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Ipertesto C – GULag: il sistema concentrazionario sovietico - Sei

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La quota dell’altro grande gruppo, i «controrivoluzionari»e gli «articolo 58» era in continuacrescita. Nella scala gerarchica degli internatistavano all’ultimo gradino; poiché <strong>il</strong> regime<strong>sovietico</strong> li considerava soggetti «non rieducab<strong>il</strong>i»,gli «articolo 58» subivano una serie di inasprimentidella pena cui non erano soggetti i criminali.Ripetute disposizioni, spesso però nonosservate, proibivano agli «articolo 58» di detenereincarichi. [...]Principio base per <strong>il</strong> sostentamento in tutte lecategorie di lager era vincolare la quantità delle razionialimentari al raggiungimento dello standarddi produzione, assieme a molti altri criteri. È diffic<strong>il</strong>edare una panoramica sulla varietà delle razioni;i reclusi destinati ai «lavori comuni» erano particolarmentecolpiti da tale regolamentazione. Ilcibo era di cattiva qualità, insufficiente e non corrispondevacomunque alle prestazioni richiestedal durissimo lavoro; era carente di calorie, vitaminee altre sostanze indispensab<strong>il</strong>i. Affamandocostantemente i reclusi si voleva spingerli a raggiungereo superare lo standard di produzione perottenere in cambio razioni maggiori o di migliorequalità. Questo genere di sprone al lavoro nonproduceva quasi mai <strong>il</strong> risultato sperato visto chei prigionieri morivano anziché lavorare di più. Conl’inizio della guerra le razioni già ampiamente insufficientivennero ulteriormente ridotte. Grandicrisi di fame percorsero i lager tra <strong>il</strong> 1941 e <strong>il</strong>1942; solo quando la produttività calò sensib<strong>il</strong>mentevennero reintrodotte le razioni dell’anteguerra,ma in realtà la «grande fame» nel <strong>GULag</strong> siconcluse solo nel 1948. [...]La morte era una realtà quotidiana nel lager. Gli internati morivano di fame, spossatezza,assideramento, venivano fuc<strong>il</strong>ati, erano vittima di incidenti sul lavoro o delle strutture punitivecui erano destinati. L’atteggiamento di disprezzo verso gli esseri umani adottato nei confrontidei reclusi in vita proseguiva con la «mancanza di pietà» verso i morti. Il prigioniero defuntoveniva contrassegnato al piede sinistro con una targhetta di legno o altro mezzo diidentificazione che riportava la sua matricola; i denti d’oro venivano estratti; per ostacolareun decesso simulato, la testa della salma veniva fracassata con un martello o gli veniva conficcatoun chiodo nel petto. Il cadavere, nella maggior parte dei casi nudo o con la sola logorabiancheria addosso, veniva infine sotterrato all’esterno del campo. Le fosse erano diffic<strong>il</strong>menteo per nulla identificab<strong>il</strong>i.I reclusi che avevano la fortuna di essere sopravvissuti all’internamento e a cui non erastato comminato un «secondo termine», ovvero una ulteriore condanna, venivano affrancatidallo status di internati in lager, ma non ottenevano la libertà. Le autorità dell’NKVD [una dellediverse denominazioni assunte dalla polizia politica sovietica, n.d.r.] erano interessate a nonfar uscire dall’impero economico del <strong>GULag</strong> o comunque dal proprio controllo gli ex internati,pur usciti dal <strong>sistema</strong> <strong>concentrazionario</strong> del <strong>GULag</strong>, e quindi li ponevano sotto sorveglianzadel Commissariato, poi Ministero degli Affari Interni. Una possib<strong>il</strong>ità era quella di consegnareal r<strong>il</strong>asciato una lista, la cosiddetta «lista delle esclusioni», con un elenco di città nellequali non si sarebbe potuto stab<strong>il</strong>ire, costringendolo così ad andare a vivere in aree che eranozona di insediamento del <strong>GULag</strong> o dell’NKVD. La seconda variante, altrettanto frequente, eraquella di imporre all’ex internato di continuare a vivere come colono nelle vicinanze del campoove era stato rinchiuso e di continuare a esercitare la consueta attività prevista dai piani. Icosiddetti «coloni liberi» vivevano sì all’esterno dell’area del lager, ma continuavano a essereparte integrante del <strong>GULag</strong>, erano insomma più ex internati che uomini liberi.R. stettNeR, Il <strong>GULag</strong>. Prof<strong>il</strong>o del <strong>sistema</strong> dei lager staliniani, in G. CoRNI, G. hIRsChFeLD (a cura di),L’umanità offesa. Stermini e memoria nell’Europa del Novecento, <strong>il</strong> Mulino, Bologna 2003,pp. 186-192, traduzione di R. MaRtINIAlcuni detenutial lavoro in un lager<strong>sovietico</strong>.Quali detenutipossono esseredefinit<strong>il</strong>’«aristocraziadel campo»?Chi erano gli«articolo 58»?Che cosa accadevaalla maggior partedei detenuti,una volta scontatala pena?IPeRtestoIPERTESTO C13gUlag: <strong>il</strong> <strong>sistema</strong> <strong>concentrazionario</strong> <strong>sovietico</strong>F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012

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