Socialismo o Barbarie,<br />
i Britannici di King Mob, ecc..: Si può seguire a<br />
partire dal 1959 gli avvenimenti artistici e le<br />
pubblicazioni militanti a cui Debord s’interessa,<br />
che si riferiscono a lui o di cui lo tengono al<br />
corrente. Vi si trovano così raccolti i commenti<br />
nella stampa ai films, ai libri e alle iniziative di<br />
Guy Debord, dei situazionisti, e della nebulosa<br />
che li circonda. Questa vasta documentazione<br />
viene a completare, su scala di tutta una vita, il<br />
lavoro di raccolta critica di cui sono testimonianza<br />
testi come “Ordures et decombres”<br />
(1982) o “Considération sur l’assassinat de Gérard<br />
Lebovici (1985).<br />
Accuratamente classificata e conservata, essa ci<br />
mostra l’autore di Jeu de guerre, stratega nel suo<br />
secolo,nell’atto di misurare il terreno della sua<br />
azione e delle forze i campo. Infine, alcuni oggetti<br />
e carte personali, così come le foto del set<br />
dei primi films e dei periodi lettristi e situazionisti,<br />
permettono di prendere contatto non tanto<br />
con spettacolari aspetti privati, quanto semplicemente<br />
con un po’ del quotidiano di colui che<br />
era “tanto abile nel condurre un’esistenza oscura<br />
e inafferrabile”.<br />
Nei suoi archivi, Guy Debord si presenta quale<br />
egli si è sempre descritto, intento ad affilare le<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 657
| ( 5 ) |<br />
armi della sua critica e a reggere il filo della sua<br />
opera e delle vite coinvolte nella sua.»<br />
Ritornando alla domanda iniziale sulla coerenza<br />
delle scelte operate in vita e in morte, si<br />
deve ricordare che nel 1992 Guy Debord aveva<br />
negoziato il passaggio alla casa editrice Gallimard<br />
per la somma di 700.000 franchi e che<br />
due settimane prima del suo suicidio aveva ottenuto<br />
750.000 franchi da Canal Plus per una<br />
“Soirée Guy Debord”, non trascurando di domandare<br />
alla società televisiva criptata di scalare<br />
i versamenti in tre anni per ragioni fiscali.<br />
Se Debord avesse voluto, avrebbe trasferito<br />
personalmente il suo archivio all'International<br />
Institute of Social History di Amsterdam (il situazionista<br />
René Vienet l'ha fatto, come anche<br />
Yves Le Manach, per esempio).<br />
Forse era nelle sue originarie intenzioni, ma<br />
in seguito esse sono cambiate (si sono capovolte).<br />
Alice Debord ha proseguito sul sentiero<br />
percorso dal marito negli ultimi anni della sua<br />
vita. Si tratta della constatazione di un dato di<br />
fatto, non di un giudizio.<br />
Per concludere, l'Observatoir des subventions,<br />
un sito web che si propone di “surveiller,<br />
informer et alerter” 13 a proposito di “subventions,<br />
abus et gaspillages” 14 , informa che l'archivio<br />
di Debord costerà un milione di euro ai<br />
contribuenti francesi grazie al 90% di riduzione<br />
d'imposta concessa ai donatori.<br />
Ecco perché Debord si merita l'odio universale,<br />
oggi.<br />
OMAR WISYAM<br />
13 Sorvegliare, informare e dare l’allarme.<br />
14 Sovvenzioni, abusi e sprechi.<br />
a Omelie laureate.<br />
DI PIETRO DE MARCO<br />
Prima versione ridotta in Toscana Oggi del 4 settembre <strong>2011.</strong><br />
Messa domenicale in un grande monastero. La<br />
predicazione è affidata a religiosi di qualità,<br />
che ascolto con rispetto, come d’altronde invitava<br />
a fare il p. De Lubac di fronte ad ogni predicatore.<br />
La XXI domenica del tempo ordinario<br />
(anno A) propone il magnifico, e impegnativo,<br />
testo (Matteo 16, 13-20) della professione<br />
di fede di Pietro e della fondazione del ‘ministero<br />
petrino’. La garbata omelia, di fronte ad<br />
un pubblico di fedeli numeroso — è falso che le<br />
chiese siano ‘sempre più vuote’ — è dedicata al<br />
‘dialogo’. Attraente il ‘dialogare’ tra Maestro e<br />
discepoli, che sembra rendere la pagina evangelica<br />
alla portata della nostra vita. Così ci viene<br />
detto che, in Mt 16, Gesù rivelerebbe un<br />
umanissimo bisogno di riconoscimento e Pietro<br />
affermerebbe (ma nel testo non c’è) con calore,<br />
con personale veracità, la fede nel Figlio del<br />
Dio vivente, che ha dinanzi. Gesù riconosce e<br />
premia Pietro, per dire così, non tanto per l’esattezza,<br />
la verità, della professione di fede<br />
quanto per la sua qualità esistenziale. Con l’immancabile<br />
evocazione (non rara, se il tipo di<br />
pubblico lo permette) del filosofo Lévinas, il<br />
predicatore elogia di Pietro non la conoscenza,<br />
che ‘imprigiona’ l’Altro (insopportabile novecentismo,<br />
creduto ormai solo da letterati e teologi),<br />
ma la scoperta.<br />
<strong>Il</strong> ‘dialogo’ di Mt 16, di enorme portata nella<br />
storia e fede cristiana, viene così piegato all’incontro<br />
tra due psicologie, nel migliore dei<br />
casi tra due persone particolari, dando sfogo ai<br />
predicabili conseguenti: la nostra fragilità e la<br />
sincerità reciproca, il giudizio di una vita (‘cosa<br />
sono per te’). Solo poi, dalla lettura della preghiera<br />
dei fedeli, i presenti scoprono che la liturgia<br />
della domenica è infine dedicata a Pietro<br />
(Tu es Petrus, non prevalebunt, il potere delle<br />
chiavi, sono in Mt 16), e che la lex orandi di<br />
14 settembre 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
questa domenica guarda al vescovo di Roma.<br />
Ma, anche (mal) tollerando la sottovalutazione<br />
dei contenuti cattolici delle parole di Gesù, restano<br />
drammaticamente in ombra i significati<br />
della ‘confessione’ dell’apostolo: ‘Tu sei il Cristo,<br />
il Figlio del Dio vivente’; un ‘sapere’ decisivo<br />
per noi, e non certo perché Mt 16 sarebbe<br />
un buon esempio di dichiarazione d’amore e di<br />
scoperta dell’Altro. E perché ignorare ciò che<br />
Gesù dice a Pietro: “né carne né sangue te<br />
l’hanno rivelato, ma il Padre mio” <strong>Il</strong> cuore di<br />
Mt 16 è teocentrico, anzi trinitario; perché farne<br />
una fiaba relazionale per l’esistenza cristiana,<br />
che è molto di più ed è anche intelletto<br />
La domenica precedente, altrove, avevo<br />
ascoltato, con profondo disagio, un’omelia non<br />
meno fine, nella quale il ‘dialogo’ di Gesù con<br />
la Cananea (Mt 15, 21-28) era ricondotto ad un<br />
processo di conversione di Gesù stesso (!), che<br />
dall’ostilità iniziale per i ‘cani’ cananei muterebbe<br />
cuore e riverserebbe anche sul non ebreo<br />
la sua misericordia. Questo trasformare la maieutica<br />
di un riconoscimento (‘Signore, figlio di<br />
David’) e di una affermazione gesuana dell’universale<br />
destinazione alla Salvezza in una parabola<br />
dell’accoglienza, a spese della Cristologia,<br />
è omogeneo al caso appena ricordato di Mt 16,<br />
sintomi entrambi di una banalizzazione neomoraleggiante<br />
(e post-modernamente tutta ‘affettiva’)<br />
della pastorale che sembra colpire i<br />
migliori. In effetti ciò che Gesù e Pietro dicono<br />
non sembra interessare la pastorale.<br />
Mi chiedo spesso: dov’è (oggi) il centro dell’infezione<br />
Chi mette in giro queste banalità<br />
insidiose, che (oggi) arrivano ai monaci come ai<br />
cleri diocesani e ai laici Dietro la perdonabile<br />
retorica che fa dire dal pulpito: ‘è più importante<br />
in Pietro l’accento che il contenuto del<br />
Tu sei il Cristo, più la risposta del cuore che la<br />
verità della mente’ — per cui (a rigore) qualsiasi<br />
cosa detta da Pietro con la stessa intensità<br />
soggettiva sarebbe ‘vera’ — si riconosce però la<br />
rottura postconciliare dell’unità necessaria tra<br />
fides quae e fides quā. La popolarizzazione recente<br />
di teologie un tempo di moda, sotto l’effetto<br />
delle vulgate à la Lévinas che hanno contaminato<br />
saperi teologici (e non) trasformandoli<br />
in chiacchiera zuccherosa, produce una<br />
‘spiritualità’ e una predicazione per cui i Vangeli<br />
sono anzitutto modelli, naturalmente ‘deboli’,<br />
di atteggiamenti e disposizioni e cure della<br />
‘vita’, una Vita — un dato che sfugge a chi<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 657
| ( 7 ) |<br />
predica e scrive — più psico-biologica che etica.<br />
Questo sarebbe fede vivente! Ma tra la fede<br />
che è creduta, cioè il canone di fede, l’analogia<br />
fidei, e la fede con cui si crede, ovvero tra la Verità<br />
e l’atto di assenso ad essa (e il ‘sentire’ di<br />
fede), il rapporto è inscindibile; non è il tono<br />
dell’assenso che fa la Verità. Non esiste assenso<br />
senza il suo oggetto, non fides quā creditur senza<br />
fides quae creditur che la precede; la Fede<br />
non è generata, né autenticata, dall’atto, o dal<br />
sentimento, individuale. Non lo si creda chiarimento<br />
superfluo. Su questo vi è un penoso disordine<br />
nelle chiese cristiane. Ma se la verità<br />
del ‘Tu es Christus’ come del ‘Tu es Petrus’ si<br />
riducessero davvero a figure o parabole per vivere<br />
meglio piccole vite, piccole biografie, piccole<br />
comunità di affetti e di pratiche, sarebbe<br />
coerente smettere di confessare Cristo, Figlio<br />
del Dio vivente.<br />
PIETRO DE MARCO<br />
a Del Noce maestro di modernità<br />
Dipende.<br />
DI MASSIMO INTROVIGNE<br />
Fonte: La Bussola Quotidiana, 30 agosto <strong>2011.</strong><br />
<strong>Il</strong> libro di Massimo Borghesi Augusto Del Noce,<br />
La legittimazione critica del moderno (Marietti,<br />
Genova 2011), presentato al Meeting di<br />
Rimini, ha rilanciato su diversi quotidiani italiani<br />
il dibattito sulla figura del filosofo cattolico<br />
Augusto Del Noce (1910-1989). Si deve essere<br />
grati a Borghesi perché, dopo le iniziative<br />
per il ventennale della morte nel 2009 e quelle<br />
per il centenario della nascita nel 2010, tiene<br />
vivo l’interesse per un punto di riferimento<br />
fondamentale della cultura cattolica italiana<br />
del secolo XX. La tesi di fondo di Borghesi può<br />
sembrare provocatoria. Del Noce, a torto considerato<br />
un pensatore antimoderno o reazionario,<br />
avrebbe invece “sdoganato" la modernità,<br />
prendendo certo le distanze dall’entusiasmo<br />
acritico dei cattolici modernisti e neomodernisti,<br />
ma criticando a fondo anche l’antimodernità<br />
della scuola contro-rivoluzionaria.<br />
Giustamente Borghesi mette in luce l’importanza<br />
del rapporto, insieme di ammirazione<br />
e critico, che lega Del Noce al filosofo cattolico<br />
francese Jacques Maritain (1882-1973).<br />
Del Noce mette in luce come nel corso della<br />
vita di Maritain più volte è cambiato il giudizio<br />
sul processo storico del pensiero moderno, ma<br />
non è mai cambiata la descrizione di questo<br />
processo, che rimane fondamentalmente quella<br />
contro-rivoluzionaria. <strong>Secondo</strong> questa descrizione<br />
la modernità è un processo di progressiva<br />
scristianizzazione che va in modo lineare dal<br />
Rinascimento e da Martin Lutero (1483-1546)<br />
fino all’illuminismo, alla Rivoluzione francese<br />
e al marxismo. Se questo processo sia da combattere<br />
— secondo la posizione contro-rivoluzionaria<br />
— o se invece occorra cercare qualche<br />
forma di composizione e di dialogo è questione<br />
su cui Maritain ha cambiato idea più volte.<br />
14 settembre 2011 Anno XI
| ( 8 ) |<br />
Resta, tuttavia, una visione della storia che<br />
secondo Del Noce sarebbe comune alla scuola<br />
contro-rivoluzionaria e a Maritain, ma anche<br />
— cambiata di segno quanto al giudizio di valore,<br />
cioè intesa come “processo verso la pienezza"<br />
anziché “verso la catastrofe" — alle<br />
prospettive laiciste dominanti. Per Del Noce la<br />
visione contro-rivoluzionaria della modernità<br />
come processo rivoluzionario lineare che avanza<br />
in direzione della scristianizzazione, e dunque<br />
«di un processo unitario della filosofia moderna»<br />
non solo è in «simmetria» con una lettura<br />
laicista uguale e contraria, ma in un certo<br />
senso ne dipende in posizione di «subalternità».<br />
Per usare un’espressione che non è di Del Noce,<br />
si potrebbe dire che il filosofo italiano accusa<br />
la lettura contro-rivoluzionaria della storia<br />
europea — che coinvolge anche Maritain, non<br />
solo nella sua fase giovanile — di regalare la<br />
modernità ai laicisti. Dal momento che la modernità<br />
appare inevitabilmente vittoriosa, questa<br />
lettura preparerebbe dunque la sconfitta dei<br />
cattolici.<br />
Intendiamoci: Del Noce riconosce alla<br />
scuola contro-rivoluzionaria il merito di avere<br />
colto il carattere profondo di un pensiero ideologico<br />
che va da Jean-Jacques Rousseau (1712-<br />
1778) a Karl Marx (1818-1883) e oltre. Qui la<br />
negazione del peccato originale porta a sostituire<br />
la politica alla religione come strumento<br />
di salvezza. In questa prospettiva anche Del<br />
Noce parla di Rivoluzione con la R maiuscola<br />
come processo unitario. Rileggiamo un suo<br />
brano:<br />
«La Rivoluzione, con la maiuscola e senza plurale,<br />
è quell’evento unico, doloroso come i travagli<br />
del parto (la metafora che torna continuamente<br />
nei suoi teorici) che media il passaggio<br />
dal regno della necessità a quello della libertà,<br />
raffigurato questo, né può essere altrimenti, attraverso<br />
la semplice generica negazione delle<br />
istituzioni del passato (società senza stato, senza<br />
chiese, senza eserciti, senza delitti, senza magistratura,<br />
senza polizia…); che genera un avvenire<br />
in cui non ci sarà più nulla di simile alla vecchia<br />
storia; che, in ciò, è la risoluzione del mistero<br />
della storia».<br />
È una pagina molto bella, anche dal punto<br />
di vista letterario, che conferma la frequentazione<br />
dei classici della Contro-Rivoluzione da<br />
parte di Del Noce. Dov’è, allora, il dissenso<br />
sottolineato ora da Borghesi <strong>Il</strong> filosofo italiano<br />
pensa che le origini della Rivoluzione<br />
«con la maiuscola» «siano abbastanza recenti,<br />
non antecedenti a Rousseau»: quello che, nel<br />
pensiero della modernità, viene prima non è<br />
tanto rivoluzionario quanto ambiguo. Sullo<br />
sfondo c’è qui la polemica con l’opera di Maritain<br />
più apprezzata dagli ambienti contro-rivoluzionari,<br />
Tre riformatori, il cui sottotitolo<br />
— Lutero - Cartesio - Rousseau — indica già<br />
l’elemento da cui dissente Del Noce. In verità,<br />
il dissenso non riguarda tanto Lutero quanto<br />
Cartesio (René Descartes, 1596-1650). Principalmente<br />
nel suo libro <strong>Il</strong> problema dell’ateismo,<br />
ma anche altrove, Del Noce ha avvertito<br />
come suo compito quello di smontare pezzo per<br />
pezzo la rappresentazione comune di Cartesio,<br />
da manuale scolastico ma anche da Tre riformatori<br />
di Maritain. In verità nel pensiero del<br />
filosofo francese coesistono secondo Del Noce<br />
spunti molto diversi: alcuni, certo, suscettibili<br />
di essere continuati in senso anticristiano, altri<br />
invece profondamente e sinceramente cristiani.<br />
Da questi ultimi partirebbe una versione cristiana<br />
della modernità che passa per alcuni<br />
aspetti del pensiero di Blaise Pascal (1623-<br />
1662), la cui contrapposizione a Cartesio sarebbe<br />
dunque esagerata (e lo sarebbe, talora, da<br />
Pascal stesso), e per il filosofo napoletano<br />
Giambattista Vico (1668-1744) per arrivare fino<br />
al beato Antonio Rosmini-Serbati (1797-<br />
1855).<br />
Del Noce si rende conto che questa catena<br />
storica è problematica, anzi non è condivida<br />
dalla storia della filosofia maggioritaria. Ma il<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 657
| ( 9 ) |<br />
filosofo italiano pensa che la storia della filosofia<br />
sia una vera scienza nel senso moderno<br />
del termine, le cui acquisizioni possono sempre<br />
essere rimesse in discussione da nuovi studi e<br />
documenti. E, per Borghesi, mentre i cattolici<br />
progressisti che hanno cercato di riabilitare la<br />
modernità si sono di solito avventurati sul terreno<br />
scivoloso della politica, Del Noce è invece<br />
l’unico pensatore che abbia indicato un aspetto<br />
positivo della modernità nella sua stessa essenza<br />
filosofica, a partire dalle sue radici in Cartesio.<br />
Del Noce sarebbe dunque all’interno della<br />
filosofica cattolica il pensatore per eccellenza<br />
della modernità.<br />
Ma anche no, si potrebbe rispondere con<br />
un’espressione in voga. Per Del Noce, in effetti,<br />
ci sono due modernità: quella rivoluzionaria<br />
e quella cristiana. La visione contro-rivoluzionaria<br />
della storia, secondo il filosofo,<br />
giustamente critica la prima modernità ma secondo<br />
lui dimentica o sottovaluta la seconda, la<br />
linea che va da Cartesio a Vico e a Rosmini.<br />
Così facendo, si espone al rischio di adottare lo<br />
schema storico-filosofico dell’avversario laicista<br />
e di favorirne la vittoria.<br />
La ricostruzione del pensiero di Del Noce<br />
da parte di Borghesi è sostanzialmente corretta,<br />
anche se si tratta di un pensiero con molteplici<br />
sfaccettature, e la rivalutazione di una<br />
modernità “buona" coesiste con la ferma denuncia<br />
della modernità “cattiva" di matrice illuminista<br />
e laicista. In tema di modernità le<br />
provocazioni di Del Noce sono certo importanti<br />
e precorrono quelle di autori contemporanei<br />
come la storica statunitense di origine tedesca<br />
Gertrude Himmelfarb, che in un certo<br />
senso va oltre Del Noce distinguendo una linea<br />
anticristiana e una compatibile con il cristianesimo<br />
anche nello stesso illuminismo. <strong>Il</strong> 12 maggio<br />
2010 a Lisbona Benedetto XVI ha messo in<br />
luce il corretto atteggiamento nei confronti di<br />
queste provocazioni:<br />
«la Chiesa, partendo da una rinnovata consapevolezza<br />
della tradizione cattolica, prende sul serio<br />
e discerne, trasfigura e supera le critiche che<br />
sono alla base delle forze che hanno caratterizzato<br />
la modernità, ossia la Riforma e l’<strong>Il</strong>luminismo.<br />
Così da sé stessa [con il Concilio Vaticano<br />
II] la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle<br />
istanze della modernità, da un lato superandole<br />
e, dall’altro evitando i suoi errori e vicoli<br />
senza uscita».<br />
Personalmente ricordo, da studente universitario<br />
che frequentava Del Noce nelle sue<br />
case di Savigliano (Cuneo) e di Roma, di avere<br />
discusso molte volte con lui di questa problematica:<br />
ho imparato molte cose, ma sono<br />
anche rimasto fermo nella mia convinzione<br />
della verità di fondo della tesi contro-rivoluzionaria<br />
sulla storia moderna. Certo, Del Noce<br />
con le sue critiche ci ha obbligati a riflettere<br />
sulla distinzione fra una nozione cronologica e<br />
una ideologica di modernità. Non tutti coloro<br />
che sono vissuti e vivono nell’epoca moderna<br />
appartengono alla “modernità" come categoria<br />
ideologica. Occorre distinguere fra moderno e<br />
contemporaneo, e il fatto che Vico termini la<br />
sua vita in piena epoca dell’illuminismo non ne<br />
fa — benché si vada oggi sostenendo, ma infondatamente,<br />
anche il contrario — un illuminista.<br />
Ancora, Benedetto XVI invita come si è<br />
visto a distinguere nella modernità le domande<br />
in parte giuste e le risposte sbagliate, i veri problemi<br />
e le false soluzioni, le «istanze», di cui la<br />
Chiesa si è fatta carico nella loro parte migliore<br />
— ma «superandole» —, e gli «errori e vicoli<br />
senza uscita» in cui la linea prevalente della<br />
modernità ha fatto precipitare queste istanze,<br />
ultimamente travolgendo e negando quanto nel<br />
loro originario momento esigenziale potevano<br />
avere di ragionevole e di condivisibile.<br />
Tuttavia, per quanto autori di scuola contro-rivoluzionaria<br />
abbiano parlato abbastanza<br />
male di Cartesio, e talora anche di Pascal e del<br />
beato Rosmini, non mi sembra che stia nella<br />
14 settembre 2011 Anno XI
| ( 10 ) |<br />
critica di questi autori l’essenziale dello schema<br />
contro-rivoluzionario. <strong>Il</strong> pensiero contro-rivoluzionario<br />
postula essenzialmente che la modernità<br />
come ideologia — che è cosa diversa<br />
dall’epoca moderna come semplice dato cronologico<br />
— abbia un orientamento nettamente<br />
prevalente di tipo laicista e anticristiano. Lo<br />
stesso Del Noce nelle sue analisi dell’ateismo<br />
moderno, del marxismo, del progressismo cattolico<br />
e del 1968 ha confermato questo postulato.<br />
<strong>Il</strong> fatto che nello scorrere della storia moderna<br />
si siano manifestati anche pensatori cristiani<br />
— così come sono apparsi, grazie a Dio,<br />
tanti santi — non modifica la conclusione secondo<br />
cui il carattere dominante — anche se<br />
non unico — della modernità è la deriva anticristiana<br />
e laicista.<br />
La deriva non è “necessaria" di diritto, come<br />
pensa un certo tradizionalismo sedotto da<br />
visioni pagane oD orientali della storia come<br />
decadenza obbligatoria da un’età dell’oro originaria<br />
verso l’età oscura chiamata dai libri sacri<br />
induisti Kali Yuga, in cui tutti coloro che<br />
hanno la sventura di vivere in una determinata<br />
epoca sarebbero volenti o nolenti coinvolti.<br />
Questa prospettiva non solo non resiste alla<br />
critica dell' “antimoderno" proposta da Del<br />
Noce, ma nel suo nucleo profondo nega la libertà<br />
umana sottomettendola deterministicamente<br />
alla storia e ai suoi “cicli", così da rivelarsi<br />
incompatibile con il cristianesimo. Ma la<br />
scuola contro-rivoluzionaria non sostiene —<br />
certamente nelle sue articolazioni più mature,<br />
ma in realtà già nelle sue origini — la necessità<br />
di diritto di una deriva anticristiana della modernità.<br />
La constata di fatto leggendo la storia,<br />
dove la nobilissima resistenza di stili di pensiero<br />
alternativi non inficia la conclusione secondo<br />
cui la linea della modernità come ideologia<br />
si afferma come culturalmente, sociologicamente<br />
e politicamente dominante.<br />
Alla scuola di Benedetto XVI penso che si<br />
debbano accogliere le domande della modernità,<br />
ma non accettare le risposte di un’ideologia<br />
che comporta il rifiuto della tradizione e<br />
l’idolatria del presente. In Portogallo nel 2010<br />
il Papa ha appunto denunciato l’ideologia che<br />
«assolutizza il presente, staccandolo dal patrimonio<br />
culturale del passato» e quindi fatalmente<br />
finisce per presentarsi «senza l’intenzione<br />
di delineare un futuro». Considerare il presente<br />
la sola «fonte ispiratrice del senso della<br />
vita», il che è l’essenza della modernità come<br />
ideologia, porta a svalutare e attaccare la tradizione,<br />
che in Portogallo — e non solo — «ha<br />
dato origine a ciò che possiamo chiamare una<br />
“sapienza", cioè, un senso della vita e della storia<br />
di cui facevano parte un universo etico e un<br />
"ideale" da adempiere», strettamente legati all’idea<br />
di verità e all’identificazione di questa<br />
verità con Gesù Cristo. Dunque «si rivela<br />
drammatico il tentativo di trovare la verità al di<br />
fuori di Gesù Cristo»: un altro elemento costitutivo<br />
del dramma della modernità.<br />
La critica di Del Noce — come mostra Borghesi<br />
— ha messo in crisi un “antimoderno"<br />
così fissato nella sua rigidità da diventare caricaturale.<br />
Ma il nucleo profondo del pensiero<br />
contro-rivoluzionario — cioè la denuncia della<br />
linea di fatto dominante nella modernità come<br />
ideologia del progresso e assolutizzazione del<br />
presente — a mio avviso resiste a tale critica,<br />
anzi ne esce rafforzata. Della linea ideologica,<br />
anti-tradizionale e relativista della modernità<br />
Del Noce era e rimane un critico rigoroso. <strong>Il</strong><br />
suo dissenso dalla scuola contro-rivoluzionaria<br />
riguarda il carattere dominante di questa linea<br />
nel decorso del moderno, non la sua radicale<br />
inconciliabilità con la fede cattolica.<br />
MASSIMO INTROVIGNE<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 657
| ( 11 ) |<br />
a La Fontana dell’Organo nei<br />
giardini del Quirinale.<br />
Un interessante quesito iconografico ancora<br />
non risolto del tutto.<br />
DI ANDREA MORABITO<br />
Nel giardino del Quirinale, situata a ridosso<br />
dello sperone nord-ovest del palazzo di Giovanni<br />
Fontana, vi è una fontana monumentale<br />
collegata ad un organo ad acqua come poche ce<br />
ne sono in Italia, e la cui struttura e l’odierno<br />
funzionamento dello strumento a canne del<br />
XVII secolo, lascia i visitatori, talora presenti<br />
anche in veste di amatori delle opere interpretati<br />
da sapienti maestri organisti, ancora stupefatti<br />
per le perfomances loro regalate. È della<br />
Fontana dell’Organo del Quirinale di cui si sta<br />
parlando, voluta alla fine del Cinquecento da<br />
Papa Clemente VIII Aldobrandini e realizzata<br />
in quegli anni grazie all’aiuto di diversi esperti<br />
riuniti insieme dal desiderio, forse un po’ inusuale<br />
in tale periodo, di proporre un’opera unica<br />
e affascinante.<br />
Fontana dell'organo, incisione del XIX sec.<br />
La fontana è un ulteriore orpello di fine secolo<br />
XVI che mostra il progressivo interesse<br />
dei papi alla proprietà di ‘Monte Cavallo’, secondo<br />
l’antica denominazione del colle dettata<br />
dalla positura delle mitologiche statue dei Dioscuri<br />
di attica memoria, archeologico vanto<br />
della classe optimates dei patrizi d’un tempo e<br />
di quelli moderni. L’antica vigna d’Ippolito II<br />
d’Este, meritorio membro della fortunatissima<br />
famiglia ferrarese, che era proprietaria dell’appezzamento<br />
di terreno che giungeva fino alla<br />
Fontana del Mosè a Termini, cominciò ad attirare<br />
originariamente l’attenzione di Gregorio<br />
XIII, che infatti fece realizzare al suoi architetti,<br />
Flaminio Ponzio e Ottavio Mascarino, un<br />
villino in prossimità dell’attuale via del Quirinale.<br />
Oggi l’erezione della fontana è contesa<br />
tra Carlo Maderno e Giovanni Fontana, anche<br />
se gli studi in merito hanno proteso maggiormente<br />
per il secondo proprio per essere stato<br />
implicato nell’ampliamento della proprietà.<br />
Costituita da un nicchione centrale, e di due<br />
ambienti laterali di pianta rettangolare, la fontana<br />
di papa Aldobrandini vede l’organo al<br />
centro dell’invaso dell’emiciclo, attorniato da<br />
una massa di materiale greggio: di tartari, pomici,<br />
frammenti di cocci, stucco, spolvero,<br />
concorrono a creare un’ambientazione rustica<br />
in linea col giardino. Attorno a esso, quasi programmaticamente<br />
e come se da esso prendessero<br />
vita, vi sono, disposti per molteplici registri,<br />
Muse allogate all’interno delle nicchie,<br />
diverse Storie tratte dalla Sacra Scrittura (Genesi,<br />
Esodo), Nereidi e mostri marini, Virtù.<br />
Nel proscenio, una scalinata si apre sullo spazio<br />
antistante alla fontana, catturando lo<br />
sguardo del riguardante attraverso lo zampillio<br />
dell’acqua, che programmaticamente si fa prorompere<br />
da delle apposite bocchette situate<br />
lungo le gradinate mediante dei vasi disposti<br />
per l’occasione. Ai lati vi sono due camere rettangolari<br />
in cui in una, quella di destra, è allocato<br />
un gruppo scultoreo con Vulcano e i ciclopi.<br />
L’opera è stata ampiamente ignorata per<br />
un notevole lasso di tempo: c’è molto su cui<br />
14 settembre 2011 Anno XI
| ( 12 ) |<br />
ragionare a proposito dello stato degli studi<br />
storico-artistici a inizio secolo, dove le posizioni<br />
accademiche italiane sembrano essere<br />
state drastiche, e fortemente orientate a escludere<br />
alcuni campi di ricerca piuttosto che altri,<br />
ritardando così la studio sui giardini e sulle<br />
cosiddette “arti minori”. 15 Luigi Dami a tale<br />
proposito rimarca questa distanza del mondo<br />
accademico dall’oggetto dei suoi interesse<br />
proprio in un articolo, molto breve non a caso,<br />
che fu così importante per l’avvio degli<br />
studi sull’opera in analisi. 16 Intanto proprio<br />
per tale disinteresse si applicò ad aprire lo<br />
studio sui giardini del Quirinale che fu successivamente<br />
seguito da Pecchiai a metà degli<br />
anni Trenta che si limitò a descriverne brevemente<br />
la fondazione e la struttura. 17 <strong>Il</strong> primo<br />
articolo monografico e degno di nota fu di<br />
Luigi Salerno, negli anni Sessanta, in cui per<br />
la prima volta si dedicò a fare una cronistoria<br />
della fontana, precisandone gli estremi temporali<br />
in cui fu realizzata l’opera e i principali<br />
interventi di quegli anni, grazie al ritrovamento<br />
di alcuni pagamenti dell’opera nell’Archivio<br />
di Stato. 18 Le piante di Cartaro e Dupérac,<br />
rispettivamente del 1575 e 1577, aiutarono<br />
lo studioso a identificare l’opera nell’immaginario<br />
dei secoli passati e ad averne<br />
un’immagine circostanziata. <strong>Il</strong> ritrovamento<br />
dei documenti che attestano la partecipazione<br />
di Carlo Lambardi e Bernardo Valperga, come<br />
tecnici per la realizzazione delle acque di<br />
15 A questo proposito, non si può non menzionare l’arte dei giardini<br />
e lo studio del paesaggio che solo di recente ha avuto una sua<br />
qualificazione precisa, attivando architetti — prevalentemente — e<br />
storici dell’arte nella salvaguardia di tale preziosità.<br />
16 «Da qualche tempo mi vado aggirando, con mio grandissimo<br />
personale godimento, tra i giardini italiani. Sto dietro a una quantità<br />
di minutaglie che non servono a nulla; scopro gli infinitesimali segreti<br />
di una statua o d’una fontanella, che non interessano a nessuno»,<br />
tratto da Dami, L., “<strong>Il</strong> giardino Quirinale ai primi del ‘600”,<br />
in Bollettino d’arte del ministero della Pubblica istruzione, 1919,<br />
13, pp. 113-116.<br />
17 Pecchiai, P., Acquedotti e fontane di Roma nel Cinquecento: con<br />
documenti inediti, Roma, Staderini, 1944, pp. 57-72.<br />
18 Salerno, L., La Fontana dell’Organo nei giardini del Quirinale,<br />
in Capitolium, 36, 4, 1961, pp. 3-9.<br />
scolo nel 1595, è segno certo che per quelle<br />
date il cantiere della fontana doveva essere attivo.<br />
Si cominciò quindi col concepimento ed<br />
attuazione della condotta idraulica per l’incanalamento<br />
dell’acqua felice, annoso problema<br />
che oberò non poco Sisto V dapprima e Clemente<br />
VIII in seguito; altro problema era il<br />
deflusso delle acque, opportunamente deviate<br />
verso le già esistenti condotte fognarie del<br />
rione sottostante.<br />
Pianta di Roma di G. Maggi.<br />
<strong>Il</strong> progetto si struttura più come un’aggiunta<br />
che una costruzione ex-nihilo, come argutamente,<br />
da un’iscrizione posta al centro<br />
del nicchione, lo studioso deduce: CLE-<br />
MENS. VIII. PONT. MAX. LOCUM. OR-<br />
NAVIT. / AQUAM. ADDUXIT. MDXCVI.<br />
PONT. SUI. V. Aggiunta che il pontefice fece<br />
curare da vicino, maggiormente per il programma<br />
iconografico, forse dal suo intimo<br />
amico, e confessore, Cesare Baronio, con uno<br />
studio accurato delle scene veterotestamentarie<br />
rappresentate. La decorazione originaria,<br />
infatti, (oggi non del tutto integra, a causa del<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 657
| ( 13 ) |<br />
restauro successivo di Clemente XI e in seguito<br />
anche di Gregorio XVI) 19 era ispirata alla<br />
storia sacra e alla mitologia antica: gran parte<br />
di essa ci è pervenuta integra, come si può ammirare,<br />
anche se in alcuni casi non è possibile<br />
goderne a pieno, a causa del passare dei secoli<br />
e molteplici restauri susseguitisi, procurando<br />
la dissoluzione del vivace cromatismo. Nella<br />
prima fascia sono raffigurate deità marine e<br />
animali acquatici; nella seconda, Storie di<br />
Mosè e statue di Virtù negli scomparti. Nella<br />
volta e nel catino vi sono altre scene veterotestamentarie,<br />
e nell’arco trionfale dell’ingresso<br />
le Storie della Genesi. I motivi araldici Aldobrandini<br />
ricorrono per tutta la decorazione<br />
musiva, come nell’arco sopra l’organo, dove<br />
in aggiunta è situata l’arme del pontefice sostenuta<br />
da due Virtù.<br />
Bugi, organista, che doveva curare il funzionamento<br />
degli strumenti musicali. 21<br />
In seguito, con la monografia di Briganti sul<br />
Quirinale, non solo si riportarono le posizioni<br />
documentate di Salerno, ma vi si aggiunsero ulteriori<br />
commenti sulle carte topografiche della<br />
città, utilizzate per chiarimenti e datazioni dell’inizio<br />
dei cantieri, che lo studioso fece in merito<br />
alla villa, che approfondiscono lo stato e la<br />
situazione della villa dalla fondazione estense<br />
sino al periodo clementino e che qui si omettono<br />
per brevità, rinviandovi invece per una più<br />
profittevole lettura.<br />
Salerno poi rende noti i documenti ritrovati<br />
presso l’Archivio di Stato, dai quali si è potuto<br />
apprendere con certezza che Giovanni<br />
Fontana fu il responsabile del piano ingegneristico-idraulico<br />
della fontana e dei relativi<br />
scoli d’acqua, cui faceva riferimento l’atto del<br />
fondo Camerale citato in precedenza; Pompeo<br />
Maderno e Giovan Giacomo da Neri, detto il<br />
Tivoli, furono gli autori dei mosaici rustici<br />
delle grotte artificiali e degli stucchi policromi;<br />
i pagamenti vanno dal settembre del 1595<br />
al febbraio del 1597. 20 Infine dal 1596 al 1609<br />
compaiono vari mandati di pagamento a Luca<br />
19 Si veda per uno studio su di questo argomento almeno Pampalone,<br />
A., “<strong>Il</strong> restauro di Clemente XI alla fontana dell’Organo nei<br />
giardini del Quirinale”, in Bollettino d’arte, 6 ser., 93, 146, 2008<br />
(2009), pp. 167-182.<br />
20 ASR, Camerale I, Giustificazioni di Tesoreria, busta 27, 7 settembre<br />
del 1595. Mesure delli lavori di M.o fatti nel Giardino di<br />
Monte Cavallo fatti da Mr. Pompeo Maderni e compagni, fatti fare<br />
da S.ta di N. S.re Papa Clemente Ottavo. Dal 29 gennaio 1596 al 21<br />
ottobre 1596 cfr. Per la mett.ra della statua di Apollo qual si è sotto<br />
la fontana del nicchione overo platani e messa in opera della d.a fontana<br />
con suo piedistallo di Matt.ni; Mesura del lavoro di stucco fatto da<br />
m.ro Gio. Jacomo de Neri detto il Tivoli et mr. Pompeo Maderni di<br />
tutta sua robba eccetto le lumache et madreperle fatte fare da S. ta di<br />
N. S. re Al Giar. No di Monte Cavallo nel Nichione alla Piazza delli<br />
Platani et a diversi luoghi; in Salerno, (1961, p. 8-9) che non fornisce<br />
però i riferimenti alle pagine precise.<br />
Jardins du Palais du Quirinal, inc. di P. Benoist, 1870.<br />
Solo alla fine degli anni novanta e in seguito<br />
ai restauri operatisi in quegli anni si riaccese<br />
l’interesse e la produzione scientifica sull’argomento:<br />
in primo luogo va menzionato<br />
21 Orbaan, J.A.F., Documenti sul Barocco a Roma, 1920, p. 154 e<br />
segg.<br />
14 settembre 2011 Anno XI
| ( 14 ) |<br />
lo studio di Delfini Filippi 22 sui restauri del<br />
giardino, realizzati tra gli anni Venti del<br />
XVII alla metà del XIX secolo, che continua<br />
a mostrare un’evanescente impronta delle linee<br />
guida d’analisi e ricerca, che avevano guidato<br />
la critica fino a quel tempo, in massima<br />
parte interessata e rivolta ai processi socio-economici<br />
dell’età rinascimentale. In secondo<br />
luogo il contributo di Simona Antellini Donnelli,<br />
23 che prestò invece maggiore attenzione<br />
alla commissione Aldobrandini e ai lavori<br />
compiuti all’interno del pontificato stesso, risulta<br />
essere, al momento attuale, ancora il lavoro<br />
più completo, raccogliendo non solo le<br />
evoluzioni della critica sino allora prodotte<br />
ma aggiungendo una costruttiva analisi della<br />
funzione dell’opera all’interno del contesto<br />
politico storico e sociale nel quale fu concepita.<br />
Luciana Cassanelli propose, all’interno<br />
del volume collectanea in cui sono raccolti<br />
questi articoli, una lettura iconografica molto<br />
avvincente e attrattiva, sebbene complessa e<br />
dalle supposizioni un po’ fragili. 24 L’ipotesi<br />
vedrebbe la partecipazione di Atanasius Kircher<br />
al progetto iconografico della fontana,<br />
che, nella volontà di tradurre iconograficamente<br />
quanto proposto nella sua Musurgia, 25<br />
avrebbe realizzato un complesso sistema di riferimenti<br />
iconologici e musicologici atti a riproporre<br />
la sapienza degli antichi obelischi<br />
egizi, e dei segreti musicali della natura, nell’ardimentoso<br />
congegno Aldobrandini. <strong>Il</strong><br />
grande programma del colto gesuita sarebbe<br />
stato poi rivisto in gran parte per timore di<br />
una denuncia al Santo Uffizio: nel periodo<br />
22 Delfini Filippi, G., La Fontana dell'Organo nei giardini del palazzo<br />
del Quirinale: i restauri, in Campitelli, A., Ville e parchi storici:<br />
storia, conservazione e tutela, Roma, Argos Ed., 1994, pp. 85-93.<br />
23 Antellini Donnelli, S., La Fontana dell’Organo nei giardini del<br />
Quirinale: nascita, storia e trasformazioni, Roma, Palombi, 1995.<br />
24 Cassanelli Olivieri, L., Atanasius Kircher, singolare presenza al<br />
Quirinale, in Antellini Donnelli, op. cit., (1995, p. 70).<br />
25 Kircherius, A., Musurgia Universalis Sive Ars Magna Consoni<br />
Et Dissoni: In X. Libros Digesta; Qua Universa Sonorum doctrina,<br />
& Philosophia, Musicaeque tam Theoricae, quam practicae scientia,<br />
summa varietate traditur, Romae, Corbelletti, 1650.<br />
complesso di dialogo con i protestanti a fine<br />
Cinquecento, Clemente VIII ebbe l’occasione<br />
di promuovere una posizione filosofica ermetica,<br />
che avrebbe dovuto conciliare equilibristicamente<br />
cristianesimo e neo-platonismo, al<br />
fine d’attrarre anche gli interessi protestanti<br />
alla cultura cattolica, sino ad allora dominata<br />
da un forte aristotelismo tomista. Per le evidenti<br />
lacunosità e indeterminatezze del programma,<br />
finì presto quanto, poco, era stato<br />
avviato: le insufficienti prove legate alla validità<br />
degli insegnamenti forniti da Francesco<br />
Patrizi, gesuita, invitato a insegnare filosofia<br />
platonica alla Gregoriana di Roma, fecero ritrattare<br />
le tesi sottoposte al giudizio del papa,<br />
sospendere lo stesso dall’insegnamento e<br />
oscurare tutto il progetto sulla fontana fatto<br />
da Kircher, che conterrebbe quindi in nuce gli<br />
elementi essenziali del programma (di cui si<br />
rimanda una piena e arricchente lettura) ma<br />
non il suo pieno sviluppo e dettaglio. Al di là<br />
dell’effettiva veritierità della tesi di Cassanelli,<br />
sulla quale alcuni studiosi hanno mostrato<br />
le loro perplessità, la scelta dei brani veterotestamentari,<br />
legati in massima parte alla figura<br />
di Mosè, sono dovute all’attinenza del<br />
tema dell’acqua, quasi pleonastico da ricordare,<br />
ma che si riporta comunque per chiarezza<br />
espositiva.<br />
L’ultimo studio, non riassuntivo, è della<br />
studiosa San Mauro, 26 autrice di un recente<br />
articolo su gli usi ottocenteschi del giardino e<br />
della visita di Gregorio XVI dopo i restauri<br />
voluti dallo stesso nel 1833, ormai fuori dei limiti<br />
cronologici prefissati nel presente studio,<br />
ma contenente alcune precisazioni utili a una<br />
conferma di certe posizioni precedentemente<br />
affermate e volte a appurare le interessanti<br />
evoluzioni della collezione di statue dispostevi<br />
nel XIX secolo e afferenti alla casa Cybo.<br />
Grazie ad esso si pone un problema interessante<br />
ancore insoluto: la studiosa afferma che<br />
26 San Mauro, M.A., <strong>Il</strong> corteo dionisiaco alla Fontana dell'Organo,<br />
in <strong>Il</strong> Quirinale, 2, 4, 2006, pp. 27-42.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 657
| ( 15 ) |<br />
a metà Ottocento fu spostato un gruppo di<br />
statue antiche della collezione Cybo, per l’appunto,<br />
ritraenti una fucina di Vulcano e dei<br />
satiri che andarono ad occupare le due camere<br />
ai lati del nicchione centrale. In quella di sinistra<br />
furono allocati le erme dei Satiri attorno<br />
al perimetro della stessa, e nella seconda la<br />
fucina del dio-fabbro. Per quanto la sistemazione<br />
suddetta fosse di metà Ottocento, l’ambientazione<br />
“paganeggiante” della fontana<br />
— precisata già nel suo altero nome di ‘ninfeo<br />
Aldobrandino’ — era un carattere comunque<br />
garantito dalla presenza delle statue di Apollo<br />
e delle Muse, che sostituivano già la precedente<br />
fontana di Apollo, in seguito distrutta,<br />
in liea con la passione archeologica dell’originario<br />
fondatore della vigna estense. Non sembra<br />
sia stata adeguatamente approfondita dagli<br />
studi la figura del protagonista dell’Esodo<br />
nei palazzi romani, compiendo un’analisi<br />
comparativa che ne illustri i punti in comune<br />
tra i diversi cicli e le scelte icnografiche e iconologiche<br />
fatte nei diversi siti e che in questa<br />
sede non è possibile fare. Non si capisce, infine,<br />
la funzione delle due stanze ai lati della<br />
fontana, e quale sia la relazione queste ebbero<br />
con l’invaso centrale, senza l’aggiunta delle<br />
statue settecentesche: a proposito di ciò non si<br />
riscontra nessuna indicazione e/o traccia da<br />
parte delle fonti succitate, lasciando quindi<br />
ancora irrisolto il dilemma.<br />
La speranza che una lettura ermetica del<br />
Cristianesimo potesse avere fortuna presso i<br />
protestanti pone alcuni dubbi, perché, sebbene<br />
sia plausibile sotto il piano teorico come posizione<br />
filosofica, non si può dire lo stesso sotto<br />
quello esegetico: l’interpretazione dei testi biblici,<br />
operata dalla Chiesa di Roma, era uno dei<br />
principali motivi di scandalo per i luterani.<br />
Pensare che questi ultimi sarebbero stati più disponibili<br />
a dialogare con i cattolici, su una rielaborazione<br />
della storia della salvezza che unisse<br />
promiscuamente Bibbia e filosofia neoplatonica,<br />
appare quantomeno sospetto, giacché il<br />
purismo che rivendicavano i primi nella traduzione<br />
e studio letterale della Parola di Dio, era<br />
manifesto, e di certo senza speranze di un colloquio,<br />
almeno in queste guise, con i secondi.<br />
ANDREA MORABITO<br />
La fontana.<br />
14 settembre 2011 Anno XI
| ( 16 ) |<br />
ROMA RINASCE DALLA PERIFERIA<br />
LA CITTÀ DELL'UOMO DOPO LA CITTÀ DEL CEMENTO<br />
Roma, 23-24 settembre 2011<br />
Auditorium Ara Pacis Augustae<br />
Regione Lazio - Assessorato Politiche per la Casa 3° Settore, Servizio Civile e Tutela<br />
dei Consumatori in collaborazione con:<br />
Lab. CivicArch Dipartimento Ingegneria Università di Ferrara www.unife.it<br />
Gruppo Salìngaros www.grupposalingaros.net<br />
A Vision of Europe www.avoe.org<br />
Eco Compact City Network www.ecocompactcity.org<br />
Agenzia per la Città, Roma<br />
Fondazione CE.S.A.R, Roma www.cesar-eur.it<br />
Comune di Roma www.comune.roma.it<br />
Segreteria:<br />
Regione Lazio - Assessorato Politiche per la Casa - Via Capitan Bavastro, 108 - 00154<br />
Roma - Tel: 0651686762 / 0651686760 / 0651686451-065168 - www.regione.lazio.it<br />
ARGOMENTI: 20 anni di demolizioni e ricostruzioni / principi della eco città compatta<br />
/ la rinascita della periferia europea / housing sociale / sostenibilità / casi di studio<br />
europei di demolizioni e ricostruzioni / progetti di ri-urbanizzazione del Corviale<br />
INTERVENGONO: On. Teodoro Buontempo, Ass. Politiche per la Casa Regione Lazio<br />
/ Paolo Agostini, Dir. Politiche per la Casa Regione Lazio / Pasquale Cascella, Architetto<br />
/ Stefano Chiavalon, Dir. Commerciale Impresa General Smontaggi / Francesco<br />
Coccia, Dir. Dip. Politiche Riqualif. Periferie Roma Capitale / Alessandro Bucci, Segr.<br />
A Vision of Europe, Università di Ferrara / Bernard Durand Rival, Dir. Uff. Urbanistico<br />
Val d’Europe, Paris / On. Fabrizio Ghera, Ass. Lavori Pubblici e Periferie, Comune<br />
Roma / Fabrizio Giulietti, Sociologo Urbanista / Ettore Maria Mazzola, Docente<br />
University of Notre Dame, Usa / Carlo Patrizio, Istituto nazionale di Bioarchitettura /<br />
Philippe Pemezec, Sindaco di Plessis Robinson, <strong>Il</strong>e-de-France / Bruno Prestagiovanni,<br />
Commissario Ater Roma / Cristiano Rosponi, Presidente Fondazione CE.S.A.R Onlus /<br />
Nikos Salìngaros, Docente University of Texas, S. Antonio, Usa / Stefano Serafini, Direttore<br />
Gruppo Salìngaros, Direttore Ricerca Soc. Internazionale di Biourbanistica / Gabriele<br />
Tagliaventi, Docente Università di Ferrara, Dir. A Vision of Europe.<br />
14 settembre 2011Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) Anno XI
A<br />
B<br />
N°658<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
19 SETTEMBRE 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
SENZA EREDITÀ<br />
I L TEMA DELL A TRASMISSI O N E DEI BENI DI<br />
FAMIGLIA IN R. M. RILKE E G. DEBORD,<br />
CON UN'IPOTESI SUL SUICIDIO<br />
DEL SECONDO.<br />
F H<br />
A CURA DI STEFANO BORSELLI.<br />
a Rainer Maria Rilke (1875-1926).<br />
E non si ha più nulla e nessuno e si viaggia<br />
per il mondo con un baule e una cassa di<br />
libri e di fatto senza curiosità. Di fatto,<br />
senza casa, senza cose ereditate, senza cani,<br />
che vita è mai questa 1<br />
. LA CASA EREDITATA.<br />
Non sapete che cosa sia un poeta Verlaine...<br />
Nulla Nessun ricordo No. Non lo avete distinto<br />
fra coloro che conosceste Distinzioni<br />
non ne fate, lo so. Ma è un altro poeta quello<br />
che io leggo, un altro che non abita a Parigi,<br />
uno completamente diverso. Uno che ha una<br />
casa silenziosa sui monti. Risuona come una<br />
campana nell'aria tersa. Un poeta felice che<br />
narra della sua finestra e delle porte a vetri<br />
della sua libreria, che riflettono assorte uno<br />
spazio amato e solitario. È il poeta che io sarei<br />
voluto divenire; poiché sa tante cose delle fanciulle,<br />
e anch'io avrei saputo molto di loro.<br />
a Guy Debord (1931-1994).<br />
Sono nato praticamente rovinato. Non ho,<br />
propriamente parlando, mai ignorato di<br />
non dovermi attendere eredità, e in definitiva<br />
non ne ho avuta. 2<br />
. GLI SPETTATORI DEI MIEI FILM.<br />
[...] Sono dei salariati poveri che si credono dei<br />
proprietari, degli ignoranti mistificati che si<br />
credono istruiti, e dei morti che credono di votare.<br />
Come il modo di produzione li ha trattati<br />
duramente! Di progresso in promozione hanno<br />
perduto il poco che avevano, e ottenuto quello<br />
che nessuno voleva. [...]<br />
Somigliano molto agli schiavi; perché sono<br />
parcheggiati in massa, e allo stretto, in cattivi<br />
fabbricati lugubri e malsani; mal nutriti di<br />
un'alimentazione inquinata e senza gusto;<br />
☞ Segue a pag. 11. ☞ Segue a pag. 11.<br />
1 Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge, trad.<br />
Furio Jesi, Garzanti 1974, pag. 11.<br />
2 Guy Debord, Panégyrique, tome premier, Gallimard, 1993 (prima<br />
ed.1989), p.25.<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />
www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />
<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />
minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />
cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />
Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
. La casa ereditata. ☞ Segue dalla prima.<br />
Sa di fanciulle che sono vissute cent'anni fa;<br />
non importa più nulla che siano morte, poiché<br />
egli sa tutto. Ed è questo l'essenziale. Egli pronuncia<br />
i loro nomi, i nomi lievi, scritti a caratteri<br />
lunghi e slanciati, a volute del tempo antico,<br />
e i nomi fatti adulti delle loro amiche più<br />
grandi, in cui già risuona un po' di destino, un<br />
po' di delusione e di morte. Forse, in un cassetto<br />
del suo scrittoio di mogano giacciono le loro<br />
lettere sbiadite e i fogli sciolti dei loro diari, in<br />
cui ricorrono compleanni, gite estive, compleanni.<br />
O può darsi che nel cassettone panciuto<br />
in fondo alla sua camera da letto ci sia un<br />
cassetto in cui si conservano i loro abiti di primavera;<br />
abiti bianchi, che furono indossati per<br />
la prima volta a Pasqua, abiti di tulle a pois,<br />
che erano destinati all'estate ma che non s'aspettava<br />
l'estate per indossare. Oh, che destino<br />
felice stare nella camera silenziosa di una casa<br />
ereditata, fra cose fidate e quiete, stabili, e udire<br />
fuori, nel verde giardino leggero e luminoso,<br />
le prime cincie che provano il loro canto, e in<br />
lontananza l'orologio del villaggio. Starsene<br />
seduti e guardare una calda striscia di sole pomeridiano<br />
e sapere molte cose di fanciulle<br />
scomparse ed essere un poeta. 3<br />
RAINER MARIA RILKE<br />
3 Ivi pp. 31-32.<br />
. Gli spettatori... ☞ Segue dalla prima.<br />
[...] continuamente e meschinamente sorvegliati;<br />
tenuti nell'analfabetismo modernizzato<br />
e nelle superstizioni spettacolari che corrispondono<br />
agli interessi dei loro padroni. Sono<br />
trapiantati lontano dalle loro province o dai<br />
loro quartieri, in un paesaggio nuovo e ostile,<br />
secondo le convenienze di concentrazione totalitaria<br />
dell'industria attuale. Non sono che<br />
delle cifre nei grafici tracciati da imbecilli.<br />
Essi muoiono in serie sulle strade, ad ogni<br />
epidemia d'influenza, ad ogni ondata di caldo,<br />
ad ogni errore di coloro che falsificano i loro<br />
alimenti, ad ogni innovazione tecnica che profitta<br />
ai vari imprenditori di un paesaggio urbano<br />
di cui sono i primi a fare le spese. Le loro<br />
provate condizioni di esistenza determinano la<br />
loro degenerazione fisica, intellettuale, mentale.<br />
Si parla loro sempre come a dei bambini obbedienti,<br />
a cui basta dire: “bisogna", perché<br />
siano disposti a crederlo. Ma soprattutto li si<br />
tratta come dei bambini stupidi, di fronte ai<br />
quali balbettano e delirano decine di specializzazioni<br />
paternaliste, improvvisate il giorno<br />
prima, che possono far lor ammettere qualsiasi<br />
cosa in qualunque modo gliela dicano; e così<br />
pure il contrario l'indomani.<br />
Separati fra loro dalla perdita generale di<br />
ogni linguaggio adeguato ai fatti, perdita che<br />
vieta loro il minimo dialogo; separati dalla loro<br />
incessante concorrenza, sempre pungolati<br />
dalla frusta, nel consumo ostentato del nulla, e<br />
dunque separati dall'invidia meno fondata e<br />
meno capace di trovare soddisfazione alcuna,<br />
sono separati anche dalla propria prole, che<br />
era fino a ieri la sola proprietà di coloro che<br />
non hanno nulla. Si toglie loro, in tenera età, il<br />
controllo di questi bambini, già loro rivali, che<br />
non ascoltano più affatto le informi opinioni<br />
dei genitori, e sorridono del loro flagrante fallimento;<br />
[…].<br />
Tuttavia questi lavoratori privilegiati della<br />
società mercantile non assomigliano agli schiad<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 658
| ( 3 ) |<br />
vi in questo senso, che devono provvedere da se<br />
stessi al proprio mantenimento. La loro condizione<br />
può essere paragonata al servaggio perché<br />
sono legati esclusivamente a un'impresa e<br />
al buon andamento di questa, benché senza reciprocità<br />
a loro favore; e soprattutto perché<br />
sono strettamente costretti a risiedere in uno<br />
spazio unico: lo stesso circuito di abitazioni,<br />
uffici, autostrade, vacanze e aeroporti sempre<br />
identici.<br />
Ma essi somigliano anche ai proletari moderni<br />
per l'insicurezza delle loro risorse, che è<br />
in contraddizione con la routine programmata<br />
delle loro spese; e per il fatto di doversi vendere<br />
su un mercato libero senza possedere alcuno<br />
degli strumenti del loro lavoro: per il fatto di<br />
aver bisogno di denaro. Sono obbligati a comprare<br />
delle merci, e si è fatto in modo che non<br />
possano mantenere contatto con nulla che non<br />
sia una merce.<br />
Ma dove tuttavia la loro posizione economica<br />
presenta una più precisa affinità con il sistema<br />
particolare del “peonaggio", è nel fatto<br />
che, questo denaro attorno a cui ruota tutta la<br />
loro attività, non glielo si lascia più maneggiare<br />
neanche momentaneamente. Essi non possono<br />
evidentemente che spenderlo, dal momento<br />
che lo ricevono in quantità troppo piccola<br />
per accumularlo. Ma in fin dei conti si vedono<br />
costretti a consumare a credito; e si trattiene<br />
sul loro salario il credito che è loro consentito,<br />
da cui dovranno liberarsi lavorando<br />
ancora.<br />
Non cadrò nell'errore semplificatore d'identificare<br />
interamente la condizione di questi<br />
salariati di prima classe con delle forme anteriore<br />
d'oppressione socio-economica. Prima di<br />
tutto perché se si mette da parte il loro surplus<br />
di falsa coscienza e la loro partecipazione doppia<br />
o tripla all'acquisto della desolante paccottiglia<br />
che copre la quasi totalità del mercato, si<br />
vede bene che essi non fanno che condividere<br />
la triste vita della grande massa dei salariati<br />
d'oggi: del resto è nell'ingenua intenzione di<br />
far perdere di vista questa irritante trivialità,<br />
che molti assicurano di provare imbarazzo a vivere<br />
tra le delizie, allorché dei popoli lontani<br />
sono oppressi dall'indigenza. Un'altra ragione<br />
per non confonderli con gli infelici del passato<br />
è che il loro statuto specifico comporta in se<br />
stesso dei caratteri indiscutibilmente moderni.<br />
Per la prima volta nella storia, ecco degli<br />
agenti economici altamente specializzati che,<br />
al di fuori del loro lavoro, devono fare tutto da<br />
sé: guidano le loro macchine e cominciano a<br />
pompare da sé la loro benzina, fanno da sé gli<br />
acquisti o ciò che chiamano della cucina, si<br />
servono da sé nei supermercati come in ciò che<br />
ha sostituito i vagoni ristorante. Senza dubbio<br />
la lor qualifica molto indirettamente produttiva<br />
ha potuto essere rapidamente acquisita, ma<br />
in seguito, quando hanno fornito il loro quoziente<br />
orario di lavoro specializzato, gli tocca<br />
fare con le loro mani tutto il resto. La nostra<br />
epoca non è ancora giunta a superare la famiglia,<br />
il denaro, la divisione del lavoro; e tuttavia<br />
si può dire che la loro realtà effettiva si sia<br />
già, per costoro, quasi interamente dissolta, nel<br />
puro spossessamento. Uccelli che non hanno<br />
mai avuto preda e l'hanno lasciata per il suo riflesso.<br />
<strong>Il</strong> carattere illusorio delle ricchezze che la<br />
società attuale pretende di distribuire sarebbe<br />
sufficientemente dimostrato, se non lo si fosse<br />
riconosciuto in tutte le altre cose, da quest'unica<br />
osservazione, che è la prima volta che un sistema<br />
di tirannia tratta così male i suoi famigli,<br />
i suoi esperti, i suoi buffoni. Servitori oberati<br />
del vuoto, il vuoto li gratifica in moneta a sua<br />
effigie. In altre parole, è la prima volta che dei<br />
poveri credono di fare parte di un'élite economica,<br />
nonostante l'evidenza contraria. Non<br />
soltanto lavorano, questi infelici spettatori, ma<br />
nessuno lavora per loro, e la gente che essi pagano<br />
meno di tutti: perché i loro fornitori si<br />
considerano piuttosto come i loro capireparto,<br />
e giudicano se sono venuti abbastanza valorosamente<br />
all'incetta dei surrogati che hanno il<br />
19 settembre 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
dovere di comprare. Niente riesce a nascondere<br />
l'usura rapida che è integrata all'origine,<br />
non soltanto in ogni oggetto materiale, ma fin<br />
sul piano giuridico, nelle loro rare proprietà.<br />
Così come non hanno ricevuto eredità, essi non<br />
ne lasceranno. 4<br />
GUY DEBORD<br />
a Un buon affare.<br />
«Sulla scia immediata del suicidio di Debord, il<br />
romanziere Philippe Sollers, uno dei più influenti<br />
personaggi della scena intellettuale parigina,<br />
ha dichiarato al giornale Libération, che il<br />
colpo che ha ucciso Debord aveva “un significato<br />
rivoluzionario". Sollers ha spiegato che, per<br />
Debord, il suicidio era la più pura critica dello<br />
“spettacolo": l'ultimo atto di Debord, conseguenza<br />
di questa logica, è stata anche la sua<br />
azione politica più importante.» ANDREW<br />
HUSSEY, “Situation abnormal", The Guardian<br />
28 luglio 2001.<br />
Anche sull'interpretazione del suicidio del<br />
capo situazionista Philippe Sollers è stato all'altezza<br />
della sua reputazione (Debord lo qualificò<br />
una volta per tutte come «insignifiant» 5 );<br />
tuttavia la sua banale ipotesi è divenuta luogo<br />
comune e, per quanto ne so, nessuno ci ha più<br />
ragionato sopra.<br />
Nel numero scorso Claudio Dettorre ha raccontato<br />
come l' “archivio Debord” abbia fruttato<br />
alla vedova “entre deux et trois millions<br />
d'euros", e come il fondo fosse stato meticolosamente<br />
preparato dallo stesso Debord:<br />
«Si deve dire che le carte da conservare erano<br />
4 Guy Debord, “In girum imus nocte et consumimur igni”, in<br />
Opere cinematografiche complete, Arcana, Roma 1980, pp. 218-230<br />
5 Per un gustoso florilegio di giudizi debordiani su Sollers si veda<br />
http://julesbonnotdelabande.blogspot.com/2009/06/sollers-laramene.html.<br />
state già ordinate dallo scrittore stesso, in vita.<br />
Infatti nell'ottobre del 1994 (un mese prima del<br />
suicidio) egli aveva scritto a Ricardo Paseyro:<br />
“Abbiamo fatto un riordino, bruciato una massa<br />
di carte inutili e conservato qui a disposizione<br />
dei miei lettori tutto ciò che ha importanza.”» 6<br />
Dettorre lamenta che l'archivio non sia stato<br />
reso di pubblico dominio, bensì venduto a caro<br />
prezzo dalla vedova, ma conferma che questa<br />
era certamente la volontà del marito: non per<br />
nulla il fondo è stato organizzato dallo stesso<br />
Debord con una logica da mercante antiquario.<br />
«Ci sono anche alcuni oggetti, come la sua macchina<br />
da scrivere, i suoi occhiali o un tavolino di<br />
legno sul quale egli ha posto la nota manoscritta:<br />
“Guy Debord ha scritto su questa tavola La<br />
Società dello Spettacolo dal 1966 al 1967 a Parigi<br />
al n.169 della rue Saint-Jacques”.» 7<br />
E qualsiasi mercante antiquario sa che questo<br />
tipo di merce si valorizza solo con la morte<br />
del produttore. Con tutta evidenza quindi Guy<br />
Debord, diversamente dall'ipotesi mitizzante<br />
di Sollers, ha concepito il proprio suicidio non<br />
come un gesto critico bensì come un buon affare<br />
economico: è un topos anche cinematografico<br />
quello dell'imprenditore sull'orlo del fallimento<br />
che per garantire un avvenire alla propria<br />
famiglia truffa l'assicurazione col proprio<br />
suicidio mascherato da incidente. Come Rilke,<br />
l'abbiamo visto nei brani introduttivi, Debord<br />
aveva avuto la vita segnata dalla mancanza di<br />
beni di famiglia e non voleva finire come gli<br />
spettatori dei suoi film, così disprezzati e magistralmente<br />
dipinti, i quali «così come non hanno<br />
ricevuto eredità, ... non ne lasceranno»; e<br />
col suo calcolato suicidio è riuscito nell'intento:<br />
Alice Debord qualcosa in eredità l'ha certamente<br />
ricevuto, tanto che, sempre a differenza<br />
di quelli che «devono fare tutto da sé», potrà<br />
perfino, in questi tempi bui, permettersi dei<br />
domestici.<br />
STEFANO BORSELLI<br />
6 <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> N°657 del 14 settembre <strong>2011.</strong><br />
7 Ibidem.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 658
A<br />
B<br />
N°659<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
26 SETTEMBRE 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
LA COMPASSIONEVOLE STORIA DI<br />
INES DE CASTRO<br />
L'episodio più popolare dei Lusiadi di Luís Vaz de Camões (1524-1580)<br />
nella traduzione di Felice Bellotti (1786-1858).<br />
8<br />
A que depois de morta foi rainha, Lima de Freitas (1927-1998).<br />
COSÌ Alfonso vinceva; ed al suo regno<br />
Tornato poi nella nativa terra,<br />
Pace illustre goder vi fea disegno,<br />
Quanto illustre per lui fu già la guerra.<br />
Ma il tristo caso e della fama degno,<br />
Della fama che l’uom trae di sotterra,<br />
Seguì di quella misera e meschina,<br />
Che dopo morte diventò reina.<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
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Tu sol, tu solo, o penetrante Amore,<br />
Lo cui poter sì gli uman cuori implica,<br />
Tu fosti a lei di dura morte autore,<br />
Qual se a te stata fosse aspra nemica.<br />
Non s’acqueta di tua sete l’ardore<br />
Per le lagrime nostre, e fai ch’uom dica<br />
Che sei fiero tiranno, e che tu vuoi<br />
Bagnar di sangue uman gli altari tuoi.<br />
| ( 2 ) |<br />
Tu, bell’Ines gentil, tranquilla e queta<br />
Tuoi begli anni godevi in quella cara<br />
<strong>Il</strong>lusïon dell’anima, a cui vieta<br />
Lunga durata la fortuna avara.<br />
Mira degli occhi tuoi la consueta<br />
Luce il Mondego 1 , e da te il monte impara<br />
E il piano a replicar quel che nel petto<br />
Porti scritto d’amor nome diletto.<br />
Ines de Castro e don Pedro, Ernesto Ferreira Condeixa (1858-1933).<br />
1 <strong>Il</strong> Mondego è il più importante fiume portoghese, bagna Coimbra.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 659
| ( 3 ) |<br />
Del tuo prence colà ti rispondea<br />
L’innamorato spirito presente,<br />
Che innanzi agli occhi suoi te ognor vedea,<br />
Quando era pur da' tuoi begli occhi assente.<br />
Di notte ei sogna la tua cara idea,<br />
A te vola nel dì l’agil sua mente:<br />
E quanto pensa insomma e quanto mira,<br />
Tutto è memoria che dolcezza spira.<br />
D’ogni dama regal bella e gentile<br />
<strong>Il</strong> talamo ricusa pertinace;<br />
Ché tu, Amor, tutto sprezzi e tieni a vile,<br />
Quando servo a un bel volto il cor soggiace.<br />
Del fantastico suo ritroso stile<br />
La segreta cagion vede il sagace<br />
Suo vecchio genitor, che molto cura<br />
Pur la maligna popolar censura.<br />
Toglier quindi alla vita Ines disegna<br />
Per torle il figlio a sue bellezze preso,<br />
Credendo che in quel sangue anco si spegna<br />
L’amore in lui sì ardentemente acceso.<br />
Ahi! qual furore acconsentì, la degna<br />
Nobile spada , che sostenne il peso<br />
Del poter Mauritan, contra una bella<br />
Innocente levar debil donzella <br />
Morte di Ines de Castro, Karl Bryullov (1799-1852).<br />
26 settembre 2011 Anno XI
E già gli orrendi manigoldi innante<br />
Traggonla al re, che ne sentì pietade;<br />
Ma con false ragion la imperversante<br />
Plebe al crudo supplicio il persuade.<br />
Ella è tutta accorata e sospirante<br />
Per lo prence fedel, ch’altre contrade<br />
Or tengon lungi, e per l’amata prole,<br />
Cui, più che il morir suo, lasciar le duole.<br />
| ( 4 ) |<br />
E al cristallino ciel, misera! alzava<br />
Gli occhi afflitti, di lagrime lucenti, ...<br />
Gli occhi, poi che le man le avvince e grava<br />
Di ferro un di que' truci empi sergcnti:<br />
Poi sovra i pargoletti gli abbassava<br />
Figli suoi sì a lei cari e sì piacenti,<br />
Che orfanelli di madre, ahi! già vedea;<br />
E al lor avo crudel così dicea:<br />
Deh, se i bruti talor fieri animanti,<br />
Cui fé natura di crudel talento;<br />
Se gli augelli per l’aere volanti,<br />
Che istinto han solo alle rapine intento,<br />
Mostrar fûr visti a’ tenerelli infanti<br />
Spirto alcun di pietate e sentimento,<br />
Come di Nino alla consorte 2 , e come<br />
Ai due, che a Roma origin diero e nome:<br />
Tu che umana hai sembianza e umano petto<br />
(Se umano è a debil donna il viver torre,<br />
Sol perché fe’ in amore a sé soggetto<br />
Uom che a lei seppe un egual giogo imporre)<br />
Di questi piccioletti abbi rispetto,<br />
Se vuoi la madre a dura morte porre.<br />
Abbi per loro alma benigna e pia,<br />
Poi che non l’hai della innocenza mia!<br />
2 Semiramide, che sarebbe stata allevata dalle colombe. <strong>Il</strong> verso successivo accenna a Romolo e Remo, nutriti dalla celebre lupa.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 659
| ( 5 ) |<br />
E se vincendo il Mauritan furore,<br />
A dar morte imparasti in guerra aperta,<br />
Sappi ancora dar vita a chi d’errore<br />
È scevro in tutto, e perderla non merta.<br />
Che se, innocente anch’io, merto favore,<br />
Pommi pure in qual vuoi spiaggia deserta,<br />
Nell’arsa Libia, o al freddo Tanai in riva,<br />
Dovunque in somma in pianto eterno io viva:<br />
Pommi la dove tutto è feritate,<br />
In fra tigri e leoni, e sì vedrai<br />
Se saprò in essi ritrovar pietate,<br />
Quella che in petti umani io non trovai;<br />
Ivi queste di lui reliquie amate,<br />
Di quell’uom, per cui sono in tanti guai,<br />
Crescerò con amore, e della loro<br />
Trista madre ei saran dolce ristoro.<br />
Commosso il re da que’ pietosi accenti,<br />
Ben mostrava a salvarla animo prono;<br />
Ma quelle triste, infellonite genti,<br />
E il suo destino le negar perdono:<br />
Già snudano le spade rilucenti<br />
Quei che fatto sì reo tengon per buono.<br />
Oh sanguinarii petti! oh! cavallieri,<br />
Voi, contro a donna sì spietati e fieri <br />
Siccome incontro a Polissena 3 bella,<br />
Conforto estremo dell’antica madre,<br />
Sta il crudo Pirro, apparecchiato in ella<br />
A placar l’ombra dell’irato padre:<br />
Essa qual pazïente e mite agnella,<br />
Guardando con le sue luci leggiadre<br />
La genitrice che per duol delira,<br />
Offresi al duro sagrificio, e spira.<br />
Ines de Castro, anonimo portoghese.<br />
3 Figlia di Priamo e d Ecuba, sacrificata da Pirro sulla tomba del padre Achille.<br />
26 settembre 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
Tal que’ barbari bruti ucciditori<br />
Nel collo d’alabastro, che reggea<br />
L'opra, onde il cor conquiso avean gli amori<br />
Del signor che regina indi la fea,<br />
Bagnan le spade e que' candidi fiori<br />
Troncan ch’ella di lagrime aspergea;<br />
E in quell’ebro furor pensier non fanno<br />
Qual poi castigo a sopportar n’avranno.<br />
Ben potevi tu allor della celeste<br />
Lampa la luce indi ritrarre, o sole,<br />
Come già dalla mensa, ove Tieste<br />
Cibò le carni della propria prole 4 .<br />
Voi, o cave convalli, che intendeste<br />
Del freddo labro l’ultime parole,<br />
A lungo il nome replicaste poi<br />
Di Pedro, in che finir gli accenti suoi.<br />
Qual della bianca margherita il fiore<br />
Colto anzi tempo, e dalla man lasciva<br />
Di villanella brancicato, smuore,<br />
E l’odor perde onde gradito oliva:<br />
Così repente di mortal pallore<br />
Quel sembiante gentil si ricopriva;<br />
Le rose illanguidirono e sparita<br />
La bianchezza de’ gigli è con la vita.<br />
Pianser lunga stagion l’alta sciagura<br />
Le figlie del Mondego, e delle sparse<br />
Molte lagrime lor quivi una pura<br />
Fonte, a ricordo eterno allor n'apparse;<br />
E le diêr nome, che tuttor le dura,<br />
Degli amori, onde il petto ad Ines arse.<br />
Mira il fresco ruscel, che irriga i fiori:<br />
Lagrime è l’onda, e il nome suo gli Amori.<br />
Fonte das Lágrimas, Coimbra.<br />
www.flickr.com/photos/lambcover<br />
4 Atreo, dopo aver ucciso Plistene, figlio del fratello Tieste, ne diede le carni in pasto al padre.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 659
| ( 7 ) |<br />
Ma dell’atroce uccisïone indegna<br />
Non fu gran tempo la vendetta lunge;<br />
Ché Pedro appena il soglio ascende, e regna,<br />
Que' fuggiaschi uccisori anco raggiunge.<br />
Altro Pedro crudel glieli rassegna,<br />
Cui commune desío con lui congiunge<br />
Di mieter vite e il fero patto ingiusto,<br />
Che con Lepido strinse Antonio e Augusto 5 .<br />
Egli punì, castigatore acerbo,<br />
Le morti, i ladroneggi e l'adultèro:<br />
Fu dolcezza per lui senza riserbo<br />
Contro a' malvagi esser crudele e fiero.<br />
E in purgar le città d’0gni superbo<br />
Oltraggiatore, esercitò l’impero;<br />
E più ladroni ei castigando uccide,<br />
Che già Tesèo, che già l’errante Alcide.<br />
Tomba di Ines de Castro, Monastero di Alcobaça.<br />
5 <strong>Il</strong> secondo triumvirato, contro Bruto e Cassio (43 avantiCristo).<br />
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| ( 8 ) |<br />
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />
a Notizia.<br />
Fonte: I Lusiadi di Luigi Camoens, traduzione di Antonio<br />
Nervi, Milano 1821, pp. 164-170.<br />
DI DAVIDE BERTOLOTTI<br />
Non avvi storia più commovente per alcuni riguardi,<br />
né per molt1 altri più atroce di quella<br />
che dipinse i fatti di don Pedro e d'Ines, episodio<br />
il più bello di questo poema. Sotto un certo<br />
aspetto può anche dirsi non esservene alcuno<br />
che presenti alla morale conseguenze sì rilevanti,<br />
perocché i disastri e i delitti di cui abbonda<br />
questo racconto, ebbero origine da un amore illegittimo.<br />
Locandina del film spagnuolo Ines de Castro (1944).<br />
<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> continua a proporre opere poetiche che<br />
hanno allo stesso tempo incontrato il favore popolare<br />
ed ispirato generazioni di artisti, i quali quelle<br />
stesse opere hanno illustrate, musicate, messe in<br />
scena (si vedano i NN. 557, 581, 621, 644). Oggi è<br />
la volta della parte del canto III dei Lusiadi di<br />
Camões (su questo oggi politicamente scorrettissimo<br />
capolavoro contiamo di ritornare a breve) che<br />
narra la storia immortale di Ines e Don Pedro.<br />
Come sempre il testo è presentato nella traduzione<br />
in rima; tra le tante disponibili abbiamo scelto<br />
quella ottocentesca di Felice Bellotti, noto anche<br />
per avere collaborato con Vicenzo Monti alla sua<br />
insuperata traduzione dell'<strong>Il</strong>iade. N<br />
Etichetta di sigaro.<br />
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />
Luís de Camões, François Gérard (1770-1837).<br />
Don Pedro, figliuolo d Alfonso IV re del<br />
Portogallo, si maritò a Costanza, figlia di don<br />
Manuele di Penafiel, il più possente fra i signori<br />
spagnuoli; né principessa meritò mai tanto<br />
amore, bench'ella dal suo sposo non l'ottenesse.<br />
Ines di Castro, datale per damigella d'onore,<br />
inspirò al principe una fervente passione che seco<br />
lui ebbe comune. Costanza, che amava teneramente<br />
il consorte, non appena fu certa della<br />
propria sventura n'ebbe cordoglio vivissimo, cui<br />
abbandonandosi interamente, morì nel 1345,<br />
dopo di avere trascorsi nove angustiosi anni in<br />
questo nodo malaugurato.<br />
Ines, nella quale tutti gli storici concordemente<br />
esaltarono e rara bellezza, e indole d'anid<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 659
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mo soavissima, pianse sinceramente colei la cui<br />
morte ella si dovea rimproverare; mentre don<br />
Pedro, caldo più che dianzi d'amore, non ebbe<br />
più freno a manifestare la passione di che ardeva<br />
per la medesima. Laonde appena gli fu lecito<br />
di farlo senza offendere i debiti riguardi, sua<br />
sposa la dichiarò. Spiacque grandemente ad Alfonso<br />
tale condotta del figlio, erede della corona<br />
paterna; ma i preparamenti della guerra che<br />
mossi aveva contro la Castiglia, e la peste del<br />
1348 che funesta all'intera Europa, più grave<br />
sterminio arrecò al Portogallo, chiamarono a sé<br />
per allora tutte le sollecitudini di quel monarca.<br />
Nel 1354 don Pedro sposò Ines nella città di<br />
Braganza al cospetto del suo ciamberlano e<br />
d'un vescovo, lasciando fin d'allora scorgere il<br />
divisamento in cui venne di acclamarla regina,<br />
non sì tosto salirebbe sul soglio del padre. I prelati<br />
ed i grandi, studiosi di contestare un fatto<br />
che in loro sentenza era un disdoro del trono<br />
portoghese, persuasero Alfonso affinché proponesse<br />
un secondo maritaggio al suo figlio; proferta<br />
nel cui rifiuto mostrò la massima fermezza<br />
don Pedro. Bastò questo perché i nemici di Ines<br />
e tutti coloro che ingelosiva tanto innalzamento<br />
d'una famiglia privata, divenuta parente della<br />
famiglia reale, raddoppiassero istanze al sovrano<br />
affinché Ines severamente fosse punita.<br />
Tre di questi grandi soprattutto, cioè Gonzales<br />
Facheco e Coello, si segnalarono nel manifestare<br />
contr'essa un astio che a furore rassomigliava,<br />
onde senza altri riguardi non isgomentirono<br />
di offerirsi al Re per trucidare di propria<br />
mano una donna senza difesa. Comunque grande<br />
fosse contr'essa l'ira d'Alfonso, pure allora<br />
fremette di tale proposta, e senza secondarla si<br />
affrettò a combattere i Mori che di recente gli<br />
aveano tolta una città negli Algarvi.<br />
Ma non tornò appena da questa spedizione,<br />
breve quanto felice per le sue armi, che i tre nemici<br />
di Ines rinnovarono con maggiore insistenza<br />
le inumane loro sollecitazioni, cui faceva<br />
pretesto l'onore del principe, e principalmente<br />
la salvezza dello stato, al quale d'uopo era di<br />
estranie parentele che lo fortificassero; e tanto<br />
in queste istigazioni durarono che ad esse finalmente<br />
il Re condiscese.<br />
Quanto su questo atroce affare si deliberò<br />
non rimase talmente segreto, che molti cortigiani<br />
non ne venissero informati, e fra gli altri<br />
l'arcivescovo di Braga e la stessa regina Beatrice,<br />
madre di don Pedro, i quali lo avvertirono<br />
delle trame che ordite erano contro di Ines. Ma<br />
il principe, cui tanto colmo d'empietà pareva<br />
impossibile, credé piuttosto si volesse intimorirlo<br />
per più facilmente indurlo a separarsi da colei<br />
che ogni dì gli cresceva in amore.<br />
Venne finalmente giorno, in cui standosi don<br />
Pedro alla caccia, Alfonso partì da Montemayor<br />
per rendersi a Conimbra residenza di<br />
Ines; la quale ebbe appena il tempo d'essere avvisata<br />
che il Re moveva verso il palazzo ov'ella<br />
soggiornava, deliberato di farla morire. Non<br />
tardò essa a corrergli incontro, ed a presentargli<br />
prostratasi innanzi a lui, i tre figli che di don<br />
Pedro le erano nati. La presenza di questi sfortunati<br />
fanciulli, in cui non poteva Alfonso non<br />
ravvisare il proprio sangue, la beltà d'Ines che<br />
le materne lagrime facevano più commovente,<br />
toccarono in sì fatto modo il cuore del Re, che<br />
Supplica di Ines de Castro, Vieira Portuense (1765-1805).<br />
26 settembre 2011 Anno XI
| ( 10 ) |<br />
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☞ È uscito il nuovo numero.<br />
Cultura & Identità - Rivista di studi conservatori ·<br />
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Ugo da Porta Ravegnana 15,<br />
00166 Roma.<br />
#<br />
si ritirò privo di forza a compire il crudele disegno,<br />
per cui erasi ivi condotto. Ma non cessarono<br />
perciò le feroci prove di Gonzales, Pacheco<br />
e Coello, le quali fatalmente riuscirono agli<br />
scellerati, dopo che Alfonso non ebbe più innanzi<br />
agli occhi la misera Ines e i figli della medesima.<br />
Costoro, ottenuto appena il regio consenso,<br />
si affrettarono al palagio di Ines dove orrendo<br />
spettacolo fu il vedere cavalieri, nati a difendere<br />
la beltà, divenirne i carnefici.<br />
Non fa mestieri il descrivere da quanto acerbo<br />
dolore fosse trafitto don Pedro; ma tal non<br />
era la sua indole da appagarsi di disfogarlo con<br />
pianti e querele. Nell'eccesso di sua disperazione<br />
divenne ribelle; onde unitosi a Fernando e ad<br />
Alvaro de Castro, fratelli di Ines, per primo atto<br />
di vendetta devastò le province poste tra il<br />
Douro e il Mino, e quelle di Tra-los-montes,<br />
ove i traditori della sua sposa avevano possedimenti;<br />
né il furor che lo invase diede in esso<br />
luogo alla pietà per tanto stuolo d'innocenti,<br />
fatti vittima della sua sete di vendicarsi.<br />
Qual fu l'afflizione in Alfonso che soprappiù<br />
rammentava aver mossa egli stesso una guerra<br />
empia al proprio padre, il re Dionigi. Ogni dì<br />
cresceano la mestizia e i disastri che minacciavano<br />
quel regno, quando la medesima regina,<br />
accompagnata da parecchi prelati, si trasportò a<br />
pregare il figlio perché deponesse le armi.<br />
Non acconsentì egli che al solo patto di vedersi<br />
consegnati Gonzales, Facheco e Coello;<br />
alla quale inchiesta ben sentiva di non potere,<br />
senza suo disdoro, condiscendere Alfonso, da<br />
cui alla fin fine erano partiti gli ordini che quei<br />
malvagi eseguirono. Pure, più gravi facendosi di<br />
giorno in giorno le sciagure del Portogallo, ebbe<br />
a ventura l'ottenere che don Pedro si contentasse<br />
di saperli esigliati. Oppresso egualmente<br />
dai cordogli e dalle senili infermità, morì Alfonso<br />
prima di rivedere il figlio. Giunto egli era<br />
al settantasettesimo anno dei viver suo.<br />
Nell'anno 1356 don Pedro salì il trono in età<br />
di trentasei anni. Sua prima cura fu di collegarsi<br />
col re di Castiglia contro il re di Aragona, comunque<br />
la ragione di stato gli suggerisse una<br />
condotta affatto opposta; ma qual re in allora<br />
non comportavasi, bensì qual nemico implacabile<br />
dei carnefici di Ines che nella Castiglia si<br />
erano riparati. Sperò, né invano, che per riguardo<br />
a tale confederazione costoro gli sarebbero<br />
consegnati da don Pedro re di Castiglia,<br />
tanto conosciuto dopo sotto nome di Pietro il<br />
Crudele, il quale certamente non fu di tal tempra<br />
da avere per sacri i doveri dell'ospitalità. In<br />
fatti colse questi tal destro per farsi restituire<br />
alcuni signori che, per sottrarsi al suo giogo,<br />
cercato avevano il Portogallo; ed in contraccambio<br />
mise nelle mani del vedovo d'Ines Gonzales<br />
e Coello. Quanto a Pacheco, dovette ad<br />
una buona azione il proprio scampo: poiché nel<br />
giorno che seguì l'arresto de' suoi compagni,<br />
avvertito in tempo da un mendicante cui solito<br />
era fare elemosina, si salvò nelle terre dell'Aragona.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 659
| ( 11 ) |<br />
Dolente don Pedro che questo solo si fosse<br />
involato alla sua vendetta, ne cercò un compenso<br />
nell'incrudelire maggiormente sugli altri.<br />
Tutti già erano stati dichiarati traditori in verso<br />
la patria, e come tali ne furono confiscati i beni.<br />
Ordinato che si applicassero alla tortura Gonzales<br />
e Coello, volle saziarsi contemplando egli<br />
stesso gli orrendi tormenti che sofferirono, senza<br />
perciò lasciarsi indurre a palesare i lor complici,<br />
o la natura dei segreti abboccamenti avuti<br />
con essi dal re Alfonso.<br />
Fatto feroce dal rancore, non bastò a don<br />
Pedro l'essere stato spettatore di tanti patimenti<br />
de' suoi nemici. Per suo comando, innalzato un<br />
palco rimpetto alla finestra del reale palagio,<br />
dond'ei potea contemplare le vittime di sue<br />
vendette, volle che ai pazienti si strappasse il<br />
cuore, mentre erano ancora in vita, spaventevole<br />
supplizio del quale il Portogallo non avea per<br />
anche visto l'esempio, e per cui don Pedro giunse<br />
a svegliare compassione in favore d'uomini<br />
Incoronazione di Ines, Pierre-Charles Comte (1853-1895).<br />
cotanto vili e colpevoli. Arsi indi i lor corpi ne<br />
furono gettate le ceneri al vento.<br />
Serbato era a don Pedro l'offerire uno spettacolo,<br />
sott'altro aspetto, più straordinario, e<br />
tale che dimostrando l'eccesso dell'amore da lui<br />
provato per Ines, lo presentasse come un oggetto<br />
degno d'inspirare pietà anziché orrore.<br />
Egli si trasferì a Castagnedo, ove i primi signori<br />
del regno lo accompagnarono. Ivi, dopo<br />
aver giurato che il suo maritaggio con Ines era<br />
accaduto nella città di Braganza, volle s'interrogassero<br />
i testimoni, e fece indi pubbliche queste<br />
nozze. Stata era fra i due conjugi una di<br />
quelle affinità che, chiamate spirituali, hanno<br />
più o meno, giusta i tempi, portato impedimento<br />
ai matrimoni: gli storici più non ci danno<br />
maggiori spiegazioni del modo con cui questa<br />
affinità si fosse contratta.<br />
Don Pedro si affrettò a far nota una bolla di<br />
Giovanni XXII che gli concedea tutte le volute<br />
dispense; pei quali diversi atti non ammise più<br />
dubbio la legittimità dei figli di don Pedro, e il<br />
loro diritto di succedere al trono.<br />
Dopo di essersi prese tali cure, di lor natura<br />
lodevoli, comandò si fabbricassero nel Monasterio<br />
d'Alcobassa, così per sé come per l'Ines,<br />
due sepolcri di bianco marmo, sopra l'uno de'<br />
quali stavasi, cinta di regale corona, la statua<br />
della sua moglie.<br />
Presedette indi all'ultima cerimonia, per cui<br />
di compassione dicemmo il delirio del suo dolore.<br />
Fu questa far disotterrare il cadavere d'Ines,<br />
sepolto più di sett'anni nella chiesa di S. Chiara<br />
di Conimbra, il quale vestito di regali abiti, e<br />
postagli una corona sul capo, venne adagiato<br />
sul trono. Ivi, per comando dello sfortunato<br />
marito, convennero tutti i signori e le dame della<br />
corte, che prostratisi innanzi a salma cui don<br />
Pedro portò amore sì intenso, la riconobbero<br />
per loro sovrana, e baciarono quelle che scarne<br />
ossa erano divenute.<br />
Collocati indi su maestoso carro i resti di<br />
Ines, il medesimo corteggio l'accompagnò, e la<br />
pompa funebre fu continuata per tutte le diciassette<br />
leghe da Alcobassa disgiungono Conim-<br />
26 settembre 2011 Anno XI
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bra. I signori teneano avvolti il capo in un cappuccio,<br />
ch'era il segno di lutto in quella contrada,<br />
mentre le dame vestivano lunghe zimarre<br />
nere, da bianchi manti coperte. Da un lato e<br />
l'altro della strada erano file d'uomini che portavano<br />
fiaccole.<br />
Comunque eccessivi potessero sembrare questi<br />
segni del cordoglio che annunziava don Pedro,<br />
essi furono però tanto sinceri, che quel popolo<br />
per natura affettuoso, anziché mostrarsene<br />
maravigliato, prese parte al lugubre di tal ceremonia<br />
con una verità da cui ebbe qualche sollievo<br />
il cuore di un inconsolabil consorte.<br />
Del rimanente, poiché narrammo, senza palliarli,<br />
gli errori in cui lo trasse una passione infelice;<br />
poiché lo biasimammo e di aver impugnate<br />
le armi contro il proprio genitore e di<br />
aver spinto alla crudeltà la vendetta che prese<br />
degli uccisori di Ines, ci è forza il dire quanto<br />
cara ricordanza di sé lasciasse a' suoi popoli don<br />
Pedro, morto nel 1367, sei anni dopo questa ceremonia<br />
unica nella storia.<br />
Ognuno angoscioso si mostrò per tal morte,<br />
e fu universale il compianto, allorché il cadavere<br />
di don Pedro fu trasportato nella tomba ove<br />
posavano le ossa di Ines. Su questa tomba si ripetevan<br />
sospirando que' detti che gli furono famigliari<br />
“Un Re che lascia trascorrere un giorno<br />
senza avere sparso beneficenze, non merita<br />
nome di Re”. Ivi ciascuno avea cura di dimostrare<br />
come nel durar del suo regno si fosse<br />
mantenuto consentaneo a sì fatta massima. Per<br />
la quale senza che le ostilità fossero spinte<br />
tropp'oltre fu sollecito di far la pace con Enrico<br />
di Transtamare, che il voto dei Castigliani e<br />
l'armi del celebre Duguesclin aveano posto sul<br />
trono, prima occupato da Pietro il Crudele,<br />
confederato di don Pedro. Ben sentì lo sposo di<br />
Ines quanto gli fosse disdicevole il proteggere<br />
un principe, il quale comecché legittimo, avea<br />
colle sue crudeltà alienato l'animo ne' sudditi, e<br />
fatto erasi indegno del soglio. Laonde don Pedro<br />
cessò dall'inviargli ajuti, e gli negò perfino<br />
asilo negli stati portoghesi, facendogli intendere<br />
che cedea per tal modo all'interesse de' propri<br />
sudditi, in lui maggiore d'ogni altra considerazione.<br />
Proteggitore del terzo stato contro la nobiltà,<br />
don Pedro ebbe coi legislatori repubblicani e<br />
coi despoti comune la massima di riguardare innanzi<br />
alla legge eguali tutte le classi della società;<br />
e a dimostrare com'egli a tal dettame fosse<br />
fedele, si narra un giudizio che questo Re pronunziò<br />
quando il clero ed un calzolaio erano le<br />
parti convenute al suo tribunale. Avendo un canonico<br />
dato morte al padre del secondo, non<br />
ebbe dai propri superiori ecclesiastici maggior<br />
castigo dell'essere escluso del coro per un intero<br />
anno; venne al calzolajo il destro di uccidere il<br />
canonico: per la qual cosa avendo fatto ricorso<br />
gli altri canonici, il colpevole fu condannato<br />
dal Re a non fare scarpe in tutto il volger d'un<br />
anno.<br />
DAVIDE BERTOLOTTI<br />
Tomba di Ines e don Pedro, Monastero di Alcobaça.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 659
A<br />
B<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
N°660<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
8 OTTOBRE 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
1° I N C O N T R O<br />
D E G L I A M I C I<br />
DEL COVILE.<br />
MATERIALI.<br />
d<br />
Villa Morghen, Settignano, Firenze<br />
24-25 Settembre <strong>2011.</strong><br />
PRIMA GIORNATA<br />
<strong>Il</strong> recente incontro degli amici del <strong>Covile</strong> per contenuti,<br />
clima conviviale, bellezza del luogo e accoglienza,<br />
è riuscito al di là delle aspettative. In questo numero<br />
presentiamo soltanto quegli interventi della prima giornata<br />
che i relatori ci hanno inviato e in verità con ciò<br />
pensavamo di concludere, lasciando il resto al ricordo<br />
dei partecipanti, ma ci ha scritto Riccardo De Benedetti:<br />
“La disponibilità a discutere si è moltiplicata domenica<br />
mattina con l'intervento di Giannozzo e il fitto<br />
scambio di posizioni tra tutti i partecipanti che ne è seguito<br />
e che sarebbe proseguito ben oltre la pausa<br />
pranzo... se non ci fossero stati i treni. Offrirne una<br />
traccia ai lettori del <strong>Covile</strong> credo sia doveroso”. Abbiamo<br />
dunque deciso di seguire il suo consiglio e della seconda<br />
giornata intendiamo pubblicare la registrazione<br />
integrale. N<br />
INDICE<br />
1 Stefano Borselli. <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> e la condizione antimoderna.<br />
5 Armando Ermini. Decostruire l’umanità.<br />
13 Pietro Pagliardini. <strong>Il</strong> ritorno dell'urbanistica.<br />
18 Gabriella Rouf. <strong>Il</strong> deserto e l’oasi.<br />
a <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> e la condizione antimoderna.<br />
DI STEFANO BORSELLI<br />
Se non in maggioranza certamente molti<br />
dei nostri lettori, abbiamo avuto modo di verificarlo,<br />
arrivano al <strong>Covile</strong> perché vi trovano<br />
un daviliano “rifugio contro l'inclemenza del<br />
tempo”, come la nostra testata auspica. Sono<br />
uomini e donne che sperimentano quella che<br />
Andrea G. Sciffo ha chiamato “la condizione<br />
antimoderna”. 1<br />
Andrea ha coniato il termine riferendosi a<br />
quel gruppo di intellettuali attivi nel pieno<br />
della catastrofe degli anni '60 composto da<br />
Augusto Del Noce, Rodolfo Quadrelli, Emanuele<br />
Samek Lodovici, Cristina Campo ecc.,<br />
1 “La condizione antimoderna”, è il titolo posto da Andrea G.<br />
Sciffo ad un paragrafo del suo saggio Operaio e filosofo. Un ricordo<br />
di Mario Marcolla, pubblicato nel luglio 2009 negli ABC e integralmente<br />
ripreso dal <strong>Covile</strong> N°632 del 26 febbraio <strong>2011.</strong><br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />
www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />
<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />
minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />
cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />
Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
alla cui memoria storica egli ha avuto accesso<br />
tramite il suo maestro Mario Marcolla. Qualche<br />
giorno fa Almanacco romano rievocava<br />
nel suo blog quegli anni a proposito della<br />
Chiesa:<br />
Si arresero alle peggiori forme del moderno.<br />
Con le migliori intenzioni del mondo, naturalmente,<br />
al fine di aggiornare la religione di Cristo,<br />
di lucidarla con l’illuminismo, di arricchirla<br />
con la terrena ‘questione sociale’ (che facesse<br />
da contrappeso al Cielo), di renderla attraente<br />
per il pubblico della televisione, per i consumatori<br />
di cultura a fascicoli e di psicoanalisi, per il<br />
popolo che cominciava a firmare cambiali, per<br />
le vestali del Progresso, per i fans del rock e i<br />
lettori di Sartre, per i recenti inurbati e i crescenti<br />
inurbani; al fine di rendere accettabile<br />
anche ai cattolici ‘adulti’ il catechismo e i prodigi<br />
biblici, ai liberali un Dio intollerante, ai<br />
socialisti lo sfarzo della religione di Roma, i disgraziati<br />
preti degli anni Sessanta/Settanta si<br />
prodigarono nel buttare a mare le più preziose<br />
formule liturgiche e la prosa latina che le rivestiva;<br />
tradirono così l’arte millenaria e la musica<br />
altrettanto millenaria, tolsero l’aureola ai<br />
santi che non possedevano il certificato filologico,<br />
si lasciarono suggestionare dalla desolazione<br />
protestante, si illusero fosse un’arte nuova<br />
(con lo spirituale incorporato), si piegarono<br />
di fronte ai totalitarismi del dopoguerra — non<br />
solo con i regimi che opprimono i suoi fedeli,<br />
come la Chiesa aveva sempre fatto, trattando<br />
saggiamente con i tiranni, cercando di strappare<br />
dalle loro grinfie il più gran numero di vittime<br />
—, bensì intrattenendosi stavolta con ideologi<br />
senza potere, complici e nunzi di quei mascalzoni;<br />
aprirono infine le porte a massoni,<br />
garibaldini, a tutte le sètte, chiedendo scusa a<br />
ciascuno di loro, autolesionismo impressionante,<br />
confondendo pericolosamente cristianesimo<br />
e masochismo; svendettero o regalarono<br />
la tradizione agli antiquari, se ne vergognarono,<br />
si inebriarono con gli argomenti dei<br />
nemici; camminarono in punta di piedi, clero<br />
timidone e laici con il complesso di inferiorità<br />
verso i miscredenti: per donare un maggiore<br />
appeal della Chiesa finirono per sopprimerla,<br />
per cancellare il sacrificio della messa, per riscrivere<br />
i libri sacri in traduzioni penose. 2<br />
Era quella un'epoca per dei versi più terribile<br />
della nostra: ci voleva allora una gran fede<br />
per pensare che un Ratzinger sarebbe così<br />
cambiato e soprattutto che sarebbe divenuto<br />
Papa.<br />
Z [<br />
Se Sciffo avesse avuto modo di preparare il<br />
suo intervento per questo incontro, avrebbe<br />
esteso il suo concetto ben oltre un ristretto<br />
gruppo di studiosi, per comprendervi tutti coloro<br />
che conoscono, prima che un pensiero,<br />
una difficoltà, un disagio a volte quasi fisico, a<br />
vivere nel mondo moderno. Da cosa nasce<br />
questo disagio è presto detto: dallo spettacolo<br />
desolante della modernità e dal dissenso radicale,<br />
e ancor più dalla divaricazione del gusto,<br />
verso lo spirito del tempo che imperversa non<br />
solo nei media, ma anche nella conversazione<br />
sociale, nei salotti, nelle cene.<br />
Si giri un pomeriggio per Firenze: arredi<br />
urbani minimalisti che contrastano e distruggono<br />
la finezza di quelli nostri tradizionali,<br />
scritte deformi sui muri secolari, volti tesi,<br />
gente trasandata oltre il limite (Alzek Misheff<br />
ha scritto pagine definitive su questa scena urbana),<br />
masse di erranti indottrinati e senza<br />
scopo: niente a che vedere con la folla di una<br />
festa patronale, di una sagra, di un palio. Possiamo<br />
provare a definire meglio la condizione<br />
antimoderna come quella di chi assiste, accorgendosene<br />
dolorosamente, alla distruzione di<br />
ogni forma. Corollario di questa semplificante<br />
definizione è che <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> difende e cerca<br />
di mettere in collegamento coloro che vogliono<br />
conservare-creare forme umanizzanti.<br />
Un esempio: nel film Ti va di ballare Antonio<br />
Banderas interpreta Pierre Dulaine, un<br />
ballerino che nei ghetti americani insegna con<br />
successo ai ragazzi il ballo da sala (tango ecc.,<br />
2 Almanacco romano, 17 settembre 2011, <strong>Il</strong> santo che oscurò il<br />
Concilio.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660
| ( 3 ) |<br />
balli formali non quelli tribali in voga) per<br />
abituarli, spiega, alle “competenze trasferibili<br />
di decoro, etichetta, essere educati con l'altro,<br />
rispetto, dignità”. Purtroppo il film è così<br />
pieno di luoghi comuni da distruggere quasi<br />
completamente il messaggio, ma tant'è.<br />
Ho scelto questo esempio solo per variare<br />
dai nostri temi consueti, avrei potuto parlare<br />
di arte, di poesia (la battaglia di Carl Schmitt<br />
per la rima, che abbiamo fatto nostra, è tanto<br />
diversa da quella di Pierre Dulaine per il ballo<br />
da sala), di scuola: nel mondo moderno non<br />
c'è niente che nel suo aspetto più comune ci<br />
possa piacere, anzi quasi sempre ci disturba, ci<br />
spinge alla fuga.<br />
Ma per fortuna ci sono ancora mille possibilità<br />
di ritrovare, ed a costi irrisori, ciò che<br />
cerchiamo. Sono generi che oggi hanno poco<br />
mercato, se non ne sono sempre stati fuori: si<br />
assiste gratis al prodigio di una messa in latino,<br />
celestialmente cantata, nella chiesa d'Ognissanti...<br />
E tra le maglie del sistema resta<br />
ancora tanto di nuovo e buono da scoprire,<br />
anch'esso nascosto e isolato.<br />
Ecco quindi il primo scopo che <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> si<br />
è dato e perlomeno in qualche caso ha raggiunto:<br />
aiutare questi refrattari a non dubitare<br />
di se stessi, dei propri gusti e delle proprie<br />
idee, a dirsi “nonostante tutto sono gli altri ad<br />
essere pazzi, non io”.<br />
L’esistenza del vero reazionario di solito scandalizza<br />
il progressista. La sua presenza in qualche<br />
modo lo disturba. Di fronte all’atteggiamento<br />
reazionario il progressista prova un leggero<br />
disprezzo, accompagnato da sorpresa e da<br />
inquietudine. Per placare i propri timori, il<br />
progressista è solito interpretare questo atteggiamento<br />
inopportuno e urtante come travestimento<br />
d’interessi o come sintomo di stoltezza;<br />
ma soltanto il giornalista, il politico e lo stupido<br />
non si turbano, segretamente, di fronte alla<br />
tenacia con cui le più elevate intelligenze d’Occidente,<br />
da centocinquant’anni, accumulano<br />
obiezioni contro il mondo moderno. Infatti, un<br />
disprezzo di compiacenza non sembra la risposta<br />
adeguata a un atteggiamento nel quale un<br />
Goethe si può affratellare a un Dostoievski. 3<br />
Z [<br />
Un rischio, anzi, il rischio, della condizione<br />
antimoderna (corso anche dallo stesso<br />
Marcolla) è la possibile cattura da parte delle<br />
fascinose teorie guenoniane, quindi anticristiane,<br />
alla Roberto Calasso: neopaganesimo,<br />
induismo, esoterismo, mito della società castale<br />
contrapposta a quella “liquida”. Su questo<br />
punto dobbiamo fare, abbiamo fatto, delle<br />
scelte<br />
Qui devo sintetizzare fortemente, richiamando<br />
opere come il film Apocalypto di Mel<br />
Gibson, il bel testo divulgativo Indagine sul<br />
cristianesimo di Francesco Agnoli e soprattutto<br />
i lavori di René Girard. Esse ci parlano dei<br />
meriti della società occidentale-cristiana: il<br />
superamento della pervasiva paura dei morti,<br />
la cura dei bambini e delle donne, dei malati e<br />
dei vecchi, lo sviluppo della persona, la fine<br />
della logica del sacrificio della vittima innocente<br />
(secondo Girard “l'esca” Gesù immolandosi<br />
ha reso la società del sacrificio ormai<br />
irripetibile). Chi si aggiri andando con la<br />
mente oltre la museificazione nell'ex Ospedale<br />
di Santa Maria della Scala di Siena, o<br />
consideri quanta bellezza c'è ancora dentro<br />
quello non ex di S. Maria Nuova di Firenze<br />
(anche se purtroppo oggi le opere d'arte sono<br />
separate dai malati) può rendersi facilmente<br />
conto di come il mutamento, il progresso,<br />
non abbia necessariamente un esito nichilista.<br />
<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> sta quindi dalla parte dell'Occidente<br />
cristiano, ed accetta, come peraltro<br />
hanno fatto i grandi pensatori ed artisti del<br />
medioevo o dell'epoca barocca, la sfida del<br />
cambiamento, senza rimpianti per la società<br />
castale. Ma la situazione è sconfortante: la<br />
modernità, figlia del cristianesimo, ha ormai<br />
imboccato una strada distruttiva della quale<br />
3 Nicolás Gómez Dávila (1913-1994) <strong>Il</strong> vero reazionario, in Cristianità<br />
N.287-288, marzo aprile 1999.<br />
8 ottobre 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
non si vede via d'uscita; unica possibile forza<br />
rilevante che potrebbe porsi di mezzo, e che<br />
in parte lo ha fatto e lo fa, è la Chiesa cattolica,<br />
dentro la quale, e questa è una buona<br />
notizia, è sempre più forte la spinta ad uscire<br />
dalla subalternità e dal vicolo cieco imboccato<br />
(non dottrinariamente, ma operativamente sì)<br />
col Concilio Vaticano II. Ce lo assicurano i<br />
buoni teologi e soprattutto il Vangelo, dove è<br />
scritto che non prevarranno.<br />
Z [<br />
Nondimeno non vediamo avere tregua l'opera<br />
di distruzione dell'intero mondo umano:<br />
si pensi solo al nuovo lysenkismo rappresentato<br />
dalla cosiddetta teoria dei gender, ce ne<br />
parlerà Armando Ermini, che sta profilando<br />
la più tremenda delle rovine antropologiche,<br />
e non c'è solo quel veleno... Sembra quindi,<br />
per ora, che la modernità si stia rivolgendo<br />
contro le premesse cristiane che l'hanno prodotta.<br />
Non venga vista come irriverente l'analogia<br />
col triste bilancio di Guy Debord:<br />
(Una linea di giganteschi grattacieli investe la<br />
vecchia Parigi) Quanto a ciò che abbiamo fatto,<br />
come sarebbe possibile valutarne il risultato attuale<br />
Noi attraversiamo oggi questo paesaggio<br />
devastato dalla guerra che una società combatte<br />
contro se stessa, contro le sue proprie possibilità.<br />
(Alcune vedute della neo-Parigi, e altri paesaggi<br />
sconvolti per i bisogni dell'abbondanza di<br />
merci) L'imbruttimento di tutto era senza dubbio<br />
il prezzo inevitabile del conflitto. […] La<br />
causa più vera della guerra, di cui si sono date<br />
tante spiegazioni fallaci, è che doveva necessariamente<br />
nascere come uno scontro sul cambiamento;<br />
nulla le restava più dei caratteri di una<br />
lotta tra conservazione e cambiamento, in un<br />
tempo che cambia. I proprietari della società<br />
erano costretti, per mantenersi, a volere un<br />
cambiamento che era l'inverso del nostro. Noi<br />
volevamo ricostruire tutto, e loro anche, ma in<br />
direzioni diametralmente opposte. Ciò che<br />
hanno fatto è sufficiente a mostrare, in negativo,<br />
il nostro progetto. I loro immensi lavori<br />
non li hanno dunque condotti che a questo<br />
punto, a questa corruzione. L'odio della dialettica<br />
4 ha condotto i loro passi fino a questo<br />
grande letamaio. (Terreno di decantazione degli<br />
scarichi industriali contemporanei). 5<br />
A mio giudizio il fallimento senza appello<br />
dei situazionisti è dato proprio dal non aver<br />
saputo trarre le conclusioni (che non potevano<br />
che essere la conversione, alla Huysmans)<br />
delle loro premesse di critica della dissoluzione<br />
del rapporto sociale generata dal capitalismo...<br />
Z [<br />
Così stando le cose <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> non vuole alimentare<br />
illusioni, ma essere positivo sì, come i<br />
nostri lettori sanno. Facciamo nostra la raccomandazione<br />
di Gómez Dàvila “non rifiutare,<br />
ma preferire”, che si associa all'aureo detto<br />
“meglio accendere una candela che maledire<br />
l'oscurità”. Per concludere ricorro ancora<br />
a parole del grande pensatore colombiano:<br />
Se il progressista si volge al futuro, e il conservatore<br />
al passato, il reazionario non misura i<br />
propri desideri con la storia di ieri o con la storia<br />
di domani. <strong>Il</strong> reazionario non plaude a<br />
quanto porterà l’alba prossima, né si aggrappa<br />
alle ultime ombre della notte. La sua abitazione<br />
si leva nello spazio luminoso in cui le essenze<br />
lo chiamano con le loro presenze immortali.<br />
<strong>Il</strong> reazionario sfugge alla schiavitù della storia<br />
perché ricerca nella selva umana l’orma di passi<br />
divini. Gli uomini e i fatti sono, per il reazionario,<br />
una carne servile e mortale animata da venti<br />
di tramontana.<br />
Essere reazionario significa difendere cause<br />
che non girano sulla scacchiera della storia,<br />
cause che non importa perdere.<br />
Essere reazionario significa che ci limitiamo a<br />
scoprire quanto crediamo d’inventare; [...]<br />
Essere reazionario non significa abbracciare<br />
4 Si potrebbe sostituire con “L'odio per Cristo”.<br />
5 Guy Debord, “In girum imus nocte et consumimur igni”, in<br />
Opere cinematografiche complete, Arcana, Roma 1980, p.315. Trattandosi<br />
del testo di un film, abbiamo lasciato anche i rimandi alle<br />
immagini.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660
| ( 5 ) |<br />
determinate cause, né patrocinare determinati<br />
fini, ma assoggettare la nostra volontà alla necessità<br />
che ci costringe, arrendere la nostra libertà<br />
all’esigenza che ci spinge; significa trovare<br />
le evidenze che ci guidano addormentate<br />
sulla riva di stagni millenari.<br />
<strong>Il</strong> reazionario non è il sognatore nostalgico di<br />
passati conclusi, ma il cacciatore di ombre sacre<br />
sulle colline eterne. 6<br />
STEFANO BORSELLI<br />
6 <strong>Il</strong> vero reazionario, op. cit.<br />
a Decostruire l’umanità.<br />
DI ARMANDO ERMINI<br />
Più che del maschile in senso stretto, come<br />
da programma, vorrei piuttosto contestualizzare<br />
il tema del maschile e del femminile oggi<br />
in un contesto più vasto, connesso con quanto<br />
accade in altri ambiti della vita sociale.<br />
Credo infatti che ogni tema che affrontiamo<br />
resterebbe per così dire monco o meglio muto<br />
ad una comprensione più profonda delle sue<br />
origini se contemporaneamente non lo vediamo<br />
come parte di un flusso nel quale ogni fenomeno<br />
è connesso con gli altri.<br />
j<br />
Vorrei partire da due concetti in apparenza<br />
estranei al tema, espressi uno da Ciro Lomonte<br />
in “Un calice del 1998” pubblicato sul<br />
n°624 de <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>, l’altro pubblicato dapprima<br />
sul n°320 dello stesso e poi ripreso in Antiarchiettura<br />
e demolizione (Libreria Editrice<br />
Fiorentina 2007), di Nikos Salìngaros, ed entrambi<br />
riferentesi all’architettura ed agli oggetti.<br />
Scrive Lomonte:<br />
“Con il termine decorazione non intendiamo un<br />
abbellimento giustapposto all’oggetto. La vera<br />
architettura non è costituita mai solo da struttura<br />
e materiali ostentati come uno scheletro (elegante<br />
ma pur sempre insufficiente) senza carne<br />
e senza pelle. <strong>Il</strong> vero ornamento è coessenziale all’organismo<br />
architettonico. In qualche modo deve<br />
esserci e non può essere tolto senza mettere a<br />
repentaglio la vita dell’opera”.<br />
E riferendosi al design moderno prosegue<br />
“esso va bene per prodotti industriali di uso comune,<br />
non per oggetti carichi di significato e<br />
con esigenze funzionali complesse che richiedono<br />
una progettazione e una realizzazione artigianale<br />
anche quando sono prodotti in serie”.<br />
Da parte sua Salìngaros scrive:<br />
“il nostro corpo e i nostri sensi riconoscono le<br />
strutture adatte che dispongono di una similarità<br />
fondamentale con la nostra struttura. <strong>Il</strong><br />
8 ottobre 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
benessere fisiologico e psicologico è basato sulla<br />
consanguineità con l’ambiente”.<br />
Ora, mentre gli stili architettonici tradizionali<br />
o vernacolari, sia pure nella loro diversità,<br />
rispondono a quel criterio di similarità,<br />
ciò non accade nell’architettura modernista,<br />
prosegue Salìngaros. Sempre nell’articolo<br />
citato, riprende il concetto di biofilia elaborato<br />
da Edward Wilson, secondo il quale il<br />
corpo umano, formatosi nel lontano passato<br />
preistorico, conserva memoria ereditaria dell’ambiente<br />
di allora e cerca continuamente di<br />
riprodurlo nel nostro ambiente contemporaneo.<br />
“La qualità del nostro ambiente primordiale<br />
originale, cioè una savana con alberi distanziati,<br />
è matematicamente complessa in modo molto<br />
preciso. È la stessa complessità frattale che<br />
si trova nella struttura biologica (per esempio il<br />
polmone). Riconosciamo la stessa complessità,<br />
o la sua assenza, nelle strutture costruite. Dove<br />
c’è, sentiamo bene, e dove non c’è, sentiamo male.”<br />
Parole che potrebbero trovar posto alla<br />
perfezione nelle Lettere dal lago di Como di<br />
Romano Guardini quando descrive, meravigliato<br />
e attonito, l’ambiente intorno al lago,<br />
laddove l’uomo seppe costruire e modellare il<br />
paesaggio in modo congruente non solo con<br />
un ideale estetico, ma in armonia con la sua<br />
anima e il suo corpo.<br />
Dall’unione/combinazione dei due concetti<br />
si deducono quindi due cose. 1) Un edificio,<br />
per essere “vitale”, deve possedere una sua<br />
coerenza fra la struttura interna e l’aspetto<br />
esterno. 2) Nel suo complesso tale edificio,<br />
ma in generale vale anche per un aggregato di<br />
edifici come una città o un villaggio, deve riprodurre<br />
in scala una struttura simile a quella<br />
biologica. Quando queste due condizioni non<br />
si verificano, si produce nell’osservatore o nel<br />
fruitore di quell’edificio o di quella città un<br />
effetto di disagio e di malessere, proprio come<br />
il corpo percepisse e somatizzasse una stonatura,<br />
benché non sempre sappia rendersi esattamente<br />
conto del perché.<br />
Ora, se noi proviamo ad applicare quei<br />
concetti all’essere umano, possiamo renderci<br />
conto ad esempio del perché è inevitabile<br />
provare un senso di disagio dinanzi ad una<br />
persona la cui struttura corporea è maschile<br />
ma abiti e gestualità femminili, e naturalmente<br />
viceversa. Accade ancora oggi nonostante<br />
la massiccia offensiva mediatica tesa a<br />
convincerci del contrario. <strong>Il</strong> disagio non origina<br />
da giudizi morali (moralistici) che non ci<br />
competono e che non hanno motivo d’essere<br />
pronunciati, ma proprio dalla percezione di<br />
una frattura fra complessivo aspetto esteriore<br />
e ciò che si suppone essere il carattere sessuale<br />
interno proprio del maschio o della femmina.<br />
E d’altra parte, mentre un/una omosessuale<br />
che si muova e si vesta in modo consono al suo<br />
sesso non produce nessun effetto di quel tipo,<br />
quel senso di disagio tende a ripresentarsi allorché<br />
gli aspetti esteriori tradizionalmente<br />
propri del maschile e del femminile vengono<br />
accentuati in modo parossistico, come se si<br />
percepisse che l’accentuazione dell’esterno<br />
servisse a coprire un deficit d’identità interna.<br />
Come in un oggetto o un edificio, l’ornamento<br />
è coessenziale alla struttura, e l’osservatore<br />
coglie l’eventuale distonia. Nell’essere umano,<br />
da sempre, l’immagine esteriore è stata<br />
congrua con le caratteristiche psichiche interiori,<br />
e ciò assicurava equilibrio e consapevolezza<br />
della propria identità di genere, senza<br />
che ciò fosse sentito come una costrizione<br />
“sociale” ma come corrispondenza naturale e<br />
ovvia fra i caratteri di genere interni ed<br />
esterni.<br />
Non vuol dire che dappertutto e in ogni<br />
tempo abiti, costumi, ornamenti, abitudini di<br />
vita maschili da una parte e femminili dall’altra<br />
siano stati sempre identici a se stessi, ma<br />
che ogni civiltà ha sempre elaborato propri<br />
canoni stilistici esterni diversificati fra mad<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 660
| ( 7 ) |<br />
schile e femminile che, in linea di sostanza,<br />
erano congrui con ciò che era attribuito al<br />
maschile e ciò che era attribuito al femminile<br />
in quanto carattere interno.<br />
La cultura, potremmo dire, ha dunque il<br />
compito, se indirizzata al benessere dell’umanità,<br />
di favorire l’armonia interna dell’essere<br />
umano e quella fra l’uomo e l’ambiente che<br />
egli contribuisce a modellare, senza che ciò<br />
significhi in alcun modo procedere verso l’omologazione.<br />
Esiste, al contrario, uno spazio<br />
immenso in cui la creatività e la naturale tendenza<br />
alla diversificazione e all’innovazione si<br />
possono esercitare senza allontanarsi dal dato<br />
naturale, esattamente come non esiste armonia<br />
solo intorno al lago di Como, e come<br />
quell’armonia può essere rintracciata in stili<br />
architettonici diversi fra di loro. Lo stesso vale,<br />
a mio avviso, per il maschile e il femminile,<br />
diversi fra di loro e diversi al loro interno per<br />
il modo con cui le culture hanno contribuito a<br />
modellarne forme esteriori e caratteristiche<br />
interiori, ma sempre rispettando il loro “programma”<br />
fondamentale che è dato in natura<br />
o, se si vuole, è stato stabilito da Dio.<br />
. IL DECOSTRUTTIVISMO, PROGRAMMA<br />
DELLA MODERNITÀ.<br />
In Antiarchiettura e demolizione, Salìngaros<br />
definisce la filosofia decostruttivista come<br />
l’antitesi del procedimento scientifico. La<br />
scienza tenta di comprendere la complessità<br />
ordinata dell’universo. Essa procede assemblando<br />
idee diverse, messe a punto da ricercatori<br />
diversi con tecniche diverse, in un quadro<br />
coerente. A volte gli scienziati isolano una<br />
struttura per studiarne le parti, ma solo al fine<br />
di comprendere meglio il funzionamento dell’insieme.<br />
La decostruzione è l’antitesi di questo<br />
procedimento: è l’isolamento della forma<br />
per il piacere del gesto. Si distrugge così la<br />
complessità ordinata che la natura ha meravigliosamente<br />
sintetizzato, dalla quale noi stessi<br />
deriviamo. Questa distruzione è solo una rivolta<br />
contro le forze evolutive che ci hanno<br />
creato.<br />
“La decostruzione cancella il modo normale di<br />
pensare [...] smantella strutture, proposizioni<br />
logiche, osservazioni e credenze tradizionali<br />
[...]”<br />
e lo fa introducendo un virus, come lo stesso<br />
Derrida, suo fondatore, rivendica. Prosegue<br />
Salìngaros:<br />
“La decostruzione cancella il modo normale di<br />
pensare. Può apparire incomprensibile, ma è<br />
nondimeno molto efficace: cancella le connessioni<br />
che formano pensieri coerenti. Agisce come<br />
un virus informatico che cancella l informazioni<br />
nel disco rigido. <strong>Il</strong> virus Derrida tenta<br />
di minare qualunque significato primario tramite<br />
un gioco di parole complesso e interamente<br />
autoreferenziale 7 . D'altra parte critici acuti<br />
hanno licenziato Derrida come un altro degli<br />
oscuri filosofi francesi. Invece, ciò che ha introdotto<br />
è molto pericoloso. Egli trasforma la<br />
conoscenza in casualità, così come un virus distrugge<br />
gli organismi viventi disintegrando le<br />
singole cellule. Le sue proprietà possono essere<br />
sintetizzare come segue:<br />
(1) È una quantità minima di informazioni<br />
codificate come un elenco di istruzioni da seguire<br />
o di esempi da copiare.<br />
(2) Dall’interno il virus dirige la parziale distruzione<br />
dell’ordine e della connettività<br />
nella struttura ospitante.<br />
(3) <strong>Il</strong> virus dirige in seguito il riassemblaggio<br />
delle parti della struttura ospite ormai disintegrata,<br />
ma in maniera tale da negare le connessioni<br />
necessarie per raggiungere la coerenza<br />
e la vita.<br />
(4) <strong>Il</strong> prodotto finale deve codificare il virus<br />
all’interno della propria struttura.<br />
(5) Un prodotto destrutturato è il veicolo<br />
per la trasmissione del codice virale a un<br />
prossimo ospite.”<br />
In tal modo<br />
7 Vedi Roger Scruton, “the Devil's Work”, capitolo 12 di “An<br />
Intelligent Person's Guide to Modern Culture”, St. Augustine's<br />
Press, Indiana 2000.<br />
8 ottobre 2011 Anno XI
| ( 8 ) |<br />
“la decostruzione è riuscita a smantellare la<br />
letteratura, l’arte e l’architettura tradizionali<br />
in modo sorprendente [...] distrugge soltanto<br />
parzialmente il suo ospite perché la distruzione<br />
totale impedirebbe un’ulteriore trasmissione<br />
[...] rompe la serie coerente delle idee separando<br />
gli insiemi naturali in sottoinsiemi. Alcuni<br />
di questi sottoinsiemi sono distrutti selettivamente<br />
per poi ricollocare in maniera casuale gli<br />
elementi in un insieme incoerente”.<br />
Mi fermo qui con la citazione, aggiungendo<br />
che non solo sono state smantellate l’arte,<br />
e l’architettura e la letteratura, ma prima ancora<br />
si è reso necessario smantellare la concezione<br />
antropologica tradizionale secondo la<br />
quale maschile e femminile sono ontologicamente<br />
diversi e come tali si manifestano interiormente<br />
ed esteriormente, pur godendo ovviamente<br />
di identica natura,e quindi dignità,<br />
umana.<br />
È sorprendente come quel programma di<br />
decostruzione di cui scrive Salìngaros a proposito<br />
di letteratura e architettura si applichi<br />
perfettamente alla nuova antropologia che si<br />
vorrebbe diventasse patrimonio comune dell’umanità.<br />
Nello specchietto che segue, sulla sinistra<br />
ho trascritto dall’articolo di Nikos Salìngaros<br />
i cinque punti tramite i quali opera il virus di<br />
Derrida, mentre sulla destra ho cercato di<br />
schematizzare il modus operandi del virus<br />
sull’antropologia “tradizionale”, trovando<br />
una analogia impressionante, a dimostrazione,<br />
se ancora ce ne fosse bisogno, che tutti i<br />
campi dell’agire umano sono connessi e che il<br />
maintream agisce a tutti i livelli, ognuno dei<br />
quali converge verso l’identico obbiettivo di<br />
smantellare e annullare ogni visione tradizionale<br />
sedimentata nella psiche profonda dell’uomo,<br />
bollandola come costruzione idelogica<br />
oscurantista e retrograda. Vale per l’arte,<br />
per l’architettura, per la letteratura, ma anche<br />
per come l’umanità percepisce se stessa.<br />
Per fare ciò mi sono anche avvalso del contributo<br />
offerto dal libro, assolutamente da<br />
leggere, di Alessandra Nucci, La donna a<br />
una dimensione (Marietti 2006), che assembla<br />
una serie di dati, fatti, documenti, testimonianze<br />
e quant’altro che dimostrano oltre<br />
ogni dubbio l’esistenza di un disegno preciso,<br />
sostenuto e promosso da Enti che sono riusciti<br />
ad ottenere grande credibilità presso l’opinione<br />
pubblica, tale da sentirsi in diritto di sostenere<br />
certe concezioni senza sentire la necessità<br />
di dimostrarle. Loro scopo, scrive, è<br />
“promuovere attivamente un modello androgino<br />
e scomponibile di umanità”.<br />
IL MODUS OPERANDI DEL VIRUS DI DERRIDA<br />
1<br />
In generale<br />
È una quantità minima di informazioni<br />
codificate come un<br />
elenco di istruzioni da seguire o di<br />
esempi da copiare.<br />
(Le informazioni, o gli esempi, vengono<br />
da coloro che godono di così grande<br />
fama e autorevolezza nel loro<br />
campo che le loro affermazioni vengono<br />
assunte come vere aprioristicamente<br />
per il solo fatto di essere pronunciate,<br />
come ad esempio le Archistar moderniste<br />
in campo architettonico. )<br />
Sul piano antropologico<br />
(In questo caso sono i grandi enti internazionali, l’ ONU e le<br />
sue Agenzie quali Unesco, Unicef, Oms, e le Ong che vi gravitano<br />
intorno, seguite a ruota dall’immancabile UE, a dettare<br />
l’agenda, ossia a iniettare il virus in modo sistematico, sfruttando<br />
il credito e l’autorevolezza di cui sono stati investiti, come<br />
argomenta A. Nucci nel libro citato.)<br />
1a) Si da per cosa acquisita e scontata, senza necessità di dimostrazione,<br />
che uomini e donne siano per natura identici<br />
quanto a gusti, passioni, inclinazioni, obbiettivi di vita, modi<br />
di pensare e concepire il mondo e la realtà circostante.<br />
Con la conseguenza automatica che quando in qualsiasi<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660
| ( 9 ) |<br />
1 campo dell’operare umano esiste una diversa partecipazione per<br />
sesso, ciò è sempre e comunque dovuto ad una discriminazione di<br />
ordine culturale. O, per essere più esatti, ad una discriminazione<br />
di tipo patriarcale che gli uomini, da sempre, avrebbero esercitato<br />
sul gruppo femminile. La natura, cioè, sarebbe neutra e inesistente<br />
il rapporto fra il corpo e la psiche. La concezione del<br />
Gender (ogni differenza fra maschi e femmine è un costrutto culturale<br />
ai danni delle donne), è alla base di innumerevoli documenti<br />
programmatici dell’Onu e delle Agenzie di cui si avvale.<br />
Quando la realtà contraddice il presupposto, come in ogni ideologia,<br />
la si ignora o non potendolo fare, la si imputa alla “cultura”<br />
oppressiva che avrebbe influenzato comportamenti e modi di<br />
essere altrimenti diversi.<br />
1b) Parallelamente si da per scontato da un lato che la figura del<br />
padre non sia necessaria per il figlio, e dall’altro che per una<br />
donna la maternità sia, anche quando voluta e cercata, un ostacolo<br />
alla piena realizzazione esistenziale e alla sua libertà, un peso<br />
che impedirebbe alle donne di sviluppare le loro capacità in<br />
altri campi. Anche in questi casi si ignora che non solo centinaia<br />
di studi teorici dicano il contrario, ma che anche che tutte le statistiche<br />
contraddicano questi assunti.<br />
2<br />
3<br />
Dall’interno il virus dirige la<br />
parziale distruzione dell’ordine<br />
e della connettività nella<br />
struttura ospitante.<br />
<strong>Il</strong> virus dirige in seguito il<br />
riassemblaggio delle parti<br />
della struttura ospite ormai<br />
disintegrata, ma in maniera<br />
tale da negare le connessioni<br />
necessarie per raggiungere la<br />
coerenza e la vita.<br />
In conseguenza alla distruzione dell’ordine simbolico tradizionale<br />
maschi e femmine (più i primi che le seconde, per motivi<br />
che è qui troppo lungo trattare) entrano in uno stato di crisi<br />
identitaria. I maschi si abituano a pensarsi portatori di violenza<br />
ed oppressione, quindi a svalutarsi in quanto persone e rinnegare<br />
come intrinsecamente sbagliato e fonte di sofferenza per gli altri,<br />
ciò che sentono dentro se stessi, con sviluppo di sensi di colpa<br />
opprimenti o, al contrario, di ribellioni violente e controproducenti.<br />
Le donne si abituano a considerarsi sempre le vittime in<br />
ogni situazione esistenziale, a sviluppare un senso di rivalsa e invidia<br />
contro gli uomini, a percepirsi, per motivi opposti a quelli<br />
dei maschi, sbagliate e manipolate quando il loro sentire non è<br />
conforme a quello che si propaganda come ovvio e normale.<br />
Precipitati nel caos e nella contraddizione fra il corpo che sente<br />
in un modo e la mente addomesticata in un altro, gli individui di<br />
entrambi i sessi cercano faticosamente di ricostruirsi, ma lo faranno<br />
necessariamente senza potersi sentire mai “interi”, ossia<br />
connessi con se stessi ed il proprio programma biologico. L’aumento<br />
dei comportamenti omosessuali sono un sintomo, ma basta<br />
osservare i costumi in voga per rendersene conto. I maschi<br />
tendono a femminilizzarsi (consumo di cosmetici, depilazione<br />
etc), e le femmine a mascolinizzarsi (corpi muscolosi, attività<br />
sportive che implicano molta forza fisica, boxe, rugby etc.),<br />
mentre anche il modo di vestire unisex tende alla confusione e<br />
all’ibridazione. D’altra parte anche nei rapporti reciproci, maschi<br />
e femmine tendono sempre di più al cameratismo e a non tener<br />
conto delle differenze, con reciproca insoddisfazione.<br />
8 ottobre 2011 Anno XI
4<br />
5<br />
<strong>Il</strong> prodotto finale deve codificare<br />
il virus all’interno della<br />
propria struttura.<br />
Un prodotto destrutturato è<br />
il veicolo per la trasmissione<br />
del codice virale a un prossimo<br />
ospite.<br />
| ( 10 ) |<br />
<strong>Il</strong> nuovo individuo androgino, ha ormai incorporato il virus.<br />
Ormai non sa più individuare l’ origine del disagio e ha dimenticato<br />
il suo programma originario.<br />
L’uomo e la donna nuovi, in carenza di robusti anticorpi, sono<br />
così pronti a trasmettere il virus incorporato alle nuove generazioni,<br />
anche non volendolo fare espressamente.<br />
Ora, poiché il presupposto è che l’essere<br />
mentalmente e psicologicamente maschi o<br />
femmine è un puro costrutto culturale, e che<br />
tale costrutto è quello che i maschi avrebbero<br />
imposto alle donne, la destrutturazione antropologica<br />
si fonda su alcuni passaggi fondamentali.<br />
a) La svalutazione e la distruzione della<br />
maschilità tradizionale, presupposto per la liberazione<br />
sia delle donne che degli uomini. È<br />
significativa a questo proposito la storia della<br />
parola Virtù, come osserva Julius Evola in<br />
L’arco e la clava, cap. V (Scheiwiller, Milano<br />
1971):<br />
“Anche le parole hanno una loro storia e spesso<br />
il mutamento subito dai loro contenuti è un interessante<br />
indice barometrico di corrispondenti<br />
mutamenti di sensibilità generale e della visione<br />
del mondo. In particolare, sarebbe interessante<br />
fare un confronto fra il significato che alcune<br />
parole ebbero nell’antica lingua latina e<br />
quello che è proprio a termini corrispondenti,<br />
rimasti quasi uguali, della lingua italiana [...]<br />
In genere si può osservare una caduta di livello.<br />
<strong>Il</strong> senso più antico o è andato perduto, o sopravvive<br />
in forma residuale in qualche particolare<br />
accezione o locuzione […] o ancora, appare<br />
del tutto discordo e di frequente banalizzato<br />
[…] il caso più tipico e noto è costituito dalla<br />
parola virtus. La virtù in senso moderno non<br />
ha quasi nulla a che fare con l’antica virtus.<br />
Virtus significava forza d’animo, coraggio,<br />
prodezza, saldezza virile. Si legava a Vir, termine<br />
designante l’uomo come veramente tale,<br />
non come uomo in senso generico e naturalistico.<br />
La stessa parola nella lingua moderna ha<br />
assunto, invece, un senso essenzialmente moralistico,<br />
spessissimo associato a pregiudizi sessuali,<br />
tanto che riferendosi ad esso Vilfredo Pareto<br />
ha coniato il termine virtuismo per designare<br />
la morale puritana e sessuofobica borghese<br />
[…] E la differenza non di rado può trasformarsi<br />
quasi in una antitesi. Infatti un animo<br />
saldo, fiero, intrepido, eroico, è il contrario di<br />
ciò che significa una persona virtuosa nel senso<br />
moralistico e conformistico moderno.”<br />
Non mi interessa, in questa sede, discutere<br />
del nuovo significato moderno del termine<br />
così come lo definisce Evola, quanto piuttosto<br />
di cosa significa la scomparsa del significato<br />
originario. <strong>Il</strong> maschio saldo, fiero, intrepido<br />
ed eroico, oggi è il contrario del virtuoso, è<br />
tendenzialmente un violento aggressivo. Anche<br />
altri termini da sempre associati al maschile<br />
hanno seguito la stessa trasformazione.<br />
Ad esempio Onore, che dal significato di rispetto<br />
della parola data, capacità di mantenere<br />
le promesse, di saldare i debiti, di difendere<br />
i più deboli dall’arroganza e dalla prepotenza<br />
dei più forti, è passato dapprima a significare<br />
la fedeltà muliebre nel matrimonio di<br />
cui lo sposo si fregia, per poi finire come autoidentificazione<br />
del mafioso, l’uomo d’onore.<br />
Un totale rovesciamento, anche in questo<br />
caso, del significato originario che disegna la<br />
parabola del maschile dall’antichità ai giorni<br />
nostri.<br />
L’opera di svalutazione si avvale di ogni<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660
| ( 11 ) |<br />
mezzo mediatico, ma inizia fin nella scuola.<br />
Perfino una scrittrice femminista della prima<br />
ora come Doris Lessing, si dovette convincere<br />
che tutto il sistema scolastico inglese era indirizzato<br />
in quel senso. E C. Off Sommers, in<br />
The war Against Boys (Touchstone, N.Y.<br />
2000), scrive:<br />
“I maschi sono continuamente attaccati per la<br />
loro identià. Abbiamo creato a scuola il senso<br />
che la mascolinità sia qualcosa di cattivo. I maschi<br />
si sentono in colpa ed è sorta una cultura<br />
scolastica che è sospettosa ed ha paura dei maschi.”<br />
b) L’attacco sistematico alla religione cristiana<br />
ma in particolare alla Chiesa Cattolica,<br />
considerata maschilista, oppressiva verso le<br />
donne e strumento principe del patriarcato.<br />
c) La svalutazione conseguente della donna/madre,<br />
e in particolare della figura della<br />
Madonna, vista simbolo della sottomissione<br />
femminile e della sua relegazione nell’ambito<br />
domestico. “La maternità è una delle insidie<br />
più velenose del patriarcato” (Lidia Menapace).<br />
Per dirla con le parole della Nucci,<br />
“<strong>Il</strong> conseguente assalto alla cultura popolare<br />
ha preso sostanzialmente cinque direzioni: delegittimare<br />
la normalità (stereotipizzare), far<br />
diventare norma l’eccezione (culto della diversità),<br />
inculcare motivi di risentimento e di accusa<br />
(vittimismo), delegittimare su questa base<br />
la religione cristiana e in particolare la gerarchia<br />
cattolica (patriarcato), sacralizzare con<br />
intento risarcitorio il femminile (neopaganesimo).”<br />
j<br />
Mi fermo qui, e non perché non vi sarebbero<br />
problemi importanti di cui discutere:<br />
a) Posto che incontestabilmente l’uomo<br />
nuovo, individuo parziale senza identità e memoria<br />
storica, è , in qualità di mero consumatore<br />
non solo di oggetti ma anche del tempo,<br />
funzionale all’economia globalizzata, perché<br />
i governi occidentali, anche quelli che in teoria<br />
dovrebbero essere su posizioni opposte,<br />
hanno finito per delegare queste questioni alle<br />
Agenzie Onu, per di più finanziandole abbondantemente<br />
Solo per colpevole sottovalutazione<br />
di questioni non direttamente attinenti<br />
alla “roba”, detto in termini più eleganti<br />
all’economia, il nuovo “feticcio” della modernità<br />
b) Oppure c’è di più, oppure sono compartecipi<br />
di una visione del mondo tesa a sacralizzare<br />
il femminile e che ha fatto breccia anche<br />
in settori della Chiesa Cattolica La teologia<br />
femminista, scrive A. Nucci,<br />
“[…] pretendendo di continuare a chiamarsi<br />
cristiana, anzi cattolica, riflette il neo-gnosticismo<br />
New Age e teosofico di cui mira ad attuare,<br />
secondo lo spirito dell’Età dell’Acquario,<br />
il principio dell’egemonia della donna, ripristinando<br />
un’ordine ribaltato dal Dio della<br />
Genesi.”<br />
Del resto la neoteologia femminista si salda<br />
con tutte quelle antropologie che, col pretesto<br />
di una malintesa salvaguardia della natura,<br />
assumono aspetti psichicamente regressivi<br />
che riporterebbero l’umanità al tempo in<br />
cui l’uomo non distingueva se stesso dal resto<br />
del cosmo, non aveva cioè elaborato compiutamente<br />
la distinzione autoriflessiva fra “io” e<br />
“tu”. Wangari Maathai, che fa parte del comitato<br />
promotore della Carta della Terra e<br />
della Croce Verde internazionale, vorrebbe<br />
riscrivere la Bibbia nel senso di<br />
“una Bibbia nella quale l’uomo, la natura e Dio<br />
siano parte di un tutto indifferenziato, per rompere<br />
la tradizione abramitica del giudaismo, del<br />
cristianesimo e dell’islam, dominata dall’antropocentrismo”<br />
(ciclo di conferenze nell’ottobre<br />
1998 organizzato dal Programma per l’Ambiente<br />
delle Nazioni Unite)<br />
Sulla stessa linea di pensiero totalizzante,<br />
che vede “il mondo come un tutto unico, in<br />
cui l’umanità è posta sullo stesso livello delle<br />
8 ottobre 2011 Anno XI
| ( 12 ) |<br />
piante e degli animali e il raziocinio è secondario<br />
all’emozione” (A. Nucci, op. cit.) si situano<br />
personaggi assai diversi, da Michael<br />
Gorbaciov a Vandana Shiva. Personalmente<br />
non sono un complottista e non penso che<br />
tutto ciò nasca da un disegno studiato a tavolino<br />
dalla massoneria internazionale. Credo<br />
piuttosto nel fatto che esistano momenti storici<br />
in cui correnti di pensiero, forze e interessi<br />
di origini varie, anche opposte, finiscono<br />
per saldarsi e confluire in uno stesso alveo,<br />
sebbene con intenti e ruoli diversi. Alcune di<br />
queste forze sono vincenti, altre, illudendosi<br />
di ritornare all’Arcadia, sono funzionali alle<br />
prime.<br />
In ogni caso, ed oltre le risposte che possiamo<br />
dare ai quesiti posti sopra, alcune cose<br />
mi sembrano già evidenti.<br />
1) la concezione vincente della modernità<br />
sta disarticolando tutto il sistema simbolico su<br />
cui l’Occidente ha costruito la sua civiltà e<br />
l’ha resa vincente non tanto e non solo sul<br />
piano economico, ma prima ancora culturale.<br />
Tale sistema simbolico, se ha avuto origine e<br />
tratto alimento dal mondo greco e giudaico,<br />
tuttavia è fondato dal e sul cristianesimo, e<br />
come tale è arrivato fino ai giorni nostri. Ci si<br />
può allora meravigliare se altre civiltà, mi riferisco<br />
all’Islam che sistema simbolico forte è<br />
senza dubbio, ed oltre i suoi contenuti specifici,<br />
stanno diventando un polo d’attrazione<br />
forte, mentre il fascino dell’Occidente sta tramontando<br />
oltre le evidenti difficoltà della sua<br />
economia<br />
2) La modernità, nella sua concezione attualmente<br />
vincente, sta contraddicendo i presupposti<br />
che asserisce essere alla sua base, in<br />
primo luogo la razionalità e l’uguaglianza di<br />
ogni uomo. Lo spiega a mio parere molto bene<br />
Francesco Maria Colombo su <strong>Il</strong> Foglio del<br />
17 agosto parlando di aborto. L’attribuire a<br />
qualcuno, sostiene Colombo, il diritto di vita<br />
e di morte su un altro soggetto (il bambino),<br />
contraddice il principio dell’uguaglianza. <strong>Il</strong><br />
farlo negando ciò che la razionalità ci indica,<br />
e cioè che il feto è vita umana distinta da<br />
quella materna e già dal suo inizio unica e irriducibile<br />
a quella di qualsiasi altro soggetto,<br />
e negarlo sostituendo al principio della ricerca<br />
della verità oggettiva quello delle tante verità<br />
centrate sulle percezioni soggettive, quindi<br />
“affettive” e “sentimentali”, di ciò che è<br />
giusto, contraddice il principio laico e razionale<br />
di universalità. L’Occidente sta cioè<br />
perdendo quel carattere di Universalità che<br />
ne aveva assicurato l’egemonia oltre la potenza<br />
tecnologica e militare, e lo sta perdendo<br />
perché ormai rifiuta le sue origini.<br />
ARMANDO ERMINI<br />
FIRENZE, 15 ottobre 2011 ore 18. Chiesa di San Salvatore in Ognissanti, Borgo Ognissanti 42.<br />
CONVEGNO La Chiesa dopo l'ultimo Concilio,<br />
interverranno Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro, Alfio Krancic, Paolo Deotto.<br />
Con la presentazione del libro La Bella addormentata di A. Gnocchi e M. Palmaro, Vallecchi.<br />
Alle 16.30 celebrazione della S.Messa in rito romano antico.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660
| ( 13 ) |<br />
a <strong>Il</strong> ritorno dell'urbanistica.<br />
DI PIETRO PAGLIARDINI<br />
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />
<strong>Il</strong> tema che mi è stato assegnato non è solo difficile, è<br />
rischioso, perché può sconfinare nell’agiografia. Non<br />
intendo evitarlo questo rischio, anzi mi ci immergerò<br />
completamente con leggerezza e abbandono, a metà<br />
tra sentimento e ragione, senza false modestie ma senza<br />
intenzioni superbe. Comunque vada, se avrò avuto<br />
ragione o torto, difficilmente mi sarà concesso il tempo<br />
per scoprirlo. (PP)<br />
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />
Tutto ebbe inizio a Firenze con Giannozzo<br />
Pucci e il Piano di Novoli. Ma procediamo<br />
con ordine.<br />
Per tentare di dare una struttura logica al<br />
tema del ritorno dell’urbanistica occorre porsi<br />
prima di tutto la domanda se esista ancora la<br />
politica, nel significato originario di amministrazione<br />
della città.<br />
Non è data infatti urbanistica senza idea di<br />
città, di società, di comunità, non è data senza<br />
la percezione stessa del valore della civitas e<br />
quindi dell’urbs che la contiene, la accoglie e<br />
ne permette il pieno esercizio della cittadinanza<br />
e della vita urbana.<br />
Esiste infatti un rapporto intuitivo tra forma<br />
della società e forma della città. Si pensi<br />
alla città romana: una società autoritaria e<br />
militarizzata genera il proprio modello urbano<br />
da un accampamento militare. La città<br />
medioevale è invece espressione di una società<br />
nella quale sono presenti una pluralità di corpi<br />
sociali, più che soggetti individuali, in relazione<br />
o in conflitto tra loro, e la forma che ne<br />
risulta è l’espressione di questa pluralità: il<br />
Palazzo Comunale, la cattedrale, le piazze e<br />
le strade tematizzate in base al loro utilizzo<br />
prevalente, le strade conventuali e soprattutto<br />
l’edilizia di base, quella dei cittadini il cui requisito<br />
per avere la cittadinanza era il possedere<br />
casa. Tutto ciò spiega, almeno in parte e<br />
non in modo deterministico, la ricchezza, la<br />
varietà e infine la bellezza di quelle città che<br />
ancora oggi noi possiamo ammirare.<br />
Attualmente si esercita la pratica urbanistica,<br />
che trova la sua legittimazione nella legislazione<br />
e nella norma ma, senza una visione<br />
politica di città e di comunità che indichi una<br />
direzione, essa si riduce a somma di procedure<br />
che producono una forma di piano e di città<br />
svincolata da ogni legame con la realtà e con<br />
la vita delle persone.<br />
Con grande cautela vorrei fare ricorso,<br />
adattandolo allo scopo, al discorso di Papa<br />
Benedetto XVI a Berlino: “Togli il diritto<br />
fondato sulla ragione che ti fa distinguere tra<br />
bene e male e allora che cosa distingue lo stato<br />
da una banda di briganti”.<br />
Per capire se c’è possibilità di un ritorno<br />
dell’urbanistica dobbiamo anche capire quando<br />
e perché se ne è andata.<br />
È sempre difficile stabilire date in processi<br />
così complicati ma, escludendo la fase del<br />
boom, che tutto ha comprensibilmente travolto,<br />
direi che ideologicamente e culturalmente<br />
l’urbanistica si è persa del tutto nel periodo<br />
a cavallo degli anni ’70. In quel tempo,<br />
paradossalmente, c’era una certa coincidenza<br />
tra politica e città. Solo che era sbagliata la politica<br />
e quindi la città è risultata sbagliata, anzi<br />
una non-città, come vedremo dopo. Appare<br />
tuttavia singolare che una visione politica<br />
prevalentemente impostata sul welfare-state,<br />
quindi potenzialmente orientata al “bene comune”,<br />
abbia invece prodotto, come scelta, il<br />
“male comune” cioè la periferia.<br />
Perché dunque la politica degli anni ’70 ha<br />
prodotto una città apparentemente non coerente<br />
con il suo pensiero collettivo, quindi<br />
una città in cui lo spazio pubblico avrebbe dovuto<br />
esserne il protagonista<br />
Perché qualche decennio prima era intervenuto<br />
un evento nuovo e dirompente nella<br />
cultura urbanistica: l’avvento del Movimento<br />
Moderno che ha scardinato tutti i processi di<br />
8 ottobre 2011 Anno XI
| ( 14 ) |<br />
formazione e trasformazione della città, ha liquidato<br />
come non adatto alla modernità tutto<br />
il passato e ha avuto la pretesa e l’arroganza<br />
di ricominciare da zero, riuscendo ad inventare<br />
e ad imporre la propria idea di modernità.<br />
Quanto il Movimento moderno sia causa<br />
sovrastrutturale o non sia piuttosto effetto di<br />
un sistema economico e sociale che ha generato<br />
le idee ad esso più congeniali, è argomento<br />
di eterno dibattito. Di certo nella società<br />
della comunicazione, che oggi è a livelli parossistici<br />
ma che è cominciata molto prima di<br />
oggi con la diffusione di giornali e radio e cinema,<br />
la trasmissione e l’influenza delle idee<br />
sui comportamenti collettivi è risultata determinante<br />
perché le idee viaggiano non solo attraverso<br />
i media ma anche nella scuola, nell’università,<br />
nei salotti, nei bar, nei partiti, nei<br />
circoli, nel dopolavoro, con il passaparola e<br />
raggiungono praticamente ogni soggetto, anche<br />
coloro che non sono interessati, e diventano<br />
patrimonio comune. Se poi questa idea di<br />
città è addirittura congeniale ad un sistema di<br />
pensiero politico-ideologico che usa il welfare<br />
come protezione dei cittadini ma anche come<br />
strumento per legare a sé gli individui, e creare<br />
così un apparato pubblico imponente, sicuro<br />
serbatoio elettorale e di moltiplicazione del<br />
modello culturale che pone al centro lo Stato,<br />
per impossessarsi perfino del corpo dei cittadini<br />
attraverso un servizio sanitario che obbliga<br />
tutti a sentirci malati per creare le condizioni<br />
per curarci, ecco che il modo migliore<br />
per evitare qualsiasi possibile spinta dal basso,<br />
qualsiasi relazione e reazione sociale spontanea<br />
a tutto vantaggio delle tante corporazioni<br />
o dalle varie forme associative legate ai partiti<br />
di allora e da essi pilotati, era quello di disgregare<br />
la città, per impedire che si creassero<br />
autentiche comunità urbane, e di produrre<br />
abitazioni collettive — i casermoni — per<br />
isolare i cittadini tra loro.<br />
I PEEP 8 hanno assolto egregiamente a<br />
questo scopo, anche se quello ufficiale, ed in<br />
buona parte autentico, era di “garantire il diritto<br />
alla casa”. E tanto che c’erano hanno<br />
istituito anche i PIP 9 , per legare a sé non solo<br />
gli individui ma anche il mondo della produzione.<br />
<strong>Il</strong> meccanismo era assolutamente coerente<br />
e oleato, una burocratica macchina da<br />
guerra.<br />
La politica di quegli anni, in realtà, si è dimostrata<br />
perfettamente coerente con la città<br />
che ha prodotto, perché la sua idea di comunità<br />
non era fondata sulla libera scelta dell’individuo.<br />
Tutto ciò è potuto accadere perché il modernismo<br />
è penetrato a fondo fino nei gangli<br />
dell’università e, grazie all’università di massa,<br />
ha trovato una numero straordinario di sacerdoti<br />
indottrinati pronti a diffondere il verbo,<br />
fino al punto di non lasciare nemmeno<br />
immaginare una città diversa da quella basata<br />
sulla divisione in zone funzionalmente omogenee,<br />
sulla totale mancanza di una rete di<br />
connessioni vitali quali le strade della città<br />
tradizionale, sostituite da strade per le auto<br />
che collegano quartieri diversi monofunzionali<br />
e ciascuno privo di vita urbana.<br />
In questa monocultura, in questo pensiero<br />
unico senza possibilità di alternative si sono<br />
levate voci diverse e di grande qualità, ma sono<br />
rimaste elitarie, a livello di nicchia e sostanzialmente<br />
ininfluenti per il fatto che il<br />
pensiero urbanistico non può essere che militante.<br />
<strong>Il</strong> motivo di questa condizione risiede nel fatto<br />
che non siamo in presenza di una scienza<br />
così detta pesante, come la fisica o la chimica<br />
o la biologia in cui il ricercatore quando trova<br />
pubblica, se necessario brevetta, quindi il suo<br />
sapere si diffonde nella comunità scientifica<br />
fino a che non ricade nel mercato sotto forma<br />
di tecnologia e di prodotti di consumo.<br />
L’urbanistica è una scienza umana, ha a<br />
8 P.E.E.P.: Piani di Edilizia Economica e Popolare.<br />
9 P.I.P.: Piani per gli Insediamenti Produttivi.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660
| ( 15 ) |<br />
che fare con le dinamiche sociali, la sua forma<br />
è il risultato del progetto dell’architetto ma è<br />
decisa e approvata dalla politica e soprattutto<br />
da quella più vicina ai cittadini, cioè le amministrazioni<br />
locali. La città è il patrimonio di<br />
tutti i cittadini, è lo spazio entro il quale possono<br />
o non possono svolgersi le relazioni sociali<br />
e personali, gli scambi economici e culturali<br />
ed esiste una forte interrelazione tra<br />
spazio e comportamento umano. Quindi l’urbanistica<br />
riguarda tutti i cives ed è sempre sottesa<br />
da una visione politica, in senso alto.<br />
Ma ad un certo momento qualcosa è cambiato.<br />
E qui comincia il ritorno dell’urbanistica.<br />
È sempre rischioso giudicare il presente<br />
sperando di essere obiettivi ma io credo che la<br />
spinta per il viaggio di ritorno provenga dagli<br />
USA con il New Urbanism. Come ripete<br />
spesso Gabriele Tagliaventi, l’America precorre<br />
i tempi e ciò che accade là oggi, arriverà a<br />
noi domani, ma arriva inesorabilmente, nel<br />
bene e nel male. Questa volta è arrivata nel<br />
bene.<br />
Certamente la militanza di Léon Krier unita<br />
al fascino della sua teoria ha contribuito a<br />
far circolare l’idea di classicismo architettonico<br />
e urbano. Krier ha dato a molti il coraggio<br />
di fare uso, senza vergogna, della categoria<br />
della bellezza; la possibilità offertagli di realizzare<br />
la cittadina inglese di Poundbury ha<br />
costituito un esempio necessario ma non sufficiente<br />
senza le massicce realizzazioni americane,<br />
sempre in base alla potenza delle comunicazioni<br />
di massa, perché difficilmente questa<br />
idea avrebbe potuto uscire dall’ambito elitario<br />
del Principe Carlo. In urbanistica, come<br />
in architettura, l’esempio realizzato ha più<br />
forza di qualsiasi teoria: immaginare e fare sono<br />
inscindibili.<br />
Parlando di Lèon Krier entra in scena<br />
Giannozzo Pucci e con lui la politica.<br />
Agli inizi degli anni ’90, su sollecitazione<br />
di Giannozzo, presidente della commissione<br />
urbanistica, Krier viene incaricato dal Comune<br />
di Firenze di redigere il Piano di Novoli.<br />
La discussione sull’area di Novoli, e di quella<br />
FIAT in particolare, assume risonanza nazionale<br />
e la figura di Krier e della sua visione urbana,<br />
comincia di conseguenza a farsi strada<br />
anche fuori del circolo di pochi appassionati<br />
cultori. Fino a quel momento, probabilmente,<br />
solo Gabriele Tagliaventi, con i suoi convegni<br />
bolognesi, riesce a dare visibilità ad una idea<br />
di città classica e tradizionale.<br />
Ma il ruolo di Giannozzo Pucci non finisce<br />
qui. <strong>Il</strong> progetto per Novoli di Krier viene<br />
stravolto, ma Giannozzo non ha certo cambiato<br />
idea e con la sua casa editrice nel 2008,<br />
con notevole intuito, pubblica il libro di Nikos<br />
Salìngaros, Antiarchitettura e demolizione,<br />
cambiando sapientemente il titolo e traducendo<br />
“deconstruction” con “demolizione”, che<br />
esprime un concetto ma anche un’azione allusiva<br />
al fatto che la brutta architettura, se irrecuperabile,<br />
non può che essere abbattuta.<br />
Non a caso in Italia è stata la presenza, più<br />
virtuale che fisica in verità, di Nikos Salìngaros<br />
l’elemento di grande novità nell’asfittico e<br />
anche modesto, me lo si lasci dire, panorama<br />
urbanistico accademico italiano.<br />
L’entrata in scena di Nikos con libri e una<br />
serie di articoli, saggi e interviste in quotidiani<br />
e periodici nazionali prima, in rete poi, suscita<br />
interesse, curiosità o scetticismo, ma lascia<br />
tracce importanti. Come sempre accade<br />
in questi casi, al successo della diffusione delle<br />
sue idee corrisponde l’inevitabile domanda<br />
— senza volerne minimamente sottostimare<br />
l’importanza — su come sia stato possibile<br />
che una classe accademica e un ambiente culturale<br />
così intellettualmente vecchio possa essere<br />
durato così a lungo — e duri ancora in<br />
verità. Se è potuto accadere, ciò è stato dovuto<br />
al blocco di potere perfettamente organizzato.<br />
8 ottobre 2011 Anno XI
| ( 16 ) |<br />
Cosa sta cambiando dunque, se sta cambiando<br />
Anche questa volta è necessario tenere presente<br />
la molteplicità delle cause, non solo legate<br />
ai media ma ai cambiamenti intervenuti<br />
nella società italiana. Non posso assicurare<br />
che il mio pensiero non sia influenzato, poco<br />
o tanto, dalle mie personali convinzioni politiche,<br />
che sono mie e non coinvolgono il<br />
gruppo di cui faccio parte, ma mi è veramente<br />
difficile non vedere il legame tra la rottura<br />
degli equilibri politici intervenuta nel 1994 e<br />
la conseguente liberazione delle idee in soggetti,<br />
diciamo così latenti, da certi consolidati<br />
schemi culturali e direi “riflessi condizionati”.<br />
La cultura di centro-destra non sarà<br />
certo dominante, non sarà troppo strutturata,<br />
non è un sistema consolidato come quello<br />
precedente, né lo dovrebbe essere, non avrà<br />
piena consapevolezza di sé, ma non si può dire<br />
che non esista.<br />
La strategia utilizzata dal gruppo che fa riferimento<br />
a Salìngaros per veicolare il messaggio,<br />
è iniziata prima in maniera separata ed<br />
episodica, poi in modo più strutturato, attraverso<br />
la rete, con la critica, la provocazione e<br />
la demolizione della cultura accademica, riconosciuta<br />
a ragione come l’establishment. In<br />
questo Stefano Serafini è stato un organizzatore<br />
instancabile. Ma è <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> che condensa,<br />
riassume e omogeneizza le idee e le iniziative<br />
dei singoli e dei gruppi, con una sequenza<br />
cospicua e qualificata di articoli e di progetti<br />
di urbanistica e di architettura tradizionali,<br />
oltre che dotarli di una veste grafica non solo<br />
raffinata, ma coerente con quel pensiero.<br />
In fondo questa strategia non è sostanzialmente<br />
diversa, nel metodo, da quella utilizzata<br />
dalle avanguardie del novecento: mettere<br />
alla gogna il modernismo, adducendone le ragioni,<br />
detronizzare i maestri e le archistar<br />
mostrandoli nudi, farsi beffa di quelli che io<br />
chiamo i collezionisti di francobolli dell’architettura,<br />
cioè tutti coloro che si trastullano<br />
con i vari Maestri moderni e contemporanei,<br />
chiamare eco-mostro il Corviale, l’edificio romano<br />
lungo un chilometro o lo Zen di Palermo,<br />
e fare progetti che ne prevedono la demolizione<br />
(appunto), proprio come gli eco-mostri<br />
abusivi, sostituendoli con villaggi di tipo<br />
urbano, come ha fatto Ettore Maria Mazzola,<br />
insomma scandalizzare, bestemmiare gli dei<br />
dell’Olimpo dell’architettura e della critica,<br />
ma con proposte che riallacciano i fili tagliati<br />
con la storia. Tutto ciò ci ha permesso di indignare<br />
qualcuno (l’indignazione è un sentimento<br />
sterile) ma di insinuare parecchi dubbi<br />
e di contribuire a creare un clima adatto al<br />
cambiamento.<br />
Con una grande differenza, però, rispetto<br />
alle avanguardie storiche: i valori e i principi<br />
che vengono perseguiti trovano un riscontro a<br />
livello popolare, perché tutti sappiamo quanto<br />
l’architettura della purezza di forme geometriche<br />
astratte e del monocolore bianco o<br />
grigio sia adatta alle riviste e al cinema, al<br />
mondo dello spettacolo, ma risulti invivibile<br />
ai più i quali, appena possono, si comprano<br />
una casa da ristrutturare in campagna, con<br />
tanto di archi, di tetto con tegole antiche o<br />
antichizzate e, se possibile, una villa storica<br />
con qualche parete affrescata. Tutti, compresi<br />
gli architetti modernisti. Primi fra tutti Gregotti<br />
e Fuksas. Solo Eisenmann, il guru del<br />
de-costruttivismo, seguace e ispiratore allo<br />
stesso tempo di Derrida, ha rilasciato un’intervista<br />
in cui dichiara di abitare a New York<br />
in un piccolo appartamento pieno zeppo di<br />
mobili e suppellettili e molto intimo, proprio<br />
come i comuni mortali, e di possedere una casa<br />
in campagna che è bella proprio perché ha<br />
subìto rimaneggiamenti dai precedenti proprietari<br />
senza l’intervento dell’architetto. Ha<br />
di fatto rinnegato i progetti di residenze decostruttiviste<br />
che aveva fatto in gioventù perché<br />
inabitabili.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660
| ( 17 ) |<br />
Tornando all’urbanistica e riprendendo la<br />
domanda iniziale se esista ancora la politica,<br />
sembra fin troppo facile rispondere di no, o<br />
meglio, che c’è una politica debole. E allora,<br />
come potrà esserci una bella città<br />
Potrebbe esserci, invece, perché con la politica<br />
in vacanza, grazie anche a quella rottura<br />
degli schemi del 1994, la gente si è risvegliata<br />
e pur nel comprensibile caos di questo risveglio<br />
inaspettato, emergono spinte verso una<br />
progettazione più condivisa e partecipata.<br />
Non è una strada facile, è una sfida, ma i segnali<br />
di cambiamento ci sono. Uno per tutti il<br />
caso di Palermo dove un gruppo nutrito di<br />
cittadini e di politici di varia estrazione, su<br />
iniziativa di Ciro Lomonte e altri, si sta autotassando<br />
per finanziare un progetto di demolizione<br />
e di rigenerazione dello Zen di Palermo,<br />
redatto da Ettore Maria Mazzola. Come<br />
finirà non lo sappiamo, non sarà certo facile<br />
realizzare una cittadina dai costi ingenti, ma<br />
certo il messaggio sta passando, la voglia di<br />
città vera, di città urbanisticamente tradizionale<br />
e viva c’è.<br />
Concludo, io che ho dichiarato apertamente<br />
le mie inclinazioni politiche, citando un<br />
primo esempio virtuoso della Legge regionale<br />
toscana modificata dall’assessore regionale,<br />
espressione dell’Italia dei Valori, che indica i<br />
seguenti obiettivi:<br />
☞ Favorire la densificazione delle aree urbane.<br />
☞ La riqualificazione del patrimonio edilizio<br />
esistente volta a migliorare la relazione<br />
con i tessuti urbani circostanti o la ricomposizione<br />
dei margini urbani, tenuto<br />
conto del necessario rapporto visuale e morfo-tipologico<br />
con l’insediamento storico.<br />
☞ La compresenza di funzioni urbane diversificate<br />
e complementari.<br />
☞ Interventi atti a modificare la sagoma degli<br />
edifici, finalizzati a conseguire un migliore<br />
allineamento della cortina edilizia in coerenza<br />
con l’assetto planimetrico urbano storicizzato<br />
e tenuto conto del necessario<br />
rapporto visuale con gli elementi espressivi<br />
dell’identità dei luoghi.<br />
Queste regole sono la trasposizione nel<br />
linguaggio legislativo della città tradizionale<br />
europea, mediante interventi che non escludono<br />
affatto anche la demolizione (modificare<br />
la sagoma degli edifici). Sono le stesse che noi<br />
predichiamo da qualche anno insistentemente.<br />
Sono regole che mettono al centro della<br />
città l’uomo e l’ecologia umana. Sono la certificazione<br />
scritta della consonanza tra legge<br />
e ragione.<br />
Non le abbiamo inventate noi quelle regole,<br />
c’erano già e noi le abbiamo solo rispolverate<br />
e diffuse. La legge non è stata certo fatta<br />
per soddisfare noi, ma forse abbiamo contribuito<br />
a creare un clima adatto a poterle scrivere<br />
contro la cultura imperante e ad essere<br />
accolte con favore. Di questo possiamo andare<br />
orgogliosi.<br />
Primo fra tutti <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>, il cui instancabile<br />
curatore, Stefano Borselli, ci ha covato con<br />
passione, intelligenza e pazienza, sempre<br />
molto silenzioso e prudente ma pronto a intervenire<br />
tra la naturale litigiosità degli architetti.<br />
Oggi è giusto esagerare e immaginare un<br />
Nuovo Rinascimento Urbano che ancora una<br />
volta riparta da Firenze. Grazie Stefano.<br />
PIETRO PAGLIARDINI<br />
8 ottobre 2011 Anno XI
| ( 18 ) |<br />
a <strong>Il</strong> deserto e l’oasi.<br />
Come sopravvivere e attraversare l’uno, come raggiungere<br />
e coltivare l’altra.<br />
DI GABRIELLA ROUF<br />
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />
Approfitto dell’opportunità di sistemare il testo, per<br />
annettere ad esso un’immagine che viene dall’intervento<br />
di Giannozzo Pucci, svoltosi in realtà il giorno<br />
dopo, ma verso il quale sembra che tutti ci avviassimo,<br />
e ne fossimo già sollecitati.<br />
È l’immagine dell’oasi, misterioso miracolo della<br />
natura, ma anche frutto della paziente e sapiente opera<br />
dell’uomo. L’oasi lussureggiante sulle vene d’acqua<br />
emerse da cammini sotterranei sotto sabbie rosa o grige<br />
distese sassose, spazzate da venti o in un torpore<br />
mortale. Si vede qualcosa oltre il deserto dell’arte contemporanea<br />
10 — ci ha chiesto Stefano —. Forse l’oasi,<br />
di cui preserviamo i pozzi profondi, ove si può gioire<br />
austeramente in quiete e bellezza, senza paura, ma<br />
tenendo d’occhio i margini delle terre sterili, i loro<br />
miraggi, i vuoti padiglioni... (GR)<br />
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />
Ad un paragone con la natura ci chiama<br />
Jean Clair nel titolo del suo libro: L’inverno<br />
della cultura 11 , dove il genitivo significa che la<br />
sterile stagione non è subita, ma prodotta dalla<br />
cultura stessa, a danno della verità dell’uomo.<br />
Termini parimenti recisi ed ultimativi ha<br />
usato nel suo intervento al Cortile dei Gentili<br />
di Parigi: “Culto dell’avanguardia e cultura<br />
della morte” 12 .<br />
Occorre oggi chiamar le cose col loro nome,<br />
e prender partito, perché cadono l’un dopo<br />
l’altro equivoci ed illusioni, si dissolvono i<br />
miraggi 13 , e il caravanserraglio dell’arte contemporanea<br />
stenta sulle piste, lasciando le<br />
tracce infette del suo passaggio.<br />
10 Era questo il titolo proposto per la relazione di G. R. (N.D.R.<br />
Le altre note sono dell'Autore)<br />
11 Jean Clair L’hiver da la culture ed. Flammarion <strong>2011.</strong> Vedi <strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong> n°653.<br />
12 Vedi <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> n°642 — Speciale. Jean Clair al Cortile dei<br />
Gentili di Parigi.<br />
13 L’immagine viene da C. Sourgins Les mirages de l’Art contemporain<br />
puntuale descrizione della deriva liberticida celata dietro le<br />
cortine illusorie del radicalismo dell’AC.<br />
Inverno della cultura: merce di apparati<br />
specializzati a promuoverla e gestirla; cultura<br />
per progetti, autoreferenziale, avida di pubblico<br />
denaro, frantumata per segmenti più che<br />
per professioni, con relativi linguaggi e caste:<br />
giornalismo, editoria, televisione, spettacolo,<br />
eventi; centrifuga di sottoculture, mentre le<br />
strutture tradizionali della trasmissione del<br />
sapere, cioè della sintesi, si estinguono o si<br />
rassegnano a malinconiche derive.<br />
0<br />
Se l’albero si giudica dai suoi frutti, amarissimi<br />
sono i frutti della modernità in campo<br />
artistico, del resto a suo tempo preannunciati<br />
come “morte dell’arte”, poi assunti in proprio<br />
dai dissettori e dai guru della decostruzione:<br />
un rito funerario che dura da decenni, ma che<br />
ironicamente ha prodotto l’arte più superflua,<br />
ingombrante e costosa che sia mai esistita,<br />
tanto quanto in passato l’Arte era necessaria,<br />
elegante, ovunque e per tutti profusa.<br />
Le tendenze individuate a suo tempo da<br />
Sedlmayr 14 , hanno bruciato in tempi brevissimi<br />
la tradizione artistica, distrutto i percorsi<br />
formativi, il mercato dell’arte, la critica d’arte,<br />
fino a minacciare attualmente lo stesso patrimonio.<br />
Si fa risalire normalmente “le origini del<br />
disastro” al viaggio di Duchamp in USA e al<br />
successivo ritorno sull’Europa in varie ondate<br />
del culto delle avanguardie, funzionale all’intellighenzia<br />
e alla politica degli USA. Alla riproducibilità<br />
fotografica delle immagini, che<br />
aveva squalificato il realismo in pittura e banalizzato<br />
le immagini, si contrappone così via<br />
via il gesto creativo, il narcisismo dell’artista,<br />
nuovi stili di vita libertari e snob, mentre vanno<br />
formandosi aggressivi apparati per tradurre<br />
il successo di scandalo in nuovi consumi di<br />
élite .<br />
0<br />
14 Hans Sedlmayr, La perdita del centro (1948), ed. italiana Rusconi<br />
1974.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660
| ( 19 ) |<br />
Ma certo l’origine del male è prima, altrimenti<br />
l’Europa non sarebbe stata così arrendevole<br />
di fronte ad un’offensiva che, per<br />
quanto agguerrita, aveva dalla sua solo la forza<br />
del denaro; vi era invece quella predisposizione<br />
caratteristica della modernità: il culto<br />
della libertà individuale e del progresso, la<br />
mentalità storicistica “anacronista”, pronta a<br />
stralciare dalle ideologie del 900 un inedito<br />
privilegio dell’artista, nuovo dio ed insieme<br />
balocco del futuro radical-chic. <strong>Il</strong> culto del<br />
“nuovo” come unico criterio e senso dell’arte,<br />
spazzando via i tempi lunghi della formazione,<br />
della tecnica, del confronto nel mercato,<br />
induce ad un frenetico consumo di mitologie<br />
artistico/esistenziali: dopo l’ubriacatura dell’astrattismo<br />
(che presto rivela la sua natura<br />
gracilmente decorativa), si abbozzano esperimenti<br />
di tutti i tipi, che trovano infine la loro<br />
consacrazione negli anni 60 con il lancio internazionale<br />
dell’“arte concettuale”.<br />
0<br />
Con la teorizzazione di essa si arriva alla<br />
quadratura del cerchio, in quanto l’apparato<br />
di addetti ai lavori si impone aggressivamente<br />
come unico definitore di un insieme/arte che<br />
coincide con la sua definizione concettuale, e<br />
negando l’opera come progetto integralmente<br />
umano e responsabile, assume il dato grezzo<br />
della realtà, il gesto, la performance, ecc..: è<br />
arte ciò che è definito tale, ovviamente da una<br />
lobby internazionale che decide investimenti<br />
e quotazioni, muovendosi tra la società dello<br />
spettacolo, la domanda di status symbol, l’egemonia<br />
politica ed economica statunitense<br />
attraverso fondazioni e banche.<br />
Con questa sistemazione dottrinale si elimina<br />
anche la possibile contraddizione che<br />
potrebbe venire dall’art brut, dove tutte le<br />
bizzarrie delle avanguardie sono anticipate e<br />
ben sopravanzate in coerenza etica e potenza<br />
fantastica. Si realizza così un evento paradossale:<br />
un prodotto che non cela la sua origine<br />
casuale e commerciale insieme, ottiene successo<br />
proprio perché “non è capito”, perché<br />
deve, per essere celebrato e remunerare l’investimento,<br />
offendere il senso comune, il<br />
buon gusto, la sensibilità estetica e morale, affinché<br />
si dimostri che è rivoluzionario, originale,<br />
libero, godibile solo da un’élite economica<br />
e intellettuale (il fenomeno speculativo<br />
globalizzato — financial art — è pertanto<br />
nelle premesse, non una degenerazione).<br />
Questa produzione, che oggi è definita<br />
“arte contemporanea” tout court, necessita di<br />
una precoce musealizzazione, di una specie di<br />
consacrazione museale in simultanea, a spese<br />
del denaro pubblico in Europa (contrariamente<br />
ai musei privati americani), con la quale<br />
se ne sancisce la continuità ed insieme il<br />
ruolo di rottura con l’arte del passato, in<br />
quanto punto d’arrivo di una totale autonomia<br />
e di una creatività irresponsabile e pulsionale.<br />
In realtà, costretta a raschiare il fondo<br />
degli abissi già ampiamente sfruttati dai surrealisti<br />
e dalle avanguardie del 900, l’arte<br />
contemporanea è ridotta a palestra degli sport<br />
estremi del pensiero debole e della vanità disperata:<br />
una fenomenologia così repellente da<br />
essere definita da J. Clair “di essenza criminale”.<br />
Nell’attualità, il mondo politico, per gli<br />
interessi suoi propri, si serve, subisce e si adegua:<br />
l’AC mette d’accordo tutti, da una parte<br />
chi se ne compiace in quanto genuina e perversa<br />
espressione del postcapitalismo, dall’altra<br />
chi ne fa il simbolo di una libertà di<br />
espressione senza precedenti, che può impunemente<br />
spaziare dall’osceno all’idiota al blasfemo.<br />
0<br />
Ma anche qui, di nuovo, occorre risalire ad<br />
una debolezza filosofica e morale insita nel<br />
canone della modernità, perché l’operazione<br />
in Europa non poteva trionfare se non nella<br />
predisposizione, acquiescenza e complicità<br />
8 ottobre 2011 Anno XI
| ( 20 ) |<br />
dell’ambiente artistico tradizionale, degli storici<br />
dell’arte, dei responsabili del patrimonio<br />
e degli istituti di formazione.<br />
La mistificazione operata dal sistema AC<br />
col puntello di teorie nichiliste e rozze approssimazioni<br />
ad uso di TV e stampa spazzatura,<br />
col sostegno delle lugubri kermesse degli<br />
stilisti di moda, non potrebbe raggiungere<br />
l’obiettivo di gloriarsi di essere “incomprensibile”,<br />
se “i cattivi maestri” non avessero preparato<br />
il terreno. Non a caso l’AC segna i suoi<br />
massimi successi in Cina, in cui la sua natura<br />
futile e arrogante si presta al maquillage di<br />
una società materialista e totalitaria.<br />
0<br />
La vicenda dell’AC va infatti a confluire ed<br />
intrecciarsi con un altro processo, derivante<br />
anch’esso dall’albero avvelenato della modernità.<br />
Si tratta della tendenza alla museificazione<br />
del passato e alla decontestualizzazione teorica<br />
ed ambientale di opere e tradizioni, considerate<br />
come superate dal progresso e pertanto<br />
isolate, come un documento, una curiosità,<br />
un’immagine ammirevole, ma di cui si è smarrito<br />
il senso profondo e la cui origine e destinazione<br />
può ignorarsi o essere addirittura imbarazzante,<br />
per esempio quando si parli della<br />
committenza.<br />
<strong>Il</strong> riferimento alla bellezza “che salverà il<br />
mondo” 15 , è infatti a dir poco equivoco se si<br />
toglie ad essa gli elementi connettivi con la<br />
società umana da cui è nata e l’aspirazione al<br />
bene e alla trascendenza che la illumina.<br />
In altre parole, se l’arte europea è scissa —<br />
spazialmente e storicamente — dalle radici<br />
cristiane dell’Europa, il patrimonio stesso è<br />
minacciato, e lo squallore dell’AC, nonché<br />
espropriarci della risorsa artistica nel presente,<br />
desertificherà il passato, divenuto incomprensibile<br />
anch’esso, bisognoso di grottesche<br />
15 Diffusissima e spesso banalizzata citazione da Dostojeskji, che<br />
già nel testo originale presenta un carattere enigmatico.<br />
“attualizzazioni” e mero rito turistico di massa.<br />
Infatti la tragedia 16 non sta tanto nell’irriconoscibilità<br />
dell’arte contemporanea, nella<br />
sua incapacità nell’offrirci consolazione, piacere<br />
e pensiero, cosa che non è un fallimento<br />
ma addirittura un vanto ed una necessità del<br />
sistema dell’AC e dei suoi esegeti, quanto nella<br />
proiezione a ritroso della rinuncia al godimento<br />
estetico della forma significante, illuminata<br />
dalla ragione e dal cuore.<br />
0<br />
<strong>Il</strong> museo, nato come istituzione formativa<br />
(oltre che di conservazione e prestigio), venuta<br />
oggi meno la continuità del mestiere, eliminata<br />
la contiguità con l’architettura, l’artigianato,<br />
la decorazione, l’illustrazione, le arti<br />
applicate, testimonia un mondo scomparso,<br />
lontanissimo, mentre si tratta di opere che<br />
giungono fino al secolo scorso!<br />
<strong>Il</strong>leggibili o appiattiti in una fredda iconologia<br />
i riferimenti religiosi, mitologici, storici,<br />
letterari! Squalificata la committenza, come<br />
limitativa della libertà dell’artista!<br />
Così l’opera, prosciugata della sua verità<br />
umana, è mera immagine, da fotografare, da<br />
consumare, con cui giocherellare in funeste<br />
sezioni didattiche, da confrontare con il contemporaneo,<br />
con la pubblicità, con il fumetto,<br />
ecc: anche nella sua concretezza, assume un<br />
carattere virtuale, interscambiabile, fluttuante<br />
in uno spazio senza radici.<br />
L’arte antica è materia di turismo, cioè di<br />
nuovo di un’attività specializzata, professionalizzata,<br />
massificata, con tutti caratteri dell’insostenibilità<br />
e dell’inversione degli effetti<br />
descritta da <strong>Il</strong>lich in riferimento alla scuola,<br />
alla sanità e ai trasporti. <strong>Il</strong> Grande Museo<br />
realizza un rituale quasi di culto (che Jean<br />
Clair paragona ad un mattatoio), in cui è da<br />
escludere ogni possibilità di contemplazione,<br />
16 La definizione dello stato dell’arte contemporanea come<br />
“tragedia” è assai diffusa. Jean Clair la definisce un naufragio.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660
| ( 21 ) |<br />
mentre il piccolo museo, che non si avvale<br />
dell’impatto dimensionale ed è meno devastante<br />
sotto il profilo della delocalizzazione, è<br />
vuoto e spesso chiuso.<br />
E mentre si destinano sempre più a “spazi<br />
espositivi” chiese e ambienti architettonici<br />
d’epoca (in cui spesso si realizzano “mostre<br />
fotografiche” chiudendo così il cerchio con<br />
un ulteriore paradosso), e interi centri storici<br />
si museificano a pro di un alienato consumo<br />
turistico, prolifera la smania di ristrutturazioni<br />
museali, di mostre temporanee e di eventi,<br />
intorno alle quali si è consolidato da tempo<br />
uno smisurato apparato di agenzie e di servizi,<br />
vendemmia di scenografi, architetti e curatori.<br />
Con il risultato di inserire le opere in una<br />
specie di Luna park, con gadget, percorsi obbligati,<br />
supporti elettronici e didascalie per<br />
mentecatti, animazioni sonore ed effetti speciali,<br />
a realizzare anche qui, se possibile, l’effetto<br />
ludico e frastornante che fa il successo<br />
delle mostre di AC.<br />
E sempre si ripropone, anche nei contesti<br />
più insospettabili, l’isolamento dell’opera<br />
d’arte antica nonché dalla sua origine e destinazione,<br />
addirittura dall’ambiente espositivo,<br />
anche quando pregevole e del tutto congruo,<br />
inserendola a scrigno in pannellature di colori<br />
inverosimili, sempre con luci artificiali, arrivando<br />
così al danneggiamento specifico dell’opera,<br />
divenuta oggetto in vetrina, addobbato<br />
da restauri e mirabolanti attribuzioni.<br />
0<br />
I due filoni vanno a confluire e intrecciarsi<br />
nella realizzazione dei Musei di arte contemporanea<br />
e nell’inserimento violento dell’AC<br />
nei Musei di arte antica e moderna e negli<br />
spazi storico-artistici prestigiosi (doloroso è il<br />
fatto dell’accoglienza di essa nelle chiese).<br />
Nel primo caso, il fenomeno, nato in America<br />
come veri e propri showroom e quindi<br />
con un’esplicita natura commerciale, si è pervertito<br />
in Europa (non certo per caso o per<br />
ingenuità) nel prestarsi dello Stato e delle<br />
istituzioni pubbliche a finanziare contenitori<br />
di prestigio per imporre e sostenere le quotazioni<br />
dei nomi dell’AC, affidando nell’occasione<br />
incarichi progettuali milionari alle archistar<br />
per nuovi edifici, ristrutturazioni e allestimenti.<br />
In questo la subalterneità degli intellettuali<br />
di regime europei è tale da stupire gli stessi<br />
americani, che da tempo dubitano del valore<br />
d’investimento delle opere di AC e cercano di<br />
collocarle al più presto nei nuovi musei del<br />
contemporaneo sorti ovunque in grandi e piccole<br />
città. 17<br />
L’altro aspetto è invece tipicamente europeo,<br />
in quanto con queste contaminazioni si<br />
intende dimostrare una confrontabilità tra<br />
l’arte antica e l’arte contemporanea, che proietti<br />
sulla seconda credibilità e prestigio, secondo<br />
un disinvolto relativismo che ci prepara<br />
già ai fasti interculturali: si va dalla mera<br />
ambientazione tipo showroom, agli accostamenti<br />
improbabili e trasgressivi, al pastiche,<br />
alla parodia, alla provocazione, a tutte le varianti<br />
della ricerca dello scandalo. Data la futilità<br />
dell’operazione, si potrebbe passarci sopra,<br />
se l’inciamparci continuamente non testimoniasse<br />
della sua capillarità e dello sconcertante<br />
spreco di risorse economiche, in<br />
molti casi destinate istituzionalmente al patrimonio.<br />
<strong>Il</strong> Circo Barnum dell’AC, parto mostruoso<br />
della modernità, non va sottovalutato, perché<br />
la sua avidità, il suo cinismo, il suo terrorismo<br />
ideologico, la sua adattabilità a tutti i possibili<br />
17 Marc Fumaroli in Paris-New York et retour descrive con ironia<br />
lo stupore dei suoi corrispondenti statunitensi di fronte all’arrendevolezza<br />
della cultura europea alla colonizzazione da parte<br />
dell’AC americana. Essi non arrivano a comprendere come paesi<br />
con un patrimonio, tradizione e prestigio artistico mondiale possano<br />
aver ceduto il loro primato di fronte ad una sistema artificioso e<br />
palesemente mercantile. Nel caso, si parla della Francia (dove<br />
l’AC è addirittura “arte di stato”), ma il discorso può valere, e a<br />
maggior ragione, per l’Italia, la cui produzione artistica ha riempito<br />
i musei di tutto il mondo, e il cui patrimonio, nonostante questa<br />
dispersione, è il più cospicuo e splendido del pianeta.<br />
8 ottobre 2011 Anno XI
| ( 22 ) |<br />
segmenti di mercato, ne fanno un prodotto<br />
industriale aggressivo e inquinante; produce<br />
un conformismo che è una specie di cecità,<br />
l’esproprio del sentimento e dell’aspirazione<br />
al bello, al puro, al vero, della gioia di avvicinarsi<br />
attraverso i sensi alla trascendenza, al<br />
senso e al destino dell’uomo e dell’universo,<br />
nella contemplazione della forma, di cui alcuna<br />
scienza potrà mai dar conto.<br />
Dall’anonimo artefice dell’arte medievale,<br />
corale nei suoi protagonisti e destinatari siamo<br />
passati — attraverso l’ubriacatura romantica<br />
dell’artista superuomo, genio incompreso<br />
e rivoluzionario — ad un prodotto futile e orrendo,<br />
che vale solo per il nome che vi si affigge,<br />
a sua volta evocato dal nulla in base al<br />
marketing.<br />
Eppure quanta ricchezza e gioia ci dona<br />
l’arte del passato, fino a quella di un’epoca<br />
nemmeno tanto lontana! Arte davvero contemporanea<br />
al nostro difficile cammino, arte<br />
diffusa nel nostro paese in misura non paragonabile<br />
con altri, arte vivente nella liturgia e<br />
nella devozione, nelle città, nei paesi, nelle<br />
architetture, nelle case, nelle piccole collezioni<br />
amatissime…arte come risorsa viva, abitudine,<br />
lettura, scoperta, gioia e inquietitudine,<br />
mistero e trascendenza.<br />
0<br />
Ho l’impressione che su questo la stragrande<br />
maggioranza sia d’accordo. Infatti le difese<br />
dell’AC 18 sono sempre così balbettanti e squalificate,<br />
che esse non hanno la pretesa di convincere,<br />
ma solo l’arroganza di prevalere nei<br />
fatti, avvalendosi delle reti di interessi, del<br />
conformismo, dell’ingenuità, del senso d’inferiorità<br />
culturale degli uni, come della ripulsa<br />
sdegnata degli altri.<br />
Del resto, quando si arriva, dopo queste argomentazioni<br />
al negativo, alle proposte e te-<br />
18 Un tipico difensore di prima linea è Francesco Bonami, le cui<br />
esternazioni sono esemplari per piaggeria e conformismo. Vedi, fra<br />
l’altro, <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> n°620.<br />
stimonianze al positivo, si manifesta una debolezza,<br />
e talvolta un’ambiguità, che forse è<br />
inevitabile.<br />
Anche la discussione, ormai aperta anche<br />
in Italia, sugli aspetti speculativi e affaristici<br />
dell’AC, con relativi appelli ad una “democratizzazione”<br />
di essa verso i giovani, le donne<br />
ecc.., oppure il richiamo ipocrita ad “educare”<br />
la gente a capirla, non affronta i nodi<br />
profondi della questione, non osando certo<br />
mettere in dubbio l’intoccabilità delle avanguardie<br />
e la griglia concettuale da cui dipende<br />
la sopravvivenza delle miriadi di “addetti ai<br />
lavori”: dagli pseudogalleristi che affittano<br />
spazi (ognuno può essere artista) ai grandi curatori<br />
di mostre, ai sovrintendenti assetati di<br />
passaggi mediatici e folgorati dalle archistar.<br />
Dato che è stata fatta tabula-rasa nella formazione,<br />
nel mercato, nella critica d’arte, è<br />
evidente che non può esserci pronta un’alternativa<br />
a cui manchino solo gli spazi della visibilità.<br />
A questo si aggiunge l’effetto disastroso<br />
della scolarizzazione artistica, parcheggio ludico<br />
e improduttivo, distruttore di talenti,<br />
esempio anch’esso dei fenomeni descritti da<br />
<strong>Il</strong>lich.<br />
Occorre pertanto, tanto per restare ad <strong>Il</strong>lich,<br />
agire nella convivialità, realizzare nel<br />
concreto le condizioni umane, integrali, sane,<br />
spontanee, del produrre e godere dell’arte;<br />
scoprire ed amare l’arte nel quotidiano, nella<br />
normalità della vita, nella sua integrazione<br />
visiva e pratica nei percorsi degli uomini; visitare<br />
i luoghi con acutezza di sguardi ma larghezza<br />
di tempi, ed eventualmente i musei,<br />
cercando di proiettarne le opere all’esterno<br />
per lo meno con l’immaginazione; non frequentare<br />
normalmente mostre ed eventi, e nel<br />
caso esprimere critiche e dissenso, ma privilegiare<br />
le collezioni permanenti e l’arte diffusa<br />
sul territorio (spesso ahimè non accessibile<br />
oppure resa tale solo dalla disponibilità dei<br />
volontari); comprare un’opera che ci piace,<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 660
| ( 23 ) |<br />
incoraggiare gli artisti che ci piacciono, fidandoci<br />
del nostro gusto, perché se un buon<br />
effetto può avere la pessima fama dell’ambiente<br />
artistico ufficiale, è nel rafforzarci nel<br />
nostro intuito, visto che degli “esperti” non ci<br />
si può certo fidare!<br />
Riscoprire la gioia di portarci a casa una<br />
piccola scultura, come di trovare in una chiesa<br />
una dolcissima Madonna, venerata sull’altare,<br />
magari con gli abiti ottocenteschi, mentre<br />
tante altre, in certi casi sottoposte a dissennati<br />
restauri, se ne stanno squallidamente<br />
ed ossessivamente in fila in una sala (ci può<br />
essere — salvo la distruzione — un danneggiamento<br />
specifico peggiore)<br />
Sostenere l’artigianato artistico, le tradizioni<br />
artigianali, i cui confini con l’arte erano<br />
un tempo sfumati, e che talvolta oggi appaiono<br />
suggestivi rifugi di saperi antichi e raffinati.<br />
Raccogliere notizie, documentazione, opere<br />
di artisti del 900 misconosciuti ed emarginati<br />
dal trionfo delle avanguardie. Agire pertanto<br />
per ricostituire concretamente un mercato<br />
indipendente ed anticonformistico, che<br />
applichi un discernimento sulla qualità (pur<br />
nella pluralità dei gusti personali).<br />
0<br />
Questo è anche il significato e lo scopo di<br />
ciò che ho pubblicato su <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>. En amateur,<br />
poiché le gerarchie culturali e i cosiddetti<br />
esperti hanno tradito, ho voluto dare testimonianza<br />
del mio modo di vivere l’arte come<br />
una risorsa, che incardina l’itinerario fisico<br />
— un viaggio — e spirituale a momenti di incontro,<br />
di riconoscimento. In questo molto ha<br />
contato per me la lettura di Pavel Florenskij,<br />
e i testi del cardinale Ratzinger.<br />
e la sua considerazione sui destini dell’uomo e<br />
della vita. La fede nel trascendente ha dato il<br />
volto alle nostre città, e la nostra arte è annuncio<br />
o tormento di fede, è amore del reale,<br />
perché in esso può trasparire il divino, è figura<br />
e volto di speranza, non angoscia iconoclastica.<br />
La nostra arte non ha bisogna dell’“aura”,<br />
perché partecipa di una millenaria dimestichezza<br />
con la manipolazione creatrice di<br />
ideale bellezza, fatta propria e resa integralmente<br />
umana dal cristianesimo, affermatasi<br />
come valore collettivo e civico, segno identitario<br />
e pervasivo di territori e città, con un’inesauribile<br />
ricchezza simbolica. Se guardiamo<br />
alle quantità, le presenze di AC e bruttezze<br />
novecentesche che ci appaiono così disturbanti,<br />
sono insignificanti, imbarazzanti nella loro<br />
miseria: è l'effetto amplificatorio dei media<br />
disciplinatamente al servizio di chi paga che<br />
falsa le proporzioni.<br />
Alla modernità come conservazione torva e<br />
nevrotica dei resti di un fallimento plurigenerazionale<br />
va contrapposto il sereno possesso<br />
di un presente illuminato dalla tradizione vivente<br />
e dalla speranza.<br />
GABRIELLA ROUF<br />
0<br />
L’arte antica in Italia è prevalentemente<br />
arte sacra o a soggetto religioso: e quali che<br />
siano i percorsi individuali, l’esperienza visiva<br />
e razionale interpella la totalità della persona<br />
8 ottobre 2011 Anno XI
| ( 24 ) |<br />
Immagine tratta da: R.Bradley, The Riches of a Hop-Garden explaind, Printed for C.Davis & T.Green. Londra 1729.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 660
A<br />
B<br />
N°661<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
14 OTTOBRE 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
I N V I T O A L L A L E T T U R A .<br />
I L U S I A D I<br />
DI LUÍS VAZ DE<br />
CAMÕES.<br />
V<br />
Abbiamo un grosso problema nell'invitare alla lettura<br />
dei Lusiadi. Non nutriamo dubbi sul fatto che il testo<br />
sia godibilissimo per il lettore dei nostri giorni; soprattutto<br />
nell'ultima edizione, quella del 2001 nei BUR<br />
Classici con la traduzione fresca e appassionata di Riccardo<br />
Averini (1915-1980) e il testo a fronte. L'edizione,<br />
con la curatela di Giuseppe Mazzocchi e le note di<br />
Valeria Tocco, è ottima per l'acribia e la completezza<br />
degli apparati ma, ecco il problema, è esaurita dal 2005<br />
e per ora non si parla di ristampa. Dunque da sei anni<br />
nelle librerie mancano i Lusiadi, si tratta di una piccola<br />
vergogna per l'editoria italiana ma si sa la moneta<br />
cattiva scaccia quella buona: o Antonio Tabucchi e il<br />
politicamente corretto o Louís Vaz de Camões e l'epica<br />
della conquista. Nelle more di una ristampa, alla quale<br />
ci piace pensare questo numero possa contribuire, i<br />
lettori potranno cercare nel mercato dell'usato oppure<br />
scaricare una delle versioni ottocentesche disponibili in<br />
Google libri, ad es.:<br />
http://books.google.it/booksid=9aoDAAAAYAAJ.N<br />
INDICE<br />
1 <strong>Il</strong> VII canto dei Lusiadi.<br />
14 Francesco Pappalardo. Camões.<br />
16 La bandiera portoghese.<br />
16 La vera gloria.<br />
17 Sulle immagini.<br />
18 <strong>Il</strong> ricordo del naufragio.<br />
18 Aurelio Roncaglia. Una raccolta di emblemi morali.<br />
a <strong>Il</strong> settimo canto nella traduzione<br />
di Felice Bellotti (1786-1858).<br />
1<br />
GIUNTI ormai si vedean presso alla terra,<br />
Già di tanti desio, cui la corrente<br />
Quinci dell'Indo, e quindi il Gange inserra.<br />
Quel che nel ciel terrestre ha la sorgente.<br />
Su dunque tu che coglier cerchi in guerra<br />
La vincitrice palma, o ardita gente!<br />
Ecco attinto hai lo scopo; ecco a te innante<br />
<strong>Il</strong> suol d'ogni ricchezza esuberante.<br />
2<br />
Dico di Luso a voi schiatta gentile,<br />
Che del mondo non sol, ma del buon gregge<br />
Siete parte sì poca, e dell'ovile<br />
Di quel Signor che l'universo regge:<br />
Voi cui nullo periglio il cor fa vile<br />
Nel conquistare il popol senza legge;<br />
Né avarizia v'arresta, o scarso zelo<br />
Di quella madre, ond'è l'essenza in cielo.<br />
2 dell'ovile: la cristianità. madre, ond'è l'essenza in cielo: la Chiesa<br />
Cattolica, insieme di terrestre Chiesa militante e celeste Chiesa<br />
trionfante.<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />
www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />
<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />
minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />
cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />
Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
3<br />
Portoghesi, voi pochi al par che forti,<br />
Che il fral vostro poter non ponderate;<br />
Voi che a costo di mille orride morti<br />
L'eterna Fede a dilatar pugnate:<br />
Privilegiati han voi del ciel le sorti<br />
A molto oprar, benché sì pochi siate,<br />
Per lo impero di Cristo. A cotant'alti<br />
Onori, o Dio, tu l'umiltade esalti!<br />
4<br />
Gli Alemanni vedete, armento altero,<br />
Che pasce in sì gran campi, ed or s'attenta<br />
Farsi ribelle al successor di Piero,<br />
E pastor nuovo e nuovo culto inventa;<br />
E tutto freme di furor guerriero<br />
(Che nel cieco error suo mal s'accontenta)<br />
Non contra il superbissimo Ottomano,<br />
Ma per tòrsi al divin giogo sovrano.<br />
5<br />
D'Anglia vedete il re, che pur s'appella<br />
Della città santissima signore,<br />
Che al turpe Ismaelita or geme ancella,<br />
(Chi vide mai più menzognero onore)<br />
Tra sue brume ei gavazza, e di novella<br />
Cristianità farsi presume autore.<br />
Nuda ha la spada incontro a quei di Cristo.<br />
Non di quel regno a ritentar l'acquisto.<br />
6<br />
Gli tiene intanto un re profano e rio<br />
La terrestre Sion, mentre ai celesti<br />
Dell'eterea Sion dòmmi restio<br />
L'animo ei serba, e fatti adopra infesti. —<br />
Gallo indegno, e di te che dir degg'io<br />
Che il nome Cristianissimo volesti,<br />
Non per esser campione in sua difesa,<br />
Ma contr'esso accamparti, e fargli offesa.<br />
7<br />
Dritto aver su Cristiane altre contrade<br />
Vuole il dominio tuo, grande già tanto;<br />
E non del Nil, non del Cinifo invade<br />
Le rive che de' Santi odiano il Santo<br />
Quivi il filo a provar s'ha delle spade<br />
In chi la Chiesa di sprezzar fa vanto.<br />
Di Carlo e di Luigi e nome e terra,<br />
Non la giusta redasti ira di guerra!<br />
8<br />
Che di quelli dirò, che fra delizie,<br />
Onde l'ozio è compagno e vile amico,<br />
Logran le vite e fondon le dovizie,<br />
Sdimenticati del valore antico<br />
Nascon da tirannia le inimicizie<br />
Fra quel popolo forte a sé nimico.<br />
Parlo, Italia, con te, con te sommersa<br />
In vizj mille, ed a te stessa avversa.<br />
9<br />
Siete voi forse, o miseri Cristiani,<br />
Di Cadmo i denti sul terren gittati,<br />
Che gli uni gli altri vi struggete insani,<br />
Sendo pur d'un sol alvo al mondo nati<br />
Non vedete voi forse in man de'cani<br />
<strong>Il</strong> sepolcro di Cristo, e congiurati<br />
Quei la vostra a ritorvi antica parte,<br />
Farsi famosi nella bellic'arte<br />
10<br />
Ha per uso, il vedete, anzi precetto,<br />
(E osservarlo ben sa) quella genia<br />
Sempre esercito aver d'arme in assetto<br />
Contra ogni gente che Cristiana sia,<br />
Né fra voi seminar mai cessa Aletto<br />
Di sue zizanie la semenza ria.<br />
Pensate a vostra securtà, quand'essi<br />
Vi son nimici, e siete a voi voi stessi.<br />
4 al successor di Pie[t]ro: il Papa. Pastor nuovo: Lutero.<br />
5 il re: Enrico VIII re d'Inghilterra. S'appella […] signore: a partire<br />
da Riccardo Cuor di Leone i re d'Inghilterra avevano il titolo<br />
di re di Gerusalemme.<br />
6 un re profano e rio: quello Turco, regnante sulla Gerusalemme<br />
terrestre (La terrestre Sion). Gallo indegno: Francesco I, re di Francia<br />
alleato dei turchi contro Carlo V. Di novella Cristianità: il riferimento<br />
è allo scisma anglicano.<br />
7 Cinifo: il fiume che bagna Tripoli. Di Carlo e di Luigi: Carlo<br />
Magno e San Luigi IX. Di Cadmo: abbattuto un drago, Cadmo ne<br />
seminò i denti; ne nacquero guerrieri che presero subito ad uccidersi<br />
fra loro. In man de' cani: i mussulmani, l'epiteto era già in<br />
Petrarca ed Ariosto.<br />
10 Aletto: la Furia che semina discordia.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 661
| ( 3 ) |<br />
11<br />
Che se brama di stati o di tesoro,<br />
Estranie terre a conquistar vi mena,<br />
L'Ermo e il Pattòlo non vedete, d'oro<br />
Volger con l'onde rilucente arena<br />
Tesson Lidia ed Assiria aureo lavoro;<br />
Molta d'Africa i monti han aurea vena.<br />
L'idea vi mova di ricchezza tanta,<br />
Se muover non vi può la Tomba santa.<br />
12<br />
Quelle machine orrende, e quelle nuove<br />
Di morte invenzioni e di paura,<br />
Far ben dovrian le lor tremende prove<br />
Di Bizanzio e Turchia contra le mura.<br />
De' Caspii monti alle silvestri cove<br />
Fate, e di Scizia, ritornar l'impura<br />
Turca razza, che già cresce e s'acclima<br />
Nella gentile Europa vostra opima.<br />
13<br />
Armeni e Greci e Georgiani e Traci<br />
A voi gridan riparo all'empio oltraggio,<br />
Onde a forza i lor figli ella seguaci<br />
Fa del Corano: ahi troppo duro omaggio!<br />
Nel punir que' crudeli atti rapaci<br />
Gloriatevi di senno e di coraggio:<br />
Né ricercate il petulante onore,<br />
Di possanza su i vostri aver maggiore.<br />
14<br />
Ma intanto che voi ciechi ed assetiti<br />
Del vostro sangue andate, o gente insana,<br />
Non mancar, no, cristiani petti arditi<br />
Nella picciola terra Lusitana.<br />
Porti ella tien su gli Africani liti;<br />
Più d'ogni altra nell'Asia ella è sovrana;<br />
Miete del mondo nella parte nuova.<br />
E in altra mieterà, s'altra si trova.<br />
15<br />
Or veggiam ciò che avvenne in cotal punto<br />
A que' suoi sì famosi naviganti,<br />
Da che Ciprigna blandamente emunto<br />
Ha de' venti il furor forte-soffianti,<br />
E il navilio alla terra in vista è giunto.<br />
Ch'è fin de' sforzi lor tanto costanti,<br />
Ove a dar nuovo re, nuovo costume<br />
Vengono, e legge di verace Nume.<br />
16<br />
Mentre più presso al nuovo suol si fanno,<br />
Lievi schifi incontrar di pescatori,<br />
Che lor per dritta via mostrando vanno<br />
Calecut, di cui sono abitatori.<br />
Vèr là tosto le prue la volta danno,<br />
Ché quella è la miglior delle migliori<br />
Del Malabar cittadi, e quivi ha sede<br />
<strong>Il</strong> re che tutto quel tener possede.<br />
17<br />
Di qua il Gange e di là l'Indo fiancheggia<br />
Un terren vasto e per gran fama noto:<br />
Lo cinge all'Austro il mare, e lo fronteggia<br />
L'Emodio, al Norte, per caverne vuoto.<br />
Giogo di re diversi il tiranneggia<br />
Con varia fede. Altri a Macon devoto;<br />
Altri è idolatra; altri per numi adora<br />
I bruti che fra loro hanno dimora.<br />
18<br />
Del gran monte colà, che in mezzo fende<br />
Quella terra, e per tutta Asia discorre,<br />
E dalle varie regïon che prende<br />
Si fa vario pur anche il nome imporre,<br />
L'onda d'ambo que' fiumi a paro scende,<br />
E nell'Indico mare a morir corre;<br />
E il terren che fra lor giace compreso<br />
Rende aspetto a veder di Chersoneso.<br />
11 L'Ermo e il Pattolo: fiumi auriferi della Lidia. La Tomba santa:<br />
orig. “a Casa Santa”, la Chiesa.<br />
14 Parte nuova: orig. “quarta parte nova”, il Brasile.<br />
16 schifi: piccole barche.<br />
17 Un terren vasto: l'India. L'Emodio: l'Himalaia. Altri a Macon<br />
devoti: i maomettani.<br />
18 di Chersoneso: di penisola.<br />
14 ottobre 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
19<br />
Tra quel fiume e quell'altro a simiglianza<br />
Di piramide in mar con lunga punta<br />
Una contrada estendesi e s'avanza,<br />
E di Ceilàn vêr l'isola s'appunta.<br />
E su del Gange in vêr la fonte ha stanza<br />
(Se di ciò vera a noi la fama è giunta)<br />
Tale una gente, che de' cari odori<br />
Sol si nudria de' variopinti fiori.<br />
20<br />
Ma di nome e costumi or differenti<br />
Popoli varii ha quella terra in seno.<br />
Havvi i Delii e i Patani assai possenti<br />
Di numero, e di ricco ampio terreno;<br />
V'ha Decani ed Oriàs che alle correnti<br />
Speran del Gange esser fidata appieno<br />
La lor salvezza; e v'ha il Bengàl, feconda<br />
Terra così, che ogni altra è a lei seconda.<br />
21<br />
Là di Cainbaja è il bellicoso stato<br />
(Di Poro un dì, se il grido in ciò non erra)<br />
Là v'è quel di Narsinga, assai pregiato<br />
Per oro e gemme, più che forte in guerra.<br />
E dall'alto del mare un elevato<br />
Monte si scorge che s'allunga, e serra<br />
Da un lato il Malabar, qual saldo muro,<br />
Che da quei del Canara il fa securo.<br />
19 Tale una gente: il leggendario popolo privo di bocca che si nutriva<br />
attraverso le narici, coi profumi.<br />
21 Delii: abitanti la regione di Delhi. Patani: Afgani. Decani:<br />
abitanti al regione del Deccan. Oriàs: abitanti dell'Orish.<br />
22<br />
Gate appellan quell'erta e lunga balza;<br />
E si stende da piè di quella china<br />
Stretta falda di suol, cui batte e incalza<br />
<strong>Il</strong> natural furor della marina.<br />
Quivi superba Calecut s'inalza,<br />
Fra molt'altre città capo e regina;<br />
Anzi capo d'impero opima e bella;<br />
E Samorino il suo signor s'appella.<br />
23<br />
Tocche appena l'armata ha quelle sponde.<br />
Ne va da Gama un Portoghese eletto,<br />
Che al re, qual gente alla sua terra e donde<br />
Sia giunta, annunzii con verace detto.<br />
<strong>Il</strong> messo per lo fiume entra, che l'onde<br />
Quivi mesce col mare; e il nuovo aspetto,<br />
Le stranie fogge, ed il color del volto,<br />
Traggono a riguardarlo il popol folto.<br />
22 Cainbaja: Cambaia. Poro: re dell'India sconfitto da d'Alessandro<br />
Magno. Samorino: titolo che equivale a imperatore.<br />
23 Tocche appena: nota Enzio di Poppa Vòlture: “È il 20 maggio<br />
1498: la via delle Indie è aperta. <strong>Il</strong> primo contraccolpo lo sentirà<br />
Venezia che aveva il monopolio delle spezie per tutta l'Europa e<br />
comincerà a perdere, da questo momento, due milioni di zecchini<br />
d'oro all'anno.”<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 661
| ( 5 ) |<br />
24<br />
Fra la turba accorrente al nuovo grido,<br />
Uno evvi a caso di Macon devoto,<br />
Nato di Barberia là sovra il lido,<br />
In quel paese, onde fu Anteo despòto.<br />
O perché presso del natal suo nido<br />
A lui non era il Portogallo ignoto;<br />
0 ché già l'armi ei ne provasse in guerra;<br />
Poi sorte il trasse a sì lontana terra.<br />
25<br />
Vede il messo, e con volto a lui giocondo<br />
Così favella in idioma ispano:<br />
Che mai dalla tua patria a tal del mondo<br />
Altra parte ti addusse, o Lusitano<br />
E questi: Aprendo un vasto mar profondo<br />
Non corso pria da navigante umano,<br />
Veniam l'Indo a cercar, per far che sede<br />
Quivi abbia pur del vero Dio la fede.<br />
26<br />
Stupì di così lungo arduo viaggio<br />
Monzaide (ché tal nome il Moro avea),<br />
E quante ansie e travagli in quel passaggio<br />
Aver sofferti il Lusitan dicea.<br />
Ma poich'inteso egli ha che il suo messaggio<br />
Al re dirittamente espor dovea,<br />
Fuor (dice) egli è della città; ma poco<br />
Di qua lontano è di sua stanza il loco.<br />
27<br />
E l'invitò che, mentre il portentoso<br />
Suo arrivo al Samorin venga rapporto,<br />
Nel povero suo tetto entri a riposo,<br />
E di fresche vivande abbia conforto.<br />
Egli stesso con lui volonteroso<br />
Indi a veder verrìa lo stuolo al porto;<br />
Ché gran gioja è trovar su peregrine<br />
Terre genti di patria a noi vicine.<br />
28<br />
Ciò che Monzaide gli offería, con grata<br />
Alacre voglia il Lusitan riceve;<br />
E con lui, qual fra lor fosse già stata<br />
Lunga amicizia, e piglia cibo e beve.<br />
Poi van dalla città tosto all'armata,<br />
Cui riconosce il Mauritan di lieve.<br />
Salgon la capitana, e benigni atti<br />
Ivi son d'accoglienza al Moro fatti.<br />
29<br />
Lieto l'abbraccia il Capitan, che intese<br />
Com'egli in chiaro Castiglian favella.<br />
Al suo fianco l'asside, e del paese<br />
Molta gli chiede e del suo re novella.<br />
E qual le piante, di piacer già prese,<br />
Dietro all'amante d'Euridice bella<br />
Correano al tocco della cetra d'oro,<br />
Tal s'affolla or la gente intorno al Moro.<br />
30<br />
E quei comincia: O popol cui natura<br />
Fe' al mio suolo natal crescer vicino,<br />
Qual possanza di fato o qual ventura<br />
Per sì lungo vi trasse arduo cammino<br />
Certo non è senz'alta causa oscura,<br />
Fin dal Tago venirne e fin dal Mino,<br />
Mari solcando ad altra nave ignoti,<br />
A sì divisi regni e sì remoti.<br />
31<br />
Per certo Iddio vi spinge: Iddio vi guida<br />
A qualch'opra per sé d'alto cimento:<br />
Per ciò sol da' nemici Egli v'affida,<br />
Dal mare irato e dall'irato vento.<br />
Or nell'India voi siete, ove s'annida<br />
Popol vario e felice ed opulento<br />
D'oro e di gemme di diversi nomi,<br />
Di droghe ardenti, e di soavi aromi.<br />
24 Barberia: antico nome del Nord Africa. Anteo: il mitico gigante<br />
ucciso da Ercole. Re del Marocco, fondò Tangeri.<br />
29 all'amante d'Euridice: Orfeo.<br />
14 ottobre 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
32<br />
Questa, a cui giunti or sono i vostri legni,<br />
La terra ell'è, che Malabar si chiama.<br />
Adora degli antichi idoli i segni,<br />
E intorno il culto lor pur si dirama.<br />
Or diversi monarchi han questi regni;<br />
Ma che d'un sol fosser già tutti, e fama.<br />
Saramà Perimàl fu quei che impero<br />
Ebbe ultimo su tutti uno ed intero.<br />
33<br />
Dall'Arabico golfo a questo lato<br />
Un'altra gente allor venne, da cui<br />
Qui addotto fu di Maometto il rito,<br />
Nel qual dal padre instituito io fui.<br />
Di loro ai preghi e all'eloquente invito<br />
Perimàl si converse, e tanto in lui<br />
Inspirar zelo per la fé novella,<br />
Che morir santo ei fe' disegno in quella.<br />
34<br />
E là rendersi volle, ove adorato<br />
Giace il profeta che la legge diede:<br />
Navi appresta e di quanto ha più pregiato,<br />
Per tributo a lui farne, le provede.<br />
Ma fra' più cari suoi l'amplo suo stato<br />
Partisce pria (ché non ha proprio erede);<br />
E di poveri, ricchi; e di soggetti,<br />
Liberi fa quei che gli son più accetti.<br />
35<br />
E l'un Cochino, e l'altro Cananore,<br />
E l'isola del Pepe un'altro ottiene:<br />
Altri han Chale, e Colano, e Cranganore;<br />
E a chi meglio il servì, meglio n'avviene.<br />
Un giovenetto, che di molto amore<br />
Ei diligeva, innanzi alfin gli viene:<br />
Resta sol Calecut, citta fiorente<br />
Per mercimonio, e nobile e possente.<br />
36<br />
Gli dà questa, e del nome anco il decora<br />
D'imperador che sovra gli altri imperi.<br />
Parte, ciò fatto, e va dove dimora<br />
Far vuole in atti di pietade austeri.<br />
Di Samorin l'eccelso nome allora,<br />
Primo titol d'onore infra i primieri,<br />
A quel garzon rimase, e a tutti poi,<br />
Fino al presente, i successori suoi.<br />
37<br />
Religion tutta di fole impura<br />
Ricchi e indigenti sotto sè rassegna.<br />
Nudi van, fuor che un panno alla cintura<br />
Copre ciò che coprir natura insegna.<br />
Due caste v'ha: la più di sangue pura<br />
È de' Náiri nomata, e la men degna<br />
È de' Poléas, a cui la legge niega<br />
<strong>Il</strong> far con l'altra mescolanza e lega.<br />
38<br />
E l'uom che un'arte esercitò, consorte<br />
Fra quei dell'arte sua convien che pigli;<br />
Né officio altro aver mai, sino alla morte,<br />
Fuor che quello de' padri, è dato a' figli.<br />
A' Nàiri poi, se avvien talor per sorte<br />
D'esser tocchi da quei, par che s'appigli<br />
Sì gran macchia, che tosto a farsen tersi<br />
Mille adopran di rito atti diversi.<br />
37 Nàiri: la casta dei nobili-guerrieri. Poléas: i paria, gli intoccabili.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 661
| ( 7 ) |<br />
39<br />
Tal le genti toccar Samaritane<br />
Aborriva l'Ebreo popolo antico.<br />
Ma in questa terra anco altre molte e strane<br />
Costumanze vedrai, più ch'io non dico.<br />
Qui dell'arme il maneggio anco rimane<br />
Solo a' Nairi fidato; e dal nemico<br />
Essi guardano il re, targa portando<br />
Al manco braccio, e nella destra il brando.<br />
40<br />
Bramani han nome i sacerdoti, augusto<br />
Nome antico fra loro, e le famose<br />
Leggi osservano d'un che nel vetusto<br />
Tempo un proprio al saper titolo impose.<br />
Nulla uccidon di vivo, e carni al gusto<br />
Non danno mai; nelle veneree cose<br />
Usan sol più licenza, e i lor corregge<br />
Accoppiamenti una men dura legge.<br />
41<br />
Communanza di mogli ella consente,<br />
Fra' congiunti però sol de' mariti.<br />
Felice sorte, avventurosa gente,<br />
Non mai turbata di gelose liti!<br />
E tal de' Malabari è il differente<br />
Costume, ed altri han usi ancora e riti.<br />
Opulento è il paese, e d'ogni merce<br />
Fra la Cina ed il Nil trafico eserce.<br />
42<br />
Così il Moro favella. E già vagando<br />
Ne va per tutta la città la fama<br />
Dell'approdata estrania gente, quando<br />
Vien d'intenderne il vero al re la brama.<br />
Onde suoi messi, a cui per via passando<br />
Curioso desire intorno chiama<br />
Ogni sesso ed età, del Lusitano<br />
Navil vengon cercando il capitano.<br />
43<br />
Questi, poi che dal re n'ebbe balía,<br />
Col suo nobil corteggio in su l'istante<br />
Nel palischermo alla città s'avvia<br />
Di ricche vesti adorno e sfolgorante.<br />
Di que' varii color la leggiadría<br />
L'occhio rallegra al popolo ammirante.<br />
Batte il remo in cadenza del mar l'onde,<br />
Poi del fiume procede in fra le sponde.<br />
44<br />
Stava su queste un reggitor del regno,<br />
In suo linguaggio Catuàl nomato,<br />
E là, cinto da Náiri, a Gama un degno<br />
Accoglimento appresta inusitato.<br />
Nelle braccia il riceve a uscir del legno<br />
E in palanchin pomposamente ornato<br />
L'adagia, e come usanza han quelle genti,<br />
Su gli omeri portato è da sergenti.<br />
45<br />
Così va il Malabàr, così di Luso<br />
Va il Capitan, là dove il re gli aspetta.<br />
Dietro ne vien de' Portoghesi, all'uso<br />
Di pedestre squadron, la schiera eletta.<br />
V'accorre intorno il popolo confuso,<br />
E di più cose a domandar s'affretta;<br />
Ma qui fanno le ignote a lui favelle<br />
Quel che alla torre un dì fêr di Babelle.<br />
46<br />
Van Gama e il Catuàl parlando intanto<br />
Di ciò che a lor l'occasìon porgea:<br />
Ed è Monzaide interprete di quanto<br />
L'uno all'altro di lor dire intendea.<br />
E per città fatto cammino han tanto,<br />
Che là giunti già sono, ove surgea<br />
Alto un tempio ch'entrambo insieme accoglie<br />
Entro le ricche sontuose soglie.<br />
40 d'un che nel vetusto tempo: Pitagora, che dette il nome alla filosofia<br />
e predicava il vegetarianesimo e la metempsicosi.<br />
43 Palischermo: Imbarcazione a remi al servizio di una nave<br />
maggiore.<br />
44 Catuàl: Governatore.<br />
45 Quel che alla torre un dì fer di Babelle: la diversità delle lingue<br />
non permette al popolo la comunicazione coi portoghesi.<br />
14 ottobre 2011 Anno XI
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47<br />
Sculte in tronco ed in pietra ivi le forme<br />
Stan degl'idoli loro, e differente<br />
Di ciascuno è l'aspetto e sì deforme,<br />
Qual figurolli di Satàn la mente:<br />
Lavoro orrendo, in varietà conforme<br />
Alla Chimera dell'antica gente.<br />
Stupiscono i Cristiani, ai quali usanza<br />
È Dio vedere in bella d'uom sembianza.<br />
50<br />
E già presso son giunti agli olezzanti<br />
Vaghi giardini, in mezzo a cui nascosi<br />
Son gli alberghi del re, non torreggianti,<br />
Ma pur nobili molto e sontuosi.<br />
Ché le lor regie ivi usano i regnanti<br />
In boschi edificar delizïosi:<br />
Di tal guisa il soggiorno hanno ad un punto<br />
Di villa insieme e di città congiunto.<br />
48<br />
L'uno la testa di due corna appunta,<br />
Qual Giove Ammone in Libia: un altro accoppia<br />
Una faccia ad un'altra in un congiunta,<br />
Giano imitando dalla fronte doppia.<br />
Gran numero di braccia a un altro spunta,<br />
Qual Briareo che braccia a braccia addoppia:<br />
Altro con ceffo appar di can, siccome<br />
Quel che in Menfi si cole, e Anubi ha nome.<br />
51<br />
Nel portical, che del palagio è chiostra,<br />
Con dedaleo lavor quant'arte puote,<br />
Storie v'ha figurate, in cui dimostra<br />
India l'alte sue origini remote:<br />
E sì bella vi fanno e viva mostra,<br />
Che ogni uomo, a cui sien quelle geste note,<br />
Tosto che a riguardar l'occhio v'affisa,<br />
I veri objetti ivi adombrati avvisa.<br />
49<br />
Qui superstizïoso in atto adora<br />
Suoi falsi numi il barbaro pagano;<br />
Poi diritto ne van, senza dimora,<br />
Di quella terra al regnator sovrano.<br />
Vie più il popolo ingrossa ad ora ad ora<br />
Di veder curioso il duce estrano:<br />
Donne, fanciulle, e vecchi, e pargoletti<br />
Affollano i balconi e gli alti tetti.<br />
52<br />
Grande esercito v'è, che d'Orïente<br />
Preme la terra dell'Idaspe in riva:<br />
La guida un duce in gioventù fiorente,<br />
Che frondiferi tirsi in man brandiva.<br />
Su le sponde del fiume ivi scorrente<br />
La fondata da lui Nisa appariva.<br />
Se qui Semele fosse (al vivo espresso<br />
Tant'è) direbbe: ecco, il mio figlio; è desso.<br />
52 La guida un duce: Bacco, figlio di Sèmele.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 661
| ( 9 ) |<br />
53<br />
V'è d'Assirii sì folto indi un guerriero<br />
Armento, che bevendo asciuga il fiume;<br />
Donna sovr'essi ha signoria d'imperio,<br />
Bella al par che lasciva in suo costume.<br />
Ha sculto al fianco un generoso e fiero<br />
Corsier, ch'ella col figlio a parte assume<br />
Nel suo cuor d'un affetto abominando.<br />
Oh brutta incontinenza! amor nefando!<br />
54<br />
In altro più lontano campo distinto<br />
Fa l'aura tremolar greche bandiere.<br />
La terza è questa monarchia che sointo<br />
Fino all'acque del Gange ha il suo potere,<br />
Guida giovane eroe, la fronte cinto<br />
D'inclita palma, le vittrici schiere:<br />
Né già più di Filippo essere ei vuole.<br />
Ma sì di Giove indubitata prole.<br />
55<br />
Mira Gama co' suoi quelle memorie,<br />
E il Catuàl tali a lui volge accenti:<br />
Tempo in breve verrà ch'altre vittorie<br />
Vinceran queste, in ch'ora hai gli occhi intenti;<br />
e nuove qui si scriveranno istorie<br />
Di nuove che verranno estrane genti;<br />
Giusta ciò che del ver disser presaghi,<br />
Esplorando il futuro, i nostri maghi.<br />
56<br />
E disse ancor la magica scïenza,<br />
Che tal destino ad evitar, d'umana<br />
Forza né d'arte varrà potenza;<br />
Ché contra il cielo umana possa è vana.<br />
Ma ben disse del par, che l'eccellenza<br />
In guerra e in pace di tal gente estrana<br />
Tanta fia, che nel mondo il vincitore<br />
Darà sol col suo nome ai vinti onore.<br />
57<br />
Sì tra lor favellando, entran que' dui<br />
Nella grand'aula, e gli altri appresso a loro.<br />
Là posa il re su tale un letto, a cui<br />
Nulla è par di materia e di lavoro.<br />
Signor beato e venerando in lui<br />
Mostra il contegno suo calmo e decoro.<br />
Aureo drappo lo cinge, e di gran pregio<br />
Un gemmato diadema al capo è fregio.<br />
58<br />
Presso un vecchio gli sta, che in reverente<br />
Atto, a terra il ginocchio, a quando a quando<br />
Una verde a lui dà foglia d'ardente<br />
Sapor, ch'egli, qual suol, vien ruminando.<br />
Un Braman, personaggio ivi eminente,<br />
Verso Gama ne va grave, e con blando<br />
Modo il presenta al gran prence, che ad esso<br />
Cenno fa di sedere ivi dappresso.<br />
59<br />
Siede egli accanto al sontuoso letto;<br />
Stanno i suoi più discosto. Intento avvista<br />
<strong>Il</strong> Samorino e gli abiti e l'aspetto<br />
Di quella gente a lui dappria non vista.<br />
Grave la voce trae dal saggio petto,<br />
Che grande a un tratto autorità gli acquista<br />
Appo quel sire e le sue tutte genti,<br />
<strong>Il</strong> Capitan, parlando in questi accenti:<br />
60<br />
Un magno re là in quelle parti, d'onde<br />
<strong>Il</strong> mobil ciel con sua perpetua volta<br />
Sotto la terra il solar lume asconde,<br />
Lasciando questa in buja notte avvolta;<br />
La fama udendo, che di là risponde,<br />
Come dell'India tutta in te raccolta<br />
La maestade e la possanza siede,<br />
Teco aver d'amistà vincolo chiede.<br />
53 Donna sovr'essi: la lussuriosa e incestuosa Semiramide.<br />
54 giovane eroe: la terza monarchia è quella di Alessandro Magno.<br />
58 una verde: la foglia di bètel.<br />
60 un magno re: Don Manuel.<br />
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| ( 10 ) |<br />
61<br />
E per lunghi viaggi a te mi manda,<br />
Perché conto ti sia, che quante avviene<br />
Che la terra ed il mar ricchezze spanda<br />
Di là dal Tago alle Niliache arene,<br />
Ed ancor dalla gelida Zelanda<br />
Fin dove il sole egual misura tiene<br />
Sempre ne' giorni, là sovra Etiopia,<br />
Tutto egli ha<br />
62<br />
Che se per lega di concorde pace<br />
Per sacro nodo d'amistà fra voi<br />
Mutuo commercio statuir ti piace<br />
Di che tu abondi, e de' produtti suoi;<br />
Agi e averi, che l'uoni con pertinace<br />
Travaglio cerca, a' suoi dominii e tuoi<br />
Cresceranno opulenza, e verrà certo<br />
A te gran giovamento, a lui gran merto.<br />
63<br />
E quando il signor mio con fermo patto<br />
Stringersi teco d'amistade ottenga,<br />
Ei verrà fido in tua difesa, e ratto<br />
Ad ogni guerra, che al tuo regno avvenga,<br />
Con genti, arme, e navigli; e mostra in atto<br />
Farà com'egli per fratel ti tenga.<br />
Or ti piacia, gran sire, a tal proposta<br />
Darmi del voler tuo certa risposta.<br />
64<br />
Sì l'ambasciata il Capitano espose;<br />
E il re, molto di gloria essergli objetto<br />
Veder di popol sì lontan (rispose)<br />
Venirne ambasciadori al suo cospetto.<br />
Ma il senno udir su le proposte cose<br />
Vuol del Consiglio suo, pria d'ogni effetto,<br />
E ben chiarir qual sia quel sire, e quella<br />
Nazione e contrada, ond'ei favella.<br />
65<br />
E che tempo però d'ir gli rimane<br />
Al riposo, ond'ha d'uopo; e apparecchiata<br />
Da portarne al suo re per la dimane<br />
Gli sarà la risposta amica e grata.<br />
E già la notte alle fatiche umane<br />
Fine ponea con la quiete usata,<br />
In che gli occhi a' mortali occupa un dolce<br />
Ozio, e le lasse membra il sonno molce.<br />
66<br />
Allor Gama e i seguaci entro le soglie<br />
Del suo nobil palagio il reggitore<br />
Cortesemente festeggiando accoglie,<br />
E rende a tutti officioso onore.<br />
Ma sollecito in sé carco si toglie,<br />
Obedendo al voler del suo signore,<br />
Di tal gente indagar, d'onde venia,<br />
Patria, costumi e il culto lor qual sia.<br />
67<br />
Appena in ciel l'ignea quadriga ei vede<br />
Di quel giovine iddio che il dì rinova,<br />
Fa Monzaide chiamar; che brama e crede<br />
Trar di tutto da lui verace nuova.<br />
E curioso scrutator gli chiede,<br />
Se tien piena contezza e certa prova<br />
Que' stranieri chi son; ché il lor paese<br />
Giacer vicino alla sua patria intese.<br />
68<br />
E il domandò che un più distinto d'essi<br />
Conto gli dia, poi che servigio il sire<br />
N'avrà non lieve, e apprenderà qual dèssi<br />
Via di governo in tanto affar seguire.<br />
E Monzaide a rincontro: <strong>Il</strong> pur volessi,<br />
Io di quel ch'or dirò, più non so dire.<br />
So che di Spagna ei son, delle contrade<br />
Al mio nido vicine, ove il Sol cade.<br />
67 quel giovine iddio: Apollo, cioè il Sole.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 661
| ( 11 ) |<br />
69<br />
Han la fé d'un profeta, il qual concetto<br />
Fu senza macchia della vergin madre;<br />
Tal che del soffio esser si crede effetto<br />
D'Iddio, rettor dell'universo e padre:<br />
Ed antico è fra noi publico detto,<br />
Che di fiero valore in fra le squadre<br />
Splende il lor braccio, e memorandi esempi<br />
N'ebbero i nostri ne' passati tempi.<br />
70<br />
Perocché, con tremende opre famose<br />
Di bellica virtude oltre l'umana,<br />
Li cacciar delle ricche ed ubertose<br />
Terre cui Tago irriga e Guadiana.<br />
E non contenti ancor, le tempestose<br />
Solcan onde, varcando all'Africana<br />
Costa, e grave ne dan briga e paura,<br />
Togliendone cittadi e forti mura.<br />
71<br />
E non men di possanza e di guerriera<br />
Arte han mostro poi sempre in tutte imprese,<br />
O battagliando con la gente Ibera,<br />
O con qual'altra da Pirene scese.<br />
Né che in somma giammai lancia straniera<br />
Vittoria avesse sovra lor, s'intese;<br />
Né fu mai (ciò t'affermo e ti suggello)<br />
Contro Annibali tali alcun Marcello.<br />
72<br />
Che se nel mio narrar non tutto acchiuso<br />
Trovi ciò che saper da te s'attende,<br />
Chiedine lor; ché verità per uso<br />
Seguono, e in tutto falsità gli offende.<br />
Va' lor navi a veder, l'armi, e quel fuso<br />
Cavo metallo che tutto scoscende.<br />
Godrai certo in mirar qual disciplina<br />
Ogni lor modo in pace e in guerra affina.<br />
73<br />
Arde già l'idolatra in gran desire<br />
Di veder ciò che il Moro a lui racconta.<br />
Ir vuol di Gama ai legni, onde allestire<br />
Fa palischermi, e su con lui vi monta.<br />
Salpano, e il mar de' schifi lor coprire<br />
Vedi la Náira gente a seguir pronta.<br />
Salgon la Capitana, e sovra quella<br />
Lor fa Paolo accoglienza onesta e bella.<br />
74<br />
Son purpuree le tende; e le bandiere<br />
Del fil, cui tragge il filugel, tessute,<br />
Pinte portan le belle opre guerriere<br />
Dal braccio loro in ogni età compiute.<br />
V'ha battaglie campali e avventuriere;<br />
Disfide v'ha di marzïal virtute.<br />
Fiere pitture; e pien di meraviglia,<br />
Fisse in quelle il pagan pasce le ciglia.<br />
75<br />
E già domanda ei ne movea; ma Gama<br />
Pria lo invita che quivi a mensa seggia,<br />
E vi gusti il piacer che cotant'ama<br />
La d'Epicuro settatrice greggia.<br />
Entro a' nappi il licor, che, come è fama,<br />
Mostrò al mondo Noè, fuma e spumeggia;<br />
Ma cosa alcuna il Catuàl non prende,<br />
Quando la legge sua glielo difende.<br />
76<br />
La tromba, che di guerra imagin desta,<br />
L'aere spezza col stridente suono:<br />
<strong>Il</strong> cavo bronzo, opra infernal, funesta,<br />
Fin nel fondo de' mari udir fa il tuono.<br />
Tutto nota il pagan; ma in quelle gesta<br />
Sempre volti i suoi sguardi e intenti sono,<br />
Che in breve spazio e in bei colori vive<br />
Quivi la muta poesia descrive.<br />
71 da Pirene scese: dai Pirenei. Alcun Marcello: Marco Claudio<br />
Marcello, che riuscì a sconfiggere Annibale.<br />
14 ottobre 2011 Anno XI
| ( 12 ) |<br />
77<br />
Sorge, e Gama con esso al destro fianco,<br />
Ed all'altro Coeglio; e l'Indïano<br />
Mira, in nobile aspetto, ed il crin bianco,<br />
Quivi ritratto un capitan sovrano,<br />
Lo cui nome giammai non verrà manco,<br />
Ma durerà quanto il mondo lontano.<br />
Veste ha de' Greci alla perfetta usanza,<br />
E verga in mano di regal possanza.<br />
78<br />
Ha verga in man ... Ma oh temerario e stolto<br />
Io che senza di voi correr m'attento,<br />
Del Tago o Ninfe, e del Mondego, il molto<br />
Di sì lungo cammino arduo cimento!<br />
Invoco or voi, ché il fragil legno ho sciolto<br />
Per alto mar con sì contrario vento,<br />
Che dal vostro favor se non è scorto,<br />
Temo nell'onde andrà fra breve assorto.<br />
79<br />
Mentre che il vostro Tago e i cari figli<br />
Vo di Luso cantando or già tant'anni,<br />
Mirate come a dolorosi esigli<br />
Me fortuna ognor tragge e a nuovi danni;<br />
E or del mar le tempeste ed i perigli,<br />
Or sostengo di Marte i duri affanni,<br />
Qual Canace a morir presso, impugnando<br />
La penna in una, in altra mano il brando.<br />
80<br />
Or pane e asilo a domandar dannato<br />
Dall'aborrita povertade umíle;<br />
Or da concette alte speranze a stato<br />
Ruinar più che mai misero e vile;<br />
Or la vita campar da estremo fato,<br />
La vita che pendea da sì sottile<br />
Filo, che non campò da morte cruda<br />
Per miracol maggiore il re di Giuda.<br />
81<br />
Né bastò, care Ninfe, alla mia prava<br />
Sorte, in tante miserie traboccarmi,<br />
Che que' medesmi ch'io cantando andava,<br />
Così trista mercè diero a' miei carmi;<br />
Ed invece del lauro, ond'io sperava<br />
In orrevol riposo inghirlandarmi,<br />
Inventarmi per me travagli e guai<br />
Mai non trovati e non usati mai.<br />
82<br />
Vedete, o Ninfe, i generosi e degni<br />
Signori, ond'è fastoso il vostro fiume,<br />
Come pregiar, quai di favor dar pegni<br />
Sanno al cantor, che d'esaltarli assume!<br />
Quale a' futuri de' lor dotti ingegni<br />
Esempio e impulso a esercitar l'acume,<br />
E fatti celebrar, ch'eterna gloria<br />
Merteran di poema o pur d'istoria!<br />
83<br />
Ma se la sorte è sì nemica a noi,<br />
Deh non ne sia la vostra aíta incerta,<br />
Or vie più ch'alte geste e magni eroi<br />
Ho a cantar con solenne arte diserta!<br />
Deh m'assistete! ed io qui giuro a voi<br />
Non più corda toccar, per chi nol merta;<br />
E se laude mendace a' grandi io dono,<br />
Grato non sia più de' miei carmi il suono.<br />
84<br />
Né credete che porre io voglia in fama<br />
Uom che al publico bene e del suo sire<br />
L'util proprio antepone, e a Dio non ama<br />
Né docile a civil legge obedire.<br />
Né canterò chi ambizïoso brama<br />
A grandi officii, a gradi alti salire,<br />
Sol per poter con ministero osceno<br />
Scioglier più largo a tutti vizii il freno.<br />
79 Qual Canace: Canace, figlia d'Eolo, che, costretta dal padre,<br />
si suicidò impugnando con la destra il calamo e con la sinistra il<br />
ferro.<br />
80 il re di Giuda: Ezechiele.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 661
| ( 13 ) |<br />
85<br />
Né l'uom che di sua possa usa a far pago<br />
Suo rio talento, o per piaggiar lo stolto<br />
Volgo, ora in una ed ora in altra imago,<br />
Nuovo Proteo, trasmuta il proprio volto.<br />
Né ch'io canti fia mai, dive del Tago,<br />
Uom che di onesto e grave manto avvolto,<br />
Per far grati al suo re suoi nuovi offici<br />
Ruba e dispoglia i popoli infelici.<br />
86<br />
Né colui che dover, che giusto pone<br />
Del re i dritti servar severamente,<br />
E non giusto e dover, che guiderdono<br />
Abbia il sudor della soggetta gente.<br />
Né colui che un'astuta e vil ragione<br />
Sempre va maciullando entro la mente,<br />
Per tassar con rapace, a pro di lui,<br />
Avara mano le fatiche altrui.<br />
87<br />
Quelli io sol canterò, che a Dio, che al loro<br />
Sire han sacro la vita; e se perduta<br />
L'han poi, risorta ad immortal decoro,<br />
Fama la spande a' merti lor dovuta.<br />
Apollo e l'alme Muse al mio lavoro<br />
La lena addoppieran già conceduta,<br />
Poi che alquanto posato il petto stanco,<br />
Tornerò l'opra a ripigliar più franco.<br />
FINE DEL SETTIMO CANTO.<br />
14 ottobre 2011 Anno XI
| ( 14 ) |<br />
a Camões.<br />
DI FRANCESCO PAPPALARDO<br />
Quando Louís Vaz de Camões nasce, fra<br />
il 1517 e il 1525, probabilmente a Lisbona o<br />
a Coimbra, il Regno del Portogallo non è<br />
più soltanto la terrazza d’Europa sull’Oceano<br />
Atlantico, ma è diventato la base di un<br />
impero in rapida espansione. Dopo il viaggio<br />
di Bartolomeo Diaz, che nel 1488 doppia<br />
il Capo di Buona Speranza ed entra nell’Oceano<br />
Indiano, avevano avuto luogo<br />
l’impresa di Vasco de Gama, che nel 1498<br />
navigava fino in India, unendo Lisbona a<br />
Calcutta, e lo sbarco di Pedro Alvares Cabral<br />
sulla Terra de Vera Cruz, l’odierno<br />
Brasile, nel 1500. Quando, nel 1519, Ferdinando<br />
Magellano, un marinaio lusitano al<br />
servizio della Corona spagnola, intraprendeva<br />
la prima circumnavigazione del globo,<br />
i vascelli portoghesi erano alle soglie dell’Oceania:<br />
l’arrivo di Jorge de Meneses in<br />
Nuova Guinea, agli estremi confini del<br />
mondo, nel 1526, e lo sbarco in Cina e in<br />
Giappone nei decenni successivi, sono le<br />
tappe ulteriori dell’eroica impresa del Portogallo,<br />
che, secondo Papa beato Giovanni<br />
Paolo II, «tracciò con la sua scienza nautica e<br />
l’“audacia cristiana”, nuove rotte oceaniche<br />
fino ai confini della terra, entrando così per<br />
sempre nella storia della civiltà».<br />
In circa cinquant’anni i portoghesi avevano<br />
esteso il loro dominio, più commerciale<br />
che militare, su un’area infinitamente più<br />
vasta di quella di partenza, definita inizialmente,<br />
nel 1143, con il trattato di Zamora<br />
che riconosceva l’indipendenza del Portogallo,<br />
oggi uno dei più antichi Stati del continente,<br />
e poi — ma era occorso più di un<br />
secolo — dal completamento della riconquista<br />
dell’area occidentale della penisola<br />
iberica: nel 1249 Alfonso III di Borgogna,<br />
raggiunti i confini portoghesi attuali, aveva<br />
assunto il titolo di «re del Portogallo e degli<br />
Algarve al di qua e al di là del mare», così<br />
manifestando la vocazione oceanica del regno.<br />
Proseguendo idealmente la Reconquista,<br />
nel secolo XIV i portoghesi avevano dato<br />
inizio alla loro espansione oltremare, stimolati<br />
da molteplici fattori, fra cui la collocazione<br />
geografica, la tradizione marinara, il<br />
desiderio di controllare il commercio delle<br />
spezie, l’aspirazione a trovare un alleato cristiano<br />
in Africa per organizzare una crociata<br />
contro l’islam e la volontà di diffondere il<br />
Vangelo nel mondo. L’epica impresa del<br />
Portogallo reca il sigillo di un grande spirito<br />
organizzatore e trascinatore, l’infante<br />
Enrico il Navigatore — quarto figlio di re<br />
Giovanni I, fondatore della Casa di Avis —,<br />
che aveva dato fin dalla giovane età un contributo<br />
importante alla Reconquista e alla<br />
diffusione dell’idea di crociata in Occidente.<br />
Grazie al suo impegno «cominciano i molteplici<br />
assalti contro i musulmani del Marocco,<br />
poi contro il mare. Quasi ogni anno le caravelle<br />
dell’Infante comandate dai suoi signori cavad<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 661
| ( 15 ) |<br />
lieri — secondo la felice definizione del medievista<br />
Jacques Heers — partono per il Sud<br />
lontano, bordeggiando faticosamente al largo<br />
delle coste marocchine, lottando contro le correnti<br />
avverse».<br />
Dietro i navigatori arrivano i missionari,<br />
altrettanto audaci: il gesuita spagnolo san<br />
Francesco Saverio, inviato da re Giovanni<br />
III a evangelizzare l’Estremo Oriente; Luís<br />
de Almeida (1525-1583), missionario in Cina;<br />
Luís Fróis (1532-1597), primo storico<br />
occidentale del Giappone; Antonio Andrade<br />
(1580-1634), che nel 1624 giungerà in Tibet,<br />
primo europeo, «nuotando nella neve»,<br />
come scrive in un rapporto ai suoi superiori,<br />
e tanti altri. Grazie a costoro e grazie all’impresa<br />
di Afonso de Albuquerque (1453-<br />
1515), primo viceré dell’India, che pone le<br />
basi dell’impero commerciale lusitano e di<br />
una politica d’integrazione fondata su incroci<br />
razziali, l’impronta culturale lasciata<br />
dai portoghesi in quelle aree durante centocinquant’anni<br />
sarà molto più marcata di<br />
quella del successivo secolo e mezzo di governo<br />
olandese.<br />
È più che mai giustificata, allora, l’ammirazione<br />
manifestata da Luis de Camões<br />
nei versi de I Lusiadi, il poema con cui celebra<br />
appunto le gesta del suo popolo:<br />
Voi Portoghesi, pochi quanto forti<br />
che il debole poter non soppesate<br />
e a costo delle stesse vostre morti<br />
del tempo eterno i limiti allargate;<br />
assegnate così dal Ciel le sorti<br />
sono, che Voi, per quanto pochi siate<br />
per la Cristianità molto farete:<br />
esalta Cristo l’umiltà che avete 1 .<br />
Erede e interprete di una storia plurisecolare,<br />
egli diventa il più celebre poeta della<br />
letteratura portoghese, massimo rappresentante<br />
del rinascimento lusitano, autore di<br />
moltissime liriche e di alcuni drammi ma<br />
universalmente noto come autore del poema<br />
epico I Lusiadi, in cui canta la gloria dei figli<br />
del mitico progenitore Luso, cioè il popolo<br />
portoghese, attingendo però a valori<br />
universali.<br />
Dato alle stampe a Lisbona nel 1572, tre<br />
anni dopo il ritorno dell'autore dall’Oriente,<br />
l’opera è composta da dieci canti e 1102<br />
strofe, le ottave endecasillabiche, dette anche<br />
ottave ariostesche. Incentrata sul viaggio<br />
di Vasco de Gama — «l’armi e i guerrieri<br />
insigni che attraverso mari sino allora mai<br />
percorsi/ edificarono fra popoli remoti un nuovo<br />
regno» —, descrive anche altri episodi<br />
della storia del Portogallo, cantando «le imprese<br />
gloriose dei sovrani che andaron dilatando<br />
la fede e il regno/ e devastando le terre infedeli<br />
d’Africa e d’Asia». Una storia non alla<br />
moda, politicamente scorretta, che invoca la<br />
crociata contro i mori, ma indispensabile<br />
per capire le radici dell’Europa in cui viviamo.<br />
FRANCESCO PAPPALARDO<br />
1 VII, 3 nella traduzione dell'Averini. Cfr. pag.2. (NDR)<br />
14 ottobre 2011 Anno XI
| ( 16 ) |<br />
a La bandiera portoghese.<br />
a La vera gloria.<br />
Rotti i Mauri e fugati, il vincitore<br />
Le ricche e belle raccogliendo venne<br />
Spoglie compre col sangue e col valore,<br />
E il re nel campo anco tre dì si tenne:<br />
E nel bianco suo scudo a proprio onore,<br />
E di tal fatto a testimon solenne,<br />
Cinque scudi in sereno azzurro pinse,<br />
Segno e trofeo de' cinque re ch'ei vinse.<br />
III, 53-54.<br />
E in que' scudi a color vario dipinti<br />
Ha i trenta nummi, onde fu Dio venduto,<br />
Dell'alta aita, ond'ei que' regi ha vinti,<br />
Grato rendendo al suo Signor tributo.<br />
Fan gli scudi una croce, e ognun distinti<br />
Ha cinque nummi, e il novero compiuto<br />
Fia se conti due volte i nummi dentro<br />
Di quello scudo che alla croce è centro.<br />
Bandiera (militare) del Portogallo.<br />
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />
I colori della bandiera portoghese sono il verde per un terzo e<br />
il rosso per due terzi. […] Al centro della bandiera si colloca<br />
una sfera armillare [v. la macchina del mondo in Lusiadas X,<br />
76-143], simbolo del mondo scoperto dai navigatori portoghesi<br />
nel XV e XVI secolo. Sulla sfera posa uno scudo con sette castelli,<br />
simbolo delle fortificazioni conquistate da D. Afonso<br />
Henriques, e cinque scudetti che rappresentano i cinque re mori<br />
sconfitti da D. Afonso Henriques nella battaglia di Ourique<br />
(1139). I cinque puntini all'interno degli scudetti rappresentano<br />
le cinque piaghe di Cristo. Si narra, infatti, che durante la battaglia<br />
di Ourique, Gesù crocifisso apparve al re D. Afonso<br />
Henriques e disse: «Con questo segno vincerai!». Sommando i<br />
puntini in croce si contano due volte quelli dello scudetto centrale,<br />
giungendo alla somma di 30, simbolo dei 30 denari che<br />
ebbe Giuda per aver tradito Gesù.<br />
(Modificato da: www.lusomondo-italia.it)<br />
VI, 95-99.<br />
Sol per mezzo a sì dure aspre fatiche,<br />
A travagli, a perigli, ed a terrori<br />
Giungon le genti della fama amiche<br />
A gradi eccelsi, ad immortali onori;<br />
Non sempre ai tronchi delle piante antiche<br />
S'appoggiando de' chiari antecessori;<br />
Non in letti dorati, avvolti in fini<br />
Velli di moscoviti zibellini.<br />
Non con nuovi a gustar cibi esquisiti,<br />
Non co' molli passeggi ed oziosi,<br />
Non co' dolci diletti ed infiniti,<br />
Ch'effeminan pur anco i generosi;<br />
Non co' varii non mai vinti appetiti,<br />
Cui fortuna ognor crea sì leziosi,<br />
Che non soffron che passo altri pur muova<br />
Per alcuna d'onor nobile prova:<br />
Ma sol col braccio suo, con le sue geste<br />
L'uom merca onori, che ben suoi poi noma.<br />
Uom che lutta del mar con le tempeste,<br />
Che suda d'aspro acciar sotto la soma;<br />
Vince i ghiacci, onde al polo il suol si veste;<br />
In brulle regioni al Sol si doma;<br />
E di cibo talor fetido e putre,<br />
Dal suo condito arduo soffrir, si nutre.<br />
Né al suo volto cangiar lascia colore,<br />
Ma franco e lieto ad apparir l'avvezza,<br />
Se ignito globo con feral fragore<br />
Braccio o stinco al compagno incoglie e spezza<br />
Così si forma orrevol callo il cuore<br />
Disprezzator d'onori e di ricchezza;<br />
Di ricchezza e d'onor' cui dà la sorte.<br />
Non virtù giusta ed operosa e forte.<br />
Così l'alma si fa pura e gentile,<br />
E sperienza i moti suoi corregge;<br />
E l'uom mira dall'alto al basso il vile<br />
Affacendarsi dell'umano gregge;<br />
E, ovunque impone al vivere civile<br />
Imparzial giustizia ordine e legge,<br />
Ei, qual dee, poggerà, pur nol cercando,<br />
A gradi illustri ed a sovran commando.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 661
| ( 17 ) |<br />
a Sulle immagini.<br />
VII, 47, VII, 51.<br />
Sculte in tronco ed in pietra ivi le forme<br />
Stan degl'idoli loro, e differente<br />
Di ciascuno è l'aspetto e sì deforme,<br />
Qual figurolli di Satàn la mente:<br />
Lavoro orrendo, in varietà conforme<br />
Alla Chimera dell'antica gente.<br />
Stupiscono i Cristiani, ai quali usanza<br />
È Dio vedere in bella d'uom sembianza.<br />
Ali estão das deidades as figuras<br />
Esculpidas em pau e em pedra fria;<br />
Vários de gestos, vários de pinturas,<br />
A segundo o Demônio lhe fingia:<br />
Vêem-se as abomináveis esculturas,<br />
Qual a Quimera em membros se varia:<br />
Os Cristãos olhos, a ver Deus usados<br />
Em forma humana, estão maravilhados.<br />
Peter Paul Rubens, Resurrezione, 1616.<br />
Nel portical, che del palagio è chiostra,<br />
Con dedaleo lavor quant'arte puote,<br />
Storie v'ha figurate, in cui dimostra<br />
India l'alte sue origini remote:<br />
E sì bella vi fanno e viva mostra,<br />
Che ogni uomo, a cui sien quelle geste note,<br />
Tosto che a riguardar l'occhio v'affisa,<br />
I veri objetti ivi adombrati avvisa.<br />
Pelos portais da cerca a sutileza<br />
Se enxerga da Dedálea facultade,<br />
Em figuras mostrando, por nobreza,<br />
Da Índia a mais remota antigüidade.<br />
Afiguradas vão com tal viveza<br />
As histórias daquela antiga idade,<br />
Que quem delas tiver notícia inteira,<br />
Pela sombra conhece a verdadeira.<br />
Marten de Vos, Le Nozze di Cana, 1596-97.<br />
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />
Si incontrano con i temi della nostra battaglia per il<br />
ritorno alla bellezza e contro il sistema della<br />
cosiddetta arte contemporanea, questi versi che<br />
illustrano forma e funzione dell'arte cristiana.<br />
14 ottobre 2011 Anno XI
| ( 18 ) |<br />
a Una raccolta di emblemi morali.<br />
DI AURELIO RONCAGLIA<br />
a <strong>Il</strong> ricordo del naufragio.<br />
X, 127-128.<br />
Ve' passar per Camboja il Mecon fiume,<br />
<strong>Il</strong> qual dell'aque capitano è detto,<br />
Poi che tanto di varie aque volume<br />
Nella estate riceve entro il suo letto,<br />
Che soperchia le sponde, ed ha costume<br />
D'allagar, come il Nilo, il pian suggetto.<br />
Quivi crede la gente avere in sorte<br />
Pena o gloria ogni bruto oltre la morte.<br />
Questo il fiume sarà, che nel suo blando<br />
Seno que' carmi accoglierà, che a stento<br />
Da orribile naufragio e miserando,<br />
E da sirti e da scogli a salvamento<br />
Verranno allor che dall'ingiusto bando,<br />
Onde fu oppresso, tornerà redento<br />
Quel cantor, la cui lira armoniosa<br />
Più assai chiara sarà che avventurosa.<br />
Fonte: I “Lusiadi" di Camões nel quarto centenario, Roma,<br />
Accademia Nazionale dei Lincei, 1975, pp. 11-14. Citato in<br />
I Lusiadi, a cura di Giuseppe Mazzocchi, BUR Rizzoli,<br />
Milano, 1972.<br />
Tuttavia — ed è questa l'intuizione decisiva<br />
che conferisce al poema camoniano una<br />
forza d'impressività non conseguita dalle<br />
precedenti soluzioni — di fronte alla storia,<br />
la sua arte non si lascia ridurre all'ufficio<br />
marginale d'un pittoricismo meramente<br />
esornativo. Ben altro: all'unisono con la più<br />
consapevole pittura del nostro Rinascimento,<br />
essa si attribuisce un compito dimostrativo<br />
ed etico: additare la nobreza dell'uomo e<br />
destarne così coscienza e gusto in altri uomini.<br />
Pittura sì, ma nel senso più pieno: pittura<br />
moralmente intenzionata.<br />
E m b l e m a t a Vo l s i n n i g h e u y t b e e l s e l s<br />
b y G a b r i e l e m R o l l e n h a g i u s .<br />
Door Zacharias Heyns.<br />
By Ian Ian s z en,<br />
A r n h e m<br />
1615<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 661
| ( 19 ) |<br />
I Lusiadi vogliono essere un poema umanistico<br />
De dignitate hominis, e il loro affisare<br />
la storia em figuras — procedimento formale<br />
che tende a fissare presenze ideali e<br />
momenti assoluti, sottratti al flusso delle<br />
contingenze e consegnati a perenne durata<br />
— è consapevole assunzione della forma<br />
che il neoplatonismo rinascimentale proponeva<br />
come più idonea ed efficace a questo<br />
scopo. Non tanto si tratta d'una personale<br />
disposizione della sensibilità, quanto d'una<br />
lucida adesione a premesse culturali, addirittura<br />
filosofiche, da cui lo spirito del tempo<br />
era largamente permeato.<br />
Di fatto — anche se ovviamente, non per<br />
ogni sua manifestazione possa riscontrarsi<br />
una coscienza dei presupposti culturali così<br />
esplicita e chiara come in Camões — il naturale<br />
desiderio di dare forma figurativa alle<br />
memorie storiche, per circondarne prestigiosamente<br />
la vita ufficiale ed esaltare gli<br />
spiriti nella loro contemplazione, era sentito<br />
con intensità particolarissima dalla fastosa<br />
civiltà cinquecentesca. Torna qui pertinente<br />
ricordare le istruzioni dettate dal re<br />
Emanuele I per una serie d'arazzi illustrativi<br />
delle scoperte e conquiste portoghesi in<br />
Oriente. [...] È proprio questo stesso gusto<br />
di selezione e composizione iconografica<br />
che ritroviamo nei Lusiadi. Nei portali del<br />
palazzo di Calicut, nelle bandiere della nave<br />
ammiraglia portoghese, la reminiscenza virgiliana<br />
ci appare ora come sigillo di legittimazione<br />
letteraria su un procedimento di visualizzazione<br />
emblematica della storia, che<br />
all'esterno del testo trova riscontri immediati<br />
nella realtà del costume contemporaneo.<br />
L'adozione di tale procedimento non rimane<br />
artificio localizzato, ma si generalizza<br />
come abito dell'immaginazione. La concezione<br />
e la tecnica costruttiva dei Lusiadi si<br />
conformano intenzionalmente allo spirito e<br />
ai modi della contemporanea arte figurativa,<br />
non solo nelle quattro ottave dedicate<br />
alle porte di Calicut e nella dieci volte più<br />
lunga illustrazione delle bandiere navali, ma<br />
— possiamo ben dire — in tutto il poema.<br />
È così che il critico può riconoscere a quegli<br />
episodi una rivelatrice portata simbolica e<br />
trarre da essi una chiave di lettura storicamente<br />
motivata e strutturalmente valida per<br />
tutto il testo. Dall'organizzazione generale<br />
ai più minuti particolari, non solo le qualità<br />
positive, ma anche i limiti della creazione<br />
camoniana trovano una spiegazione coerente<br />
e una giustificazione appropriata alla luce<br />
di questo principio interpretativo. […]<br />
Così, tutt'altro che unitaria risulta la trama.<br />
<strong>Il</strong> filo che segue le vicende del viaggio<br />
di Vasco da Gama si torce nelle inversioni<br />
dell'ordo artificialis con l'esordio in medias<br />
res alla maniera dell'Eneide e dell'Odissea; si<br />
spezza sull'asse temporale, dove il passato<br />
dell'evocazione e il futuro della profezia<br />
s'alternano all'imperfetto della narrazione e<br />
al presente delle considerazioni introdotte<br />
14 ottobre 2011 Anno XI
| ( 20 ) |<br />
di volta in volta dal poeta; si complica nel<br />
continuo sovrapporsi di riscontri classici ai<br />
fatti portoghesi; si sdoppia tra il piano della<br />
storia e una parallela dimensione mitica;<br />
s'annoda a ogni nome come a un nucleo<br />
evocativo autonomo; si sfrangia in culte perifrasi;<br />
s'assottiglia in sbrigativi trapassi; sicché<br />
la vera sostanza del poema, piuttosto<br />
che da tale trama, appare costituita da una<br />
serie d'immagini e scene giustapposte, ciascuna<br />
delle quali ha una propria consistenza<br />
spaziale di retrato breve. Di qui l'impressione<br />
di discontinuità, che troviamo riassunta<br />
nel giudizio di Voltaire [...].<br />
<strong>Il</strong> fatto è che l'evidenza visivo-emblematica<br />
delle figure — si vorrebbe dire delle<br />
bandeiras pintadas — importa nei Lusiadi<br />
assai più della liaison narrativa. Fermare in<br />
ritratti celebrativi la sostanza ideale di personaggi<br />
e situazioni, esaltandone i valori assoluti,<br />
o inseguire con aderente continuità il<br />
flusso della cangiante complessità fenomenica,<br />
armonizzandone i ritmi vitali, sono<br />
operazioni di segno opposto. Camões ha fatto<br />
la sua scelta e, insieme con i fondamenti<br />
ideologici, dovremo anche riconoscerne la<br />
funzionalità estetica: giacché, dopo avere<br />
eletto a proprio soggetto la verità della storia<br />
contro la libertà della fantasia, in quale<br />
altro modo avrebb'egli potuto superare il rischio<br />
della cronaca versificata Come con la<br />
materia, così con la struttura del suo poema<br />
egli si colloca, consapevolmente, agli antipodi<br />
del Furioso. Sotto il rispetto strutturale,<br />
i Lusiadi si possono piuttosto avvicinare<br />
(e cito di proposito opere tra loro assai diverse,<br />
per sottolineare la genericità del comun<br />
denominatore) ai Fasti d'Ovidio, al<br />
Trionfi di Petrarca, agli Emblemata dell'Alciati;<br />
o magari, guardando più avanti, alle<br />
gallerie e alle «peintures morales» della letteratura<br />
secentesca.<br />
Sulla stessa linea si può rispondere a<br />
quanti rimproverano a Camões, soprattutto<br />
paragonandolo al Tasso, il modo sommario<br />
di trattare la psicologia dei personaggi. Qui<br />
ancora, so. no operazioni opposte approfondire<br />
l'analisi dei caratteri individuali nella<br />
loro inesauribile varietà e complessità psicologica,<br />
o puntare alla sintesi di valori universali<br />
in modelli tipi. ci d'umanità; e anche<br />
qui Camões ha compiuto una scelta coerente<br />
con le premesse della sua cultura e con gli<br />
scopi della sua poesia. Egli tende a non<br />
complicare, bensì a semplificare i personaggi;<br />
rinuncia a scavare nelle ombre segrete<br />
della loro psicologia, perché vuole innalzarne<br />
in piena luce agli occhi di tutti la perfezione<br />
esemplare; nella loro presentazione<br />
— ch'è anzitutto rappresentazione visiva,<br />
ma d'una visività più intellettuale che sensibile<br />
— non cerca il reale caratteristico, ma<br />
il vero ideale.<br />
AURELIO RONCAGLIA<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 661
A<br />
B<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
N°662<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
18 OTTOBRE 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
a Questo numero.<br />
Giusta la sentenza di Hegel, “La nottola di Minerva<br />
inizia il suo volo sul far del crepuscolo”, il <strong>Covile</strong><br />
prende normalmente un certo tempo, cerca una<br />
qualche distanza dai fatti, prima di iniziare le sue riflessioni.<br />
Ma di tanto in tanto, quando le circostanze<br />
lo richiedono, non si sottrae ad intervenire in tempo<br />
reale, come oggi suol dirsi. Ecco quindi in questo<br />
numero notizie fresche da Parigi e soprattutto il Manifesto-Lettera<br />
aperta, di importanza a nostro avviso<br />
più che rilevante, che quattro intellettuali di area<br />
marxista i cui nomi tanto hanno significato nella storia<br />
recente dell'alta cultura italiana, hanno stilato rivolgendosi<br />
in primo luogo, ma non solo, ai dirigenti<br />
del Pd. Una citazione di Czeslaw Milosz che spesso<br />
riprendiamo continua a dare conto del perché per la<br />
sinistra che Marx lo ha letto davvero (quindi inevitabilmente<br />
più che minoritaria) certi cammini siano in<br />
qualche modo un destino. N<br />
INDICE<br />
1 Gabriella Rouf. Onda d'urto. Notizie incoraggianti<br />
da Parigi.<br />
2 Gabriella Rouf. Vale il viaggio. Biéler a Berna.<br />
4 Pietro Barcellona, Paolo Sorbi, Mario Tronti, Giuseppe<br />
Vacca. LETTERA APERTA.<br />
7 Pietro De Marco. Invito alla lettura. I tradizionalisti<br />
e la “bella addormentata”.<br />
a Onda d'urto.<br />
Notizie incoraggianti da Parigi.<br />
DI GABRIELLA ROUF<br />
Ci scrive Aude de Kerros da Parigi che all’intervento<br />
di Jean Clair all’Associazione<br />
francese degli psicanalisti, che riproponeva le<br />
tematiche della relazione al Cortile dei Gentili<br />
1 ,<br />
«è seguito anche questa volta un gran silenzio.<br />
Ma curiosamente non ostile, solo che non avevano<br />
risposte. L’onda d’urto (piuttosto positiva)<br />
fa il giro di Parigi, in questi giorni. Ma non<br />
una parola sui media… C’è sempre un momento<br />
nella storia in cui tutto quello che è vivo e<br />
attivo non si vede, ma circola sotto terra. Mi fa<br />
pensare al fuoco di torbiera. <strong>Il</strong> fuoco sotterraneo<br />
divampa improvvisamente nel luogo piu’<br />
inatteso con una fiamma evidente. Abbiamo visto<br />
la caduta del muro di Berlino, e ne vedremo<br />
altre ancora! Di fronte all’uno e all’altro intervento<br />
di Jean Clair dedicati al tema della<br />
bellezza, lo stesso silenzio... il primo ostile,<br />
l’altro no [...]»<br />
In realtà la riflessione di Jean Clair trascende<br />
la squallida fenomenologia del sistema<br />
AC e delle sue star 2 per interpellare uno scenario<br />
più ampio e ben più inquietante:<br />
«Già nel II secolo,» ci ricorda il grande studioso<br />
francese «Tertulliano scriveva: Os humani,<br />
id est divina imago, per opporre la dignità del<br />
volto umano all’indegnità degli spettacoli che<br />
sfigurano i suoi tratti: il circo e la sua frenesia,<br />
1 Vedi <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> n.642, “Culto dell’avanguardia e cultura di morte”<br />
di Jean Clair. Di Jean Clair è uscito in Italia L’inverno della<br />
cultura, edizioni Skira, su cui abbiamo riferito nel n.653.<br />
2 Nel frattempo il furbo Pinault/Barnum sbarca un campionario<br />
dei suoi orrori a Seul. Ma anche Firenze ha qualcosa in prestito,<br />
nel nuovo Museo Gucci.<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />
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<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />
minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />
cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />
Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
il teatro e le sue oscenità, lo stadio e la sua vanità,<br />
l’anfiteatro e la sua ferocia.. Egli descriveva<br />
la decomposizione dell’impero romano,<br />
mettendo sotto accusa aspetti che sono diventati,<br />
o ridiventati, da venti o trent’anni, la nostra<br />
pastura quotidiana, al cinema, alla televisione,<br />
negli incontri di calcio o di boxe, nelle gallerie<br />
d’arte d’avanguardia, e anche ormai nelle chiese,<br />
segno evidente della decomposizione strisciante<br />
della nostra epoca, l’inverso della sublimazione<br />
che costruisce una cultura.».<br />
Quel silenzio forse sbigottito di cui ci riferisce<br />
Aude de Kerros appare l’unica risposta<br />
ad un’analisi irrefutabile, che conclude:<br />
«È una constatazione: due dei più importanti<br />
pilastri della società, lo Stato e la Chiesa, si sono<br />
volti ad incoraggiare, nelle produzioni intellettuali<br />
ed artistiche che costituiscono la<br />
nostra cultura, le forme più basse, come se il<br />
pubblico avesse bisogno, per poter godere dell’arte,<br />
di un degrado, un Erniedrigung, analogo<br />
al degrado della vita sessuale, quando si presenta<br />
come una pornografia generalizzata. [...]<br />
E la psicanalisi in tutto questo Sarebbe stata<br />
l’ultima istituzione a osare ancora di parlare di<br />
morale e sublimazione. Ultima autorità morale,<br />
sembra rifugiarsi nel silenzio . Essa tace oggi,<br />
di fronte agli attacchi sempre più gravi che subisce<br />
la nostra Kultur: la credenza che l’uomo<br />
perfetto verrà in breve grazie ai progressi della<br />
genetica, della selezione e dell’eliminazione<br />
degli embrioni,, la credenza che diventerà immortale<br />
grazie ai progressi della medicina, e<br />
che l’unica morte che egli subirà sarà quella<br />
che gli dispenserà l’eutanasia, la libertà sessuale<br />
estesa a tutte le forme della sessualità, compresa<br />
la libertà di cambiare genere ecc... Di fronte<br />
a tutte queste forme di devianza, se mi è permesso<br />
di usare questa parola ormai tabù., le<br />
vecchie idee di Freud sulla sublimazione, che<br />
furono quelle di un vecchio saggio formato<br />
dalla cultura antica, sono diventate più che<br />
inoperanti: esse fanno nascere un sorriso d’intesa<br />
sui volti dei nostri contemporanei, che<br />
condanna al silenzio.»<br />
| ( 2 ) |<br />
†‡·•‡·•‡‚<br />
„ ”<br />
I Vale il viaggio<br />
» …<br />
Biéler a Berna.<br />
„ ”<br />
‰`ˆ¿´`´¿ˆ`˜<br />
DI GABRIELLA ROUF<br />
Riferiamo di una bella opportunità, che a<br />
distanza di un anno dal triste spettacolo della<br />
Mostra di Albert Anker 3 accatastata nel seminterrato<br />
del museo, ci fa riconciliare con il<br />
Kunstmuseum di Berna. Si tratta dell'esposizione<br />
dedicata a Ernest Biéler (1863-1948),<br />
questa volta ben allestita in ampie sale. E’ l’esempio<br />
di una mostra utile (raccoglie opere<br />
diffuse in varie sedi e presso privati) e che<br />
suggerisce al visitatore sorpreso ed affascinato<br />
ulteriori itinerari sul territorio per vedere affreschi,<br />
mosaici, vetrate e cicli decorativi realizzati<br />
da questo artista, pienamente inserito<br />
nella tradizione simbolista svizzera Hodler-Anker-Vallotton.<br />
0<br />
Ernest Biéler, Autoritratto.<br />
0<br />
3 Vedi <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> n.601.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 662
| ( 3 ) |<br />
Ernest Biéler Le foglie morte (1899) Kunstmuseum Bern<br />
Ad evocare il «fuoco di torbiera» che forse<br />
circola sotto gli squallidi orpelli dell’AC, riportiamo<br />
un brano dal catalogo della mostra,<br />
che fino a qualche tempo fa non ci si poteva<br />
aspettare (del resto nemmeno una mostra di<br />
Bièler, che il Museo di Losanna teneva nei<br />
depositi). Motivando la trascuratezza subita<br />
dalle sue opere simboliste della fine dell’800 e<br />
l’interesse solo regionale attribuito a quelle<br />
del 900 inoltrato, M. Frehner scrive:<br />
«All’epoca in cui l’avanguardia si orientava in<br />
Svizzera verso l’astrazione e l’espressionismo,<br />
con l’obiettivo di dar conto delle evoluzioni<br />
economiche, sociali e culturali in un linguaggio<br />
visuale nuovo, Biéler si volse ad un realismo<br />
atemporale. Per l’avanguardia, le sue opere<br />
mostravano un mondo immutabile, fisso nella<br />
tradizione, che era, agli occhi della detta avanguardia<br />
completamente scomparso. [...] In<br />
qualità di maestro principale della Scuola di<br />
Savièse, Bièler divenne così un baluardo politico-culturale<br />
della “difesa dello spirito nazionale”».<br />
Che tale artista «reclami una nuova considerazione<br />
scevra di pregiudizi» e che una prestigiosa<br />
mostra ed impegnativi restauri delle<br />
opere ne diano testimonianza, è il segno di<br />
una crisi della visione del progresso delle arti<br />
costretto nell’imbuto delle avanguardie del<br />
900.<br />
La mostra si sposterà dall’1.12.2011 al<br />
26.2.2012 presso la Fondazione Gianadda di<br />
Martigny 4 , a ribadire il «nuovo posizionamento<br />
di Biéler nella storia dell’arte internazionale»;<br />
che siano «gli addetti ai lavori» a<br />
dover rivedere i loro schemi conformistici,<br />
che hanno condannato a depositi e dispersioni<br />
opere di grande qualità<br />
GABRIELLA ROUF<br />
Ernest Biéler, Tre fanciulle di Savièse (1920).<br />
4 Si spera che in quell’occasione sia esposto anche «L’acqua misteriosa»,<br />
di cui abbiamo riferito in <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> n.538. <strong>Il</strong> grande quadro<br />
del Museo Cantonale di Losanna, pur presente nel catalogo,<br />
non è in mostra a Berna.<br />
18 ottobre 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
PIETRO BARCELLONA, PAOLO<br />
SORBI, MARIO TRONTI,<br />
GIUSEPPE VACCA<br />
LETTERA APERTA<br />
L'emergenza antropologica:<br />
per una nuova alleanza.<br />
La manipolazione della vita, originata dagli<br />
sviluppi della tecnica e dalla violenza insita<br />
nei processi di globalizzazione in assenza di<br />
un nuovo ordinamento internazionale, ci pone<br />
di fronte ad una inedita emergenza antropologica.<br />
Essa ci appare la manifestazione più<br />
grave e al tempo stesso la radice più profonda<br />
della crisi della democrazia. Germina sfide<br />
che esigono una nuova alleanza fra uomini e<br />
donne, credenti e non credenti, religioni e<br />
politica. Pertanto riteniamo degne di attenzione<br />
e meritevoli di speranza le novità che<br />
nel nostro Paese si annunciano in campo religioso<br />
e civile.<br />
A noi pare che negli ultimi anni – un periodo<br />
storico cominciato con la crisi finanziaria<br />
del 2007 e in Italia con il crepuscolo della<br />
“seconda Repubblica” – mentre la Chiesa italiana<br />
si impegnava sempre più a rimodulare la<br />
sua funzione nazionale, un interlocutore come<br />
il Partito democratico sia venuto definendo<br />
la sua fisionomia originale di “partito di<br />
credenti e non credenti”. Sono novità significative<br />
che ampliano il campo delle forze che,<br />
cooperando responsabilmente, possono concorrere<br />
a prospettare soluzioni efficaci della<br />
crisi attuale.<br />
<strong>Il</strong> terreno comune è la definizione della<br />
nuova laicità, che nelle parole del segretario<br />
del Pd muove dal riconoscimento della rilevanza<br />
pubblica delle fedi religiose e nel magistero<br />
della Chiesa da una visione positiva della<br />
modernità, fondata sull’alleanza di fede e<br />
ragione. Nel suo libro-intervista Per una buona<br />
ragione, Pier Luigi Bersani afferma che il<br />
“confronto con la dottrina sociale della<br />
Chiesa” è un tratto distintivo della ispirazione<br />
riformistica del Pd e che la presenza in Italia<br />
“della massima autorità spirituale cattolica”<br />
può favorire il superamento del bipolarismo<br />
etico che in passaggi cruciali della vita del<br />
Paese ha condizionato negativamente la politica<br />
democratica. Ribadendo, infine, la “responsabilità<br />
autonoma della politica”, Bersani<br />
esprime una opzione decisa per una sua visione<br />
“che non volendo rinunciare a profonde<br />
e impegnative convinzioni etiche e religiose,<br />
affida alla responsabilità dei laici la mediazione<br />
della scelta concreta delle decisioni politiche”.<br />
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica vi<br />
sono due punti della relazione del cardinale<br />
Bagnasco alla riunione del Consiglio permanente<br />
dei vescovi del 26-29 settembre 2011<br />
che meritano particolare attenzione.<br />
<strong>Il</strong> primo riguarda la critica della “cultura<br />
radicale”: essa è rivolta a quelle posizioni che,<br />
“muovendo da una concezione individualistica”,<br />
rinchiudono “la persona nell’isolamento<br />
<br />
SI È RIUSCITI<br />
A FAR CREDERE ALL’UOMO<br />
CHE SE VIVE È SOLO PER<br />
GRAZIA DEI POTENTI.<br />
PENSI DUNQUE A BERE IL<br />
CAFFÈ E A DARE LA<br />
CACCIA ALLE FARFALLE:<br />
CHI AMA LA RES PUBLICA<br />
AVRÀ LA MANO MOZZATA.<br />
Czeslaw Milosz<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 662
| ( 5 ) |<br />
Ernest Biéler L’acqua misteriosa (1911) Museo<br />
Cantonale delle Belle Arti di Losanna.<br />
triste della propria libertà assoluta, slegata<br />
dalla verità del bene e da ogni relazione sociale”.<br />
<strong>Il</strong> secondo è la proposta di nuove modalità<br />
dell’impegno comune dei cattolici per contrastare<br />
quella che in una precedente occasione<br />
aveva definito “la catastrofe antropologica”:<br />
“la possibilità di un soggetto culturale e sociale<br />
di interlocuzione con la politica”. E non<br />
è meno significativa la sua giustificazione storica:<br />
“A dar coscienza ai cattolici oggi non è<br />
anzitutto un’appartenenza esterna, ma i valori<br />
dell’umanizzazione [che] sempre di più richiamano<br />
anche l’interesse di chi esplicitamente<br />
cattolico non si sente”. In altre parole,<br />
la “possibilità” di questo nuovo soggetto origina<br />
dall’impegno sociale e culturale del laicato,<br />
nel quale i cattolici sono “più uniti di<br />
quanto taluno vorrebbe credere” grazie alla<br />
bussola che li guida: la costruzione di un umanesimo<br />
condiviso.<br />
La definizione della nuova laicità e l’assunzione<br />
di una responsabilità più avvertita<br />
della Chiesa per le sorti dell’Italia esigono<br />
uno sviluppo dell’iniziativa politica e culturale<br />
volta non solo a interloquire con il mondo<br />
cattolico, ma anche a cercare forme nuove di<br />
collaborazione con la Chiesa, nell’interesse<br />
del Paese. A tal fine appare dirimente il confronto<br />
su due temi fondamentali del magistero<br />
di Benedetto XVI che nell’interpretazione<br />
prevalente hanno generato confusioni e distorsioni<br />
tuttora presenti nel discorso pubblico:<br />
il rifiuto del “relativismo etico” e il concetto<br />
di “valori non negoziabili”.<br />
Per chi dedichi la dovuta attenzione al<br />
pensiero di Benedetto XVI non dovrebbero<br />
sorgere equivoci in proposito. La condanna<br />
del “relativismo etico” non travolge il pluralismo<br />
culturale, ma riguarda solo le visioni nichilistiche<br />
della modernità che, seppur praticate<br />
da minoranze intellettuali significative,<br />
non si ritrovano a fondamento dell’agire democratico<br />
in nessun tipo di comunità: locale,<br />
nazionale e sovranazionale. <strong>Il</strong> “relativismo<br />
etico” permea, invece, profondamente, i processi<br />
di secolarizzazione, nella misura in cui<br />
siano dominati dalla mercificazione. Ma non<br />
è chi non veda come la lotta contro questa deriva<br />
della modernità costituisca l’assillo fondamentale<br />
della politica democratica, comunque<br />
se ne declinino i principii, da credenti o<br />
da non credenti.<br />
D’altro canto, non dovrebbero esserci<br />
equivoci neppure sul concetto di “valori non<br />
negoziabili” se lo si considera nella sua precisa<br />
formulazione. Un concetto che non discrimina<br />
credenti e non credenti, e richiama alla<br />
18 ottobre 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
/000000221220000003<br />
COMINCERÒ CON UNA MANCANZA<br />
DI TAT TO, CONFESSANDO CIOÈ DI<br />
CREDERE NELLA NATURA UMANA.<br />
QUESTA IDEA È PASSATA DI MODA, È STATA<br />
ANZI GIUDICATA INDECOROSAMENTE<br />
CONSERVATRICE, E IN CIÒ IL PENSIERO<br />
PROGRESSISTA NON DÀ PROVA DI COERENZA<br />
[…] UN ALTRO PASSI, MA KARL MARX<br />
DIFFICILMENTE PUÒ VENIR ACCUSATO DI<br />
ESSERE UN CONSERVATORE. A QUESTO<br />
PROPOSITO MI RIFACCIO A LESZEK<br />
KOLAKOWSI CHE DICE «BISOGNA DUNQUE<br />
RICHIAMARE L’ATTENZIONE SUL FATTO<br />
CHE L’IDEA DEL “RITORNO DELL’UOMO A<br />
SE STESSO” È CONTENUTA NELLA CATE-<br />
GORIA STESSA DELL’ALIENAZIONE, DI CUI<br />
MARX CONTINUAVA SEMPRE A SERVIRSI.<br />
CHE COS’È L’ALIENAZIONE, IN REALTÀ, SE<br />
NON UN PROCESSO IN CUI L’UOMO SI PRIVA<br />
DI QUALCOSA CHE EGLI È DAVVERO, SI<br />
PRIVA DUNQUE DELLA PROPRIA UMANITÀ<br />
PER POTER ADOPERARE IN MODO SENSATO<br />
QUESTO TERMINE, DOBBIAMO SUPPORRE DI<br />
SAPERE IN CHE COSA CONSISTE IL CONDI-<br />
ZIONAMENTO DELL’UOMO, OSSIA CHE<br />
COS’È L’UOMO REALIZZATO A DIFFERENZA<br />
DELL’UOMO SMARRITO, CHE COS’È L’“U-<br />
MANITÀ”, OVVERO LA NATURA UMANA […].<br />
MANCANDO QUEST’ESEMPIO O MODELLO,<br />
ANCHE SE TRACCIATO IN MANIERA<br />
PIUTTOSTO VAGA, NON V’È MODO DI DARE<br />
UN SIGNIFICATO ALLA PAROLA<br />
“ALIENAZIONE”».<br />
CZESLAW MILOSZ, LA TERRA<br />
DI ULRO, ADELPHI, P. 112<br />
k<br />
:;;;;;;==<br />
responsabilità della coerenza fra i comportamenti<br />
e i principii ideali che li ispirano. Un<br />
concetto che attiene, appunto, alla sfera dei<br />
valori, cioè dei criteri che debbono ispirare<br />
l’agire personale e collettivo, ma non nega<br />
l’autonomia della mediazione politica. Non si<br />
può quindi far risalire a quel concetto la responsabilità<br />
di decisioni in cui, per fallimenti<br />
della mediazione laica, o per non nobili ragioni<br />
di opportunismo, vengano offese la libertà<br />
e la dignità della persona umana fin dal<br />
suo concepimento.<br />
Ad ogni modo, se nell’approccio alle sfide<br />
inedite della biopolitica ci sono stati e si verificano<br />
equivoci e cadute di tal genere non solo<br />
in scelte opportunistiche del centrodestra, ma<br />
anche nel determinismo scientistico del centrosinistra,<br />
la riaffermazione del valore della<br />
mediazione laica che sembra ispirare “la possibilità<br />
di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione<br />
con la politica” rischiara il terreno<br />
del confronto fra credenti e non credenti.<br />
Quindi dipenderà dall’iniziativa culturale e<br />
politica delle forze in campo se quella “possibilità”<br />
acquisterà un segno progressivo o meno<br />
nella vicenda italiana.<br />
A tal fine noi riteniamo che il Pd debba<br />
promuovere un confronto pubblico con la<br />
Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose<br />
operanti in Italia oltre che sui temi cosiddetti<br />
“eticamente sensibili”, su quelli che<br />
attengono in maniera più stringente ai rischi<br />
attuali della nazione italiana: la tenuta della<br />
sua unità, la “sostanza etica” del regime democratico.<br />
Tanto sull’uno, quanto sull’altro, la storia<br />
dell’Italia unita dimostra che la funzione nazionale<br />
assolta o mancata dal cattolicesimo<br />
politico è stata determinante e lo sarà anche<br />
in futuro.<br />
PIETRO BARCELLONA, PAOLO SORBI, MARIO<br />
TRONTI, GIUSEPPE VACCA.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 662
| ( 7 ) |<br />
ABBBBBBBBBC<br />
H V Invito alla lettura D<br />
H I tradizionalisti e la “bella addormentata”. D<br />
EFFFFFFFFFG<br />
DI PIETRO DE MARCO<br />
Fonte: <strong>Il</strong> testo, successivamente ampliato dall'Autore, è<br />
comparso sul Corriere Fiorentino del 15 ottobre <strong>2011.</strong><br />
Chi conosce il paesaggio ecclesiastico fiorentino<br />
sa che la comunità francescana di S.<br />
Salvatore di Ognissanti unisce studio, cura<br />
d’anime e difesa della Tradizione liturgica e<br />
teologica cattolica. Una scelta coraggiosa,<br />
dunque, quella del direttore Ermini di dar<br />
spazio sul Corriere della Sera-Corriere Fiorentino<br />
del 13 ottobre al p. Serafino Lanzetta f.i.<br />
(Francescani dell’Immacolata), parroco di<br />
Ognissanti, perché presentasse le tesi del libro<br />
di Gnocchi e Palmaro 5 . <strong>Il</strong> p. Serafino è<br />
un giovane religioso, apprezzato per dottrina<br />
e molto amato, mi si dice. Non è secondario,<br />
neppure questo: le voci che propongono da<br />
tempo la questione della corretta interpretazione<br />
(dell’ermeneutica) del Concilio non sono<br />
una livorosa espressione di cattolicesimo<br />
reazionario. L’assunto della irrinunciabile<br />
continuità e integrità dell’intera Tradizione<br />
cristiana — contro la ‘rivoluzione’, il ‘tutto è<br />
mutato’, che connotano spesso la menzione<br />
del Concilio in pastorale, catechesi, stampa<br />
religiosa — è espresso ormai da voci giovani,<br />
teologicamente attrezzate e, per quanto è<br />
possibile ad una minoranza, serene.<br />
Queste giovani intelligenze, che preferirei<br />
chiamare ‘semitradizionalistiche’, sono attrezzate,<br />
perché la loro teologia non è né il<br />
minimalismo religioso corrente, né il colto<br />
discorso di varia umanità destinato agli inserti<br />
dei quotidiani, e neppure l’insegnamento problematico<br />
e sfumato, incapace di approdo al<br />
5 A. Gnocchi, M. Palmaro, La Bella Addormentata. Perché<br />
dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà,<br />
Vallecchi, Firenze, <strong>2011.</strong><br />
canone positivo della fede, di tante cattedre<br />
teologiche. E la serenità, maggiore che in<br />
passato, proviene dalla forza delle ragioni critiche<br />
contro l’illogicità e il danno del<br />
“sogno” delle sinistre conciliari (espressione<br />
mia) “di veder all’orizzonte la realizzazione<br />
di una Chiesa che non c’era né poteva<br />
esserci”, come scrive p. Lanzetta; una Chiesa<br />
onirica, aggiungo, costruita con un’arbitraria<br />
selezione di (pochi) testi del Vaticano II, nella<br />
relativizzazione degli altri (persino dei<br />
grandi Concili cristologici del IV-V secolo) e<br />
della tradizione della Chiesa; insomma un tipico<br />
prodotto eversivo da intelligencija.<br />
La nuova critica è aiutata dall’evidenza che<br />
Benedetto XVI è deciso nel contrastare l’interpretazione<br />
del Vaticano II come ‘rottura<br />
creativa’ col passato cattolico. Ma il tradizionalismo<br />
non si risparmia, e non gli risparmia,<br />
una domanda difficile: il Concilio, i suoi protagonisti,<br />
i suoi documenti hanno in qualche<br />
modo favorito, pur nella continuità, tesi (e<br />
pratiche ecclesiali) di rottura entro la Tradizione<br />
La stessa convinzione di molti, in passato,<br />
d’essere divenuti ‘altri cristiani’ o tout<br />
court ‘cristiani’ o semplicemente ‘altri’, per<br />
influenza del Concilio era equivoca e generata<br />
da equivoci. Aberrante in sé l’idea della<br />
‘conversione’ al Vaticano II come ad una<br />
‘nuova fede’, anche se il mito di un ‘nuovo<br />
cristianesimo’ percorre gli ultimi due secoli.<br />
18 ottobre 2011 Anno XI
| ( 8 ) |<br />
Ernest Biéler Le sorgenti (1900) Kunstmuseum Bern<br />
Noti teologi e élites cattoliche vissero un gratificante<br />
senso di ‘mutazione’, che li ha fatti<br />
vagare in attesa del niente, prima nel mimetismo<br />
delle ideologie ‘rivoluzionarie’, poi delle<br />
loro trasformazioni New Age. <strong>Il</strong> Concilio ha<br />
responsabilità riguardo alla sua stessa recezione,<br />
contemporanea e posteriore, gravemente<br />
alterata<br />
Non possiamo occuparci qui delle linee di<br />
soluzione di una questione molto complessa.<br />
Ma giova aggiungere questo. La capacità critica,<br />
nella Chiesa, verso una passata stagione<br />
di riforme merita attenzione anche da chi non<br />
ne vive le vicende. Costituisce un capitolo<br />
avanzato del severo riesame del Novecento,<br />
oggi necessario su tutti i fronti, ma in ritardo.<br />
<strong>Il</strong> Novecento è facilmente ripudiato per i suoi<br />
mali palesi (le guerre mondiali, l’Olocausto),<br />
quanto subìto in tutto ciò che riteniamo irreversibilmente<br />
‘moderno’. Pure, le sue maggiori<br />
ambizioni ‘rivoluzionarie’, dalla politica all’economia,<br />
dalle ‘religioni’ alle arti, si sono<br />
risolte in un fallimento. Rispetto a tale mancata<br />
autocritica della cultura europea, la<br />
Chiesa cattolica, che più di ogni altra istituzione<br />
(e cultura) ha cura per la qualità del<br />
proprio “rappresentare” — perché rappresenta<br />
Cristo — mostra capacità di misura e di<br />
verifica di sé. Reformata reformanda intitolava<br />
la sua raccolta di scritti un celebre storico<br />
del Concilio di Trento: anche le cose ‘riformate’<br />
sono da ri-formare, ovvero da ricondurre<br />
a quella forma che è canone, regola non<br />
alterabile.<br />
La Chiesa non è, dunque, “l’addormentata”<br />
del brillante libro di Gnocchi e Palmaro;<br />
la metafora non mi pare appropriata 6 . Certo,<br />
nel dopo-Concilio le dimensioni ‘affermative’<br />
e istituzionali sono state salvate da Roma e dai<br />
due ultimi pontefici, mentre molta chiesa ‘locale’<br />
e ‘intellettuale’ sembrava senza capacità<br />
(e volontà) di manifestarsi come Chiesa, di<br />
dare conto del proprio fondamento e compito,<br />
che non erano mutati. Metteva in ‘cattedra’<br />
i non credenti. Lo stile e le cose dette da<br />
Benedetto XVI nel recente viaggio tedesco<br />
sono un grande esempio contro questo genere<br />
di inazione. Ma la fede e la dedizione di tante<br />
individualità, comunità e istituzioni cattoliche<br />
non si possono ignorare. Una Chiesa comunque<br />
desta; schiacciata semmai sul presente,<br />
come le culture contemporanee, e su un Gesù<br />
‘troppo umano’. È necessaria una reintegrazione<br />
‘tradizionale’, nell’orizzonte del Credo<br />
che professiamo, senza cui il Vaticano II non<br />
sarebbe esistito e che, con la sua verità ad un<br />
tempo necessaria e antichissima, invalida ogni<br />
‘velo d’ignoranza’ interposto, nell’illusione<br />
del Nuovo, tra noi e la Tradizione.<br />
PIETRO DE MARCO<br />
6 A parte la metafora adottata come titolo, che si può discutere,<br />
il saggio di Gnocchi e Palmaro appare seriamente concepito e documentato.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 662
A<br />
B<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
N°663<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
21 OTTOBRE 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
a Questo numero.<br />
Volendo tempestivamente far conoscere il commento<br />
di Armando Ermini a due articoli del numero<br />
scorso, cogliamo l'occasione di questa uscita frettolosa<br />
per pubblicare la recente presentazione di Andrea<br />
Sciffo della Mostra “Dalla Brianza al mondo:<br />
lo scrittore Eugenio Corti”, la trovate in terza pagina.<br />
N<br />
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ƒ ‹<br />
P Lettere al direttore<br />
Due osservazioni sull'ultimo numero.<br />
§ ›<br />
¤'“'“'“«<br />
DI ARMANDO ERMINI<br />
Caro Stefano, è un altro bel numero. Due<br />
brevi commenti a caldo.<br />
j<br />
Sul silenzio della psicanalisi di cui parla<br />
Jean Clair nell'articolo Onda d'urto: per la<br />
mia esperienza concreta, quel silenzio da un<br />
lato mi sbigottisce, dall'altro non mi meraviglia.<br />
Mi sbigottisce perché ritengo che le pratiche<br />
e le teorizzazioni della modernità, dal<br />
diritto d'aborto alla fabbricazione in laboratorio<br />
di esseri umani teoricamente sempre più<br />
“perfetti", passando per una sessualità polimorfa<br />
e senza tabù, siano in flagrante contraddizione<br />
con i cardini stessi della psicanalisi.<br />
Almeno questo è ciò che ho appreso nei<br />
lunghi anni di frequentazione di un setting<br />
particolare nel quale si sviluppavano relazioni<br />
che facevano affiorare l'inconscio degli individui.<br />
Ma, direi meglio, non tanto appreso,<br />
concetto che potrebbe far pensare ad una<br />
scuola, quanto invece vissuto anche con dolore<br />
e lacerazione. Non sono in gioco, è perfino<br />
scontato dirlo, valutazioni moralistiche del<br />
tutto estranee a quella disciplina, ma i fondamenti<br />
stessi dell'essere umano. Si tratti del<br />
rapporto triadico padre/madre/figlio o dell'imprinting<br />
impresso al bambino fin nella<br />
pancia materna, o ancora dell'inconscio collettivo<br />
junghiano, non vi è nulla che possa andare<br />
nella direzione di quelle pratiche e di<br />
quelle teorizzazioni. Anzi, gli psicanalisti dovrebbero<br />
essere i primi a far sentire alta la loro<br />
voce contro la disumanizzazione e contro il<br />
rischio di un uomo che si senta onnipotente,<br />
senza che ciò implichi questioni di fede che<br />
sono altra cosa. Mi confortano, in questa mia<br />
acquisita convinzione, anche le parole di Pietro<br />
Barcellona nel suo libro <strong>Il</strong> furto dell'anima<br />
che <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> ha recensito tempo addietro<br />
[v. n°493]. Perché allora il silenzio degli psicanalisti<br />
Avanzo due ipotesi, non necessariamente<br />
alternative. La prima è che gran parte<br />
delle scuole di psicoterapia hanno ormai cambiato<br />
“oggetto sociale", nel senso che non si<br />
propongono tanto di aiutare il paziente a<br />
scoprire e diventare se stesso, quanto piuttosto<br />
di far si che, bene o male, si “adatti" alla<br />
realtà qualsiasi sia. E se la realtà è questa...<br />
La seconda ipotesi, forse più fondata, è che<br />
la psicanalisi, ma sarebbe più esatto dire molti<br />
fra gli psicanalisti e i loro pazienti, sono persone<br />
che si sentono “evolute" e moderne proprio<br />
in virtù del fatto che praticano quella disciplina,<br />
vissuta come opposta al dogmatismo,<br />
al potere repressivo e autoritario ed a tutto ciò<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />
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<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />
minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />
cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />
Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
che suona “oscurantista". Si innesca perciò<br />
una dinamica pressoché identica a quella che<br />
vive gran parte della sinistra politica rispetto<br />
alla modernità. Questa, nella sua evoluzione,<br />
ha preso una direzione non rintracciabile, anzi<br />
contraddittoria, rispetto alle ragioni originarie<br />
di quei movimenti e partiti. I quali però<br />
si vengono a trovare in un cul de sac. O rinnegano<br />
la modernità e il progresso di cui si dicono<br />
gli interpreti autentici, oppure rinnegano<br />
la loro ragion d'essere originale. Così è stato,<br />
ne abbiamo già discusso, per moltissimi ex<br />
sessantottini che culturalmente hanno ormai<br />
abbracciato in pieno, loro gli antidogmatici, i<br />
nuovi dogmi del mondo moderno trascurando<br />
il fatto evidentissimo che sono quanto di più<br />
lontano dagli ideali giovanili. E, tranne poche<br />
eccezioni pensanti, si rifiutano di accorgersi<br />
della metamorfosi, illudendosi di essere<br />
ancora loro i portabandiera dell'emancipazione<br />
e della libertà. Così è per gli psicanalisti,<br />
che almeno hanno il pudore di tacere di fronte<br />
alle contraddizioni in cui sono finiti, forse<br />
perchè più abituati per mestiere a capire qualcosa<br />
di se stessi.<br />
j<br />
Sulla Lettera aperta di Tronti e degli altri<br />
intellettuali di area marxista: ineccepibile<br />
l'incipit, del tutto condivisibile il richiamo<br />
forte al pericolo di catastrofe antropologica,<br />
lodevoli gli intenti. Ma debole, temo, la prospettiva,<br />
e illusoria la speranza che il Partito<br />
Democratico possa essere il promotore, o anche<br />
solo l'interlocutore, di un dialogo con la<br />
Chiesa che non chieda ad essa di rinunciare ai<br />
suoi “valori non negoziabili", che pure gli<br />
estensori della lettera dichiarano di condividere<br />
laicamente nella sostanza.<br />
A meno che il PD non cambi pelle, o non si<br />
sfasci e quindi non sia più il PD che conosciamo.<br />
Oppure, a meno che la Chiesa, dietro le<br />
petizioni di principio non sia in realtà disposta<br />
a negoziare mediazioni politiche pratiche<br />
necessariamente al ribasso proprio rispetto ai<br />
suoi valori non negoziabili. Ma oltre ogni interpretazione<br />
del concetto, il richiamo forte<br />
alla dignità della vita umana dal concepimento<br />
alla morte ed alla necessità di difenderla<br />
anche come condizione necessaria per politiche<br />
di autentica giustizia sociale, sembrano<br />
mettere il PD nella condizione di dover fare<br />
una scelta secca. O dalla parte di quei principi,<br />
non solo con generiche affermazioni di<br />
astratta condivisione ma anche con scelte politiche<br />
e legislative chiare e con essi coerenti,<br />
ma allora la spaccatura con i settori più laicisti<br />
è certa, oppure ci si schiererà con questi<br />
ultimi, e nessun dialogo sarà possibile. La terza<br />
e secondo me più probabile alternativa è<br />
che si tenti una parvenza di dialogo sui temi<br />
sociali che proprio quei principi tenga fuori.<br />
E quì la palla ripasserebbe ai così detti cattolici<br />
adulti, che di valori “non negoziabili" mi<br />
sembra abbiano solo l'antiberlusconismo.<br />
Intendo dire insomma che le questioni antropologiche<br />
non consentono mediazioni<br />
che possano soddisfare entrambi gli interlocutori,<br />
perché l'una concezione e l'altra non<br />
si pongono su una linea retta lungo la quale è<br />
possibile l'incontro su un punto più o meno<br />
mediano, come potrebbe essere per i fatti sociali<br />
ed economici. Le questioni antropologiche,<br />
al contrario, dislocano gli interlocutori<br />
su due piani diversi e sfalsati, destinati per definizione<br />
a non potersi incontrare. <strong>Il</strong> solo incontro<br />
possibile è che uno dei due interlocutori<br />
abbandoni il suo piano e scenda (o salga)<br />
su quello altrui. Ma chiaramente non si tratterebbe<br />
più di una mediazione.<br />
ARMANDO ERMINI<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 663
| ( 3 ) |<br />
a Dalla Brianza al mondo: lo<br />
scrittore Eugenio Corti.<br />
Inaugurazione della Mostra presso la Camera dei<br />
Deputati, Roma, 5 ottobre <strong>2011.</strong><br />
DI ANDREA G. SCIFFO<br />
. L’INCONTRO FRA PAESE REALE E<br />
PAESE LEGALE.<br />
L’occasione offerta dal fatto che le parole e<br />
le opere di Eugenio Corti giungano oggi all’attenzione<br />
delle Istituzioni e in particolare<br />
della Camera dei Deputati ha il significato di<br />
un incontro tra Paese Reale e Paese Legale: in<br />
altri termini, avviene qui e ora il contatto tra<br />
un’opera d’arte “nazionale” e il suo destinatario<br />
politico “nazionale”.<br />
Sì perché le milleduecento pagine del romanzo<br />
maggiore di Corti, <strong>Il</strong> Cavallo Rosso e<br />
almeno le due prove narrative che lo precedono<br />
e lo seguono (il diario di guerra I più non<br />
ritornano e Gli ultimi soldati del re), esprimono<br />
ancora oggi la vox populi di un’Italia che è<br />
uscita dalle dure prove del Dopoguerra, della<br />
Ricostruzione, del Miracolo Economico e degli<br />
Anni di Piombo. In un certo senso, a parlare,<br />
nei romanzi di Corti, è un’altra Italia<br />
cioè quella che di fronte ai drammi e alle sfide<br />
del secondo Novecento ha proposto un modo<br />
di vivere “civile”, mite e operoso, a volte inconsapevole<br />
e generoso: un modo di vivere<br />
che ha soretto la società e le istituzioni sino<br />
alle soglie degli anni Ottanta.<br />
Quando cioè uscì <strong>Il</strong> Cavallo Rosso, questo<br />
epico romanzo dal titolo enigmatico, semiclandestinamente<br />
pubblicato nel 1983 da un<br />
piccolo editore controcorrente; da allora, si<br />
sono susseguite ventisette riedizioni e traduzioni<br />
in molte altre lingue. Ma soprattutto è<br />
diventato un caso di “letteratura popolare”<br />
nell’epoca contemporanea, nel tempo cioè dei<br />
best-seller: è accaduto che persone di qualunque<br />
ceto e istruzione apprezzassero l’opera,<br />
consentendone la diffusione quasi in un passaparola.<br />
È questo il metodo “democratico”<br />
della letteratura cortiana: cioè di un insieme<br />
di scritti la cui forza politica è aver dato voce<br />
a chi non ha avuto voce in mezzo secolo di vita<br />
civile nazionale.<br />
Si verifica finalmente oggi, qui e ora, quell’incontro<br />
tra Paese Reale (impersonato dalle<br />
migliaia di lettori entusiasti) e Paese Legale<br />
auspicato per decenni da Giacomo Noventa, il<br />
pensatore irregolare che osava definire alla<br />
pari fascismo e antifascismo in Italia, leggendo<br />
il primo come un “errore della cultura” e<br />
non “contro” la cultura idealistica del primo<br />
Novecento.<br />
Ma l’occasione odierna è gravida di tanti<br />
altri auspici: bisogna fare il nome se non altro<br />
di Augusto Del Noce, che proprio qui fu senatore<br />
dal 1983 tra gli indipendenti della DC,<br />
e che fu il filosofo della politica che vide nella<br />
storia italiana “il suicidio della rivoluzione”<br />
costruita dalla mentalità moderna. E poiché<br />
si è fatto il nome di Noventa e di Del Noce, è<br />
chiaro che la questione di cui si tratta, di<br />
fronte all’opera di Eugenio Corti, è la questione<br />
lasciata in sospeso persino da Maritain:<br />
ovverosia, la natura della democrazia in Europa<br />
nel XX secolo.<br />
. LA DOMANDA DI PIERELLO.<br />
La Mostra che oggi s’inaugura è un percorso<br />
di interpretazione dell’opera cortiana<br />
che tiene conto di tutta questa profondità di<br />
apporti: è in un certo senso un lavoro<br />
“corale”. Non solo perché i lettori si possono<br />
riconoscere nelle immagini allegate ai testi<br />
(spiccano le rare foto di Don Carlo Gnocchi<br />
cappellano degli alpini) e non soltanto perché<br />
un gruppo di studenti del Liceo Don Gnocchi<br />
di Carate Brianza (qui presenti) ha contribuito,<br />
con il proprio studio, alla realizzazione dei<br />
materiali.<br />
È proprio la pretesa di risposta alla que-<br />
21 ottobre 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
stione centrale del nostro tempo, che differenzia<br />
per natura <strong>Il</strong> Cavallo Rosso da altri romanzi<br />
di testimonianza, di reduci, di militaristi<br />
e anti-militaristi: qui si tratta di capire da<br />
dove viene il ‘900 e come fare per uscirne. È<br />
la domanda che si pone, tra sé e sé, il personaggio<br />
Pierello quando si chiede “cosa diavolo<br />
stava succedendo in fin dei conti… Dopo<br />
la guerra, il benessere di tutti era cresciuto, il<br />
popolo, gli operai […]” (pag.1254).<br />
Ecco perché nel presente lavoro sono<br />
coinvolti i massimi teorici della filosofia e<br />
della cultura novecentesca (i già citati Noventa,<br />
Del Noce), però vi sono coinvolti assieme<br />
a degli adolescenti, gli studenti di liceo<br />
di cui sopra, che si sentono premere dalle medesime<br />
domande degli illustri maestri. E che<br />
hanno oscuramente capito che la letteratura<br />
non è intrattenimento, e non è fine a se stessa:<br />
la letteratura serve.<br />
. UNA VIA D’USCITA CERTA.<br />
Ci sono due pagine de <strong>Il</strong> Cavallo Rosso che<br />
illustrano, pur parlando del passato, il nostro<br />
presente attuale: nella prima, c’è un dialogo<br />
tra l’ufficiale Manno e i suoi soldati, in addestramento,<br />
subito dopo lo sbandamento dell’esercito<br />
italiano l’8 settembre 1943. I quali<br />
gli dicevano:<br />
“Ma alla fine di questo corso” gli obiettava con<br />
amarezza qualche allievo “noi non sappiamo<br />
neppure se riceveremo la nomina a sottotenente<br />
o no. (…) Signor tenente: noi a volte ci chiediamo<br />
se il nostro studiare non sia semplicemente<br />
inutile.”<br />
Per niente scoraggiato dalla liquefazione<br />
del grosso delle forze militari, Manno rimane<br />
inquadrato e si dà a istruire gli allievi ufficiali<br />
di complemento a Murgiano rispondendo loro<br />
così:<br />
“No. Non fosse perché, rifiutando di studiare,<br />
favorireste per quanto vi riguarda questo tremendo<br />
caos in cui stiamo sempre più sprofondando.<br />
Ci sono dei momenti, a volte periodi di<br />
pochi mesi, in cui si gioca il futuro di un popolo<br />
per molto tempo. E noi ci troviamo in uno di<br />
tali momenti, come non ve ne rendete conto”<br />
(pp. 679-680)<br />
Questa è la proposta culturale e politica di<br />
Eugenio Corti: una ricostruzione della nazione<br />
italiana a partire dalla libera adesione del<br />
popolo al sacrificio comune connesso a qualunque<br />
progetto di ricostruzione, di uscita<br />
dalla crisi.<br />
L’altra pagina mirabile è al termine del<br />
colloquio tra un personaggio, un frate missionario<br />
in procinto di partire per l’Africa equatoriale<br />
nel 1955 e i suoi anziani genitori, industriali<br />
brianzoli di estrazione popolare e in<br />
quel momento assediati dai debiti delle loro<br />
aziende. La tribolazione economica trova anch’essa<br />
il suo senso, nelle parole che padre<br />
Rodolfo (questo è il nome del personaggio)<br />
rivolge ai propri genitori:<br />
“questa grossa prova è voluta da lui, a fin di bene.<br />
Vi impedirà, a tutti, di diventare ricchi, come<br />
c’era effettivamente il pericolo (...). <strong>Il</strong> pericolo<br />
c’era: che prendessimo gusto alla ricchezza,<br />
che attaccassimo il cuore all’abbondanza<br />
materiale”.<br />
Mi sembra superfluo, e offensivo, aggiungere<br />
qualunque commento. Questa è la tempra<br />
della narrativa di Corti, questa la direzione<br />
del suo andare dalla Brianza al mondo,<br />
questa la sua politica “poetica” e morale: la<br />
prospettiva è evidente a quegli adulti e a quegli<br />
studenti che davvero vogliono costruire,<br />
domani. Come scrisse l’autore stesso sul finale<br />
del suo libro:<br />
“Aveva messo mano a una grande opera narrativa…<br />
per quelli che, domani, dovranno pur accingersi<br />
a ricostruire” (p. 1256)<br />
ANDREA G. SCIFFO<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 663
A<br />
B<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
N°664<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
26 OTTOBRE 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
a Questo numero.<br />
Leggendolo per intero, com'è d'obbligo al tipografo,<br />
stupisce quanto questi testi, dalla provenienza<br />
così disparata, si tengano insieme l'un l'altro.<br />
N<br />
INDICE<br />
1 Lettere al direttore. Giuseppe Ghini. <strong>Il</strong> mito che<br />
mi affascina.<br />
3 Siti freschi (24). L'Omo Salvatico. Recinti.<br />
5 Cesare Brivio. Aborto, luogo dell'annientamento<br />
della vita, dell'identità maschile e della paternità.<br />
6 Fabio Brotto. Specismo.<br />
8 La rima. Domenico Giuliotti. La corona.<br />
¢£⁄£⁄£⁄¥<br />
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P Lettere al direttore<br />
<strong>Il</strong> mito che mi affascina.<br />
§ ›<br />
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DI GIUSEPPE GHINI<br />
Caro Stefano, come hai visto non sono riuscito<br />
a partecipare all'incontro e me ne dolgo<br />
assai. Da quello che leggo, deve essere stato<br />
molto interessante. Spero di non dover attendere<br />
troppo per il prossimo... Intanto ti mando<br />
una cosetta che ho scritto per una rivistina che<br />
faccio con alcuni studenti di Urbino, tutti<br />
pazzi scatenati appassionati di letterature<br />
classiche, poesia e simili amenità. È l'organo<br />
di un'Associazione che abbiamo formato e che<br />
si chiama La resistenza della poesia. Non<br />
credo che le sue pubblicazioni fuoriescano dalle<br />
mura di Urbino. In compenso ci troviamo a<br />
mangiare la pizza – io e gli studenti: qualcuno<br />
fa una relazione, io ho una rubrica fissa<br />
“Dalle lezioni del prof. Ghini", e ci divertiamo:<br />
Universitas magistrorum et scholarium<br />
intorno a una sana pizza. […]<br />
. IL MITO CHE MI AFFASCINA.<br />
In generale, i miti in sé non mi hanno<br />
mai affascinato. Le cosmogonie mi sono<br />
sempre sembrate piuttosto noiose, i racconti<br />
eziologici assai forzati, i miti di fondazione<br />
– niente più che ingenue favolette.<br />
Quello che invece mi ha profondamente<br />
affascinato fin dalla sua scoperta è il mito<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
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<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
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Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
ritualizzato. Ricordo bene l'impressione<br />
provocatami da un libro dalla copertina azzurra<br />
che riportava le tradizioni e i riti degli<br />
Indiani d'America (allora si chiamavano ancora<br />
così), letto nell'esaltazione dei sedici<br />
anni: lo ieratico saluto del neomarito ai<br />
quattro angoli dell'universo, prima di giacere<br />
nella capanna insieme alla sua squaw,<br />
«unendosi come il cielo si era unito alla terra<br />
ai tempi della creazione del mondo».<br />
Ecco: la cosa affascinante, per me, non<br />
era il racconto della creazione del mondo,<br />
quanto piuttosto il fatto che quella creazione<br />
avvenisse nuovamente nel matrimonio di<br />
ogni coppia indiana. <strong>Il</strong> mito ritualizzato, insomma,<br />
l'attualizzazione di quell'evento<br />
prototipico a dar senso e profondità e divinità<br />
alla vita dei credenti indiani.<br />
Mi sembrava che in quel mito ritualizzato<br />
si nascondesse il segreto del significato dell'esistenza<br />
per quelle persone, l'antidoto più<br />
radicale alla mancanza di senso, la vera minaccia<br />
per me sedicenne e per l'uomo in generale.<br />
Non erano il dolore, la fatica, la<br />
morte a pesare in modo insopportabile sulle<br />
mie spalle di sedicenne; no, lo spauracchio<br />
era la mancanza di senso. Dio mio, morire<br />
senza che la mia morte avesse un senso!<br />
Questo poi no! E – ugualmente terrorizzante<br />
– vivere senza che la vita avesse ricevuto<br />
un senso sufficiente, senza che si fosse librata<br />
sopra la mera sopravvivenza! Che orrore<br />
insopportabile!<br />
L'uomo del mito, invece, l'indiano che<br />
fumava il calumet seduto davanti alla sua<br />
tenda invocando Manitù prima di lanciarsi<br />
nella prateria in una pericolosa scorribanda<br />
era sereno perché sapeva che tutta la sua vita<br />
era immersa in un senso. Era imbevuta di significato.<br />
Qualche anno dopo ne trovai conferma in<br />
un corso universitario: Università di Bologna,<br />
Corso di Letteratura anglo-americana<br />
del prof. Franco La Polla, anno 1979-80:<br />
Mito e modelli mitologici nel romanzo americano<br />
del '900.<br />
«<strong>Il</strong> compito del mito – spiegava il professore<br />
nella dispensa – è quello di far ritrovare nella<br />
natura, al primitivo, il senso, il valore, il modello<br />
dell’esistenza umana. <strong>Il</strong> mito quindi è<br />
attuale nel senso che pur con molte differenze<br />
anche noi viviamo la stessa situazione esistenziale<br />
del primitivo». E ancora: «[Per questo]<br />
dice Campbell che non esistono riti intesi ad<br />
allontanare l’inverno: esistono riti che cercano<br />
di far sì che l’uomo accetti l’inverno come<br />
una cosa ineluttabile e necessaria che fa parte<br />
della vita».<br />
Ora, nella lettura di La Polla – prematuramente<br />
morto qualche anno fa – questo<br />
senso si allargava al romanzo. Per meglio<br />
dire, nel romanzo andava a rintracciare le<br />
orme di quel significato che la vita riceveva<br />
dal mito riattualizzato. Quello che agli occhi<br />
del fenomenologo delle religioni – che<br />
per me voleva dire Mircea Eliade e Gerardus<br />
van der Leeuw – appariva come una degradazione<br />
del mito nella narrazione letteraria,<br />
dal punto di vista del critico letterario<br />
appariva come il tentativo del racconto-mito<br />
di partecipare alla sfera religiosa. Un tentativo<br />
cioè di trasferire il racconto dal piano<br />
della lettura, se mai formativa, al piano della<br />
«salvezza»: proprio riconnettendosi alla<br />
capacità del mito di «dare significato», il<br />
racconto aspirava a diventare uno strumento<br />
di salvezza. Niente meno.<br />
Sullo sfondo, irrisolto, restava per me un<br />
problema di non poco conto: che rapporto<br />
c'era tra la fede cristiana che avevo ricevuto<br />
e questo significato, questa salvezza dovuta<br />
al mito<br />
Solo più tardi lessi le illuminanti parole<br />
di C.S. Lewis, l'autore delle Cronache di<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 664
Narnia, uno che i miti li conosce bene, e che<br />
tutto spiega senza necessità di troppi commenti:<br />
«Come il mito trascende il pensiero, così l’Incarnazione<br />
trascende il mito. <strong>Il</strong> cuore del cristianesimo<br />
è un mito che è anche un fatto.<br />
L’antico mito del Dio Morente, senza cessare<br />
di essere mito, scende dal cielo della leggenda<br />
e dell’immaginazione alla terra della storia.<br />
Accade: in un tempo preciso, in un luogo preciso,<br />
accompagnato da conseguenze storiche<br />
ricostruibili. Si passa da un Balder o da un<br />
Osiride, che muoiono nessuno sa né quando né<br />
dove, a una Persona storica crocifissa sotto<br />
Ponzio Pilato. Divenendo fatto, non cessa di<br />
essere mito: questo è il miracolo. Per essere<br />
davvero cristiani si deve sia dare assenso al<br />
fatto storico sia ricevere il mito (benché divenuto<br />
fatto) con lo stesso abbraccio immaginativo<br />
che si accorda a tutti i miti. E uno non è<br />
affatto più necessario dell’altro. Se Dio sceglie<br />
di essere mitopoietico, ci rifiuteremo noi<br />
di essere mitopatici».<br />
Detto con Dante: rifiuteremo noi di indiarci<br />
in Cristo<br />
GIUSEPPE GHINI<br />
| ( 3 ) |<br />
†‡·•‡·•‡‚<br />
„<br />
d<br />
”<br />
Siti freschi (24)<br />
» …<br />
L'Omo Salvatico<br />
„ ”<br />
‰`ˆ¿´`´¿ˆ`˜<br />
DE L'OMO SALVATICO<br />
Già il titolo di questo blog, che per intero recita<br />
L'Omo Salvatico – ciò che salva è nella<br />
foresta, di per sé ci fa intuire una consonanza;<br />
l'articolo che presentiamo oltre a confermarla<br />
rende ragione della menzione del blog<br />
quale ventiquattresimo della nostra esclusiva<br />
serie. N<br />
. RECINTI.<br />
Fonte: L'omo salvatico, 23 agosto <strong>2011.</strong><br />
Ancora una volta qui, salita dopo salita,<br />
tornante dopo tornante, sono arrivato anche<br />
quest’anno sull’altopiano delle Serre, per ritrovarmi<br />
davanti allo stesso immenso portone<br />
che già so, rimarrà sbarrato … Quella<br />
del monastero certosino è una soglia che<br />
non si varca. <strong>Il</strong> solito cartello comunica,<br />
con modi garbati, che per favorire la meditazione<br />
e la preghiera dei monaci non è<br />
consentito l’accesso di visitatori alla certosa.<br />
Giro le spalle e torno sui miei passi per la<br />
consueta passeggiata attorno alle mura di<br />
cinta, fortificate da stupendi torrioni simili<br />
a coni di gelato rovesciato. Architettura inconsueta<br />
che parla della storia di un uomo,<br />
26 ottobre 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
San Bruno da Colonia, e dei suoi confratelli<br />
che, nell’anno mille, fondano la prima comunità<br />
di monaci in Francia, sulle montagne<br />
della Chartreuse, per poi portare in Calabria,<br />
alle porte del Mediterraneo, un pezzo<br />
del cuore profondo dell’Europa.<br />
Che ci faccio ancora qui All’esterno di<br />
quattro inaccessibili mura che ormai conosco<br />
meglio delle mie tasche … Perché tornare,<br />
anno dopo anno, senza vedere, incontrare,<br />
toccare Che cosa ha da dirmi una comunità<br />
di monaci invisibili, al punto, da incominciare<br />
a pensare che in fondo possa essere<br />
già estinta e che ciò che aleggia nell’aria<br />
non è nient’altro che la sua ombra, l’ombra<br />
di Kakemusha … Eppure sono persuaso che<br />
proprio qui, davanti ad un portone chiuso,<br />
ci sia ancora qualcosa da imparare. L’uomo<br />
occidentale ha, da tempo, lasciato la terra e<br />
preso il largo, nel mare aperto senza limiti e<br />
confini. Con la sua carta di credito può raggiungere<br />
qualsiasi angolo del pianeta, può<br />
comprare titoli nei più disparati mercati, beni<br />
di ogni genere su tutte le piazze del mondo,<br />
ma non può entrare nel monastero di<br />
Serra San Bruno. Qui non c’è moneta, non<br />
c’è scambio, non c’è negozio. Qui le relazioni<br />
si danno gratuitamente secondo il giogo<br />
dolce di Cristo e si custodiscono e difendono<br />
attraverso un confine ben definito e marcato<br />
da alte e spesse mura.<br />
La situazione, i luoghi, lo spazio mi rimandano<br />
a quanto avevo letto una volta sul<br />
Nomos della Terra di Carl Schmitt:<br />
“In principio sta il recinto. Recinto, recinzione,<br />
confine determinano profondamente nei<br />
suoi concetti il mondo formato dagli uomini.<br />
La recinzione è ciò che produce il luogo Sacro<br />
sottraendolo al consueto, sottoponendolo<br />
alla sua propria legge, consegnandolo al Divino”.<br />
Questa immagine mi aveva così profondamente<br />
impressionato da averla assunta a<br />
coronamento del mio matrimonio. In fondo<br />
anche questa è una vocazione! A proposito<br />
di rito nuziale mi aveva colpito, tempo fa,<br />
vedere ad Atene due coniugi ortodossi infrangere<br />
i loro calici dopo aver bevuto l’uno<br />
nell’altro, ciò perchè nessuno vi potesse più<br />
bere … Cingere i fianchi, tracciare un cerchio,<br />
definire, delimitare, significa in qualche<br />
modo dare forma all’informe, appartenere,<br />
radicarsi, scegliere la terra. Dopotutto<br />
il mare non ha carattere, dice Schmitt, parola<br />
che deriva dal greco charassein, che significa,<br />
appunto, scavare, incidere, imprimere.<br />
“Nel mare non è possibile seminare e neanche<br />
scavare linee nette. Le navi che solcano il mare<br />
non lasciano dietro di sé nessuna traccia.<br />
Sulle onde tutto è onda.”<br />
L'OMO SALVATICO<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 664
| ( 5 ) |<br />
a Aborto, luogo dell'annientamento<br />
della vita, dell'identità maschile<br />
e della paternità.<br />
DI CESARE BRIVIO<br />
Come è possibile che noi maschi occidentali<br />
abbiamo accettato che fosse dichiarata,<br />
per legge non esistente, su volontà della<br />
donna, la persona chiamata alla vita da un<br />
rapporto tra noi e la nostra donna, che fosse<br />
dichiarato non esistente il nostro ruolo di<br />
concreatori, non esistente il nostro diritto di<br />
essere maschi e padri innamorati e compagni<br />
di una persona da noi concepita<br />
Come è possibile che accettiamo di vivere<br />
in uno Stato nel quale per legge non è rivendicabile,<br />
non è difendibile il rapporto tra<br />
noi e il figlio da noi concepito Non è forse<br />
questo il più grave fra gli innumerevoli atti<br />
vigliacchi di abdicazione di noi maschi occidentali,<br />
abdicazioni che sono a fondamento<br />
della nostra sempre maggiore difficoltà a far<br />
emergere dal profondo il volto dei padri e<br />
dei maschi che ci hanno preceduto, il nostro<br />
volto.<br />
Sono volti che affiorano infatti nella stima,<br />
nel rispetto e nella considerazione di sé.<br />
Quale stima infatti possiamo avere di noi,<br />
avendo concesso alla donna, senza peraltro<br />
averne noi il potere, il diritto di uccidere i<br />
nostri figli, e come si poteva pensare che<br />
questo non si traducesse nella dichiarazione<br />
di fatto della nullità del nostro rapporto con<br />
la vita, del nostro amore per la vita, della<br />
nostra paternità sulla vita<br />
Senza l' affiorare di questi volti, senza la<br />
tenerezza, e la forza, e la giustizia e la consolazione<br />
e l'abbandono e la gioia, unica<br />
possibile, connessa alla intimità con loro,<br />
che cosa potremo mai avere che valga questa<br />
rinuncia, chi mai potremo essere che valga<br />
la pena di essere<br />
Siamo diventati i più poveri della Terra,<br />
che non sono quelli che non hanno da mangiare<br />
o da bere bensì quelli che non hanno<br />
nemmeno l'identità, nemmeno cioè la possibilità<br />
di dirsi chi è che ha fame e sete.<br />
Di questa estrema povertà dobbiamo renderci<br />
consapevoli, di questa ricchezza dobbiamo<br />
avere il coraggio di farci mendicanti!<br />
Come può non esserci, infatti, nel nostro<br />
sguardo sul figlio, fin da subito la consapevolezza<br />
di questa tremenda negazione di noi<br />
e del padre e la percezione di una storia affettiva<br />
che inizia a partire da un' irrimediabile<br />
perdita, da un lutto non elaborabile come<br />
quello di un giudizio di morte possibile,<br />
e tuttavia non avvenuto, giudizio di morte<br />
per opporci al quale nulla avremmo potuto<br />
fare, potere insindacabile riconosciuto alla<br />
donna, per di più come diritto!<br />
E nostro figlio come guarderà a noi<br />
quando saprà che siamo stati nella condizione<br />
di imbelli davanti alla sua vita e che il<br />
nostro amore non aveva la forza e il potere<br />
di chiedere ed ottenere la sua vita se la madre<br />
avesse deciso il contrario<br />
In una bellissima canzone di Eric Clapton<br />
si dice "il ponte è spezzato, l'edificio<br />
senza fondamento è crollato" e questo perché<br />
suo padre se ne è andato da casa, ma noi<br />
maschi occidentali, dichiarando res nullius il<br />
concepito quale ponte abbiamo spezzato e<br />
quali fondamenta abbiamo sbriciolato con<br />
criminale leggerezzaSi può essere davvero<br />
maschi e padri infatti se si è accettato che il<br />
proprio figlio nasca nella condizione di chi<br />
è sfuggito ad una decisione di morte connessa<br />
a un diritto della nostra donna di ucciderlo<br />
Quale forza istintiva maschile potremo<br />
mai trasmettere a nostro figlio quando ci avvieremo<br />
lungo le strade del profondo per<br />
26 ottobre 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
realizzare quel tipo di incontro che determina<br />
il destino e l'identità queste sono<br />
strade infatti che si possono percorrere con<br />
certezze istintive del tutto integre e indivise,<br />
e non<br />
latori di missive di grazia dalla morte per<br />
interposta persona.<br />
Siamo sicuri che in queste condizioni<br />
l'incontro potrà dunque avvenire comunque<br />
e nello stesso identico modo e che nel profondo<br />
non finiremo per incontrare ostacoli<br />
nuovi e inconsueti per cui al momento dell'incontro<br />
non corriamo il rischio di fermarci<br />
come cavalli imbizzarriti davanti ad<br />
un terrore e ad uno sconforto oscuri e invincibili<br />
Non è forse sintomatico che fra tutti i<br />
luoghi della coscienza maschile questo luogo<br />
è oggetto di una rimozione totale Questo<br />
luogo della morte, costruito e promosso<br />
proprio da noi, poi festeggiato nelle piazze,<br />
poi definito nei testi di legge e poi eletto<br />
nelle cliniche e poi imposto nella psiche<br />
maschile e femminile e poi scavato nei corpi<br />
di donna e poi inflitto alle nuove vite e infine<br />
accettato dalla coscienza, questo luogo<br />
dove dare la morte, ovvero negare la vita, è<br />
un diritto della donna e che chiunque oggi<br />
nasca deve attraversare, è davvero senza<br />
conseguenze profonde sulla nostra identità<br />
maschile sulla nostra capacità di essere padri<br />
È credibile pensare questo per un essere<br />
che vive di simboli come l'essere umano<br />
CESARE BRIVIO<br />
a Specismo.<br />
DI FABIO BROTTO<br />
Fonte: Brotture, 3 settembre <strong>2011.</strong><br />
“<strong>Il</strong> bosco, dentro il quale vivano anche specie<br />
animali inconciliate con noi, è più naturale e<br />
più vitale, perché amplia il concetto di vita e<br />
di natura. Anche gli animali hanno un progetto<br />
di vita e mirano a realizzarlo. Anzitutto,<br />
cercano ciò che gli fa piacere ed evitano ciò<br />
che gli dà dolore. In secondo luogo, mirano a<br />
riprodursi. Se un’altra specie vivente si attribuisce<br />
il diritto di stroncare questi progetti,<br />
stabilisce di fatto una graduatoria fra le specie,<br />
non molto diversa dalla graduatoria fra le<br />
razze, di recente memoria. Non sarà razzismo,<br />
ma è specismo.”<br />
Queste parole sono di Ferdinando Camon<br />
(La Stampa 20 agosto 2011). <strong>Il</strong> discorso, se<br />
lo analizziamo attentamente, fa acqua da<br />
tutte le parti, e il concetto stesso di specismo<br />
appare infondabile.<br />
“Anche gli animali hanno un progetto di vita<br />
e mirano a realizzarlo”.<br />
Non è vero. Qui ci troviamo di fronte al<br />
solito antropomorfismo, alla proiezione<br />
dell’umanità su ciò che sta al di fuori di essa.<br />
In fondo, si tratta di qualcosa di infantile,<br />
che ritorna riverniciato di scientificità: il<br />
bambino attribuisce una intenzione umana<br />
ad animali e cose. Così, nel nostro tempo di<br />
maturità mai raggiunta, di adolescenza indefinita,<br />
di bambini-adulti e adulti-bambini,<br />
gli animali sono percepiti come quasi-umani.<br />
L’animale non ha un progetto di vita, che<br />
è una rappresentazione di possibilità future<br />
differenti, tra cui uno sceglie quella che<br />
preferisce, e poi lotta per conseguire la sua<br />
meta: io farò il medico, tu farai il soldato,<br />
lei farà l’avvocato, ecc. Progetti che possono<br />
riuscire o fallire. Una volpe non ha un progetto<br />
di vita. Vivrà cacciando e mangiando<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 664
| ( 7 ) |<br />
altri animali, integrando la dieta con bacche<br />
e frutti, da buon canide selvaggio, si accoppierà<br />
e riprodurrà secondo quanto le impone<br />
il suo dna. Non si porrà mai il problema<br />
se sia il caso di passare ad una dieta vegetariana<br />
né si sentirà colpevole per aver scannato<br />
un coniglio. E nemmeno potrà un<br />
giorno pensare: che sfortunata, il mio progetto<br />
di vita è fallito! <strong>Il</strong> progetto di vita implica<br />
la rappresentazione, che è una caratteristica<br />
soltanto umana, e che fonda la libertà<br />
(che a sua volta è una rappresentazione).<br />
“Se un’altra specie vivente si attribuisce il diritto<br />
di stroncare questi progetti …”<br />
Ma anzitutto occorrerebbe specificare se<br />
si parla del progetto di un singolo individuo o<br />
di quello dell’intera specie. Perché se una<br />
volpe uccide una gallina, rimanendo nella<br />
terminologia camoniana, essa interromperà<br />
il progetto di vita di quella singola gallina,<br />
non altrimenti da come un assassino che mi<br />
uccidesse interromperebbe il mio progetto<br />
di vita. Non certo quello dei polli come specie.<br />
Ma gli umani hanno modificato profondamente<br />
e interrotto anche drasticamente<br />
molti progetti di vita di intere specie. Per<br />
esempio: qual era il progetto della specie bovina<br />
da cui derivano le vacche ridotte a fabbriche<br />
di latte, che vivono in pochi metri<br />
quadrati, nutrite di mangimi a base di mais,<br />
del tutto innaturali Ma tutti quelli che si<br />
scandalizzano della sorte funesta dell’orso<br />
fucilato non dicono una parola sui lager dove<br />
vivono le mucche, e si bevono il loro bicchiere<br />
di latte e mangiano il loro stracchino.<br />
“… stabilisce di fatto una graduatoria fra le<br />
specie, non molto diversa dalla graduatoria<br />
fra le razze, di recente memoria.”<br />
Quindi l’allevatore di vacche o polli, il<br />
macellaio, per non dire il cacciatore, sarebbero<br />
assimilabili ai nazisti. Non so se Camon,<br />
solitamente acuto, abbia adeguatamente<br />
riflettuto sulla portata delle sue parole.<br />
Temo di no, del resto oggi si parla e scrive<br />
molto pensando relativamente poco. Allora<br />
i predatori naturali, le volpi e i lupi, le<br />
aquile e i leoni, sarebbero specisti Ogni gerarchia<br />
è assimilabile al razzismo O lo specismo<br />
apparterrebbe invece soltanto all’unica<br />
specie che possiede rappresentazione e<br />
cultura, cioè a quella umana Chiaramente,<br />
Camon pensa che lo specismo sia solo umano,<br />
ma non si accorge che l’unicità, che anche<br />
in questo modo viene affermata come<br />
propria della nostra specie, fonda la differenza<br />
radicale dall’animale, e rende lo specismo<br />
stesso un arnese concettualmente inutilizzabile,<br />
un pleonasmo che non spiega<br />
nulla, e che serve soltanto come espressione<br />
del senso di colpa occidentale, inizialmente<br />
legato alla Shoah e alla colonizzazione, poi<br />
esteso ad ogni forma di rapporto tra umano<br />
e natura (anch’essa peraltro una rappresentazione<br />
degli umani).<br />
FABIO BROTTO<br />
26 ottobre 2011 Anno XI
| ( 8 ) |<br />
LA RIMA<br />
A<br />
LDA, se luce ed armonia consenta<br />
alle mie rime dolcemente Amore,<br />
sarete forse voi l’unico fiore<br />
che fiorirà di tutta la sementa.<br />
Voi m’appariste, quando le fontane<br />
del canto, in me, tacevano riarse;<br />
e i miei pensieri, come foglie sparse,<br />
cadevan lenti sulle carte vane.<br />
Veniste lieve, come un’alba, d’onde<br />
vengono i sogni, e, nella bella mano<br />
bianca, recaste un dolce melograno<br />
a dissetar le labbra sitibonde.<br />
Trasse la bocca avidamente a suggere<br />
quel divin mèle granulo e scarlatto;<br />
e l’arte mia, già timida, d’un tratto,<br />
si mosse per creare e distruggere.<br />
Alte canzoni allor batteron l’ali,<br />
per tutti i cieli, melodiose, errando;<br />
e nel mio nuovo spirto, alleluiando,<br />
molte passâr visioni trionfali.<br />
Ma più perfetto e nobile lavoro,<br />
se la mia rima a voi grave non suona,<br />
vi sacrerò, foggiando una corona<br />
di fiorentini fiordalisi d’oro.<br />
LA CORONA<br />
di<br />
DOMENICO GIULIOTTI<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 664
A<br />
B<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
N°665<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
3 NOVEMBRE 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
F A N T A S I A L O N G O B A R D A<br />
DI RODOLFO CAROSELLI, CHIARA PALUMBO E GABRIELLA ROUF.<br />
Q<br />
In prima pagina l'invito di Gabriella Rouf ad un<br />
viaggio, immaginario e non, nei luoghi della memoria<br />
della regina longobarda Teodolinda, è anche l’occasione<br />
per l’incontro con una poliedrica figura di artista, Lodovico<br />
Pogliaghi (1857-1950), le cui tavole “longobarde”<br />
fondono elementi realistici e documentari in un’affascinante<br />
visionarietà. Di Pogliaghi, che ha lasciato<br />
numerose ed importanti opere, ed immagini assai note<br />
(dal Cristo dell’Università Cattolica di Milano, al<br />
drammaticissimo “La morte di Giovanni Maria Visconti”<br />
dell’Accademia di Brera) ci parla a pagina 5<br />
Chiara Palumbo, la persona più competente a farlo, che<br />
ci rassicura di un interesse crescente intorno all’artista.<br />
A sua cura gli è completamente dedicato l’ottimo sito<br />
MILANO<br />
Dal 26.10 al 23.12.<strong>2011.</strong><br />
Una mostra alla Compagnia del<br />
Disegno, Via Santa Maria Valle 5.<br />
LODOVICO POGLIAGHI PER MILANO.<br />
LA GENESI DELLE SUE OPERE.<br />
Mostra e catalogo a cura di Chiara Palumbo.<br />
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Orari: dal martedi al venerdi, dalle<br />
10 alle 12.30 e dalle 16 alle<br />
19.30; sabato su<br />
appuntamento.<br />
www.lodovicopogliaghi.it, che comprende tutte le notizie<br />
relative alla biografia e alle opere.<br />
La suggestione fantastica dell’epopea longobarda<br />
anima, in settima pagina, il poemetto di Rodolfo<br />
Caroselli, in presa diretta dai tempi di Alboino: un<br />
dialogo – oggi si direbbe «interetnico» – in cui l’abile<br />
contadino italico non fa la figura del «volgo disperso che<br />
nome non ha». (red.)<br />
†‡·•‡·•‡‚<br />
„ ”<br />
I Vale il viaggio<br />
» …<br />
Le corone delle Regine.<br />
„ ”<br />
‰`ˆ¿´`´¿ˆ`˜<br />
DI GABRIELLA ROUF<br />
La diffusione del cristianesimo nell’impero<br />
romano, la conversione realizzatasi per capillarità,<br />
penetrazione e trasmissione, può riferirsi<br />
anche all’azione, pervasiva e consapevole, delle<br />
donne: nell’ambito della famiglia (gens), nell’educazione,<br />
nelle piccole comunità domestiche<br />
divenute chiese domestiche, ma anche nelle<br />
forme di una mediazione culturale esercitata da<br />
personalità influenti e autorevoli. 1<br />
Un’altra fase decisiva e delicata, in cui si ripresenta<br />
tale riconoscibile mediazione cultura-<br />
1 La critica biblica femminista sembra paradossalmente cieca di<br />
fronte a questa realtà incontrovertibile per dimensioni ed efficacia,<br />
andando invece in cerca delle tracce di un sacerdozio femminile<br />
individuale (v. E. Schussler Fiorenza, In memoria di lei, Claudiana<br />
ed. 1990).<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
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<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />
minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />
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Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
le, questa volta attraverso figure-simbolo, è<br />
quella della conquista al cristianesimo delle tribù<br />
barbariche: le antiche cronache si concentrano<br />
intorno a personalità eccezionali, in un<br />
alone leggendario, come nel caso della regina<br />
Teodolinda (570-627), collaboratrice di San<br />
Gregorio Magno nella decisiva conversione dei<br />
Longobardi al cattolicesimo. Si attribuisce infatti<br />
alla regina la capacità e il merito di aver<br />
imposto attraverso il prestigio dinastico e la<br />
forza della sua personalità, una nuova identità<br />
culturale all’ideologia guerriera delle tribù nordiche.<br />
Questa vittoria pacifica fu trasformata,<br />
dalle mani stesse della regina, in offerta ad una<br />
superiore regalità: le corone e il tesoro, patrimonio<br />
e gloria del Duomo di Monza.<br />
Oscilla nella storiografia la stella longobarda<br />
2 , dalle accensioni romantiche per le giovani<br />
stirpi emerse dalle selve germaniche, all’esclusivismo<br />
del retaggio romano/cristiano, ad una<br />
considerazione forse più equanime, ma che si<br />
frantuma e si raffredda in segmenti specialistici,<br />
tal che una nebbia cala di nuovo sul passato, e<br />
così finiscono per essere le tradizioni e le leggende<br />
a conservarne una verità più umana.<br />
Immaginiamo un’epoca tra le più dure e terribili<br />
della storia italiana, in cui vennero a maturazione<br />
importanti elementi identitari, tra<br />
componenti gravemente conflittuali; il momento<br />
in cui la Chiesa conserva e trasmette il patrimonio<br />
culturale, spirituale, istituzionale della<br />
civiltà romana, operando con realismo nei confronti<br />
dei barbari invasori. E dove però nello<br />
stesso tempo, è proprio l’Italia il laboratorio<br />
ove conflitti, ricomposizioni, alleanze, si giocano<br />
e si concertano, producendo una frammentazione<br />
politica che non sarà più ricomponibile.<br />
Nella Chiesa, all’epoca della dominazione<br />
longobarda, si fa riferimento a figure di altissimo<br />
prestigio e complessa operatività: al papa S.<br />
Gregorio Magno e al monaco irlandese S. Co-<br />
2 Rinnovata luce le viene dall’iscrizione (giugno 2011) nella Lista<br />
del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO di 7 siti italiani con<br />
significative vestigia architettoniche longobarde. Vedi il sito<br />
www.italialangobardorum.it che opportunamente propone itinerari<br />
di visita, a cui va integrato il Duomo di Monza e il suo Tesoro.<br />
lombano, con i quali collabora (e la bella leggenda<br />
dice il vero) la Regina Teodolinda, fiduciaria<br />
di S. Gregorio, cofondatrice del monastero<br />
di Bobbio, modello di una regalità istituzionale,<br />
non più legata alla fara e alle insanguinate<br />
alternanze di capi guerrieri.<br />
Teodolinda è bavara, e porta alla dinastia<br />
longobarda un prestigio comparabile alla regalità<br />
bizantina, una simbologia istituzionale più<br />
matura. La sposa di Autari “edifica", rende stabile,<br />
con la fondazione della reggia di Monza<br />
che affianca quella di Pavia, un’immagine regale<br />
non oscillante sulle punte delle spade, negli<br />
accampamenti nomadi, nelle terre desolate degl’incolti<br />
e dei pascoli, ma da subito corredata<br />
di sacralità: la cappella palatina, il tesoro del<br />
tempio, le corone preziose appese sopra gli altari.<br />
La fondazione e la dotazione di Bobbio promuove<br />
altresì il patrimonio culturale e l’operosità<br />
sul territorio.<br />
La leggenda di Teodolinda si basa perciò su<br />
dati storici ben saldi, sulla pietra, sull’oro, sulle<br />
LodovicoPogliaghi. Incontro di<br />
Autari con Teodolinda.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 665
| ( 3 ) |<br />
terre messe a frutto, nella luce aurorale di una<br />
nuova epoca, anche se di fatto saranno i Franchi<br />
e Carlo Magno a segnare il punto di arrivo<br />
del processo istituzionale universalistico: ma a<br />
questo punto l’integrazione delle popolazioni è<br />
avvenuta, le stirpi regali e ducali longobarde<br />
(tranne a Benevento) scompaiono dalla storia,<br />
il flusso culturale confluisce nella rinascenza<br />
carolingia.<br />
Le trasformazioni ambientali ed architettoniche,<br />
oltre a distruzioni e spoliazioni, hanno<br />
allontanato più del dovuto nel tempo la complessa<br />
realtà di quell’epoca, di cui scarse sono le<br />
cronache e fonti documentarie 3 . Ci è giunto,<br />
pur gravemente diminuito, il fulcro splendente<br />
del tesoro di Teodolinda, e ad esso collegata, la<br />
Corona Ferrea, simbolo così suggestivo da traversare<br />
la storia fino al ‘900.<br />
Grande splendore avrà certo la Cappella di<br />
Teodolinda nel Duomo di Monza 4 a conclusione<br />
dei restauri in corso. Nonostante l’ingombro<br />
dei ponteggi, si può accedere tuttora alla vista<br />
della Corona ferrea, conservata nell’altare centrale<br />
della cappella. Questa specie di rito è<br />
commovente, perché la corona è tratta e mostrata,<br />
con apertura di sportellini, chiavette, da<br />
una ragazza in divisa, gentilissima, competente<br />
e compunta. Eppure come non sentire un’ironia,<br />
in questo prosaico esporre, a visitatori talvolta<br />
inconsapevoli, ma che “vogliono vedere<br />
da vicino” un oggetto così carico di storia e di<br />
un valore simbolico a pochi altri comparabile!<br />
<strong>Il</strong> chiodo della Croce! La sovranità sacra e<br />
mondana! <strong>Il</strong> Regno d’Italia, lascito grandioso e<br />
denso di mistero di una tradizione di cultura, di<br />
fede, di storia! La Corona Ferrea!<br />
Nel Tesoro del Duomo un’altra corona, uni-<br />
3 La fonte principale è Paolo Diacono (720-789), longobardo,<br />
che scrive già ai tempi di Carlo Magno, collocando la sua Historia<br />
langobardorum (787-789) nella prospettiva mitica e gloriosa della<br />
sua stirpe sconfitta.<br />
4 Purtroppo la piazza del Duomo di Monza, è incredibilmente<br />
deturpata da un bistrot “concettuale”, nel senso che solo il fatto<br />
che tale si definisca lo fa essere tale, dato che l’aspetto è quello di<br />
un deposito di imballaggi o di un cantiere dismesso. L’abitudine<br />
alla bruttezza non è mai ininfluente. Nel nuovo Museo del Duomo<br />
ce lo ricordano un’incongrua vistosa scala “d’autore” e un’opera<br />
sgargiante di Mimmo Paladino.<br />
ca superstite del complesso di corone votive offerte<br />
da Teodolinda, risplende accanto ai doni<br />
preziosi di oro e gemme fatti raccogliere nel<br />
mondo dalla regina per glorificare la nuova<br />
Cattedrale, ma anche ad oggetti semplici, di<br />
rozza fattura: dalle fiale con l’olio delle catacombe<br />
dei martiri, a certe borsine in foglia di<br />
palma così antiche da autorizzare la credenza<br />
— o il sogno — che appartenessero agli Apostoli!<br />
O Regine! O corone!<br />
In realtà la leggenda devota di Teodolinda<br />
giunge a noi da un varco di più di 1400 anni<br />
poggiando su una fioritura intermedia, che le dà<br />
un volto più manierato 5 , e rischia di lasciare<br />
sullo sfondo le figure gigantesche e drammatiche<br />
degli inizi: sono gli anni del dominio dei<br />
Visconti, che fanno di Monza un centro strategico,<br />
rilanciando il prestigio della città e della<br />
sua Basilica. <strong>Il</strong> Duomo di S. Giovanni, in cui<br />
nel 1300, anno giubilare, vengono rinvenute (a<br />
seguito dell’apparizione in sogno di S. Elisabet-<br />
Lodovico Pogliaghi. Battesimo di Agilolfo.<br />
5 Ma per me il volto di Teodolinda è Elisa Cegani ne La corona<br />
di ferro di Blasetti...<br />
3 novembre 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
ta e di Teodolinda ad un sacerdote) le preziose<br />
reliquie del Battista, viene ricostruito completamente<br />
ed ampliato, come sede legittima dell’incoronazione<br />
dei re d’Italia. A conclusione di<br />
questa fase, dal 1440 al 1446 i fratelli Zavattari<br />
realizzano la Cappella di Teodolinda, in onore<br />
della fondatrice del tempio originario, ma evocando<br />
in immagini eleganti e di tono profano,<br />
gli splendori di corte e le vicende dinastiche dei<br />
Visconti stessi. Le 45 scene ripercorrono i fatti<br />
della vita della regina, evidenziandone il ruolo<br />
ispirato e pacificatore, nonché di devota mecenate<br />
della Basilica, con l’offerta del tesoro e<br />
della Corona Ferrea. La presenza del sepolcro<br />
della regina riattiva intorno ad essa una tradizione<br />
e quasi un alone di santità, tanto che la<br />
cappella con i suoi affreschi tardogotici non è<br />
coinvolta nella ristrutturazione barocca degli<br />
interni, e a fine '800 Luca Beltrami ne cura un<br />
restauro con rifacimenti in neogotico.<br />
La memoria della regina passa indenne tra le<br />
tempeste della storia (non il tesoro del Duomo,<br />
depredato da Napoleone) e nel XIX secolo, il<br />
principe — poi re — Massimiliano di Baviera,<br />
nei rifacimenti del castello di Hohenschwangau,<br />
fa realizzare dal pittore Moritz von Schwind<br />
un ciclo di affreschi con gli episodi della<br />
vita di Teodolinda, celebrandone l’origine bavarese<br />
e accentuando i toni eroici dell’epopea<br />
longobarda.<br />
La prospettiva storica appiattisce nel tempo i<br />
fatti e i protagonisti in immagini simbolo: in una<br />
delle sculture nelle guglie della facciata, realizzate<br />
ai primi del ‘900, Teodolinda è rappresentata<br />
nell’atto di donare il Duomo, però<br />
nella sua forma architettonica trecentesca. Certo<br />
la figura di Teodolinda presenta una ricchezza<br />
di motivi — il prestigio culturale, l’autorevolezza<br />
nella famiglia, la fede fervida e operante,<br />
la capacità mediatrice e di realizzazioni — da<br />
testimoniare di una specifica presenza femminile<br />
nella storia, soprattutto in epoche di crisi. 6<br />
All’estremo della penisola, Monte Sant’Angelo<br />
sul Gargano conserva le vestigia della devozione<br />
longobarda all’Arcangelo Michele, assunto<br />
per la sua immagine fiera a Santo protettore<br />
del ducato longobardo di Benevento.<br />
L’antichissimo Santuario porta nella roccia<br />
delle grotte le epigrafi dei duchi, ma anche i<br />
graffiti dei devoti provenienti da tutta Europa;<br />
e proprio rivolgendosi al pellegrino giunto al<br />
lontano santuario pugliese, Paolo Diacono scrive<br />
nell’epitaffio di Ansa, un’altra regina longobarda<br />
della dinastia di Pavia: “non avrai da temere<br />
né le frecce dei predoni, né le nubi della<br />
notte oscura: per te ella ha fatto approntare<br />
spaziosi ricoveri e cibo”.<br />
Assorbiti dopo due secoli nel grande fiume<br />
della storia, i longobardi sono legati alle radici<br />
cristiane dell’Europa: scomparsi i loro palazzi e<br />
fortezze, ne resta un lascito di luoghi santi, di<br />
memorie e leggende devote, in misteriose corrispondenze<br />
lungo il cammino di San Colombano,<br />
da Mont Saint Michel, a Bobbio, fino a<br />
Monte sant’Angelo. (G.R.)<br />
Lodovico Pogliaghi. Rotari promulga la legge<br />
longobarda dalla cattedrale di Pavia.<br />
6 Sempre nel giugno 2011, su proposta del Club UNESCO di<br />
Monza, Teodolinda è stata proclamata Regina testimone di pace.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 665
| ( 5 ) |<br />
a Lodovico Pogliaghi illustratore:<br />
la Storia d’Italia.<br />
DI CHIARA PALUMBO<br />
Verso la fine della seconda metà dell’Ottocento,<br />
il giovane Lodovico Pogliaghi, avendo<br />
già avuto buone affermazioni in opere a soggetto<br />
religioso, fu incaricato dalla casa editrice<br />
Fratelli Treves di un’opera di grande impegno:<br />
l’illustrazione della colossale collana della Storia<br />
d’Italia: l’intero prodotto editoriale fu curato<br />
da Francesco Bertolini e aveva l’ambizioso<br />
obiettivo di ripercorrere, in un equilibrato connubio<br />
di testo e immagini, l’intero percorso storico<br />
e identificativo della patria italiana.<br />
<strong>Il</strong> primo tomo, intitolato Storia di Roma dalle<br />
origini italiche sino alla caduta dell’Impero di<br />
Occidente fu pubblicato nel 1886, seguito nel<br />
1892 da <strong>Il</strong> Medioevo, dalla Storia del Rinascimento<br />
edito nel 1897 per terminare con <strong>Il</strong> Settecento<br />
e <strong>Il</strong> primo Regno d’Italia pubblicato nel<br />
1913. A completare cronologicamente il quadro<br />
si aggiunse la Storia del Risorgimento Italiano,<br />
illustrata con 97 tavole da Edoardo Matania e<br />
pubblicata nel 1889.<br />
L’artista ideò più di 350 tavole a cui si aggiungono<br />
i capilettera e i frontespizi dell’ultimo<br />
volume; il tutto realizzato in una gradazione<br />
cromatica dal nero al grigio, che si accende di<br />
particolari e sfumature bianche. Tale tavolozza<br />
tonale fu scelta in quanto fin dall’inizio le illustrazioni<br />
furono concepite per una loro successiva<br />
traduzione xilografica, che in realtà trovò<br />
piena attuazione solo nei primi due tomi, in<br />
quanto il Rinascimento vide l’inserimento di alcune<br />
tavole a illustrazione miste a incisioni e<br />
l’ultimo volume fu dedicato completamente alle<br />
riproduzioni pittoriche dell’artista senza la successiva<br />
trasformazione grafica.<br />
La familiarità che l’artista aveva nei confronti<br />
del disegno, la madre di tutte le arti, gli<br />
permise di cimentarsi nell’illustrazione, che sarà<br />
di fatto la forma artistica a lui maggiormente<br />
congeniale e alla quale continuerà a dedicarsi<br />
nel corso di tutta la sua longeva carriera, realizzando<br />
in essa l’elevata e rigorosa qualità artistica<br />
e la scrupolosa ricerca a carattere storico-filologico<br />
e documentario. Sono ancora tutti da<br />
indagare i numerosi riferimenti iconografici che<br />
costellano ciascuna tavola e che denotano una<br />
cura quasi maniacale con la quale l’artista affrontava<br />
ogni singola rappresentazione pittorica.<br />
Ciascun evento illustrato aveva sempre alle<br />
spalle un’indagine approfondita sia a carattere<br />
prettamente storico, per mezzo della consultazione<br />
di testi e manuali, sia diretto, attraverso la<br />
visita dei luoghi stessi che avrebbero dovuto essere<br />
rappresentati in qualità di quinta scenografica<br />
agli avvenimenti narrati. Ad arricchire tali<br />
conoscenze Pogliaghi affiancava lo studio di<br />
“accessori”, elementi solo apparentemente secondari,<br />
ma che in realtà avrebbero animato la<br />
scena di particolari che avrebbero contestualizzato<br />
e donato veridicità all’illustrazione; per<br />
questo motivo non mancano palesi riferimenti a<br />
reperti archeologici, oggetti artistici o di abbigliamento,<br />
copiati dal vero presso musei e raccolte<br />
civiche in Italia e all’estero, o facenti parte<br />
della sua variegata e curiosa collezione.<br />
Nel corso degli anni l’artista andò costruendosi<br />
un prezioso e quanto mai corposo vocabolario<br />
iconografico, che soprattutto nei primi<br />
due volumi dedicati alla storia di Roma e al<br />
Medioevo trovò il suo pieno utilizzo.<br />
CHIARA PALUMBO<br />
U<br />
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />
. Pogliaghi al lavoro: un esempio.<br />
Sullo scorcio del 572 o sul principiare dell’anno<br />
seguente, Pavia finalmente si arrese. Narra Paolo<br />
Diacono, che mentre Alboino stava entrando in<br />
città per la porta di San Giovanni, il cavallo gli si<br />
impennò e stramazzò al suolo. Invano aizzava egli<br />
la bestia cogli sproni per farla alzare; essa non si<br />
muoveva. Allora un Longobardo gli rammentò il<br />
voto fatto durante l’assedio, che avrebbe, cioè, pas-<br />
3 novembre 2011 Anno XI
sato a fil di spada tutti i cittadini. Alboino revocò il<br />
voto, e il cavallo per impulso proprio si alzò e portò<br />
il re dentro la città. (Storia d’Italia - “<strong>Il</strong> Medio<br />
Evo”, pag. 168)<br />
| ( 6 ) |<br />
Lodovico Pogliaghi. L’ingresso di Alboino a Pavia.<br />
Tavola originale.<br />
Tra le illustrazioni maggiormente riuscite del<br />
secondo tomo, vi è certamente quella raffigurante<br />
L’ingresso di Alboino a Pavia, che immortala l’abile<br />
condottiero re dei Longobardi che riuscì a conquistare<br />
gran parte della penisola italiana e a guadagnarsi<br />
un ruolo di riguardo nella Historia Langobardorum<br />
di Paolo Diacono. L’opera di Pogliaghi<br />
traduce alla lettera la vicenda narrata dallo<br />
storico Francesco Bertolini, con un punto di vista<br />
alquanto studiato ed efficace che vede nella figura<br />
del prode comandante in sella al suo destriero il<br />
fulcro di tutta la composizione. Pogliaghi ci rende<br />
spettatori privilegiati tra la folla e testimoni dell’evento,<br />
collocandoci idealmente in prima fila di<br />
fronte alla scena, in posizione leggermente laterale,<br />
così da poter ammirare l’impennata del nero cavallo<br />
del leggendario Alboino in tutta la sua irruenza.<br />
La prospettiva e l’inquadratura conferiscono<br />
dinamicità alla scena: il punto di fuga, relativamente<br />
basso che ha il suo centro nella parte inferiore<br />
dell’arco d’ingresso dove si ammassano i soldati<br />
e dove si affastellano le lunghe lance, ben suggerisce<br />
l’idea di movimento, sottolineata da alcune<br />
“comparse” ritratte parzialmente che sembrano<br />
quindi uscire dal nostro campo visivo e proseguire<br />
in uno spazio immaginario. A suggerire la veridicità<br />
del fatto narrato sono alcuni particolari a carattere<br />
prettamente popolare: la donna accovacciata<br />
che avvicina a sé il bimbo nel chiaro intento di proteggerlo<br />
e alcune figure di curiosi che si sporgono<br />
dalla finestra a seguire l’avvenimento.<br />
Un ultimo elemento importante è la perizia con<br />
la quale l’artista ha reso gli elmi e le armature di<br />
alcuni soldati, la ricca bardatura del cavallo, nonché<br />
le folte barbe e lunghi baffi che per tradizione<br />
venivano associati proprio al popolo barbaro.<br />
Paragonando la tavola originale con la relativa<br />
incisione xilografica balzano immediatamente all’occhio<br />
alcune differenze nella resa finale: difatti,<br />
nonostante la grande forza espressiva del segno<br />
grafico dei tanto acclamati e validi xilografi di casa<br />
Treves, non sempre questi si dimostrarono all’altezza<br />
delle bellissime creazioni plastiche di Lodovico<br />
Pogliaghi, che tra l’altro solitamente realizzava<br />
i suoi dipinti in dimensioni sensibilmente superiori<br />
rispetto alla misura con le quali sarebbero state<br />
riprodotti; elemento, questo, che ben suggerisce<br />
come l’artista considerasse ciascuna tavola opera<br />
pittorica a sé stante. (Chiara Palumbo)<br />
. Una stagione fruttuosa.<br />
Furono gli artisti stessi dell’800 a rammaricarsi<br />
talvolta della loro produzione “accademica”, lamentando<br />
la subordinazione dell’arte a finalità ritenute<br />
ad essa esterne, non presaghi degli amari<br />
frutti che all’arte stessa sarebbero venuti dall’albero<br />
della modernità, fecondato dal culto dell’artista,<br />
ma poi distorto e inaridito, nel giro di un secolo,<br />
a servire ben più liberticidi interessi. Tali opere,<br />
ove non in forma di affresco o integrate nel dècor<br />
di architetture d’epoca, sono finite in depositi o in<br />
reparti misconosciuti di musei d’arte moderna, come<br />
documentazione di un’epoca e di un gusto.<br />
Quelle in mano privata, in verità, continuano a far<br />
bella mostra nei salotti e presso gli antiquari.<br />
Un ripescaggio d’attualità ha avuto recented<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 665
| ( 7 ) |<br />
mente l’arte a soggetto risorgimentale, mentre via<br />
via si affacciano mostre monografiche locali, ogni<br />
volta occasione di scoperta di straordinari artisti,<br />
con il conseguente impaccio a collocarne l’opera in<br />
una storiografia costretta in un univoco sbocco<br />
“progressista”.<br />
La pittura definita “romanticismo storico”, annovera<br />
un’enorme quantità di artisti, e molti di alto<br />
livello, alcuni dei quali l’hanno esercitata in tutta<br />
la loro carriera, in alternanza a scene di genere,<br />
paesaggi, ritratti e soggetti religiosi, mostrando un<br />
dominio tecnico stupefacente, scrupolo di documentazione<br />
storica e vitalità fantastica, e realizzando<br />
spesso tutt’altro che “fredde esercitazioni<br />
accademiche”, bensì le scene di un melodramma<br />
sotto al quale sembra di udire l’orchestra. Territori<br />
di confine, ove l’arte si è espressa in contiguità con<br />
l’artigianato, l’illustrazione, la scenografia, e dove<br />
si può incontrare una visionarietà e una potenza<br />
fantastica che forse oggi è migrata nel cinema fantasy<br />
.<br />
L’ispirazione al medioevo e al Rinascimento<br />
delle corti, repertorio storico e favoloso inesauribile,<br />
ricorre spesso, come del resto nella letteratura<br />
e nell’opera lirica, con reciproci influssi ed intrecci,<br />
soprattutto nella ormai perduta arte dell’illustrazione.<br />
(Gabriella Rouf )<br />
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />
Z [<br />
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />
O. Alberti, La vita. Le opere. La casa. Le raccolte di<br />
Lodovico Pogliaghi, Milano, 1955.<br />
U. Nebbia, La vita e le opere, note critiche e biografiche,<br />
in “Lodovico Pogliaghi nella vita e nelle opere”, a cura<br />
del Comitato per le Onoranze “Fontes Ambrosiani”,<br />
XXXIII, (Studi in onore di Lodovico Pogliaghi), Milano,<br />
1959.<br />
F. Gualdoni, R. Prina, Lodovico Pogliaghi. L’accademia<br />
e l’invenzione, catalogo della mostra, ed. Lativa,<br />
Varese 1997.<br />
C. Palumbo, Lodovico Pogliaghi. Se si studiasse!, catalogo<br />
della mostra, Ed. Ghiggini, Varese, 2006.<br />
C. Palumbo, Studiando Lodovico Pogliaghi, catalogo<br />
della mostra, Ed. Ghiggini, Varese, 2007.<br />
a Dalla terra e dal sole (1996).<br />
DI RODOLFO CAROSELLI<br />
IL sole già sul mare si è levato,<br />
luce e calore manda ormai sui colli<br />
di questa terra che mi ha conquistato,<br />
di questa terra che mi ha fatto suo.<br />
E gli aurei raggi il verde già ravvivano<br />
degli acini superbi fra le foglie,<br />
chicchi fragranti, tondi e levigati,<br />
buoni custodi di quei raggi d'oro.<br />
Li serbano gelosi, anche se presto<br />
li doneranno all'aureo sacro liquido<br />
di terra e sole straordinario figlio,<br />
li doneranno lieti a quell'umore<br />
che gli uomini fa schietti e generosi,<br />
li doneranno lieti ed orgogliosi<br />
al forte e delicato nostro vino.<br />
Queste mie piante sono i miei gioielli,<br />
di Arichi, della fara di Grimaldo,<br />
sculdascio del gran duce di Spoleto.<br />
Seguii Alboino giù nella Romània,<br />
giovane imberbe ma già buona spada,<br />
bramavo l'oro e solo quella gloria<br />
con ferro, fuoco e sangue conquistata;<br />
Faraldo poi mi dette questo suolo,<br />
il duce Ariulfo me l'ha confermato.<br />
Io giunsi come un lupo sull'agnello,<br />
ebbro di birra e sidro, ottenebrato:<br />
volevo trarre tutto, di rapina,<br />
ciò che di buono c'era in queste valli<br />
in oro e argento ed in bestiame e donne.<br />
Presi e distrussi, estinsi e trucidai<br />
finché tutti i superstiti latini<br />
raccolti in cima ai monti del Piceno<br />
Arichi maledissero piangendo,<br />
Arichi, il biondo diavolo lombardo.<br />
In caccia di uno schiavo fuggitivo<br />
un giorno giunsi sopra a questo colle.<br />
Avida la mia turba d'arimanni<br />
3 novembre 2011 Anno XI
| ( 8 ) |<br />
si ristorò di grata uva carnosa<br />
e quando i ventri poi furono sazi<br />
di quella verde frutta deliziosa,<br />
prese a far strame dei suoi tronchi e tralci<br />
con spade e daghe lorde già di sangue.<br />
Infine s'accostò con una torcia<br />
per completare quel disfacimento<br />
un giovane guerriero sogghignante.<br />
“Ti prego," – disse – "fermalo, Signore!"<br />
un vecchio contadino di quel campo.<br />
“E perché mai" – io feci – “E se ti lego<br />
invece alle tue piante e ti ci brucio"<br />
“Signore, fallo, ma tu perdi il vino<br />
migliore che ci sia su questa terra.<br />
Da queste belle viti io lo traggo:<br />
un'anfora ne tengo alla capanna."<br />
Nella stamberga lo seguii curioso<br />
a bere un nettare color dell'oro<br />
che non avevo mai, fino ad allora,<br />
neppure vagamente concepito.<br />
Quel vino da quel giorno luminoso,<br />
prole miracolosa della terra,<br />
socio mi fu, ché io ne fui padrone<br />
non meno che custode e protettore.<br />
M'avea mostrato l'ingegnoso vecchio<br />
come il connubio di fatica umana,<br />
d'umano studio, di pazienza ed arte<br />
con la natura nei suoi frutti primi<br />
originasse il balsamo gioioso,<br />
bevanda, cibo e farmaco prezioso,<br />
ricordo sacro del divino sangue.<br />
Da allora non fui più l'antico uomo:<br />
io posi qui questa mia casa in pietra<br />
che in nome di Gesù fu benedetta,<br />
spingendo nell'oblio della memoria<br />
le tende ed i bivacchi fumiganti<br />
delle brumose piane di Pannonia,<br />
con le ordalie, le faide e il crudo Wotan<br />
massacrator divino nella guerra.<br />
Del duplice lavoro del mio fabbro<br />
non più la sola spada io pregiai<br />
ma il vomere con essa parimenti.<br />
I servi miei non furon più bestiame,<br />
ma uomini ad immagine di Cristo,<br />
che Arichi sanno rigido ma giusto,<br />
che la fatica loro sa e comprende.<br />
Né mi vergogno, nobile arimanno,<br />
con queste mani di trattar la terra<br />
crescendo ed educando le mie piante.<br />
O tu che sali al mio piceno colle,<br />
un posto troverai nella mia mensa,<br />
un calice d'argento lucidato<br />
e in esso fresco, forte e profumato,<br />
un teste franco d'ospitalità:<br />
rampollo biondo della verde vigna,<br />
che nella verità riunisce gli uomini,<br />
che il cor riscalda alle migliori imprese,<br />
amico, il vin dorato tu berrai<br />
del longobardo Arichi, lo sculdascio<br />
del grande Ariulfo, duce di Spoleto.<br />
Q<br />
Tempietto longobardo di Cividale nel Friuli (VIII/IX sec.)<br />
particolari scultorei dall’abside interna.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 665
A<br />
B<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
N°666<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
9 NOVEMBRE 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
a Questo numero.<br />
La nuova rubrica Retrobottega, ultima nell'indice,<br />
sarà forse letta per prima dai più curiosi perché<br />
spiega le ragioni di questo numero un po' speciale<br />
dedicato e posto sotto la protezione della Madonna<br />
di S. Luca di Bologna che dall'alto del<br />
monte della Guardia tutti ci saluta quando transitiamo<br />
lungo l'Autosole. Ne approfittiamo per<br />
proporre una bella poesia rococò dell'abate Frugoni,<br />
anche lui calunniato da Benedetto Croce,<br />
ma questo ormai dovrebbe essere tenuto come un<br />
titolo di merito.<br />
<strong>Il</strong> richiesto articolo di Hans Sedlmayr su Arte e<br />
demoniaco ad un prossimo numero. N<br />
INDICE<br />
1 Mario Fanti. <strong>Il</strong> Santuario della Madonna di San<br />
Luca.<br />
3 <strong>Il</strong> portico.<br />
4 L'impegno di un popolo.<br />
6 La rima. Carlo Innocenzo Frugoni. Alla B. V. di S.<br />
Luca di Bologna l'autore risanato dal vajuolo.<br />
7 Retrobottega. Carteggio redazionale 3-4 novembre<br />
<strong>2011.</strong><br />
venerata è la stessa tuttora custodita nel santuario<br />
e nota col nome di Madonna di San<br />
Luca.<br />
La venerazione per questa immagine divenne<br />
un fatto collettivo e di importanza<br />
cittadina a partire dal 1433, quando l'immagine<br />
per la prima volta fu portata in città<br />
per impetrare la cessazione di un lungo periodo<br />
di maltempo.<br />
Nacque così l'usanza, praticata ininterrottamente<br />
fino ad oggi, dell'annuale discesa<br />
della Madonna a Bologna: un avvenimento<br />
che ha sempre costituito uno dei momenti<br />
più significativi nella vita religiosa e<br />
sociale della comunità cittadina.<br />
a <strong>Il</strong> Santuario della Madonna di<br />
San Luca.<br />
DI MARIO FANTI<br />
Fonte: www.informagiovani-italia.com<br />
L'origine dei santuario sul monte della<br />
Guardia è legata ad un eremitorio femminile<br />
che esisteva, sulla cima del colle fino dal<br />
1192. La prima pietra della chiesa fu posta il<br />
25 maggio 1194: l'immagine che vi veniva<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
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| ( 2 ) |<br />
<strong>Il</strong> santuario attuale fu costruito dal 1723<br />
al 1774 su progetto di Carlo Francesco<br />
Dotti.<br />
La prima idea di costruire un porticato<br />
che collegasse la città alla cima del colle,<br />
permettendo un facile e comodo accesso al<br />
santuario in ogni stagione, fu avanzata nel<br />
1655. Ma solo vent'anni più tardi l'impresa<br />
poté iniziare, ad opera precipua di D. Lodovico<br />
Generoli che riuscì a raccogliere un<br />
folto gruppo di cittadini disposti a cominciare<br />
i lavori con denaro raccolti mediante<br />
pubbliche sottoscrizioni.<br />
<strong>Il</strong> 28 giugno 1674 fu posta la prima pietra<br />
del porticato e nel breve giro di due anni<br />
furono compiuti i trecento archi del tratto<br />
di pianura. <strong>Il</strong> tratto in salita fu iniziato nel<br />
1706 e nel 1715 raggiunse la vetta del colle;<br />
la congiunzione fra i due tratti, mediante lo<br />
scenografico “arco del Meloncello" (anche<br />
questo opera del Dotti) fu realizzata fra il<br />
1721 e il 1732.<br />
Era così compiuta la grande impresa che<br />
aveva visto la partecipazione corale della<br />
cittadinanza, poiché tutti i bolognesi, nobili<br />
e popolani, ecclesiastici e laici, in proprio o<br />
come membri di associazioni e corporazioni,<br />
avevano contribuito alle spese per la costruzione<br />
del portico, ponendo nei suoi 666 archi<br />
i loro nomi e i loro stemmi.<br />
<strong>Il</strong> santuario e il portico divennero ben<br />
presto una inconfondibile caratteristica del<br />
panorama cittadino; visibili a grande distanza<br />
anche da buona parte del territorio bolognese,<br />
accentuarono il valore simbolico che<br />
il culto della Madonna di San Luca rivestiva<br />
da secoli nella vita religiosa e civile della<br />
città.<br />
Grazie al portico il colle di San Luca divenne<br />
la meta classica delle scampagnate dei<br />
bolognesi, specie per quella tradizionale del<br />
lunedì di Pasqua; e fu ancora il portico di<br />
San Luca a suggerire nell'Ottocento la diramazione<br />
del nuovo portico della Certosa,<br />
e a condizionare, nel nostro secolo, gli sviluppi<br />
dell'urbanizzazione della zona esterna<br />
a Porta Saragozza.<br />
<strong>Il</strong> portico di San Luca costituisce ancor<br />
oggi un eccezionale capitolo di architettura<br />
e di urbanistica e un autentico valore, religioso<br />
e civico, per la cui conservazione tutta<br />
la cittadinanza può e deve sentirsi coinvolta.<br />
MARIO FANTI<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 666
| ( 3 ) |<br />
a <strong>Il</strong> Portico.<br />
Fonte: http://www.sanlucabo.org/portico.html.<br />
Nei secoli la devozione popolare portò ad<br />
effettuare il pellegrinaggio verso la cima del<br />
monte e questo continuo andare dei pellegrini<br />
tracciò dapprima un sentiero, poi una<br />
mulattiera. Nel 1598 si decise di selciare il<br />
percorso.<br />
Nel 1640 la vicaria suor Angiola Mirandola<br />
promosse la costruzione delle 15 cappelle<br />
con i Misteri del Rosario anche perché<br />
la devozione popolare aveva già provveduto<br />
a creare delle «stazioni» appendendo immagini<br />
sacre agli alberi. La strada restava tuttavia<br />
poco più che una mulattiera rendendo<br />
difficile il percorso ai pellegrini<br />
Nel 1655 a Don Ludovico Genaroli (o<br />
Zenaroli), Canonico della Pieve di Cento,<br />
venne l'idea di costruire un portico che congiungesse<br />
la città alla cima del colle.<br />
Presentata la proposta al senato Bolognese<br />
essa fu respinta causa l'elevato costo<br />
dell'opera; la città era appena uscita da un<br />
lungo periodo di carestia e dalla peste del<br />
1630 che avevano causato un calo demografico<br />
del 25%.<br />
<strong>Il</strong> virtuoso Canonico, davanti al rifiuto,<br />
non abbandonò il suo proposito anzi cercò<br />
persone favorevoli alla sua causa oltre ad organizzare<br />
un sistema di offerte dei devoti<br />
per finanziale l'opera.<br />
Nell'anno 1674, assieme al marchese Girolamo<br />
Albergati, al pittore Giacomo Monti<br />
e a Giacomo Landi, ripresentò la supplica al<br />
Senato che questa volta l'accolse.<br />
<strong>Il</strong> 28 giugno dello stesso anno fu posta la<br />
prima pietra dell'arco posto fra i numeri 130<br />
e 131 di via Saragozza, cioè a metà del tratto<br />
in pianura, poi i lavori proseguirono in entrambe<br />
le direzioni, essendo architetto dell'eccezionale<br />
impresa Giacomo Monti. Nel<br />
giro di due anni furono completati i 316 archi<br />
del tratto in pianura. <strong>Il</strong> tratto in salita fu<br />
realizzato tra il 1706 e il 1715.<br />
L'opera fu terminata nel 1732 sotto la direzione<br />
dell'architetto Carlo Francesco<br />
9 novembre 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
Dotti, che progettò anche l'arco del Meloncello<br />
che unisce i due portici, quello della<br />
pianura, da porta Saragozza, e quello del<br />
monte fino al Santuario.<br />
La costruzione consta di 666 archi per<br />
complessivi m 3796 così suddivisi:<br />
• tratto in pianura da porta Saragozza all'arco<br />
del Meloncello 316 arcate per m 1520<br />
• tratto collinare dall'arco del Meloncello<br />
al santuario 350 arcare per m 2276. In questo<br />
tratto sono comprese le 15 cappellette<br />
dei Misteri del Rosario poste a cadenza regolare<br />
(circa ogni 20 archi).<br />
<strong>Il</strong> portico è realizzato con un modello ripetitivo:<br />
ogni arco viene retto da due colonne,<br />
questo in pianura mentre per il tratto<br />
collinare in uno dei due lati la successione di<br />
colonne è sostituita da una parete. Alternandosi<br />
il lato chiuso ad ogni curva si ha ora<br />
la visione sulla città ora sul paesaggio collinare,<br />
nascondendosi sempre alla vista la meta<br />
finale della chiesa.<br />
Non sarebbe casuale il fatto che il portico<br />
sia composto esattamente da 666 archi (numero<br />
diabolico). Detto numero sarebbe stato<br />
utilizzato per indicare che il porticato<br />
simboleggia il «serpente», ossia il Demonio,<br />
sia per la sua forma sia perché, terminando<br />
ai piedi del santuario, ricorda la tradizionale<br />
iconografia del Diavolo sconfitto e schiacciato<br />
dalla Madonna sotto il suo calcagno.<br />
a L'impegno di un popolo.<br />
. LA CUPOLA DELLE FANTESCHE.<br />
Fonte: Giuseppe Cappelletti, Le chiese d'Italia: dalla loro<br />
origine sino ai nostri giorni, vol. 3, pa. 543, Antonelli ed.,<br />
Venezia 1845.<br />
La magnifica chiesa, eretta sul monte della<br />
Guardia, e consacrata nel 1481, ove si custodisce<br />
la preziosa immagine di Maria santissima,<br />
detta volgarmente di s. Luca, era ridotta alla<br />
necessità di un radicale ristauro, per impedirne<br />
il totale disfacimento. Fu in questo tempo<br />
perciò, che la pietà dei bolognesi ne progettò<br />
una rifabbrica dalle fondamenta. Con grande<br />
pompa e solennità ne pose la prima pietra<br />
l'arcivescovo cardinale, nell'anno 1723. Già<br />
sino dal 1674 s'era cominciato il grandioso lavoro<br />
de' maestosi portici, i quali dalla porta<br />
della città dovevano condurre, serpeggiando<br />
su per la collina per un tratto di due crescenti<br />
miglia sino al santuario. Sotto gli auspizii del<br />
pontefice Clemente X erano stati incominciati<br />
i portici nel dì 28 giugno dell' anno indicato:<br />
essi furono compiuti nel 1739. Luminosa vi risplende<br />
la pietà dei bolognesi, i quali a tanta<br />
impresa si accinser ; e lungh'esso il tratto, che<br />
li percorre, vollero inoltre erigere quindici<br />
cappelle, in memoria de' misteri del Rosario,<br />
adorna ciascheduna di buoni dipinti che li<br />
rappresentano. La struttura interna del tempio<br />
ha la forma di due ovali in croce, contornati<br />
da cornicione d'ordine corintio con grosse<br />
ed alte colonne scannellate dell'ordine stesso.<br />
Copre il tempio una grandiosa cupola, eseguita<br />
colle limosine dei servitori e delle fantesche<br />
di Bologna: del che conservano ai posteri<br />
perenne memoria le parole stragrandi, che si<br />
leggono intorno nella fascia della cupola stessa<br />
: FAMVLI FAMVLAEQVE CIVITATIS<br />
BONONIAE THOLVM HVNC SVA IM-<br />
PENSA FECERVNT A PARTV B. VIRGI-<br />
NIS MDCCXXXXII.<br />
8<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 666
| ( 5 ) |<br />
. IL PASSAMANO DEL 1677.<br />
Fonte: www.passamanopersanluca.it/filato.htm<br />
Li 17 Ottobre. Questa mattina (essendo gran<br />
quantità di Pietre e Sassi, materia raddunata a<br />
Meloncello per fabbricare il Portico per la<br />
commodità d'andare alla Chiesa di S. Lucca)<br />
li raggazzi del Filatoglio essendo posti in fila<br />
su la strada che va a S.Lucca, in distanza che<br />
uno puol arrivare all'altro pigliando una pietra,<br />
e sporgendola all'altro, e l'altro all'altro,<br />
con tal ordine dal primo sino all'ultimo che<br />
era a piè della scala di pietra della Chiesa di S.<br />
Lucca, hanno con tal ordine senza muoversi<br />
da luogo portate dette Pietre e Sassi sul luogo<br />
della Fabbrica di detto Portico col passare di<br />
una mano in un'altra; quale invenzione fu cavata<br />
da quelli li quali fabricarono il Castello<br />
di Varignana, che per l'altezza del Monte non<br />
potendo con Carri e Birocci trasportare le<br />
macerie, si disposero gl'Abitatori con tale ordine,<br />
e senza fattica ed incommodo portarono<br />
nel luogo tutta la materia necessaria per la<br />
Fabbrica. (Biblioteca Comunale di Bologna<br />
dell'Archiginnasio, Raccolta Gozzadini, 185,<br />
f. 95).<br />
XXXXXXXXXXXXXXXXX<br />
☞ Incidentalmente: un Karl Marx distratto<br />
sul passamano.<br />
Benché molte persone compiano insieme e<br />
contemporaneamente la stessa operazione, oppure<br />
operazioni dello stesso genere, il lavoro individuale<br />
di ciascuno può tuttavia rappresentare,<br />
come parte del lavoro complessivo, differenti<br />
fasi del processo di lavoro di per sé preso,<br />
fasi che l’oggetto del lavoro percorre più rapidamente<br />
in conseguenza della cooperazione.<br />
Per esempio, quando dei muratori fanno catena<br />
per passare le pietre da costruzione di mano<br />
in mano dai piedi fino alla cima d’una impalcatura,<br />
ciascuno di essi fa la stessa cosa, ma<br />
tuttavia le singole operazioni costituiscono<br />
parti continue d’una operazione complessiva,<br />
fasi particolari che nel processo lavorativo<br />
debbono esser percorse da ogni pietra da costruzione,<br />
e attraverso le quali per esempio le<br />
ventiquattro mani dell’operaio complessivo la<br />
mandano avanti più alla svelta delle due mani<br />
di ogni singolo operaio che salga e scenda per<br />
l’impalcatura. L’oggetto del lavoro percorre lo<br />
stesso spazio in un tempo più breve. 1<br />
Nel trattare la tecnica del passamano, Marx riprende<br />
esattamente l'interpretazione di Skarbek 2 ,<br />
non cogliendo così l'altro vantaggio, forse il principale,<br />
di questo caso particolare di cooperazione: il risparmio<br />
di energia ottenuto evitando lo spostamento della<br />
massa corporea dei lavoratori (che restano fermi) e riducendolo<br />
solo a quella dei materiali utili. C'è inoltre<br />
da aggiungere che dopo qualche minuto di pratica i<br />
mattoni procedono di mano in mano senza fermarsi, a<br />
velocità quasi costante, con ulteriore risparmio energetico<br />
(S. B.)<br />
1 Karl Marx, <strong>Il</strong> Capitale, a cura di Delio Cantimori libro I sezione<br />
IV capitolo II pag. 368, Editori Riuniti, 1993.<br />
2 Trovandola in Théorie des richesses sociales, 2 ed., Parigi, 1839,<br />
vol. I, pp. 97-98, ci informa Cantimori.<br />
9 novembre 2011 Anno XI
¢£⁄£⁄£⁄¥<br />
ƒ K La rima ‹<br />
Alla B. V. di S. Luca di Bologna l'autore<br />
§ ›<br />
risanato dal vajuolo.<br />
¤'“'“'“«<br />
DI CARLO INNOCENZO FRUGONI<br />
S<br />
E Nocchier d'aspra procella<br />
Col suo legno salvo uscì,<br />
E a veder tornò la stella,<br />
Che fra i nembi già sparì,<br />
Non sì tosto l'infedele<br />
Torbid'onda superò,<br />
E nel Porto l'ampie vele<br />
Alle antenne alto legò,<br />
Che il soffiar d'Euro e di Noto<br />
Pur membrando con orror,<br />
Scioglie il passo, e porta il voto<br />
Al buon Dio liberator .<br />
Con la cetra io pure in mano,<br />
Sacra Immago, or vengo a te,<br />
Vengo a te, che sovrumano<br />
Color pinse, e viver fe':<br />
Vengo a te, cui già si estolle<br />
Tempio chiaro in ogni età,<br />
Che sul giogo al vicin Colle<br />
Nostra guardia siede e sta:<br />
E perché le ciglia inarchi<br />
Sul gran culto il Passegger,<br />
Di Colonne immense e d'Archi<br />
Va su tutti gli altri altier:<br />
Vengo a te pur rammentando,<br />
Che è tuo dono e tua mercè,<br />
Se qui siedo te cantando<br />
Pien d'amore, e pien di fé;<br />
E a te canto Inno votivo,<br />
Qual già un dì Mosè cantò,<br />
Quando il Popol salvo e vivo<br />
Pel diviso mar guidò;<br />
| ( 6 ) |<br />
E su l'altra sponda assiso<br />
Riunirsi vide il mar,<br />
E sommerse all'improvviso<br />
Aste e carri e schiere andar.<br />
Deh! poichè mia debil vita,<br />
A te cara tanto fu,<br />
Che non cadde in sua fiorita<br />
E ancor fresca gioventù,<br />
Come falce di Bifolco<br />
Nel suo primo e verde onor<br />
Talor tronca in mezzo al solco<br />
Giovinetto e vago fior.<br />
Quel che resta de' miei giorni<br />
Pur difenda tua pietà:<br />
Me ria voglia non distorni,<br />
Che al ben ciechi ognor ne fa.<br />
Questo dì sempre onorato<br />
Per me fia finchè vivrò,<br />
Ed ogn'anno su l'aurato<br />
Sacro plettro il canterò.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 666
| ( 7 ) |<br />
ABBBBBBBBBC<br />
H A Retrobottega D<br />
H Carteggio redazionale 3-4 novembre <strong>2011.</strong> D<br />
EFFFFFFFFFG<br />
Caro Stefano, scusa se mi permetto questo<br />
suggerimento un po' bizzarro, ma visto che il<br />
<strong>Covile</strong> si è ormai avvicinato al numero 665<br />
(complimenti!), mi sembrerebbe di cattivo auspicio<br />
fare anche un numero sei sei sei. Sfortunatamente<br />
(è il caso di dirlo), io sono molto<br />
superstizioso, ma considerando che per la cristianità<br />
da secoli e secoli il “numero della bestia"<br />
rappresenta un segno di cattivo augurio,<br />
penso che tutti i lettori del <strong>Covile</strong> capirebbero<br />
se tu volessi fare un 665bis e poi saltare direttamente<br />
al 667. Comunque è solo una stramberia<br />
personale, anche se pure il dotto Frazer<br />
scrisse una bella apologia della superstizione<br />
come motore di civiltà (dunque in parte sarei<br />
giustificato Speriamo!) […] ROBERTO<br />
MANFREDINI<br />
( ( (<br />
Alla redazione. Trasmetto la mail di Manfredini<br />
e chiedo consiglio. STEFANO BORSELLI<br />
( ( (<br />
Dai numeri non c'è scampo: che tu gli dia nella<br />
serie il 665bis o che tu passi direttamente al<br />
667 sarebbe sempre il sei sei sei quello che<br />
enumereresti 667 o 665bis. Peggio sarebbe il<br />
numero mancante... questo sì diabolico. Sono<br />
per il numero 666 e per giunta dedicato all'arte<br />
e il demoniaco, così fughiamo gli spettri<br />
direttamente chiamandoli in causa... abbiamo<br />
più possibilità di sconfiggerli. […] RICCARDO<br />
DE BENEDETTI<br />
( ( (<br />
Beh, penso che un po' tutti abbiamo pensato a<br />
una simile cosa, davanti alla fatidica soglia.<br />
Ma poiché Cristo ha vinto sugli Inferi e ci ha<br />
salvati, parrebbe a me di cattivo auspicio avere<br />
invece paura dei segni, e così sviarci dall'unica<br />
cosa che conta: il significato, che ha rinnovato<br />
il mondo da dentro. Viva il nr. 666 de <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>,<br />
dunque, per me, senza timori vani che —<br />
come la parola vana — sviano. […] STEFANO<br />
SERAFINI<br />
( ( (<br />
Perché non dedicare il 666 proprio ad una demitizzazione<br />
della Bestia, perché non affrontare<br />
il diavolo per le corna Che so Un numero<br />
sulla bellezza di Dio e la bruttezza (non<br />
solo architettonica) come attributo<br />
diabolico... Con una bella intervista a p. Gabriele<br />
Amorth ;-)) GIUSEPPE GHINI<br />
( ( (<br />
Concordo con i pareri che mi hanno preceduto,<br />
in particolare sul tema del n. 666 proposto<br />
da De Benedetti e Ghini. CIRO LOMONTE<br />
( ( (<br />
Carissimi, non mi pongo il problema della superstizione,<br />
quindi viva il 666! ... che mi ricorda<br />
anche una bella canzone di Paul Mc-<br />
Cartney, anche se non trattava di numeri.<br />
Scherzi a parte mi piace molto la proposta di<br />
Ghini […] ETTORE MARIA MAZZOLA<br />
( ( (<br />
Concordo, l'introduzione al numero 666 del<br />
<strong>Covile</strong> potrebbe essere data proprio da questo<br />
scambio di mail, mi fate ricordare che a Bologna<br />
i portici che conducono alla Madonna di<br />
San Luca sono proprio 666, un gigantesco<br />
serpente che dal centro di Bologna arriva ai<br />
piedi del santuario dedicato alla Madonna,<br />
enorme opera simbolica incarnata nel cuore<br />
della città. Oggi il santuario è illuminato ed è<br />
esperienza rara, ma al chiaro di luna e senza<br />
luci artificiali la sua sagoma appare come una<br />
Madonna che abbraccia la città. […]<br />
STEFANO SILVESTRI<br />
( ( (<br />
La Madonna di San Luca, una meraviglia assoluta<br />
(Arco del Meloncello incluso). Forse<br />
l'unico che ha sofferto del numero fatidico sarà<br />
il povero Carlo Francesco Dotti, totalmen-<br />
9 novembre 2011 Anno XI
| ( 8 ) |<br />
te sconosciuto nelle facoltà di architettura italiane,<br />
architetto che invece meriterebbe di<br />
avere una biografia accompagnata da foto.<br />
[…] ETTORE MARIA MAZZOLA<br />
( ( (<br />
[…] orientamento unanime, però la scaramanzia<br />
affonda le radici nelle tradizioni, che<br />
non sono necessariamente blasfeme o miscredenti.<br />
Io non metto mai il cappello sul letto<br />
per rispetto della memoria di mia mamma.<br />
Non ho paura che accada qualcosa ma a me<br />
sembra di vedere mia mamma che mi rimprovera.<br />
Le tradizioni sono tradizioni e queste non<br />
mi sembrano pericolose. […] PIETRO<br />
PAGLIARDINI<br />
( ( (<br />
Direi di fare tranquillamente il numero 666, e<br />
mostrare la vanità del male, più che la sua forza.<br />
Forse citare la Kristeva Forse citare Mancuso<br />
Con qualche rima di Leporeo, magari...<br />
GABRIELLA ROUF<br />
( ( (<br />
Perché allora non dedichiamo il prossimo numero<br />
alla Madonna di San Luca, protettrice<br />
del numero 666 Con una prima, veloce, ricognizione<br />
ho anche trovato una bella poesia<br />
dell'abate Frugoni dedicata alla Madonna di<br />
San Luca. Ettore potrebbe scrivere due cose<br />
su Carlo Francesco Dotti Ci vorrebbe anche<br />
qualcosa sulla scalinata... STEFANO<br />
BORSELLI<br />
( ( (<br />
L'Almanacco romano concorda con De Benedetti<br />
e Ghini, lieto che una questione superstiziosa<br />
provochi un bel tema come “arte e demoniaco”,<br />
magari andando a riprendere l'intervento<br />
di Hans Sedlmayr al convegno di<br />
Enrico Castelli (Università di Roma, metà<br />
anni Cinquanta). ALMANACCO ROMANO<br />
( ( (<br />
Mi sembra una buona idea, quella dell'esorcismo.<br />
ARMANDO ERMINI<br />
( ( (<br />
Anch'io ritengo che si possa saltare il fatidico<br />
numero, sarebbe un segno intelligente di amore<br />
della tradizione: […] saltiamo al 667 […]<br />
ANDREA G. SCIFFO<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 666
A<br />
B<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
N°667<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
13 NOVEMBRE 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
a Questo numero.<br />
Sembra un foglio volante questo numero di sole<br />
due pagine, ma il commento di Almanacco romano<br />
ci è parso così perfetto e tempestivo da indurci<br />
a pubblicarlo subito. Non sappiamo poi il perché<br />
ma abbiano trovato consonante una poesia autunnale<br />
di Domenico Giuliotti. C'è anche un avviso<br />
importante per i lettori di Roma. N<br />
a È arrivato Godot<br />
La vita comunque se ne è andata.<br />
DI ALMANACCO ROMANO<br />
Fonte: almanaccoromano.blogspot.com, 13.11.2011<br />
Poveri connazionali ingannati dalle loro<br />
piccole furbizie. Sono quasi vent’anni che<br />
hanno avuto la testa piena del tycoon prestato<br />
alla politica, tornando ossessivamente a lui<br />
nei discorsi, giorno e notte, quando Jünger affermava<br />
di non aver concesso il suo tempo ai<br />
tristi ed esorbitanti figuri davvero tirannici<br />
che si trovò di fronte, dedicandosi a ben più<br />
nobili imprese, in ogni caso a pensieri più liberi.<br />
Loro invece si dedicavano a lui senza<br />
tregua laddove perfino i suoi devoti si concessero<br />
distrazioni e qualche dimenticanza. Non<br />
sapevano liberarsi da questa italianissima figura<br />
che volgeva al grottesco (del resto era<br />
sopravvissuta alle mode del suo tempo, dalla<br />
tv dispiegata si è arrivati al più privato tablet,<br />
dalle canzonettiste sanremesi ai romanzieri<br />
della camorra, agli scultori del dito medio<br />
eretto nella piazza della Borsa a Milano, forme<br />
più ambigue di cultura pop, certamente<br />
più sguaiate e arroganti). Le loro letture,<br />
conversazioni, interessi, battute, spettacoli,<br />
talvolta perfino amori, si son nutriti dell’odio<br />
per un miliardario lombardo che provava a<br />
governare l’Italia. Si ruppero antiche amicizie,<br />
cene e feste domestiche finirono in rissa.<br />
Erano la migliore prova di un bisogno di idoli,<br />
anche se rovesciati. Si risuscitò allora, e<br />
fuori tempo massimo, la fede nella politica<br />
benché la società del tutto privatizzata cominciasse<br />
ad accettare l’eventualità che anche<br />
il governo potesse diventare un affare privato<br />
delle banche e dei mercati; infatti quando il<br />
gioco si fa duro, quando la crisi si aggrava,<br />
ROMA<br />
Sede Nazionale di Italia<br />
Nostra, Viale Liegi, 33 tel. 068537271.<br />
CONFERENZA STAMPA<br />
Martedì 15 novembre, ore 11.00-12.30<br />
La recente istituzione della Commissione “Grattacieli" voluta<br />
dal Sindaco Alemanno ha lasciato nello sconforto i romani,<br />
gli italiani e tutto coloro i quali, nel mondo, amano la Città<br />
Eterna. <strong>Il</strong> Gruppo Salìngaros, la Società Internazionale di<br />
Biourbanistica, la Commissione Urbanistica della Sezione<br />
Romana di Italia Nostra hanno dunque deciso di convocare<br />
questa conferenza stampa al fine di far riflettere il Primo<br />
Cittadino sulla inopportunità e pericolosità di questa scelta.<br />
Interventi di:<br />
CARLO RIPA DI MEANA, ETTORE MARIA<br />
MAZZOLA, GABRIELE TAGLIAVENTI,<br />
NIKOS SALÌNGAROS, PIETRO<br />
SAMPERI.<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />
www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />
<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />
minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />
cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />
Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
quel che resta della finzione politica viene accantonato<br />
e si chiama il tecnico, l’impolitico<br />
per eccellenza: a che serve allora la nobile arte<br />
della politica Buona per i soli giorni di festa<br />
Rispuntavano anche dei culti dimenticati,<br />
perfino il patriottismo, politeismo dei tempi<br />
di crisi profonda. All’ombra del nichilismo<br />
sorgono infatti idoli nani. Nell’epoca della<br />
privatizzazione della fede religiosa, si rendono<br />
pubblici gli umori, le morali fai da te, all’opposto<br />
esatto di quanto andava dicendo il<br />
poeta Charles Lamb:<br />
«Le pubbliche faccende – a meno che non mi<br />
tocchino direttamente e così si tramutino in<br />
private – non posso sforzare l’animo mio a<br />
provarci alcun interesse».<br />
Ma lo scrittore inglese era sotto la potestà<br />
della letteratura, i nostri indignati sono agitprop<br />
della cultura, un’entità astratta che,<br />
proprio mentre si fa più corriva e mediocre,<br />
viene posta sugli altari. La si è usata recentemente<br />
come macchinetta da guerra, in assonanza<br />
con quanto rappresentò nell’èra dei totalitarismi<br />
europei, almeno secondo l’enfatica<br />
ricostruzione storica per cui fu come una fonte<br />
di resistenza al potere, irriducibile al Male;<br />
ma anche in quel tempo i nomi di Gentile, Sironi,<br />
Pirandello, Schmitt, Pound, Jung, Heidegger,<br />
von Karajan e tanti altri, pur con distinguo<br />
e sfumature, finirono dall’altra parte.<br />
Brutti scherzi fa la cultura come talismano.<br />
Godot non arrivava mai e intanto il tempo<br />
passava. Vent’anni sono un notevole pezzo di<br />
vita, nello specchio ci si riconosce a stento.<br />
Allora si finge magari una malinconia per<br />
motivi pubblici, in realtà cambia il paesaggio<br />
cui eravamo abituati, è la giovinezza che fugge<br />
via. Adesso che il signore delle televisioni<br />
sembra uscire di scena, le loro chiacchiere si<br />
svuotano di senso e i chiacchieroni appaiono<br />
intontiti come pugili suonati. Seguirà il rimpianto<br />
per un pezzo di vita sprecato.<br />
ALMANACCO ROMANO<br />
| ( 2 ) |<br />
¢£⁄£⁄£⁄¥<br />
ƒ K La rima ‹<br />
Rosa Autunnale.<br />
§ ›<br />
¤'“'“'“«<br />
DI DOMENICO GIULIOTTI<br />
T<br />
rentasett'anni, Vergine, è che vo<br />
stanco e cencioso come un vagabondo,<br />
lungo il torto viottolo del mondo;<br />
e quando e dove poserò non so.<br />
Ma tu, che d'ogni sconsolato errante,<br />
segui, dall'alto, le intrigate peste,<br />
volgi i begl'occhi al tuo Figliol celeste,<br />
digli che m'apra le sue braccia sante.<br />
Digli che ho sete e secca è la cisterna,<br />
digli che ho fame ed ho per pane sassi,<br />
digli che, a notte, sugli incerti passi,<br />
mi si spegne, guizzando, la lanterna.<br />
Tuo Figlio, o Madre, è pane ed acqua e luce<br />
che pienamente illumina e ristora;<br />
Egli, accogliendo l'anima che implora,<br />
seco, se degna, al Padre la conduce.<br />
Egli è l'amore che ci sana e sbenda,<br />
Ei, se ammutimmo, ci dà nuova voce;<br />
Ei, lampeggiando, si fa viva croce<br />
a ciò che l'uomo nuovo vi si stenda.<br />
Ma io, che son fra gl'infimi il meschino<br />
e non son degno ancor del mio Signore,<br />
(dacché, come lo stolto potatore,<br />
mi sopravanza alla vendemmia il tino)<br />
se Tu non vieni, Vergine, a pigliarmi<br />
col tuo mistico remo e col tuo lume,<br />
giunto sull'orlo dell'infernal fiume,<br />
non ho da me speranza di salvarmi.<br />
Vedi, pia Madre, come già la morte<br />
tutto, pel mondo, capovolge e oscura;<br />
schiava del corpo, l'anima ha paura,<br />
sotto il flagello, di non esser forte.<br />
Recala dunque, Ausiliatrice bella,<br />
teco, da questo umano carcer tristo,<br />
su, fin nel sole in cui sfavilla Cristo,<br />
ed ogni assorta anima intorno è stella.<br />
E mentre sciolta da' suoi pensieri vani,<br />
solo in te goda, Vergin gaudiosa,<br />
falla cader, com'autunnale rosa,<br />
del Figliol tuo sulle trafitte mani.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 667
A<br />
B<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
N°668<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
22 NOVEMBRE 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
a Questo numero.<br />
L'invito alla lettura di Mario Bernardi Guardi<br />
dell'ultima fatica, imperdibile, del nostro Riccardo<br />
De Benedetti è seguita, a pagina 3 dall'illuminante<br />
(e preoccupante) resoconto di Ciro Lomonte<br />
di un recente convegno sul futuro urbanistico<br />
di Palermo. Fa poi quasi da commento al testo<br />
di Lomonte, a pagina 7, la poesia di Giuseppe<br />
Capparozzo sulla La festa del gnocco a Verona, che<br />
è poi il carnevale di quella città. I lettori troveranno<br />
qualche consonanza con le rime di Ludovico<br />
Leporeo, lo straordinario poeta anticruscante<br />
rievocato di recente da Gabriella Rouf e da noi<br />
presentato nei nn. 552, 553, 586 e 635.<br />
Allegato a questo numero un manifesto praziano<br />
che il <strong>Covile</strong> offre alle cause del lavoro libero e<br />
artigiano e della difesa delle belle arti. Invitiamo<br />
tutti gli amici a diffonderlo tra i loro conoscenti<br />
antiquari e rigattieri. N<br />
ABBBBBBBBBC<br />
H V Invito alla lettura D<br />
H Storia di una caso editoriale. D<br />
EFFFFFFFFFG<br />
Riccardo De Benedetti, Céline e il caso delle “Bagatelle”,<br />
postfazione di Giancarlo Pontiggia,<br />
Medusa, pp. 168, euro 14.<br />
RECENSIONE DI MARIO BERNARDI GUARDI<br />
Fonte e © Libero, 8 novembre <strong>2011.</strong><br />
“Che cosa c'è di più iniquo per gli uomini dell'odiare<br />
una cosa che ignorano anche se è meritevole<br />
di odio Essa non merita il vostro<br />
odio, se voi non sapete che lo meriti”.<br />
La citazione di Quintiliano, tratta dall'Apologeticum,<br />
fa da esergo al saggio con cui<br />
Riccardo De Benedetti rilancia il dibattito sul<br />
Céline delle Bagatelle per un massacro: un libro<br />
non solo maledetto ma addirittura proibito.<br />
Nel senso che, come è noto, nel 1982, tre<br />
mesi dopo che era apparso in libreria, tradotto<br />
da Pontiggia per i tipi della Guanda, fu tolto<br />
dalla circolazione per volontà dell'avvocato<br />
Françoise Gibault, che minacciava una<br />
causa su richiesta Lucette Almanzor, vedova<br />
di Louis-Ferdinand.<br />
Fine delle Bagatelle Niente affatto: il libro<br />
circolava prima e ha continuato a circolar dopo.<br />
Piace ai nazi, ai fondamentalisti islamici,<br />
ai libertari senza se e senza ma. A chi spudoratamente<br />
lo confessa e a chi pudicamente lo<br />
nega. In ogni caso, chiunque scriva di Céline<br />
non può ignorare l'apocalittico antisemita<br />
delle Bagatelle e dunque ne riporta abbondanti<br />
citazioni. Però al lettore medio è negato il<br />
diritto di addentrarsi nel fastoso delirio dello<br />
scrittore, in quell' “immenso e virulento poe-<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
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Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
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Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
ma dell'odio”, scrive De Benedetti, “nel quale<br />
si esprime l'intero alfabeto della rabbia e<br />
nel quale l'odio stesso ne esce alfabetizzato e,<br />
proprio per questo, rilanciato da uno stile<br />
volgarmente sontuoso e inarrivabile”.<br />
Ma insomma chi ha paura di Céline Come<br />
si può essere tanto ipocriti da riservare all'autore<br />
del Viaggio al termine della notte e di<br />
Morte a credito esercizi di grondante ammirazione,<br />
magari eleggendolo a nume di tutte le<br />
scritture creative e trasgressive, e dire che invece<br />
il più che mai creativo e trasgressivo Céline<br />
delle Bagatelle e degli altri pamphlet è un<br />
essere abbietto, osceno e ripugnante E che<br />
merita l'indignazione di tutti i giusti Ma di<br />
che cosa ci si indigna se, almeno ufficialmente,<br />
non si può leggere il libro che ciripugna<br />
È chiaro che chiunque sia adulto e vaccinato<br />
non teme il contagio dell'antisemita Louis-<br />
Ferdinand Destouches. E si chiede se mai da<br />
dove venga quell'odio lussureggiante e vaticinante,<br />
e se sia il caso che noi tutti ci si faccia i<br />
conti.<br />
Magari proprio con una nuova edizione<br />
delle Bagatelle e di tutti gli altri testi ingombranti.<br />
Già, ma perché ingombranti Disturbano<br />
la nostra cattiva coscienza, risponde De Benedetti.<br />
Chiamandoci a confronti spassionati.<br />
Tanti gli interrogativi che ne seguono. Ad<br />
esempio: il forsennato antisemitismo delle<br />
Bagatelle non discende forse – ein linea diretta<br />
– dall'antimilitarismo e dal pacifismo del<br />
Voyage<br />
Di sicuro, Céline accusa gli ebrei di volere<br />
la guerra contro la Germania per mandare a<br />
farsi fottere tutta l'Europa in nome del neocolonialismo<br />
dell'alta finanza massonica e<br />
yankee.<br />
Céline, il medico Céline, più ancora che<br />
degli ebrei, ha comunque in schifo la sua<br />
Francia, “femmina, puttana, accolita di<br />
ubriachi”, che, devastata nel corpo e nello<br />
spirito, rischia di sprofondare nella dissoluzione.<br />
<strong>Il</strong> mostro Céline, l'aedo del Male Assoluto<br />
Nazista, è per tanti versi un don Chisciotte<br />
anarchico e allucinato, Che parte lancia in resta<br />
contro il Male.<br />
Infilzando gli ebrei E con una enfatizzazione<br />
degli stereotipi razzisti e antisemiti (peraltro<br />
abbondantemente diffusi in Francia e<br />
con tanto di nobili ascendenze nella cultura<br />
illuminata, da Rousseau a Montesquieu, da<br />
Voltaire a Buffon, da Kant ad Herder) che<br />
anticipa la Shoah<br />
De Benedetti non nega che, all'interno di<br />
un preciso contesto storico e culturale, lo<br />
scrittore, anche in forza della sua grandiosa<br />
cifra visionaria, abbia delle responsabilità. E<br />
dunque, con onestà intellettuale, esamina<br />
ogni possibile atto di accusa. Esortando tutti,<br />
però, a guardare in Céline e nel Novecento<br />
come in uno specchio. È quel che insegna il<br />
céliniano Henry Miller: la moralità è lo scandalo<br />
del vero, non la sua rimozione.<br />
MARIO BERNARDI GUARDI<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 668
| ( 3 ) |<br />
a L'insostenibile leggerezza dell’architettura.<br />
Osservazioni a margine del convegno di Confindustria<br />
Palermo.<br />
. LA RABBIA & L’ORGOGLIO<br />
DI CIRO LOMONTE<br />
I pomeriggi di sabato 12 e domenica 13 novembre<br />
2011 hanno visto trasformarsi ancora<br />
una volta piazza Politeama in un genere di<br />
agorà sognato da quel sindaco che, qualche<br />
anno fa, le ha dato questa forma. Sarebbe meglio<br />
definirla una non forma, perché l’odierno<br />
centro di Palermo (le piazze Ruggiero Settimo<br />
e Castelnuovo nel loro insieme) è uno spazio<br />
a metà fra una piazza indefinita di paese e<br />
uno slargo anonimo dell’EUR.<br />
Tra la piazza e il Teatro Politeama si è<br />
svolta nel fine settimana una manifestazione a<br />
sostegno della piena attuazione dello Statuto<br />
siciliano. Bandiere e copie dello Statuto sono<br />
state distribuite ai passanti, fra le esibizioni di<br />
artisti di strada e musicisti, mentre in Teatro<br />
si tenevano incontri e seminari dedicati al tema.<br />
<strong>Il</strong> raduno è stato organizzato dall’Associazione<br />
“La Sicilia e i siciliani per lo Statuto” e<br />
mirava a sensibilizzare i cittadini, le istituzioni<br />
e la politica sulla mancata applicazione di<br />
alcune parti dello Statuto siciliano sin dalla<br />
sua nascita, nel 1946. Maria Grazia Cucinotta<br />
è stata testimonial dello Statutofest. L’attrice<br />
ha anche ricevuto un premio per il suo impegno<br />
per la Sicilia. L’iniziativa era patrocinata<br />
della Presidenza della Regione e dall’assessore<br />
regionale all’Economia Gaetano Armao.<br />
Quella per lo Statuto è stata una festa di<br />
popolo, non molto partecipata in verità, ma<br />
pur sempre utile per sondare l’estensione di<br />
quel risveglio di coscienze atteso da tempo<br />
nell’Isola. A quanto pare gli animi non si sono<br />
scaldati ancora a sufficienza. Non è chiaro<br />
quanti si siano accorti che, in contemporanea,<br />
le sere di sabato e di domenica, si svolgeva una<br />
performance di videomapping sulla facciata del<br />
Teatro Politeama: un proiettore faceva scorrere<br />
immagini piuttosto incomprensibili, anche<br />
perché esse tracimavano dallo schermo<br />
posto sul portale sulle ghiere ed i fregi dell’arco<br />
di trionfo. La performance era l’anticipo<br />
della presentazione del masterplan (i progetti<br />
e le proposte urbanistiche) che Confindustria<br />
Palermo avrebbe presentato nel convegno<br />
di lunedì mattina, sempre al Politeama,<br />
dal titolo “14.11.<strong>2011.</strong> Basta un giorno per cambiare<br />
Palermo”. Di sicuro il pubblico della piazza<br />
ha apprezzato che, oltre alla performance,<br />
Confindustria Palermo offrisse panelle e caldarroste.<br />
. UNO SPETTACOLO BEN ORCHESTRATO.<br />
La mattina di lunedì 14 la piazza era piena<br />
di auto blu e la sala del Politeama, quasi del<br />
tutto al buio, era gremita come nelle grandi<br />
occasioni. Sembrava che un Ignazio Florio<br />
redivivo avesse convocato gli stati generali<br />
dell’Isola per sancire la nascita del Consorzio<br />
Agrario Siciliano. In platea e nei palchi si era<br />
sistemato un pubblico di imprenditori, universitari,<br />
politici, banchieri, magistrati e professionisti.<br />
In loggione c’erano studenti delle<br />
superiori che avevano partecipato ad alcuni<br />
programmi di visita alle imprese, organizzati<br />
sempre da Confindustria Palermo.<br />
Ma era il palcoscenico quello che incuriosiva<br />
di più, anche perché era l’unica zona illuminata.<br />
Su quattro schermi si succedevano<br />
immagini su immagini, in un’atmosfera allucinogena,<br />
accentuata dalle luci soffuse e da<br />
qualche difficoltà della regia. Introduceva gli<br />
interventi una voce senza volto. Sugli angoli<br />
c’erano alcuni plastici di progetto, evidenziati<br />
a turno sugli schermi dalle telecamere. Al<br />
centro un podio per i relatori e, dietro, quindici<br />
sedie vuote, dello stesso design minimalista<br />
della tribuna. A destra un tavolino con il<br />
22 novembre 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
piano-display delle presentazioni, ad uso dei<br />
relatori, con una scritta sul fronte verso il<br />
pubblico. Un altro slogan: “Niente cambierà se<br />
ci credo solo io”. Tutto aveva l’aria di essere organizzato<br />
per vendere qualcosa o per giustificare<br />
i 100.000 € (presi dalle quote dei soci)<br />
spesi per il progetto. Dicono sia quella la cifra<br />
impegnata.<br />
. LA PAROLA AGLI ARCHITETTI.<br />
Dopo il saluto, non di circostanza, del Presidente<br />
dell’ARS («questo non è un libro dei sogni»),<br />
venivano chiamati sul palco i due progettisti<br />
genovesi: Gianluca Pelufo e Alfonso<br />
Femia, dello Studio 5+1AA.<br />
Alessandro Albanese, Presidente di Confindustria<br />
Palermo, li presentava dichiarando<br />
di avere incaricato due professionisti non palermitani<br />
per mantenersi libero da condizionamenti<br />
e per la loro esperienza nell’elaborazione<br />
del masterplan di Marsiglia. L’arch.<br />
Femia ha esordito con una captatio benevolentiae,<br />
dichiarando che un anno di lavoro nel capoluogo<br />
siciliano li ha fatti innamorare di<br />
questa città. <strong>Il</strong> pubblico non si è lasciato impressionare<br />
più di tanto: se conosci Palermo<br />
non puoi fare a meno di amarla, bisogna solo<br />
verificare di che tipo di amore si tratta. Altre<br />
sono state le cose che hanno colpito gli astanti.<br />
Intanto l’aspetto molto curato dei due professionisti:<br />
giacca, cravatta, gilet; capelli e<br />
barba ben acconciati. Un look normale. Non<br />
maglietta nera, giacca nera, calvizie ostentata<br />
(l’ornamento è delitto!). E poi l’affabulazione<br />
ermetica con cui hanno elencato i criteri dell’analisi<br />
e del progetto. Le parole chiave erano<br />
tante, ma forse una è stata ripetuta più di<br />
altre: pragmatismo. Si percepiva questa come<br />
linea guida dei sette progetti, redatti con sovrabbondanza<br />
di tavole e di plastici: fare in<br />
fretta, aldilà della complessa storia urbanistica<br />
di questa terra e degli intrecci ingarbugliati<br />
di interessi. Un po’ disarmante è stata una dichiarazione:<br />
«noi non siamo urbanisti, siamo architetti».<br />
Cosa significava questo Che la diagnosi<br />
e la terapia di un’appendicite retrocecale<br />
erano state affidate a due dermatologi<br />
L’arch. Pelufo si è alternato con il collega<br />
nella spiegazione degli elementi essenziali del<br />
territorio palermitano. <strong>Il</strong> cardo (via Oreto –<br />
viale Croce Rossa) e il decumano (corso Vittorio<br />
Emanuele – corso Calatafimi); i bordi; le<br />
trasversalità. Cinquecento milioni di euro di<br />
investimenti. 3,7 milioni di metri quadri di<br />
nuove aree verdi, definite tregue vegetali. Le<br />
zone interessate sono il nuovo stadio (che dovrebbe<br />
nascere nel quartiere Zen), la Fiera del<br />
Mediterraneo (da trasformare in centro congressi<br />
e shopping), il mercato ortofrutticolo<br />
(che potrebbe diventare una cittadella della<br />
scienza e della tecnica), il mercato ittico (dove<br />
potrebbe sorgere un acquario), la grande<br />
area verde adiacente denominata piazza Einstein,<br />
i capannoni della Zisa (che dovrebbero<br />
diventare un nucleo di cultura e cinematografia)<br />
e un Urban Center nell’area Palagonia, vicino<br />
al Politeama. Quest’ultimo è l’oggetto<br />
più misterioso di tutti, ricorda gli inutili centri<br />
polifunzionali di qualche anno fa.<br />
. HOMO LUDENS.<br />
Gli architetti contemporanei parlano in<br />
modo iniziatico, incomprensibile ai profani.<br />
Del resto, a giudicare dalla raffinata veste del<br />
loro sito web, gli architetti dello Studio 5+1AA<br />
si trovano a loro agio nella società liquida.<br />
Prima di entrare nella home page vieni accolto<br />
da un sottomarino, che ti guiderà nell’immersione<br />
fra le diverse bolle scaturite dalla fantasia<br />
dei progettisti. I loro progetti per Palermo<br />
non risolvono problemi strutturali, creano<br />
una rete di passeggiate per il tempo libero.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 668
| ( 5 ) |<br />
Tranne in due casi, almeno dal punto di vista<br />
strategico: il grande centro congressi, di cui<br />
Palermo non è ancora dotato, e l’acquario,<br />
che potrebbe costituire una degna conclusione<br />
delle migliorie in corso di realizzazione nell’area<br />
della Cala.<br />
Dopo di loro è salito sul palco Alessandro<br />
Cecchi Paone, che ha rotto l’incantesimo dialogando<br />
con i ragazzi del loggione. Non tutti<br />
possiedono l’arte di divulgare con chiarezza e<br />
così lui, da maestro navigato della comunicazione,<br />
ha tradotto i complicati concetti<br />
espressi prima: «Che vuol dire masterplan Possiamo<br />
dire progetto», «Che vuol dire cardo e decumano<br />
Gli assi principali della città».<br />
La cosa più sorprendente è che ha spiegato<br />
cosa serve a Palermo con una iniezione di<br />
buon senso inattesa. Lo ha fatto illustrando<br />
quattro città con dei filmati girati dalla sua<br />
troupe: Helsinki, Copenaghen, Shangai,<br />
Melbourne. Non ha intessuto un panegirico<br />
del progresso e dell’innovazione, anzi ha esaltato<br />
la salvaguardia della storia e, nel caso di<br />
Copenaghen, la copia di architetture classiche<br />
italiane. Ha sottolineato la necessità di città<br />
«più comode». Ottimi servizi pubblici per favorire<br />
la pedonalizzazione degli spazi; molto<br />
verde; rapporto stretto con il mare: questi alcuni<br />
degli ingredienti di successo illustrati.<br />
Meno convincente l’esaltazione della luce<br />
nell’architettura: in qualche maniera si è contraddetto,<br />
presentando le mostruose centrali<br />
elettriche necessarie ad alimentare le architetture<br />
recenti di Shangai.<br />
. PATHOS POSTMODERNO.<br />
Alla fine del suo intervento Cecchi Paone<br />
ha chiamato Maurizio Zamparini, provocandolo<br />
sulla sua pretesa di realizzare il nuovo<br />
stadio in sei mesi. <strong>Il</strong> Presidente del Palermo<br />
Calcio è stato accolto dallo scroscio degli applausi<br />
dei ragazzi. Ha arringato la folla con il<br />
suo consueto modo di fare burbero e sarcastico.<br />
Ha additato il nemico pubblico numero<br />
uno: la burocrazia. Non i politici, ma i brutti<br />
figli dei politici, i burocrati che gli fanno perdere<br />
dieci ore su dodici della sua giornata di<br />
lavoro. E non solo al Sud, anche a Grado. Per<br />
risolvere il problema, ha proposto al Presidente<br />
della Regione una soluzione insensata:<br />
creare un Assessorato del Buon Senso. Ottima<br />
idea! Così assumiamo altri burocrati che controlleranno<br />
i loro colleghi! E poi … quis custodiet<br />
ipsos custodes Non sarà che la burocrazia è<br />
figlia di un’idea sbagliata di amministrazione<br />
statale<br />
Non pago della prima boutade, ne ha sparata<br />
un’altra (con la stessa serietà). Presentando<br />
il progetto del nuovo stadio, da realizzare<br />
al posto del Velodromo dello ZEN (che forse<br />
il Comune di Palermo non ha neppure finito<br />
di pagare), ha affermato di non avere dato alcun<br />
compenso al progettista: «Perché è così che<br />
si deve fare. Gli architetti si pagano dopo che i progetti<br />
vengono finanziati». Ma questa prassi, in<br />
uso fino a qualche decennio or sono, non è illegale<br />
oggi<br />
Non c’è stato il tempo di riflettere, perché<br />
Zamparini intendeva fare ancora più leva sulle<br />
emozioni. Ha chiesto di far partire il video<br />
di presentazione del nuovo stadio ed è tornato<br />
in platea. Le luci si sono spente e si è acceso il<br />
pathos. Mentre le immagini mostravano una<br />
Palermo al buio su cui sorge il sole nuovo del<br />
“faro tecnologico” (lo stadio), in sala si diffondevano<br />
le note della fanfara di apertura<br />
Einleitung del famosissimo Also sprach Zarathustra<br />
di Richard Strauss. I ragazzi non hanno<br />
retto e sono esplosi in una fragorosa ovazione.<br />
Ecco l’avvento della nuova era del superuomo:<br />
il Presidente di una squadra di calcio può<br />
salvare l’intera città dal degrado. Gli imprenditori<br />
possono arrestare il declino, a favore<br />
delle nuove generazioni. È questo il messaggio<br />
del convegno<br />
22 novembre 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
www.culturaeidentita.org<br />
☞ È uscito il nuovo numero.<br />
Cultura & Identità - Rivista di studi conservatori ·<br />
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Ugo da Porta Ravegnana 15,<br />
00166 Roma.<br />
#<br />
. UNO SLOGAN PER CAMBIARE PALERMO.<br />
Lo spettacolo è continuato con identica<br />
profusione di mezzi. Raffaele Lombardo ha<br />
assicurato che il pomeriggio stesso la Giunta<br />
Regionale avrebbe discusso una delibera per<br />
dichiarare il masterplan “progetto di interesse<br />
strategico regionale”. Dall’indomani si sarebbe<br />
potuta convocare una conferenza di servizi<br />
per accelerare i tempi di realizzazione.<br />
L’arch. Roland Carta ha presentato, parlando<br />
in francese, i progetti per Marsiglia.<br />
Perfettamente in linea con l’atmosfera allucinogena<br />
dell’incontro. Le immagini dei progetti<br />
hanno mostrato numerosi interventi di<br />
archistar per trasformare un’antica capitale<br />
del Mediterraneo in un luna park. Fra gli altri<br />
l’architetto anglo-iracheno Zaha Hadid. La<br />
traduttrice non la conosceva e l’ha trasformata<br />
in un architetto arabo. Proteste dal pubblico<br />
colto delle prime file.<br />
Un responsabile del Gruppo Acqua Pia<br />
Antica Marcia ha portato i saluti di Francesco<br />
Caltagirone Bellavista, elogiando l’iniziativa.<br />
Melissa Collingham, della Ryanair, ha illustrato<br />
i programmi di sviluppo della compagnia<br />
aerea per la Sicilia, lamentando l’inerzia<br />
che consente che due isole uguali per estensione<br />
e popolazione abbiano tanta differenza<br />
di flussi turistici: 35 milioni di turisti l’Irlanda,<br />
12 milioni la Sicilia.<br />
Infine Felice Cavallaro, dopo una lucida<br />
sintesi di quanto era stato detto prima, ha invitato<br />
sul palco quindici rappresentanti delle<br />
banche, dell’università, del sindacato, dell’amministrazione<br />
cittadina, coordinando il<br />
dibattito su quanto si può fare davvero per Palermo,<br />
anche aldilà del masterplan. Albanese<br />
aveva per esempio proposto la privatizzazione<br />
dell’AMIA e della Gesip. Cavallaro ha incalzato<br />
il segretario della CISL, fino a quando<br />
quest'ultimo ha ammesso che sarebbe meglio<br />
trasferire la gestione dei servizi ai privati, con<br />
la possibilità di licenziare chi non vuole lavorare.<br />
Va rilevato però che sul palco era presente<br />
anche un responsabile dell’AMG, a testimoniare<br />
il fatto che un’azienda municipalizzata<br />
può essere in attivo.<br />
. ECCESSO DI FRIVOLEZZA.<br />
Alla fine della carrellata, sono rimasti un<br />
po’ di dubbi sulla validità dell’iniziativa. Paradossalmente<br />
ne esce valorizzato l’operato di<br />
una Giunta vituperata e assente (del sindaco<br />
nessuna traccia al convegno). In realtà il Presidente<br />
Albanese se l’è presa di più con un<br />
Consiglio Comunale inerte, proponendo di<br />
assegnare gli emolumenti ai consiglieri sulla<br />
base dei risultati raggiunti e non delle presenze.<br />
Ma, tornando alle scelte dell’attuale governo<br />
cittadino, ce ne sono almeno due degne<br />
di rilievo: i lavori per la metropolitana, di cui<br />
verrà aperto un tratto consistente l’11 dicemd<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 668
e, e l’eliminazione di alcune rigidità del<br />
PPE, che hanno consentito ti trasformare alcuni<br />
grandi immobili del Centro Storico in<br />
alberghi.<br />
L’architettura contemporanea è affetta da<br />
un’insostenibile leggerezza. È la frivolezza<br />
del postmoderno filosofico, che fra gli architetti<br />
ha assunto le sembianze del decostruttivismo.<br />
L’architettura del passato non era così:<br />
rispondeva davvero alle esigenze della vita<br />
della gente, creando luoghi belli per il lavoro,<br />
per l’abitazione, per le istituzioni, per il tempo<br />
libero. Palermo ha bisogno di quel tipo di<br />
soluzioni, non di costosissime macchine per il<br />
nulla.<br />
CIRO LOMONTE<br />
FIRENZE<br />
Sabato 10 dicembre ore 18.00<br />
Chiesa di Ognissanti<br />
Convegno:<br />
<strong>Il</strong> Concilio alla luce della Tradizione della Chiesa.<br />
Interverranno:<br />
Padre Serafino Lanzetta, Prof. Pietro De Marco,<br />
Prof. Massimo de Leonardis, Prof. Roberto<br />
de Mattei<br />
Nel corso del convegno saranno presentate le<br />
recentissime pubblicazioni Concilio Ecumenico<br />
Vaticano II a cura di P. Stefano M. Manelli e P.<br />
Serafino M. Lanzetta, e Apologia della Tradizione<br />
di Roberto de Mattei.<br />
<strong>Il</strong> convegno sarà preceduto alle ore 16.00, come<br />
di consueto, dalla celebrazione della S.<br />
Messa in rito romano antico.<br />
| ( 7 ) |<br />
†‡·•‡·•‡‚<br />
„<br />
K<br />
”<br />
La rima<br />
» …<br />
La festa del gnocco a Verona.<br />
„ ”<br />
‰`ˆ¿´`´¿ˆ`˜<br />
DI GIUSEPPE CAPPAROZZO (1892-1884)<br />
C<br />
ANTO la ghiotta pasta, ond'ebbe origine<br />
Tra l'annue feste il baccanal Brennonico;<br />
Quando ai tempi, che involve alta caligine,<br />
Da pria l'uso ne venne al suolo Ausonico.<br />
Dalla lunga, che il copre, atra rubigine<br />
Scuòti, o lepida Musa, il plettro armonico,<br />
E tra l'eterno piagnistèo romantico<br />
<strong>Il</strong> suon risveglia d'un allegro cantico.<br />
Meco volger ti piaccia i prischi storici,<br />
E de' tempi che furo il vel rimovere.<br />
Da prima i Frigi si nutriro e i Dorici<br />
Del frutto vil della Caonia rovere;<br />
Poi, come ancor tra gl'irti Cimbri e i Norici,<br />
Fornissi il desco di vivande povere,<br />
Che, logrando al lavor le braccia e l'omero,<br />
Quell'aspra gente ritraea dal vomero.<br />
Frutta piaquero allor di vario genere,<br />
Né le cipolle e i porri a vil si tennero:<br />
Daini, damme, cerbiatti ed agne tenere<br />
Le agresti mense ad allegrar poi vennero:<br />
E abbrustolate tra le brage e il cenere<br />
De'buoi l'ispide terga il pregio ottennero<br />
Rozzo era il cibo; né inventata a nuocere<br />
Era ancor l'arte del moderno cuocere.<br />
Nè men di fasto o di dovizia scevere<br />
Fûr le Sabine cene e i prandi Italici;<br />
Ma poi che d'Asia a dominar sul Tevere<br />
Venner le pompe co' tesori Attalici,<br />
In creta vil non fu più dolce il bevere,<br />
E si mutar le coppe in aurei calici;<br />
E gli Assiri tappeti e i lini Batavi<br />
Coprir la nuda povertà degli atavi.<br />
Fu allor che i cuochi a gareggiar si posero,<br />
E all'alto studio delle mense intesero:<br />
Tripodi e tegghie sulle brage imposero,<br />
E fumanti lebeti al foco appesero;<br />
22 novembre 2011 Anno XI
| ( 8 ) |<br />
E zughi e torte e fricassèe composero,<br />
E l'arte varia dei pasticci appresero:<br />
Ma perché molto nel lavor sudassero<br />
L'arte dei gnocchi dal cervel non trassero.<br />
Nelle splendide sale a mensa nobile<br />
Quest'umil arte non avea ricovero;<br />
Amò l'umil tugurio, e l'ombra mobile<br />
Dell'alno agreste e del selvaggio rovero:<br />
Ivi negletta del Sabaudo ignobile<br />
Fe' lieto il desco verecondo e povero;<br />
Finché venne a far sazi i ventri lubrici<br />
De' Veneti Luculli e degl'Insubrici.<br />
Al suo primo apparir le mense arrisero,<br />
Quasi risorte dall'età Vandaliche:<br />
I caudati Patrizi allor derisero<br />
Le Ciprie tazze e le vivande Saliche:<br />
Ebre d'ignota voluttà sorrisero<br />
Lieve col labro le matrone Italiche,<br />
E nel tripudio dell'allegre tavole<br />
Spianâr la fronte i grinzi nonni e l'avole.<br />
Per l'Ausonico suolo allor si stesero,<br />
E più celebri i gnocchi ognor divennero;<br />
Ma i tuoi, Verona, miglior forma presero,<br />
E fra l'altre pastiglie in grido vennero:<br />
E sì chiari e famosi indi si resero,<br />
Che ai prischi tempi un'annua festa ottennero,<br />
E i memori nipoti rinovellano<br />
Quell'annua festa, che dal gnocco appellano.<br />
Fanciul non è, che in sì bel giorno a prendere<br />
L'usate larve non saltelli e dondoli<br />
Né giovinetta che non ami appendere<br />
I vezzi al collo, ed agli orecchi i ciondoli:<br />
Ognun vedi abbigliarsi, ognun risplendere<br />
In vesti adorne di frastagli e dondoli;<br />
E, serve agli usi del leggiadro secolo,<br />
Le vecchie anch'esse consultar lo specolo.<br />
Già fresca vita sulle grinze infondono<br />
Unguenti eletti d'odoroso bucchero,<br />
E della fronte la calvezza ascondono<br />
Chiome olezzanti di soave mucchero:<br />
Le tremole pupille amor diffondono,<br />
Sorride il labro, che ti par di zucchero;<br />
E rughe e schianze, cui le vesti celano,<br />
Giovin bellezza e leggiadria rivelano.<br />
Altri con tirso di corimbi e d'edere<br />
Menan carole, e per le vie folleggiano;<br />
Altri tu vedi in lunghe cappe incedere,<br />
E larghi feltri che la fronte ombreggiano;<br />
Altri pe' trivi andar baccanti, e riedere<br />
Con nastri e code che sul dorso ondeggiano:<br />
Mille forme diverse ognor si mutano,<br />
E mille voci il baccanal salutano.<br />
Altri sul foco le caldaje appendono,<br />
Ove la pasta cerëal condensano;<br />
Altri sul desco le tovaglie stendono,<br />
E l'eletta vivanda altrui dispensano:<br />
Accorron tutti, e già le man protendono,<br />
Già col petto e cogli omeri s'addensano,<br />
E il ghiotto cibo a piene fauci ingozzano,<br />
E di lubrico burro il mento insozzano.<br />
Tal le passere ingorde a stormo volano<br />
Ove l'aride spiche al Sol si battono;<br />
Altre la preda alle compagne involano,<br />
Altre le penne sul terren dibattono:<br />
Ed or calano a piombo, ed or sorvolano,<br />
Or coll'avido rostro insiem combattono;<br />
E rotarsi le vedi, e seco volvere<br />
Le lievi paglie e la minuta polvere.<br />
Odi un rumor di mille ruote, un gemere<br />
Di carri adorni di mortelle e bacchere;<br />
Un echeggiar di liete grida, un fremere<br />
Di pazza gioja, ed un sonar di nacchere:<br />
Un correr vedi, un aggirarsi, un premere,<br />
Un mover d'anche, un agitar di zacchere;<br />
Un tumulto s'inalza, a cui s'accordano<br />
I suoni e i canti che le piazze assordano.<br />
Così pe'l sacro Citeron correvano<br />
Le Menadi all'antiche orgie festevoli;<br />
Quando l'Indiche tigri il Dio traevano,<br />
Fatti gl'ispidi colli al fren pieghevoli:<br />
Con alte grida i cembali scotevano,<br />
Guizzando in giro sulle gambe agevoli,<br />
E fean confuso mormorìo per l'etere<br />
I rauchi sistri e le strepenti cetere.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 668
A<br />
B<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
N°669<br />
d<strong>Il</strong><br />
ANNOXI<br />
<strong>Covile</strong>f<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
28 NOVEMBRE 2011<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
F A N T A S M I M A R X I S T I<br />
ESITI DISCORDI NEGLI ULTIMI GRANDI INTERPRETI<br />
DEL PENSIERO CHE HA TRAGICAMENTE<br />
SEGNATO L'INTERO NOVECENTO.<br />
U<br />
Ha fatto qualche cerchio in quella che sembrava ormai<br />
la del tutto morta gora della sinistra, la recente lettera<br />
aperta al PD di “quattro intellettuali di area marxista<br />
i cui nomi tanto hanno significato nella storia recente<br />
dell'alta cultura italiana” come scrivevamo presentandola<br />
lo scorso ottobre, n°662: il Manifesto e l'Unità<br />
non hanno potuto ignorarla e qualche giorno fa al gruppo<br />
si è aggiunto virtualmente anche Costanzo Preve,<br />
anch'egli serio studioso di Marx, di scuola althusseriana.<br />
Si potrebbe dire che questi intellettuali provano a<br />
smentire la profezia di Augusto Del Noce sul destino<br />
tecnocratico-nichilista del pensiero marxista e sull'inevitabile<br />
trasformazione del PCI in “partito radicale di<br />
massa”. La profezia resta sostanzialmente avverata,<br />
ma va ad onore di questi generosi militanti della vecchia<br />
guardia l'estremo tentativo di confutarla.<br />
Questo numero, per gran parte a cura di Armando Ermini,<br />
cerca di documentare come il marxismo critico<br />
della seconda metà del novecento 1 avesse due soli possibili<br />
esiti: uno gnosticismo sempre più esplicito o la scoperta<br />
della Chiesa cattolica come solo Katechon capace<br />
di orientare, dall'interno della modernità, la resistenza<br />
alla sussunzione dell'intera vita da parte dei meccanismi<br />
autoriproduttivi di Capitale. Da questo punto di<br />
vista si registra come un sempre più schmittiano Tronti<br />
abbia finalmente smesso di dialogare, assurdamente,<br />
con forze (Giuseppe Dossetti, Enzo Bianchi ecc.) di<br />
fatto antiromane, dissolutrici del tipo di Chiesa che<br />
rende possibile l'esistenza del Decisore cattolico, per riferirsi<br />
finalmente a quest'ultimo. N<br />
1 Su questi temi si veda utilmente di Riccardo De Benedetti La<br />
fenice di Marx, Medusa Edizioni, 2003.<br />
a Da Cesarano e Camatte a Tronti<br />
e Barcellona, intrecci e irriducibili<br />
differenze.<br />
DI ARMANDO ERMINI<br />
. LA RECENTE LETTERA APPELLO.<br />
Mi sono chiesto più volte quale fossero il senso<br />
e le origini della lettera/appello al PD dei<br />
quattro intellettuali di estrazione e cultura marxista.<br />
Affermazioni forti quali la necessità di tutela<br />
della libertà e della dignità della persona<br />
umana dal concepimento alla morte, ed espressioni<br />
altrettanto forti come “disastro antropologico”,<br />
“deriva della modernità” dominata dalla<br />
“mercificazione”, la condanna del relativismo<br />
etico, del nichilismo e dello scientismo domi-<br />
INDICE<br />
1 Armando Ermini. Da Cesarano e Camatte a<br />
Tronti e Barcellona, intrecci e irriducibili differenze.<br />
3 Pietro Barcellona, Paolo Sorbi, Mario Tronti,<br />
Giuseppe Vacca. L'emergenza antropologica:<br />
per una nuova alleanza.<br />
9 Costanzo Preve. Una lettera aperta su marxismo<br />
e religione.<br />
11 Armando Ermini. Pietro Barcellona (scheda).<br />
13 Mario Tronti. Estratti.<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />
www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />
<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />
minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />
cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />
Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
nanti, il richiamo positivo a concetti quali “valori<br />
non negoziabili”, l’esigenza di ricercare un<br />
“umanesimo condiviso” fra credenti e non credenti,<br />
e infine la scelta della Chiesa come interlocutore<br />
privilegiato e comunque non bypassabile,<br />
disegnano una visione del mondo “inaudita”.<br />
Non solo per le sinistre di ogni tipo, progressiste<br />
o antagoniste che siano, ma per tutti coloro che,<br />
anche a destra, hanno sposato i miti e i feticci<br />
della modernità, cattolici compresi. Visione del<br />
mondo inaudita, facilmente tacciabile di oscurantismo,<br />
ma non estranea al punto di partenza<br />
della riflessione, in anni ormai lontani, di un filone<br />
di pensiero che ha cercato in Marx non solo<br />
gli strumenti di analisi delle tendenze del capitalismo,<br />
ma anche una soteriologia, una teoria di<br />
salvezza dell’umanità, con l’elaborazione di un<br />
pensiero non immune da contraddizioni o pericolose<br />
ambiguità ma che certamente riusciva a<br />
scavare nella carne viva della contemporaneità.<br />
E che ha avuto il pregio di porre un problema<br />
reale e attuale oggi più di ieri, quello dell’alienazione<br />
crescente, anche se ha creduto di risolverlo<br />
nel modo peggiore. <strong>Il</strong> pensiero va immediatamente<br />
a Pier Paolo Pasolini ed alla sua intensissima,<br />
religiosa ricerca di senso che, per sua stessa<br />
esplicita ammissione, non poteva trovare nel<br />
marxismo. Non mi interessa arruolare Pasolini o<br />
nessun altro fra le schiere dei non progressisti,<br />
ma se all’epoca in cui scriveva fu accusato di derive<br />
reazionarie, e se dopo la sua morte è stato<br />
progressivamente dimenticato, o meglio sono<br />
cadute nell’oblio le sue più importanti intuizioni,<br />
peraltro riprese da autori, come Camillo<br />
Langone, dichiaratamente antiprogressisti, non<br />
è un caso.<br />
. CAMATTE E CESARANO.<br />
Lo stesso può dirsi per quell’area ultraminoritaria<br />
della sinistra rappresentata a cavallo fra<br />
gli anni ’60 e ’70 dal gruppo di uomini raccolti<br />
intorno a Giorgio Cesarano in Italia, e da J. Camatte<br />
e i situazionisti in Francia. E grande è stato<br />
il merito di Stefano Borselli e de <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> che<br />
negli anni hanno riproposto criticamente il loro<br />
pensiero, che anch’io, allora attardato nelle categorie<br />
classiche del marxismo (lotta di classe,<br />
proletariato, rivoluzione, borghesia, teoria leninista<br />
dello Stato), non conoscevo affatto.<br />
Non è il caso, e non ci riuscirei in maniera<br />
sintetica, di riassumere quel filone di pensiero<br />
con tutte le sue innumerevoli implicazioni, per il<br />
quale rimando ai pregressi numeri de <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>. 2<br />
Voglio solo, allo scopo della presente riflessione,<br />
richiamare il concetto di antropomorfosi del capitale.<br />
Si tratta del processo in virtù del quale il<br />
capitale si appropria interamente del tempo<br />
umano (dominio reale), diversamente dall’epoca<br />
in cui si appropriava sì del tempo di lavoro, ma<br />
lasciava all’individuo la proprietà del tempo di<br />
non lavoro (dominio formale).<br />
Si è arrivati – scrive Camatte – all’organizzazione<br />
del tempo per il capitale ed è a partire da ciò<br />
che il capitale ha potuto mettere a punto la programmazione<br />
di ogni aspetto della vita umana. 3<br />
Ne è conseguenza l’introiezione da parte degli<br />
individui della percezione e rappresentazione<br />
di sé come capitale, che rende inutile, se non come<br />
pura rappresentazione di cui si appropria il<br />
capitale stesso nella sua dinamica interna, la lotta<br />
di classe. Sempre Camatte scrive che<br />
“ciò comporta l’abbandono di ogni teoria classista<br />
e la comprensione del fatto che una immensa<br />
fase storica si è conclusa” 4<br />
Ed anche le controculture giovanili, che pure<br />
esprimono l’immenso disagio di un modo di vivere<br />
sempre più alienato, finiscono per ricadere<br />
sotto il dominio del capitale, diventandone anch’essi<br />
sua espressione funzionale. Mi sembra<br />
utile richiamare di passaggio, a questo proposito,<br />
i numeri de <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> dedicati ai movimenti<br />
moderni 5 , dove queste dinamiche sono analizza-<br />
2 Si vedano i NN. 52 (febbraio 2002, “Tributo a Giorgio<br />
Cesarano”), 140 (aprile, “Pierotto, in memoria” 2003), 225 (ottobre<br />
2004, “Ben scavato Claudio!”), 342 (settembre 2006, “Le<br />
fatiche di Claudio Dettorre”), 400 (giugno 2007, “Archivio<br />
Cesarano, Lampi di Critica radicale”), 615 (novembre 2010) e in<br />
Raccolta il capitolo 10 “Difesa del lavoro”.<br />
3 Jacques Camatte, <strong>Il</strong> Disvelamento, traduzione di Giovanni<br />
Dettori, edizione elettronica sulla base di quella La Pietra del<br />
1978, pag. 6. <strong>Il</strong> testo è disponibile in rete a<br />
www.nelvento.net/critica/disvelamento.pdf .<br />
4 Ivi, pag. 2.<br />
5 Ora raccolti in Romano Guardini e i movimenti moderni.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 669
| ( 3 ) |<br />
\ Lettera aperta<br />
L'EMERGENZA ANTROPOLOGICA:<br />
PER UNA NUOVA ALLEANZA.<br />
La manipolazione della vita, originata dagli sviluppi della<br />
tecnica e dalla violenza insita nei processi di globalizzazione in<br />
assenza di un nuovo ordinamento internazionale, ci pone di<br />
fronte ad una inedita emergenza antropologica. Essa ci appare la<br />
manifestazione più grave e al tempo stesso la radice più profonda<br />
della crisi della democrazia. Germina sfide che esigono una nuova<br />
alleanza fra uomini e donne, credenti e non credenti, religioni<br />
e politica. Pertanto riteniamo degne di attenzione e meritevoli di<br />
speranza le novità che nel nostro Paese si annunciano in campo<br />
religioso e civile.<br />
A noi pare che negli ultimi anni – un periodo storico cominciato<br />
con la crisi finanziaria del 2007 e in Italia con il crepuscolo<br />
della “seconda Repubblica” – mentre la Chiesa italiana si impegnava<br />
sempre più a rimodulare la sua funzione nazionale, un<br />
interlocutore come il Partito democratico sia venuto definendo<br />
la sua fisionomia originale di “partito di credenti e non<br />
credenti”. Sono novità significative che ampliano il campo delle<br />
forze che, cooperando responsabilmente, possono concorrere a<br />
prospettare soluzioni efficaci della crisi attuale.<br />
<strong>Il</strong> terreno comune è la definizione della nuova laicità, che nelle<br />
parole del segretario del PD muove dal riconoscimento della<br />
rilevanza pubblica delle fedi religiose e nel magistero della Chiesa<br />
da una visione positiva della modernità, fondata sull’alleanza<br />
di fede e ragione. Nel suo libro-intervista Per una buona ragione,<br />
Pier Luigi Bersani afferma che il “confronto con la dottrina<br />
sociale della Chiesa” è un tratto distintivo della ispirazione riformistica<br />
del PD e che la presenza in Italia “della massima autorità<br />
spirituale cattolica” può favorire il superamento del bipolarismo<br />
etico che in passaggi cruciali della vita del Paese ha condizionato<br />
negativamente la politica democratica. Ribadendo, infine,<br />
la “responsabilità autonoma della politica”, Bersani esprime<br />
una opzione decisa per una sua visione “che non volendo rinunciare<br />
a profonde e impegnative convinzioni etiche e religiose,<br />
affida alla responsabilità dei laici la mediazione della scelta<br />
concreta delle decisioni politiche”.<br />
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica vi sono due punti della<br />
relazione del cardinale Bagnasco alla riunione del Consiglio<br />
permanente dei vescovi del 26-29 settembre 2011 che meritano<br />
particolare attenzione.<br />
<strong>Il</strong> primo riguarda la critica della “cultura radicale”: essa è rivolta<br />
a quelle posizioni che, “muovendo da una concezione individualistica”,<br />
rinchiudono “la persona nell’isolamento triste della<br />
propria libertà assoluta, slegata dalla verità del bene e da ogni<br />
relazione sociale”.<br />
<strong>Il</strong> secondo è la proposta di nuove modalità dell’impegno comune<br />
dei cattolici per contrastare quella che in una precedente<br />
occasione aveva definito “la catastrofe antropologica”: “la possibilità<br />
di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la<br />
politica”. E non è meno significativa la sua giustificazione storica:<br />
“A dar coscienza ai cattolici oggi non è anzitutto un’appartenenza<br />
esterna, ma i valori dell’umanizzazione [che] sempre di<br />
più richiamano anche l’interesse di chi esplicitamente cattolico<br />
non si sente”. In altre parole, la “possibilità” di questo nuovo<br />
soggetto origina dall’impegno sociale e culturale del laicato, nel<br />
X<br />
quale i cattolici sono “più uniti di quanto taluno vorrebbe credere”<br />
grazie alla bussola che li guida: la costruzione di un umanesimo<br />
condiviso.<br />
La definizione della nuova laicità e l’assunzione di una responsabilità<br />
più avvertita della Chiesa per le sorti dell’Italia esigono<br />
uno sviluppo dell’iniziativa politica e culturale volta non<br />
solo a interloquire con il mondo cattolico, ma anche a cercare<br />
forme nuove di collaborazione con la Chiesa, nell’interesse del<br />
Paese. A tal fine appare dirimente il confronto su due temi fondamentali<br />
del magistero di Benedetto XVI che nell’interpretazione<br />
prevalente hanno generato confusioni e distorsioni tuttora<br />
presenti nel discorso pubblico: il rifiuto del “relativismo etico” e<br />
il concetto di “valori non negoziabili”.<br />
Per chi dedichi la dovuta attenzione al pensiero di Benedetto<br />
XVI non dovrebbero sorgere equivoci in proposito. La condanna<br />
del “relativismo etico” non travolge il pluralismo culturale,<br />
ma riguarda solo le visioni nichilistiche della modernità che,<br />
seppur praticate da minoranze intellettuali significative, non si<br />
ritrovano a fondamento dell’agire democratico in nessun tipo di<br />
comunità: locale, nazionale e sovranazionale. <strong>Il</strong> “relativismo etico”<br />
permea, invece, profondamente, i processi di secolarizzazione,<br />
nella misura in cui siano dominati dalla mercificazione. Ma<br />
non è chi non veda come la lotta contro questa deriva della modernità<br />
costituisca l’assillo fondamentale della politica democratica,<br />
comunque se ne declinino i principii, da credenti o da non<br />
credenti.<br />
D’altro canto, non dovrebbero esserci equivoci neppure sul<br />
concetto di “valori non negoziabili” se lo si considera nella sua<br />
precisa formulazione. Un concetto che non discrimina credenti e<br />
non credenti, e richiama alla responsabilità della coerenza fra i<br />
comportamenti e i principii ideali che li ispirano. Un concetto<br />
che attiene, appunto, alla sfera dei valori, cioè dei criteri che<br />
debbono ispirare l’agire personale e collettivo, ma non nega<br />
l’autonomia della mediazione politica. Non si può quindi far risalire<br />
a quel concetto la responsabilità di decisioni in cui, per<br />
fallimenti della mediazione laica, o per non nobili ragioni di opportunismo,<br />
vengano offese la libertà e la dignità della persona<br />
umana fin dal suo concepimento.<br />
Ad ogni modo, se nell’approccio alle sfide inedite della biopolitica<br />
ci sono stati e si verificano equivoci e cadute di tal genere<br />
non solo in scelte opportunistiche del centrodestra, ma anche<br />
nel determinismo scientistico del centrosinistra, la riaffermazione<br />
del valore della mediazione laica che sembra ispirare “la possibilità<br />
di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la<br />
politica” rischiara il terreno del confronto fra credenti e non<br />
credenti. Quindi dipenderà dall’iniziativa culturale e politica<br />
delle forze in campo se quella “possibilità” acquisterà un segno<br />
progressivo o meno nella vicenda italiana.<br />
A tal fine noi riteniamo che il PD debba promuovere un confronto<br />
pubblico con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni<br />
religiose operanti in Italia oltre che sui temi cosiddetti “eticamente<br />
sensibili”, su quelli che attengono in maniera più stringente<br />
ai rischi attuali della nazione italiana: la tenuta della sua<br />
unità, la “sostanza etica” del regime democratico.<br />
Tanto sull’uno, quanto sull’altro, la storia dell’Italia unita dimostra<br />
che la funzione nazionale assolta o mancata dal cattolicesimo<br />
politico è stata determinante e lo sarà anche in futuro.<br />
PIETRO BARCELLONA, PAOLO SORBI, MARIO<br />
TRONTI, GIUSEPPE VACCA.<br />
_<br />
[<br />
28 novembre 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
te nella loro genesi e nei loro esiti. Con ciò si<br />
chiude il cerchio e, scrive Camatte,<br />
È l’alienazione portata a termine. Gli esseri<br />
umani sono totalmente divenuti altro. 6<br />
A sua volta Cesarano, nella tesi 73 di Apocalisse<br />
e rivoluzione 7 , afferma che<br />
Non si tratta più di discutere su questioni distributive,<br />
su argomenti di ricchezza e povertà, su<br />
moralità di appropriatori e di espropriati, quando<br />
a vivere veramente non è più nessuno, quando<br />
a rischiare di morire sono indifferentemente<br />
tutti. 8<br />
. LA RIVOLUZIONE DEI CORPI.<br />
La conseguenza che Cesarano e Camatte<br />
traggono dall’appropriazione da parte del capitale<br />
di ogni piega del tempo di un uomo ormai<br />
totalmente alienato, è che la rivoluzione o è biologica<br />
o non è. O è una rivoluzione che parte dal<br />
corpo e in esso incide, quindi assai più radicale e<br />
liberatoria di ogni altra sua forma parziale, o è<br />
destinata ad essere riassorbita dalla capacità<br />
(diabolica) del capitale di appropriarsi di ogni<br />
espressione della vita umana e dei suoi bisogni e<br />
rimetterla in scena come rappresentazione mistificata.<br />
Sulle ambiguità del concetto di rivoluzione<br />
biologica come declinato da Cesarano e Camatte,<br />
rimando a quanto scritto da Stefano nella<br />
sua prefazione al libro di Claudio D’Ettorre<br />
Giorgio Cesarano e la critica capitale. Qui mi preme<br />
sottolineare invece che se alla metà degli anni<br />
’70 potevano sembrare elucubrazioni un po’<br />
fantasiose permeate da un assolutismo profetico<br />
difficile da condividere per la stragrande maggioranza,<br />
oggi si può dire che la realtà ha superato<br />
l’immaginazione.<br />
Si definisca il moderno Leviatano come capitale<br />
astratto o come degenerazione di un capitalismo<br />
disancorato dall’uomo, come onnipotenza<br />
del sistema Tecnico o come volontà umana<br />
6 Ivi, pag. 5.<br />
7 Gianni Collu e Giorgio Cesarano, Apocalisse e rivoluzione,<br />
Edizioni Dedalo 1974.<br />
8 Citato in Claudio D’Ettorre, Giorgio Cesarano e la critica capitale,<br />
I testi del <strong>Covile</strong>, 2004, p. 11. <strong>Il</strong> testo è disponibile in rete a<br />
www.ilcovile.it.<br />
di sganciarsi da ogni legame con Dio e dalla natura,<br />
è un fatto che oggi il Leviatano si è impossessato<br />
della vita umana dall’origine mediante<br />
l’ingegneria genetica e la possibilità di fabbricare<br />
artificialmente gli individui scegliendone i caratteri<br />
genetici, fino alla non tanto futuribile<br />
clonazione delle cellule umane, con le inevitabili<br />
implicazioni eugeniste mascherate da una falsa<br />
libertà di scelta. Ed è un fatto che ormai la vita<br />
stessa è diventata oggetto di business o, in altri<br />
termini, inserita nel processo di riproduzione allargata<br />
del capitale.<br />
Abbiamo salutato come conquista di libertà,<br />
anche a ragione, la separazione della sessualità<br />
dalla procreazione e tutt’ora siamo ancorati a<br />
quella visione, ma non ci siamo ancora sufficientemente<br />
resi conto che era solo la prima di<br />
due tappe. Quella successiva, e decisiva, è stata<br />
la separazione della procreazione dalla sessualità,<br />
che ha disancorato la generazione della vita<br />
dall’unione naturale dei corpi, dal desiderio del<br />
corpo, dai sensi del corpo. Ed è perciò singolare<br />
leggere da Cesarano, in L’insurrezione erotica,<br />
che<br />
l’orgasmo, ripristinando nel suo attimo separato<br />
il dominio reale della corporeità organica, nega<br />
d’un colpo il corpo ridotto a strumento di produzione<br />
e di riproduzione, 9<br />
mentre è in realtà vero l’opposto, che spostando<br />
la riproduzione da atto naturale a artificiale<br />
la si inserisce immediatamente nel processo<br />
produttivo controllato e controllabile. Sotto<br />
questo punto di vista Camatte mi sembra più<br />
consapevole della questione quando, in “Amore<br />
o combinatoria sessuale” scrive che quando si<br />
realizzasse la dissociazione fra procreazione e<br />
sessualità,<br />
sarà difficile vivere al momento voluto tutta la<br />
dimensione specifica, paleontologica e cosmica<br />
dell’atto sessuale che si sviluppa nello sfociare-aprirsi<br />
procreativo. […] <strong>Il</strong> pericolo di una riduzione<br />
a particelle neutre è molto reale, perché<br />
da diversi orizzonti si propone in definitiva<br />
di sopprimere la procreazione (che permetterebbe<br />
una liberazione completa della donna e<br />
9 Citato in Giorgio Cesarano e la critica capitale, cit., p. 63.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 669
| ( 5 ) |<br />
dell’amore). 10<br />
Eccellente analisi, ma contraddetta proprio<br />
dalle teorizzazioni del movimento femminista, e<br />
di parte consistente dell’universo femminile a<br />
cui, come vedremo poi, assegna il ruolo salvifico<br />
del mondo. D’altro canto le contraddizioni abbondano<br />
in Camatte. Sempre nello stesso scritto<br />
dice infatti, riferendosi agli Usa, che<br />
in seguito alla caducità dei ruoli, uomini e donne<br />
hanno perduto qualsiasi asse di riferimento e<br />
sono capaci soltanto di portarsi un odio sessuale,<br />
ciascuno di essi volendo preservare a qualsiasi<br />
prezzo la propria identità e non perdersi nell’unione<br />
sessuale. Ci si può chiedere se, a questo<br />
punto, non si verifichi la regressione assoluta. 11<br />
Mi sembra vero l’opposto. La regressione assoluta<br />
è la fusionalità assoluta, non la difesa della<br />
propria identità. E se ci si difende nell’atto<br />
sessuale non è perché si ha paura di perdersi in<br />
quell’atto, ma perché si teme che quel perdersi<br />
sia senza ritorno in quanto sono venuti meno,<br />
nella vita quotidiana, i confini e i limiti, Renè<br />
Girard direbbe le differenze, ostacolo all’odio<br />
mimetico di tutti contro tutti.<br />
. L’INDIVIDUO ASTRATTO O<br />
FABBRICATO.<br />
Quando Camatte scrive che “<strong>Il</strong> capitale<br />
astrae l’uomo” o che “L’uomo della società borghese<br />
è puro spirito” 12 , fa riferimento, mi sembra,<br />
al processo di alienazione dell’uomo da se<br />
stesso come essere in cui corpo e anima, materia<br />
e spirito, siano uniti indissolubilmente e traggano<br />
l’uno dall’altro alimento e senso. La possibilità<br />
concreta di fabbricare artificialmente l’essere<br />
umano, ancorché per ora limitata nella sua<br />
applicazione (ma secondo alcuni guru della modernità<br />
come il prof. Veronesi, sarà questo il futuro<br />
per tutti), è l’atto finale di un processo progressivo<br />
di distacco dell’uomo dal suo corpo e<br />
dai suoi sensi, in definitiva dalla sua identità più<br />
profonda, nonostante che di corpo si parli fin<br />
troppo sui media. Ma, come abbiamo già detto,<br />
10 <strong>Il</strong> Disvelamento, cit., pag. 61.<br />
11 Ivi, pag. 59.<br />
12 Citazioni tratte da Giorgio Cesarano e la critica capitale, cit.<br />
quelle attuali sono solo “rappresentazioni”! Vale<br />
la pena citare un passo dell’ultimo libro di Claudio<br />
Risè Guarda, tocca, vivi 13 :<br />
Più il corpo diventava un “discorso” – mediatico,<br />
scientifico, politico, artistico, addirittura giuridico<br />
(i celebrati “diritti del corpo”) – più l’esperienza<br />
che l’individuo ne faceva si alleggeriva,<br />
svaporava, diventava più intellettuale che fisica.<br />
[...] Più se ne parlava, più il corpo si allontanava,<br />
alzandosi dalla terra su cui, in tutta la storia<br />
umana, era rimasto saldamente poggiato e<br />
trasferendosi nell’iperspazio virtuale della rete,<br />
sulle immagini dei media, della comunicazione,<br />
dei sogni e degli incubi collettivi. [...] Ai sensi si<br />
sostituivano dunque le parole e i ragionamenti<br />
sui sensi; all’esperienza spontanea, diretta, della<br />
relazione con l’altro si sostituivano i ragionamenti<br />
sull’altro; all’immersione personale nella<br />
natura si sostituiva la descrizione mediatica o<br />
l’organizzazione e la vendita turistica dello<br />
sguardo sulla natura.<br />
Tornando all’appello dei quattro, mi sembra<br />
dunque che, niente affatto estraneo alle riflessioni<br />
di partenza di Camatte e Cesarano, ne eviti<br />
però le secche.<br />
Due della quali sono i concetti di “uscita della<br />
specie dalla preistoria per realizzare la totalità<br />
organica naturante” e la paura della “moltiplicazione<br />
quantitativa”, quasi che la vita si muovesse<br />
secondo un programma interno già stabilito<br />
a priori verso un continuo miglioramento.<br />
Anche restando nell’ambito delle teorie evolutive,<br />
sappiamo bene che se alcune specie si sono<br />
evolute per adattarsi all’ambiente, altre si sono<br />
estinte per lo stesso motivo. La natura non offre<br />
in sé nessuna garanzia di totalità organica. Ciò<br />
che l’uomo può fare è, invece, di modificare la<br />
propria, di natura, diciamo così denaturalizzandosi.<br />
Ossia staccandosi dai processi della natura<br />
per inventarsene dei propri e diversi, artificiali,<br />
ed accedere così ad una nuova realtà virtuale parallela,<br />
un gigantesco Matrix, destinata a soppiantare<br />
la realtà naturale come è sempre stata<br />
vissuta dai primordi ad oggi, così che sarebbe più<br />
giusto parlare non di uscita dalla preistoria ma<br />
13 Sperling & Kupfer, <strong>2011.</strong><br />
28 novembre 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
di inizio di un’altra storia, totalmente diversa.<br />
Questo è, in buona sostanza, il nocciolo della<br />
questione antropologica, di cui fa parte anche<br />
l’ossessione per la moltiplicazione quantitativa<br />
di cui parla Camatte, che peraltro riprende alcuni<br />
passaggi di Marx nei Grundrisse.<br />
. ANGOSCIA E REGRESSIONE IN<br />
CESARANO.<br />
Giustamente Stefano fa notare che quella<br />
paura, quella onnipotente necessità di controllo,<br />
male si sposa con l’amore per la vita. 14 C’è, qui,<br />
una contraddizione interna insanabile, peraltro<br />
non la sola.<br />
Conoscendo Cesarano solo attraverso il libro<br />
di D’Ettorre, ne ho ricavato la sensazione di una<br />
ricerca di senso urgente e indilazionabile, di un<br />
anelito “religioso” verso la perfetta beatitudine<br />
che non si concilia con i limiti del corpo vivente,<br />
tanto da fargli scrivere che<br />
Effettivamente un corpo che è morto è visto dai<br />
corpi vivi emancipato in una sua conclusione in<br />
sé. La morte appare il modo misterioso dell’emancipazione<br />
del corpo, ai corpi vivi che la<br />
guardano. 15<br />
Un’altra vita dunque, disincarnata, che superi<br />
i limiti dell’umano. Ma quale<br />
Una vita, risponde nel Manuale di sopravvivenza,<br />
che sia liberata dall’io.<br />
Non si tratta di liberare l’io, si tratta di liberarsi<br />
dall’io, liberando così la storia dal principio. E<br />
questo fin d’ora. Non c’è nulla da aspettare. <strong>Il</strong><br />
tempo è questo tempo, il tempo della fine del<br />
dolore è il tempo in cui il dolore si fa intollerabile.<br />
16<br />
Posso sbagliarmi, posso non aver compreso il<br />
senso di quelle parole, ma il corpo che si emancipa<br />
con la morte e la liberazione dall’io come<br />
fine del dolore intollerabile di vivere, mi sembra<br />
14 «Ci si chiede: cos’è quella paura della “inumana” (perché<br />
inumana) “moltiplicazione quantitativa” che bisognerebbe in tutti<br />
i modi “controllare” Non è che Camatte alla fin fine abbia<br />
paura della vita stessa, dei suoi eccessi, del suo essere spreco, dono<br />
smisurato» Giorgio Cesarano e la critica capitale, cit., Prefazione, p.<br />
6.<br />
15 Citato in Giorgio Cesarano e la critica capitale, cit., p. 97.<br />
16 Tesi n° 12.<br />
una invocazione al ritorno nel ventre della madre<br />
biologica e della madre terra, che simbologicamente<br />
si identificano. Tanto più che Cesarano<br />
ha studiato le opere, fra gli altri, di Melanie<br />
Klein che si concentrò sul concetto angoscia<br />
primaria dovuta alla separazione dell’unità biologica<br />
madre/bambino e che nel suo lessico, nota<br />
D’Ettorre, abbondano termini quali pienezza,<br />
organicità, intierezza, fusione, totalità, che appunto<br />
contrassegnano lo stato di beatitudine fetale<br />
nel grambo materno interrotta bruscamente<br />
e dolorosamente, e per sempre, con la nascita al<br />
mondo. “L’alieno, ciò in cui irromperà il feto,<br />
cioè nel non corporeo. L’angoscia – scrive ancora<br />
– è il memento vivere della corporeità”. Pare<br />
così che l’invocata “pienezza dell’essere”, la liberazione<br />
dall’alienazione, diventi possibile solo<br />
nel dissolvimento del corpo individuale che torni<br />
alla sua propria origine, oppure in un improbabile<br />
nuovo inizio della specie (la storia contrapposta<br />
alla preistoria) che sembra poggiare<br />
sul nulla, dal momento che tutto, nel passato<br />
“preistorico”, ha negato quella pienezza. È significativo<br />
in questo senso che Camatte, poiché<br />
per lui “tremila anni di arco storico del<br />
capitale” 17 , cioè in pratica tutta la storia (ma poi<br />
perché tremila e non ad esempio quattromila o<br />
duemila) sono opera esclusivamente maschile, e<br />
poiché sarebbe solo preistoria, affidi la invece la<br />
storia vera, ossia la salvezza dell’umanità, alle<br />
donne. “Un’altra dinamica è quindi concepibile<br />
solo a partire da un polo predominante femminile”<br />
18 , scrive. Riappare l’equazione di cui ci siamo<br />
già occupati in altre circostanze. Capitale =<br />
maschile = oppressione = alienazione, e simmetricamente<br />
la sua reciproca al femminile. Riemergono<br />
innocenza e colpevolezza ontologiche<br />
attribuite per sesso, e una mistica della salvezza<br />
non più riposta nel proletariato ma nel genere<br />
femminile come unico “universale”, capace, almeno<br />
in potenza, di costruire il paradiso in terra.<br />
La rivoluzione biologica si arena così nella<br />
regressione o nell’indeterminatezza immaginifi-<br />
17 “Amore o combinatoria sessuale” in <strong>Il</strong> Disvelamento, cit.,<br />
pag. 67.<br />
18 Ibidem.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 669
| ( 7 ) |<br />
ca di un uomo senza passato e senza identità sociale<br />
e individuale, negate come specchio deformante<br />
che altri impongono al soggetto. “La parola<br />
dis-conoscente”, “I nomi che negano”, “Gli<br />
occhi che ti inchiodano a ciò che non sei”, “Gli occhi<br />
del padre, della madre, gli occhi dei fratelli, gli occhi<br />
dei figli”, sono espressioni eloquenti, in definitiva,<br />
dell’impossibilità di relazione umana autentica.<br />
L’esito non può non essere che la solitudine<br />
esistenziale, perché negando ogni veridicità<br />
dello sguardo dell’altro su di noi, si nega anche<br />
la veridicità del nostro sguardo sull’altro.<br />
. UNA NUOVA RELIGIONE LAICA.<br />
Paralizzata nell’oscillazione fra la nostalgia<br />
per una impossibile totalità armonica che sfocia<br />
in regressione mortifera e la fuga in avanti di un<br />
salto evolutivo che nel recidere ogni legame con<br />
il passato rischia di affidarsi inerme a nuovi stregoni<br />
(contraddicendo le proprie premesse e i fini<br />
dichiarati, nonché scivolando in una forma di<br />
razzismo), fra pessimismo angosciato e volontà<br />
prometeica, quell’area culturale riesce a pensare<br />
l’essere umano solo in senso di dicotomia assoluta.<br />
Da un lato capace di conquistare la pienezza<br />
dell’essere qui ed ora “solo” che si liberi dal dominio<br />
reale del capitale, dall’altro, però, incapace<br />
di produrre autonomamente anticorpi ai pericoli<br />
(reali) ai quali è esposto, e incapace continuare<br />
a pensarsi, pur abitando questo mondo,<br />
con categorie estranee alla dinamica imboccata<br />
dalla modernità.<br />
“Da questo mondo gravido di catastrofi non<br />
c’è da aspettarsi nulla […] Bisogna lasciarlo e<br />
cominciare un’altra dinamica di vita” 19 , perché,<br />
scrive Camatte, “La comunità umana si pone al<br />
di fuori di questo mondo” 20 .<br />
Gli fa eco Cesarano quando, in Cronaca di un<br />
ballo mascherato, parla con evidente disprezzo<br />
per l’uomo come è, di “collettività –sotto umana”,<br />
o di una “umanità” (virgolettato suo) fatta<br />
di automi che, come in ogni gnosi, può essere<br />
salvata solo dagli iniziati al vero sapere, quasi<br />
fossero costoro nuovi Dei o meglio nuove, e an-<br />
19 Ivi, pag. 69.<br />
20 “Marx e il Gemeinwesen” in <strong>Il</strong> Disvelamento, cit., pag. 12.<br />
tichissime, Dee.<br />
Dicevo all’inizio della componente soteriologica<br />
di Marx, che Camatte e Cesarano assumono<br />
sostituendo al proletariato il genere femminile, e<br />
con ciò spostandosi dal terreno dei puri rapporti<br />
socio/economici su quello di una neo-religione<br />
matriarcale ri-naturalizzata, e in buona sostanza,<br />
anche se non lo ammetterebbero mai, arcaica.<br />
Perché infine di questo si tratta quando il<br />
primo scrive che “l’eterno femminino [...] è il<br />
dato della comunità” 21 , con ciò riallacciandosi<br />
alle contestate teorizzazioni di Bachofen sul matriarcato<br />
originario e ad Engels che quelle tesi<br />
riprese in L’origine della famiglia, ma anche liquidando<br />
millenni si sforzo dell’umanità per acquisire<br />
coscienza di sé, per uscire dall’indistinzione<br />
originaria e dalla “partecipation mistique”<br />
al cosmo, riduttivamente letti come il cammino<br />
(maschile) del dominio del capitale. Tutto, o<br />
quasi tutto, converge verso questa interpretazione.<br />
Sul piano filogenetico quando appunto si<br />
pensa alla comunità reale contrapposta alla comunità/capitale<br />
fittizia, e da ricostituire sul calco<br />
di quella originaria di carattere femminile.<br />
Sul piano ontogenetico quando, come ho già<br />
scritto, si pensa nostalgicamente alla fusionalità<br />
feto/madre e a quella condizione paradisiaca in<br />
grado di soddisfare esaudire ogni desiderio e<br />
soddisfare ogni bisogno. Valga, e mi fermo, la<br />
lettura del punto 11 dell’appendice “Ciò che non<br />
si può tacere” al testo di Cesarano, Coppo e Fallisi<br />
Cronaca di un ballo mascherato. Vi si legge:<br />
La vera fame è millenaria: già carica della sapienza<br />
di sé che le consente d’insorgere contro<br />
ogni eteronomia tesa a ricacciarla in un limite<br />
designato come l’insuperabilità della “condizione<br />
umana”. Questo il senso dell’autogenesi<br />
creativa: l’autogestione generalizzata come abbattimento<br />
reiterato d’ogni barriera al farsi<br />
umano, all’origine in divenire della specie signora<br />
in sé; lotta a oltranza contro ogni riprodursi<br />
aggiornato della ristrettezza politica; abolizione<br />
violenta di ogni potere delle contingenze<br />
amministrate sulla pelle degli oppressi e a loro<br />
nome; riconoscimento e rigenerazione, contro il<br />
21 “Contro ogni attesa” in <strong>Il</strong> Disvelamento, cit., pag. 67.<br />
28 novembre 2011 Anno XI
| ( 8 ) |<br />
bisogno, del desiderio; inverarsi della passione<br />
di vivere contro ogni retorica del limite e ogni<br />
poetica del sacrificio. Le condizioni di questa<br />
lotta sono inscritte nel desiderio di comunismo<br />
come il desiderio di comunismo è inscritto nell’iter<br />
preistorico. 22<br />
Abbastanza facile notare, a oltre quarant’anni<br />
da quelle parole, che ancora una volta, il capitale<br />
si è appropriato sia del desiderio che del comunismo<br />
per riproporli nelle sue proprie forme<br />
di rappresentazione fittizia e distorta. <strong>Il</strong> che dovrebbe<br />
far riflettere sul fatto che mentre quelle<br />
domande di senso e di comunità sono reali, confermate<br />
e giustificate nel mondo post-moderno<br />
ancor più di ieri, la strada proposta è stata totalmente<br />
fallimentare.<br />
Esaltazione aprioristica del desiderio, rifiuto<br />
di accettare i limiti della condizione umana, della<br />
stessa identità storica di individui e popoli, sono<br />
proprio gli ingredienti utilizzati per rendere<br />
“liquida” la società e liquidi gli individui che la<br />
compongono, senza che questi, disarmati spiritualmente<br />
anche dalle idee muoventesi in quell’ambito<br />
intellettuale, e oltre le “buone intenzioni”<br />
di chi le ha elaborate, oppongano significativa<br />
resistenza. Per cui le stesse parole di Cesarano,<br />
le avanguardie della politica e della pop-politica<br />
militante agiscono come il forzuto idiota delle<br />
comiche, che per sfondare porte aperte, finisce<br />
con tutta la forza nel bidone delle immondizie,<br />
23<br />
potrebbero calzare perfettamente per la sua<br />
elaborazione e per gli esiti della “totalizzazione<br />
organica della propria rivolta radicale” 24 . Eterogenesi<br />
dei fini.<br />
Se a tanto tempo di distanza siamo ancora a<br />
indugiare su questi temi non è solo per curiosità<br />
storica o per “archeologia culturale”, ma per<br />
l’incapacità (o l’impossibilità) della sinistra in<br />
tutte le sue ramificazioni, progressista e “anta-<br />
22 Giorgio Cesarano, Piero Coppo, Joe Fallisi, Cronaca di un<br />
ballo mascherato,Varani Editore, Milano 1983. Cit. da pag. 13 dell'edizione<br />
elettronica disponibile in rete a<br />
www.nelvento.net/pdf/Cronaca-di-un-ballo-mascherato.pdf.<br />
23 Citato in Giorgio Cesarano e la critica capitale, cit., p. 19.<br />
24 Ivi, p. 60.<br />
gonista” ma anche libertaria, a fare davvero i<br />
conti con la cultura che a partire dalla fine degli<br />
anni ’60 ha creduto di diventare egemone e costituire<br />
la leva di un vero cambiamento sociale<br />
nel senso della libertà, mentre invece è stata fagocitata<br />
dall’avversario di cui è diventata strumento<br />
e veicolo. Al centro di questa incapacità o<br />
impossibilità esiste, in sostanza, il rifiuto del cristianesimo<br />
e della sua antropologia, letti in modo<br />
del tutto superficiale e contingente come bastioni<br />
del potere, e in particolare del capitalismo.<br />
È naturalmente del tutto legittimo indagare<br />
in maniera critica non solo le contaminazioni<br />
materiali fra la Chiesa e il potere, ma anche il<br />
rapporto fra universalismo cristiano e il suo<br />
messaggio di libertà individuale, con gli sviluppi<br />
dell’Occidente. Ciò che invece è oggi del tutto<br />
inammissibile è attardarsi in letture legate alle<br />
contingenze, e non scorgere che proprio nel nucleo<br />
di quel messaggio, mai rinnegato dalla<br />
Chiesa, esistono gli antidoti alla deriva antropologica<br />
che pure è ammessa da tutti, con ciò consegnandosi<br />
mani e piedi a tutto ciò che si dice di<br />
voler combattere.<br />
. TORNANDO ALL’APPELLO.<br />
È per questo che l’iniziativa di Barcellona,<br />
Tronti, Vacca e Sorbi deve essere salutata come<br />
una novità importante. Una parte della sinistra,<br />
quantunque nettamente minoritaria, si riappropria<br />
nei fatti, e laicamente, di concetti e principi<br />
convergenti con la visione cristiana di un umanesimo<br />
integrale messo in pericolo dalla postmodernità.<br />
La concezione cristiana è incompatibile<br />
con lo sfruttamento/stravolgimento incondizionato<br />
della natura organica e inorganica<br />
perché si rivela, alla fine, irrazionale e contrario<br />
al benessere vero della persona che non è solo<br />
funzione della ricchezza materiale disponibile;<br />
ma è incompatibile anche con l’identificazione<br />
totale dell’uomo in essa, data la posizione speciale<br />
che occupa nel suo ambito. È quindi incompatibile<br />
sia con uno sviluppo capitalistico<br />
che pieghi entrambi al profitto, sia con quelle<br />
concezioni che, in nome di un continuum indifd<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 669
| ( 9 ) |<br />
ferenziato, vorrebbero un ritorno integrale alla<br />
Madre Terra più o meno dissimulato. E come il<br />
destino dell’umanità è l’emancipazione dalla<br />
“partecipation mistique” con la natura, altrettanto<br />
il destino del singolo è l’emancipazione<br />
dal rapporto fusionale con la propria madre biologica.<br />
Emancipazione alla base della quale è la<br />
ferita impressa al figlio dal padre, così come la<br />
salvezza dell’umanità è resa possibile dal sacrificio<br />
del Figlio voluto, per amore delle sue creature,<br />
dal Padre. Quando si perdono o si rifiutano<br />
queste coordinate, che poi non sono altro che la<br />
coscienza del limite, non rimangono altre alternative<br />
che la pervasività del capitale antropoformizzato<br />
o la regressione a forme di matriarcato<br />
che, in nome della legge del desiderio e della sua<br />
istantanea soddisfazione, finiscono per convergere<br />
nei fatti col primo. Tutto può essere detto<br />
della Chiesa, ma non che non abbia tenuti fermi<br />
i suoi capisaldi antropologici, fra i quali spicca la<br />
difesa della dignità e della libertà della persona<br />
umana dal concepimento alla morte. Questa formulazione<br />
non ha solo un significato simbolico,<br />
e non solo vuole sottrarre al capitale, o se si vuole<br />
usare un altro linguaggio alla legge del profitto,<br />
i due momenti chiave dell’esistenza, ma ha<br />
anche un importante riverbero sul piano sociale.<br />
Sottolineando l’unitarietà di ogni momento della<br />
vita dell’uomo, afferma anche che dignità e libertà<br />
non sono segmentabili rispetto ai diversi<br />
momenti dell’esistenza. Se non esiste dignità e<br />
libertà della persona quando è lesa la giustizia<br />
sociale, altrettanto non può esistere giustizia sociale<br />
autentica quando quei principi sono lesi in<br />
uno qualsiasi dei momenti di cui si compone la<br />
vita. Nella lettera/appello dei quattro intellettuali,<br />
il richiamo alla dottrina sociale della<br />
Chiesa combinato con la difesa della dignità<br />
umana dal concepimento alla morte, significa<br />
una ulteriore presa di consapevolezza che ne accresce<br />
il valore. Non c’è che augurarsi che abbia<br />
un seguito.<br />
ARMANDO ERMINI<br />
a Una lettera aperta su marxismo<br />
e religione.<br />
DI COSTANZO PREVE<br />
Fonte: Arianna Editrice 21 novembre <strong>2011.</strong><br />
Alla vigilia del convegno politico dei cattolici<br />
a Todi (17 ottobre 2011) un gruppo di intellettuali<br />
di formazione marxista ha firmato una interessante<br />
lettera aperta. Si tratta del filosofo del<br />
diritto Barcellona, del sociologo Paolo Sorbi,<br />
del filosofo già teorico dell'operaismo italiano<br />
Mario Tronti e dello storico barese Giuseppe<br />
Vacca, autore di studi apologetici su Togliatti e<br />
la linea politica del PCI negli anni Settanta e<br />
Ottanta.<br />
Benché io non abbia assolutamente nulla che<br />
fare con l'ambiente intellettuale di questi distinti<br />
signori, e sia uscito dalla loro cultura e del loro<br />
riti di appartenenza identitaria da molto tempo,<br />
devo dire che concordo pienamente con loro nel<br />
metodo e del merito, e mi permetto di fare alcune<br />
ulteriori osservazioni.<br />
1. Essi si collocano sul terreno del PD, “partito<br />
di credenti e di non credenti", e lo invitano<br />
ad un dialogo con la Chiesa cattolica (e quindi<br />
non solo con generici e indifferenziati credenti),<br />
a partire da una nuova emergenza antropologica<br />
il cui aspetto più allarmante è la manipolazione<br />
biologica genetica della vita. Inoltre propugnano<br />
l'apertura di un dialogo pubblico su due temi<br />
del magistero di Benedetto XVI, e cioè rispettivamente<br />
il rifiuto del relativismo etico ed il concetto<br />
di valori non negoziabili.<br />
La risposta laica non è mancata, ed è venuta<br />
con una lettera sull'Unità dello storico PD<br />
Francesco Benigno, che ha parlato di “marxisti<br />
ratzingeriani", i quali avrebbero compiuto una<br />
doppia semplificazione: ridurre il ruolo della religione<br />
nel mondo contemporaneo a quello della<br />
presenza della sola Chiesa cattolica, escludendo<br />
la pluralità delle fedi, e di sorvolare non solo<br />
sulle divergenze del mondo cristiano ma anche<br />
su quelle interne allo stesso mondo cattolico.<br />
Ripeto: sono completamente estraneo al<br />
mondo dei cosiddetti “intellettuali di sinistra", e<br />
28 novembre 2011 Anno XI
| ( 10 ) |<br />
tanto più al mondo dei fiancheggiatori culturali<br />
del Partito democratico, ma l'argomento mi interessa<br />
molto, e per questo ritengo opportuno<br />
fare alcune osservazioni.<br />
2. In primo luogo non ha nessun senso parlare<br />
di “marxisti ratzingeriani", in quanto oggi<br />
nessuno sa seriamente dire chi è ancora marxista<br />
e chi non lo è più da tempo. Venuto meno il canone<br />
marxista comune, sia eretico che ortodosso,<br />
frantumate le discipline specialistiche su basi<br />
universitarie (filosofi, politologi, economisti,<br />
storici, sociologi, eccetera), il marxismo segue<br />
ormai nel mondo intero il principio pirandelliano<br />
del “così è se vi pare".<br />
Si è qui invece palesemente di fronte non tanto<br />
di un discorso sul marxismo e la religione, il<br />
suo ruolo sociale ed il suo contenuto o meno di<br />
verità o di falsità, quanto ad una valutazione sul<br />
laicismo assai più che sulla laicità costituzionale,<br />
che nessuno mette più seriamente in discussione.<br />
I quattro firmatari (che hanno tutto il mio assenso)<br />
rifiutano il terreno laicista alla Pannella-<br />
Bonino (No Taleban, No Vatican), che è disposto<br />
al massimo a riconoscere ai cattolici un ruolo<br />
caritativo subalterno di assistenza a drogati, malati<br />
e poveracci vari, e che riconosce ipocritamente<br />
un ruolo ai cattolici come belatori ritualistici<br />
in cortei pecoreschi di generiche grida di<br />
“paceee, paceee" approvando simultaneamente<br />
le guerre e di bombardamenti contro i dittatori<br />
barbuti o baffuti. È questa la linea dei vari Bertinotti,<br />
Diliberto, Vendola, eccetera: la Chiesa<br />
non ficchi il suo naso medievale sui costumi modernizzati<br />
e sui diritti assoluti degli individui, e<br />
poi le si può riconoscere un ruolo integrativo subalterno<br />
sui “valori", e sull'integrazione dello<br />
smantellamento dei sistemi di welfare state. Eutanasia,<br />
manipolazione genetica incontrollata,<br />
matrimonio gay, eccetera, e poi si può sempre<br />
concedere ai preti di fornire ciotole di minestra<br />
ai poveracci ed alle suore di pulire caritatevolmente<br />
il culo agli invalidi e paralitici che non<br />
sono in grado di pagarsi privatamente badanti<br />
rumene o moldave. Di fronte a questa cialtroneria<br />
da ipocriti è evidente che il manifesto dei<br />
quattro intellettuali è tutto oro colato.<br />
3. Ma vediamo ora il problema filosofico del<br />
“relativismo etico". È noto che il corpaccione<br />
intellettuale colto di “sinistra" è passato in massa<br />
negli anni Ottanta da Hegel e Marx (sia pure<br />
letti storicisticamente con gli occhiali croce-gentiliani<br />
di Gramsci) a Nietzsche e Heidegger<br />
letti con gli occhiali di Vattimo e di Cacciari.<br />
Questo passaggio al postmoderno è basato proprio<br />
sul relativismo etico come terreno del rifiuto<br />
di un concetto normativo di natura umana,<br />
che parte da Aristotele e giunge anche alla fine<br />
al concetto marxiano di “ente naturale generico"<br />
(Gattungswesen), che però non è affatto un<br />
involucro vuoto destinato ad essere riempito di<br />
ogni aleatoria casualità storica, ma significa adeguamento<br />
alle potenzialità (l'aristotelica dynamei<br />
on) della vera natura dell'uomo. L'antropologia<br />
ratzingeriana è aristotelismo puro, ed a<br />
mio avviso prescinde completamente dalla credenza<br />
in un disegno intelligente o in un creazionismo<br />
più o meno antropomorfizzato. So bene<br />
che il teologo bavarese Ratzinger non la ammetterebbe,<br />
ma personalmente credo che la sua visione<br />
antropologica sarebbe valida anche se Dio<br />
non esistesse (etsi Deus non daretur).<br />
Detto questo, Ratzinger, nel suo rifiuto di<br />
Marx (evidentemente ridotto ad economista ricardiano<br />
ateo ed a politologo dittatoriale totalitario),<br />
non riesce spiegare le radici economiche<br />
sociali del relativismo, e si ha allora il paradosso<br />
del fatto che da un lato accetta il capitalismo, e<br />
dall'altro non vuole il relativismo, che ne è un<br />
portato culturale inevitabile. La moderna forma<br />
assoluta, totalitaria e “speculativa" di capitalismo,<br />
infatti, si è lasciata alle spalle i vecchi limiti<br />
borghesi e proletari, e nella sua deriva post-borghese<br />
e post-proletaria “relativizza" ormai tutto<br />
alla forma di merce e alla solvibilità monetaria<br />
del suo portatore. Non a caso il fondatore filosofico<br />
dell'auto-istituzione su se stessa della società<br />
capitalistica, lo scettico relativista scozzese<br />
David Hume, aveva rifiutato ogni fondazione<br />
religiosa (Dio), filosofica (il diritto naturale),<br />
politica (il contratto sociale), propugnando la<br />
totale auto-fondazione dell'economia politica su<br />
se stessa, e cioè sull'abitudine allo scambio radid<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 669
| ( 11 ) |<br />
cata nella natura umana. È quindi impossibile<br />
essere “marxisti ratzingeriani", con tutta la buona<br />
volontà. Si tratta di un epiteto laicista, tipico<br />
della cultura odiosa dei Bonino-Pannella, che va<br />
molto al di là delle nicchie dei radicali propriamente<br />
detti.<br />
4. Passiamo ora al concetto di valori non negoziabili.<br />
Nell'ottica cattolica si tratta essenzialmente<br />
se non esclusivamente della vita, con il<br />
correlato rifiuto dell'eutanasia, accettando però<br />
il rifiuto del cosiddetto “accanimento terapeutico",<br />
che però ormai è diventato un dato della<br />
prassi medica informata largamente non ideologico<br />
ed accettato da tutti. Ma quali sono i valori<br />
non negoziabili Certamente la vita, ma come<br />
allargarne la natura <strong>Il</strong> discorso qui si fa simile a<br />
quello del tempo del giusnaturalismo, in cui si<br />
trattava di stabilire quali fossero, e se vi fossero,<br />
dei diritti naturali. Qualcuno ne toglieva, e<br />
qualcuno ne aggiungeva (ad esempio, il diritto di<br />
resistenza alla tirannia).<br />
Per la Chiesa cattolica, la famiglia è un diritto<br />
non negoziabile. Sono pienamente d'accordo.<br />
Non nascondiamoci dietro un dito. La cultura<br />
laicista odia la famiglia, e non perde occasione<br />
per delegittimarla, partendo dalle sue innegabili<br />
patologie, senza tener conto che esistono certamente<br />
patologie della famiglia, ma esistono patologie<br />
ancora maggiori dei cosiddetti single, e<br />
cioè della non-famiglia. Dietro l'apologia delle<br />
coppie gay non ci sta soltanto un giustificato riconoscimento<br />
dei diritti delle convivenze (che<br />
non mi sogno minimamente di negare, impedire<br />
o rendere difficili), ma ci stavano proprio odio<br />
futuristico per la cosiddetta “normalità" piccolo-borghese,<br />
ereditata dalla vecchia cultura<br />
avanguardistica novecentesca.<br />
E tuttavia fra i diritti non negoziabili io inserisco<br />
il diritto alla casa, alle cure mediche, all'abitazione<br />
per tutti ed al lavoro. A mio parere,<br />
se ci mettiamo sul piano dei diritti umani non<br />
negoziabili, anche questi sono valori non negoziabili.<br />
Accettando il capitalismo, e per di più<br />
nella forma americana globalizzata neoliberale<br />
gestita oggi dal partito degli economisti contro<br />
quello dei politici, la Chiesa cattolica di fatto<br />
promuove l'ipocrisia. Certo, il quotidiano Avvenire<br />
è culturalmente molto meglio di Repubblica,<br />
ma Casini ed il suo elettorato cattolico, ed anche<br />
Fioroni ed il suo, credo proprio che non estendano<br />
il principio della non-negoziabilità dei valori<br />
anche a quanto detto sopra.<br />
A parole, la sinistra è per l'egualitarismo, ed<br />
ecco perché si è tanto riconosciuta nel libro di<br />
Bobbio a proposito della dicotomia Destra/ Sinistra.<br />
Ma nei fatti, avendo delegato la riproduzione<br />
sociale al partito degli economisti (più a<br />
destra di Gengis Khan e di Attila, re degli Unni),<br />
questo è rimasto sulla carta.<br />
Tanti problemi aperti. E comunque una lode<br />
ai quattro intellettuali. Meglio loro del ghigno<br />
teratomorfo di Pannella e dei laicisti fanatici.<br />
COSTANZO PREVE<br />
a Pietro Barcellona (scheda).<br />
DI ARMANDO ERMINI<br />
Pietro Barcellona è uomo di lunga militanza<br />
a sinistra, senza che ciò gli impedisca una critica<br />
anche impietosa della sua elaborazione politica e<br />
culturale di cui coglie da tempo le macroscopiche<br />
contraddizioni. Come, ad esempio, quando<br />
ne nota lo slittamento verso la teorizzazione di<br />
forme di radicalismo di massa individualistico.<br />
In Alzata con pugno. Dentro la crisi della sinistra<br />
(Città aperta Edizioni. 2002), polemizzando col<br />
filosofo francese decostruzionista Jean Luc<br />
Nancy scrive:<br />
“Nancy decostruisce infatti ogni discorso sulla<br />
libertà, giacché, se si intende parlare di libertà si<br />
deve fatalmente sottostare ai vincoli della grammatica,<br />
della sintassi e ai presupposti di ogni<br />
strategia discorsiva e quindi si intrappola la libertà<br />
entro un paradigma che la vincola fin dall'inizio,<br />
vanificando la sua vocazione radicale,<br />
28 novembre 2011 Anno XI
| ( 12 ) |<br />
estrema, all'assenza di ogni vincolo. Bisogna essere<br />
liberi di essere liberi, e cioè esperire nella<br />
relazione dell'agire l'avvenire di se stessi e del<br />
mondo in una pura reciprocità/fattività senza<br />
valore/i. [...] Piuttosto questa libertà del “farsi"<br />
nella pura fisicità relazionale dei “corpi", questa<br />
singolarità così puntiforme da non poter essere<br />
declinata neppure in un discorso, è in sorprendente<br />
sintonia con la libertà di quanti intendono<br />
affermare che nessun vincolo può essere<br />
posto al “desiderio singolare" di procreare un<br />
figlio anche attraverso le tecniche e gli artifici<br />
che oggi consentono praticamente di produrre<br />
embrioni utilizzando gameti e oviciti di varia<br />
provenienza, e di impiantarli in un utero consenziente.<br />
Poiché [...] dubito fortemente che<br />
siffatte pratiche rispondano ad autentiche esigenze<br />
di liberazione e ritengo anzi che esse rischiano<br />
di alterare lo statuto antropologico<br />
(psico-sociale) costruito attraverso millenni dagli<br />
abitanti di questo pianeta (come patrimonio<br />
di tutti gli uomini, in quanto opera di tutti), mi<br />
permetto di formulare alcuni dubbi su siffatto<br />
modo di concepire la libertà, e ancor più sulla<br />
sua connotazione di sinistra. […] <strong>Il</strong> progetto di<br />
libertà non può mai significare per ciò stesso assoluta<br />
assenza di vincoli e norme, e nessuno può<br />
reclamare, argomentando filosoficamente dall'assenza<br />
di leggi eterne e dall'assenza di significati<br />
e senso trascendenti, la disponibilità individuale/singolare<br />
dei processi che coinvolgano<br />
l'esistenza di tutti nella forma storico sociale in<br />
cui si dà, specie del processo di procreazione di<br />
altri esseri umani che di per sé coinvolge i rapporti<br />
fra le generazioni e lo stesso modo in cui<br />
ciascuno si rappresenta come figlio di altri uomini.<br />
[…] Quanto, infine, al nesso fra libertà e<br />
sinistra vorrei aggiungere che trovo assai strano<br />
combattere il liberismo economico e poi sostenere<br />
il radicalismo libertario in una materia così<br />
complessa e così densa di implicazioni collettive<br />
come la procreazione dei futuri uomini.”<br />
Eppure è esattamente questo l'ambito culturale<br />
in cui si muove ormai tutta la sinistra. Ma, a<br />
parte ciò, è da notare che Barcellona, parlando<br />
di fisicità relazionale dei corpi, e di libertà senza<br />
vincoli, si muove, polemizzando, nell'ambito dei<br />
concetti di “rivoluzione biologica" e di appagamento<br />
istantaneo del desiderio cari a Camatte e<br />
Cesarano. Non è il solo punto in cui le idee di<br />
Barcellona intersecano le loro, pur traendone<br />
conseguenze diverse. Quando scrive infatti (op.<br />
Cit) che “ormai siamo entrati talmente in questa<br />
società (è la storia dell'auto-introiezione dei valori<br />
dominanti) da pensare che l'economia e il<br />
mercato sono, come dicono, una cosa naturale,”<br />
esiste una assonanza stretta con il concetto di<br />
antropomorfosi del capitale. Allo stesso modo,<br />
allorché scrive che “non c'è un modo per misurare<br />
i valori perché siamo in una economia che<br />
sta sfuggendo da tutti i lati alle categorie classiche”,<br />
se ne deve dedurre logicamente l'obsolescenza<br />
delle corrispondenti categorie della politica<br />
come classe o lotta di classe, le quali rimangono<br />
in piedi solo come "rappresentazioni".<br />
“Può costrirsi il conflitto politico — si chiede<br />
— ancora sull'antagonismo fra capitale e lavoro”<br />
In questo senso Barcellona riconosce a Debord<br />
e ai situazionisti la giustezza dell'intuizione<br />
che la nostra è ormai la società dello spettacolo,<br />
anche se poi critica lo stesso Debord per essersi<br />
fossilizzato su di essa.<br />
Merita infine un cenno il tema rapporto individuo/comunità<br />
che B. problematizza dichiarandosi<br />
contrario all'idea di Comunità per l'istanza<br />
di chiusura che comporterebbe, ma contrario<br />
anche all'idea di un individuo “cittadino del<br />
mondo". Cesarano e Camatte hanno a lungo insistito<br />
sul tema della Comunità a partire dal<br />
concetto di Gemeinwesen in Marx e dalla loro<br />
elaborazione sulla Comunità/capitale. Potrebbe<br />
essere questo un argomento da sviluppare su <strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>, anche alla luce dell'interpretazione che<br />
ne offre un altro filosofo non ortodosso di estrazione<br />
marxista come Costanzo Preve. (A. E.)<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 669
| ( 13 ) |<br />
a Mario Tronti (estratti).<br />
. DA “UN’AUTOBIOGRAFIA FILOSOFICA”.<br />
Fonte e © www.centroriformastato.org pubblicata in Storia<br />
della filosofia, 14, Filosofi italiani contemporanei, Le Grandi<br />
Opere del Corriere della Sera, Bompiani, Milano 2008,<br />
pp. 586-595<br />
[…] Risale agli anni universitari l’incontro<br />
con l’opera di Marx, intorno a cui ruoterà gran<br />
parte della sua produzione intellettuale. Ma i<br />
primi due scritti editi riguardano la figura di<br />
Gramsci, il suo concetto di filosofia della prassi,<br />
in rapporto con la tradizione dell’idealismo italiano<br />
di Croce e di Gentile.<br />
E qui si verifica il primo strappo con l’ortodossia<br />
allora imperante nel marxismo italiano,<br />
lo storicismo della linea De Sanctis - Labriola -<br />
Croce - Gramsci. Attraverso Lucio Colletti, assistente<br />
nella cattedra di Filosofia teoretica di<br />
Spirito, fa propria la lettura di Marx, elaborata<br />
da Galvano Della Volpe, lettura antihegeliana,<br />
antistoricista, neomaterialistica. Studia la logica<br />
del Capitale, soprattutto attraverso la valorizzazione<br />
della marxiana Einleitung del ’57. Traduce<br />
e presenta alcuni scritti giovane-marxiani che<br />
anticipano la più matura critica dell’economia<br />
politica (K. Marx, Scritti inediti di economia politica,<br />
Editori Riuniti, Roma 1963). È la scelta di<br />
un marxismo critico, non catechistico, non dogmatico.<br />
Questa posizione teorica si aggancia a<br />
un’esperienza pratica, molto intensa, che è quella<br />
dell’operaismo dei primi anni Sessanta. Accomuna<br />
le due cose un radicalismo di fondo, che<br />
privilegia il conflitto tesi-antitesi, senza margini<br />
per la sintesi. In questa fase la ricerca intellettuale-politica<br />
di Tronti si concentra sull’analisi<br />
del capitalismo fordista e taylorista, come si realizzava<br />
nella grande fabbrica, e sull’emergere di<br />
un nuovo tipo di lotte operaie, centrate sulla figura<br />
dell’operaio-massa, l’operaio alla catena di<br />
montaggio. Intanto, rileggeva il Marx del Primo<br />
Libro del Capitale e dei Grundrisse. E sullo<br />
scontro frontale, tipico del capitalismo industriale<br />
sviluppato, tra salario e profitto, viene<br />
O<br />
S<br />
R<br />
<strong>Il</strong> dominio del "capitale", esercitato dietro le<br />
quinte, non è ancora una forma, anche se può<br />
certamente svuotare una forma politica esistente<br />
e ridurla a vuota facciata. Se il capitale riesce in<br />
questo intento, potrà dire di avere completamente<br />
“spoliticizzato" lo Stato; se il pensiero economico<br />
riesce a realizzare i propri fini utopistici, di<br />
condurre la società umana ad una condizione assolutamente<br />
impolitica, la Chiesa resterà l'unica<br />
depositaria di pensiero politico e di forma politica:<br />
deterrebbe così un monopolio mostruoso, e la<br />
gerarchia ecclesiastica sarebbe allora più vicina<br />
al dominio politico mondiale di quando lo sia<br />
mai stata nel medioevo. Ma secondo la sua stessa<br />
teoria e la sua struttura ideale, la Chiesa non dovrebbe<br />
affatto desiderare una situazione di questo<br />
tipo, dato che presuppone accanto a sé lo<br />
Stato politico, una società perfecta e non un trust<br />
d'interessi.<br />
CARL SCHMITT, Cattolicesimo romano e forma<br />
politica, il Mulino, Bologna 2010<br />
(ed. orig. 1923), pp. 50–51.<br />
V<br />
elaborato il concetto di «punto di vista operaio»,<br />
una parzialità, soprattutto di lotta, la sola in<br />
grado di cogliere la totalità del processo di produzione,<br />
circolazione, consumo e riproduzione<br />
allargata.<br />
Gli scritti pubblicati nella rivista periodica<br />
Quaderni rossi, diretta da Raniero Panzieri, e poi<br />
nel mensile Classe operaia, Giornale politico degli<br />
operai in lotta, diretta dallo stesso Tronti, verranno<br />
poi raccolti, insieme a un lungo saggio<br />
inedito, Marx, forza-lavoro, classe operaia, in<br />
un volume Einaudi che esce nel 1966, Operai e<br />
capitale. […]<br />
Chi vuole saperne di più dell’esperienza dell’operaismo,<br />
che tra l’altro insieme a Tronti<br />
coinvolse personalità come quelle di Alberto<br />
Asor Rosa, Toni Negri, Massimo Cacciari e<br />
molti altri, ha a disposizione oggi un documentato<br />
libro, di 900 pagine, uscito nel 2008 presso<br />
DeriveApprodi, L’operaismo degli anni Sessanta,<br />
[…] La figura di Mario Tronti è rimasta legata,<br />
e quasi imprigionata, nella figura di leader teorico<br />
dell’operaismo. Questo in virtù del successo<br />
28 novembre 2011 Anno XI
| ( 14 ) |<br />
dell’opera pubblicata da Einaudi, a soli trentacinque<br />
anni. Ma il periodo che racchiude questa<br />
esperienza è di fatto molto breve, niente più che<br />
gli anni Sessanta. Già alla fine del decennio, il<br />
suo pensiero scarta verso un orizzonte molto diverso.<br />
È la fase che occuperà tutti gli anni Settanta<br />
e tutti gli anni Ottanta, e che va sotto il titolo<br />
di «autonomia del politico». […] Sulla base<br />
dell’esperienza fatta, che vedeva le lotte operaie<br />
non in grado di mettere in crisi il meccanismo<br />
della produzione capitalistica, si ricavava la conseguenza<br />
che il terreno del politico, tutto nelle<br />
mani della parte avversa, era proprio quello che<br />
impediva uno sfondamento delle linee. Con questo<br />
terreno bisognava allora fare i conti, impadronirsi<br />
della sua logica di funzionamento, occupare<br />
parte del territorio per contrastarlo dall’interno.<br />
Una tesi molto difficile da accettare in<br />
un ambito marxista, che vedeva il politico sempre<br />
determinato dal sociale, come questo era determinato<br />
dall’economico. La, non assoluta ma<br />
relativa, autonomia del politico da queste condizioni<br />
strutturali sarà l’altra grande eresia trontiana,<br />
che si svilupperà e approfondirà negli anni<br />
a seguire.<br />
[…] Dai primi anni Settanta fa data […] l’incontro<br />
di Mario Tronti con la personalità e l’opera<br />
di Carl Schmitt, incontro determinante per<br />
la piega che il suo pensiero prenderà negli anni<br />
successivi. Qui si realizza la vecchia idea trontiana<br />
dell’uso rivoluzionario del grande pensiero<br />
conservatore. Ha scritto: ci serve di più, per capire,<br />
un grande reazionario che un piccolo rivoluzionario.<br />
Tronti è tra quelli che hanno introdotto<br />
Schmitt in Italia ed è quello che ha cercato,<br />
tra grandi difficoltà, di introdurlo nel discorso<br />
della sinistra italiana. Ne La politica al tramonto,<br />
Einaudi, 1998, un capitolo porta il titolo<br />
«Karl und Carl», per sottolineare, anche qui allusivamente,<br />
la necessità di completare Marx<br />
con Schmitt.<br />
Intanto l’orizzonte si allarga, i tempi intristiscono<br />
e si corrompono, e cioè cambiano, ma<br />
in senso opposto a quello che gli anni Sessanta<br />
avevano fatto intravedere, avanza la crisi dei<br />
fondamenti, strutturali e teorici, di quel mondo<br />
O<br />
S<br />
R<br />
È impossibile una riunificazione fra la Chiesa<br />
cattolica e l'odierna forma dell'industrialismo<br />
capitalistico. All'alleanza di trono ed altare non<br />
seguirà quella di ufficio ed altare, né quella di<br />
fabbrica e altare. [...] Rimane tuttavia ben vero<br />
che il cattolicesimo saprà adattarsi ad ogni ordine<br />
sociale e politico, anche a quello in cui dominano<br />
gli imprenditori capitalistici o le organizzazioni<br />
dei lavoratori r dei consigli di fabbrica.<br />
Ma questo adattarsi gli è possibile solo se il potere<br />
basato su una situazione economica sarà divenuto<br />
politico, cioè se i capitalisti o i lavoratori<br />
giunti al potere si assumeranno la responsabilità,<br />
in tutte le forme, della rappresentazione statale.<br />
[...] Non appena ciò sarà avvenuto, la Chiesa<br />
potrà ristabilire un rapporto con questi nuovi ordini,<br />
così come ha fatto con ogni ordine politico.<br />
Essa [...] ha bisogno di una forma statale, poiché<br />
altrimenti non vi è nulla che corrisponda alla sua<br />
attitudine essenzialmente rappresentativa.<br />
CARL SCHMITT, Cattolicesimo romano<br />
e forma politica, cit., pp. 49–50.<br />
V<br />
di appartenenza che Tronti aveva riconosciuto<br />
come proprio, la grande storia del movimento<br />
operaio. Nel 1987 esce il primo numero di Bailamme,<br />
«Rivista di spiritualità e politica», promossa<br />
dall’Associazione milanese «Amici don<br />
Giuseppe De Luca». Tronti vi partecipa fin dall’ideazione<br />
e vi collaborerà per circa un decennio.<br />
Tiene lì un Dizionario politico, affiancato a<br />
un Dizionario teologico, a cura di Edoardo Benvenuto.<br />
La redazione, animata dalla persona di<br />
Pino Trotta, comprende Romana Guarnieri,<br />
Giovanni Bianchi, Fabio Milana, Salvatore Natoli,<br />
Sergio Quinzio, a cui si aggiungeranno altri,<br />
Paolo Prodi, Amos Luzzatto, Luisa Muraro.<br />
Incontra più volte Giuseppe Dossetti, a Monte<br />
Veglio, e per le edizioni Marietti cura insieme a<br />
Pino Trotta e introduce una raccolta di Scritti<br />
politici del monaco politico. […]<br />
Gli anni seguenti sono dedicati a disincantati<br />
approfondimenti. <strong>Il</strong> movimento operaio non ha<br />
perso una battaglia, ha perso la guerra, la guerra<br />
della lotta di classe contemporanea e interna all’età<br />
delle guerre civili europee e mondiali. L’ed<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 669
| ( 15 ) |<br />
poca novecentesca delle rivoluzioni – rivoluzione<br />
operaia e rivoluzione conservatrice – si è<br />
chiusa. Comincia un’età di restaurazione. Questi<br />
temi convergono in La politica al tramonto, Einaudi,<br />
1998. <strong>Il</strong> saggio iniziale porta il titolo Politica<br />
Storia Novecento. La prima parte del secolo,<br />
«il grande Novecento», fino a tutta la terza<br />
guerra, quella fredda, ha visto il primato della<br />
politica: poi c’è la rivincita della storia, l’eterno<br />
ritorno del sempre eguale. Capitalismo-mondo e<br />
società democratica, funzionali l’uno all’altra,<br />
reimpongono un dominio assoluto. Movimento<br />
operaio e politica moderna cadono insieme.<br />
[…] La prima delle Tesi su Benjamin, che<br />
concludono La politica al tramonto, recita questa<br />
sorprendente affermazione apodittica:<br />
«<strong>Il</strong> movimento operaio non è stato sconfitto dal<br />
capitalismo. <strong>Il</strong> movimento operaio è stato sconfitto<br />
dalla democrazia. Questo è l’enunciato del<br />
problema che il secolo ci mette davanti. <strong>Il</strong> fatto,<br />
die Sache selbst, che adesso dobbiamo pensare».<br />
Parte di lì un nuovo percorso di ricerca, tuttora<br />
in atto, che va sotto il titolo di «per la critica<br />
della democrazia politica», che sposta su un<br />
altro terreno, con lo stesso metodo, la marxiana<br />
critica dell’economia politica: messa in discussione<br />
dei fondamenti e delle conseguenze e assunzione<br />
del nucleo di verità che l’oggetto polemico<br />
nasconde. In un libro collettaneo della<br />
manifestolibri, 2005, Guerra e democrazia, uno<br />
scritto di Tronti, con quello stesso titolo, argomenta<br />
intorno a questa frontiera di ricerca. <strong>Il</strong> filone<br />
è quello tocquevilliano, che parte dalla Democrazia<br />
in America, dove l’avvento della società<br />
democratica viene messo in pericoloso contrasto<br />
con la tradizione dello Stato liberale. <strong>Il</strong> fatto<br />
che la democrazia realizzata d’Occidente porti<br />
in corpo il virus di un totalitarismo di tipo nuovo,<br />
liberamente accettato da una massa di individui<br />
omologati, sulla base di una servitù volontaria,<br />
è un drammatico punto di riflessione per il<br />
pensiero politico contemporaneo.<br />
<strong>Il</strong> percorso di Tronti si va infatti sviluppando<br />
intorno alla elaborazione, teorica e storica, della<br />
figura del Freigeist, dello spirito libero, inassimilabile<br />
all’attuale ordine del mondo, ed erede dei<br />
falliti tentativi novecenteschi di liberazione<br />
umana.<br />
[…] Chi volesse cogliere il fondo, all’apparenza<br />
oscuro in realtà solo complesso, rintracciabile<br />
nella ricerca dell’ultimo Tronti, dovrebbe<br />
leggere un libro recente, composto da un<br />
gruppo di suoi fedeli allievi, che simbolicamente<br />
prendono il nome di Epimeteo 25 , «colui che vede<br />
dopo», o «colui che impara solo dopo»,<br />
«l’imprudente», opposto e complementare rispetto<br />
a «il preveggente», Prometeo. Titolo del<br />
libro: Finis Europae. Una catastrofe teologico-politica,<br />
Bibliopolis, Napoli 2008. […]<br />
. DA “LA TEOLOGIA DI SAN PAOLO PUÒ<br />
INTERESSARE IL POLITICO”.<br />
Introduzione all’incontro del 18 maggio 2009 promosso<br />
da CRS e Istituto Universitario Sophia.<br />
DI MARIO TRONTI<br />
Fonte e © www.centroriformastato.org<br />
[…] Ma entriamo in medias res. <strong>Il</strong> punto di<br />
scatto che ha portato all’interesse per l’anno<br />
paolino è di questo tipo: secondo noi, l’attuale<br />
crisi della politica è una crisi dei fondamenti.<br />
Non è crisi congiunturale, è crisi strutturale. Per<br />
continuare a civettare con il linguaggio dell’economia,<br />
ha la dimensione della “grande crisi”,<br />
come “crollo”, great crash. Quando si festeggia<br />
la fine del Novecento, bisognerebbe sapere che<br />
si sta festeggiando questa cosa qui. Comprensibile<br />
che facciano festa i padroni del mondo, che da<br />
quel loro momento magico hanno ripreso possesso<br />
di tutto intero il pianeta terra e costituito il<br />
loro dominio democratico sulla stragrande maggioranza<br />
dei suoi abitanti. Incomprensibile,<br />
sempre più per me incomprensibile, che partecipino<br />
alla festa quelli che il mondo e il modo di<br />
stare al mondo che ne è uscito, avrebbero il dovere<br />
di contestare, appunto per trasformare.<br />
Perché la tragedia non è che il Novecento c’è<br />
stato, e forse nemmeno che è finito – anche la<br />
25 Sulla figura d'Epimeteo è per noi d'obbligo il rimando al<br />
Quaderno del <strong>Covile</strong> n° 4, Indagini su Epimeteo tra Ivan <strong>Il</strong>lich,<br />
Konrad Weiss e Carl Schmitt. N.D.R.<br />
28 novembre 2011 Anno XI
| ( 16 ) |<br />
più potente delle epoche è destinata a transitare<br />
– la tragedia è che è finito male. [...] I leader<br />
politici possono dire cose diverse, e anche opposte,<br />
ma è incredibile come lo dicano, tutti, da<br />
Berlusconi a Obama, allo stesso modo. Prima di<br />
tutto, commedianti. [...] Perché è evidente che<br />
stanno recitando un copione scritto da quella<br />
sorta di maghi, che sono gli esperti della comunicazione.<br />
Si potrebbe dire che il Novecento non<br />
scherzava con la spettacolarizzazione di massa<br />
della politica. I totalitarismi insegnano. Ma era<br />
diverso, se non l’opposto. Lì la spettacolarità di<br />
massa era strumento della decisione politica. Qui<br />
la decisione politica è diventata strumento dello<br />
spettacolo pubblico. Si decide quello che serve<br />
per avere consenso: consenso di una massa passiva<br />
a cui bisogna far credere di essere una massa<br />
attiva. La crisi della politica è crisi dell’autonomia<br />
della decisione politica.<br />
E vengo al punto. Ho fatto questa descrizione<br />
dei “segni dei tempi”, per usare un’espressione<br />
consona all’argomento di oggi. Che cosa stiamo<br />
cercando Cerchiamo, provando e riprovando,<br />
guardando dentro di noi come persone e<br />
fuori di noi come movimento, avendo capito che<br />
ci sono più cose, e più interessanti, nel passato di<br />
quanto non possa offrircene il presente, cerchiamo<br />
il pertugio attraverso cui passare per uscire<br />
dalla stretta in cui si è cacciata l’istanza rivoluzionaria<br />
e, a questo punto direi, anche la possibilità<br />
riformista. Dall’interno della politica, non<br />
riusciamo a uscire dalla sua crisi. E se non usciamo<br />
dalla sua crisi, nessuno più sarà in grado di<br />
sovvertire le cose, in senso alto, in senso così altamente<br />
umano da avvicinarsi a quanto di oltre<br />
umano ci si presenta, non solo come prospettiva<br />
escatologica ma come realistica via all’assoluto.<br />
Perché, non nella politica in generale, e certamente<br />
non nella politica conservatrice, o innovatrice,<br />
che sono più o meno la stessa cosa, ma<br />
nella politica della trasformazione dei rapporti e<br />
della trasvalutazione dei valori, in questa politica<br />
l’assoluto c’è, ed è sempre qualcosa che è trascendente<br />
rispetto al tuo agire qui e ora. Per cui,<br />
politica e trascendenza è un nostro tema e ogni<br />
debole relativismo, progressista, laicista, razionalista,<br />
illuminista, è destinato a iscriversi, e così<br />
di fatto è avvenuto, nell’altro campo, come gestione<br />
appena appena migliorativa dell’attuale<br />
stato delle cose. [...]<br />
MARIO TRONTI<br />
/000000221220000003<br />
COMINCERÒ CON UNA MANCANZA<br />
DI TAT TO, CONFESSANDO CIOÈ DI<br />
CREDERE NELLA NATURA UMANA.<br />
QUESTA IDEA È PASSATA DI MODA, È STATA<br />
ANZI GIUDICATA INDECOROSAMENTE<br />
CONSERVATRICE, E IN CIÒ IL PENSIERO<br />
PROGRESSISTA NON DÀ PROVA DI COERENZA<br />
[…] UN ALTRO PASSI, MA KARL MARX<br />
DIFFICILMENTE PUÒ VENIR ACCUSATO DI<br />
ESSERE UN CONSERVATORE. A QUESTO<br />
PROPOSITO MI RIFACCIO A LESZEK<br />
KOLAKOWSI CHE DICE «BISOGNA DUNQUE<br />
RICHIAMARE L’ATTENZIONE SUL FATTO<br />
CHE L’IDEA DEL “RITORNO DELL’UOMO A<br />
SE STESSO” È CONTENUTA NELLA CATE-<br />
GORIA STESSA DELL’ALIENAZIONE, DI CUI<br />
MARX CONTINUAVA SEMPRE A SERVIRSI.<br />
CHE COS’È L’ALIENAZIONE, IN REALTÀ, SE<br />
NON UN PROCESSO IN CUI L’UOMO SI PRIVA<br />
DI QUALCOSA CHE EGLI È DAVVERO, SI<br />
PRIVA DUNQUE DELLA PROPRIA UMANITÀ<br />
PER POTER ADOPERARE IN MODO SENSATO<br />
QUESTO TERMINE, DOBBIAMO SUPPORRE DI<br />
SAPERE IN CHE COSA CONSISTE IL CONDI-<br />
ZIONAMENTO DELL’UOMO, OSSIA CHE<br />
COS’È L’UOMO REALIZZATO A DIFFERENZA<br />
DELL’UOMO SMARRITO, CHE COS’È L’“U-<br />
MANITÀ”, OVVERO LA NATURA UMANA […].<br />
MANCANDO QUEST’ESEMPIO O MODELLO,<br />
ANCHE SE TRACCIATO IN MANIERA<br />
PIUTTOSTO VAGA, NON V’È MODO DI DARE<br />
UN SIGNIFICATO ALLA PAROLA<br />
“ALIENAZIONE”».<br />
CZESLAW MILOSZ, LA TERRA<br />
DI ULRO, ADELPHI, P. 112<br />
k<br />
:;;;;;;==<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 669
ARIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
N°670<br />
B<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
4 DICEMBRE 2011<br />
U<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong><br />
ANNOXI<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
)<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
a Questo numero.<br />
La scelta dello scorso anno di abbellire la nostra testata<br />
in tempo d'Avvento con i Deutscher Schmuck e<br />
qualche colore è già diventata tradizione. Poiché tra<br />
i lettori ve ne sono molti di nuovi, abbiamo pensato<br />
di inviare un'altra volta i font per i biglietti natalizi,<br />
riprendendo, in prima pagina, anche la rubrica che li<br />
presentava. Seguono a pagina 2, in forse solo apparente<br />
contraddizione con la lietezza del tempo, le<br />
illuminanti considerazioni di Pietro De Marco su<br />
un recente fatto di cronaca: il suicidio assistito di<br />
Lucio Magri. Estende le riflessioni di De Marco, a<br />
pagina 3, una microantologia sul tema. N<br />
ZZZZZZZZZZZZZZZZZZ<br />
Risorse conviviali<br />
Y<br />
zzzzzzzzzzzzzzzzzz<br />
Caratteri per l'Avvento<br />
Fonte: <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> n° 619.<br />
L'immagine sovrastante è uno specimen per l'uso<br />
dei caratteri Deutscher Schmuck (“gioielli tedeschi”,<br />
i tedeschi chiamano gioielli le decorazioni<br />
natalizie e pasquali) basati su disegni di<br />
Eduard Ege (1893-1978). Grafico ed illustratore<br />
Ege ha lavorato ed insegnato a Monaco di<br />
Baviera, città della quale nel 1957 ha realizzato<br />
lo stemma attualmente in uso.<br />
Eduard Ege, Stemma ufficiale (dal 1957)<br />
della città di Monaco.<br />
La raccolta di ornamenti e di cornici originali<br />
di Ege fu pubblicata da Genzsch & Heyse nel<br />
1922, insieme ad una serie di varie dimensioni<br />
del carattere Deutsche Druckschrift (Heinz König,<br />
1888) e ad un set corrispondente di capilettera,<br />
Druckschrift-Initialen; ne vedete un esempio<br />
nel del titolo della rubrica.<br />
Disegni e caratteri sono stati digitalizzati e<br />
rielaborati da Manfred Klein, prolificissimo<br />
creatore di font, anch'egli tedesco, che li ha offerti<br />
al pubblico dominio con le Condizioni di<br />
utilizzo che trovate più avanti.<br />
Link.<br />
I DeutscherSchmuck sono gratuitamente scaricabili da:<br />
www.moorstation.org/typoasis/blackletter/htm/deutscher_schmuc<br />
k.htm,<br />
i DeutscheDruckschrift ed i DruckschriftInitialen da:<br />
www.moorstation.org/typoasis/blackletter/htm/deutsche_druck.ht<br />
m.<br />
Condizioni di utilizzo dei font.<br />
“I font di Manfred Klein sono gratuiti per uso privato e di carità.<br />
Essi sono anche liberi per uso commerciale — ma se non<br />
c'è alcun profitto, si prega di fare una donazione ad organizzazioni<br />
come Medici Senza Frontiere. Questi caratteri non possono<br />
essere inclusi in qualsiasi CD di compilation, dischi o<br />
prodotti, siano esse commerciali o shareware, salvo previa autorizzazione<br />
concessa. Tutti i caratteri sono stati creati da<br />
Manfred Klein 2001-2008.”<br />
VEDI: http://manfred-klein.ina-mar.com<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
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Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
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cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />
Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
a ‘Governare la propria vita fino<br />
in fondo’<br />
DI PIETRO DE MARCO<br />
Fonte: http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it<br />
Le letture del suicidio di Lucio Magri si riconducono<br />
a tre temi, compendiati nelle dichiarazioni<br />
di Valentino Parlato a Repubblica (30 novembre<br />
2011) ma condivisi da più testimonianze:<br />
il suo ‘governare la vita fino in fondo ’, il suo voler<br />
morire (suicida) ‘in modo pulito’, e il suo:<br />
‘per me non c’è più niente da fare’ nell’incombere<br />
dell’età e della morte della compagna. Queste<br />
linee guida, così umane da rivelarsi ‘troppo<br />
umane’, accentuano (se vere) nella decisione di<br />
Magri una preoccupazione di stile, che per le sue<br />
implicazioni è la vera, forse unica, dimensione<br />
drammatica di questa morte.<br />
Un legame, anzi un sillogismo, insidioso tiene<br />
insieme il ‘più niente da fare’ con il ‘governare<br />
la propria vita fino in fondo ’: quel ‘più<br />
niente’ infatti intende dire che il pieno governo<br />
della propria vita esige e giustifica allora un ‘più<br />
niente’ vita, ciò che con scontata brutalità si<br />
chiama ‘staccare la spina’. Va detto subito che il<br />
‘per me — più niente da fare’, in una persona integra,<br />
è un errore morale, se non è l’effetto di un<br />
quadro depressivo. La maggior parte delle persone<br />
che escono da un lutto per cui hanno detto:<br />
‘la mia vita non ha più alcun senso’, sanno che si<br />
è trattato di un necessario e fecondo rito di lutto,<br />
non di una verità su di sé e sulle cose. Ma in personalità<br />
come quelle di Magri questo errore è<br />
ideo-logico, un teorema senza uscita. Se il poter<br />
fare e il non poter-fare-più sono definiti dalla<br />
sola politicicità e da quella tutta verbale di una<br />
société de pensée, la sconfitta politica, ovvero la<br />
frustrante opacità della realtà, la sua resistenza<br />
alla chiacchiera ‘critica’, si rovesciano in anomia.<br />
La genealogia durkheimiana del suicidio<br />
anomico si conferma sul terreno di un estenuato<br />
postmarxismo che Durkheim non poteva conoscere.<br />
In effetti la politica dell’ideologo da société<br />
de pensée non è il compimento aristotelico<br />
dell’uomo nella sfera pubblica, ne è la contrazione;<br />
un nomos indeterminato (utopico) sostiene,<br />
ma non lo può veramente, una persona fragile<br />
perché non altrimenti fondata.<br />
Per questo, chi si ‘governa fino in fondo ’,<br />
nella crisi anomica traccia arbitrariamente a se<br />
stesso un riga per terra da non oltrepassare. Certo,<br />
oltre la riga, nella morte, non vi saranno più<br />
incertezza né bisogno di governo di sé. È proprio<br />
di una mente freddamente utopica (un ossimoro)<br />
supporre che la Realtà ti sia solo allieva,<br />
non possa insegnare: il “fare” politico è solo la<br />
verifica degli effetti, la tua ricerca di riscontri<br />
dell’utopia. E si capisce che l’assenza di riscontri<br />
sia effettivamente devastante. Solo chi si dispone<br />
ad apprendere dalla Realtà avrà sempre “da<br />
fare”: un serio intelletto capisce, nel tempo, che<br />
tra non realizzazione e non realizzabilità vi è un<br />
nesso, che la base diagnostica era errata, che c’è<br />
altro da fare. Infine, che il governo di sé nel<br />
mondo di sogno dell’ideologia è illusorio, che si<br />
governa la propria vita solo quando la si cala in<br />
mare. E basterebbero radici semplici, da simpliciores,<br />
nella tradizione cristiana per sapere che il<br />
presunto pieno governo della propria vita è governo<br />
dell’inessenziale; ciò che conta ci governa e<br />
quello solo è anche lo spazio del nostro ‘poter<br />
fare’.<br />
<strong>Il</strong> passaggio da questa incomprensione al primato<br />
del momento estetico, a quel voler morire<br />
“in modo pulito”, così sintomatico su più dimensioni,<br />
è immediato. Infatti il governare la<br />
vita “fino in fondo”, che significa nient’altro<br />
che morte, non solo si impone un non-essere-più<br />
come volontà di non-apparire inutile e sconfitto,<br />
ma si sceglie un transito che non sia inelegante,<br />
sporco, fastidioso per gli altri. Una scelta che<br />
Eduard Ege. Armi dalla Baviera (1946).<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 670
| ( 3 ) |<br />
sembra andare da sé e che è, invece, sovraccarica<br />
di significato. Perché darsi la morte con minimo<br />
sforzo (anzitutto), senza esporre carne e sangue<br />
Perché la paura del sangue sul tappeto o del corpo<br />
sfasciato sul marciapiede Eppure il sangue<br />
del suicida come ogni sangue intenzionalmente<br />
versato ha la sua sacertà. Sappiamo, anche se<br />
qualche teologo se ne vergogna, che nel nuovo<br />
ordine dell’Incarnazione il sangue versato, l’effusio<br />
sanguinis Christi, è il paradigma stesso della<br />
salvezza: iustificati in sanguine (Paolo, Rm<br />
5,9); facti estis prope [siete diventati vicini] in<br />
sanguine Christi ( Paolo, Ef 2,13). Non confondiamo:<br />
il sangue di un suicida non può essere venerato;<br />
non è il sangue del martire. Nella oscillazione<br />
tra estremi del sacro è il suo opposto. <strong>Il</strong><br />
suo martyrion, la sua testimonianza, è aberrante,<br />
intimamente anticristiana. I richiami pasticcioni,<br />
di questi giorni, al Sansone biblico, non distinguono<br />
tra ciò che non un teologo ma Durkheim<br />
coglieva nettamente, la differenza essenziale<br />
tra il ‘suicidio altruistico’ del combattente<br />
(che in genere si definisce sacrificio) e il collasso<br />
anomico o egoistico che governa una privata vicenda<br />
suicidaria. Ma il sacro impuro del sangue<br />
versato è riscattato comunque nel sangue del<br />
Crocefisso; il sangue di un suicida parla, in<br />
drammatica contraddizione, della santità del vivente.<br />
La tetra, anestetizzata, interruzione assistita<br />
della vita in Svizzera, dopo l’ultimo sguardo ad<br />
un futile paesaggio da cartolina (come sembra<br />
possa avvenire), con servizi di segreteria, lontano<br />
dal sangue che appiccica e si lava a fatica,<br />
senza terribile epifania, senza sorpresa né orrore<br />
in altri, è l’apice del misconoscimento di sé, un<br />
apice nichilistico e un capolinea che spettano al<br />
nulla dell’utopia ma ripugnano all’umano. Non<br />
è ‘rispetto’ per gli altri, poiché gli “altri” sono<br />
considerati (e magari meritano di esserlo) vulnerabili,<br />
schifiltosi, non all’altezza della rivelazione<br />
della morte e del sangue, incapaci di sacro.<br />
Così un’esistenza estrovertita nella politica ‘rivoluzionaria’<br />
si risolve nella cura massimamente<br />
borghese, anzi piccolo borghese, dell’esteriorità,<br />
del ‘buon gusto’ sposati alla praticità. Solo non<br />
ci si inibisce di concordare con gli ‘amici’ un’estrema<br />
pubblicità davvero radical chic alla dolce<br />
morte. Fate così (conato ideologico), ma non<br />
create disagio e non sporcate!<br />
In fin dei conti non si dice questo contro Lucio<br />
Magri, che era e resta contra spem persona ad<br />
immagine e similitudine di Dio, ma contro il suo<br />
argomento, la sua retorica. Ad esser sincero non<br />
provo per questa morte una particolare compassione;<br />
e non perché non riesca ad assaporarvi<br />
“energia vitale” come chiede Vito Mancuso (una<br />
teologia alla Bram Stoker), ma perché anche essere<br />
cum patiens è un atto di responsabilità.<br />
PIETRO DE MARCO<br />
a Considerazioni sul suicidio.<br />
. L. WITTGENSTEIN.<br />
Se è permesso il suicidio tutto è permesso. Se<br />
qualcosa non è permesso, il suicidio non è permesso.<br />
Questo fatto getta luce sull'essenza dell'etica.<br />
Infatti il suicidio è, per così dire, il peccato<br />
elementare. E se lo si indaga, è come<br />
quando si indaga il vapore di mercurio per<br />
comprendere l'essenza dei vapori. O anche il<br />
suicidio è, in sé, né buono né cattivo 1<br />
. G.K. CHESTERTON.<br />
Certi odierni sapienti ci hanno insegnato che<br />
non bisogna dire «pover'uomo» di un uomo che<br />
s'è fatto saltare le cervella, poiché egli era una<br />
persona invidiabile, e, se si è colpito al cervello,<br />
è stato perché aveva un cervello eccezionalmente<br />
fine. William Archer ha anche proposto<br />
che, nell'età aurea, vi siano delle macchine au-<br />
1 L.WITTGENSTEIN, Quaderni 1914-1916, Einaudi 974, p.195-<br />
4 dicembre 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
tomatiche dove si possa, tirando la manovella,<br />
procurarsi la morte per un soldo. Io mi dichiaro,<br />
in tutto ciò, avversario deciso di molti che si<br />
chiamano liberali e umanitari. Per me, il suicidio<br />
non è soltanto un peccato, è il peccato; è il<br />
male supremo ed assoluto, il rifiuto di prendere<br />
interesse all'esistenza, di prestare il giuramento<br />
di fedeltà alla vita. L'uomo che uccide un<br />
uomo, uccide un uomo; l'uomo che uccide se<br />
stesso, uccide tutti gli uomini: per quanto lo riguarda,<br />
distrugge il mondo. <strong>Il</strong> suo atto (simbolicamente<br />
parlando) è peggiore di qualsiasi ratto<br />
o attentato dinamitardo: abbatte tutti gli<br />
edifici, offende tutte le donne. <strong>Il</strong> ladro, i diamanti<br />
lo appagano; il suicida, no: questo è il<br />
suo delitto. Egli non si lascia sedurre nemmeno<br />
dalle pietre fiammeggianti della Città celeste.<br />
<strong>Il</strong> ladro rende omaggio alle cose che ruba se<br />
non al loro proprietario; il suicida insulta tutte<br />
le cose per il fatto stesso di non rubarle. Rifiutando<br />
di vivere per amore di un fiore, oltraggia<br />
tutti i fiori. Non c'è al mondo la più piccola<br />
creatura, cui egli non irrida con la sua morte.<br />
Quando un uomo si impicca ad un albero, le foglie<br />
potrebbero cadere giù indispettite e gli uccelli<br />
volar via infuriati come se ciascuno avesse<br />
ricevuto un affronto personale. Naturalmente<br />
questo atto può avere delle scuse patetiche e<br />
commoventi. Ce ne sono spesso anche per il<br />
ratto, e quasi sempre per la dinamite. Ma se si<br />
vogliono chiarificare le idee e fermarsi al senso<br />
intelligente delle cose, allora c'è molta più razionale<br />
e filosofica verità nell'interramento ad<br />
un crocevia col palo infisso sul cadavere, che<br />
nei distributori automatici del signor Archer.<br />
Non è senza significato il seppellimento separato<br />
dei suicidi. <strong>Il</strong> suicidio differisce dagli altri<br />
delitti perché rende impossibili anche i delitti. 2<br />
essa saltellerà l’ultimo uomo, quegli che tutto<br />
rimpicciolisce. La sua genia è indistruttibile,<br />
come la pulce di terra; l’ultimo uomo campa<br />
più a lungo di tutti.<br />
“Noi abbiamo inventato la felicità” — dicono<br />
gli ultimi uomini, e strizzano l’occhio.<br />
Essi hanno lasciato le contrade dove la vita era<br />
dura: giacché si ha bisogno di calore. Si ama<br />
anche il vicino e a lui ci si strofina: perché ci<br />
vuole calore.<br />
Ammalarsi e essere diffidenti è ai loro occhi<br />
una colpa: guardiamo dove si mettono i piedi.<br />
Folle chi ancora inciampa nelle pietre e negli<br />
uomini!<br />
Un po’ di veleno qui, un po’ di veleno là; ciò<br />
dona dei sogni gradevoli. E molto veleno infine<br />
per morire piacevolmente.<br />
Si lavora ancora poiché il lavoro è uno svago.<br />
Ma si ha cura che lo svago non affatichi troppo.<br />
Non si diventa più né poveri né ricchi, sono<br />
delle cose troppo penose.<br />
Chi vuole ancora regnare Chi ancora ubbidire<br />
Entrambe queste cose sono troppo penose.<br />
Nessun pastore e un solo gregge! Tutti vogliono<br />
la stessa cosa, tutti sono uguali: chi sente altrimenti<br />
va da sé al manicomio.<br />
“Una volta erano tutti pazzi” dicono i più astuti,<br />
e strizzano l’occhio.<br />
Ora la gente ha gli occhi aperti, e sa bene tutto<br />
ciò che accade: se non ne ha di motivi da ridere!<br />
Ci si bisticcia ancora, ma subito ci si riconcilia,<br />
altrimenti ci si rovina lo stomaco.<br />
Ci sono piccoli piaceri per il giorno e piccoli<br />
piaceri per la notte: ma sempre badando alla<br />
salute.<br />
“Noi abbiamo inventato la felicità” — dicono<br />
gli ultimi uomini, e strizzano l’occhio. 3<br />
. FRIEDRICH NIETZSCHE.<br />
Guardate! Io vi mostro l’ultimo uomo.<br />
“Che cos’è l’amore e la creazione e il desiderio<br />
che cos’è una stella”: così chiede l’ultimo<br />
uomo, e strizza l’occhio.<br />
La terra allora sarà diventata piccola e su di<br />
2 G. K. CHESTERTON, L'ortodossia, Morcelliana, Brescia, 1947,<br />
pp. 69-70.<br />
3 Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Si veda anche <strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>, n°72.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 670
ARIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
N°671<br />
B<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
8 DICEMBRE 2011<br />
U<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong><br />
ANNOXI<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
)<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
1° I N C O N T R O<br />
D E G L I A M I C I<br />
DEL COVILE<br />
DISCUSSIONI<br />
d<br />
Villa Morghen, Settignano, Firenze<br />
24-25 Settembre <strong>2011.</strong><br />
SECONDA GIORNATA<br />
“<strong>Il</strong> recente incontro degli amici del <strong>Covile</strong> per contenuti,<br />
clima conviviale, bellezza del luogo e accoglienza,<br />
è riuscito al di là delle aspettative. In questo<br />
numero presentiamo soltanto quegli interventi della<br />
prima giornata che i relatori ci hanno inviato e in verità<br />
con ciò pensavamo di concludere, lasciando il<br />
resto al ricordo dei partecipanti, ma ci ha scritto<br />
Riccardo De Benedetti: «La disponibilità a discutere<br />
si è moltiplicata domenica mattina con l'intervento<br />
di Giannozzo e il fitto scambio di posizioni tra tutti i<br />
partecipanti che ne è seguito e che sarebbe proseguito<br />
ben oltre la pausa pranzo... se non ci fossero<br />
stati i treni. Offrirne una traccia ai lettori del <strong>Covile</strong><br />
credo sia doveroso». Abbiamo dunque deciso di seguire<br />
il suo consiglio e della seconda giornata intendiamo<br />
pubblicare la registrazione integrale.”-<br />
Così scrivevamo nel n°660, lo scorso ottobre. Ecco ora,<br />
come promesso, la seconda giornata sbobinata e rivista<br />
dagli intervenuti. E non è finita: a breve contiamo di<br />
pubblicare anche la lectio magistralis su Cattolicesimo<br />
romano di Carl Schmitt che Pietro De Marco ha tenuto<br />
al termine della prima giornata. N<br />
a La Chiesa e il giuramento antimodernista.<br />
LA RELAZIONE DI GIANNOZZO PUCCI<br />
Interventi di Stefano Borselli, Riccardo De Benedetti,<br />
Pietro De Marco, Armando Ermini, Gabriella<br />
Rouf, Francesco Borselli.<br />
GIANNOZZO. Posso solo porre dei problemi,<br />
degli interrogativi, e quindi visto che siamo in<br />
diversi, se questi interrogativi riescono a sviluppare<br />
una ricerca, una riflessione comune, a<br />
me personalmente piacerebbe molto e mi sarebbe<br />
molto utile.<br />
Non so se lo sapete, ma la ragione fondamentale<br />
per cui mi sono dedicato alla Libreria<br />
Editrice Fiorentina, e fra poco si spera anche<br />
di riaprire la libreria, è proprio per due ragioni<br />
fondamentali. Una è la ragione per cui e con<br />
che ipotesi di lavoro sono uscito dai verdi, italiani<br />
in particolare, e vi annuncio intanto che<br />
alla fiera del libro sociale che ci sarà a Roma a<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />
www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />
<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />
minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />
cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />
Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
fine di ottobre, primo novembre, presenterò<br />
questo libro Hitler precursore, con il sottotitolo<br />
“<strong>Il</strong> ventunesimo secolo inizia ad Auschwitz”<br />
di Carl Amery, lo presenterò insieme a Gianni<br />
Mattioli e quindi potrà diventare un’occasione<br />
per una riflessione sull’ambientalismo scientifico.<br />
La ragione per cui sono uscito dai verdi<br />
italiani è che erano tutti impostati sull'ambientalismo<br />
scientifico, quindi una idea scientifica<br />
della natura e anche delle leggi di natura,<br />
e non resistono le leggi di natura in base<br />
alla scienza perché cambiano continuamente,<br />
invece ho iniziato la traduzione dell’Ecologist<br />
in italiano perché Teddy Goldsmith è stato<br />
uno dei pochissimi fondatori del movimento<br />
verde, che avevano come ispirazione i popoli<br />
indigeni quindi una certa visione religiosa, anche<br />
se lui la vedeva un po’ oggettivamente,<br />
però abbracciava questa linea in qualche<br />
modo. Allora, il motivo che mi ispira è: non è<br />
possibile avere un rapporto rispettoso, simbiotico,<br />
con la natura, al di fuori di una scelta<br />
etica, e una scelta etica, il miglior modo perché<br />
sia radicata, è quello di un senso di integrazione<br />
col cosmo, con l’infinito, con ciò che<br />
sta aldilà del cosmo. Questo molto sinteticamente,<br />
molto poco forse detto bene, insomma,<br />
questo è il senso.<br />
Quindi, per me è molto importante, attraverso<br />
la LEF, fare un discorso culturale che<br />
stimoli anche il mondo cattolico ma anche il<br />
mondo non cattolico visto che ormai certe<br />
barriere sono cadute, a una riflessione etica<br />
che va aldilà delle pure leggi morali. In questo<br />
percorso, ci son stati alcuni amici, personalità,<br />
che hanno fatto e fanno da punto di riferimento<br />
nel cammino di questa epoca molto<br />
speciale che stiamo vivendo. Una di queste<br />
persone è Ivan <strong>Il</strong>lich, il quale nelle conversazioni<br />
personali che abbiamo avuto spesso a casa<br />
mia, quando passava da Firenze, quando avevamo<br />
un po' d'agio per riflettere, appunto mi<br />
colpì il fatto che mi disse un giorno “Io sono<br />
l’unico prete che conosco che è rimasto fedele al<br />
giuramento antimodernista”.<br />
Ora, io non ho mai approfondito la condanna<br />
del modernismo di Pio X, ho un po’ riflettuto<br />
sul Sillabo di Pio IX, in cui ci sono vari<br />
elementi di critica al pensiero cosiddetto moderno,<br />
però non è che ho specificamente riflettuto<br />
sulla condanna del modernismo di Pio<br />
X. Come esperienza indiretta, ho avuto l’esperienza<br />
dell’Eremo di Campello dove la fondatrice<br />
sorella Maria aveva in qualche modo,<br />
ospitato, protetto, Ernesto Buonaiuti, umanamente,<br />
perché questa condanna della scomunica<br />
Vitandi, come modernista, lei l’aveva in<br />
qualche modo bypassata per una questione di<br />
carità umana, non so come dire, però non è<br />
che abbia mai letto nulla di Buonaiuti...<br />
Quello che a me stimola molto, questo discorso<br />
della condanna del modernismo, e questo<br />
discorso che Ivan diceva “Io son l’unico<br />
prete che è rimasto fedele al giuramento antimodernista”,<br />
è prima di tutto vedere quali<br />
sono i legami fra modernismo come lo concepiva<br />
la condanna di Pio X e il modernismo<br />
diffuso di oggi. Certo, io vedo una specie di abbraccio<br />
della modernità, da parte di gran parte<br />
della Chiesa, della Chiesa intesa non come cristiani<br />
ma della Chiesa intesa normalmente,<br />
come istituzione, preti, vescovi, eccetera eccetera.<br />
In fondo la stessa Cei è una struttura, diciamo<br />
così, istituzionale, che un pochino contrasta<br />
con il dono dello Spirito Santo, perché<br />
quando si crea questa struttura in cui il segretario,<br />
il presidente della Cei vale più dei singoli<br />
vescovi, è una forma di istituzionalizzazione<br />
moderna che contrasta. Ma non è solo questo:<br />
c’è una specie... quello che diceva don Milani,<br />
che quello che veniva condannato ed era oggetto<br />
di urgente confessione, dopo dieci anni<br />
lo insegnano le scuole dell’asilo, insomma un<br />
arrivare più tardi dove sono arrivati gli altri...<br />
a me sembra di assistervi abbastanza spesso<br />
così, nelle strutture del mondo cattolico, mentre<br />
tutta questa riflessione e tentativo di recuperare<br />
un percorso che in fondo ora, secondo<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 671
| ( 3 ) |<br />
me sarebbero maturi i tempi, visto ormai la caduta<br />
delle contrapposizioni così profonde tra<br />
destra e sinistra, che ormai hanno assunto,<br />
così, dei caratteri, in fondo sono in crisi tutti i<br />
due, cos’è la destra e cosa la sinistra non si capisce<br />
più, forse andrà riletto, rivisto.<br />
Però c’è una riflessione sulla modernità,<br />
che aldilà della condanna di Pio X, appunto,<br />
che non conosco nei minimi particolari, che<br />
mi sento di fare, che in fondo comincia, se si<br />
vuole, dalla Rivoluzione Francese, ma che poi,<br />
con una specie di stile o di metodo si rivede e si<br />
ripercorre in tutti i movimenti innovativi, che<br />
si sono succeduti da allora in poi, e di cui anch’io<br />
ho fatto parte, che è una tendenziale incapacità<br />
di conversione profonda personale,<br />
ma questo fatto che ogni movimento che si<br />
suppone rivoluzionario, o riformatore, o innovatore<br />
eccetera, tende a far piazza pulita di<br />
tutto il passato, oppure del supposto nemico,<br />
no E in questa maniera proietta forse alcuni<br />
vizi del supposto nemico, e non riesce a agganciare<br />
con la tradizione, non intesa come tradizionalismo<br />
eccetera, ma veramente la capacità<br />
di trasmissione dei valori profondi da una generazione<br />
all’altra. Trasmissione che non è<br />
possibile se uno non si mette in una condizione,<br />
diciamo così, di umiltà, magari non come il<br />
pubblicano in fondo al tempio, perché quella è<br />
una cosa specificamente cristiana, però un pochino<br />
in questa dimensione qua. Per cui si<br />
hanno molti cambiamenti di fronte, che nascono<br />
da scoperte intellettuali eccetera eccetera,<br />
ma vere e profonde conversioni sono abbastanza<br />
difficili. Ecco, ora, in questo tema della<br />
modernità, non c’è bisogno di conversione,<br />
cioè nel senso che la conversione la fanno le<br />
strutture, la fanno le tecniche, le tecnologie,<br />
sono loro che ci cambiano la vita, questo lo diceva<br />
bene Ivan quando sottolineava come i libretti<br />
di istruzione che ci vendono insieme al<br />
computer, che poi son molto più lunghi del<br />
Vangelo naturalmente, e quando li hanno introiettati,<br />
hanno introiettato un modo di vivere,<br />
di rapportarti e non te ne accorgi, però lo<br />
fai quasi automaticamente, obbedisci molto di<br />
più che al decalogo, e con quelli si inserisce<br />
nelle nostre reazioni, quasi ipnotizzate, una<br />
dinamica che forse col Vangelo, col Vecchio<br />
Testamento, con tutto quello che è la proiezione<br />
culturale, storica, religiosa nostra, ha<br />
poco a che vedere. Non so se c’è qualcuno che<br />
ha fatto uno studio sui libretti di istruzione in<br />
rapporto alla tradizione morale, no Però,<br />
questo discorso qui, per i tempi, quali sono...<br />
ecco, io so solo degli Amish, che sottopongono<br />
in maniera orale, che ne sappia io, poco in maniera<br />
scritta, che sottopongono le tecniche, le<br />
innovazioni, ad una riflessione morale, cioè<br />
perché loro hanno come riferimento le conseguenze<br />
delle tecnologie sulla loro vita comunitaria,<br />
no<br />
STEFANO. Potremmo chiamarla una riflessione<br />
antropologica, per parlar difficile, più<br />
che morale<br />
GIANNOZZO. Sì, puoi dirla antropologica, però<br />
c’è anche un connotato morale, sempre un<br />
profondo afflato morale, perché lo vedo anche<br />
nelle loro rivistine per esempio, è continua<br />
questa cosa, sulle singole scelte<br />
STEFANO. Puoi fare un esempio È importante,<br />
siccome da loro ci sei stato...<br />
GIANNOZZO. Un esempio è questo: la cosa è<br />
cominciata molto spontaneamente, quasi per<br />
caso, all’inizio del 900, 1910, quando è arrivata<br />
la luce elettrica, è successo esattamente<br />
come è successo tra noi, quando è arrivata la<br />
televisione, una famiglia ha detto: per ora non<br />
la prendiamo, e poi pian piano l’han presa tutti.<br />
Lo stesso è successo a loro: “È arrivata la<br />
luce elettrica, la prendiamo, non la prendiamo”.<br />
All’inizio han detto “Eh, aspettiamo”.<br />
Poi hanno cominciato a riflettere sulla differenza<br />
tra averla e non averla. La dipendenza<br />
che gli creava questa cosa, quali eran le conseguenze<br />
sul loro vivere insieme. Allora la luce<br />
naturale e la luce artificiale, che conseguenze<br />
8 dicembre 2011 Anno XI
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aveva sul tempo della giornata in rapporto alla<br />
loro vita familiare per esempio. E la stessa<br />
cosa è successa con le altre cose che sono arrivate,<br />
per cui hanno avuto sempre una reazione<br />
molto sperimentale, ad esempio il telefono. In<br />
casa non ce l’hanno, ma hanno la cabina telefonica<br />
fuori, per cui se tu vuoi parlare con loro<br />
gli scrivi una cartolina, e dici “Io mercoledì a<br />
mezzogiorno ti telefono”, e loro mercoledì a<br />
mezzogiorno si fanno trovare.<br />
STEFANO. Quindi loro, non tutti lo sanno...<br />
analizzano, vedono le cose e poi prendono decisioni<br />
di tutti i tipi.<br />
GIANNOZZO. Di tutti i tipi.<br />
RICCARDO. Non è che le ignorino le novità, le<br />
prendono in carico in quel modo là. Quindi<br />
non le rifiutano per principio<br />
GIANNOZZO. No. È strano, hanno un rapporto,<br />
per esempio... per me è più facile dire<br />
“no”. Loro invece hanno un rapporto che,<br />
mettiamo, non li usano i concimi chimici, ma<br />
una piccolissima quantità per certe cose particolari.<br />
La luce elettrica no, però usano elettricità<br />
a batterie per raffreddare il latte, hanno<br />
fatto questo compromesso perché vendono il<br />
latte, allora per raffreddarlo fanno con la corrente<br />
a batterie, hanno i pannelli solari, le batterie<br />
e queste cose. Quindi le macchine non le<br />
hanno, se devono andare in un posto dove si<br />
può andare solo in macchina, prendono in affitto<br />
la macchina con l’autista. Però la scelta di<br />
avere i cavalli e di avere i mezzi di trasporto, le<br />
carrozzelle coi cavalli, li ha costretti ad avere<br />
un raggio di movimento di dieci chilometri più<br />
o meno. Quindi la loro comunità rimane abbastanza<br />
unita... i loro rapporti sono quotidiani,<br />
sarebbe come se... non so, se noi vivessimo tutti<br />
a portata di gambe e ci incontrassimo per caso<br />
tutti i giorni. Cosa diversa è incontrarsi per<br />
caso tutti i giorni, magari ti viene per caso<br />
quell’idea e la dici, che non organizzarsi per<br />
trovarsi, è tutta un’altra cosa. Io vedo che le<br />
comunicazioni sono molto più ricche e numerose<br />
in quel modo lì, quando ci incontriamo<br />
per caso, siamo in treno per esempio, facciamo<br />
un viaggio insieme, magari ci vengono delle<br />
idee che se invece siamo lì apposta non ci vengono<br />
in quel modo. Questi sono degli esempi,<br />
ce ne sono anche altri. Loro son l’unica realtà<br />
che fa riferimento al Cristianesimo e che si è<br />
posta in questo modo di fronte al problema<br />
della modernità, cioè in un modo critico, ma<br />
non critico di condanna a priori, perché tra<br />
l’altro sono aggiornatissimi, cioè tutti i dibattiti<br />
più profondi, fra di loro sono lì. Magari<br />
non sanno i dettagli dell’ultimo tipo di telefonino,<br />
che poi... sono fino a un certo punto,<br />
poco significativi, mentre conoscono tutto il<br />
dibattito sugli Ogm.<br />
Un’altra cosa che si collega a questa, l’avere<br />
girato pagina rispetto alla condanna della modernità,<br />
è la scarsa capacità, almeno che vedo<br />
io nel mondo cattolico, di applicare al rapporto<br />
con la nostra quotidianità, quindi alle scelte<br />
piccole di ogni giorno, i temi dello spirito, in<br />
qualche modo... non tanto il cuore della fede,<br />
ma tutto quello che ne deriva. Mentre invece<br />
vedo, avendo messo i bambini alla scuola steineriana,<br />
che lì è abbastanza più sviluppato, anche<br />
nei rapporti tra i genitori. Cioè, Benedetta,<br />
mia moglie, che aveva scarsa capacità di<br />
interagire con me su certi temi, quando dicevo<br />
“La plastica cerchiamo di evitarla”, lì sta capendo<br />
il senso. Loro per esempio dicono<br />
“Guardate, i bambini metteteli in contatto con<br />
materie naturali perché sono più vicine alla<br />
creazione”, e quindi a una dimensione spirituale<br />
delle cose, mentre la plastica è più lontana.<br />
Ecco, io questo non sapevo esplicitarlo<br />
razionalmente. Loro hanno un modo di esplicitarlo.<br />
Sento un po’ risuonare Fukuoka quando<br />
parlava della natura dei giardini attorno<br />
agli alberghi come una natura artefatta, quasi<br />
di plastica, sentivo che era vero, mentre invece<br />
sento che dormire all’aperto, fare il viaggio a<br />
piedi, in pellegrinaggio eccetera, con quella<br />
realtà anche dura, se vuoi in certi modi difficid<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 671
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le, della natura, degli altri eccetera, mi sento<br />
più vicino a Dio in qualche modo. Tutte le dimensioni<br />
della vita quotidiana, un po’ come<br />
Giuseppe Sandri, quando diceva “La piccola<br />
propagandista dell’Azione Cattolica, che una<br />
volta viaggiava in terza classe, oggi viaggia in<br />
un vagone letto, ma chi lo sa se lo spirito colpirà<br />
con più forza le persone con cui ella entrerà<br />
in contatto una volta arrivata a destinazione”<br />
Ecco, un po’ tutta questa problematica<br />
qua, è abbastanza assente, e devo dire, quel libro<br />
di Mounier, La paura del secolo XX, che<br />
credo sia stato l’ultimo libro che lui ha scritto,<br />
che in parte aveva anche sollecitato la riflessione<br />
di La Pira quando usava questa espressione<br />
“Convertiamo la modernità”, cioè vediamone<br />
gli agganci con la fede cristiana, con<br />
Dio. Però, in quel caso, mi sembra che qualche<br />
contraddizione col discorso della condanna<br />
del modernismo ci sia, e <strong>Il</strong>lich aveva questa<br />
idea, che a me sembra abbastanza stimolante,<br />
quando diceva che la modernità è un capitolo<br />
dell’ecclesiologia, secondo lui probabilmente<br />
si sono inserite, nell’ecclesiologia, delle eresie<br />
che non son state ancora riconosciute come<br />
tali, ma che sono in contraddizione col Vangelo<br />
e col Vecchio Testamento, e quindi hanno<br />
promosso, aiutato, o diffuso delle idee che<br />
hanno creato un cattolicesimo moderno, una<br />
cattolicità tecnologica, che non ha nulla a che<br />
vedere veramente con la Chiesa ma che cerca<br />
di inglobare anche la stessa Chiesa.<br />
Da questa riflessione, viene fuori l’altra domanda,<br />
cioè come il lavorare a un processo che<br />
non è solo nostro, che non deriva solo dalla<br />
nostra testa, o dalle scelte che noi possiamo<br />
fare, anche se queste sono importanti, lavorare<br />
a un processo di cambiamento di stile di vita in<br />
cui ci sia posto per questi temi, e in cui si ritrovi<br />
un’architettura di valori nella pratica concreta<br />
di ogni giorno. Sono molto stimolato dal<br />
lavoro che sto facendo, l’introduzione del libro<br />
di McNabb, La Chiesa e la Terra, in cui ci<br />
sia appunto un’architettura di valori in cui<br />
McNabb dice che c’è speranza solo se i contemplativi<br />
ritornano alla terra, cioè se chi ritorna<br />
alla Terra è al vertice della spiritualità.<br />
Ma in questo riecheggia anche un certo modello<br />
che ho trovato in Fukuoka...<br />
STEFANO. McNabb<br />
GIANNOZZO. Vincent McNabb, uno dei fondatori<br />
del movimento distributista, era il confessore<br />
di Chesterton. Era un domenicano, è<br />
morto nel 43, e io sarò ben contento di pubblicare<br />
questo libro dove nell’ultima di copertina<br />
c’è una frase del genere: “la modernità,<br />
vuole portare tutti in città, mentre la Chiesa<br />
cattolica ritiene che la campagna sia il luogo<br />
ideale per vivere la propria fede.” Mettere<br />
questo in ultima di copertina sarà una bella<br />
soddisfazione. Anche se forse non è vero oggi,<br />
credo che sia un bello stimolo. In questa posizione<br />
si riecheggia una cosa che ho trovato anche<br />
in Fukuoka, in cui lui, essendo buddista<br />
zen ricorda l’architettura sociale della tradizione<br />
giapponese nella quale il contadino era<br />
il più vicino a Dio, e invece via via che ci si allontana<br />
dalla cura della terra, dalla simbiosi<br />
con la terra, commercianti e altre attività, si<br />
prende un posto che è più lontano da Dio. Siccome<br />
penso che una delle opere più grandi che<br />
una civiltà possa compiere è proprio quella di<br />
tessere la simbiosi con la natura, che in qualche<br />
modo continui, ecco il discorso della contingenza,<br />
continui la sintonia con l’attività<br />
creatrice di Dio, ecco, io penso che questo sia<br />
il compito di liberazione dalla modernità che<br />
potremo avere davanti.<br />
STEFANO. Ti ringrazio, comunque anche altri<br />
hanno parlato a braccio, l'incontro è amichevole,<br />
di questo tipo, vero Riccardo<br />
RICCARDO. Ma il suo è un braccio che funziona<br />
meglio del mio.<br />
GIANNOZZO. In compenso non le gambe...<br />
PIETRO. Non si può avere tutto no<br />
8 dicembre 2011 Anno XI
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ARMANDO. Cercheremo... basta che funzioni<br />
la testa...<br />
GIANNOZZO. Don Giuseppe De Luca rispose a<br />
Giuseppe Sandri quando gli chiese “Cos’è essenziale<br />
nella vita del cristiano”, e Giuseppe<br />
De Luca disse “Tre cose: il legame esclusivo<br />
con Gesù, la presenza reale e l’unità col Papa.<br />
Tutto il resto fottitenne”, e lui l'ha preso alla<br />
lettera.<br />
ARMANDO. Giannozzo, a me piacerebbe che tu<br />
ci approfondissi il concetto di simbiosi dell’uomo<br />
con la terra, cioè... cosa significa il<br />
rapporto, la distinzione tra una concezione<br />
antropocentrica dell’umanità e una concezione<br />
invece che tende a riportare l’uomo come<br />
elemento della natura, tutto sommato, indistinto<br />
da essa e quindi equiparabile agli animali<br />
e/o alle cose della natura che ne fanno<br />
parte. Questa mi sembra una distinzione abbastanza<br />
importante, anche proprio dal punto di<br />
vista della concezione cattolica, che è stata appunto<br />
accusata di antropocentrismo e quindi<br />
di svalutazione poi del resto del mondo della<br />
natura.<br />
GIANNOZZO. Ti ringrazio perché è una domanda<br />
molto importante. Io sono antropocentrico.<br />
Sono ferocemente antropocentrico e<br />
ritengo che, invece, tutta la modernità non sia<br />
antropocentrica, perché, da quando Galileo<br />
inizia a dire che è la Terra che gira intorno al<br />
Sole e non il contrario, praticamente non c’è<br />
più l’antropocentrismo. C’è il tecnocentrismo,<br />
il centrismo di altre cose, che poi uno ci può<br />
mettere la natura, la tecnica, la scienza, tutto<br />
quello che vuole, ma non c’è più l’antropocentrismo.<br />
L’antropocentrismo è l’uomo, non è le<br />
strutture dell’uomo, l’architettura dell’uomo e<br />
tutte queste cose qua, è l’uomo. E se l’uomo<br />
non può giudicare con i suoi occhi quello che<br />
vede, non può essere al centro. C’è un altro<br />
punto essenziale, che quando l’uomo è al centro,<br />
per essere veramente al centro, lo può essere<br />
solo se mette Dio al centro, cioè se lui<br />
mette Dio al centro, quindi se il suo essere al<br />
centro prende ispirazione da qualcosa che sta<br />
aldilà dell’universo, no Da qualcuno che sta<br />
aldilà dell’universo. Allora il concetto di simbiosi,<br />
secondo me, è perfettamente coerente<br />
col discorso “Crescete e moltiplicatevi”, cioè<br />
moltiplicatevi non significa moltiplicarsi solo<br />
come esseri umani. Significa “Moltiplicatevi<br />
in tutte le cose della natura”. Allora se tu<br />
prendi come esempio l’oasi, come modello<br />
l’oasi, alcuni esseri umani che si sono dedicati<br />
alla natura e nel deserto hanno moltiplicato le<br />
forme di vita, le quali a loro volta moltiplicano<br />
se hanno altri che si dedicano a questo ovviamente.<br />
Allora, simbiosi cosa significa Nel<br />
campo della natura, sono i batteri azotofissatori<br />
che rendono più fertile, per certe piante, il<br />
terreno che sta intorno, quindi la loro presenza<br />
è essenziale per la vitalità di quelle piante.<br />
Nel campo umano è la massima, più alta rotta<br />
di una civiltà, cioè la capacità degli esseri<br />
umani di fare esattamente l’opposto di quanto<br />
sta facendo la società dei consumi oggi, cioè di<br />
rendere la natura sempre più ricca per esseri<br />
umani, piante, animali ecc.<br />
Ci sta a proposito la storia dello stato dell’Arizona<br />
che a un certo momento decise di fare<br />
una riserva integrale per gli uccelli, e rilocalizzò<br />
una tribù indiana che viveva in quel<br />
territorio per paura che desse noia agli uccelli.<br />
Classico modello del primo WWF, cioè l’uomo<br />
non può che dare noia alla natura. Poi,<br />
dopo quindici anni, mandano un ornitologo e<br />
trova molte meno famiglie di uccelli in quella<br />
zona lì che in una zona non molto lontana, aldilà<br />
dei confini con il Messico, dove però gli<br />
indiani ci sono e non ha quelle regole lì. Gli<br />
indiani commentano “Agli uccelli piace venire<br />
dove siamo noi perché trovano da mangiare e<br />
compagnia”. Ma lo si vede anche con le piante.<br />
Gli ulivi vicini a casa fanno più olive di<br />
quelli lontani. C’è una dinamica di rapporto<br />
fra la natura e gli esseri umani, per cui un certo<br />
tipo di presenza dell’uomo, non qualsiasi<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 671
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presenza dell’uomo, migliora la terra. Quando<br />
si dice che il cane da passeggio americano consuma<br />
più natura di venti indiani, indiani dell’India,<br />
si intende questo. C’è un tipo di essere<br />
umano, di società che distrugge e c’è un tipo di<br />
essere umano invece che può rispettare il comando<br />
biblico di “Crescete e moltiplicatevi”<br />
perché è una moltiplicazione di forme di vita.<br />
ARMANDO. Questo è importante, quindi simbiosi<br />
come integrazione dell’essere umano nella<br />
natura, di prendersi cura e che non esclude<br />
anche la trasformazione dell’ambiente, anzi<br />
RICCARDO. Non è la caduta nel panico.<br />
STEFANO. E poi non è a pari, non è fondersi, è<br />
un... se capisco bene, è l’uomo che cura, Giannozzo<br />
diceva il giardiniere, non è una fusione,<br />
non sono uguali, se capisco bene<br />
GIANNOZZO. C’è un giardiniere e un giardino,<br />
STEFANO. Non è tutto giardino, ecco.<br />
GIANNOZZO. Che io sappia nelle università<br />
del mondo non ci sono ricerche in questo senso,<br />
però, per dire, se fosse praticabile la proposta<br />
di Fukuoka, che riesce su 1000 mq a<br />
produrre con questi sistemi naturali, quindi<br />
non arando la terra, con una buona combinazione<br />
delle piante, 3-4 volte più dell’agricoltura<br />
industriale, ecco, è un esempio di simbiosi<br />
senza la tecnologia. Un altro aspetto molto<br />
importante perché non c’è una dipendenza da<br />
una catena di montaggio, da un’industria tecnologica.<br />
Questo è il modello della simbiosi.<br />
Volevo aggiungere un altro punto, un dettaglio.<br />
Gli europei quando sono arrivati in<br />
America ci hanno messo due secoli per accorgersi<br />
che nel deserto, per esempio dell’Arizona,<br />
del Nuovo Messico, le piante erano coltivate<br />
dagli indiani, sembravano selvatiche. Nel<br />
nord degli Stati Uniti c’era un tipo di tecnica<br />
colturale degli indiani, che si chiama agricoltura<br />
alveolare, in cui, rispettando certi magnetismi<br />
del terreno, in mezzo a boschi, coltivavano.<br />
Quindi tutto questo sapere era anche<br />
antico. Sulle Ande peruviane, ancora oggi seminano<br />
quaranta o cinquanta varietà di patate<br />
nello stesso campo di mezzo ettaro, con varie<br />
conseguenze, e poi si mescolavano certe tecniche<br />
di coltura a certi aspetti morali. Quando<br />
Gary Nabhan, uno dei più grandi ricercatori di<br />
piante alimentari indiane, è andato in un campo<br />
di una vecchia indiana del Nuovo Messico,<br />
che coltivava girasoli, a un certo punto si è accorto<br />
che c’erano dei girasoli selvatici seminati<br />
intorno al campo, le ha chiesto “Ma scusi,<br />
perché lei ha seminato girasoli selvatici intorno<br />
al campo”, e lei ha risposto “Perché<br />
non bisogna essere troppo attaccati alle cose”.<br />
E poi c’era una conseguenza anche genetica,<br />
perché i girasoli selvatici, incrociandosi con<br />
quelli domestici, mantenevano ricca la variabilità.<br />
Quindi, tutti questi aspetti, anche morali,<br />
non essere troppo attaccati alle cose, che<br />
sono opposti rispetto all’agricoltura industriale,<br />
fanno parte del quadro della simbiosi.<br />
Anche questo è sempre un progetto umano.<br />
Credo che ci siano pochi posti nel mondo dove<br />
non ci sia, anche da parte di indigeni, i cosiddetti<br />
uomini primitivi... una qualche modifica<br />
o correzione della natura. <strong>Il</strong> prossimo numero<br />
dell’Ecologist è intitolato “<strong>Il</strong> valore della persona<br />
umana dell’età della pietra”, primitiva,<br />
primaria. Spesso quando si dice “Valore della<br />
persona umana”, come diceva La Pira, si intende<br />
una persona umana come noi, ma quando<br />
viene fuori il primitivo, che vive direttamente<br />
di natura, di terra, è diverso... forse vi<br />
ricordate l’uomo di Similaun, che all’inizio<br />
sembrava un soldato della prima guerra mondiale,<br />
poi quando si scoprì che invece era di<br />
quarantamila anni fa, venne un’altra concezione<br />
dell’uomo, un uomo diverso.<br />
Ecco, quindi... mi preme molto questo discorso<br />
dell’antropocentrismo. Io credo che, in<br />
contrasto con tutto quello che dicono contro<br />
l’antropocentrismo, in realtà la condanna dell’antropocentrismo<br />
faccia parte della modernità,<br />
sia all’origine della modernità.<br />
8 dicembre 2011 Anno XI
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PIETRO. Sì e no, a seconda un po’ delle accezioni<br />
di antropocentrismo. Semmai poi dico<br />
qualcosa.<br />
GABRIELLA. Volevo dire, qualcosa su questo<br />
aspetto del rapporto con l’antroposofia, perché<br />
mi stupisce lo scarso interesse o addirittura<br />
la ripulsa che ha il mondo cattolico verso le<br />
istituzioni steineriane, mentre dall’altra parte,<br />
viene manifestata grande apertura e sollecitazione<br />
al dialogo verso Julia Kristeva e personaggi<br />
del modernismo più sfrenato.<br />
Io credo che questo discorso sull’antroposofia<br />
vada ripreso, perché è una presenza nel<br />
mondo moderno che, nel tempo, lasciando<br />
sullo sfondo le connotazioni esoteriche e i collegamenti<br />
con i filoni teosofici e spiritisti, ha<br />
sviluppato tecniche serie e sperimentate di intervento,<br />
soprattutto sull’infanzia, sull’handicap,<br />
sull’agricoltura, che nascono da<br />
una visione filosofica profondamente spirituale,<br />
attenta alla realtà dell’uomo.<br />
Prima si parlava del disastro della scuola.<br />
Nelle scuole antroposofiche si fanno quelle attività<br />
che si facevano un tempo nelle nostre<br />
scuole, i laboratori, attività espressive disciplinate,<br />
le passeggiate nella natura, cioè tutte<br />
cose che c’erano nella nostra scuola e ce le<br />
hanno distrutte sotto gli occhi. Ma soprattutto<br />
si guarda al bambino nel suo insieme, nella sua<br />
originalità singola, nel suo bisogno di amore,<br />
di fantasia, di bellezza.<br />
Allora, queste cose, bisogna intanto conoscerle<br />
di più, e vederle nella concretezza di<br />
quello che sono, di quello che ci offrono: ci<br />
può essere un dono che ci viene da qualcosa di<br />
inaspettato, da eventi imprevedibili.<br />
Rudolph Steiner è stata una grande figura,<br />
di elevata dignità morale. Era forse inevitabile<br />
che, partendo da premesse di uno pseudoscientifismo<br />
spiritualista, il movimento antroposofico<br />
prendesse i caratteri di una setta, con<br />
aspetti new age e di sincretismo religioso superficiale.<br />
D’altra parte la sua impostazione antimaterialistica<br />
e di contrasto alla destrutturazione<br />
dell’uomo, di difesa della famiglia e dell’infanzia<br />
dal mondo consumistico e televisivo, è<br />
portata avanti con grande coerenza, e va rispettata<br />
e conosciuta. L’architettura del Goetheanum,<br />
per esempio, era anticipatrice della<br />
bioarchitettura…<br />
STEFANO. Ti rispondo, ti ho anche, a volte,<br />
già risposto, lo rifaccio in questo momento<br />
conviviale di discussione. Invece per i cattolici,<br />
ma non solo, il problema è molto serio. Non<br />
tutto è condivisibile, di quel che hai detto.<br />
L’antroposofia è un’altra religione, una religione<br />
vera e propria. Detto questo allora sono<br />
cattivi Certamente no, ma è un’altra religione<br />
quindi non c’è da meravigliarsi di determinate<br />
cautele e reazioni. In secondo luogo, è una religione<br />
che non dice di esserlo, e questo crea<br />
ulteriori problemi. Inoltre, non è una creazione<br />
romantica, di un impulso che poi è diventata<br />
una setta, nasce da una setta, la Teosofia.<br />
Rudolph Steiner è stato capo della Teosofia in<br />
Germania, dopodiché c’è stata una deriva, una<br />
deriva autonomista, nazionalista eccetera, per<br />
cui c’è stata una scissione vera e propria, fa<br />
parte della storia della Teosofia questa scissione,<br />
perché non ci fu soltanto quella... Come<br />
struttura, fin dalla nascita l'Antroposofia è una<br />
struttura iniziatica, quindi ci sono verità e conoscenze<br />
che mutano secondo i livelli, come la<br />
massoneria, quindi quello che viene detto su<br />
un livello non corrisponde a quello che sanno<br />
gli adepti di livello superiore e poi ci sono<br />
quelli di livello ancora superiore. La dottrina<br />
prende tantissimo dalla Teosofia, sapete che<br />
tutto il moderno razzismo, nasce da lì Ci sono<br />
tutte queste razze, superiori e inferiori, che<br />
vengono da vari pianeti, prima da Marte e cose<br />
del genere, poi finiscono sulla Terra. Questo è<br />
il mondo di Steiner, che ha scritto molti libri,<br />
ha fatto qualche migliaio di conferenze in giro<br />
per l'Europa. Kafka a un certo punto lo seguì,<br />
era interessato. Venne anche a Firenze, aveva<br />
una sua missione. Io mi fermo, ma credo prod<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 671
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prio che sia da quel tipo di ambiente che nasce<br />
la Bauhaus, che tanto combattiamo, Frank<br />
Gehry il creatore del mostro alieno di Bilbao è<br />
antroposofo ecc..<br />
GABRIELLA. Io parlavo del primo Goetheanum,<br />
che è bruciato completamente..<br />
GIANNOZZO. Io posso dire l’esperienza mia<br />
personale. Mi sono imbattuto nell’antroposofia<br />
di Steiner alla fine degli anni sessanta, perché<br />
influenzato dalla concezione di lotta di<br />
classe di don Milani che è diversa da quella di<br />
Marx, pensavo che la classe rivoluzionaria dovesse<br />
avere un’agricoltura diversa, un’architettura<br />
diversa, un’urbanistica diversa, una<br />
medicina diversa eccetera, e quindi andavo alla<br />
ricerca di queste diversità, rispetto all’architettura,<br />
la medicina, alla fabbrica borghese,<br />
in questa ricerca mi sono imbattuto nel mondo<br />
steineriano, partendo dalla biodinamica. Sono<br />
stato al Goetheanum nel 73, e, per mia sensazione<br />
di pelle, percepivo questa sensazione<br />
della setta; in questo viaggio sono andato a<br />
trovare varie persone, e ce n’erano alcune che<br />
probabilmente facevano parte di questo livello<br />
più alto, e guardavano dall’alto in basso, avevo<br />
questa sensazione della setta. Poi, un altro<br />
aspetto che mi dava noia, era il fatto dello<br />
scientismo, cioè che loro avessero trasformato<br />
in concezione scientifica delle cose che sono<br />
spirituali, e questo mi ha allontanato.<br />
Dopo che abbiamo iniziato, a casa mia, a fare<br />
l’asilo nel bosco, e avevo desiderio di fare<br />
anche la scuola elementare, ho fatto un paio di<br />
campi di lavoro con diverse persone che avevano<br />
esperienza di scuola famigliare, quindi le<br />
responsabili di una scuola di Nomadelfia, di<br />
una scuola familiare di Latina, alcuni che avevano<br />
fatto esperienza di scuola ai loro figli direttamente<br />
ecc. Poi non ho trovato la maestra,<br />
quindi abbiamo dovuto rivolgerci alla scuola<br />
pubblica. A un certo punto, Maria Novella andava<br />
a scuola a Settignano in terza elementare<br />
la sua maestra è andata in pensione e lei ha<br />
detto “Io in quella scuola non ci torno”. Dato<br />
che Giacomo entrava in prima, siamo andati a<br />
cercare una scuola che non avesse i moduli,<br />
che avesse almeno il maestro prevalente, e abbiamo<br />
trovato gli Scolopi, solo che Maria Novella<br />
è stata fortunata, Giacomo meno, e ha<br />
avuto una maestra che, per dire, in terza elementare<br />
aveva scelto un libro di testo che a<br />
storia aveva una pagina sul big bang e una pagina<br />
sull’uomo che nasce dalle scimmie. Scuola<br />
cattolica! Sono andato a lamentarmi in direzione,<br />
dicendo “Scusate, ma perché insegnate<br />
delle ipotesi scientifiche a un bambino di<br />
terza elementare”, “Noi abbiamo consultato<br />
il teologo e va bene così”, questo è un po’ l’atteggiamento<br />
della scuola pubblica e parificata,<br />
che quando vai a porre il problema, “No, il<br />
problema è tuo, nella scuola va tutto bene, non<br />
c'è nulla da cambiare” e quando c’è un problema<br />
vero, dicono “<strong>Il</strong> problema è tuo”<br />
Poi nella scuola pubblica, la mattina gli<br />
fanno fare poco ma danno una marea di compiti<br />
a casa, per cui non si può come genitori<br />
fare la nostra esperienza pedagogica, in altro<br />
modo, a casa. Quindi i genitori contano sempre<br />
meno. Dopo la terza elementare, iniziando<br />
la quarta, Giacomo ha dato di fuori, perché insomma...<br />
era indietro. Alla fine l’abbiamo levato,<br />
senza sapere dove andare, e poi l’abbiamo<br />
messo nella scuola steineriana. Con tutte le<br />
difficoltà di inserimento, ma devo dire che lì è<br />
cominciato piano piano a trovare qualcosa di<br />
diverso dall'essere sempre fuori posto. Nella<br />
scuola pubblica quando andavo, e non andavo<br />
più, agli incontri dei genitori, io ero una noce<br />
in un sacco, e ogni volta che ponevo dei problemi<br />
gli altri genitori pensavano all’opposto<br />
di me. Quando io proclamavo l’assurdità che i<br />
genitori non potessero contare mai, che i bambini<br />
non potessero avere un’esperienza fisica di<br />
apprendimento fuori della scuola, che tutto<br />
dovesse essere colonizzato dalla scuola, loro<br />
dicevano anzi “I nostri bambini sono indietro,<br />
quell’altra scuola è più avanti di noi”. Quindi<br />
8 dicembre 2011 Anno XI
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io che ci andavo a fare a queste riunioni Invece<br />
le riunioni dei genitori della scuola steineriana<br />
sono un'esperienza forte, entusiasmante.<br />
Io pongo il problema dei film, dvd, della televisione,<br />
del computer, del telefonino ecc. Inizia<br />
subito il dibattito su queste cose. Può darsi<br />
non siamo d’accordo su tutto, non importa, ma<br />
il dibattito c’è, è sentito, è profondo. E la<br />
maestra porta ad esempio una conferenza di<br />
Steiner, in cui si parla degli angeli, e si dice<br />
“Gli angeli parlano alle singole persone, alle<br />
generazioni, alle città, alle epoche, attraverso<br />
le immagini”. Per cui, indirettamente, viene<br />
l’idea: guardate, state attenti alle immagini artificiali,<br />
che vi disturbano le immagini degli<br />
angeli. Allora a me cosa mi importa se loro<br />
sono una setta Se questo è il livello del dibattito,<br />
io lo sfrutto nella mia direzione. Un altro<br />
esempio: la calligrafia. Io ne facevo una malattia<br />
del fatto che non insegnassero la calligrafia.<br />
C’è un rapporto tra lo scrivere come<br />
calligrafia e la mente dell’uomo, no Ecco, lì<br />
prima di insegnargli la calligrafia, gli fanno<br />
disegno di forme per esempio, che li prepara<br />
alla calligrafia, una forma di artigianato.<br />
Quindi io me ne frego se sono una setta, perché<br />
io non ci entro nella setta<br />
STEFANO. Io sono intervenuto semplicemente<br />
per dare informazioni sul quadro.<br />
GIANNOZZO. Non solo, ma agli Scolopi, di religioso,<br />
cosa c’è La Messa. Non tutti i giorni,<br />
ma tutti a Messa, solo quello. Alla scuola steineriana,<br />
anticattolica, protestante, altra religione,<br />
tutto quel che vuoi, la mattina tutti i<br />
bambini cominciano col Prologo di Giovanni,<br />
è quello l’argomento, mentre di là gli argomenti<br />
non ci sono mai. Ecco il discorso della<br />
modernità che ha invaso quelli che pure ufficialmente<br />
sono nella Chiesa. E lì c’è un altro<br />
problema, ora io non so fino a che punto questo<br />
è un problema vero, ma mi sembra di ritrovarlo<br />
in un’altra esperienza che ho fatto in<br />
questi giorni.<br />
E allora quanti si nascondono dietro la maschera<br />
cattolica per poi invece diventare moltiplicatori<br />
di modernismo L’eterogenesi dei<br />
fini! Questo è un argomento abbastanza serio.<br />
PIETRO. Giannozzo sa che ho qualche imbarazzo<br />
a intervenire, perché su molti temi<br />
siamo davvero distanti. Quindi azzardo due o<br />
tre neppure osservazioni ma modi di intervento,<br />
un po’ indiretti, nella sua posizione di problemi.<br />
Su modernità, modernismo, antropocentrismo.<br />
Mi ero subito segnato, ascoltandoti, la questione<br />
modernità/ modernismo. Facevi questo<br />
esempio: la Conferenza Episcopale Italiana,<br />
una Conferenza Episcopale, è una manifestazione<br />
della Modernità nella Chiesa, come efficienza,<br />
organizzazione: aspetti estrinseci che si<br />
opporrebbero ad una vera religio. Ma torniamo<br />
allora a Pio X: il Papa che promulga la Pascendi<br />
è paradossalmente (ma, forse, senza paradosso)<br />
un Papa moderno. In che accezione<br />
<strong>Il</strong> nostro problema è questa benedetta nozione<br />
di Modernità. Sarei tentato di volta in volta<br />
(infatti anche ieri) di distinguere e precisare,<br />
pedantemente. Almeno una distinzione essenziale<br />
va introdotta e ricordata sempre: quella<br />
tra Modernità come condizione di esistenza<br />
data di uomini, culture e istituzioni in un determinato<br />
momento del calendario della storia<br />
universale e Modernità come canone o molteplicità<br />
di canoni interpretativi di quello stato<br />
di cose che chiamiamo per (buona) convenzione<br />
Modernità. Uno stato di cose costituito di<br />
momenti o epoche (prima modernità, tarda modernità,<br />
ecc.) non meno che di ‘ambiti’ (modernità<br />
economica, scienza moderna, stato<br />
moderno ecc.) con i rispettivi indicatori di soglia<br />
(per la periodizzazione) e di ‘velocità’<br />
(per la questione delle ‘anticipazioni’, influenze,<br />
connessioni). Quando si dice ‘modernità’,<br />
bisognerebbe dunque mettere degli indici, sovrascritti<br />
e sottoscritti: modernità di tipo A, B,<br />
uno, due, tre, quattro, per controllare le diverse<br />
referenze e accezioni che si mettono in<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 671
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campo. Ora, il caso di Pio X, esplorato di recente<br />
da una imponente ricerca di Carlo Fantappiè,<br />
è davvero interessante. Pio X, da un<br />
lato, concepì l’esercizio del governo primaziale<br />
in termini molto personali: aveva una sua<br />
piccola segreteria con cui sostanzialmente evitava<br />
o anticipava gli apparati curiali, più lenti.<br />
Questo papa colpisce il Modernismo, che coglie<br />
(profondamente) come falsa modernizzazione<br />
della Chiesa, e, nello stesso tempo, promuove<br />
i lavori del Codice di diritto canonico<br />
(la codificazione è una radicale novità per la<br />
Chiesa, nella direzione degli stato moderni) e<br />
una serie di potenti interventi a tanti livelli,<br />
dalla riforma dei seminari e della vita sacerdotale,<br />
alla musica liturgica, al celebre Catechismo.<br />
Come sta, in questo caso, la questione<br />
della modernità Quale coerenza lega la Pascendi<br />
‘antimoderna’ con Roma capitale della<br />
Chiesa universale, tramite la ‘modernità’ degli<br />
apparati centrali e di un codice che permette<br />
di governare la Chiesa in maniera universale e<br />
uniforme in ogni parte del mondo Senza dubbio<br />
il piano di coerenza è il rigore della dottrina<br />
coniugato, nella chiesa, alla santità della<br />
vita sacerdotale e alla ferma, ortodossa, essenzialità<br />
della educazione cristiana. Quello che<br />
appare importante in questa modernità antimoderna<br />
è dunque il contrasto del Moderno<br />
nei suoi contenuti ideali, paradigmatici, non<br />
nelle sue forme ‘tecniche’.<br />
Per esempio, mi permetto di osservare che<br />
c’è solo un passo tra ciò che a te, Giannozzo,<br />
piace (e che capisco quanto sia importante) in<br />
termini di spiritualità del creato, e un monismo<br />
che sostanzialmente porta Dio nel cuore<br />
della realtà (come motore della evoluzione<br />
spirituale cosmica) e la sacralizza, e che è<br />
quello di molto Modernismo, forse è il Modernismo.<br />
Io temo questo, se posso dire così, e<br />
non il fatto che la curia sia un organismo moderno.<br />
Temo l’immanentismo del divino, serpeggiante<br />
nelle metamorfosi New Age della<br />
cultura cristiana. Non casualmente, credo,<br />
molte forme di spiritualità che troviamo oggi<br />
sono già presenti nel neocristianesimo e nel<br />
vario spiritualism tra otto e novecento, che poi<br />
verrà chiamato modernista.<br />
Dico questo, perché c’è un paradosso nelle<br />
tue istanze. È un problema la ‘modernità’ dell’organizzazione,<br />
della razionalizzazione dei<br />
mezzi e degli istituti Per la tradizione e, in<br />
particolare, per la Chiesa cattolica non lo è<br />
mai stato. <strong>Il</strong> problema della modernità si verifica<br />
quando i diversi orizzonti antropocentrici<br />
(ma anche antiantropocentrici — le diverse<br />
forme dello spinozismo) investono la dottrina,<br />
l’intelligenza della fede. L’emergere dell’autosufficienza<br />
della realtà cosmica e umana rispetto<br />
a Dio, o senza Dio, questo è un problema<br />
vero di modernismo. Dunque il rilievo,<br />
questo sí grave, dell’antropocentrismo moderno<br />
che hai toccato. La questione della definizione<br />
o delle definizioni di Modernità si determina<br />
così, meglio: cos’è/qual’è la Modernità<br />
che colpisce internamente la verità cattolica<br />
Anche a me interessa profondamente, forse sopra<br />
ogni altra questione (anche perché mi sono<br />
formato, in decenni lontani, anzitutto come<br />
storico dell’Umanesimo). Le piccole battaglie<br />
pubblicistiche sono continuamente in questa<br />
direzione, quale ne sia l’occasione. Ad esempio,<br />
quando negli studi biblici come nella predicazione<br />
si propone (da tempo) un Gesù<br />
“umano troppo umano” e l’orizzonte della Rivelazione,<br />
il fondamentale orizzonte trinitario,<br />
appare occultato o abbandonato (a chi),<br />
reagisco. Avverto una potenziale (magari inconsapevole)<br />
eresia di tipo modernistico, perché<br />
l’umanizzazione, la storicizzazione di<br />
Gesù di Nazaret, insomma la sua immanentizzazione,<br />
è cosa modernistica (e prima protestante<br />
liberale), e tutti i Modernisti (quelli<br />
‘teologici’ se non i ‘politici’) sono investiti dalla<br />
critica biblica e dal riduzionismo teologico<br />
‘liberale’.<br />
Insomma (e a parte il terreno del ‘Gesù storico’<br />
che ha radici culturali ancora diverse dal-<br />
8 dicembre 2011 Anno XI
| ( 12 ) |<br />
la tua spiritualità) questo è un punto di divaricazione;<br />
abbiamo degli indicatori diversi nell’avvertire<br />
il problema della Modernità (sono<br />
anche distantissimo dal tuo <strong>Il</strong>lich). Ricordo<br />
sempre che quando al convegno su La Pira,<br />
Milani, Balducci del 2008 mi facesti una domanda<br />
a proposito di modernità e Chiesa, e io<br />
risposi: “Ma la Chiesa è moderna!” (nel senso<br />
di un saggio del 2000, una delle poche cose<br />
elaborate che ho scritto, che si intitola Modernità<br />
di Roma 1870-1962), ti irritasti.<br />
Questo è il primo nodo.<br />
Per quanto riguarda l’antropocentrismo,<br />
solo un dettaglio perché si può essere d’accordo.<br />
È vero: l’anthropos è biblicamente al centro<br />
del cosmo; è per lui, per l’uomo, che il cosmo è<br />
stato creato nella cosmologia ebraica e cristiana.<br />
Si può discutere, ma è un dato teologico<br />
grande e originale. Allora, nel momento in cui<br />
l’uomo diventa l’abitante, e una particella, di<br />
una grande macchina cosmica che esiste per se<br />
stessa e che può ignorare l’esistenza dell’uomo,<br />
certamente vi è un declassamento dell’umano.<br />
la Modernità, in questo senso, smarrisce l’antropocentrismo<br />
cristiano. Però, attenzione: la<br />
modernità ha ‘recuperato’ in questo piccolo<br />
spazio del cosmo un primato dell’uomo, fino<br />
ad una sua sostanziale divinizzazione. Abbiamo<br />
un rovesciamento: da un declassamento<br />
dell’uomo rispetto al cosmo ad una nuova centralità<br />
dell’uomo rispetto a se stesso.<br />
<strong>Il</strong> pessimismo materialistico e l’idealismo<br />
(poi i monismi evoluzionistici) rappresentano<br />
gli estremi dell’escursione tra visioni della<br />
realtà generate sul collasso del peculiare antropocentrismo<br />
cristiano. L’antropocentrismo<br />
moderno consiste nell’essere l’uomo Dio a se<br />
stesso, per usare delle formule diffuse, che dal<br />
punto di vista storico-filosofico si potrebbero<br />
molto sfumare.<br />
Allora, se anche questo è antropocentrismo,<br />
di nuovo dobbiamo chiarire i termini. Per questo<br />
prima interloquivo: ‘è vero e non vero”. Se<br />
dici: “Attualmente io [sottintendendo: io, che<br />
sono cristiano,] sono ferocemente antropocentrico”,<br />
va chiarito cosa vuoi dire; ma è più<br />
una questione di metodo ‘dialogico’.<br />
Un cenno alla vostra discussione steineriana.<br />
Non entro nel merito perché non ho né<br />
conoscenze particolari né memoria fresca sulle<br />
cose. Qui c’è una voce di enciclopedia su Steiner.<br />
Abbiamo dei libri, facciamoli servire<br />
[l’incontro si svolge nella biblioteca di Villa<br />
Morghen n.d.r.]. La si può consultare.<br />
Ma la questione che è stata posta sui due<br />
fronti è di portata più generale. Sono d’accordo<br />
con Stefano, aldilà del merito delle questioni<br />
di cronologia e biografia di Steiner;<br />
d’accordo che lo steinerismo sia un sistema e<br />
che, la contaminazione di questo sistema con<br />
la tradizione cristiana (dico così per semplicità)<br />
è un problema, di cui essere comunque consapevoli.<br />
Vediamo, per esempio, il fatto di “leggere il<br />
Vangelo di Giovanni” di cui ci hai parlato.<br />
Certamente una bella cosa, ma è veramente<br />
una lettura del Vangelo di Giovanni è significativamente<br />
integrabile nella verità cattolica<br />
Me lo domando, perché la tradizione giovannea<br />
ha sempre appassionato i romantici, può<br />
restare o diventare un appassionante complesso<br />
di immagini sullo spirito nel mondo, su luce<br />
e tenebre; ancora implicazioni gnostiche.<br />
Questo è cristianesimo Si può discutere. E<br />
peggio la questione degli angeli.<br />
Dico peggio, perché, che le immagini possano<br />
alterare o occultare la comunicazione naturale<br />
degli angeli con la filosofia o la teologia<br />
cristiana non ha nulla a che fare. E’ una sacralizzazione<br />
del cosmo, per cui io penso che ciò<br />
che affiora dalla realtà, se puramente ‘naturale’<br />
(vs artificiale) è essenzialmente divino.<br />
Potrei dire radicalmente che il cristianesimo<br />
è contro questo, nasce contro questo, o<br />
perlomeno si costruisce in piena chiarificazione<br />
di sé contro tutte le religioni di tipo naturale<br />
o sacro naturali o del sacro. Le sintonie<br />
tra cristianesimo e correnti teosofiche, sped<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 671
| ( 13 ) |<br />
cialmente tra otto e novecento, ma ancora nel<br />
corso del novecento, sono state molto forti, e<br />
si capisce anche. Per esempio sostengo, aldilà<br />
del cristianesimo in senso strettamente dogmatico,<br />
spesso con colleghi e anche con i miei<br />
studenti: “Attenzione, perché la scienza delle<br />
religioni, cioè la capacità profonda di comprensione<br />
del religioso, che è un’acquisizione<br />
delle scienze, dei saperi del novecento, deve<br />
moltissimo alle culture teosofiche e antroposofiche”,<br />
perché senza il senso profondo del<br />
pulsare del sacro, difficilmente posso arrivare<br />
a considerare le religioni e i miti come delle<br />
verità profonde. Quindi l’apporto è stato<br />
estremamente importante, però qui esiste il<br />
problema dell’utilità ermeneutica, della rilevanza<br />
ermeneutica delle teosofie, degli esoterismi,<br />
e la verità cristiana insomma. Allora lì<br />
c’è il momento in cui noi non possiamo dimenticare<br />
che lì vi è un aut aut, che la trascendenza<br />
del Creatore, la radicale unicità<br />
della salvezza in Cristo, la stessa diversa concezione<br />
degli angeli che c’è nel cristianesimo<br />
rispetto al neoplatonismo o altro, nonostante<br />
tutte le profonde possibilità di connessione, e<br />
queste sono cose rilevanti.<br />
Allora io temo poi nell’assottigliamento di<br />
queste cose in contesti new age, novecenteschi,<br />
io potrei temere dalla formazione dei miei figli<br />
nella scuola steineriana, che ne vengano sì, capaci<br />
di sentire qualcosa di profondo, di rivelativo<br />
nella natura eccetera, ma che restino però<br />
per esempio profondamente difformi rispetto a<br />
tutto ciò che è costruito dall’uomo, nel bene e<br />
nel male, ma insomma difformi, estranei, e mi<br />
domando se vi sia una capacità ultima di cogliere<br />
l'ordine cristiano insomma, l’ordine<br />
propriamente cristiano. Non so se sia una strada<br />
o un buon preambolo alla fede. Può darsi di<br />
sì, può darsi di no. Io lo temo e non lo celebrerei.<br />
In questo senso la penso diversamente: ieri<br />
avevo sotto gli occhi un passo di Schmitt che<br />
non ho citato, ma accennato appena, vi ricordate,<br />
in cui dice “Attenzione, c’è un rischio<br />
profondo nella valorizzazione che moderni (i<br />
nostri contemporanei, anni Venti), fanno della<br />
Chiesa, quello del supplemento d’anima”; rischio,<br />
perché la Chiesa non è un supplemento<br />
d’anima. Se destiniamo Chiesa e cristianesimo<br />
ad essere un supplemento d’anima rispetto alla<br />
meccanizzazione, noi condanniamo il cristianesimo<br />
ad essere un rifugio meramente personale,<br />
ciò che è tentato prevalentemente di essere<br />
in Occidente. Ora, io temo molto che le<br />
culture spirituali alla Steiner siano solo dei<br />
supplementi d’anima. Invece la visione cristiana<br />
del mondo attraversa tutto, non ha paura di<br />
niente, e tra l’altro non ha paura della modernità<br />
sotto l’aspetto delle razionalità tecniche,<br />
in virtù della sua antropologia: l’antropologia<br />
cristiana (che, con le sue radici greche ed<br />
ebraiche, ha due millenni e mezzo) sa che in<br />
ultima istanza l’uomo, senza tecnica, non esiste.<br />
L’uomo, l’ominazione, è la capacità prima<br />
di integrarsi con uno strumento e con questo<br />
strumento fare qualcosa di più che col mero<br />
corpo. Nelle antropologie filosofiche (da Herder<br />
a Gehlen) ove si sostiene che l’uomo è sostanzialmente<br />
un essere carente, il famoso<br />
Mängelwesen, che si costituisce nell’integrazione<br />
col Mondo, acquisendo dal mondo ciò<br />
che non ha come individuo, come organismo,<br />
alla nascita, si offre una prospettiva molto importante,<br />
antiroussoviana, sulla relazione uomo-tecnica.<br />
Naturalmente questa è una questione<br />
complicata. Certo, poi, vi è l’uso: il<br />
buon uso, il cattivo uso, questa è un’altra cosa.<br />
La questione degli angeli mi ha colpito, anche<br />
se non mi stupisce, è perfettamente coerente<br />
col quadro che ci hai proposto. Ma la tesi, la<br />
suggestione, che le tecniche disturbino il messaggio<br />
degli angeli a me pare estranea al cristianesimo,<br />
del tutto gnostica (gnostico-moderna),<br />
se vuoi.<br />
GIANNOZZO. Posso<br />
PIETRO. Devi<br />
GIANNOZZO. Inizio il discorso delle strutture<br />
8 dicembre 2011 Anno XI
| ( 14 ) |<br />
moderne, la Cei eccetera. Io non è che ho parlato<br />
contro la Cei come struttura moderna nel<br />
senso di usare il computer piuttosto che altre<br />
cose, ma la Cei come una struttura contro lo<br />
spirito, perché lo spirito, che è personale, e investe<br />
me, non potrà mai investire una struttura.<br />
Quindi, lo spirito investe il singolo vescovo<br />
che è vescovo per i suoi fratelli. Quando<br />
questa realtà viene sostituita da una struttura<br />
burocratica, che c’è un palazzone grande, un<br />
segretario, un mucchio di personale e via dicendo<br />
STEFANO. Uno “sportello”...<br />
PIETRO. Dei tavoli... in senso metaforico eh...<br />
GIANNOZZO. Lì c’è un problema di despiritualizzazione,<br />
è molto facile. Poi certo, si può<br />
discutere se Gesù fosse nato oggi se avrebbe<br />
avuto la bici o no, o se avrebbe avuto l’aereo o<br />
roba del genere, e riprendo il discorso di Sandri<br />
sulla giovane dell'Azione Cattolica, perché<br />
probabilmente c’è anche un problema lì, perché<br />
non a caso... ti ringrazio Padre perché hai<br />
rivelato le cose ai semplici e le hai tenute nascoste<br />
ai sapienti e intelligenti, mentre i sapienti<br />
da Galileo in poi dominano il mondo,<br />
perché quando hai tolto il senso dell’antropocentrismo,<br />
il senso di vedere il mondo coi tuoi<br />
occhi, lo devi vedere attraverso gli occhi degli<br />
scienziati infatti solo loro sanno qual’è la realtà,<br />
è chiaro che qualcosa di importante viene<br />
meno. Ora, son d’accordo con te che la storicizzazione,<br />
l’immanentismo, ma molte altre<br />
cose di questo genere sono contro il cristianesimo,<br />
però un momento, non esageriamo<br />
neanche l’altra parte.<br />
Cioè, cos’è il concetto di contingenza<br />
Spiegami esattamente il concetto teologico di<br />
contingenza, cioè qual’è la parte in cui Dio<br />
continua in qualche modo la creazione Perché<br />
se si esagera nel senso della trascendenza è<br />
un Dio che solo sta là, ma dov’è presente qua<br />
nel mio vivere di ogni giorno Ora, il discorso<br />
che il cosmo è per l’uomo, se non è completato<br />
dal fatto che l’uomo è per Dio, e anche il cosmo<br />
ha una sua ragion d’essere per Dio, perché<br />
sennò non aspetterebbe anche lui le doglie del<br />
parto, anche il cosmo. Quindi, l’uomo non ha<br />
un suo compito di guida del cosmo indipendente<br />
dalla natura del cosmo. Nel cosmo c’è<br />
una natura, così come Dio l’ha voluta, ecco il<br />
discorso di simbiosi, che l’uomo può esercitare<br />
la simbiosi solo se rispetta la natura che Dio ha<br />
voluto mettere nel cosmo, la sua essenza. Ecco<br />
perché la natura era maestra fino ad una certa<br />
epoca, cioè per l’appunto fino all’epoca più o<br />
meno di Galileo o poco dopo. La natura era<br />
maestra, per San Tommaso era maestra. Da<br />
quel momento in poi non è più maestra, è l’uomo<br />
che scopre le leggi di natura come leggi<br />
scientifiche separate dall'etica. Allora, il discorso<br />
della divinizzazione dell’uomo non è<br />
antropocentrismo. Quando viene divinizzato,<br />
l’uomo non è più al centro. Mette al centro un<br />
simulacro dell’uomo che prende il posto di<br />
Dio ma che non è l’uomo, perché l’uomo non<br />
può essere divinizzato. La sua natura è una natura<br />
divina solo in quanto è a immagine e somiglianza<br />
di Dio, ma non è una sua natura divina<br />
propria. Io mi sono dichiarato ferocemente<br />
antropocentrico perché voglio sempre<br />
fare questa provocazione nei confronti di<br />
quelli che sono contro l’antropocentrismo. La<br />
mia concezione antropocentrica è assolutamente<br />
legata e dipendente dalla creazione e da<br />
Dio, non è separabile in nessuna maniera. Riguardo<br />
al prologo di Giovanni, io sto parlando<br />
di leggere il prologo di Giovanni ai bambini di<br />
terza e quarta elementare, o terza elementare,<br />
“dal principio era il verbo” ecc., quindi l’importanza<br />
della parola nella scuola, no Preferisco<br />
che recitino il prologo di Giovanni in<br />
terza elementare piuttosto che niente, o piuttosto<br />
che andare alla Messa dove si scocciano.<br />
Se gli insegnano a fare le lettere ebraiche è un<br />
tipo di artigianato della scrittura, no Che loro<br />
considerano la loro tradizione. Poi un’altra<br />
cosa: là cominciavano dalla storia con il big<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 671
| ( 15 ) |<br />
bang e con l’uomo che nasce dalla scimmia.<br />
Qua nella scuola antroposofica la cominciano<br />
con la Genesi, e gli fanno disegnare la creazione<br />
dell’acqua. Anche la Genesi se vuoi è religione<br />
naturale perché sì, l’ebraismo ha l’anticipazione<br />
della venuta di Gesù, però è Vecchio<br />
Testamento, è ancora una religione naturale se<br />
vuoi. I ragazzi li sollecita molto di più la Genesi<br />
che non l’uomo che nasce dalle scimmie...<br />
Sono molto d’accordo che la Chiesa non è<br />
supplemento d’anima, per niente, anzi, a proposito<br />
di questo discorso dell’uomo che senza<br />
tecnica non esiste. Prima di tutto bisogna distinguere<br />
la tecnica dalla tecnologia. Cioè, la<br />
tecnica... può esserci anche la tecnica di seminare<br />
un chicco di grano alla distanza di dieci<br />
centimetri piuttosto che trenta, e poi seminarlo<br />
in fondo a un solco che poi si rincalza,<br />
come facevano gli antichi egiziani che da dieci<br />
semi riuscivano a fare mille spighe, è una tecnica.<br />
Una tecnologia è un ambiente chiuso tecnologicamente,<br />
cioè in cui tu vieni inserito, e<br />
che sostituisce l’ambiente naturale, che è un<br />
po’ il discorso anche della plastica. E qui c’è<br />
stato il dibattito che ha distrutto filosoficamente<br />
i verdi italiani, secondo cui la natura è<br />
cultura, perché non c’è niente della natura che<br />
non passa attraverso la cultura dell’uomo, indi<br />
l’uomo ha il potere utendi et abutendi di fare<br />
tutto quello che vuole sulla natura. È indifferente,<br />
che poi tutto il dibattito, anche sull’omosessualità,<br />
anzi non sull’omosessualità,<br />
sul gay, cioè il diritto di scegliere il proprio<br />
sesso alla maggiore età o quel che è. Quindi si<br />
può fare tutto quel che si vuole sulla natura<br />
perché la natura è cultura, quindi non c’è nella<br />
natura una legge morale, non c’è un’indicazione<br />
morale ecco, e questo nasce nel periodo di<br />
inizio della scienza, quando la natura non è<br />
più maestra, già da Kant, quando la natura<br />
non è più maestra di morale. Arriva fino ai gay<br />
allora...<br />
PIETRO. Però è un problema di soglie. può implicare.<br />
che la natura sia cultura non significa<br />
che tu possa fare qualsiasi cosa. I veri terreni di<br />
discussione sono nel definire soglie piuttosto<br />
che affermare o negare radicalmente, no<br />
GIANNOZZO. Sì, però capisci, le soglie, è uno<br />
dei dibattiti più importanti quello della soglia,<br />
dei confini, dei limiti. E in fondo nasce dal<br />
peccato originale, perché la condizione dell’uomo<br />
nel peccato originale è di avere un limite.<br />
Sì, non puoi mangiare questo, questo era<br />
l’unico limite, poi i limiti aumentano dopo il<br />
peccato originale. Però il problema del rapporto<br />
col limite è un problema morale<br />
PIETRO. Morale in senso ampio...<br />
GIANNOZZO. Vabbè però... la società scientifica<br />
non è morale. Ha espulso, cioè non ci<br />
può essere una società scientifica che abbia una<br />
morale, perché per la società scientifica il<br />
principio ordinatore è il principio di efficienza,<br />
non quello etico. E quando il principio di<br />
efficienza è il principio dominante, l’etica sparisce.<br />
<strong>Il</strong> principio di efficienza deve essere una<br />
serva sciocca del principio etico. Allora funziona,<br />
ma quando, praticamente, ogni innovazione<br />
è ammessa e possibile salvo dibattitucci,<br />
supplementi d’anima ecc., allora questo non..<br />
RICCARDO. Sono mere opportunità.<br />
PIETRO. Su questo si può essere facilmente<br />
d’accordo. Ma anche qui, per l’appunto, c’è un<br />
problema di soglia. Nella irregredibilità dalla<br />
nostra componente tecnica, tecnico-tecnologica,<br />
il vero problema teorico, filosofico, e<br />
pratico, sia la determinazione di soglie, data la<br />
complessità. Sono molto affezionato all’idea di<br />
catastrofe positiva, nel senso di Thom. Invece<br />
che un percorso inarrestabile, che bisogna decidersi<br />
a troncare sul nascere (o regredendo),<br />
vi un punto in cui razionalmente correggerne<br />
l’andamento. Dobbiamo essere in grado non di<br />
usare lo strumento elementare per cui, siccome<br />
questo percorso è pericoloso noi lo neghiamo<br />
pressoché interamente, ma di individuare il<br />
punto di catastrophè, di arresto e parziale in-<br />
8 dicembre 2011 Anno XI
| ( 16 ) |<br />
versione. Come le celebri ‘creste’ (onde, dune)<br />
di Thom. Questa è una questione, se tu vuoi, di<br />
metodo. Sono d’accordissimo ovviamente sulla<br />
difficoltà (anzi l’impossibilità) di fondare<br />
umanesimi da una cultura scientifica. Anche se<br />
l’immagine che tu ne dai, di scienza come<br />
ideatrice del progresso umano, è più quella<br />
della scienza otto-novecentesca (non oltre la<br />
prima guerra mondiale), forse già tardo illuministica.<br />
Ed è vero che le tecnologie oggi<br />
sono così autoalimentanti, autopoietiche, che<br />
rubano il terreno alla riflessione e alle pratiche…<br />
RICCARDO. Dicevi appunto la soglia.. subito<br />
dopo la guerra, ce lo stiamo dimenticando<br />
perché l’abbiamo legato molto alla conformazione<br />
geopolitica del mondo, ma c’è il problema<br />
dell’energia atomica e della forza autodistruttiva<br />
e collassante di un... quando lui dice<br />
che non c’è, all’interno del mondo, diciamo<br />
così, scientifico, mondo della logica scientifica,<br />
possibilità alcuna di inserire morale, è una<br />
cosa che è, discende immediatamente dal fatto<br />
che ad un certo punto, talmente era vero questo,<br />
che ti creano i presupposti per la sparizione<br />
del pianeta Terra, perché le famose bombe<br />
atomiche che se esplodevano cancellavano la<br />
vita sul pianeta non è mica un’invenzione. Da<br />
quel punto di vista lì, io sono assolutamente<br />
d’accordo con quello che dice Giannozzo, sul<br />
fatto che sì, c’è un’irreversibilità, ma dove<br />
Nel senso che la scienza stessa, in certe condizioni,<br />
è capace di annullarsi, cioè di cancellarsi.<br />
Se un processo, diciamo così, logico e di<br />
scoperta logico-scientifica, arriva al punto in<br />
cui pone in se stessa le stesse premesse per cui<br />
si autocancella, lì c’è un problema nel movimento<br />
stesso in cui la scienza e la logica scientifica<br />
si presenta ed espone il proprio essere e<br />
la propria essenza. Infatti, la maggior parte<br />
dell’intellighenzia, che magari veniva da Gunther<br />
Anders, piuttosto che lo stesso Jaspers, su<br />
questa roba qua, si sono fermati e hanno presentato<br />
degli elementi di riflessione magari poi<br />
non più seguiti o comunque che non sono andati<br />
avanti tantissimo, però il problema se lo<br />
son posto, a differenza della nostra attuale<br />
condizione in cui la bomba atomica diventa<br />
un’altra cosa, diventa bomba biotecnologica,<br />
diventa capacità di modificare nel profondo la<br />
stessa dimensione umana attraverso la manipolazione<br />
genetica, in cui non abbiamo riflessione<br />
all’altezza di quella che fu la riflessione<br />
del pensiero occidentale all’altezza della presentazione<br />
della potenza atomica, nell’immediato<br />
dopoguerra. Io questo, penso Giannozzo,<br />
che tu sia d’accordo, non abbiamo un pensiero<br />
all’altezza di questo. L’abbiamo avuto<br />
parzialmente all’altezza della presenza dell’energia<br />
atomica come capacità autodistruttiva<br />
dell’uomo, anche in questa è una confutazione<br />
nei fatti di quella divinizzazione, autodivinizzazione<br />
presunta dell’uomo, che non può che<br />
concludersi in autodistruzione. La posizione<br />
anche su piano antropologico del dire “Io sono<br />
una persona che, a prescindere dal dato ontologico<br />
essenziale”, ne parlavamo ieri, per cui<br />
io lo scelgo individualmente mai di venire al<br />
mondo, ma è qualcun altro che sceglie per me<br />
di farmi venire al mondo, che è un deficit assolutamente<br />
devastante per chi dice che in<br />
realtà, nel momento in cui sono al mondo, io<br />
determino tutte le mie condizioni di vita. La<br />
conclusione di quel discorso è che io recupero<br />
la mia divinizzazione annullandomi, cioè scegliendo<br />
la morte. Cioè l’ultima libertà che io<br />
ho, la libertà che mi costruisce all’indietro la<br />
mia divinizzazione è il fatto che io mi tolgo di<br />
mezzo. Se io mi tolgo di mezzo, allora ho realizzato<br />
la mia...<br />
PIETRO. Questo è il sistema dei paradossi attuali.<br />
RICCARDO. È un paradosso attuale, dal punto<br />
di vista individuale è questo il movimento. Dal<br />
punto di vista più complessivo della logica<br />
scientifica, ci siamo, e l’anticipo l’abbiamo<br />
avuto con la storia della bomba atomica, che è<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 671
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stata percepita dalle menti più lucide dell’occidente<br />
come un punto in cui alt, cioè quando,<br />
a differenza di tutto il resto, noi siamo l’unica<br />
specie in grado di autodistruggerci, in funzione<br />
di un meccanismo che abbiamo messo in<br />
moto, su cui tu dici è irreversibile. Sarà irreversibile<br />
nella sua logica, ma ciò non toglie<br />
che il compito morale è quello di rendere reversibile.<br />
Noi dobbiamo tornare indietro su alcune<br />
vicende. Come vicende dobbiamo dire<br />
che la logica lì si ferma. Attualmente sulla manipolazione<br />
del codice genetico va detto basta,<br />
è chiusa sta storia qua. Se vogliamo continuare<br />
a rimanere quello che siamo... se invece... in<br />
quel caso lì la posizione della Chiesa come tu<br />
l’hai esposta, per cui non ha paura di niente...<br />
beh sì, è vero, non ha paura di niente, però occorre<br />
effettivamente che ci si metta su un binario<br />
diverso<br />
PIETRO. Niente significa anche la capacità<br />
diagnostica<br />
RICCARDO. Però è molto poco, cioè lo trovi sì,<br />
trovi degli allarmi, però.<br />
PIETRO. Beh, sul terreno delle bioetiche è l’unica<br />
istanza mondiale che si muova su questo<br />
terreno<br />
ARMANDO. Ad inizio estate ho letto Jacques<br />
Ellul, <strong>Il</strong> sistema Tecnico, che conoscerete. È<br />
un libro scritto nel 1977 quindi con una capacità<br />
profetica paurosa che mi ha turbato, di cui<br />
non so dare sinceramente una valutazione<br />
complessiva, né ho ben chiare le conclusioni, o<br />
meglio se secondo lui esistono ancora spazi di<br />
manovra di fronte alla pervasività della tecnica.<br />
Sostanzialmente Ellul distingue tra tecnica,<br />
come cosa spicciola, e sistema tecnico, che<br />
è tale in quanto praticamente non solo si autoalimenta,<br />
ma decide esso stesso in che direzione<br />
andare ed è capace di piegare ogni decisione<br />
alla sua logica interna. Non l’economia,<br />
non la politica, né qualsiasi altro fattore è in<br />
realtà in grado di determinare le decisioni in<br />
funzione dei propri parametri. Le decisioni<br />
che vengono prese e la direzione in cui vanno,<br />
sono funzioni e variabili interne al sistema tecnico,<br />
non sono determinate esternamente ad<br />
esso. Questo, sostiene, finisce in realtà per mutare<br />
profondamente anche la concezione antropologica<br />
dell’uomo. È illusorio, per esempio,<br />
fare il confronto, ricordo che scrive nel<br />
77, tra le decisioni prese in occidente e certe<br />
decisioni prese nell’Unione Sovietica. In realtà,<br />
dice, nonostante le differenze fra i due sistemi,<br />
tutte rispondono alla stessa logica, che<br />
è quella interna del sistema tecnico che pervade<br />
di sé ogni campo del vivere umano. Questo<br />
mi ha turbato. Siamo oggi già a un punto di<br />
non ritorno, oltre il quale non si sa che cosa ci<br />
aspetta, oppure l’uomo ha ancora la possibilità,<br />
e come e in base a cosa, di rompere questo<br />
processo È un interrogativo che faccio, a cui<br />
non ho risposta... però questo libro mi fa pensare,<br />
sinceramente.<br />
STEFANO. Volevo dire che, siccome è teso<br />
questo confronto, non nel senso personale,<br />
che in questa discussione c’è un po’ di rappresentazione<br />
anche in senso teatrale, cioè Pietro<br />
rappresenta la Chiesa...<br />
PIETRO. Sì, nella divisione delle parti<br />
STEFANO. Nella divisione delle parti, esatto<br />
GABRIELLA. A me Stefano ha assegnato la<br />
parte della criptosteineriana...<br />
STEFANO. <strong>Il</strong> ruolo, lo dico anche con una certa<br />
serietà, che assume in questa conversazione<br />
Giannozzo è quello di profeta, e secondo me<br />
questo profeta dovrebbe essere ascoltato, e dico<br />
perché. Intanto le premesse, insomma io<br />
parlo liberamente e anche scherzosamente, ma<br />
fino a un certo punto. Le premesse sono queste:<br />
che il discorso di ieri di Pietro sulla definizione<br />
di Schmitt della Chiesa come complexio<br />
oppositorum ed istituzione capace di decidere<br />
ecc., è riconosciuto dal profeta. Questo è molto<br />
importante. Dopo di che ecco perché Giannozzo<br />
dovrebbe essere ascoltato di più. Quan-<br />
8 dicembre 2011 Anno XI
| ( 18 ) |<br />
do un farmaco, messo sul mercato, non funziona,<br />
risulta dannoso, cosa devi fare Lo ritiri<br />
dal mercato e ovviamente ti metti a indagare<br />
sulle cause della sua nocività, e magari le trovi...<br />
Ma insieme devi mettere in discussione le<br />
stesse procedure di controllo che non hanno<br />
intercettato l'errore prima della messa sul<br />
mercato. La valutazione non è solo sul perché<br />
è successo l’errore, ma se l’impostazione del<br />
sistema di controllo funzionava o no. L'errore<br />
diventa poi inescusabile quando si ripete.<br />
Quello che emerge è che la Chiesa, via il complesso<br />
di Galileo, ha abbandonato ogni controllo<br />
sulla tecnica. E sulle possibili buone<br />
metodologie di controllo, quello che racconta<br />
Giannozzo sugli Amish ci può insegnare qualcosa.<br />
Aggiungo un’altra cosa che mi pare importante:<br />
essendo così isolati, da qualche decennio<br />
gli Amish hanno maturato, anzi è diventata<br />
costume, questa pratica: che i ragazzi a<br />
sedici anni sono obbligati ad andare in città, e<br />
qualcuno ci resta, però la maggioranza, ed è<br />
stupefacente, ritorna alla comunità. Quindi<br />
vanno in città, stanno un annetto esposti alle<br />
tentazioni della modernità...<br />
PIETRO. Anche nei conventi le novizie vengono<br />
rimandate in famiglia prima di...<br />
STEFANO. Esattamente. Torniamo al tema: se<br />
la Chiesa, schmittianamente, ha questo compito<br />
di governo, non può non valutare le tecnologie.<br />
Ma la situazione presente non è soltanto<br />
che le nuove tecnologie sono di per sé<br />
pervasive: si è tolto ogni controllo, in maniera<br />
totale, e di fatto nonostante gli avvertimenti<br />
autorevolissimi non c’è nessuno che controlla.<br />
Sulla televisione, la Chiesa ha sempre disciplinato<br />
solo i contenuti... sulla televisione mai<br />
nessuna autorità, nessuna intelligenza cattolica,<br />
ha invitato i fedeli a non mettere la televisione<br />
nelle stanze dei bambini... Quindi non è<br />
che si può far finta che non c’è un problema.<br />
C’è una situazione pazzesca, a cui va posto rimedio,<br />
e ci sono anche tante chiacchiere che in<br />
qualche modo puntellano questa situazione insostenibile.<br />
La causa di questo lo sappiamo<br />
qual’è, è il complesso di Galileo. Ma questa<br />
pratica della valutazione Amish di fronte a<br />
qualcosa di nuovo, io l’approvo. In medicina si<br />
fa così. Viene proposto un farmaco nuovo, si<br />
prova, non è che si prova un sola volta, ci sono<br />
vari livelli di test, prima la prova teorica, poi<br />
sugli animali, e poi c’è la prova vera, sull'uomo.<br />
Ma nella Chiesa, tecnologie riproduttive a<br />
parte, sembra vi sia stata una dismissione totale<br />
da questo compito.<br />
ARMANDO. Diceva Stefano della Chiesa che<br />
ha abbandonato ogni controllo sulla tecnica.<br />
La mia domanda è: dovrebbe essere un controllo<br />
a priori, preventivo, cioè questo tipo di<br />
ricerca scientifica o di tecnologia non si applica,<br />
o non si deve fare per motivi x,x,y Oppure<br />
dovrebbe essere un controllo a posteriori di<br />
giudizio sull’applicabilità di scelte scientifiche<br />
Mi spiego meglio. Le ricerche sulla clonazione<br />
delle cellule umane, sono inammissibili<br />
fin dall’inizio, e quindi non si devono<br />
fare, oppure se la ricerca scientifica può essere<br />
fatta, poi l’umanità sarebbe in grado di dire<br />
“NO” alla loro applicazione nel concreto<br />
GIANNOZZO. Allora se posso... non avevo finito<br />
il discorso degli angeli, son portato purtroppo<br />
a dare tante cose per scontate. Noi tutte<br />
le sere in famiglia recitiamo l’Angelo Custode,<br />
e la Fioretta [Mazzei] mi diceva gli ultimi<br />
tempi, prima di morire “Guarda che gli angeli<br />
custodi sono tanti, non è uno solo”, poi ci sono<br />
gli angeli custodi di città. Ma qual’è la comunicazione<br />
dell’angelo custode Cioè, c’è un<br />
rapporto con Dio diretto, c’è un rapporto con<br />
Dio che passa attraverso gli angeli, cioè che<br />
passa attraverso, per dire, anche nel sonno, nei<br />
sogni, delle fantasie che ti collegano con Dio<br />
in qualche modo, e che ti collegano sia come<br />
persona, te, personalmente, sia anche come<br />
parte di un insieme, di vari tipi di insieme.<br />
Ecco, sono domande che possiamo lasciare<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 671
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aperte, però certamente a me queste domande<br />
mi sollecitano, difatti immediatamente ho dato<br />
incarico a padre Sorgia di fare un libro sugli<br />
angeli e lui l’ha fatto sull’angelo custode che ti<br />
protegge, e a me non basta perché, rimanendo<br />
fedele a quello che mi diceva la Fioretta, io<br />
voglio qualcosa in più, no Allora dico, in senso<br />
cristiano, cattolico, cosa sono gli angeli custodi<br />
Ti comunicano qualcosa A San Giuseppe<br />
cosa hanno comunicato Hanno dato dei<br />
messaggi precisi, ma ci possono essere anche<br />
dei messaggi che ti sollecitano la fantasia. Per<br />
me è un problema aperto, non è che quando si<br />
apre un discorso angeli nel senso della conferenza<br />
di Steiner viene fuori l’angelo della new<br />
age. No, non c’entra nulla. È quest’angelo custode<br />
qui a cui dò un’interpretazione o che<br />
sono sollecitato dare un’interpretazione che<br />
fino ad ora non davo perché vedevo l’angelo<br />
con le ali che mi sta dietro e non so bene cosa<br />
fa. Quindi in questo senso mi sollecita ad approfondire<br />
il tema, e il fatto è che certe tecnologie<br />
delle immagini in realtà mi distraggono<br />
da un approfondimento spirituale. Intanto basta<br />
questo, enuncia il problema. Non posso demonizzare,<br />
sennò mi chiudo la porta ad approfondimenti<br />
successivi. Questa cosa è venuta<br />
fuori in un dialogo tra genitori, i bambini non<br />
c’entrano. Quindi non me la sento di demonizzare,<br />
anzi, mi ha sollecitato ad un approfondimento<br />
che altrimenti non avrei fatto.<br />
Sul discorso della clonazione delle cellule<br />
umane ma ci metterei anche vegetali e animali,<br />
perché quello che l'uomo fa alla natura lo fa a<br />
se stesso, ma siamo nel regno della scienza e,<br />
secondo me, il motivo della condanna a Galileo<br />
è stato l’errore della Chiesa, non la condanna,<br />
perché Galileo è stato condannato perché<br />
non aveva dimostrato abbastanza le sue tesi,<br />
come se la dimostrazione delle sue tesi<br />
scientifiche, cioè il principio di efficienza, fosse<br />
stato assunto dalla Chiesa, (è visibile nella<br />
lettera fra cardinal Bellarmino e Paolo Antonio<br />
Foscarini, no). Se ci avesse sufficientemente<br />
dimostrato... Ma non si sono posti<br />
il problema delle conseguenze, cioè, come cristiani,<br />
come cattolici, non c’è mai un dibattito<br />
sulle possibili conseguenze. Ora, le conseguenze<br />
di questo tipo di pensiero sono state<br />
grossissime. È stata la vera divisione in classi<br />
del mondo, gli scienziati da una parte e gli uomini<br />
dall'altra. Mi ricordo un’opera di Lanza<br />
Del Vasto, “Noè”, in cui c’erano le due classi,<br />
i figli degli uomini e i figli degli angeli, che si<br />
fronteggiavano, cioè le due classi, quindi figli<br />
delle donne e degli angeli e figli delle donne e<br />
degli uomini, che si fronteggiavano. Anche qui<br />
si son formate queste due classi: praticamente<br />
gli scienziati che hanno la conoscenza su come<br />
è fatto il mondo, e gli altri. Questa divisione è<br />
nata da quella concezione e nessuno si è posto<br />
il problema di quale conseguenza avrebbe avuto<br />
sul mondo Ci si può convertire una volta assunto<br />
anche implicitamente, senza accorgersene,<br />
un concetto del genere, oppure la conversione<br />
è solo una cosa personale che è limitata a<br />
un discorso di coscienza e quindi sul peccato,<br />
sulla fede eccetera Non ci si può convertire<br />
anche da questo piano qui E la conversione<br />
non può avere delle conseguenze anche inaspettate<br />
tanto quanto e non più della modernità<br />
Cioè, il discorso della clonazione delle<br />
cellule umane, ma non solo di cellule umane,<br />
anche quelle vegetali e animali. Come<br />
principio, è moralmente ammissibile o è una<br />
artificializzazione della natura che contrasta<br />
con la creazione Noi dobbiamo dirlo. <strong>Il</strong> bombardamento<br />
degli atomi, quello che dà il via<br />
anche all’uso pacifico dell’energia nucleare,<br />
contrasta con le leggi della creazione e con il<br />
rispetto che l’uomo deve alla creazione o no<br />
Di quali capitali ha bisogno Può essere considerato<br />
“Ti ringrazio Iddio perché hai rivelato<br />
le cose ai semplici e le hai tenute nascoste ai<br />
sapienti e intelligenti” è in contrasto o no col<br />
Vangelo, per non parlare del Vecchio o Antico<br />
Testamento Abbiamo dei criteri per stabilirlo<br />
Voglio dire, sarebbe già molto su questi ar-<br />
8 dicembre 2011 Anno XI
| ( 20 ) |<br />
gomenti dare una risposta che è anche teologicamente<br />
fondata.<br />
FRANCESCO. Una cosa sulle catastrofi. L’idea<br />
di criticismo, anche l’idea dei limiti, di porsi i<br />
limiti... Io sinceramente dubito che l’uomo sia<br />
in grado di... Cioè, quando vede la catastrofe,<br />
la catastrofe è già arrivata praticamente. Forse<br />
è una necessità addirittura dell’uomo, ha bisogno<br />
di vedere la catastrofe e poi a quel punto<br />
se ne rende conto davvero. Però non credo sia<br />
plausibile l’idea “Arriviamo fino a qua e poi<br />
diciamo basta”, perché non mi sembra sia mai<br />
successo nella storia dell’uomo. Abbiamo tirato<br />
la bomba, non è che non sapevano cosa sarebbe<br />
successo. Abbiamo tirato la bomba, abbiamo<br />
visto e a quel punto<br />
PIETRO. Ci siamo fermati...<br />
ARMANDO. Solo nel tirarle, le bombe, magari...<br />
FRANCESCO. Ovviamente c’è sempre una catastrofe<br />
maggiore, non è la catastrofe finale.<br />
Per essere generico, si può andare in là chiaramente,<br />
potremmo esserci annullati completamente<br />
di già, e invece... però, temo che il discorso<br />
anche sulle biotecnologie, sulle tecnologie,<br />
sia quello che dire “Andiamo avanti finché<br />
non vediamo all’orizzonte la catastrofe”<br />
sia un ragionamento... È molto pericoloso<br />
perché non è dell’uomo, non è un comportamento<br />
umano secondo me. Io come sempre<br />
vedo un problema e non vedo una medicina,<br />
cioè non vedo una soluzione, anche l'idea...<br />
dove stiamo andando, fermiamoci, non capisco<br />
come e quanto sia praticabile, però come sempre<br />
riconoscere che c’è un problema è già un<br />
primo passo.<br />
GABRIELLA. C’è un libro di divulgazione,<br />
quasi un romanzo, si chiama La marcia della<br />
follia, di una scrittrice americana [Barbara W.<br />
Tuchman], non è un libro di grande spessore,<br />
però è interessante perché definisce «follia»<br />
quando un gruppo agisce testardamente contro<br />
il suo stesso interesse, fa delle cose che<br />
sono esattamente il contrario di quello che gli<br />
converrebbe, e l’autrice fa tutta una serie di<br />
esempi, dalla guerra di Troia alla guerra nel<br />
Vietnam.<br />
Però è chiaro che se agisce contro il suo interesse,<br />
ma senza poterlo ragionevolmente<br />
prevedere, quella non è follia, quelli sono i limiti<br />
della natura umana. Quando è follia<br />
Quando ci sono persone, minoranze, gruppi,<br />
profeti, che dicono “Attenzione, state sbagliando”,<br />
lo dicono pubblicamente, proponendo<br />
alternative, ma non sono ascoltati,<br />
come Cassandra: questa è la follia che porta<br />
alla rovina, e trascina con sé i responsabili, i<br />
rassegnati e gli indifferenti.<br />
Perciò bisogna dare importanza alle voci<br />
che si dichiarano contro, che sono controcorrente,<br />
anticonformistiche, che sono di allarme,<br />
e su queste cose di cui stiamo parlando ce<br />
n’è in abbondanza. Si parla ovunque di primato<br />
della scienza: allora si prendano in considerazione<br />
i risultati della ricerca scientifica.<br />
Ormai è acquisito scientificamente, per esempio,<br />
da ricerche fatte nel corso di decenni negli<br />
Stati Uniti, che i bambini che sono esposti<br />
alla televisione hanno gravi danni nello sviluppo,<br />
anche a prescindere dai contenuti dei<br />
programmi.<br />
Questa cosa non viene detta, o considerata<br />
un’opinione come tante, quando invece è un<br />
allarme scientifico, non una fissa da steineriani<br />
o di qualche nostalgico del passato.<br />
E così, sulla questione bioetica, aldilà della<br />
posizione forte e coerente della Chiesa cattolica,<br />
ci sono altre voci, come quella di Habermas,<br />
che dicono cose chiarissime contro il liberalismo<br />
genetico. Ma come si fa ad andare<br />
avanti su quella strada ignorando i profeti, le<br />
voci di allarme, la scienza <br />
E per questo io personalmente vedo nella<br />
Chiesa cattolica una testimonianza e un magistero<br />
all’altezza dei tempi, perché qui si parla<br />
di salvezza ormai, di una marcia della follia<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 671
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globale, non di opzioni che stanno tutte nel<br />
campo delle razionali possibilità..<br />
Quindi ascoltiamo i profeti, io cerco sempre<br />
di ascoltarli, e poi a ricomporre la complessità<br />
siamo ancora in tempo.<br />
GIANNOZZO. Tutta la riflessione che ho fatto<br />
dopo i verdi, è stata ispirata dal libro di Giovanni<br />
Haussmann, La terra come placenta, che<br />
ho stampato, in cui lui dice che l’uomo, quando<br />
è dominato dal principio egoistico di conservazione,<br />
non è razionale. Anteponendo un<br />
suo interesse immediato a un suo interesse per i<br />
suoi figli anche di poco procrastinato nel tempo.<br />
Quand’è che diventa razionale Quando è<br />
dominato dal principio altruistico di solidarietà,<br />
cioè quando è dominato da un principio<br />
che lo travalica. Allora diventa razionale.<br />
Ecco il discorso di Dio, cioè quando l’uomo ha<br />
Dio al centro è capace di essere antropocentrico.<br />
Quando invece ha se stesso al centro, non è<br />
più capace di essere razionale, non è capace di<br />
rispondere al compito che ha nel cosmo. <strong>Il</strong><br />
problema è individuare... riscoprire, da San<br />
Tommaso, dalla Summa tradotta oggi la linea<br />
etica ed esservi fedeli fino all’ultimo. Questo è<br />
il nostro compito. Poi succeda quel che succeda.<br />
Gli Amish sono altrettanto consapevoli di<br />
noi, e ci sono tanti gruppi diversi di Amish, chi<br />
è più rigido, chi meno, come sempre, però<br />
sono altrettanto consapevoli di noi del disastro<br />
che ci sovrasta, che sta dietro l’angolo. La catastrofe<br />
in certi casi potrebbe anche essere un<br />
aiuto, teoricamente. La nostra fede non sta<br />
nella catastrofe, la nostra fede deve stare ben<br />
oltre la catastrofe, non è che è tanto peggio o<br />
tanto meglio. A differenza del mio amico Teddy<br />
Goldsmith, il quale ci è morto, perché lui,<br />
che pure era stato convertito dai boscimani nel<br />
deserto del Kalahari all’ecologia, in fondo è<br />
rimasto un occidentale abbastanza credente<br />
alla scienza e quando la scienza ormai gli ha<br />
detto che il cambiamento climatico avrebbe<br />
portato alla fine dell’umanità nell’arco del<br />
prossimo secolo, lui praticamente è entrato in<br />
crisi proprio psicologica, ed è morto della sindrome<br />
della sentinella che non è riuscita a<br />
dare l’allarme. Io non ci credo a questo, io<br />
credo a quel che è scritto nel Vangelo, che la<br />
fine del mondo verrà quando Gesù tornerà, e<br />
non prima, e l’ho detto anche a <strong>Il</strong>lich, il quale<br />
è rimasto colpito da questa risposta. Io credo<br />
al Vangelo, per cui quello che dice la scienza è<br />
galleggiante, cambia sempre, oggi hanno scoperto<br />
una cosa, domani ne scoprono un’altra<br />
eccetera. Però la catastrofe ci potrebbe aiutare<br />
come ci potrebbe danneggiare. Potrebbe succedere<br />
come in Tunisia che quando manca il<br />
pane tutti si sparano, potrebbe succedere invece<br />
che si organizzano le parrocchie i gruppi<br />
ecc. e si ricostruisce un tessuto sociale o comunitario<br />
che oggi è tutto spappolato, non si sa,<br />
ma certamente, se mancano le persone che<br />
hanno un’architettura morale chiara, e camminano<br />
in quella direzione e cercano di stimolare<br />
la Chiesa anche come istituzione a fare altrettanto,<br />
certamente il fatto che ci si spari<br />
l'un l'altro e basta diventa molto più vicino nel<br />
momento della catastrofe.<br />
PIETRO. Mi date cinque minuti Io ho il mio<br />
difetto. Ma ormai gli amici lo sanno: sento il<br />
bisogno di distinguere. Intanto, la questione<br />
della katastrophé. Devo deludere, non parlavo<br />
delle ‘catastrofi’ oggettive, non a caso mi rivolgevo<br />
a Francesco come filosofo. Dicevo catastrofe<br />
nel senso di René Thom, del grande<br />
matematico, nella accezione (e come risorsa)<br />
formale: un trasformazione che avviene in<br />
modo brusco, una discontinuità che interviene<br />
nello stesso incremento continuo di due o più<br />
variabili. Con diverso linguaggio: entro ogni<br />
regime di continuità vi sono soglie. Come<br />
quando diciamo che, entro la continuità di una<br />
pratica, ‘scatta qualcosa’. La metodologia delle<br />
soglie ci evita di essere dicotomici, in un regime<br />
di incrementi: o verso tutto o verso niente,<br />
o linearmente verso A o verso B. Certo,<br />
poiché in re le soglie ci sono (oltre le quali ad<br />
8 dicembre 2011 Anno XI
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es. una struttura collassa, un circuito surriscaldato<br />
salta ecc.), la katastrophé può essere<br />
catastrofica nel senso ordinario. Ma le soglie<br />
possono essere di tutt’altro tipo, logico o epistemologico.<br />
Individuare una soglia permette<br />
di lavorare secondo ragione. Sottolineo la<br />
questione di ciò che è ‘giusto’ agli effetti dello<br />
sviluppo del ragionamento, ovvero di ciò che è<br />
epistemicamente vantaggioso, epistemicamente<br />
più ricco di altre soluzioni impostate<br />
razionalmente su altre soglie. Per esempio, a<br />
mio parere la soglia Amish è una soglia troppo<br />
precoce, anticipata, in quel regime di continuità<br />
che è lo svolgimento di una ricerca di<br />
equilibrio tra tecnica e ‘vita buona’. A me la<br />
soglia Amish non serve, perché tu non vivi come<br />
gli Amish, perché già un gruppo di cinquediecimila<br />
persone non potrebbe vivere come<br />
gli Amish. Anche dal punto di vista religioso, è<br />
l’esperienza di una setta (setta come termine<br />
tecnico, non deteriore, che indica una ‘comunità<br />
di salvati’, per rinviare al famoso libro di<br />
Troeltsch sulle Dottrine sociali delle Chiese e<br />
dei gruppi cristiani) non adatta ad una Chiesa.<br />
Un’esperienza che ha la sua radicalità, un<br />
gruppo di eletti e un nucleo che si autoalimenta<br />
nella condizione di elezione, e vive<br />
nelle condizioni elementari, le meno complesse<br />
dal punto di vista degli strumenti; perché<br />
ciò che conta è altro. Naturalmente questo è<br />
sempre un gran modello il rapporto/conflitto<br />
Chiesa-Setta, chiesa societas - chiesa communitas.<br />
Però, noi-società non possiamo essere<br />
Amish. Credo che, razionalmente, per la grande<br />
società come per la grande tradizione religiosa,<br />
il modello setta fallisce se non entra nella<br />
complexio oppositoriom, cioè nel disegno per<br />
cui le due parti si illuminano, si ammaestrano<br />
reciprocamente, non l’una delle due illumina<br />
l’altra. La grande Chiesa non potrà essere mai<br />
setta, e una grande città non potrà mai essere<br />
comunità. Dunque, se affrontiamo questioni<br />
critiche, la soglia Amish è presa troppo presto<br />
nel percorso, è una katastrophé che non ci insegna<br />
niente, al massimo una istanza…<br />
STEFANO. Ma loro hanno una soglia, qui non<br />
c’è nessuna soglia...<br />
PIETRO. Benissimo, e questo è il problema.<br />
Ma se è una soglia che non mi serve, non mi<br />
serve. È questa è una soglia che non serve.<br />
RICCARDO. Ha però una sua logica, come l'ha<br />
precisata Giannozzo...<br />
PIETRO. Sì, ha una sua logica; il fatto che non<br />
serva non significa che non abbia una logica.<br />
Non serve a livelli macro.<br />
STEFANO. La valutazione sulla tecnologia<br />
non serve<br />
PIETRO. Non serve a quel livello radicalmente<br />
escludente..<br />
STEFANO. Volevo dire che il modello Amish è<br />
che qualcuno almeno riflette sulla soglia, qui<br />
nessuno ci riflette.<br />
PIETRO. Non è vero. Noi stiamo riflettendo<br />
sulle soglie. Tutto il mondo riflette da decenni<br />
sulle soglie, scusami tanto. Ora, da un lato c’è<br />
lo sviluppo delle tecniche e dall’altro c’è il<br />
mondo che si assilla, non solo gli intellettuali.<br />
Altra cosa è se le soglie sono state trovate. Altro<br />
ancora è se queste soglie possono diventare<br />
prescrittive, imperative nel senso che possono<br />
effettivamente controllare i processi e si impongono<br />
a tutti. Si potrebbe dire pessimisticamente<br />
che questa riflessione sulle soglie è<br />
pragmatica, un mero dato di fatto. Per esempio,<br />
c’è tutta la letteratura sulla cosiddetta sociologia<br />
del rischio, molto diffusa e anche molto<br />
alla moda (fino a qualche anno fa), almeno accademicamente<br />
alla moda, nella quale afferma<br />
che ormai ogni soluzione tecnica, anche quella<br />
riparatoria dei danni delle tecniche, produce<br />
altri danni. Anche in questo caso, più che affermare<br />
un regime di continuità irreparabilmente<br />
negativo, si tratta trovare la soglia razionalmente<br />
efficace (una katastrophé positiva)<br />
rispetto al grado di complessità. Per questo<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 671
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dico: in rapporto al grado di complessità cui<br />
dobbiamo affrontare la questione della soglia,<br />
il modello Amish non mi serve, non so che farmene.<br />
Certo, può essere un grande paradigma<br />
di alterità, come d’altronde quello di una comunità<br />
primitiva per le utopie politico-economiche.<br />
È più di due secoli che queste comunità<br />
forniscono dei modelli. Ma modelli che siano<br />
stati efficienti, salvo suggestionale piccoli<br />
gruppi occidentali utopizzanti Credo si debba<br />
essere ‘realisti’, cioè allievi della Realtà.<br />
Qui si può inserire la questione Galileo. Anche<br />
per questo aspetto farei una distinzione.<br />
Tu dici che la condanna di Galileo fu fondata<br />
dai teologi romani su un principio di efficienza<br />
scientifica (dimostrazione o non dimostrazione<br />
delle tesi eliocentriche) e non sul calcolo delle<br />
conseguenze. È tesi classica, prevalentemente<br />
(ma non solo) di parte cattolica, difensiva della<br />
legittimità ‘scientifica’ della condanna. La<br />
mia convinzione sulla posizione di Bellarmino<br />
(che riguarda solo un primo periodo della vicenda),<br />
e in genere sulla la cultura dei teologi<br />
romani, è invece che si fosse ben consapevoli<br />
delle conseguenze sull’intero edificio della<br />
teologia della Creazione (anzi, per dirla con i<br />
titoli del trattato classico, sull’intero orizzonte<br />
de Deo creante et elevante). Naturalmente l’intelletto<br />
cattolico non concettualizza il caso<br />
Galileo come poté parlarne Husserl negli anni<br />
Trenta del secolo scorso (nella Krisis), ma intravedeva<br />
che introdurre al posto del cosmo<br />
creatura, che è anche anche il cosmo angelico,<br />
un cosmo macchina, avrebbe avuto delle implicazioni<br />
dogmatiche di grande portata. Credo<br />
che i teologi romani fossero consapevoli, e<br />
non a caso lo stesso Galileo è costretto a muoversi<br />
in questo senso; la sua famosa distinzione,<br />
per cui la Bibbia non ci dice cos’è il<br />
cielo ma come arrivare in cielo (che è una soluzione<br />
squisitamente, si potrebbe dire, modernistica,<br />
un cristianesimo ‘morale’ indifferente<br />
al cosmo, quindi assolutamente insufficiente,<br />
forse erronea), non è che manchi di consapevolezza<br />
ultima. La Chiesa ha, dunque, esercitato<br />
rispetto alla scienza un controllo, quel controllo<br />
di cui la si accusa. Proprio le accuse da<br />
parte degli storici, filosofi, ideologi ‘laici’ ecc.<br />
indicano che quel controllo c’è stato, e a lungo.<br />
Questo quanto alla scienza; per le tecniche<br />
è diverso. <strong>Il</strong> controllo della Chiesa sulle tecniche<br />
è piuttosto un controllo sulle loro conseguenze<br />
È morali, e alla fine antropologiche (di<br />
antropologia cristiana, sempre ordinata alla<br />
Salvezza). Sarebbe una ricerca interessante,<br />
probabilmente anche già fatta, per settori (ad<br />
es. l’ambito delle tecniche in bioetica) e per<br />
periodi (cosa pensano i grandi teologi morali,<br />
ancora tra sei-settecento, dell’uso di questa o<br />
di quella tecnica, dalle finanziarie alle produttive,<br />
in economia) Nella tradizione cattolica,<br />
mi pare, abbiamo essenzialmente attenzione<br />
all’intenzione dell’uso e alle conseguenze<br />
eventualmente di danno. Quindi, la tecnica<br />
come tale (anche perché non vi sono ancora le<br />
invasive tecnologie contemporanee, parlo<br />
sempre dei livelli moderni) è sotto gli occhi<br />
della Chiesa per l’aspetto per l’aspetto tecnicamente<br />
teologico-morale. Questa situazione<br />
si estende, si potrà anche dire con le sue intrinseche<br />
debolezze, ma si estende, alla contemporaneità.<br />
La Chiesa non si pone il problema<br />
della televisione, ma di ciò che la televisione<br />
opera, comunica. Chiunque della mia<br />
generazione, la generazione anche di Giannozzo,<br />
ricorda la situazione già della radio,<br />
dello spettacolo, del cinema nel dopoguerra,<br />
nell’età di McLuhan: il controllo della Chiesa<br />
è sempre stato forte, assillante persino, ma non<br />
era sul cinema, o sulla stampa popolare come<br />
tale, ma sui contenuti. Cioè, sugli effetti degli<br />
strumenti del comunicare nelle idee, nei valori e<br />
nelle condotte. Si può dire che questo controllo<br />
fu certamente inferiore al livello di complessità<br />
in cui fu posto da McLuhan (ad esempio<br />
Gli strumenti del comunicare — titolo italiano<br />
— è un libro geniale; riletto oggi è ancora<br />
più importante, perché non è tanto l’analisi<br />
8 dicembre 2011 Anno XI
| ( 24 ) |<br />
dei mezzi di comunicazione: quest’uomo lavora<br />
in antropologia generale e in storia generale<br />
della cultura). Quindi non c’è mancanza<br />
di controllo; vale, però, anzitutto la sostanza,<br />
è importante ciò che entra nella mente. Almeno<br />
fino a ieri; non direi oggi, perché il dibattito<br />
che stiamo facendo troverebbe una parte dei<br />
teologi molto più in sintonia con te che con<br />
me, in realtà. La situazione contemporanea<br />
dell’intelletto cattolico è paradossale. Ma, almeno<br />
fino a ieri, il problema era essenzialmente<br />
ciò che arriva all’intelletto, e il<br />
possibile stravolgimento dei modelli morali,<br />
simbolici e ideali. Questo controllo della<br />
Chiesa sugli strumenti del comunicare (nell’età<br />
di papa Pacelli, specialmente) trovò talmente<br />
resistente il livello delle condotte collettive,<br />
anche ‘cattoliche’, che ha finito per<br />
spuntarsi e poi essere abbandonato. Anche qui<br />
è un problema di distinzione e di soglia. Qual’è<br />
il confine che non è stato valicato dal controllo<br />
della Chiesa È stato un controllo di verità<br />
che, però, non ha recepito l’assunto del<br />
medium è il messaggio Bisogna anche considerare<br />
che il principio di ragione e il principio di<br />
realtà (mai in sé negativa), che regolano la tradizione<br />
cattolica, portano a distinguere sempre<br />
mezzi e fini. E la tendenza a considerare il<br />
mezzo, il medium, ‘neutrale’ è stata, di conseguenza,<br />
prevalente nelle pratiche e nel magistero<br />
ordinario.<br />
FINE<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 671
ARIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
N°672<br />
B<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
16 DICEMBRE 2011<br />
U<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong><br />
ANNOXI<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
)<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
a Questo numero.<br />
“È raro avere la capacità di condensare in poche righe<br />
la storia e contemporaneamente fotografare la<br />
forma grattacielo e la società che la esprime. <strong>Il</strong> prof.<br />
Giorgio Muratore ci è riuscito, anzi ci era già riuscito,<br />
visto che l'articolo è del 2008. Davvero è difficile<br />
aggiungere altro alla denuncia di questa condizione<br />
che è, prima di tutto, politica ad un sistema di potere<br />
che oggi è molto più riconoscibile, vicino e incombente.”<br />
Così Pietro Pagliardini ha segnalato nel<br />
suo blog l'articolo che proponiamo in prima pagina.<br />
Segue, da Parigi, una necessaria riflessione di Aude<br />
De Kerros su abominevoli approdi dell'AC, mentre<br />
Gabriella Rouf commenta la recente messa in scena<br />
del Don Giovanni. In ultima pagina, lo annunciamo<br />
con particolare soddisfazione, Giuseppe Ghini inaugura<br />
la sua geniale attualizzazione degli emblemi di<br />
Andrea Alciato. Un altro privilegio per i nostri lettori,<br />
ma sulla straordinaria stagione, morale e tipografica,<br />
degli emblemi dovremo ritornare. N<br />
INDICE<br />
1 Giorgio Muratore. <strong>Il</strong> Grattacielo, una tipologia<br />
vecchia e disgustosa.<br />
4 Aude de Kerros. La metamorfosi del blasfemo in<br />
arte.<br />
7 Gabriella Rouf. Mozart non c’era.<br />
8 Giuseppe Ghini. Gli Emblemi del 2000. In silenzio.<br />
a <strong>Il</strong> Grattacielo, una tipologia<br />
vecchia e disgustosa.<br />
DI GIORGIO MURATORE<br />
Fonte: http://archiwatch.wordpress.com<br />
Metropolis la pellicola-culto di Fritz<br />
Lang che nel 1927 profetizzava il trionfo e<br />
la catastrofe della civiltà della macchina<br />
era una città di grattacieli. Una città utopica<br />
verticale vissuta come un incubo da<br />
un intellettuale europeo alle soglie della<br />
grande crisi del ’29 nella quale all’acme<br />
della poetica espressionista venivano a sintetizzarsi,<br />
catalizzandosi criticamente in<br />
forma visiva, tutti gli umori di un modernismo<br />
esasperato da ben più di mezzo secolo<br />
di trionfo industriale che a partire dai<br />
lontani fasti del Cristal Palace londinese<br />
passando per Eiffel sarebbe approdato al<br />
Chrysler newyorkese dopo essere passata<br />
per i capolavori sullivaniani della scuola di<br />
Chicago.<br />
Un itinerario affascinante quello dei<br />
primi decenni del grattacielo americano<br />
che avrebbe poi trovato, ancora e soprattutto<br />
nelle due già citate metropoli statunitensi,<br />
modo di affermarsi con l’Empire<br />
State Building e con il Rockfeller Centre,<br />
da un lato, e con le prime grandi opere<br />
verticali di Mies van der Rohe, dall’altro,<br />
che finalmente affacciandosi sul Michigan<br />
trovava modo di coronare un sogno pluridecennale<br />
coltivato fin da quando, nei primi<br />
venti, aveva progettato il suo profetico<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />
www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />
<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />
minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />
cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />
Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
Fonte: http://archiwatch.wordpress.com<br />
grattacielo di cristallo sulla Friedrichstrasse<br />
berlinese e che troverà modo di<br />
concludere la sua conquista del cuore<br />
americano con l’esemplare Seagram Building<br />
piazzato proprio nel baricentro finanziario<br />
di Manhattan.<br />
Dall’Art-Deco al Razionalismo più radicale<br />
quindi e, da lì in poi, di successo in<br />
successo, il grattacielo americano continua<br />
la sua ascesa fisica e simbolica contaminandosi<br />
con i linguaggi più corrivi dei decenni<br />
successivi, dall’International Style<br />
al Post-Modern, dai monumentali manufatti<br />
dello studio Skidmore, Owings &<br />
Merril, fino ai totemici stilismi postmodernisti<br />
dell’ultimo Philips Johnson. E saranno<br />
poi ancora gli architetti europei a<br />
riflettere criticamente sulla portata simbolico-figurativa<br />
di quella ormai storicizzata<br />
tipologia verticale quando Rem Koolhas<br />
uno dei profeti della globalizzazione decostruttivista<br />
degli ultimi trent’anni (sponsorizzato<br />
dall’immarcescibile e luciferino<br />
Philip Johnson), nel suo bestseller Delirious<br />
New York ne riprenderà, in certo<br />
modo il testimone, per poi dilagare a livello<br />
internazionale sull’onda della globalizzazione<br />
finanziaria e tecnocratica degli ultimi<br />
trent’anni. Non c’è infatti ormai regione,<br />
sia pur remota, della terra a non essere<br />
assoggettata alla presenza di questa tipologia<br />
edilizia che, se da un lato, rappresenta<br />
la cristallizzazione più ingenua e<br />
volgare delle aspirazioni dei nuovi ricchi,<br />
dall’altro testimonia del prevalere di un<br />
know-how tecnologico e progettuale dove<br />
la grande industria di ultima e penultima<br />
generazione, e l’apparato economico-finanziario<br />
che ne è espressione e sostanza<br />
strutturale, trovano modo di autorappresentarsi<br />
con facilità attraverso la vasta e<br />
disponibile schiera di progettisti e di ard<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 672
| ( 3 ) |<br />
chistar che ne sono prolungamento a livello<br />
figurativo, decorativo, stilistico e architettonico.<br />
Si assiste quindi, e non da oggi, al proliferare<br />
di grattacieli di tutte le taglie e di<br />
tutte le fogge, un po’ in tutto il mondo, dai<br />
distretti commerciali delle metropoli occidentali<br />
alle sempre più numerose città<br />
nuove che si affollano a decine dall’oriente<br />
estremo fino alle, un tempo, desolate e pastorali<br />
plaghe dell’Asia centrale, dalle assolate,<br />
assetate e desertiche realtà del Golfo<br />
fino alle più remote e paradossali situazioni<br />
latino-americane, tutte località, a<br />
vario modo, assoggettate a questa nuova<br />
forma di colonialismo tipologico, ove il<br />
protagonismo di massa del grattacielo la fa<br />
ormai da padrone indiscusso. Migliaia di<br />
grattacieli, una volta confinati in rari<br />
esemplari nei distretti finanziari delle<br />
grandi metropoli statunitensi, dilagano<br />
ormai senza freno dai deserti alle praterie,<br />
dalle spiagge alle savane del mondo intero.<br />
Soprattutto nei luoghi dove è più debole la<br />
storicità e la memoria stessa dei siti al<br />
grattacielo sembra affidato il ruolo fondante<br />
di edificio-pioniere, quasi a segnalare<br />
una nuova presenza, a testimoniare con<br />
arroganza una presa di possesso, a testimoniare<br />
l’orgoglio volgare di un finalmente<br />
raggiunto dominio simbolico e materiale<br />
sui luoghi.<br />
Per nostra fortuna il nostro paese, per<br />
tutta una serie di evidenti priorità di ordine<br />
culturale, ma anche e soprattutto di limiti<br />
economici e finanziarii era stata fin<br />
qui evitata una simile violenza. Qualche<br />
“torre” a dire il vero era spuntata, soprattutto<br />
negli anni del rapido benessere qua e<br />
là, a Milano, a Genova, all’Eur di Roma e<br />
in qualche cittadina piuttosto derelitta sul<br />
piano urbanistico come Livorno, Nettuno,<br />
Cesenatico, Gallipoli, tanto per fare qualche<br />
esempio diffuso sul piano nazionale.<br />
Casi, al fondo, sporadici di periferica isterìa<br />
da campanile, senza contare che il caso<br />
milanese ha, comunque, prodotto almeno<br />
due edifici di rilevante significato architettonico<br />
come la Torre Velasca e il “Pirellone”.<br />
Purtroppo però in questi ultimi anni<br />
sull’onda di un laissez-faire di stampo<br />
anarco-liberista, molte barriere, anche etico-psicologiche<br />
sono crollate e sono quindi<br />
sempre più numerosi i casi in cui il nostro<br />
patrimonio ambientale e paesaggistico<br />
viene aggredito in forme concitate, avventate<br />
e aggressive in nome di una sedicente<br />
modernizzazione che trova, proprio nel<br />
grattacielo, la sua formula più immediata,<br />
sbrigativa e redditizia, perciò, vincente.<br />
Basterebbe considerare il caso di Roma,<br />
città fin qui, sostanzialmente, scampata al<br />
rischio grattacielo, ove sono già previsti<br />
almeno cinque interventi in tal senso che,<br />
se portati sventuratamente a compimento,<br />
stagliandosi sulla campagna romana, snaturerebbero,<br />
per sempre e in forme irreversibili,<br />
il, più che prezioso, profilo capitolino.”<br />
GIORGIO MURATORE agosto 2008<br />
16 dicembre 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
a La metamorfosi del blasfemo in<br />
arte.<br />
DI AUDE DE KERROS<br />
Blasfemo Non blasfemo Questa è la<br />
questione! Novità in Francia, tre “eventi"<br />
— Piss Christ, Le concept du visage du Fils<br />
de Dieu e Golgota Picnic 1 , attirano nello<br />
stesso anno l’attenzione della cronaca per<br />
motivi di blasfemia.<br />
Eppure ce ne vuole per scioccare i francesi...<br />
nel paese degli Incoerenti, dei Dada,<br />
dei surrealisti, anticlericali e dei libertini,<br />
il puritanesimo non è una tradizione. Mai<br />
il Carnevale o la Festa dei Folli è stato vietato.<br />
Dalla notte dei tempi, si prendono in<br />
giro i potenti e i principi della Chiesa.<br />
Ma i “goliardi" 2 troverebbero oggi un<br />
po' tristi i nostri trasgressori sovvenzionati..<br />
Romanici e gotici non scolpivano solo<br />
santi e vergini, ma anche scene abbastanza<br />
crude su frontoni e capitelli. Queste pratiche<br />
hanno svolto il ruolo di contropotere<br />
ricorrente ad una "arte alta" di una grande<br />
1 Difficile descrivere in poche parole il disgustoso guazzabuglio<br />
di questi tipici esemplari AC. Piss Christ è la nota (1987)<br />
fotografia di Andres Serrano (USA), icona del festival di Avignone.<br />
Rappresenta un crocifisso immerso in un bicchiere di<br />
urina dell’autore. Stesso trattamento per la Madonna col<br />
Bambino. Le concept du visage du Fils de Dieu è una performance<br />
teatrale del pessimo Romeo Castellucci (IT), dove,<br />
avendo per sfondo l’immagine del Salvator Mundi di Antonello<br />
da Messina, si inscena una specie di festival delle deiezioni,<br />
beffardamente mascherato da pietà per l’umano corporeo. Golgota<br />
Picnic di Rodrigo Garcia (E), è un’altra performance teatrale,<br />
una specie di summa di oscenità, blasfemia, odio anticristiano.<br />
Chi ha curiosità e stomaco, può controllare su Wikipedia.<br />
Sarebbe comico, se non fosse tristissimo, leggere le elucubrazioni<br />
di commentatori vari su questi ignobili prodotti, la cui<br />
fortuna mediatica è affidata solo alla provocazione e allo scandalo.<br />
Le Associazioni cattoliche che hanno protestato sono etichettate<br />
come integraliste e fasciste.<br />
2 Movimento medievale (XII/XIII sec.) di chierici itineranti<br />
che, per criticare le gerarchie ecclesiastiche usavano componimenti<br />
poetici burleschi e anche osceni.<br />
spiritualità. Esse sono la salvaguardia contro<br />
ogni tentazione totalitaria. E' la loro<br />
funzione, ma anche il loro limite. Per questo<br />
motivo, in Francia, non abbiamo conosciuto<br />
né un maccartismo, né le “guerre<br />
culturali" degli anni novanta, come negli<br />
Stati Uniti.<br />
Ora, improvvisamente, non è più così.<br />
Ma è da mezzo secolo a questa parte, che<br />
ha avuto luogo la mutazione del blasfemo<br />
in arte...<br />
Non è più l’ostia trafitta, o certe vecchie<br />
pratiche derivanti da azioni individuali<br />
o riti satanici. Oggi la trasgressione<br />
del sacro assume altre forme: è Arte Contemporanea<br />
(AC) ...<br />
L'essenza della pratica dell’AC, arte ufficiale<br />
e sovvenzionata 3 , è la trasgressione.<br />
<strong>Il</strong> suo scopo è minare il “contesto", far<br />
saltare il senso delle cose , attraverso le detournement<br />
alla Duchamp. Ma se in passato<br />
si intendeva con ciò sottoporre a satira l'arte<br />
ufficiale, questo è impossibile oggi. E’ diventato<br />
un servizio pubblico! Da 30 anni lo<br />
Stato dirige burocraticamente l'arte in<br />
Francia. I grandi media non fanno mai l'eco<br />
del dissenso intellettuale, del resto ormai<br />
riconosciuto.<br />
È per questo che nel caso Castellucci 4 ,<br />
di fronte ad un pubblico scontento e incontrollabile,<br />
tacciato di “populista", il<br />
sindaco di Parigi e il ministro della Cultura<br />
si sono ufficialmente indignati, i vescovi<br />
hanno rampognato i fedeli, la forza pub-<br />
3 «AC» (acronimo per Arte Contemporanea) designa il sistema<br />
commerciale-speculativo che ha imposto sul mercato internazionale<br />
un prodotto pseudoartistico prevalentemente concettuale.<br />
Vedi, fra l’altro, la Raccolta de <strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> AC e gli interventi<br />
di Jean Clair (<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> nn.642-653) In Francia, l’AC è<br />
«arte di Stato», sovvenzionata con denaro pubblico, con esclusione<br />
di ogni diversa espressione artistica.<br />
4 Vedi nota 1.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 672
| ( 5 ) |<br />
blica ha respinto brutalmente i manifestanti,<br />
i giudici li hanno condannati, i media<br />
li hanno catalogati come “fondamentalisti",<br />
cioè “terroristi" .<br />
M UN TRANSFERT DEL SACRO.<br />
Ma dato che queste reazioni erano ben<br />
prevedibili, appare con chiarezza il perché<br />
l'AC aggredisca con tanta durezza il cristianesimo.<br />
Si tratta di una necessità artistica:<br />
non c'è più molto altro che sia nello<br />
stesso tempo trasgressivo e politicamente<br />
corretto. Attaccare il sacro cristiano è simultaneamente<br />
permesso, accessibile, visibile<br />
e forte. La blasfemia ha la virtù di<br />
operare un trasferimento di “aura" e di<br />
“sacro" dalla Chiesa all’AC. Produce<br />
scandalo e dà legittimità.<br />
<strong>Il</strong> risultato è raggiunto, proprio quando<br />
si vede il pubblico salire sul palco per recitare<br />
il rosario, mettere fiori, lumini e ceri<br />
di fronte al teatro. Pratiche talvolta malviste<br />
nelle chiese.<br />
È così che l’AC è “sacralizzata" grazie<br />
allo Stato, grazie alla Chiesa.<br />
L'arte contemporanea ha per decenni<br />
suscitato una sorta di stupore, di soggezione.<br />
L’interrogativo che suscitava rimaneva<br />
senza risposta, il pubblico ignorante mostrava<br />
un timore reverenziale. Per il borghese<br />
colto o il povero illetterato, la situazione<br />
era la stessa. <strong>Il</strong> divario tra la nullità e<br />
banalità di ciò che era visto, e il riconoscimento<br />
economico e sociale che gli era invece<br />
tributato, imponeva il silenzio..<br />
<strong>Il</strong> colmo fu raggiunto quando alcune<br />
autorità ecclesiastiche videro “autentiche<br />
opere d'arte cristiana" là dove il pubblico<br />
dei non iniziati non percepiva che irrisione<br />
o bestemmia.<br />
Presepe napoletano<br />
16 dicembre 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
M UN PRODOTTO FINANZIARIO DERIVATO.<br />
L'ordine ha regnato tuttavia per alcuni<br />
decenni, fino a quando Internet ha fatto<br />
emergere altri punti di vista e anche un'analisi<br />
colta di tutti questi fenomeni. <strong>Il</strong> dibattito<br />
pubblico sull’arte, evitato dai media<br />
in Francia, si è intensificato dal 2005 e<br />
ha preso un grande rilievo a partire dal<br />
crack finanziario dell’ottobre 2008. <strong>Il</strong><br />
velo del mistero sul valore dell’AC si è lacerato,<br />
e il grande pubblico ha finalmente<br />
capito: le quotazioni dell’AC non hanno<br />
nulla a che fare con i valori fondamentali,<br />
come la bellezza e la verità. L’AC è altra<br />
cosa dall'arte e, a parte rare trasgressioni<br />
“virtuose" fondate su una sincera critica<br />
sociale, è destinata a diventare un prodotto<br />
finanziario derivato.<br />
Lo stato di stupefazione è cessato. Internet<br />
e la strada ormai dicono la loro.....<br />
Cosa fare Certamente non una legge di<br />
censura. [...]<br />
Se la religione cattolica è vulnerabile<br />
nelle sue immagini e nei suoi sacramenti,<br />
essa d’altra parte si avvale di una immunità<br />
nei confronti della blasfemia. L'identità<br />
del cristiano non è lesa, perché si identifica<br />
con il Cristo oltraggiato, sorgente della<br />
sua Salvezza. Grazie a questo, non può lasciarsi<br />
trascinare nel meccanismo mimetico<br />
e fatale della violenza. <strong>Il</strong> cristiano può<br />
avere il coraggio di correre il rischio della<br />
libertà, dunque dell'arte e del pensiero.<br />
Ma deve anche avere il coraggio di difenderla,<br />
questa libertà.<br />
La soluzione è semplice. Occorre intellettualmente<br />
riconoscere l'esistenza attuale<br />
di due definizioni della parola “arte". È<br />
qui la fonte della confusione. Si tratta infatti<br />
di due pratiche che non hanno nulla<br />
in comune:<br />
1. Arte che attraverso la pienezza della<br />
forma esprime il senso, e assume il male e<br />
la contraddizione per mezzo della grazia<br />
della bellezza<br />
2. L'AC, il cui scopo è quello di distruggere<br />
il contesto e conturbare chi<br />
guarda. Essa pretende di essere un contropotere,<br />
ma la sua pratica di trasgressione è<br />
finanziata dallo Stato e difesa con la polizia!<br />
(Lo Stato, dovrebbe in ogni caso astenersi<br />
dal promuovere, con i soldi dei contribuenti,<br />
delle opere, quando esse attaccano<br />
le credenze religiose dei cittadini. Si<br />
lasci ciò agli sponsor del settore privato.)<br />
<strong>Il</strong> riconoscimento di questo scisma è un'emergenza<br />
intellettuale, perché solo il riconoscimento<br />
di esso permette la libertà di scelta.<br />
AUDE DE KERROS<br />
Traduzione e note di Gabriella Rouf<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 672
| ( 7 ) |<br />
a Mozart non c’era.<br />
DI GABRIELLA ROUF<br />
La pubblicità di un appestante profumo<br />
utilizza come sonoro il Lacrimosa dalla<br />
Messa di requiem di Mozart, e presumo<br />
non sia per propagandare un fascino cadaverico<br />
spray. D’altra parte, ci è capitato di<br />
sentire i Carmina Burana come sottofondo<br />
delle immagini di un funerale. Devono<br />
esistere dei repertori sonori a cui i decerebrati-creativi<br />
attingono, in base a certi parametri<br />
pulsionali dell’ascolto: musica<br />
frammentata e distrutta, a dimostrare che<br />
la bellezza non è in se stessa, ma nell’umanità<br />
integra, nella moralità dell’opera.<br />
L’agguato del brutto/sciocco può sortire<br />
inaspettato a riproporre altrove lo stesso<br />
schema: spettacoli di mero consumo, che si<br />
intrufolano nei luoghi della tradizione per<br />
degradare e confondere, livellando al più<br />
basso, al banale, allo scontato, forse al rassegnato.<br />
È il caso del Don Giovanni della Scala,<br />
di cui non sappiamo se ringraziare dell’opportunità<br />
della visione in TV, visto che ce<br />
ne resta sconcerto e noia. Ché, sotto la direzione<br />
letargica di un imbambolato Barenboim,<br />
si è messo in scena, anche qui, un<br />
degrado dell’opera mozartiana, una specie<br />
di desertificazione spirituale, di compressione<br />
nel contenitore del politically correct,<br />
tanto che essa si è dileguata, e si è assistito<br />
a tutt’altra cosa, ad un contraffatto Don<br />
Giovanni messo in burletta, senza nemmeno<br />
l’intelligenza della parodia.<br />
L’eliminazione della trascendenza dal<br />
Don Giovanni mozartiano, non è interpretazione,<br />
attualizzazione o altro, ma è semplicemente<br />
un atto nullo, professionalmente<br />
ed istituzionalmente, che deriva ed<br />
insieme incrementa senza possibili eccezioni,<br />
l’atonia direzionale, il dilettantismo<br />
registico, la banalità scenografica.<br />
La miseria intellettuale e il disagio dei<br />
protagonisti e dei commentatori emergeva<br />
del resto nei siparietti dal continuo bla bla<br />
sul mito di Don Giovanni — sedotto o seduttore<br />
—, raccomandandosi a DaPonte<br />
che, libertino spretato, sembrava offrire<br />
una sponda rassicurante al cieco (e sordo)<br />
vagare della compagnia 5 .<br />
Insomma, anche qui, uno spettacolino<br />
(sponsorizzato Philip Morris e qualche<br />
stilista, dato l’insistere su sigarette e appendiabiti)<br />
mendica l’aura dell’arte, ricicla<br />
i cascami delle mode registiche europee,<br />
e si appaga di lodi complici o ignare.<br />
C’era Napolitano, c’era Monti, ma Mozart<br />
non c’era.<br />
5 Anche il continuo riferirsi al Don Giovanni come «dramma<br />
giocoso», nonché ignorare (o fingere di ignorare) che al tempo<br />
di Mozart si trattava di una definizione generica, che atteneva<br />
gli elementi strutturali dell’opera, distinguendola altresì<br />
dall’«opera buffa» proprio per i suoi contenuti elevati, e<br />
dall’«opera seria» per il riferimento all’ambiente contemporaneo,<br />
sembrava un disperato mendicar consensi allo sberleffo<br />
volgare e alla più che ovvia deriva peep show.<br />
16 dicembre 2011 Anno XI
O<br />
| ( 8 ) |<br />
GIUSEPPE GHINI GLI EMBLEMI DEL 2000.<br />
R<br />
I N S I L E N Z I O .<br />
S<br />
<strong>Il</strong> buio e il silenzio, si dice, non esistono più,<br />
ma gli occhi si possono chiudere, le orecchie no,<br />
e c'è sempre qualcuno che lascia il cellulare acceso.<br />
Molti ignorano che, finché non rispondono al cellulare,<br />
il saggio e lo stolto non si distinguono.<br />
†<br />
I IN SILENTIUM.<br />
V<br />
16 dicembre 2011Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) Anno XI
ARIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
N°673<br />
B<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
21 DICEMBRE 2011<br />
U<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong><br />
ANNOXI<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
)<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
CON GLI AUGURI DI UN SANTO NATALE<br />
A TUT TI I LET TORI<br />
UNA BREVE<br />
ANTOLOGIA POETICA<br />
C H E S T E R T O N I A N A<br />
NELLA TRADUZIONE DI<br />
RODOLFO CAROSELLI.<br />
N<br />
M L’ASINO<br />
Pesci volaron, camminaron boschi<br />
da spino un fico è nato<br />
di sangue era la luna, son sicuro,<br />
quand’io fui generato<br />
Capo mostruoso, un verso che ripugna<br />
orecchie come ali<br />
parodia quadrupede del diavolo<br />
fra tutti gli animali.<br />
Straccione io, reietto della terra,<br />
da sempre il più ostinato;<br />
fame, frusta, ludibrio: resto muto,<br />
il segreto è celato<br />
Un breve componimento fra i più<br />
famosi (a suo tempo) del nostro grande<br />
fratello inglese Gilbert Keith Chesterton.<br />
G.K.C. non era certo un animalista,<br />
ma lasciatemi credere (a me che<br />
animalista lo sono) che almeno una<br />
sfumatura della simpatia e del rispetto<br />
presenti in questi versi vadano anche al<br />
quadrupede che, sia pure metaforicamente,<br />
ne è protagonista. La metafora<br />
non è difficile da comprendere: anche<br />
il più disgraziato e vilipeso degli esseri<br />
(umani) può trovare il suo riscatto e la<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />
www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />
<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />
minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />
cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />
Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
Io pure, sciocchi! ebbi la mia ora;<br />
gloriosa la gustavo:<br />
clamore nelle orecchie ed un tappeto<br />
di palme calpestavo.<br />
sua gloria nel servire silenziosamente il<br />
Signore. Pazienza, fede, umiltà: a queste<br />
semplici e grandi virtù cristiane ci<br />
richiama Chesterton tracciando con<br />
pochi, sapienti tratti la figura dell’asinello<br />
che portò Gesù a Gerusalemme<br />
nella Domenica delle Palme. E, dunque:<br />
“L’asino – ovvero la gloria di servire<br />
Cristo”.<br />
metro: quartine di endecasillabi sciolti<br />
alternati a settenari in rima<br />
M DAL BAMBINO NON NATO<br />
Se l’erba fosse bassa e alti gli alberi,<br />
come in un folle mito,<br />
se qui e là un mare si estendesse<br />
azzurro e proibito,<br />
se un fuoco stesse appeso su nell’aria<br />
il giorno a riscaldarmi,<br />
se verdi chiome i colli ricoprissero,<br />
io saprei comportarmi.<br />
Nel buio giaccio: sogno grandi occhi<br />
gelidi oppur clementi,<br />
e vie tortuose e porte silenziose,<br />
e dietro dei viventi.<br />
Che venga la tempesta: meglio un’ora,<br />
aperta a pianti e lotte,<br />
di tutti i secoli che ho dominato<br />
gli imperi della notte<br />
Nel paese fatato, questo credo,<br />
se l’entrata ottenessi,<br />
per l’intera giornata sarei buono<br />
che laggiù rimanessi.<br />
Nessuna mia parola avara o ria<br />
raggiungerebbe essi,<br />
se soltanto mi aprissero la porta,<br />
se solo io nascessi.<br />
Gilbert Keith Chesterton è stato, a<br />
ragione, definito “il profeta del nostro<br />
tempo”. Nei suoi anni non fu chiamato<br />
a combattere l’aborto, nostra tragedia<br />
contemporanea, e tuttavia si batté contro<br />
le politiche di controllo delle nascite<br />
che, di questa tragedia, furono la<br />
premessa. Credo che questa magnifica<br />
poesia, da cui emerge uno straordinario<br />
amore per la vita, dimostri in tutta<br />
evidenza la sua profeticità.<br />
quartine di endecasillabi sciolti alternati<br />
a settenari in rima<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 673
| ( 3 ) |<br />
M LO STATO MONDIALE<br />
O, quanto amo io l’umanità,<br />
di un amor così puro e cortinglese,<br />
e quanto odio l’orrido francese,<br />
che non potrà giammai esser inglese!<br />
E questa Idea che è Internazionale,<br />
la più diffusa e più intelligente,<br />
unisce adesso tutte le nazioni,<br />
eccetto quella che ci è adiacente.<br />
Compromesso da tempo conosciuto,<br />
questo sistema di mezze indulgenze,<br />
sia nelle società chiamate etiche<br />
che nelle suburbane residenze -<br />
nelle cappelle e nelle ville dove<br />
senza grande fatica io imparavo<br />
il modo per amare il mio prossimo<br />
mentre il vicino tuttavia l’odiavo.<br />
Quanto magistralmente Chesterton<br />
svela qui l’ipocrisia dei filantropi e dei<br />
pacifisti che amano (a parole) l’umanità<br />
disprezzando poi, nel concreto, i<br />
singoli esseri umani.<br />
quartine di endecasillabi con il 2° e il 4°<br />
verso rimati<br />
M IL CONVERTITO<br />
Dopo un momento che, piegato il capo<br />
crollato il mondo, poi ritornò dritto,<br />
uscii fuori: la strada biancheggiava,<br />
giravo ed ascoltavo quella gente,<br />
selve di lingue, foglie ormai ingiallite,<br />
sgradite no, però sommesse e strane;<br />
lievi vecchi misteri e nuovi credi<br />
come a commemorare, senza scorno.<br />
I saggi ti daranno cento mappe<br />
guide ramificate dei lor cosmi,<br />
sezionan la ragione coi setacci<br />
che lascian l’oro per raccoglier sabbia;<br />
ma questo è men che polvere per me:<br />
perché mi chiamo Lazzaro e son vivo.<br />
Questa formidabile “<strong>Il</strong> Convertito",<br />
al pari di “Una preghiera nell'oscurità",<br />
credo illustri bene, insieme alla radicalità<br />
del divenire cristiani in generale,<br />
il fatto che la conversione, per<br />
questo grande uomo, non fu certo un<br />
passaggio facile o indolore.<br />
endecasillabi sciolti<br />
21 dicembre 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
M PREGHIERA NELL’OSCURITÀ<br />
Questo Ti chiedo, o Cielo, se impazzissi,<br />
niente pietà; ma che si nutra il mondo,<br />
sì, se io, folle, a morte mi colpissi,<br />
cura Tu l’erba sopra al mio sepolcro.<br />
Se impegolato qui fra sole e terra<br />
urla e rumore, lasciami la grazia,<br />
nel sole, nella pioggia e nei Tuoi frutti,<br />
del muto, scintillante, sdegno Tuo.<br />
Le stelle, grazie a Dio, mi son precluse<br />
nel mio notturno, tormentato pianto<br />
che, grazie a Dio, non turba una falena,<br />
né il maledire mio recide un fiore.<br />
Benché si dica: il sole fu oscurato,<br />
splendeva io credo anche sul Calvario;<br />
ed Egli udendo, appeso a quella Croce,<br />
tutti i grilli cantar, fu consolato.<br />
Questa poesia ci ricorda che l’avventura<br />
Cristiana di Gilbert Keith<br />
Chesterton non è stata un costante,<br />
tranquillo navigare ma, al contrario,<br />
ha visto momenti di forte conflitto interiore.<br />
Certo, bisogna considerare che il<br />
protagonista- “io narrante” di una<br />
poesia, anche di una lirica, non coincide<br />
mai, esattamente, con l’autore e,<br />
tuttavia, la drammaticità di questi versi<br />
può indurre a riconsiderare quell’immagine<br />
di pacifico, olimpico gigante<br />
buono che si può ricavare di Chesterton<br />
dalla lettura dei suoi scritti.<br />
endecasillabi sciolti<br />
M NON AMMAZZARE<br />
Più non lo sopportavo; ero stufo<br />
del viso, delle mani, del suo alito.<br />
Quella voce, quel passo strascicati;<br />
io non l’odiavo: lo volevo morto.<br />
E la sua faccia vuota mi opprimeva –<br />
mi offuscava; così presi un coltello.<br />
Ma prima che colpissi, dal profondo,<br />
mi giunse un grido, “Sappi ciò che fai”.<br />
“Anima, tu sai questo uom comune<br />
che cosa è Dove scorrono gli anni<br />
c’è un essere vivente a cui quest’uomo<br />
è come l’infinito in una spanna,<br />
a un’anima tu il mondo porti via –<br />
Ora sai bene ciò che fai. Uccidi!”<br />
Così il coltello lo gettai per terra<br />
e scorsi l’uomo gretto incoronato.<br />
Ridendo, perché lì non c’era alcuno –<br />
e chi volevo uccidere ero io.<br />
Questa bellissima lirica di Chesterton<br />
ha, a mio avviso, più di un significato.<br />
La lettura dei primi diciassette<br />
versi, che condanna con profonda sensibilità<br />
l’omicidio, non è completamente<br />
rovesciata dalla sorpresa finale<br />
dell’ultimo verso, che ci svela il tutto<br />
come un tentativo di suicidio. <strong>Il</strong> primo<br />
punto di vista mantiene, anzi, la sua<br />
validità, e tutta l’originale struttura di<br />
questa composizione afferma, implicitamente,<br />
una terza verità, e cioè che<br />
omicidio e suicidio, agli occhi del Signore,<br />
non differiscono.<br />
endecasillabi sciolti<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 673
| ( 5 ) |<br />
M NOVITÀ<br />
Perché dei secoli dovrei curarmi<br />
Forse perché essi son vecchi e grigi<br />
Come un riso che scoppia inaspettato,<br />
per me le stelle sono allegre e vive;<br />
il mondo è un’audace fantasia,<br />
e completata ieri.<br />
Perché inchinarmi ai secoli dovrei<br />
Perché aridi e tetri essi furono<br />
Alberi lenti e prati rigogliosi<br />
per me son lì che corrono ruggendo<br />
una vivente carica, un assalto<br />
Per espugnare il cielo.<br />
I soli eterni e gli eterni sistemi,<br />
solidi tutti e tutti silenziosi,<br />
non son per me che stelle di un momento,<br />
le scintille del buon razzo di Dio<br />
che s’innalza nel cielo della notte<br />
di questo carnevale.<br />
Chesterton esprime qui, ancora una<br />
volta, con straordinaria potenza il proprio<br />
sconfinato e incondizionato amore<br />
per il Creato.<br />
strofe di versi sciolti, endecasillabi con<br />
settenario finale<br />
Immagine tratta da Missale romanum Ex Decretoi Sacrosanti Concilij Tridentini restitutum, Plantini, Antuerpiae 1577.<br />
21 dicembre 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
M ECCLESIASTE<br />
Solo peccato è dire… grigia una foglia verde,<br />
perché di questo il sole nei ciel rabbrividisce.<br />
C’è un’unica bestemmia: pregare per la morte,<br />
ché solo Dio conosce della morte la lode.<br />
Esiste un solo credo: non c’è terror del mondo<br />
che può distrar le mele dal crescere sui meli.<br />
Solo una cosa serve ed essa è – ogni cosa –<br />
<strong>Il</strong> resto è vanità di ogni vanità.<br />
L’accettazione radicale della vita e<br />
del Creato è alla base di questa breve<br />
lirica.<br />
settenari doppi sciolti<br />
M L’ANTICO DI GIORNI<br />
Un bimbo siede al sole e il suo sorriso<br />
non ne riesce a contener la gioia,<br />
e gioca in tutta quella lunga festa,<br />
fa rotolare biglie e le raccoglie;<br />
accanto a lui un mulino dipinto<br />
gira con un’allegra musichetta<br />
ma le sue vele sono i quattro venti<br />
e quelle biglie sono sole e luna.<br />
Una casa di bambole gli mostra<br />
verdi impiantiti e soffitti stellati,<br />
e le bambole poi multicolori<br />
vive per il suo riso solitario.<br />
Hanno corone e aureole quelle bambole,<br />
Oppure elmi e corna o anche ali.<br />
perché esse sono i santi e i serafini,<br />
esse sono i profeti e sono i re.<br />
Quanto sono piccoli e insignificanti<br />
anche i più importanti fra gli uomini al<br />
cospetto di Dio!<br />
endecasillabi sciolti<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 673
N IL VINO E L’ACQUA<br />
| ( 7 ) |<br />
La seguente canzone è cantata nel<br />
romanzo L’osteria volante dal protagonista,<br />
l’irlandese Capitano Patrick<br />
Dalroy. Per la presenza di numerose<br />
poesie e canzoni, questo romanzo<br />
umoristico (che ha comunque il valore<br />
profondo di una difesa senza compromessi<br />
dell’identità culturale e spirituale<br />
del popolo inglese) assume i toni e le<br />
cadenze della commedia musicale. Qui<br />
è presente, in particolare, la polemica<br />
contro le campagne proibizionistiche<br />
delle bevande alcoliche allora in corso,<br />
che minacciavano di fare assomigliare<br />
l’Inghilterra a un paese islamico.<br />
Polli e struzzi avea Noè… nella più gigante scala,<br />
il suo uovo era in un secchio… lo mangiava con la pala.<br />
<strong>Il</strong> suo brodo d’elefante… il suo pesce una balena,<br />
ma in confronto alla cantina… giù nell’arca facean pena,<br />
E cenando spesso disse… alla moglie là vicino,<br />
“Non m’importa dov’è l’acqua… pur che poi non va nel vino.”<br />
Su del ciel le cateratte… l’orizzonte l’oscurarono<br />
quasi schiuma in lavandino… ogni stella dilavarono,<br />
Ed i sette ciel ruggenti… inondarono l’inferno,<br />
strizzò l’occhio il buon Noè:… “Forse piove, pare inverno.<br />
Come un pozzo giù in miniera… l’acqua affonda anche il Cervino<br />
ma che importa dov’è l’acqua… purché poi non va nel vino.”<br />
Con Noè abbiam peccato;… barcollando camminato.<br />
finché un grande, scuro astemio… per punirci fu mandato,<br />
non da P.S.A. né ad Eisteddfod… vino in chiesa non c’è più,<br />
perché Dio di nuovo irato… il Diluvio mandò giù,<br />
acqua a mensa per il Vescovo… pel Filosofo divino,<br />
ma che importa dov’è l’acqua... purché poi non va nel vino.<br />
ottonari doppi in distici rimati<br />
21 dicembre 2011 Anno XI
| ( 8 ) |<br />
N CANZONE DEL GIUSTO E DELLO<br />
SBAGLIATO<br />
Celebrate a vino o ad acqua:<br />
l’onestà sarà sicura,<br />
figlio e figlia del Gran Dio<br />
egli il prode, ella la pura;<br />
ma se v’offre altre bevande<br />
un celeste serafino,<br />
accettate ringraziando,<br />
poi versate in lavandino.<br />
<strong>Il</strong> te è come il patrio Oriente<br />
mandarin giallo e onorevole<br />
cortesissimo nei modi<br />
del peccato inconsapevole;<br />
ché le donne al suo codino<br />
gli si attaccano, n’è pieno;<br />
però è come il patrio Oriente,<br />
quando è forte egli è veleno.<br />
<strong>Il</strong> te, anche se orientale,<br />
è cortese (è elementare);<br />
è un codardo il cioccolato,<br />
è una bestia ed è volgare,<br />
è sleale il cioccolato,<br />
mente e striscia per di più<br />
e può esser grato al pazzo<br />
che lo prende e manda giù.<br />
Quanto ad ogni sciapo liquido<br />
un diluvio giù n’è sceso<br />
quando i superalcolisti<br />
il buon bere hanno offeso;<br />
e come una danza macabra<br />
poi che il vin rosso infierì<br />
mandò il Signore la soda<br />
e ogni peccato punì.<br />
<strong>Il</strong> Capitano Dalroy ritorna sul tema<br />
delle bevande, fondamentale nell’Osteria<br />
Volante, in quanto la cultura della<br />
bevanda alcolica è sentita come parte<br />
insopprimibile dell’identità occidentale<br />
e britannica in contrapposizione<br />
alle bibite e agli infusi delle civiltà<br />
orientali. A riprova dell’assoluta incapacità<br />
da parte di Chesterton di ogni<br />
calcolo sulla convenienza di proferire<br />
certe affermazioni, si può ricordare<br />
che uno dei finanziatori del suo giornale<br />
produceva cioccolato.<br />
strofe di ottonari con il 2° e il 4° e poi il 6°<br />
e l’8° verso in rima<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 673
| ( 9 ) |<br />
N CANZONE CONTRO I DROGHIERI<br />
Iddio creò il malvagio Droghiere<br />
come un mistero e un segno, sì che l’uomo<br />
rifuggisse le orride botteghe<br />
e per cenare andasse all’osteria;<br />
con la pancetta appesa su alla trave,<br />
e il vino che sta lì dentro la botte,<br />
e Dio che il buon ridere creò<br />
il tutto vide e disse che era buono.<br />
<strong>Il</strong> Droghiere dal cuore depravato<br />
chiama talvolta sua madre “Signora”<br />
la riverisce e le fa complimenti,<br />
con l’intenzione di dannarle l’anima,<br />
e a lei, fregandosi le mani orribili,<br />
“che articolo desidera” domanda,<br />
anche se il testo che le converrebbe<br />
sarebbe proprio mortis in articulo.<br />
non sono figli suoi i suoi commessi<br />
ma sfrontati garzoni malpagati,<br />
che gridano “Contanti!” e il suo commercio<br />
portano avanti rio con gran rumore;<br />
lui tiene una signora in una gabbia<br />
con grande crudeltà per tutto il giorno,<br />
la chiama la sua “Miss” e la costringe<br />
fino all’esaurimento a fare conti.<br />
Spinti dall’onestà dei loro animi<br />
di tanto in tanto gli osti con gli amici<br />
sono indotti a stappare una bottiglia,<br />
servono anche qualche squattrinato,<br />
invece chi ha visto mai il Droghiere<br />
offrire il te ad una sua domestica,<br />
oppure aprir di salsa una bottiglia,<br />
offrire a un tale un pezzo di formaggio<br />
Soldi sonanti incassa per lo zucchero<br />
che invece è solo sabbia del deserto;<br />
spazza il locale e ne vende la polvere<br />
come il sale miglior della città,<br />
La “Canzone contro i Droghieri” è<br />
attribuita da Chesterton all’oste Humphrey<br />
Pump, personaggio dell’Osteria<br />
Volante che è un po’ il “Sancio Panza”<br />
del protagonista, Patrick Dalroy. Inutile<br />
dire che la comica virulenza della<br />
polemica del buon Pump contro l’avarizia<br />
dei bottegai si spiega in buona<br />
parte con il fatto che egli parla “pro<br />
domo sua”.<br />
endecasillabi sciolti<br />
21 dicembre 2011 Anno XI
di carne avvelenata egli rimpinza<br />
in scatolette i sudditi del Re,<br />
e quando essi muoiono a migliaia<br />
Beh, lui ne ride come niente fosse.<br />
Drogheggia il rio droghiere in questo modo<br />
trattando vino e superalcolici<br />
non con franchezza ed in compagnia<br />
com’è per gli uomini all’osteria;<br />
ma col sapone insieme alle sardine<br />
li affida impacchettati ai fattorini<br />
per essere ghermiti da duchesse<br />
E poi bevuti nelle lor tolette.<br />
| ( 10 ) |<br />
<strong>Il</strong> Droghiere istruito dall’inferno<br />
possiede un tempio che di latta è fatto,<br />
la rovina per tutti i bravi osti<br />
è lì che ad alta voce è invocata;<br />
però la sabbia è quasi esaurita<br />
da miscelar al suo scadente zucchero;<br />
trema il Droghiere ché il suo tempo è scarso<br />
come nella bilancia era il suo peso.<br />
N L’INGLESE<br />
San Giorgio proteggeva l’Inghilterra<br />
e poco prima che uccidesse il drago<br />
di birra inglese egli bevve una pinta<br />
da una caraffa che era pure inglese.<br />
Anche se sempre pronto a digiunare<br />
nel suo cilicio o nella sua corazza<br />
offrirgli una torta non è saggio<br />
a meno che tu non gli dia la birra.<br />
San Giorgio proteggeva l’Inghilterra,<br />
assai galantemente liberò<br />
la signora lasciata come pasto<br />
a un albero legata per il drago;<br />
ma già che sosteneva l’Inghilterra<br />
sapendo Inghilterra che significa,<br />
Altra canzone di Patrick Dalroy<br />
che, da irlandese, descrive umoristicamente<br />
San Giorgio come il prototipo<br />
dell’Inglese assolutamente fedele alle<br />
proprie tradizioni e “associazioni” di<br />
cibi e bevande. L’identità “gastronomica”<br />
è irrinunciabile.<br />
endecasillabi sciolti<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 673
| ( 11 ) |<br />
a meno che tu non gli dia del bacon<br />
non devi certo offrirgli dei fagioli.<br />
San Giorgio, sì, protegge l’Inghilterra<br />
e porterà lo scudo che portava<br />
quando noi si usciva in armatura<br />
con davanti la croce di battaglia.<br />
Ma benché sia d’allegra compagnia<br />
e si compiaccia molto di pranzare,<br />
non è prudente offrirgli delle noci<br />
A meno che tu non gli dia del vino.<br />
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX<br />
vicina Beaconsfield. Gilbert e Frances rimasero<br />
E GILBERT KEITH CHESTERTON<br />
sempre uniti da un tenero affetto, ma si trattò<br />
Gilbert Keith Chesterton (Londra, 1874 – Beaconsfield<br />
anche di un matrimonio in cui la donna dovette<br />
1936) nacque da famiglia borghese an-<br />
occuparsi di ogni aspetto della vita familiare per<br />
glicana. Studente non troppo brillante, frequentò<br />
l’incapacità del marito di trattare faccende pra-<br />
la Slade School of Art (e di ciò rimane tiche.<br />
traccia nei suoi originali disegni) e poi lo University<br />
Chesterton cercò di esprimere concretamendonò<br />
College di Londra, che tuttavia abbante<br />
il proprio interesse sociale attraverso la teoria<br />
senza essersi laureato.<br />
del Distributismo, basata, in contrapposizione<br />
Ventenne, attraversò una fase depressiva che al capitalismo e al socialismo, su un rafforzamento<br />
si tradusse in crisi religiosa. Tuttavia, seppe<br />
della piccola proprietà individuale e di<br />
uscirne confermato nella fede cristiana e, nel ogni tipo di lavoro autonomo agricolo e artigianale.<br />
1895, cominciò la carriera giornalistica su vari<br />
<strong>Il</strong> Distributismo fu certo influenzato dalla<br />
quotidiani londinesi per poi dar vita al giornale Rerum Novarum di Leone XIII e dalla Dottrina<br />
Eye Witness insieme con il fratello minore Cecil.<br />
Sociale della Chiesa Cattolica che da quel-<br />
In effetti, quella di giornalista rimarrà sempre<br />
l’enciclica aveva avuto origine. La conversione<br />
la principale occupazione di Chesterton, ufficiale di Chesterton al Cattolicesimo risale al<br />
proseguita nel New Witness, (portato avanti 1922, ma già molto tempo prima di allora la sua<br />
dopo la morte in guerra, nel 1918, dell’amato attrazione verso il cattolicesimo romano era<br />
Cecil) insieme con l’amico, lo scrittore cattolico<br />
evidente.<br />
Hilaire Belloc e, infine, nel settimanale Umorista e polemista straordinario, era ri-<br />
G.K.’s Weekly da lui personalmente diretto. In cercatissimo per conferenze e dibattiti, che<br />
quarant’anni pubblicò migliaia di articoli sugli spesso consistevano in una sorta di duelli verbali<br />
argomenti più svariati, tutti uniti però da un con altre famose personalità della cultura inglese<br />
fondamentale interesse etico per la persona<br />
contemporanea molto lontane dalle sue<br />
umana e la società.<br />
idee, come i socialisti George Bernard Shaw e<br />
Nel 1901 Chesterton sposò Frances Blogg. H.G. Wells i quali, pur in eterna polemica con<br />
La coppia, che purtroppo non fu mai allietata lui, gli rimanevano amici, inchinandosi di fronte<br />
dalla nascita di un figlio, si stabilì dapprima a<br />
al suo genio e apprezzando comunque una<br />
Londra per poi trasferirsi in una villetta nella lealtà e una bonomia che superavano ogni<br />
contrapposizione ideologica. Gli scontri fra<br />
21 dicembre 2011 Anno XI
“G.B.S.” e “G.K.C”, in particolare, furono negli<br />
anni ’20 il clou della scena culturale inglese.<br />
Negli anni ’30 Chesterton mantenne la sua<br />
straordinaria popolarità anche grazie al nuovo<br />
mezzo della radio. Dai microfoni della BBC,<br />
infatti, fu diffusa una serie di suoi discorsi la cui<br />
sapiente miscela di saggezza, cultura e umorismo<br />
affascinò milioni di ascoltatori.<br />
Venendo a Chesterton scrittore, si trova anche<br />
qui una straordinaria molteplicità di interessi<br />
e di risultati. La poesia lo accompagnò per<br />
tutta la vita, ma si può dire che l’anno 1911, con<br />
la pubblicazione dei due poemi <strong>Il</strong> cavallo bianco<br />
e Lepanto, segni l’acme in questa attività. Si<br />
tratta di poesia eroica e cristiana con i due protagonisti,<br />
rispettivamente re Alfredo il Grande<br />
e Don Giovanni d’Austria ritratti nel salvare il<br />
proprio mondo cristiano dall’invasione pagana.<br />
Molte altre sono, comunque, le opere in versi di<br />
Chesterton che in stili e toni diversi trattano<br />
vari temi, non dimenticando alcune potenti liriche<br />
che ci aprono squarci interessanti sulla personalità<br />
dell’autore, probabilmente più tormentata<br />
di quanto comunemente si pensi.<br />
La critica degli ultimi anni ha considerato<br />
con sempre maggiore interesse la produzione<br />
saggistica di G.K. Chesterton. Opere come<br />
Eretici (1905), Ortodossia (1908), le biografie di<br />
San Francesco d’Assisi (1923) e di San Tommaso<br />
d’Aquino (1933) rappresentano punti fermi del<br />
pensiero cristiano e cattolico del XX secolo.<br />
Tuttavia, è sui romanzi e, ancor più, sui racconti<br />
che si basa tuttora la sua popolarità. Le successive<br />
raccolte dei Racconti di Padre Brown,<br />
dal 1911 al 1935, ottennero un successo strepitoso<br />
(e anche quel discreto reddito che consentì<br />
all’autore di vivere agiatamente e tenere in vita i<br />
suoi giornali) che tuttora continua. E a ragione,<br />
perché nelle storie del piccolo prete detective<br />
sono presenti non solo l’acume e lo spirito dell’autore<br />
ma anche la sua sensibilità e il suo cuore.<br />
Da non sottovalutare, inoltre, il fatto che<br />
Padre Brown rappresenta tecnicamente una<br />
tappa importante nella storia del giallo, poiché<br />
qui Chesterton è il primo a costruire il gioco in<br />
| ( 12 ) |<br />
cui, attraverso la discreta offerta degli indizi, il<br />
lettore è stimolato a scoprire la soluzione della<br />
vicenda.<br />
Per finire, quelli di Chesterton sono romanzi<br />
molto particolari, ammesso che tali possano essere<br />
definiti. <strong>Il</strong> Napoleone di Notting Hill<br />
(1904), L’uomo che fu Giovedì (1908), Le avventure<br />
di un uomo vivo (1912) sono più che altro<br />
apologhi, allegorie, sogni in cui l’umorismo<br />
fantastico dello scrittore serve ottimamente il<br />
proposito di esporre tesi solo apparentemente<br />
paradossali ma fondate sul concretissimo terreno<br />
del buon senso cristiano. Per L’osteria volante<br />
(1914) il caso è alquanto diverso. Qui la struttura<br />
narrativa è più tradizionale, anche se originale<br />
(e molto riuscita) è l’inserzione di canzoni<br />
e poesie che trasformano il romanzo in una sorta<br />
di esilarante commedia musicale. Forse, però,<br />
l’aspetto più valido dell’opera sta nel suo valore<br />
profetico. Per certi versi una sorta di versione in<br />
prosa fantastica e umoristica di Lepanto, L’Osteria<br />
volante descrive un complotto<br />
politico/culturale islamico per soggiogare l’Inghilterra<br />
alla fine sventato per merito di un ufficiale<br />
irlandese e di un oste inglese.<br />
LA SCHEDA E I COMMENTI SONO A CURA<br />
DI RODOLFO CAROSELLI.<br />
<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) N° 673
<strong>Covile</strong> ) ANNOXI<br />
B<br />
RISORSE CONVIVIALI<br />
E VARIA UMANITÀ<br />
26 DICEMBRE 2011<br />
¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬¬<br />
A <strong>Il</strong><br />
N°674<br />
RIVISTA APERIODICA<br />
DIRETTA DA<br />
STEFANO BORSELLI<br />
XY X<br />
Penetriamo nuovamente in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo. Nicolás Gómez Dávila<br />
a Questo numero.<br />
Mentre i re Magi proseguono il loro cammino, Pietro<br />
De Marco e Almanacco romano ci propongono<br />
un momento di riflessione sulla forma del Natale,<br />
segue, evocata da De Marco ma è un invito all'ascolto,<br />
il testo di una bella musica natalizia; conclude un<br />
altro emblema di Giuseppe Ghini. N<br />
INDICE<br />
1 Pietro De Marco. Due lettere.<br />
3 Almanacco romano. Piccoli orrori natalizi.<br />
5 S'apra al riso ogni labro. Cantata per la Notte del<br />
Santissimo Natale. Musica di Alessandro Stradella,<br />
testo di anonimo.<br />
8 Giuseppe Ghini. Gli Emblemi del 2000: 2 . Anche<br />
i più feroci si possono domare.<br />
123<br />
a Due lettere.<br />
DI PIETRO DE MARCO<br />
M SUL NATALE, A GIULIANO FERRARA.<br />
Caro direttore, mi ero sorpreso, a prima<br />
vista, di fronte al Suo invito a papa Benedetto<br />
(<strong>Il</strong> Foglio di lunedì 19 dicembre): non<br />
‘festeggiare’ il Natale data la forma orrenda<br />
che ha assunto il mondo. Anche tra cristiani<br />
(e preti) ‘di base’ non è mai mancato qualcosa<br />
di simile: sospendere il Natale finché v’è<br />
un emarginato, qualcuno che soffre; ma (mi<br />
sono detto) non hanno parentela con Ferrara!<br />
Ho visto subito dopo che il quadro del<br />
mondo che Lei profila è quello dell’uccisione<br />
dei non nati a diabolica tutela di un bene<br />
privato o pubblico; questione che in genere<br />
ai contestatori ecclesiali non interessa. Ma<br />
vorrei dirLe perché il Natale va ‘festeggiato’,<br />
comunque.<br />
Anzitutto qualcosa sul ‘festeggiare’; separiamo<br />
il far festa, umanissimo, per e in un<br />
periodo festivo, dal celebrare una Festa, una<br />
potente ricorrenza che dice, anzi ‘rappresenta’<br />
e ‘contiene’, la storia (sacra) del mondo.<br />
Possiamo ben chiedere di non gioire,<br />
emotivamente, secolarmente, durante le feste,<br />
riflettendo sulle morti autorizzate e deliberate<br />
per il peggior fine, per la nostra<br />
condizione di ultimi uomini. Gli ‘ultimi uomini’<br />
elevano sacrifici umani per la propria<br />
‘felicità’ (animale, per ricordare le tesi di<br />
Alexandre Kojève) che chiede solo appagamento.<br />
Ma non possiamo, non dobbiamo,<br />
chiedere di non celebrare, e con gioia, la fe-<br />
sull’Editoria n°62 del 2001. ☞Redazione: Stefano Borselli (direttore), Riccardo De<br />
Ciro Lomonte, Ettore Maria Mazzola, Alzek Misheff, Pietro Pagliardini, Alma-<br />
Serafini, Stefano Silvestri, Francesco Borselli, Iacopo Cricelli, Massimiliano Do-<br />
Commons Attribuzione. Non commerciale. Non opere derivate 2.5 Italia Li-<br />
☞Font utilizzati: per la testata i Morris Roman di Dieter Steffmann e i Morris<br />
www.iginomarini.com. ☞Software: impaginazione LibreOffice, immagini GIMP.<br />
<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong> è una pubblicazione non periodica e non commerciale, ai sensi della Legge<br />
Benedetti, Pietro De Marco, Armando Ermini, Luciano Funari, Giuseppe Ghini,<br />
nacco romano, Gabriella Rouf, Nikos A. Salìngaros, Andrea G. Sciffo, Stefano<br />
minici. ☞ © 2011 Stefano Borselli. Questa rivista è licenziata sotto Creative<br />
cense. ☞Email: il.covile@gmail.com. ☞Arretrati disponibili a www.ilcovile.it.<br />
Ornament della HiH Retrofonts, per il testo i Fell Types realizzati da Igino Marini,
| ( 2 ) |<br />
sta della Nascita di Gesù. Poiché qualsiasi<br />
cosa avvenga nella storia, quell’evento (l’Incarnazione)<br />
è certitudo salutis. Non nel senso<br />
di uno stolido ‘siamo tutti salvi per bontà<br />
di Dio’, di un ‘ora siamo a posto’ poiché<br />
tutto verrà perdonato – che detto così, simpliciter,<br />
è estraneo alla Rivelazione. <strong>Il</strong> Natale<br />
esige per se stesso la festa, la rottura del<br />
tempo ordinario (secondario), l’intensificazione<br />
del Tempo che rende attuale l’Evento,<br />
e ne gioiamo perché di nuovo è, ora. Certo:<br />
il Natale esige una gioia rivolta esclusivamente<br />
a quella carne divina, poiché a rigore<br />
nient’altro è festeggiato; ogni altro motivo<br />
può essere messo tra parentesi, politicamente<br />
– cioè nell’evidenza del Nemico, e contro il<br />
desiderio dell’ultimo uomo di non avere altro<br />
Nemico se non colui che casualmente<br />
contrasta il suo inerte otium.<br />
La gioia del Natale è giudizio (krisis),<br />
dunque, e fondamento di giudizio. Senza la<br />
certezza dell’Incarnazione qualsiasi salvazione<br />
diviene credibile, la più ingenua o la<br />
più infame, ma solo col canone dell’Incarnazione<br />
ogni sacrificio umano (qual è anche<br />
l’aborto) risulta svuotato, per rispetto che<br />
quegli esseri – che chiamiamo embrioni o<br />
feti – chiedono e, ancora di più (se vi è un di<br />
più), per l’assenza di ogni ragione fondante.<br />
<strong>Il</strong> Natale ci rende estranei alla nostra chiusa<br />
eudemonia, e capaci di storia. Piuttosto che<br />
una sospensione, come Lei chiede, chiederei<br />
a Benedetto XVI – ma non ve n’è bisogno –<br />
una celebrazione splendente e ridente (perché<br />
ogni liturgia partecipa alla gioia dei cieli)<br />
del hodie natus est nobis. Riderà anche<br />
Lei, a quel punto, con gratitudine per la<br />
maternità di Maria. Saprà, sapremo, che<br />
solo così è possibile opporsi alla festa di chi<br />
insidia gli Innocenti.<br />
Buon Natale. Pietro De Marco<br />
M IN MARGINE E NEL CUORE.<br />
LUCY NICHOLSON, Los Angeles 2009. © REUTERS/Lucy Nicholson.<br />
Cari Padri, ho visto nel vostro messaggio<br />
d’auguri la foto-biglietto d’auguri Los Angeles<br />
2009 e capisco la tentazione, vostra,<br />
nostra, di fare di uno squallido ‘interno con<br />
bambino’ (un’installazione una finzione ad<br />
uso dell’artista) l'iconografia del Natale.<br />
Ma credo sia un errore; la nascita di Gesù va<br />
celebrata, quindi riattualizzata (secondo il<br />
mistero della liturgia, il mistero che è la lid<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 674
| ( 3 ) |<br />
turgia) nello splendore e nella gioia; la mimetica<br />
della povertà (in realtà non tale nei<br />
vangeli: ‘non trovarono alloggio', è un'altra<br />
cosa, è anzitutto sui eum non receperunt) non<br />
deve stravolgere i segni, o la memoria sacramentale<br />
e la stessa lex credendi si depauperano.<br />
Cos'è, o rischia di essere, il ‘Natale' della<br />
Nicholson se non rivolgere un attimo il<br />
cuore (‘cuore' forse nel senso più superficiale:<br />
l'emozione) su povertà e abbandono (altrui)<br />
prima di andare al pranzo di Natale<br />
Giuliano Ferrara, con la sua intelligenza<br />
cristiana (un non credente [] ma cristiano<br />
esplicito di fronte a tanti credenti [] ma<br />
cristiani anonimi), ha proposto a Benedetto<br />
XVI di non celebrare o non festeggiare (in<br />
lui non è chiaro) il Natale, di fronte all'orrore<br />
quotidiano della deriva bioetica del<br />
mondo. Gli ho replicato, nel modo che vi<br />
allego e sottopongo al vs giudizio, perché<br />
esplicita quello che ho appena scritto. <strong>Il</strong><br />
Natale deve essere celebrato con segni intatti<br />
di gioia, poiché non vi ‘rappresentiamo’<br />
le nostre venture o sventure personali o sociali,<br />
ma un inalterabile fatto e motivo di<br />
‘riso', come ripetevano le mirabili Cantate<br />
per il ss. Natale di Alessandro Stradella (siamo<br />
negli anni Settanta del Seicento, incomparabilmente<br />
più duri, poveri, dei nostri;<br />
l’autore del testo è ignoto, ma – giudicando<br />
da un’antologia – potrebbe essere il friulano<br />
Ciro di Pers le cui poesie postume circolano<br />
a stampa dal 1666): “Si apra al riso ogni labro<br />
/ e si racchiuda ogni pupilla al<br />
pianto / ... / Perché, perché / La cagion<br />
d'ogni gioia è il gran Natale / di fanciullo<br />
Reale / ...". Ve lo sottolineo, anche con quel<br />
tanto di lievità che viene dai paradossi (noi a<br />
scuola del devozionalismo barocco il nostro<br />
Natale tra barocco e infantile pietà alfonsiana!);<br />
ma non spetta alla tradizione benedettina<br />
servare (conservare-salvare) la<br />
forza dei segni della lex orandi, trascendente<br />
ogni contingenza di fatti e di umori dei nostri<br />
cuori<br />
L'augurio più affettuoso. Vostro Pietro<br />
De Marco.<br />
123<br />
a Piccoli orrori natalizi.<br />
DI ALMANACCO ROMANO<br />
Fonte: http://almanaccoromano.blogspot.com 21.12.2011<br />
Gesù disegnato come un marmocchio con<br />
un solo dentone, lentiggini e ciuffetto, che<br />
pende dal becco di una cicogna: così una<br />
parrocchia di Monte Mario a Roma narra<br />
sul suo bollettino l’incarnazione divina. Una<br />
spiritosaggine o piuttosto il dramma della<br />
incapacità di esprimersi, la confusione sui<br />
fondamentali, l’assoggettamento al gergo<br />
dominante, quello parodistico e comico.<br />
L’ossessivo ‘aggiornamento’ dei cattolici ha<br />
tanto in uggia l’eternità da diventare feticismo<br />
dell’immaginario reclamistico; il prete<br />
sull’altare non parla e canta nella lingua<br />
contemporanea, ripete nelle forme cheap<br />
della parrocchietta il tracotante idioma dei<br />
pubblicitari. A maggior gloria del Kitsch. I<br />
misteri cristiani spariscono, al loro posto si<br />
avverte l’enigma della merce.<br />
(<br />
Violata la regola universale della Catholica,<br />
si improvvisa continuamente con le migliori<br />
intenzioni di questo mondo (del mondo,<br />
appunto), ci si diverte a colpi di creatività<br />
da maestre di asilo in un ambito che non<br />
ha niente della ludoteca. C’è chi distribuisce<br />
26 dicembre 2011 Anno XI
| ( 4 ) |<br />
la comunione facendo zuppetta con l’ostia<br />
nel «sangue di Cristo» contenuto in un calice<br />
che il celebrante affida a un ragazzo o a<br />
una matura signora della prima fila, chi pretende<br />
di ricevere l’ostia in mano e, appena<br />
girato, se la porta in bocca col gesto prosaico<br />
del Mangiatore di fagioli di Annibale<br />
Carracci, c’è l’officiante che nel bel mezzo<br />
del sacro rito si dilunga nell’informazione<br />
spicciola, invogliando alla gita parrocchiale<br />
in Spagna o ad acquistare il biglietto dello<br />
spettacolo di beneficenza dove sono assicurate<br />
matte risate, chi dopo una breve lettura<br />
va a sedersi su uno scranno e resta in un lungo<br />
silenzio che mette in ansia i fedeli su un<br />
possibile mal di pancia del prete o su una sua<br />
improvvisa conversione al Quietismo, chi<br />
evita le candele e chi la croce, chi va a stringere<br />
la mano in segno di pace per tutta la<br />
chiesa, alla maniera dei politicanti in cerca<br />
di voti, rendendo vana quella lavanda dei<br />
polpastrelli da ogni impurità prima di toccare<br />
le sacre specie, chi spiega di volta in<br />
volta ogni suo gesto quasi si fosse in piena<br />
didattica catechistica invece che nella ripetizione<br />
di un sacrificio… Un prete in vena di<br />
cortesie per gli ospiti lodava la pazienza dei<br />
fedeli per aver assistito alla messa domenicale,<br />
quasi si trattasse di una sua conferenza<br />
poco brillante, chissà che ne avrebbe pensato<br />
sulla croce il Patiens per antonomasia.<br />
(<br />
Un giorno, in Paradiso, magari ci si accorgerà<br />
della manchevolezza armonica delle<br />
più elevate composizioni di Beethoven, e<br />
tutte le opere musicali, pittoriche e letterarie<br />
che tanto sembravano accostarci al Cielo<br />
– l’arte è quella attività che più somiglia alla<br />
religione, sosteneva Pio XII – mostreranno<br />
da una tale distanza la loro debolezza, però<br />
della volgarità di tutte le canzoncine postconciliari<br />
si è consapevoli fin da adesso. Né<br />
vale obiettare che anche i pii canti di una<br />
volta apparivano teologicamente zoppicanti,<br />
i testi ingenui, semplici le melodie: erano<br />
infatti espressione popolare, niente di male,<br />
mentre ora si tratta di sottospecie del pop,<br />
di scarti festivalieri, ovvero di prodotti mercificati<br />
(non c’è bisogno di aver letto Adorno<br />
per capirlo), in ogni caso i dolci inni in<br />
onore della Madonna e dei santi si intonavano<br />
nelle processioni e nelle funzioni minori,<br />
non accompagnavano la somma liturgia<br />
della messa.<br />
(<br />
Restiamo a Monte Mario, l’altura che fa<br />
ombra alla valle del Vaticano, il Monte<br />
Gaudio dei pellegrini – risuona anche in<br />
Dante –, luogo felice dunque perché da lassù<br />
si vedeva finalmente la meta, la basilica di<br />
San Pietro. Su questo ‘monte’, di appena 139<br />
metri, sorge la chiesa di Santa Maria del<br />
Rosario, un rifugio delizioso tra il modernismo<br />
delle case anni Cinquanta. Qui, Franz<br />
Liszt si nascose al mondo e contemplò<br />
Roma. Dopo «il virtuoso degli anni del pellegrinaggio»,<br />
dopo «lo tzigano delle rapsodie<br />
ungheresi», dopo «il maestro di cappella<br />
di corte», si presentò alla vita musicale come<br />
«l’abate Liszt». Ospite del convento che affiancava<br />
la settecentesca chiesa, uno dei<br />
massimi geni musicali serviva umilmente la<br />
liturgia suonando un armonium – mancando<br />
i soldi per acquistare un organo – e componeva<br />
musica sacra nel silenzio del luogo.<br />
Liszt «vide in Roma – si legge in un vecchio<br />
programma di sala – un forum mondiale<br />
dove realizzare le sue ambizioni riformatrici<br />
nei generi e nelle istituzioni della musica liturgica<br />
cattolica. Suo desiderio era poter diventare<br />
un “nuovo Palestrina, salvatore della<br />
musica”». Quale migliore occasione allod<strong>Il</strong><br />
<strong>Covile</strong>f N° 674
| ( 5 ) |<br />
ra, in queste celebrazioni del bicentenario<br />
lisztiano che ci hanno accompagnato nell’anno<br />
ormai alla fine, per una riflessione<br />
solenne, magari proprio in questo eremo,<br />
sul ruolo della musica nei riti cattolici di<br />
oggi Invece, la scorsa domenica, forse per<br />
un improvvido dono di Natale, la messa nella<br />
chiesa ‘di Liszt’ era accompagnata dalle<br />
chitarre e dalle solite, bruttissime, canzonette.<br />
(<br />
Non è la chitarra in sé che irrita i disgraziati<br />
fedeli (anche se non è un caso che il regale<br />
organo, con i suoi soffi evocanti lo Spirito<br />
santo, sia il principe degli strumenti<br />
musicali liturgici), la leggenda che accompagna<br />
la notissima Stille Nacht sta a dimostrarlo:<br />
alla vigilia di Natale del primo Ottocento<br />
l’organo di una chiesetta alpina si<br />
era rotto e il compositore austriaco Franz<br />
Xaver Gruber, in mancanza di meglio, eseguì<br />
il suo canto romantico alla chitarra, ma<br />
suonandola appunto in modo ‘classico’, pizzicando,<br />
arpeggiando, non battendo tempi<br />
corrivi con ‘pennate’ – cioè a colpi di plettro<br />
– accompagnamento più adatto ai coretti<br />
della gita scolastica. Quando non si ricorre<br />
alla violenza beat, moda peraltro che<br />
risale a mezzo secolo fa, si ripiega su melodie<br />
del tutto simili alle colonne sonore delle<br />
soap: perché mai i fedeli devono trovare nel<br />
tempio di Dio i medesimi suoni che ci tormentano<br />
nel regno dell’effimero televisivo<br />
Perché il prete deve trasformarsi in animatore<br />
Tutti da rianimare, tutti senz’anima<br />
ALMANACCO ROMANO<br />
(<br />
0112334<br />
S'APRA AL RISO<br />
/ OGNI LABRO :<br />
Cantata per la Notte del Santissimo Natale<br />
/ Musica di ALESSANDRO STRADELLA, :<br />
testo di anonimo.<br />
/ :<br />
5667889<br />
Per soprano, alto & basso<br />
Due violini e basso continuo<br />
ANGELO 1 Soprano<br />
GIOVANE PASTORE Alto<br />
PASTORE Basso<br />
ANGELO<br />
S'apra al riso ogni labro<br />
e si racchiuda ogni pupilla al pianto!<br />
GIOVANE PASTORE<br />
Di giubilo cotanto<br />
chi fia giocondo fabro<br />
ANGELO<br />
La torbida tempesta<br />
raserenar convien<br />
d'ogni cura molesta,<br />
e spezzar le catene<br />
ch'il primo genitor<br />
ci pose al piè.<br />
1 Poiché negli originali mss. (Torino e Modena) dello spartito<br />
non sono esplicitate le parti, altri, ad es. l'Area della ricerca<br />
linguistica dell'Università di Pisa, propongono in rete versioni<br />
con un altro pastore in luogo dell'angelo, rendendo così il dialogo<br />
poco perspicuo; noi seguiamo sostanzialmente la scrupolosa,<br />
e ben più plausibile, lezione di Franco Pavan adottata<br />
dall'Orchestra Barocca della Civica Scuola di musica di Milano,<br />
direttore E. Gatti, in un bel CD diffuso dalla rivista Amadeus.<br />
26 dicembre 2011 Anno XI
| ( 6 ) |<br />
Perché Perché<br />
I DUE PASTORI<br />
Chi Chi<br />
I DUE PASTORI<br />
ANGELO<br />
La cagion d'ogni gioia è il gran Natale<br />
di fanciullo reale<br />
a cui gl'astri più belli<br />
ornan le chiome.<br />
Come Come<br />
I DUE PASTORI<br />
ANGELO<br />
Quel ch'al Fato dà legge,<br />
quel che dà 'l volo ai venti,<br />
il corso all'acque,<br />
quello ch'il mondo regge<br />
sotto povero tetto or ora nacque;<br />
e in sembianza di tenero bambino<br />
il suo corpo divin<br />
d'umanità vestì.<br />
ANGELO<br />
Vostra stupida mente<br />
non si confonda più:<br />
quello ch'è nato è il Redentor Gesù.<br />
O fortunato avviso!<br />
GIOVANE PASTORE<br />
PASTORE<br />
O prospera novella!<br />
I DUE PASTORI<br />
S'apra ogni labro al riso!<br />
Su su, al canto si sciolga ogni favella!<br />
Immagini tratte da Missale romanum Ex Decretoi Sacrosanti Concilij Tridentini restitutum, Plantini, Antuerpiae 1577.<br />
d<strong>Il</strong> <strong>Covile</strong>f N° 674
| ( 7 ) |<br />
TUTTI<br />
O di notte felice e beata<br />
ombra amata,<br />
gradito orrore in cui sorge<br />
e vita a noi porge<br />
delle stelle il supremo Fattore.<br />
ANGELO<br />
Con insoliti e chiari splendori<br />
al Natale del Re delle sfere,<br />
ogni tenebra par che s'indori<br />
e scintillin le nubi più nere.<br />
Le caligini oscure il ciel disgombra,<br />
all'apparir del sol sparisce ogn'ombra.<br />
PASTORE<br />
Della gregge mansueta<br />
fida turba conduttrice,<br />
godi pur festosa e lieta<br />
ad annuncio sì felice.<br />
TUTTI<br />
Temer più non lice<br />
d'arciera severa<br />
il colpo mortale:<br />
spezza al nascer di Dio morte lo strale.<br />
ANGELO<br />
Or mirate il gran tonante,<br />
ch'umanato pargoleggia<br />
e nel fieno ha la sua reggia,<br />
ch'ha nel ciel soglio stellante.<br />
Gl'occhi volgete a Dio ch'a voi si svela;<br />
quindi ardete per lui s'ei per voi gela.<br />
GIOVANE PASTORE<br />
All'ignudo Redentore,<br />
se non fosse troppo angusto<br />
e di colpe così onusto,<br />
offrirei per cuna il core,<br />
o col foco de' caldi sospir miei<br />
le fredde membra sue riscalderei.<br />
PASTORE<br />
Con quel gel ch'il sen gl'agghiaccia<br />
vibra altrui celeste arsura,<br />
ond'avvien ch'ogn'alma pura<br />
dolcemente si disfaccia.<br />
Ei regge il mondo eppur vagisce infante:<br />
ha le saette in mano ed è tremante.<br />
I DUE PASTORI<br />
Mentre ingemmano il suo viso<br />
vive perle ruggiadose,<br />
da sue lagrime preziose<br />
ha il natale il nostro riso.<br />
E mentre ei dà principio a un mesto pianto<br />
il nostro lagrimar termina intanto.<br />
E non si spezza<br />
a tant'amore<br />
l'aspra durezza<br />
d'ingrato core,<br />
ANGELO<br />
TUTTI<br />
O gran bontà del regnator dell'Etra:<br />
Iddio si fa di carne e l'uom di pietra.<br />
IL FINE<br />
1111112333333<br />
26 dicembre 2011 Anno XI
O<br />
| ( 8 ) |<br />
GIUSEPPE GHINI GLI EMBLEMI DEL 2000.<br />
R<br />
ANCHE I PIÙ FEROCI SI POSSONO DOMARE.<br />
Leoncelli, lupi grigi, ultras, no-global:<br />
a tutti si mettono le briglie, volendo.<br />
Più difficile è che si dia meta,<br />
il figlio di un pedagogista sessantottino.<br />
†<br />
S<br />
II ETIAM FEROCISSIMOS DOMARI.<br />
V<br />
26 dicembre 2011Wehrlos, doch in nichts vernichtet / Inerme, ma in niente annientato (Konrad Weiss Der christliche Epimetheus) Anno XI