13.07.2015 Views

MODULO 1 – LEZIONE 9 – LA MOTIVAZIONE ... - life and fitness

MODULO 1 – LEZIONE 9 – LA MOTIVAZIONE ... - life and fitness

MODULO 1 – LEZIONE 9 – LA MOTIVAZIONE ... - life and fitness

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

<strong>MODULO</strong> 1 <strong>–</strong> <strong>LEZIONE</strong> 9 <strong>–</strong> <strong>LA</strong> <strong>MOTIVAZIONE</strong>Contenuti(Perché si agisce)IntroduzioneDefinizioneEsempio cavalloMotivazione allo sportCapire le motivazioni dello sportivoMotivazioni intrinseche ed estrinsecheQuali problemiLa cultura dello sportConclusioneIntroduzioneGenericamente parl<strong>and</strong>o si potrebbe affermare che la motivazione rappresenta la spinta ad agire, ladisposizione all’azione. Ma lasciamola, per il momento, in sospeso e consentitemi, oggi, di procedere in unmodo un po’ inusuale, per l’ambito accademico. Invece di <strong>and</strong>are a considerare come si è evoluto ilconcetto, anche in funzione della “Scuola” di appartenenza del ricercatore o dello psicologo che si èoccupato del problema, cercherò di partire da una situazione concreta, riguardante la psicologia applicataallo sport, e da una dom<strong>and</strong>a: Perché è difficile allenare i cavalli?Fattori incidenti (sull’allenamento del cavallo)I cavalli, quelli impegnati in competizioni sportive, sono, di solito, allenati poco, male o per niente. E losapete perché? Certamente i fattori incidenti sono numerosissimi. E, sicuramente, ognuno di voi potrebbetentare di identificarne qualcuno, così, su due piedi. Ma se vogliamo procedere in maniera un po’ piùsistematica, dovremo raggrupparli in insiemi tra loro omogenei. Senza la pretesa di considerarli tutti,potremo allora elencarne alcuni, tra i più significativi:1) culturali,2) economici,3) legati alla sicurezza,4) motivazionali.In effetti, si deve rilevare che i cavalli sono gli unici soggetti sportivi (quelli, cioè, che, effettivamente edesclusivamente, fanno sport) nelle gare ippiche e di equitazione.I 4 fattori1. culturali: dove ci si riferisce alla cultura, ma anche all'ignoranza (certamente non a quella del cavallo),almeno sulle questioni riguardanti l'allenamento, dei proprietari, degli allevatori, degli uomini di scuderia,dei dirigenti e dei tecnici delle organizzazioni che gestiscono le attività sportive in cui vengono impegnati icavalli;2. economici: per garantirsi che il capitale-cavallo non subisca, in allenamento, infortuni, incidenti (comestrappi muscolari, fratture, cadute), malattie, etc., che ne facciano scendere la quotazione (senzaconsiderare, o sapere, che un cavallo allenato male è poi, in gara, più esposto a quegli incidenti rispetto aiquali c'era stata la velleità di preservarlo, non facendolo allenare);


3. legati alla sicurezza: limitare, il più possibile, le occasioni di possibili furti, in pratica, costringendo ilcavallo in un box angusto, per l'intera giornata, a parte quei trenta minuti circa di sgambatina, effettuatisotto stretta sorveglianza e, magari, alla briglia (sarebbe meglio dire al guinzaglio);4. fattori motivazionali: in realtà al cavallo "non gliene importa il classico fico secco" di correre, al trotto oal galoppo, di saltare ostacoli, o di esibirsi in strani passi ed esercizi da circo (equestre per l'appunto).La "spinta" che può indurlo ad agire (allenarsi, nel nostro caso) è, allora, solo di natura estrinseca, legata,cioè, alla gratificazione immediata (biada, zuccherino, carezza).Dall'analisi di questi fattori si evince, dunque, che è difficilissimo, se non quasi impossibile, a partire da talipresupposti, allenare i cavalli. Ne deriva che, sull'allenamento dei cavalli, pochissimi hanno qualcosa dadire. Di quei pochissimi, poi, quasi nessuno ha comunicato le sue esperienze, in forma di resoconto o diarticolo e, di conseguenza, la letteratura internazionale in materia è assai poco rilevante. Vedete, dunque,in che ginepraio ci siamo cacciati! Ma, per fortuna non era del cavallo che ci dovevamo occupare.5 dom<strong>and</strong>eL'esempio del cavallo mi serviva, però, per mettere in evidenza almeno cinque interrogativi, che misembra sia indispensabile sottolineare. Sulle relative risposte, che propongo, mi permetto di opzionare ilvostro consenso, per poter affrontare il tema-problema della motivazione allo sport dei giovani e deipraticanti, in genere:1) esiste la motivazione allo sport?2) quale concetto di sport?3) è necessario l’intervento specialistico?4) quale intervento?5) da dove partiamo?1. Innanzi tutto, la motivazione allo sport non esiste (come categoria) come non esistono la psicologiadello sport e la motivazione dello sportivo (sempre come categoria). Esistono, semmai, la singolapsicologia, le singole spinte, i singoli valori, le singole motivazioni, dei singoli atleti, nelle singolesituazioni.2. Lo sport è concetto mutevole e assume connotazioni variabili, a seconda del contesto e dei momentistorici, ma possiamo intendere per esso: gioco e movimento caratterizzati da finalità agonistiche,regolamentati, organizzati e, soprattutto, resi possibili dall'allenamento e, forse, tante altre cose.3. E’ necessario l’intervento? Qu<strong>and</strong>o si parla di atleta (ossia soggetto che fa sport) si intende, non solo,quell’individuo, che vediamo gareggiare sui campi, negli stadi, nelle piscine o nei palazzetti dello sport,quanto, anche, quello che, per poter gareggiare a quel livello, ha condotto un allenamento ad essoadeguato, in quanto a gradualità, continuità, progressività, quantità e qualità. Esempio del lanciatore:come differisce la gara dall’allenamento. Non bisogna dimenticare mai che l’intervento specialistico (dellopsicologo, ma anche del medico, del preparatore e di quanti altri possano contribuire al perfezionamentodella prestazione sportiva) deve essere sempre concordato con l’allenatore, al quale lo specialista, anchese di altissimo livello scientifico, non può e non deve mai sostituirsi.


4. Al fine dell'intervento sul campo, non serve a niente, e quindi bisogna demolirlo, il vecchio sistemaclassificatorio, secondo il quale vengono costruiti i contenuti dei manuali (di psicologia dello sport, nelnostro caso, delle lezioni, delle relazioni e dei programmi dei convegni). Al pescatore, che, tutti i giorni,deve risolvere il problema alimentare suo e della sua famiglia, non serve avere l'elenco di tutti i pesci chesono nel mare, come, fuori di metafora, all'operatore sportivo, che, tutti i giorni, ha il problemadell'organizzazione, su basi scientifiche, della lezione, dell'allenamento o delle gare e, quindi, del far farelo sport o l’attività motoria, non serve a niente avere l'elenco delle motivazioni intrinseche ed estrinseche,primarie e secondarie, o di quante altre se ne vogliano inventare i compilatori di elenchi, ad oltranza.Senza contare che, come diceva Don Abbondio, uno il coraggio (o la fede o la motivazione, nel nostro caso)ce l'ha oppure non ce l'ha e, in tal caso, non se la può dare da solo.5. In questa prospettiva, la letteratura internazionale sulla motivazione allo sport, come quellasull'allenamento del cavallo, è praticamente inesistente e, quindi, bisogna "partire da zero" e "farsi leossa" in casa (ma, tutto sommato, quest'ultimo non è uno svantaggio). Per capire le motivazioni dellosportivo (di quello sportivo) bisogna procedere all’analisi della dom<strong>and</strong>a (della sua dom<strong>and</strong>a) e il problemadiventa, dunque: (a) individuare il sistema di valori, aspirazioni e desideri / ambizioni di quell'atleta, (b)determinare quale possa essere la spinta, che gli faccia sentire lo sport, come bene-valore da perseguire.Ovvero, il problema potrebbe essere capire fino a che punto egli sia disponibile a perseguire quel benevalore. Escludiamo, quindi, il rinforzo a sé stante, lo "zuccherino", anche perché rifiutiamo, anche neiriguardi di un atleta disabile mentale (che è, una persona umana), di scegliere per lui, di decidere, sempreper lui, cosa sia giusto e cosa non lo sia e cosa possa o debba <strong>and</strong>are bene.Scegliere per vs fornire opportunità diRiteniamo che nessuno possa, o debba, scegliere per un altro, neppure per il suo bene. Anche perché, sullalocuzione "per il suo bene" sono stati perpetrati i crimini più efferati che la storia dell'uomo ricordi. Amaggior ragione, nel caso dello sport, che, per quanto detto sopra, è attività liberamente scelta, non sipuò configurare alcuna scelta o imposizione, altrimenti non sarebbe sport.In tal caso, si dovrebbe parlare di attività a scopo essenzialmente ludico, e/o profilattico, e/o terapeutico -riabilitativo o con tutti quanti i qualificativi insieme, ma lo sport è, oltre tutto questo, un'altra cosa e dimotivazione allo sport ci stiamo oggi occup<strong>and</strong>o. Come altra cosa, rispetto a "scegliere per lui", è "fornireopportunità di approccio - conoscenza", a partire dai bisogni dell'individuo, anche, con il fine secondariodel divertimento, della profilassi, della riabilitazione, ma, sempre, per consentire di realizzare, al meglio, lesue aspirazioni.La motivazione estrinseca ed intrinsecaSenza contare che, nel momento in cui sono gli altri a scegliere se e quale sport fare e perfino come,qu<strong>and</strong>o e quanto, allora l'unica forma di motivazione, che può "sostenere" la pratica di un'attivitàqualsiasi, e di quella sportiva, in particolare, è quella estrinseca, quella legata al famoso "zuccherino".L’altro inconveniente, come da tempo hanno messo in luce gli psicologi, è che l'eccessivo ricorso allagratificazione estrinseca faccia “assottigliare”, decadere la motivazione intrinseca, fondata sul piacere difare una cosa, per il piacere in sé di farla e di farla bene, per la realizzazione dei propri bisogni primari,delle proprie aspettative e sistemi di valori: la sola capace di garantire e sostenere, in manieracontinuativa, la pratica di qualsiasi attività.


Alcune conseguenzePer di più, il rinforzo, per risultare tale (e cioè incentivo a fare di più, ossia allenarsi per raggiungererisultati sportivi sempre più rilevanti) deve essere ogni volta incrementato. Ma veniamo al da farsi. Miaccorgo, infatti, di essermi dilungato più su cosa non si dovrebbe fare, che su cosa sia opportuno fare.Perché è sull’agire e non sul dire che si incentra l’opera dell’allenatore e (come diceva un mio vecchioinsegnante di Psicologia) nessuno ha mai insegnato ad <strong>and</strong>are in bicicletta, o a pattinare, o a giocare acalcio, scrivendo un libro sull'argomento e, quello che più conta (aggiungo io), nessuno lo ha mai imparatoleggendo un siffatto libro.“Calarsi” nella situazioneNeppure si può risolvere il problema del pescatore di prima, regal<strong>and</strong>ogli un pesce: può soddisfare la suafame del momento, ma non quella di tutti i giorni: mutatis mut<strong>and</strong>is, dare oggi un esempio o una ricettapuò servire per quel caso, in quel momento, ma non in altri, né può risolvere tutti gli altri casi, in ognunadelle altre situazioni. Si può fare, allora tentativo di "insegnare a pescare”cioè:(a) mettere l'allenatore in grado di capire, in un primo momento, anche con l'aiuto di un esperto (lopsicologo), quali siano i bisogni, i sistemi di valori, le aspirazioni, le ambizioni di quel singolo soggetto, quied ora e come sia possibile realizzarli e sostenerli;(b) operare con l’atleta e con il tecnico (e/o con la squadra), per aggiustare il tiro su alcune caratteristichementali influenti sulla prestazione.Quale esperto?L'esperto, però, deve essere effettivamente tale. Ed è qui che prende corpo il vero problema, ovvero è quiche "casca l'asino", come dicevano i nostri nonni. Purtroppo, il mondo della psicologia e dello sport pulluladi: apprendisti - stregoni "supposti sapere", di improvvisatori, di classificatori ad oltranza, di qualunquisti(dediti per lo più a somministrare, in tutti i casi e in tutte le situazioni, training autogeno e paterne pacchesulle spalle): oltre a sapere poco di psicologia, sanno e capiscono ancora meno di sport. Il pericolo,dunque, può essere quello di far cadere una motivazione, che comunque c'è, in chi si approccia allo sport,cioè di disincentivarlo.Un intervento correttoE' necessario, allora, un intervento psicologico serio, qualificato, metodologicamente corretto e, quindi,scientificamente garantito. Un approccio "multivariato", basato su:(a) analisi della dom<strong>and</strong>a,(b) osservazione attenta e(c) conoscenza approfondita del fenomeno (quell'atleta, che sta pratic<strong>and</strong>o quello sport, in quel momento,tenendo presente la sua evoluzione e le sue prospettive di sviluppo),(d) enucleazione dei fattori determinanti (percettivo-motori, cognitivi, affettivi, ambientali), sulla messa inatto di strategie e di tecniche (molteplici, differenti) ad hoc e, quindi,(e) potenziamento, fino all'optimum, di tutti questi fattori.Quale strategiaNel campo dello sport, si è, troppo spesso, assistito al fatto che troppi psicologi, senza, neppure, averfrequentato una qualsiasi scuola di Psicoterapia, abbiano preteso, per il solo fatto di essere laureati, dioffrire i loro servizi come “counselor”, mediatori e “parafulmini”, “spalle su cui piangere”, “ascoltatori”,“gestori di rapporti interpersonali”.


Hanno troppo spesso rivendicato, senza averne neppure il carisma, il ruolo del confessore, utilizzanol’unica strategia d’intervento a loro consona e conosciuta: quella del ” ....allora gli ho detto”. Lo “SportPsicologo”, invece, deve pretendere di poter fare qualcosa di più, di diverso, di più adeguato alle esigenzedi chi fa sport ad alto livello e, se sta male, tutt'al più, potrebbe consigliargli il tipo di esperto a cuirivolgersi.Per tornare alla metafora del pescatore, lo psicologo deve insegnare a pescare. Deve, cioè, pensare dioperare con l’atleta e con il tecnico (e/o con la squadra) per aggiustare il tiro su alcune caratteristiche emodalità, prevalentemente mentali che possono influire sulla prestazione sportiva, utilizz<strong>and</strong>o tecniche,mezzi e strategie che la pratica e il costante riferimento ai più accreditati esperti in campo internazionaleoffrono e con la consapevolezza di doverli continuamente riadattare sulle esigenze di ogni singolo atleta.Il ruolo delle capacità cognitiveBisogna partire dalla considerazione che l'atleta sia un individuo "sano", da un punto di vista psichico,come lo è da quello fisico. Perciò, il campo di intervento dello psicologo dovrebbe configurarsi comeallenamento delle capacità cognitive o mentali. Infatti, se, fino agli anni 1970, si credeva che l'allenamentopotesse consistere, prevalentemente, nell’ incremento delle capacità fisiche (o condizionali) e se, neglianni dal 1970, con il contributo degli studi di Hirtz, si è arrivati ad assegnare un ruolo fondamentale allecapacità coordinative, finalmente, a partire dagli anni 1980, ci si è dovuti convincere che, soprattutto pergli sport di situazione, ma non solo, le capacità cognitive assumevano un'importanza altrettanto decisiva,in vista della realizzazione della massima performance possibile per quello sportivo, nell’ambito delleproprie capacità naturali.Cosa farePer concludere il nostro discorso e tornare, quindi, alla Motivazione o, meglio, alle singole motivazioni, deisingoli atleti, nelle singole situazioni, il problema va ridefinito, con l’obiettivo:(a) mettere in atto delle strategie operative ( o di insegnare a pescare) con l’obiettivo, prima di tutto, dinon far perdere o decadere le motivazioni esistenti (soprattutto quelle intrinseche).(b) cercare di rafforzare il sistema di valori che sostengono le motivazioni, orient<strong>and</strong>ole in sensointrinseco. Cioè l’allenatore deve essere messo in grado di riconoscere il carattere intrinseco od estrinsecodelle diverse motivazioni dei diversi atleti e, quindi, di “imparare a pescare” ovvero imparare comerafforzare il “circuito virtuoso” dei valori che sostengono il piacere di fare un’attività per il piacere che puòderivare dal farla in sé e farla sempre meglio.Motivazione intrinsecaQuindi, l’allenatore, riguardo alla motivazione intrinseca, opererà, nei riguardi dell’atleta, in modo da:1. Indirizzarlo, rafforz<strong>and</strong>o il significato del suo essere nello sport2. Valorizzare l’autonomia delle sue scelte3. Fornirgli opportunità opzionali, sulla base di competenze indiscusse4. Promuovere l’assunzione di responsabilità5. Stimolare, in senso costruttivo, la critica6. Favorire la dialettica tra differenti, ma non subordinati, punti di vista.Inoltre: Favorisce la crescita della cultura sportiva, sottoline<strong>and</strong>o il valore di principi significativi per ilmondo dello sport come: Cooperazione, Fair play, Agonismo, Vittoria.


Cultura sportiva1. Cooperazione, perché lo sport si nutre di agonismo, ma ha un significato e una rilevanza se ci si puòmisurare con gli altri attori della stessa rappresentazione. Essi condividono la medesima cultura e le stesseregole, che danno un senso relativo al valore della propria performance (perdere contro il campione delmondo o vincere contro il campione regionale, evidentemente danno valori diversi alla prestazione).Dunque, non è possibile fare sport da soli. Anche il ciclista che tenta il record dell’ora, pur correndo dasolo, si misura con la prestazione del detentore, oltre che con se stesso.2. Fair play, inteso, soprattutto, come rispetto delle regole, soprattutto quelle non scritte, che può dare unsignificato unico al valore della propria prestazione, indipendentemente dal risultato della competizione(Eugenio Monti).3. Agonismo, che occuperà lo spazio esclusivo della gara, nel corso della quale ci si misura con tutti i mezzileciti, ma che al suo termine ci si ritrova tutti a condividere il senso di appartenenza (ad un ambiente, aduna casta, ad una cultura a volte esoterica).4. Vittoria, come misura non indispensabile dell’evoluzione delle capacità tecnico - tattiche dell’atleta.Motivazione estrinsecaRiguardo alla motivazione estrinseca, invece, l’allenatore dovrà cercare di adottare, in un primo momento,lo stile di leadership più consono alle abitudini e alle aspettative dell’atleta. Gradualmente, poi,ridimensionerà il valore della vittoria come bene assoluto, da perseguire in ogni caso, enfatizz<strong>and</strong>one,invece, il significato di mezzo di verifica dell’evoluzione dell’atleta. Infatti, chi è “spinto”, nel suo fare sport,esclusivamente dalla possibilità di ottenere vantaggi estrinseci (venali) darà alla sua vittoria il significato diunico fine, da cui non si può prescindere e, senza il quale, non ha alcun senso gareggiare. Deve essere,quindi raggiunta ad ogni costo, anche con mezzi illeciti (v., ad esempio, “doping”), anche se pericolosi perla propria salute.Motivazione intrinsecaColui, invece che trova modo, con l’attività sportiva, di sperimentare ed accrescere il proprio senso diautoefficacia e, quindi, di esprimere al meglio le proprie capacità attraverso la performance, riesce a darealtri significati e valori al suo fare ed essere nello sport. Si sente, così, partecipe di una cultura, di unacasta privilegiata, di un gruppo, di un ambiente e/o di una società (sportiva e in senso più lato), considerala vittoria importante, soprattutto perché rappresenta un mezzo, attraverso il quale potrà misurarel’evoluzione delle proprie capacità tecniche, tattiche e di sviluppo personale, in genere, con la finalitàultima del progresso della disciplina sportiva, di cui partecipa e di cui diviene tramite.l’allenatore:(a) Cercherà di sottoporre alla considerazione dell’atleta altri “vantaggi” di natura non venale che possanoridare un senso al suo fare (ed essere nello) sport;(b) Enfatizzerà i miglioramenti, indipendentemente dal risultato della gara, che viene definito semprecome tappa intermedia, nel processo di evoluzione tecnico-tattica.Il risultato finale sarà, inevitabilmente, la formazione di un atleta-uomo, conscio del proprio valore e deipropri limiti, che sa operare delle scelte, consapevole e partecipe delle regole e della cultura del suoambiente. Non di un atleta cavallo, la cui unica ragione (del suo fare sport) è configurabile nella possibilitàdi ottenere “zuccherini”, ossia vantaggi economici o gratificazioni estrinseche. Su questo altare talepseudo-atleta sarà, inevitabilmente, pronto a sacrificare quei valori, che, altrimenti, darebbero unsignificato più alto, duraturo e condivisibile all’essere suo e dei suoi avversari nello sport.


ConclusioneIn aggiunta e anche in riferimento a quanto esposto, vorrei ribadire la seguente osservazione: Qu<strong>and</strong>o,nell’ambito della Psicologia, si tratta di topi, o di altri animali da esperimento, personalmente ritengo piùopportuno parlare di ragioni o motivi di un certo comportamento. Rimane rilevante discutere dimotivazioni esclusivamente in riferimento all’agire umano.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!