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Intervista esclusiva con Giovanni Minoli - Torino Magazine

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cover story torino magazine <strong>Torino</strong>: la mia storiaUn profondo amore per la città dove è cresciutoed è sempre tornato – «qui ho imparato la percezionedel tempo e dello spazio» – ma anche la televisionedi ieri e di oggi, la storia rac<strong>con</strong>tata coi ritmi del giallo,il museo di Rivoli inteso come un mondo dove accoglieretutte le ricchezze e le <strong>con</strong>oscenze dell’arte.In un’intervista <strong>esclusiva</strong> <strong>Giovanni</strong> <strong>Minoli</strong> si rac<strong>con</strong>taper i lettori di <strong>Torino</strong> <strong>Magazine</strong>La sfida della sua vita professionaleè sempre stata quella di trovare «linguaggiadatti per rac<strong>con</strong>tare <strong>con</strong>tenutiimportanti»: un metodo, unostile, che vuole imporre anche aRivoli dove, l’8 ottobre 2009, è statonominato Presidente del Museod’Arte Contemporanea. Giornalistae produttore, divulgatore e dirigenteai massimi livelli, costantementein anticipo sui tempi e <strong>con</strong>duttore coinvolgente,<strong>Giovanni</strong> <strong>Minoli</strong>, direttore di Rai Educational e di Rai Storia,ha firmato trasmissioni che hanno scritto trent’annidi storia televisiva: ‘Mixer’, ‘Quelli della notte’, ‘Misteri’,‘Turisti per caso’, ‘Professione reporter’, ‘La grande storiain prima serata’, ‘Elisir’, ‘La storia siamo noi’, le fiction‘Un posto al sole’ e ‘Agrodolce’. Il suo ritorno a <strong>Torino</strong>lo riporta alle origini di una vicenda umana e personalevissuta costantemente nel segno della <strong>con</strong>tinuità.Che rapporto avverte <strong>con</strong> questa città?«Sono più torinese di quasi tutti i torinesi che <strong>con</strong>osco;la mia famiglia risiede in città dall’inizio dell’Ottocentoe, prima ancora, era comunque piemontese, essendooriginaria del lago d’Orta. Io ho vissuto a <strong>Torino</strong> finoal <strong>con</strong>seguimento della maturità, poi ho fatto l’universitàa Modena, dopo sono andato a Parigi a lavorareper la Fondazione Agnelli e, infine, mi sono trasferito aRoma. Però gran parte della mia famiglia è ancora qui,uno dei miei sette fratelli fa l’avvocato e vive in piazzaVittorio. <strong>Torino</strong> è una città che cambia senza cambiare,<strong>con</strong>servando la profondità della sua ispirazione, rivoluzionariae ordinata <strong>con</strong>temporaneamente. Rivoluzionariaperché ha inventato quasi tutto: il cinema, la televisione,le telecomunicazioni, l’industria dell’auto etanto altro. Ma i torinesi, quasi per una sorta di snobismo,se<strong>con</strong>do me sbagliato, si sono lentamente lasciatiscippare quasi ogni cosa, pensando di poter sempreinventare qualcosa di nuovo. Poi qualche volta ècapitato, purtroppo altre volte no».A <strong>Torino</strong> la lega qualche ricordo particolare?«Non c’è una <strong>Torino</strong> che io mi ricordi, in particolare, perdiGUIDO BAROSIOfoto FRANCO BORRELLIe CASTELLO DI RIVOLI MUSEOD’ARTE CONTEMPORANEAché non ho mai smesso di tornare a <strong>Torino</strong>. In questosenso c’è una <strong>con</strong>tinuità strategica nella mia vita:<strong>Torino</strong> è il posto dove voglio essere sepolto. Ed è anchel’unico posto dove misuro il tempo che passa. Essendocivissuto da bambino mi sono reso <strong>con</strong>to di comecambiano le distanze: quello che era lontano, quandoci andavo a piedi da piccolo, è diventato vicino percorrendola medesima distanza in età adulta. Questapercezione del tempo e dello spazio permette dicomprendere il relatività della vita. Ed è proprio questapercezione del tempo e dello spazio che mi cullae mi identifica. Quando atterro a <strong>Torino</strong> penso: questaè la mia terra».Negli ultimi anni <strong>Torino</strong> è molto cambiata. Qualè il suo giudizio?«<strong>Torino</strong>, dopo aver perso tante cose, è diventata unpo’ più coraggiosa; ha smesso di essere una bellissi-«<strong>Torino</strong>, dopo aver persotante cose, è diventataun po’ più coraggiosa;ha smessodi essere una bellissimadonna infagottataed ha cominciatoa vestirsi alla moda.Ha cominciato a tirarefuori la sua bellezza,e si vede»13


cover story torino magazinecover story torino magazine Andrea BelliniBeatrice MerzA lato <strong>Giovanni</strong> <strong>Minoli</strong>Sopra: veduta esternadel Castelllo di Rivoli«Occorre offrire al visitatore un mondo,non un punto di vista sul mondo.Per fare questo bisogna puntare su tuttele ricchezze e le <strong>con</strong>oscenzeche l’arte ha prodotto: cinema,televisione, teatro, pittura, scultura,letteratura, rac<strong>con</strong>to…»ma donna infagottata ed ha cominciato a vestirsi allamoda. Ha cominciato a tirare fuori la sua bellezza, esi vede: ordinata, ripulita, espone la sua meraviglia echi viene a <strong>Torino</strong> si incanta. Ed è un incantamento chenasce dalla sorpresa: nessuno si aspetta di trovare unacittà così, perché i torinesi si sono comportati come icustodi di un segreto, il segreto di un’energia potenteche ha cambiato sempre molte cose».Il prossimo anno verrà celebrato il centocinquantesimoanniversario dell’Unità d’Italia. Qualepuò essere il vero significato di questa ricorrenza?«Questa è un’Italia che non sa più tanto chi è. E quindiè un’Italia che deve ritrovare la sua anima e la suaidentità, perché nella globalizzazione il local si deve ridefinire.Local oggi vuol dire cultura ma anche mercato,un mercato che ha le esigenze della globalizzazione.Così ogni identità istituzionale deve affrontare una doppiasfida: occorre essere soprannazionali ma, allostesso tempo, bisogna mantenere le radici locali.<strong>Torino</strong> ha fatto l’Italia però è anche una città molto europea,quindi per noi il nuovo local è proprio l’Europa.Ma il discorso si può estendere a livello nazionale: celebrarei 150 anni dell’Unità d’Italia significa trovare unadimensione vera dell’Italia in Europa. Se riusciremo afare questo avremo celebrato la nostra identità, le nostrespecificità e la proiezione verso il futuro».Il fenomeno unitario è partito dal Piemonte cheha imposto il suo modello. Ma le cose potevanoandare diversamente?«Io penso che nell’Italia del sud ci fossero delle energiepotentissime che vennero sacrificate durante l’unificazione.Basti pensare al modello imprenditoriale dellafamiglia Florio: una cultura cosmopolita vera, industriale,tesa all’internazionalizzazione, che però haperso. L’avvocato Agnelli, in una intervista fatta per‘Mixer’, mi disse: ‘Si ricordi, caro <strong>Minoli</strong>, che ci sonosolo due popoli fantastici al mondo: gli ebrei e i siciliani’.Meditiamo su questa affermazione… Io dico checi siamo persi tanta ricchezza del sud che avrebbe fattopiù grande l’Italia. Perché l’Italia sarà grande solose il sud sarà grande».Lei è <strong>con</strong>siderato un grande divulgatore della storiaattraverso la televisione. Come si possono rendereaccattivanti temi ed argomenti non sempreaccessibili a tutti?«La storia in televisione è stata una scommessa forteche abbiamo vinto. Il segreto è semplice: applicare latecnica della narrazione gialla ai <strong>con</strong>tenuti della storia,usando un taglio cinematografico. Dentro la storia cisono sempre degli interrogativi, delle non risposte, deigialli. Se li rac<strong>con</strong>tiamo come una sequenza di fatti noiosinon coinvolgono, se invece li rac<strong>con</strong>tiamo come unasequenza di avventure dello spirito, affascinano. Questaè l’alternativa. Noi abbiamo provato a rac<strong>con</strong>tarela storia come una sequenza di punti interrogativi affa-scinanti ed il grande pubblico si è appassionato. È statointeressante applicare alla divulgazione storica latecnica del telefilm americano, dove abitualmente lascena viene cambiata ogni sette se<strong>con</strong>di».Qual è la trasmissione televisiva alla quale è piùlegato?«Quella che farò. Quelle che ho fatto le amo tutte. Perchéin tutti i settori ho avuto la fortuna di essere al croceviadi innovazioni da affrontare. Penso al cambioradicale che ha prodotto ‘Mixer’ nel modo di fare informazione.Penso al cambio radicale nell’intrattenimento<strong>con</strong> ‘Quelli della notte’. Lo stesso discorso puòessere applicato alla fiction nel caso di ‘Un posto alsole’ e di ‘Agrodolce’. Un giorno Umberto Agnelli,quando avevamo appena iniziato a fare ‘Un posto alsole’, ed eravamo molto criticati, mi chiamò a <strong>Torino</strong>per rincuorarmi. Io era abbastanza affaticato da questecritiche intense, profonde ed ingiustificate; perchénel nostro mondo, per non essere attaccati, esisteuna sola via: non cambiare mai nulla. UmbertoAgnelli mi disse: ‘Mi piace quello che stai facendo aNapoli <strong>con</strong> ‘Un posto al sole’, perché tu stai valorizzandonel sud le vere qualità e competenze del sud:intelligenza, calore, senso dell’arte, del rac<strong>con</strong>to,della drammaturgia, inserendole in un modello industriale.Noi abbiamo fatto a Pomigliano d’Arco una fabbricamodernissima, <strong>con</strong> tutte le soluzioni innovativedisponibili, ma la tua è la vera strada per l’industriadel sud’. Nell’Italia meridionale ci sono beni culturali,c’è turismo, c’è la bellezza del nostro paese, c’è lafantasia della gente. Se riusciamo a fare industria suquesto, quello, è il futuro. Io penso che la Sicilia eNapoli siano molto più Hollywood di Hollywood».Giornalismo, fiction, intrattenimento, nuovepiattaforme… Quale televisione interessa oggia <strong>Giovanni</strong> <strong>Minoli</strong>?«A me della televisione appassionano tutte le modalitàdel rac<strong>con</strong>to: la divulgazione, la fiction, le inchieste,l’intrattenimento. Tutte le modalità linguisticheofferte dalla televisione mi stimolano e mi appassionano.Però oggi il vero problema è il rapporto tra letecnologie ed i <strong>con</strong>tenuti. Perché abbiamo troppa tecnologiae troppi pochi <strong>con</strong>tenuti. Decliniamo su tuttele piattaforme sempre le stesse cose, rielaborate o,a malapena, rimontate: film, telefilm, sport, qualchenews, un po’ di sesso, previsioni del tempo e pocoaltro. Continuiamo ad aprire delle autostrade, ma per«Celebrare i 150 annidell’Unità d’Italiasignifica trovare unadimensionevera dell’Italiain Europa.Se riusciremo a farequesto avremocelebrato la nostraidentità, le nostrespecificità ela proiezione versoil futuro»Durante l’intervista1415


cover story torino magazine«La storia in televisioneè stata una scommessaforte che abbiamo vinto.Il segreto è semplice:applicare la tecnicadella narrazione giallaai <strong>con</strong>tenuti della storiausando un tagliocinematografico»Guido Barosio e <strong>Giovanni</strong> <strong>Minoli</strong>far girare le stesse automobili, le autostrade nuove nonservono. Occorre rimodernare le automobili, costruirnedi più, farle meglio e farle adatte ai nuovi percorsi;bisogna investire in <strong>con</strong>tenuti».Veniamo a Rivoli. Quali motivazioni l’hanno spintaad accettare la nomina di Presidente delMuseo d’Arte Contemporanea?«Ho accettato l’incarico per due ragioni. La prima è unaragione romantica: <strong>Torino</strong>, il mio cuore e la mia famiglia.La se<strong>con</strong>da è il gusto per la sfida. Quale sfida? Lasfida della mia vita. Io ho sempre cercato linguaggi adattiper rac<strong>con</strong>tare <strong>con</strong>tenuti importanti. Rivoli è un postomeraviglioso, che ha quello che non possiede quasi nes-sun altro museo: una collezione potente, importante estraordinaria. Ed è un castello, cioè un’isola lontana dalmondo. Bisogna far rivivere la nostra collezione, abbatterele mura del castello portando il castello nel mondo.E occorre offrire al visitatore un mondo, non un puntodi vista sul mondo. Per fare questo bisogna puntare sututte le ricchezze e le <strong>con</strong>oscenze che l’arte ha prodotto:cinema, televisione, teatro, pittura, scultura, letteratura,rac<strong>con</strong>to… Data la mia natura di comunicatore laprima preoccupazione è stata quella di scegliere due direttorifantasiosi e radicati (Beatrice Merz e Andrea Bellini,ndr); mettendo la mia competenza comunicativa al serviziodella loro capacità progettuale».Quanto entrerà <strong>Giovanni</strong> <strong>Minoli</strong> nelle decisioni progettuali?«Il necessario e il meno possibile. Il necessario significamettere tutto il mio sapere, la mia capacità, la miaspecificità al servizio delle scelte fatte autonomamentedai direttori, che sosterremo per questo triennio aspada tratta. Quindi farò tutto quello che serve e nientedi più di quello che servirà».Che futuro prevede per il ‘suo’ museo?«A Rivoli, prima di tutto, deve venire tanta gente. Perchése viene tanta gente vuol dire che c’è una ragioneper venirci. E, se c’è una ragione per venirci, vuol direche abbiamo azzeccato la politica. Il numero non è l’unicovalore, ma è un elemento di valutazione reale. Perchése noi vogliamo essere local e global <strong>con</strong>temporaneamente,cioè radicati nel nostro territorio e inseriti nel circuitomondiale, dobbiamo essere capaci di fare una propostairresistibile: una bella donna vestita bene». I16

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