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Bollettino di Studi Sardi, II, 2009

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130 FIORENZO TOSOa un gruppo più ristretto <strong>di</strong> ligurismi che il maddalenino ha in comune, apparentemente,col gallurese e il sassarese ma non col corso, e che potrebbero almeno inparte confermare l’esistenza <strong>di</strong> correnti <strong>di</strong> genovesità me<strong>di</strong>ate dall’area turritanae castellanese, tali da arrivare a influenzare in maniera in<strong>di</strong>retta la stessa Bonifaciocon elementi che risalenti a stratigrafie liguri estranee all’impianto originariodella <strong>di</strong>alettalità locale: 34 si tratta tra le altre <strong>di</strong> voci come alliccu “lusinga” del sassarese(genov. léccu “id.”), bagna “sugo, salsa” presente sia in sassarese che in gallurese(oltre che in logudorese e campidanese), 35 bulià “rimescolare, intorbidare”(genov. bulegâ), chja(v)éddhu “foruncolo” (genov. ciavéllu), frisciòla “frittella” (genov.frisciö), forse <strong>di</strong> marrapiccu “piccone” (genov. marapiccu) e ranfiu “uncino”(genov. granfiu) presenti in gallurese, oltre che al noto e recente fainè “farinata <strong>di</strong>ceci” (genov. fainâ), in espansione a partire dall’area turritana, che testimoniadella costante apertura <strong>di</strong> questi canali. 36<strong>di</strong> “confusione, <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne” (L. GANA, Il vocabolario del <strong>di</strong>aletto e del folklore gallurese, Cagliari 1998, p. 628); aSassari, in<strong>di</strong>ca ad<strong>di</strong>rittura una grigliata <strong>di</strong> interiora <strong>di</strong> pecora. L’impressione è quin<strong>di</strong> che la voce sia partitadalla Liguria assumendo significati <strong>di</strong>versi a seconda <strong>di</strong> come veniva recepita: se la si associava all’idea<strong>di</strong> un “piatto <strong>di</strong> magro”, andava specializzandosi nel senso <strong>di</strong> “vivanda a base <strong>di</strong> pesce e verdura” o <strong>di</strong> “vivanda(modo <strong>di</strong> cucinare) a base <strong>di</strong> verdura”, “modo <strong>di</strong> preparare certe verdure”; se prevaleva l’idea chesi trattasse <strong>di</strong> una vivanda composta con vari ingre<strong>di</strong>enti, poteva passare a in<strong>di</strong>care un qualsiasi piattoformato con scarti, avanzi o comunque con materiali poveri, il che spiega il significato, apparentementeincongruo, assunto in sassarese; da qui al senso figurato <strong>di</strong> “confusione, <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne” il passaggio è ovviamentefacile. L’etimologia della voce è <strong>di</strong>scussa: alcuni fanno risalire la voce italiana zimino a cimino, variante<strong>di</strong> cumino (spezia che sarebbe stata originariamente utilizzata nella preparazione), ma questa spiegazionenon regge per la presenza <strong>di</strong> dz-, z- nella forma genovese e in tutte quelle derivate, mentre sarebbein tal caso richiesto ts-, s-. Secondo altri (tra cui H. PLOMTEUX, I <strong>di</strong>aletti della Liguria orientale o<strong>di</strong>erna cit.,s.v. zemin) si tratterebbe dall’arabo zâmin o zamîn che però significa “grasso”, mentre lo zimino è essenzialmente,in origine, un piatto <strong>di</strong> magro. Personalmente ritengo che occorra postulare una forma genoveseoriginaria azimin, azemin (con <strong>di</strong>screzione <strong>di</strong> a- percepita come preposizione, e del resto la locuzionefaxö a zemin è ricorrente), confermata del resto dalla forma corsa, che è azziminu. Diventa più che probabilein tal modo la derivazione dal vecchio grecismo azzimo “non lievitato” passato per estensione asignificare un piatto “non con<strong>di</strong>to”, ossia “<strong>di</strong> magro”.34Sotto questo punto <strong>di</strong> vista è già stata messa in evidenza la presenza <strong>di</strong> un toponimo <strong>di</strong> evidente improntaligure come Sciumara a Bonifacio e nei pressi <strong>di</strong> Santa Teresa <strong>di</strong> Gallura, per il quale è da escludereun’origine bonifacina per via del trattamento <strong>di</strong> FL- estraneo alla fonetica del <strong>di</strong>aletto colonale: cfr. F. TO-SO, Correnti e contrasti <strong>di</strong> lingua e <strong>di</strong> cultura cit., p. 33.35La voce potrebbe anche risalire a influsso piemontese: cfr. F. TOSO, Appunti per una valutazione criticadell’elemento lessicale piemontese in Sardegna, in Transitions. Prospettive per lo stu<strong>di</strong>o delle trasformazioni letterariee linguistiche nella cultura italiana, a cura <strong>di</strong> K. Reynolds e D. Brancato, Toronto 2004, pp. 71-89.36Fainé tra<strong>di</strong>sce nella fonetica un’origine non anteriore al XV<strong>II</strong>I secolo, ma probabilmente si tratta <strong>di</strong> unavoce entrata in epoca ancor più recente in seguito alla larga popolarizzazione <strong>di</strong> questa vivanda presenteun po’ in tutte le aree interessate nell’Ottocento dalla presenza commerciale genovese: non solo dunquepresso le comunità tabarchine (fainò), e nell’area rioplatense (fayná), ma anche a Gibilterra, dove il piatto,tra<strong>di</strong>zionalmente associato a un’origine ligure, ha però assunto il battesimo locale calentita. In sassarese (emaddalenino) l’assunzione del prestito è passata attraverso l’adozione del plurale (genov. fainæ) secondoun processo tipico un po’ ovunque nei termini dell’alimentazione: cfr. ad esempio lo spagnolo rioplatenseel salami “salame”, yanito gibilterrano el cavañeti “dolce pasquale <strong>di</strong> origine genovese”.

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