Disegni, dipinti e acquerelli - Arsbit
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invece il pittore sia un «colorista». Lo si può vedere assai bene in numerose opere<br />
dell’artista presenti in questo volume. Segnaliamo, ad esempio, La notte dello stambecco<br />
del 1988, per il quale il disegno funge quasi da mappa per il prodotto finale,<br />
e soprattutto Il pittore del 2007, di cui esiste il disegno omonimo e che funge anche<br />
da manifesto programmatico, poiché in primo piano in basso notiamo la presenza<br />
di disegni preparatori fra le mani della modella sdraiata. Ma non è detto che il progetto<br />
di partenza sia costituito da un vero e proprio disegno. Si veda Paesaggio sul<br />
Gange (Banaras) del 1996, la cui fonte concettuale è una fotografia scattata a Benares<br />
dallo stesso Valerio Adami. L’autore, insomma, usa una molteplicità di mezzi di<br />
cattura di istantanee figurative, e poi inizia il suo personale lavoro di trasformazione/trasfigurazione.<br />
Tutto ciò corrisponde perfettamente a una concezione «classica» dell’arte. Ovvero<br />
a una concezione ordinata e razionale dell’espressione estetica, non a un’idea<br />
emotiva, immediata, irrazionale, frammentaria della medesima. E infatti ci sono<br />
«patemi» nella pittura di Adami, ma non certo «stilemi sentimentali». Come voleva<br />
il sensismo inglese, o come diceva lo stesso Kant, l’arte si presenta come fatto sensoriale<br />
che produce un primo giudizio fisico di accettazione o rifiuto (piacere o dolore),<br />
e poi si sottopone a un giudizio ulteriore di natura quasi cognitiva. Di fronte all’arte,<br />
cerchiamo sempre di capire in che cosa consista, che cosa voglia dire la sua straordinaria<br />
complessità. Se ci si arriva, si raggiunge il sentimento del bello. Se non ci si<br />
arriva, resta in mente una specie di scacco intellettuale: comprendiamo che l’opera o<br />
l’oggetto naturale ha una sua razionalità, ma non possediamo gli strumenti per spiegarla,<br />
e reagiamo con un altro sentimento che ugualmente mi adegua all’opera o<br />
all’oggetto, il sentimento del sublime.<br />
In questo senso, il lavoro di Adami è perfettamente neoclassico. Non produce<br />
passioni stereotipate, ma sensazioni, talora ricercatamente elementari e leggere (colori<br />
vivaci e tonalità compatte, forme piacevoli e composizioni misurate). E poi cerca<br />
di guidare lo spettatore verso una profondissima organizzazione concettuale, fatta di<br />
citazioni, di rime e ritmi, di rinvii e rimandi enciclopedici. In una parola, l’arte di<br />
Adami è fortemente ragionata e discorsiva, un po’ come quella che in letteratura è<br />
stata la narrativa di Calvino, da tutti sempre citata, non a caso, come corrispettivo<br />
verbale della pittura del nostro artista. Dopodiché, ci sono due possibilità: comprenderla<br />
razionalmente, e trovarla «bella», o non esaurire il suo contenuto intellettuale,<br />
e trovarla «sublime».<br />
2. Il colore<br />
Un secondo nodo teorico dell’arte di Adami è senza dubbio quello del colore. Il<br />
tema è ovviamente decisivo per tutta la storia dell’arte, tanto è vero che troviamo trattati<br />
sulla materia fin da epoche molto antiche. Va rilevato, però, che la questione del<br />
colore in pittura subisce alcune variazioni di trattamento che corrispondono a vere e<br />
proprie rotture epistemologiche. Agli inizi, si tratta semplicemente di una tecnica.<br />
Poi, la capacità di applicazione dei colori entra a far parte dell’«imitazione» della<br />
natura, cioè della realizzazione di quanto viene rappresentato. Ma, ancora una volta<br />
a partire dal Cinquecento, il colore diventa soggettivo, appartiene alle scelte individuali<br />
dell’artista per il raggiungimento degli effetti (emotivi, simbolici, insomma<br />
«secondi») che questi si prefigge. Non a caso, i trattatisti cinquecenteschi sostituiscono<br />
alla parola stessa «colore» il termine «colorire», che meglio rappresenta<br />
l’azione dell’artista nella costruzione del proprio testo. Il colorire, infatti, non si fonda<br />
su regole di appropriatezza nella mimesi della natura, bensì sulla capacità di rendere<br />
unitaria o contrastiva la percezione del quadro nel suo insieme. Leonardo, ad esempio,<br />
utilizzava l’idea di «amicizia» e «contrarietà» dei colori nel loro rapporto di vicinanza.<br />
Il concetto è stato variamente sviluppato nella storia dell’arte e della critica,<br />
fino a diventare un elemento basilare per il giudizio sull’opera. Nel Settecento, ad<br />
esempio, due seguaci italiani di Anton Raphael Mengs, Baldassarre Orsini e<br />
Francesco Milizia13 introducono la distinzione fra colore proprio, quello che costituisce,<br />
per l’appunto, le proprietà del dipinto, e colore locale, quello che fa parte delle<br />
proprietà dei singoli oggetti rappresentati.<br />
Si capisce molto bene, a questo punto, quel che ha scritto Hubert Damisch a<br />
proposito di Valerio Adami: nel suo caso, ci si deve porre la questione di quale possa<br />
essere un’idea di «colore moderno», abbandonando la vecchia opposizione critica fra<br />
primato del colore e primato del disegno, che risaliva ai tempi di Tiziano e<br />
Michelangelo, massimi esponenti di ciascuna delle due tendenze. Quella era una<br />
disputa ideologica voluta qualche tempo più tardi dai critici della Controriforma, che<br />
intravedevano nel primato del disegno l’affermazione dello spirito razionale, e nel<br />
primato del colore quello emozionale.<br />
Ritorniamo, però, nuovamente alle opere di Adami, e approfondiamo meglio<br />
l’aspetto del colore. Se riflettiamo un momento sulle varie teorie moderne dei colori<br />
che si sono succedute fra Seicento e Ottocento, diciamo da Du Fresnoy fino a<br />
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