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un modo terapeutico di intervenire e modificare il flusso continuo di costruzione di<br />

Sé e del reale.<br />

Spence propone in sostanza un radicale abbandono del cosiddetto «modello<br />

archeologico» della psicoanalisi che «scopre» secondo la tradizione inaugurata con gli<br />

Studi sull’isteria (1891) un ricordo rimosso in una polverosa memoria-archivio. Nel<br />

modello della «scoperta» archeologica «la verità è lì che ci aspetta, nascosta nella vita<br />

del paziente: non rimane che svelarla. Il ruolo dell’interpretazione è di contribuire al<br />

processo di scoperta. Se però ci spostiamo sull’idea che la verità si possa creare<br />

mediante l’enunciazione (il concetto di inveramento), ecco che abbiamo abbandonato<br />

il terreno dell’archeologia, spalancando porte nuove e pericolose. Ora il concetto di<br />

costruzione assume un valore nuovo perché rappresenta uno spostamento dalla<br />

scoperta alla creazione. L’intepretazione (...) può porre in essere un’idea per la prima<br />

volta. Non appena enunciata, diventa parzialmente vera, via via che è ripetuta e<br />

ampliata, diventa familiare e quando la familiarità ne accresce per gradi la plausibili<br />

tà finisce per diventare completamente vera» (p. 164).<br />

Emerge così dall’opera di Spence una visione del tutto nuova del sapere<br />

psicoanalitico in ambito strettamente clinico, infatti l’autore delinea una visione<br />

wittgensteiniana (Wittgenstein, 1950) dei fondamenti della conoscenza di Sé sviluppa<br />

ta attraverso la psicoanalisi che si mostra dunque come fondata sull’affetto e sulla<br />

fede del soggetto nell’analista e nell’analisi. Una conoscenza senza fondamento basata<br />

sulla relazione analitica. Non vi è altro fondamento certo se non la costruzione nella<br />

relazione di alcuni punti fermi che non possono essere messi in discussione e che anzi<br />

costituiscono l’ambito di qualsiasi discussione lecita e plausibile.<br />

Ma una concezione siffatta cozza contro uno dei miti fondativi della psicoanalisi,<br />

cioè il fatto che la psicoanalisi sia radicalmente differente dalla suggestione da cui<br />

Freud si sarebbe distanziato. Dal contributo di Spence emerge invece una psicoanalisi<br />

che è intrinsecamente una forma raffinata di suggestione, che certo si differenzia da<br />

altre tecniche, ma per le sue modalità più articolate e ricorsive basate sull’analisi del<br />

transfert, e non per la sua natura fondamentale. La psicoanalisi è una forma potente<br />

di suggestione. Questa si esplica attraverso modalità particolari messe a punto da<br />

Freud e dai suoi seguaci.<br />

Inoltre secondo Spence la principale caratteristica dell’azione della psicoanalisi<br />

consiste nel porsi «‘dall’interno’, e la capacità di identificarsi con i motivi dell’attore o<br />

del paziente. È questa posizione interna che ci permette di giudicare quali siano i<br />

‘fatti’ del caso in questione» (Spence, 1987, p. 119). L’enfasi sulla collocazione<br />

«interna» come consapevolmente specifica della psicoanalisi mostra di concordare<br />

con l’espistemologia dei sistemi cognitivi (Ceruti, 1990) e con la definizione di dominii<br />

cognitivi contrassegnati da «confini ad una sola faccia» (Goudsmit, 1992), come con<br />

la prospettiva «dall’interno» suggerita da Stolorow, Brandchaft (1990).<br />

Dunque Spence va molto oltre la posizione ermeneutica che gli viene attribuita, e<br />

quella pragmatica che abbiamo richiamato, affermando, in linea con l’epistemologia<br />

contemporanea, che «l’osservatore è sempre parte integrante di quanto viene osserva<br />

to» (1987, p. 120) ponendo epistemologicamente il fuoco di qualsiasi riflessione sul<br />

dominio clinico della psicoanalisi in una prospettiva «interna» allo spazio analitico<br />

(Viderman). Qualsiasi fenomeno pertinente alla psicoanalisi può, anzi deve, essere<br />

trattato e indagato legittimamente in una prospettiva «dall’interno» (Brandchaft,<br />

Stolorow, 1990) del sistema terapeutico.<br />

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Lo stesso Kohut in un articolo dal taglio epistemologico precisa che «in via di<br />

principio, nessun aspetto della realtà conosciuta può essere indipendente dall’osserva<br />

tore. Osservatore ed osservato sono un’unità inscindibile, e ciò che osserviamo non<br />

può essere compreso senza includere l’osservatore e i suoi strumenti di osservazione<br />

come una parte intrinseca del campo che viene osservato» (p. 393).<br />

Questo aspetto risulta essere un altro elemento fondante della rivoluzione<br />

copernicana iniziata da Spence che va molto oltre lo sviluppo di una teoria clinica di<br />

tipo ermeneutico, affondando in una ristrutturazione sostanziale di quanto si può<br />

affermare sulla natura della psicoanalisi stessa, e ponendo la premessa per una teoria<br />

psicoanalitica dotata di propri principi.<br />

Spence critica le concezioni tradizionali senza accorgersi di partecipare alla<br />

fondazione di un approccio sostanzialmente differente da un punto di vista epistemo<br />

logico, compatibile con gli assunti metodologici delle neuroscienze neoconnessioniste,<br />

contribuendo così ad aprire un capitolo del tutto nuovo ed affascinante della teoria<br />

psicoanalitica.<br />

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