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Notiziario n. 1-2/2004 - Ordine degli Psicologi del Lazio

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Copertina dorso7.qxd 25/05/2005 14.36 Pagina 1<strong>2004</strong>1/2<strong>Notiziario</strong> <strong>del</strong>l’<strong>Ordine</strong> <strong>degli</strong> <strong>Psicologi</strong> <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>anno IX, numero 1-2/<strong>2004</strong>Autorizzazione <strong>del</strong> Tribunale 186/5 - Roma 7/4/95Direttore ResponsabileEmanuele Morozzo <strong>del</strong>la RoccaComitato di direzioneFabio Carbonari, Mario D’Aguanno, Franca MoraComitato di redazioneValerio Benincasa, Antonella Filastro, Marialori ZaccariaConsulente redazionale e editorialeAlberto CorteseCollaborazione alla redazioneVincenza GuancialeProgetto graficoAlberto HoheneggerImpaginazione e stampaCooperativa Sociale Gnosis Editing ServiceTiratura12.000 copie, chiuse in tipografia il 3 aprile <strong>2004</strong>In copertina“Il popolo <strong>del</strong> Re <strong>del</strong>la Luna”pittura rupestre (particolare) - RodhesiaSede <strong>del</strong>la redazioneVia Flaminia, 79 - 00196 RomaTel. 06 36002758Fax 06 36002770e-mail: notiziario@ordinepsicologilazio.itc/c postale 59633008c.f. 96251290589<strong>Psicologi</strong>a e Servizio Sanitario NazionaleSped.Abb. Post. comma 20/C Art. 2 Legge 662/96 Filiale di RomaLa <strong>Psicologi</strong>ae il Servizio Sanitario NazionaleLa Giornata di Studio e i Seminari promossidall’<strong>Ordine</strong> <strong>degli</strong> <strong>Psicologi</strong> <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 3“LA PSICOLOGIAEILSERVIZIO SANITARIO NAZIONALE”La Giornata di Studio e i Seminaripromossi dall’<strong>Ordine</strong> <strong>degli</strong> <strong>Psicologi</strong> <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 4Pubblichiamo gli Atti <strong>del</strong>la Giornata di Studio “La <strong>Psicologi</strong>a. Una risorsa <strong>del</strong> SSN” organizzatadall'<strong>Ordine</strong> <strong>degli</strong> <strong>Psicologi</strong> <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong> il 10 Ottobre <strong>del</strong> 2001 al CNR a Roma.Riteniamo gli interventi dei colleghi e <strong>degli</strong> ospiti, allora intervenuti, ancora di stretta attualitàe per tale ragione abbiamo deciso per la pubblicazione integrale <strong>del</strong>la Giornata.Il volume si apre con i contributi portati efficacemente dai colleghi al Forum sviluppatosi nellamattinata, che intendeva evidenziare i fattori epistemologici e quelli legislativi nel ruolo e nellafunzione <strong>del</strong>la <strong>Psicologi</strong>a in generale.Nelle successive due tavole rotonde pomeridiane alcuni colleghi che operano da anni all'interno<strong>del</strong> Servizio Sanitario Nazionale hanno sottoposto a vaglio critico e a verifica approfonditail mo<strong>del</strong>lo organizzativo che la psicologia deve darsi al fine di produrre lo sviluppo <strong>del</strong>le competenzepsicologiche.La questione su come organizzare la <strong>Psicologi</strong>a nel SSN risulta, a quasi tre anni di distanza daquell’incontro, ancora di grande attualità nel dibattito in corso oggi nella Regione <strong>Lazio</strong>.Il volume contiene infine una serie di seminari dedicati alla <strong>Psicologi</strong>a nel SSN, realizzati nell'ambito<strong>del</strong>la rassegna “I Seminari <strong>del</strong> Sabato” tenuta periodicamente dall'<strong>Ordine</strong> <strong>degli</strong> <strong>Psicologi</strong><strong>del</strong> <strong>Lazio</strong> e curata dal consigliere dott. David Cariani.Ringraziamo tutti i colleghi che hanno dato il loro prezioso contributo alla riuscita di questapubblicazione. Credo che dopo aver letto questo volume - che certamente ci mostra solo unaspetto, ma importante, di che cos’è oggi la <strong>Psicologi</strong>a nel SSN e <strong>del</strong> dibattito che continuamentefiorisce al suo interno - si potrà affermare con sicurezza che la <strong>Psicologi</strong>a è una risorsanon solo all'interno <strong>del</strong> sistema sanitario pubblico ma più in generale all'interno <strong>del</strong> sistemaprofessionale. Una risorsa che va incontro alle esigenze di salute <strong>del</strong>l'intera collettività.dott.ssa Marialori ZaccariaVicepresidente <strong>del</strong>l'<strong>Ordine</strong> <strong>degli</strong> <strong>Psicologi</strong> <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>4


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 5IndiceGIORNATA DI STUDIO: “LA PSICOLOGIA. UNA RISORSA DEL SERVIZIOSANITARIO NAZIONALE” (Roma 10 ottobre 2001)• Relazione introduttiva, dott. Emanuele Morozzo <strong>del</strong>la Rocca . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 8• dott. Francesco Valeriani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 13• dott. Pierangelo Sardi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 15• “Un passe-partout metaforico", dott.ssa Marialori Zaccaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 18• dott. Saverio Proia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 28• prof. Nino Dazzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 26Tavola Rotonda - “Il mo<strong>del</strong>lo organizzativo <strong>del</strong>le Unità di <strong>Psicologi</strong>asul territorio nazionale” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 31Chairman: dott. Antonio Azzolini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 32• L'Unità Operativa di <strong>Psicologi</strong>a <strong>del</strong> Trentino, dott. Luigi Ranzato . . . . . . . . . . . . . . pag. 34• L'intervento psicologico in Ospedale Generale, dott. Gaetano Trabucco . . . . . . . . . pag. 39• Il Servizio di <strong>Psicologi</strong>a: un esempio di complessità organizzativa,dott. Giuseppe Sammartano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 43Tavola Rotonda - “<strong>Psicologi</strong> e Sanità: due ipotesi per una politica di sviluppo”Chairman: dott. Mario Ardizzone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 54• Le competenze di un ambulatorio di clinica psicologica,dott. Stefano Angeli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 57• dott. Rinaldo Perini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 61• La psicologia in un mo<strong>del</strong>lo multidisciplinare orientato al cliente,dott.ssa A<strong>del</strong>e Di Stefano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 63• Alla ricerca <strong>del</strong>la specificità psicologica nei servizi per la salute in etàevolutiva.Idee e prassi, miti e visioni, dott. Diego Garofalo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 70• Lo Psicologo alla Direzione di una Comunità Terapeutica: una sfida possibile,dott. Italo Antonini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 77DibattitoInterventi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 82SEMINARI• La psicologia <strong>del</strong> lavoro nelle Aziende Sanitarie Locali. Un'esperienzanella ASL RM D, dott. Enzo Cordaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 98• Mobbing: un fenomeno complesso e un territorio di confine,dott.ssa Raffaella Girelli e dott. Luciano Pastore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 105• L'Unità di <strong>Psicologi</strong>a: motivazioni e progetti, dott. Vito Mirizio . . . . . . . . . . . . . . . pag. 112• Il Centro di Consulenza <strong>Psicologi</strong>ca per giovani adulti: “Colpo d'Ala",dott.ssa Maria Antonietta Fenu e dott. Paolo Patrizio Senczuk . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 119• Prime valutazioni <strong>del</strong>l'esperienza <strong>del</strong> Centro di Consulenza <strong>Psicologi</strong>ca per giovaniadulti “Colpo d'Ala”, dott.ssa Flavia Lombardi e dott. Francesco Ciolfi . . . . . . . . . pag. 1255


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 7Giornata di studio“La <strong>Psicologi</strong>a. Una Risorsa <strong>del</strong>Servizio Sanitario Nazionale”Aspetti normativi ed epistemologiciMo<strong>del</strong>li organizzativi a confrontoRoma 10 ottobre 2001


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 8Relazione introduttivaDott. Emanuele MOROZZO DELLA ROCCAPresidente <strong>del</strong>l’<strong>Ordine</strong> <strong>degli</strong> <strong>Psicologi</strong> <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>Questa giornata di studi, organizzata dal nostro ordine regionale, è il primo evento pubblico chel'attuale Consiglio dedica al Servizio Sanitario Nazionale (SSN), altre iniziative sono in cantiere.Intanto vi saluto a nome di tutto il Consiglio e vi ringrazio per essere intervenuti.È qui con noi il dottor Valeriani, che è responsabile <strong>del</strong>l'area Tutela Soggetti Deboli <strong>del</strong>l'Assessoratoalla Sanità <strong>del</strong>la Regione <strong>Lazio</strong>, che ringrazio per la presenza. Ringrazio anche il professorNino Dazzi, Preside <strong>del</strong>la Facoltà di <strong>Psicologi</strong>a 1 e anche Presidente <strong>del</strong>la Conferenza deiPresidi <strong>del</strong>le Facoltà e dei Presidenti dei corsi di laurea di psicologia.I miei ringraziamenti vanno anche al dottor Saverio Proia, che è qui come Ministero <strong>del</strong>la Salute,proprio perché il Ministero <strong>del</strong>la Salute è un polo importante per il nostro tema, come poi cidirà lo stesso dottor Proia, e come forse ci dirà anche Pierangelo Sardi, nostro Presidente Nazionale,che è in arrivo. Quest'ultimo ci parlerà <strong>del</strong> rapporto tra <strong>Psicologi</strong>a e SSN, alla luce dei nodiistituzionali che, a partire dalle risoluzioni in cantiere nella Comunità Europea, ci toccano davicino e toccano da vicino lo sviluppo <strong>del</strong>l'immagine <strong>del</strong>la psicologia.È qui con me la dottoressa Marialori Zaccaria che è un po' l'anima di questo convegno e che,oltre ad essere la vicepresidente <strong>del</strong> nostro ordine regionale, è anche la coordinatrice <strong>del</strong>la CommissioneSanità <strong>del</strong>l'<strong>Ordine</strong>, commissione che naturalmente ha contribuito alla costruzione diquesta giornata.L'On. Storace, da noi invitato, ha inviato un telegramma scusandosi per non potere essere presente,essendo oggi giornata di consiglio regionale. Lo leggo: “Improrogabili impegni istituzionalinon mi consentono di partecipare come avrei voluto alla giornata di studio <strong>del</strong> prossimo10 ottobre. Augurando migliore riuscita evento invio cordiali saluti. Il Presidente <strong>del</strong>la Regione<strong>Lazio</strong> Francesco Storace”.Come non è presente l'Assessore alla Sanità Vincenzo Maria Saraceni, che mi auguro possaessere presente nelle prossime occasioni.Comincerò con una breve introduzione per poi dare la parola alle persone che sono qui sulpalco.C'è un minimo di difficoltà a cominciare, legata ai tempi e alle vicende in cui ci troviamo, a partiredall'attacco alle torri gemelle fino agli episodi un po' particolari accaduti in questi giorni nelnostro paese. Possiamo pensare che si tratti di coincidenze, ma questi elicotteri che cadono e glialtri eventi a cui assistiamo, mi portano a considerarli piuttosto atti mancati, per l'accezione chene dà la psicologia, sentendoli peraltro non molto distanti da quello che siamo chiamati a farequi noi oggi. Mi spiego.Ho come l'impressione che i meccanismi che fondano le condizioni di adattamento <strong>del</strong>l'indivi-8


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 9duo ai contesti in cui vive e lavora - meccanismi che sono alla radice <strong>del</strong>la nostra possibilità diconvivere nella società e nelle organizzazioni - nel momento in cui possono venire sentiti minatisul piano simbolico (torri gemelle) interferisca profondamente con la possibilità di seguire leprocedure preposte al perseguimento <strong>degli</strong> obiettivi che le strutture si danno. Ci sono evidentementemestieri in cui anche un solo momento di appannamento nella chiarezza <strong>del</strong>la percezione<strong>del</strong>le dimensioni simboliche preposte all'integrazione nell'organizzazione può produrre un'interferenzanello svolgimento <strong>del</strong>le procedure che può rivelarsi purtroppo fatale.Tutto questo, in maniera probabilmente meno drammatica, ha a che fare anche con il nostrolavoro nel sistema sanitario. Evidenzia quanto sia importante avere <strong>del</strong>le coordinate chiare rispettoal proprio fare quotidiano, <strong>del</strong>le coordinate chiare all'interno <strong>del</strong>le quali collocare i propricomportamenti professionali. Se per qualche motivo si incrina la “visione <strong>del</strong> mondo” costituitadalla bontà di un patto non scritto tra i partecipanti all'organizzazione, secondo cui gli investimentiemozionali vengono accolti entro l'istituzione <strong>del</strong>la reciprocità affettiva che in primoluogo regola e tutela dall'aggressività intra-specifica; se si incrina questa necessaria certezza,allora sia una organizzazione sia un agglomerato sociale, possono perdere la capacità di perseguirei propri scopi oppure realizzare atti mancati che in certe circostanze si trasformano in tragedie.In questo senso mi sembrava che questi episodi potessero essere significativi anche per il temache siamo venuti a trattare qui oggi, ad esempio nel momento in cui riflettiamo sulle caratteristicheorganizzative che come psicologi riteniamo più congrue per il pieno dispiegamento entroil SSN <strong>del</strong>la risorsa costituita dalla nostra professione. Questo è un criterio che evidentementeha molto a che fare con la possibilità di realizzare comportamenti competenti e con la necessitàdi un confronto su questo piano con le Amministrazioni.Il Consiglio <strong>del</strong>l'ordine regionale è molto attento a quanto si svolge all'interno <strong>del</strong> Servizio SanitarioRegionale (SSR) - come anche nella sanità privata - non solo perché naturalmente l'ordineintende tutelare e promuovere la psicologia in qualsiasi ambito essa si eserciti, ma anche peralcune ragioni specifiche.In primo luogo perché la psicologia all'interno <strong>del</strong> SSN ha una visibilità che altrove non ha, equesto dal nostro punto di vista è molto importante. Ha una visibilità rispetto ad altre professionalità,in particolare la medicina, e ha una visibilità rispetto alla cittadinanza, all'opinione pubblica,ai mass-media. Quindi se la psicologia va bene nel SSN, questo è molto importante pertutta la psicologia. Se invece ha una collocazione non buona, ha <strong>degli</strong> esiti non buoni, questoevidentemente può avere <strong>del</strong>le ricadute sull'immagine complessiva <strong>del</strong>la psicologia.Il secondo motivo per cui ritengo che il tema di oggi debba stare a cuore a tutti gli psicologi aprescindere dalla loro collocazione professionale, è che la psicologia nel SSN deve necessariamenteconfrontarsi con altre professionalità e con vincoli di ordine organizzativo e amministrativo.Sappiamo che la nostra professione e la nostra disciplina possono correre il rischio di collocarsiin posizioni di autoreferenzialità. Ogni professione corre rischi specifici, l'autoreferenzialitàè uno dei nostri e ci può mettere in una posizione di debolezza. Lavorare nel SSN credoche vincoli ad un confronto, naturalmente se l'amministrazione come le altre professionalità accettanoquesto confronto - cosa che purtroppo non possiamo dire che sempre accade.Il confronto è necessario nell'attuale scenario <strong>del</strong>le aziende che sono chiamate a misurarsi con larealtà costituita dalle domande dei cittadini e con l'efficacia - anche sul piano amministrativo - <strong>del</strong>leprestazioni erogate. Le aziende devono potersi riorganizzare per rispondere con efficienza alledomande poste dalla cittadinanza e dall'amministrazione senza reiterare comportamenti organizzativicostituiti dall'assimilazione <strong>del</strong>le esigenze dei cittadini ai propri mo<strong>del</strong>li organizzativi e culturalidi riferimento. Anche il sistema sanitario nazionale ha risentito di autoreferenzialità.9


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 10La fase attuale appare dunque molto interessante. Dal punto di vista che rappresento in questabreve introduzione come presidente <strong>del</strong>l'ordine regionale, vorrei sottolineare due aspetti che puressendo tra loro intrecciati vorrei tenere distinti: l'ECM e l'accreditamento.L'espressione “Educazione Continua in Medicina” evidenzia il fatto che la cultura <strong>del</strong> SSN siauna cultura essenzialmente medica. Sarebbe stato più sensato e rispettoso per le altre professionalitàche operano nel SSN chiamarla Educazione Continua in Sanità. L'espressione tradisceevidentemente un'opzione politica e culturale, ma anche forse una mancanza di lungimiranza edi competenza organizzativa perché l'ECM viene richiesta non solo ai medici ma agli psicologi,agli infermieri, ai farmacisti, ai veterinari, ai biologi, agli assistenti sociali e a tutti quelli che poinella sanità hanno <strong>del</strong>le professionalità racchiuse in una competenza, in una disciplina specifica,spesso in un ordine o collegio formalizzato.Nonostante questo infortunio o, se preferite, questa collusione tra amministratori e classe medica,riteniamo che lo strumento sia importante e da tempo atteso, tanto che per questo convegnoabbiamo richiesto l'accreditamento come evento “ECM”, pur essendo l'ECM ancora in una fasesperimentale. Saranno le ASL ora a dovere dimostrare la capacità di rilevare i bisogni formatividei propri dipendenti in relazione agli obiettivi <strong>del</strong>l'azienda e strutturare percorsi adeguati perqualificare le prestazioni fornite ai cittadini ma anche quelle rivolte ai clienti interni <strong>del</strong>l'azienda,ovvero a chi in essa lavora, spesso con molto impegno e fatica.Nella vostra cartellina trovate un questionario, che è un questionario di gradimento rispetto alconvegno, ai suoi contenuti e alla sua organizzazione. È un costume <strong>del</strong> nostro ordine per calibrarei successivi eventi, ma è anche una necessità richiesta dall'ECM.L'ECM sollecita riflessioni legate all'aggiornamento continuo e alla formazione ricorrente che,come sapete, sono tra l'altro richieste prescrittivamente dal nostro codice deontologico, inmaniera a mio parere più che giustificata. Parlando di ECM non possiamo non parlare di qualitàanche se questa non sembra essere il primo pensiero al centro <strong>del</strong>l'impianto ECM.I criteri di qualità possono essere i più diversi per una professione, in Consiglio Nazionale <strong>del</strong>l'ordinesono al lavoro due commissioni su questo argomento e stanno elaborando mo<strong>del</strong>li di“qualità” per una prestazione particolare come è quella professionale. Il nostro consiglio regionalea sua volta sta lavorando su questo. Individuare criteri in questo campo è naturalmentemolto complesso.Un criterio per certificare la qualità di una professione può essere proprio quello <strong>del</strong>la formazionecontinua, che è il criterio che ha adottato il Ministero <strong>del</strong>la Salute per quanto riguarda iservizi sanitari e per le professionalità che in essi lavorano. Può essere un indicatore di qualitàvalido anche per i libero professionisti anche se essi non sono implicati dal dispositivo organizzativo<strong>del</strong>l'ECM.Certamente non può essere però l'unica strada. Inoltre si tratta di approfondire, anche per gli psicologi<strong>del</strong> SSN, cosa significa formazione per una professione come la psicologia o per una attivitàprofessionale come la psicoterapia.Un rischio che intravediamo fin d'ora nell'ECM concerne la qualità <strong>del</strong>l'offerta formativa per lapsicologia dove si può correre il rischio di un livellamento verso il basso <strong>del</strong>l'offerta formativacon un uso <strong>del</strong> sistema ECM da parte di aree <strong>del</strong>la diverse professioni per trovare una visibilitàaltrimenti insperata. La qualità e la competenza specifica sulla nostra professione dei refereesovvero di coloro che accreditano gli eventi diventa un fattore decisivo.Un aspetto connesso con l'ECM ma anche da esso distinto è l'accreditamento.A gennaio c'è una scadenza, la regione dovrà emanare una serie di indicatori riguardo all'accre-10


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 11ditamento <strong>del</strong>le strutture sanitarie. A nostro parere la regione non può non tenere conto <strong>del</strong>la<strong>del</strong>ibera regionale <strong>del</strong> 18 Aprile <strong>del</strong> 2000, la 1345, che ha come titolo proprio “Linee guida perl'organizzazione <strong>del</strong>le attività e <strong>del</strong>le funzioni <strong>degli</strong> psicologi nelle aziende sanitarie <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>”.Il nuovo consiglio si è insediato il 22 febbraio <strong>del</strong> 2000 e si è trovato davanti ad un testo che havalutato insoddisfacente e ha lavorato per migliorarlo. Marialori Zaccaria in particolare si è fattacarico di riunire più volte le organizzazioni sindacali per costruire una concertazione tra <strong>Ordine</strong>,AUPI, CGIL, CISL e UIL oltre ad altre realtà che lavorano nelle ASL per proporre gli emendamentiche sono stati accolti dalla regione come allegati alla <strong>del</strong>ibera. Delibera e allegati sonostati pubblicati sul nostro <strong>Notiziario</strong> <strong>del</strong> 2000.La <strong>del</strong>ibera rimane ampiamente incompleta per tante cose, però abbiamo ritenuto di appoggiarlaperché poteva preservare quelle realtà che già sono in piedi e aprire <strong>del</strong>le possibilità per quelleche vogliono uno sviluppo verso le Unità di <strong>Psicologi</strong>a.Su questa questione <strong>del</strong>le Unità di <strong>Psicologi</strong>a sappiamo che ci sono opinioni diverse tra noi, cisono quelli che sono favorevoli perché ci possa essere una autonomia maggiore nell'esplicazione<strong>del</strong>la nostra professionalità, ci sono quelli che sono contrari perché sostengono che ci si isolae che si rischia di finire in una riserva indiana. Queste sono le due grandi opzioni su cui siamoconfrontati. La giornata di oggi è utile proprio per poter riflettere su questo tema. Nella primaTavola Rotonda proponiamo esperienze di Unità Complesse già avviate fuori dal <strong>Lazio</strong> da moltianni. La seconda Tavola Rotonda nel pomeriggio vede un confronto tra situazioni <strong>del</strong>la sanità<strong>del</strong> <strong>Lazio</strong> che possono prefigurare le Unità di <strong>Psicologi</strong>a e situazioni invece che hanno preso unastrada diversa.Al tempo stesso Marialori Zaccaria ma anche il professor Nino Dazzi ci diranno qualche cosasulla psicologia: quale psicologia per quale contesto e in base a quale normativa. Perché pensoche la <strong>Psicologi</strong>a, tra tutte le professioni, abbia una particolarità, e che sia proprio questa particolaritàa sollecitare la psicologia a superare mo<strong>del</strong>li autoreferenti. Credo che la nostra competenzasia quella di essere in grado di orientarci sui contesti, di coglierne le domande e di interpretaretali domande con mo<strong>del</strong>li teorici ma anche con mo<strong>del</strong>li organizzativi specifici. Insommai dispositivi organizzativi devono essere in qualche modo calibrati sulle diverse realtà locali <strong>del</strong>nostro paese e dei servizi che vi insistono. Di questo va tenuto conto nella scelta di un mo<strong>del</strong>lopiuttosto che di un altro relativamente alle forme di organizzazione che la psicologia si vuoledare nel SSN.Dopo questo convegno si prevedono alcuni seminari presso l'<strong>Ordine</strong> sulle situazioni che abbiamonel <strong>Lazio</strong>, proprio per entrare nel dettaglio di alcune esperienze di realizzazione nelle ASLdi dispositivi organizzativi per la <strong>Psicologi</strong>a.Voi sapete che nella realtà regionale noi assistiamo ad una minaccia di ridimensionamento marcato<strong>del</strong>la psicologia, perlomeno in alcune aree. L'altro giorno mi ha chiamato un collega di Frosinonesegnalando proprio questo, riduzioni <strong>del</strong>la presenza <strong>degli</strong> psicologi, specificatamente neiservizi territoriali, che poi sono quei luoghi dove la psicologia può incontrare le domande provenientidai cittadini, e può fare un lavoro che è specifico, proprio <strong>del</strong>la psicologia e assente inaltre professionalità, che è quello <strong>del</strong>la prevenzione, che è quello <strong>del</strong>la integrazione <strong>degli</strong> individuinei loro contesti di appartenenza, che è quello <strong>del</strong> sostegno ai sistemi sociali perché perseguanoi loro scopi, in questo modo consentendo alle persone di sentirsi integre e integrate.La malattia mentale, il disagio psichico non sono “cose” che vengono da chissà dove, evidentementesono l'espressione <strong>del</strong>la difficoltà <strong>del</strong>le persone ad essere integrate nei loro contesti e <strong>del</strong>ladifficoltà dei contesti di funzionare.Un altro aspetto <strong>del</strong>le difficoltà che la psicologia incontra nella realtà regionale è il rapporto conla Regione <strong>Lazio</strong>. Mi fa molto piacere che il dottor Valeriani sia qui, perché abbiamo avuto in11


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 12passato qualche difficoltà ad avere una corretta interlocuzione con la Regione <strong>Lazio</strong>, non nellapersona <strong>del</strong> dottor Valeriani evidentemente ma <strong>del</strong>l'Assessorato alla Sanità certamente sì.C'è una sorta di paradosso perché come presidente <strong>del</strong>l'ordine e come componente <strong>del</strong> CoordinamentoUnitario <strong>degli</strong> Ordini professionali, ho partecipato a diversi incontri con l'on. FrancescoStorace, che ha l'intenzione di acquisire gli ordini professionali come interlocutori qualificati<strong>del</strong>la regione. È stato approvato in Giunta regionale un disegno di legge - che non è ancoraoperante perché deve essere approvato anche in Consiglio - con il quale si istituisce una conferenzapermanente Regione-Ordini professionali. Come Ordini abbiamo istituzionalizzato ilnostro coordinamento, proprio per essere un interfaccia credibile <strong>del</strong>la Regione.Per quanto riguarda la psicologia i comportamenti pratici <strong>del</strong>la Regione sono stati ben diversidalle intenzioni manifestate in sede di coordinamento <strong>degli</strong> ordini, nel senso che abbiamo dovutomandare diverse lettere, diversi telegrammi relativamente a <strong>del</strong>le commissioni che venivanoistituite o senza la presenza <strong>degli</strong> psicologi, oppure con la cooptazione di colleghi che partecipavanoa titolo personale e non come espressione <strong>del</strong>l'<strong>Ordine</strong>, cioè <strong>del</strong> sistema professionale.Questo aspetto riteniamo che vada aggiustato da parte <strong>del</strong>l'ente regionale. So che il dottor Valerianiè intervenuto in alcune di queste questioni, magari ci potrà dire qualcosa, se crede. Perquanto ci riguarda si tratta di portare un'azione di sensibilizzazione nuovamente con l'Assessoratoalla Sanità e con l'on. Storace, direi a questo punto anche con i gruppi consiliari, con laCommissione Sanità <strong>del</strong> Consiglio regionale, aprendo il ventaglio <strong>degli</strong> interlocutori.Questa è una iniziativa che compete all'<strong>Ordine</strong>, ma va anche detto che l'<strong>Ordine</strong> non è nulla senon c'è un supporto da parte vostra. Quindi questo è un punto di mobilitazione che credo ciascunodi voi debba assumere come proprio, con l'<strong>Ordine</strong> in posizione di collettore e di sponda.L'ultima cosa sul ricettario. E' stata da noi formulata all'Assessorato la richiesta di poter introdurreil ricettario all'interno <strong>del</strong> SSR per gli <strong>Psicologi</strong>, voi sapete che gli psicologi possono farecerte prestazioni, ma che quelle stesse prestazioni non possono prescriverle. Su questo c'è statoun avallo politico <strong>del</strong>l'Assessorato nella persona <strong>del</strong>la dott.ssa Melaragno ma ora c'è stato unintoppo e andrà capito cosa è successo..Ancora due comunicazioni.La prima è che come ordine stiamo lanciando alcune iniziative che possono interessare la sanità.Una riguarda la ricognizione <strong>degli</strong> interventi che la professione realizza nelle scuole. Vogliamocapire quali sono i volumi e le tipologie di questi interventi e ciò può riguardare quei colleghi<strong>del</strong>le ASL che intervengono nelle scuole. Siete pregati di rispondere a questo tipo di questionarioperché poi su quello imbastiremo un'offerta di protocollo d'intesa con l'Ufficio ScolasticoRegionale.C'è poi un altro progetto a cui teniamo molto, che si chiama “<strong>Psicologi</strong>a innovazione e sviluppo”,con il quale intendiamo raccogliere le buone pratiche <strong>del</strong>la psicologia per costruire un bookda inviare alle committenze pubbliche e private, ivi inclusi gli enti locali e territoriali, le scuolee le direzioni generali <strong>del</strong>le ASL.La seconda comunicazione riguarda la giornata di studio sulla scuola <strong>del</strong> 23 novembre prossimo,da noi organizzata, alla quale partecipano con relazioni diversi colleghi <strong>del</strong>le ASL, e il convegno<strong>del</strong> 30 novembre e <strong>del</strong> 1° dicembre di psicologia <strong>del</strong> lavoro, area che evidentemente semprepiù riguarda anche i colleghi <strong>del</strong> servizio sanitario che lavorano sui sistemi di qualità, alcunidei quali presenti anche qui oggi come relatori.Mi fermo qui e do la parola al dottor Valeriani.12


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 13Dott. Francesco VALERIANIPrimario psichiatraPresidente S.I.F.I.P (Società Italiana per la Formazione in Psichiatria)Dirigente Area tutela soggetti deboliAssessorato Sanità Regione <strong>Lazio</strong>La partecipazione ai lavori di questa giornata rappresenta per me una significativa testimonianzasul piano istituzionale e professionale. Quale dirigente l'area tutela soggetti deboli <strong>del</strong>l'Assessoratoalla sanità <strong>del</strong>la Regione <strong>Lazio</strong>, che comprende gli ambiti <strong>del</strong>la salute mentale oltre adiversi altri, riconosco l'importanza di un interlocuzione attenta e costante con l'<strong>Ordine</strong> <strong>degli</strong><strong>Psicologi</strong>, rappresentativo di specifiche competenze professionali, le quali devono potersi declinareadeguatamente anche nel sistema sanitario e socio-assistenziale pubblico e privato.L'affermazione di tale professionalità può verificarsi solo nella giusta definizione dei ruoli, inuno scenario di integrazione e complementarità , che implica una solida base formativa.Una prima riflessione di carattere generale sento l'esigenza di esprimere sul ruolo prioritario chepuò giocare un <strong>Ordine</strong> professionale in contesto sociale estremamente complesso come quelloodierno. È evidente che non ci si possa limitare a pensare un <strong>Ordine</strong> solo come strumento organizzativodi tutela deontologica e di appartenenza professionale con tutte le relative implicazionisul piano dei diritti e dei doveri dei suoi iscritti.Personalmente ritengo che esso debba essere considerato prioritariamente in una prospettiva dimo<strong>del</strong>lo etico-politico, intendendo con questo riferirci agli enunciati <strong>del</strong>la "filosofia pratica" diHabermas ed Apel, nonché <strong>del</strong>le "etiche comunitarie", bene espressi nel pensiero di Mac Intjreed Harendt. La giusta appartenenza ad una “polis" ideale, ovvero la cittadinanza in una comunitàprofessionale come quella <strong>degli</strong> psicologi è fondata su specifiche risorse formative e comunicative,nonché sull'esercizio di legittime competenze, condivise da una pluralità di soggetti.La pluralità è la condizione <strong>del</strong> darsi di azione e discorso, ovvero di praxis e logos, secondo ilmo<strong>del</strong>lo aristotelico a cui si ispira la “filosofia pratica”. Essa si declina in uno spazio pubblico,ovvero in un mondo comune che mette in relazione e separa gli uomini nello stesso tempo.Questa sfera pubblica (l'Offentlichkeit di Habermas ) ha un particolare valore anche sul pianoetico. Essa conferisce oggettività all'esperienza mediante il mutuo riconoscimento e determinaquindi una realtà stabile, sottratta all'ambito soggettivo. Organizza le relazioni interindividualiin un mondo di cose ed istituzioni che non ha importanza in sé, ma per ciò che consentono difare insieme, per i rapporti che permettono di stabilire, per il posto che assegnano ad ogni individuo,offrendo la possibilità ad ognuno di operare con gli altri ed al contempo di distinguersicome identità specifica.Questo spazio d'intersoggettività refrattaria all'intesa implica però l'esistenza di categorie comunicativecondivise all'interno <strong>del</strong> gruppo (logos comune), che conferisce ai suoi componentiidentità e capacità di interagire nell'esercizio di competenze proprie che non possono non esserefondate sulla congrua acquisizione di specifiche strutture formative ed epistemiche.13


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 14In questi termini l'<strong>Ordine</strong> professionale svolge anche una funzione etico-politica, che risultatanto più incisiva quanto più riesce a valorizzare le specificità formative, nonché a promuoverele legittime competenze. Queste ultime, se ben definite nei particolari contesti istituzionali elavorativi, riusciranno ad evitare la confusione di ruoli e funzioni (che comporta spesso pericolodi conflittualità e burn-out) consentendo la migliore integrazione con le altre figure professionalia tutto vantaggio non solo <strong>del</strong>la propria identità professionale, ma anche <strong>del</strong>la miglioreefficacia <strong>del</strong>l'intervento, specialmente ove esso si cali in un contesto assistenziale.Nell'attuale sistema sanitario, con specifico riferimento all'organizzazione dei servizi per la salutementale, a fronte <strong>del</strong>la particolare complessità dei bisogni dei pazienti psichiatrici, le strategievincenti in cui occorre investire maggiormente oggi sono quella <strong>del</strong>la formazione, <strong>del</strong>laricerca (anche nei nuovi mo<strong>del</strong>li tecnico-organizzativi dei servizi) e <strong>del</strong>l'integrazione.Nell'ottica <strong>del</strong>la migliore beneficialità per l'altro la formazione è prerequisito fondamentale nonsolo per l'erogazione di una assistenza qualitativamente valida, ma anche per la corretta interpretazionedei bisogni assistenziali, specialmente quando si configurano in contesti psicopatologicila cui adeguata diagnosi consente al paziente il diritto di accesso a percorsi di cura appropriati.Gli psicologi, come altre figure professionali coinvolte nei servizi per la salute mentale, devonoconcorrere, con l'apporto <strong>del</strong>la propria specificità formativa, ad un grande progetto interprofessionaleper la realizzazione di una rete multicontestuale, tra sanitario ed il socio-assistenziale,nell'ambito <strong>del</strong>la quale possono trovare continuità ed efficacia le migliori risorse organizzative.Oggi non c'è bisogno di nuove ideologie di riferimento, quanto piuttosto di nuovi mo<strong>del</strong>li e strategied'intervento multidisciplinari che rendano più efficiente il sistema assistenziale in unaequilibrata integrazione tra pubblico e privato, tra università e territorio, nonché tra diversi saperie specifiche tecniche operative. In questo scenario complessivo non basta più la sola cultura<strong>del</strong>la solidarietà, che opera spesso nell'improvvisazione e nell'autoreferenzialità. Occorre unanuova cultura <strong>del</strong>la verifica <strong>degli</strong> esiti, la quale sappia coniugarsi con quella <strong>del</strong>la relazione, che,come psicologi e psichiatri, ci contraddistingue particolarmente nella nostra capacità di incontrocon l'altro, con il suo volto ed i suoi molteplici bisogni.14


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 15Dott. Pierangelo SARDIPresidente <strong>del</strong>l'<strong>Ordine</strong> Nazionale <strong>degli</strong> <strong>Psicologi</strong>L'intervento <strong>del</strong> dottor Valeriani sulle funzioni <strong>del</strong>lo psicologo in Sanità ci chiama in causacome <strong>Ordine</strong>, innanzitutto in termini etici ma anche in termini di verifica <strong>del</strong>l'efficacia e <strong>del</strong>l'appropriatezza<strong>del</strong>le nostre prestazioni, che sono essenzialmente sanitarie. Problemi che eranogià emersi nell'intervento di Emanuele Morozzo, per esempio il principio di valutare anche inostri interventi, come gli altri interventi sanitari, sulla prova <strong>del</strong>la loro efficacia: evidencebased. Dobbiamo accettare anche noi di essere misurati sull'effettiva utilità <strong>del</strong> nostro intervento.Ho l'impressione in effetti che sul territorio questo principio sia meno accettato che negliospedali: vedo qui Trabucco e altri colleghi che negli ospedali hanno accettato di lavorare confrontandosilealmente e coraggiosamente con questi criteri. Noi sul territorio questo lo abbiamofatto forse di meno, dovremmo avere il coraggio di farlo di più, come fanno in effetti già deinostri colleghi europei, anche fuori dagli ospedali.Qui in Italia è successo anche un equivoco nella direzione opposta, per quel che riguarda la psicologiasul territorio, nella creazione <strong>del</strong>le - si diceva allora - Unità Sanitarie Locali: il concettoera che tutti sarebbero venuti al centro <strong>del</strong>l'Unità per ri-proiettarsi sul territorio. Ma nelmomento in cui si rinominano le USL come ASL, aziende, allora c'è il rischio che la dimensioneetica, e a volte anche l'interesse a lungo termine di tipo finanziario, si perda di vista, rimangapiù evidente l'interesse a termine immediato, l'efficacia immediata. Però se noi guardiamoper esempio su sanita.it gli obiettivi che il sistema sanitario nazionale si pone, molti di questisono cambiamenti di stili di vita, che incidono sulle determinanti <strong>del</strong>la salute in senso statistico,quindi interventi sulla mobilità, sulla pericolosità <strong>del</strong>la mobilità, sulla sua sostenibilità, sudei cambiamenti che in effetti si dovrebbero fare attraverso convenzioni fra la sanità e i comuniper esempio, che hanno il potere di modificare direttamente determinati atteggiamenti. Vorreidimostrare che questo è possibile ed anche facile se l'Università ci aiuterà in questo comegià accade in qualche altro caso. A proposito vorrei salutare la nomina a Presidente <strong>del</strong>la Conferenzadei Presidi <strong>del</strong> professor Nino Dazzi, che c'è stata recentemente. Come <strong>Ordine</strong> Nazionalespero che questo e la vicinanza anche logistica, centrata su Roma, ci aiutino, dovrebberoaiutarci, a fare di più questo lavoro di dimostrazione <strong>del</strong>l'efficacia <strong>del</strong>l'intervento psicologico insettori sinora trascurati, come questo <strong>del</strong> territorio.Ci sono tutta una serie di problemi che i colleghi esteri riescono a dimostrare risolvibili coninterventi psicologici, e che in Italia invece sono stati dimenticati. Noi abbiamo fatto la primariforma sanitaria, la legge 883/'78, senza una lira, quindi abbiamo sottratto gli psicologi che giàlavoravano nella scuola, nel mondo <strong>del</strong>le aziende per esempio per prevenire gli incidenti sullavoro, nella mobilità, nel mondo <strong>del</strong> traffico e in diversi altri settori, e li abbiamo assorbiti nella15


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 16Sanità, e in questo modo li abbiamo trasformati molto spesso in psicoterapeuti. C'è un poterefascinatorio <strong>del</strong>la psicoterapia, che ha reso irriconoscibili molti colleghi, molte professionalitàdi colleghi. Il dott. Valeriani parlava di competenze da rivalorizzare: io scopro adesso, per esempio,che il tesoriere <strong>del</strong> nostro <strong>Ordine</strong> Nazionale era uno psicologo <strong>del</strong>l'ex ENPI, l'ho scopertoper puro caso, credevo che fosse uno psicoterapeuta inveterato. L'ho scoperto perché avevamoun appuntamento in Senato con il Relatore <strong>del</strong> disegno di legge sulle figure professionali chedovrebbero tutelare la sicurezza nei luoghi di lavoro.Ci siamo in pratica tutti trasformati in psicoterapeuti, nascondendo la professionalità psicologicaprecedente. Questo è stato un errore tragico, e lo si sta pagando, come dice appunto la relazione<strong>del</strong> Ministro Veronesi che è stata fatta sull'anno sanitario precedente, come credo illustreròanche adesso al ministro Sirchia dopodomani che avremo la celebrazione <strong>del</strong>l'anno sanitario2001, insieme agli altri ordini sanitari. Perché noi siamo anche un ordine sanitario e anche quandofacciamo questi interventi apparentemente esterni alla sanità bisognerebbe coglierne semprela effettiva rilevanza sanitaria. Dovremmo sentirci meno psicoterapeuti, ma più sanitari. E credoche da questa nostra doppia distorsione venga questo dubbio sull'utilità <strong>del</strong> servizio territorialee sul suo ridimensionamento. L'impressione è che se si passa dai disturbi nevrotici all'assistenza,allora non siamo più incisivi; mentre c'è tutta una serie di comportamenti che determinanomaggiore o minore salute, che si possono modificare solo con interventi psicologici, quindi sanitari,anche se non psicoterapeutici. Ci sono utenze deboli che non sanno di essere utenze sanitariepotenziali ma effettive: chi non mette la cintura o beve prima di guidare è un'utenza sanitariapotenziale, un problema sanitario gravissimo, più grave di chi mangia grasso e rischia dimorire un anno prima quando sarà ormai vecchissimo. Molti italiani ormai si preoccupano diquell'anno di vecchiaia in meno, e fanno bene, ma farebbero meglio a preoccuparsi dei decennidi vita giovanile che si possono perdere sulla strada. Queste distorsioni credo che siano dovuteessenzialmente al fatto che gli psicologi mancano in questi settori, e gli effetti sono tragici. Noivediamo appunto che mentre in Francia ci sono 7-8 milioni di controlli alcolemici all'anno, perchégli psicologi hanno preteso che questi comportamenti venissero osservati e corretti, da noisono 10-20 mila, c'è una differenza abissale, di un centinaio di volte, non il cento per cento, uncentinaio di volte. Ci sono enormi sacche di problemi sanitari che vengono completamentedimenticati. Noi abbiamo per esempio le cosiddette microlesioni, che sono in realtà <strong>del</strong>le truffe,sono esattamente il doppio quelle dichiarate alle assicurazioni, sono il doppio che in tutto il resto<strong>del</strong> mondo civile, dove già viene lamentata una sovrafatturazione di queste. Ma nessuno obiettanulla a questo fatto e in più chi risulta ferito gravemente non viene assistito psicologicamente:sono pochissimi i colleghi <strong>del</strong>le Unità Spinali, anche se il decreto sugli organici <strong>del</strong> ministroDonat Cattin prevedeva uno psicologo per ciascuna <strong>del</strong>le Unità Spinali. Questi problemi vengonocompletamente trascurati, completamente dimenticati, vengono lasciati alla buona volontàdi alcuni colleghi che si formino, che prendano contatti con i colleghi essenzialmente esteri,tedeschi, vanno a Hei<strong>del</strong>berg, vanno a Londra, insomma vanno a formarsi fuori. Pure questa attività,che rientra nella psicologia <strong>del</strong>le emergenze, dei disastri, è un'altra disciplina non abbastanzaconsolidata in Italia, a parte l'inizio lodevole <strong>del</strong>la psicologia dei disastri umanitari, chesi è imposta anche per la vicinanza <strong>del</strong>la crisi jugoslava.Si lavora troppo sul mo<strong>del</strong>lo terapeutico in effetti: dovremmo essere più complementari ai medicianche nella sanità per risolvere a monte i problemi che poi diventano sanitari in un secondomomento. Questo che definirei il marketing dei comportamenti corretti, salubri e sicuri, noi psicologiitaliani lo consideriamo qualche cosa di inefficace, come fosse un predicare al vento. Nonè affatto vero, basta intervenire nel modo giusto, e questi interventi sono efficacissimi in rapportoa costi modestissimi; per esempio, per far usare le cinture in una città, basta convincere i16


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 17vigili a portarle loro stessi, come la legge imporrebbe, basta discutere un po' con loro di questo,e alla fine loro le fanno mettere, mentre se loro non le mettono, non ci credono loro stessi, e nonle fanno mettere agli altri. E' un lavoro che richiede poche giornate di intervento e risparmiaparaplegie, tetraplegie, carriere mediche sanitarie costosissime e terribili, oltre ad un numeroimponente di cosiddette morti evitabili. Mi riferisco soprattutto agli interventi nella mobilità,che è ormai quasi l'unica mia attività professionale, ma potrei fare tutta un'altra serie di esempi,che verifico abitualmente nelle percentuali di intervento dei colleghi stranieri, ben differenziatee consistenti, ma che da noi mancano totalmente. Da noi c'è lo psicologo sanitario e poi gli psicologidi pochissimi altri settori, ma pure lo psicologo sanitario non si proietta sul territorio, lofa troppo poco, senza convinzione e senza preparazione. Questo è un errore grave, a cui va postorimedio. Io credo che l'intervento <strong>del</strong> dottor Valeriani in questo senso sia veramente utile, e vadaadesso riempito con il nostro intervento, con precisazioni e dettagliature più concrete ed immediate.Questo è un compito sicuramente che l'<strong>Ordine</strong> può svolgere, perché purtroppo molti diquesti comportamenti, a differenza <strong>del</strong> malato che protesta e chiede direttamente, insiste anche,spesso fin troppo, per avere <strong>del</strong>le prestazioni, invece questi interventi non sono direttamenterichiesti dall'utenza, non insistentemente, almeno. Questa è la vera debolezza <strong>del</strong>l'utenza: quandol'utenza non richiede la prestazione, non la conosce, non sa di averne bisogno. Questo è ilmassimo di debolezza. I committenti d'altra parte sono politici, e non ci chiedono quello che gliutenti non chiedono. Chi è obeso, chi fuma, non chiede al Servizio Sanitario di fargli cambiarecomportamenti, crede che sia un suo problema personale, e non sa che con interventi psicologicirelativamente semplici si potrebbe evitare quantomeno l'incidenza percentuale di queste abitudiniche poi hanno una serie di conseguenze molto gravi: infarti, ictus, e tutta una serie di fattisanitari costosi e terribili, tali da giustificare l'iniziativa sanitaria anche se non ancora richiestadagli interessati. Queste utenze che non chiedono, che non premono, nessuno le può aiutare, senon c'è un momento etico che anticipi questa loro domanda, che consenta loro di esplicitarla,che la faccia coniugare con le competenze <strong>del</strong>la nostra professione. Questa salvaguardia <strong>del</strong>leutenze potenziali può essere garantita dall'<strong>Ordine</strong>.Grazie <strong>del</strong>l'attenzione.17


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 18“Un passe-partout metaforico"Dott.ssa Marialori ZACCARIAVicepresidente <strong>del</strong>l'<strong>Ordine</strong> <strong>degli</strong> <strong>Psicologi</strong> <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>Vorrei dare il mio contributo per riempire di significato il titolo dato a questa giornata di studio- La <strong>Psicologi</strong>a. Una risorsa <strong>del</strong> SSN.Innanzitutto, di cosa parliamo quando parliamo di <strong>Psicologi</strong>a. Come possiamo rappresentare,dare un quadro d'insieme <strong>del</strong>la <strong>Psicologi</strong>a oggi.Potrei cominciare elencando gli innumerevoli campi di applicazione <strong>del</strong>la <strong>Psicologi</strong>a contemporanea- la psicologia clinica e la psicologia <strong>del</strong> lavoro, la psicologia <strong>del</strong>l'età evolutiva e quella<strong>del</strong>la salute mentale, la psicologia <strong>del</strong>la prevenzione e quella per la riabilitazione etc.etc.Potrei poi passare ad enumerare i molti approcci e mo<strong>del</strong>li teorici (cognitiva, comportamentale,psicodinamica e così via) che la <strong>Psicologi</strong>a ha in ogni campo di applicazione. Penso però chequesto modo di procedere risulterebbe oltremodo sterile e frammentato e correrei anche ilrischio di dimenticare qualcosa o qualcuno. Comunque sarebbe una descrizione di tipo piatto elineare, a totale discapito <strong>del</strong>la complessità e <strong>del</strong>la ricchezza di questa nostra disciplina. Ho pensatocosì, che per rappresentare la <strong>Psicologi</strong>a potrebbe risultare proficuo metaforizzare il discorso,utilizzare cioè una trasposizione simbolica di immagini.Prendo a prestito dalla geografica fisica un'immagine: l'immagine di arcipelago.Tutti noi sappiamocos'è un arcipelago.La definizione che il Devoto - Oli da di arcipelago è questa: arcipelago s. m. Aggruppamentodi isole abbastanza vicine tra loro e a volte con caratteristiche morfologiche affini (dal grecoarhkipélagos “mare principale” forse perché ricco di isole).Ora il problema che mi pongo è come possiamo avere conoscenza di un arcipelago. Potremmoad esempio munirci di una barca e navigare da un isola all'altra alla scoperta di ogni piccolainsenatura, di ogni spiaggia, di ogni promontorio. In questo modo però non solo impiegheremmomolto tempo ma potremmo avere solo <strong>del</strong>le immagini frammentate. Quindi, se vogliamocogliere la complessità di un arcipelago è necessario abbandonare la linea <strong>del</strong>l'orizzonte e utilizzareun vertice che ci dia una visione dall'alto. Sorvolando per esempio il gruppo di isole,potremmo facilmente scorgere affinità e diversità morfologiche - baie, insenature, promontori,scogliere etc.- e contemporaneamente potremmo cogliere l'insieme, potremmo cioè percepire inun attimo la totalità, l'essenza di quel raggruppamento complesso di isole che è detto appuntoarcipelago.Ed è proprio da questo vertice, da questa visione dall'alto che resteremmo più facilmente attratti,affascinati, incuriositi dai vari elementi morfologici di ogni singola isola. Affascinati e attrattianche proprio dalla complessità che ha un arcipelago, che raggruppa tante isole, così diversee così affini.18


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 19Ritengo che la <strong>Psicologi</strong>a oggi si possa rappresentare come un arcipelago. “L'Arcipelago <strong>Psicologi</strong>a”.Forse oggi rititolerei proprio così questa g.d.s.: l'Arcipelago <strong>Psicologi</strong>a. Con le sueisole,i suoi contesti,i suoi mo<strong>del</strong>li, le caratteristiche morfologiche diverse o affini. Tutto propriocome un arcipelago. Tra l'altro essere parte di un Arcipelago rappresenta sicuramente una ricchezza,un vantaggio reciproco enorme per le varie isole. Operativamente penso alla ricchezza<strong>del</strong>le esperienze che si fanno nelle discussioni sui casi clinici o nelle supervisioni che integranoi vari mo<strong>del</strong>li o indirizzi psicologici.Ora, fissata la suggestione di quest'immagine - la <strong>Psicologi</strong>a come un Arcipelago visto dall'alto- torniamo al significato greco <strong>del</strong> termine Arhkipélagos, che - come abbiamo visto - vuol direappunto "mare principale". I greci privilegiano dunque la cosa che accomuna tutte le isole, cioèil mare che le bagna, il “mare principale”. Per definire un insieme scelgono ciò che tiene unitol'insieme, ciò che l'nsieme ha in comune. Il mare appunto. Oggi nessuno di noi quando pensaad un arcipelago ha l'immagine di un mare che bagna tante isole. Noi abbiamo l'immagineinvertita di tante isole vicine in mezzo al mare. Abbiamo cioè un' immagine frammentata.Proviamo - nel pensare alla <strong>Psicologi</strong>a come ad un Arcipelago - ad invertire a nostra volta l'immagine,assumendo il significato greco <strong>del</strong> termine. Chiediamoci, qual'è il nostro arhkipélagos?Qual è il “mare principale <strong>del</strong>la <strong>Psicologi</strong>a”? Il mare che ci accomuna tutti, che bagna ogni contesto,ogni approccio, ogni mo<strong>del</strong>lo? Risponderei così. Ciò che ci accomuna è la ricerca <strong>del</strong>laConoscenza, l'oggetto d'indagine <strong>del</strong>la nostra disciplina. Un mare comune in cui siamo immersitutti , da cui emergono le varie isole, cioè i vari mo<strong>del</strong>li. È proprio quell'oggetto - la ricerca<strong>del</strong>la Conoscenza - che molto probabilmente ci ha fatto scegliere questa e non un'altra professionee che ce la fa portare avanti con passione.Le passioni. Secondo il mo<strong>del</strong>lo relazionale interattivo, le passioni hanno addirittura una funzionelogica, servono a scegliere i fatti, a metterli al centro <strong>del</strong>l'attenzione, a considerarli preziosi,importanti, anzi essenziali. La passione è una strategia ai fini <strong>del</strong>la conoscenza.Si può dunque dire che non c'è conoscenza senza passione, e che quindi più precisamente l'oggettod'indagine <strong>del</strong>la <strong>Psicologi</strong>a è la passione per la ricerca <strong>del</strong> conoscere. Conoscere i meccanismi<strong>del</strong>la mente, <strong>del</strong>la mente di un individuo, <strong>del</strong>la mente di un gruppo.Sul piano operativo sappiamo quanto sia difficile operare con la passione <strong>del</strong> conoscere all'interno<strong>del</strong>l'Istituzione sanitaria, ma nello stesso tempo sappiamo quanto sia proprio quella passionea tenerci dentro le Istituzioni.Tornando al significato greco <strong>del</strong>la parola arhkipelagos - “Mare principale” - il Devoto-Oli fauna supposizione utilizzando un avverbio dubitativo: forse. Arkipelagos - scrivono - vuol dire“Mare principale”, forse perché ricco di isole.Per tornare a noi, supponendo che il nostro Arhkipèlagos coincida con l'oggetto d'indagine <strong>del</strong>la<strong>Psicologi</strong>a, cioè con la passione per la ricerca <strong>del</strong> conoscere, anche noi, allora ,abbiamo un mareda condividere, un mare che ci accomuna. Un mare grande. Forse proprio perché grande, cosìricco di isole. Del resto non potrebbe essere altrimenti. Sarebbe assurdo se fosse il contrario.È questo anzi - le tante isole, i tanti mo<strong>del</strong>li - un punto di forza, una risorsa, un valore aggiunto,non una debolezza <strong>del</strong>la disciplina <strong>Psicologi</strong>ca.C'è un altro punto di forza <strong>del</strong>la nostra disciplina.Se mi chiedo, di quali e da quali elementi è composta la <strong>Psicologi</strong>a ,quali note ne compongonolo spartito, rispondo che a differenza di altre discipline la <strong>Psicologi</strong>a, per indagare sul suo oggettodi ricerca, assume , traspone e attinge concetti da molte altre discipline. Si va dalla filosofiaalla semiologia, all'epistemologia, dalla matematica, alla fisica, fino alla fisica quantistica.19


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 21di. Non c'è dunque da meravigliarsi che, di fronte a una tale complessità geografica, l'umanitàabbia impiegato così tanti secoli e così tanti pensatori ed esploratori per conoscere le sorgenti<strong>del</strong> fiume sacro <strong>del</strong>l'Egitto: “il Nilo.”Ora, se l'asserzione che ho appena letta è valida per il mitico fiume Nilo, non è altrettanto e forsemaggiormente valida per la scoperta <strong>del</strong>le sorgenti <strong>del</strong>la conoscenza ?Dicevo <strong>del</strong>la metodologia che la <strong>Psicologi</strong>a adotta nella sua ricerca. La metodologia è quella diandare a scoprire le fonti , di risalire ,quando è possibile, fino alle sorgenti <strong>del</strong> Nilo.Il nostro metodo non si ferma al semplice sbocco al mare o al procedere lento o irruento <strong>del</strong>corso d'acqua <strong>del</strong> fiume. Parte da lì per esplorare e ricercare le sorgenti <strong>del</strong> Nilo.La mia affermazione non implica una critica ad altre disciplineche si adoperano per il benessere <strong>degli</strong> individui, per esempio la medicina, è semplicemente unconstatare e sottolineare la specificità <strong>del</strong>l'approccio metodologico <strong>del</strong>la <strong>Psicologi</strong>a.Certo nella società in cui viviamo il concetto di benessere e di salute si legano fortemente al fattoretempo a discapito <strong>del</strong>la qualità stessa <strong>del</strong> benessere.Si ricerca il benessere immediato, che a volte si rivela fatuo, che spesso anzi induce alla cronicizzazione<strong>del</strong> malessere.Lo sbocco <strong>del</strong> fiume al mare è l'evidenza. L'evidenza è rappresentata dal sintomo o sintoma chesignifica caso, accidente.La medicina ippocratica affermava che un eritema sulla pelle è il sintomo, il segno di qualcosa.La causa potrebbe essere anche molto semplicemente una forte indigestione.Al contrario, la scuola di Cnido (V sec a.C.), diagnosticava il sintomo come una malattia, nonlo riteneva un segno di una situazione che si originava nel passato e si sviluppava nel futuro.Forse le esigenze <strong>del</strong>la Sanità pubblica di oggi, attenta - sempre più attenta -alla quantità piùche alla qualità <strong>del</strong>le prestazioni erogate - anche per ciò che concerne la disciplina medica - siconiugano meglio con il pensiero <strong>del</strong>la Scuola Cnido, piuttosto che con il pensiero di Ippocrate.Pensate a quante persone oggi soffrono d'insonnia e a come questo problema viene affrontato.Vorrei portare un esempio che deriva direttamente dalla mia esperienza.Ad un certo punto, dopo dieci anni di CSM, per esigenze personali sono andata a lavorare in unSERT, dove lavoro tutt'ora.Quando sono arrivata al SERT, non era - come dire - non solo fattibile ma nemmeno pensabilepoter approcciare il discorso sull'abuso di sostanze stupefacenti come un discorso da ricercarenella psiche <strong>del</strong> soggetto che abusa. Quindi non era pensabile di andare alla ricerca <strong>del</strong>le sorgenti<strong>del</strong> Nilo, era tabù.E questo sia per le linee di politica sanitaria, sia per il modo di pensare <strong>degli</strong> operatori <strong>del</strong> Servizioma anche <strong>degli</strong> stessi pazienti.Si poteva soltanto solcare la corrente <strong>del</strong> fiume fino al puntoin cui il fiume sfocia nel mare. Quindi l'approccio prevalente al problema era di tipo organicisticoe tossicologico. Le problematiche psichiche che istaurano quel tipo di sintomo non eranomolto considerate. Oggi - all'interno <strong>del</strong> servizio- le cose sono cambiate molto e sempre piùspesso è possibile un approccio di tipo multidisciplinare, cioè medico,sociale e psicologico.Ma la politica sanitaria non è cambiata, anzi. Oggi, nei progetti per la tossicodipendenza si parlaspesso di doppia diagnosi. Addirittura, le comunità che gestiscono pazienti che hanno fatto usodi sostanze si stanno lentamentetrasformando in CT a doppia diagnosi.La doppia diagnosi,un'invenzione, una vera invenzione ,direi quasi un falso ideologico. Chesignifica doppia diagnosi? Significa che si fa una diagnosi <strong>del</strong> sintomo e una diagnosi <strong>del</strong>le21


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 22cause o <strong>del</strong>le concause. Su una problematica così <strong>del</strong>icata - l'abuso di sostanze - si cerca un impossibilecompromesso tra due scuole di pensiero opposte, quella di Ippocrate e quella di Cnido.Forse è difficile chiamare le cose col proprio nome e ammettere che le cause che instaurano l'abusodi sostanze stupefacenti sono cause prettamente psichiche e spesso “transgenerazionali”.Riconoscere che forse, sino ad oggi, il problema è stato impostato male, si è focalizzata l'attenzionesul segno o sintoma, si è fatta la diagnosi <strong>del</strong> sintomo scambiandolo per la malattia. Interrompoqui questo discorso perchè ci vorrebbe più tempo per svilupparlo meglio.Concludo affermando che la <strong>Psicologi</strong>a è un pensiero innovativo, un pensiero forte. Per contestualizzaretutto il discorso mi pongo un interrogativo: cosa accade nel momento in cui questopensiero deve svilupparsi all'interno di una Istituzione, nel nostro caso all'interno <strong>del</strong>l'IstituzioneSanitaria? Sappiamo che l'Istituzione ha tra le sue funzioni quella di diffondere i valori e didifenderli. Una funzione duplice quindi, divulgativa e conservativa. Funzione conservativa intesasia nell'accezione positiva di mantenere la tradizione dei valori che in quella negativa diopporsi a tutto ciò che potrebbe mettere in crisi la tradizione stessa, che è avvertito dall'Istituzionecome forza destabilizzante. Appare quindi evidente il perchè un pensiero forte e innovativopuò essere assunto dall'Istituzione solo a piccole dosi.Peraltro quando l'Istituzione lo ingloba, anche il pensiero <strong>Psicologi</strong>co può correre un gravepericolo: quello di vedere snaturata la sua matrice originale volta all'analisi <strong>del</strong>la complessitàdei fenomeni. Per dirla fuori dai denti, il rischio è che la <strong>Psicologi</strong>a segua le orme <strong>del</strong>la medicinache sulla strada <strong>del</strong>le iper specializzazioni è andata via via perdendo l'approccio globale.Dicevamo dunque che i cambiamenti all'interno <strong>del</strong>le istituzioni non possono che essere lenti efaticosi. Il nostro continuare ad operare nelle Istituzioni sanitarie, il non fuggire da esse, puòmodificare le Istituzioni modificando contemporaneamente anche il nostro approccio. Pensoper esempio a quanti oggi sono al lavoro nel campo <strong>del</strong>la prevenzione, essi hanno saputo coglierele necessità prodotte dal contesto sociale.Vorrei concludere con un interrogativo. L'Arcipelago <strong>Psicologi</strong>a può essere calato all'interno diun piano organizzativo senza che perda nulla <strong>del</strong>la complessità e <strong>del</strong>la ricchezza che gli sonoproprie?A questo interrogativo risponderanno le varie relazioni <strong>del</strong>la giornata.22


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 23Dott. Saverio PROIAEsperto di professioni sanitarie. Dirigente presso il Ministero <strong>del</strong>la SanitàMi pare abbastanza chiara la collocazione <strong>del</strong>lo psicologo, nell'anno 2001, all'interno <strong>del</strong> ServizioSanitario Nazionale, una chiarezza che ha avuto percorsi lunghi, faticosi, ma che adessoha finalmente una dimensione organica, una chiarezza e una reciprocità di ruoli all'interno <strong>del</strong>ladirigenza sanitaria.Prima di arrivare a questo vorrei farvi una premessa, un Ministero che oggi si chiama Ministero<strong>del</strong>la Salute, e un ultimo piano sanitario nazionale che ha privilegiato gli stili di vita comepriorità <strong>del</strong>l'iniziativa programmatica e di azione <strong>del</strong> servizio sanitario nazionale, la dice lungasu come ora il Servizio Sanitario Nazionale intenda la psicologia e gli psicologi una risorsa fondamentale.Vorrei anche citare il dopo 11 settembre, per sottolineare il vostro ruolo fondamentalenell'aiutare i nuovi stili di vita dall'ultima settimana ad oggi, un ruolo fondamentale purtropponegli Stati Uniti d'America lo state già avendo, nuovo, innovativo, nel riuscire ad affrontarela situazione che tutti noi stiamo vivendo.Siamo arrivati ad una chiarezza di ruoli dopo anni e anni. Qui il Ministero <strong>del</strong>la Sanità, con lentezzama con determinazione, è riuscito a definire una situazione normativa abbastanza chiara,che può fare anche sì che alcune discussioni all'interno <strong>del</strong>la categoria possano essere risolte.Dalla inclusione, come ricordava Pierangelo, nel ruolo sanitario con il 761 fino alla inclusionenella dirigenza sanitaria nel 502, ma limitata (quella è la riserva indiana) alla direzione nell'ambito<strong>del</strong>la operatività <strong>del</strong> proprio profilo, siamo arrivati col 229 a creare le pari opportunità,le pari condizioni normative e di sviluppo professionale all'interno di tutti i profili <strong>del</strong>la dirigenzasanitaria. Non vi è più nessuna differenza né di accesso al ruolo di dirigente, né di sviluppo,né di funzione dirigenziale nella esplicazione sia nel momento professionale che in quellogestionale, fra tutti i dirigenti <strong>del</strong> ruolo sanitario, tant'è che l'articolo si chiama "disciplina<strong>del</strong>la dirigenza medica e <strong>del</strong>le professioni sanitarie". Non vi è alcuna differenza nelle attribuzioni,negli sviluppi, nell'accesso, nell'opzione sulla libera professione intra ed extramoenia, siè creato quindi la pari opportunità. Ora va capito come la si realizzi e come si renda concreto erealmente una risorsa questa nuova potenzialità, e non uno scimmiottare la professione medica.Da una parte può essere d'aiuto capire che vi sono alcune aree nuove in cui la professione dipsicologo può avere un proprio nuovo impulso dirigenziale, e qui citerei due casi concreti. Ilprimo: la direzione <strong>del</strong> distretto, laddove, per la prima volta, si fa una affermazione di principioaziendalistica nella sanità, che la direzione di un assetto importante <strong>del</strong>l'articolazione principale<strong>del</strong>l'azienda sanitaria locale non sia un fatto attribuibile alla caratura professionale ma allacapacità gestionale. A concorrere alla direzione di un distretto possono partecipare tutti i profili,ivi compreso ovviamente quello di psicologo che abbia capacità e esperienza di gestione dei23


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 24servizi territoriali. Come sapete fino ad adesso vi è stata una concezione in cui il dirigente medicoaveva un primato mutuato dall'assetto ospedaliero esteso sul territorio, e gli altri erano dirigentiche concorrevano. Con questo cambio di scena per la prima volta si fa una logica di tipoaziendalistico, chi sa dirigere dirige, indipendentemente dal suo retroterra professionale, cioè siesplica finalmente la funzione di direzione. L'altra area in cui si potrà sviluppare a pieno lacapacità e il valore <strong>del</strong>la professione di psicologo è l'area <strong>del</strong>le professioni socio-sanitarie. Ionon vorrei che la viveste come una cosa residuale, in cui ci sono i soliti emarginati, vecchi enuovi: è un'area nuova, conseguente al decreto sull'integrazione di prestazioni socio-sanitarie incui si creerà finalmente, con una valenza innovativa, la famosa integrazione socio-sanitaria, cheera uno dei miti <strong>del</strong>la nostra gioventù; adesso è una realtà, ha una pari dignità come tutta l'areasanitaria, dobbiamo solo realizzare l'area <strong>del</strong>le professioni socio-sanitarie in cui medici, psicologie altre professioni concorreranno in quella specificità. E qui è un campo in cui la professione<strong>del</strong>lo psicologo potrà estrinsecarsi in una nuova dimensione, in una dimensione operativae anche dirigenziale completamente innovativa.Vorrei ripetere che non è l'area residuale, tant'è che saranno previste specifiche discipline anche<strong>del</strong>la professione medica per essere inserite in quest'area. E purtroppo non si è riusciti a realizzarela tripla direzione aziendale creando anche il direttore <strong>del</strong>l'area socio-sanitaria, ma si è rinviatoalla singola legislazione la possibilità di prevedere la tripla direzione: accanto al direttoreamministrativo e a quello sanitario anche il coordinatore <strong>del</strong>l'area socio-sanitaria.Questa capacità nuova di creare, di far sì che lo psicologo abbia le stesse opportunità <strong>del</strong> mediconon va vissuta come un vecchio metodo di prendere dalla professione medica quello che èl'aspetto più esaltante o più, comunque, tipico, come ad esempio il tendere tutti a diventare psicoterapeutio tutti scegliere poi l'extramoenia, quello insomma che "fa più medico", ma tutt'altro,esattamente il contrario: il riconoscimento che la professione di psicologo, con tutta la suascientificità e operatività, è a tutti gli effetti, con la sua particolarità, senza omologarsi alla competenzae al ruolo <strong>del</strong> medico, ma valorizzando il proprio specifico ruolo, è a tutti gli effetti unacomponente fondamentale <strong>del</strong>la dirigenza sanitaria. Lo psicologo, senza essere un dirigenteparamedico (scusate il termine), può implementare la dirigenza sanitaria con le proprie conoscenze,con il proprio ruolo e con il proprio specifico apporto. Questa specificità, questo apportofondamentale è, tra l'altro, stato riconosciuto dall'iniziativa <strong>del</strong> Ministero <strong>del</strong>la Sanità e <strong>del</strong>Ministero <strong>del</strong>l'Università nel rifare i percorsi formativi di tutte le professioni sanitarie, dovesono state implementate le materie che fanno capo alla psicologia nei corsi di laurea <strong>del</strong>le professionisanitarie, dall'infermiere al medico, materie che prima erano viste come minoritarie,addirittura, per il corso di laurea in medicina, si trattava di esami facoltativi.Qui io tenterei di fare un'ulteriore avanzamento. So che la sanità non è il campo di attività incui tutti gli psicologi intervengono. Però io noto una anomalia, Pierangelo Sardi varie volte l'hanotata, tra la posizione che ha il Ministero <strong>del</strong>la Sanità con le altre professioni chiamate sanitariee la vostra professione di psicologo. Per la normativa attuale voi siete un profilo sanitario enon una professione sanitaria. Oggi che la sanità non è più quella sanità che tutti noi abbiamoconosciuto e vissuto, in cui l'aspetto medicalizzante era l'unica dimensione <strong>del</strong>la terapia, mapone l'accento sulla salute, forse è il caso di pensare anche ad una riforma <strong>degli</strong> Ordini, ad unavostra diversa collocazione all'interno <strong>del</strong>le professioni <strong>del</strong>la salute (non le chiamo neanche piùsanitarie), per far sì che il Ministero <strong>del</strong>la Sanità finalmente, e non in forma residuale, di rimbalzo,abbia una posizione di collaborazione con la vostra professione e con il vostro <strong>Ordine</strong>, ene sia l'interlocutore principale. L'attuale normativa in cui la professione di psicologo interviene,è un campo abbastanza aperto, un campo in cui potrete estrinsecare al massimo le vostrepotenzialità, io anche come abitante di questa Regione, nonché come cittadino e dirigente di una24


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 25USL <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>, vorrei dire la mia su questa questione <strong>del</strong>la <strong>del</strong>ibera <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>. Io non vedo nessunacontraddizione tra una valorizzazione <strong>del</strong>la capacità di dirigenza <strong>del</strong>lo psicologo all'internodi strutture in cui la vostra professione si integri con le altre e la vostra organizzazione specifica.Non solo nelle aziende ospedaliere, ma anche nelle aziende sanitarie locali, io non lascereicadere il momento specifico, e lo vivrei più come un dipartimento che come un servizio dipsicologia, anche per dare poi concretezza completa, concretezza più organica alla psicologia:un dipartimento di psicologia che intervenga anche nel consiglio strategico di direzione <strong>del</strong>leaziende sanitarie che bisognerà fare…Non vedrei in contrasto un momento di organizzazione specifica <strong>del</strong>la psicologia con un momentoin cui gli psicologi sono presenti nelle unità organizzative complesse, semplici, di altriservizi, di altri dipartimenti. Faccio un caso analogo: esiste il dipartimento <strong>del</strong>le risorse, quelloche una volta erano i servizi amministrativi, nulla toglie che vi siano unità amministrative all'internodi dipartimenti non amministrativi, e così è anche per altri interventi. Qui non è dopo 11settembre che da una parte c'è il bene e dall'altra parte c'è il male, le cose possono convivere,sicuramente sono momenti di integrazione e di sviluppo che potranno solo valorizzare il rapportoprofessionale e scientifico <strong>del</strong>la vostra professione e non viverla (è un invito) come unacosa in cui o si è favorevoli o contro. L'azienda sanitaria locale, o l'azienda sanitaria ospedalieranon è un referendum nel modo di organizzarsi, non è una tifoseria, è un dato complesso, organico,un modo di intervenire nuovo, tutto da sperimentare, e allora viviamolo col massimo <strong>del</strong>lasperimentazione, il massimo <strong>del</strong>la predisposizione a mettere in campo risorse, senza pregiudizie senza ideologismi.Grazie.25


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 26Prof. Nino DAZZIPreside <strong>del</strong>la Facoltà di <strong>Psicologi</strong>a 1Università "La Sapienza" RomaIo devo confessare che mi trovo vagamente a disagio perché in un convegno che ha di mira dimensionicosì concrete è oggi più che mai necessario prendere in considerazione la collocazione<strong>del</strong>lo psicologo, <strong>del</strong>la sua identità professionale, dei campi di applicazione ecc.; mettersi sulversante epistemologico mi sembra perlomeno ambizioso: è in qualche modo una maniera didefilarsi rispetto alla concretezza dei discorsi che sono stati fatti qui. Io ho tentato disperatamentedi sottrarmi ma poi non ce l'ho fatta più di tanto, spero solo che quello che vi dirò moltobrevemente e molto sinteticamente non sia completamente incompatibile, o completamente e-straneo, a quello che poi è il prosieguo e il succo di questo convegno.Io sono in una singolare consonanza con la relazione di Lori Zaccaria, perché la mia metaforanon è l'arcipelago ma vedrete che le considerazioni che faccio vanno in qualche modo abbastanzain parallelo. Permettetemi di partire da un aneddoto che riguarda la mia identità professionale:nel '92 rappresentavo l'Italia al convegno <strong>del</strong>la American Psychological Association, (èuna enorme associazione di professionisti, che raggruppa centinaia di migliaia di persone, edera questo il convegno più importante, quello <strong>del</strong> centenario - la psicologia in America è statafondata, sempre convenzionalmente si intende, nel 1892). Io c'ero stato varie volte a questi convegni<strong>del</strong>l'American Psychological Association, questa volta però notai con una certa sorpresache l'articolazione <strong>del</strong>l'American Psychological Association in settori, in gruppi, in divisioni,era in effetti smisuratamente cresciuta dall'ultima volta che l'avevo frequentata (non mi sonooccupato ulteriormente di questo aspetto: oggi sarà arrivata a 50, quella volta, nel '92, esistevanogià 42 divisioni). Prendendo in considerazione con una qualche attenzione queste divisionisi poteva avere la pretesa di ricavarne una sorta di mappa <strong>del</strong>la psicologia. Era una mappa inrealtà molto più interessante per me che ho una sensibilità da storico e da epistemologo, forse,che non per uno psicologo militante, perché era una mappa di articolazioni in qualche modo cresciuteuna sopra l'altra. C'era una divisione di psicologia generale sperimentale, che evidentementeè molto antica; c'era una divisione di psicologia comparata, c'era una divisione di psicologiaclinica, ce n'era una di psicologia dinamica, una di psicanalisi, e alla fine, già nel '92, cen'era una di psicologia <strong>del</strong>le minoranze omosessuali maschili e femminili. La psicologia neglianni si è articolata e frammentata enormemente. Forse se si usa l'aggettivo “frammentata” sembrache si voglia introdurre un'accezione negativa; diciamo allora articolata, e va sempre piùarticolandosi. C'erano allora, in quel convegno, diversi panel cui partecipavano psicologi famosi,tutti con una lunga carriera di ricerca alle spalle, che avevano creduto alla scientificità <strong>del</strong>ladisciplina, in parte alla sua unitarietà e in cui era ancora viva l'aspirazione a perfezionare lanatura scientifica. Basti citare per tutti il nome di Sigmund Kock, editor di una famosa sintesi26


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 27<strong>degli</strong> anni sessanta, in otto volumi, intitolata significativamente "Psychology: the study of ascience", sintesi che raccoglieva i contributi dei ricercatori migliori nei rispettivi ambiti. Il titolodi questi panel suonava come "Esiste ancora la possibilità di avere una unitarietà <strong>del</strong>la disciplinapsicologica"?. Credo che questi panel ormai non tengano neanche più. Sta di fatto che nonc'è, a mio avviso (esprimo una opinione credo non solo personale) oggi una unitarietà <strong>del</strong>ladisciplina psicologica. Non so se questo problema possa porsi anche per altre discipline, certamentenon c'è una unitarietà <strong>del</strong>la disciplina psicologica, non c'è un collante per cui si possadire: lo psicologo studia il comportamento (non studia solo il comportamento) lo psicologo studiala mente (non studia solo la mente). E così via.Possiamo consolarci? Credo di sì. Questa mancata unitarietà ha dei motivi, questa mancata unitarietàha dei pregi e ha dei difetti. Possiamo, io credo, consolarci, perché un neuropsicologomolto autorevole, molto recentemente, un neuroscienziato, anzi, non un neuropsicologo, diceva:nel decennio <strong>del</strong> cervello, che come sapete è stato lanciato negli Stati Uniti dal '90 al 2000,non siamo ancora prossimi ad una concezione unitaria <strong>del</strong>la vita mentale umana. La chiave <strong>del</strong>l'unitarietànon ce l'ha nessuno. Allora la psicologia oggi che cosa è se guardate a questa articolazioneda cui sono partito <strong>del</strong>l'American Psychological Association? E' una sorta di federazionedi tribù, in cui naturalmente se andate a prendere da un lato la neuropsicologia o la psicobiologia,e dall'altro lato invece la psicologia sociale siamo a due estremi molto lontani, inrealtà se disponiamo queste articolazioni disciplinari in un certo modo si passa per transizionedalle une alle altre secondo un criterio che, io direi, è quello <strong>del</strong>la famosa somiglianza di famiglia.Alla fine non sappiamo più esattamente che cosa leghi una psicologia sociale poniamo aduna neuropsicologia, ma sussistono dei tratti che possono indurci a ravvisare una cosiddettasomiglianza di famiglia. Il collante però non c'è più. Quindi uno dei motivi <strong>del</strong> mio imbarazzoera proprio questo discorso epistemologico che avrei dovuto fare per chi me lo ha proposto,riportandomi a qualche cosa che invece io credo sia ormai irrimediabilmente superato: ideologie,filosofie, epistemologie <strong>del</strong>la psicologia che andavano bene negli anni '60, e in cui c'erabisogno di contrapporci al mo<strong>del</strong>lo medico, in cui c'era il bisogno di differenziazione forte, eallora si poneva un problema che vale anche per la medicina, non soltanto per la psicologia. Laframmentazione chi la rimette insieme? Allora si diceva: noi abbiamo una ideologia <strong>del</strong>la persona,il sintomo va integrato, va rimesso in un contesto, mentre il medico frammenta, seleziona,approfondisce, taglia ecc., e non c'è nessuno che rimetta insieme questi vari pezzi.Io credo che questo - adesso per carità non ho il tempo, non è questa la sede di dilungarmi -obbedisse ad una vecchia filosofia, ad una vecchia metafisica che allora andava ancora bene, eche probabilmente va ancora bene su altri livelli ma non va bene come ideologia <strong>del</strong>la psicologia.Io credo che innanzitutto vada sottolineato che la psicologia oggi per certi versi è autonoma,per certi altri versi, a livello di ricerca, è interdisciplinare. Cosa voglio dire? Voglio dire chela psicologia nelle sue origini è stata interdisciplinare, perché aveva preso originariamente imetodi di indagine dalla fisiologia, altrimenti non sarebbe neppure nata come psicologia scientifica.Ha dato forti apporti a metodologie statistiche che erano state sia autonomamente elaborate,sia importate da altri ambiti disciplinari. Oggi evidentemente se uno va a vedere che cosaaccade in quell'area che si chiama <strong>del</strong>le scienze cognitive, la psicologia è un pezzo <strong>del</strong>le scienzecognitive, non è la scienza cognitiva. Dentro c'è informatica, dentro c'è teoria dei sistemi,biologia, genetica ecc., l'ambito è diventato un ambito estremamente complesso.I tentativi riduzionisti che di volta in volta ritornano, con poca fortuna, nella consapevolezza<strong>degli</strong> scienziati più attenti, è di dire, per esempio, abbiamo visto la PET, con tecniche di neuroimmagineche quando uno risolve un problema c'è quell'area <strong>del</strong> cervello implicata; oppure chequando uno è arrabbiato c'è quest'altra; o che quando uno ha un altro comportamento c'è que-27


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 28st'altra ancora. Ecco abbiamo trovato la spiegazione. Non abbiamo trovato la spiegazione: stiamocercando di avere una mappa <strong>del</strong> funzionamento <strong>del</strong> cervello, e questo implica nuove difficoltàe nuove sfide per quanto riguarda la psicologia. I meccanismi sono tutt'oggi praticamenteignoti, soltanto di alcune emozioni, molto basilari, come la paura, conosciamo abbastanza imeccanismi neurofisiologici e quindi possiamo poi trarre una serie di utili indicazioni.Non è unitaria la psicologia e questo si rispecchia anche nell'insegnamento <strong>del</strong>le nostre facoltà.Noi abbiamo tentato di fare una riforma che, non so che esito avrà, è estremamente difficile, difronte ad una disciplina, la quale è scossa da interne contraddizioni, per cui c'è una linea teoricae culturale che ti dice, poniamo, "non vogliamo biologia nei nostri corsi, non vogliamo fisiologianei nostri corsi, noi ci interessiamo di altri aspetti: sociali, di interazione ecc.", oppurequelli invece che ti dicono "dobbiamo rivalutare sempre di più l'ambito neuropsicologico, l'ambitopsico-biologico, i meccanismi di base, le conoscenze di base" non può esserci uno psicologoche non sappia questo. Noi ci troviamo oggi confrontati con spaccature interne e anchecon la difficoltà di riproporre quella vecchia sintesi che nell'85 era stata alla base <strong>del</strong>la riformacurriculare che avevamo fatto, dove c'era forse saggiamente in qualche modo un po' di tutto,una sorta di immagine unitaria o comunque composta dai diversi aspetti collegati <strong>del</strong>la psicologia.Questa riforma dovrebbe essere, io non mi stanco di ripeterlo ai colleghi, non l'occasionedi creare nuove cattedre, nuovi sbocchi professionali, nuove possibilità di carriera, sarà anchequesto, ma principalmente dovrebbe essere una risposta diversa, una risposta più efficace aibisogni <strong>del</strong>l'utenza.Io mi sono sentito dire in anni passati, dolorosamente, con una reazione dolorosa da parte mia,"non ci date quello che vorremmo" da parte <strong>degli</strong> studenti, "non siamo collegati con la societàe con le esigenze <strong>del</strong>la società", "non siamo professionalmente connessi (diciamo così) con lapreparazione che ci state dando". La risposta che abbiamo provato a dare, che adesso riverberapoi su nuove lauree, è quella di creare scuole di specializzazione che naturalmente sono perpochissimi, quindi non è una risposta all'utenza, ma ha costituito una sorta di orientamento eguida per quello che siamo andati facendo, e qualche spunto è tornato nei discorsi di oggi.Abbiamo una scuola di neuropsicologia, e questo direi è stato il frutto di una lotta accanita checi ha visto purtroppo non felicemente contrapposti al mondo medico-accademico, tanto è veroche la scuola è per ora solo <strong>degli</strong> psicologi (dovrebbe auspicabilmente essere anche di altri cheabbiano altre competenze).Abbiamo una scuola di psicologia <strong>del</strong>l'arco di vita, che in realtà significa psicologia <strong>del</strong>lo sviluppo,ma non semplicemente ridotta e limitata all'infanzia, ma che abbraccia anche altri periodidi vita. Abbiamo una scuola di specializzazione in valutazione, questa forse è la più tradizionale(<strong>del</strong> compito <strong>del</strong>la valutazione parla addirittura la legge istitutiva <strong>del</strong>l'<strong>Ordine</strong> <strong>degli</strong> psicologi).Abbiamo una scuola di psicologia <strong>del</strong>la salute, e direi che questo siamo stati preveggentia farlo, perché questo momento la salute, e quindi la prevenzione a tutti i livelli (non solola salute mentale, parlo <strong>del</strong>la salute in generale), è un tema che ci potrebbe caratterizzare inmaniera molto efficace senza cadere nell'errore di ribadire lo stereotipo che ci porta migliaia distudenti in omaggio al fatto che tutti devono essere psicoterapeuti, perché la psicologia è soloed esclusivamente psicoterapia. Noi sappiamo che internazionalmente non è così, la psicologianon è psicoterapia, è anche psicoterapia ma non è soltanto psicoterapia. E la ricerca di base cheadesso si sta avviando anche in ambito di psicologia clinica e <strong>del</strong> controllo sull'efficacia <strong>del</strong>lepsicoterapie evidentemente è una ricerca di base che non attinge certo da quel settore i suoi strumentimetodologici.Allora mi avvio rapidamente a concludere, credo di dovere necessariamente, è etico questo, pernon imbrogliare le persone rispondere a chi mi chiedesse che cosa è la psicologia, che una vera28


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 29risposta, una risposta semplice non c'è. Non c'è una risposta nel senso scientifico serio <strong>del</strong> termine,per cui non dobbiamo fare come la vecchia filosofia aristotelica che alla domanda, "checos'è l'uomo?" ti dava una definizione <strong>del</strong>l'essenza; non c'è una essenza <strong>del</strong>la psicologia, la psicologiastoricamente si è articolata in una serie di ambiti disciplinari molto complessi e diversi,alcuni sono più vicini a certe discipline, altri sono più vicini ad altre discipline, è il progettocomplessivo, è la tendenza complessiva che probabilmente denota l'autonomia, non i singolipezzi, che sono in qualche modo (qui uso quel rimando che faceva Pierangelo Sardi che mi pareimportante) complementari, intrecciati ad altre discipline. Complementarietà non significasubordinazione, si può essere complementari essendo prevalenti, si può essere complementariessendo subordinati, si può essere complementari in tanti modi, io direi che quello che conta èche noi riusciamo oggi, mi esprimo per quello che mi compete - non certo nell'ambito <strong>del</strong>l'ordinamento<strong>del</strong>la professione di cui so troppo poco, ma nell'ambito <strong>del</strong>l'Università -, a dare unaformazione che in qualche modo tenda a rompere vecchi tabù e vecchie subordinazioni anche,a qualunque altra professione sia affine alla professione psicologica, purché si continui a tenerein mente che la più saggia era la posizione <strong>del</strong> vecchio Piaget che vedeva la psicologia comeuna disciplina di integrazione. Non mi nascondo che questo non sarà un percorso facile, perchéqualcuno diceva, tanto tempo fa, mi è rimasto impresso: non basta una legge a legittimare unaprofessione. La legge è di 12 anni fa, credo che abbiamo ancora <strong>del</strong>la strada da fare.Grazie.29


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 31Tavola rotonda“Il mo<strong>del</strong>lo organizzativo <strong>del</strong>le unitàdi <strong>Psicologi</strong>a sul territorio nazionale”31


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 32Chairman Dott. Antonio AZZOLINIDirettore Area Funzionale Omogenea PrevenzioneDipartimento di Salute Mentale ASL FrosinoneLa tavola rotonda di questa mattina tratterà di alcuni mo<strong>del</strong>li organizzativi di servizi di psicologiache si vanno via via attuando in diverse regioni d'Italia.Sono presenti tre autorevoli colleghi, il dr. Luigi Ranzato, direttore <strong>del</strong>la seconda Unita` Operativadi <strong>Psicologi</strong>a <strong>del</strong>l'Azienda Provinciale dei servizi sanitari di Trento; il dr. Gaetano Trabucco,Responsabile <strong>del</strong> Servizio di <strong>Psicologi</strong>a <strong>del</strong>l'Ospedale Civile Maggiore di Verona e il Dr.Giuseppe Sammartano, direttore <strong>del</strong> Servizio <strong>Psicologi</strong>a <strong>del</strong>la ASL N.9, di Trapani.Questi tre nostri illustri colleghi hanno, da qualche tempo, realizzato ciò che qui nella nostraregione è ancora un tabù: l'autonomia organizzativa e la specificità professionale, ciò a cui facevanoriferimento, nelle loro relazioni, sia il nostro presidente sia la vice-presidente Zaccaria.Nella Regione <strong>Lazio</strong> su questi temi vi è sempre stato un grande dibattito, tra i colleghi e nelleorganizzazioni che li rappresentano. Già il primo Consiglio <strong>del</strong>l'<strong>Ordine</strong> <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>, all'indomani<strong>del</strong> suo insediamento, nel 1994, ha affrontato con determinazione questa questione proponendol'istituzione, all'interno <strong>del</strong> SSN, <strong>del</strong> Dipartimento di <strong>Psicologi</strong>a. Tale proposta trovava, etrova, le sue radici nella normativa vigente (DPR 821/84; Legge 56/89; DM 29/92; DM 502/92e successive modificazioni; DM 517/93; DLgs/229/99; DL 254/2000). A tal proposito fu organizzatoun Convegno regionale presso la Sala <strong>del</strong>la Protomoteca in Campidoglio, molto partecipato,nel corso <strong>del</strong> quale si sviluppò un dibattito franco e aperto tra i colleghi mettendo in luce,tra l'altro, le diversità allora esistenti: parte dei colleghi erano senz'altro favorevoli all'autonomiaprofessionale, auspicando la creazione di servizi di psicologia, altri invece temevano chequesto avrebbe comportato un serio pericolo per la nostra categoria, facendoci correre il rischiodi rinchiuderci in una specie di “riserva indiana”.Le recenti riforme intervenute nella Sanità pubblica, ultima in ordine di tempo quella che vasotto il nome di Legge Bindi <strong>del</strong> '99, hanno profondamente modificato le modalità di funzionamento<strong>del</strong> SSN, allo scopo di renderlo più efficiente rispetto al raggiungimento dei suoi obiettiviistituzionali. Questa maggiore efficienza dovrebbe riguardare anche l'Area di <strong>Psicologi</strong>a,resa più articolata con la recente istituzione <strong>del</strong>la “Disciplina di <strong>Psicologi</strong>a” e quella di “Psicoterapia”,quest'ultima condivisa - come sapete - con i medici per ciò che attiene i compiti diagnostici,clinici e terapeutici.Ma l'elemento, a mio avviso, più eclatante ed innovativo riguarda l'introduzione <strong>del</strong> concetto dimanagerialità: tutti i dirigenti appartenenti al ruolo sanitario, in possesso dei requisiti richiesti,possono ricoprire incarichi di direzione di strutture semplici o complesse.Un tema questo, in vero, spesso sottaciuto dalle organizzazioni sindacali e che il Consiglio <strong>del</strong>l'<strong>Ordine</strong>nella passata consiliatura ha ritenuto poco utile affrontare, con la conseguenza che i32


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 33colleghi si sono mossi in direzione sparsa, ciascuno creandosi condizioni e opportunità che la"realtà aziendale" in quel momento offriva loro, tenendosi "in ombra" dalla categoria nel suocomplesso. Al momento attuale, quindi, nel servizio sanitario <strong>del</strong>la regione <strong>Lazio</strong> vi sono nostricolleghi che ricoprono i più svariati incarichi: dagli Uffici <strong>del</strong>le relazioni con il pubblico, aglistaff di direzione sanitaria e/o generale; dalle responsabilità di Aree funzionali a quelle di Unita`operative, etc. etc.È in questa situazione assai confusa che, nella primavera <strong>del</strong> 2000, viene licenziata dalla GiuntaRegionale la <strong>del</strong>ibera n. 1345 che ha come oggetto la regolamentazione <strong>del</strong>le funzioni e l'omogeneizzazione<strong>del</strong>le attività <strong>degli</strong> psicologi territoriali ed ospedalieri.Nella <strong>del</strong>ibera si parla anche di istituzione, in via sperimentale, di Unità di <strong>Psicologi</strong>a da costituireall'interno <strong>del</strong>le macro-organizzazioni che costituiscono le ASL, non definendo un dipartimentoa se' stante ma individuando forme organizzative che comunque prevedono una loro,seppur parziale, autonomia.La <strong>del</strong>ibera, francamente, assai mal scritta e confusiva in molti suoi aspetti, appare sin da subitoinapplicabile, tuttavia l'attuale Consiglio <strong>del</strong>l'<strong>Ordine</strong> - insediatosi da pochi giorni - invitavatutte le organizzazioni rappresentative <strong>degli</strong> psicologi ad accordarsi su una linea di accettazione<strong>del</strong>la <strong>del</strong>ibera. Così è stato. Ciononostante, a quasi due anni di distanza, però la <strong>del</strong>ibera nonè mai stata attivata in nessuna Azienda USL e, per quanto mi risulta, nessun collega psicologoha dato vita ad iniziative di sorta per renderla operativa.Il Consiglio <strong>del</strong>l'<strong>Ordine</strong>, tramite la Commissione Sanità, ha ritenuto indispensabile riprendere ilfilo di questo discorso. Questo Convegno offre l'opportunità di riaprire un dialogo, su questotema, con tutti gli psicologi che lavorano nella Sanità.Sappiamo che all'interno <strong>del</strong>la nostra stessa categoria professionale convivono, ancora, atteggiamentiassai differenziati rispetto a queste problematiche. Si è <strong>del</strong> parere, tuttavia, che troppospesso gli schieramenti in campo derivano da strategie o addirittura da tattiche riferite a situazionicontingenti, spesso poco discusse all'interno dei singoli gruppi, a volte poco confrontatecon le esperienze di lavoro dei singoli psicologi, o con i principi epistemologici che nei fattiorientano il nostro lavoro.Lo spirito di questa giornata di lavoro è quello di offrire un'occasione affinchè chi ha qualcosada dire in proposito lo possa fare liberamente senza precostituire schieramenti di parte o dogmiinfallibili da dover difendere.33


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 34“L’Unità operativa <strong>del</strong> Trentino”Dott. Luigi RANZATODirettore Unità Operativa di <strong>Psicologi</strong>a n. 2 di TrentoNon riesco ad uscire da questa riserva indiana e da questa cosa di confine, così come oggi è statadefinita dai colleghi, l'Unità Operativa di <strong>Psicologi</strong>a o il Servizio di <strong>Psicologi</strong>a; evidentementeper me è una casa aperta, è una stazione dove ci si incontra, dove si può avere quella capacitàdi discorso che ci permette di pensare, ma anche di interloquire con gli altri, ed allora mi riportoda questa riserva indiana anch'io il mio libricino <strong>degli</strong> aforismi. Il primo è un aforisma dicarattere filosofico: "uno è molteplice", che è un problema che attraversa tutta la storia <strong>del</strong>lafilosofia. “Uno e molteplice” non è un dilemma, “o uno o molteplice”, ma è una dialettica. Ilsecondo è di carattere psicologico, non <strong>del</strong>la psicologia come scienza, ma come applicazionecome ricerca <strong>del</strong>la psicologia, cioè che “non si può essere con gli altri se non si è anche con sestessi”. Il terzo aforisma è legato a quello che è stato definito come interesse correlato allascienza, alla epistemologia <strong>del</strong>la psicologia, e allora il mio aforisma è questo: “che lo psicologonon è la psicologia”. Qui continuamente si confonde questo concetto. Lo psicologo non è lapsicologia. E ancora un quarto aforisma: “l'unità operativa è parte di un tutto dove ci sono altreunità operative”. Infine l'aforisma sindacale che si radica nella mia militanza come fondatore<strong>del</strong>l'AOP moderno negli anni 80: “le scorciatoie <strong>del</strong>l'equiparazione psicoterapeutica non pagano”.Questi sono i miei aforismi, questi sono i miei punti di riferimento, queste sono le coordinatein cui mi sto muovendo e allora voglio dire, rispetto alla dimensione <strong>del</strong>la riserva, che preferiscole Montagne <strong>del</strong>la Luna dove per un anno in Ruanda sono stato a fare lo psicologo e dove,guarda caso, in un progetto <strong>del</strong>l'Unicef ero il responsabile <strong>del</strong>l'unità di lavoro e intervento dipsicologia accanto all'unità medica pediatrica, accanto all'unità logistica, accanto all'unità pedagogica,mi viene da dire accanto all'unità dei gorilla <strong>del</strong>le Montagne <strong>del</strong>la Luna.Oggi in realtà non possiamo parlare molto <strong>del</strong>l'unità operativa, dobbiamo però almeno dire chepuò esistere l'unità operativa, che non è quella riserva indiana, che non è quella terra di confine,che non è quell'orto concluso in cui noi a volte giocando con le parole rischiamo di confonderci.Ed allora ritorniamo alle radici, perchè credo che sia importante, andiamo alla storia: c'èuna documentazione - noi dobbiamo parlare di qualcosa che ha avuto un'elaborazione di 10anni, io ho segnalato solo alcuni dei documenti che noi potremmo analizzare, alcuni si trovanonel sito <strong>del</strong>la Sipsot: Società italiana di psicologia dei servizi ospedalieri e territoriali ha comeprimo obiettivo l'organizzazione dei servizi di psicologia nel servizio sanitario. Poi c'è un vecchiolibretto fatto dall'AUPI nel '91, sono 10 anni, in cui viene tratteggiata, la legislazione, l'esperienzae le proposte, poi ci sono dei libri importanti come quello di Salvi, il Portolano di <strong>Psicologi</strong>a,poi c'è un numero unico che sono andato a rintracciare “<strong>Psicologi</strong>a clinica, l'organiz-34


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 35zazione <strong>del</strong>la psicologia nei servizi: dibattito per una nuova organizzazione dipartimentale dipsicologia nel servizio sanitario nazionale”, è stato stampato con un anno o due di ritardo in psicologiaclinica, ma si riferisce ad un dibattito e <strong>del</strong>le iniziative fatte proprio dalla regione <strong>Lazio</strong>.Poi c'è un testo <strong>del</strong> dottor Trabucco, c'è un recentissimo testo <strong>del</strong> dottor Sammartano, poi si puòcitare la dottoressa Vaccari, perché ci da la sensazione di come lavorare all'interno <strong>del</strong>le unitàoperative di psicologia (tenete presente che io parlo di unità operativa, si può anche modificaree parlare di servizio o di dipartimento), l'unità operativa è il nucleo da cui si parte. In alcunilucidi che ho portato c'è la descrizione <strong>degli</strong> sbocchi professionali di una importante facoltà dipsicologia <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>, cioè la prima Facoltà di psicologia di Roma, in cui i due corsi triennalidefiniscono gli sbocchi professionali: sono citati tutti i servizi, sono citate tutte le modalità difare lo psicologo nella sanità… ma qualcuno ha immaginato che gli psicologi lavorano nei servizidi psicologia? Ho guardato anche le altre Facoltà di psicologia: non c'è traccia di questaidea che ci sia uno psicologo che va in un servizio. Ma insomma, se io vado alla facoltà di medicinae faccio la specialità di chirurgia so che vado nella unità operativa di chirurgia (che unavolta si chiamava reparto divisione, oggi si può chiamare anche dipartimento), se faccio l'anestesistavado in una unità operativa di anestesia ed è chiaro che come anestesista non faccio l'anestesianel mio ambulatorio, lo faccio nella camera chirurgica e via discorrendo, ma questesono sottigliezze perché poi in questi giorni i sindacalisti sanno che si stanno costituendo, sisono costituiti sottraendo i posti agli psicologi, questo è scritto nella legge, i servizi infermieristici.Eh, c'è una norma che dice che i posti lasciati vacanti dagli psicologi vengono utilizzatidalle Asl per dare il posto di dirigente infermieristico agli infermieri.Andiamo avanti: è chiaro che allora intorno a questo discorso abbiamo a che fare con il mo<strong>del</strong>lodi psicologo (più volte si è fatto riferimento a questo, nella mattina), ma anche di psicologiaevidentemente, il mo<strong>del</strong>lo di servizio sanitario e il mo<strong>del</strong>lo di cittadino utente; dico questo perchéi cittadini utenti hanno imparato le articolazioni <strong>del</strong>la psicologia: a me i dirigenti vengonoa chiedermi un intervento psicoterapeutico di un indirizzo particolare, vuol dire che la culturapsicologica, transitata forse attraverso i mass media, ha dato <strong>del</strong>le idee, ha dato <strong>degli</strong> input, ilcittadino utente non vuole che quando si rivolge ad un servizio e chiede lo psicologo debba passareattraverso l'infermiere, attraverso lo psichiatra, attraverso l'amministrativo che dica adognuno il suo problema per poi arrivare allo psicologo dicendo “ma insomma!”, è come seappunto dovesse andare da un chirurgo e dovesse fare una trafila attraverso l'assistente sociale,lo psichiatra ecc. Continuando, transitiamo rapidamente sull'idea che 10 anni fa noi avevamoipotizzato <strong>del</strong>le strutture di psicologia che coesistevano, diciamo unità operative di psicologiache coesistevano in altre unità operative o in servizi multi disciplinari; questo era un mo<strong>del</strong>lo,una possibilità, tenete conto che le variabili sono sempre il bacino di utenza, la grandezza <strong>del</strong>lestrutture e il numero <strong>degli</strong> psicologi, altrimenti non si fa organizzazione, si fanno solo ideologie;un'altra ipotesi era che l'unità operativa di psicologia convergeva in base agli ambiti, aidistretti e in base alle specializzazioni, coesisteva in un servizio di psicologia un servizio che sipotrebbe definire di tipo dipartimentale; un'altra ipotesi era quella dei distretti, dei distretti insenso stretto, allora il servizio di psicologia era dipartimentale; e un'altra possibilità è quella chenoi abbiamo realizzato, e velocemente poi vi dirò come, in provincia di Trento, un'azienda provincialeunica supportata da 11 distretti che erano le vecchie USL, l'azienda divisa in due parti:una parte nord e una parte sud. Io dirigo la parte sud, quella con meno abitanti, 170000 abitanti.L'unità operativa di psicologia, proprio perché non è una terra di confine o una riserva, operatrasversalmente in tre distretti sanitari e opera in altre strutture come quelle ospedaliere, comequelle dei consultori, questo significa che abbiamo tutti chiaramente l'idea che l'unità operativadi psicologia non può essere un arroccarsi dentro un castello dove si fanno <strong>del</strong>le cose scono-35


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 36sciute, ma l'unità operativa di psicologia è il momento di confronto, di articolazione, di aggiornamento,di rapporto con il pubblico. Io mi diverto sempre quando vengo a Roma, immaginandodi essere un cittadino magari extracomunitario, ma anche solo un cittadino meno evoluto,che guarda e cerca uno psicologo nel servizio sanitario; per fortuna, i cittadini di Trento, diRovereto, di Tione, guardano sull'elenco telefonico e nell'elenco di tutti i servizi, unità operativecomunque chiamate, trovano anche il servizio di psicologia, ma se voi guardate in internetun qualunque ospedale americano, altro che confusioni, guardate e cliccate in tutti i dipartimenti,dipartimento di psichiatria, dipartimento di psicologia - all'interno ci sono le unità operativedi psicologia <strong>del</strong>la salute, psicologia clinica, neuropsicologia. Allora gli elementi perchéci sia un servizio, naturalmente, è che ci sia un gruppo di psicologi e il gruppo di psicologi significaproprio che l'idea che una psicologia = uno psicologo non può esistere, significa più psicologi,più specializzazioni, più punti di vista, più metodi, significa anche che l'attività che si puòfare migliora se l'attività non viene svolta dal singolo che ha mal di pancia, che si imbosca, cheè appassionato di un metodo rispetto ad un altro, ma che sa rapportarsi in maniera concreta,seria ai cittadini. Una sede: una sede non vuol dire che tutti i giorni, tutti i momenti gli psicologisono nella sede, vuol dire anche che gli psicologi devono essere in una sede in cui devonoesserci anche ambulatori, vuol dire anche che gli psicologi hanno altri ambulatori presso altresedi. Come psichiatria se volete, come la neuropsichiatria, come l'ospedale con i vari repartiecc.; questo è fuori dubbio, voglio dire noi abbiamo un regolamento addirittura in cui vengonopenalizzato nella parte <strong>del</strong> salario variabile gli psicologi che non accettassero di spostarsi, diriferirsi con mobilità presso altri servizi. Questo è un regolamento <strong>del</strong>l'unità operativa che èstato sancito dall'azienda per cui verrebbe penalizzato lo psicologo che volesse stare solo edesclusivamente nel suo ambulatorio con scritto il suo indirizzo terapeutico. Significa avere uncoordinatore. Voi sapete che in Italia noi abbiamo avuto centinaia di generali senza esercito.Sono i primari psicologi equiparati agli psichiatri, voluti dagli psichiatri perché erano senzaesercito. In tutte le norme <strong>del</strong>la sanità noi non dobbiamo fare <strong>del</strong>le leggi in più, ci sono tuttequeste leggi perché quando io facevo un concorso per psicologo dirigente negli anni ottanta,dovevo avere il mio esercito. Abbiamo le specialità per fare i concorsi, abbiamo il secondo livello,una volta si chiamava undicesimo e adesso si chiama direttore di struttura complessa o distruttura semplice. Io non capisco perché cerchiamo di avere ulteriori leggi particolari se leabbiamo già. Naturalmente ci sono le prestazioni e qui tutti abbiamo ripetuto mille volte chenon vi è solo la psicoterapia, chiaramente l'utilizzazione <strong>del</strong> tariffario è limitata, però le prestazioni<strong>degli</strong> psicologi sono anch'esse articolate, non sono univoche e alle prestazioni si aggiungonotutte le attività di consulenza, di prevenzione e di educazione. Infine ho citato l'archivioma non è un archivio, non è un magazzino. Archivio significa avere un sistema di flussi informativiin andata e ritorno da parte <strong>del</strong>l'azienda, significa quello che una volta si chiamava la raccoltadei dati. Significa, signori miei, che nel momento in cui io a livello di distretto mi incontroogni settimana col primario psichiatra, col primario neuropsichiatra, col primario di igienee sanità pubblica e con altri tipi di direttori, viene fuori per esempio la questione: come mai daquando c'è l'unità operativa di psicologia la psichiatria non ha più le prestazioni. Perché mancalo psicologo. Voi pensate che un servizio che si chiama di psichiatria non abbia le prestazionipsichiatriche? Che significa appunto psicoterapia, diagnosi, test ecc? Questi sono gli aspetti dicarattere economico su cui andrebbe fatto un serio discorso. Ecco, io mi avvio a chiudere e vicito <strong>del</strong>le definizioni di cui sono grato al presidente <strong>del</strong>l'<strong>Ordine</strong> <strong>del</strong> trentino, la dottoressa Gatti.Questa è una parte di un documento ufficiale che l'<strong>Ordine</strong> ha presentato all'assessorato e aldirettore <strong>del</strong>l'azienda per organizzare e migliorare, dopo alcuni anni di servizi di unità operativa,migliorarne la funzionalità. C'è stato il tentativo di definire le unità operative di psicologia36


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 37attraverso le parole magiche <strong>del</strong>l'azienda che comunque usiamo. Il mo<strong>del</strong>lo di riferimento diun'unità operativa di psicologia è quello di un'organizzazione che fornisce processi assistenzialidi natura psicologica nel rispetto <strong>del</strong>le esigenze <strong>del</strong>le aspettative dei cittadini conciliando leloro attese con gli obiettivi <strong>del</strong> servizio stesso e di tutte le parti interessate. La missione <strong>del</strong>leunità operative di psicologia è rispondere ai bisogni di promozione, mantenimento e recupero<strong>del</strong>la condizione di salute psicologica <strong>del</strong>la popolazione attraverso attività e prestazioni sanitariee sociosanitarie ad alta integrazione sanitaria di assistenza psicologica erogata nelle variesedi territoriali ed ospedaliere. Le unità operative di psicologia assicurano il coordinamento tecnicoprofessionale, la programmazione e la verifica <strong>del</strong>le attività dei loro psicologi e dei liberiprofessionisti incaricati operanti nell'azienda sanitaria. Vi è poi l'integrazione professionale<strong>degli</strong> psicologi operanti con gli altri servizi ed unità aziendali. Alle unità operative di psicologiaviene altresì assegnato il coordinamento e la verifica <strong>del</strong>l'operatività <strong>del</strong>le figure professionalidi psicologo con laurea triennale previste dal decreto legislativo <strong>del</strong>l'ordine <strong>del</strong>l'università.Voi immaginate gli sbocchi professionali per il triennalista che va negli altri servizi, cosa succederebbeattraverso questa dispersione, questa diffusione di identità? Noi crediamo che lanostra cultura non venga omogeinizzata, globalizzata dalle altre discipline. Noi abbiamo <strong>degli</strong>psicologi bravissimi a essere psichiatri, piccoli psichiatri, ad essere piccoli assistenti sociali. Mache scherziamo? Il servizio di psicologia ci permette anche questa possibilità, di far funzionareprofessionalmente e non come aiutanti, come segretari, i cosiddetti psicologi junior. In questomomento nella mia unità operativa siamo in 12 psicologi strutturati in organico, abbiamo alcunipsicologi consulenti, abbiamo 10 tirocinanti e 5 specializzandi. Sono una ricchezza. Sono unaricchezza che si può far emergere anche perché portano informazioni, portano conoscenze chenoi “vecchi”, diciamo, abbiamo in parte perduto, che dobbiamo rintracciare e che ci permettonodi dare l'idea alle persone, ai cittadini, che c'è un servizio che si fa carico e non un singolopsicologo che poi ad un certo punto sparisce, non si sa dov'è, si è trasferito ecc. Questo è il senso<strong>del</strong>l'enfasi che io do al problema <strong>del</strong>l'unità operativa. Noi ci siamo dati in questo momento dueprogetti nel nostro budget annuale. Abbiamo un budget dove vengono definite le azioni chedevono fare gli psicologi che naturalmente è incentivato, ma non solo, è essenziale per potercontinuare affinché venga riconosciuto l'organico che c'è e che dev'essere semmai aumentato. Idirettori <strong>del</strong>l'azienda ci dicono: voi potete anche diminuire le prestazioni ne fate troppe. Voidovete dirci se sono appropriate, se sono efficaci, voi dovete dire se siete efficienti nel vostrolavoro perciò abbiamo impostato il nostro lavoro in due modi. Uno, abbiamo dato una caratterizzazioneorganizzativa che da qualche anno stiamo in realtà sperimentando che è l'accettazione.Cioè noi accogliamo la domanda <strong>del</strong> cittadino senza le lunghe liste di attesa in modo cheentro la settimana venga e proponga il minimo <strong>del</strong> problema che ci dice per telefono, si fa unabrevissima scheda anamnestica, gli si dice cosa deve fare per venire dallo psicologo e gli si diceche in base a questa sua richiesta gli verrà segnalato lo psicologo che il servizio ritiene più adattoin base alla specialità, in base al sesso (perché a volte chiedono un uomo a volte chiedonouna donna), rispetto all'intervento psicologico. Questa è stata la prima scelta, che è una sceltaorganizzativa. La seconda scelta che noi abbiamo fatto è stata quella di impostare <strong>del</strong>le attivitàin rapporto alla qualità. Come per esempio con <strong>del</strong>le linee guida che stiamo studiano, lineeguida diagnostiche - terapeutiche in base a <strong>del</strong>le patologie o a <strong>del</strong>le richieste particolari. Neabbiamo cinque di questi progetti, quello che riguarda il ritardo mentale, quello che riguarda ladepressione ecc. Infine abbiamo approntato alcune iniziative che sono premiate dall'aziendarispetto a dei lavori di ricerca, uno di questi è la valutazione <strong>del</strong>l'efficacia pratica <strong>del</strong>l'interventodi psicoterapia o il servizio territoriale di psicologia. Un collega ne ha l'incarico, e su questoaddirittura è stato avviato dal direttore <strong>del</strong>l'azienda a fare una formazione specifica relativa-37


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 38mente alla qualità. Abbiamo per esempio un progetto sperimentale <strong>del</strong>la valutazione <strong>del</strong>l'efficaciapratica, <strong>del</strong>l'intervento psicologico nell'ambito <strong>del</strong> day hospital oncologico.Ora devo chiudere e chiudo un po' con quella passione che qualcuno rievocava e che bisognaavere rispetto alla propria professione, rispetto alla propria identità e rispetto anche a questi chesono servizi e ricerche in cui noi siamo impegnati.38


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 39“L’intervento psicologicoin Ospedale Generale”Dott. Gaetano TRABUCCOResponsabile <strong>del</strong> servizio di <strong>Psicologi</strong>aOspedale Maggiore, VeronaMi presento, io lavoro a Verona in un grande ospedale generale da moltissimi anni, i capelli loconfermano. Un ospedale dove esistono tutti i reparti specialistici dove vengono svolti tutti i tipidi trapianti. La nostra esperienza si è sviluppata nel corso di questi anni: siamo nati in una strutturaquando ancora esisteva il servizio di neuropsichiatria, la neurologia non era separata dallapsichiatria, ma una volta che è avvenuta la separazione non siamo mai andati in psichiatria,siamo rimasti amministrativamente collegati alla neurologia. Proprio in questi giorni nel Venetostiamo discutendo una legge istitutiva <strong>del</strong> servizio di unità operativa autonoma di psicologiaospedaliera - come struttura complessa in tutte le aziende ospedaliere e negli ospedali capoluogoe come struttura semplice nelle periferie e negli altri ospedali. In questo intervento volevosoffermarmi un attimo sul piano concettuale, cioè “sistemare” un po' l'ambito <strong>del</strong>la psicologiaospedaliera - cosa fanno gli psicologi in un ospedale generale, come si muovono - e poi vimostrerò in concreto, semplicemente e rapidamente, come lavoriamo noi. Negli ultimi vent'annila psicologia ospedaliera, anche in Italia, seppur con ritardo, ha avuto un notevole sviluppo.Io credo che siano tre i fattori fondamentali che hanno spinto in questa direzione. Intanto, c'èstato un incremento fortissimo <strong>del</strong>la domanda di psicologia, di salute psicologica, all'interno<strong>degli</strong> ospedali, da parte dei pazienti, dei familiari e anche da parte <strong>degli</strong> operatori, e qui a questoproposito vorrei fare una piccola sottolineatura: ricordiamoci che i pazienti arrivano quasisempre da noi su invio <strong>del</strong> medico, quindi il conflitto con i medici è una grande favola perché95 volte su 100 i nostri committenti sono i medici con i quali abbiano <strong>degli</strong> ottimi rapporti e<strong>del</strong>le grandi collaborazioni; secondo, c'è stata una progressiva crescita <strong>del</strong> numero di operatorisanitari, compresi medici, infermieri e altri che hanno capito che per fare meglio il loro lavorodevono dotarsi di strumenti e competenze anche di natura psicologica, quindi che voglionoandare oltre il buon senso, oltre la sensibilità, oltre lo spontaneismo, oltre l'umanità, tutte quellepalle che conoscevamo in passato; ed infine, la consapevolezza <strong>del</strong>la efficacia: tutti oggi sonoconsapevoli, l'ha detto anche il nostro rappresentante <strong>del</strong> ministero prima, che nessuna aziendapuò mettere in piedi un progetto di miglioramento <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>l'efficacia e <strong>del</strong>l'efficienzalavorativa senza includere la presenza <strong>del</strong>lo psicologo, pena il fallimento di questi progetti.Allora lo sforzo che io volevo fare insieme a voi era di definire le quattro questioni fondamentaliche abbiamo noi come psicologi, cioè: cosa fa, di cosa si occupa la psicologia ospedaliera,con chi lo fa, come lo fa e dove fa fatto tutto questo. Andiamo con ordine. Diciamo subito chela psicologia ospedaliera si occupa dei disturbi psicologici, emotivi, affettivi dei pazienti degentio ambulatoriali e <strong>del</strong>le difficoltà relazionali <strong>del</strong>le persone normali - “normali”, questo è unfatto importante, tutte queste problematiche che ho citato raramente sono di natura psichiatrica39


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 40e richiedono un intervento stretto in senso psichiatrico, e anche laddove lo richiedono vannoinquadrate nell'ottica <strong>del</strong>la dialettica emotiva ancorché intensa e talvolta criptica <strong>del</strong>la vita emotivadi una persona normale che per qualche ragione si rivolge ad un ospedale. Quindi, nellospecifico, si occupa <strong>del</strong> disagio <strong>del</strong>le persone che afferiscono all'ospedale generale (chi per unaccertamento chi per una patologia grave), <strong>del</strong>la sofferenza emotiva collegata ai gravi quadriclinici, alle patologie croniche, alla prognosi infausta; interviene in protocolli specialistici comepuò essere il trapianto d'organi, la chirurgia addominale, la chirurgia oncologica <strong>del</strong> seno per ledonne o quella urologia per gli uomini così via; ma interviene anche su altri livelli, in progettidi miglioramento <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>la vita dei malati - per ciò che riguarda la formazione <strong>degli</strong>operatori che lavorano con quei malati di cui vi accennavo poc'anzi -, nei processi aziendali -l'azienda ha bisogno <strong>del</strong>l'intervento <strong>del</strong>lo psicologo per governare alcuni processi, altrimentinon li realizzerà mai. Riassumendo, le aree interessate dall'intervento psicologico in ospedalegenerale sono sostanzialmente queste: l'area <strong>del</strong>la sofferenza psicologica - intendendo la sofferenza<strong>del</strong> paziente o anche dei suoi familiari e talvolta <strong>degli</strong> operatori -, l'area <strong>del</strong>la formazione<strong>degli</strong> operatori - <strong>del</strong>l'organizzazione <strong>del</strong> lavoro quando implica questi processi - e naturalmentequella <strong>del</strong>la promozione <strong>del</strong>la salute. A chi si rivolge la psicologia ospedaliera? Gli utenti<strong>del</strong>la psicologia ospedaliera secondo noi sono questi: sono i malati, i familiari, gli operatori e lastessa istituzione ospedaliera è utente <strong>del</strong> servizio di psicologia e vedremo perché. Naturalmenteper i malati si articola in tutte quelle cose che fanno gli psicologi, cioè la consulenza e l'assistenza,la psicodiagnosi e così via. Interviene nelle aree criptiche, nelle patologie, come dicevamo,speciali, gestisce problematiche psicologiche che inevitabilmente accompagnano questeesperienze, gestisce gli effetti di questo disagio sui pazienti, sui familiari e sugli operatori, comedicevo, collabora con protocolli specifici nell'ambito <strong>del</strong>le patologie speciali ecc. ecc. Tuttoquesto non solo è un'attività svolta al servizio <strong>del</strong> paziente, ma è qualcosa che serve anche all'aziendaperché, vi faccio un esempio concreto, agevolare la dimissione di un paziente traumatizzatocranico di trent'anni, che è caduto in motocicletta e torna a casa emiplegico, che doposei mesi di ricovero deve essere dimesso e alla dimissione c'è la moglie ventiseienne casa chelo aspetta, è un problema: in questi casi di solito alla dimissione accade che compaia un mal dipancia, compaia un sintomo, questo significa nuovi esami, nuovi accertamenti, una settimanadi ricovero e il DRG (diagnosis related group) che si occupa un po' di costi sa cosa significhi.Il familiare è un altro ambito di intervento importante, a proposito di DRG, il familiare è unarisorsa preziosa per la gestione <strong>del</strong>le patologie croniche: chi si trova ad occuparsi di un malatoche per esempio ha una sclerosi multipla che può durare molti anni nella vita, o un malato cheha una demenza anche se non molto grave, può spesso accadere che lo porti in ospedale nonperché ha necessità di ricovero ma per alleggerirsi un attimino. Pensate che gli Americani consideranonei loro pagamenti <strong>del</strong>l'assicurazione la presenza o l'assenza <strong>del</strong> supporto familiare,“family support”. Per fortuna noi non abbiamo ancora questo problema, le famiglie aiutano iloro parenti, ma il supporto familiare va gestito, va governato, va aiutato, va sostenuto, anchequi quindi è importante considerare i costi-risparmi.Poi ci sono gli operatori: bisogna tener presente che una equipe disfunziona quasi sempre perproblemi di natura psicologica e relazionale. In area critica questo è un problema, il nostromo<strong>del</strong>lo integrato nasce proprio per interventi in area critica, in quest'ambito è banale dire chec'è il burn-out, è un giocattolino, succedono mille altre cose che vanno governate, che incidonoe disfunzionano sul piano <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>l'assistenza, sul piano <strong>del</strong>l'efficienza e quindi <strong>del</strong> rendimentofinale. Per questo l'intervento <strong>del</strong>lo psicologo è fondamentale.L'istituzione ospedaliera è utente <strong>del</strong> servizio di psicologia nel senso che, se vuole intervenirein quelle dimensioni che sono gestite là, ha bisogno <strong>del</strong> supporto <strong>del</strong>lo psicologo, altrimenti l'in-40


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 41tervento non ha luogo o viene fatto male, ovvero non produce gli effetti desiderati; ecco, quindiil servizio di psicologia interviene anche per la gestione di problemi come il mobbing e ilbossing, (noi al nord abbiamo il “bossing” che è un po' più problematico).Chi sono gli psicologi ospedalieri? Gli psicologi ospedalieri sono sostanzialmente <strong>degli</strong> psicologiclinici, devono essere <strong>degli</strong> psicologi clinici, prima di tutto perché fanno tutte quelle coseche fanno gli psicologi clinici, ma devono avere anche <strong>del</strong>le altre competenze, come vediamo,devono sapere qualcosa di psicologia <strong>del</strong>l'organizzazione, psicologia di comunità, psicologia<strong>del</strong>la salute, non devono essere tuttologi, ma devono per lo meno capire in quali ambiti si staintervenendo e come fare. Allora la questione successiva è come va organizzata la psicologiaospedaliera (vi risparmio una elaborazione che quindici anni fa avevamo fatto anche con l'aiuto<strong>del</strong> dott. Ranzato), l'organizzazione <strong>del</strong> lavoro è qualcosa che ha a che vedere con l'attivitàclinica, gli psicologi non possono manifestare, esprimere a pieno la potenzialità <strong>del</strong>le loro tecniche,<strong>del</strong>le loro metodiche, <strong>del</strong> loro agire senza l'autonomia professionale - e noi diciamo anchegestionale. Quindi un servizio di psicologia deve essere centralizzato, autonomo, deve averecompiti gestionali ed organizzativi, deve avere un budget proprio e deve collocarsi in mododipartimentale, se possibile, o, meglio, in ospedale interdipartimentale. Noi a Verona abbiamofatto questa scelta: rimaniamo lì dove siamo perché non vogliamo andare nel dipartimento disalute mentale - piuttosto nel dipartimento di medicina, ma non nel dipartimento di salute mentale,per le ragioni già accennate. Purtroppo l'assenza di autonomia comporta un sacco di cosenel lavoro <strong>degli</strong> psicologi, c'è il rischio <strong>del</strong>la parcellizzazione <strong>del</strong>le tecniche e <strong>del</strong>le metodichee poi il rischio di non rispondere veramente ai bisogni di salute <strong>del</strong>le persone. Vi racconto unaneddoto: nel Veneto, un nostro collega psicologo insieme ad una giornalista si erano finti maritoe moglie in crisi (lui aveva tradito la moglie), hanno girato una serie di servizi in alcuneaziende e tutti quanti gli hanno proposto prima la visita dallo psichiatra, anche se loro chiedevanola visita psicologica; alla fine hanno fatto la visita dallo psichiatra (non in diversi posti, nehanno scelto uno), lo psichiatra è stato un po' ingenuo: a lui ha detto “la prossima volta che faiquesta roba falla un po' meglio, vedi come è ridotta”, e a lei ha detto “prenditi un po' di antidepressivoche sopporti meglio!”. Solo che i colleghi avevano un registratorino in tasca e questacosa l'hanno passata ad un giornale. Provate ad immaginare quello è successo: abbiamo eliminatola prima visita dallo psichiatra! Ma sul piano <strong>del</strong>le tecniche e <strong>del</strong>le metodiche, devo dire,come d'altronde ha già detto Ranzato, il problema più grave per noi è la diffusione <strong>del</strong>l'identità,ha ragione il professor Dazzi a dire che non esiste una unitarietà <strong>del</strong>la disciplina, ma questo nonsignifica che non debba esistere una unitarietà <strong>del</strong>la professione, o no? Quindi gli psicologi,senza questo, vanno incontro a situazioni critiche, loro stessi diventano, lo abbiamo sentito stamattina,diventano oggetto di mobbing, o bossing, istituzionale, vengono espulsi piano pianodal sistema, anche se poi il dott. Proia per fortuna ci ha offerto questo salvagente <strong>del</strong>l'area socioassistenziale. Il servizio autonomo di psicologia invece garantisce una serie di cose, garantisceai cittadini facilità di accesso al servizio, consente di fare <strong>del</strong>la epidemiologia dei bisogni disalute psicologica, programmare interventi in maniera efficace e quindi valutare le prestazioniche vengono offerte, servano o non servano. L'anno scorso a Bologna sentivamo di un quartiere<strong>del</strong>la città dove c'è un'incidenza di molestie sessuali sui bambini figli di extracomunitari trentacinquevolte superiore alla media nazionale, ma perché? Perché c'era uno psicologo a cui “piaceva”questa cosa e faceva questa cosa, per cui tutti erano visti in questa ottica. Questo descrittoè un caso limite, ma in generale l'autonomia <strong>del</strong> servizio consente unitarietà <strong>degli</strong> interventi,integrazione <strong>degli</strong> interventi, supervisione, garanzie di qualità, verifica di continuità, e così via.Nel Servizio di psicologia nel quale io lavoro, a Verona, ci sono tre psicologi strutturati, due psicologia contratto, abbiamo anche una segretaria, part-time, ma ce l'abbiamo, abbiamo un tiro-41


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 42cinante e abbiamo due frequentatori, uno specializzando con cui stiamo ancora definendo laconvenzione - vedremo come fare per sistemare questo spazio che ci viene richiesto; lavoriamoall'interno <strong>del</strong>l'ospedale in senso, come dicevo, interdipartimentale, cioè trasversale al servizio,noi forniamo assistenza a tutte le divisioni, i reparti, là dove l'intervento psicologico vienerichiesto, e abbiamo integrato questa funzione sul mo<strong>del</strong>lo - per darvi un idea - <strong>degli</strong> anestesisti,per cui va stabilito quanto <strong>del</strong> tempo lo psicologo deve partecipare al lavoro di equipe; questoper avere un'idea <strong>degli</strong> ambiti dei quali noi ci occupiamo in questo momento, naturalmentelavoriamo molto per protocolli, dividendo i due settori che per noi sono fondamentali: tutti ireparti d'area critica (dal centro ustioni, alle terapie intensive, alla dialisi, all'oncologia mammaria,alla riabilitazione per alcuni aspetti) e l'ambito dei trapianti, che ci assorbe molto perché,come dicevo, questo è un ambito in grande espansione; però facciamo anche <strong>del</strong>le altre cose inambiti non critici e naturalmente svolgiamo fin là dove possibile <strong>del</strong>le attività di tipo ambulatorialeper i pazienti esterni che autonomamente chiedono la prestazione. Tutto questo è improntatocon la possibilità di raccogliere dati e sistemare dati, riusciamo a svolgere anche qualchepiccola riflessione sul piano <strong>del</strong>la ricerca applicata all'attività clinica, abbiamo chiuso l'annoscorso un lavoro che è durato tre anni <strong>del</strong>la verifica <strong>del</strong>la efficacia <strong>del</strong>l'intervento psicologico inambito dialitico, abbiamo presentato a Verona questo materiale che è pubblicato a cura <strong>del</strong>l'aziendasu un libricino recentissimo di novembre scorso e credo che il Sole24ore ci ha dedicatoun po' di interesse, nei prossimi giorni mi auguro uscirà questa cosa, quindi sarà un po' più estesa.Come rappresentante <strong>del</strong>la Sipsot (sono un referente nazionale <strong>del</strong>l'area <strong>del</strong>la psicologia ospedaliera),ho visitato diverse realtà <strong>del</strong> nostro paese e devo dire che, da un'indagine che abbiamofatto sulla normativa oggi esistente in Italia rispetto alle regioni che hanno legiferato e che stannolegiferando, esiste uno spazio normativo percorribile e non corrisponde a questo spazio normativopercorribile un'altrettanta e forte passione da parte <strong>degli</strong> psicologi nella realizzazione,nell'occupare questi spazi che la norma seppure in maniera contraddittoria o confusiva ci offre.E allora perché la psicologia ospedaliera è una risorsa per il servizio sanitario nazionale? Perchéchi ha letto il piano sanitario nazionale, come l'abbiamo letto noi, come l'ha letto il dottorProia che stamattina vi faceva riferimento, si è accorto di alcune cose. Ma lui ha avuto un'amnesia,noi no: è vero che il piano sanitario è intriso di psicologia e di psicologismo, ma nonnomina mai la parola “psicologo”, non lo dice neanche una volta, no? E questo è un problema<strong>del</strong> quale noi dovremmo occuparci se vogliamo continuare ad esistere. Perché allora una risorsa?Perché se noi guardiamo al piano sanitario, questioni come quelle che voi vedete elencatehanno un senso se l'intervento psicologico viene collocato, e si colloca e si esprime e si manifestain tutta la sua pienezza; perché oggi, credetemi, alla luce di quello che noi vediamo in giroper il mondo e alla luce <strong>del</strong>l'esperienza che gli psicologi hanno acquisito nel corso di questivent'anni negli ospedali e nel territorio - non parlo tanto per i pazienti, ma mi metto nell'ottica<strong>del</strong>l'amministrazione - sottovalutare o non utilizzare queste risorse, o ignorarle, sarebbe veramenteuna colpa grave di cui penso sia difficile avere la soluzione.Grazie mille.42


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 43Il Servizio di <strong>Psicologi</strong>a:un esempio di complessità istituzionaleed organizzativaDott. Giuseppe SAMMARTANODirettore <strong>del</strong> Servizio di <strong>Psicologi</strong>a, ASL 9 TrapaniUno spunto per dare avvio a questa discussione con voi mi è venuto da un recente, ricco articolodi Umberto Galimberti sulla rivista <strong>Psicologi</strong>a e <strong>Psicologi</strong>, scritto in occasione <strong>del</strong> centenario<strong>del</strong>la nascita di Jacques Lacan.Nel contesto <strong>del</strong>l'articolo 1) , Umberto Galimberti riprende un libro di James Hillman - dal titoloemblematico: “Dopo cento anni di psicoterapia il mondo va sempre peggio” - per affermare:(Qualcosa spinge James Hillman - n.d.r.) a dire che Dopo cento anni di psicoterapia il mondova sempre peggio, coronando con questo libro l'opinione diffusa che la psicoanalisi è alla finee tra un po' assisteremo al suo crollo non dissimile dal crollo <strong>del</strong>l'altra ideologia <strong>del</strong> novecentoche è il marxismo. A crollare sarà invece la psicoanalisi che non pensa, quella che non esce dall'ambitoristretto di una clinica che tende al benessere di coloro che Nietzsche chiamava “i piccoliuomini”, le cui aspirazioni si risolvono in “una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza perla notte, fermo restando la salute”.Ho trovato di grande interesse questa riflessione; intanto perché io credo che, quello che Galimbertidice per la psicoanalisi, possa ben valere per il più ampio contesto <strong>del</strong>la psicologia, nellaquale non mancano certo esempi di riduzionismo e di appiattimento ideologico. Ma, ancor dipiù, per la sferzante ed implicita critica all'idea di salute che traspare dalla boutade di Galimbertisull'argomento.Sulla nozione di salute noi psicologi tendiamo in genere ad acquisire, a dare per scontate, leanguste definizioni che di questo tema tendenzialmente offrono le istituzioni sanitarie; le quali,a loro volta, di solito lo mutuano da ciò che dice l'Organizzazione Mondiale <strong>del</strong>la Sanità - un'istituzioneconsiderata generalmente una sorta di “mostro sacro”. A ben vedere, si tratta, per lopiù, di definizioni che, per quanto ampliate nel corso <strong>degli</strong> ultimi 20 anni, risentono fortemente- diremo meglio che ne sono una coerente espressione - di una impostazione medicalista,anche quando applicate ai problemi <strong>del</strong>l' “anima”. Esse si basano sul convincimento, assai diffuso,che corpo e “mente” si situino su un continuum teoretico-epistemologico e che essi sianodistinguibili soltanto in ragione di secondarie differenziazioni metodologico-applicative.A mio giudizio, invece, tale continuum - sulla cui attendibilità la psicologia sanitaria, in questianni, si è interrogata piuttosto poco - è sostenibile soltanto in chiave ideologico-compromissoria,quindi politica, e non epistemologica.1)Umberto Galimberti, “Jacques Lacan. Tra Psicoanalisi e filosofia”. In: <strong>Psicologi</strong>a e <strong>Psicologi</strong>. N. 02/2002. EricksonEditore, Gardolo (TN), 2001.43


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 44Su questo argomento, trovo particolarmente illuminanti le seguenti parole di Diego Napolitani2) :L'individuo portatore di turbolenze cerca una salvezza, non una salute altra da quella a cui hagià provveduto attraverso quegli arrangiamenti predisposti dalla sua auto-organizzazione assolutamentesingolare. Un <strong>del</strong>irio, un'allucinazione (…omissis…) sono rimedi a cui ogni singoloprovvede contro un suo intollerabile sentimento di condanna (…omissis…). Necessita ovviamenteun chiarimento approfondito la differenza tra salute e salvezza (…omissis…). La coppiacondanna/salvezza appartiene alla polarità etica (e, quindi, strutturalmente relazionale), mentrela coppia malattia/salute appartiene alla polarità somatica (e quindi strutturalmente individuale).Le due coppie interagiscono e perdono la loro differenziazione quando vengono accomunatenel “luogo comune” <strong>del</strong>la sofferenza. Ma tutt'altra cosa è la sofferenza <strong>del</strong> pathos, <strong>del</strong>l'insopprimibilefrizione <strong>del</strong>l'uomo col mondo e col tempo, rispetto alla sofferenza prodotta(…omissis…) da una patologia.Io so bene che ciò che sto sostenendo non è necessariamente condiviso da tutti, però intendoaffermare che i paradigmi biologici e neuro-fisiologici, con i quali inquadriamo i problemi <strong>del</strong>corpo, e i paradigmi ermeneutico-storiografici, attraverso i quali entriamo in rapporto con i problemi<strong>del</strong>l'anima, non siano raffrontabili tra di loro se non in chiave riduzionistica e, dunque,confusiva.In questo quadro, ritengo che lo specifico <strong>del</strong>la psicologia sia costituito, in buona parte, propriodal cogliere la tensione drammatica che esiste tra l'individuo e il contesto culturale interno/esternoin cui egli è immerso e <strong>del</strong> quale in qualche modo partecipa. Ed è a quest'individuoche la psicologia può offrire uno spunto e un contenitore perché questa tensione sia per lui menoaspra e non finisca col divenire, come talora diviene, un problema a rilevanza psichiatrica. Maquesta offerta mi appare coerentemente praticabile solo a condizione di porre a sua premessala discontinuità corpo-mente, in aperta antitesi con quanto su ciò si sostiene, in genere, a proposito<strong>del</strong>la necessità di superare questo dualismo.La psicologia non si distingue dalle restanti discipline sanitarie solo in quanto campo applicativo“altro” di un medesimo tessuto teoretico-operativo; se ne distingue fondamentalmente per isuoi paradigmi riflessivi di fondo, i quali la collocano su un piano differenziato già sul livellofilosofico-epistemologico.Nella mia esperienza di Direttore <strong>del</strong> Servizio di psicologia <strong>del</strong>la ASL di Trapani, ho tenuto amente queste osservazioni di base, che adesso sto richiamando molto sommariamente, comeuna sorta di guida ispiratoria <strong>del</strong>la mia azione. E, al riguardo, vorrei ancora ricollegarmi al giàcitato articolo di Galimberti laddove egli lamenta - ed anche qui sono molto d'accordo con lui- il fatto che la cultura psicologica italiana ha troppo affrettatamente reciso ogni collegamentocon la filosofia; cosa che, aggiungo io, ha contribuito non poco al diffondersi, nella nostra disciplina,di un pragmatismo, talora acritico ed esso stesso affrettato, di derivazione medica.Questo pragmatismo, rilanciato peraltro da una serie di ideologie sanitarie a carattere efficientistico,che in questi ultimi anni ci attraversano tutti in modo copioso senza che la cultura psicologicaabbia potuto metabolizzarli, rielaborarli criticamente e ricollegarli alle proprie tradizionidi pensiero, lo vedo come un rischio, tutt'altro che astratto, nel mantenimento di un accettabilelivello di coerenza riflessiva e rigore teoretico <strong>del</strong>la psicologia.Ecco, questa è la premessa culturale che io mi sento di sottoscrivere su qualunque discorso si2)Diego Napolitani, Giuseppe Sammartano, “Dialogo su psicologia, psicoanalisi, psichiatria, conoscenza, prassi istituzionale”.In: Giuseppe Sammartano, Concetta Xibilia, “Dal Mito multiprofessionale al Servizio di psicologia. Percorsi,antinomìe, prospettive”. Giuseppe laterza Editore, Bari, 2000.44


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 45faccia oggi intorno al ruolo e alla posizione <strong>del</strong>lo psicologo nel contesto <strong>del</strong>la sanità.Fatte queste considerazioni preliminari, presenterò alcuni spunti di riflessione specificamentededicati ai Servizi di psicologia, per come li ho sperimentati in questi anni in Sicilia.Occorre una struttura organizzativa autonoma <strong>del</strong>la psicologia?Questo è un problema che è emerso anche stamattina qui, con il quale noi psicologi in Sicilia cisiamo confrontati - lo ricordava Azzolini - in modo estremamente duro negli anni scorsi; perfortuna adesso siamo in una fase molto più calma e gestibile ma certamente, nel periodo che vapiù o meno dal '93 al '96/'97, la comunità psicologica siciliana è stata attraversata da una tempestaproblematica, riguardo a questa domanda che si è posta, la quale ha avuto talora esiti devastanti:numerosi rapporti personali sono risultati irreparabilmente distrutti da questo attraversamentoconflittuale; ma, per fortuna, nel varco aperto da questa esperienza, abbiamo potutoanche sperimentare rapporti umani soddisfacenti nati ex novo.Una prima considerazione che vorrei fare è il fatto che ragionare su questo problema dei Servizidi psicologia è molto difficoltoso. Conosco personalmente colleghi in varie parti d'Italia che,pur invitati dai loro Direttori Generali d'Azienda ad organizzare un Servizio di psicologia,hanno rifiutato il compito o hanno gettato la spugna dopo alcuni mesi di infruttuosi tentativi,perché hanno dovuto misurarsi con difficoltà ritenute insormontabili.E allora una prima necessità metodologica per affrontare bene questa questione è quella diriflettere intorno ad essa basandosi principalmente su paradigmi di tipo culturale e storico, piuttostoche non secondo valutazioni di tipo corporativo e sindacale. Il pensiero sindacale e corporativo,infatti, si fonda essenzialmente sulla gestione dei nostri “appetiti”, pur legittimi, mentrenoi dobbiamo affrontare questo problema con la testa, e magari con il cuore, ma non con lapancia.Ho sentito dei ragionamenti, negli anni scorsi in Sicilia, <strong>del</strong> genere:“Ma quanti posti di psicologo dirigente produciamo se facciamo i Servizi e quanti posti di psicologodirigente produciamo se non li facciamo?”Questo, a mio giudizio, è un modo errato di impostare la riflessione.Noi non dobbiamo mirare a costruire posti dirigenziali facili, ma posti dotati di senso culturalee organizzativo. Capaci, cioè, di reggere nel tempo alle potenti spinte <strong>degli</strong> interessi contrapposti:perché dai posti sensati potranno nascere, dopo, altri posti ancora sensati. Mentre dallepoltrone facili nasceranno solo vie chiuse che non porteranno da nessuna parte, se non alla progressivaed irrimediabile perdita di credibilità <strong>del</strong>la nostra azione complessiva.È stata gia ricordata stamattina la multiformità culturale <strong>del</strong>la psicologia. Non è neanche il casodi soffermarsi ulteriormente su questo, se non per dire che a quella complessità <strong>del</strong>la psicologiacome disciplina, cui il Professor Dazzi ha dedicato la sua ottima relazione, io aggiungereianche la complessità <strong>del</strong>la professione nello specifico contesto sanitario: la tradizione di questiultimi 25 anni di esperienza sanitaria ha di fatto “costruito” <strong>degli</strong> psicologi a misura di istituzioniparticolari, di servizi specifici; siano essi consultori, siano essi sert o dipartimenti di salutementale non importa, ma si è di fatto teso a implementare profili di ruolo, per gli psicologi,che sono sostanzialmente “impacchettati” nella logica tipica di quelle strutture. Allora, se c'èuna complessità epistemologica <strong>del</strong> pensare, in psicologia, vi è anche una complessità e unamultiformità istituzionale <strong>del</strong> “fare psicologia”.Non dobbiamo guardare a tutto questo, credo, come a un nostro “vergognoso” limite, da coprirecon più o meno coreografiche foglie di fico. Dobbiamo poterlo riconcepire come una nostrarisorsa; e, perché ciò avvenga, è necessario che i limiti <strong>del</strong> nostro essere, pensare ed agire venganoculturalmente e organizzativamente coordinati. Voglio dire che la necessità <strong>del</strong> coordina-45


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 46mento <strong>del</strong>le psicologie - più che non <strong>del</strong>la psicologia al singolare - non nasce dall'ansia - o, sevogliamo usare il linguaggio di prima, dall' “appetito di potere” - di chi deve andare a esercitarequesta funzione di coordinamento, ma dal convincimento che questa multiformità, per nondivenire frammentazione, vada armonizzata unitariamente: non dalla complessità <strong>del</strong>la disciplina,in sé stessa, noi dobbiamo guardarci, ma dalla frammentazione discorsiva, pragmatica eistituzionale che da tale complessità così spesso nasce.Non possiamo certo, con i Servizi di psicologia, risolvere alla radice - occorre dirlo - problemidi impostazione disciplinare, istituzionale, metodologica che la psicologia, in quanto area diricerca culturale, deve risolvere attraverso lo sviluppo <strong>del</strong>la sua stessa storia al formarsi <strong>del</strong>laquale, ad ogni modo, partecipiamo e concorriamo.Credo, però, che i Servizi di psicologia possano offrire uno strumento organizzativo e un contenitoreistituzionale che renda possibile, non l'annullamento, ma la gestione <strong>del</strong>la complessitàteoretico-metodologica e pragmatica <strong>del</strong>la psicologia nel contesto specifico <strong>del</strong>la sanità.Un punto sul quale vorrei brevemente soffermarmi è relativo alla questione <strong>del</strong>la “debolezza”,vera o presunta, <strong>del</strong>la psicologia: a seconda <strong>degli</strong> umori, talvolta pensiamo che essa sia debole,altre volte che non lo sia.Che significato ha questa domanda, intorno alla debolezza, che talvolta ci poniamo?Ci sono, intanto, dei dati oggettivi da considerare: la nostra è una società che, nel momento incui si va connotando sempre di più in chiave tecnologica, ha un apprezzamento crescente pertutto ciò che è molto definito, tutto ciò che sembra consentirci di coltivare l'illusione di eliminareogni zona d'ombra, nell'esperienza umana. La psicologia, invece, proprio per le ragioni acui facevo riferimento prima a proposito <strong>del</strong>la complessità, ha di fatto una sua inafferrabilità,un suo carattere sfuggente, ambiguo, che talvolta spaventa o appare in vario modo intollerabile,soprattutto agli “spiriti” più semplici.Questo determina, a mio modo di vedere, condizioni favorenti per le quali, nella rappresentazionesociale - e quando dico “rappresentazione sociale” mi riferisco anche a quella che coltivanogli stessi psicologi, perché essi vivono su questa terra e vengono attraversati da vissutisociali che caratterizzano l'immaginario collettivo come chiunque altro - la psicologia assumetalora il significato di disciplina debole, quindi di un “minus” rispetto a qualche cosa di piùgrande, di più preciso, di più definito, di più rassicurante che può essere rappresentato da altrediscipline dai confini metodologici ed operativi più marcatamente definiti e, dunque, più rassicuranti.Questa condizione può diventare il nostro handicap, se la assumiamo noi stessi come un difettoda nascondere e come qualcosa che giustifichi la posizione “ancillare” <strong>del</strong>la psicologia rispettoalle altre discipline, considerate “forti”.Ma può anche diventare la nostra specificità e la nostra ricchezza, nel momento in cui nonneghiamo questa caratteristica <strong>del</strong>la nostra professione e siamo in grado metterla fiduciosamentein gioco. Ciò significa provare a costruire, su questo presunto limite, un elemento di riconoscimentonon dispregiativo <strong>del</strong>la nostra identità culturale e professionale, in vista di una suaprecisazione e di un suo rafforzamento.Ecco: in due parole, occorre che i Servizi di psicologia favoriscano la emancipazione dei singolipsicologi da quella posizione, per così dire, di “vittime colluse” cui li induce, spesso, lamancata elaborazione collettiva <strong>del</strong> tema <strong>del</strong>la debolezza <strong>del</strong>la psicologia e <strong>del</strong>la “ancillarità”istituzionale che ne consegue.La questione <strong>del</strong>la visibilità. Mi sembra che la rappresentazione <strong>del</strong>la visibilità, in modo nondissimile da quella <strong>del</strong>la debolezza, funzioni come una fisarmonica: a volte si stringe a volte siallarga; talvolta pensiamo che siamo visibili, altre che non lo siamo.46


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 47Nella mia esperienza, per esempio, ho osservato molto chiaramente che nei servizi territoriali,e quindi nei nostri ambulatori autonomi di psicologia che esistono da sei anni, la maggioranzadei nostri primi colloqui avviene con pazienti inviati da altri pazienti. Non ci sono altri mediatori:la gente viene a chiedere di uno psicologo, in un luogo nominato “psicologia”, e lo fa perchéun conoscente, che c'è già stato e ne ha tratto giovamento, glielo suggerisce. Questa è unapiccola prova di visibilità nel rapporto con gli utenti.Però, a questa visibilità con gli utenti, non fa assolutamente riscontro, nella nostra storia, unaanaloga visibilità istituzionale.Prima di arrivare al Servizio di psicologia, nel '96, facemmo a Trapani un'esperienza, in qualchemodo preliminare, durata alcuni anni. Avevamo costruito, allora, un'Unità Operativa di psicologiaall'interno <strong>del</strong> Dipartimento di Salute Mentale. Un'esperienza che fece scuola, per noi,ma che oggi consideriamo fallimentare, sul piano dei risultati: non riuscivamo, se non in rareoccasioni, a diventare interlocutori <strong>del</strong>l'USL (allora non era ancora Azienda provinciale). Ioricordo che era una situazione veramente spiacevole il ritrovarsi nel Dipartimento di SaluteMentale che, a sua volta, in quel superato assetto dipendeva, per effetto di norme regionali, dalServizio di Medicina di Base.Era terribile il fatto che, come psicologi, come U.O. di psicologia, elaboravamo dei progetti,arrivavamo in amministrazione, al Servizio di Medicina di Base, e qui venivamo rispediti adacquisire il parere favorevole <strong>del</strong> Responsabile <strong>del</strong> DSM; siccome quest'ultimo era manifestamentecontrario alla stessa esistenza <strong>del</strong>l'U.O. di psicologia, ci ritrovavamo in una situazioneassolutamente paradossale: il nostro superiore, che era quello che avrebbe dovuto rappresentarcie legittimarci, e che era l'unico che veniva riconosciuto in USL, era pregiudizialmente contrarioalle nostre proposte (poiché era di fatto contrario alla nostra esistenza come unità organizzativaautonoma). Questo ci poneva spesso in una situazione di paralisi.Solo con grande fatica riuscimmo ad attenuare i termini di questo paradosso, senza mai risolverlo<strong>del</strong> tutto, allorquando, io investii <strong>del</strong>la questione direttamente il Commissario <strong>del</strong>l'USL,dicendogli:“Guardi così non possiamo andare avanti; mi dia almeno l'opportunità di interloquire con lealtre componenti istituzionali, a titolo paritario con il Responsabile <strong>del</strong> DSM, in modo tale chelui rappresenti le sue indicazioni, in quanto Capo <strong>del</strong> Dipartimento, e io possa dire la mia comeResponsabile <strong>del</strong>la psicologia: saranno poi gli organismi sovraordinati a decidere sulle singolequestioni”.Così facendo, qualche scoglio lo superammo ma non fu comunque facile andare avanti perchéil problema <strong>del</strong>lo scavalco di chi stava funzionalmente in una posizione sovraordinata trovavacontinuamente il modo di riproporsi.Questa difficoltà, oggi, con il Servizio di psicologia non sussiste: partecipiamo di diritto allediscussioni istituzionali che ci riguardano in rappresentanza autonoma e diretta <strong>del</strong>la nostra professione.Come organizzare un Servizio di <strong>Psicologi</strong>a?Mi sembra che la generalità <strong>del</strong>le esperienze organizzative autonome <strong>del</strong>la psicologia, in Italia,seguano in ambito territoriale fondamentalmente due mo<strong>del</strong>li.Uno è costituito da un'organizzazione unica in staff direzionale, che è essenzialmente di tipodipartimentale (sebbene non ne assuma il nome) ed è il nostro caso, a Trapani.L'altro è costituito da diverse unità operative, anche quelle denominate talora “servizi”, tra diloro indipendenti, inserite in dipartimenti o distretti particolari. È ovvio che per questa secondaipotesi valgono esattamente le osservazioni critiche che facevo prima a proposito <strong>del</strong>l'unità ope-47


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 48rativa all'interno <strong>del</strong> DSM che, nella nostra esperienza, è stata abbastanza poco produttiva.Più in generale gli svantaggi <strong>del</strong>l'organizzazione unica in staff direzionale, quindi dipartimentale,sono costituiti dal fatto che questo mo<strong>del</strong>lo organizzativo obbliga ad un ripensamento piùradicale <strong>del</strong>l'assetto <strong>del</strong> lavoro; ciò tende a generare un maggior numero di conflitti e una maggioreintensità e densità di essi, rispetto al mo<strong>del</strong>lo per unità operative tra loro indipendenti,entro altre strutture più grandi. Però, il mo<strong>del</strong>lo in staff ha anche il vantaggio di attivare più rapidamentela capacità di iniziativa autonoma <strong>degli</strong> psicologi e di rendere più rapidamente visibilela disciplina all'occhio <strong>del</strong>le altre componenti istituzionali.Noi fin da subito siamo stati riconosciuti da tutti i dipartimenti amministrativi <strong>del</strong>la nostraAzienda e questo ci metteva in condizione di negoziare l'attribuzione <strong>del</strong>le risorse senza doveredilungarsi in tortuose discussioni preliminari sulla legittimità e l'opportunità di farlo. Questo èun vantaggio straordinario <strong>del</strong> nostro mo<strong>del</strong>lo di organizzazione che, tuttavia, offre lo spunto amaggiori difficoltà nel momento <strong>del</strong>la sua fondazione.Per l'altro mo<strong>del</strong>lo vale, invece, l'opposta considerazione: il suo svantaggio principale è che nonmodifica sostanzialmente i rapporti di potere tra le discipline e, semmai, si limita ad innalzare illivello al quale si svolgono i conflitti interprofessionali. Quando eravamo in U.O. entro il DSM,per esempio, accadde che i singoli psicologi tendevano a non litigare più tanto nelle équipe coni medici: infatti, ora erano i primari a litigare tra di loro! Diciamo, quindi, che il conflitto erasemplicemente spostato più in alto ma non era modificato, nella sostanza, di una virgola.Proprio perché non modifica troppo radicalmente l'assetto organizzativo vigente, l'organizzazionedi unità operative sotto-ordinate ad altre strutture si innesta con maggior facilità nel preesistentetessuto istituzionale: genera meno fratture e meno tensioni e può, quindi, dare l'impressionedi essere più facile da realizzare; ha, però, indubbiamente una portata innovativa dimisura assai più modesta.Più in generale penso comunque che, quale che sia il mo<strong>del</strong>lo organizzativo prescelto, debbaessere indicata chiaramente, negli atti istitutivi, la possibilità di erogazione professionale. Io noncredo al “gestionale” puro: mi sembra che sia veramente un mito evanescente; così come noncredo all'autonomia professionale, ove essa non sia corroborata da un'autonomia gestionale.Ritengo che un servizio che abbia una sua autonomia anche formalmente riconosciuta, sul piano<strong>del</strong>la gestione <strong>degli</strong> psicologi, ma che non possa erogare la professione direttamente, dovendofare questo solo attraverso altre strutture multiprofessionali (idea che, in Sicilia, è stata sostenutada molti) sia solo un contentino formale, per noi psicologi, incapace di incidere effettivamentee stabilmente nella vita <strong>del</strong>l'istituzione.Premessa, dunque, la necessità di precisare esplicitamente la facoltà di erogazione professionale,essa potrà essere organizzata con diverse formule da adattare alle circostanze specifiche.Nella nostra esperienza ne abbiamo individuate tre:• Attraverso attività mono-professionali a gestione diretta. Cosa che facciamo nei nostriambulatori, ma anche presso enti esterni (scuole, comuni, forze armate etc.) con i qualiabbiamo stabilito particolari intese.• Attraverso consulenze occasionali o stabili presso altre strutture <strong>del</strong>la stessa Azienda.L'esempio più classico è rappresentato dal lavoro che svolgiamo presso i presìdi ospedalierio presso specifici reparti.• Attraverso la sottoscrizione di progetti condivisi da più servizi, nei quali sono indicate lerisorse, e le funzioni, con le quali ogni servizio partecipa al progetto. Un esempio è rappresentatodal gruppo di lavoro per la redazione e la periodica revisione <strong>del</strong>la carta dei servizi,al quale partecipiamo con un nostro operatore.48


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 49Vediamo ora, in breve, qual è il nostro assetto organizzativo istituzionale attuale 3) .Il Servizio di <strong>Psicologi</strong>a dipende direttamente dal Direttore Generale ed è composto da una seriedi Unità Operative Distrettuali. Queste U.O.D.P. hanno la funzione primaria di erogare, in propriesedi, le prestazioni che costituiscono oggetto <strong>del</strong>la professione di psicologo. Inoltre, mantengonoi contatti con gli psicologi <strong>del</strong> Distretto che operano in altre strutture per gli aspettiorganizzativi generali (monitoraggio attività, formazione, tirocini etc.).Quali le condizioni che rendono possibile l'attivazione <strong>del</strong> Servizio di psicologia?Riguardo alle pre-condizioni che ritengo indispensabili perché si possa avviare una politica diattivazione di un Servizio di psicologia, che nasca sotto buoni auspici, metterei in evidenza,essenzialmente, le seguenti due:• Quando ci sia una sufficiente volontà politica regionale e locale per realizzarli: senzauna copertura politica adeguata, sarà molto difficile che il Servizio di psicologia possa reggerealle “intemperie” che, soprattutto in fase istitutiva, tendono ad abbattersi su di esso.• Quando ci sia un sufficiente consenso tra gli psicologi che devono partecipare alll'istituendoServizio. Talora, per trovare il consenso, è necessario perdere qualcosa in coerenza<strong>del</strong>l'azione, e qualche volta questo può essere utile. Metterei, tuttavia, un limite a ciò:ampliare il consenso è un valore ed una necessità, ma la ricerca <strong>del</strong>l' unanimità ad ogni costodiventa paralizzante. Volendo riassumere, direi che, nell'immediatezza <strong>del</strong> momento fondativo,occorra mirare ad una soglia di consenso minimo che consenta di disporre <strong>del</strong>le collaborazioninecessarie per avviare il nuovo dispositivo di organizzazione e portarlo avanti. Sipotrà rinviare ad epoche successive la costruzione di forme di consenso più ampie e diffuse,tenendo però a mente che l'unanimità, tra gli psicologi, ben difficilmente potrà essereraggiunta, anche dopo molto tempo.Noi, a Trapani, ci siamo mossi quando abbiamo ritenuto che queste condizioni ci fossero e questoci ha indubbiamente aiutato nel fronteggiare con sufficiente successo le situazioni problematicheche ci si sono poste innanzi.Le quali, essenzialmente, possono essere così schematizzate:• Nell'immediato, l'opposizione medica, e psichiatrica in particolare, che in Sicilia è stataviolentissima e gli splittings tra gli psicologi che sono stati anche questi molto duri. La separazionedall'assetto tradizionale è esperienza molto faticosa e, per molti addirittura non tollerabile,poiché richiede un cambiamento <strong>del</strong>la mentalità organizzativa corrente al quale nontutti sono pronti nello stesso tempo. Rappresenta un corollario di ciò la difficoltà di tollerareuna dirigenza interna alla professione, intolleranza che si manifesta, in genere, in formedi actings-out ostili tra gli psicologi che dirigono le U.O. e gli psicologi che ne fanno parte.• Nel tempo medio, questi elementi sono stati a loro volta amplificati, nella nostra esperienza,dalla difficoltà a tollerare un basso livello di definizione normativa dei compiti <strong>del</strong> Serviziodi psicologia (dato, di per sé, oggettivo stante l'assenza di un atto di indirizzo nazionalesulla materia e la vaghezza <strong>del</strong>le norme regionali); ciò tende a favorire sovrapposizionie splittings conflittuali con altri servizi e/o altri professionisti sanitari in quantità non tra-3)Gli elementi di questo paragrafo sono da considerare aggiornati alla data <strong>del</strong> Convegno.49


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 50scurabile e rilancia, in molti, la scoraggiante impressione che il Servizio di psicologia sia uncontenitore “vuoto”, in quanto non ben o non pienamente legittimato, a livello normativo, ecertamente non consolidato nella rappresentazione comune. Solo con il tempo si è capito (enon certo ubiquitariamente) che, ciò che appariva vuoto, poteva rappresentare una stimolantescommessa culturale da riempire di progettualità ed entusiasmo creativo.• Nell'attualità è poi andato emergendo il problema, esso stesso complicatissimo, <strong>del</strong>le carrieredei singoli professionisti. Da un lato ci sono le legittime aspirazioni di carriera personaleda parte <strong>degli</strong> psicologi. Queste aspirazioni, un tempo sopite ad effetto <strong>del</strong>l'immobile epaludoso panorama istituzionale precedente all'aziendalizzazione <strong>del</strong>le USL, sono emersepiuttosto esplosivamente in questi ultimi anni. Dall'altro vi è il limite, esso stesso oggettivo,che il Servizio di psicologia (come qualunque altro servizio) non può essere concepito comeun “esercito di generali” e, dunque, non può dare risposte ai desideri di carriera in misuracomplessivamente soddisfacente rispetto all'ampiezza <strong>del</strong>la domanda. Questo è un problemacon il quale attualmente ci stiamo confrontando abbastanza duramente (se pur non platealmente),il quale sta generando nuove difficoltà e nuovi conflitti tra gli psicologi. Speropotremo uscire dall'empasse, ma allo stato non so bene come. Magari ci si risentirà, sulpunto, tra qualche anno!Quali gli effetti, nel tempo, <strong>del</strong>l'attivazione di una struttura autonoma <strong>del</strong>la psicologia?Indicherei fondamentalmente questi tre elementi:• Migliore individuabilità <strong>del</strong>la psicologia da parte <strong>del</strong>la direzione <strong>del</strong>le altre articolazioniaziendali. In atto per noi non è più un problema discutere e negoziare, in Direzione, le questioniconcernenti la psicologia; un tempo lo era. La psicologia oggi esiste nella “mente”<strong>del</strong>l'Azienda ed essa non è più confusa con altre discipline nella stessa, abbondante, misurain cui ciò accadeva nel passato.• Ampliamento e chiarificazione <strong>del</strong>la domanda sociale di psicologia: noi adesso abbiamoun ampliamento e una diversificazione molto significativi <strong>del</strong>la nostra attività perché, peresempio, molti Comuni ci hanno chiesto di fare protocolli di intesa per costruire <strong>del</strong>le collaborazionicon i loro servizi sociali (in Sicilia, i Comuni sono generalmente privi di psicologi,benché la legge regionale affidi loro le competenze in materia di interventi sociali). Aquesto ampliamento qualitativo <strong>del</strong>la domanda di psicologia, in parte direttamente provenientedagli utenti e in parte mediata da altri enti o da altre articolazioni organizzative <strong>del</strong>lastessa Azienda, ha corrisposto un ampliamento quantitativo <strong>del</strong> volume di attività valutabiletra il 20 e il 30%, nei quasi sei anni che lavoriamo come servizio autonomo, rispetto aglianni precedenti alla attivazione di tale servizio, pur in costanza <strong>del</strong>le risorse umane e professionalidisponibili (complessivamente 47 psicologi distribuiti in 5 Distretti).• Modificazione <strong>del</strong>la “mentalità” organizzativa <strong>degli</strong> psicologi: abbiamo verificato che ilservizio induce un cambiamento che a me sembra di potere descrivere come un maggiore,e più preciso, senso di responsabilità nello specifico professionale. Fino a sei anni fa, inmolti erano più o meno recalcitranti a firmare gli atti scritti che producevano nell'esercizio<strong>del</strong>la professione (relazioni, certificazioni e quant'altro), tendendo a preferire che la firmafinale sugli atti fosse apposta dai medici; oggi è prassi diffusa che ognuno firmi i refertisugli interventi che ha effettuato. Vi è, inoltre, da segnalare il maggior sviluppo di un atteg-50


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 51giamento che definirei “consulenziale”: lo psicologo è oggi più capace di rappresentarsicome un professionista che va in un “luogo” istituzionale, senza che ne sia una componentestrutturale, come una sorta di agente esterno che arriva, raccoglie un bisogno, offre <strong>degli</strong>strumenti, affronta un problema e poi torna alla sua “base”. Ciò significa che la sua “basedi progettazione” non coincide più con il luogo <strong>del</strong>le sue operazioni. Questa dissociazione,a mio giudizio benefica, tra “luogo <strong>del</strong>le operazioni” e “luogo di progetto” è stata evidentementeindotta e rilanciata dal Servizio di psicologia e vedo che un numero crescente di colleghiriesce a rapportarsi ai problemi <strong>del</strong> lavoro psicologico, con maggior soddisfazione personale,tenendo a mente le cose che qui ho cercato di riassumere.Certamente ci sarebbero tante altre cose da dire ma mi affido al dibattito per gli approfondimenti.Per il momento vi ringrazio <strong>del</strong>la vostra attenzione.BibliografiaUMBERTO GALIMBERTI, “Jacques Lacan. Tra Psicoanalisi e filosofia”. In: <strong>Psicologi</strong>a e <strong>Psicologi</strong>. N.02/2002. Erickson Editore, Gardolo (TN), 2001.DIEGO NAPOLITANI, GIUSEPPE SAMMARTANO, “Dialogo su psicologia, psicoanalisi, psichiatria,conoscenza, prassi istituzionale”. In: Giuseppe Sammartano, Concetta Xibilia, “Dal Mito multiprofessionaleal Servizio di psicologia. Percorsi, antinomìe, prospettive”. Giuseppe laterza Editore,Bari, 2000.GIUSEPPE SAMMARTANO, CONCETTA XIBILIA, “Dal Mito multiprofessionale al Servizio di psicologia.Percorsi, antinomìe, prospettive”. Giuseppe laterza Editore, Bari, 2000.51


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 53Tavola Rotonda“<strong>Psicologi</strong> e Sanità: due ipotesiper una politica di sviluppo”53


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 54Chairman Dott. Mario ARDIZZONEPast President <strong>del</strong>l'<strong>Ordine</strong> <strong>degli</strong> <strong>Psicologi</strong> <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>,Dirigente psicologo Dipartimento di Salute Mentale ASL RM AQuesta tavola rotonda pomeridiana prevede un intervento di Stefano Angeli, responsabile di unpresidio ambulatoriale <strong>del</strong> DSM RM/B; di Rinaldo Perini, responsabile <strong>del</strong> Centro di SaluteMentale di Guidonia e di Palombara; di A<strong>del</strong>e Di Stefano, Responsabile <strong>del</strong>l'Area Ricerca eValutazione <strong>del</strong> Dipartimento 3D, ASL di Frosinone; di Diego Garofalo, Coordinatore <strong>del</strong>le Attivitàdi <strong>Psicologi</strong>a Area Tutela Salute Mentale e Riabilitazione Età Evolutiva ASL RM/B; e diItalo Antonini, responsabile di una Comunità Terapeutica <strong>del</strong> DSM RM/C.Come vedete si tratta di esperienze diverse da quelle che sono state narrate questa mattina, inquanto non si riferiscono in senso stretto al lavoro di Unità Operative di <strong>Psicologi</strong>a, bensì all'attivitàprofessionale e istituzionale di psicologi cui è demandata la responsabilità di aree non specificamentee predefinitamente psicologiche: di aree, tuttavia, nelle quali la presenza di psicologiè significativa e importante, con pesi e funzioni che vedremo di volta in volta, a partire daisingoli interventi. Credo di poter dire che la scelta di queste due mezze giornate, l'articolazionedei lavori tra la mattina e il pomeriggio, rende operativamente molto chiara la banda di oscillazione<strong>del</strong> nostro lavoro rispetto agli scopi, agli obiettivi, e ai problemi che gli psicologi <strong>del</strong>lasanità si trovano a vivere, sospesi come sono tra l'idea di una dimensione monoprofessionaleautonoma (che si può concretizzare in “Servizi di psicologia”) e una dimensione multiprofessionalein cui declinare il proprio ruolo e le proprie responsabilità.Prima di dare la parola ai relatori vorrei soltanto accennare a come si è arrivati a questa giornata.Io sono molto contento che l'<strong>Ordine</strong> <strong>degli</strong> <strong>Psicologi</strong> <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong> abbia organizzato questainiziativa, che si pone idealmente in continuità con quanto lo stesso <strong>Ordine</strong> aveva inteso organizzarefin dal momento <strong>del</strong>la sua fondazione. Come è stato ricordato anche questa mattina, unodei primi convegni che l'<strong>Ordine</strong> <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong> organizzò fu incentrato, nel 1994, sulla proposta istitutivadi un Dipartimento di <strong>Psicologi</strong>a, che suscitò allora molte riflessioni e molte polemiche,e che contribuì in modo determinante all'evolversi di un dibattito che è arrivato fino ad oggi.Dall'80 ad oggi, siamo passati - nel campo <strong>del</strong>la tutela <strong>del</strong>la salute mentale - da un'epoca di militanzain cui era diffusa e forte l'illusione <strong>del</strong> cosiddetto “operatore unico”, e in cui venivanostrategicamente sfumate le distinzioni fra le singole professionalità, ad un'epoca in cui è stataprogressivamente riconosciuta l'importanza di tali distinzioni, e <strong>del</strong>la loro reciproca interazioneall'interno di gruppi multiprofessionali. La multiprofessionalità, <strong>del</strong> resto, prevede necessariamenteil riconoscimento <strong>del</strong>le diversità: vale a dire l'assunzione, da parte di ciascun ruolo e diciascun attore, <strong>del</strong>l'esistenza di modalità d'intervento differenziate e autonome, che debbono tuttaviapoter interagire e collaborare in funzione <strong>del</strong> raggiungimento di determinati obiettivi. Delresto la ricerca scientifica ci dimostra proprio questo, che le scoperte maggiori avvengono sem-54


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 55pre in una logica multiprofessionale, attraverso il concorso convergente di diverse professionalitàe di diversi punti di vista sullo stesso oggetto d'indagine.Questo passaggio alla multiprofessionalità, così come l'enfasi sull'importanza <strong>del</strong> lavoro d'équipe,trovano pertanto nell'autonomia professionale la loro necessaria premessa. E questo eraanche il motivo forte, la ragione ispiratrice per cui nel 1994 l'<strong>Ordine</strong> <strong>degli</strong> <strong>Psicologi</strong> <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>propose, fra i suoi primi atti, la costituzione dei Dipartimenti di <strong>Psicologi</strong>a all'interno <strong>del</strong>le A-ziende Sanitarie e Ospedaliere.Occorre naturalmente tenere conto <strong>del</strong>la complessità <strong>del</strong> campo in cui si opera, e di quelli chesono gli indirizzi, le scelte strategiche, e le modalità organizzative <strong>del</strong> Servizio Sanitario Nazionalecomplessivamente inteso. In Italia l'organizzazione <strong>del</strong>la sanità è stata oggetto di profondetrasformazioni nell'ultimo decennio, dandosi un assetto fortemente aziendalistico, ed enfatizzandodi pari passo la fondamentale importanza di una programmazione per obiettivi e <strong>del</strong>lecorrelative operazioni di verifica. E gli obiettivi <strong>del</strong>le organizzazioni sanitarie non sono quasimai obiettivi ricompresi all'interno di un'unica professionalità, ma implicano, nella stragrandemaggioranza dei casi, il concorso convergente di diversi ruoli e di diverse funzioni professionali.È questa la cornice complessa entro cui ci muoviamo. E fin dal 1994 - anno <strong>del</strong>la sua fondazione- l'<strong>Ordine</strong> <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong> ha inteso muoversi tenendo conto di questa complessità.L'<strong>Ordine</strong> ha sempre ritenuto che fosse necessario sviluppare il dibattito sull'autonomia comepremessa per una forte affermazione <strong>del</strong>la multidisciplinarietà, non limitandosi a promuoverestrategicamente il Dipartimento di <strong>Psicologi</strong>a, ma operando anche per un pieno riconoscimento<strong>del</strong>le funzioni e <strong>del</strong>le responsabilità psicologiche all'interno dei contesti multiprofessionali (equindi non esclusivamente psicologici) nei quali la maggior parte <strong>degli</strong> psicologi <strong>del</strong>la sanità sitrova da sempre ad operare. Per esempio, tanto il Dipartimento Materno-Infantile quanto ilDipartimento di Salute mentale - che considerati congiuntamente ospitano la quasi totalità <strong>degli</strong>psicologi sanitari- non si configurano neppure nella loro denominazione come macrostrutturemonoprofessionali, ma rimandano all'interazione fra una pluralità di ruoli e di funzioni. Questamattina Nino Dazzi ci diceva che non disponiamo, ad oggi, di un mo<strong>del</strong>lo unitario di psicologia,e credo che abbia sostanzialmente ragione: le sue parole rispondono a quello che è l'attualestato <strong>del</strong> dibattito scientifico, e rappresentano anche un monito nei confronti di velleità eccessivamentesemplificatorie.Cionondimeno ritengo necessario e possibile mettere a fuoco il nucleo invariante <strong>del</strong>la professionepsicologica, che consiste sempre e comunque nell'elaborazione <strong>del</strong>la soggettività e <strong>del</strong>l'intersoggettività;dove con questi termini non si fa esclusivo riferimento agl'individui singolarmentepresi, ma ci si riferisce pure -in modo molto più ampio- alle diverse soggettualità interagentinel campo (d'indagine e d'intervento): persone, coppie, famiglie, gruppi di vario tipo,organizzazioni e istituzioni, piccole e grandi comunità umane.Pur in un'accezione così ampia e così ricca di variabili, lo psicologo mantiene costantemente ilprofilo di professionista <strong>del</strong>la soggettività e <strong>del</strong>l'intersoggettività, capace d'intervenire processualmentein seno ad altre e diverse processualità, e in grado di ospitare nella sua mente la problematicainterazione fra una logica clinica e una logica organizzativa.E mi avvio alla conclusione, proponendovi due percorsi molto differenti, ma assolutamente nonincompatibili fra loro. Da una parte mettere a fuoco e valorizzare il “genoma” <strong>del</strong>l'attività psicologicain tutte le sedi (sanitarie) in cui la sua presenza possa risultare significativamente utile:vale a dire verificare i processi, le funzioni e gli obiettivi a cui lo psicologo può concorrere inmodo incisivo a partire dall'assetto attuale <strong>del</strong> Servizio Sanitario. E questo è il primo dei duepercorsi. Un percorso che può passare attraverso un opportuno rimo<strong>del</strong>lamento <strong>del</strong>le Unità Ope-55


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 56rative e <strong>del</strong>le Unità Organizzative già esistenti, e non specificamente saturate dalla professionalitàpsicologica.Esiste però un'altra e diversa possibilità: quella di un disegno organizzativo nuovo, per giungere,a partire dall'alto, all'istituzione di “Servizi”, di “Aree”, o -con un termine che io preferisco,ancora più pregnante e impegnativo- di “Dipartimenti” di <strong>Psicologi</strong>a.Di una cosa sono profondamente convinto: queste due logiche non solo non si contrappongono,ma si rimandano l'un l'altra, come due modalità -diverse ma convergenti- di processare incontemporanea le stesse informazioni. E ambedue queste logiche possono produrre un consolidamento<strong>del</strong> nostro lavoro e <strong>del</strong>la sua rappresentazione condivisa: la rappresentazione di unlavoro che possiede una sua specificità, che è dotato di una sua autonomia, e che si articola entroconfini chiari e definiti; ma dove la specificità possa essere sempre aperta al lavoro di rete, dovel'autonomia possa accrescere la consapevolezza <strong>del</strong>l'interdipendenza fra ruoli diversi, e dove iconfini <strong>del</strong> sé professionale possano configurarsi non in modo rigido e opaco, ma essere vitalie sensibili come quelli di una membrana cellulare in grado di regolare costantemente lo scambiocon il mondo.56


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 57“Le competenze di un Ambulatoriodi <strong>Psicologi</strong>a Clinica”Dott. Stefano ANGELIResponsabile Presidio Ambulatoriale Dipartimento di Salute Mentale Roma BC'è stato un evidente mutamento nella società italiana e nelle istituzioni in cui essa è articolataper quanto riguarda la nostra professione.Già all'inizio <strong>degli</strong> anni ottanta, quando ho iniziato a lavorare, in molti settori <strong>del</strong>le USL eranopresenti psicologi spesso osteggiati dal resto <strong>del</strong> personale, ma comunque attivi.Oggi troviamo lo psicologo un po' ovunque e mi sembra sia assolutamente sfumato quel climadi scontro in cui si viveva in quegli anni.Mi sembra ci sia un riconoscimento formale generalizzato.Esiste invece una novità, che per dimensione e stabilità ormai assume il valore di dato di fatto:molte persone chiedono specificamente e direttamente di parlare con uno psicologo. Una richiestaa volte indotta dal medico generico ma molto spesso dovuta alla conoscenza e consapevolezza<strong>del</strong>la gente circa l'esistenza <strong>del</strong>la nostra professione.Il fatto è che la quasi totalità <strong>del</strong>le ASL propongono attraverso il loro modo di organizzare illavoro clinico, che l'utente, per poter arrivare ad uno psicologo debba prima di tutto definirsi suparametri di patologia. Operazione, questa, estranea alla cultura psicologica e motivo, spesso,di difficoltà per l'accesso <strong>del</strong>l'utenza.Infatti un adulto che vuole parlare con uno psicologo di solito ha tre strade: o si definisce pazientepsichiatrico cioè telefona al DSM oppure chiede aiuto per un uso di sostanze e andrà alSERT, o se ha una relazione sentimentale o famigliare difficile la potrà usare per parlare di séponiamo al Consultorio. Se poi è “così fortunato” da avere problemi di cui oggi c'è sensibilitàtipo mobbing o disturbi alimentari, allora avrà uno sportello tutto per lui.Ora noi sappiamo bene come un servizio seleziona i suoi pazienti a partire dal mo<strong>del</strong>lo di accoglienzache offre.Era evidente, per noi, già dagli inizi <strong>degli</strong> anni '90 come ad esempio l'organizzazione <strong>del</strong> DSMdi fatto tendeva a selezionare l'utenza prendendosi in carico quella cronica (oltre che naturalmenteoccuparsi <strong>del</strong>l'emergenza psichiatrica).Venivano disincentivate, dagli orari di apertura,dalla prassi <strong>del</strong> fissare un appuntamento, dai tempi di attesa, da tutta l'organizzazione, tutte lerichieste provenienti da cittadini non emarginati, inseriti nel nostro sistema sociale ma sofferenti,con sintomi e condizioni psicologiche anche serie ma con una situazione di esordio, personeconsapevoli <strong>del</strong>l'inadeguatezza dei propri sistemi di vita desiderosi di tentare un cambiamentoma in condizioni economiche che rendevano impossibile il ricorso ad uno specialista privato.Per queste persone, che avrebbero beneficiato di un intervento psicologico, il sistema DSM erarespingente anche se in realtà esse rappresentavano la maggioranza <strong>del</strong>le richieste al servizio.57


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 58Per tutti costoro abbiamo pensato sei anni fa di organizzare uno specifico sistema di accoglienzatotalmente gestito da noi psicologi. Tale esperienza, che si è avvalsa <strong>del</strong> supporto di due assistentisociali, ha portato con il tempo alla costituzione di una unità operativa, con sede propria,che si occupa <strong>del</strong>l'accoglienza, <strong>del</strong>la valutazione e <strong>del</strong>la terapia di utenti che chiedono di unopsicologo e che non assumono nessuna terapia farmacologica.Per alcuni anni abbiamo dovuto difendere a denti stretti questa nuova organizzazione cercandodi mantenere al centro <strong>del</strong>la nostra attenzione il lavoro clinico, i problemi che poneva ed i risultatiche ci dava.Ora, dopo alcuni anni, abbiamo un certo materiale su cui riflettere pubblicamente. La nostraéquipe costituita da sei psicologi e due assistenti sociali si è occupata di ottocento utenti che inquesti anni si sono rivolti a noi.Il tempo che mi è stato assegnato per questa relazione mi impedisce di esaminare in dettagliol'esperienza, mi limiterò pertanto ad alcune considerazioni di tipo generale.Posso ad esempio affermare che:1. Oggi nel X Municipio chi ha la necessità di parlare con uno psicologo può chiedere direttamentealla ASL, riceverà quindi un appuntamento senza filtri di sorta.2. Noi operatori possiamo interrogarci, possiamo fare ricerca, su temi impossibili da affrontarese non avessimo questa nostra specifica organizzazione di lavoro.Ora, queste due considerazioni, che hanno a che fare una con gli utenti, l'altra con gli operatori,si poggiano ambedue su un'idea di fondo: quella che osserva la relazione umana dal punto divista <strong>degli</strong> affetti che essa suscita, osserva e valorizza tali aspetti nell'ipotesi di un arricchimento<strong>del</strong>l'esperienza e quindi <strong>del</strong>l'apertura di scenari inconsueti per il singolo che la sperimenta.Si tratta, allora, di predisporre una cornice, un setting, in cui tutto ciò possa avvenire.Proverò ad entrare nel dettaglio prima rispetto al lavoro clinico con i pazienti poi al lavoro chesi svolge nell'équipe <strong>degli</strong> operatori.Nella clinica, con i pazienti, offriamo qualcosa che trascende lo specifico luogo di lavoro nelpubblico, qualcosa che ha a che fare con quanto praticato in campo psicoanalitico.Provo a spiegarlo citando il caso di Nadia di 18 aa.Lei arrivava in seduta con almeno 20 minuti di ritardo ed iniziava a parlare facendo continuedomande allo psicologo: “come sta?”, “è contento che oggi non sono poi arrivata in grande ritardo?”.Poi piombava in un profondo silenzio da cui con difficoltà i due riuscivano ad uscire.Ma quando Nadia si è accorta <strong>del</strong>le due piante sul davanzale <strong>del</strong>la stanza e lo psicologo ha rispostoalle sue domande, che si i fiori erano per lei, per i pazienti, per rendere la stanza più gradevolesperando in questo modo di mettere i pazienti a loro agio, allora Nadia ha iniziato ad osservarescenari inconsueti: esisteva qualcuno che accoglie! E se esisteva tutto ciò all'esterno di lei,allora anche lei poteva accogliere nella sua mente le sue emozioni e i suoi pensieri, non atteggiarsia psicologo, quello che fa le domande, o farsi risucchiare dai suoi silenzi. Poteva sentiree comunicare qualcosa di sé.Nadia aveva chiesto un aiuto psicologico che le è stato offerto attraverso una disponibilità aduna relazione diretta e profonda, ora la stava usando per sperimentare nuovi atteggiamenti divita.Qualcosa di simile accade per il lavoro in équipe. Anche qui qualcosa compare, sotto forma didomande teoriche o ricerche cliniche, per il solo fatto che si lavora in gruppo, attivando una relazionetra noi operatori <strong>del</strong> tutto particolare.58


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 59La vita <strong>del</strong>l'équipe si fonda sul credere nel “valore aggiunto” che il lavorare in gruppo producesul risultato. Bion lo aveva detto esplicitamente commentando la sua esperienza di lavoro aNordfield con gruppi di soldati affetti da nevrosi traumatiche di guerra: “la disciplina cura lanevrosi” diceva. Intendeva dire che l'aspetto di “gruppo di lavoro” con il clima di collaborazionetra i membri, con i suoi obiettivi da raggiungere, con la sua disciplina condivisa, dà la possibilitàdi ridefinire il campo osservato, nel suo caso la nevrosi, così da darne un nuovo senso.Per la nostra équipe si tratta di dare una cornice al nostro lavorare singolarmente con i nostripazienti.E la cornice per definizione deve avere una sua stabilità.Così ad inizio d'anno si fa una riunione programmatica, a partire da un esame di quello che si èfatto nell'anno passato, nella quale si indicano gli obiettivi <strong>del</strong> lavoro futuro, obiettivi che si verificherannopoi nelle riunioni organizzative mensili.Ogni settimana inoltre si svolge una riunione clinica. Sono stati discussi, da un punto di vistapsicoanalitico e sociale, circa 700 casi, alcuni dei quali riproposti longitudinalmente durante iltrattamento.Si tratta quindi di molte ore di lavoro in comune, e soprattutto si tratta di mantenere una costanzain questo lavoro.Penso che è semplicemente grazie all'esistenza di tale cornice che sono emerse molte domandealle quali si tenta di dare risposte attraverso l'osservazione <strong>del</strong>le situazioni cliniche.Ne farò un breve elenco.1. A quanto si può stimare la richiesta di interventi di psicologia clinica nella popolazione<strong>del</strong>la città? Quanti psicologi servirebbero per esaurire tali richieste? E poi chi sono coloroche fanno tali richieste?Noi possiamo dire che nel X Municipio vivono 175000 persone, in sei anni 800 sono venuteda noi. Sono in una forte percentuale donne. L'età maggiormente rappresentata è tra i 24-34 aa. Sono spesso persone che lavorano o studiano, pochi i disoccupati di lunga durata.Pazienti con difficoltà psicologiche anche serie ma che non necessitano di ricoveri o che nonevolvono in stati di emarginazione sociale.Ma è la disparità tra domanda ed offerta il dato più rilevante, quello che ci mette più a duraprova. Il tempo di lavoro <strong>degli</strong> operatori rischia costantemente di saturarsi.2. Come possiamo lavorare in una situazione sbilanciata tra domanda e offerta senza incideresulla qualità <strong>del</strong> lavoro clinico?Abbiamo messo a punto linee guida per realizzare un percorso di prima visita che permettedi fornire già un'esperienza significativa per l'utente e dare a noi la possibilità di selezionarecoloro per cui pensiamo sia, oltre che utile, realizzabile un processo psicoterapico. Unaricerca fondata su indicatori di risultato ci aiuta a valutare collettivamente questo lavoro ead introdurre le necessarie modifiche.3. Ma si può realmente immaginare il futuro di una psicoterapia? Ipotizzare che quel datopaziente sarà in grado di usufruirne?Abbiamo portato avanti un gruppo di studio su questo tema i cui risultati indicano la possibilitàdi previsione solo su situazioni particolari, estreme.4. Verifichiamo una differenza fondamentale tra utenti che hanno necessità di una psicoterapiastrutturata ed utenti che hanno necessità di quello che comunemente si dice “un appoggiopsicologico” (questi ultimi utenti provengono spesso da medici che li hanno in cura odai servizi sociali che li assistono).59


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 60Ma in che cosa consiste questo appoggio? E poi si tratta di una specifica competenza <strong>del</strong>lopsicologo o potrebbe essere praticata da qualsiasi operatore socio sanitario appositamentepreparato?5. Un gran numero di utenti porta a pensare all'opportunità di usare lo strumento <strong>del</strong> gruppoterapeutico. È ovvio che il passo non può essere automatico, ma gli 8 gruppi attivi nelnostro ambulatorio indicano non solo il vantaggio economico <strong>del</strong>lo strumento ma anche lasua efficacia nella maggioranza dei casi che si presentano a noi.6. E le conclusioni dei trattamenti? Quante sono? Con che esito?Quando parliamo di conclusioni dobbiamo parlare prima di che tipo di trattamento si tratta.La maggior parte dei pazienti che intraprende una psicoterapia lo fa obbligato da un sintomopiù o meno grave che gli preclude una vita soddisfacente. L'idea predominante nell'affrontareun percorso terapeutico è di risolvere il sintomo o superare la situazione difficile.Durante il lavoro l'attenzione si sposta su altri livelli più complessi e profondi, ma l'idea rimanee si propone come uno <strong>degli</strong> indicatori che portano la coppia o il gruppo a decidere di fermarsi.Si tratta spesso di quelle che vengono definite come tranche di analisi.Noi pensiamo che questo possa avere un senso soprattutto nelle persone più giovani che avrannoaltre esperienze forti e formative nella vita comune su cui andare avanti. In questi casi nonè infrequente un ritorno al servizio in momenti difficili <strong>del</strong>la vita.Allora si viene a realizzare, in queste conclusioni, nella mente <strong>del</strong> paziente, un'esperienza didefinizione di sé in cui il dolore <strong>del</strong>la separazione sembra mitigato dall'esperienza di condivisioneesperita e dal dato concreto <strong>del</strong>la permanenza di una istituzione pubblica nel quartiere.Rimane un'idea di solidarietà, di relazione, che il paziente porterà con sé.Si tratta di una forma di dipendenza o <strong>del</strong>la costituzione di un “sé” visto come fortemente connotatodi valenze sociali?Sicuramente molti colleghi che lavorano nei C.S.M. si sono posti alcuni di questi quesiti. La differenzatra di noi credo sia nella possibilità di ragionarci su con continuità e metodo. Tutto questoviene da alcuni giudicato un lavoro altamente specializzato altri lo giudicano settoriale.Credo siano validi ambedue gli aggettivi: si tratta di un settore che definiamo di clinica psicologica,molto diverso dall'operatività <strong>del</strong>la psichiatria e con alcune specificità che lo situa, inmodo originale, all'interno <strong>del</strong>la pratica psicoterapeutica.60


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 61Dott. Rinaldo PERINIResponsabile Centro di Salute Mentale di Guidonia - PalombaraIo ringrazio l'<strong>Ordine</strong> per l'invito a partecipare a questa tavola rotonda e ai lavori complessivi diquesta giornata. Devo dire che fra i relatori ho dimostrato sicuramente di essere il più pigro, nelsenso che non ho neanche proposto un titolo di relazione, di questo chiedo ovviamente scusapiù che agli organizzatori a voi che dovrete ascoltare le cose che mi vengono da dire.La mancanza <strong>del</strong> titolo secondo me sintetizza un po', quella che è la mia situazione. Io lavoro aGuidonia, quindi lavoro al di là <strong>del</strong> Raccordo Anulare, e da questo poi si potrebbe riflettere suche cosa è la salute mentale, i servizi di salute mentale dentro la cerchia <strong>del</strong> raccordo e comequesto essere all'esterno determini condizioni diverse. Diciamo che questo essere all'esterno <strong>del</strong>Raccordo Anulare mi ha consentito di trovarmi ad essere responsabile di un Centro di SaluteMentale, quindi non di un ambulatorio di psicologia o di un'unità operativa di psicologia, comeè stato illustrato nei precedenti interventi, ma proprio di un Centro di Salute Mentale.Me l'ha consentito sicuramente perché? Perché intanto fuori <strong>del</strong> Raccordo e via dicendo ci sonosicuramente molti meno primari psichiatri di quanti ce ne sono all'interno <strong>del</strong> Raccordo, e anchesu questo poi si potrebbe fare un'altra riflessione. Io un po' con l'incoscienza e comunque stimolatodallo stato di necessità, nel senso che poi per noi psicologi vale molto spesso anche ilfatto che se non ci buttiamo nelle cose risultati non se ne vedono, ho accettato questo incaricoe sto cercando di svolgerlo al meglio.L'occasione di oggi mi fa riflettere su come lo sto facendo. Diceva Stefano Angeli prima nelsuo, sicuramente meglio articolato intervento rispetto a quello che potrò fare io, “nella salutementale, non si accede direttamente ad uno psicologo. Da me è possibile. È possibile perchéintanto l'accoglienza e la valutazione <strong>del</strong>la domanda, che precede l'ingresso al servizio, non discriminatra assegnazione dei casi a psichiatri, a psicologi, comunque in genere sui casi piùcomplessi tende ad individuare un gruppo, un gruppo pluriprofessionale”. Qui mi viene insoccorso Mario Ardizzone con la sua premessa, nel senso che dice che le scoperte migliori sifanno lavorando assieme, quindi io me la gioco così la cosa, diciamo i casi più complessi ingenere li affidiamo ad un gruppo terapeutico, quindi un gruppo composto da più operatori e piùprofessionisti. I casi nei quali si immagina un trattamento, non dico più semplice ma quantomenoche possa essere gestito da un singolo professionista, l'assegnazione non pregiudica e nondiscrimina rispetto a psichiatri o psicologi.La differenza e le differenze che gradualmente si sono costruite, ormai sono circa tre anni chesono responsabile di questa struttura, che è una struttura semplice <strong>del</strong> Dipartimento, sono state,credo, in parte determinate dal fatto che io fossi uno psicologo. Posso dire che probabilmente ilfatto che io fossi uno psicologo ha anche quasi di per sé ridotto lo stadio di conflittualità che61


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 62invece caratterizzava quel contesto operativo, o quel setting. Noi abbiamo ripreso a fare <strong>del</strong>leriunioni cliniche, <strong>del</strong>le riunioni organizzative, e credo che in questo terreno di intersoggettivitàe di costruzione di relazioni ho giocato sia la funzione di responsabile <strong>del</strong>la struttura che quelladi psicologo, e se non l'avessi fatto, probabilmente non ne sarei venuto fuori.Cosa voglio dire con questo? Voglio dire che secondo me anche nella responsabilità <strong>del</strong>le strutture,così come esse sono ogni professionista porta una serie di elementi, di valenze a carattereprofessionale che sicuramente hanno determinato e determinano una resa poi in termini di raggiungimento<strong>degli</strong> obiettivi.Dico questo perché riconosco questa necessità che ricordava Mario Ardizzone di tenere apertiper lo sviluppo dei mo<strong>del</strong>li operativi <strong>del</strong>la psicologia, due strade.Una strada che è quella <strong>del</strong>le unità operative di psicologia, dei dipartimenti di psicologia, <strong>degli</strong>ambulatori di psicologia, e una strada in cui si costruisce il confronto tra discipline.Perché quando parliamo <strong>del</strong> servizio sanitario dobbiamo anche sapere che all'interno dei dipartimenti,nel caso <strong>del</strong> dipartimento di salute mentale, coabitano due discipline, la disciplina dipsichiatria, e la disciplina di psicologia.O meglio: coabitano, intanto, due aree, l'area medica e l'area psicologica, che ha al suo internole sue due discipline che sono psicologia e psicoterapia, e l'area medica con la sua disciplina dipsichiatria. Ora tutto questo è definito, e secondo me non ne dobbiamo cercare un'altra definizione,dobbiamo saper dar corpo a questa definizione. Ovvero non vorrei che diventi il destino<strong>degli</strong> psicologi e <strong>del</strong>la psicologia nel Servizio Sanitario Nazionale vivere una specie di condizionedi perenne transumanza, e lo dico perché di questa perenne transumanza sono un esempiovivente, nel senso che io ho iniziato lavorando come psicologo nelle famose équipe sociopsicopedagogiche.I più giovani ovviamente non sanno neanche di cosa sto parlando, ma i colleghipiù anziani lo sanno, cioè erano <strong>degli</strong> psicologi che con una convenzione con il Ministero<strong>del</strong>la Pubblica Istruzione per i Comuni lavoravano nella scuola per l'integrazione con la 517dei soggetti con handicap, quando sono state chiuse le scuole speciali.Di tutta questa nostra attività nelle scuole è rimasto io credo molto poco, per quelle che eranostate le premesse, tant'è che ancora oggi stiamo discutendo su come riorganizzare tutta l'attivitàin questo settore, e credo che Diego Garofalo lo potrà illustrare sicuramente meglio di me, conpiù particolari, visto che è quello che lui sta facendo in questo momento, però noi rischiamo dipassare a gruppi per posti, e quindi anche i dipartimenti di salute mentale diventeranno uno deiluoghi che noi abbiamo attraversato, senza che ne resti una testimonianza forte. Rispetto a questol'intervento di Stefano Angeli secondo me offre, almeno a me offre, un'occasione di forteriflessione. È vero che è molto più difficile riflettere su di sé all'interno di un centro di salutementale, però probabilmente è proprio questo lo sforzo che dobbiamo riuscire a fare. Ovveroriuscire a definire e riflettere meglio su quella che è la nostra attività, anche quando questa attivitàsi svolge parallelamente ed insieme con quella di altre discipline.Grazie.62


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 63“La <strong>Psicologi</strong>ain un mo<strong>del</strong>lo multidisciplinareorientato al cliente”Dott.ssa A<strong>del</strong>e DI STEFANOResponsabile Area Ricerca e ValutazioneDipartimento 3D ASL di FrosinoneDevo premettere che il mio intervento è controcorrente rispetto agli orientamenti finora esposti.L'esperienza che mi è stato chiesto di illustrare e analizzare, nasce da una doppia visuale:l'una empirica, nata dall'esperienza clinica e operativa di tutti i giorni, l'altra teorica, basata suimo<strong>del</strong>li organizzativi, di cui oggi appunto si è parlato poco.L'esperienza nasce dal processo di cambiamento organizzativo e funzionale promosso dalDipartimento Disagio Devianza Dipendenza. Esso rappresenta l'evoluzione di un ServizioTossicodipendenze, attuato in una provincia <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>. Ormai 6 anni fa, all'interno <strong>del</strong> serviziovi era una situazione simile a quella di tanti Ser.T.: le prestazioni erano consolidate su un targetdi eroinomani, ormai fi<strong>del</strong>izzati al servizio, lo scambio con l'esterno era basato su rapporti centratisul singolo piano di trattamento da realizzare per ogni utente, lo scambio professionaleinterno sufficientemente statico. L'ingresso di un gruppo nutrito di nuovi operatori ha fatto sìche si creassero le condizioni per operare una nuova lettura <strong>degli</strong> scenari, per analizzare inmaniera diversa la domanda, e quindi per interpretare il fenomeno <strong>del</strong>la dipendenza a partire dauna differente visuale.La lettura <strong>degli</strong> scenari ed una approfondita analisi <strong>del</strong>la domanda hanno costituito, quindi,la chiave di volta <strong>del</strong>la nuova impostazione <strong>del</strong> servizio da erogare. In particolare si era ritenutofondamentale non trattare la tossicodipendenza solamente nel suo aspetto sintomatologico,ma di affrontarla partendo dalla sua eziologia; tale elemento comportava la necessità di trattareil problema <strong>del</strong>l'”integrazione” <strong>del</strong>l'individuo sia come “integrazione <strong>del</strong> Sé”, ma anche comeintegrazione familiare e sociale. Pertanto la collettività diveniva soggetto ed oggetto di attenzione.La fase di lettura <strong>del</strong> problema e la conseguente formulazione di una mission <strong>del</strong> serviziocorrisponde, infatti, al primo passaggio indispensabile in qualsiasi progettazione e apre lestrade per immaginare specifiche tipologie di azioni appropriate, che non sempre combacianocon quelle già attuate in precedenza. In altri termini, per quanto ci riguarda direttamente, unaattenta analisi <strong>del</strong>la domanda e un accurato studio <strong>degli</strong> scenari può far intravedere l'opportunitàanche allo psicologo di agire anche in ambiti differenti dal campo psicoterapeutico, ambiticomunque di stretta pertinenza psicologica, quali la progettazione di interventi preventivi, distudio <strong>del</strong>le rappresentazioni sociali, di formazione <strong>del</strong> personale scolastico o <strong>del</strong> terzo settore,di promozione, conduzione e supervisione di gruppi di lavoro, ecc. Negli interventi che mihanno preceduto, abbiamo sentito che il mo<strong>del</strong>lo organizzativo proposto <strong>del</strong>l'unità operativa (oancor più <strong>del</strong> Dipartimento) specialistica di psicologia è centrato fondamentalmente su un'ideadi un servizio che eroga prestazioni cliniche - psicoterapia o counseling - a quei pazienti che nefanno richiesta. È evidente che l'idea di servizio, la mission fondante <strong>del</strong> servizio che sto illu-63


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 64strando attuato con il Dipartimento Disagio, Devianza Dipendenze, si basa su un diverso presupposto.Il target è costituito principalmente dalla popolazione <strong>del</strong> territorio, le prestazionisono rivolte anche alla collettività, il contributo specialistico <strong>degli</strong> psicologi si inserisce nellagamma di offerta multipla che viene erogata. Se nel primo caso, quindi, l'offerta è principalmenteterapeutica, nel secondo caso è anche di psicologia di comunità, di psicologia <strong>del</strong>la salute,di psicologia <strong>del</strong> lavoro. Il tutto in stretto collegamento funzionale con le altre discipline,che concorrono a fornire un servizio coerente alla domanda di salute <strong>del</strong>la popolazione.In altri termini, il campo esperenziale <strong>del</strong>l'attività clinico professionale rendeva necessaria unariformulazione <strong>del</strong>l'organizzazione <strong>del</strong> servizio capace di:• garantire una risposta adeguata alla popolazione direttamente o indirettamente coinvolta nelfenomeno <strong>del</strong>la dipendenza;• garantire una gamma di servizi, capaci di costituire “pacchetti integrati” di prestazionipluridisciplinari per una patologia multifattoriale• organizzare gruppi di lavoro operativi, aggregati in funzione <strong>degli</strong> specifici target individuati,per erogare “pacchetti” di prestazioni (unitarietà <strong>del</strong>la produzione).La seconda visuale che mi accingo ad illustrare, si riferisce alla evoluzione di diversi mo<strong>del</strong>liorganizzativi, che ha costituito il supporto teorico per la ridefinizione <strong>del</strong>la struttura organizzativa<strong>del</strong> servizio.Per far ciò è necessario esaminare, se pur brevemente, i cambiamenti avvenuti nelle organizzazionimoderne, in cui è forte l'impatto <strong>del</strong>le innovazioni, in cui si riconosce l'importanza <strong>del</strong>ledinamiche derivanti dal comportamento <strong>degli</strong> addetti, e in cui i mercati impongono adattamenticontinui. Per queste ragioni è divenuto centrale, più che in passato, promuovere i processi diapprendimento e di cambiamento. Tali processi possono essere più facilmente veicolati da unaorganizzazione dinamica e flessibile, che investe sulle capacità <strong>del</strong> personale, che sappia fornireprodotti di qualità e che sappia migliorare continuamente.Le forme organizzative hanno subito quindi una progressiva evoluzione dalle imprese “funzionali”(gerarchiche e con presenza di forte divisione <strong>del</strong> lavoro per specializzazioni), alle imprese“divisionali” (specializzate e segmentate su specifici prodotti), alle imprese “a matrice” (conpresenza di responsabilità diffusa, con condivisione di obiettivi, capace di flessibilità), alleattuali imprese “rete” (con interscambio tra interno ed esterno, con adozione <strong>del</strong>le forme amatrice, con autonomia <strong>del</strong>le subunità organizzative) (Butera F., 1990). Maggiore è il livello dievoluzione tra queste forme, maggiore è la necessità di un impegno nel lavoro al di là di specificisettorialismi operativi.La tradizionale organizzazione “funzionale” parte dalla identificazione di mansioni simili edalla loro riunificazione in gruppi e settori omogenei per disciplina. Il vantaggio è ovviamenterappresentato dalla specializzazione che si può raggiungere in ogni settore, il limite risiede nellaimpossibilità di coordinare le differenti funzioni in una funzionalità comune a tutta l'organizzazione.È il tipico funzionamento denominato “a canne d'organo”, in cui ogni individuo prosegueun percorso ben definito, con pochi scambi con l'esterno e poca conoscenza <strong>del</strong>l'insieme<strong>del</strong>l'organizzazione stessa.Nelle forma di organizzazione per unità di produzione si attivano i processi di decentramentoin considerazione <strong>del</strong> fatto che le unità hanno al loro interno le competenze per una autonomae responsabile gestione e realizzazione <strong>del</strong>la produzione. Esse possono essere identificate intre differenti tipologie, corrispondenti a differenti finalità <strong>del</strong>l'organizzazione stessa.Le tre tipologie sono:• orientamento al territorio di destinazione64


• orientamento al prodotto• orientamento ai clienti o destinatariNel caso di orientamento al territorio abbiamo unità che offrono tutti i prodotti necessari allapopolazione di una determinata area (nel nostro caso unità locali distrettuali non differenziateper servizi); nel caso di orientamento al prodotto abbiamo la specializzazione <strong>del</strong>la produzione,determinata dall'offerta e non dalla domanda (tipico nel nostro campo <strong>del</strong>le unità operativeidentificate per specialità come la cardiologia, la chirurgia, la psicologia); nel terzo caso, infineabbiamo una produzione determinata primariamente dalla domanda, in cui lo specialismo corrispondealle esigenze <strong>del</strong> target (nel nostro caso è l'esempio che sto illustrando).All'interno di una organizzazione le tre tipologie sono generalmente compresenti in differentisegmenti o in integrazione reciproca.Ulteriore elemento è la determinazione <strong>del</strong>la forme di collegamento orizzontale capaci di farfronte ai cambiamenti esterni, senza di volta in volta modificare la struttura organizzativa.(Task force, manager integratori, matrici).L'introduzione <strong>del</strong>l'organizzazione a matrice sovverte tutti i tradizionali criteri di raggruppamentoorganizzativo. Si compie la scelta di non utilizzare soltanto il criterio funzionale o quellodi prodotto, ma di creare una relazione, un incrocio tra questi, appunto una matrice di relazioni.Le matrici rappresentano la chiave di volta di strutture orientate all'innovazione ed alla deverticalizzazionegerarchica. Queste forme di collegamento si concretizzano nella combinazionesistematica <strong>del</strong>le tradizionali funzioni aziendali con piani di innovazione, che consentono allediverse unità operative di partecipare, attraverso le attività dei loro addetti, alla realizzazione diprogetti di sviluppo di prodotti o processi. A fianco dei tradizionali ruoli gerachici emerge la‘direzione di prodotto’, oppure la 'direzione di progetto', che integrano orizzontalmente le diverseattività, rompendo il classico principio <strong>del</strong>l'unicità di comando a favore di un'idea di direzionemultipla.La matrice organizzativa• è figlia di una cultura organizzativa orientata alla cooperazione ed alla logica <strong>del</strong> problemsolving,• è funzionale a situazioni caratterizzate da alti livelli professionali <strong>del</strong>le risorse umane,• richiede capacità di negoziazione diffuse nel corpo organizzativo e capacità di tollerare altiritmi di lavoro• convive con alti livelli di incertezza operativa.Date queste premesse, diviene evidente che l'organizzazione tipica e tradizionale ospedaliera,basata sulla divisione per unità operative che ricalcano le singole specialità mediche, non tieneconto dei cambiamenti a cui un organizzazione moderna dovrebbe saper rispondere. In altreparole, la suddivisione in reparti di cardiologia, ortopedia, medicina, ecc. parte dal presuppostodi orientare la produzione in funzione <strong>del</strong>l'offerta specialistica e non in funzione <strong>del</strong>le necessitàdi cure complessive dei possibili clienti (ad esempio diabetici, ipertesi, oncologici, ecc) chenecessitano inevitabilmente <strong>del</strong>la concorrenza di più specialità. Inoltre la tradizionale organizzazionedivisionale ospedaliera non promuove collegamenti orizzontali tra le divisioni.Tornando al nostro discorso iniziale, che considerava la valenza clinico operativa di riformulazione<strong>del</strong> servizi e la valenza metodologico-teorica sui mo<strong>del</strong>li organizzativi, abbiamo potuto“disegnare” l'attuale forma organizzativa <strong>del</strong> Dipartimento. Questo, per maggiore chiarezza,può essere illustrato graficamente come nella sottostante figura. Essa rappresenta il mo<strong>del</strong>lodipartimentale per le dipendenze così come approvato dalla Regione <strong>Lazio</strong> ed inserito nel Prolibro<strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 6565


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 66getto Obiettivo Triennale per le tossicodipendenze ed alcodipendenze, che ha ripreso il mo<strong>del</strong>lobase già realizzato sperimentalmente dal Dipartimento 3D.Come si può vedere il mo<strong>del</strong>lo rappresenta una matrice, ossia un incrocio tra livelli di responsabilitàe coordinamento orizzontale e verticale.Nella rappresentazione grafica <strong>del</strong> dipartimento vediamo in verticale le unità operative, deputatea erogare prodotti finali all'utenza. L'utenza è stata “segmentata” per target omogenei, rappresentatida “disagio adolescenti”, “detenuti ed ex detenuti”, “dipendenze tradizionali”, “nuovedipendenze”, “alcoldipendenze”. La linea di responsabilità nelle unità operative è di tipo gerarchico.(Nel Dipartimento 3D abbiamo più unità operative tra cui “occupazione” dedicata all'inserimentolavorativo, “extracomunitari”, “devianza e microcriminalità”).Le linee orizzontali rappresentano, invece, le aree di coordinamento funzionale, ossia orientate“a progetti” o “a funzioni”. La linea di responsabilità non è gerarchica, bensì di coordinamentotecnico scientifico. Le funzioni individuate nel mo<strong>del</strong>lo illustrato sono cinque: prevenzione, diagnosie trattamento, riabilitazione e reinserimento, promozione e coordinamento reti, qualità eformazione. Le ultime due rappresentano funzioni che agiscono sull'intero sistema organizzativo,e concorrono primariamente a realizzare l'innovazione programmata.Come si può osservare la scelta effettuata ha privilegiato la costituzione di unità operative infunzione <strong>del</strong>la tipologia di cliente. Questo ha comportato di pensare ed organizzare servizi perun'utenza differente dall'eroinomane. In pratica, a differenza <strong>degli</strong> altri SERT laziali, ora è presain carico una percentuale maggiore di utenza consumatrice di nuove sostanze, o che versa insituazione di grave disagio e marginalità sociale (i non eroinomani afferenti nei SerT <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>sono pari al 12% circa <strong>del</strong>l'utenza totale, contro un 45% circa <strong>del</strong> Dipartimento 3D)Cosa c'entra la psicologia in tutto questo? La prima risposta che vorrei dare è “in tutto questomo<strong>del</strong>lo”. Infatti il ribaltamento <strong>del</strong> vertice di osservazione <strong>del</strong> fenomeno, la possibilità di apportaremutamenti nei mo<strong>del</strong>li organizzativi in funzione di un costante apprendimento dall'esperienzasono frutto di una specifica competenza psicologica. Tramite essa è stato possibile leggerela domanda latente ed implicita di salute, supportare l'organizzazione in modo tale che divenissein grado di reggere all'impatto innovativo, motivare il personale verso il cambiamento. Èevidente che tale impiego di risorse in una ristrutturazione è legittimo solo nel caso in cui divienenecessario apportare innovazione determinata dalla pressione <strong>del</strong>l'ambiente. Nel nostro specificocaso la pressione ambientale era data dall'analisi <strong>del</strong> fenomeno <strong>del</strong>la dipendenza non piùcircoscrivibile al fenomeno <strong>del</strong>l'eroina di pazienti cronicizzati.Come facilmente si può evincere si sono modificare anche le specifiche competenze professionali.Laddove, prima, lo psicologo si occupava esclusivamente di diagnosi e trattamento <strong>del</strong>singolo paziente e <strong>del</strong>la sua famiglia, ora si trova a confrontarsi con competenze di psicologiadi comunità. Inoltre, ancor più importante, per un nutrito gruppo di colleghi la funzione principaleè divenuta quella <strong>del</strong> coordinamento e <strong>del</strong>la supervisione. Infatti il mo<strong>del</strong>lo illustrato, comesi vede nella rappresentazione grafica, prevede che al Dipartimento afferiscano anche risorseesterne all'Azienda, nell'ottica di un coordinamento unitario per la costruzione di una rete integratadi servizi. Si ricorda, per inciso, che il Dipartimento, come previsto anche dalla attuale normativa,non svolge di norma funzioni gerarchiche, bensì funzioni di coordinamento per lo svolgimentointegrato di funzioni complesse e pertanto ha compiti di orientamento, consulenza esupervisione. Il coordinamento <strong>del</strong>le risorse umane e logistiche interne ed esterne assume cosìuna rilevanza strategica. I servizi non sono più erogati esclusivamente dall'organismo sanitariopubblico, ma da tutti i soggetti presenti nel territorio, nel nostro caso da altri soggetti pubblici(enti locali), e dal privato sociale.Forse un esempio può descrivere meglio questi passaggi. Un intervento tipico attribuito dalla66


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 67normativa ai SerT riguarda l'informazione e la consulenza presso le scuole secondarie. Generalmenteessa rimane un'attività residuale, a cui si possono dedicare poche risorse. Con il mo<strong>del</strong>loorganizzativo adottato, abbiamo potuto convogliare molte <strong>del</strong>le risorse esterne (volontari, tirocinanti,addetti <strong>del</strong> privato sociale) verso questa attività, affiancandoli uno ad uno al personaleinterno aziendale, garantendo percorsi formativi e di supervisione. In questa maniera è stato possibilerispondere al totale <strong>del</strong>la richiesta territoriale e, al contempo, accrescere le competenze <strong>del</strong>personale addetto. Analogamente è stato possibile costruire percorsi integrati per i soggetti cheusufruiscono contemporaneamente di servizi <strong>del</strong> privato sociale (comunità, centri diurni) e diservizi pubblici (psicoterapia, farmacoterapia, ecc.). La capacità/competenza nel lavorare ingruppo è' sottesa alla possibilità di integrazione. La funzione di favorire e supportare il lavorodi gruppo è stata ed è attribuita specificatamente agli psicologi che coordinano progetti, chesupervisionano e che promuovono azioni di team building.Quali le condizioni per realizzare tale innovazione? Innanzitutto una forte pregnanza <strong>degli</strong>obiettivi, condivisi non solo dagli attori direttamente in gioco (colleghi, operatori dei servizi<strong>del</strong>la rete, destinatari), ma anche dalla direzione strategica aziendale e dagli organismi regionalicompetenti in materia. Inoltre una elevata competenza professionale specifica e specialistica,che garantisca che l'integrazione tra professioni non diventi un appiattimento verso un agirecomune indifferenziato e superficiale.I limiti di tale organizzazione sono dati dalla stessa complessità <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo. Ove non esista unadirezione innovativa, ove lo scontro tra professioni comporti atteggiamenti difensivi protezionisticiè difficile attuare un mo<strong>del</strong>lo alla cui base esistono i principi <strong>del</strong>la flessibilità e <strong>del</strong>la dinamicità.Come credo a questo punto risulti evidente, in questo mo<strong>del</strong>lo non si esclude un coordinamentodi funzioni su base professionale, ma esso non assume rilevanza nelle funzioni strategiche<strong>del</strong>l'organizzazione. La tensione rimane verso le tipologie di clienti e verso le aree progettualiche si vogliono sviluppare (nel nostro caso prevenzione, cura, riabilitazione come progetti direttiai destinatari finali e promozione di rete e miglioramento <strong>del</strong>la qualità come progetti rivolti alsistema). Si potrebbe, in altri termini, dire che i gruppi di lavoro professionali possono costituirespecifici progetti di confronto e supervisione monodiscipliari, da inserire comunque in unavisione integrata e multidisciplinare, disegnata per le esigenze <strong>del</strong>l'utenza e non <strong>degli</strong> operatori.D'altra parte credo sia difficile sostenere che patologie con chiara base multifattoriale (tipichedei nostri servizi sulle dipendenze, sulla salute mentale, sulla salute materno infantile, mapotremmo estenderlo anche a molte patologiche tipiche <strong>del</strong> ricovero ospedaliero), possano esseretrattate segmentando l'offerta di servizi in base alle singole discipline specialistiche e lasciandoall'utenza il difficile compito di integrare (anche logisticamente) le varie parti tra loro.La finalità <strong>del</strong> coordinamento tra professioni, la finalità di un'organizzazione basata sulladomanda è di garantire servizi in cui l'utente, il cittadino, il cliente non debba costruire e ricostruireil percorso che dia continuità al proprio iter terapeutico-riabilitativo.67


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 68Grafico: Dipartimento per il Disagio e le DipendenzeResponsabileDipartimentoDistrettoArea Sistema DistrettualeDipartimentale (Ser.T.)UU.OO. altri organismiUU.OO. Enti ausiliariAltre UU.OO. aziendaliUU.OO. AlcoldipendenzeUU.OO. Nuove dipendenze(interdistrettuale)UU.OO. dipendenze tradizionaliU.O. Detenuti ex detenuti(se presente Istituto Penitenziario-interdistrettualeU.O. Disagio adolescenti e giovani adultiA.F.O.PrevenzioneA.F.O.Diagnosi etrattamentoA.F.O.Riabilitazione eReinserimentoA.F.O.Promozione ecoord. retiA.F.O.Qualitàe Formazione68


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 69BibliografiaBUFERA F. (1990) - Il castello e la rete, Franco Angeli, MilanoDI STEFANO A., FERRAUTI F., MOINI G., PACCHI C., ANTONELLIS D., BERT F. (2001) - Il Reengineeringorganizzativo. Teorie, metodi, strumenti per un'applicazione concreta in sanità, CentroScientifico Editore, TorinoFERRAUTI F, DI STEFANO A., MACIOCIA L. (2001) - Organizzazione e Programmazione <strong>del</strong> DipartimentoDisagio, Devianza, Dipendenza, ASL FrosinoneMINTZBERG H. (1985) - La progettazione <strong>del</strong>l'organizzazione aziendale, Il Mulino, BolognaREGIONE LAZIO - DELIBERA GIUNTA REGIONALE DEL 7 MARZO 2000, n.716 “ApprovazioneProgetto obiettivo promozione e tutela <strong>del</strong>la salute da abuso e dipendenza da sostanze psicotropee alcol”, triennio 2000 - 2003.69


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 70“Alla ricerca <strong>del</strong>la specificità psicologicanei servizi per la salute in età evolutiva:idee e prassi, miti e visioni”Dott. Diego GAROFALOCoordinatore Attività <strong>Psicologi</strong>che Area Tutela Salute Mentalee Riabilitazione Età Evolutiva Azienda ASL Roma BPREMESSA. GLI ATTUALI SERVIZI COME CONTENITORI RASSICURANTI, MA OBSOLETILe riflessioni che seguono riguardano l'operatività <strong>del</strong>lo psicologo nei Servizi cosiddetti Materno-Infantili<strong>del</strong>le ASL (si noti la curiosa denominazione, con l'eclatante assenza <strong>del</strong> padre). Inverità un Servizio così unitariamente strutturato non esiste in tutte le regioni, che vedono idiversi interventi in favore <strong>del</strong>l'infanzia e <strong>del</strong>la famiglia afferire a Servizi diversi; e d'altra partenella nostra Regione - che l'ha istituito nel 1994, auspicandone successivamente l'organizzazionein Dipartimento - c'è ancora qualche Azienda che tale Dipartimento non ha. Non si tratta disemplice questione organiz-zativa: c'è di mezzo una concezione <strong>del</strong>l'intervento per l'infanzia.L'organizzazione dipartimentale assicura quel mo<strong>del</strong>lo di operatività integrata ed unitaria che èessenziale per rispondere al complesso ed unitario mondo <strong>del</strong>l'infanzia, e per salvaguardarequindi le competenze (conoscenze e abilità) specificamente sviluppate intorno a questo ciclo divita, la cui importanza per l'ulteriore sviluppo personale e sociale è da tutti riconosciuta. In taleprospettiva non ha senso scorporare i vari aspetti o segmenti di esso affidandoli ad altri contenitorigenerici, quali ad es. l'assistenza di base, o la riabilitazione, o il Dipartimento di SaluteMentale; mentre dei servizi specialistici possono e debbono trovare un'adeguata collocazioneinterna, ad es. - appunto - un Servizio di psicologia. Non è un'esagerazione interessata affermareanzi che tale mo<strong>del</strong>lo di integrazione operativa per il minore può diventare il paradigma di ognipsicologo che opera per la salute “olistica” <strong>del</strong>la persona, da vedere sempre in un'ottica globalee contestuale al suo effettivo, complessivo, continuativo processo di sviluppo. Quindi, tantoper sgombrare il campo da possibili fraintendimenti, il metodo migliore per realizzare tale interventoè l'interdisciplinarità e il lavoro d'équipe. Ma la domanda che ci dobbiamo porre, in questomomento storico, è quanto i Servizi attualmente costituiti ed effettivamente operanti permettonola piena estrinsecazione <strong>del</strong>la nostra specifica professionalità in un contesto operativocaratterizzato dalla predominanza <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo e <strong>del</strong>la figura medica.A questo proposito, c'è appunto un altro aspetto storico che aiuta a spiegare certe resistenzeinterne alla nostra categoria ad una integrazione <strong>del</strong>l'intervento psicologico nel DipartimentoMaterno Infantile. All'interno di questo, sempre nella Regione <strong>Lazio</strong>, esistono due Aree che prevedonol'operatività <strong>del</strong>lo psicologo: l'Area Consultoriale e l'Area per i disturbi in età evolutiva(ufficialmente chiamata Area Tutela Salute Mentale e Riabilitazione in Età Evolutiva, ma inrealtà chiamata nei più recenti documenti nazionali “settore di neuropsichiatria infantile”). Èsignificativo che nei testi normativi <strong>del</strong> Ministero <strong>del</strong>la Sanità il Consultorio compaia sempre:il fatto è che esso gode di una legge istitutiva a livello nazionale ed esiste in tutte le Aziende.Ma può essere altrettanto significativo rilevare che il Consultorio è nato come un servizio a forte70


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 71caratterizzazione sociale, mentre il servizio per i disturbi in età evolutiva discende dall'istituzione<strong>del</strong>le cosiddette Unità Territoriali di Riabilitazione (per l'handicap) e quindi con una fortecaratterizzazione medica (e con la presenza di neuropsichiatri infantili la cui competenza sisovrappone per molta parte con quella <strong>degli</strong> psicologi). Ora è evidente che lo psicologo consultorialegoda di maggiore autonomia anche a livello gestionale, ma il problema è ancora una voltaquello di uscire da contenitori rassicuranti e lottare per servizi con idee forti. Che senso ha dividerel'intervento per il genitore, la coppia, la famiglia da quello per il bambino? Tutte le difficoltà<strong>del</strong> bambino equivalgono a handicap? Qual è il modo migliore per intervenire, complessivamentee psicologicamente, sul disagio infantile e familiare?Più in generale, l'impressione è che come psicologi siamo stati finora rassicurati dall'aggancioad un mo<strong>del</strong>lo culturale ed organizzativo dalla forte e ben definita caratterizzazione medica,pagando inevitabilmente il prezzo di una visibilità debole, anche per i rapporti di forza all'internodei servizi “sanitari” dominati e governati dai medici, da cui abbiamo mutuato inconsapevolmenteidee, terminologia e persino (per qualcuno) il camice. Non si tratta ora di lottare controla visione medica né tanto meno contro i medici; semmai, dopo quasi trent'anni di crescita(dall'istituzione di primi Corsi universitari), è giunta l'ora di lottare per il riconoscimento <strong>del</strong>lanostra più piena e matura identità. Identità che è profondamente diversa da quella medica, per ildiverso approccio appunto alla persona e alla salute. Non la competizione, ma la strategia <strong>del</strong>ladifferenziazione ci può portare ad una collaborazione vera e pariteticamente riconosciuta. Èovvio che, se l'organizzazione sanitaria attuale non consente l'estrinsecazione di questa diversità,è ora di pensare ad un'organizzazione diversa. Cioè -con uno slogan che riflette la nostra maturazionenell'arco <strong>degli</strong> ultimi tre decenni- non più la psicologia nei Servizi, ma Servizi di psicologiaunitariamente integrati negli attuali “contenitori” dipartimentali, se proprio si vuole rinunciarealla costituzione di un vero e proprio Dipartimento di <strong>Psicologi</strong>a. L'autonomia non significaautarchia. E più rafforziamo la nostra identità più sentiamo il bisogno di autonomia, chefacilita peraltro la necessaria relazione con tutti gli altri operatori per la salute.1. MITI, IDEE E VISIONI DELL'INTERVENTO PSICOLOGICO PER LA SALUTE IN ETÀ EVOLUTIVAPer lavorare bene bisogna avere buone idee. Bateson dice che molte idee <strong>del</strong>la scienza d'oggisono obsolete; per noi psicologi <strong>del</strong>la sanità, che abbiamo lottato per avere uno status socialmentericonosciuto alla pari con quello <strong>del</strong>la medicina, molte nostre idee di fondo sembrano arimorchio di convinzioni mediche magari leggermente rivisitate. Dobbiamo rivederle alla radice,se vogliamo cercare la nostra identità matura. Faccio qualche esempio.Anzitutto: cos'è la salute, per noi psicologi? Canguilhem diceva, con una pregnante paradossalità,che essa è il lusso di potersi ammalare. Quindi essa si fonda sul diritto (ormai mondialmentericonosciuto) allo stare il più possibile bene (il ben-essere integralmente considerato). Lo spostamentoè radicale: dall'ottica centrata sulla malattia (ed un'organizzazione centrata conseguentementesugli ospedali) a quella sulla salute (che conseguentemente dovrebbe vedere lo sviluppodei servizi territoriali). Forse è questa nuova ottica che abbiamo paura di esaltare per pauradi perdere quell'autorevolezza scientifica data alla “sanità” più che alla salute. Una salute cheper noi psicologi ha il suo focus nella soggettività e nella relazionalità <strong>del</strong>la persona in sviluppo,nella quale si integrano gli aspetti biologici con quelli psichici, ma senza egemonie riduttivistichené confusi eclettismi (cfr. Gadamer, 1994). Molte persone (forse anche qualche psicologo)sembrano non credere fino in fondo alle potenzialità <strong>del</strong>la mente sulla salute <strong>del</strong>l'interapersona. Salute che, come l'approccio al bambino insegna (vedi sopra), sta nel progressivo edintegrale sviluppo <strong>del</strong>la persona in un'autonomia che ha bisogno di positive relazioni interpersonalie sociali; uno sviluppo che deve quindi essere sostenuto a tutti i livelli e in tutti gli71


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 72ambienti di vita. E questo significa che dobbiamo trovare un'aggregazione più unitaria nel mondo<strong>del</strong>la sanità, che ci renda più forti e più autonomi nel collaborare anche con tutti i soggettisociali interessati alla salute, come ad esempio gli Enti Locali e il Privato Sociale (un mo<strong>del</strong>loè fornito dalla legge 285/97, mentre un aggancio legislativo -finora, a mio parere, poco cavalcatoda noi- è quell'Area sociosanitaria ad elevata integrazione sanitaria prevista dal Decreto229/99).Questa ricerca di specificità costringe a farci altre domande correlate. Che senso diamo alla diagnosi?A quale scopo noi facciamo una diagnosi? Perché ce la chiede lo psichiatra o il neuropsichiatrainfantile che devono dare farmaci, o riempire cartelle, o fare studi epidemiologici connosografia universale e quindi sempre più basata non su visioni cliniche ma soprattutto comportamentali?Certo pure noi possiamo e dobbiamo fare questi studi, e curare di più anche laricerca. Ma la nostra diagnosi è sempre funzionale a quella data persona, allo sviluppo <strong>del</strong>le suerisorse e potenzialità, e non tanto all'evidenziazione dei suoi deficit. Dobbiamo saper fare unanostra specifica diagnosi psicologica, che per l'età evolutiva significa conoscere bene il bambinonella sua realtà globale, non solo alla luce <strong>del</strong>le sempre più raffinate conoscenze scientifiche,ma anche <strong>del</strong> sui contesto specifico e socioculturale. Solo se abbiamo un'autonomia operativae gestionale forte la nostra diagnosi può contribuire all'intero processo di sviluppo <strong>del</strong> bambino,stando alla pari con la diagnosi e la cura medica, pur nell'indispensabile collaborazione.E che senso hanno i “sintomi” nella nostra visione psicologica? Basti pensare ai bambini chevengono al nostro Servizio col “sintomo” <strong>del</strong>l'enuresi, <strong>del</strong>la fobia di qualcosa, <strong>del</strong>la masturbazione,<strong>del</strong>l'iperattività, <strong>del</strong>la depressione. Siamo sicuri che questi termini mutuati dalla medicinacorrispondano a quanto noi ci sforziamo di capire <strong>del</strong> bambino? Sono segni di malattia propriamentedetta? O di un disagio, che non dobbiamo comunque ridurre a un “concetto spazzatura”?Ma chi si occupa <strong>del</strong> disagio dei bambini strombazzato ai quattro venti da tutti i giornalie buono soltanto (forse) nella campagne politiche? Il sintomo è per noi un messaggio: chi loascolta? come intervenire su di esso? Abbiamo paura di dover dividere il compito <strong>del</strong>l'interventodifficile e complesso con genitori, pedagogisti, sociologi, anziché con i più blasonati medici?Interrogarci sul senso, sulle cause, sui possibili rimedi è opera soltanto filosofico-giornalistica?E che senso ha la cura? Che cos'è per noi la “guarigione”? In cosa consiste l'aiuto per l'altro?Nell'aiutarlo a fargli ritrovare l'autonomia <strong>del</strong> proprio sviluppo, nel sostenerlo nella capacità distare meglio con se stesso e con gli altri. Rileggiamo queste affermazioni: “Noi non desideriamoaffatto che la psicoanalisi venga inghiottita dalla medicina e finisca col trovar posto nei trattatidi psichiatria, al capitolo terapia, fra quegli altri procedimenti -come la suggestione ipnotica,l'auto-suggestione e la persuasione- che nati dalla nostra ignoranza debbono la loro effimeraefficacia soltanto all'inerzia e alla debolezza <strong>del</strong>le masse umane. Essa merita un destinomigliore”. Chi le scrive è nientemeno Freud (1926, p.413), il quale lotta per non far diventare lapsicoanalisi branca <strong>del</strong>la medicina appunto perché non vuole assimilarla a quelle concezioni cheaddomesticano le capacità di autonomia e di responsabilità <strong>del</strong>l'uomo. Questo è il senso profondo<strong>del</strong>l'analisi “laica” che lui difende come visione <strong>del</strong>la salute sganciata dall'ideologia medica,aggiungendo infatti subito dopo: “Quel che vogliamo fare è arricchire [il paziente], e trarre questaricchezza dal suo intimo facendo affluire al suo Io sia le energie che a causa <strong>del</strong>la rimozionesono relegate nell'inconscio sia le energie che l'Io, per poter conservare le rimozioni, ècostretto a dilapidare” (ivi, p.421). Non si tratta di voler curare solo con la psicoanalisi; tutt'altro.Essa è piuttosto qui citata come simbolo di un approccio alla salute che insiste sulle capacitàautonome e i processi di auto-organizazione <strong>del</strong>la persona, sul rapporto inscindibile tra lapersona intera e le singole parti, tra l'individuo e l'ambiente, e sul funzionamento cibernetico diquesto sistema autorganizzativo e relazionale. In questo consiste la moderna epistemologia <strong>del</strong>la72


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 73salute ora chiamata “olistica”, ora “auto-eco-sistemica”, e comunque rispondente alla prospettiva<strong>del</strong>la “complessità” (Bocchi e Ceruti, 1985; Morin, 1993 e 2001; Ingrosso, 1994; Napolitani,1993; Bateson, 1976). Per difendere questa nuova visione epistemologica dobbiamo avere riconosciutauna autonomia che ci permetta di realizzarla. Con un altro slogan: la psicologia aglipsicologi.Dobbiamo, inoltre, liberarci di “miti” come l'équipe multiprofessionale (Sammartano e Xibilia,2000): nell'operatività quotidiana essa si carica <strong>del</strong> potere dei più forti (ed allora ecco che ilmedico è il coordinatore <strong>del</strong>l'équipe, ecco che ti dice: “fammi una valutazione”, ecc.). O <strong>del</strong>lamitologia, esistente anche all' interno <strong>del</strong>la nostra professione, che esalta come unico e valido ilproprio orientamento: dobbiamo saper valorizzare tutte le nostre “visioni” <strong>del</strong>l'uomo, tutti inostri orientamenti, i nostri metodi, anche per evitare noi di cadere nel riduttivismo di uno solo.E dobbiamo avere sogni o “visioni”. Cioè lottare per realizzare idee forti, come negli anni '70quella <strong>del</strong>l'integrazione dei portatori di handicap nella scuola di tutti. Chi scrive partecipò a quelmovimento fatto non solo da una psicologia allora in trincea, ma che aveva alleati nel clima culturalesessantottesco, in un vero discorso paritario di équipe, in un'idea forte. Ecco allora che cidovremmo inserire nel tessuto sociale con la creazione di nuovi “contenitori organizzativi” perla salute (ad es. i servizi psicosociali, lo psicologo di base come il medico di base, ecc.), edanche con l'uso efficace (dovremmo teoricamente esserne maestri!) dei moderni mezzi di comunicazionee di relazione anche di massa, sapendoli vedere nei loro aspetti positivi e non per gliaspetti depressivi e confusivi che la attraversano, possiamo immaginari nuovi scenari e nuovimo<strong>del</strong>li di intervento.2. MODELLI ED AMBITI DI INTERVENTO PSICOLOGICO PER LA SALUTE IN ETÀ EVOLUTIVAIn tale ottica, di considerazione integrale <strong>del</strong>la persona nella sua soggettività e relazionalità, cioèattenta a salvaguardare l'unità e la complessità <strong>del</strong>la persona in situazione (contesto, ambiente,circolarità e ricorsività dei fattori), dobbiamo saper valutare e sostenere e promuovere gli aspettipsichici <strong>del</strong>la salute ed offrire il necessario sostegno ed aiuto per gli aspetti psichici <strong>del</strong>le sofferenzevariamente espresse, utilizzando tutti gli strumenti, i metodi, le potenzialità <strong>del</strong>la nostraprofessione. C'è spazio per tutti: psicologia clinica e psicoanalisi,psicologia cognitivista e comportamentale,psicologia umanistica e di comunità, per quell'unico obiettivo <strong>del</strong>la salute <strong>del</strong>lepersone, che non ci può essere senza quella <strong>del</strong>le comunità e <strong>del</strong>le istituzioni. Ecco quindi cheil lavoro per il bambino si intreccia al lavoro per e con i genitori, gli insegnanti, la scuola, ilquartiere. Perché considerare questi ambiti separati? E perché allora non lavorare più in integrazionetra noi, razionalizzando il nostro intervento per ora diffuso tra vari Servizi eterodirettie per di più eterogeneamente (a seconda <strong>del</strong> carattere e <strong>del</strong>l'impostazione dei Capi <strong>del</strong>le varieUnità di appartenenza)? Questo è possibile solo avendo l'autonomia di gestione, di risorse, diprogetti. L'autonomia ci può consentire il lavoro intra- e inter-dipartimentale più efficace.Dobbiamo saper cogliere i bisogni <strong>del</strong>le persone e <strong>del</strong>la società così come di fatto premono, enon secondo come sono organizzati i nostri Servizi. Bisogni che sono complessi e intrecciati. Intale intreccio consiste il disagio psichico e sociale che attraversa in modo sempre più consistentebambini e adolescenti e che noi dovremmo aiutare a superare. Perché parlarne solo negli effettieclatanti quali l'”abuso” in età evolutiva di cui si appropriano i neuropsichiatri infantili? Chehanno la capacità (e il riconoscimento sociale di ruolo) per inventarsi un “telefono azzurro”, eche sono interpellati (grazie anche alla loro visibilità professionale) dagli assessori che voglionorendere le città a misura di bambine e bambini. E che dire <strong>del</strong>l'aumento progressivo <strong>degli</strong> psicofarmaci(la cui utilità, assicurano gli esperti, è nel 90% dei casi priva di evidenza scientifica)da somministrare a bambini turbolenti e difficili subito psichiatricamente etichettati come affet-73


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 74ti da disturbi <strong>del</strong>l' attenzione con o senza iperattività, disturbi <strong>del</strong> comportamento, disturbi <strong>del</strong>lasfera emozionale, depressi, da eccitare o sedare con Prozac e Ritalin, per prescrizione non solo<strong>degli</strong> specialisti ma anche di pediatri e medici di base?Dobbiamo davvero utilizzare nuovi mo<strong>del</strong>li di intervento più consoni alla nostra specifica prospettiva.Ad esempio la prevenzione. Mi sia consentito (vista peraltro la mia formazione di base)di ritornare al genio di Freud: “Quando un bambino comincia a mostrare i segni di uno spiacevolesviluppo e diventa svogliato, testardo e distratto, il pediatra, e anche il medico scolastico,non sanno che cosa fare di lui; e così pure se il bambino presenta chiare manifestazioni nevrotiche,come stati ansiosi, anoressia, vomiti e insonnia. Questi sintomi nevrotici, e queste incipientideviazioni <strong>del</strong> carattere, possono essere eliminati da un trattamento che unifichi l'influenzamentoanalitico e l'azione educatrice, e che sia condotto da persone che non disdegnino d'occuparsi<strong>del</strong>le condizioni d'ambiente <strong>del</strong> bambino e che sappiano aprirsi la via conducente allasua vita interiore” (1926, cit., p. 414). È vero che Freud pensa ad analisi infantili come “mezzodi profilassi” (p. 415) e insiste su queste nevrosi infantili “che spesso passano inosservate… e[che possono costituire] fattori predisponenti per forme gravi <strong>del</strong>l'età adulta” (ivi); ma aggiungepure la fantasia che “qualche miliardario americano [possa] destinare una parte dei suoi quattriniper educare analiticamente i social workers” (ivi).Ecco indicato uno dei mo<strong>del</strong>li: la formazione, l'educazione, il sostegno agli educatori, ai genitori.Dobbiamo certamente investire di più sui processi educativi, illuminati da serie ricerchepsicologiche, per la costruzione <strong>del</strong>la salute. Dobbiamo cambiare ad esempio la prospettiva nellaquale adesso si muove la scuola, la classe insegnante, pronta a ricorrere allo psicologo come<strong>del</strong>ega, come richiesta per il sostegno, e quindi in funzione solo <strong>del</strong>l'handicap e per interventi difatto piuttosto formali (come la partecipazione ai GLH operativi e alla stesura dei Piani Educativiindividualizzati) data l'annosa carenza d'organico di psicologi nelle ASL. Dobbiamo inveceriuscire a trasformare l'interesse <strong>del</strong>l'insegnante nella direzione di uno sviluppo sano di ognicomponente <strong>del</strong> sistema scuola, coinvolgendo direttamente la sua competenza professionaleopportunamente integrata con quella <strong>del</strong>lo psicologo <strong>del</strong>la sanità (e si spera tra breve anche diquello scolastico). Dobbiamo lavorare per la crescita <strong>degli</strong> ambienti di vita <strong>del</strong> bambino: interessarcipiù attivamente <strong>del</strong>le condizioni <strong>del</strong> quartiere quanto a risorse psicosociali, struttureeducative (asili nido compresi, o le nuove forme di asili condominiali), centri di aggregazionegiovanile, luoghi di incontro giovanile (discoteche, palestre, ecc.). Il tutto in collaborazione trapubblico e privato (compresi liberi professionisti e cooperative), tra vari Enti ed Istituzioni, travarie organizzazioni.Dobbiamo incidere sui fattori di rischio (non necessariamente legati ad una specifica patologia,ad esempio sui disturbi prescolari e scolari), sulle nuove fasce deboli (figli di famiglie povere,immigrati, nomadi, di genitori psichiatrici, di madri detenute), sui fattori di crescita e di creatività.Più specificamente dobbiamo lavorare sull'alfabetizzazione emotiva, sull'educazione ai sentimentie all'affettività, sui processi di autonomia (non già quando la dipendenza si è sviluppata estrutturata), sui processi di aggregazione e condivisione di mo<strong>del</strong>li e valori giovanili (riferibili ades. ai fattori psicosociali <strong>del</strong>le stragi <strong>del</strong> sabato sera, <strong>del</strong>l'uso ed abuso di sostanze tossiche: se neinteressa il SERT, ma perché non farlo insieme, dato che l'uso di tali sostanze inizia sempre piùprecocemente?). Dobbiamo lavorare sulla formazione e il cambiamento dei mo<strong>del</strong>li culturali relativiall'infanzia e al suo “uso”ed “abuso”, ma anche relativo alla percezione sociale <strong>del</strong>l'interventopsicologico troppo spesso ancora inteso (pure dai ragazzi) come “cura <strong>del</strong> matto”.Quindi la stessa ricchezza o molteplicità di interventi va attuata per quello che riguarda la“cura”, la “clinica” psicologica. Sicuramente abbiamo ancora tantissimo spazio per potere fareil sostegno psicologico al bambino ospedalizzato e alla sua famiglia, che nel 60% dei casi risen-74


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 75te negativamente di tale “trauma”. Ma dobbiamo saper andare oltre. Per noi cura significa“prenderci cura”, “prendere in carico” l'aspetto psichico <strong>del</strong>la situazione di difficoltà e di disagio,e non rispondere solo alle emergenze. Dobbiamo riuscire ad “ascoltare” gli adolescenti siaa livello singolo (quando chiedono l'aiuto) sia quando tale richiesta è implicita (e ad es. nellescuole, aperto uno “sportello di ascolto” ti vengono a frotte, magari per imitazione, curiosità,civetteria). Dobbiamo insegnare agli adulti le tecniche per ascoltare veramente il bambino anzichéfare finta di occuparsi di lui, disattendendo il suo messaggio in una collusione generale diinteressi consumistici e sensi di colpa dei genitori. Dobbiamo riuscire ad organizzare gruppi disostegno e di autoaiuto per adolescenti, per genitori, per insegnanti (e magari gruppi Balint permedici, e gruppi per il superamento <strong>del</strong> burn-out per noi stessi professionisti <strong>del</strong>l'aiuto). Dobbiamodare più spazio al sostegno <strong>del</strong>le risorse individuali e sociali, alla riabilitazione ed allaabilitazione (come dice, con un bellissimo termine a torto trascurato, la legge costitutiva <strong>del</strong>lanostra professione). Quindi lavorare sull'orientamento lavorativo e di studio. (Per altri mo<strong>del</strong>lidi tale intervento complesso in età evolutiva, rimando al mio precedente articolo, Garofalo2000).Dobbiamo inoltre poter essere messi in grado di curare la nostra formazione e la formazione deifuturi psicologi (dare una valenza diversa ai tirocini post-lauream e di specializzazione) ed alvolontariato nei Servizi. Dobbiamo poter stare più insieme in iniziative di confronto, covisione,discussione (forse abbiamo paura <strong>del</strong>l'autonomia anche per questo, poiché siamo stati abituati agestirci da soli).Per potere fare tutto questo abbiamo bisogno <strong>del</strong>l'autonomia. Questa ci può dare la necessariaforza per acquistare visibilità scientifica e sociale, per pretendere aumento di organico, per collaborareeffettivamente coi medici (che adesso cominciano loro a riciclarsi come “esperti <strong>del</strong>lasalute”, appropriandosi <strong>del</strong>l'educazione sanitaria e pretendendo l'esclusiva - magari dopo esserestati formati da noi psicologi- er corsi di educazione alimentare, corsi di accoglienza nellestrutture sanitarie, ecc.).Realizzare progetti, assicurare la qualità, fare ricerca: sono i nuovi imperativi <strong>del</strong>l'organizzazionesanitaria di tipo aziendale. Ma tutto questo lo si può realizzare non dipendendo da responsabilimedici con mentalità medica. Non è che quest'ultima sia esecrabile, solo che non ci appartiene.Bisogna che possiamo gestire un nostro budget. Che possiamo autovalutarci e non esserevalutati da altri professionisti con altra mentalità. E cerchiamo il naturale alleato in un“movimento” culturale che sappia vedere ed incanalare i bisogni sempre più intrecciati e complessidi salute <strong>del</strong>le persone in nuovi canali di risposta, quindi non più soddisfacibili nella tradizionaleottica sanitaria.CONCLUSIONE. SOSTENERE IL CAMBIAMENTO CULTURALE E DEI SERVIZI VERSO I NUOVI MODEL-LI EPISTEMOLOGICIÈ importante dare un nome alle cose: i nomi riflettono i contenuti. Non è un caso ad esempioche l'ultimo Piano Sanitario Nazionale (abortito col nuovo governo) prevedesse dei Centri territorialidi assistenza neuropsichiatrica per l'età evolutiva, ovviamente coordinati da un mediconeuro-psichiatra, tornando addirittura indietro rispetto alla conquista <strong>del</strong>la sopraddetta denominazionecome Area <strong>del</strong>la Tutela Salute Mentale e Riabilitazione in Età Evolutiva (data comunquein procinto di traslocare o al Dipartimento di Salute Mentale o, nell'ultima tendenza, all'Areadi Pediatria). È invece ora di chiedere addirittura a livello nazionale l'istituzione, presso ogniAzienda, di un unico Centro (o Servizio o Area) di psicologia per l'età evolutiva, che accorpiappunto le competenze dei consultori e quelle destinate alle difficoltà o handicap infantili, proprioper dare una risposta epistemologicamente corretta ed operativamente più efficace.75


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 76La psicologia nei servizi sanitari in genere (soprattutto ospedalieri) è ancora considerata un'ottimaancilla <strong>del</strong>la medicina biologica, o tutt'al più -in quelli più evoluti- come una bella compagnamagari da sposare, ma da relegare alle faccende domestiche. Per evitare questo dobbiamorendere più visibile la nostra identità, socialmente indispensabile la nostra operatività, eforte la nostra autonomia per una più efficace integrazione tra noi e con tutte le altre professionalità.Per ottenere questa nuova organizzazione, e quindi normative più adeguate, dobbiamo averenon tanto la forza di una lobby, ma la forza di idee sostenute dall'intera comunità civile in quantorispondenti ai nuovi bisogni di crescita personale e sociale. Non c'è, per questo aspetto,aggancio migliore che puntare ad un vasto, effettivo, polivalente “movimento” in difesa <strong>del</strong>bambino, analogo a quello avviato con successo a proposito <strong>del</strong>l'adolescenza (tradottosi concretamente,in alcuni casi, con l'istituzione di Servizi specifici all'interno <strong>del</strong>le Aziende). Difronte all'urgenza dei bisogni <strong>del</strong>l'infanzia, che solo a parole è considerata fondamentale per lacostruzione <strong>del</strong>la personalità e per il miglioramento preventivo <strong>del</strong>la società, dovremmo insiemecon molti altri soggetti individuali e istituzionali saper lottare per gli effettivi e concreti diritti<strong>del</strong> bambino, per il suo sviluppo nel senso <strong>del</strong>l'autonomia, <strong>del</strong>la solidarietà, <strong>del</strong>la complessitàecologica, contro ogni sfruttamento, abuso, possesso, omologazione culturale <strong>del</strong>l'infanzia, conuna particolare attenzione alle nuove realtà che creano svantaggio, disagio e debolezza nei bambinie con un particolare rispetto <strong>del</strong>le diversità a tutti i livelli. Questo significa animare lasocietà civile attraverso lo sviluppo <strong>del</strong> benessere infantile, e sostenere quest'ultimo attraversola crescita <strong>del</strong>la prima.Per fare tutto ciò dobbiamo convincerci prima noi <strong>del</strong>la nostra (Pur relativa) indispensabilità perla salute <strong>del</strong>le persone, <strong>del</strong>le organizzazioni, <strong>del</strong>la società, quindi <strong>del</strong>la nostra ricchezza modulatanelle più diverse competenze, e quindi <strong>del</strong>la necessità di un'autonomia vera per un serviziopiù efficiente ed efficace.Riferimenti bibliografici essenzialiBATESON G., Verso un'ecologia <strong>del</strong>la mente, A<strong>del</strong>phi, Milano 1976.BOCCHI G.- CERUTI M. (a cura di), La sfida <strong>del</strong>la complessità, Feltrinelli, Milano 1985.CANGUILHEM G., La conoscenza <strong>del</strong>la vita, Il Mulino, Bologna 1976.FREUD S., Il problema <strong>del</strong>l'analisi condotta da non medici (1926), Boringhieri, TorinoGADAMER H.G., Dove si nasconde la salute, Cortina, Milano 1994.GAROFALO D., Salute mentale a prova d'età, in “Il Sole-24 ore Sanità”, fascicolo <strong>del</strong> 31 ott./6 nov. 2000,p.24.INGROSSO M., Ecologia sociale e salute, Angeli, Milano 1994.MORIN E., Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer, Milano 1993.MORIN E., I sette saperi necessari all'educazione <strong>del</strong> futuro, Cortina, Milano 2001.NAPOLITANI D., Salute e terapia nell'orizzonte <strong>del</strong>la complessità ecosistemica, in “Connessioni”, 1993,n.5, pp.9-19.SAMMARTANO G.-XIBILIA C., Dal mito multiprofessionale al Servizio di psicologia, Giuseppe Laterza,Bari 2000.76


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 77Lo Psicologo alla Direzione di una ComunitàTerapeutica: una sfida possibileDott. Italo ANTONINIResponsabile Comunità Terapeutica Dipartimento di Salute Mentale Roma CPer lungo tempo ho discusso con i colleghi sulla Dirigenza <strong>degli</strong> <strong>Psicologi</strong>, se questa dovessecalarsi nei mo<strong>del</strong>li organizzativi complessi e multidisciplinari, così come si sono venuti configurandonei dipartimenti o servizi, oppure se lo Psicologo dovesse dirigere un Dipartimento oServizio per soli <strong>Psicologi</strong>. Io, anche se con dubbi e perplessità, ho sempre sostenuto la primaipotesi.Nel Maggio 1999 il Direttore <strong>del</strong> DSM <strong>del</strong>la ASL RM/C mi convocava per propormi la Direzionedi una Comunità Terapeutica. La proposta mi coglieva di sorpresa e, inoltre, era abbastanzaperentoria. Dietro mia insistenza, era di sabato, mi veniva concesso il week-end per dareuna risposta. Passai un fine settimana tormentoso, poi, superando paure e perplessità, decisi diaccettare. Fra i motivi che mi hanno spinto a decidere per il sì, oltre a quelli strettamente personali,ce n'era uno che mi vincolava: l'impegno di coerenza, giacché ho sempre sostenuto,anche in pubblico, la convinzione che gli <strong>Psicologi</strong> potessero dirigere una struttura multidisciplinare.Una volta accettato l'incarico mi sono trovato di fronte ad un immediato e pesante attacco daparte dei medici, che mi ha fatto vacillare. È stato duro resistere. Per buona fortuna la mia categoriaè stata abbastanza solidale e, tranne poche ed inevitabili eccezioni, mi ha sostenuto.Il 4 Ottobre 1999 iniziava la mia impresa di avvio <strong>del</strong>la Comunità ed anche qui, oltre alla faticaper rendere la struttura agibile, per reperire le risorse, per arrivare ad un organico sufficienteper aprire sulle 24 ore, sono continuati gli attacchi, aperti o sotterranei, da parte <strong>del</strong> personaleche, per tradizione e per cultura diffusa, non vede di buon occhio lo Psicologo come figuracollocata all'apice <strong>del</strong>la gerarchia.Mentre affrontavo queste dure prove, cui ho retto con un alternarsi di scoraggiamenti e di ripresedi entusiasmo, mi dovevo misurare con le numerose funzioni che un responsabile deve svolgeree presiedere e che si complicavano man mano che la Comunità andava avanti; fino ad apriresulle 24 ore, cosa avvenuta i primi di Novembre <strong>del</strong> 2000.Dicevo che le funzioni sono molte, perché un responsabile deve dare un indirizzo clinico emetodologico, deve preoccuparsi che ciò che va dicendo si ingrani con una pratica operativa ditutti i componenti <strong>del</strong>lo staff; deve creare un buon clima fra gli operatori, deve valorizzarlisostenendo il loro narcisismo, garantire la sicurezza di cui hanno bisogno per operare. Deveinoltre occuparsi dei conflitti fra gli operatori e fra gli operatori e lui stesso; deve tenere sempred'occhio la situazione dei pazienti, individuare eventuali ostacoli che impediscono il procedere<strong>del</strong>la cura; deve vigilare affinché gli operatori non si appiattiscano troppo sul concreto,sugli automatismi, sulle abitudini. Inoltre, deve gestire una situazione di confine fra dentro e77


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 78fuori, deve in altri termini permettere agli operatori di lavorare con una certa tranquillità, facendopenetrare l'esterno in maniera filtrata: deve cioè gestire i rapporti con il Direttore <strong>del</strong> DSM,con le altre articolazioni organizzative <strong>del</strong> Dipartimento, con la ASL e spesso con altre istituzionisanitarie e non; deve gestire tutti quei rapporti politici, amministrativi, ambientali, spessomolto faticosi e noiosi che, se entrassero in forma cruda nella Comunità, sconvolgerebbero leattività terapeutiche.Per quanto un responsabile possa essere capace, sicuramente questi stimoli, spesso disturbanti,entrano all'interno e agitano gli operatori. Il responsabile, insomma, deve essere bifronte: da unaparte deve guardare all'interno e fungere da facilitatore <strong>del</strong> lavoro clinico, garantendone l'indirizzo,dall'altra deve guardare all'esterno per star dietro a tutte le situazioni di contesto.Tornando al lavoro clinico, oltre a stimolare un lavoro di accoglienza - valutazione - selezionedei pazienti, fatto con metodo, con gradualità, con sensibilità all'ascolto, insieme con gli invianti,con i pazienti stessi e con le loro famiglie, ho cercato di formare una mentalità negli operatorial lavoro di gruppo, per creare le condizioni perché esso fosse un dispositivo terapeutico.Infatti, dopo un lavoro di valutazione, che chiamava di volta in volta gli operatori interessati,alla fine la discussione doveva arrivare ad una riflessione di gruppo, in modo che tutti gli operatoriassumessero in pieno un ruolo terapeutico. Quindi, ogni passo che facciamo, di qualsiasiordine, compreso quello organizzativo e operativo, passa per il dispositivo di gruppo che lovaluta, lo elabora e trova poi come calarlo nelle attività.Come mi sono sentito nel gestire il complesso di funzioni che, per sommi capi, ho cercato didescrivere? A volte ho avuto la sensazione di sentirmi centrato nelle varie situazioni che erochiamato a presiedere, specialmente sul versante clinico e organizzativo interno. Non così centratoquando si trattava di presiedere le molte funzioni di “confine” o quando queste entravanoall'interno, non avendole potute arginare..Spesso, quando perdevo la fiducia, pensavo di non avere in testa un assetto adeguato per affrontarela complessità <strong>del</strong>la situazione. Però pensavo anche, e questo mi dava speranza, che quandosi apprende uno sport, ad esempio lo sci che io ho praticato molto, andando con la mente alleprime fasi di apprendimento, e poi, man mano che saliva il livello, a quelle successive, non siriesce a coordinare tutto: se pensavo al bastoncino perdevo di vista le spalle, se pensavo allespalle perdevo di vista le ginocchia e le altre parti da controllare! Man mano che riuscivo a coordinarmiper bene non pensavo più alle singole parti che entravano in gioco: avevo conquistatoun assetto, mi sentivo centrato: confidavo che questo accadesse anche per il lavoro che andavosvolgendo. All'inizio ho tenuto conto <strong>del</strong>la mia formazione, mi rifacevo alle esperienze e aimo<strong>del</strong>li teorici <strong>del</strong>le Comunità inglesi, francesi, americane; sentivo però anche l'esigenza di trovareun vertice epistemologico che comprendesse la complessità dei fenomeni che avvengonoin una Comunità terapeutica, che diventasse mo<strong>del</strong>lo teorico, metodologico e operativo, da cuiscaturisse un mo<strong>del</strong>lo organizzativo coeso e funzionale rispetto alla cura. Dovevo poi tenerconto <strong>del</strong> contesto giuridico, politico e sociale; in Italia, infatti, la filosofia che ha ispirato la 180è la lotta alla istituzionalizzazione e alla emarginazione, e quella di promuovere le condizioniper il reinserimento sociale dei soggetti con disturbi psichici.Per stringere, dato che mi hanno raccomandato di essere breve, provo a riassumere in manieraesemplificata il mio pensiero.La Comunità è un luogo in cui gli operatori e gli ospiti vivono intensamente una esperienzacoinvolgente. L'obiettivo è quello di farsi carico <strong>del</strong>la sofferenza dei pazienti, <strong>del</strong>la loro emancipazione,<strong>del</strong> loro possibile reinserimento nella vita sociale. In questo spazio circolano vissuti,spesso drammatici e che possono mettere a dura prova le capacità empatiche o di tenuta <strong>degli</strong>operatori. I vissuti precipitano nelle situazioni strutturate di cura, in quelle riabilitative, ma78


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 79anche nella vita quotidiana, dove si formano gruppi spontanei, nascono conflitti fra gli ospiti,fra questi e gli operatori, lotte per la leadership, ecc.. Gli ospiti, poi, non vivono in uno spazioisolato, hanno contatti con il mondo, famiglie, amici, attività riabilitative all'esterno, attività ditempo libero, ecc.. Per far sì che la Comunità diventi spazio trasformativo deve poter abbracciaretutte queste vicende in un setting allargato, che comprenda i vari setting di cura. NellaComunità viene attivato dal Responsabile e dal suo staff operativo un meccanismo di autoregolazione<strong>del</strong> sistema che ha due facce: una guarda verso l'interno e una verso l'esterno. Dall'internoarrivano a questo livello vissuti, sofferenza, materiale clinico e riabilitativo, problemiorganizzativi e di vita quotidiana, che attraverso l'assemblea settimanale operatori - ospiti, leriunioni <strong>del</strong>lo staff operativo ristrette o allargate, le riunioni cliniche, vengono raccolti, elaborati,trasformati e, con un meccanismo di retroazione, tornano a regolare i vari setting, la vita diComunità, la vita organizzativa. Sul versante esterno, questo livello funziona da confine, permeabilequanto basta, per arginare gli stimoli eccessivi, ma anche per facilitare l'inserimento<strong>degli</strong> ospiti nel sociale. Tiene conto <strong>del</strong> quadro legislativo, <strong>del</strong>la situazione economica e socialein cui si opera, ma intraprende anche azioni per modificare alcune condizioni ostative. Insomma,questo livello che sto descrivendo è molto importante, perché articola i vari livelli interni<strong>del</strong>la Comunità, l'interno con l'esterno e, oltre a rappresentare un setting allargato o Comunitario,diventa esso stesso dispositivo di cura e facilita e regola i vari dispositivi di cura allestitiall'interno o all'esterno <strong>del</strong>la Comunità.Avviandomi alla conclusione e rispondendo alla domanda implicita di questa giornata di studio,posso rispondere affermativamente: la <strong>Psicologi</strong>a è una risorsa per il SSN. Infatti, la <strong>Psicologi</strong>amette al centro <strong>del</strong>la sua conoscenza lo studio <strong>del</strong>la persona, <strong>del</strong>la sua vita intrapsichica, <strong>del</strong>lesue relazioni significative, dei suoi scambi interpersonali, <strong>del</strong>la sua vita affettiva e cognitiva, deisuoi rapporti con il mondo. Ha una vocazione per lo studio <strong>del</strong>lo sviluppo normale <strong>del</strong> soggetto,per il recupero <strong>del</strong> benessere, per la promozione e la tutela <strong>del</strong>la salute. La <strong>Psicologi</strong>a ci dàstrumenti per quanto riguarda il lavoro e l'organizzazione che l'uomo si dà nei contesti produttivi;ci dà strumenti per essere tolleranti e aperti al confronto con altre discipline e saperi. Inquesti ultimi anni, da quando siamo entrati nel SSN abbiamo dato un grande contributo alleriforme, abbiamo cercato di far prevalere una concezione che, sia a livello teorico che operativo,ha messo in crisi o ridimensionato le pretese egemoniche <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo medico che, al contrario<strong>del</strong> nostro, vede nei sintomi e nella malattia i suoi riferimenti teorici e operativi. Abbiamointrodotto con il nostro vertice epistemologico più speranza, più attenzione all'uomo, ai suoibisogni, ai suoi desideri, ai suoi diritti.Il mio augurio ai colleghi, ai più giovani di noi, è che continuiamo a batterci per l'affermazione<strong>del</strong>la Dirigenza <strong>degli</strong> <strong>Psicologi</strong> nei servizi multidisciplinari, per l'affermazione <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lopsicologico, senza la tentazione di isolarci, di diventare autoreferenziali, perché abbiamo lecompetenze e le capacità per affrontare questa sfida. In questi due anni ho lottato duramente persconfiggere il pregiudizio che investe la nostra categoria, il percorso non è ancora terminato, maposso essere moderatamente ottimista.Per il prossimo futuro, intanto, “io speriamo che me la cavo”.79


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 81Dibattito81


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 82Mario ARDIZZONEQui si concludono le relazioni e si può aprire il dibattito, con un reclutamento di risorse, iochiederei anche a Gaetano Trabucco, a Giuseppe Sammartano, e a Luigi Ranzato, di essere quinei dintorni in modo da poter rispondere a sollecitazioni, domande, quesiti relativi anche agliinterventi e alle relazioni <strong>del</strong>la mattinata. Io ho una prenotazione avvenuta già per il dibattito, epossiamo procedere con le prenotazioni se sono molte. Al momento ce ne è solo una, di PierMario Ciccone, dal quale mi sono fatto promettere cinque minuti di intervento.Pier Mario CICCONEIo cercherò di essere il più rapido possibile perché sono stato minacciato e ricattato dalnostro uomo <strong>del</strong>la cattedra che se ero buono e parlavo poco mi avrebbe dato la parola anchedopo.Io assumerei subito un po' una posizione di ruolo, ho la barba bianca, sono vecchio, mi ricordotante cose, insisto testardamente su certe cose che mi sembrano importanti, e che in generevengono messe un attimo da parte perché sembrano l'andare a cercare ossessivamente <strong>del</strong>lecose, ed invece ritengo che queste cose siano essenziali, perché, anche se sembrano poco importanti,in realtà danno la luce al resto, e sono secondo me fondanti.Allora una considerazione, se permettete, anche se forse rischio di essere moralistico, citandouno che è un moralista. Manzoni, alla fine, mi pare l'ultima frase che scrive su I promessisposi è “a che serve fare un libro se il libro fatto non rifà la gente?”. Allora mi chiedo, e parafraso,invento una cosa nuova, cioè uso questa frase per applicarla a una cosa diversa: a cheserve fare una legge su un ordine professionale se questo ordine professionale non dà un suocontributo alle persone, in un modo che è altrettanto originale, e che è diverso da quello chec'era prima?Allora mi pongo questo quesito, per esempio, rispetto a questo costituendo. Io mi sono ormaiconvinto, e non avrei dubbio a chiamarlo dipartimento, con quello che significa questo, <strong>del</strong>lanecessità di un dipartimento di psicologia, non solo nella USL, ma ci starebbe bene credo in altreorganizzazioni, in altri luoghi di lavoro con le persone. Ma se gli psicologi poi non si sannoinventare dei mo<strong>del</strong>li organizzativi, dei mo<strong>del</strong>li di leadership - stamattina se ne è parlato - chesiano assolutamente nuovi, originali e mutuati dalle proprie conoscenze scientifico-professionali?Il fatto stesso che già stamattina c'è stato il problema di chi comandava, cosa sarebbe successo- penso che questi pericoli ci siano, non trovo stupido questo discorso, però il problema è:gli psicologi riusciranno, rispetto a un qualcosa che c'è già, dipartimenti di altre cose, ad inventarsidei mo<strong>del</strong>li nuovi ed originali che loro possono trarre dalle loro conoscenze? Se non fannoquesto a che servono?! Portano qualche cosa di nuovo?! Direi di no.A questo proposito, <strong>del</strong>la possibilità <strong>del</strong> nuovo, vorrei citare una esperienza abbastanza recente.La Regione <strong>Lazio</strong> ha fatto una esperienza molto grossa in questi ultimi 3 anni circa perquanto riguarda le adozioni, nel senso che è stato fatto un corso a cui hanno partecipato oltre100 operatori tra psicologici e assistenti sociali, che lavorano per le adozioni. Abbiamo fatto uncorso che è stato di autoformazione, abbiamo soprattutto tirato fuori la nostra esperienza, ce lasiamo confrontata. E in quell'occasione qualcuno - per la verità non si trattava di uno psicologoma di un assistente sociale, è un dato di fatto, prendiamo il contributo di tutti - parlando deimomenti di incontro che l'équipe allargata faceva per discutere insieme alla coppia di operatoriche si interessavano di quel certo caso, e discutevano insieme il lavoro che andavano facendo,ha usato la parola “intervisione”. E mi è sembrato un momento estremamente creativo. Invecec'è l'inflazione <strong>del</strong>la parola “supervisione”.82


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 83A me sembrava veramente un fatto creativo, un fatto veramente importante, che fortunatamenteè andato a finire anche nel protocollo di intesa, che è diventato anche <strong>del</strong>ibera <strong>del</strong>la regione<strong>Lazio</strong>, e mi auguro che questa parola vada a finire all'interno anche dei protocolli che indicherannocome possono essere organizzati la funzionalità, gli obiettivi che può avere il dipartimentodi psicologia, dove quello che mi pare importante è come gli psicologi sappiano comunicaretra loro, loro che dovrebbero aiutare gli altri a comunicare, e che spesso hanno dei problemiper farlo tra di loro. Mi chiedo se riusciranno a trovare dei mo<strong>del</strong>li, <strong>degli</strong> atteggiamentiche permetteranno loro di fare questo.Salvatore ZIPPARRIIo sono Zipparri, ringrazio innanzitutto l'<strong>Ordine</strong>, gli organizzatori di questo convegno che èstato estremamente stimolante, ha presentato varie posizioni, confermando ancora una volta chepoi in realtà gli psicologi, come professionisti, sono impegnati in un lavoro che a vario titolo,sia nelle unità operative, sia in dipartimenti interdisciplinari, come si diceva, in realtà poi finisconoper portare avanti un loro discorso che, per quanto articolato e variegato, non manca a mioavviso di presentare alcune specificità che fungono da comun denominatore.Dico cose già dette se dico che per esempio la soggettività, l'intersoggettività, sono caratteristiche<strong>del</strong>la nostra professione, la riflessione stessa sul tipo di operatività è una cosa che ci contraddistingue.Io che lavoro a stretto contatto con medici psichiatri, per esempio non sento parlaremai di riflessione sulla epistemologia dei loro sistemi, cioè tutto questo è specifico, questacritica e autocritica <strong>del</strong>l'operatività, che è estremamente proficua e fa avanzare anche i nostriprocedimenti operativi, è una cosa che ci caratterizza.Vengo quindi al disagio: all'interno di questa esperienza positiva <strong>del</strong> convegno, poi sento ildisagio invece di alcune posizioni che vogliono relegare in qualche modo la cultura psicoterapeuticain secondo piano. La riflessione che facevo ascoltando le relazioni era appunto intendersisull'esatto valore che noi dobbiamo dare alla parola specializzazione in psicologia quandoparliamo di psicoterapia e quando parliamo invece di altri tipi di interventi.Ora, sicuramente la formazione psicoterapeutica è una formazione che è specialistica, nelsenso che presuppone una formazione propedeutica di base, e quindi è di grado superiore, nonè invece specialistica nel senso restrittivo <strong>del</strong> termine. So che questo è un discorso difficile dafare in certi contesti, ma dal punto di vista <strong>del</strong>l'intervento l'ottica, la mentalità psicoterapeuticaè una ottica che si espande a largo raggio nelle più varie operatività, al punto che poi storicamentenoi sappiamo che anche psicologi che lavorano in altri settori - nella scuola, in ambitogiuridico, nella psicologia <strong>del</strong> lavoro - non possono prescindere da quello che poi è realmente illoro percorso formativo, che ha alle spalle anche una formazione specialistica di tipo psicoterapeutico.È un po' questo poi il disagio, perché anche esaltando interventi che sono specifici si continuaa negare che il collante, il famoso mare <strong>del</strong>l'arcipelago <strong>del</strong>la dottoressa Zaccaria potrebbenon essere in realtà proprio effettivamente la nostra formazione psicoterapeutica.Io credo che è una battaglia politico-culturale che forse prima o poi l'<strong>Ordine</strong>, e tutti gli organismiche rappresentano la professione <strong>degli</strong> psicologi, dovranno affrontare in un modo abbastanzadeciso.Vito MIRIZIOIo sono responsabile di un'unità organizzativa di psicologia di ROMAA, una <strong>del</strong>le due di cuiho conoscenza che esistano qui nella regione <strong>Lazio</strong>. Quindi mi sono sentito molto in sintoniaquesta mattina con le tre relazioni dei colleghi che vengono da altre regioni, perché le ho lette83


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 84come una riconferma a me stesso <strong>del</strong>le motivazioni, fondamentalmente <strong>del</strong>le motivazioni allascelta che è stata fatta nella mia azienda, nel lavoro faticoso che abbiamo fatto perché questascelta venisse fatta. Devo dire che i colleghi sono stati anche molto chiari nel definire perché, ilcollega Sammartano ne aveva 4 di diapositive sui perché, quindi sono rimasto molto contento<strong>del</strong> loro contributo. Devo dire che ho raccolto poi nei sondaggi informali, nelle varie pause, ilconsenso anche di molti colleghi con i quali poi ci siamo scambiati le idee, “ma beati loro” “maperché non andiamo a Trento”; oppure “ma perché (è la domanda poi di fondo, ed è quella cheio voglio porre a voi) nel <strong>Lazio</strong> no?”.È una domanda - nonostante quello che dicevano Mario Ardizzone e Antonio Azzolini prima,cioè che ne stiamo discutendo da dieci anni, forse anche di più di dieci anni: perché nel <strong>Lazio</strong>no? La risposta a questo punto è necessaria, una risposta che ci dobbiamo dare, visto anche che,se vogliamo usare una metafora calcistica, la partita non ha avuto storia oggi.Voglio dire: se, come è stato detto nell'introduzione, oggi si dovevano confrontare le posizioni<strong>degli</strong> assertori <strong>del</strong>l'autonomia come isolamento versus gli assertori <strong>del</strong>l'autonomia comesviluppo, la partita non c'è stata, è stata Juventus A contro Val d'Aosta, non ho sentito grossemotivazioni o <strong>degli</strong> argomenti assolutamente inoppugnabili che si scontravano e facevano scintille.Mi sembra che una posizione è stata motivata fino in fondo, chiarita, aveva il suo consenso,il mio sondaggio sicuramente è un sondaggio un po' parziale, nel senso che parlo anche prodomo mia, però le persone che lo hanno detto le ho sentite, mentre altre affermazioni, cioè lealtre posizioni sono state: deve essere così - punto.Quello che ha detto Proia stamattina tra l'altro è stata una cosa di estremo buon senso, cioèha detto: chi vieta? ma perché ci stiamo tanto ad affannare se deve essere in un modo o nell'altro?Lui ha detto: la legislazione ci permette di fare di tutto. Facciamo. Perché nel <strong>Lazio</strong> no?,continuo a dire. Abbiamo addirittura una <strong>del</strong>ibera regionale che sta lì, è stata fatta in extremis dall'ultimagiunta regionale, ma stamattina ancora si doveva discutere con il dottor Valeriani se suquella <strong>del</strong>ibera ci devono essere problemi, se è plausibile oppure no. Cioè stiamo ancora a questopunto. Ripeto la domanda, alla quale sarebbe interessante rispondere: perché nel <strong>Lazio</strong> no?Quali sono gli ostacoli? Se volete, a questo punto <strong>del</strong>la situazione, vista come è andata lapartita di oggi, forse ci dobbiamo domandare che fare da domani in poi (e la domanda a questopunto è rivolta essenzialmente all'<strong>Ordine</strong> e alle organizzazioni sindacali, oltre che alla volontàdi tutti i colleghi di lavorare nelle proprie aziende per far sì che le cose vadano in un certomodo), che fare da domani perché quella <strong>del</strong>ibera venga ripresa? Perché si possano sostenerequelle iniziative che alcuni colleghi nelle diverse aziende hanno faticosamente tirato su. Sostenerleperché non vengano spazzate via da fatti accidentali. E quindi forse fare in modo che anchenel <strong>Lazio</strong>, fra 5 anni, in un convegno che si farà in Corsica, si potrà dire: i colleghi <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>portano l'esperienza <strong>del</strong>le unità operative di psicologia.Mario ARDIZZONEGrazie a Vito Mirizio per questa sollecitazione molto puntuale e aderente ai temi che sonostati discussi, molto centrale nel dibattito. Vedo che Cristina Medina si è prenotata, e sono contentoperché immagino che ci sia una coerenza di interventi con il tema.Cristina MEDINAPerché voglio dire non perché no, perché sì? Ora è chiaro che l'esperienza mia è una esperienzache riguarda l'ospedale generale, quindi molto diversa dalle esperienze di oggi pomeriggioche riguardano <strong>del</strong>le realtà dipartimentali molto più complesse, quindi il ruolo <strong>del</strong>lo psicologoin questo tipo di realtà è certamente ancora problematica. Però io invece sono contenta per-84


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 85ché stamattina, sentendo parlare il collega di Verona, mi sono detta: ma guarda tu come questomo<strong>del</strong>lo è, non dico proprio esattamente, ma è applicabile a quello che l'unità operativa <strong>del</strong>l'OspedaleFatebenefratelli fa da 20 anni. Allora non ne ho fatto una questione di merito personale,ho detto però: “questa è la via”, la via è questa, a questo si può arrivare, se un mo<strong>del</strong>lo diVerona in qualche modo può essere quasi uguale a un mo<strong>del</strong>lo di Roma.L'intervento <strong>del</strong> collega siciliano mi è sembrato interessante perché era complementare, hainvece descritto tutte le difficoltà che poi abbiamo attraversato per arrivare a questi obiettivi.Ora io direi che per quanto riguarda il ruolo <strong>del</strong>lo psicologo dirigente, mi sembra che stamattinasiano state dette, <strong>del</strong>le cose molto interessanti. Io ero appena arrivata e si è parlato di paricondizioni normative per tutte le figure professionali, sia in ambito gestionale che professionale.Ora, se gli psicologi, almeno quelli che lavorano negli ospedali, possono avere la dirigenzadi primo e di secondo livello, questo è un discorso forse di cui non si percepisce l'importanza,perché allora il discorso <strong>del</strong>l'unità di psicologia centralizzata e autonoma è automatica, se c'è ladirigenza di primo livello e di secondo livello. Quindi è fuori discussione questo discorso chegli psicologi possono essere sparpagliati nei reparti, alle dipendenze di un altro dirigente. Ranzatoha fatto un esempio che è perfetto, cioè di dire: ma vi pare possibile che uno psicologo vadaa lavorare in ginecologia e il suo supervisore sia un ginecologo?! A noi non ci verrebbe mai inmente di prendere come tirocinante un urologo e di fargli la supervisione.Quindi in un certo senso siamo andati avanti, però è chiaro che per poter avere questa autonomiaci vogliono alcune cose molto concrete, mi pare che Ranzato ne abbia parlato ed anchealtri, per esempio il discorso <strong>del</strong>la erogazione autonoma. Nel momento <strong>del</strong>la prestazione psicologica,se la prestazione psicologica fa parte <strong>del</strong>la neurologia per esempio, non è più una erogazioneautonoma, il neurologo potrà sempre dire “no, secondo me questa non è una depressione,decido io perché sono il neurologo <strong>del</strong>la situazione”.Allora, questa possibilità di una erogazione autonoma dà quindi l'autonomia diagnostica eterapeutica, che sono elementi importantissimi. Ma per poter avere una erogazione autonomabisogna anche poterla in qualche modo dimostrare, ci vuole la possibilità di registrare che tu faiuna erogazione autonoma. E allora esistono i registri, esistono i tabulati, e gli psicologi devonoassolutamente insistere perché le aziende producano i tabulati <strong>del</strong>le prestazioni psicologiche. Ilmio caso riguarda l'attività ambulatoriale esterna, perché io non faccio soltanto un lavoro internosulla normalità, cioè sulle implicazioni psicologiche <strong>del</strong>le malattie organiche, ma faccioanche insieme ai colleghi un lavoro ambulatoriale. Prima le prestazioni ambulatoriali avevanoun codice, un numero di costo che era quello <strong>del</strong>la neurologia. Allora io ho insistito, le colleghenon volevano mica tanto perché in fondo è il discorso <strong>del</strong>la paura di avere come dirigente unopsicologo, per di più donna, perché nella storia <strong>del</strong>la psicologia a molti colleghi è sembrato piùproduttivo avere come protettore, come primario, una figura di medico maschile.Quando io ho proposto alle colleghe di usare un nostro centro di costo, han detto “il neurologonon vorrà”. In realtà poi è stato semplice, perché la istituzione ha detto “ma certo, questesono prestazioni psicologiche, voi dovete avere il vostro centro di costo”. Da quel giorno, allafine <strong>del</strong> mese mi arriva il tabulato col numero di tutte le prestazioni psicologiche erogate daglipsicologi, differenziate: batterie di test neuropsicologi, colloqui. Questo mi sembra importante.Qualcuno ha parlato di carriera. Questo è un problema che ho sentito moltissimo, l'idea didire “bisogna fare carriera”, ma non per ambizioni personali, che possono anche essere legittime,ma perché se si fa carriera - ed è sempre il discorso <strong>del</strong>la dirigenza - questo consente all'interno<strong>del</strong>l'istituzione di partecipare, di entrare nelle stanze dei bottoni.Qualcuno ha citato il comitato di etica oggi, se io non fossi stata dirigente di un servizio selo sognavano di farmi entrare nel comitato di etica. Con questo finisco perché sono spunti inte-85


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 86ressanti ma sono cose concrete su cui bisogna combattere.Mario ARDIZZONEGrazie, Cristina, per questo intervento, hai toccato molte cose. Io vorrei ancora aggiungere<strong>del</strong>l'altro. A proposito <strong>del</strong>le prestazioni psicologiche, di un monitoraggio di queste prestazioni,noi stiamo vivendo una situazione che oggi, dopo aver pazientato a lungo, definisco pubblicamentescandalosa.Noi nel <strong>Lazio</strong> ancora non abbiamo la titolarità <strong>del</strong>le prestazioni psicologiche che eroghiamonei nostri servizi, non possiamo dare indicazioni di trattamento di alcun genere, di fatto lo facciamo,ma amministrativamente non potremmo farlo, dovremmo passare attraverso le figuremediche, o comunque non di psicologi. Ci sono state dichiarazioni, negli anni, di impegno daparte <strong>del</strong>le amministrazioni regionali, a cui compete questo compito, ma ancora questo problemanon è stato risolto. Credo sia veramente scandaloso.Cristina MEDINAPosso aggiungere una cosa? Per quanto riguarda per esempio i flussi informativi c'è poco dafare: se non c'è l'autonomia organizzativa i flussi informativi riguardanti gli psicologi non passanoattraverso di noi. Noi abbiamo dei tabulati sui dati che in realtà non rispecchiano assolutamentela nostra attività.Ma come si può fare a non pensare di avere una organizzazione autonoma? Perché non soloi flussi informativi servono per valutare l'efficacia ecc., ma servono anche poi per fare progetti,per fare interventi nuovi. E quindi è come il gatto che si morde la coda. Tra l'altro, devo direche c'è anche una questione di mentalità.Io spero veramente che un convegno come questo, ma soprattutto una reale diffusione culturaledi questo problema (poniamolo pure come problema, questo <strong>del</strong>l'autonomia), serva ancheai giovani psicologi.A me è capitato, tanto per fare un esempio, di una giovane ragazza che dopo aver fatto iltirocinio voleva fare volontariato, ma io ne sono venuta a conoscenza per caso, perché si erarivolta a me come coordinatore, un ruolo che non significa niente di fatto se non sulla carta, alivello organizzativo, per dirmi che voleva fare il volontariato con una neuropsichiatra. Questofa capire il livello a cui arriviamo anche nella formazione nostra.Marialori ZACCARIARingrazio tutti i partecipanti, ringrazio gli organizzatori, Eleonora e Antonella che hanno a-iutato in questa organizzazione, ringrazio Cristina Medina per la passione che ha messo nel suointervento, forse riconfermando un po' le cose che dicevo io questa mattina e ringrazio ovviamentetutti i relatori, ho apprezzato tutte le relazioni, anche se spesso non le ho potuto seguire,ma in parte le avevo già lette, di questo me ne dispiaccio. Io credo che oggi abbiamo dimostratouna serie di sfaccettature, di cui credo noi psicologi, e questa credo sia una nostra specificità,siamo capaci.Io non credo che siamo a una partita di calcio, come diceva Vito, credo che invece il sensoera quello di capire appunto quante sfaccettature ci sono all'interno <strong>del</strong>la psicologia <strong>del</strong>la nostraregione. E a questo punto io volutamente stamattina avevo tralasciato un pezzo <strong>del</strong> mio intervento,che a questo punto credo sia dovuto. Perché no nel <strong>Lazio</strong>? dice Vito. Io credo che il discorsoda fare sia il seguente: esistono, e lo abbiamo visto ampiamente anche oggi pomeriggiodalla relazione di A<strong>del</strong>e a quella di Stefano, a quella di Diego, esistono realtà diverse, esistonocontesti diversi che hanno storie diverse, alcune di queste io le conosco anche molto da vicino86


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 87sin dagli anni 80. Queste storie creano una cultura, o quella che si chiama la mentalità di ungruppo, e quindi lì è possibile creare certe cose, e non altre. È un po' come il discorso che facevaStefano rispetto a quale mo<strong>del</strong>lo organizzativo ci diamo, quale setting ci diamo, riusciamoad ottenere certe risposte.Quindi credo che poi la particolarità <strong>del</strong>l'istituzione è che è difficile, cioè ogni istituzione,ma addirittura direi ogni servizio istituzionale, anche se si muove nello stesso ambito (tossicodipendenza,psichiatria ecc.) poi ha una sua cultura, una sua area di appartenenza, sviluppa unsuo pensiero. E quindi sviluppa anche dei mo<strong>del</strong>li organizzativi.Dico questo perché lo penso fermamente. Nonostante questo, e anche per questo, come<strong>Ordine</strong>, ci siamo, anche se non eravamo a conoscenza di quella <strong>del</strong>ibera che era stata scrittacome era stata scritta, insomma è stata emendata dall'<strong>Ordine</strong> insieme ai sindacati, ed è statasostenuta ed appoggiata perché la vecchia Giunta la approvasse. Questo proprio per permettereche si potesse sviluppare quel mo<strong>del</strong>lo, ma quel mo<strong>del</strong>lo organizzativo, così come qualsiasilegge, viene promulgata perché esiste una esperienza che la rende possibile, e quindi come<strong>Ordine</strong> abbiamo ritenuto fondamentale che lì, dove ci fossero esperienze in quel senso, fosseroin qualche modo legittimate.Però mi viene da dire, non è che una volta che sono state promulgate le leggi poi questenecessariamente vengono applicate. Pensate alla 180, il fatto che la 180 prevedesse da sempreche ci fossero comunità terapeutiche, che ci fossero centri diurni, che ci fossero case-alloggio,questo non ha fatto sì che poi ogni ASL potesse avere o mettere in piedi ogni DSM queste struttureintermedie. E allora qual è il problema? Non c'era la legge? No, la legge c'era, non è stataapplicata. Ma perché non è stata applicata? Perché evidentemente non c'era una cultura in gradodi accettare queste cose.Parlavo con Lucia Gatti, presidente <strong>del</strong>l'ordine di Trento, poc'anzi, io la ascoltavo con un po'di invidia debbo dire perché lei mi diceva che a Trento stanno a contatto diretto con l'assessore,cioè l'<strong>Ordine</strong> è quello che fa le linee guida, le dà alla Regione e la Regione le dispone. Quisiamo in una situazione diversa. Allora i contesti credo siano fondamentali, le culture che i gruppiformano credo che siano fondamentali, quindi non sono le leggi a portare avanti le nostrecompetenze, le nostre specificità. Comunque credo che invece sia importante non metterci inuna situazione “siamo a favore di questo e a sfavore di quell'altro, siamo per i talebani o per BinLaden o siamo per gli americani”, credo che sia un discorso anche pericoloso, che non ci portaa nulla. Forse quello che ho omesso stamattina, e che dicevo noi, la psicologia è un pensieroforte, è un pensiero innovativo, l'ho omesso ma mi sembrava però che oggi il convegno l'avesseanche in qualche modo dimostrato, è che dobbiamo diventare un movimento forte, un movimentoforte capace di tenere dentro tutte le complessità specifiche <strong>del</strong>la nostra professione e lecomplessità, per ritornare a questo discorso, a questa metafora che utilizzavo all'inizio <strong>del</strong>l'arcipelago<strong>del</strong>la psicologia <strong>del</strong>le tante isole, e quindi non partite di calcio.Sono d'accordo con Mario, che è vergognoso che il modulario a tutt'oggi non sia ancorastato applicato dalla Regione. Ripeto, politicamente è stato dato un okay e poi c'è stato un fermo,forse anche un fermo definitivo, forse c'è stato anche un rimando a livello nazionale nientedi meno, però adesso questo lo andremo a vedere meglio, mi auguro anzi che questa giornata,almeno con Valeriani, abbiamo potuto costruire un piano di dialogo, per me forse anche discontro su certe tematiche. Volevo ricordarvi che come commissione sanità metteremo in piedi,proprio per mantenere aperto questo discorso e questo confronto, questa serie di seminari dovepensiamo appunto che tutti i colleghi che oggi si sono trovati esclusi da questa giornata per ovvimotivi, possano appunto avere il loro spazio e narrarci le loro esperienze perché credo sia unaricchezza che non possiamo perderci. Grazie ancora.87


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 88Paolo MANFREDANon sto più qui nel <strong>Lazio</strong>, ormai sono in Abruzzo, sono ancora però <strong>del</strong>l'<strong>Ordine</strong> <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong>.Ho accettato con piacere l'invito di questo convegno perché vi porto un po' l'esperienza abruzzese,perché da qualche tempo anche da noi si sta lavorando intorno ai servizi di psicologia, acome arrivare anche a una soluzione comune con tutti i colleghi, perché poi fondamentalmenteio credo che il problema centrale sia questo: lavorare tutti in una stessa direzione.E proprio in coincidenza di novembre - dicembre, dove si pensa di fare un convegno contutta la regione, si stava riflettendo esattamente su queste tematiche. Ho apprezzato molto gliinterventi di questa mattina, soprattutto perché io ritengo che non è tanto la legge, lo si ripetevaprima, non è tanto la legge che può determinare la nascita di questi servizi, lo abbiamo vistiforse un po' tutti nell'esperienza con la 180. I servizi psichiatrici prevedevano i servizi di psicologia,però io non ne ho visto nessuno che abbia l'autonomia funzionale all'interno dei dipartimentidi salute mentale. Quindi non è quella una strada, ma quella <strong>del</strong>le esperienze che si stannoportando avanti, come ad esempio anche queste pomeridiane, quello <strong>del</strong>l'età evolutiva, quellaospedaliera… ritengo che si articolano un po' con la stessa esperienza che noi abbiamo avutoin Abruzzo.In sintesi: da 4 anni noi abbiamo lavorato intorno a un progetto prima regionale sull'età evolutiva,creando un gruppo che andava a lavorare provenendo dai vari dipartimenti, maternoinfantile,SERT, non psichiatria, perché c'era un po' un'area protetta in cui non si poteva moltoentrare per non creare troppe situazioni cogenti, come quelle legate alle difficoltà dei ruoli professionali,per cui le aree a cui i colleghi hanno dato vita sono state quelle materno-infantile eSERT. C'è un gruppo che ha lavorato intorno all'intervento psicologico e psicoterapeutico perun po' di anni, fino ad arrivare alla costituzione di un'unità operativa di psicologia e psicoterapiaadolescenziale. Questa è stata istituita con atto <strong>del</strong>iberativo <strong>del</strong>l'azienda, fino ad arrivareattualmente alla costituzione di un atto aziendale in cui colloca l'unità operativa di psicologia epsicoterapia adolescenziale alla stessa stregua <strong>del</strong>le unità operative materno-infantile, quindiconsultoriali, inserito nell'atto aziendale con una sua autonomia e quindi anche con un suo budget.Questo per noi è stato un traguardo importante, ma nell'ottica che arrivando alla costituzionedi vari nuclei dove si interviene sull'età evolutiva, sull'età adulta, sulla psichiatria, si possonocreare varie unità operative che andrebbero poi, in un tempo successivo, a confluire in ununico contenitore, che può essere il servizio autonomo di psicologia, con tutti questi vari interventiche si vanno a collocare.Vi porto questa esperienza perché l'ottica è quella di coinvolgere tutti i colleghi anche <strong>del</strong>l'Abruzzosu questa idea, su questa modalità di lavoro. Noi siamo riusciti a realizzare ancheun'altra cosa molto importante, un'altra integrazione socio-sanitaria, per cui questo servizio, cheè chiamato servizio interdipartimentale di psicologia e psicoterapia adolescenziale si collegacon un centro diurno <strong>del</strong> comune, ed insieme costituiscono il servizio socio-psico-educativo perl'età evolutiva.Quindi questo ha consentito che il comune abbia messo a disposizione i locali e <strong>del</strong> personaledi una cooperativa sociale che attivasse una attività di educazione, e sopra c'è questo serviziodove l'azienda ASL mette a disposizione solo <strong>del</strong> personale, solo per adesso uno psicologoa tempo pieno, gli altri colleghi dai vari dipartimenti per 10 ore.Quindi 5 psicologi, 2 assistenti sociali, 1 educatore che attivano proprio questo interventospecifico collegato sia con questo centro diurno, sia con altri 4 centri di aggregazione <strong>del</strong>la 285strutture che lavorano sempre con questa cooperativa, con le scuole, per cui diventa un po' lareferenzialità psicologica sull'età evolutiva di tutta questa area <strong>del</strong> sociale integrata. Per cui èstata una esperienza importante che cerchiamo di portare avanti, ma non possiamo pensare: fin-88


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 89ché qui non ci costituiscono il dipartimento di psicologia o il servizio autonomo di psicologianoi non andiamo avanti.Proprio costituendo queste progettualità e arrivando a far sentire quanto questo è importante,perché adesso è una realtà, le scuole cominciano a premere, ha contribuito il fatto stesso cheabbiamo detto che nella scuola non si deve più fare clinica ma vi può essere solo un supporto<strong>degli</strong> psicologi per il personale docente. Per esempio, abbiamo all'interno una consulenza di unapsicopedagogista, che fa da collante con la scuola e quindi anche con il personale.Quindi l'obiettivo è dare un servizio qualificato a tutto il territorio, dai servizi di aggregazioneai servizi scolastici. Io sono stato contento oggi di ascoltare un po', quando si parlava <strong>del</strong>servizio sull'adolescenza, sentivo molto ricalcare quello che anche io, insieme con i colleghi,siamo riusciti a fare. Un'altra novità che siamo riusciti a realizzare è quella che, attraverso questoprogetto-obiettivo, prima regionale poi aziendale, un po' i colleghi ce li si è potuti scegliere.Io credo che questo sia un aspetto importante nella costituzione anche di una équipe di lavoro,che abbia una motivazione e un investimento comune.Noi ci siamo trovati, io ho lavorato 20 anni nei SERT, prima si parlava <strong>del</strong>la 3D, Frosinoneper me è stata la terra dove mi sono formato, dove insieme ad una équipe di lavoro abbiamofatto <strong>del</strong>le esperienze importanti, è stato un periodo veramente di sperimentazione di una clinicafatta bene.Voglio dire, il fatto di avere una équipe che investe su un tipo di lavoro e che i colleghi ci siritrovano perché si è scelto di fare quel tipo di lavoro diventa un motore importante per arrivarealla concretizzazione dei progetti. Diversamente, il “calato dall'alto” non porta mai a concretizzareuna progettualità comune.Io ringrazio veramente l'<strong>Ordine</strong> di aver dato questo spunto, e mi auguro di poter avere poianche questi colleghi, a novembre-dicembre, quando organizziamo questo convegno ad Avezzano,per portare avanti una idea comune di una psicologia realizzata, visibile, che dia dei risultatianche di concretizzazione dei nostri progetti.Mario ARDIZZONEGrazie a Paolo. Un suggerimento che vorrei dare a Paolo come a tutti gli altri colleghi checi annunciano <strong>del</strong>le iniziative importanti, se ne può, anzi sarebbe doveroso farlo, dare notizia al<strong>Notiziario</strong> <strong>del</strong>l'<strong>Ordine</strong>, in modo che possano in tempo utile essere anche diffuse, presentate aicolleghi, magari sollecitare un maggior numero di presenze.Stefano ANGELIIo volevo dire una cosa di tipo non solo organizzativa: parlando con Nino Dazzi alla fine <strong>del</strong>suo intervento stamattina, lui diceva “mi avete tirato a parlare in questa sede di queste questioni,io che ammetto dei dubbi ecc.”, io l'ho trovato interessante l'intervento, anzi gli ho detto “cidobbiamo continuare a vedere perché l'università forma i futuri psicologi, l'<strong>Ordine</strong> professionaledovrebbe in qualche modo avviarli alla professione”, se non ci troviamo che discorso è. Luisembrava tra l'altro interessato, ha già preannunciato che sarà disponibile a ritornare su questitemi, approfondendoli anche aspettandosi un nostro riscontro di tipo operativo rispetto a <strong>del</strong>leposizioni teoriche che lui esprimeva.Tra l'altro, gli ho chiesto: “okay, però mi scusi ma questa società <strong>degli</strong> psicologi americani,di cui ha discusso, ha descritto la frammentarietà, la sovrapposizione e così via, si riunisce?”Lui dice “sì, una volta all'anno e poi ha una organizzazione mastodontica, con una segreteriaorganizzativa spaventosa”.Allora io mi chiedevo: noi ci riuniamo in questa sala dopo tre anni (quanti anni sono che non89


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 90ci riuniamo pubblicamente come <strong>Ordine</strong> a mettere insieme i colleghi psicologi che lavoranonella sanità?), e corriamo disperatamente ogni settimana a convegni di tutti i tipi, di tipo tecnico,di tipo politico, ci sono tre convegni a settimana. Noi come Sanità <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong> ci riusciamo adincontrare tutti insieme dopo dieci anni.Io credo che è questo il motivo, per rispondere ad una <strong>del</strong>le domande di Vito Mirizio, “perchénon ci si riesce?”. Perché probabilmente in questi anni non si è ritenuto di darci una organizzazione,cioè se noi ci diamo una organizzazione possiamo vedere <strong>degli</strong> scenari possibili, sel'organizzazione non ce la diamo gli scenari non li vediamo, non c'è niente da fare.Io credo che a questo punto l'organizzazione c'è, nel senso che credo che il dibattito oggi,qualcuno potrà dire che non è andato bene per alcuni versanti, può più o meno essere apprezzato,qualcuno può essere critico, però io ho l'impressione che c'è una volontà da parte <strong>del</strong>l'<strong>Ordine</strong>di questa regione di proporsi direttamente come un reale contenitore di queste esperienze,che possono essere messe a confronto. Io ho la fiducia che questo produca qualche cosa, se lovogliamo mantenere, sicuramente produce qualche cosa. Produce che per esempio noi qui sedutipossiamo iniziare ad interloquire e magari scopriamo che questo potrebbe essere un esempiodi dipartimento di psicologia, in cui c'è la psicologia clinica, c'è l'intervento <strong>del</strong>la salute mentale,e ci possiamo coordinare e lavorare. Questo potrebbe essere un tavolo di un dipartimento peresempio, vedere quali sono i problemi tecnici, metterci d'accordo.In questo mi pare che la domanda di Vito Mirizio fosse assolutamente centrale, la domandanon è tanto rispetto “siamo una partita”, il dibattito è avviato, il dibattito è anche maturo. Credoche per chi lavora in prima linea, lui ci ha citato la sua esperienza ma anche io cito la mia, inun tentativo di fare <strong>del</strong>le esperienze di autonomia noi siamo con i fucili puntati. Cioè siamo coni fucili puntati alle spalle, sopra, sotto, probabilmente tra tre mesi potremmo anche non lavorarepiù, non gliene frega niente alla direzione se abbiamo seguito 800 persone in 5 anni, con uncerto livello di competenza. Siamo con i fucili spianati addosso. Allora la domanda di Vito “perchéno e perché non subito” è una domanda che va rivolta secondo me all'<strong>Ordine</strong>, io faccio parte<strong>del</strong>la Commissione Sanità, e personalmente me ne farò carico in termini chiari, che l'<strong>Ordine</strong>esplicitamente porti avanti l'idea di una organizzazione per la sanità <strong>degli</strong> psicologi, nelle formeprogressive che vuole, ma che mantenga questo dibattito, questa tavola aperta operativamenteattraverso <strong>del</strong>le iniziative - credo che questa è una richiesta legittima che noi possiamo fare all'<strong>Ordine</strong>professionale e che sicuramente garantisce le esperienze che si stanno tentando di metterein campo già ormai da alcuni anni.Mario ARDIZZONEGrazie Stefano. Noi alle sei dobbiamo chiudere il dibattito, e naturalmente come spesso succedeil dibattito si è animato ultimamente.Abbiamo un'unica strada disponibile: quella di contenere entro al massimo due minuti ogniintervento. Leggo i nomi dei colleghi che si sono prenotati: A<strong>del</strong>e Di Stefano, Luigi Ranzato,Giuseppe Sammartano e Rodolfo Palanga. Quindi dobbiamo assolutamente rispettare i tempi.A<strong>del</strong>e DI STEFANOn minimo di replica alle cose dette, perché appunto anche io ritengo che non sia una partitama come diceva Marialori dobbiamo capire di volta in volta qual è il mo<strong>del</strong>lo organizzativo cheproponiamo.Io sono un po' sconcertata <strong>del</strong> fatto che non si parla di mo<strong>del</strong>li organizzativi, nel senso chesi parla di unità, di dipartimenti, di servizi, con una grande confusione anche di termini. E nessunoha tirato fuori che tipo di interconnessione pensa, nel momento in cui parla di Diparti-90


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 91menti, di servizi o di unità, con il resto <strong>del</strong>l'organizzazione sanitaria.Una maniera secondo me molto cieca di considerare le cose, dal momento che, venendodalla psicologia, sappiamo che la lettura <strong>del</strong> contesto è un elemento centrale <strong>del</strong>la nostra professione.Questo per aumentare la polemica finale e per avere diritto di replica.L'altra cosa che a me sembrava importante, non è che c'è un tipo di organizzazione che inassoluto è migliore di un'altra, io questo credo che sia una falsità teorica, io credo che ogni organizzazioneè funzionale in un certo contesto per certe finalità.Se la finalità prima è quella <strong>del</strong>la salvaguardia di una professione che rischia di non avereuna propria identità, in cui le persone sono sottomesse da altre professioni, diventa ovvio chequello di cui c'è bisogno è di una protezione <strong>del</strong>la professione <strong>del</strong>lo psicologo.Nel momento in cui non esiste questo problema di protezione <strong>del</strong>l'identità <strong>del</strong>lo psicologoperché questo è già insito ai professionisti che lavorano, esistono <strong>del</strong>le possibilità di avanzamentodei mo<strong>del</strong>li organizzativi in maniera innovativa e flessibile rispetto a quello che è statatutta la storia <strong>del</strong>le forme organizzative nel mondo, cioè non solo nella sanità. Io credo che siaun grande ritorno indietro di 100 anni rispetto alla storia <strong>del</strong>le organizzazioni riparlare di unaorganizzazione basata sulle divisioni e quindi sull'offerta che l'erogatore propone, piuttosto chedalla lettura <strong>del</strong>la domanda che viene dall'esterno.Questo era giusto per aumentare la polemica finale.Mario ARDIZZONEGrazie A<strong>del</strong>e. Certamente c'è materia per farne un'altra di giornata, e un altro convegnomolto specifico, la parola adesso a Luigi Ranzato.Luigi RANZATOCi scusiamo di non essere stati presenti quest'oggi se non alle relazioni finali, ma è evidenteche comunque dalle domande, dagli interventi nasce una ricchezza di ulteriori riflessionianche per noi. Ho sentito l'intervento <strong>del</strong> dottor Antonini, e mi ha fatto scattare una rispostarispetto ad una possibile confusione, sono d'accordo che ci sono confusioni terminologiche, sucui da 10 anni abbiamo cercato di fare chiarezze, non sempre si riesce ma comunque ci sono<strong>del</strong>le risposte. Nella mia unità operativa, proprio per essere concreto, su tre consultori familiaria cui noi inviamo gli psicologi, uno per 28 ore alla settimana su 38, altri per 12 ore, sonoresponsabili dirigenti <strong>del</strong> consultorio. Come dire non c'è contraddizione sul fatto di dirigere, dalpunto di vista professionale, di essere responsabili di una struttura psicologica, e di fare i dirigentiad altro livello, non perché psicologi, ma fare i dirigenti di altre strutture. Certamente unastruttura intermedia, come quella che lei ha descritto, trova da parte <strong>degli</strong> psicologi poi la possibilitàulteriore di lavorare.Il secondo aspetto riguarda il privato, noi abbiamo parlato <strong>del</strong> pubblico, ma il futuro di voigiovani psicologi sarà di lavorare in associazione, in società, in servizi psicologi nel privato,perché solo attraverso questo modo potrete accreditarvi col pubblico e potrete lavorare, e potremoanche uscire un po' da quel velleitarismo, da quel fatto di essere da soli ecc.Quindi il mo<strong>del</strong>lo non è un mo<strong>del</strong>lo solo per il pubblico.Terzo: l'integrazione avviene fra pari. Credo che non abbiamo mai lavorato così bene inospedale, nel territorio, come da quando c'è un riconoscimento vicendevole di essere alla pari.Noi utilizziamo lo strumento <strong>del</strong> protocollo, protocollo firmato da due dirigenti, dal reparto<strong>del</strong>la psichiatria, dice quante ore, dice come rapportarsi rispetto ai pazienti, dice a che punto farele verifiche e dice tante altre cose. Quindi l'integrazione vera avviene tra pari, nel momento incui hanno momenti di identificazione e momenti di diversità.91


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 92Ultimissima cosa, io sto andando in pensione, i colleghi che mi hanno conosciuto, da tantianni ci vediamo, andranno presto in pensione, allora tutto quello che noi abbiamo fatto a chi lolasciamo? Pensate quanti psicologi hanno lavorato e lavoreranno nel servizio sanitario, dispersinei servizi, e se non hanno un'eredità da raccogliere a chi le lasciano le conoscenze che noiabbiamo maturato? dove le mettiamo?Giuseppe SAMMARTANOA me sembrava fosse molto pertinente l'interrogativo <strong>del</strong> collega Mirizio. Trovo che naturalmentequesta è una domanda che è molto opportuno che voi vi poniate e non mi ci provoneanche a dare una risposta, è tutta vostra, ve la lascio volentieri. Mi colpisce però il fatto chein un certo modo mi sembra, se interpreto bene le parole di Mirizio, che ci sia come un silenziointorno ai no, laddove invece c'è una forte presenza intorno ai sì.Trovo un po' sospetto questo, mi fa pensare, se posso fare una analogia con la situazionenostra <strong>degli</strong> anni scorsi, che forse nei convincimenti intimi <strong>del</strong>la maggior parte di voi c'è che ilservizio non lo farete e non a breve, state quindi un po' quieti e tranquilli perché non c'è il pericolovicino. Ma se per caso domani mattina spuntasse qualche cosa da qualche parte io non sose stareste in silenzio, perché io già sento la collega per esempio, ho seguito adesso le sue parole,capisco bene che si muove da una prospettiva di valutazione <strong>del</strong>le cose che è abbastanzadiversa dalla mia, che trovo naturalmente legittima però abbastanza diversa dalla mia. Allora iodico per esempio che uno <strong>degli</strong> alibi paralizzanti è questa contrapposizione tra quelli di noi cheevidentemente, per qualche motivo che ha a che fare con la loro storia culturale, formazionepersonale ed altro, ma anche, direi, perché no, per dati di temperamento personale, scelgonocome condizioni favorenti la loro creatività personale, quindi la capacità di dare il meglio di sestessi, un contesto di lavoro di tipo monoprofessionale, e quelli che sembrano trovare elementidi stimolo alla loro creatività e al loro fare in contesti multiprofessionali.Io dico che se noi questa contrapposizione, anziché viverla per quello che è, cioè polo dialetticodi una questione che può secondo me restare aperta senza diventare paralizzante, la trasformiamoin una guerra di religione, questo è il motivo di fatto di paralisi, perché non è vero,la collega mi deve consentire di fare questa precisazione, io non credo che vi sia il bisogno daqualche parte che prescinde dalla nostra lettura, per cui noi poi ci applichiamo sopra una idea,e diciamo “il bisogno è multiprofessionale per definizione”. Questo è quello che ha sostenutoin qualche circostanza qualche noto sociologo, i miei colleghi se lo ricordano, ha detto che ilbisogno è di sua natura multiprofessionale. Questa è una grossa banalità, perché la scelta che ilbisogno sia definibile in chiave multiprofessionale piuttosto che monoprofessionale è una sceltalegittima <strong>del</strong>l'operatore che fa l'esperienza di conoscenza <strong>del</strong> bisogno stesso. Una sempliceosservazione: esiste un mercato, peraltro costoso, <strong>del</strong> bisogno psicologico monoprofessionalenel privato, sappiamo bene quanto costa, e non abbiamo offerto nulla <strong>del</strong> genere alla maggioranza<strong>del</strong>le situazioni italiane nel pubblico. In altre parole: se io sono un borghese, non dicoricco ma benestante, posso andare da uno psicoterapeuta privato, farmi una psicoterapia avendouna relazione contrattuale esclusivamente con lui. Se invece io sono un poveraccio di CasalBertone non la posso fare, se sono un poveraccio io devo passare dallo psichiatra e devo andaredall'assistente sociale, devo scrivere 3 moduli, devo fare i questionari perché devo stare dentrole statistiche.Amici miei, noi possiamo anche dire che tutto questo ci piace, a me non piace, però possiamoanche dire che ci piace, però non diciamo che è l'unica pietanza che possiamo mangiare,perché questo è veramente un falso. Per quanto riguarda quello che diceva Zipparri a proposito<strong>del</strong>la psicoterapia, lui diceva una cosa che è importante però per certi aspetti anche un pro-92


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 93blema: è vero che nella esperienza <strong>degli</strong> psicologi sanitari la psicoterapia ha avuto uno spaziomolto grande, questo può darsi che abbia a che fare con il fatto che la maggior parte di noi hafatto una formazione di tipo psicoterapeutico, credo che però dipenda anche dal fatto che di psicoterapiac'è molto bisogno. Allora c'è l'incrocio tra questi due elementi, non è che noi ce loinventiamo, alla fine non è che mettiamo in terapia uno che non ce lo chiede, mettiamo in terapiauno che ce lo chiede.E allora se questo è vero non guarderei alla psicoterapia con quel senso di minaccia con cuimolti la guardano, semmai mi chiederei come posso conciliare il bisogno sociale di psicoterapiacon la mia formazione personale in psicoterapia, con le esigenze <strong>del</strong> contesto normativo edistituzionale nel quale mi muovo. Cioè io devo combinare tre cose, ma non devo dire che siccomesono qui non posso fare la psicoterapia. In Sicilia per esempio ci fu per anni una “cazzata”spaventosa: i funzionari regionali sostenevano che gli psicologi dei consultori nei consultorinon dovevano fare la psicoterapia. Ma che “cazzata” è mai questa?! (scusate la franchezza <strong>del</strong>termine). Ma perché gli psicologi dei consultori, perché nei consultori non può arrivare uno chedice che vuol fare la psicoterapia perché ha litigato con la moglie?! Sono cose che non stannoné in cielo né in terra. Questo pertiene all'autonomia professionale <strong>degli</strong> psicologi, lo sciogliereinsieme al loro utente su base di scienza e coscienza qual è il mo<strong>del</strong>lo operativo più adeguatoper la situazione problematica prospettata.Ultimo flash. Qualcuno stamattina parlava <strong>del</strong> rischio di isolamento <strong>degli</strong> psicologi. Io credonella mia esperienza che noi non siamo mai stati meno isolati che da quando abbiamo il serviziodi psicologia, perché noi oggi siamo dentro tutta l'azienda, o perlomeno in una parte stiamodentro gli ospedali, stiamo nella formazione, stiamo nell'ufficio relazioni col pubblico. Ma dovestavamo prima? Stavamo nei dipartimenti di salute mentale, stavamo nei SERT e nei consultori.Non c'era altro. Adesso abbiamo gli ambulatori nostri, stiamo nelle URP, collaboriamo allapolitica formativa <strong>del</strong>l'azienda. Vi pare poco?! E siamo entrati negli ospedali, non ci aveva maimesso piede nessuno negli ospedali. Vi pare poco questo?! A me non sembra.Ultima osservazione, sempre in linea, qualcuno diceva, mi pare Antonino, “non siamo autoreferenziali”.Che vuol dire essere autoreferenziali? Se io faccio un gruppo di 8 psicologi, 2 <strong>del</strong>SERT, 2 <strong>del</strong> consultorio e 2 <strong>del</strong>la salute mentale, questi 8 psicologi si interrogano sul tema “checosa è la psicoterapia, come la faccio? che cosa è una diagnosi, come la faccio? che cosa è unintervento preventivo, come lo faccio? da dove parto e dove arrivo? come faccio a verificarlo?”.Questa è autoreferenzialità? Se questa è autoreferenzialità io sono autoreferenziale. Grazie.Rodolfo PALANGADall'aria che si respira è un si pieno al servizio di psicologia o al dipartimento di psicologia.Però giustamente, come diceva il collega Sammartano prima, c'è a mio parere una resistenza,che forse è bene che emerga. Dall'esperienza che ho, che per motivi di lavoro devo considerareenorme su questo problema, perché ho avuto una possibilità di lavoro con migliaia di colleghi,devo dire che su questo specifico problema la resistenza unica che io ho potuto accertare,nel senso che non ci sono stati altri tipi di resistenze espressi, in maniera individuale, è che sipreferiva e si è preferito tenere la situazione così come è nel <strong>Lazio</strong>, fino ad ora, in quanto la dirigenza,i colleghi dirigenti e psicologi nell'insieme non garantivano rispetto ai dirigenti di altreprofessionalità.Chiaramente questo nasconde pure problemi di interessi personali a stare in un certo servizio,questo è presente soprattutto in particolari zone, come Roma, dove chiaramente tutto diventapiù complesso, però, dal momento che Roma domina poi su tutto quello che è il sistema diorganizzazione a livello anche <strong>del</strong>la religione, questo si è riflesso anche nelle zone non romane.93


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 94Devo dire la verità: altre resistenze non sono state espresse, nel senso di un rapporto individualizzato,per cui questa unica resistenza è quella che rimane, ed è forte, non è debole, non èstata espressa. Qui io l'ho voluta esprimere per come l'ho colta in questi anni, nel rapporto coni colleghi su problemi lavorativi.Per cui la esprimo adesso. Ciò nonostante, io devo dire la verità, dal momento che lavoro inuna azienda, che poi è quella di Mirizio, dove in questi anni abbiamo cercato di lavorare in questadirezione, cioè in quella che poi è il SI di questo convegno, dove si sono formate le unitàoperative di psicologia, anche se in maniera ancora imperfetta: c'è un itinere. Però, ripeto, a mioparere su questa resistenza bisogna lavorare, perché sono passati 10 anni e solo nel <strong>Lazio</strong> nonsi riesce a fare una cosa <strong>del</strong> genere. Però bisogna analizzare le resistenze, qui spetta all'<strong>Ordine</strong>e al sindacato o ai sindacati di fare un lavoro <strong>del</strong> genere, altrimenti passeranno altri 20 anni esaremo sempre lì. Quindi spetta ai sindacati fare un lavoro di, o per spezzare la resistenza inmaniera veloce, visto che c'è un SÌ, almeno a livello razionale, e quindi se ha un valore questoSi che venga spezzata anche la resistenza, che io considero irrazionale. E mi auguro che l'<strong>Ordine</strong>e il sindacato lo facciano al più presto.Mario CICCONEEra un discorso che avrei voluto fare stamattina per primo se avessimo avuto tempo. Ildiscorso è che questa sala è estremamente importante, ci fu nel '69 una memorabile assemblea<strong>del</strong>la SIPS, non racconto tutto quello che è successo, veramente ci vorrebbero altri 3 convegni,ma è stata di una importanza capitale, e questo mi permette di parlare un attimo <strong>del</strong>la SIPS. Inparticolare una <strong>del</strong>le colleghe prima diceva che vedeva alcune dimensioni che in qualchemaniera mancavano, io credo che la dimensione che manca da una parte è definita, direi perlegge, quella ordinistica, adesso è stato fatto riferimento al sindacato, con le sue funzioni e lesue prerogative. Io credo che gli psicologi, purtroppo, avendo la memoria corta, dimenticanoche c'è il problema <strong>del</strong>le società scientifiche e <strong>del</strong>le società scientifico-professionali, però ilguaio è che gli psicologi sono andati sempre zompettando su un piede solo, prima zompettandosul piede <strong>del</strong>la SIPS, poi zompettando sul piede <strong>del</strong>l'<strong>Ordine</strong>, mentre le altre sono tutte sparpagliate.La SIPS ha una struttura federativa che potrebbe raccogliere il tutto con le sue funzioni,io mi auguro che questo discorso dagli psicologi più avveduti venga ripreso, perché è undiscorso assolutamente essenziale, che va assolutamente visto e peraltro lo strumento c'è, perchéè di tipo federalistico, non toglie niente a nessuna <strong>del</strong>le società scientifiche o professionaliche in qualche maniera chiedono una loro autonomia. Probabilmente potrebbe essere questo l'elementounificante sul piano scientifico.Mario ARDIZZONEQui arrivano continuamente altri stimoli, il che significa che il dibattito non è assolutamenteconcluso, anche se per motivi pratici dobbiamo porre un limite, quindi mettere una interpunzione,oggi. In dieci secondi vorrei essere un po' temerario, e mi vorrei sbilanciare sull'andamentodi questa giornata, perché attraverso tutti gli interventi mi sembra che stia prendendocorpo sempre di più questa ipotesi di luoghi, servizi, aree, strutture, dipartimenti autonomi dipsicologia, pur dovendo considerare, e il richiamo che fa Piermario Ciccone alla storia <strong>del</strong>la psicologiaè molto emblematico, pur dovendo considerare che questa nozione, questo concetto didipartimento è un concetto che va radicato nella complessità <strong>del</strong> contesto in cui si muove. Ilconcetto di dipartimento, almeno a livello accademico, è nato in contrapposizione al concettostatico di istituto, e segnalava proprio una trasversalità di esperienza istituzionali e organizzative.Credo che questo elemento dovrà essere sviluppato naturalmente, forse non risponde, se non94


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 95in misura molto parziale, ma raccoglie le sollecitazioni di A<strong>del</strong>e Di Stefano sulla necessità diconsiderare l'autonomia <strong>del</strong>la professione di psicologo all'interno <strong>del</strong>le strutture matriciali e direte di cui parlava rispetto alla sua competenza organizzativa.Allora sono molto contento oggi, mi tocca tirare le somme di questa tavola rotonda, sonomolto contento perché vedo che quello che è iniziato nel 1994 sta faticosamente e lentamenteandando avanti. Spero che l'<strong>Ordine</strong>, vedo la nostra vicepresidente, Lori Zaccaria qui davanti,possa raccogliere queste sollecitazioni, sollecitazioni che mi sono arrivate anche pochi secondifa a proseguire nel dibattito e a organizzare come <strong>Ordine</strong> regionale nuove iniziative in quest'ambito.Grazie a tutti di aver partecipato.95


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 97Seminari97


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 98“La <strong>Psicologi</strong>a <strong>del</strong> Lavoronelle Aziende Sanitarie Locali”Un'esperienza nella ASL RM DDott. Enzo CORDAROResponsabile Unità Operativa <strong>del</strong> trattamento psicologico dei giovani-adultiASL Roma APREMESSANelle Aziende sanitarie si comincia ad avvertire l'esigenza di affrontare il problema <strong>del</strong>lo stressdovuto alla discrepanza tra la richiesta <strong>del</strong>l'atto lavorativo e le effettive capacità <strong>del</strong> soggetto,alla dimensione relazionale ed organizzativa <strong>del</strong> gruppo, alla sensazione di isolamento <strong>del</strong> soggetto,alla complessità <strong>del</strong>l'attività che è svolta, alla mancanza di finalità nell'attività, alla caratterizzazionesostanzialmente umana <strong>del</strong>l'oggetto lavorativo, alla cronicità ed al rischio di morte<strong>del</strong>la patologia seguita, alla difficoltà <strong>del</strong>la realizzazione <strong>degli</strong> obiettivi.Per garantire un’adeguata ambientazione <strong>del</strong> dipendente all'azienda ed alle sue strutture operativee produttive, senza creare i presupposti di una sofferenza, non si può solo valutare il rapportotra carichi e tempi di lavoro o di adeguare la forza lavoro alle esigenze <strong>del</strong>la produzione,ma si ha la necessità di considerare la dimensione <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong>le relazioni, la modalità deiprocessi comunicativi, la trasparenza <strong>del</strong>le procedure, l'attenzione sull'ambiente di lavoro, inultima analisi si sente l'esigenza di umanizzare il contatto con il lavoratore, senza espropriarlo<strong>del</strong>la sua dimensione affettiva ed emozionale.La definizione di un'area di attività che si occupi <strong>degli</strong> aspetti esistenziali dei lavoratori <strong>del</strong>lasanità, sorge nel momento in cui si creano i presupposti <strong>del</strong> cambiamento e si sente l'esigenza didefinire un ammortizzatore protettivo agli “urti” causati dalla trasformazione strutturale <strong>del</strong>lasanità pubblica. La crisi <strong>del</strong>le “vecchie” unità sanitarie è causata dal crescente bisogno di rendere“efficiente ed efficace” il sistema produttivo, per liberarlo dalla logica meramente assistenzialista<strong>del</strong> passato.Con la riforma <strong>del</strong> pubblico impiego e <strong>del</strong>la sanità, cambia l'assetto organizzativo e strutturale<strong>del</strong>l'amministrazione pubblica, il legislatore lancia la scommessa che si può riassumere nel riuscirea fare assistenza, creare e mantenere la salute dei cittadini, evitare gli sprechi e migliorarel'efficacia, rendendo contestualmente produttive ed economicamente autosufficienti le strutturesanitarie.La trasformazione <strong>del</strong> nome da - Unità sanitarie locali in Aziende sanitarie locali - non è solouna questione di termini, ma è un sostanziale cambiamento, introducendo il concetto di aziendalizzazionee determinando una maggiore affinità strutturale con le realtà private. Per rendereancora più forte e stabile questa trasformazione, si è fatto ricorso ad un sistema competitivo cheha introdotto il doppio binario. L'azienda pubblica e quella privata oggi sono in competizionetra loro ed il cittadino può scegliere di usufruire di prestazioni sanitarie erogate da aziende pubblichecome da aziende private nel rispetto generale di criteri standard predefiniti. Con questosistema sia l'azienda pubblica sia quella privata, se vogliono coprire i costi di gestione e rima-98


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 99nere competitivi sul mercato, hanno l'esigenza di conquistarsi fasce di “clienti” sempre piùampie.Il sistema non è ancora un sistema perfetto, sia perché il legislatore, per motivi di equità dirisposta sanitaria collettiva, ha <strong>del</strong>egato alle Regioni l'attuazione di alcune pratiche sanitarie dipubblica utilità ed un certo controllo sulle strutture sanitarie, sia perché le autonomie regionalihanno definito modi e tempi diversificati per l'adozione dei provvedimenti di cambiamento.La forte e repentina trasformazione <strong>del</strong> sistema sanitario condiziona un'altrettanta repentina rottura<strong>del</strong>la macchina pachidermica <strong>del</strong>la sanità pubblica, riuscendo a stressare, oltre l'assetto <strong>del</strong>l'organizzazione,la dimensione relazionale.Il sistema si è dovuto confrontare con le dure leggi di mercato: le attività professionali tendonosempre più ad inquadrarsi in linee produttive strategicamente definite dal management aziendale;le scelte economiche ed organizzative sono state ristrette dentro i rigidi schemi di budgete di bilancio; l'attività di dirigenza si è dovuta confrontare con una visione di imprenditorialitàe managerialità; ogni atto ha assunto una importante funzione al fine <strong>del</strong>le misurazioni <strong>del</strong>l'efficaciae <strong>del</strong>la efficienza lavorativa; tutte le prestazioni sono state catalogate e definite entroparametri economici.LE MOTIVAZIONI CHE HANNO DATO VITA AL PROGETTO OPERATIVONella nostra “buona pratica <strong>del</strong> quotidiano professionale” ci troviamo spesso ad incontrarci concasi difficili derivati da un disagio diffuso o peggio da disturbi psichici conclamati. Non possiamodisinteressarci, non possiamo proseguire solo a misurare con valutazioni obiettive lo statodi salute organica dei soggetti. Non possiamo far finta che il problema non esiste solo perchénon lo riusciamo a capire o peggio a riconoscere.Siamo consci <strong>del</strong> fatto che questo implica <strong>del</strong>le difficoltà in più nel nostro lavoro, per esempiodiviene importante accrescere molto la nostra capacità di sentire.Citare Nanni Moretti in questo momento può sembrare sconveniente, ma io lo apprezzo sicuramentecome regista, per la sua asciutta, morale e severa capacità di descrivere la realtà socialee l'esistenzialità umana con gli occhi di un “Michele Apicella” qualunque. Bene, Moretti nell'ultimadrammatica e contemporaneamente ironica storia <strong>del</strong> suo forse più bel film “Caro Diario”,raccontando il vero e doloroso travaglio <strong>del</strong>la sua malattia, conclude con una amara osservazione:“i medici sanno parlare ma non sanno ascoltare”, ed io aggiungo che in alcuni casi nonsanno guardare.Se non si sa più né ascoltare né guardare vuol dire che si è persa la capacità di mantenere unpensiero empatico, critico e scientifico, correndo il rischio di generare una “stagnazione <strong>del</strong>l'ideazione”e <strong>del</strong>la creatività. Forse a quel punto possiamo dire che anche noi siamo in difficoltàpsicologica nei confronti <strong>del</strong> nostro lavoro.Costruire una sensibilità al problema <strong>del</strong> disagio da lavoro è sicuramente statouno dei motivi per cui ci siamo “imbarcati” in questo percorso per permettereattraverso il pensiero e l'elaborazione di supportare la nostra potenzialità professionaleed umana. Quindi insieme per analizzare il fenomeno, capirne i contornie studiarne le soluzioni.A questo punto mi sembra opportuno utilizzare la metafora <strong>del</strong> “buon serfista che deve evitaredi farsi sorpassare dall'onda cercando di starle sempre davanti e non rischiare di essere sopraffattoe schiacciato dalla montagna d'acqua”.La montagna d'acqua sono le incombenti richieste che provengono dalla società di provvederealla comprensione di problemi legati al disagio psicologico, la tavola che ci sostiene sono i99


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 100provvedimenti legislativi e le nostre capacità professionali, ma per non essere sommersi c'èbisogno <strong>del</strong>le nostra grande capacità di comprendere il fenomeno e di saperlo “dominare”.Comprendere in questo caso non vuol dire solo studiare la teoria che sottende il fenomeno, maanche saper approfondire dentro di noi quella sensibilità al disagio psichico utile a percepire ilsoggetto, non come un corpo malato, ma come un individuo fatto di emozioni.Prima di entrare in una considerazione più attenta <strong>del</strong>l'esperienza di psicologia <strong>del</strong> lavoro fattaall'azienda sanitaria RM/D, sento l'esigenza di chiarire, secondo noi, il concetto di disagio psicologicoda lavoro.Come prima cosa va sottolineato un concetto semplice ma importante da tenere ben presente:la pluralità <strong>del</strong>le cause, <strong>del</strong>le sintomatologie e <strong>del</strong>la cura.Sulle cause possiamo ricordare l'influsso negativo di processi comunicativi e relazionali pocoidoneo alla coerenza emozionale dei soggetti (mobbing), l'esigenza di impostare cambiamentistrutturali <strong>del</strong>l'organizzazione, carenza di strumenti o di luoghi fisici idonei all'attività lavorativa,incarichi che sottostimano o sovrastimano le capacità soggettive, difficoltà individuali inascoltate,attività lavorative emotivamente troppo implicanti (burn-out).Le risposte sintomatiche non sono sempre riconducibili a mo<strong>del</strong>li di disturbi psicologici, anchese quello che noi osserviamo in modo più evidente sono proprio i disturbi psicopatologici. Lesintomatologia psichiche infatti sono descritte dal D.S.M. IV (manuale diagnostico statistico deidisturbi mentali) e rappresentano una porzione consistente <strong>del</strong>le reazioni sintomatiche descrittedai lavoratori. Possono assumere i caratteri nosologici di disturbi post traumatici da stress,disturbi <strong>del</strong>l'adattamento, disturbi <strong>del</strong>l'umore, disturbi <strong>del</strong> comportamento, disturbi <strong>del</strong>la sferanarcisistica e <strong>del</strong>l'immagine <strong>del</strong> Sé, e spesso si associano a questi quadri clinici, persistentidisturbi psicosomatici.Il lavoratore o meglio il gruppo di lavoro, in alcuni casi, non è però consapevole <strong>del</strong> suo statodi malessere, non soffre di disturbi specifici, ma soffre di un disagio fantasma asintomatico. L'unicoelemento che ci può far capire sono quelle conoscenze e quelle sensibilità che ci possonofar cogliere i segnali legati alla diminuita efficienza ed efficacia <strong>del</strong>l'operato <strong>del</strong> gruppo, avendola capacità di conoscere complessivamente i fatti dall'azienda, l'umore di chi la anima, lefinalità produttive, insomma in ultima analisi essere un soggetto in grado di sapere e conoscere,caratteristica che non si esaurisce nello svolgere solo il compito di sorveglianza sanitaria.La cura in questo caso non può essere quella di mettere in terapia un soggetto o un gruppoma deve necessariamente essere finalizzata a dare <strong>del</strong>le risposte di modificazione <strong>del</strong>lecomponenti disturbanti <strong>del</strong>la struttura.Risulta superfluo sottolineare che ciò che implica un danno per il dipendente, implica conseguentementeun danno per la funzionalità <strong>del</strong> servizio, per la qualità <strong>del</strong>la vita <strong>del</strong> lavoratore eper la qualità <strong>del</strong>la risposta lavorativa.L'individuo, secondo il nostro punto di vista, non è inserito passivamente nel sistema azienda,ma interagisce con esso, secondo una modalità dinamica e circolare, caratterizzandosi contemporaneamentecome soggetto ed oggetto <strong>del</strong>l'organizzazione stessa.Il sistema azienda non può essere considerato come una semplice somma <strong>del</strong>le sue parti, macome un elemento sovrastrutturale che si articola con sue regole e con una sua dimensione autonomadi funzionamento e di vita. Se una <strong>del</strong>le sue parti si altera tutto il sistema rischia di averneconseguenze negative.Il rischio, se non si considera questa semplice realtà, potrebbe risultare quello di rincorrere ladimensione individuale immaginandola come un fenomeno a se stante, come una variabileimpazzita da colpevolizzare e “curare”, ed infine, se l'intervento riesce, da reintrodurre nel cicloproduttivo, magari con la formula di “personale con minore aggravio”.100


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 101LA METODOLOGIA DELL'INTERVENTONell'Azienda USL RM/D nel 1997 si è dato vita alla prima struttura di psicologia <strong>del</strong> lavoroinserita all'interno <strong>del</strong> Servizio di Prevenzione e Protezione, con lo scopo evidente di configurareil problema <strong>del</strong> disagio psicologico da lavoro inserendolo all'interno <strong>del</strong>la D.lg. 626/94(legge sulla sicurezza dei luoghi di lavoro), dando struttura e dimensione operativa a quantoprevisto dall'articolo 4 <strong>del</strong>la normativa che richiede, per una adeguata sorveglianza sanitaria, lavalutazione anche <strong>del</strong> quarto fattore di rischio, o fattore da stress.L'area di psicologia <strong>del</strong> lavoro non ha trovato difficoltà a cominciare a lavorare in stretto contattocon l'area <strong>del</strong> medico competente, e da questo “matrimonio” si è cominciata ad evincereuna visione originale ma rispettosa <strong>del</strong>la D.lg 626/94 (legge per la sicurezza sui luoghi di lavoro).Si è cercato di non trascurare nulla, ed in perfetta sinergia e nel massimo rispetto dei ruoli e deisaperi, si è proceduto a definire: gli interventi preventivi al disagio, quali l'accoglienza lavorativa <strong>del</strong> personale neo assunto,nel tentativo di dare una collocazione lavorativa adeguata alle potenzialità soggettive; la valutazione <strong>del</strong> disagio psicologico individuale con il doppio scopo di dare una consulenzapsicologica al medico competente e contemporaneamente garantire un periodo dibreve sostegno al personale che ne facevano richiesta; la consulenza ai singoli presidi attuata attraverso l'analisi e la valutazioni <strong>del</strong>l'organizzazione,<strong>del</strong> clima organizzativo, <strong>del</strong>le procedure di lavoro, <strong>del</strong>la modalità comunicative erelazionale <strong>del</strong> gruppo; la misurazione <strong>del</strong> grado di disagio organizzativo per attuare la valutazione <strong>del</strong> rischio dastress come definito dagli articoli 4 e 8 <strong>del</strong> D.lg 626/94, utilizzando strumenti in grado dipoterlo fare.Mi sembra evidente che questa operatività ci ha collocato in una dimensione senz'altro diversadalla sola valutazione sul bur-out o sul mobbing, ci ha infatti spinto a programmare, complici inostri compiti istituzionali, la stesura di una mappa <strong>del</strong> rischio psicologico <strong>del</strong>le strutture <strong>del</strong>l'azienda,aggiungendo al disagio <strong>del</strong> singolo, la valutazione <strong>del</strong>lo stato di salute <strong>del</strong>le struttureaziendali, riuscendo contemporaneamente a misurare la salute organizzativa dei gruppi di lavoro.Mi sembra di poter dire che nel mo<strong>del</strong>lo adottato dall'area di psicologia <strong>del</strong> lavoro e dall'area<strong>del</strong> medico competente <strong>del</strong>la ASL RM/D, si tende ad interpretare il disagio come un elementoemergente dal gruppo, e l'intervento mira a rimuovere le difficoltà interne alla struttura. Questoapproccio non vuol trascurare la sfera individuale, ma quest'ultima assume una dimensione disfondo nei confronti <strong>del</strong>la dimensione organizzata.Il mo<strong>del</strong>lo proposto dall'area di psicologia <strong>del</strong> lavoro e dall'area <strong>del</strong> medico competente <strong>del</strong>laASL RM/D, tende ad interpretare il disagio come un elemento emergente dal gruppo, e l'interventomira a rimuovere le difficoltà interne alla struttura.. Questo approccio non vuol trascurarela sfera individuale, ma quest'ultima assume una dimensione di sfondo nei confronti <strong>del</strong>ladimensione organizzata.IL PROGRAMMAL'attività è articolata su quattro grandi filoni, nel tentativo di creare una risposta che considerasseprioritariamente la componente sistemica <strong>del</strong>l'organizzazione <strong>del</strong> lavoro, ma che riuscissea non eludere alcune considerazione sul disagio individuale. In particolare:101


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 102• l'intervento sulle realtà di disagio conclamato;• la prevenzione;• le consulenze• il monitoraggio in tutte le strutture e la definizione di una mappa <strong>del</strong> rischio <strong>del</strong> quarto fattore.L'intervento sulle realtà dei disagio conclamatoL'intervento sul disagio conclamato si è attuato privilegiando la dimensione di gruppo e nonquella individuale.I gruppi li abbiamo chiamati “gruppi dinamici d'incontro”, dove per gruppo si è voluto sottolinearela componente collettiva, per dinamico la dimensione di cambiamento e per incontro unospazio di riflessione.Il gruppo lo abbiamo inteso simbolicamente come una “palestra” dove per allenamento si intendeil potenziamento <strong>del</strong>le capacità di definizione <strong>del</strong>la propria sfera soggettiva.I gruppi, rivolti agli operatori dei settori giudicati a rischio di burn-out; sono uno spazio di pensieroper rinforzare le potenzialità soggettive dei partecipanti, dove:• si fa emergere e riscoprire la componente emozionale e si permette una sua elaborazione;• si attiva un confronto con la sfera cognitiva <strong>del</strong> gruppo;• si acquisiscono conoscenze specifiche sulla dimensione comunicativa, relazionale e sulledinamiche di gruppo.Per semplificare si può dire che i “gruppi dinamici d'incontro” hanno lo scopo di sostituire ildisagio, la sofferenza e la critica dominata dai processi proiettivi, con la consapevolezza e laconoscenza.La prevenzioneNell'ambito <strong>del</strong>la prevenzione <strong>del</strong> disagio si è integrata l'attività di analisi psicoattitudinale <strong>del</strong>personale neo assunto o trasferito nella nostra Azienda con l'attività nell'ambito <strong>del</strong>la sorveglianzasanitaria (art.16 D.L.626/94) fatta dal medico competente. Questo tipo di attività haimplicato il sottoporre tutto il personale ad una valutazione psicoattitudinale al fine di attivareinserimenti lavorativi adeguati alla caratteristiche di personalità. Un esempio può far capiremeglio il lavoro compiuto: se si ipotizza che un infermiere abbia una capacità di reazione all'eventostressante limitato, inserirlo operativamente in un reparto e/o servizio di emergenzapotrebbe essere particolarmente dannoso al soggetto, all'equipe di lavoro e all'esigenza di salute<strong>del</strong>l'utenza.Le consulenzeCon l'attivazione di uno sportello di consulenze si è inteso, sia apportare un contributo fattivodi analisi e valutazione sull'organizzazione di quei servizi che ne fanno richiesta, sia supportarel'attività <strong>del</strong> medico competente nelle valutazioni legate a dimensioni di stress da lavoro.In particolare la consulenza si è articolata in:• Consulenza sull'organizzazione ai responsabili di servizi con l'intento di analizzare le variabiliche influenzano la vita aggregata dei gruppi di lavoro e per la valutazione <strong>del</strong> climaorganizzativo;• Consulenze psicologiche su richiesta <strong>del</strong> medico competente (art. 13 DL 626/94) e su richiesta<strong>del</strong>l'interessato (art. 4 DL 626/94) con lo scopo primario di valutare il disagio soggetti-102


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 103vo e supportare il parere <strong>del</strong> medico competente nella sua valutazione di idoneità <strong>del</strong> personalesottoposto a visita.Il monitoraggio <strong>del</strong>le strutture e la definizione di una mappa <strong>del</strong> rischio <strong>del</strong> quarto fattore.Nel 2001 l'area di psicologia <strong>del</strong> lavoro si è impegnata a definire un progetto di ricerca permonitorare la realtà complessa <strong>del</strong>l'azienda nella sua totalità e valutare nel tempo la componente<strong>del</strong> disagio e <strong>del</strong>lo stato di salute <strong>del</strong>l'organizzazione. Questo al fine di poter avere un quadrodettagliato <strong>del</strong>la situazione di ogni servizio <strong>del</strong>l'azienda sulla base <strong>del</strong>la valutazione espressa datutte le figure professionali inserite nell'organico <strong>del</strong>la ASL.Per la realizzazione <strong>del</strong>la ricerca l'area di psicologia <strong>del</strong> lavoro sarà impegnata per buona parte<strong>del</strong> tempo lavorativo <strong>del</strong>l'anno 2002.La ricerca non ha solo lo scopo di conoscere la dimensione <strong>del</strong>la “salute organizzativa” <strong>del</strong>lestrutture e fare una mappa statica <strong>del</strong>la situazione <strong>del</strong>l'azienda, ma ha anche lo scopo di individuarequali <strong>del</strong>le variabili sono state le cause principali <strong>del</strong> “diffondersi” <strong>del</strong> disagio nel singoloservizio. Questo livello di consapevolezza ci permette di poter definire una linea d'interventomirata a rimuovere e/o prevenire gli elementi che determino il disagio.Per la realizzazione di quanto detto ci siamo avvalsi di uno strumento di valutazione quantitativa(O.H.Q. Organizational Health Questionnaire) elaborato dal prof.Francesco Avallone edalla dr.ssa Alessia Paplomatas, che abbiamo adattato alle esigenze ed alla realtà <strong>del</strong>le aziendesanitarie, da somministrare nel 2002, in una prima applicazione, ad un campione <strong>del</strong> 33% <strong>del</strong>l'interapopolazione lavorativa <strong>del</strong>la RM/D. Il campione sarà estratto secondo una modalitàcasuale dall'intero organico dei servizi ed interesserà tutte le categorie professionali.In conclusione è opportuno sottolineare che come area di psicologia sociale e <strong>del</strong> lavoro, abbiamocercato di considerare il disagio come elemento intrinseco <strong>del</strong> “sistema azienda”, ed indirizzarequindi l'attività lavorativa verso l'indagine <strong>del</strong>l'organizzazione. Mi sembra opportunoricordare quanto sopra detto, ovvero, che l'individuo non è visto come soggetto passivo <strong>del</strong>sistema azienda, ma come elemento che interagisce con esso, secondo una modalità dinamica ecircolare.Per concludere il mio intervento, vorrei utilizzare la metafora contenuta in un vecchio ma bellibro che mi aiuta a definire i percorsi che possono portare alla conoscenza. Mi riferisco al libro“Lo Zen ed il tiro con l'arco” scritto da Eugen Herrigel. Semplificandolo e parafrasandolo, l'autorepropone un mo<strong>del</strong>lo affascinante per attivare la conoscenza e la consapevolezza. Si puòdire che per “mirare” alla comprensione ed alla conoscenza si deve avere la capacità di farentrare in crisi i punti di riferimento e le certezze precedenti, per essere maggiormente pronti adassorbire i nuovi stimoli, le nuove idee, i nuovi concetti. Si tradisce la relazione causa/effettodovuta alla logica lineare legata ad una cultura positivista, per acquisire una dimensione circolaree globale, cosa che la scuola di psicologia di Palo Alto negli Stati Uniti D'America, con unamodalità culturale assai più occidentale, ha definito ormai da diversi decenni.La disponibilità e l'assenza dei pregiudizi sono l'humus su cui è possibile impiantare il seme<strong>del</strong>la conoscenza, una conoscenza che non è soltanto l'apprendere una sequenza di informazioni,ma l'articolare gli stimoli esterni con il mondo interno <strong>del</strong>le emozioni. Il compito è complessoma bellissimo perché si diviene parte attiva <strong>del</strong>la propria conoscenza e non solo un fruitoredi informazioni. La conoscenza è un'esperienza che va approfondita e goduta dentro di noi,spaziando nel nostro mondo <strong>del</strong>le idee, <strong>del</strong>le fantasie e <strong>del</strong>le associazioni, e fugando il pregiudiziodall'esperienza.103


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 104Quindi l'esperienza, la mancanza di pregiudizi e la disponibilità al nuovo possono essere ilnutrimento <strong>del</strong>la conoscenza e l'ossatura <strong>del</strong>la costruzione <strong>del</strong>le teorie.Ritengo che per avvicinarsi al problema <strong>del</strong> disagio da lavoro ci sia bisogno di molto coraggio,di una forte voglia di conoscere e di sperimentare, e di una grande disponibilità ad accettare“saperi” diversi. Non sono cose astruse o di difficile comprensione, ma sono sicuramente questioniche generano una grande risonanza emozionale nei confronti di chi deve affrontare il problemae creano una forte dissonanza politica nei confronti <strong>del</strong>le direzioni aziendali.Ovviamente questa non è l'unica “visione <strong>del</strong> mondo”, sicuramente è quella che è servita algruppo di lavoro <strong>del</strong>l'azienda USL RM/D per comprendere il fenomeno e ipotizzare una strategia.104


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 105“Mobbing: un fenomeno complessoe un territorio di confine”Dott.ssa Raffaella GIRELLIPsicologa e psicoterapeutaDott. Luciano PASTOREResponsabile Centro Clinico per il mobbing e il disagio lavorativoPREMESSAIl tema che ci apprestiamo a trattare oggi è molto complesso ed attraversa la vita <strong>del</strong> soggetto suvari piani: lavorativo, legislativo, sociale, personale, famigliare.Il nostro punto di vista sul mobbing ne riconosce anzitutto il carattere interdisciplinare qualeoggetto di studio e il carattere multidimensionale riguardo ai diversi livelli <strong>del</strong>le sue manifestazioni.In questo senso abbiamo ritenuto di dare al seminario il titolo "Mobbing: un fenomeno complessoe un territorio di confine".Intendiamo dire che lo spazio in cui trova possibilità di azione il mobbing è un territorio di confine,non solo quale ambito di studi condiviso da più di una disciplina, ma anche quale spazio/confineesplorabile a vari livelli di diversa visibilità/profondità.Possiamo individuare questo spazio/confine in due macro-livelli di visibilità <strong>del</strong>la manifestazione<strong>del</strong> mobbing.A un livello più evidente il confine è fra:• il mobber (colui che esercita il mobbing) e il mobbizzato (colui che lo subisce);• l'organizzazione e l'individuo;• il lecito e l'illecito;• la fatica che ogni lavoro comporta e lo stress con conseguenze psicosomatiche e psicopatologiche;a un livello più profondo e più nascosto, fra:• il gruppo/branco e il singolo;• la vita lavorativa e la vita affettiva;• l'autostima personale e l'habitus sociale;• il senso profondo di identità e le difese relative.Il nostro punto di vista psicologico-clinico sul mobbing indaga specificamente sulla natura diquesto ultimo gruppo di confini nei termini di una loro eventuale flessibilità, rigidità e/o assenza.In proposito, nel Centro Clinico per il Mobbing <strong>del</strong>la ASL RME stiamo verificando se essipossano essere considerati parametri validi per ipotizzare una configurazione di personalità piùo meno in grado di fronteggiare il mobbing; ciò non pensando, perlomeno per il momento, aconfigurazioni di personalità più o meno predisposte al mobbing, perché partiamo dall'assunto(che in realtà è un dato empirico) che l'azione di mobbing esiste al di là <strong>del</strong>le eventuali collu-105


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 106sioni da parte <strong>del</strong> mobbizzato.Oltre alla nostra peculiare formazione, tutto questo ci richiede una preparazione sugli aspetti relativiall'organizzazione <strong>del</strong> lavoro e sugli aspetti legali e medico-legali, sia per inquadrare inmodo integrato il fenomeno sia per svolgere un'adeguata analisi <strong>del</strong>la domanda ancor prima dipensare alla nostra specifica prestazione psicologico-clinica.Molto spesso la domanda <strong>del</strong> “mobbizzato” è intrisa di tali aspetti: per esempio l'utente potrebbeavere una causa legale in corso o la sua organizzazione potrebbe aver subito un processo diristrutturazione, a partire dal quale sono sorti i problemi <strong>del</strong>l'utente. Dunque dobbiamo essere ingrado di incontrare anche su questo piano la persona che si presenta per un problema di mobbing.Alla luce di queste considerazioni, abbiamo preparato il programma di oggi, fermo restando cheogni vostro suggerimento o richiesta sarà ben accolto.In primo luogo, dopo un breve excursus sull'etimologia <strong>del</strong> vocabolo e la terminologia connessa,vorremmo illustrarvi alcuni tentativi che sono stati fatti per definire il mobbing nei varicampi di studio. A titolo esemplificativo, quindi, ci soffermeremo su alcune peculiarità <strong>del</strong> mobbingin Italia e, per i motivi appena esposti, vi forniremo <strong>del</strong>le coordinate di orientamento sugliaspetti legislativi <strong>del</strong> mobbing. A questo punto, sperando di avervi dato un quadro (ancorchégenerale) <strong>del</strong> mobbing, vi descriveremo l'attività <strong>del</strong> Centro Clinico per il Mobbing <strong>del</strong>la ASLRME, di cui il dott. L. Pastore è responsabile.L'ETIMOLOGIA DEL VOCABOLO MOBBING E LA TERMINOLOGIA CONNESSAIl vocabolo mobbing deriva dal latino mobile vulgus che significa il movimento <strong>del</strong>la gentaglia.In effetti, esso contiene la radice <strong>del</strong> verbo inglese to mob, che significa prendere d'assalto collettivamente,assalire con violenza, e il suffisso ing che esprime l'azione in svolgimento, il movimento,così come il sostantivo inglese mob è appunto la folla tumultuante, la gentaglia. Abbiamogià citato due termini derivati e il loro significato, uno inglese, mobber, e l'altro italiano,coniato da Ege (1996), mobbizzato. Un'altra espressione connessa al mobbing è side mobber,riferita a coloro che, pur non essendone direttamente responsabili, assistono al mobbing senzaintervenire (per esempio dei colleghi <strong>del</strong>la vittima).Quindi il vocabolo ha una sua efficacia comunicativa nell'esprimere lo stato di isolamento in cuisi trova la vittima <strong>del</strong> mobbing, il che spiega la sua larga diffusione nel Centro e nel Nord Europa.Inizialmente il suo contesto significante era l'ambito etologico. Lorenz (1963) indicava con taletermine il comportamento di aggressione <strong>del</strong> branco nei confronti <strong>del</strong>l'esemplare isolato.Nell'ambito <strong>del</strong>la psicologia <strong>del</strong> lavoro, il primo studioso che si occupa in modo sistematico <strong>del</strong>fenomeno è il tedesco Leymann, negli anni '80, la cui definizione di mobbing sarà presentata trabreve.Il vocabolario <strong>del</strong>la psicologia <strong>del</strong> lavoro contiene altri termini riferibili a situazioni specifiche,che possono rappresentare solo una <strong>del</strong>le casistiche <strong>del</strong> mobbing:• bullying, che significa fare il prepotente, tiranneggiare, in riferimento al tipo di mobbing <strong>del</strong>superiore verso il sottoposto;• bossing, che significa spadroneggiare, in riferimento all'atteggiamento non solo di un superiorema <strong>del</strong>la stessa azienda nei confronti di dipendenti scomodi;• harassment, che significa vessazione, molestia, in riferimento al contesto specifico <strong>del</strong>lemolestie sessuali;• employee abuse, espressione che indica l'abuso di potere o comportamento nei confronti <strong>del</strong>l'impiegato.106


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 107I TENTATIVI DI DEFINIZIONE NEI VARI CAMPI DI STUDIOIn base a quanto premesso sulla complessità <strong>del</strong> mobbing, è difficile fornire una definizionecompletamente soddisfacente <strong>del</strong> fenomeno. Tuttavia, può essere utile esaminare alcune definizioniprodotte nell'ambito di diverse discipline per enucleare da esse quegli elementi definitoricostanti che ci possono aiutare a caratterizzare meglio il mobbing e a riflettere sulle possibilistrategie preventive.In ambito psicologico, presentiamo quelle di Leymann, di Ege dei primi anni '90 e quella presentataalla fine <strong>degli</strong> anni '90 ad una conferenza dall'équipe <strong>del</strong>la Clinica <strong>del</strong> Lavoro di Milano(che, insieme a quello <strong>del</strong>la ASL RM E, rappresenta attualmente in Italia l'unica realtà sanitariapubblica ad occuparsi <strong>del</strong> fenomeno). In ambito giuridico, presentiamo quella proposta da MarioMeucci (1999), essendo stata una <strong>del</strong>le prime ad essere pubblicate.• Definizione di Leymann (a) 1 : [Il] Terrorismo psicologico o mobbing nella vita lavorativaimplica una [forma di] comunicazione ostile e priva di etica che è diretta in maniera sistematicada uno o più individui, eminentemente nei confronti di uno solo, che, a causa <strong>del</strong>mobbing, è spinto in una posizione indifesa e priva di aiuto, e lì mantenuto per mezzo diazioni mobbizzanti continuative. Tali azioni si verificano con un andamento temporale moltofrequente (in termini statistici: almeno una volta alla settimana) e per un lungo periodo ditempo (in termini statistici: durata di almeno 6 mesi). A causa <strong>del</strong>l'alta frequenza e <strong>del</strong>lalunga durata <strong>del</strong> comportamento ostile, questo maltrattamento determina sofferenze [nellavittima] mentali, psicosomatiche e sociali di considerevole entità.• Definizione di Ege (1996, p. 6): un'azione o una serie di azioni che si ripete per un lungoperiodo di tempo, compiuta da uno o più mobber nei confronti <strong>del</strong> mobbizzato, quasi semprecon uno scopo preciso e in maniera sistematica, tale da costituire <strong>del</strong>le strategie comportamentalimirate alla distruzione psicologica, sociale e professionale di quest'ultimo.Tutto questo va a costituire un processo relazionale sempre più caratterizzato da strategienegative.• Definizione <strong>del</strong>la Clinica <strong>del</strong> Lavoro di Milano (cit. in V. Matto 1999, p. 491): particolariforme di degenerazione dei rapporti interpersonali in ambiente lavorativo, consistenti inaggressioni sistematiche verso un soggetto, attuate dal datore di lavoro, da superiori o da colleghi,cui consegue un progressivo disadattamento lavorativo <strong>del</strong> soggetto medesimo, finoall'instaurarsi di un circolo vizioso in base al quale il mobbizzato si sente effettivamenteresponsabile <strong>del</strong>la situazione in cui si trova e sviluppa sintomatologie ansioso-depressive eaffezioni <strong>del</strong> sistema nervoso.• Definizione di Mario Meucci (1999, p. 1953): aggressione sistematica posta in essere daldatore di lavoro o da un suo preposto o superiore gerarchico o anche da colleghi/compagnidi lavoro, con chiari intenti discriminatori e persecutori, tesi all'emarginazione progressivadi un determinato lavoratore o a provocare le sue dimissioni a causa <strong>del</strong>l'insostenibilità psicologica<strong>del</strong>la situazione stressante.Possiamo ora enucleare gli elementi comuni alle varie definizioni di mobbing appena considerate:• sistematicità e durata nel tempo <strong>del</strong>l'azione di mobbing;• degenerazione <strong>del</strong> rapporto interpersonale crescente e circolare;• tipicità <strong>del</strong> flusso comunicativo: UNO a UNO (con side mobber) o MOLTI a UNO;1)La traduzione dal sito in inglese, citato in bibliografia, è <strong>degli</strong> autori107


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 108• conseguenze dannose rilevabili sul piano psicofisico.Ciò apre <strong>del</strong>le prospettive interessanti sul piano <strong>del</strong>la prevenzione <strong>del</strong> fenomeno e sulle metodologiedi intervento nel caso di situazioni già in atto. Come spiegheremo meglio parlando diquanto offre il Servizio <strong>del</strong>la ASL RME e <strong>degli</strong> strumenti di cui ci serviamo per indagare il fenomeno,infatti, a nostro avviso è di fondamentale importanza la capacità da parte <strong>del</strong> soggettopotenzialmente mobbizzato sia di relazionarsi in gruppo, proprio per la tipicità <strong>del</strong> flusso comunicativoattraverso cui si esplica il mobbing, sia di mantenere un senso di identità in cui riconoscersia prescindere da quello professionale. Molte <strong>del</strong>le nostre psicoterapie brevi vertono suquesti due filoni tematici.LE PECULIARITÀ DEL MOBBING ITALIANO SECONDO EGEEge (1997) ha introdotto il concetto di mobbing culturale. In sostanza, egli sostiene che il mobbingsi manifesta e assume forme specifiche in ogni cultura.Schematizzando, le peculiarità <strong>del</strong> mobbing italiano sono di seguito presentate:• Sinergia <strong>del</strong>l'azione mobbizzante nei confronti <strong>del</strong>la vittima da parte <strong>del</strong>l'organizzazione investe ufficiale e <strong>del</strong>l'obiettivo ultimo <strong>del</strong>l'organizzazione in veste ufficiosa, che è illegale.Per esempio, è il caso di un'organizzazione mafiosa che necessita di una copertura attraversoil silenzio <strong>del</strong>la vittima. In questa situazione, la persona mobbizzata è trattenuta nell'organizzazionecol terrorismo psicologico, e non allontanata; dunque, sarebbe improprio parlaredi bossing. Queste organizzazioni dalla “doppia vita” hanno due proprietà distintive:scarso rendimento economico (l'obiettivo è la copertura di altri traffici, non la produttività)e un pessimo clima di lavoro.• Ricorso a mezzi/strumenti per esercitare l'azione mobbizzante; per esempio fumare in presenza<strong>del</strong>la vittima, alzare il volume <strong>del</strong>lo stereo in modo da danneggiarne la resa sul lavoro,regolare l'impianto di aria condizionata in modo tale da creare un clima insostenibilenella stanza <strong>del</strong>la vittima. Un'altra modalità utilizzata per esercitare indirettamente le vessazioniè quella di sabotare gli strumenti o i materiali di lavoro <strong>del</strong> mobbizzato. Quest'ultimaforma di mobbing indiretto non è comunque esclusivamente italiana. In generale, il mobbingindiretto è attuato dal mobber per auto-tutelarsi ed evitare eventuali testimoni (in tal modoegli si espone di meno).CENNI SULLA NORMATIVA ITALIANA GENERALE E SULLA NORMATIVA SPECIFICAGli interrogativi che si pone attualmente la dottrina italiana a proposito <strong>del</strong> fenomeno mobbingsono essenzialmente due, l'uno conseguente all'altro:1. il nostro ordinamento è sufficientemente provvisto di norme a tutela <strong>del</strong> lavoratore sottopostoa vessazione o necessita di strumenti specifici?2. laddove si riconosca la necessità di creare apposite norme, come accertare la correlazionefra il danno psicofisico <strong>del</strong>la vittima e una fattispecie identificabile come mobbing rispettoalla quale poter applicare l'eventuale normativa?Riguardo al primo quesito, occorre prima di tutto rilevare che non esiste nel nostro ordinamentouna fattispecie identificata come mobbing. Tuttavia, è importante sottolineare che la tutela <strong>del</strong>ladignità <strong>del</strong>la persona trova fondamento già nella nostra Carta Costituzionale: per esempio, l'art.3 fissa il principio di uguaglianza, l'art. 4 è dedicato al diritto al lavoro e alla promozione <strong>del</strong>lecondizioni per la sua effettiva realizzazione, l'art. 13 sancisce l'inviolabilità <strong>del</strong>la libertà personale,così come agli art. 2 e 32 pongono rispettivamente l'accento sui diritti fondamentali <strong>del</strong>l'uomo(quale individuo e quale essere sociale) e sul diritto alla salute individuale e collettiva.108


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 109Inoltre, lo Statuto dei Lavoratori prevede una serie di garanzie che, pur non sanzionando inmodo specifico le condotte mobbizzanti, ne inibiscono l'attuazione. Inoltre, occorre non dimenticarela legge 626/94 sulla sicurezza <strong>del</strong>l'ambiente di lavoro, la legge 125/91 sulle azioni positiveper le pari opportunità, nonché le convenzioni internazionali a tutela dei diritti dei lavoratori.Ai fini <strong>del</strong> nostro discorso, risultano rilevanti anche alcuni articoli <strong>del</strong> codice civile:• l'art. 2087, che impone al datore di lavoro di assicurare la tutela non solo <strong>del</strong>l'integrità fisicama anche <strong>del</strong>la sfera morale <strong>del</strong> lavoratore;• l'art. 2103, che prevede un risarcimento alla vittima per l'assegnazione di mansioni dequalificantio per un trasferimento imposto che non abbia valide ragioni sul piano tecnico, organizzativoo produttivo;• l'art. 2043, che sancisce la responsabilità per fatto illecito;Sul piano penale vengono in considerazione ipotesi di reato previste dal codice penale quali lelesioni personali colpose, l'abuso di ufficio, l'ingiuria, la diffamazione, la violenza privata, comepure le molestie sessuali di cui alla legge n. 66/1996. Queste, peraltro, sono tutte fattispeciesuscettibili di essere aggravate dall'essere state commesse con abuso di autorità ex art. 61 n. 11c.p.Definito per quanto sommariamente il quadro normativo attuale, per motivi di completezza, viinformiamo che nel corso <strong>del</strong>la legislatura appena conclusa (XIII), sono state presentate diverseproposte di legge recanti una disciplina specifica sul mobbing sia alla Camera che al Senato(per esempio il n. 4265 <strong>del</strong> senatore Tapparo, o quello <strong>del</strong> senatore De Luca n. 4313, entrambi<strong>del</strong> 1999). Risultano particolarmente interessanti le previsioni contenute in queste propostecirca:• l'obbligo di interventi informativo/preventivi periodici all'interno <strong>del</strong>le organizzazioni sullatutela <strong>del</strong> lavoratore;• le specifiche misure repressive;• l'accertamento clinico <strong>del</strong>le patologie da mobbing.Va tenuto conto che la giurisprudenza si è riferita espressamente al mobbing per la prima voltacon sentenze <strong>del</strong> Tribunale di Torino solo nel 1999, mentre è addirittura <strong>del</strong>l'anno 2000 la primasentenza nella quale, peraltro marginalmente, la Corte di Cassazione prende atto <strong>del</strong> fenomeno.Il dibattito dottrinario è dunque acceso, seppure da poco aperto, anche sugli aspetti problematicicontenuti nel secondo quesito. A tal proposito, Umberto Oliva (2000), uno dei principali studiosi<strong>del</strong>la materia, pur apprezzando il fatto che i politici abbiano mostrato attenzione al problema,sostiene che non è strettamente necessaria una legislazione specifica per il mobbing, poichéla normativa attualmente vigente già assicurerebbe adeguata tutela. Eventualmente, data lanatura polivalente <strong>del</strong> fenomeno, potrebbe risultare utile una disciplina a “maglie larghe”, taleda consentire ai giudici di dare tutela alle ipotesi concrete più diverse sottoposte al loro giudizio.IL CENTRO CLINICO DEL MOBBING DELLA ASL RM EIl Centro Clinico per il Mobbing e il Disagio Lavorativo <strong>del</strong>la ASL RM E è attivo da circa settemesi e rappresenta l'unica significativa esperienza laziale nel campo <strong>del</strong> mobbing. Di fatto rappresentaanche la prima esperienza sviluppatasi all'interno di una Azienda Sanitaria Locale intutto il SSN.Considerata l'assenza di adeguate conoscenze a riguardo <strong>del</strong> fenomeno <strong>del</strong> mobbing (intorno alquale il dibattito scientifico ancor oggi sta movendo i primi passi), il trascorso periodo ha visto109


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 110gli operatori <strong>del</strong> Centro impegnati da un lato a rispondere alle numerosissime richieste <strong>del</strong>l'utenza,dall'altro a strutturare una appropriata metodologia di intervento.Attualmente, l'accesso al Servizio prevede una fase di accoglienza, durante la quale viene raccolta(spesso attraverso un colloquio telefonico) la richiesta <strong>del</strong>l'utente e alcune informazioni dicarattere per lo più generale; inoltre, viene fornito un primo elementare contenimento <strong>del</strong>le emozionie un primo orientamento rispetto alla situazione rappresentata.Dall'analisi <strong>del</strong>la richiesta vengono valutate l'opportunità e le modalità <strong>del</strong>l'eventuale presa incarico <strong>del</strong>l'utente, che si verifica attraverso uno o più dei seguenti mo<strong>del</strong>li di intervento:• un colloquio singolo di valutazione psicologico-clinica o psichiatrica di approfondimento;• una consultazione psicologico-clinica o psichiatrica <strong>del</strong>la durata di 6 colloqui, eventualmenteripetibili, nel corso dei quali viene fornito un sostegno;• una psicoterapia breve <strong>del</strong>la durata di 8 colloqui, ripetibili fino a tre volte;• una consultazione psicosomatica, specificamente finalizzata a questa area di disagio, <strong>del</strong>ladurata di 5 colloqui, più uno di verifica differito nel tempo;• una consultazione denominata “Consultazione per sospetto stress occupazionale”, specificamenterivolta a quegli utenti che chiedono di certificare la situazione legata al disagio lavorativo/sospettomobbing. A seguito di tale consultazione, viene rilasciata all'utente una certificazioneche è orientata essenzialmente alla valutazione <strong>del</strong>la presenza di uno stato di disagionell'utente e alla osservazione <strong>del</strong>la relazione fra tale disagio e situazione lavorativa.Nella maggior parte dei casi, la motivazione iniziale che spinge gli utenti a richiedere l'intervento<strong>del</strong> Servizio è quella di ricevere la certificazione. Purtroppo, nonostante gli operatori forniscanoinformazioni molto chiare sulla valenza <strong>del</strong>la certificazione ai fini di una causa legale,l'aspettativa di chi la richiede non di rado è quella di ricevere “la prova <strong>del</strong> mobbing subito”.Spesso vi è la convinzione che la certificazione possa essere il mezzo attraverso il quale rivalersie ottenere giustizia <strong>del</strong>le violenze di cui ci si sente vittima. Essa, invece, costituisce solouno <strong>degli</strong> elementi di cui il magistrato potrà avvalersi per accertare l'esistenza <strong>del</strong> fenomeno.Per questo, perlomeno per ciò che concerne l'ottica sanitaria, le richieste di certificazionerischiano di spostare il problema e, comunque, di ostacolarne di fatto la gestione dal punto divista <strong>del</strong>la salvaguardia <strong>del</strong>la salute <strong>degli</strong> utenti. Infatti, il numero elevato <strong>del</strong>le richieste (che,peraltro, come si è detto esprimono la motivazione iniziale che avvicina l'utente al servizio) finisceper assorbire una notevole quantità di impegno <strong>degli</strong> operatori, riducendo la possibilità digestire il momento <strong>del</strong>la “Consultazione per sospetto stress occupazionale” nell'ambito di unprogetto di intervento più generale e più ponderato sugli aspetti relativi alla salute psicofisica<strong>del</strong>l'utente.Da un punto di vista procedurale, la “Consultazione per sospetto stress occupazionale” prevede:un colloquio con uno psicologo, finalizzato a raccogliere l'anamnesi lavorativa <strong>del</strong>l'utente; uncolloquio con uno psichiatra, finalizzato ad una prima valutazione <strong>del</strong>lo stato psicofisico <strong>del</strong>l'utente;un colloquio con un secondo psicologo e la somministrazione di una batteria di test finalizzataalla valutazione psicodiagnostica <strong>del</strong>l'utente; un ultimo colloquio con il medesimo psichiatra<strong>del</strong> primo colloquio psichiatrico, finalizzato al completamento <strong>del</strong>la valutazione <strong>del</strong>lostato psicofisico <strong>del</strong>l'utente e, secondo i casi, a un primo momento di “restituzione”.Sul piano teorico, attraverso la certificazione l'utente dovrebbe intraprendere un percorso di relazionecon gli operatori <strong>del</strong> Servizio e la certificazione dovrebbe rappresentare il punto di partenzaper una diversa gestione pratica ed emozionale <strong>del</strong>la situazione di difficoltà in cui la personasi trova. Purtroppo, in ragione dei limiti legati alla sproporzione tra richieste ed organico<strong>del</strong>l'equipe, ciò avviene solo raramente in modo pieno ed adeguato.110


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 111Seppure nei limiti che lo caratterizzano, il nostro Centro è proteso a contribuire allo studio <strong>del</strong>fenomeno <strong>del</strong> mobbing, anche attraverso una serie di ricerche volte ad approfondire le conoscenzeriguardo alla fenomenologia e finalizzate a perfezionare una adeguata metodologia d'intervento.Naturalmente, considerata la nostra formazione e le nostre radici culturali, come si èdetto in apertura, il nostro percorso non può che muoversi sul piano psicologico-clinico, purintegrandosi con i numerosi piani di lettura che è necessario considerare nell'accostarsi a unfenomeno complesso come quello <strong>del</strong> mobbing.Bibliografia essenzialeEGE H. (1996). Mobbing. Che cos'è il terrore psicologico sul posto di lavoro. Pitagora Editrice, Bologna.EGE H. (1997). Il mobbing in Italia: introduzione al mobbing culturale. Pitagora Editrice, Bologna.LEYMANN H. (a). The Mobbing Encyclopaedia. Indirizzo web: http://www.leymann.se.LORENZ K. (1963). Tr. it. L'aggressività. Il Saggiatore, Milano 1976.MATTO V. (1999). Il mobbing fra danno alla persona e lesione <strong>del</strong> patrimonio professionale. Diritto <strong>del</strong>lerelazioni industriali, n. 4, pp. 491-497.MEUCCI M. (1999). Considerazioni sul “mobbing” (ed analisi <strong>del</strong> disegno di legge n. 4265 <strong>del</strong> 13 ottobre1999). Lavoro e previdenza oggi, n. 11, pp. 1953-1961.111


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 112L'Unità di <strong>Psicologi</strong>a:motivazioni e progettiDott. Vito MIRIZIOResponsabile Unità Operativa Trattamento <strong>Psicologi</strong>co Giovani Adulti ASL Roma AINTRODUZIONETrovarci nuovamente a discutere qui nel <strong>Lazio</strong> <strong>del</strong>l'opportunità di promuovere nel SSN struttureautonome di <strong>Psicologi</strong>a può ingenerare un senso di frustrazione perché esse sono una realtàconsolidata in diverse parti d'Italia. Questo sentire può essere mitigato parzialmente dalla constatazioneche la nostra Regione è quella che ha il maggior numero di <strong>Psicologi</strong> iscritti all'Albo.Ha pertanto un valore cruciale, all'interno <strong>del</strong> cammino di crescita <strong>del</strong>la nostra professione,riproporre ad una così vasta comunità professionale i motivi su cui è fondata, a mio parere, l'ineluttabilitàdi questa scelta.Possiamo partire da alcuni dati di contesto.Ci troviamo in presenza di tentativi di ridefinire radicalmente il cosiddetto "welfare state" secondouna sequenza che sinteticamente possiamo ricostruire in questo modo:1. Presa d'atto <strong>del</strong>la crescita esponenziale <strong>del</strong>la spesa sanitaria.2. Messa in opera di sistemi di contenimento <strong>del</strong>la spesa fondati sulla razionalità <strong>del</strong>l'organizzazione:aziendalizzazione, budgettizzazione, LEA, federalismo e/o devolution.3. Ingresso di servizi privati nell'assistenza attraverso il principio <strong>del</strong>la sussidiarietà.4. Valorizzazione di mo<strong>del</strong>li di intervento sanitario altamente tecnologici ai quali viene attribuitala speranza di sconfiggere definitivamente le malattie e contemporaneamente ridurrei costi .Nonostante alcune di queste soluzioni siano in vigore da anni, ci troviamo ancora in presenzadi un problema “spesa” non risolto ma soltanto trasferito, dal bilancio statale a quello regionale.Ciò produce il ricorso a strumenti ancora più drastici di riduzione <strong>del</strong>la spesa, come il tagliodei trasferimenti di fondi, l'imposizione di nuove tasse locali, il progressivo definanziamento dialcune attività assistenziali.Contestualmente in quei Servizi in cui le risorse sono rappresentate fondamentalmente dai professionisti<strong>del</strong>le relazioni d'aiuto, DSM, DMI, Sert, vengono proposte soluzioni organizzativeche spostano il baricentro dalla “centralità territoriale” 1) verso una valorizzazione <strong>del</strong>l'ospedalee <strong>del</strong>le soluzioni residenziali.Inoltre ci si può attendere un tendenziale decadimento <strong>del</strong>la loro qualità, perché ad essi non ven-1)Il termine "centralità territoriale" esprime "il dato scientifico che più i servizi si organizzano per accogliere unadomanda diversificata di salute e più sono in grado di dare risposte efficaci anche alla patologia più grave" (cfr. Lineeguida regionali sul regolamento DSM).112


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 113gono più destinati investimenti, basti solo come esempio il blocco <strong>del</strong> turn over.Se questa è, come io credo, una rappresentazione adeguata <strong>del</strong>la realtà, certo molto sintetica eassiomatica non avendo qui spazio sufficiente per approfondire questi temi di politica sanitaria,ne conseguono alcuni rischi per la nostra professione ma anche nuove opportunità. Fra i rischic'è da annoverare la possibilità di una la progressiva “sparizione” <strong>degli</strong> psicologi dal SSN (2) . Leopportunità invece nascono dagli spazi che si creano in tutti i momenti di transizione ed in particolareproprio lì dove gli psicologi non ci sono mai stati, come per esempio a livello <strong>del</strong>Distretto.Ritengo che la proposta di servizi autonomi di psicologia sia una maniera per difenderci dairischi e per cogliere le opportunità, convinto che la presenza <strong>degli</strong> psicologi e <strong>del</strong>la psicologiasia indispensabile per una efficace tutela <strong>del</strong>la salute <strong>del</strong>la popolazione.Prima di esporre il nucleo <strong>del</strong>la proposta mi sembra utile ritornare su alcuni aspetti costitutivi<strong>del</strong>la nostra professione.IL MODELLO PSICOLOGICO.A mio avviso è necessario riflettere su un aspetto fondamentale <strong>del</strong>la rappresentazione di sécome professionista: la consapevolezza di possedere un mo<strong>del</strong>lo clinico. Per “mo<strong>del</strong>lo” intendola sintesi di sapere e sapere fare, una procedura condivisa e replicabile relativa al “perché” ed al“cosa fare” e per “clinico” la situazione che si viene a creare in presenza di una domanda diintervento specifico e diretto da parte <strong>del</strong>l'utenza. In questo senso non esiste un mo<strong>del</strong>lo clinicodei biologi o dei chimici, anche se ad essi corrispondono dirigenti nell'ambito <strong>del</strong> SSN.Il dibattito su questo tema nella nostra comunità scientifica si è sviluppato man mano che crescevala nostra professione ed esistono in letteratura diversi contributi (cfr. Rivista di <strong>Psicologi</strong>aClinica 1/92, 3/93; Ardizzone 1989).Il nostro mo<strong>del</strong>lo clinico deriva dal patrimonio scientifico e tecnico <strong>del</strong>la psicologia e si componedi un corpus di teorie di riferimento e di una conseguente teoria <strong>del</strong>la tecnica di intervento.Se può apparire superfluo citare le prime, è opportuno indicare che alla teoria <strong>del</strong>la tecnicaappartengono, tra l'altro, le procedure di analisi <strong>del</strong>la domanda o <strong>del</strong> primo contatto con un servizio,la psicoterapia, l'analisi <strong>del</strong>le organizzazioni necessaria per una managerialità competente,la concezione <strong>del</strong> processo formativo inteso come trasformazione.La competenza <strong>del</strong>la professionalità psicologica è in grado di restituire senso a qualsiasi richiestaattraverso l'analisi <strong>del</strong>l'intimo rapporto esistente fra tipo di domanda e situazione nel contestonel quale si manifesta. Ciò tutela e promuove la competenza sociale di chi si rivolge allo psicologoe perciò impedisce la cronicizzazione <strong>del</strong>le relazioni cliniche e la passivizzazione <strong>del</strong>richiedente.Da queste considerazioni si ricava un'ulteriore conseguenza: il mo<strong>del</strong>lo psicologico - clinico puòrispondere in maniera originale a quella parte <strong>del</strong>la “mission” dei servizi sanitari che di solito èin secondo piano. Mi riferisco alla tutela <strong>del</strong>la salute, mentre di solito è più in evidenza l'insieme<strong>degli</strong> interventi diretti alla restituzione, cioè alla cura.Il cittadino esprime infatti un bisogno di cura a valenza multipla perché il linguaggio <strong>del</strong>lamalattia viene spesso usato per parlare di problemi che riguardano difficoltà emotive e relazionali.Per occuparsi di questo livello occorre possedere un mo<strong>del</strong>lo clinico in grado di inserire ilmicroevento, la domanda di intervento p.e., nella storia <strong>del</strong> rapporto individuo - contesto (3) e di2)Non si fanno concorsi per assumere psicologi ormai da anni e l'età media dei colleghi in servizio naturalmente ognianno si avvicina di più a quella <strong>del</strong>la pensione.3)Non basta cioè la "storia <strong>del</strong>la malattia"113


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 114prospettare una modalità di intervento.Ma anche la cura, dal vertice <strong>del</strong>la competenza psicologica, assume peculiarità che consentonoefficacia ed un ampio ventaglio di possibilità di trattamenti. Il principio teorico-clinico <strong>del</strong>lamente che si sviluppa in funzione <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong> contesto relazionale, principio che è presentecome “common ground” nelle principali teorie psicologiche da cui derivano le tecniche psicoterapeutiche,fonda gli interventi terapeutici <strong>degli</strong> psicologi, le loro caratteristiche strutturali(tempo, luogo, regole deontologiche), le modalità (nessun cambiamento avviene se non all'internoe grazie ad una relazione significativa).Si viene così a <strong>del</strong>ineare una funzione indispensabile per la tutela <strong>del</strong>la salute <strong>del</strong>la popolazione,intendendo per salute il mantenimento di una adattativa competenza sociale (Carli 1996). Siindividua in questa funzione il fondamento <strong>del</strong> mandato sociale per la psicologia e di una ulteriorelegittimazione (4) <strong>del</strong>la professione di psicologo.Nella Sanità è naturalmente presente un altro mo<strong>del</strong>lo clinico, quello medico, più antico e radicato.Nell'epoca attuale esso è sempre più conformato al mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>le scienze naturali ed allesue procedure di verifica <strong>del</strong>le conoscenze. Inevitabilmente quindi prendono sempre più spaziola Tecnica e le sue leggi, con il parcellizzarsi <strong>del</strong>le specializzazioni e l'allontanamento dallavisione olistica <strong>del</strong>l'uomo e dei suoi problemi. L'organizzazione sanitaria che ne consegue rispecchiail mo<strong>del</strong>lo in questo modo: massima enfasi sulla “restituzio ad integrum”; lettura in termini di malattia e cura di ogni contatto con i servizi.Naturalmente le scienze mediche, pur deterministe e riduzioniste, sono efficaci ad un livello <strong>del</strong>l'intervento.Dobbiamo anche ad esse infatti il costante miglioramento <strong>del</strong>le condizioni di vita el'allungamento <strong>del</strong>la età media. Ma esse manifestano i propri limiti quando ritengano di esserele uniche in grado di rispondere al bisogno di salute di una popolazione.In sintesi possiamo dire che nei nostri servizi complessi il mo<strong>del</strong>lo psicologico clinico non puònon essere presente: perché non esiste una soluzione di continuo lungo la linea ideale su cui giacciono i comunidisturbi emotivi e la psicopatologia. Perché se è importante poter riconoscere la presenza di una sindrome organica che producesintomi psichici, lo è altrettanto poter considerare che comuni manifestazioni emotivenon sono necessariamente indizio di malattia. Perché prevenire significa soprattutto dare risposte opportune e competenti quanto piùprecocemente possibile, e questo non può farlo un servizio che si occupi solo dei “casiconclamati”. Sappiamo infatti che nel nostro settore il momento <strong>del</strong> primo contatto per icasi più gravi arriva quando già la patologia si è imposta come “migliore soluzione possibile”(cfr. Pao 1985). Perché un servizio complesso non può fare a meno di una professionalità che possiedaconoscenze specifiche sulle dinamiche organizzative e dei processi formativi.L'ASSETTO ORGANIZZATIVOSe è vero quanto appena detto allora si pone il problema che l'assetto organizzativo <strong>del</strong>le AziendeSanitarie dovrebbe rispecchiare quelle affermazioni. Vediamo perché e come.(4)La professione di psicologo possiede i requisiti minimi essenziali di legittimità: un iter formativo autonomo, ordinarioe specialistico; una legge ordinistica; una domanda specifica di intervento da parte <strong>del</strong> contesto sociale e istituzionale.114


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 115PerchéIn ogni sistema produttivo esiste una coerenza, a volte esplicita ma spesso implicita, fra i principigenerali che lo fondano e la sua organizzazione interna. Per una struttura sanitaria potremmodire fra mo<strong>del</strong>lo clinico e mo<strong>del</strong>lo organizzativo. Quest'ultimo comprende anche la definizionedei compiti <strong>del</strong> livello manageriale, di quelli <strong>del</strong> livello operativo e <strong>del</strong>le loro relazioni.Quindi, coerentemente con quanto detto relativamente alla questione <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo psicologico, ilmo<strong>del</strong>lo organizzativo di un DSM o di un DMI, così come oggi è organizzato, dovrebbe prevedere,e rendere concretamente possibile, l'accesso alla responsabilità <strong>del</strong>le strutture tanto ad unopsichiatra o neuropsichiatria quanto ad uno psicologo. Di fatto ciò accade solo per le strutturepiù in basso nella scala dei valori <strong>del</strong> “potere gestionale”, un Centro Diurno, a volte un Ambulatorio,ma soprattutto in maniera casuale e sporadica.Ma perché è così importante poter dirigere? Essenzialmente perché significa poter trasformarel'organizzazione in cui si lavora, sulla base <strong>del</strong>la verifica <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo utilizzato. Ma se un gruppodi dirigenti non può cimentarsi in tale verifica si ottiene un blocco <strong>del</strong> naturale ciclo di stabilitàe cambiamenti che appartiene a tutte le organizzazioni umane, si atrofizza quella modificabilitàche garantisce di mantenere un contatto con i bisogni espressi e di adeguare a questi lerisposte. Tale impermeabilità in un DSM per esempio può comportare una omologazione allacomponente sanitaria più forte storicamente ed economicamente, secondo l'equazione ServiziSanitari = Ospedale + Riabilitazione e Assistenza. Sappiamo come per i Servizi Psichiatrici ciòconduca inevitabilmente alla neo-manicomialità, o alla “manicomializzazione territoriale”.Ma è un pericolo presente in tutti quei servizi simili al DSM, come si diceva prima: si pensi allariduzione <strong>del</strong> lavoro dei Sert alla mera distribuzione di metadone, ai tentativi di profonda modificazionedei Consultori Familiari.Per impedire questa deriva a mio avviso esistono possibilità, nella legislazione esistente, di sperimentareassetti in grado di prefigurare soluzioni per cambiamenti futuri.ComeLa <strong>Psicologi</strong>a è attualmente indicata fra le discipline sanitarie a cui fanno capo una parte dei dirigenti<strong>del</strong> SSN, al pari di quelle previste per altre professioni. Ad essa perciò viene fatto riferimentonei nostri contratti di lavoro individuali.Negli organigrammi <strong>del</strong>le Aziende Sanitarie <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong> sono previste Unità Operative, ai diversigradi di complessità, nella maniera seguente: Strutture espressione di una disciplina sanitaria: p.e. reparti ospedalieri o ambulatori territoriali<strong>del</strong>le diverse branche <strong>del</strong>la medicina; Strutture per le quali viene indicato come responsabile un dirigente sanitario senza chevenga specificata la disciplina di appartenenza: per esempio Direttore di Distretto, Direttore<strong>del</strong> DSM o <strong>del</strong> DMI o Responsabile di una loro articolazione.Se non sporadicamente e nonostante una <strong>del</strong>ibera regionale lo preveda esplicitamente, non sonopresenti Unità Operative di <strong>Psicologi</strong>a. Ci troviamo perciò di fronte ad un vuoto istituzionalea valenza multipla:1. dalla parte <strong>degli</strong> operatori• perché non viene riconosciuto quel “diritto” a dirigere di cui si parlava prima;• perché manca un livello di coordinamento <strong>del</strong>la professione, necessario per la sua crescita(formazione, didattica, ricerca, collegamento con le altre discipline).2. dalla parte <strong>del</strong>l'utenza perché non è immediatamente “fruibile” una risposta specialistica.Essa infatti è ottenibile solo all'interno di servizi organizzati per patologie, contrariamentea quanto accade per altre discipline.115


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 1163. dalla parte <strong>del</strong>l'Azienda perché si priva <strong>del</strong> contributo diretto <strong>del</strong>la professionalità psicologica,nel livello manageriale più alto.Vista la difficile applicabilità di direttive regionali, considerate le resistenze <strong>del</strong>la dirigenza dimolte aziende e la posizione di molti colleghi (5) , è necessario utilizzare gli spazi di cui primaparlavo per sperimentare soluzioni che diventino poi la base per iniziative più diffuse.In questo senso è estremamente importante il passaggio costituito dal mo<strong>del</strong>lo di funzionamentoche verrà predisposto per le Unità di <strong>Psicologi</strong>a previste dai nuovi organigrammi approvatirecentemente per alcune ASL <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong> (6) .Ritengo che, sulla base <strong>del</strong>l'esperienza fatta come Unità di <strong>Psicologi</strong>a <strong>del</strong> DSM <strong>del</strong>la ASL RMAnegli ultimi tre anni, confortati dalle premesse teorico-tecniche qui riportate si possa procedereimmediatamente lungo alcune direttrici:1. Apertura di spazi di accesso diretto <strong>del</strong>l'utenza. Questa modalità è conseguenza <strong>del</strong>la considerazioneche è necessario offrire luoghi di consultazione di facile accesso in grado difornire risposte tempestive, i cosiddetti “sportelli”, ritenendo che prima si “intercetta” ildisagio, più precocemente si forniscono risposte adeguate e più si prevengono cristallizzazionipatologiche. Per esempio si potrebbe fare per le domande di intervento nelle seguentiaree:a. Per la domanda di salute aspecifica che ha come terminali la medicina di base ed i servizidi base <strong>del</strong> Distretto Sanitario. Concretamente si tratta di aprire ambulatori di <strong>Psicologi</strong>anei Poliambulatori rivolti direttamente all'utenza e alla collaborazione con iMMG.b. Per il disagio giovanile attraverso l'apertura di Centri di Consultazione psicologica.Violenza, devianza, uso di sostanze, disturbi <strong>del</strong> comportamento alimentare, ritiro sociale,suicidio, disturbi di personalità, primi segnali di psicosi e così via sono aree psicopatologicheche iniziano a manifestarsi nel corso <strong>del</strong>l'adolescenza. L'attenzione alla fasciagiovani è un investimento di energie decisamente necessario per consentire un interventotempestivo ed adeguato per casi più gravi e l'aiuto opportuno per quei giovani chehanno più risorse ma si trovano in un momento di empasse <strong>del</strong> loro ciclo vitale.c. Per il supporto alle funzioni genitoriali con l'istituzione di Centri di Consultazione pergenitori. I genitori sono impegnati in un passaggio <strong>del</strong> proprio ciclo vitale nello stessoperiodo dei loro figli. Sappiamo inoltre dalla nostra letteratura scientifica che i mo<strong>del</strong>liaccuditivi contribuiscono a determinare l'esito <strong>del</strong> compimento dei passaggi <strong>del</strong> ciclovitale in età evolutiva. Riteniamo perciò che offrire una consultazione ai genitori sia unmodo efficace di prevenire e di intervenire precocemente.2. Individuazione di Centri di Trattamento. Allo stato attuale siamo in grado di istituire attivitàspecialistiche di II livello per la risposta a quelle situazioni evidenziate dal livello <strong>del</strong>laconsultazione che necessitino di un trattamento psicologico.3. Il coordinamento <strong>del</strong>le attività professionali di tutti gli psicologi <strong>del</strong>la macroarea a cuiappartiene l'UO. Tale coordinamento deve avere i seguenti obiettivi:(5)Alcuni colleghi affermano spesso che ci convenga restare "agganciati al carro" dei servizi per le fasce più deboli perchéessi non potranno mai essere smantellati e quindi saremmo al riparo anche noi. L'errore di valutazione è che questalogica ci lascia in una posizione di subalternità perché è proprio lì che si sente di più l'affermarsi dei vecchi paradigmi.Tale subalternità naturalmente impedisce l'utilizzo pieno <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo psicologico clinico.(6) Ne ho conoscenza al momento nella ASL RMA, 1 Unità semplice per ogni macrostruttura (i 4 Distretti e l'area Ospedaliera)e nella ASL RMB all'interno dei Dipartimenti così come li conosciamo articolate in questa maniera: 1 Unitàcomplessa che comprende 2 Unità semplici.116


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 117a. l'aggiornamento e la formazione ritenuti necessari da un vertice psicologico. I tirocinipost - lauream e di specializzazione dovrebbero essere coordinati dalla UO.b. Predisporre protocolli di collaborazione con gli altri servizi <strong>del</strong>l'Azienda.c. introdurre elementi di ricerca clinica.Come potete vedere sono tutte linee di attività che non rientrano completamente fra quelleappartenenti ai servizi nei quali tradizionalmente operano gli psicologi, e non sono le uniche apoter essere previste.CONCLUSIONIQueste proposte sono un contributo per la definizione <strong>del</strong>le linee di attività <strong>del</strong>le Unità di <strong>Psicologi</strong>ae come si può ben vedere sono una risposta a quello spauracchio agitato da alcuni colleghicirca il pericolo di costituire una specie di “riserva indiana”. Infatti nella parte clinica essecorrispondono ad un modo di pensare l'intervento che privilegia la creazione <strong>del</strong> maggior numeropossibile di situazioni di ascolto <strong>del</strong> disagio <strong>del</strong>la popolazione, una risposta competente a quellivello e l'eventuale invio ad un successivo livello specialistico, contrastando una tendenza chevede l'arroccamento <strong>del</strong> servizio pubblico sui casi conclamati, con prevalenti bisogni assistenziali,lasciando tutto il resto al “mercato”.Lì dove si è potuto già implementare alcune di esse nei servizi tradizionalmente intesi, sono stateproposte da psicologi per colmare alcune lacune <strong>del</strong>l'offerta complessiva di interventi <strong>del</strong>l'AziendaSanitaria, ma sono state profondamente contrastate, sia da colleghi che da altri dirigenti,e infine potrebbero essere snaturate.Per ribaltare questa tendenza e costruire un futuro allo sviluppo <strong>del</strong>la nostra professione (7) ènecessaria perciò di un ampia convergenza di contributi da parte dei singoli colleghi e <strong>del</strong>lenostre organizzazioni. L'<strong>Ordine</strong> <strong>del</strong> <strong>Lazio</strong> ha già espresso recentemente una netta presa di posizionein favore di autonomi Servizi di <strong>Psicologi</strong>a e questo è un cambiamento di rotta prezioso.Non altrettanto chiara è la posizione <strong>del</strong>le Organizzazioni Sindacali, fatto questo che, visto illoro mandato istituzionale, influisce non poco sulle nostre prospettive.Già, ma quali sono le prospettive? Una buona riuscita <strong>del</strong>la sperimentazione proposta avrebbecome ricadute:1. un miglioramento <strong>del</strong>la qualità globale <strong>del</strong>l'intervento sanitario.2. un aumento <strong>del</strong>la credibilità <strong>del</strong>la professione all'interno <strong>del</strong>l'organizzazione sanitaria econseguentemente:3. una reale concorrenza, nelle due accezioni di correre assieme o cooperare e competere,per le assegnazioni <strong>del</strong>le responsabilità di strutture senza vincolo di disciplina di appartenenza.Rimane sullo sfondo per ora un'altra prospettiva, quella <strong>del</strong> Dipartimento di <strong>Psicologi</strong>a. Troppaè la strada da fare ancora qui nel <strong>Lazio</strong>. Abbiamo già sperimentato che una sua proposizionecome indicazione istituzionale, cioè “dall'alto”, è rimasta lettera morta soprattutto nelle reazionidei colleghi.Il Dipartimento rimane la mia prospettiva ideale ma la sua percorribilità è funzione <strong>del</strong>la riuscitadi sperimentazioni che questo contributo mi auguro sia riuscito ad invogliare.(7)Ritengo infatti che un'eventuale deblache in uno dei diversi campi di applicazione <strong>del</strong>la psicologia avrebbe ripercussioninegative anche sugli altri.117


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 118BibliografiaARDIZZONE M. (1989) Psicoterapia e trattamento breve nei Servizi di Salute Mentale: l'intervento focaledi primo contatto. Rivista di <strong>Psicologi</strong>a Clinica 1/89CARLI R. (1995) Il rapporto individuo-contesto. <strong>Psicologi</strong>a Clinica 2/95MIRIZIO V. (1998) “Considerazioni sul rapporto fra mo<strong>del</strong>li e organizzazione <strong>del</strong> primo contatto in unDSM.” Prospettive psicoanalitiche nel lavoro istituzionale Vol. 16, n.2, maggio-agosto 1998.PAO P.N. (1985) Disturbi schizofrenici. Cortina EditoreRIVISTA DI PSICOLOGIA CLINICA 1/92 3/93 NISSTERNAI E. (1998) Dalla riabilitazione alla prevenzione. Il riconoscimento ed il trattamento precoce<strong>del</strong>le psicosi. In Piccione, Grissini: Prevenzione e salute mentale. Carocci Editore 1998118


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 119Il Centro di Consulenza <strong>Psicologi</strong>caper giovani adulti“Colpo d’ala”dott.ssa Maria Antonietta FENUResponsabile accoglimento centro "Colpo D'Ala"dott. Paolo SENCZUKEsperto in prevenzione nell'area giovanileDipartimento di Salute Mentale ASL Roma AAll'interno <strong>del</strong>l'attuale ASL RM/A si è verificato un movimento d'interesse specifico per le problematiche<strong>del</strong>la tarda adolescenza e dei giovani adulti, sin dagli anni '80. Quest'interesse, aquel tempo molto inedito nei servizi territoriali romani, è stato favorito da un lato dalla presenza<strong>del</strong> Prof. M. Ammaniti neuropsichiatra infantile e psicoanalista, primario <strong>del</strong>la IV circoscrizione,il quale si prefiggeva l'obiettivo di allineare la pratica clinica dei servizi territoriali allepiù aggiornate correnti scientifiche d'appartenenza universitaria, mentre dall'altro lato è statofavorito dalla presenza, nella IV Circoscrizione, di un numero molto elevato di psicologi, alcunidei quali erano già formati in tal senso.La presenza preponderante di psicologi, cambiava all'epoca le potenzialità tradizionali <strong>del</strong>lapsichiatria nel territorio, introducendo una cultura nuova per i tempi: molto rilievo era dato all'ascoltoneutrale partecipe, alla psicoterapia individuale e di gruppo, all'intervento sulle famiglie,ed anche alla riabilitazione.Dopo tentativi di formare gruppi integrati - DSM- Materno Infantile, all'epoca evidentementeprematuri, l'interesse per la fascia giovani si è poi sviluppata in due sensi prevalenti:a) La creazione di un servizio forte d'accoglimento, in cui la domanda d'aiuto era ascoltata erestituita da una équipe specifica a formazione prevalentemente analitica, che sostanzialmentefaceva un accurato lavoro sulla richiesta, effettuava trattamenti brevi, counselling ecc.L'invio, discusso dal gruppo specifico arrivava alle èquipes multidisciplinari, per i progetti alungo termineb) Uno spazio di formazione all'avanguardia con seminari e supervisioni a carico dei più grossinomi <strong>del</strong>la psicoanalisi, particolarmente centrati sulle patologie giovanili. Di qui poi l'iniziativadi un Corso di Formazione Regionale (Comitato Tecnico Scientifico formato da operatori<strong>del</strong> CSM, alcuni dei quali hanno condotto numerosi seminari a fianco di docenti esterni)Il Corso, durato più di sei anni, anche dopo il trasferimento all'Università <strong>del</strong> Prof.:Ammaniti, ha costituito una base importante per una cultura diffusa all'interno di quella cheoggi è la ASL RM/A.Il lavoro d'aggiornamento e di sensibilizzazione sulle Distorsioni evolutive <strong>del</strong>l'adolescenza hatrovato un terreno ideale nella cultura psicologica, più propensa ad una ottica di prevenzione ed'individuazione <strong>del</strong> disagio al suo insorgere, di quanto la tradizione nei servizi pubblici privilegiava.Di qui sono derivate organizzazioni d'accoglimento e d'analisi <strong>del</strong>la domanda coordinateprevalentemente dagli psicologi, in cui l'attenzione ai giovani è stata un punto di forza.119


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 120Anche l'attività di trattamento si è sintonizzata con il nuovo fattore d'espansione clinica, dandoil via ad iniziative specifiche come: Centri diurni per adolescenti, psicoterapie di gruppo per lafascia dai 17 ai 14 anni, terapie focali, particolare attenzione ai disturbi <strong>del</strong> comportamento alimentare,particolare attenzione all'esordio psicotico ed al lavoro sui familiari ecc. Tutte iniziativeapprovate de accettate dai responsabili, ma mai riconosciute ufficialmente e quindi in qualchemodo sempre precarie e talvolta considerate un lusso.Solo con la creazione di una Unità di <strong>Psicologi</strong>a, una attività diagnostica e clinica espressamentediretta ai giovani adulti (ufficialmente 18- 25 anni) ha potuto assumere il carattere di unaarea specialistica, con la dignità di un nome che, evocativamente è stato individuato in "Colpod'ala".Il Centro di Consultazione per giovani adulti si è prefisso di non prendere a mo<strong>del</strong>lo il CSM edi non funzionare come struttura a parte, dedicata ai giovani. L'obiettivo perseguito, l'ipotesi dipartenza, era di accogliere la richiesta d'aiuto che solitamente non afferisce ai servizi psichiatrici.Sto parlando da un lato di un pubblico che attraversa una fase di blocco evolutivo, abbastanzafrequente nell'età. Un blocco che, se non accolto e non riconosciuto, può ledere in varimodi la qualità <strong>del</strong>la vita di un individuo o di una famiglia, richiedendo tempi ed energie notevoliper essere superato con le sole risorse a disposizione. Dunque un discorso di prevenzioneed un valore aggiunto all'operatività dei CSM.Di fatto, il Centro che volutamente si è caratterizzato come area non psichiatrica, dunque menoansiogeno per il pubblico con timori di una identificazione con il portatore di patologia, si ètrovato a svolgere un ruolo di mediazione per una serie di situazioni che erano sfuggite all'accoglimentodei servizi - questo capita - pur avendo caratteristiche di rischio psicopatologico e,talvolta, con patologia conclamata. In questi casi il centro ha svolto un ruolo di rilettura e ridefinizione<strong>del</strong>la domanda (individuale o familiare) accompagnando nelle sedi di competenza peruna nuova richiesta, a quel punto più consapevole e mirata. Ricordo a questo proposito la giornatadi studio sulla Trattabilità.Terzo punto d'interesse, sulla base dei dati, una certa percentuale di situazioni ha proposto unadomanda confusa e interlocutoria relativa a stati psicologici decisamente a rischio di grave evoluzionepsicopatologica, molto prima che, sia nell'interessato, sia nella famiglia, si determinasseuna coscienza <strong>del</strong> bisogno d'aiuto specialistico ed una coscienza <strong>del</strong>lo stato di malattia. Inquesti casi il centro ha avuto a mio avviso un ruolo determinante, per aver lavorato sulla presadi coscienza <strong>del</strong> bisogno e sulla maturazione di una richiesta appropriata presso i servizi di competenza.Comunque sia, la costituzione di un servizio dedicato ai giovani, a certi giovani, e composto disoli psicologi, ha sollecitato alcune perplessità non peregrine. Tra le osservazioni più pertinentie di certo presenti nella mente <strong>del</strong> gruppo di "Colpo d'Ala" possiamo ricordare:a) Il problema <strong>del</strong>la INTEGRAZIONE <strong>del</strong>le varie figure professionali. Alcuni colleghi psicologihanno esplicitato una visione preferenziale di una costituzione multidisciplinare deigruppi di lavoro, attenendosi peraltro a certe direttive regionali.Quindi dal loro punto di vista, un gruppo appartenente ad una unica categoria contiene evidentilimiti istituzionali e clinici.La questione è stata sentita, dibattuta ed affrontata all'interno <strong>del</strong> gruppo, assai poco intenzionatoa collocarsi in uno splendido isolamento. Il gruppo quindi si è mosso presentandosi nelle120


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 121riunioni dei vari CSM ed esponendo i progetti, le ipotesi, e, se vogliamo, le scommesse, nonchéavviando un dibattito franco che consentisse non solo una conoscenza reciproca ma anche unacompartecipazione nella ricerca di stili di lavoro funzionali e complementari alla operatività giàin atto.Una strategia franca d'alleanza e collaborazione è stata avviata inoltre, da un lato con il gruppocosiddetto UFI Prevenzione, che mostrava obiettivi affini attraverso il lavoro sulla medicina dibase, ma anche con l'area consultoriale <strong>del</strong> Dipartimento materno infantile che per scelta hainvestito molto, negli ultimi anni, esattamente sull'adolescenza.Particolare attenzione poi è stata dedicata dal gruppo alla questione <strong>del</strong>l'INVIO, che è chiavefondamentale <strong>del</strong> lavoro integrato sui pazienti. Nell'invio dunque, non solo informazione, macontatti con i colleghi, riunioni, discussione congiunta sui bisogni e sulle modalità da utilizzareperché il percorso clinico andasse a buon fine. In qualche caso si è reso necessario e possibileuno spazio di colloqui congiunti -Colpo d'Ala e Servizio d'appartenenza - per rendere più rassicuranteil passaggio.In sintesi la questione <strong>del</strong>l'integrazione è stata affrontata, ma tutto è ancora perfettibile ed in viad'affinamento secondo una linea a raggiera, e non in senso centripeto. Sinora i risultati non sembranoinsoddisfacenti e nei servizi, CSM, Materno Infantile, Medicina di base il Centro è presentecome luogo idoneo a farsi carico di una quantità di situazioni, che in quei contesti non troverebberole risorse.b) Altra obiezione proposta nei dibattiti all'interno dei servizi riguardava, giustamente, l'ESOR-DIO PSICOTICO.Come accennato il Centro si è prefisso l'obiettivo di costituire un valore aggiunto alla operativitàdei CSM, e non di porsi come ambito sostitutivo. Cionondimeno è capitata una percentualedi casi in cui il problema poteva sicuramente definirsi come esordio psicotico o come situazionea rischio d'esordio psicotico. In questi casi Colpo d'Ala si è mosso come area di mediazionee come intervento di elaborazione <strong>del</strong> problema e <strong>del</strong> bisogno. Lavoro sulla famiglia elavoro sul paziente in fase caotica, con lo strumento <strong>del</strong>l'ascolto, <strong>del</strong> contenimento, <strong>del</strong>la restituzione,e <strong>del</strong>la acquisizione <strong>del</strong>la coscienza <strong>del</strong>la malattia hanno consentito una esperienza preliminareche ha reso più fluida la progettazione di un programma terapeutico da realizzare inaltre sedi, tra cui, talvolta, anche il privato.c) Una perplessità comprensibile riguardava i carichi di lavoro, già ampiamente impegnativi perrendere desiderabile un incremento. Alla prova dei fatti non si è verificato nessun aggravioma anzi, da qualche parte, è stato individuato un riconosciuto sollievoUN GRUPPO PSICOLOGICOL'esperienza di lavorare in un gruppo di lavoro costituito da soli psicologi (personale in ruolo etirocinanti), è, nella ASL RMA, una esperienza <strong>del</strong> tutto nuova. Il gruppo, costituito da operatori"non più giovanissmi", si è trovato a fronteggiare da un lato tradizioni acquisite nell'arco dialmeno vent'anni e dall'altro a ricercare una identità che potesse, eventualmente, trovare nuovistimoli e nuovi insegnamenti. Obiettivi questi tutt'altro che semplici anche perché il tutto dovevaconciliarsi, negli intenti di ciascuno, con la massima tutela <strong>del</strong>l'integrazione multidisciplinaresenza scadere in separatismi o forme di narcisismo gruppale.Il problema di mettere a puntonon solo una tipologia di organizzazione adatta ad una richiesta che ancora non si conosceva,ma un affiatamento e uno stile di lavoro omogeneo, non sono stati e non sono tuttora dei piùsemplici, anche se una crescita è sicuramente avvenuta. Di sicuro, provare a ridefinire teorica-121


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 122mente e operativamente, uno specifico <strong>del</strong>la professionalità psicologica, - assenza di decisionismosenza cadute in attendismi eccessivi, ascolto partecipe, ridefinizione e restituzione, otticasistemica, orientamento psicoanalitico ecc. - era una base fondamentale <strong>del</strong> percorso, che successivamentesi svilupperà in altre direzioni. Queste direzioni, nelle intenzioni di tutti, dovrebberoessere elastiche, adattabili e modificabili in itinere. Infatti, il pericolo maggiore nel campo<strong>del</strong>la salute mentale è il ricorso a riti e rituali che proteggono dallo stress, ma che danneggianola creatività. E nel nostro campo, quello <strong>del</strong>la mente e <strong>degli</strong> affetti, lo strumento terapeutico pereccellenza consiste esattamente nella tutela <strong>del</strong>la creatività. Un progetto di rinnovamento e diridiscussione continua che eviti le scelte sonnolente e routinarie, possibilmente. Dunque unariflessione sul gruppo, e sul funzionamento <strong>del</strong> gruppo in grado di creare non una somma di individuipiù o meno professionalima un clima e una atmosfera che, parafrasando il Dottor Monniellonel convegno di Firenze, di ottobre, possa avere uno stile psicoterapico. Uno stile che èpercepito dall'utenza a partire dalla telefonata o dal primo ingresso, per estendersi agli ambientialla sala d'aspetto, sino alla stanza <strong>del</strong>la seduta. Un luogo, un sito, con carattere appunto, disito psicoterapico diffuso.Per esplicitare in termini di operatività i concetti ventilati, riportiamo una situazione clinica incui, per ragioni di discrezione, alcuni dati non determinanti sono stati modificati. Il caso è statotrattato dalla dott.sa Fenu.LA RAGAZZA DELLE GUARNIZIONIHo conosciuto Virginia dopo il suo ricovero in un reparto di chirurgia: il ricovero aveva comportatoun intervento urgente nel corso <strong>del</strong> quale gli specialisti, con indicibile stupore, avevanoestratto dalle viscere <strong>del</strong>la ragazza un groviglio inestricabile di guarnizioni più o meno sminuzzate,una palla gommosa e filamentosa che aveva bloccato l'intestino di Virginia, mettendolaseriamente a rischio di morire.La famiglia di Virginia era di estrazione molto semplice, con uno stile di pensiero che in terminitecnici si chiama “pensiero operatorio” (Marty, De M'Uzan,), ossia di tipo concreto, e ciò hacomporto una particolare inadeguatezza nel gestire l'adolescenza <strong>del</strong>la ragazza, che invece eraperfezionista e sensibile.Di norma l'adolescenza comporta <strong>del</strong>le intense trasformazioni sia nel corpo sia nel mondo affettivodi un figlio. L'evento principe è, con la pubertà, la comparsa <strong>del</strong>la fertilità e con essa la possibilitàbiologica di mettere al mondo bambini. In quella fase <strong>del</strong>la vita si avvia un processo diaffrancamento dai mo<strong>del</strong>li infantili e ci si confronta con una nuova dimensione: la capacità didare la vita e la capacità di dare la morte. Questo nuovo spazio potenziale, questo potere, soloper gradi diventa chiaro e consapevole nell'adolescente che, alle prese con le turbative dei cambiamentiormonali, sulle prime almeno, comprende molto poco di quanto gli sta accadendo.Se l'ambiente lo aiuta, l'accompagna e lo sostiene stabilendo anche un buon rapporto di complicitàrispetto alle nuove sensazioni, il giovane imparerà a sentire la nuova dimensione comequalcosa che lo arricchisce, che lo completa e che lo rende orgogliosamente pari ai genitori; nericaverà dunque una sorta di tranquillità su se stesso, sull'identità sessuale e su quella personale,sarà un elemento che rafforza un sano orgoglio di sé e tutto ciò favorirà una rappresentazionevitale e creativa <strong>del</strong>la persona.Per Virginia le cose non erano andate così, per nulla. La madre, cresciuta in campagna, maleadattata in una città dispersiva come Roma, era catturata da un'ossessione che rasentava il <strong>del</strong>irio:prima o poi qualcuno avrebbe messo gli occhi sulla figlia adolescente e le avrebbe usato violenzasessuale; la ragazza sarebbe rimasta incinta, coprendo di vergogna l'intera famiglia.122


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 123Conseguenza logica di tale visione <strong>del</strong> mondo era l'impegno di scongiurare l'evento temuto,tenendo la ragazza praticamente sequestrata in casa, senza amici e senza svaghi, fatta eccezioneper la scuola. Tutto convergeva sistematicamente ad evitare che Virginia si rendesse visibile ase stessa ed al mondo nella dimensione femminile, tutto convergeva ad annullarla. Questo, nellamente dei genitori, era il miglior modo di assolvere alla proprie responsabilità.Dal canto suo Virginia, controllata a vista, segregata in casa, rea di essere femmina, a diciassetteanni era caduta in uno stato di inedia, di depressione: non sentiva più nessuna motivazione afrequentare la scuola, non era più in contatto con nessun coetaneo, non si alimentava più. Tuttala tensione impotente e colpevole dovuta alla presenza di desideri vitali che diventavano semprepiù flebili era scaricata ruminando, in una tragica solitudine, insolite quantità di gomma diguarnizioni che poi ingoiava.La madre dal canto suo osservava la disappetenza, il pallore crescente, assisteva agli episodi divomito, notava una certa tensione <strong>del</strong>l'addome e si convinceva sempre di più che le sue paure sifossero concretizzate: Virginia doveva essere incinta.Sapere dai medici che invece si trattava di un blocco intestinale, suonò, rispetto all'ossessione,come un vero sollievo. Per un altro verso però conoscere le cause ed il rischio <strong>del</strong>l'accaduto fuuno shock che capovolse, nella mente dei genitori, i termini originariamente tanto chiari <strong>del</strong> problema.Ma allora il male era fuori o dentro casa? Il biasimo <strong>del</strong>la gente avrebbe colpito Virginiao il comportamento <strong>del</strong>la sua famiglia? L'abuso, nel mondo, era solo sessuale, o c'erano altre formedi violenza con conseguenze peggiori? E questa figlia che mangiava gomma chi era veramentee cosa sentiva?La Signora, semplice ma tutt'altro che stupida, rifiutò con convinzione i farmaci antipsicotici <strong>del</strong>consulente ospedaliero: “Mia figlia non è pazza, capite? Il suo problema è con me!”In effetti, il comportamento psicotico di Virginia non corrispondeva assolutamente al parallelofunzionamento psicotico <strong>del</strong> pensiero, bensì all'impossibilità di avere uno spazio di pensiero. Leossessioni e le primitive proiezioni genitoriali funzionavano come un annullamento <strong>del</strong>l'evoluzionementale <strong>del</strong>la figlia che non poteva orientarsi né su se stessa né nel mondo in cui si muoveva.Dunque inconsapevolmente ed inconsciamente la ragazza aveva messo in atto una sequenza dieventi che evocavano in chiave paradossale la fobia <strong>del</strong>irante <strong>del</strong>la madre ma che denunciavanoil senso mortifero attribuito al suo ingresso nella sessualità e nella fertilità.Nelle tradizioni di un tempo, in Italia, il menarca era onorato attraverso l'usanza di dotare laragazza in età di sviluppo di orecchini di corallo. Questo rito popolare, attraverso un ornamentoprezioso, annunciava al mondo una nuova dignità nella giovane, oramai donna, e quindi l'importanzaprivata e sociale <strong>del</strong>l'evento, cosa che rinforzava l'identità femminile, la stima di sé edil prestigio <strong>del</strong>la nuova condizione. Nel caso di Virginia invece dominava il registro <strong>del</strong> pericolo,<strong>del</strong>l'umiliazione e <strong>del</strong>la vergogna, che colorava quindi pesantemente di colpa e di punizionela dimensione femminile. Tutto questo disorientava completamente la ragazza che non capiva eche non era in grado di collocare al giusto posto la patologia materna da un lato ed il processodi una sana identificazione femminile dall'altro. E non potendo organizzare in pensieri né tradurrein parole quello che stava succedendo, ha prodotto non un feto ma un oggetto inanimato- la palla nella pancia - simbolo di un intreccio di significati inelaborati ed inelaborabili, di cuisi è sgravata attraverso un intervento chirurgico invasivo.Per un altro verso il ricovero in ospedale non sola aveva sottratto Virginia a forza dalla casa, maaveva anche reso pubblica e visibile una condizione umana che stava per esplodere in una tragediairreparabile.L'ospedale peraltro aveva accolto la ragazza con grande umanità: infermieri, medici ed anche gli123


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 124altri degenti avevano circondato quella creatura esile ed infelice di un calore e di una solidarietàche la famiglia non aveva mai espresso. La pietà <strong>degli</strong> estranei aveva restituito un senso nuovoalla situazione di Virginia ed in questo modo si è verificato comunque qualcosa che potremmodefinire un concepimento, anzi un parto: la nascita di Virginia come soggetto pensante.Vi riferisco le sue parole nel primo incontro con me, pronunciate tra le lacrime che prima nonsapeva versare: “Adesso ho capito, ora so cosa fare. In Ospedale sono stata aiutata ed io voglioa mia volta aiutare chi ha bisogno; studierò legge e farò il giudice nel tribunale dei minori”.124


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 125Prime valutazioni <strong>del</strong>l'esperienza<strong>del</strong> Centro di Consulenza <strong>Psicologi</strong>caper giovani adulti "Colpo d'Ala"Dott.ssa Flavia LOMBARDIUnità di trattamento psicologico per giovani adultiDott. Francesco CIOLFIPsicologo e PsicoterapeutaScopo di questo lavoro è valutare il tipo di intervento dal Centro di Consulenza psicologicaColpo d'Ala nell'ambito <strong>del</strong> Dipartimento di Salute Mentale e analizzare la rispondenza alle ipotesidi lavoro e agli obiettivi definiti al momento <strong>del</strong>l'apertura <strong>del</strong> Servizio. Obiettivo principaleera quello di dare risposta ad una utenza giovanile in una situazione di disagio psicologico,con il duplice scopo di una diagnosi precoce dei disturbi più gravi e/o di un intervento mirato asuperare un periodo di crisi che, se trascurato potesse portare ad un aggravarsi <strong>del</strong> disturbo. Cisi attendeva, quindi, un aumento <strong>del</strong>la domanda di giovani e un contatto con il Servizio in etàinferiore rispetto ai periodi precedenti.SCHEMA DI GOLDBERG E HUXLEYCi sembra utile iniziare ricordando lo schema messo a punto da Goldberg e Huxley dall'analisiepidemiologica dei disturbi emotivi nella popolazione. Lo schema è stato realizzato dopo unaindagine svolta a Manchester nel 1980 e più volte ripetuta in ambienti diversi, con risultati concordanti:vengono definiti 5 livelli con filtri più o meno permeabili, nel passaggio da un livelloall'altro. [Fig. 1]Fig 1 - Schema di Gotdberg e HuxleyDisturbi emotivi(su 1000 abitanti)Ospedali3Servizi territoriali20Morbilità “cospicua”100Nella medicina di base230Nella popolazione generale250 - 300Decisione di ricoverareDecisione <strong>del</strong> MMG diinviare allo specialistaRiconoscimento <strong>del</strong> disturboda parte <strong>del</strong> MMGDecisione <strong>del</strong> paziente diconsultare il MMG125


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 126Al primo livello compaiono le persone che, nella popolazione generale, in un anno, soffrono didisturbi emotivi, sono 250 -300 persone su 1000, la maggior parte con disturbi depressivi eansiosi Questo è il dato di prevalenza annuale <strong>del</strong>la morbilità psichiatrica.Quasi tutti questi soggetti nell'anno vengono visti ameno una volta dal medico di medicinagenerale (MMG), spinti o meno dal disturbo emotivo (livello 2).Il medico di base riconosce i disturbi psichici solo in una parte dei pazienti visti, che in realtàsoffrono di questi problemi. È stata coniata l'espressione di morbilità psichiatrica cospicua perdescrivere il disturbo psichiatrico così come viene percepito dal medico di medicina generale.La permeabilità di questo filtro, e cioè il riconoscimento <strong>del</strong> disturbo da parte <strong>del</strong> MMG, èinfluenzata sia dalle caratteristiche <strong>del</strong> paziente che da aspetti <strong>del</strong> medico: personalità e stili diintervista al paziente (2° filtro).Solo una parte dei casi riconosciuti dal MMG viene da lui inviata al Servizio Psichiatrico Territorialee, di fatto, il numero di persone con disturbi emotivi che frequentano in un anno i ServiziPsichiatrici è circa 10 volte inferiore a quelle che frequentano i MMG. Anche in questo casola permeabilità <strong>del</strong> filtro è influenzata sia dal paziente e dal tipo di disturbo, che dalle caratteristicheproprie <strong>del</strong> medico, che dalla relazione tra MMG e Servizi Psichiatrici (3° filtro).Questo schema, nato nel mondo anglosassone, si fonda su una struttura di invio "verticale" -dalMMG a servizi sempre più specialistici- che non corrisponde alla situazione italiana dove perlegge l'accesso al servizio psichiatrico è sia diretto che mediato dal MMG, costituendo quindiun mo<strong>del</strong>lo di relazione tra Servizi a rete orizzontale, piuttosto che gerarchico verticale.Nonostante queste differenze, negli studi fatti in Italia (in particolare a Verona Sud) i dati di frequenzadei disturbi nei vari livelli sono sovrapponibili a quelli di Goldberg e Huxley.I giovani si rivolgono ai Centri di Salute Mentale?Partendo da questo schema di riferimento, e dal fatto quindi che meno <strong>del</strong> 10% <strong>del</strong>le personecon disturbi emotivi si rivolgono ai Centri di Salute Mentale (CSM), ci siamo chiesti qualicaratteristiche abbiano questi utenti e quanto la fascia giovanile sia rappresentata in questogruppo.Per un primo studio abbiamo utilizzato i dati dei CSM <strong>del</strong> 2° Municipio di Roma, territorio nelquale è collocato il nostro Servizio.Fig 2 - Tasso di richieste10,09,08,07,06,05,04,03,02,01,00,0 65 annitasso richiesto spec. su 100 tasso first ever età spec. 1.000126


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 127Da una analisi dei tassi età specifici 1) <strong>del</strong>le richieste fatte in un anno ai CSM (Fig. 2) risulta chele richieste sono stabili nelle fasce di età dai 18 ai 44 anni, mentre diminuiscono nelle fasce dipopolazione con età superiore ai 45 anni. Pur prendendo in considerazione solo il primo contattoin assoluto con il Servizio Psichiatrico ed escludendo gli eventuali "ritorni" (richieste firstever); le richieste dalle fasce giovanili sono inferiori a quanto ci si potrebbe aspettare date le etàdi insorgenza dei disturbi psichiatrici gravi. (18-22 anni per i disturbi schizofrenici e 20-30 anniper i disturbi bipolari).Questo significa, come <strong>del</strong> resto è confermato da altre fonti, che gli utenti arrivano al ServizioPsichiatrico dopo un lungo periodo dall'insorgenza <strong>del</strong> disturbo, quando la patologia è già strutturata.Abbiamo ipotizzato che un intervento precoce potrebbe favorire un percorso diverso <strong>del</strong>disturbo o <strong>del</strong>la patologia.ATTIVITÀ DI COLPO D'ALANel periodo iniziale <strong>del</strong> nostro lavoro ci siamo quindi occupati <strong>del</strong>la pubblicizzazione <strong>del</strong> Servizio,dandone una immagine non medicalizzata che potesse favorire l'arrivo più precoce diutenti in una situazione di disagio psicologico e non solo di disturbo conclamato. Nella pubblicizzazioneabbiamo tenuto presenti i due canali di arrivo: quello diretto e quello mediato dalMMG e da altri Servizi Pubblici.Dall'analisi dei dati di attività (2) risulta che quasi il 60% <strong>degli</strong> utenti sono arrivati direttamenteal Servizio (35%) o su consiglio dei familiari (22%). Nel restante 40% il servizio ha avuto unafunzione di 2° livello, dopo un primo contatto con un'altra struttura pubblica: altri servizi <strong>del</strong>DSM 18%; altri servizi pubblici sanitari e non 16%; MMG 9%.Per rispondere a queste domande e alla urgenza che generalmente caratterizza le richieste diascolto e aiuto dei giovani e per facilitare l'accessibilità <strong>del</strong> Servizio, è stato organizzato un orariodi sportello ad accesso diretto con una possibilità di risposta immediata. Allo sportello direttosono giunte quasi 1/3 <strong>del</strong>le 186 richieste <strong>del</strong> primo anno, le altre hanno seguito l'iter "normale"<strong>del</strong>la richiesta telefonica. È stata inoltre attivata una casella e_mail per incontrare i giovanicon nuovi mezzi di comunicazione. (Fig 3)Fig 3 - Richieste 1° annoTelefoniche 121Dirette 61 E-mail 4Non torna23Totale richieste186Conclusa dopoil primo contatto8Consultazioni iniziate 1551)N° di richieste per fasce di età in rapporto alla popolazione residente(2)Tutti i dati relativi al Colpo d’Ala si riferiscono al primo anno di apertura (2001-2002)???127


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 128Sul totale <strong>del</strong>le richieste, una parte non ha avuto seguito dopo il primo incontro; questo eventoè stato più frequente nel primo periodo di apertura e probabilmente legato all'arrivo di richiesteimproprie e ad una "messa a punto" <strong>del</strong> nostro mo<strong>del</strong>lo di accoglienza.Dall'analisi dei tempi di attesa tra la richiesta e il primo contatto diretto (<strong>del</strong>le 155 consultazioniiniziate) si può osservare che il nostro sistema di accoglienza ha permesso di risponderein giornata nel 57,7% dei casi e entro una settimana dalla richiesta in un altro 32,7%. Meno <strong>del</strong>10% <strong>degli</strong> utenti (9,6%) ha aspettato più di una settimana per il primo appuntamento; in generequeste attese sono legate a particolari esigenze <strong>degli</strong> utenti.Il servizio, pur rispondendo per mandato agli utenti <strong>del</strong>la RMA, ha effettuato consultazionianche per persone provenienti da altre zone di Roma o paesi limitrofi (22% <strong>del</strong>le richieste).È stato aperto uno spazio anche per i genitori che si trovano in difficoltà con i figli e in diversicasi l'intervento è stato allargato, coinvolgendo l'intero nucleo familiare, per affrontare idiversi aspetti <strong>del</strong>la fase di svincolo. Si è deciso di potenziare in futuro il servizio di consultazioneper i genitori per rispondere ad una esigenza diffusa.È interessante sottolineare una differenza tra i sessi nelle richieste dei giovani: più dei ¾ <strong>del</strong>lerichieste provengono da femmine, confermando una tendenza che esiste anche nelle richieste aiCSM; è inoltre più frequente che le ragazze arrivino al servizio in modo autonomo, mentre peri maschi è più frequente che la richiesta venga fatta da qualcun altro, in genere la madre. Questodato dovrà essere confermato con ulteriori osservazioni e verificato tenendo conto anche<strong>del</strong>le differenze di età nei due gruppi; infatti, come prevedibile, la richiesta "mediata" è più frequentenel gruppo dei più giovani nel quale i maschi sono più rappresentati (Tab. 1)Tab. 1 - consulenze dirette ai giovani: chi fa la richiestaFemmine Maschi TotaleInteressato 71 22 93Altri 26 1541Totale 97 37 134Nel grafico (Fig. 4) è possibile osservare la distribuzione <strong>del</strong>le età dei nostri utenti. L'età dirichiesta più frequente è 20 anni, in entrambi i sessi, mentre gli altri valori statistici indicanouna tendenza ad una età maggiore per il gruppo <strong>del</strong>le femmine rispetto ai maschi.Fig 4 - Grafico età richieste dai giovani252015105015 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28F = 97 M = 37 Totale complessivo = 134128


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 129Questi dati sembrano incoraggianti, ma ci siamo chiesti se siamo riusciti veramente a contattareuna utenza nuova o se si sia trattato di un semplice spostamento <strong>del</strong>l'utenza da un servizioall'altro. Per verificare questo abbiamo analizzato, nel loro complesso, i dati dei CSM <strong>del</strong> 2°Municipio negli ultimi 4 anni di attività; abbiamo potuto osservare che, dopo l'apertura <strong>del</strong> ServizioColpo d'Ala, la percentuale di richieste first-ever di giovani è salita, arrivando al 22% <strong>del</strong>totale <strong>del</strong>le richieste dal 17-18% <strong>degli</strong> anni precedenti. Inoltre l'età media al primo contatto nellafascia giovanile si è abbassata di circa un anno.In conclusione, giovani si sono rivolti al nostro servizio prima, con oltre un anno di anticiporispetto al passato. Quindi, dal confronto con gli anni precedenti risulta che l'apertura <strong>del</strong> Centroha permesso di entrare in contatto con un numero maggiore di giovani e con una età inferiore,così come ci eravamo proposti.Più di 1/3 dei giovani contattati si trova in una situazione di gravità, tenendo conto di diversiaspetti: diagnosi, acuzie, contesto familiare e risorse sociali.In questa fase <strong>del</strong>lo sviluppo è difficile arrivare a definire una diagnosi secondo i criteri <strong>del</strong>l'ICDIX. La sintomatologia appare spesso meno stabile, più sfumata e variabile in relazione aeventi stressanti o facilitanti. Tuttavia ci sembra utile fornire un quadro dei problemi presentatitenendo conto <strong>del</strong> quadro diagnostico.In questo lavoro abbiamo raggruppato le diagnosi per grandi aree:Tab. 2 - Problema presentato: DiagnosiProblema presentatoPsicosi 2%Nevrosi o disturbo <strong>del</strong>l'adattamento 36%Disturbi <strong>del</strong>la condotta o <strong>del</strong>lo sviluppo 17%Disturbi alimentari 17%Abuso o dipendenza da sostanze 4%Disturbi <strong>del</strong>la personalità 13%Ritardo mentale 1%Nessuna 10%Il Servizio è nato come Centro di Consultazione ed infatti più <strong>del</strong> 60% <strong>degli</strong> interventi si sonoconclusi in un tempo breve, con meno di 5 incontri. Nell'altro 40% dei casi si è optato per unintervento più lungo che è stato realizzato con percorsi di cura diversi: in alcune situazioni èstata la stessa struttura a farsi carico di una consultazione più lunga o di un trattamento psicoterapeutico.In altri casi si è deciso di inviare gli utenti presso gli altri servizi <strong>del</strong> DSM per un trattamentopiù appropriato ai bisogni emersi, accompagnando i pazienti nel "passaggio" tra i due Servizi.Oltre che per trattamenti psicoterapeutici specifici, quali ad esempio una psicoterapia di gruppo,l'invio al CSM si è ritenuto necessario in quelle situazioni di grave disturbo psicopatologicoche richiedono un intervento complesso e la collaborazione di più figure professionali.L'analisi di questo primo anno di attività ci ha dato la conferma <strong>del</strong>l'utilità <strong>del</strong> Servizio rispettoagli obiettivi posti. Passo successivo dovrà essere quello di una riflessione sulle conclusioni egli esiti <strong>degli</strong> interventi effettuati.129


libro <strong>2004</strong>.qxd 25/05/2005 14.31 Pagina 130BibliografiaAMADDEO F., BACIGALUPI M., DE GIROLAMO G., DI MUNZIO W., LORA A., SEMISA D. Attività,interventi e strutture <strong>del</strong> Dipartimento di Salute Mentale. Epidemiologia e Psichiatria Sociale, 7,Monograph Supplement 2. 1998BACIGALUPI M., GADDINI A., LOMBARDI F., Tracciati complessi e indicatori possibili. Percorsicomplessi e indicatori semplici Rivista sperimentale di Freniatria. 2000ERLICHER A., ROSSI G., Manuale di accreditamento professionale per il Dipartimento di Salute Mentale.Centro Scientifico Editore, Torino 1999.FOCARILE F. Indicatori di qualità nell'assistenza Centro Scientifico Editore, Torino. 1998MOROSINI P., La valutazione <strong>degli</strong> esiti nell'attività di routine dei servizi psichiatrici Epidemiologia ePsichiatria Sociale, 4, 1, 1995MOROSINI P, PERRARO F., Enciclopedia <strong>del</strong>la Gestione di Qualità in Sanità. Centro Scientifico Editore,Torino. 1999NUCLEO DI VALUTAZIONE PROGETTO QUALI DSM, REGIONE LAZIO (1998). Monitoraggio,valutazione e programmazione dei DSM. Epidemiologia e Psichiatria Sociale, 7, Monograph Supplement3.SARACENO B., BOLOGNARO G. Valutazione <strong>del</strong>la qualità in psichiatria Rivista sperimentale di Freniatria5, 1989.SARACENO B., Una "vecchia" novità Bollettino OMS di Salute Mentale e Neuroscienze Monografia"Salute Mentale e medicina di base".130

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