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negli studi di architettura c’è spazio per il manager?economia & management 5 - 2012focus>forumri possano essere anche direttori generali del propriostudio o della propria azienda, e una scelta si pone trail diventare “rich” e il rimanere “royal” (Wasserman2008). Lo studio Renzo Piano da trent’anni ha un direttoregenerale e una quindicina di partner, maanche studi molto meno famosi e molto meno grandiriconoscono la necessità di avere figure manageriali ingrado di gestire lo studio. Non farlo, o non credere checi possano essere figure manageriali capaci di comprendereil business e di gestirlo, denota forse un po’di miopia.Ω In un contesto in cui non ci sono le condizioni per unosviluppo economico, i piccoli studi sperano di cresceretrainati dall’esterno, mentre i grandi studi frenano lacrescita all’interno. Nel settore dell’architettura, purtroppo,soprattutto in Italia, la crescita economica, maancor di più lo sviluppo economico (inteso come fenomenodurevole nel tempo, fatto di crescita reale diproduzioni, consumi e occupazione) sono ostacolatida una serie di fattori: l’assenza di politiche a supporto,una legislazione “conflittuale” che rende difficile ecomplesso ogni intervento, un’offerta di architettisproporzionata rispetto alla domanda di architettura.Il risultato è che, se da un lato ci sono pochissimigrandi studi che possono permettersi in questo momentodi rifiutare degli incarichi perché non hannointeresse a crescere da un punto divista organizzativo per poterli gestire(Renzo Piano accetta un incaricoogni cinquanta), dall’altro lato la stragrandemaggioranza degli studi italianiha il problema di rendersi visibilee la sua crescita, così come il suoposizionamento strategico, è esclusivamentetrainata dai clienti e non riescea essere pianificata e progettata inmodo organico all’interno. Ne derivache competenze strategiche ricorrentisono la flessibilità e la capacità diadattamento e cambiamento continuo in relazionealle opportunità; mentre non ci sono figure professionali,per quanto ambite e ricercate, che si occupino dibusiness development. Se questo però è comprensibilein studi piccoli, non lo è in studi grandi, dove la strategiae l’organizzazione devono e possono guidare laricerca della committenza, avendo anche impatto sulfatturato.Ω L’equilibrio tra creatività e managerialità in uno studioè tanto delicato quanto fondamentale. La ricerca delperfetto bilanciamento tra arte e business nell’architetturanon è un tema nuovo. A volte gli architetti sinascondono dietro una solo apparente insanabile contraddizionetra questi due estremi: la ricerca e l’innovazionenon sono conciliabili con l’essere impresa.Perché allora aziende come Apple, Pixar o IDEO, il cuibusiness model è fondato sull’innovazione, non soffrononell’essere chiamate imprese e lo sono a tutti glieffetti? L’architettura è costellata di ossimori manageriali(Brown et al. 2010) e serve un balancing act (Lampelet al. 2000) sia con riferimento alla dimensione diperformance, sia con riferimento alle competenze, individualie organizzative. Dal punto di vista della performance,gli studi di architettura devono essere ingrado allo stesso tempo di fatturare e di pubblicare, diacquisire clienti e progetti e di vincere concorsi epremi. Dal punto di vista delle competenze, gli architettidevono mantenere competenze creative e progettuali,ma anche competenze manageriali quali comunicazione,pianificazione, amministrazione e organizzazione,team work, azione strategica, multiculturalitàe sviluppo di sé (Slocum et al. 2008). Le aree più daLa strategia e l’organizzazionedevono e possono guidarela ricerca della committenza,avendo anche impattosul fatturatosviluppare – lo dicono gli intervistati, ma anche glioltre 250 architetti che hanno compilato fino ad oggiun questionario di autovalutazione relativo alle competenzemanageriali (online sul sito www.sdabocconi.it/architetturaemanagement)– sono relative allacapacità di comprensione del contesto e di pianifica-© RCS Libri SpA - TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI45

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