INFORMAZIONE - Studi Filosofici
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dinamismo della società industriale, senza<br />
pretendere che essi vadano a esaurire<br />
quella problematica morale, fondata sulla<br />
“radicalità” del male, per la quale non<br />
possono mostrare pertinenza. Da qui<br />
l’esigenza, per Franchi, di ricomporre il<br />
rapporto che lega i diversi aspetti della<br />
ragione politica, quello etico-morale,<br />
quello economico, quello più strettamente<br />
politico, quello speculativo e, in quanto<br />
si dà una tensione verso la felicità o la<br />
beatitudine, quello religioso.<br />
Sui problemi dell’etica pubblica interviene<br />
James Hillman, secondo il quale per parlare<br />
del potere non ci si può limitare strettamente<br />
all’ambito politico, senza far riferimento<br />
alla sfera dell’economia, in cui<br />
costantemente vengono esperiti rapporti di<br />
gerarchizzazione, di dominio e di subordinazione.<br />
In tal senso lo studio di Hillman<br />
intende proporre una fenomenologia della<br />
forme di potere quali vengono praticate<br />
nell’ambito dell’agire in vista del successo<br />
economico, ovvero mostrare su quali idee<br />
si fonda la pratica del potere. I valori che<br />
configurano l’esercizio moderno del potere,<br />
osserva Hillman, fanno riferimento innanzitutto<br />
alle concezioni del darwinismo<br />
sociale e hanno come motivi fondanti l’idea<br />
di “crescita” e di “efficienza”, che tuttavia<br />
subiscono una progressiva erosione per via<br />
dell’indifferenza costitutiva che caratterizza<br />
queste idee riguardo ai problemi di natura<br />
morale.<br />
Tra quelli che Hillman definisce stili del<br />
potere rientrano il controllo, il prestigio,<br />
l’esibizionismo, la leadership, l’autorità,<br />
il carisma, la persuasione, la tirannia<br />
e così via. L’intento di Hillman è allora<br />
di delineare un potere compatibile con le<br />
esigenze di realizzabilità umana universale,<br />
non sottoposto al dominio dell’Altro.<br />
In questa prospettiva, amore e potere<br />
possono non essere in opposizione.<br />
Sul rapporto tra retorica e politica interviene<br />
Matthias Bohlender con Die Rhetorik<br />
des Politischen. Il libro è diviso in quattro<br />
capitoli. Nel primo l’autore espone il concetto<br />
di retorica e il modo in cui esso risulta<br />
rielaborato secondo diverse teorie linguistiche;<br />
nel secondo traccia un modello del<br />
rapporto tra retorica e teoria politica quale<br />
può essere ricavato dall’opera di Hobbes;<br />
nel terzo mette a confronto la diversa lettura<br />
che Carl Schmitt e Leo Strauss hanno<br />
dato del Leviatano; e nell’ultimo ritorna<br />
alla trattazione sistematica, con una proposta<br />
di lettura della teoria politica in quanto<br />
prassi sociale di discorso.<br />
A parte i due capitoli centrali, che vogliono<br />
essere esempi (non meramente<br />
occasionali) dell’importanza che ha la<br />
retorica all’interno di una determinata<br />
teoria politica, l’interesse principale di<br />
questo studio sta indubbiamente nel suo<br />
sforzo concettuale di offrirci le basi per una<br />
lettura delle teorizzazioni politiche dal punto<br />
di vista delle strategie linguistiche e discorsive<br />
che esse mettono in campo per costituirsi<br />
e per affermarsi. G.B.<br />
AUTORI E IDEE<br />
La questione dell’essere<br />
in Heidegger<br />
In SERVIRE L’ESSERE CON HEIDEGGER (Morcelliana,<br />
Brescia 1995) Umberto Regina<br />
individua nell’essere la questione<br />
centrale che contraddistingue la filosofica<br />
di Heidegger, sottolineando<br />
come essa abbia assunto significati<br />
diversi nelle varie opere del filosofo.<br />
Particolare attenzione alla concezione<br />
religiosa di tipo “manifestativo” che<br />
emerge nell’opera heideggeriana è dedicata<br />
da Pietro De Vitiis nel suo studio<br />
dal titolo: IL PROBLEMA RELIGIOSO IN<br />
HEIDEGGER (Bulzoni Editore, Roma 1995).<br />
Secondo Umberto Regina, in Heidegger<br />
l’analisi della questione dell’essere subisce<br />
una progressiva modificazione. Inizialmente<br />
viene stabilito un legame stretto tra<br />
la comprensione e l’essere, in quanto «la<br />
comprensione è strutturalmente comprensione<br />
d’essere». La scelta, qui, non è tra il<br />
comprendere e il non comprendere l’essere,<br />
ma tra un «comprendere che si apre alla<br />
problematicità e quindi all’eccedenza e al<br />
futuro e un comprendere che è solo di<br />
insistente chiusura». Successivamente, fa<br />
notare Regina, l’accento si sposta dal senso<br />
dell’essere alla “verità dell’essere”, dove<br />
la verità non implica l’esistenza di un valore<br />
prestabilito, ma è in quanto diviene. Il<br />
suo divenire non è, tuttavia, determinato<br />
dal fatto che i suoi contenuti si modificano,<br />
ma dal fatto che l’eccedenza propria dell’essere<br />
può essere raggiunta solamente in<br />
un «percorso che sia al tempo stesso di<br />
problematizzazione e di trasfigurazione dell’ente».<br />
La verità, in Heidegger, è il luogo<br />
in cui si determina l’incontro tra «il servizio<br />
ontologico cui l’uomo è chiamato e il<br />
transitare di Dio». Si tratta, in effetti, sottolinea<br />
Regina, di una concezione “operativa”<br />
della verità, in base alla quale non<br />
solamente l’uomo, ma anche Dio viene<br />
chiamato ad agire per la verità.<br />
La successiva concezione di Heidegger<br />
dell’essere, osserva Regina, si basa su una<br />
diversa definizione dell’essere, secondo la<br />
quale l’essere, coincidendo con il punto di<br />
vista proprio del filosofare, è «lo stesso<br />
incondizionato lasciar essere l’oggetto nel<br />
suo come» e presuppone che esista un ente,<br />
cioè l’uomo, in grado di affermare il “come<br />
di ogni altro ente”. Ma la vera svolta innovatrice<br />
viene compiuta da Heidegger con la<br />
pubblicazione dei Beiträge, in cui diviene<br />
centrale la storia dell’essere, che non viene<br />
più considerata come quel territorio neutrale<br />
della comprensione dell’essere, ma<br />
come l’ambito in cui l’uomo è chiamato a<br />
schierarsi per la verità, cioè a «divenire<br />
autenticamente se stesso in quanto custode<br />
e guardiano della verità». Così, se in Essere<br />
e tempo si poteva intravedere un’antropologia<br />
filosofica, in quanto l’analitica esistenziale<br />
si limitava a indagare lo spazio<br />
aperto dalla progettualità umana, nella fase<br />
successiva la storia dell’essere «impegna<br />
30<br />
l’essere a essere all’altezza di un progetto»,<br />
costringendolo a comprendersi a partire da<br />
un “altro inizio”. In tale prospettiva l’uomo<br />
comprende che il suo essere non è una<br />
componente acquisita con il solo fatto di<br />
esserci, ma un “compito”, quello di servire<br />
la verità, entrando così a far parte della<br />
storia che è nello stesso tempo sua e dell’essere.<br />
Anche il legame tra l’essere e il linguaggio<br />
si rivela differente nelle diverse fasi<br />
teoriche attraversate da Heidegger. Mentre<br />
in Essere e tempo il linguaggio si<br />
fonda sul discorso, nei Beiträge viene<br />
considerato come risposta originata da<br />
un’eccedenza che si rivolge all’uomo<br />
per recidere il suo legame con il “prospettivismo<br />
rinunciatario”.<br />
Delineare la concezione religiosa di Heidegger<br />
è, invece, lo scopo che si prefigge<br />
Pietro De Vitiis, mostrando come il<br />
problema del divino venga affrontato da<br />
Heidegger in opposizione alla prospettiva<br />
dell’“onto-teologia” che, riducendo<br />
l’essere all’ente, identifica Dio con l’essere.<br />
Ontologia e teologia, per Heidegger,<br />
si confermano e si rafforzano a vicenda,<br />
generando l’onto-teologia, il cui<br />
vertice è rappresentato dalla teoria hegeliana<br />
dello Spirito assoluto.<br />
Come rileva De Vitiis, la visione religiosa<br />
heideggeriana, in modo simile a quella di<br />
Schelling, può essere definita “manifestativa”,<br />
in quanto afferma il primato dell’esperienza<br />
di ciò che si manifesta rispetto<br />
all’elaborazione concettuale; in tal senso la<br />
visione religiosa può essere accostata alla<br />
poesia, specialmente a quella di Hölderlin,<br />
il cui linguaggio è dotato di una potenza<br />
evocativa in grado di generare “nuove visioni”.<br />
Tuttavia non può essere risolta nella<br />
poesia, poiché l’apice viene raggiunto nel<br />
silenzio: il linguaggio religioso non è «dire<br />
qualcosa su qualcosa», ma «preghiera, invocazione<br />
e rendimento di lode».<br />
Per Heidegger, osserva De Vitiis, l’interiorità<br />
deve aprirsi al mistero dell’essere, che<br />
è inaccessibile in quanto si nasconde. Il<br />
“nascondimento” dell’essere non va inteso<br />
come pura negatività, ma come sintomo<br />
dell’inafferrabilità del divino. Infatti,<br />
l’“ultimo Dio” heideggeriano appare nello<br />
spazio abissale che si spalanca nell’essere,<br />
mostrando il limite del pensiero concettuale<br />
volto alla definizione oggettiva degli enti<br />
e basato sulla relazione soggetto- oggetto.<br />
Heidegger attribuisce all’essere la finitudine<br />
per non ricadere nell’infinità dell’assoluto<br />
idealistico che rimane bloccato nella<br />
sua “circolarità”, rischiando di essere una<br />
“totalità omniabbracciante”. L’“ultimo<br />
Dio” di Heidegger è, quindi, un Dio del<br />
futuro, un Dio escatologico e, come rileva<br />
De Vitiis, sembra che rimandi all’essere<br />
solo nell’ambito della possibilità. M.Mi.