Ancora ai blocchi di partenza - Arcipelago Adriatico

GIORNATA DELLA MEMORIA
TAXE PERÇUE TRIESTE
TASSA RISCOSSA ITALY
SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO
POSTALE - ART. 2 COMMA 20/C
LEGGE 662/96 - FILIALE DI TRIESTE
Iniziativa realizzata
con il contributo del Governo italiano
ai sensi della Legge 72/2001
L’ARENA DI POLA - Registrata presso il Tribunale di Trieste n. 1061 del 21.12.2002 ANNO LX - 3245 - Mensile n. 1 del 31 gennaio 2004
Quotidiano di Pola dal 29-7-1945 al 31-7-1947 - Settimanale degli esuli dal 11-9-1947 - Organo dell’Associazione del “Libero Comune di Pola in Esilio” - Via Silvio Pellico, 2 - 34122 Trieste
Direttore responsabile: Silvio Delbello- Direttore editoriale: Fausto Biloslavo - Redazione: via Malaspina 1 - 34147 Trieste - Telefono e Fax 040.830294
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Le copie non recapitate vanno restituite al CPO di Trieste per la restituzione al mittente previo pagamento resi
ALL’INTERNO
Flash
***
Il Giro d’Italia
a Trieste e Pola
***
Le campane di Visignano
di Loretta Cop
***
Rievocando le strigarie
di Romano Farina
***
Reperti archeologici
di Edda Garimberti
***
Scarpe, papuze,
savate & Co.
di Tullio Binaghi
***
Il mio viaggio senza fine
di Nadia Bencich
***
L’acquarama e i giochi
d’acqua di Nevia
di Piero Tarticchio
***
Lettera aperta ai lettori
di Silvio Mazzaroli
***
Necrologi ed elargizioni
***
Guida storico-artistica
dell’Istria, Cherso e Lussino
***
Comunicazioni ai lettori
Giornata della Memoria
Ancora ai blocchi
di partenza
di Silvio Mazzaroli*
Il 1946 era stato per i nostri
padri un anno di angosciosa
attesa, trascorso nella speranza
che si potesse verificare
l’impossibile miracolo della non
assegnazione delle nostre terre
alla, allora nuova ed oggi defunta,
Jugoslavia di Tito. Il ferale
Trattato di Parigi, del febbraio
1947, mise fine alle speranze,
dando il via al loro e nostro esilio,
avvolgendoci tutti nelle nebbie
della nostra disperazione e
dell’altrui malevola dimenticanza.
Anche il 2003 è stato, per tutti
noi, un anno di speranzosa attesa,
nella illusione che l’ufficializzazione
della nostra “Giornata della
Memoria” potesse consentirci,
nel cinquantenario del ritorno di
Trieste all’Italia, di rientrare nella
Storia patria.
Non è stato così, eppure non si
trattava di un miracolo. Anzi, le
premesse lasciavano presagire un
agevole raggiungimento di tale
traguardo sulla base, soprattutto,
di quanto contenuto nelle proposte
di legge avanzate al riguardo,
nel corso dell’anno, dalla destra e
dalla sinistra, che sembrava sancire,
per riconosciuta e condivisa
obiettività storica, il diritto degli
Esuli a celebrare la propria
memoria. In entrambe le proposte,
infatti, la Repubblica italiana
riconosce tale diritto “ al fine di
ricordare, far conoscere e perpetuare
la millenaria storia e presenza
italica nelle stesse (terre
d’Istria, Fiume e Dalmazia), nonché
la tragedia delle migliaia di
infoibati e dell’esodo di 350.000
italiani nel secondo dopoguerra”
(proposta Menia-Larussa); “per il
dovere della memoria delle vicende
dell’esodo dall’Istria, Fiume
e coste dalmate come capitolo
della propria storia nazionale
e…di richiamare, con speciale sistematicità,
l’attenzione degli italiani,
in particolare delle giovani
generazioni, sulle vicende degli
italiani del confine orientale”
(proposta
Fassino-Violante-Maran).Differenze
sfumate, ma il vero intoppo
“politico” stava nelle date indicate
per la celebrazione: 10 febbraio,
ricorrenza del Trattato di
Pace del ‘47, per gli uni; 20 marzo,
ultimo viaggio del piroscafo
“Toscana”, con il suo carico di
profughi, attraverso l’Adriatico
nello stesso anno, per gli altri.
Senz’altro la prima, per noi Esuli.
Ne è seguito il più assoluto immobilismo.
Sarebbe, tuttavia, ingiusto ad-
dossare la colpa ai soli politici.
La colpa è anche nostra. Nel marzo
scorso, in occasione di un incontro
della Federazione con gli
On. Violante e Maran, promossa
dal DS triestino Spadaro, su mia
proposta, eravamo stati sollecitati
a promuovere un’incontro a tre
per cercare di uscire dall’empas-
se. Se n’era assunto l’incarico
la Federazione; non ostante
mie successive sollecitazioni,
non lo ha fatto per timore di “turbare”
il semestre italiano di condotta
della Comunità Europea,
per attendere l’esito delle elezioni
in Croazia e, da ultimo, per
non inasprire gli animi nell’approssimarsi
delle celebrazioni del
2004. Io stesso, per rispetto dei
ruoli nella Federazione, sono stato
poco incisivo; peraltro, alieno
alle frequentazioni romane, ho
accennato ossessivamente a questo
tema praticamente su ogni numero
del nostro giornale. Non è
bastato, me ne dispaccio e mi
scuso con gli Esuli che, forse, si
sarebbero aspettati da me qualcosa
di più.
La nostra “Giornata della Memoria”
è, pertanto,
ferma ai blocchi di partenza
ed anche quest’anno la celebreremo
con l’amaro in bocca per un
traguardo possibile, ma che ancora
ci sfugge. C’è da trarre una
morale da questa ennesima delusione:
“Le battaglie per i propri
diritti, specie se fondati su valori,
vanno combattute non subite”.
Mi auguro valga per tutti.
* SINDACO DEL “LIBERO
COMUNE DI POLA IN ESILIO”
Nella Giornata della Memoria gli
esuli chiedono di entrare nella Storia.
Fai sentire la tua voce
spedendo questa cartolina.
IMPORTANTE!
Facendo proprio l'appello lanciato dalla Mailing List Histria, per sollecitare i
mezzi di informazione a parlare della Giornata della Memoria dell'Esodo
degli Istriani, Fiumani e Dalmati, la Direzione de L'Arena di Pola offre a
suoi lettori la cartolina allegata, raccomandando (dopo averla firmata e affrancata
con un francobollo di 0,45 Euro) di inviarla all'indirizzo prestampato
del Corriere della Sera. Il disegno dell'infoibato realizzato da Piero Tarticchio
è stato scelto come simbolo della nostra diaspora. Aderendo massicciamente
a questa iniziativa daremo maggiore visibilità e forza alla nostra voce
e contribuiremo a far parlare la stampa nazionale dell'Esodo e delle Foibe.
La redazione
FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI DEGLI ESULI
ISTRIANI FIUMANI E DALMATI
Giornata della Memoria
10 febbraio 1947 - 10 febbraio 2004
Trieste
PROGRAMMA
San Giusto ore 10.30 Santa Messa
ore 11.30 Onore ai Caduti
Stazione Marittima ore 15.30 Presentazione del progetto
del Monumento dell’Esodo
ore 16.00 Commemorazione dell’Esodo
CONTIENE I.R.
Alla fine della Commemorazione sarà reso omaggio alla statua di
Nazario Sauro.
Seguirà una fiaccolata fino a Piazza dell’Unità d’Italia, organizzata dal
Gruppo Giovani dell’Unione degli Istriani e con la partecipazione della
banda musicale dell’ANVGD.

PAG.2 L’ARENA DI POLA N. 1 del 31 gennaio 2004
FLASH
Università popolare:
Luciano Lago
presidente
Lo scorso 8 gennaio, il prof.
Luciano Lago è stato nominato
Presidente dell’Università Popolare
di Trieste, organismo, tra
l’altro, coinvolto da moltissimi
anni nel processo di assegnazione,
indirizzo e controllo dei contributi
nazionali alla Unione Italiana
(nello scorso mese di novembre
sono stati resi disponibili
dalla Finanziaria 5 milioni di euro),
prerogative che, da qualche
tempo a questa parte, il Governo
è intenzionato a limitare, con un
apposito d.d.l. in itinere, alla sola
funzione di controllo, come desumibile
da una recente dichiarazione
del Mn. Giovanardi: ”In un
contesto che assicuri il pieno autogoverno
della minoranza va
considerata la necessità di controllo
da parte della Stato italiano
dei finanziamenti che vengono
erogati. Ecco, in questo ambito
va ridisegnata la funzione della
UpT”. La nomina ha suscitato un
coro unanime di giudizi positivi
ed il neoeletto ha espresso soddisfazione
e “l’auspicio di poter
procedere a una stretta collaborazione
con il Consiglio direttivo e
quello di amministrazione e ad
un dialogo proficuo con le componenti
della Ui attraverso la
concertazione”. Congratulazioni
ed auguri di buon lavoro da parte
della Redazione.
Nel 2005 un francobollo
per la “Giornata
della Memoria”
Con una lettera indirizzata anche
alla nostra Associazione, il
Ministro delle Comunicazioni
Maurizio Gasparri, ha comunicato
che, nella seduta del 27 dic.
2003, la “Consulta per l’emissione
delle carte valori postali e la
filatelia”, da Lui presieduta, ha
espresso parere favorevole all’emissione,
nel 2005, di un francobollo
da dedicare alla Giornata
della memoria di Istria, Fiume e
Dalmazia.
Comitato A.N.V.G.D.
di Varese
Come ogni anno, il Comitato
Provinciale di Varese, in occasione
delle festività di fine anno, ha
organizzato il “Pranzo degli Auguri”
al quale hanno partecipato
un centinaio di soci. Nell’occasione
è stata predisposta una mostra
fotografiche delle nostre terre
ed una proiezione in continuum
di immagini su schermo gigante.
E’ intervenuto anche il
Sindaco di Varese, prof. Fumagalli,
da sempre buon amico, al
quale è stato presentato in omaggio,
perché lo faccia avere alla
Biblioteca Comunale, la pregevole
ristampa del “Codice Diplo-
matico Istriano” del Kandler, recentemente
edita dal “Libero Comune
di Pola in Esilio”, unitamente
al relativo CD che rende
l’opera facilmente consultabile
da parte degli studiosi e ricercatori
interessati a tali argomenti.
Non sono mancate la musica per
il ballo e la lotteria.
Dottorato di ricerca
su “Esodo italiano
da Pola”
La signorina Mirjana Morosini
Dominick, studentessa di storia
presso l’Università di Georgetown
a Washington D.C. USA ha
reso noto di star preparando la
propria tesi di dottorato di ricerca
sul tema dell’esodo italiano da
Pola, cosa per la quale l’estate
scorsa ha condotto una ricerca
preliminare presso il Centro di ricerche
storiche di Rovigno. E’ intenzionata
a trascorrere prossimamente
circa un anno (luglio
2004-luglio 2005) in Italia/Croazia/Serbia
per completare le proprie
ricerche. In tale periodo intenderebbe,
altresì, condurre delle
interviste con gli esuli interessati
a trasmetterle le proprie esperienze,
culminate con l’esodo,
sotto il governo titino ed alleato a
Pola allo scopo di dare un taglio
di “umano vissuto” al proprio lavoro.
Chi è disposto a collaborare
è invitato a contattarla presso il
suo recapito:
Mrs. Mirjana Morosini Dominick,
711-202 N. Wayne St., Arlington,
VA 22201, USA - Tel/fax
001 703 465 2465email:mm56@georgetown.edu
I “settanta”
di Abdon Pamich
Abdon Pamich, il noto atleta
vincitore della Medaglia d’Oro
nei 50 km di marcia alle Olimpiadi
di Tokyo del 1964, è stato re-
centemente festeggiato dalla sezione
triestina degli Atleti Azzurri
che ha voluto intitolargli la propria
Festa d’Autunno, in occasione
del suo 70° compleanno.
Una vittoria, la sua, giunta non
solo a coronamento di un lungo,
faticoso e costante impegno sportivo
ma anche a riscatto del travaglio
giovanile determinato dallo
sradicamento, con l’esodo, dalla
natia Fiume.
Una esperienza di vita che, comunque,
l’aveva fortificato nello
spirito e nella volontà e che lo
avrebbe accompagnato nella sua
crescita nello studio, nello sport e
nel lavoro. “Settanta…mi da tanta
freschezza. Viva i settanta!” il
suo semplice, gioioso ed entusiastico
commento, tipico di un uomo
forte, dal carattere rigoroso e
tenace ma, allo stesso tempo, tenero
e dolce che ha saputo suscitare
negli italiani forti emozioni e
nobili sentimenti.
Camposanpiero:
memoria dei caduti
nelle foibe
A Camposanpiero, in quel di
Padova, nota anche quale sede
del Collegio dei Fratini di S. Antonio,
ove fu ospite e successivamente
rettore il nostro indimenticabile
Vescovo fra’ Raffaele Radossi,
nella parrocchia di S. Mauro,
domenica 5 ottobre, è stata celebrata
una messa solenne, in
canto, in memoria degli infoibati.
L’iniziativa è partita spontaneamente
dal parroco, Don Bruno
Bevilacqua - impressionato e
commosso da un articolo di Marco
Pirina, su “Avvenire” del 17
settembre, in tema di infoibati -
che ha voluto così solennizzare la
loro memoria, nel sessantesimo
delle prime stragi del 1943. All’iniziativa,
supportata dalle locali
Associazioni combattentistiche e
dalla delegazione del Comitato
prov.le A.N.V.G.D. di Padova,
sono intervenuti numerosi esuli.
La stampa locale ha dato un buon
risalto all’avvenimento.
Sessantesimo
di Sacerdozio di Don
Claudio Privilegi
L’ultima domenica di ottobre
nella parrocchia di S. Croce, Don
Claudio ha celebrato il 60° Anniversario
di sacerdozio con una
messa di ringraziamento, in semplicità
di rito ma confortato dalla
presenza di parecchie centinaia di
amici, conosciuti nei lunghi anni
non sempre facili e nei moltissimi
luoghi del suo ministero e venuti
a pregare con lui in quel di
Trieste.
Don Claudio, nativo di Parenzo,
vi era stato ordinato sacerdote
il 31 ottobre 1943 da mons. Raffaele
Radossi e li aveva retto la
chiesa di S. Maria degli Angeli
sino all’agosto ’46. Trasferito a
Festoso gruppo di Azzurri assieme a Pamich, al Presidente del Coni
Borri ed al Sindaco di Pola in Esilio, gen. Silvio Mazzaroli
Pola vi rimase sino al febbraio
’47 quando, con la famiglia, lasciò
la Città con l’esodo per portarsi
a Trieste. Accolto nell’arcidiocesi
di Gorizia, vi rimase sino
al novembre ’49, quale cappellano
nelle casermette di via Monte
Santo, dove erano accolte tante
famiglie di istriani, nonché catechista
nell’Istituto provinciale
Sordomuti. Per dieci anni fu poi
sacerdote a Cervignano, come insegnante
di religione nella locale
Scuola media e nell’Istituto d’avviamento;
qui fu anche rettore
della chiesa filiale San Giordano,
da lui riconsacrata al culto. Dopo
un anno trascorso a Gradisca d’Isonzo,
fu nominato assistente religioso
delle famiglie istriane insediatesi
nel nuovo borgo San
Mauro a Sistiana, rimanendovi
per 21 anni ed insegnando, nel
contempo, nelle scuole di Aurisina
e Sistiana, sino al compimento
dei sessanta anni.
Nel 1965,
per decreto arcivescovile
di
Gorizia, fu istituita
la parrocchia
autonoma
di borgo San
Mauro e l’Opera
Profughi
provvide a far
erigere una graziosa
chiesetta,
tuttora sede
delle celebrazioni
religiose.
Nel novembre ’82 l’ultimo trasferimento
a S. Croce di Trieste,
dove sino in tempi recenti ha
svolto anche le funzioni di cappellano
militare presso il Reggimento
“Piemonte cavalleria.
Dopo la messa, Don Claudio si
è intrattenuto cordialmente con i
presenti per le foto di gruppo con
gli amici provenienti dalle molte
località del suo sacerdozio ed anche
da Milano, Bologna, Padova,
Venezia, molti dei quali esuli come
lui. Grazie Don Claudio per
esserci stato sempre così vicino.
Bilinguismo a Trieste
e Gorizia
Su ”Il Piccolo” del 16 gennaio,
abbiamo letto: “No al bilinguismo
integrale nei centri di Trieste
e Gorizia, sì allo sportello per la
minoranza slovena. Questo l’o-
La polemica
rientamento del governo
che in una
delle prossime sedute
approverà il documento
di attuazione
della Legge di tutela
(della minoranza
slovena), normativa
votata alla fine della
scorsa legislatura
dall’Ulivo. Lo riferisce
il ministro per i
rapporti con il Parlamento
Carlo Giovanardi,
correggendo
così un’interpretazione
data dal comitato paritetico,
su richiesta della stessa comunità
slovena, volta all’estensione
del bilinguismo integrale anche
alle città di Trieste e Gorizia.” Il
decreto di attuazione della Legge
di tutela dovrebbe venir firmato
da Ciampi entro gennaio.
«Sarebbe come - sottolinea
Giovanardi - gettare un cerino in
una polveriera…». Meno male!
In un “resipiscente” rigurgito di
memoria deve essersi reso conto
che la tutela della minoranza,
condivisibile e giusta, è tutt’altra
cosa che il lasciar calpestare i
sentimenti dei cittadini di Trieste
e Gorizia, per soddisfare i cui
aneliti d’italianità, unitamente a
quelli dei trentini, il secolo scorso
(ma non è passato poi così tanto
tempo da dimenticarlo), decine di
migliaia di giovani italiani avevano
sacrificato la propria vita.
Monumento “Agli Istriani,
Fiumani e Dalmati ovunque
sepolti nel mondo”
La “Difesa Adriatica” di dicembre porta, a pagina 8, un attacco
al nostro giornale (o, se si preferisce, al sottoscritto che ne è il
principale responsabile) sul tema di cui all’articolo, a firma di
p.c.h. (Patrizia C. Hansen), in passato direttore responsabile di
“L’Arena di Pola”. Non posso esimermi dal replicare. Circa quanto
da noi pubblicato sul n. 19 del 15 novembre, scrive (cito solo i passaggi
salienti): “…...Nel suo commento, che pecca di ingenerosità,
“L’Arena” vuole stigmatizzare l’imprecisione della iscrizione sul
monumento che nomina gli istriani, fiumani e dalmati senza qualificarli
come esuli e addebita impropriamente ai promotori della
meritoria iniziativa gli errori di citazione apparsi sulla “Stampa”,
sulla quale gli esuli venivano definiti emigranti….Resterebbe da
capire quali siano i presupposti logici del commento apparso su
“L’Arena”. Spiace che i contributi erogati dalla legge 72/01 per le
iniziative delle associazioni della Diaspora (e per la sua stampa)
siano usate per peregrine polemiche interne, dalle quali “Difesa”
si è sempre astenuta”.
Il tutto prende spunto dalla lettera di Piero Tarticchio - indirizzata
al prof. Oliva - e dal mio commento a chiusura della sintetica
cronaca degli avvenimenti occorsi a Torino il 25 ottobre ultimo
scorso. In nessuno di detti scritti si addebita alcunché alla
A.N.V.G.D. bensì si critica (il che non significa polemizzare) la genericità
dell’iscrizione apposta sul monumento e “la troppa attenzione
posta a non fare uso del termine “esule”, quasi fosse disdicevole”.
Nel mio commento parlavo, anzi, di successo dell’iniziativa,
precisando, però, che c’era stata anche polemica (né io né Piero
eravamo presenti), immediatamente riportatami telefonicamente.
Successivamente, prima di prendere visione di “Difesa” ho, altresì,
dato democraticamente pari spazio e risalto, su “L’Arena” n. 22,
alle spiegazioni fornite dal Comitato Provinciale A.N.V.G.D. di
Torino, depurandole dagli spunti acidi rivolti a Tarticchio, proprio
per evitare la polemica. Commentando questo secondo articolo,
molto urbanamente, fornivo i “presupposti logici” della nostra critica
che la dott.sa Hansen ha tanta difficoltà a capire e ponevo un
interrogativo a cui mi piacerebbe fosse data risposta. Non è certo
con le omissioni di convenienza che riporteremo alla memoria degli
italiani la nostra tragedia! Circa, infine i contributi erogati dalla
L. 72/01, mi limito ad esplicitare una mia convinzione. Ritengo sia
nostro preciso dovere dare voce, attraverso i nostri organi di stampa
(e quindi avvalendoci anche della suddetta legge), all’insoddisfazione
- i motivi non mancano - di quanti siamo tenuti a rappresentare.
Credo sia principalmente questo che ci si aspetta da noi ed
è esattamente quello che ho inteso ed intendo continuare a fare.
Respingo, pertanto, al mittente il “veleno” che si è cercato di propinare
a “L’Arena” e lascio al lettore giudicare chi abbia innescato
la polemica.
SILVIO MAZZAROLI

L’ARENA DI POLA N. 1 del 31 gennaio 2004 PAG.3
LXXXVII Giro d’Italia
Trieste si tinge di rosa
e di Tricolore...
Ci sono fatti, persone e avvenimenti che come pochi riescono a
far sentire un Paese unito e accomunato. Tra questi sicuramente
va annoverato il Giro d’Italia. Le sue prime cronache,
rigorosamente radiofoniche, parlavano di
luoghi, che da un estremo all’altro della
penisola risultavano spesso ignoti per gli
occhi di chi ascoltava ma che sapeva trattarsi
d’Italia; ad essere attraversate erano le
grandi città o molto più spesso piccoli Paesi,
delle Alpi come delle coste meridionali,
ed è suggestivo pensare che nell’anno del
cinquantesimo anniversario del ritorno all’Italia
Trieste venga attraversata da questa
competizione per ben tre volte, quasi a voler
passare più e più volte quel tratto tricolore
su questa città. L’emozione è ancora
maggiore perché è la prima volta che la corsa
“rosa” passa nello stesso luogo per tre
volte in una sola edizione.
Andiamo per ordine. La sera del 21 maggio 2004 la carovana del giro
arriverà in trasferimento nel capoluogo giuliano, dove il giorno seguente
si svolgerà la tappa a cronometro. Alcune particolarità: quella
di Trieste sarà l’unica crono – tappa di questa edizione. 53 km di circuito
tutt’altro che pianeggianti come solitamente accade nelle “cronometro”,
che si snoderanno a partire da Piazza Unità lungo un percorso
davvero spettacolare per i luoghi attraversati e per la difficoltà di alcuni
tratti. Paesaggi di notevole bellezza, da quelli cittadini a quelli
carsici, strappi in salita, come quello che da strada del Friuli condurrà i
corridori a Prosecco, o come il quasi certo Gran Premio della Montagna
che avrà il suo traguardo a Sagrado del Carso, metteranno alla pro-
GLI APPUNTAMENTI
Sabato 22 maggio: 13 a tappa.
TRIESTE - Altipiano Carsico
(cronometro individuale) 52 Km
Domenica 23 maggio: 14 a tappa.
TRIESTE - POLA 166 Km
Lunedì 24 maggio: 15 a tappa.
PARENZO - SAN VENDEMIANO 229 Km
va le gambe degli atleti che il 22 maggio avranno alle spalle già tre settimane
di gara. Storia, sport, bellezze naturali e architettoniche, tutti
elementi che preannunciano un grande avvenimento
sportivo e mediatico. La carovana del
Giro infatti approderà in città con un “organi-
co” di 1200 persone. Tra queste sono annunciati
tra i 250 e i 300 giornalisti accreditati, che
avranno il loro quartier generale al piano terra
della Stazione marittima, davanti alla quale
sarà situato un tendone fisso che la Rai userà
per i suoi collegamenti nonché per le sue trasmissioni
di approfondimento sulla gara.
Vetrina di non poco conto per Trieste, che
per diversi giorni sarà al centro di questa manifestazione
. Il 23 maggio, sarà infatti ancora
il capoluogo giuliano il punto di partenza della
tappa successiva che si sposterà oltre confine
per raggiungere l’Arena di Pola prima e
Parenzo il giorno dopo, che almeno idealmente in quei giorni saranno
riuniti al resto d’Italia. Ai festeggiamenti, per questo ritorno, si uniranno
anche gli italiani della nostra minoranza.
Il 24 maggio la corsa ciclistica infatti si trasferirà nel comune istriano
dove sarà situata la partenza della tappa fino a S.Vendemiano, per
raggiungere la quale punto obbligato di passaggio sarà ancora una
volta Trieste e la sua strada costiera.
Tre giorni dunque per onorare il cinquantesimo anniversario del ritorno
all’Italia che il patron del giro Castellano ha voluto regalare a
questa città e crediamo, per lo spettacolo che verrà offerto, a tutti gli
italiani.
Quindici “girini” per Trieste italiana
i tutto questo dà insospettabile prova lo scrittore
...DGiovanni Padoan, il partigiano Vanni di fede comunista,
nella più volte citata opera “Un’epopea partigiana alla
frontiera tra due mondi”. Egli ci offre sull’episodio del Giro
d’Italia una testimonianza che vale la pena di ripotare.
“Il 30 giugno al momento dell’arrivo del giro ciclistico d’Italia
al ponte di Pieris, su consiglio del dirigente sloveno
Franc Stoka, i
comunisti di
quella sezione
bloccarono il giro
che si doveva
portare a Trieste.
Franc Stoka, allora
uno dei massimi
dirigenti del
Pcrg a Trieste, si
recò a Monfalcone a chiedere ai comunisti di quella sezione
che impedissero il passaggio del Giro d’Italia. Questi comprendendo
l’enormità della richiesta, si rifiutarono recisamente
di attuare una azione così dissennata. Non rinunciando
al suo progetto, lo Stoka si recò a Pieris e qui, purtroppo, i
comunisti locali aderirono all’invito che venne messo in atto
e che, come è noto provocò stupore e reazione anche in ambienti
non nazionalisti che, in un clima già arroventato e
scosso dai conflitti sociali e scontri di piazza quasi quotidiani
(non si dimentichi che siamo nel giugno-luglio 1946) , sfociò
nelle violenze squadriste a Trieste e in uno sciopero ben noto
di carattere antislavo e anticomunista e questa volta con il
consenso di molta gente che prima era rimasta neutrale”.
In definitiva, il primo Giro d’Italia del dopoguerra, terminò
a Pieris. I corridori non vollero più procedere, perché mancavano
le condizioni di sicurezza. Lo sport più popolare d’Italia,
che sapeva infiammare gli italiani e metterli al di sopra delle
parti, era stato tradito dall’atto insano degli slavotitini. Le
cronache del tempo ci riferiscono che lo stesso Bartali, sollecitato
ad intervenire presso gli altri corridori perché si proseguisse
alla volta di Trieste, si uniformò alla volontà dei più.
Fu così che il grosso della carovana si mosse alla volta di Udine.
Solo una quindicina di corridori decise di non arrendersi e
di proseguire sino al traguardo di Montebello. Tra questi vi
era anche il nostro Cottur. I quindici “girini” furono fatti salire
su alcune automobili della carovana e dirottati lungo una
strada diversa da quella prevista. Ma anche questa era stata
cosparsa di chiodi dall’odio sciocco e brutale dei malintenzio-
Testo tratto dal libro di Alfio Morelli
“Trieste, l’altra faccia della storia. 1943-1953”
nati, sicchè la carovana dovette procedere con molta lentezza.
Essa potè proseguire grazie ai molti sportivi locali che fecero
il possibile per rimuovere chiodi, filo spinato, vetri ed altri
ostacoli. Al bivio di Miramare questi corridori rimontarono in
sella e i numerosi bagnanti lungo la scogliera li accolsero facendo
siepe attorno a loro, applaudendoli vivacemente. A Barcola
già sventolavano le prime bandiere tricolori. Il centro cittadino,
dopo aver appreso la notizia dell’inaudito gesto, aveva
reagito riversandosi per le vie e imbandierando le finestre.
Circa alle 15 iniziarono a sopraggiungere le prime macchine
al seguito della sparuta pattuglia dei superstiti. Nonostante
l’ora meridiana e la calura estiva, ali di folla si strinsero intorno
a loro.
Ovunque la folla inneggiava all’Italia.
Giunti all’ippodromo, i corridori vollero che fosse proprio il
triestino Cottur, davanti a migliaia di spettatori, a compiere il
giro d’onore. Il risultato sportivo non contava più nulla, ma
ancora una volta fu importante l’attaccamento dei triestini all’Italia.
Tutti i giornali naziona-
li, all’epoca dei fatti, riportando
la notizia rilevarono
che la misura era
colma. Il significato politico
e morale, di quell’avvenimento
può essere
riassunto nella dichiarazione
semplice e spontanea
rilasciata dal corridore
torinese Giacometti,
del Fronte della Gioventù
(all’epoca dei fatti questa
era la denominazione
dell’organizzazione giovanile
del Partito comunista
italiano). Questi,
mostrando ai giornalisti
un pezzetto di ferro a più
punte, da reticolato, uno
dei tanti cosparsi lungo
la strada , disse: “Lo
porto a casa per far vedere
agli amici di che
sono capaci gli slavocomunisti”...
I VINCITORI
DELLE TAPPE
TRIESTINE
1919/1923 Costante Girardengo
1920 Gaetano Belloni
1927 Giovanni Brunero
1934 Fabio Battesini
1938 Cesare Del Cancia
1939 GIORDANO COTTUR
1940 Mario Vicini
1951 Luciano Frosini
1955 Alessandro Fantini
1960 Dino Bruni
1961 Rick VanLooy
1966 Vendramino Bariviera
1968 Guido Reybroeck
1973 Marino Basso
1977 Ercole Gualazzini
1981 Knut Knudsen
1998 Alex Zulle
I percorsi
della storia
Appassionato di ciclismo,
ho seguito, qualche
domenica fa, la
presentazione alla stampa
dell’87° giro ciclistico d’Italia.
Con mia grande sorpresa, ed altrettanto
piacere, ho così appreso
che una delle tappe della notissima
competizione avrà come
sede di tappa la città di Pola.
Nel mio intimo ed anche conversando
con alcuni amici polesani
avevo più volte auspicato
che un evento simile potesse verificarsi.
Il Giro, peraltro, aveva
già in passato toccato altre località
al di fuori del confine nazionale
facendo anche tappa a Lubiana.
Questo, comunque, per me,
era stato vissuto come un trasferimento
di routine.
Gli appassionati che hanno seguito
alla tv le radiocronache
delle tappe del Giro sanno quanto
spazio è dedicato dai vari servizi
alla storia delle sedi di tappa
con riprese filmate degli angoli
più caratteristici delle città stesse,
dei loro monumenti con ampi
riferimenti alla loro storia. Non
mancano poi le interviste, gli
spettacoli che fanno da corollario
all’evento sportivo. Nel caso
particolare, quindi, l’evento potrebbe
assumere un significato
particolare ed utile per riproporre
ad una vasta platea la nostra
storia e gli eventi che hanno
concorso alla perdita della penisola
istriana.
E’ facile intuire che la concessione
della città di Pola come sede
di tappa sia stata preceduta da
trattative riguardanti l’aspetto
puramente sportivo come i risvolti
di natura politica, ma l’aver
raggiunto un accordo significa
anche che le due controparti
hanno ritenuto che il ritorno economico
e pubblicitario della manifestazione
pagherà ampiamente
la scelta fatta.
La penisola istriana, dopo la
fine delle tensioni a seguito della
guerra nei Balcani, sta diventando
sempre più meta ambita dagli
operatori turistici con un potenziale
di incremento certo già individuato
dal mondo economico
che gestisce questo tipo di risorse.
Far conoscere ai potenziali
utenti tutte le bellezze della penisola
rientra nella politica che
ha come obiettivo sia il semplice
soggiorno che il suscitare quell’interesse
che spingerà in loco
molti investitori una volta che il
mercato immobiliare verrà liberalizzato.
Al di là dell’evento sportivo,
quindi, questa scelta ricade, a
mio avviso, anche in questa ottica
per la vasta eco che l’avvenimento
suscita attorno a sé in Italia
come in Europa e che coinvolge,
oltre alla stampa prettamente
sportiva, anche i maggiori
quotidiani nazionali.
Una gestione oculata ed equilibrata
di questo avvenimento da
parte delle nostre associazioni,
mirata non a scatenare polemiche
né impossibili rivalse ma a
far conoscere all’Italia intera la
nostra storia dovrebbe essere per
tempo intrapresa.
Una storia che tutti noi sappiamo
essere stata occultata per
troppi anni e che potrebbe essere
riproposta inaspettatamente seguendo
strani percorsi per mezzo
di un avvenimento sportivo.
PIO MARCOZZI

PAG.4 L’ARENA DI POLA N. 1 del 31 gennaio 2004
Alla ricerca del tempo perduto
Le campane
di Visignano isignano
di Loretta Cop
Negli occhi stanchi di
mia madre vedo ricordi
sbiaditi di un’epoca
lontana, ricordi che ritornando
a galla le illuminano il viso
dandole una parvenza di gioventù
sfiorita. Nata nel lontano
1927 a Visignano d’Istria, a tre
metri dal campanile e pochi
più dalla chiesa e dalla loggia
cittadina, ne è rimasta fedele
ancora oggi. Suo padre era il
bandaio del paese conosciuto
anche a Mandolebotte, Marcovaz,
Sbandai, Legovici e Strapacici,
tutti villaggi dell’agro
parentino. Non c’era casa che
non conoscesse el “gorna”.
In sella alla sua bicicletta
passava tutti i villaggi e ogni
tanto faceva “un salto a Trieste”.
Con sé portava la figlia
seduta sulla stanga della bici.
Quando ritornavano a casa lui
non aveva più le suole alle
scarpe, perché eternamente
senza freni, e la figlia aveva il
sedere indolenzito. La madre
invece era la “nonzola” del
paese, quella che puliva la
chiesa, spolverava gli altari,
cambiava l’acqua ai fiori e faceva
suonare le campane. La
sua era un’arte vera e propria.
All’ora esatta apriva le porte
del campanile, si arrampicava
per le scale malridotte fino in
cima, con forza prendeva il
“batocio” in mano e intonava,
a seconda dell’ora, il mattutin,
il mezzogiorno o l’Ave Maria.
Le campane risuonavano per
tutta la valle e ogni paesano sapeva
regolarsi anche senza l’orologio.
Nelle sere d’estate rimaneva
seduta sulla “senta”, davanti
alla casa, con le “comari” del
paese a commentare i fatti della
giornata. Brontolava sempre
contro i vecchi paesani che durante
la messa uscivano ad urinare
dietro al campanile, vicino
alla calamita, facendole entrare
la puzza in casa. Al suono
delle campane serali, tutte le
figlie dovevano rientrare in casa
accompagnate dalla solita
battuta “L’Ave Maria è suonata,
la ‘puta’ è rientrata”.
Finita la guerra il paese venne
abbandonato da molti e da
altri venne colonizzato. La povertà
regnava ovunque e la famiglia
abbandonò Visignano e
si trasferì a Fiume in cerca di
lavoro. Le campane vennero
prese in consegna da Anzula,
la neonominata nonzola del
paese. Anzula la conobbi anch’io
e dopo tanti anni il suo ricordo
è ancora vivo in me. Era
una donna anziana, grassotella,
di media statura, con una lunga
treccia bianca, sottilissima, avvolta
in testa. Gli occhietti erano
piccoli, furbastri, sprofondati
in un viso rubicondo e la
bocca quasi sdentata. Sempre
vestita di nero con un grembiule
anch’esso nero e ai piedi
aveva delle ciabatte ormai consunte.
Era sempre uguale, sia
d’estate che d’inverno. In mano
teneva sempre un fazzoletto
bianco con il quale si forbiva il
sudore colante a causa della
seppur breve camminata fino
al campanile. Camminata per
modo di dire, perché lo strusciare
delle sue ciabatte prima
sul selciato del paese e poi sulla
polverosa piazza non somigliavano
certamente ai passi di
una persona. Al suo strusciare
frotte di ragazzini le si facevano
attorno accompagnandola a
destinazione.
Arrivata al campanile, sempre
forbendosi l’eterno sudore,
estraeva dalla tasca dell’ormai
lurido grembiule le grosse e
pesanti chiavi, apriva le porte
e dopo due o tre profondi respiri
prendeva la corda delle
campane in mano. Uno, due,
tre strattoni vigorosi e le campane
iniziavano il loro rintocco.
Molte volte le chiesi di
provarci anch’io senza però
riuscirci. Diceva sempre che
bisognava avere forza, molta
forza, ma io non so da dove la
traesse lei. Per non dire quando
moriva qualcuno, allora le
campane suonavano a lungo,
suonavano a morte, e così
sembrava lei, stanca morta,
quando usciva dal campanile e
con la solita andatura se ne ritornava
a casa.
Incuriosita, un giorno, la seguii
per vedere dove abitava.
Non l’avessi mai fatto, perché
al solo ricordo inorridisco.
Bussai alla porta mezza rotta di
una vecchia e decrepita casetta
con un’unica piccola finestrella
rotta che fungeva da entrata
ai gatti randagi. Dall’interno
mi rispose una debole voce ed
entrai nell’unica stanza che la
casa possedesse. Il pavimento
era di pietra e terriccio e nella
falce di luce che vi entrò vidi
che lei giaceva al buio, sul
“paion”, ricoperta da una lurida
vecchia coperta nera. Spettinata,
stanca e forse anche ammalata,
non si mosse e non
parlò. Al centro della stanza
c’era un vecchio tavolo e due
sedie malridotte. Vicino al “fogoler”
spento un paio di gatti
neri mi guardavano incuriositi.
Faceva freddo e non c’era alcun
odore di cibo. La vecchia
viveva della pietà degli altri.
Non so neppure se mi avesse
riconosciuto.
Triste e sconsolata me ne andai.
La consideravo ormai
un’amica e a quella visione
stetti male per alcuni giorni. I
vicini la trovarono così, su
quel lurido giaciglio, spettinata,
forse anche affamata, con
un paio di gatti neri attorno. Le
sue campane la accompagnarono
all’ultima dimora. Ormai
suonavano da sole.
La Chiesa
di Sant’Elena
a Valle
Sul numero del 15 dicembre scorso, l’amico Matteo Fabris
racconta delle “rogazioni”, si deduce, nel Comune
di Valle. Nel testo cita la Chiesa di Sant’Elena che - particolare
insolito - porta racchiusa nel rosone, sopra l’ingresso, la
“stella di Davide”.
Ho avuto il piacere di fotografarla e, sul posto, una gentile
signora mi aveva dato ampie illustrazioni. La Chiesa, tranne
i muri perimetrali, era distrutta.
Non ho resistito al piacere di completare - inviando questa
foto - quanto detto da Fabris.
FAUSTO D’ASTA
Auguri e celebrazioni di S. Tommaso
Sopra, Imperia, Circolo
Giuliano-Dalmata
il 14 dicembre 2003
Sotto, Venaria Reale,
la Famiglia Polesana di Torino
lo scorso 7 dicembre
Benedizione del nuovo Labaro da parte del Vescovo Monsignor
Ravignani di Pola
Sopra, il Comitato provinciale
dell’ANVGD - Verona
Sotto, festeggiamenti della
Famiglia Polesana nella sede
dell’Unione degli Istriani
con il coro Arupinum

L’ARENA DI POLA N. 1 del 31 gennaio 2004 PAG.5
Un pomeriggio di vero
autunno, grigio-piombo,
le nubi basse e la nebbia
rorida che si trascinava come lenzuola
stracciate fra lapidi, croci,
sepolcri, avevo accompagnato
nel cimitero di Visinada, staccato
dall’abitato sulla collinetta cinta
da un muro, un parente emigrato
giunto per posare un mazzo di
fiori sulla tomba dei suoi scomparsi.
Quando ci siamo guardati
intorno, confondendo le altre croci
affioranti tra gli stracci nebbiosi,
con figure ondeggianti, quasi
senza accorgersene ci siamo scoperti
a dire: «Ricordi, quand’eravamo
ragazzini...».
Così è cominciato il discorso
sulle reminiscenze di usi, costumi,
superstizioni, strigane della
nostra Istria di un tempo. Il cimitero
era molto spesso al centro di
tutte le dicerie e credulità della
gente, mantenute in vita dai racconti
delle nonne nelle serate
d’inverno attorno alla fiamma del
fogoler. Le nonne raccontavano, i
ragazzini ascoltavano a bocca
aperta — specie quelli giunti dalla
città, per vacanze o sfollamenti
— lanciando qualche furtiva occhiata
nel buio fuori della finestra.
Gli uomini, chiamati a confermare,
annuivano svogliatamente
senza parole e continuavano
a parlare tra loro di ben altri
cavoli. Li avevano sentiti da piccoli
questi racconti, dalle loro
nonne; lasciavano fare. Peraltro
qualche precauzione, nonostante
le esperienze concrete della vita,
se l’erano presa, lasciando il resto
alle donne. In città o nelle borgate
maggiori le nonne addormentavano
i nipotini con le fiabe rosa.
In campagna, dove la vita era
stata dura e cupa, le fate non avevano
trovato posto, lasciando il
passo alle strighe, al malocchio,
alle superstizioni che si accompagnavano
alla specifica filosofia
dell’esistenza.
IL MORTO FUMA
Tornando ai cimiteri, bisognava
assolutamente evitare
di passarci vicino a
mezzanotte (siamo nei racconti),
quando i defunti uscivano per
una boccata d’aria, una fumatina
e qualche chiacchiera. In parecchi
giurarono di esser stati chiamati
per nome al cancello di un
cimitero di notte, al ritorno a piedi
dalla cittadina. Il «morto» aveva
chiesto loro semplicemente di
accendergli il sigaro ed alla fiammella
«videro» il teschio di un
defunto compaesano, riconoscendolo
dal cappello. Storielle
del genere facevano il giro
delI`Istria più veloci di quello ciclistico,
naturalmente con gonfiature
e aggiunte di ogni tipo. Tra le
due guerre vigeva l’omertà intorno
all’abigeato ed i cimiteri erano
ottimi rifugi per i malandrini.
Quindi il viandante non aveva acceso
il sigaro ad uno scheletro ma
a qualche noto lestofante che gli
aveva subito chiesto: «Cosa vedi
adesso?». Pronta risposta: «Un
morto...». E non furono pochi a
portare anche la cena al defunto
inquieto; molto tempo dopo si
veniva a sapere (nei bisbigli tra
uomini) che il fantasma era tal
dei tali o addirittura il Kolarich,
la famosa primula rossa istriana
Sopra, Statuina in abbigliamento
tipico della tradizione istriana.
A lato, Visinada. Visioni dell’antica
cittadella.
che aveva preso per il naso a lungo
la polizia.
Passando dopo il tramonto per
un crocevia — ma mai di mezzanotte
— era consigliabile mostrare
i «fighi», ficcando il pollice tra
indice e medio della mano ed
avere in tasca uno spicco d’aglio
oppure un rametto di rosmarino,
cosine che al diavolo dovevano
essere oltremodo indigeste. Così
se ne stava lontano. Naturalmente
sguinzagliandosi la fantasia dei
giovani, andava a finire che l’ombra
di un albero sotto la luna o il
frascheggio di una siepe si tramutavano
in spaventose figuracce
oppure nel fruscio del mantello di
Lucifero, quel birichino sempre
pronto a combinarne una delle
sue. E appena rincasati bisognava
premurarsi di togliere tutto di
dosso, passare gli indumenti tré
volte attorno alla catena sotto la
cappa del camino, sferragliando
con essa e con la caldiera che vi
era appesa. L’anziana della casa
nel far ciò pronunciava certe frasi
incomprensibili.
NO BEVER COLA
CANDELA IN MAN
Scodellando a vicenda tutti
i ricordi di queste storie
d’altri tempi, io e il mio
parente abbiamo fatto sera, fuori
le mura del cimitero, mentre il
vento cominciava a far gemere i
lunghi cipressi. All’unisono ci
siamo detti: «Montemo in auto e
andemo in paese...». La suggestione
delle nostre nonne! Nell’abitato
di Visinada abbiamo avuto
conferma che certe cose tengono
ancora, come a dire «non è vero
niente ma non voglio rischiare...».
Un amico ci ha invitati nella
sua cantina a spinellare il primo
vino nuovo. La vecchissima
cànova è tenuta sempre come una
volta, anche senza la luce elettrica,mentre
l’alloggio di sopra è
dotato di tutti gli elettrodomestici
esistenti. Io tenevo una grossa
Un giro per l’Istria
Rievocando
le strigarie
di Romano Farina
candela in mano accennando ad
accostare la bucatela alle labbra,
ma il padrone, rapidissimo: «No!
Prima cala el moccolo sula bote.
Bever cola candela in man pol
farme andar tuto el vin in asedo».
Ho chiesto se fosse già accaduto:
«Ancora no, ma xe mejo andar
sul sicuro...».
A proposito di uva e vini, il tema
è andato alla coltivazione e
pericoli di grandinate devastatrici.
Un tempo, all’approssimarsi
di un temporale con la caratteristica
nube cuporossastra, bassa e
sfilacciata di sotto in penzolanti
lembi biancastri, con le scontradure
di venti caldo e freddo, dai
campanili si suonavano all’impazzata
le campane e sembra che
alcuni strumenti bronzei dalle tonalità
più acute, contribuissero
con le onde sonore alla trasformazione
della nube, alla polverizzazione
dei ghiaccioli in caduta.
Gli abitati privi di campane e
campanili provvedevano altrimenti,
entrava in scena il cavalcante,
l’avversario delle streghe e
del diavolo, quasi sempre maschio.
Riscaldava la lama di un
coltello da cucina sulla fiamma,
gli dava un’unta d’aglio e pronunciando
frasi misteriose tracciava
in direzione della nuvola
una gran croce. Il cumulo si divideva
in quattro, disperdendosi.
Ma non sempre...
LA MORA DI NOTTE
Certo più dei preti potevano
i cavalcanti ai quali la
gente si rivolgeva in caso
di bisogno ed ogni paese ne
aveva uno (di solito un buontempone
che ne ricavava profitto),
più una striga. Quasi sempre questa
veniva identificata dall’ignoranza
dei bifolchi in un’ignara
vecchietta, piuttosto brutta, che
doveva essere povera e cenciosa.
Le nonne ci insegnavano ad evitarle
ed a non voltar loro mai la
schiena, puntare i «fighi», ecc. Io
ci parlavo alla vecchietta e una
volta le riportai la capra che s’era
slegata. Venni... miracolosamente
salvato dopo aver sputato tré
volte sui tizzoni di pino accesi da
mia nonna nel caminetto.
C’era gente che veniva assalita
nottetempo di notte dalla mora,
un gran peso sul petto, senso di
soffocamento, sudorazione e sveglia
di soprassalto. La mora stava
pigiando le ginocchia sull’altrui
petto. In effetti si trattava di
bronchiti, indigestioni, persino
disfunzioni cardiache. Chi aveva
subito la scontradura aveva da
avvicinare la vecchietta di soppiatto,
tagliare un lembicino della
lunga gonna e bruciarlo, oppure
indossare la biancheria alla rovescia.
Ancora oggi si dice per
uno che si sia vestito troppo in
fretta: «El ga messo la camisa ala
roversa per paura che lo ciapi i
strighi». Si stava attenti anche ai
giorni della settimana per iniziare
affari o viaggi (martedì e venerdì
no se parti) o agli incontri per
strada (un prete consolazion, due
preti disperazion, tré preti dichiarazion
d’amor).
E in fatto d’amore, quando c’era
un buon partito da incastrare
(poteva essere anche la grande
passione, assai più raramente
però, perché la dote era la qualità
primaria) si tentava di farlo anche
con vari elisir. Trovata la fattucchiera
giungeva il momento
propizio per propinarlo nel piatto
o bicchiere della prescelta (o prescelto).
Poi magari succedeva
che la madre dicesse al figlio, per
la nuora poco laboriosa: «Quela
porca tè ga strigonà ».
NIENTE NODI
PER LA SPOSA
Brutta cosa il malocchio e
si cercava di difendere in
primo luogo i bambini. I
vicini con i quali si era da anni in
discordia per il razzolar di una
gallina oltre lo steccato o lo sconfinamento
di una placida vacca,
erano sempre pronti alla vendetta.
Così la sposa non doveva aver
alcun nodo, nemmeno alle scarpe,
per le nozze, ne farsi da sé l’abito
nuziale,ecc. Quando era
prossima al lieto evento non doveva
mai oltrepassare una corda,
mangiare carne di scrofa per evitare
che al nascituro venissero le
porchette (bitorzoli) e portare
collane. Per facilitare il parto sopra
il letto della puerpera venivano
appoggiati i calzoni del marito.
All’atto della nascita il maschietto
andava avvolto in una
camicia di papa e nelle prime fasce
veniva messo un uovo sodo,
tutto nel segno della futura forza
e virilità. Onde non perdere il latte
la mammina portava nella tasca
del grembiule un pettine con
le punte ali’insù, la biancheria del
neonato posta ad asciugare andava
ritirata prima del tramonto.
Fogoler, napa e caldiera ebbero
un ruolo importante in tutte le
diavolerie. Infatti per guarire certi
mali misteriosi si mescolavano
tizzoni incrociati, gettandovi sopra
delle erbe speciali, poi tutto
veniva gettato nel recipiente, ben
rimescolato; la vittima faceva un
sorso di quella porcheria. In mancanza
di effetti salutari non restava
che trasportare con il carro il
malato in borgata dal dottore e allora
si scopriva trattarsi di polmonite,
tifo, pleurite, colite, appendicite...
COME VOLEVASI
DIMOSTRARE
Era consigliabile andar
cauti anche con i defunti
di famiglia, parlarne
sempre bene, non dimenticare di
abbellire la loro ultima dimora,
altrimenti erano capaci di far dispetti
di notte, sempre quando dal
campanile si espandevano i rintocchi
della mezzanotte, facendo
rumore nel solaio allarmando le
galline nel pollaio e facendo cadere
qualche stoviglia dalla madia.
Il giorno dopo il padrone di
casa constatava che nel solaio e
sulla madia c’era stato un inseguimento
tra gatto e topi, una
specie di battaglia alla Tom e
Jerry per i ragazzini d’oggi, mentre
intorno al pollaio la faina aveva
lasciato le proprie orme. Ma le
donne «sapevano» che tutto era
opera dello zio Toni o di zia Teresa
oppure di nonno Nicoleto. Il
giorno seguente si affrettavano a
consultare il prete, che consigliava
subito una messa (pagata) e la
benedizione della casa, dalla quale
se ne andava con una sporta
piena di uova, una treccia di salsicce
e due pollastri, trasporto a
carico della famiglia. Alla rassegna
delle nostre strighe, cavalcanti,
malocchi ed elisir si è unita
alla fine anche la vecchia nonna
del nostro cantiniere; ha voluto
dire la sua: «Sortendo de casa
mai meter avanti el pie sinistro e
no intopar». Invece, volle il fato,
non solo uscimmo col piede sbagliato,
ma inciampammo pure. E
per non sfidare la malasorte si
tornò in cantina.
Amen.

PAG.6 L’ARENA DI POLA N. 1 del 31 gennaio 2004
Un dopopranso che dovaria
esser de festa, un
albero impissado, do figure
de pieracota, casa solitaria
e un rimpianto che me
strassia l’anima. Penso a
un tempo ‘ssai lontan, serco
la mia giovinessa, ma
xe un’ tormento, un crussio,
una pena che de più la
cressi, come che de più
svanissi quel periodo de la
vita felice. Me, trovo a remenarme
de Monvidal a la
Rena, ai Giardini, al Zaro,
a Scoio Olivi, a Valcane.
Col pensier vado indrio,
vivo de novo i momenti
che me fasseva incontrar el
mondo dei grandi, ma el
vento dei ani ga portado
via tuto, anche i ricordi,
come foje morte.
Me par de veder file de
marineri co’i solini blu, co’
le stelete bianche, segnai coloradi
su le prove de le barche de guera,
cuciade site, e po’ foghi artificiai -
in noti scure- ma no foghi de festa,
solo rochete de morte. Purtropo el
Quatro ciacole tra de noi
di Gechi
a cura di Piero Tarticchio
NADAL 2003
di Guglielmo Belli
tempo cori, indiferente, el va ‘vanti,
no’l sparagna gnente e nissun, el
cancela tuto. Tuto el brusa con miliardi
de microbi che impinissi el
spassio fra un minuto secondo e
disegno di Gigi Vidris
Barufe acquatoriali
-“Bepi, te ga leto su Panorama
l’articolo de Betiza su la contesa
croato-slovena? La Croassia vol inpedir
a la Slovenia de usar el so’
mar, perchè, la disi, el dirito internassional
ghe da’ el permesso. Le
navi slovene, no devi passar pel
mar croato: Umago, Citanova, Parenso,
ecc., le devi far el giro largo:
per Trieste, Monfalcon, Grado...
Sarà sta anca colpa del caldo de
questa estate, ma me sa che robe simili
no sia mai capitade dal tenpo
de l’omo sapiens, solo adesso ch’el
I PROVERBI
DISCUSSI
di Silvia Lutterodt Sizzi
Chi si loda si imbroda? Gnanche un poco!
Varde’ i grandi magnati del’industria
piu’ che i fa afari sbusi in alto loco
piu’ i se compensa e premia sensa angustia!
xe diventà insipiens le sta sucedendo.
Per fortuna che noi semo su l’altra
sponda. Che sia perchè la Slovenia
sta per entrar ne la Ue e i croati
sia un po’ invidiosi o per i tanti pici
contrasti che esisti tra i due fradei
s’ciavi? Se ga senpre dito: “Fradei
cortei”, ma simili picinerie no sta ne
in siel ne in tera. Quando anca la
Croassia entrerà ne l’Unione Europea
come la meteremo? Le lesi europee
xe uguali per duti! Va ben che
Francia, Germania, Belgio, non le
va tanto d’acordo con Inghiltera,
Con le gambete curte la bugia
camina passo passo per la via.
Ma come xe che andando cussì pian
la riva presto e ben tanto lontan?
I disi “No se varda mai in boca
a cavallo donato”. No me par!
Co’ el donator xe andado, presto fioca
le critiche al regalo de scartar!
Chi ben comincia è alla meta’ dell’opera.
E se ‘l se stufa? O nol pol proseguir
sensa idee, el cervel che no coopera?
Cussi’ el lavoro no se pol finir!
quel che ghe vien drio. Me
par de osservar el tempo
con un microscopio, tuto
se movi ‘torno, no xe
gnente de fermo. Vedo
cresser la mia picia, slongarse
la mia ombra in strada
coi gioghi de sol, vedo
sbiadir i colori de la natura,
s’ciarirse i cavei, diventai
più pochi, ma gnente se
ferma. Me volessi liberar
dei ani che me strensi come
in una morsa coi denti
serai, coi pugni streti e le
onge che taia le man. Sigo
“fermite” a quel che me xe
‘torno, perché credo che la
mia giovinessa se possi
fermar, magari per un solo
momento, cussì de poder
voltarme e amirarla. Ma el
tempo no me scolta, el me
strassina con lu no ghe importa
gnente de la vita de
una volta in te la Cità dei mii sogni,
el lassa che i svanissi ancora e
ancora, el me li porta via, rubandome
anchè quel’unica richessa che
me xe restada: la nostalgia! G.B.
Spagna, Italia; che la Svezia, la Danimarca
e l’Inghiltera se ne frega
de l’euro e le tien strete le loro monede
(e, par mi, le fa ben); che gli
Stati baltici: Letonia, Estonia, Lituania,
ga nostalgia de i veci tenpi;
che la Russia, nonostante l’inviti
del Berlusca, se varda ben de entrar
ne la Ue, ma te l’imagini quando
scominsierà entrar in Europa i Stati
balcanici? Altro che carneval de
Venessia! Niente guera dacordo,
ma barufe tremende per ogni monada:
“Lu ga più de mi, perché mi
de meno? Perchè lu sì e mi no?” e
via che le vadi!
-“Nane, lassa perder, daghe tenpo
al tenpo, te vedarà che col prossimo
secolo la zente no savarà
gnanca che xe esistide ste robe. El
mondo intero, questa volta globale,
sarà con el muso rivolto a la Meca
e per quatro volte al dì ringrassierà
Allah de gaverla creada! Propio
cussì, perchè pian pianin, sensa che
i poveri moni de europei, americani,
russi, cinesi ecc. ecc. i se inacorge,
i sarà stadi fagocitadi da l’espansionismo
silensioso e soteraneo
de l’imigrassione clandestina
islamica. I sarà diventai duti mussulmani.
Sicome ne ti ne mi sta roba
la vederemo, mandemo a remengon
l’intera conbricola e andemo
dal sior Zacomo a farse el solito
bicer de quel bon e do’ grapini
super!”- A.M.
Tuti savemo che el mal comun
xe motivo de gaudio sotobanco.
Se catastrofe ariva tutintun
xe bon trovarse insieme tuti in branco.
Xe questa la piu’ gran consolassion
per chi che mai ga avu’ gnente de bon.
A gocia a gocia la piera se scava.
Nei tempi antichi sto motto passava.
Ogi xe furia, se fa sempre guera
e con le bombe se sbusa la tera!
I disi: “Saco svodo no sta sù”
per far capir che ocori magnar ben.
Reperti archeologici
Gente mia, devo propio ringrassiar
quele amiche telefoniche
che me fa saver quanto ghe piase le
mie ciacolade storico-mitologicoarcheologiche!
Mi qualche volta go paura de risultar
bibiosa con tute quele storie vecie
de secoli che a mi le me pol anca
‘ndar ben ma che a qualchedun
le ghe pol andar per tresso e esser
considerade babessi sensa costruto.
La Bruna Wenzlick però, con
una batuda spiritosa, la me ga tirà
sù de corda fassendome notar che
anca noi semo ormai “reperti archeologici”!
Infatti gavemo drio le
spale squasi un secolo intiero che
ne ga ben consà per le feste.
La ga propio rason la Bruna! Semo
ancora coredade de ‘na massa de
anticalie, robe che no stà più nè in
ciel nè in tera, robe che, se volemo
darse ‘na modernisada, dovariimo
darghe un taio ‘na volta per tute.
Bona educassion, rispeto, fedeltà,
onestà, pudor, fede, ideali...tuta roba
da meter in sofita! L’esempio ne
vien da l’alto; quel che ‘na volta
iera ciamà far el propio comodo
per interesse e ambission personale,
‘desso se ciama “Far politica”...o
forsi xe stà sempre cussi e
no se semo acorti? Chissà se xe per
l’aria che tira ma me vien in mente
certe frasi famose, reperti archeologici
de la memoria scolastica.
Qualche esempio?
-“Parigi val bene una Messa.”- che
el defunto Enrico IV, per sentarse
stabilmente su la carega de Francia,
el gaveva pronunsià, lù Ugonotto,
abiurando el Calvinismo per
el Cattolicesimo. Ecco subito
un’altra frase che me fa vignir in
mente el gesto de Maramaldo che
a Gavinana pugnalava el Ferrucci
za meso morto e questo ghe diseva
-”Vile, tu uccidi un uomo morto!-
E le ultime parole de Cesare ‘ssassinà
-”Anche tu Bruto, figlio
mio!”- Gente mia, i tempi xe cambiai:
quei iera tuti atti politici! De-
di Edda Garimberti
vo però ameter che, in seguito a un
evento doloroso xe rispuntà un reperto
archeologico che sembrava
sparì: l’amor de Patria! Questo me
ga tirà sù salvo pò a magnar bile
per el comento fato da qualchedun
su quei nostri Morti:
-“I xe andai volontari, per soldi e
per far i buli co’ le mule del posto!”-
Ma le gavè mai viste le mule
del posto? Quele poche che le va
in giro, tute incartonade drento el
burka come che esigi el maschilismo
de la lege islamica.
Ma gnanca un insempià, cascà de
testa, andaria là con questo scopo!
I nostri soldai, in tuti i posti dove i
xe stà mandadi, i se ga fato onor
soratuto per l’umanità e la generosità
co’la quale i ga svolto i compiti
assegnadi, compiti de pase e no
de guera! Serchemo de veder qualche
altra roba che se ga valorisà e
cioè i nostri veci mobili e soramobili
Stile ‘900 che xe diventadi
“modernariato” che saria la nova
frontiera del colessionismo.
No serve che le firme le sia de spico
come Lalique, Ginori, Cartier,
Borsalino, Lenci ecc. ma basta anca
quele robete de uso comune che
ancora ‘desso gavemo soto i oci
ogni giorno. Robete che ne ga
‘compagnà dal tempo felice e mitico
de la nostra infansia.
Un brustolacafè, un masinin, ‘na
vecia scatola de caramele, ‘na piàdina
de ceramica, un caval a dondolo,
una vecia bambola de ceramica,
pol valer più fliche de quel
che se imagina. Se devo darghe bado
a ‘na publicassion su l’argomento
de la De Agostini publicada
a fassicoli nel 1994 e che go ingrumà
in tre volumi, mi go la casa
piena de tesori!
Soto tuti i punti de vista son contenta
de esser anca mi un reperto
archeologico! E.G.
Ma a esser tropo pieni no convien:
corpo pesante no se movi piu’!
Chi rompe paga? Mi no lo diria!
Chi spaca volta i tachi e scampa via
lassando el dano, e ti a recriminar
perchet no ti lo ga podu ciapar!
Co se disi che chi che serca trova
un’idea per mi xe congenial:
per gaver risultati a tuta prova
serche’ solo la roba spiritual.
S.L.S

L’ARENA DI POLA N. 1 del 31 gennaio 2004 PAG.7
Ogi, come ogi, par veder un
mulo discalso bisogna spetar
che passi i singani e no senpre la
va ben parchè anche lori se ga civilisado.
Digo cussì parchè i fioi ogi
xe vestidi nome che ben e par
quanto riguarda le scarpe la vinsi
quele de ginastica, magari de marca
Adidas. Co’ le scarpe xe un fià
malandade se le buta via e se va a
cronpar un per de nove; no se
guarda tanto par el sotil, bisogna
esser senpre ben messi.
Ai tenpi che iero muleto le scarpe
iera un lusso e cussì i genitori sercava
de farle durar più che se podeva.
Ogi le boteghe de caligheri
xe squasi sparide, ma una volta no
iera cussì parchè i gaveva ‘ssai de
far: tachi, mesi tachi, siole, mese
siole, puntai e salvatachi de fero,
biechi sula siola e sul desora. Come
ordegni i doprava un martel
tondo de una parte e a punta de
quelaltra, cortei (trincetti) par taiar
el corame e rifilar tachi e siole, forma
de fero a tre brassi, forme de legno
par slargar le scarpe strete, tanaie
de diversi tipi, puntariol, subia
(lesina), spago, smola, pegola
(pece), cola de pesse, broche, ciodini
,ciodi de legno, pele, corame,
color maron o nero par i tachi e patina
par lustrar le scarpe dopo la riparassion.
La mularia, co’ doveva vestirse
ben, gaveva scarpe, magari vece,
ma lustrade ben con patina e scartassa
e se le iera bianche bisognava
passarle cola biaca, una polvereta
bianca che se disfava in un poco de
aqua e po’ se spalmava con un peneleto
o con un vecio spassolin de
di Aligi Vidossi
Per indicare che non si ha più un
soldo in tasca, che si è “al verde”,
ci sono alcuni modi di dire dialettali,
come: “son in braghe de tela”,
“son lustro”, “son cisto (neto)”,
oppure “son a ghele”. Esser “a
ghele”, ben si adatta all’indigente,
al povero in canna, che non sa come
sbancare il lunario o come conciliare
il pranzo con la cena. Come
si evince consultando i vari vocabolari
dialettologici del Friuli e Venezia
Giulia, il termine “ghele”,
pur con sfumature diverse di significato
da luogo a luogo, è diffuso in
un’area ampia, che va da Trieste
(Doria, Pinguentini, Rosamani ) al
Friuli (Nuovo Pirona), comprendendo
l’Isontino e la Bisiacheria
(Domini).
In Istria, è sicuramente attestato a
Pola e nella Polesana, forse introdottovi
dalla nutrita “colonia di
Friulani e Bisiachi che, nella seconda
metà dell’Ottocento si erano
trasferiti per lavoro nella città (ma,
allora,...cittadina!) istriana; la gran
parte, come dipendenti civili o militari
dell’Arsenale, gli altri come
artigiani. Non so dire se sia presente
nei dialetti di qualcuna delle cittadine
istrovenete della costa istriana;
pare, invece, che manchi a Fiume,
almeno non ho trovato riscontri
tra la fraseologia elencata su “La
Voce di Fiume”.
Dell’espressione “esser a ghele”
esistono alcune varianti, come:
“andar a ghele”, attestato anche nel
Bisiaco col significato di fallire, rimetterci
tutti i soldi, i risparmi, gli
averi; nel gioco d’azzardo (a carte,
a dadi) o a tombola, ecc, perdere
non solo la posta della mano, ma
tutta la somma a disposizione;
“magnar ghele” , “magnar de ghe-
Scarpe, papuze, savate & Co.
denti. Se pioveva, i fioi pici, ma no
solo lori, portava i tronbini de goma,
se le scarpe no tegniva l’aqua
se ghe meteva sora le galosse dete
anca soprascarpe. In estate se portava
i sandali, ma mi a casa iero
senpre discalso e corevo par l’orto
sensa gnanche sentir i sassi parchè
soto i pie gavevo fato una pele dura
come quela dei rinoceronti. Ma
la gente modesta gaveva un altro
modo par ripararse i pie, con una
roba che le mame e ancora de più
le none fasseva con pasiensa utilisando
roba vecia.
Co’ mia nona vegniva a trovarme e
la me diseva: -“Mali, va zo in drogheria
de Gelletti e conprime un
gomitolo de spago sforsin.”-“Savevo
che la me gavaria fato un per
di Tullio Binaghi
Puntariol Subia Martel Forma de fero Forma de legno
de savate che gavario portado ‘ssai
volentieri. Co’ tornavo col gomitolo
la me fasseva posar el pie sora
un toco de carton e cola matita la
segnava tuto torno par gaver el
stanpo; po’ cole forbici la taiava la
forma, ma stando un fià più larga.
Bon, quela saria stada la sagoma
dela siola, che vegniva posada sora
tochi de stofa vecia ma ancora bona,
coverte mese rote, capoti oramai
finidi, ecc.
E cussì la taiava tanti tochi tuti
conpagni sercando de far economia
e de utilisar la stofa meo che la
podeva. Tute ‘ste siole vegniva
spartide in do muceti conpagni e,
messe una sora l’altra, con ago
grosso, puntariol e spago sforsin le
vegniva cuside insieme e batude
ben purché le doveva diventar ba-
Riflessioni etimologiche e semantiche del sior Aligi
Aproposito del termine “ghele”
le” (nel triestino, “andar a magnar
su de ghele”, Ping.), col significato
di mangiare poco o nulla; e quel
poco, di scarso valore nutritivo.
In quanto all’etimologia di “ghele”,
tutti gli Autori citati la definiscono
“incerta”, ma concordano
nell’attribuire le maggiori “chance”
alla lingua friulana, dalla quale
la voce si sarebbe poi diffusa, come
“prestito”, nei vari dialetti.
Nel “Friulano”, “ghele” vale: nulla,
da nulla; niente, per niente, niente
affatto, ecc., come ad esempio nella
frase: “m’in dastu un ninin? Une
ghele!” equivale “me ne dai un pochino?
(briciolo, assaggio)? Per
niente! (niente affatto!). Altri glottologi,
invece, ipotizzano una derivazione
di “ghele” dal tedesco
“geld” (denaro, soldi), che con
questa accezione è presente anche
nei dialetto milanese: “ghel” per
denaro, soldo, centesimo; al plurale
“ghei” (soldi); dal quale, poi, deriverebbe
il veneto “sghei” o
“schei”. Però, con questa impostazione
non concordano né il Doria,
né il Pinguentini; quest’ultimo, anzi,
è così scettico, da supporre che
“...non è impossibile che il lemma
si riferisca ad un nomignolo o ad
un nome personale”. Grande incertezza,
dunque! Dubbio per dubbio,
mi è venuto un ghiribizzo, non so
quanto valido; mi sono chiesto: e
se “ghele” non avesse nulla da
spartire con i soldi, i “ghei” o
“geld”, nè col friulano “niente”, ma
fosse soltanto una sigla, una delle
tante usate ai tempi dell’Amministrazione
austriaca? Precisamente:
“G.L.”, che in tedesco si legge
stansa dure. Me dimenticavo, le
due siole iera identiche, no esisteva
destra e sinistra.
Par el desora ghe voleva tela forte
e bona; mia nona doprava un stanpeto
che se fasseva inprestar de un
altra veceta. La taiava i do desora,
sula punta la cusiva un puntal de
rinforso, ma de colar diverso e po’
la li cusiva sule siole scominciando
dala punta.Le savate o papuze
podeva diventar un capolavoro se
la nona gaveva tenpo o iera de voia
parchè la ghe fasseva i ricameti,
col fil colorado, tuto torno e specialmente
sul puntal.
Le papuze iera comode e silensiose,
fin che le iera nove dovevo senpre
lavarme i pie prima de meterle
su. Se le ciamava papuzete quando
“Ghe-L” o “Ghe-Le”, costituita
dalle iniziali delle parole “Gemeindebeistand”
= assistensa comunale”
e “Leistung” = prestazione, col
valore di erogazione. Nel vocabolario
“Sansoni” è citata la voce
“Beistandsleistungl” che vale come
“prestazione di assistenza”.
Se così fosse, “Ghe-Le” non sarebbe
altro che un Ente, un’Organizzazione
assistenziale civica, antesignana
dell’E.C.A. (Ente Comunale
di Assistensa), legalmente istituito
solo nel 1937. Per altro, l’esistenza
di uno di questi Enti è attestata a
Trieste già agli inizi dell’Ottocento
col nome di “Magistrato Civico”,
preposto all’assistenza pubblica.
In secondo luogo, nel nostro dialetto
sono presenti anche frasi “simmetriche”
a quelle prima citate, diverse
nella forma, ma identiche
nella sostanza, ottenute semplicemente
sostituendo “ECA” a “Ghe-
Le”; come: “andar a l’ ECA.”, “andar
cior l ‘ECA”, “andar magnar a
l’ECA”, “el magnar de l’ECA”,
ecc. In base a questa “ricostruzione”,
i significati delle frasi che se-
Nonostante
siano passati
gli anni,
l’umorismo
londinese della
nostra Silvia
non cessa di
graffiare.
Buon Carnevale
a tutti anche da
parte dei
redattori de
L’Arena
le iera fate pa’i pici; papuze quando
le superava una certa misura e
quei che se le meteva iera grandeti,
le diventava savate quando le rivava
al massimo dela misura e magari
el dito grosso scominciava a vegnir
fora e drento se gaveva fato un
strato de cragna che no se tirava
via gnanche cola scartassa; alora
iera el momento de no lassarle più
soto el leto co’ se andava a dormir:
le gavaria tegnudo lontan i mussati
ma ti gavaria podudo sveiarte più
morto che vivo, cussì iera meo lassarle
fora dela porta. Le scarpe de
una volta no se le serava, come che
se fa ogi col velcro che xe tanto comodo,
ma iera spighete che se ingropava
senpre, o una cinghietta
cola fibia o, nele scarpe de vernise
nera che portava le mulete o i fioi
pici, iera un cinturin che però se inbotonava.
Se uno gaveva un per de
scarpe esagerade in grandessa se
diseva: - “Orco dindio! A ti ga do
sipe!- (dal croato cipela che se pronuncia
zipela) che vol dir scarpa;
ancora in croato la savata se disi
papuca (pr. papuza).
Se uno portava scarpe mal ridote,
sformade, se diseva che iera do
opanche, una spece de scarpa cola
punta in su che doprava i turuntas,
manovai bosniaci vegnudi a lavorar
sula diga de Val de Figo. ‘Desso
me ricordo che qualche sior
portava le ghete come quele che
usavimo in divisa de avanguardisti.
E par finir el discorso su scarpe,
savate e papuze ve ricordo un
proverbio:-“Meo consumar le siole
che i linsioi.”- T.B.
PO ES I A
CIPRESSI
Vecchi cipressi
che ascoltate il pianto e le
preghiere
eterna gioventù ostentate
nel luogo
dove tacciono le passioni,
dove vanno le opinioni
dove pazienti attendono
il risveglio i dormienti.
Cipressi silenti.
Cipressi dolenti.
Cipressi vallesi.
Matteo Fabris
guono sarebbero:
l) “Esser a ghele”, “andar a
ghele” oppure, “andar a l’ECA”,
“andar a cior l’ECA” valgono: esser
così mal ridotto finanziariamente
o economicamente, da dover
ricorrere all’assistenza pubblica
e percepire un sussidio o una
sussistenza da parte del Comune,
come la “refezione” (o “manasa”)
distribuita gratuitamente ai poveri
dalla Mensa comunale.
2) “Magnar de ghele”, “andar
magnar su de ghele” o “andar magnar
a l’ECA” equivalgono a... andar
a mangiare alla mensa del Comune;
“de” sta per “da” ed è
espressione simmetrica a... “magnar
de Calcich, de Sicola, de
Ganbal”, intendendo... nelle loro
trattorie.
3) Poi, “un magnar de ghele” o
“el magnar de l’ECA” stanno per
pietanza povera, poco nutriente e
poco condita, proprio come la “manasa”
distribuita dalla mensa civica.
Per estensione, poi, piatti come:
“brodo brustolà”, “suf”, “griès”,
“panada” e simili, anche se preparati
in casa, sono sempre... “magnari
de ghele”!
Ma forsi scrivo ste robe solo per insenpiar
la gente! A.V.

PAG.8 L’ARENA DI POLA N. 1 del 31 gennaio 2004
di Nadia Bencich
Afferro la borsa di mia madre
dove ho riposto un pacchetto
di lettere d’amore. In
quella della zia e di papà, thermos, panini
e frutta. Preferirei morire piuttosto
che cedere le lettere. La borsetta a
tracolla scivola continuamente dalla
spalla, il valigione mi taglia la mano e
“Su, cammina!”. Da questa landa che
dovrebbe portarci verso la città portuale
del Sud alla quale siamo diretti,
stanno arrivando profughi ed emigranti.
Ha inizio il nostro viaggio senza
fine. Fa freddo in questi ultimi
giorni di novembre, ma forse il freddo
viene dal cuore. Sollevo il bavero del
cappotto e guardo dal finestrino il
profilarsi di alcune case grigie e poi,
oltre la curva delle rotaie che si uniscono
e aprono agli scambi, appare la
stazione. Mentre il treno rallenta, sento
l’ostilità di questo posto, che purtroppo
ricambio. In ogni luogo dove il
treno ha fatto sosta, si è riempito di
sbandati. Penso alla favola di Andersen
sui topi e il pifferaio magico e sorrido
rendendomi conto che anche noi
abbiamo infestato paesi e ora sfolliamo
mesti. Bambini che piangono,
odore di corpi, colpi di tosse, risate
stridule di gente disperata. Siamo
giunti alla stazione di Udine e qui
aspettiamo che arrivi un altro treno,
avvolti nel fetore dell’atrio. Dalle case
vicine esce qualcuno che ci osserva
tra il curioso e l’ostile. Fingo di non
sembrare una profuga in partenza come
questi vocianti, infagottati, seduti
sulle borse, chi drogato dall’alcol e
chi dal disperato conforto del comune
destino. Cerco di scostarmi e col pensiero
mi aggrappo alle lettere nascoste
nella borsa. Fuori, il piazzale è strigliato
dalla Bora autunnale; un ciclista,
sotto il peso del vento, sbanda sui
marciapiedi e si rassegna a procedere
al passo. Davanti ai vetri appannati,
persone incuriosite. Levo la testa insistendo
nel fingermi una passeggera
qualsiasi. La gola mi si stringe al pensiero
di una casa calda, una strada...
La mia casa, la città - la nostra - che
ho dovuto lasciare. Ma il freddo è più
forte del mio orgoglio. Arriva un forte
odore di foglie calpestate, di fumo
secco sotto le pentole di qualche focolare.
Nella Bora che sibila sui fili della
luce, mi sento una canna nuda. Dobbiamo
aspettare altri convogli. I profughi
giungono da varie località, come
i rivoli formano una laguna. Getto
un ultimo sguardo alla folla e torno da
mio padre. Mi accosto alla sua borsa,
afferro un panino e mangio con ingordigia.
Ora fa meno freddo. I fiati e la
vitalità della mia gente sono più buoni
di me. Osservo con occhi quieti il bivacco
da zingari. Il mio cuore si sgela
e cerco volti amici. Devono esserci.
Non li ho visti solo perché non li ho
cercati. E non vengo delusa. Proprio
in fondo alla sala c’è, al completo, la
famiglia Zanetti: madre, padre, Dino
e Laura. Devono essere appena scesi
dal treno; i ragazzi con l’aria smarrita,
i genitori, invece, esuberanti, in festa.
Li guardo con invidia. “Hai seguito il
nostro consiglio. Brava! Vieni con
noi; c’è anche la famiglia Zennaro, la
cugina Elda, i suoi figli...”. Abbracci,
grida, esclamazioni. Li amo e li odio:
troppa vitalità. Sembra che nulla li
turbi, anche se stiamo partendo per
l’altro capo del mondo. Col medesimo
affetto ci avevano accolti, due anni
prima, quando giungemmo a San
Vito, carichi di valigie e di dolore.
“Bene arrivati, Bravi!” ci dissero. Era
stato il padre a convincerci ad andare
in quel paese del Friuli. Scorgendo la
campagna, mi ero sentita stringere il
cuore. E poi San Vito: una città senza
mare non è una città.
***
Il treno gelido, vuoto, in quei primi
mesi del ‘47, era tutta l’Italia: patria
straniera. Ognuno per conto suo, pauroso
di far vedere in giro la propria
povertà, soprattutto ostile verso la nostra,
portata come una malattia conta-
“Racconta la tua storia”
Il mio viaggio senza fine
giosa. Ci avviciniamo ai Zennaro. Fino
a ieri sono rimasti alloggiati in una
vecchia torre, al centro di San Vito:
due camere e una cucina. C’è anche
Manuela, vedo. E’allegra. La sua faccia
dagli zigomi alti è resa più simpatica
dalla bocca dai denti perfetti. Ha
lasciato il fidanzato pur di partire. Ma
partire per dove? Non ci è chiaro, ancora.
Avevamo bisogno di partire,
partire: ci inventavamo una meta. Più
era lontana, più spazio concedeva ai
sentimenti. Manuela scherza con suo
fratello, un ragazzotto robusto, giovanissimo,
e accarezza la sorellina di
pochi mesi, che si agita in un cesto di
vimini. I genitori sono una stranissima
coppia: lei è piccola, mora, grassoccia;
lui secco, allampanato (soffre
di stomaco). Sua moglie lo cova con
lo sguardo; ne ha molta cura. Alui cibi
speciali, ai figli ciò che resta. D’un
tratto la tensione nell’atrio si attenua:
dopo gli incontri affettuosi e la consumazione
del bivacco, cessa anche il
brusio: la sonnolenza coglie un po’
tutti.
«Paesi nuovi, gente nuova...» commenta
Manuela, come fossimo in gita.
«E il fidanzato?» le chiedo.
«Appena arrivo gli mando l’atto di
richiamo».
Forse non è innamorata - penso.
Comunque è matura. Sa quel che vuole.
Ha gli occhi piccoli, la fronte bassa
sotto i capelli biondastri. Ma è pratica
e buona. Nella sala si accendono le luci,
siamo stremati e il treno non arriva.
Qualcuno resta seduto sui fagotti. Mio
padre, il capo ciondoloni, si addormenta,
la sorella di mio padre si guarda
attorno angosciata.
***
«Professore, tra qualche giorno parto.
Emigriamo...».
Il professore alza la testa sorpreso; i
suoi capelli scintillano dentro un raggio
di sole. Mormorio nella classe, fino
a un momento prima tesa per l’interrogazione.
«Ma cosa dici? Non farlo!».
Adesso sono turbata perché una
piccola spinta a decidere si partire,
l’ho data anch’io. Ero preoccupata per
gli esami.
«Ormai...» rispondo vaga e mi sento
tremare.
«Chissà, forse hai ragione. laggiù ti
farai una vita...».
Il professore mi fissa, forse intuisce
ciò che vado pensando. Sì, ho paura,
ma voglio liberarmi da questa angoscia,
andarmene. «Ti avremmo aiutata,
cosa credi... Anche le tue compagne...».
Ormai nessuno può aiutarmi, non le
compagne di scuola che mi avevano
accolto con una punta di sospetto per
il mio cognome, giunta da chissà dove.
Né il nuovo professore, un uomo
piccolo, solitario, sradicato dal suo remoto
paese, come me incapace di liberarsi
dalla nostalgia. Tra noi, per le
ferite interne, l’aiuto è impossibile sia
darlo che riceverlo. E finalmente si
ode lo sferragliare di un locomotore e
un campanello elettrico avverte che si
parte; alcuni volti fissano i binari.
L’altoparlante annuncia l’arrivo di un
convoglio speciale, tutto per noi. Trafelata,
mi abbandono sul sedile di legno.
Mio padre assesta le borse sulla
rete, la zia ingombra il passaggio con
le sue mosse maldestre. La gente
brontola e prosegue affannata. Di
fronte a noi un uomo, una giovane,
sua madre, un ragazzo e una bimba.
La famiglia P. Alla fermata successiva
ci raggiunge un altro figlio; il signore
che lo accompagna, si fa firmare una
carta e se ne va. Quella che abbiamo
di fronte è una famiglia molto silenziosa.
Osservo la ragazza, forse della
mia stessa età. Le chiedo il nome.
Margherita. Ha occhi grandi incolori,
evidentemente presi dalla madre, che
nelle orbite stanche nasconde la medesima
luce, un po’ più cupa forse,
propria di chi ha sofferto. Madre e figlia
sono un po’ curve, umili accanto
all’uomo, che è minuto, secco, grigio
di pelle anche lui, ma al contrario loro
sembra un felino. E infatti, d’improvviso,
fa partire un ceffone sul volto del
ragazzo appena giunto che cade sul
sedile senza un lamento. Dio! Gli occhi
delle due donne. Nessuno osa fiatare.
Non il figlio colpito a tradimento
che si pulisce la bocca insanguinata
col dorso della mano, non il fratello e
le donne spaventate. Nemmeno noi,
sbalorditi da tanto sadismo. Le luci
della notte passano lontane. Nello
scompartimento c’è silenzio. Intimamente
mi oppongo con tutte le mie
forze a tanta violenza e un tremito mi
scuote talmente forte da farmi battere
i denti.
«Sente freddo, signorina?».
Con la voce melliflua, quell’essere
disgustoso mi costringe a serrare le
palpebre, a fingere di dormire.
«Siete pentite, mie care?». la voce
di suor Gerolama era altrettanto odiosa
di quella di costui. Rivado ai lunghi
mesi di collegio trascorsi prima di stabilirmi
a San Vito. Quali scenate, quali
toni drammatici, dolciastri e modulati
può raggiungere la voce di suor
Gerolama. Tutta l’intera gamma del
suo repertorio per spiegarci, con allusioni
precise, in quale abisso di perdizione
cadiamo innamorandoci, o a far
cose immorali tra compagne. Tutto,
ma proprio tutto, per suor Gerolama
era male: andare al bagno e soffermarcisi
un istante, parlarci sottovoce
in corridoio o in cortile, volgere gli
occhi durante le preghiere della sera
per dire buonanotte alla compagna vicina.
Non era ancora spenta l’eco del
suo “mie care” che io, con quattro salti
furtivi, ero già nella cappella inginocchiata
a sfogare la mia rivolta per
le volgarità rivelateci da quella voce
ipocrita. Fingendo di dormire al rullare
del treno, continuo a battere i denti.
***
Cammino cercando di mettere i
piedi sulle orme di chi è passato prima.
Un viottolo di neve calpestata si è
formato sulla candida strada: ai lati il
fossato gorgoglia. La campagna bianchissima
proietta raggi taglienti sotto
la luce del sole. Fa molto freddo. Adagio
la cartella di scuola sulla neve; ho
i piedi gelati nei sandali, la calza incrostata
ai geloni, gonfi di sangue rappreso.
Tremando osservo i venchi sulla
riva del fosso, lividi come le strisce
degli shrapnels durante la guerra. Il
convoglio con le nostre masserizie da
Pola non è ancora arrivato. E non devo,
non posso, comperare calzature.
Mio padre ha ottenuto la pensione,
con la promessa di essere riassunto in
una città del sud, troppo lontano. Sogno
un paio di scarpe, ma anche potessi
averle, non potrei infilarle: i miei
piedi sono ridotti a una piaga. Avessi
almeno una stanza. Dove siamo alloggiati
“provvisoriamente” il freddo entra
di prepotenza, s’acquatta sotto le
poche coperte e la borsa d’acqua calda
che ci passiamo a turno sembra deriderci
perdendo per strada il suo tepore,
tanto che, quando la passo al letto
vicino, ho l’impressione di staccare
un pezzo di me stessa. Nella stanza
siamo otto persone. otto corpi gelati
nel cuore di San Vito al Tagliamento.
Il freddo è tale che la mattino troviamo
l’orina gelata nel vaso. Piedi miei,
camminate! Non dovete fermarvi. Su,
andiamo dal sindaco. A piangere, a
gridare, a battere i pugni sul tavolo per
una casa per esseri umani! Ci trattano
da zingari, nessuno vuole affittare ai
profughi, anche se case vuote ce ne
sono. Pagheremo, pur nella povertà.
Mio padre arriva domani. Da sette
giorni mi agito portando in giro i miei
piedi e ogni sera è un tormento staccare
le calze dal sangue rappreseo. Sono
dure le strade di un paese che chiude
tutte le porte per rifiutarci un tetto...
***
Veneziaaa! All’annuncio, tutti si sono
levati in piedi affollando il corridoio
per affacciarsi. Esco anch’io.
«Manuela, non senti il profumo del
mare?».
Lei ride: «Di caligine dei treni c’è
profumo».
Eppure io sento anche il mare. Il
salmastro non si cancella con altri
odori.
«Manuela - insisto - laggiù c’è il
nostro mare».
Distesa sulle rocce ascoltavo la risacca:
supina, avevo il naso su una
piccola buca patinata di sale, ne aspiravo
avida l’odore e mi leccavo l’avambraccio
inebriata.
«Francesco - dico all’amico -
com’è salata l’acqua del mare!».
Anche d’inverno lecco il mio braccio
cercando il vecchio sapore. Vorrei
fare riserva di mare anche per il futuro.
Francesco si avvicina: è lungo,
magro, biondo, ha la mia stessa età.
Quindici anni. Mi segue sempre,
pronto a evitarmi ogni sforzo, a esaudire
come può i miei desideri. Gli arrivo
appena al petto. Forse perché mi
vede così piccola si sente in dovere
d’essere premuroso. Si era rivelato un
buon compagno durante l’ultimo inverno
in Istria. Frequentavamo la
quarta ginnasio sistemata in una piccola
stanza della casa cantoniera a Dignano.
Vi eravamo sfollati, un po’
storditi, ma allegri. Un’insegnante ci
preparava ai colloqui mensili che si
tenevano a Pola, sotto gli allarmi aerei.
Una mattina, svegliandomi, trovai
il paese silenzioso, bianco. La neve
era caduta nella notte. M’infilo il cappotto
ritagliato da una vecchia coperta,
mi metto in testa il cappuccio
agucciato coi rimasugli di lana d’anteguerra
e vado alla mia scuola. Sono
felice di questo regalo del cielo. Non
altrettanto della gragnuola che mi colpisce
poco dopo il crocicchio, con una
fuga di passeri. Le palle di neve mi arrivano
addosso da ogni parte; non ho
modo di ripararmi nemmeno con le
mani. Lascio cadere i libri, urlo e corro
disperatamente finché cado a
piombo in una buca. Mi soccorre
Francesco. Mi rimette in piedi, fulmina
i compagni coi suoi occhi chiarissimi.
Ancora bianca di neve con occhi
sbalorditi osservo il cambiamento improvviso
di Francesco, fino a un momento
prima tra i più miti del gruppo.
Poi lui si china, mi prende in braccio e
mi porta fino alla casa cantoniera. A
guerra finita Francesco continua a
starmi vicino, pronto a proteggermi
anche durante i bagni d’estate, tra le
nostre rocce.
«Nadia, Nadia!». Lalù, Silvia, Carla,
Antonio e Mauro mi stanno sollecitando
perché entri in acqua. Quant’è
caldo il sole, e che profumo l’aria! Un
urto violentissimo mi sbalza dalla
roccia; davanti a me un bagnante cade
e subito un boato e un vento feroce
pieno di sabbia avvolge l’orizzonte.
Scorgo gli amici agitare le mani, la
bocca aperta come se stessero affogando
nel mare diventato livido.
«Francesco, Francesco! Cosa succede?
Ti sei fatto male?». Francesco
mi raggiunge, mi abbraccia; sento il
fresco dell’acqua che gronda dal suo
corpo, quando altri boati, a catena,
violentano la spiaggia e snidano dalle
grotte migliaia di gabbiani. La gente
urla, le mani sul capo, come impazzita.
Non è un bombardamento. la guerra
è terminata, anche se gli echi politi-
ci restano minacciosi. In cielo non ci
sono aerei. Le esplosioni avvengono
verso la punta della penisola. Corriamo
ansimanti. Una tremenda sciagura
si è abbattuta sulla città, assopita sotto
il sole di luglio. Una catena di mine
lasciate dai tedeschi è esplosa sulla
spiaggia di Vergarolla. centinaia di
morti, famiglie intere distrutte. Guardiamo
inebetiti i corpi straziati, mentre
sul mare galleggiano brandelli
informi - abiti, sdraio, scarpe - e larghe
macchie di sangue. Più tardi una
lunga, interminabile catena di bare.
Giorni di strazio incisi nella memoria.
Sangue, sangue nero gocciola dall’ultima
bara coperta di garofani bianchi.
***
La gente, in treno, canta. Dopo Venezia
si è cominciato a stringere amicizia,
a riconoscersi. Tra un bicchiere
di vino e una strofa cantata sottovoce
il coro adesso viaggia con noi. Così si
cena in anticipo, si chiacchiera. Il convoglio
è percorso da un soffio di cordialità
contagiosa. Così è la mia gente,
pronta a dimenticare. Mio padre
sta parlando con l’ometto della sberla,
le donne svolgono tovaglioli e offrono
panini. Margherita mi rivolge un
sorriso: vado a sedermi accanto a lei.
L’Italia è immersa nella nebbia. Lo
sferragliare del treno ci accompagna
attraverso paesaggi invisibili. Alcune
case di periferia, alberi spogli e tralicci
sfilano sotto il finestrino. Oscure
stazioncine rese opache dagli anni,
prati spenti e fiumi sfilacciati nel buio,
si perdono mentre la pioggia scende a
rifare i vetri...
***
Rabbrividisco all’urlo della sirena
che segna il cessato allarme, stacco lo
sguardo dall’umida parete del rifugio
da cui scendono sulla crosta di muffa
gocce di umidità. E dai miei occhi fissi
su quel muro infelice, tesi a cercare
la forza di resistere, scendono calde
lacrime. Sono viva! Siamo vivi! E la
casa? Il cunicolo buio scoppia di pianti
e urla. Il rifugio, fino a un momento
prima ingolfato di silenzio, occhi
sbarrati e preghiere, adesso esplode.
Tutti si precipitano fuori. Luce, aria,
desolazione, gioia disperata per essere
ancora in vita; intorno c’è un mare di
macerie. L’allarme ci aveva colti alla
sprovvista. Correvo inseguita dai sibili,
la strada è ingombra di borse, seggiole
e pacchi. Col cuore in gola, le
gambe mi si piegano, le braccia stringono
la borsa: ci sono dentro i soldi, le
lettere, gli anelli. Non posso abbandonarla.
La zia, come un’anatra senza
orientamento, compiuti alcuni giri su
se stessa, trova di colpo l’imbocco del
rifugio. Anch’io cerco di mettermi in
salvo; la prima bomba mi passa sulla
testa. Mi trovo a terra semisepolta. Il
rifugio è vicino. Ancora un piccolo
sforza. Credo di non sentire i gemiti
che vengono da pochi metri. No, non
vi posso ascoltare. Debbo salvarmi.
Al rifugio! Al rifugio! Due braccia
sconosciute mi scaraventano verso la
salvezza...
***
Margherita adesso dorme sulla mia
spalla. E dopo tanto chiasso e momenti
di autentica allegria, tutto è tornato
muto. Sembra impossibile, ma
non vedrò più la mia casa, la mia città,
le nostre siepi di ginestre... Il treno ci
trascina, mi sradica. Ci aspetta il campo
profughi, la selezione, le visite sanitarie.
Saremo nudi, spogliati di ogni
segno di identità. “Conoscerete il
mondo” ci aveva detto qualcuno in
Prefettura. A Napoli, la commissione
dell’Iro mi dà l’ok: buona per il lavoro.
Ma l’ok viene negato a mio padre
e alla zia, troppo anziani.
«Intanto - mi dice un funzionario -
lei parta. In Australia sarà benvenuta.
per i parenti chiederà il richiamo».
«Abbia fiducia troverà un buon lavoro
e marito» aggiunge sorridente un
medico australiano.
Anche mio padre, dunque, dopo la
Patria, dovrei lasciare alle spalle. Abbraccio
gli amici in pianto e dico no.
No! Da allora il mio viaggio di esule
non ha più avuto fine.

L’ARENA DI POLA N. 1 del 31 gennaio 2004 PAG.9
Nel dicembre scorso
la signora
Albina Dorini
abitante a Torino ha
compiuto 90 anni.
A festegiarla sono stati
i figli Furio, Marisa e
Herta, i nipoti,
i parenti e gli amici.
AUGURI
Carlo (1887-1922)
l'ultimo Imperatore d’Austria,
la prossima primavera a Roma,
sara' proclamato beato da
Giovanni Paolo II
La regalità di Karl, ultimo imperatore
d’Austria, intesa soprattutto
quale compimento del
servizio, dove la regalità stessa
s’identifica con il suo proprio essere
nel senso essenzialmentecristiano:
“Se non
concludiamo presto
una pace, lo faranno
i popoli passando
sulle nostre
teste e sarà la loro
rovina”.
Parole morte anche
per gli alleati che
non approvarono,
anzi accolsero questa
tesi, come se
fossero dei veri e
propri avversari in
guerra e lui ne soffrì da morire.
Karl ebbe infatti nei due soli anni
del governo, compresi i tre del suo
esilio, nel suo mutamento esterno
come pure nel suo intimo, più da
soffrire che tutti i suoi predecessori
insieme.
E tuttavia la sua opera e la sua eredità
formano oggi la base di una
raffigurazione della Mitteleuropa
nel quadro della nascente Europa
unita. Proprio in questa raffigurazione
dei fatti scriverà in esilio a
guisa d’un “Credo” vero e proprio:
“Credo d’aver dimostrato ciò
che affermai subito in principio,
che nel breve tempo di due anni la
pace all’interno non era da ristabilire
e che anche all’esterno era da
considerarsi esclusa. Tuttavia si
doveva lavorare senza tregua per
raggiungere forse lo stesso obiettivo:
in fondo i popoli avevano il diritto
di pretendere che nessun tentativo
venisse lasciato intentato,
sebbene guidati da demagoghi privi
di scrupolo non riconoscessero
questa l’unica via, verso la loro
salvezza. La grande massa del popolo
per lo più segue ciecamente i
capi: il politico può stare tranquillo.
E’ il Kaiser responsabile prima di
tutto a Dio per i suoi popoli; essi
appunto devono percorrere vie ri-
di Romana de Carli Szabados
Carlo e Zita sposi nel 1911
tenute giuste e non farsi sempre influenzare
dall’opinione popolare
così oscillante. Dopo un certo tempo
giunge anche nel popolo la convinzione
e allora la sua rabbia si
dirige contro i politici
di congiuntura
che le masse
dapprima ciecamente
avevano seguito.
I nostri politici
sono gente colta,
si sente dire dal
popolo, pare abbiano
più forza di
noi, devono saper
tutto meglio di noi
e non si lasciano
guidare da stati
d’animo momentanei.
Il mio lavoro
per la Pace non risulta tuttavia vano:
che l’Austria venga più stimata
e amata de la Germania non è al
momento ammesso dal mondo,
tuttavia il merito va ai miei sforzi.
La pace nella nazione giungerà pure.
La separazione temporanea dei
popoli era necessaria, poiché senza
uno scuotimento interno e grave,
il fatalismo per alcuni tanto infelice
non sarebbe stato da mettere
da parte. Dall’interno sarebbero
sorti solo dettagli di grandi problemi,
condizionati dalle bandiere nero-gialle
o bianco-rosso-verde che
mai avrebbero cooperato ad una
pacificazione delle nazioni, bensì
avrebbero creato soltanto nuovi
nazionalismi. Così però oggi i popoli
possono provare la loro ebbrezza
nazionale e poi innovati
dalla ferrea necessità di relazioni
economiche di secoli, recarsi nuovamente
nella aulica però più
confortevolmente attrezzata casa
tradizionale.” R.D.C.S.
GRANELLI
(*) Il giudice più valido si chiama
coscienza. (*) La borsa pesante fa il
cuore leggero. (*) Chi teme Dio e
ama, sa perdonare. (*) Sappiamo
che la Natura va difesa, ma spesso lo
dimentichiamo. (*) Chi non ama
troppo, non ama abbastanza. Gibi
Arte & Cultura
Nevia Gregorovich, un’artista istriana che coniuga la musica con la pittura
L’acquarama ’acquarama e
i giochi d’acqua di Nevia
Nevia Gregorovich ha focalizzato
la sua più recente
ricerca pittorica sull’immagine
dell’onda del mare
che, quasi sospinta dagli dei,
da miliardi di anni continua ad
infrangersi immutata sulla battigia.
E’ la stessa immagine,
carica di significati emblematici,
ad avere ispirato pittori,
musicisti e poeti di ogni tempo.
Nei dipinti di Nevia le onde s’inscrivono
in uno spazio fluttuante e
dinamico come può essere quello
di un sogno e si arricchiscono di
una pluralità di vibrazioni luminose
accentuate da una padronanza
della materia assolutamente personale.
Le sue forme elementari e incontenibili
sembrano levitare in
una dimensione extratemporale e
si esprimono attraverso una moltitudine
di trasparenze che, grazie
anche al supporto metallico, conferiscono
luminescenza all’opera.
L’acqua nell’espressione di Nevia
è vita, è movimento, è energia.
Non ha confini, né spazi che la possano
contenere, non si può possedere
né trattenere, scivola tra le
mani, evapora e svanisce, si dissolve
nell’aria sotto forma di vapore,
sale nel cielo per condensarsi in
nuvola e ritornare sulla terra nella
sua forma primigenia a ripercorrere
il suo tempo.
Nevia ama l’acqua, vive in lei, si
identifica in lei, la cattura, l’assorbe
osmoticamente e la plasma fissando
forma e sembianze di un
flutto montante fino a cogliere l’attimo
in cui diventa un’onda monu-
Sopra: Acquarama 8
A destra: Acquarama 1
di Piero Tarticchio
L’acqua che tocchi de’ fiumi
è l’ultima che andò
e la prima di quella che viene.
Così il tempo presente.
Leonardo Da Vinci
mentale.
Per mezzo del segno e del colore
l’elemento si sgrava dalla materia e
la pittura si fa poesia.
Dipinto dietro dipinto, l’autrice penetra
la materia e traccia messaggi
tangibili ed epidermici. Ne escono
immagini accattivanti e coinvolgenti
che, nel loro impeto sembrano
ingrossarsi fra picchi crestati;
montano maestose e solenni; si arrotano
con furia invadente, si tuffano
in picchiata abbattendosi con
fragore assordante; si infrangono
fra spruzzi e spume candide; ribollono
per dissolversi e ricominciare
la loro azione senza fine.
Nevia sembra cogliere l’importanza
di quelle visioni tanto emblematiche
da esprimerne i significati più
puri fissando, in una frazione di secondo,
tutta l’essenza formale dell’elemento
acqua. Nel fermare sul
supporto il suo modello ideale,
l’artista ci dona anche il suo equilibrio
momentaneo; ma poiché l’onda
non si può fermare, quell’apparente
staticità ben presto diventa
vita trasformandosi in dinamismo
attivo. Paradossalmente queste immagini
turbolente e tempestose
non suscitano sentimenti oscuri.
Quasi ci invitassero ad aspettare
il “dopo”, la quiete che segue
la tempesta, il loro messaggio
nel tempo esprime un senso di
pace, di gioia e di serenità.
Queste visioni sollecitano un
ripensamento sull’uomo e sul
suo tempo, un tempo che passa
inesorabilmente per tutti -onda
su onda- un percorso senza lacrime
e senza rimpianti, semplicemente
ricondotto nei termini
obbligati di un fantasma poetico.
Nevia ama la musica e la musica è
parte integrante di Nevia. Spesso
l’immagine di una tastiera si compenetra
nei dipinti d’acqua della
sua autrice fondendosi in un insieme.
Come l’onda, la musica trova
nelle sue infinite espressioni periodi
temporali ripetuti. Si tratta della
reiterazione di valori sempre uguali
nei ritmi e diversi nei suoni.
L’impatto che questa raffigurazione
suggerisce è ricca di fascino come
può esserlo la fusione tra il vero
razionale con l’astratto gestuale.
Dunque suoni da vedere e immagini
da sentire. Nei dipinti di Nevia
traspare la carica pulsante di una
presenza discreta che cerca, attraverso
il colore, di trasmettere, sussurrando,
mai urlando, il suo messaggio
di pittrice sensibile e riservata.
Non è sempre facile per un artista
suggerire l’emozione della sua
ricerca pittorica attraverso allegorie
o simboli da intuire e da decodificare.
Nevia lo fa traducendo in
immagini il sottile fascino della sua
arte. Un’arte che la gente chiama
magia. P.T.
Nevia Gregorovich pittrice e pianista, nata a Parenzo, vive e lavora a Milano 3 - Basiglio (MI). Si è diplomata
in pianoforte presso il Conservatorio “G.Verdi”. Ha esposto in numerose mostre individuali e di gruppo in gallerie,
centri culturali, musei, in Italia e all’estero. Presente nei più importanti cataloghi d’arte, le sue opere figurano
in collezioni pubbliche e private nazionali e internazionali. Compendia l’attività pittorica con quella
concertistica, con l’incisione e la fotografia.
Ultime presenze: Galleria Palladio-Udine; Galleria Angelicum-Milano; Bildungshaus-St. Georgen; Kulturhaus-Latschach;
FAD-Barcellona; Museum Contemporary Art-Londra; Museo della Permanente-Milano;
S.Zaccaria-Venezia; Palazzo Costanzi-Trieste; Galleria Cvajner-Pola Istria; I.I.C. Casa degli Italiani-Barcellona;,
Museo de la Marina-Vilassar de Mar, Spagna;Estudi Tenas 1694-Canet de Mar, Spagna.

PAG.10 L’ARENA DI POLA N. 1 del 31 gennaio 2004
Agli esuli nemmeno
un euro e il presidente
è soddisfatto...
Sono un’esule direttamente interessata
all’eterno problema dell’indennizzo
dei beni abbandonati
e quindi cerco di tenermi aggiornata
sull’argomento. Però, leggendo
gli articoli pubblicati recentemente
dal “Piccolo” su questo
tema, non riesco più a raccapezzarmi,
insomma ho l’impressione
che mi sfugga qualcosa.
Cercherò di spiegarmi: il 25 settembre
leggo che Damiani scrive
a Giovanardi chiedendogli che «la
finanziaria preveda equi indennizzi
agli esuli». Il 30 settembre il
presidente della Federazione delle
associazioni dei profughi giuliano-dalmati
Guido Brazzoduro
informa che «per gli indennizzi
agli esuli non c’è un euro», però
non protesta con il governo. Reagisce
invece Damiani, indignato
per la mancanza nella Finanziaria
di fondi per gli indennizzi e, nell’articolo
apparso il 1° ottobre, afferma
che gli esuli sono stati «traditi
dal governo» e critica le associazioni
dei profughi «troppo acquiescenti
nei confronti di questo
governo». L’indignazione di Damiani
è condivisa, sul versante
delle associazioni, solo da Massimiliano
Lacota, coordinatore del
gruppo giovani della “Unione degli
Istriani”, che bolla come «vergognoso»
il comportamento dello
Stato italiano che «da cinquant’anni
mette gli esuli all’ultimo
posto». Lacota lamenta inoltre
che «si siano trovati i soldi per le
Comunità degli italiani di Slovenia
e Croazia e per le pensioni degli
ex italiani residenti in quei
paesi. Non per fare polemiche –
dice – ma per sottolineare che viene
sempre penalizzata una sola
categoria». Infine, il 3 ottobre leggo
l’articolo «Minoranza, fondi
confermati – Cinque milioni di
euro nella Finanziaria: soddisfazione
di esuli e rimasti», nel quale
Brazzoduro «si dice soddisfatto
della decisione del governo di
continuare a finanziare le attività
dei rimasti» e, incredibilmente,
non esprime invece alcun rammarico
per il vergognoso comportamento
del governo nei confronti
degli esuli, con i beni dei quali l’Italia
ha pagato le riparazioni di
guerra. Insomma, cinque milioni
di euro per i rimasti, neanche un
euro per gli esuli e il presidente
della Federazione degli esuli si dichiara
soddisfatto. Ma allora, mi
domando, chi tutela i diritti e gli
interessi degli esuli? Chi, se non
noi, dobbiamo far capire al nostro
governo che è assolutamente necessario
risolvere con dignità e
giustizia il problema beni prima
dell’entrata nell’Unione europea
di Slovenia e Croazia?
JOLANDA GUBERTINI
L’orrore della guerra
Ho letto con notevole ritardo un
articolo, apparso su “Il Piccolo”
del 14 dicembre, nel quale si dava
notizia di quanto emerso in un
convegno organizzato a Venezia
da Rifondazione comunista sul tema
“La guerra è orrore – le foibe
tra fascismo, guerra e resistenza”.
Durante il convegno, Giacomo
Scotti, esponente della Comunità
italiana di Fiume, a suo tempo fervente
paladino del paradiso titino,
ha affermato che in Istria, tra il
’39 ed il ’40, i fascisti riempivano
Lettere in Redazione
risponde il sindaco Silvio Mazzaroli
Lettera aperta ai lettori
Cari Lettori, come annunciato sul precedente numero di questi tempi sarei dovuto essere da
tutt’altra parte, impegnato in qualcosa di delicato e non esente da rischi ma che mi sarebbe stato
motivo di grande soddisfazione ed orgoglio. Come qualcuno avrà già appreso dalla stampa, le
cose non sono andate come era nelle mie aspettative e, poiché l’intervenuto cambiamento ha a che fare
con il mio impegno nella conduzione di questo giornale, mi sembra opportuno darVi delle spiegazioni.
La bocciatura della mia candidatura, quale Consigliere militare del nostro Ambasciatore in Iraq, è venuta
dal mondo politico; in particolare, come potuto appurare da un giornalista del “Corriere della Sera”
- sulla vicenda ha pubblicato un articolo sul giornale del 16 gennaio - da un ministro aduso spacciarsi come
“amico degli esuli” e che mi ha accusato di svolgere una azione politica “antigovernativa” ed affermato
essere la mia voce “fuori dal coro” rispetto a quella delle altre nostre Associazioni. Ora, io non sono
iscritto ad alcun partito né mai lo sono stato né intendo esserlo un domani e non svolgo alcun altro tipo
di attività, che possa essere definita “politica”, se non quella che avete sotto gli occhi, da circa due anni,
attraverso le pagine della “Arena di Pola”. Lascio, pertanto, a Voi tutti il giudicare che cosa ci sia stato
di ”antigovernativo” nei miei scritti.
E’ vero, nel tentativo di tutelare i nostri diritti e di dar voce anche al Vostro malessere ed alla Vostra insoddisfazione
- i motivi davvero non mancano - sono ripetutamente stato critico, esercitando, con fermezza
e correttezza, un sacrosanto diritto previsto dal sistema democratico in cui, sino a prova contraria,
viviamo. Il fatto è che certi politici, arroganti, siano essi di centro, di destra o di sinistra - in più di cinquant’anni
ne abbiamo visti di tutti i colori, spesso persino affetti da “camaleontismo”, senza che le cose
cambiassero - pretenderebbero di infischiarsene dei diritti dei cittadini e di prenderli impunemente in giro
avendone il consenso quando, non anche, il plauso. Purtroppo, talvolta, trovano anche chi è disposto -
e sarebbe lecito chiedersene la ragione - a farlo. Personalmente non faccio parte di questa schiera ed, in
questo senso, la mia voce è, indubbiamente, fuori dal coro. Lo si può desumere anche da talune critiche
mossemi in tempi recentissimi - ne tratto in altra parte di questo stesso giornale - peraltro, con un’unica
provenienza. Molte delle lettere che mi inviate, in merito ai nostri diritti, mi dicono però che la mia voce,
ancorché fuori dal coro, non è affatto “stonata” rispetto alle aspettative di quella che in “politichese” viene
definita “la base”, ossia le Vostre aspettative. Le assonanze o armonie che dir si voglia dovrebbero,
pertanto, essere forse ricercate e rispettate da qualcun altro.
Tutto questo mi è, al momento, di consolazione e di sprone a non deflettere dalla mia linea di condotta.
Sono, comunque, disponibile a farmi da parte qualora, quanti mi hanno investito del mandato di rappresentarli,
dovessero sentirsi danneggiati dalla mia azione e, conseguentemente, chiedermi di farlo.
Non ho nulla da perdere e ne guadagnerei in serenità ed in tempo da dedicare ai miei cari. Fatemelo sapere.
camion interi di avversari e li buttavano
vivi nelle foibe. L’autore
dell’articolo accredita Scotti della
qualifica di storico. Se così fosse
lo stesso sarebbe autore di un formidabile
scoop, scoprendo dopo
sessant’anni da quei tragici eventi
una verità mai venuta alla luce;
sessanta anni durante i quali l’intellighenzia
comunista si è lasciata
sfuggire una notizia del genere.
Roba da non credere e, in ogni caso,
non so se è più da ridere o da
piangere. Nel convegno non potevano
mancare le affermazioni di
Jose Pirjevec il quale, da sempre,
dice quello che gli conviene. Anche
stavolta parla dell’oppressione
fascista degli anni ’20 e ’30,
ma non dice nulla della persecuzione
degli italiani rimasti in Dalmazia
dopo la 1^ Guerra mondiale.
Tutto quindi, e come sempre, a
senso unico.
BRUNO CARRA
Poca sensibilità
per i beni abbandonati
Cordiali saluti.
In una recente formula promozionale
l’immagine del “Piccolo”
viene sovrastata dal titolo «Via alla
trattativa sui beni degli esuli».
Ma invece di apparire auspicio di
prossima conclusione, sembra ricordarci
che sta accadendo tutto il
contrario. E ciò nonostante l’ottimismo
che sta alla base del comunicato
stampa del Comitato
Anvgd di Trieste del 19 dicembre
nel sito Internet di Arcipelago
Adriatico, in cui nell’annunciare
una conferenza stampa ad hoc, si
legge: «...Le novità dell’impegno
saranno determinate anche dalla
nuova sensibilità e attenzione del
governo nei confronti delle tematiche
degli esuli. Nella finanzia-
ria, infatti, alcune voci andranno
finalmente a risolvere problemi
che si trascinano da decenni. Si
attende l’approvazione al Senato,
ma la speranza è che si vada finalmente
a una soluzione del problema
degli indennizzi e della casa...».
Ma quando mai la Finanziaria,
nonostante il volonteroso intervento
di alcun parlamentari triestini,
ci ha dato questa approvazione?
Resta una pia illusione.
Sono perplesso sulla nuova sensibilità
e attenzione degli attuali governanti
che invece quando erano
un tempo all’opposizione dimostravano
più sensibile attenzione.
Ferruccio Calegari
Egregi signori Gubertini, Carra
e Calegari, ho tratto le vostre lettere
dal “Piccolo” di Trieste, perché
forse non tutti gli esuli leggono
tale testata; avrebbero potuto
benissimo essere inoltrate anche
all’Arena. Sono, infatti, perfettamente
in linea con quanto asserito
dal nostro giornale nei suoi numeri
più recenti. Spero anche così
di farle leggere a quanti, nell’ambito
delle nostre Associazioni, poco
attenti alle voci che giungono
dalla base, la pensano diversamente
e di conseguenza si comportano.
Ricerca di contatti
Cara Arena, nel porgere i migliori
auguri alla Redazione per
un sereno 2004, esprimo, nel dialetto
che tanto mi è caro, un timido
desiderio: “Me piaseria assai
ciacolare co’ muli dela mia
età,over cinquanta, virtualmente
tramite pc, ma con la pazza idea
de esser la, soto i lodogni de i
giardini de Pola. La mia e-mail
GEN. SILVIO MAZZAROLI
PRESIDENTE ASSOCIAZIONE
“LIBERO COMUNE DI POLA IN ESILIO”
xè: pespat@libero.it. Ara: dovè
esser come mi con il cor che scopia
de nostalgia per la nostra belisima
tera.” Grazie!
PATRIZIA PESCATORI
Ricerca
di collaborazione
Egregi signori, il mio nome è
Raul Marsetic e lavoro come ricercatore
in storia contemporanea
presso il Centro Ricerche Storiche
di Rovigno. I miei studi riguardano
prevalentemente il periodo del
ventennio fascista, la II^ Guerra
mondiale e gli avvenimenti che
anticiparono e determinarono la
tragedia dell’Esodo. Da circa un
anno mi occupo dei bombardamenti
alleati che colpirono Pola
nel periodo 1944-’45 che, come
ben sapete, causarono gravi perdite
civili e militari ed ingenti danni,
non risparmiando monumenti
di grande importanza quali il
Tempio di Augusto, il Duomo ed
il Chiosco di S. Francesco. Desidererei
raccogliere informazioni e
visionare documentazione, specie
testimonianze fotografiche delle
distruzioni subite dalla Città. Chi
intendesse collaborare può contattarmi
presso il predetto Centro,
P.zza/Trg Matteotti 13, ROVI-
GNO - ROVINJ (Croazia), tel.
00 385 52 811-133 o 811-412, fax
815-786.
RAUL MARSETIC
Auguro ad entrambi che qualcuno
dei nostri lettori accolga il
vostro appello e suggerisco al sig.
Marsetic, qualora non lo abbia
ancora fatto, di provare a rivolgersi
all’IRCI, P.za Ponterosso, 2
Trieste, tel. 040 639188, e-mail irci@iol.it
che proprio nel suo periodico
n. 13/2003 ha pubblicato
qualcosa al riguardo.
PERCHÉ L’ARENA
VIVA
MOSCARDA GISELLA E 20
BAIS CLAUDIO 25
SALVADOR EDDA 15
IURIG MIRELLA 20
GRAGOGNA LICIA 20
BRESOLIN ANGELO 15
LIGUORI LUISA 50
MATTICCHIO BRUNO 10
RANGAN MARINA 20
PESCATORI PATRIZIA 70
APOSTOLI SILVERIA 20
DETTONI AGOSTINO 20
FERRENA MARIA 20
BRUNELLI ANTONIA 20
DAZZARA OMERO
BRIGNETTI BARTOLI
50
ANNA MARIA 15
THIENE GUIDO 20
VENIER VENIERO 15
LEONE LORA 10
BENUSSI ARIO 5
GIORGINI ROBERTO
TOMASICCHIO
20
MASSIMINO 20
VIDOVICH MIRANDA 5
LAZZARI RINA 20
MUSINA PIETRO 10
FRANZI VIRDIS SILVA 20
LEGOVINI MARCELLA 20
CALABRO’MARIO 10
FIORETTI ZUCCONI IRMA 5
VEZZANI LIA
URSINI BELLASPIGA
10
CARMEN 5
MITTON EGIDIO 10
SEBENI SERGIO 30
SPETTI RICCARDO 20
CANNIZZARO ONOFRIO 20
DI NANNO GIORNI LIVIA 10
COGLIATTI CARLO 15
ROSELLI LILIANA
CASSANI KELLER
22
GIOVANNA 10
STROLEGO MARIA 5
FURLANI MARIO 10
BELCI ANDERINA
DE FACCHINETTI
20
MICHELE 20
ROMANO GIOVANNI 20
BINAGHI TULLIO 10
LUCCI GIOVANNI 20
BUSSANI ADILIA 10
GHERSI LEOPOLDO
MIONI ELEONORA e ZAR
10
PALMIRA 5
TOMASINI ILARIO 30
RICCIOLINI NEREO 10
ZUDETTI PIERINA 10

L’ARENA DI POLA N. 1 del 31 gennaio 2004 PAG.11
BAGATTA
PIERUMBERTO E 10
RANNI BUCCI ONORINA 5
CODIGLIA UMBERTO 10
DUSIZZA DUILIO
GENOVESE
70
LIVIO ERMINIO 10
HARZARICH PESLE SARA 10
ZOLLIA BENITO
POTOCCO BARBATO
20
MIRIELLA 15
MANZIN ADA 20
VALENTI RALZA MARIA 25
TAMARO GRAZIA 30
ROCCHETTI CLARA 5
PONTEVIVO ANITA 10
VENUTTI ALDO 20
CODIGLIA NERI 70
CARAVELLO FRANCO 20
DEVESCOVI FERRUCCIO 20
CARPENETTI RICCARDO 20
PIGOLA PIERO 15
GABBI RODOLFO 20
BORSI SILVANA 20
FRANOLLI VIRGILIO
SAVINETTI MIRELLI
10
CONSUELO 20
ALMERIGOGNA ENNIO
LUXORO BISIGNANI
20
CLELIA 20
MATTIOLI FULVIA 20
CIPRIOTTI SIRA 30
CARPINTERI LINO 25
TUFFOLIN ERMANNA $ 10
ARBELLI ARMIDA E 20
MORETTI BRUNO 10
PERCOVICH ANTONIO 20
ZORZUT NELLA 20
TERCONI LUCIANO 20
DE LUCA UMBERTO 30
RUSSI BRUNO 5
SAVASTA ORNELLA 20
JURLINA REGINA 20
GORTAN UGO 5
ERTI ERMANNO 20
ROMANO FRANCESCO 10
UDINA MARIA 20
DOLCE ADRIANA 10
ZUBAN VLADIMIRO 20
STANZIONE ROBERTO 10
MAKOVEC PINA 5
FERLANI PUSSINI ARGIA
PARENZAN
20
DOTT. GUGLIELMO 10
STROLIGO AMALIA 20
DINELLI FULVIA 10
FIORENTIN NELLY
QUAGLIANO CENCI
15
PERCHÉ L’ARENA
VIVA
VITTORINA E 10
DELLA PIETRA URBANO 20
COLASANTI GIUSEPPE 30
MARACCHI MARY 20
SIVILOTTI ULIANA SYLVA 10
SCOGNAMIGLIO CLAUDIO20
MOSCARDA ELIGIO 10
RUDE MARIO 20
GIORDANELLA CARMELO 20
CORLEO GAETANO 20
BALBI LIZZUL CATERINA 30
VERDURA LUCIANO 10
...INSIEME
A UN FIORE
... ELARGIZIONI
ALLA MEMORIA
A Houston (Texas, USA),
il primo gennaio 2004
è mancato
SERGIO MESE.
La sorella Alice da Trieste
lo ricorda a tutti coloro
che lo hanno conosciuto
ed elargisce E40 pro Arena
Pola 1900-Piove di Sacco 1987
Nell’anniversario del 15 Febbraio,
giorno in cui mamma Elvira Ranni
(Raunich ), esule dalla sua mai
dimenticata Pola, ha lasciato
questo mondo terreno per
ricongiungersi, lassù, al marito
Egidio,agli amati genitori
Giovanni e Maria,al fratello
Alessandro,alle sorelle Anna
e Luigina,a tanti parenti ed amici,
per ricordarli tutti ed onorarne la
memoria il figlio Glauco Dinelli
elargisce E 100 pro Arena
Pola 1898-Piove di Sacco 1976
Era di febbraio, il 20, quando papà
Egidio,due mesi dopo la scomparsa
del fratello Lino, ci ha lasciati per
riunirsi a lui ed agli amati genitori
Nicolò e Antonia.Lassù in cielo
sono stati poi raggiunti da mamma
Elvira e, nell’aprile del 1992 anche
da Lidia,la cara sorella di papà.
Nel ricordo di questi polesani d.o.c.,
e dei tanti altri famigliari
ed amici ora loro accanto, il figlio
Glauco Dinelli elargisce
E 100 pro Arena.
Per onorare la memoria
del caro marito
ORFEO BRUNO PELASCHIER,
la moglie Silvana elargisce
E 30 pro Arena
Per onorare la memoria dei cari
FAMILIARI, PARENTI ed AMICI
scomparsi, Giovanni Bradini
elargisce E 100 pro Arena
In ricordo di IRIS DA CORTE,
la MAMMA e il FRATELLO,
Giovanna Da Corte elargisce
E 30 pro Arena
Ricordando la nostra cara figlia SIL-
VANA BURSICH
nel X anniversario della sua
scomparsa, Pietro e Amelia Bursich
elargiscono CAD$ 100 pro Arena
Per onorare la cara memoria
del fratello Marò
CARLO BOLLANA,
caduto per la Patria
il 10. 04.1945,
il fratello Remigio
elargisce US$ 90 pro Arena
Per onorare la memoria
di TUTTI I MIEI CARI DEFUNTI,
Ervino Staffetta elargisce
E 20 pro Arena
Ricordando i propri
CARI DEFUNTI,
Gemma Rusignacco elargisce
E 10 pro Arena
Per onorare la memoria dei defunti
delle famiglie
DEVESCOVI-PENCO-CAPILLA,
Nives Devescovi elargisce
E 20 pro Arena
In memoria di
GIULIA GARIMBERTI,
sorella della carissima Edda, Lilia
e Vittorio David elargiscono
E 25 pro Arena
Per onorare la memoria
della mamma ANTONIA
e del papà GIUSEPPE,
Maria Labud elargisce
E 20 pro Arena
Per onorare la memoria del caro
GUGLIEMO BAITZ,
la moglie Vilma lo ricorda
con tanto affetto
ed elargisce E 20 pro Arena
In ricordo dei carissimi genitori
IDA PENIZZI FAZZI
e FULVIO FARBA,la famiglia tutta
elargisce E 10 pro Arena
Il MAGG. CC.ro Nicolò Chersini,
ricorda con affetto il fratello
ROCCO, vittima della feroce
violenza partigiani
slavo-comunisti nel 1945
Per onorare la memoria dei suoi
cari GENITORI,
Carla Meriggiali Martinez
elargisce E 50 pro Arena
Per onorare la memoria di
AMABILE BUDIN ved. DE LUCA
nella ricorrenza del I anniversario
della scomparsa della loro cara
mamma avvenuta il 12 febbraio
2003 i figli Orietta ed Umberto
ricordandola
con immenso amore ed affetto
elargiscono E 30 pro Arena
Ricordando i suoi
cari DEFUNTI,
Irma Fioretti ved. Zuccon
elargisce E 5 pro Arena
Giuseppina Berti,
raggiunti i 100 anni di età,
elargisce,
da Trieste, E 150 in memoria
del caro marito UMBERTO,
deceduto nel 2000, a 99 anni.
A Varese, lontana dalla nostra Pola,
è venuta a mancare
NELLA AMBROSI
ved. GUERRIERI,
cara parente, amica affezionata,
compagna di tutta la vita.
In sua memoria le sorelle Cadia
ed Ilse Kreissl elargiscono
E 25 pro Arena
Per onorare la memoria della
nostra cara
GILDA KREISSL
nel IV anniversario
della scomparsa, le sorelle Cadia
ed Ilse ed il cognato
Corrado Cargnel elargiscono
E 25 pro Arena
Piangono la scomparsa
dell’amico fraterno
RUDI GABBI,
compagno di innumerevoli gite
in motoretta per l’Abruzzo negli
anni felici, uniti al dolore di Nives,
Nerina e Pompeo Vitturi
elargiscono E 20 pro Arena
Per onorare la memoria dei cari
genitori TONELO e PAOLA,
Pierpaolo de Vergottini
elargisce E 20 pro Arena
Per onorare la cara memoria
del marito ARRIGO APOSTOLI,
la moglie Paola elargisce
E 10 pro Arena
Per onorare la memoria del marito
MARIO FRANCESCHINI,
deceduto il 7.03.2003, la moglie
Emilia Bacicchi elargisce
E 50 pro Arena
E’mancato il 26 novembre u.s.
all’affetto dei suoi cari
ROBERTO STASI.
Per onorare la sua memoria,
ricordandolo con tanto amore
la moglie Ornella Bosico
elargisce E 100 pro Arena
Per onorare la memoria
del carissimo
ANTONIO TUFFOLIN
nel 13° anniversario
della sua scomparsa,
la moglie Ermanna
elargisce
US$ 25 pro Arena
Per onorare la memoria
del caro papà LUIGI
nel 30° anniversario della morte,
Nella Galassi elargisce
E 50 pro Arena
Per onorare la memoria dei propri
cari DEFUNTI,
Lidia Confal elargisce
E 15 pro Arena
Nel triste, 8° anniversario
della scomparsa del fratello
MARIO LAUDANI,
Livio e Nives elargiscono
E 25 pro Arena
Il giorno 19.12. u.s. a La Spezia dove
risiedeva,
è macato all’affetto dei suoi cari
MARIO MARINI
di anni 70, profugo da FASANA.
Il cugino Giovanni Borsatti (Gion)
da Grado, affranto dal dolore,
in suo ricordo
elargisce E 50 pro Arena
Per onorare la cara memoria
di Padre FLAMINIO ROCCHI,
Antonino Piutti
elargisce E 5 pro Arena
Il 3 gennaio 2004 è deceduto
a Pescara
RODOLFO GABBI.
Lo rimpiangono con infinto amore
la moglie Nives Bogneri,
le figlie Liviana, Licia e Liana,
i generi, i nipoti
ed il piccolo pronipote.
La mai assopita nostalgia
per la terra d’origine
ha alimentato in tutti questi anni
il Suo incessante ricordo
dell’età giovanile
e dell’Esodo.
Ha così trasmesso anche alle figlie,
ai generi, e successivamente
ai nipoti,il Suo sentimento
di forte legame all’Istria
ed all’amata Pola, condividendo
con loro l’emozione dei periodici
ritorni in quei luoghi
e degli incontri
con la gente istriana.
Molto intensa è stata pure la Sua
affezione verso Pescara,
città che lo ha accolto nel 1947
e dove da allora è vissuto,
felicemente inserito nei rapporti
sociali e nell’ambiente di lavoro.
In Sua memoria la moglie e le figlie
elargiscono E 160 pro Arena
Ricordando con tanta nostalgia
ed affetto
la mamma GIUSEPPINA
ed il fratello AGOSTINO,
Pina Makovec elargisce
E 25 pro Arena
Per onorare la memoria di tutti
i suoi CARI DEFUNTI,
Silvana Pizziol Bertolino elargisce
E 20 pro Arena
Per onorare la memoria
del caro marito
FERRUCCIO LINZI,
Alma, Bruno, ed Alessandro
elargiscono E 60 pro Arena

PAG.12 L’ARENA DI POLA N. 1 del 31 gennaio 2004
Guida storico-artistica
dell’Istria, Cherso e Lussino
La guida edita da Bruno
Fachin nasce dopo sette
anni di ricerche. Sette
anni vissuti a scovare dati, notizie,
fonti, immagini. intere giornate
trascorse nei boschi sulle
tracce dei ruderi di un castello, a
“trattare” per farsi aprire una
chiesetta sperduta in campagna,
a dipingere acquerelli per fissare
con la magia della pittura gli angoli
più suggestivi, a scattare foto
che potessero dare l’inquadratura
migliore.
Parlare esclusivamente dei
centri più conosciuti non avrebbe
di certo rappresentato l’Istria
nella sua interezza: così si sono
voluti descrivere anche i “picco-
Al fine della trasparenza della condotta amministrativa della Associazione, si rende nota la situazione relativa
ai finanziamenti pubblici concessi alla stessa, come risulta a seguito dei movimenti di cui si è avuta
comunicazione alla fine dell’esercizio finanziario 2003.
1. Contributo L. 72/01 per il 2002
Contributo 1° Acconto 2° Acconto Saldo finale
Concesso 2002 mag. 2003 dic. 2003 2004
E 93.621,01 E 35.659,38 E 34.556,38 E 23.405,25
Come reso noto in precedenza, detti finanziamenti erano finalizzati alla realizzazione dei quattro progetti
a suo tempo approvati dalla Commissione governativa per il 2002 e portati a termine nel corso del
2003, anche con copertura parziale degli oneri di spesa con anticipi sottratti dalle disponibilità finanziarie
della Associazione. Quanto sinora introitato ha consentito di coprire circa il 70 % delle spese reali sostenute
ma non di soddisfare in toto il debito nei confronti di taluni fornitori d’opera. Il saldo, di cui non
è nota la data di presumibile assegnazione, consentirà di appianare i debiti ed il recupero di quanto anticipato
dalla Associazione.
2. Contributo Regione Friuli Venezia Giulia per il 2003
Detto contributo, richiesto e concesso per la prima volta alla nostra Associazione nel corso del 2003, è
stato pari a E 10.000. La disponibilità di detti fondi, resa nota solo a metà dicembre, consentirà di spesare
la realizzazione: concorso letterario lanciato a metà dicembre dall’Arena; targa ricordo da murare in
occasione della cerimonia alla C.ma “U. Botti” di La Spezia; libro raccolta di scritti apparsi dal 1980 al
2000 sul nostro giornale curato dall’Amm. Belli e copertura di parte delle spese di esercizio.
3. Contributo L. 72/01 per il 2003
li” comuni purché artisticamente
o naturalisticamente interessanti
per il visitatore. Inoltre si dà spazio
a tutti i musei e alle collezioni
archeologiche presenti sul territorio,
presentando gli spaccati
dei monumenti più significativi.
Delle chiese affrescate più rappresentative
è stata inserita una
legenda in modo tale che il turista
possa, in totale autonomia,
comprendere appieno la bellezza
ed il significato dei dipinti. Un
lavoro analogo è stato fatto per i
castelli più importanti della penisola.
Per alcuni monumenti - l’Arena
di Pola, la Basilica Eufrasiana
e il Museo diocesano di Parenzo,
La Federazione, in occasione del direttivo tenutosi a Padova il 21 dic. u.s., ha reso noto che la Commissione
ministeriale, a ciò preposta, ha approvato per il 2003 i seguenti contributi:
Associazione N Contributo Progetti Contributo
Prog. approvato “Libero Comune di approvato
Pola in Esilio”
Comunità istriane 2 E 41.000
Cultura Fium.-Istr.-Dalm. Lazio 1 E 2.180
Nazionale Dalmata 1 E 10.000
C.D.M. Trieste 2+1 E 80.000
Centro Cult. Giuliano dalmata / /
Coordinamento Adriatico 3+2 E 140.600
Federazione / /
I.R.C.I. Trieste 5 E 83.000
Lega Nazionale Trieste 3 E 18.000 “Storia Ass.ne nei 56
anni di esilio” E 5.200
Libero Comune di Fiume 3 E 64.000
Libero Comune di Pola 4 E 79.100 Pub. “Istria Europa” E 4.000
Libero Comune di Zara 3+1 E 41.700 Pub. “Arena di Pola” E 65.000
Madrinato Dalmatico 1 E 25.000 Pub. “Antiche ricette
istriane” E 4.900
Fondazione Rustia Traine 2+3 E 81.350
Soc. Dalmata Storia Patria - RM 1+3 E 83.285
Soc. di Studi Fiumani 8 E 38.800
Soc. Filatelica Numismat. Dal. 2 E 5.000
Soc. Istr. Archeol. Storia Patria 1 E 50.000
Unione istriani (famiglie) 21 E 164.718
A.N.V.G.D. Pres. e Com. prov. 36+3 E 466.624
Circolo “Istria” 1 E 15.000
Circ. Buiese “R. Ragosa” 1 E 8.400
“Amici D. Alighieri” Zara / /
Spese della Federazione / E 51.634
TOTALI 114 E 1.549.391 E 79.100
Non è dato sapere quando detti fondi saranno assegnati.
la Chiesa ed il Monastero di San
Pietro in Selve - sono stati prodotti
altrettanti disegni assonometrici
con relative note esplicative:
questo permette una visione
totale e chiara del sito visitato.
Milletrecento fotografie e oltre
cento tra acquerelli, disegni,
stampe e cartoline d’epoca: un
impegno - e una ricerca - anche
graficamente piuttosto importante.
Una guida, insomma, pensata
da oltre vent’anni ma realizzata
solo ora, con un duplice obiettivo:
far conoscere l’Istria a chi
non l’ha mai visitata e farla scoprire
un po’ di più anche a chi ce
l’ha sotto gli occhi ogni giorno.
Sono altre due le particolarità
Associazione “Libero Comune di Pola in Esilio”
Aggiornamento della situazione relativa alla concessione di finanziamenti pubblici
di questa guida: per la prima volta
l’Istria viene descritta come
una’unica regione geografica
senza “confini” politici. I soli
confini di cui è stato tenuto conto
sono quelli dei comuni istriani,
per la prima volta precisati tanto
meticolosamente (a cui si aggiungono
gli stemmi, ed ecco
un’altra novità, delle cittadine
maggiori).
Alla fine, le pagine utili con
tutte quelle informazioni che
possono servire a chi pensa ad
una vacanza in Istria: i recapiti
telefonici di cinquanta comuni,
uffici turistici, parrocchie, musei
e collezioni archeologiche, marine,
nautiche, capitanerie di porto,
alberghi, campeggi, agriturismo,
bungalows, dépendances,
appartamenti privati. Senza dimenticare
le rassegne cinematografiche
e artistiche, i festival
musicali, i più originali tra i mercatini
e la segnalazione dei prodotti
enogastronomici più gustosi
e tipici.
COMUNICAZIONI AI LETTORI
48° Raduno
nazionale
dei Polesani
Il nostro prossimo Raduno
Nazionale è, come già reso noto,
programmato a Roma nei
giorni 21, 22 e 23 maggio.
E’ tempo di avviare le attività
organizzative. Al momento,
stanti le difficoltà di reperire un
albergo di adeguata ricettività
in città ed i costi elevati, con
l’aiuto di Aldo Clemente, abbiamo
contattato il “Mancini
Park Hotel”, sito in zona EUR
in prossimità del Raccordo anulare,
che può metterci a disposizione
100 posti letto, al prezzo
di E 55 per la mezza pensione.
Il programma di massima potrebbe
prevedere il pomeriggio
del 21 arrivo dei radunasti,
brindisi di benvenuto e cena.
Il 22 Consiglio comunale
(mattino), Assemblea Generale
(pomeriggio) ed eventuale intrattenimento
nel dopocena,
consumazione di entrambi i pasti
in albergo.
23 trasferimento in centro
città per deposizione corona all’Altare
della Patria e giro in
città, rientro in albergo per il
pranzo e partenza.
In alternativa, si potrebbe organizzare
nella mattinata del 23
una gita a Tivoli, mentre nella
serata del 22 si potrebbe far celebrare
una Messa al Villaggio
Giuliano con deposizione di corona
al monumento agli esuli.
La cena potrebbe essere consumata
fuori albergo. Entrambi i
movimenti sarebbero organizzati
con autocorriera noleggiata.
Sono solo idee che possono
essere modificate sulla base di
eventuali Vostri suggerimenti.
Fondamentale è però conoscere
con congruo anticipo il numero
dei partecipanti, per fissare l’albergo
entro il mese di marzo.
Le adesioni, pertanto, telefoniche
o a mezzo fax dovranno
pervenire alla redazione entro il
15 marzo.
Maggiori dettagli nei prossimi
numeri della “Arena”.
Incontro alla Caserma
“U. Botti” di La Spezia
L’incontro alla Caserma “U.
Botti” è confermato per il 20 e 21
marzo. Per l’eventuale pernottamento
a La Spezia è necessario
provvedere in proprio. Di massima,
prevediamo un incontro con
intrattenimento musicale nella
serata del 20 (sede in corso di definizione);
incontro alla Caserma
“U. Botti”, con mostra fotografica,
Messa e scoprimento targa
marmorea a ricordo del nostro
forzato soggiorno in tale struttura,
allocuzioni varie e buffet nella
mattinata del 21. Il programma
definitivo sarà comunicato con
l”Arena” di febbraio.
L’ARENA DI POLA
Periodico dell’Associazione del
“Libero comune
di Pola in Esilio”
Direttore
Silvio Mazzaroli
Direttore responsabile
Silvio Delbello
Editore:
LIBERO COMUNE DI POLA
IN ESILIO
Via Silvio Pellico, 2
34122 Trieste
Redazione di Trieste:
L’Arena di Pola
Via Malaspina, 1
34147 Trieste (TS)
Telefono-fax 040 830 294
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Redazione di Milano:
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Comitato di redazione:
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Alberto Durin, Bernardo Gissi,
Silvio Mazzaroli (Presidente),
Piero Tarticchio e Lino Vivoda
Stampa:
Artigraficheriva srl
via Malaspina, 1 - Trieste