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GREG LAKE

MAT2020-LAKE

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La poetica di<br />

Greg Lake<br />

di Alberto Sgarlato<br />

Il panorama del rock progressivo inglese di<br />

inizio anni ’70 offriva anche validissimi autori<br />

di testi, nonostante si tenda spesso a porre<br />

maggiore attenzione alla complessità e alla<br />

potenza evocativa delle musiche.<br />

Da una parte c’erano Gabriel, Hammill,<br />

Sinfield, fini letterati che, con testi surreali,<br />

intricati, ricchi di citazioni e di giochi di parole,<br />

offrivano un’allegoria della società inglese<br />

dell’epoca con tutti i suoi mali. Dall’altra Jon<br />

Anderson, degli Yes, privilegiava la musicalità<br />

delle frasi e delle singole sillabe, dando vita<br />

a testi criptici ed ermetici, nei quali, però,<br />

talvolta trapelavano messaggi densi di<br />

misticismo e ambientalismo.<br />

In tutto questo, Greg Lake costituiva una<br />

realtà a sé stante: la sua era una “poesia delle<br />

piccole cose del quotidiano”. Certo, la sua<br />

penna era elegante e raffinata, la sua scrittura<br />

mai banale e prevedibile, ma i suoi messaggi<br />

erano chiari e diretti.<br />

Escludiamo le collaborazioni degli ELP con<br />

Pete Sinfield, amico di Lake dai tempi della<br />

comune militanza nei King Crimson e spesso<br />

al servizio della band in qualità di paroliere,<br />

ed escludiamo anche quella folle ma<br />

geniale storia fiabesca e surreale dedicata al<br />

mostruoso Tarkus, creatura ibrida partorita<br />

da un vulcano.<br />

Parliamo invece dei brani che Greg Lake<br />

sentiva più intimamente suoi: un simbolo<br />

su tutti è l’ormai leggendaria “Lucky Man”,<br />

vero inno antimilitarista nel quale l’autore<br />

ci racconta la storia di un uomo bello, ricco<br />

e forte, che aveva tutto, una casa elegante,<br />

numerose donne, agi e lussi, ma nel momento<br />

in cui muore in battaglia capisce che tutta<br />

quella fortuna non gli era servita a niente.<br />

Le ballad di Lake parlano spesso di amori in<br />

crisi, di storie da ricucire, come “From the<br />

beginning” (forse avrei dovuto cambiare /<br />

non essere così crudele e stupido / ma quel<br />

che è fatto è fatto / ed era destino che tu fossi<br />

accanto a me fin dall’inizio), oppure “Still<br />

you turn me on” (vedi dovevo dirtelo / so<br />

che non sembra che abbia senso / ma tu mi<br />

accendi ancora), o ancora “C’est la vie”, dove<br />

Lake racconta: “rimangono le ceneri del mio<br />

desiderio per te”.<br />

Lake era capace certamente anche di testi<br />

meno drammatici e più leggeri, come la<br />

dolcissima “I believe in Father Christmas”,<br />

(Vi auguro un Natale pieno di speranza / Vi<br />

auguro un felice anno nuovo / Ogni angoscia,<br />

dolore e tristezza / lasci il vostro cuore e<br />

lasci il vostro cammino limpido). E quando<br />

il tocco pianistico di Keith Emerson si faceva<br />

più ‘vaudeville’, il grande Lake sapeva ben<br />

reggere il passo, come nella buffa “Jeremy<br />

Bender”, storia di un cow-boy che si traveste<br />

da suora ma sotto l’abito talare si rivela essere<br />

un gran picchiatore, o in “Are you ready,<br />

Eddie?”, rock’n’roll demenziale dedicato al<br />

grande produttore artistico Eddie Offord e<br />

interamente costruito sul gioco di parole tra il<br />

nome “Eddie” e la parola “Edit” (inteso come<br />

manipolazione – o editing – dei suoni).<br />

Insomma, al cospetto del sound maestoso,<br />

solenne, sinfonico e ricercato del trio, ancora<br />

oggi si può serenamente affermare che Greg<br />

Lake era ‘il volto umano’ degli ELP.<br />

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