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ARCHEOMODERNITAS Rivista semestrale di Ineffabili fatti d'Arte nr.1 a cura dell'Associazione Ex Studenti dell'Accademia di Belle Arti di Bari

Il neologismo “ARCHEOMODERNITAS" che intitola la rivista e la mostra allude al processo che muove la ricerca artistica nell’ambito della tradizione creativa avvalendosi dell’ esempio e dell’afflato del passato, ma si connette funzionalmente e organicamente al patrimonio linguistico-espressivo del panorama contemporaneo all’epoca in cui tale processo si produce, e che a da sempre ha animato l’arte in tutte le sue forme rendendo, prima o poi, protagonisti del panorama culturale quegli artisti, anche i più misconosciuti nella propria epoca, che hanno saputo raccogliere l’eredità preziosa dei Maestri o/e elementi essenziali dell’esistenza, coniugandoli e fondendoli con l’espressività del loro presente. In tale ottica “ARCHEOMODERNITAS" intende superare le distinzioni tra “antico” e “moderno” puntando l’ attenzione "su ineffabili fatti d’arte visiva” grazie al contributo di esperti e professionisti accreditati nel campo dell’arte, senza porre limiti o barriere tra epoche, in quanto le componenti di qualsiasi forma d’arte brillano degli stessi valori universali comunque afferenti l’ esistenza umana. Questo evento evidenzia gli aspetti piu‘ suggestivi delle opere visive,quel mistero ineffabile che fa di esse oggetti senza tempo, universali. Non esisteranno prevenzioni per forme d’arte visiva inusitate o completamente innovative purchè esse rivelino ricchezza di valori espressivi con forte risonanza emotiva, non tralasciando di riservare attenzione alla ricerca sperimentale e ai nuovi linguaggi.

Il neologismo “ARCHEOMODERNITAS" che intitola la rivista e la mostra allude al processo che muove la ricerca artistica nell’ambito della tradizione creativa avvalendosi dell’ esempio e dell’afflato del passato, ma si connette funzionalmente e organicamente al patrimonio linguistico-espressivo del panorama contemporaneo all’epoca in cui tale processo si produce, e che a da sempre ha animato l’arte in tutte le sue forme rendendo, prima o poi, protagonisti del panorama culturale quegli artisti, anche i più misconosciuti nella propria epoca, che hanno saputo raccogliere l’eredità preziosa dei Maestri o/e elementi essenziali
dell’esistenza, coniugandoli e fondendoli con l’espressività del loro presente.
In tale ottica “ARCHEOMODERNITAS" intende superare le distinzioni
tra “antico” e “moderno” puntando l’ attenzione "su ineffabili fatti d’arte visiva” grazie al contributo di esperti e professionisti accreditati nel campo dell’arte, senza porre limiti o barriere tra epoche, in quanto le componenti di qualsiasi forma d’arte brillano degli stessi valori universali comunque afferenti l’ esistenza umana.
Questo evento evidenzia gli aspetti piu‘ suggestivi delle opere visive,quel mistero ineffabile che fa di esse oggetti senza tempo, universali.
Non esisteranno prevenzioni per forme d’arte visiva inusitate o completamente innovative purchè esse rivelino ricchezza di valori espressivi con forte risonanza emotiva, non tralasciando di riservare attenzione alla ricerca sperimentale e ai nuovi linguaggi.

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Il lettore deve essere informato del fatto, non<br />

tras<strong>cura</strong>bile, che le volumetrie cromatiche<br />

<strong>di</strong> Albers (le superfici <strong>di</strong> colore dei quadrati<br />

all’interno <strong>di</strong> altri quadrati) servivano a stabilire<br />

<strong>di</strong>stanze percettive <strong>di</strong>verse fra il piano<br />

e l’osservatore; al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> qualunque volontà<br />

<strong>di</strong> simulare una profon<strong>di</strong>tà prospettica; la<br />

spazialità evocata in quelle opere avrebbe<br />

dovuto abbandonare la superficie fisica del<br />

piano pittorico per invadere lo spazio reale,<br />

come quello, altrettanto solido e concreto.<br />

Ebbene, questa spazialità (il fatto <strong>di</strong> percepire<br />

realmente delle "<strong>di</strong>stanze" oltre ogni tipo<br />

<strong>di</strong> rappresentazione realistica) al <strong>di</strong> qua della<br />

superficie del piano pittorico intesa come<br />

piano <strong>di</strong> espansione avrebbe caratterizzato,<br />

alla fine degli anni sessanta, le invenzioni <strong>di</strong><br />

artisti come Mark Rothko (autore che Adele<br />

Plotkin teneva ben presente).<br />

Le superfici piatte dell’artista <strong>di</strong> Newark sviluppano<br />

(così come nelle opere <strong>di</strong> Albers o<br />

Rothko) un volume, oltre il piano pittorico. I<br />

margini percettivi denotati attraverso il cambio<br />

<strong>di</strong> tonalità dei cartoncini colorati, serve<br />

a suggerire <strong>di</strong>stanze <strong>di</strong>verse fra piani contigui.<br />

A proposito <strong>di</strong> quei cartoncini colorati, si<br />

tratta <strong>di</strong> un dettaglio che non tutti conoscono.<br />

Non è un caso che Adele Plotkin ne facesse<br />

largo uso; aveva in<strong>fatti</strong> imparato ad impiegarli<br />

proprio a Yale con Albers. Quest’ultimo<br />

chiedeva ai suoi studenti <strong>di</strong> portare con sé ritagli<br />

<strong>di</strong> carta colorata <strong>di</strong> ogni tipo, in questo<br />

modo, egli <strong>di</strong>ceva, si sarebbe evitato <strong>di</strong> perdere<br />

tempo a colorare gli spazi <strong>di</strong> carta per svolgere<br />

gli esercizi sull’interazione del colore. Le<br />

superfici colorate già pronte risultavano più<br />

versatili e adatte allo scopo da raggiungere.<br />

Questa praticità e, soprattutto, l’esclusione<br />

della parte manuale, introduceva un metodo<br />

<strong>di</strong>dattico che lei stessa avrebbe impiegato<br />

più tar<strong>di</strong> nelle sue lezioni. Ma abbiamo detto<br />

che negli anni in cui insegnò a <strong>Bari</strong>, Adele<br />

Plotkin non <strong>di</strong>ssociò quell’attività <strong>di</strong> docente<br />

con quella professionale. Anzi, così come per<br />

Albers, quest’ultima rappresentò una continuazione<br />

<strong>di</strong> quella. Nel suo stu<strong>di</strong>o preparava<br />

con un’accortezza maniacale i suoi cartoncini,<br />

rigorosamente blu-azzurro nelle sotto tonalità<br />

più calde o più fredde. Lo faceva tinteggiando<br />

uniformemente con colori acrilici<br />

vaste porzioni <strong>di</strong> carta <strong>di</strong> supporto. "Di tanti<br />

allegri colori - ebbe modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re - un salto ad<br />

uno solo, l’azzurro. Senza un perché, ma una<br />

semplice necessità viscerale che irrompe; un<br />

blu opaco, denso, che assorbe la luce e racconta<br />

poco. Tutt’ora mi tiene compagnia, in<br />

una forma o un’altra" (3).<br />

Da Albers aveva imparato a <strong>di</strong>stinguere fra<br />

un margine "tagliato" <strong>di</strong> netto ed uno semplicemente<br />

"strappato". L’effetto risultava <strong>di</strong>verso.<br />

Invito il lettore più curioso a notare questi<br />

importanti dettagli. I lavori eseguiti fra il<br />

1987 ed il 1990 cono caratterizzati da questa<br />

tecnica raffinatissima e, a mio parere, raggiungono<br />

la massima complessità sintattica.<br />

I piani pittorici <strong>di</strong> questo periodo non hanno<br />

una forma, non sono nemmeno circolari; perché<br />

quella forma era sembrata, in un primo<br />

momento, rispecchiare meglio l’idea <strong>di</strong> uno<br />

spazio senza limiti. In effetti, che <strong>di</strong>fferenza<br />

vi è fra un punto ed un <strong>di</strong>sco? L’infinitamente<br />

piccolo (ma quanto) e l’infinitamente grande<br />

(ma quanto). Così lo stesso Kan<strong>di</strong>nsky aveva<br />

osservato. No, lo spazio non si può definire se<br />

non attraverso l’esperienza dei sensi e persino<br />

attraverso una forma simbolica come il quadrato<br />

o il cerchio, si rischierebbe <strong>di</strong> rimanere<br />

vincolati a dei limiti rigi<strong>di</strong>. Quelle non-forme<br />

sembrano, all’artista <strong>di</strong> Newark, le più adatte<br />

ad incarnare questo concetto. La circonferenza<br />

rimane, all’interno <strong>di</strong> quelle non-forme<br />

con il solo scopo <strong>di</strong> evidenziare (quasi come<br />

avviene per il meccanismo delle forme frattali)<br />

che a partire da qualunque punto <strong>di</strong> quello<br />

spazio <strong>di</strong> superficie, è possibile una iterazione<br />

all’infinito, verso l’interno e verso l’esterno.<br />

Più precisamente: se una forma circolare riassume<br />

simbolicamente lo spazio circostante<br />

(come a <strong>di</strong>re, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> questi bor<strong>di</strong> lo spazio<br />

"continua"), uno spazio <strong>di</strong> superficie delimitato<br />

da margini fluttuanti e casualmente asimmetrici<br />

può a sua volta contenere (come un<br />

pianeta rispetto al sistema solare), o meglio,<br />

contiene in sé qualsiasi altra forma, come<br />

quella circolare. Spesso queste composizioni<br />

rivelano (a volte in maniera assai celata, come<br />

se quel particolare fosse stato sottoposto ad<br />

un ingran<strong>di</strong>mento) un frammento <strong>di</strong> circonferenza<br />

interrotto dai bor<strong>di</strong> curvilinei del piano<br />

<strong>di</strong> supporto, quasi lo tagliano bruscamente;<br />

come a <strong>di</strong>re: al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> questa superficie tutto<br />

può continuare "come se". È quel che accade<br />

in una <strong>di</strong> queste composizioni senza titolo<br />

del 1990, in cui uno <strong>di</strong> questi margini anomali<br />

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