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CONVIVERE NEL TEMPO DELLA PLURALITÀ XI ... - Centro COME

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<strong>CONVIVERE</strong><strong>NEL</strong> <strong>TEMPO</strong> <strong>DELLA</strong> PLURALITÀ<strong>XI</strong> Convegno dei Centri InterculturaliSeminario europeo9 e 10 Ottobre 2008 Milano0


Approssimarsi. Modi e sfide della quotidiana mescolanzaGraziella Favaro, <strong>Centro</strong> ComeI cambiamenti che attraversano da tempo le nostre città, gli episodi recenti di violenza, conflitto ediscriminazione, un clima sociale che sembra orientato sempre di più verso la distanza e la paura ciinterpellano e ci spingono a interrogarci sul “polso emotivo delle comunità”, a sondare le emozionie le passioni che accompagnano l’incontro e orientano la percezione reciproca, a misurare ladistanza tra i concetti (o preconcetti) e le pratiche quotidiane, tra riferimenti culturali che diventanocomportamenti e atteggiamenti, occasioni di scontro e di confronto.Nella storia, non più così breve, dell’immigrazione straniera in Italia, poca attenzione è statadedicata finora a osservare e accompagnare le trasformazioni in atto nelle città e negli spazi delvivere comune. Che cosa sta succedendo nelle comunità che accolgono chi viene da lontano, neiluoghi e nei servizi divenuti multiculturali, entro i quali avviene la faticosa, lenta – a voltesorprendente, a volte conflittuale – interazione quotidiana? Come si contemperano nei luoghi di vital’uguaglianza dei diritti e dei doveri e il riconoscimento delle differenze, dei riferimenti culturali,delle storie di ciascuno? Come si manifestano nello spazio e nei servizi di tutti i riferimenti a norme,valori, etiche differenti?Il paesaggio sociale e gli aggiustamenti quotidiani a seguito della caratterizzazione multiculturalenelle scuole, nell’infanzia, nelle case, nella cura, nel luogo di culto – testimoniano la natura giàprofondamente ibrida delle nostre città. Disegnano prospettive su una condizione futura che puòaffascinare alcuni, suscitare l’ansia di molti e il rigetto di altri, ma che comunque ci riguarda tutti. Èda queste storie di convivenza quotidiana, più che dalle storie di migrazione, che dobbiamo partireper interrogarci, riflettere, proporre un cammino condiviso di integrazione possibile e ragionevole.In questa direzione, il ruolo dei centri interculturali, che operano in regioni e città diverse puòrisultare ancora una volta cruciale per “leggere” da vicino le situazioni positive e portare a galla iconflitti, elaborare risposte, tessere legami e promuovere relazioni.A partire soprattutto dai figli dell’immigrazione, dalla cosiddetta seconda generazione, che contaormai circa un milione di bambini e ragazzi, che rendono evanescenti e friabili i confini tra “noi” e“loro” e che, pur nella diversità delle storie, chiedono un orizzonte e un futuro comuni.1


Comprendere le culture nel disagio della contemporaneitàUgo Fabietti, Università degli Studi di Milano-Bicocca“Comprendere le culture” non è più un’attività riconducibile al lavoro di pochi specialisti. Altrisoggetti, oltre agli antropologi, sono infatti oggi in grado di prendere pubblicamente la parola sulladiversità culturale, sull’incontro/scontro tra culture e di plasmare e diffondere la rappresentazionedelle culture medesime.Il concetto antropologico di cultura (un complesso di simboli, di significati e di relazioni sociali chedanno a un gruppo umano una forma, uno stile proprio di pensiero e di comportamento distinguibilida quello di altri) ha conosciuto una grande fortuna negli ultimi decenni, ma un’ attentaconsiderazione di questa sua diffusione al di fuori dell’antropologia rivela che la cultura tende aricomprendere i significati a cui rinviava in passato la nozione di “razza”. Questo fatto, unito alletendenze ultrasemplificatrici dei media, consente di considerare “la cultura” non come qualcosa cheva osservato, descritto e spiegato, cioè “compreso”, ma come qualcosa che spiega ancheatteggiamenti, disposizioni e tendenze che dipendono da altri fattori, come ad esempio il retaggiodella dominazione coloniale, e i diversi rapporti di forza tra le società e le loro economie. Questomodo superficiale di argomentare intorno alle “culture” è diffuso dai media. Ma da quest’usoimproprio che viene fatto spesso del termine “cultura”, e dalle modalità mediatiche della suadiffusione, tipiche della nostra contemporaneità, scaturisce oggi un’idea della diversità culturaleche, inserendosi in un “disagio” tipico del nostro tempo, finisce per demonizzarla, a tutto vantaggiodi una visione “regressiva” e di chiusura sull’avvenire del mondo.2


Pragmatiche delle differenze e incorporazione della storiaRoberto Beneduce,Università di Torino e <strong>Centro</strong> Frantz FanonL’antropologia della migrazione, quando non si accontenti di interrogare concetti e categorie, oconfrontarsi con modelli e rappresentazioni, è sfidata dal racconto dei suoi protagonisti, dalla loroesperienza di incertezza e di sofferenza, dalla loro domanda di riconoscimento, dai loro corpiinquieti. In questo ascolto, scopriamo quanto gli immigrati siano rivelatori delle nostre stesseinquietudini e delle nostre irrisolte contraddizioni, quanto essi possano portare allo scoperto aspettirimossi del nostro inconscio. I loro sguardi parlano spesso di una violenza della Storia chevorremmo dimenticare e che le vicende di cui sono stati vittima o testimoni riportano inveceostinatamente alla nostra coscienza. Espressione di configurazioni del legame e dello scambiosociale oggi minoritarie, quelle che indichiamo come culture sono allora forse solo economie“sconfitte” o frammenti di altri “registri sociali” (de Certeau). Questo volgersi paziente e rigorosoverso segni cancellati, dubbi ed esperienze marginali costituisce non solo un imperativo etico. Èanche la condizione per lasciarsi interrogare in modo appropriato da quella differenza ostinata e daquell’alterità che saremmo spesso propensi secondo i casi a banalizzare o negare. In questoorizzonte, consuetudini, sensibilità, pratiche e resti di un orizzonte sociale lontano o perduto,benché sopiti, possono risvegliarsi, talora in modo imprevisto o violento proprio perché dislocati.Le considerazioni proposte vogliono esplorare questo territorio a partire dalla ricerca che da oltrequindici anni conduco con immigrati, rifugiati e clandestini, incontrati in Italia o in altri contesti.3


Scrivere tra e con due lingue madriIgiaba Scego, scrittriceMamma mi parla nella nostra lingua madre. Spumosa, scostante, ardita. Nella sua bocca il somalodiventa miele. Ma io, come la parlo questa nostra lingua madre? Io, Zhura figlia di Maryam,incespico nel mio alfabeto confuso. Le mie parole puzzano di strade asfaltate, cemento e periferia.Però mi sforzo lo stesso di parlare con lei quella lingua che ci unisce. In somalo ho trovato ilconforto del suo utero, in somalo ho sentito le ninnananne che mi ha cantato, in somalo ho fatto iprimi sogni. Ma poi, in ogni discorso, parola, sospiro, fa capolino l’altra madre. Quella che haallattato dante, boccacio, de andre e alda merini, L’italiano con cui sono cresciuta e che ho ancheodiato, perché mi faceva sentire straniera. L’italiano aceto dei mercati rionali, l’italiano dolcedella radio, l’italiano serio dell’università. L’Italiano che scrivo.Il brano è tratto dal romanzo della sottoscritta, Oltre Babilonia (Donzelli). Partendo dalla storiaraccontata dal romanzo, una storia di madre, figlie, lingue intrecciate, metropoli e memoria, sicercheranno di analizzare le tematiche di identità, esclusione, inclusione delle seconde generazioni(nate o cresciute in Italia), soprattutto alla luce dei recenti atti di xenofobia degli ultimi mesi, nonultimo l’omicidio a sprangate del diciannovenne Abdul G. a Milano.Di seguito la trama del romanzo che sarà la piattaforma iniziale dell’intervento:Zuhra vive a Roma, fa la commessa in una grande libreria e parla romanesco. Ma la lingua a trattis’inceppa, perché la sua radice è somala, e la sua pelle è nera. Anche Mar è romana e nera, di madreargentina e padre somalo. Non si conoscono, ma entrambe partono per Tunisi a imparare l’arabo,lingua delle origini. Si avvia così una storia vorticosa in cui si mescolano linguaggi, epoche,suggestioni di tre paesi, Italia, Somalia e Argentina. Dalla Roma multietnica di oggi alla BuenosAires anni settanta; dalla Mogadiscio tumultuosa degli ultimi vent’anni a quella dell’epocacoloniale e dell’indipendenza. A dipanarsi in questi luoghi è il filo del racconto che passa di boccain bocca: da Zuhra a Mar, da Maryam a Mirando - le loro madri - e a Elias, il padre di cui nientesanno e che le ha rese a loro insaputa sorelle. Un coro di voci che pagina dopo pagina ci fa avidi discoprire se Zhura ritroverà i colori che non vede più da quando era bambina, se Maryam riuscirà aincidere su quel vecchio registratore le gioie e i rimpianti del suo amore perduto, se Elias sapràspiegare la sua smania di infondere l’Africa nelle stoffe e negli abiti che ne fanno uno stilista digrido. Poi Howa, Bushra, Majid, la Flaca e i cento personaggi che popolano questa Babilonia delterzo millennio.4

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