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La poetica di<br />
Greg Lake<br />
di Alberto Sgarlato<br />
Il panorama del rock progressivo inglese di<br />
inizio anni ’70 offriva anche validissimi autori<br />
di testi, nonostante si tenda spesso a porre<br />
maggiore attenzione alla complessità e alla<br />
potenza evocativa delle musiche.<br />
Da una parte c’erano Gabriel, Hammill,<br />
Sinfield, fini letterati che, con testi surreali,<br />
intricati, ricchi di citazioni e di giochi di parole,<br />
offrivano un’allegoria della società inglese<br />
dell’epoca con tutti i suoi mali. Dall’altra Jon<br />
Anderson, degli Yes, privilegiava la musicalità<br />
delle frasi e delle singole sillabe, dando vita<br />
a testi criptici ed ermetici, nei quali, però,<br />
talvolta trapelavano messaggi densi di<br />
misticismo e ambientalismo.<br />
In tutto questo, Greg Lake costituiva una<br />
realtà a sé stante: la sua era una “poesia delle<br />
piccole cose del quotidiano”. Certo, la sua<br />
penna era elegante e raffinata, la sua scrittura<br />
mai banale e prevedibile, ma i suoi messaggi<br />
erano chiari e diretti.<br />
Escludiamo le collaborazioni degli ELP con<br />
Pete Sinfield, amico di Lake dai tempi della<br />
comune militanza nei King Crimson e spesso<br />
al servizio della band in qualità di paroliere,<br />
ed escludiamo anche quella folle ma<br />
geniale storia fiabesca e surreale dedicata al<br />
mostruoso Tarkus, creatura ibrida partorita<br />
da un vulcano.<br />
Parliamo invece dei brani che Greg Lake<br />
sentiva più intimamente suoi: un simbolo<br />
su tutti è l’ormai leggendaria “Lucky Man”,<br />
vero inno antimilitarista nel quale l’autore<br />
ci racconta la storia di un uomo bello, ricco<br />
e forte, che aveva tutto, una casa elegante,<br />
numerose donne, agi e lussi, ma nel momento<br />
in cui muore in battaglia capisce che tutta<br />
quella fortuna non gli era servita a niente.<br />
Le ballad di Lake parlano spesso di amori in<br />
crisi, di storie da ricucire, come “From the<br />
beginning” (forse avrei dovuto cambiare /<br />
non essere così crudele e stupido / ma quel<br />
che è fatto è fatto / ed era destino che tu fossi<br />
accanto a me fin dall’inizio), oppure “Still<br />
you turn me on” (vedi dovevo dirtelo / so<br />
che non sembra che abbia senso / ma tu mi<br />
accendi ancora), o ancora “C’est la vie”, dove<br />
Lake racconta: “rimangono le ceneri del mio<br />
desiderio per te”.<br />
Lake era capace certamente anche di testi<br />
meno drammatici e più leggeri, come la<br />
dolcissima “I believe in Father Christmas”,<br />
(Vi auguro un Natale pieno di speranza / Vi<br />
auguro un felice anno nuovo / Ogni angoscia,<br />
dolore e tristezza / lasci il vostro cuore e<br />
lasci il vostro cammino limpido). E quando<br />
il tocco pianistico di Keith Emerson si faceva<br />
più ‘vaudeville’, il grande Lake sapeva ben<br />
reggere il passo, come nella buffa “Jeremy<br />
Bender”, storia di un cow-boy che si traveste<br />
da suora ma sotto l’abito talare si rivela essere<br />
un gran picchiatore, o in “Are you ready,<br />
Eddie?”, rock’n’roll demenziale dedicato al<br />
grande produttore artistico Eddie Offord e<br />
interamente costruito sul gioco di parole tra il<br />
nome “Eddie” e la parola “Edit” (inteso come<br />
manipolazione – o editing – dei suoni).<br />
Insomma, al cospetto del sound maestoso,<br />
solenne, sinfonico e ricercato del trio, ancora<br />
oggi si può serenamente affermare che Greg<br />
Lake era ‘il volto umano’ degli ELP.<br />
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