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Ragione e pratica sociale: l'inferenzialismo di Robert Brandom 1

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identità come a=b è l'impegno in una struttura <strong>di</strong> inferenze che impongono <strong>di</strong> sostenere Pa ognivolta che si sia impegnati in asserire Pb e viceversa. La sostitutività funziona normalmente contermini come descrizioni definite e nomi propri che non cambiano riferimento al cambiare <strong>di</strong>circostanza; più problematica è la situazione dei <strong>di</strong>mostrativi (come “questo” , “quello” , “lui”, ecc.) il cui riferimento cambia a seconda del contesto <strong>di</strong> emissione. L'analisi <strong>di</strong> questi termini èstata una delle principali conferme e generalizzazioni della teoria del riferimento <strong>di</strong>retto <strong>di</strong> Kripkee Putnam, dell'idea cioè che il riferimento <strong>di</strong> nomi (o tipi naturali) non <strong>di</strong>pende dal significato, maè dato da una relazione <strong>di</strong>retta tra il nome e l'oggetto. Così per capire che cosa è il riferimento <strong>di</strong>“quello” o <strong>di</strong> “lui” devo vedere l'oggetto cui il parlante si riferisce seguendo ad es. il suogesto che in<strong>di</strong>ca l'oggetto. Questo suggerisce l'idea ingenua che l'uso dei deittici sia una faccendameramente fisico-percettiva, che consiste nell' in<strong>di</strong>viduare l'oggetto estendendo la linea formatadall'in<strong>di</strong>ce della persona che in<strong>di</strong>ca finchè non si interseca qualcosa <strong>di</strong> opaco. Che la faccenda siapiù complicata era chiaro già a Wittgenstein per cui capire una definizione ostensiva richiedeaver già imparato a saper fare molte altre cose con il linguaggio; ma Wittgenstein non <strong>di</strong>ce qualicose occorre saper fare prima <strong>di</strong> poter usare una definizione ostensiva. <strong>Brandom</strong> cerca unarisposta a questo problema.<strong>Brandom</strong> estende il suo approccio inferenziale anche al tema dei <strong>di</strong>mostrativi e deittici,sviluppando una tesi <strong>di</strong> Chastain sul ruolo dell'anafora nell'in<strong>di</strong>viduare oggetti. Una occorrenzaisolata <strong>di</strong> un deittico come “quello” non basta <strong>di</strong> per sè a in<strong>di</strong>viduare un oggetto; secondo lalezione <strong>di</strong> Frege, per in<strong>di</strong>viduare un oggetto devi potere <strong>di</strong>re quando ti riferisci allo stessooggetto, devi saperlo re-identificare. Questo è il ruolo svolto dall'anafora: i deittici hanno<strong>di</strong>pendenze anaforiche e per questo possono figurare in inferenze sostituzionali: «quell'uomo stabevendo champagne; Pia sta parlando con lui e io vorrei <strong>di</strong>rgli <strong>di</strong> smettere <strong>di</strong> bere». Qui il<strong>di</strong>mostrativo “quello” è un iniziatore <strong>di</strong> una catena <strong>di</strong> riferimenti anaforici (“lui” e “gli” ),senza i quali il “quello” iniziale verrebbe a perdersi in un nebuloso ricordo <strong>di</strong> qualcuno nonmeglio identificato e non più identificabile.La conclusione è che «la deissi presuppone l'anafora» e «nessuna occorrenza può avereil significato <strong>di</strong> un <strong>di</strong>mostrativo a meno che altre abbiano il significato <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenti anaforici;usare una espressione come <strong>di</strong>mostrativo è usarla come un tipo speciale <strong>di</strong> iniziatore anaforico.»<strong>Brandom</strong> dà una <strong>di</strong>mostrazione dell'impossibilità <strong>di</strong> dare un'analisi dell'anafora in termini <strong>di</strong>deissi per sostenere che l'anafora è il fenomeno fondamentale e non il contrario. Il modelloanaforico è generalizzato anche ad altri in<strong>di</strong>cali come “io” e “ora” ed ai nomi propri,attraverso una lunga e complessa <strong>di</strong>scussione del “puzzle <strong>di</strong> Kripke” 13 . Se la <strong>di</strong>scussione sulpuzzle <strong>di</strong> Kripke non può essere facilmente riassunta in poche righe, si può almeno dare uncenno del trattamento della <strong>di</strong>stinzione kripkiana tra riferimento semantico e riferimento delparlante 14 . Un parlante, chiamiamolo Leo, <strong>di</strong>ce «l'uomo nell'angolo con un bicchiere <strong>di</strong>champagne è arrabbiato» ; ma Leo non si rende conto che l'uomo cui si riferisce - Giorgio - nonbeve champagne bensì martini, mentre vicino a lui un altro uomo beve champagne. Pia si rendeconto che Leo si vuole riferire a Giorgio. Kripke chiama “riferimento del parlante” quello cherispecchia la intenzione del parlante e “riferimento semantico” quello che rispecchia ilsignificato letterale delle parole. Ma Kripke non <strong>di</strong>scute abbastanza il punto <strong>di</strong> vista dell'u<strong>di</strong>torio.Cosa fa infatti Pia? tratta l'emissione “l'uomo con il bicchiere <strong>di</strong> spumante” come un<strong>di</strong>pendente anaforico il cui antecedente è una occorrenza che Leo avrebbe potuto usare (eavrebbe usato se avesse visto meglio la situazione), come ad esempio “Giorgio” , “l'uomo chebeve martini”, “quell'uomo là” in<strong>di</strong>cando con un <strong>di</strong>to. Questo atteggiamento <strong>di</strong>pendeovviamente da un principio <strong>di</strong> carità che deve sempre imporsi quando c'è una <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> punti<strong>di</strong> vista: in questo modo Pia può ragionevolmente considerare come vere un maggior numero <strong>di</strong>cose che Leo <strong>di</strong>ce. <strong>Brandom</strong> riesce così a dare una spiegazione che non è incentrata sullaintenzione del parlante, ma sulla relazione tra <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> impegni e <strong>di</strong>ritti che si realizzano inuna situazione <strong>sociale</strong> con <strong>di</strong>versi punti <strong>di</strong> vista. Il “riferimento del parlante” è il riferimentodato dall'uso anaforico <strong>di</strong> una espressione da parte dell'u<strong>di</strong>torio motivata dalla necessità <strong>di</strong>massimizzare la vali<strong>di</strong>tà degli impegni inferenziali accettabili.1314

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