Ancora ai blocchi di partenza - Arcipelago Adriatico
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PAG.4 L’ARENA DI POLA N. 1 del 31 genn<strong>ai</strong>o 2004<br />
Alla ricerca del tempo perduto<br />
Le campane<br />
<strong>di</strong> Visignano isignano<br />
<strong>di</strong> Loretta Cop<br />
Negli occhi stanchi <strong>di</strong><br />
mia madre vedo ricor<strong>di</strong><br />
sbia<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> un’epoca<br />
lontana, ricor<strong>di</strong> che ritornando<br />
a galla le illuminano il viso<br />
dandole una parvenza <strong>di</strong> gioventù<br />
sfiorita. Nata nel lontano<br />
1927 a Visignano d’Istria, a tre<br />
metri dal campanile e pochi<br />
più dalla chiesa e dalla loggia<br />
citta<strong>di</strong>na, ne è rimasta fedele<br />
ancora oggi. Suo padre era il<br />
band<strong>ai</strong>o del paese conosciuto<br />
anche a Mandolebotte, Marcovaz,<br />
Sband<strong>ai</strong>, Legovici e Strapacici,<br />
tutti villaggi dell’agro<br />
parentino. Non c’era casa che<br />
non conoscesse el “gorna”.<br />
In sella alla sua bicicletta<br />
passava tutti i villaggi e ogni<br />
tanto faceva “un salto a Trieste”.<br />
Con sé portava la figlia<br />
seduta sulla stanga della bici.<br />
Quando ritornavano a casa lui<br />
non aveva più le suole alle<br />
scarpe, perché eternamente<br />
senza freni, e la figlia aveva il<br />
sedere indolenzito. La madre<br />
invece era la “nonzola” del<br />
paese, quella che puliva la<br />
chiesa, spolverava gli altari,<br />
cambiava l’acqua <strong>ai</strong> fiori e faceva<br />
suonare le campane. La<br />
sua era un’arte vera e propria.<br />
All’ora esatta apriva le porte<br />
del campanile, si arrampicava<br />
per le scale malridotte fino in<br />
cima, con forza prendeva il<br />
“batocio” in mano e intonava,<br />
a seconda dell’ora, il mattutin,<br />
il mezzogiorno o l’Ave Maria.<br />
Le campane risuonavano per<br />
tutta la valle e ogni paesano sapeva<br />
regolarsi anche senza l’orologio.<br />
Nelle sere d’estate rimaneva<br />
seduta sulla “senta”, davanti<br />
alla casa, con le “comari” del<br />
paese a commentare i fatti della<br />
giornata. Brontolava sempre<br />
contro i vecchi paesani che durante<br />
la messa uscivano ad urinare<br />
<strong>di</strong>etro al campanile, vicino<br />
alla calamita, facendole entrare<br />
la puzza in casa. Al suono<br />
delle campane serali, tutte le<br />
figlie dovevano rientrare in casa<br />
accompagnate dalla solita<br />
battuta “L’Ave Maria è suonata,<br />
la ‘puta’ è rientrata”.<br />
Finita la guerra il paese venne<br />
abbandonato da molti e da<br />
altri venne colonizzato. La povertà<br />
regnava ovunque e la famiglia<br />
abbandonò Visignano e<br />
si trasferì a Fiume in cerca <strong>di</strong><br />
lavoro. Le campane vennero<br />
prese in consegna da Anzula,<br />
la neonominata nonzola del<br />
paese. Anzula la conobbi anch’io<br />
e dopo tanti anni il suo ricordo<br />
è ancora vivo in me. Era<br />
una donna anziana, grassotella,<br />
<strong>di</strong> me<strong>di</strong>a statura, con una lunga<br />
treccia bianca, sottilissima, avvolta<br />
in testa. Gli occhietti erano<br />
piccoli, furbastri, sprofondati<br />
in un viso rubicondo e la<br />
bocca quasi sdentata. Sempre<br />
vestita <strong>di</strong> nero con un grembiule<br />
anch’esso nero e <strong>ai</strong> pie<strong>di</strong><br />
aveva delle ciabatte orm<strong>ai</strong> consunte.<br />
Era sempre uguale, sia<br />
d’estate che d’inverno. In mano<br />
teneva sempre un fazzoletto<br />
bianco con il quale si forbiva il<br />
sudore colante a causa della<br />
seppur breve camminata fino<br />
al campanile. Camminata per<br />
modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re, perché lo strusciare<br />
delle sue ciabatte prima<br />
sul selciato del paese e poi sulla<br />
polverosa piazza non somigliavano<br />
certamente <strong>ai</strong> passi <strong>di</strong><br />
una persona. Al suo strusciare<br />
frotte <strong>di</strong> ragazzini le si facevano<br />
attorno accompagnandola a<br />
destinazione.<br />
Arrivata al campanile, sempre<br />
forbendosi l’eterno sudore,<br />
estraeva dalla tasca dell’orm<strong>ai</strong><br />
lurido grembiule le grosse e<br />
pesanti chiavi, apriva le porte<br />
e dopo due o tre profon<strong>di</strong> respiri<br />
prendeva la corda delle<br />
campane in mano. Uno, due,<br />
tre strattoni vigorosi e le campane<br />
iniziavano il loro rintocco.<br />
Molte volte le chiesi <strong>di</strong><br />
provarci anch’io senza però<br />
riuscirci. Diceva sempre che<br />
bisognava avere forza, molta<br />
forza, ma io non so da dove la<br />
traesse lei. Per non <strong>di</strong>re quando<br />
moriva qualcuno, allora le<br />
campane suonavano a lungo,<br />
suonavano a morte, e così<br />
sembrava lei, stanca morta,<br />
quando usciva dal campanile e<br />
con la solita andatura se ne ritornava<br />
a casa.<br />
Incuriosita, un giorno, la seguii<br />
per vedere dove abitava.<br />
Non l’avessi m<strong>ai</strong> fatto, perché<br />
al solo ricordo inorri<strong>di</strong>sco.<br />
Buss<strong>ai</strong> alla porta mezza rotta <strong>di</strong><br />
una vecchia e decrepita casetta<br />
con un’unica piccola finestrella<br />
rotta che fungeva da entrata<br />
<strong>ai</strong> gatti randagi. Dall’interno<br />
mi rispose una debole voce ed<br />
entr<strong>ai</strong> nell’unica stanza che la<br />
casa possedesse. Il pavimento<br />
era <strong>di</strong> pietra e terriccio e nella<br />
falce <strong>di</strong> luce che vi entrò vi<strong>di</strong><br />
che lei giaceva al buio, sul<br />
“p<strong>ai</strong>on”, ricoperta da una lurida<br />
vecchia coperta nera. Spettinata,<br />
stanca e forse anche ammalata,<br />
non si mosse e non<br />
parlò. Al centro della stanza<br />
c’era un vecchio tavolo e due<br />
se<strong>di</strong>e malridotte. Vicino al “fogoler”<br />
spento un p<strong>ai</strong>o <strong>di</strong> gatti<br />
neri mi guardavano incuriositi.<br />
Faceva freddo e non c’era alcun<br />
odore <strong>di</strong> cibo. La vecchia<br />
viveva della pietà degli altri.<br />
Non so neppure se mi avesse<br />
riconosciuto.<br />
Triste e sconsolata me ne and<strong>ai</strong>.<br />
La consideravo orm<strong>ai</strong><br />
un’amica e a quella visione<br />
stetti male per alcuni giorni. I<br />
vicini la trovarono così, su<br />
quel lurido giaciglio, spettinata,<br />
forse anche affamata, con<br />
un p<strong>ai</strong>o <strong>di</strong> gatti neri attorno. Le<br />
sue campane la accompagnarono<br />
all’ultima <strong>di</strong>mora. Orm<strong>ai</strong><br />
suonavano da sole.<br />
La Chiesa<br />
<strong>di</strong> Sant’Elena<br />
a Valle<br />
Sul numero del 15 <strong>di</strong>cembre scorso, l’amico Matteo Fabris<br />
racconta delle “rogazioni”, si deduce, nel Comune<br />
<strong>di</strong> Valle. Nel testo cita la Chiesa <strong>di</strong> Sant’Elena che - particolare<br />
insolito - porta racchiusa nel rosone, sopra l’ingresso, la<br />
“stella <strong>di</strong> Davide”.<br />
Ho avuto il piacere <strong>di</strong> fotografarla e, sul posto, una gentile<br />
signora mi aveva dato ampie illustrazioni. La Chiesa, tranne<br />
i muri perimetrali, era <strong>di</strong>strutta.<br />
Non ho resistito al piacere <strong>di</strong> completare - inviando questa<br />
foto - quanto detto da Fabris.<br />
FAUSTO D’ASTA<br />
Auguri e celebrazioni <strong>di</strong> S. Tommaso<br />
Sopra, Imperia, Circolo<br />
Giuliano-Dalmata<br />
il 14 <strong>di</strong>cembre 2003<br />
Sotto, Venaria Reale,<br />
la Famiglia Polesana <strong>di</strong> Torino<br />
lo scorso 7 <strong>di</strong>cembre<br />
Bene<strong>di</strong>zione del nuovo Labaro da parte del Vescovo Monsignor<br />
Ravignani <strong>di</strong> Pola<br />
Sopra, il Comitato provinciale<br />
dell’ANVGD - Verona<br />
Sotto, festeggiamenti della<br />
Famiglia Polesana nella sede<br />
dell’Unione degli Istriani<br />
con il coro Arupinum