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Gaetano Salvem<strong>in</strong>i<br />

LE ORIGINI DEL FASCISMO IN ITALIA<br />

LEZIONI DI HARVARD<br />

a cura di Roberto Vivarelli<br />

Feltr<strong>in</strong>elli Editore, Milano: apri<strong>le</strong> 1966<br />

(Collana Universa<strong>le</strong> Economica)<br />

NOTA DI COPERTINA<br />

Le "Lezioni di Harvard" furono redatte <strong>in</strong>torno al 1943 negli Stati Uniti d'America,<br />

dove Salvem<strong>in</strong>i aveva trovato stabi<strong>le</strong> asilo s<strong>in</strong> dal 1933 e dove, a partire dal 1934,<br />

ricoprì presso la Harvard University una cattedra di storia <strong>del</strong>la civiltà italiana.<br />

Dest<strong>in</strong>ate ad un pubblico di studenti americani, esse risentono naturalmente nella loro<br />

impostazione di uno sforzo per chiarificare il più possibi<strong>le</strong> e rendere più facilmente<br />

comprensibili, a chi non abbia esperienza diretta di cose italiane, situazioni e<br />

fenomeni <strong>del</strong>la nostra storia, senza tuttavia cadere mai <strong>in</strong> una schematica<br />

semplificazione dei fatti ta<strong>le</strong> da privarli <strong>del</strong>la loro profondità prospettica. Ciò che ne<br />

risulta è una esposizione di straord<strong>in</strong>aria nitidezza, che fa di quest'opera uno<br />

strumento prezioso specialmente per tutti quei giovani e giovanissimi che il <strong>fascismo</strong><br />

non conobbero e per quanti, ormai quarantenni, che lo conobbero appena, <strong>in</strong> troppo<br />

tenera età, negli ultimi anni di guerra, oppure non lo conobbero affatto per esperienza<br />

diretta e <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> appresero solo, più tardi, per sentito dire; i quali desider<strong>in</strong>o<br />

<strong>in</strong>vece rendersi conto <strong>del</strong><strong>le</strong> sue <strong>orig<strong>in</strong>i</strong> nel quadro comp<strong>le</strong>ssivo <strong>del</strong>la storia italiana, e<br />

conoscere attraverso quali vie esso riuscì ad affermarsi. Comp<strong>le</strong>ssivamente, anche per<br />

il tono più meditato e meno direttamente po<strong>le</strong>mico rispetto ad altri scritti precedenti,<br />

quest'opera costituisce il frutto più maturo <strong>del</strong> pensiero <strong>salvem<strong>in</strong>i</strong>ano <strong>in</strong>torno al<br />

<strong>fascismo</strong>, nella pacata disam<strong>in</strong>a <strong>del</strong>la cui brutalità Salvem<strong>in</strong>i riconferma di considerare<br />

l'<strong>in</strong>segnamento <strong>del</strong>la storia come il più valido strumento di libera educazione civi<strong>le</strong>.


INDICE<br />

Nota <strong>in</strong>troduttiva.<br />

LEZIONI DI HARVARD.<br />

Capitolo primo.<br />

L'Italia dal 1871 al 1919.<br />

Osservazioni al capitolo primo.<br />

Capitolo secondo.<br />

La crisi <strong>del</strong> dopoguerra.<br />

Capitolo terzo.<br />

La ripresa <strong>del</strong>l'Italia.<br />

Osservazioni al capitolo terzo.<br />

Capitolo quarto.<br />

L'arretratezza <strong>del</strong>l'Italia e il 'Volksgeist'.<br />

Capitolo qu<strong>in</strong>to.<br />

L'assetto politico <strong>del</strong> 1914.<br />

Osservazioni al capitolo qu<strong>in</strong>to.<br />

Capitolo sesto.<br />

Il colpo di stato <strong>del</strong> maggio 1915.<br />

Osservazioni al capitolo sesto.<br />

Capitolo settimo.<br />

Mussol<strong>in</strong>i e i 'fascisti <strong>del</strong>la prima ora'.<br />

Osservazioni al capitolo settimo.<br />

Capitolo ottavo.<br />

Il partito popolare.<br />

Osservazioni al capitolo ottavo.<br />

Capitolo nono.<br />

Il partito socialista.<br />

Osservazioni al capitolo nono.<br />

Capitolo decimo.<br />

Lo sciopero genera<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'apri<strong>le</strong> 1919.<br />

Capitolo undicesimo<br />

L'Italia nel giugno <strong>del</strong> 1919.<br />

Osservazioni al capitolo undicesimo.<br />

Capitolo dodicesimo.<br />

Da Orlando a Nitti.


Capitolo tredicesimo.<br />

Conservatori e rivoluzionari.<br />

Osservazioni al capitolo tredicesimo.<br />

Capitolo quattordicesimo.<br />

'La terra ai contad<strong>in</strong>i' e D'Annunzio a Fiume.<br />

Capitolo qu<strong>in</strong>dicesimo.<br />

La paralisi parlamentare.<br />

Capitolo sedicesimo.<br />

Il 'bolscevismo' italiano nel 1920.<br />

Capitolo diciassettesimo.<br />

L'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche.<br />

Osservazioni al capitolo diciassettesimo.<br />

Capitolo diciottesimo.<br />

La reazione 'antibolscevica'.<br />

Capitolo diciannovesimo.<br />

Il drago rosso e la camicia nera.<br />

Capitolo ventesimo.<br />

La congiura militare.<br />

Capitolo ventunesimo.<br />

'Un capo che precede, non un capo che segue'.<br />

Capitolo ventiduesimo.<br />

Il partito popolare e il Vaticano.<br />

Capitolo ventitreesimo.<br />

Lo sciopero genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1-3 agosto 1922.<br />

Capitolo ventiquattresimo.<br />

La marcia su Roma.<br />

Osservazioni al capitolo ventiquattresimo.<br />

Capitolo ventic<strong>in</strong>quesimo.<br />

Il <strong>del</strong>itto Matteotti.<br />

Capitolo ventiseiesimo.<br />

La costituzione <strong>del</strong>lo stato totalitario.<br />

1. Lo stato a partito unico.<br />

2. Gli istituti corporativi.<br />

3. Le e<strong>le</strong>zioni totalitarie.<br />

Capitolo ventisettesimo.<br />

Chiesa e Stato.<br />

NOTE.


NOTA INTRODUTTIVA<br />

L'opera che qui si presenta non venne mai pubblicata durante la vita <strong>del</strong> suo autore;<br />

concepita come corso universitario per gli studenti <strong>del</strong>l'università americana di<br />

Harvard e redatta <strong>in</strong> forma di <strong>le</strong>zioni presumibilmente <strong>in</strong>torno al 1943, di essa<br />

vennero fatte allora solo poche copie a ciclosti<strong>le</strong>. In quel tempo Gaetano Salvem<strong>in</strong>i,<br />

che per ragioni politiche nell'agosto <strong>del</strong> 1925 aveva def<strong>in</strong>itivamente abbandonato<br />

l'Italia e la cattedra di cui era titolare a Firenze, si trovava da circa un decennio negli<br />

Stati Uniti, dove a partire dal 1934 aveva trovato stabi<strong>le</strong> e cordia<strong>le</strong> asilo presso la<br />

Harvard University, occupando una cattedra di storia <strong>del</strong>la civiltà italiana <strong>in</strong>titolata a<br />

Lauro De Bosis. Ciò permise a Salvem<strong>in</strong>i di riprendere <strong>in</strong> più serene condizioni morali<br />

e materiali la sua attività di studioso e di <strong>in</strong>segnante, e di portare a compimento<br />

quell'opera di ricerca e di rif<strong>le</strong>ssione critica, <strong>in</strong><strong>in</strong>terrottamente condotta s<strong>in</strong><br />

dall'avvento di Mussol<strong>in</strong>i al potere, per chiarire a sé e spiegare agli altri come fu che il<br />

<strong>fascismo</strong> nacque e si affermò nella vita italiana: che è appunto il tema di queste<br />

Lezioni di Harvard.<br />

Dest<strong>in</strong>ate ad un pubblico di studenti americani, e scritte perciò <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se, esse<br />

risentono naturalmente nell'impostazione di uno sforzo per chiarificare il più possibi<strong>le</strong><br />

e rendere facilmente comprensibili, a chi non abbia esperienza diretta di cose italiane,<br />

situazioni e fenomeni <strong>del</strong>la nostra storia, talvolta con riferimenti alla storia americana<br />

e all'esperienza anglosassone, che possono apparire s<strong>in</strong>golari a un <strong>le</strong>ttore italiano. Ma<br />

non si può dire mai, neppure <strong>in</strong> casi particolari, che i fatti appaiano perciò<br />

eccessivamente semplificati o resi <strong>in</strong> modo schematico, privati <strong>in</strong>somma <strong>in</strong> qualche<br />

modo <strong>del</strong>la loro profondità prospettica. Al contrario, uno degli aspetti di maggior<br />

rilievo di queste "Lezioni" è la meditata visione d'<strong>in</strong>sieme <strong>del</strong> quadro di storia italiana<br />

<strong>in</strong> cui si <strong>in</strong>serisce il fenomeno fascista, sicché tutte quel<strong>le</strong> forze e quegli e<strong>le</strong>menti<br />

particolari che condizionarono la conquista fascista <strong>del</strong> potere appaiono qui già<br />

disposti <strong>in</strong> una prospettiva storica, e il giudizio di Salvem<strong>in</strong>i si spoglia di ogni asprezza<br />

po<strong>le</strong>mica per offrirsi come maturo frutto di una lunga e più comprensiva rif<strong>le</strong>ssione.<br />

Come è già noto, nella composizione di queste "Lezioni" Salvem<strong>in</strong>i si valse <strong>del</strong>la<br />

collaborazione di Gi<strong>org</strong>io La Piana, anch'egli italiano espatriato, seppur per altre<br />

ragioni e <strong>in</strong> diverso tempo, e professore nella stessa Harvard University. Determ<strong>in</strong>are<br />

i limiti precisi di questa collaborazione costituisce uno di quei prob<strong>le</strong>mi praticamente<br />

<strong>in</strong>solubili; la profonda amicizia che <strong>le</strong>gava Salvem<strong>in</strong>i e La Piana, la loro cont<strong>in</strong>ua<br />

vic<strong>in</strong>anza <strong>in</strong> quegli anni, il loro costante scambio di idee e di op<strong>in</strong>ioni sul<strong>le</strong> vicende<br />

italiane, sono tutti e<strong>le</strong>menti che portano a far ritenere come <strong>in</strong>dubbiamente ri<strong>le</strong>vante<br />

la parte di La Piana, soprattutto come stimolo critico, <strong>in</strong> quel genera<strong>le</strong> processo di<br />

'ripensamento' <strong>del</strong>la storia d'Italia rispetto al <strong>fascismo</strong> qua<strong>le</strong> si dispiega nel quadro<br />

tracciato <strong>in</strong> queste "Lezioni". Ma quanto alla stesura materia<strong>le</strong> <strong>del</strong> testo e alla parte<br />

vera e propria <strong>del</strong>la ricerca è da ritenere che, ad eccezione forse dei capitoli che più<br />

da vic<strong>in</strong>o trattano <strong>del</strong><strong>le</strong> questioni con la Chiesa, il lavoro sia tutto di Salvem<strong>in</strong>i. Difatti<br />

non solo si ritrova qui, sia pure ampiamente rielaborato, buona parte <strong>del</strong> materia<strong>le</strong> di<br />

precedenti scritti di Salvem<strong>in</strong>i <strong>in</strong>torno agli stessi temi, ma addirittura alcune <strong>del</strong><strong>le</strong> idee<br />

direttrici di queste "Lezioni" sono già riscontrabili <strong>in</strong> pag<strong>in</strong>e <strong>del</strong> suo diario <strong>del</strong> 1922: a<br />

testimonianza di un lungo lavorio di ricerca e di meditazione sul fenomeno fascista,<br />

condotto <strong>in</strong> assoluta <strong>in</strong>dipendenza, e di cui quest'opera costituisce a conti fatti il<br />

risultato conclusivo.<br />

Se dunque queste "Lezioni di Harvard" rappresentano la più compiuta espressione <strong>del</strong><br />

pensiero di Salvem<strong>in</strong>i <strong>in</strong>torno al prob<strong>le</strong>ma <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>orig<strong>in</strong>i</strong> <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> <strong>in</strong> Italia,<br />

rimarrebbe tuttavia ancora da vedere qua<strong>le</strong> sia il loro valore attua<strong>le</strong>, a oltre vent'anni<br />

di distanza dalla loro stesura e dopo che una massa cospicua di studi e ricerche


particolari si è venuta via via pubblicando <strong>in</strong> questi ultimi anni. In realtà, proprio alla<br />

luce di tutta questa nuova <strong>le</strong>tteratura l'opera di Salvem<strong>in</strong>i mostra di non aver perso<br />

nulla <strong>del</strong>la sua efficacia. Intanto andrà ricordato come <strong>le</strong> ricerche più importanti<br />

pubblicate <strong>in</strong> questi ultimi vent'anni <strong>in</strong>torno al<strong>le</strong> <strong>orig<strong>in</strong>i</strong> <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> hanno avuto<br />

preva<strong>le</strong>ntemente carattere monografico; sono davvero rare <strong>le</strong> opere apparse dopo la<br />

caduta <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> che si siano poste come oggetto di studio l'<strong>in</strong>sieme <strong>del</strong>la storia<br />

d'Italia tra la prima guerra mondia<strong>le</strong> e la marcia su Roma. Può qu<strong>in</strong>di ben dirsi che<br />

come quadro comp<strong>le</strong>ssivo, accanto semmai all'altro tracciato nella classica opera di<br />

Angelo Tasca, questo di Salvem<strong>in</strong>i rimane ancora assolutamente <strong>in</strong>superato. Inoltre,<br />

proprio la maggior somma di notizie particolari di cui oggi disponiamo <strong>in</strong>torno al tema<br />

di quest'opera grazie ai nuovi studi, sembra sempre più confermare la solidità di<br />

impostazione <strong>del</strong> lavoro di Salvem<strong>in</strong>i, sia nel<strong>le</strong> l<strong>in</strong>ee generali che nella percezione dei<br />

s<strong>in</strong>goli fenomeni. Ma, soprattutto, è la capacità di Salvem<strong>in</strong>i di svolgere sulla base dei<br />

fatti un limpido discorso critico, è proprio cioè l'apporto di pensiero che Salvem<strong>in</strong>i<br />

reca, accanto ed oltre i fatti narrati, ad illum<strong>in</strong>arne il significato e giudicarne il valore,<br />

ciò che garantisce la permanente validità di quest'opera nella storia <strong>del</strong>la storiografia<br />

sul<strong>le</strong> <strong>orig<strong>in</strong>i</strong> <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> e <strong>in</strong> qualche misura nella storia <strong>del</strong> nostro pensiero politico.<br />

Il testo che qui si presenta è la ristampa identica, salvo poche correzioni di errori<br />

materiali, di quello contenuto nel volume primo di "Scritti sul <strong>fascismo</strong>", pubblicato nel<br />

1961 presso questo stesso editore nella serie 'Opere di Gaetano Salvem<strong>in</strong>i,' dove<br />

queste "Lezioni di Harvard" vennero stampate per la prima volta. Tuttavia, al<br />

sottotitolo apposto allora, "L'Italia dal 1919 al 1929", si è oggi preferito quello più<br />

comprensivo di "Le <strong>orig<strong>in</strong>i</strong> <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> <strong>in</strong> Italia", l'uno e l'altro, <strong>del</strong> resto, frutto di una<br />

decisione editoria<strong>le</strong>, data la <strong>in</strong>certezza di titolo <strong>in</strong> cui quest'opera fu lasciata<br />

dall'autore. Tutte <strong>le</strong> note non siglate N.d.C. (nota <strong>del</strong> curatore) sono di Salvem<strong>in</strong>i.<br />

R. V.<br />

1961.


CAPITOLO PRIMO.<br />

L'ITALIA DAL 1871 AL 1919.<br />

Dei tre paesi europei, Russia, Italia e Germania, che attualmente si trovano sotto un<br />

regime dittatoria<strong>le</strong>, l'Italia soltanto aveva precedentemente una forma democratica di<br />

governo. Sia nella Russia zarista che nella Germania imperia<strong>le</strong>, tutte <strong>le</strong> potestà<br />

sovrane, direttamente o <strong>in</strong>direttamente, si trovavano prima <strong>del</strong>la guerra nel<strong>le</strong> mani<br />

<strong>del</strong>la corona, <strong>del</strong>la casta militare e <strong>del</strong>la burocrazia civi<strong>le</strong>. Sia <strong>in</strong> Russia che <strong>in</strong><br />

Germania, si ebbe l'<strong>in</strong>staurazione di un governo repubblicano <strong>in</strong> seguito alla disfatta<br />

militare. Le nuove istituzioni democratiche non avevano dietro di sé nessuna<br />

tradizione. Esse erano il prodotto <strong>del</strong>la sconfitta militare. Il regime democratico russo<br />

non ebbe neppure il tempo di sol<strong>le</strong>varsi dal caos e darsi <strong>org</strong>ani propri; tanto che non<br />

fu un regime democratico quello che sotto l'assalto dei comunisti venne sconfitto, ma<br />

solo il tentativo di costruirne uno dal<strong>le</strong> rov<strong>in</strong>e <strong>del</strong> regime zarista. Per quanto<br />

imponente e radica<strong>le</strong> possa essere come esperimento socia<strong>le</strong> ed economico, la<br />

dittatura <strong>del</strong> partito comunista è stata s<strong>in</strong>ora una nuova forma di assolutismo al posto<br />

<strong>del</strong>lo zarismo. In Germania, la sconfitta che causò l'allontanamento degli Hohenzol<strong>le</strong>rn<br />

e <strong>del</strong><strong>le</strong> altre d<strong>in</strong>astie pr<strong>in</strong>cipesche scosse la potenza <strong>del</strong>la casta militare, ma non la<br />

distrusse, e questa trovò subito il modo di ri<strong>org</strong>anizzarsi. La vecchia burocrazia<br />

rimaneva <strong>in</strong>tatta. La Repubblica di Weimar non osò neppure sopprimere i privi<strong>le</strong>gi e<br />

confiscare <strong>le</strong> proprietà di quei casati pr<strong>in</strong>cipeschi, di quegli "junkers" e di quei capi<br />

militari che erano stati i responsabili <strong>del</strong>la sconfitta. La prima ragione <strong>del</strong>la sua<br />

esistenza fu quella di placare i v<strong>in</strong>citori. La casta militare <strong>le</strong> permise di rimanere <strong>in</strong><br />

vita f<strong>in</strong>tanto che la situazione <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong> ne rese necessaria l'esistenza. Ma non<br />

appena venne al<strong>le</strong>ntata quella morsa nella qua<strong>le</strong>, sotto forma di occupazione militare<br />

e di riparazioni f<strong>in</strong>anziarie, i v<strong>in</strong>citori str<strong>in</strong>gevano la Germania, la Repubblica di<br />

Weimar venne liquidata. Non fu un regime democratico costituito quello che sotto<br />

l'attacco dei nazisti venne sconfitto, ma solo un regime democratico tol<strong>le</strong>rato.<br />

Ma dove effettivamente <strong>le</strong> istituzioni democratiche vennero sconfitte fu <strong>in</strong> Italia. Qui la<br />

libertà politica era stata conquistata attraverso mezzo secolo di lotte e di sofferenze<br />

(1820-1870), e quando, nel 1922, ebbe luogo il disastro, il regime libero aveva dietro<br />

di sé un altro mezzo secolo di vita. Durante questo mezzo secolo, <strong>le</strong> classi dirigenti<br />

italiane dovettero affrontare il compito di costruire un sistema amm<strong>in</strong>istrativo ed<br />

economico capace di reggere. Il prob<strong>le</strong>ma era assai più arduo <strong>in</strong> Italia di quanto non<br />

lo fosse stato negli Stati Uniti d'America dopo la Rivoluzione. Sia <strong>in</strong> Italia che <strong>in</strong><br />

America, <strong>le</strong> più vive speranze che, una volta conseguita l'<strong>in</strong>dipendenza dallo straniero,<br />

potesse s<strong>org</strong>ere quasi per <strong>in</strong>canto un periodo di immediata prosperità si mutarono,<br />

nel primo periodo di riassestamento <strong>del</strong> paese, <strong>in</strong> una <strong>del</strong>usione profonda. Ma, a<br />

differenza <strong>del</strong>l'America, l'Italia era formata di tante parti, ciascuna <strong>del</strong><strong>le</strong> quali per<br />

tredici secoli era vissuta sotto sovrani diversi e con diversi sistemi di governo. Si<br />

dovevano dimenticare tutte <strong>le</strong> tradizioni locali e i pregiudizi contrastanti.<br />

L'amm<strong>in</strong>istrazione civi<strong>le</strong>, il sistema fisca<strong>le</strong>, <strong>le</strong> forze armate, l'educazione pubblica,<br />

tutto doveva essere creato di sana pianta o ri<strong>org</strong>anizzato. Il paese non aveva carbone<br />

e solo scarsi giacimenti di ferro: <strong>le</strong> due materie prime essenziali per l'<strong>in</strong>dustria <strong>del</strong><br />

secolo diciannovesimo. Rispetto a quel<strong>le</strong> dei paesi <strong>del</strong>l'Europa centra<strong>le</strong> e occidenta<strong>le</strong>,<br />

<strong>le</strong> ferrovie erano arretrate di trent'anni; e la struttura fisica <strong>del</strong> territorio, con<br />

preva<strong>le</strong>nza di rilievi montani, ne rendeva assai costosa sia la costruzione che il<br />

mantenimento. Di vere e proprie <strong>in</strong>dustrie non si poteva parlare. Nell'Italia<br />

settentriona<strong>le</strong>, l'agricoltura non era nel comp<strong>le</strong>sso arretrata rispetto a quella dei paesi<br />

limitrofi. Ma nell'Italia meridiona<strong>le</strong>, durante la primavera e l'estate vi è scarsità di<br />

pioggia. Tutti i fiumi <strong>del</strong> Meridione, presi <strong>in</strong>sieme, non hanno una portata d'acqua che


stia alla pari con il solo fiume Adda, uno dei numerosi affluenti <strong>del</strong> Po. Non vi è qu<strong>in</strong>di<br />

possibilità di irrigazione, e la siccità ostacola gravemente l'agricoltura. Nei terreni<br />

montani non coltivabili, e che coprono un quarto <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>tero paese e praticamente<br />

tutto il Mezzogiorno, la pioggia, cadendo sui declivi assolutamente privi di alberi,<br />

provoca <strong>del</strong><strong>le</strong> frane gigantesche, che distruggono <strong>le</strong> case coloniche situate nel<strong>le</strong><br />

vallate, e danno luogo ad acquitr<strong>in</strong>i, che a loro volta producono zanzare portatrici di<br />

malaria. Le condizioni <strong>del</strong><strong>le</strong> popolazioni rurali erano ovunque pessime. Nel Nord<br />

faceva scempio la pellagra, nel Sud la malaria. A Napoli, che era allora la città più<br />

popolosa d'Italia, il cimitero per i poveri consisteva <strong>in</strong> 365 tombe, quanti erano i giorni<br />

<strong>del</strong>l'anno. I morti, <strong>in</strong> media 200 al giorno, venivano portati al cimitero su dei carretti,<br />

come si trattasse di spazzatura, e scaraventati alla r<strong>in</strong>fusa dentro quella che era la<br />

tomba <strong>del</strong> giorno, che veniva qu<strong>in</strong>di chiusa, f<strong>in</strong>ché l'anno seguente non arrivava<br />

ancora il suo turno. (1) C'erano prov<strong>in</strong>cie, quella di Potenza ad esempio, dove<br />

praticamente i cimiteri erano sconosciuti. I poveri venivano portati a seppellire nel<strong>le</strong><br />

chiese su barel<strong>le</strong>, scoperti o coperti appena con un <strong>le</strong>nzuolo, e scaraventati senza<br />

tante cerimonie nella fossa comune, sotto il pavimento <strong>del</strong>la chiesa, dove<br />

decomponendosi appestavano l'aria. Vi erano luoghi <strong>in</strong> cui i poveri venivano buttati <strong>in</strong><br />

vorag<strong>in</strong>i naturali, di cui non si conosceva il fondo, oppure abbandonati al<strong>le</strong> ortiche di<br />

certi cosiddetti cimiteri, ove i cani si raccoglievano a far fest<strong>in</strong>o portandosi dietro per<br />

<strong>le</strong> strade ossa e crani spolpati (2).<br />

L'ostilità <strong>del</strong> Papato, il brigantaggio, una percentua<strong>le</strong> altissima di analfabetismo tra <strong>le</strong><br />

masse popolari, un pesante debito pubblico, <strong>in</strong> parte eredità dei precedenti governi<br />

locali e <strong>in</strong> parte dovuto al costo <strong>del</strong><strong>le</strong> guerre di <strong>in</strong>dipendenza e all'opera di<br />

unificazione, tutto ciò rendeva quasi disperato il compito <strong>del</strong> nuovo regime.<br />

Dopo un faticoso decennio di riassestamento (1860-1870), lo sviluppo economico<br />

<strong>del</strong>l'Italia s<strong>in</strong>o allo scoppio <strong>del</strong>la guerra <strong>del</strong> 1914-15 può essere all'<strong>in</strong>circa diviso <strong>in</strong> tre<br />

periodi: dapprima qu<strong>in</strong>dici anni di <strong>le</strong>nto ma cont<strong>in</strong>uo progresso (1871-1885); poi<br />

qu<strong>in</strong>dici anni di depressione (1886-1899); da ultimo, qu<strong>in</strong>dici anni di crescente<br />

aumento <strong>del</strong> benessere, s<strong>in</strong>o allo scoppio <strong>del</strong>la guerra.<br />

Nel 1859, la rete ferroviaria italiana non arrivava a 1800 chilometri, di cui soltanto un<br />

cent<strong>in</strong>aio nel Sud; nel 1914, essa arrivava a 13800 chilometri. Nel 1862, la flotta<br />

mercanti<strong>le</strong> a vapore italiana ammontava a 10000 tonnellate; nel 1914, a 933000. Nel<br />

1881, l'Italia aveva importato 2 milioni di tonnellate di carbone; nel 1913, ne importò<br />

quasi 11 milioni. Nel 1860, l'e<strong>le</strong>ttricità non era ancora entrata <strong>in</strong> uso; i primi impianti<br />

sorsero nel 1882; nell'anno f<strong>in</strong>anziario 1913-14, (3) l'Italia consumò 23 miliardi di<br />

chilovattore. Nel 1881, l'Italia aveva importato merci per un valore tota<strong>le</strong> di 1 miliardo<br />

e 200 milioni (pari a lire 43,7 per abitante), e aveva esportato merci per un valore<br />

tota<strong>le</strong> di 1 miliardo e 100 milioni (pari a lire 41,1 per abitante); nel 1913 il tota<strong>le</strong> <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

sue importazioni ammontò a lire 3 miliardi e 600 milioni (pari a lire 102,9 per<br />

abitante), e il tota<strong>le</strong> <strong>del</strong><strong>le</strong> sue esportazioni a lire 2 miliardi e 500 milioni (pari a lire<br />

70,9 per abitante). La differenza di 1 miliardo di lire tra importazioni ed esportazioni<br />

era largamente compensata dal<strong>le</strong> cosiddette 'esportazioni <strong>in</strong>visibili,' cioè turismo,<br />

rimesse degli emigranti e trasporti marittimi (4). Nel 1881, il risparmio depositato<br />

nel<strong>le</strong> banche ammontava a 781 milioni di lire (lire 27,65 per abitante); nel 1913, a 4<br />

miliardi e 700 milioni (lire 132,31 per abitante). Nel 1860, il governo <strong>del</strong>l'Italia<br />

all'<strong>in</strong>domani <strong>del</strong>l'unificazione poteva disporre di un'entrata non superiore ai 500<br />

milioni di lire. Nei primi qu<strong>in</strong>dici anni di vita <strong>del</strong> nuovo regime (1861-1875), <strong>le</strong> uscite<br />

superarono di gran lunga <strong>le</strong> entrate. Nel 1866, il tota<strong>le</strong> <strong>del</strong><strong>le</strong> entrate ammontò a 600<br />

milioni, quello <strong>del</strong><strong>le</strong> uscite a 1 miliardo e 200 milioni. Nel 1875, <strong>le</strong> entrate<br />

com<strong>in</strong>ciarono a superare <strong>le</strong> uscite, e s<strong>in</strong>o al 1885 il bilancio fu <strong>in</strong> avanzo. Dal 1886 al<br />

1897, si tornò ad essere <strong>in</strong> deficit; ma dal 1898 al 1911, vi furono considerevoli<br />

avanzi. La guerra per la conquista <strong>del</strong>la Libia (1912) provocò un deficit nei bilanci<br />

degli anni 1912-14; ma <strong>le</strong> condizioni generali sia economiche che f<strong>in</strong>anziarie erano


uone, e, se non fosse sopraggiunta la guerra <strong>del</strong> 1914-18, la crisi libica sarebbe<br />

stata <strong>in</strong> breve superata nel migliore dei modi. Nel 1866, un buono <strong>del</strong> tesoro <strong>del</strong><br />

valore nom<strong>in</strong>a<strong>le</strong> di 100 lire si poteva acquistare al prezzo di 40 lire; tra il 1899 e il<br />

1911, i titoli di stato italiani furono sempre al di sopra <strong>del</strong>la pari; nel 1906, venne<br />

riscattato il consolidato 4 per cento per un valore di 12 miliardi di lire, ed entrò <strong>in</strong><br />

circolazione con pieno successo una nuova emissione al 3,5 per cento. I buoni <strong>del</strong><br />

tesoro emessi dal vecchio regime (2 miliardi), come quelli emessi nel primo decennio<br />

di vita <strong>del</strong> nuovo regime (6 miliardi), erano quasi tutti nel<strong>le</strong> mani di <strong>in</strong>vestitori<br />

stranieri, specialmente francesi; poco alla volta, questi titoli furono acquistati da<br />

<strong>in</strong>vestitori italiani, e nel 1907, ai possessori stranieri ne restavano per un importo non<br />

superiore ai 650 milioni. Fu solamente a causa <strong>del</strong>la guerra di Libia che il consolidato<br />

scese a 98,59.<br />

Da 27 milioni, nel 1870, la popolazione crebbe a 35,5 milioni nel 1914. Questo<br />

aumento non era dovuto soltanto all'alto <strong>in</strong>dice di natalità, ma anche ad un più basso<br />

<strong>in</strong>dice di mortalità, ciò che era il risultato di un progresso nel<strong>le</strong> condizioni generali<br />

igieniche e sanitarie, come nel<strong>le</strong> condizioni generali di vita. Quest'ultimo fatto è<br />

dimostrato dal consumo <strong>del</strong> grano. Da una media annua di 3,6 milioni di tonnellate<br />

nell'ultimo decennio <strong>del</strong> secolo diciannovesimo, la produzione di grano salì a 5 milioni<br />

di tonnellate nel qu<strong>in</strong>quennio precedente la guerra <strong>del</strong> 1914-15.<br />

Contemporaneamente, l'importazione <strong>del</strong> grano aumentò da una media annua di 6,6<br />

milioni di tonnellate nell'ultimo qu<strong>in</strong>quennio <strong>del</strong> diciannovesimo secolo, a una media<br />

annua di 13,5 milioni di tonnellate nel qu<strong>in</strong>quennio precedente la guerra. Il consumo<br />

<strong>del</strong> grano aumentò di quattro qu<strong>in</strong>ti, mentre la popolazione era aumentata soltanto di<br />

un ottavo.<br />

Nel 1860, il 78 per cento <strong>del</strong>la popolazione <strong>in</strong> età superiore ai sei anni era analfabeta;<br />

verso il 1911, la percentua<strong>le</strong> si ridusse al 38 per cento. L'analfabetismo era<br />

praticamente scomparso tra <strong>le</strong> nuove generazioni <strong>del</strong>l'Italia <strong>del</strong> Nord, ed era stato<br />

sensibilmente ridotto tra i giovani <strong>del</strong> Meridione. L'87 per cento dei giovani che<br />

f<strong>in</strong>irono venti anni nel 1927, e dovevano qu<strong>in</strong>di aver frequentato <strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> o prima o<br />

durante la guerra, sapeva <strong>le</strong>ggere e scrivere (5).<br />

Il progresso <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong> che si ebbe nella classe italiana e<strong>le</strong>vata e media durante il<br />

c<strong>in</strong>quantennio che va dal 1871 al 1920 può essere misurato da un solo fatto. Dal<br />

1875 al 1888, si pubblicò una "Enciclopedia Italiana", <strong>le</strong> cui voci, per i nove decimi,<br />

non erano che una pietosa rimasticatura <strong>del</strong> "Larousse" e <strong>del</strong>la "Encyclopaedia<br />

Britannica". A quel tempo ciò era quanto di meglio la "<strong>in</strong>tellighenzia" italiana poteva<br />

fare. Nel 1921 fu progettata una nuova enciclopedia italiana, che fu annunciata al<br />

pubblico nel 1922, e di cui i primi c<strong>in</strong>que volumi apparvero nel 1929. Senza ombra di<br />

dubbio, essa è superiore a tutte <strong>le</strong> opere <strong>del</strong> genere pubblicate <strong>in</strong> tutti i paesi<br />

dall'<strong>in</strong>izio <strong>del</strong> secolo. Essa è un monumento al<strong>le</strong> due generazioni di uom<strong>in</strong>i che<br />

operarono per la ricostruzione <strong>del</strong>la cultura italiana dal 1870 al 1920.<br />

Vi erano <strong>in</strong> Italia, come scrisse Gioacch<strong>in</strong>o Volpe storico ufficia<strong>le</strong> <strong>del</strong>la dittatura<br />

fascista, 'fermenti operosi e forze di r<strong>in</strong>novamento e capacità di costruire sulla base di<br />

questa modesta realtà che era la realtà italiana...'<br />

«... Non erano passati venti anni dalla breccia di Porta Pia, e si facevano visibili, agli<br />

osservatori più attenti, i frutti di queste felici attitud<strong>in</strong>i, di questa laboriosità, di questa<br />

virtù di r<strong>in</strong>novarsi, di questa sensibilità agli stimoli <strong>del</strong> mondo circostante. L'unità<br />

politica, l'azione di governo sol<strong>le</strong>citava, fomentava, valorizzava» (6).<br />

Nel<strong>le</strong> pag<strong>in</strong>e di questo storico, il <strong>le</strong>ttore troverà <strong>in</strong> compendio un resoconto di quanto<br />

lo stato libera<strong>le</strong> aveva portato a compimento: pareggio <strong>del</strong> bilancio, costruzione di<br />

strade e ferrovie, migliorie agrico<strong>le</strong>, creazioni di nuove <strong>in</strong>dustrie, espansione dei<br />

traffici, fondazione di scuo<strong>le</strong> pubbliche e di istituti scientifici, provvedimenti per la


conservazione <strong>del</strong> patrimonio storico ed artistico, <strong>le</strong>gislazione socia<strong>le</strong> per la protezione<br />

dei lavoratori e la loro assistenza.<br />

Come è avvenuto <strong>in</strong> tutti gli altri paesi, il processo di <strong>in</strong>dustrializzazione e i progressi<br />

<strong>del</strong>l'agricoltura dettero luogo anche <strong>in</strong> Italia al formarsi di un partito socialista e di<br />

<strong>org</strong>anizzazioni operaie. Il socialismo contribuì <strong>in</strong> misura non piccola a e<strong>le</strong>vare<br />

<strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttualmente e moralmente <strong>le</strong> classi lavoratrici e a dare loro una educazione<br />

politica. Il risveglio <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni operaie, nonostante gli occasionali disord<strong>in</strong>i,<br />

scioperi, tumulti e conflitti che <strong>in</strong> Italia come altrove contrassegnarono la nascita <strong>del</strong><br />

socialismo, recò un notevo<strong>le</strong> contributo al processo di unificazione naziona<strong>le</strong> (7).<br />

Sarebbe faci<strong>le</strong> rimproverare agli uom<strong>in</strong>i politici <strong>del</strong>l'Italia prefascista ogni sorta di<br />

errori e di misfatti, imprese arrischiate, occasioni mancate, sprechi e <strong>le</strong>ggerezze. Non<br />

tutti i prob<strong>le</strong>mi che il paese doveva fronteggiare furono risolti, e non sempre <strong>le</strong><br />

soluzioni adottate furono <strong>le</strong> migliori e i metodi impiegati i più efficienti. Ma si sarebbe<br />

potuto <strong>in</strong> così breve tempo risolvere tutti i prob<strong>le</strong>mi? E si è mai dato nella storia<br />

esempio di un paese che abbia risolto tutti i suoi prob<strong>le</strong>mi nello spazio di mezzo<br />

secolo e senza commettere spropositi? Se ci si dà a giudicare l'opera degli uom<strong>in</strong>i<br />

politici <strong>del</strong>l'Italia prefascista assumendo come unità di misura un perfetto idea<strong>le</strong> -<br />

secondo il metodo dei riformatori politici - non vi è uomo politico che non meriti<br />

l'<strong>in</strong>ferno. Ma se si accetta il metodo <strong>del</strong>lo storico, che è quello di confrontare il punto<br />

di partenza, che per l'Italia è il 1871, col punto di arrivo, che è la prima guerra<br />

mondia<strong>le</strong>, e la povertà italiana di risorse con la ricchezza <strong>del</strong><strong>le</strong> altre nazioni, non si<br />

può non concludere che nessun paese europeo <strong>in</strong> tanto breve tempo aveva percorso<br />

così lungo camm<strong>in</strong>o.<br />

Nel 1920, uno studioso italiano di statistica ridusse <strong>in</strong> numeri <strong>in</strong>dice il movimento<br />

economico <strong>in</strong> Italia, Austria, Francia, Germania e Inghilterra, dal 1886-1890 al 1906-<br />

1910, prendendo come term<strong>in</strong>e di confronto il periodo 1901-1905, che <strong>in</strong>dicò col<br />

numero 1000. Risultò che nel periodo 1886-1890, rispetto al numero <strong>in</strong>dice 1000 <strong>del</strong><br />

periodo 1901-1905, l'Italia era <strong>in</strong>feriore di 771 unità; la Francia 711; la Germania<br />

615; la Gran Bretagna 776. Tali dati significano che, dato il punto di partenza, il<br />

progresso compiuto nei qu<strong>in</strong>dici anni dal 1886 al 1901, era stato maggiore <strong>in</strong><br />

Inghilterra e <strong>in</strong> Italia e m<strong>in</strong>ore <strong>in</strong> Germania, dove tuttavia, tra il 1871 e il 1885, vi era<br />

stato uno straord<strong>in</strong>ario balzo <strong>in</strong> avanti. Nel qu<strong>in</strong>quennio tra il 1906 e il 1910, il<br />

progresso era rappresentato dai seguenti numeri <strong>in</strong>dice: Italia 1296; Francia 1205;<br />

Germania 1192; Gran Bretagna 1055. In altre paro<strong>le</strong>, il progresso maggiore si era<br />

avuto <strong>in</strong> Italia (8).<br />

Il risultato <strong>del</strong>lo sviluppo economico, politico ed <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong> di mezzo secolo può<br />

essere misurato da un semplice fatto. Nella guerra contro l'Austria <strong>del</strong> 1866, pochi<br />

anni dopo che l'Italia si era ridestata dall'avvilimento dei regimi assolutisti, una<br />

piccola schermaglia nella qua<strong>le</strong> l'esercito italiano perdette non più di ottocento uom<strong>in</strong>i,<br />

fu sufficiente a creare nei capi militari un ta<strong>le</strong> stato di confusione e di scompiglio da<br />

rendere impossibi<strong>le</strong> ogni ulteriore <strong>in</strong>iziativa. Durante la guerra mondia<strong>le</strong>, il popolo<br />

italiano ebbe oltre mezzo milione di caduti sul campo, un altro mezzo milione di<br />

<strong>in</strong>validi, e un milione di morti a causa di epidemie; non perciò si abbandonò il terreno,<br />

e nell'autunno <strong>del</strong> 1918 gli italiani poterono essere testimoni <strong>del</strong>la disfatta<br />

<strong>del</strong>l'esercito e <strong>del</strong>l'Impero austriaco.<br />

OSSERVAZIONI AL CAPITOLO PRIMO.<br />

Chiunque si accosti alla storia d'Italia dal 1870 al 1922 senza un acuto senso critico<br />

corre il rischio di essere messo fuori strada da due ord<strong>in</strong>i di errori.<br />

Innanzitutto, la <strong>le</strong>tteratura politica italiana di quel periodo è piena di una critica amara<br />

contro tutto e contro tutti (confer a questo proposito quanto si dice alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>


capitolo seguente). I conservatori, che erano stati al governo s<strong>in</strong>o al 1876 e <strong>in</strong> seguito<br />

non erano più stati capaci di fare a modo loro, criticavano i m<strong>in</strong>isteri che non erano<br />

abbastanza conservatori. I repubblicani, i socialisti e gli anarchici li criticavano perché<br />

non permettevan loro di preparare la rivoluzione. Coloro che desideravano una<br />

amm<strong>in</strong>istrazione onesta ed efficiente e un più rapido progresso socia<strong>le</strong> li criticavano<br />

sia dicendo che non erano abbastanza onesti sia che erano assolutamente disonesti, e<br />

non abbastanza efficienti e non abbastanza progressisti. Tutti, anche gli uom<strong>in</strong>i politici<br />

che erano al potere, erano scoraggiati per la distanza profonda che divideva la vita<br />

mediocre di ogni giorno dalla promettente aspettazione che era stata covata durante<br />

<strong>le</strong> lotte e i sacrifici <strong>del</strong> Ris<strong>org</strong>imento. Più tardi, dopo il 1922, il processo si <strong>in</strong>vertì.<br />

Tutto quanto si faceva o non si faceva <strong>in</strong> Italia sotto la dittatura di Mussol<strong>in</strong>i diventava<br />

un monumento di saggezza, di efficienza e di successo.<br />

Il risultato di tutto ciò è che lo storico si trova di fronte una massa di <strong>le</strong>tteratura<br />

pessimistica, che s<strong>org</strong>e spontanea <strong>in</strong> Italia nel periodo precedente al 1922, e una<br />

massa egualmente vasta di <strong>le</strong>tteratura apologetica, che venne <strong>in</strong>coraggiata dal<br />

governo fascista dopo il 1922. In tali circostanze è faci<strong>le</strong> concludere, <strong>in</strong> perfetto<br />

accordo con la propaganda fascista, che <strong>in</strong> Italia, prima che Mussol<strong>in</strong>i <strong>in</strong>iziasse a fare i<br />

miracoli, 'non si faceva niente.'<br />

Tipici esempi di questa storiografia fascista sono: L. Villari, "The Awaken<strong>in</strong>g of Italy:<br />

the Fascist Regeneration", London, Methuen & Co., 1924, pag<strong>in</strong>e 1-8; "Italy", New<br />

York, C. Scribner's Sons, 1929, pag<strong>in</strong>e 79-134; gli articoli sull'Italia nella<br />

"Encyclopaedia Britannica", 14 ediz. alla voce "Italy", pag<strong>in</strong>e 806-817. La versione<br />

fascista è stata tranquillamente bevuta dalla maggior parte degli 'specialisti' di storia<br />

italiana di l<strong>in</strong>gua <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se. Tra questi i più deplorevoli sono: H. W. Schneider, "Mak<strong>in</strong>g<br />

the Fascist State", New York, oxford University Press, 1928, pag<strong>in</strong>e 1-15, e "The<br />

Fascist Government of Italy", New York, D. Van Nostrand, 1926, pag<strong>in</strong>e 22-25; H.<br />

Goad, "The Mak<strong>in</strong>g of the Corporate State", London, Christopher, 1932, pag<strong>in</strong>e 27-<br />

38; G. B. McG<strong>le</strong>llan, "Modern Italy", Pr<strong>in</strong>ceton, Pr<strong>in</strong>ceton University Press, 1933,<br />

pag<strong>in</strong>e 135-200. Non si riesce a capire come un ta<strong>le</strong> monumento di ignoranza,<br />

stupidità e disonestà, qua<strong>le</strong> è questo ultimo autore, abbia potuto ricevere<br />

dall'Università di Pr<strong>in</strong>ceton l'<strong>in</strong>carico di <strong>in</strong>segnare storia italiana.<br />

Nel 1901, gli storici <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si Bolton K<strong>in</strong>g e Thomas Okey, persone oneste ed assai ben<br />

preparate, pubblicarono un libro, "Italy To-Day". Lo scrissero sotto l'impressione <strong>del</strong>la<br />

grave crisi economica e <strong>del</strong> malgoverno che aveva afflitto il paese durante gli ultimi<br />

anni <strong>del</strong> secolo diciannovesimo, e presentarono qu<strong>in</strong>di un quadro pessimistico. Ma si<br />

resero anche conto che 'sotto la cort<strong>in</strong>a <strong>del</strong> malgoverno, <strong>del</strong>la corruzione e <strong>del</strong>la<br />

apatia politica, c'era una giovane nazione, piena di quel<strong>le</strong> qualità, che fanno un popolo<br />

grande' (Prefazione, pag. VI). Nel 1910, Okey, Regius Professor di italiano a Oxford,<br />

scrisse per la "Cambridge Modern History" un capitolo sull'Italia contemporanea,<br />

dove, per quanto ancora con una <strong>in</strong>tonazione piuttosto pessimistica, si ri<strong>le</strong>vavano i<br />

progressi compiuti durante gli ultimi dieci anni. Villari, nella "Fortnightly Review" <strong>del</strong><br />

15 novembre 1912, rimproverava aspramente l'<strong>in</strong>giustificato pessimismo di Okey.<br />

«Lo straniero medio non sa niente <strong>del</strong>l'Italia che lavora e che produce, e quanto al<strong>le</strong><br />

sue idee sul Regno esse si possono riassumere <strong>in</strong> una mezza dozz<strong>in</strong>a di aforismi:<br />

l'Italia è il paese più povero <strong>del</strong> mondo, la maggior parte <strong>del</strong>la sua popolazione è<br />

composta di mendicanti, e tutti sono <strong>in</strong>credibilmente pigri; ladri e mendicanti si<br />

trovano <strong>in</strong> abbondanza; il governo è comp<strong>le</strong>tamente corrotto, e sia gli uom<strong>in</strong>i politici<br />

che i funzionari non pensano ad altro che ad arricchirsi a spese <strong>del</strong> pubblico. (...) I<br />

sentimentali radicali (...) non vedono altro che la lotta tra i ricchi e <strong>le</strong> vittime oppresse<br />

che stanno sotto di loro. E questo è spesso l'atteggiamento che assumono i<br />

democratici <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si; un caratteristico esempio di ta<strong>le</strong> atteggiamento si trova negli<br />

scritti di Thomas Okey, il cui capitolo sull'Italia nel XII volume <strong>del</strong>la "Cambridge


Modern History" offre uno dei punti di vista <strong>del</strong><strong>le</strong> cose italiane più deformati e<br />

libellistici.»<br />

Dopo l'avvento di Mussol<strong>in</strong>i, Okey mi riferì di essere rimasto colpito dall'<strong>in</strong>aspettata<br />

<strong>in</strong>tensità di vendita di "Italy To-Day". Ricercando la causa di questa r<strong>in</strong>novata<br />

richiesta, trovò che i propagandisti fascisti <strong>in</strong> Inghilterra e <strong>in</strong> America<br />

raccomandavano il libro a quanti vo<strong>le</strong>vano formarsi un'idea sull'Italia prefascista. Nel<br />

suo libro "The Fascist Experiment", Villari scriveva:<br />

«Quando, specialmente da parte di osservatori stranieri, si parla <strong>del</strong>la pretesa<br />

distruzione da parte di Mussol<strong>in</strong>i <strong>del</strong>la 'libertà costituziona<strong>le</strong>' <strong>in</strong> Italia, si dimentica <strong>del</strong><br />

tutto quanto succedeva prima. Due scrittori <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si, Bolton K<strong>in</strong>g e Thomas Okey, nel<br />

volume "Italy To-Day", pubblicato nel 1901, danno nel capitolo 1 un quadro di quella<br />

che era l'Italia sotto i cosiddetti governi liberali (pag. 89).»<br />

Sarebbe lo stesso che, a quanti si vogliono render conto di cosa fosse la storia degli<br />

Stati Uniti durante il diciannovesimo secolo, si consigliasse un libro sugli stati <strong>del</strong> Sud<br />

all'<strong>in</strong>domani <strong>del</strong>la Guerra Civi<strong>le</strong>.<br />

C. E. McGuire, "Italy's International Economic Position", New York, MacMillan, 1926,<br />

non ha mai sentito parlare di un periodo di prosperità f<strong>in</strong>anziaria <strong>in</strong> Italia tra il 1900 e<br />

il 1914, e afferma qu<strong>in</strong>di (pag<strong>in</strong>e 52-71) che tutta la storia d'Italia, dal 1860 al 1925,<br />

fu una serie di deficit, e che solo con la venuta <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> il bilancio italiano si<br />

presentò <strong>in</strong> avanzo. Vedremo che sotto il <strong>fascismo</strong> avanzi non ce ne sono mai stati.<br />

Dopo l'annuncio, dato da Mussol<strong>in</strong>i nel dicembre 1928, <strong>del</strong> suo proposito di bonificare<br />

tutte <strong>le</strong> terre <strong>in</strong>colte, è venuto di moda parlare <strong>del</strong>la bonifica <strong>in</strong> Italia, come se questa<br />

fosse stata <strong>in</strong>ventata da Mussol<strong>in</strong>i. Villari, ad esempio ("Italy", pag<strong>in</strong>e 13, 263, 264),<br />

a proposito di quanto era stato fatto <strong>in</strong> questo campo prima <strong>del</strong> 1922, dice soltanto<br />

che gli sforzi per prosciugare <strong>le</strong> paludi e migliorare l'agricoltura erano sfumati nel<br />

nulla per gli <strong>in</strong>trighi parlamentari e per la mancanza di cooperazione, da parte <strong>del</strong><br />

governo e <strong>del</strong><strong>le</strong> autorità locali, con <strong>le</strong> <strong>in</strong>iziative private: "'durante e dopo la guerra' (il<br />

corsivo è nostro), quando <strong>le</strong> misure contro la malaria subirono una battuta d'arresto e<br />

i lavori di bonifica furono sospesi, ci fu anche nel Veneto una ripresa <strong>del</strong>la malaria'<br />

(pag. 11).<br />

La verità è che, dal 1882 al 1915, 332000 ettari di terra vennero comp<strong>le</strong>tamente<br />

prosciugati e bonificati e resi <strong>in</strong> tal modo coltivabili; 416000 ettari di terra erano già<br />

stati bonificati, ma appartenevano a zone nel<strong>le</strong> quali i lavori di bonifica <strong>in</strong> corso non<br />

erano stati ancora f<strong>in</strong>iti; e si erano già <strong>in</strong>iziati i lavori <strong>in</strong> altri 440000 ettari di terra.<br />

Dal 1900 al 1914, il governo spese 390 milioni di lire-oro per la bonifica <strong>del</strong><strong>le</strong> terre, e<br />

si calcolò che per term<strong>in</strong>are i lavori già <strong>in</strong>iziati sarebbero stati necessari altri 353<br />

milioni di lire-oro (1).<br />

La guerra fece sospendere queste opere e tutti quei lavori che non avevano carattere<br />

di urgenza immediata. Ma non appena la guerra fu f<strong>in</strong>ita, si riprese a lavorare <strong>in</strong><br />

pieno. Il 17 ottobre 1919, l'addetto commercia<strong>le</strong> americano a Roma scriveva nel<br />

"Commerce Reports": 'Il governo sta facendo ogni sforzo non soltanto per imporre<br />

l'obbligo di coltivare tutte <strong>le</strong> aree disponibili, ma anche per <strong>in</strong>coraggiare l'<strong>in</strong>troduzione<br />

di moderni metodi di colture <strong>in</strong>tensive.' A questo scopo, nei quattro anni dal 1 luglio<br />

1918 al 30 giugno 1922, furono spesi 664 milioni di lire (2).<br />

Le opere di bonifica erano l'<strong>org</strong>oglio degli agricoltori italiani. In prov<strong>in</strong>cia di Ferrara,<br />

dal 1862 al 1912, la superficie <strong>del</strong><strong>le</strong> terre coltivate aumentò da 100000 a 200000<br />

ettari, e la produzione di grano da 500000 qu<strong>in</strong>tali passò a 1.200.000 (3). La bonifica<br />

<strong>del</strong>l'isola di Ariano, di 12000 ettari, term<strong>in</strong>ata nel 1906, costò da sola allo stato<br />

2.829.722 lire, e nel 1922 lo stato tra imposte dirette e <strong>in</strong>dirette, diritti doganali e<br />

altre imposte addizionali <strong>in</strong>cassò una somma superiore di c<strong>in</strong>que volte. La popolazione


<strong>del</strong>la zona aumentò da 15538 nel 1901, a 25572 nel 1921; i capi di bestiame salirono<br />

da 3695 nel 1902, a 8557 nel 1921; la produzione <strong>del</strong> 1924 fu valutata per una cifra<br />

sette volte maggiore di quanto fosse prima <strong>del</strong>la bonifica (4). Nella piana di Catania,<br />

la tenuta 'Costant<strong>in</strong>o,' che prima <strong>del</strong>la guerra era un campo di 300 ettari, nel 1923<br />

era coperta da 100000 alberi, 300000 viti, e molte altre piantagioni ad alto reddito, e<br />

il suo valore era aumentato di qu<strong>in</strong>dici volte rispetto a dieci anni prima (5) Nel<br />

dicembre 1922, i due addetti commerciali <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si a Roma scrivevano quanto segue:<br />

«Un'area per una estensione superiore ai 500000 acri (dato che è <strong>in</strong>feriore alla<br />

estensione rea<strong>le</strong> di 332000 ettari) di quella che è diventata una <strong>del</strong><strong>le</strong> terre più ricche<br />

<strong>del</strong>l'Italia settentriona<strong>le</strong>, è stata già bonificata e resa coltivabi<strong>le</strong> con un'opera durata<br />

oltre quarant'anni. La più importante stazione di pompaggio già sistemata per<br />

l'attuazione dei molti progetti di bonifica, la stazione di Ongaro Inferiore, venne<br />

<strong>in</strong>augurata nell'estate <strong>del</strong> 1922. E' stata progettata per prosciugare una larga zona<br />

<strong>del</strong>la parte <strong>in</strong>feriore <strong>del</strong> Veneto, e i suoi comp<strong>le</strong>ssi segnano un notevo<strong>le</strong> passo avanti<br />

nell'opera di trasformazione <strong>del</strong><strong>le</strong> paludi malariche <strong>in</strong> fertili terre coltivabili. Dato che<br />

la <strong>le</strong>gge consente allo Stato di assistere i consorzi locali per l'irrigazione coprendo un<br />

terzo <strong>del</strong><strong>le</strong> spese <strong>del</strong><strong>le</strong> opere irrigatorie di importanza naziona<strong>le</strong>, si è potuto<br />

provvedere, per opera dei più em<strong>in</strong>enti esperti italiani, alla irrigazione di circa 500000<br />

acri di pianura padana. Oltre a questo, sono stati progettati o sono <strong>in</strong> corso di studio,<br />

molti altri piani di irrigazione, connessi con vasti bac<strong>in</strong>i idroe<strong>le</strong>ttrici, quali quello <strong>del</strong>la<br />

Sila <strong>in</strong> Calabria e <strong>del</strong>l'Alto Belice <strong>in</strong> Sicilia (6).»<br />

Nell'apri<strong>le</strong> 1923, un gruppo di agricoltori olandesi, <strong>in</strong> visita al<strong>le</strong> bonifiche di Ferrara e<br />

di Chioggia, rimasero molto ammirati di scoprire una 'Olanda italiana.' (7)<br />

Quell'Olanda non era nata dal mare <strong>in</strong> una notte, era costata mezzo secolo di duro<br />

lavoro.<br />

Naturalmente sarebbe stato possibi<strong>le</strong> fare di più e meglio. Nessun'opera di questo<br />

mondo è tanto rapida e perfetta da non essere suscettibi<strong>le</strong> di miglioramento, e<br />

nessun'opera è tanto <strong>le</strong>nta e malfatta che non si possa farla anche più <strong>le</strong>ntamente e<br />

<strong>in</strong> modo peggiore. Ma nessuna persona onesta e bene <strong>in</strong>formata ha diritto di<br />

affermare che nel campo <strong>del</strong><strong>le</strong> bonifiche agrarie prima di Mussol<strong>in</strong>i <strong>in</strong> Italia non si era<br />

fatto niente.<br />

E' vero che durante la guerra <strong>del</strong> 1915-1918 l'abbandono <strong>del</strong><strong>le</strong> opere di bonifica nel<br />

Veneto e la vita trascorsa nel<strong>le</strong> tr<strong>in</strong>cee fangose e nel<strong>le</strong> zone malariche <strong>del</strong>la<br />

Macedonia e <strong>del</strong>l'Albania produssero una vio<strong>le</strong>nta ripresa <strong>del</strong>la malaria. Ma, alla f<strong>in</strong>e<br />

<strong>del</strong>la guerra, la lotta contro la malaria fu ripresa energicamente e la situazione<br />

migliorò rapidamente. Le morti per causa di malaria, che dallo 0,6 per ogni 10000<br />

abitanti <strong>del</strong> 1914 erano salite all'1,8 nel 1919, retrocessero all'1,1 nel 1922 (8).<br />

Quanto a Villari, nel suo caso si tratta di un propagandista che consapevolmente cerca<br />

di trarre <strong>in</strong> <strong>in</strong>ganno i suoi <strong>le</strong>ttori. Ma anche studiosi di assoluta <strong>in</strong>tegrità mora<strong>le</strong> sono<br />

cascati nel<strong>le</strong> reti tese dal <strong>fascismo</strong>.<br />

Prendiamo ad esempio il caso <strong>del</strong>la studiosa australiana Miss Margot Hentze, donna<br />

diligente, di larghe vedute ed eccezionalmente dotata, la qua<strong>le</strong> nel 1939 pubblicava<br />

un libro, "Pre-Fascist Italy: the rise and fall of the parliamentary regime" (London,<br />

Ge<strong>org</strong>e Al<strong>le</strong>n & Unw<strong>in</strong> Ltd.), frutto di una onesta, anche se non fortunata, ricerca.<br />

Miss Hentze ammette che il progresso materia<strong>le</strong> <strong>del</strong> paese era stato 'fenomena<strong>le</strong>,'<br />

'prodigioso' (pag<strong>in</strong>e 134-137), ma nessuno la consigliò a compiere uno studio<br />

metodico <strong>del</strong> progresso che era una parte <strong>del</strong>la storia d'Italia dal 1871 al 1915. Al<br />

contrario, essa ripete con <strong>in</strong>sistenza l'affermazione secondo la qua<strong>le</strong>, a partire dal<br />

1870, il paese avrebbe avvertito una specie di prostrazione spiritua<strong>le</strong>; prostrazione<br />

non nella produzione artistica, ma nei mezzi atti a dare espressione di sé e nel<br />

genera<strong>le</strong> uso <strong>del</strong> potere creativo; <strong>in</strong>vece di trovare 'la sua vocazione politica, l'Italia


sembrava essersi messa sulla strada che sempre più l'allontanava da essa' (pag.<br />

137). Se Miss Hentze avesse fatto uso di paro<strong>le</strong> così prive di significato come<br />

'prostrazione,' 'mezzi atti a dare espressione di sé,' 'vocazione politica,' quali esempi<br />

per descrivere <strong>le</strong> lamente<strong>le</strong> che molti italiani avevano l'abitud<strong>in</strong>e di <strong>le</strong>vare al cielo,<br />

essa avrebbe dato il quadro esatto di quel vago scontento che era la malattia <strong>del</strong>lo<br />

spirito italiano nel periodo da <strong>le</strong>i studiato, e che fu una <strong>del</strong><strong>le</strong> fonti <strong>del</strong> movimento<br />

fascista. Ma siccome ha usato queste paro<strong>le</strong> come cosa propria, <strong>le</strong> sue pag<strong>in</strong>e<br />

mancano assolutamente di buon senso.<br />

Miss Hentze ammette che l'Italia era un paese povero (pag<strong>in</strong>e 23, 29, 207), ma si<br />

unisce al coro dei fascisti nel rimproverare gli uom<strong>in</strong>i politici italiani per non aver<br />

perseguito una politica estera di espansione, quando altri paesi facevano una politica<br />

imperialista (pag<strong>in</strong>e 149-151). Ma è possibi<strong>le</strong> che un paese povero adotti una politica<br />

imperialista senza rompersi il collo? Dove è stata condotta l'Italia dall'imperialismo di<br />

Mussol<strong>in</strong>i? Miss Hentze avrebbe dato prova di una maggiore saggezza se non avesse<br />

rimproverato quegli uom<strong>in</strong>i politici italiani che seguirono una politica estera prudente<br />

e modesta, e non si fosse unita al coro fascista <strong>in</strong> lode proprio di Francesco Crispi, che<br />

nel 1896 condusse l'Italia al disastro colonia<strong>le</strong> <strong>del</strong>la battaglia di Adua; per quanto Miss<br />

Hentze <strong>in</strong> un momento di buon senso si renda conto che il periodo Crispi è stato<br />

'disastroso' (pag. 231).<br />

Miss Hentze non si permette di affermare nulla senza appoggiarsi alla autorità <strong>del</strong>la<br />

sua brava citazione. Ma il fatto è che sceglie sempre <strong>le</strong> sue autorità con lo stesso<br />

criterio di chi, vo<strong>le</strong>ndo scrivere la storia <strong>del</strong>l'amm<strong>in</strong>istrazione Roosevelt, si serva<br />

soltanto dei fatti presentati da Mister Hoover, o di chi, vo<strong>le</strong>ndo scrivere la storia <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

amm<strong>in</strong>istrazioni Hard<strong>in</strong>g Coolidge e Hoover, si serva soltanto dei discorsi fatti dai<br />

candidati democratici durante <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni presidenziali dal 1920 al 1928.<br />

Spesso fascisti e stranieri <strong>in</strong>nocenti si richiamano alla sconfitta di Caporetto, per<br />

dimostrare che l'Italia era <strong>in</strong> una situazione di <strong>in</strong>efficienza amm<strong>in</strong>istrativa e militare,<br />

prima che arrivasse Mussol<strong>in</strong>i a mettere <strong>le</strong> cose a posto.<br />

Durante la guerra mondia<strong>le</strong> vi furono molte altre sconfitte oltre quella di Caporetto.<br />

Nell'agosto 1914, <strong>le</strong> truppe francesi ed <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si ebbero a subire un terribi<strong>le</strong> rovescio <strong>in</strong><br />

quella che è generalmente conosciuta come la 'battaglia <strong>del</strong><strong>le</strong> frontiere.' Si dovette<br />

abbandonare un decimo <strong>del</strong> territorio francese, per non parlare <strong>del</strong> Belgio. I tedeschi<br />

arrivarono s<strong>in</strong>o a meno di c<strong>in</strong>quanta chilometri da Parigi. Un cent<strong>in</strong>aio di generali<br />

francesi vennero congedati come <strong>in</strong>capaci. Il disastro avvenne nel<strong>le</strong> prime settimane<br />

di guerra, malgrado che i francesi stessero combattendo una guerra difensiva sul loro<br />

proprio territorio. L'esercito francese riuscì a cambiare la situazione alla Marna, ma<br />

anche allora i tedeschi rimasero sul territorio francese per quattro anni. Durante i<br />

primi sei mesi di operazioni, la guerra mondia<strong>le</strong> fu per l'esercito austriaco una serie di<br />

Caporetto. I russi, dopo il maggio 1915, non fecero che passare da una Caporetto a<br />

un'altra. Pochi mesi prima di Caporetto, l'esercito francese quasi si dis<strong>in</strong>tegrò da capo<br />

a fondo, <strong>in</strong> seguito alla carnefic<strong>in</strong>a a cui era stato sottoposto dal genera<strong>le</strong> Nivel<strong>le</strong><br />

nell'apri<strong>le</strong> 1917. Dalla f<strong>in</strong>e di maggio al 15 giugno, vi furono ammut<strong>in</strong>amenti <strong>in</strong> 75<br />

reggimenti di fanteria, 23 battaglioni di 'chasseurs' e 12 reggimenti di artiglieria (9).<br />

Se i tedeschi avessero avuto un servizio <strong>in</strong>formativo migliore e avessero attaccato <strong>in</strong><br />

quel momento, avrebbero <strong>in</strong>flitto all'esercito francese una sconfitta che forse sarebbe<br />

stata irreparabi<strong>le</strong>.<br />

Per due anni e mezzo gli italiani erano stati <strong>in</strong> guerra senza venire avviati <strong>in</strong> una<br />

campagna offensiva sul suolo nemico. Nel maggio e giugno <strong>del</strong> 1917, un tentativo di<br />

rompere <strong>le</strong> l<strong>in</strong>ee austriache era costato la perdita di 132000 uom<strong>in</strong>i, e nell'agosto e<br />

settembre un altro tentativo ci era costato la perdita di 148000 uom<strong>in</strong>i (10). L'esercito<br />

francese, nell'apri<strong>le</strong> 1917, non ne perse più di 112000. I soldati francesi si<br />

ammut<strong>in</strong>arono per molto meno di quanto avrebbe giustificato una ribellione dei<br />

soldati italiani. Storici e critici militari concordano nel dare la responsabilità <strong>del</strong>la


sconfitta ai capi militari, e nell'affermare che lo sbandamento <strong>del</strong><strong>le</strong> truppe avvenne<br />

"nel<strong>le</strong> retroguardie", dopo che gli austriaci avevano rotto il fronte ed erano penetrati<br />

<strong>in</strong> profondità nel<strong>le</strong> l<strong>in</strong>ee italiane, dove non era stata apprestata nessuna misura<br />

difensiva (11). La disfatta francese <strong>del</strong> 1940 non è stata altro che una Caporetto su<br />

scala enormemente più ampia. Tuttavia <strong>in</strong> Italia, nel 1917, l'esercito italiano fermò<br />

l'avanzata austriaca, non appena fu possibi<strong>le</strong> trovare una conveniente l<strong>in</strong>ea di difesa,<br />

il Piave, e prima che fosse arrivato un qualsiasi aiuto da parte <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se o francese.<br />

Ecco quanto un em<strong>in</strong>ente storico ed uomo di stato <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se, Lord Tweedsmuir, che<br />

morì nel 1940 mentre era governatore <strong>del</strong> Canada e scrisse sotto il nome di John<br />

Buchan, ebbe a dire nella sua "History of the Great War" (IV, pag<strong>in</strong>e 55 seguenti) su<br />

quanto successe <strong>in</strong> Italia dopo Caporetto:<br />

«Davanti al pericolo lo spirito <strong>del</strong>la nazione si sol<strong>le</strong>vò energicamente. (...) Nel paese<br />

tutti, o quasi tutti, affrontarono la crisi con grande forza d'animo. Si dimenticarono <strong>le</strong><br />

dispute di partito, si recrim<strong>in</strong>ò poco o punto sul<strong>le</strong> passate manchevo<strong>le</strong>zze, e ci si<br />

risolse a str<strong>in</strong>gere <strong>le</strong> fi<strong>le</strong>, tutti uniti, per far fronte alla tempesta. Solo pochi estremisti,<br />

i quali vedevano di buon occhio il disastro, rimasero <strong>in</strong> disparte. (...) Se i momenti di<br />

panico possono trovare giustificazione, questa deve va<strong>le</strong>re per quel<strong>le</strong> molte miglia<br />

percorse sotto un <strong>in</strong>cubo, durante <strong>le</strong> quali la truppa venne sottoposta a una prova<br />

troppo sproporzionata al valore umano. Ma va a gloria eterna <strong>del</strong>la Terza Armata il<br />

non aver ceduto. La ritirata <strong>del</strong>la Terza Armata fu una di quel<strong>le</strong> azioni che si possono<br />

dire <strong>in</strong>esplicabili. Essa rese possibi<strong>le</strong> agli italiani di fermarsi e privò il nemico <strong>del</strong><br />

coronamento di quel successo che aveva già quasi raggiunto. (...) La gloria maggiore<br />

va attribuita alla Caval<strong>le</strong>ria (...) che caricò il nemico <strong>in</strong><strong>in</strong>terrottamente, e<br />

gioiosamente si sacrificò perché la ritirata potesse guadagnare un'ora di tregua. Ci si<br />

deve fermare sul Piave. (...) Mentre il Duca d'Aosta combatteva sul lato ovest, De<br />

Robilant calava dal Cadore e <strong>in</strong> tutta fretta si dirigeva verso il punto centra<strong>le</strong> <strong>del</strong><br />

Piave. Verso il 10 novembre, Cadorna aveva raggiunto comp<strong>le</strong>tamente la l<strong>in</strong>ea <strong>del</strong><br />

Piave e la ritirata aveva term<strong>in</strong>e. Era stata condotta per <strong>in</strong>tero dal<strong>le</strong> truppe italiane, e<br />

ad esse so<strong>le</strong> andava tutto il merito. (...) I r<strong>in</strong>forzi al<strong>le</strong>ati non potevano arrivare <strong>in</strong><br />

l<strong>in</strong>ea subito, sebbene la certezza <strong>del</strong> loro arrivo semplificasse il prob<strong>le</strong>ma <strong>del</strong><strong>le</strong> riserve<br />

e sol<strong>le</strong>vasse lo spirito degli italiani, "e per diverse settimane la difesa <strong>del</strong> Piave fu<br />

opera degli italiani soltanto". (...) Di tutto il fronte il punto più crucia<strong>le</strong> era il massiccio<br />

<strong>del</strong> Monte Grappa. Riuscendolo a conquistare, il nemico avrebbe potuto sfociare nella<br />

val<strong>le</strong> <strong>del</strong> Brenta e aggirare il fianco <strong>del</strong>la difesa <strong>del</strong> Piave. (...) Per tenerlo, si presero<br />

dai depositi e dai reparti ragazzi di sedici e diciassette anni, che spesso avevano un<br />

solo mese di addestramento. Nel momento <strong>in</strong> cui la loro patria sembrava agonizzante<br />

essi si gettarono disperatamente nella breccia. (...) Nel<strong>le</strong> rimanenti settimane di<br />

novembre vi fu una lotta disperata, specialmente nella zona <strong>del</strong> Monte Grappa. I colpi<br />

fioccavano senza <strong>in</strong>terruzione, colpi che coraggiosamente si cercava di evitare, e<br />

tuttavia <strong>le</strong> truppe italiane logorate dovettero <strong>le</strong>ntamente ceder terreno. (...) "Fu<br />

soltanto il 4 dicembre" che Plumer (comandante <strong>del</strong><strong>le</strong> truppe <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si) e Fayol<strong>le</strong><br />

(comandante <strong>del</strong><strong>le</strong> truppe francesi) resero possibi<strong>le</strong> a De Robilant di concentrarsi sul<br />

Grappa. (...) La ritirata <strong>del</strong> Piave saldò l'Italia <strong>in</strong> un più stretto sentimento unitario, e<br />

r<strong>in</strong>novò quello spirito <strong>in</strong>domabi<strong>le</strong> che era una <strong>del</strong><strong>le</strong> eredità che <strong>le</strong> venivano da Roma.»<br />

Ancora nel marzo 1918 gli <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si e i francesi subirono una terribi<strong>le</strong> sconfitta nella<br />

battaglia <strong>del</strong> 'Chem<strong>in</strong> des Dames,' e dovettero ritirarsi per quasi 50 chilometri.<br />

Viceversa, nel giugno 1918, gli italiani v<strong>in</strong>sero la grande battaglia <strong>del</strong> Piave, la prima<br />

vittoria <strong>del</strong>l'Intesa antigermanica dopo una lunga e prolungata serie di disastri. La<br />

battaglia <strong>del</strong> Piave, durante l'ultimo anno di guerra, ebbe la stessa importanza storica<br />

e strategica <strong>del</strong>la battaglia <strong>del</strong>la Marna durante il primo anno. Quella sconfitta segnò<br />

l'ultima ora <strong>del</strong>l'Impero austro-ungarico.


Tuttavia <strong>le</strong> so<strong>le</strong> battaglie che si ricordano quando si pensa alla prima guerra mondia<strong>le</strong><br />

sono la battaglia <strong>del</strong>la Marna, v<strong>in</strong>ta dai francesi, e la battaglia di Caporetto, perduta<br />

dagli italiani. Perché?<br />

1) I capi di tutti gli altri eserciti accettarono i loro <strong>in</strong>successi <strong>in</strong> dignitoso si<strong>le</strong>nzio;<br />

mentre il comandante <strong>in</strong> capo <strong>del</strong>l'esercito italiano, Cadorna, che con Capello e<br />

Badoglio fu uno dei tre capi militari responsabili <strong>del</strong> disastro, <strong>in</strong> un bol<strong>le</strong>tt<strong>in</strong>o ufficia<strong>le</strong><br />

diffuso <strong>in</strong> tutto il mondo, accusò i suoi soldati di vigliaccheria e tradimento. Per aver<br />

calunniato i suoi uom<strong>in</strong>i allo scopo di scolparsi, e non per aver perduto la battaglia,<br />

avrebbe dovuto esser portato davanti alla corte marzia<strong>le</strong>. Invece, il governo fascista<br />

gli ha eretto un mauso<strong>le</strong>o.<br />

2) Le mire italiane sulla Dalmazia, il Medio Oriente e i territori coloniali <strong>in</strong> Africa erano<br />

<strong>in</strong> contrasto con quel<strong>le</strong> dei governi <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se e francese e dei loro vassalli yugoslavi e<br />

greci. Di conseguenza, non soltanto la propaganda tedesca ed austriaca, ma anche<br />

quella dei piccoli e grandi al<strong>le</strong>ati <strong>del</strong>l'Italia desiderava di screditare lo sforzo bellico<br />

italiano e affermare <strong>in</strong> tal modo che <strong>le</strong> sue 'smodate ambizioni imperialistiche' erano<br />

campate <strong>in</strong> aria. La sconfitta di Caporetto era proprio quello di cui avevan bisogno, e<br />

qu<strong>in</strong>di Caporetto divenne una specie di motivo d'obbligo di tutta la loro musica.<br />

3) A proposito <strong>del</strong><strong>le</strong> loro disavventure militari, i governi degli altri paesi fecero il meno<br />

chiasso possibi<strong>le</strong>. Il governo <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se, ad esempio, dopo i terribili disastri di<br />

Passchendae<strong>le</strong> (agosto-settembre 1917) e di Cambrai (nov. 1917), di cui si può<br />

<strong>le</strong>ggere nel<strong>le</strong> "War Memories" di D. Lloyd Ge<strong>org</strong>e (IV, pag<strong>in</strong>e 420, 438-39, 442-43),<br />

condusse un'<strong>in</strong>chiesta, i cui risultati vennero resi noti nel "London Times" <strong>del</strong> 16<br />

gennaio 1918, <strong>in</strong> non più di ventidue righe. La Camera dei comuni si guardò bene dal<br />

fare il m<strong>in</strong>imo chiasso, e <strong>in</strong> tal modo ogni cosa fu messa a tacere. In Italia, dopo<br />

Caporetto, si creò una grande commissione di <strong>in</strong>chiesta per appurare la responsabilità<br />

<strong>del</strong> disastro. I lavori <strong>del</strong>la commissione durarono 18 mesi e approdarono, nell'estate<br />

1919, <strong>in</strong> una enorme relazione <strong>in</strong> tre grossi volumi <strong>in</strong> folio. Della relazione si<br />

impadronirono i giornali, che ne discussero per <strong>in</strong>tere settimane, scambiandosi accuse<br />

e contro accuse. Poi se ne <strong>in</strong>iziò la discussione alla Camera dei deputati, e se ne<br />

discusse dal 6 al 10 settembre. In tal modo, anche coloro che avrebbero dimenticato<br />

Caporetto furono obbligati a pensarci sopra di cont<strong>in</strong>uo, raggiungendo l'unico risultato<br />

di perdere una quantità enorme di tempo e di fiato <strong>in</strong> una discussione che non poteva<br />

aver più nessun effetto pratico.<br />

4) In tutti gli altri paesi, 'esperti' militari e storici ufficiali hanno avuto cura di<br />

mascherare il più possibi<strong>le</strong> <strong>le</strong> sventure dei loro eserciti, o almeno di attenuar<strong>le</strong>,<br />

quando non si poteva ignorar<strong>le</strong> <strong>del</strong> tutto. Ancora oggi si hanno <strong>in</strong>formazioni molto<br />

sommarie a proposito <strong>del</strong>la dis<strong>in</strong>tegrazione mora<strong>le</strong> che, nell'estate <strong>del</strong> 1917, m<strong>in</strong>acciò<br />

l'esercito francese. In un libro di 694 pag<strong>in</strong>e di grande formato ("Histoire de la Grande<br />

Guerre", Paris, Gallimard, 1936), H. Bidou è tanto prudente da dedicare non più di sei<br />

pag<strong>in</strong>e (pag<strong>in</strong>e 511-516) all'<strong>in</strong>successo di Nivel<strong>le</strong>, e non più di una pag<strong>in</strong>a e qu<strong>in</strong>dici<br />

righe (pag<strong>in</strong>e 516-518) agli ammut<strong>in</strong>amenti che seguirono. In Italia, dopo la sconfitta<br />

di Caporetto, sorsero amare dispute <strong>in</strong>torno a chi ne dovesse essere tenuto<br />

responsabi<strong>le</strong>. Socialisti, cattolici, Papa Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo, e quegli uom<strong>in</strong>i<br />

politici 'liberali' che, <strong>in</strong>sieme ai socialisti e ai cattolici, non avevano favorito la<br />

cont<strong>in</strong>uazione <strong>del</strong>la guerra, furono accusati <strong>del</strong> disastro. Senza dubbio, lo<br />

scoraggiamento, che dopo tre anni di guerra e la disfatta <strong>del</strong>la Russia si era<br />

impadronito dei soldati, contribuì allo sbandamento mora<strong>le</strong> <strong>del</strong><strong>le</strong> forze italiane, dopo<br />

che la sconfitta militare era divenuta evidente, e <strong>le</strong> recrim<strong>in</strong>azioni di socialisti, cattolici<br />

e 'liberali' contrari alla guerra ebbero la loro parte nel determ<strong>in</strong>are un mora<strong>le</strong> basso.<br />

Gruppi 'disfattisti' erano all'opera <strong>in</strong> Italia come <strong>in</strong> tutti i paesi belligeranti. Poi,<br />

durante tutti questi ultimi vent'anni, i fascisti e i loro soci <strong>in</strong> Italia e all'estero hanno<br />

ripresentato Caporetto almeno un giorno sì e un giorno no come uno dei <strong>del</strong>itti più<br />

lampanti commessi dagli uom<strong>in</strong>i politici italiani, prima che i fascisti risol<strong>le</strong>vassero


l'Italia da un ta<strong>le</strong> pantano. Essi cont<strong>in</strong>uano <strong>in</strong>sistentemente ad ignorare i cattolici e<br />

Papa Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo, contro i quali, dopo Caporetto, Mussol<strong>in</strong>i <strong>in</strong>dirizzò gli<br />

<strong>in</strong>sulti più vio<strong>le</strong>nti, e muovono <strong>le</strong> loro accuse contro i 'liberali' e i socialisti, che<br />

<strong>del</strong>iberatamente avrebbero <strong>in</strong>qu<strong>in</strong>ato il mora<strong>le</strong> dei soldati (Villari, "The Awaken<strong>in</strong>g of<br />

Italy", pag<strong>in</strong>e 24-43; Goad, "The Mak<strong>in</strong>g of the Corporate State", pag. 39). Essi<br />

trascurano il fatto che i tre capi militari responsabili <strong>del</strong> disastro di Caporetto non<br />

appartenevano al Parlamento democratico italiano. In tutti i paesi, anche nei paesi a<br />

regime parlamentare, la scelta dei comandanti militari avviene al di fuori <strong>del</strong> controllo<br />

<strong>del</strong> Parlamento. Essa è fatta da un piccolo numero di persone, che <strong>in</strong> maggioranza<br />

sono altri capi militari. Nei paesi democratici, i cittad<strong>in</strong>i e i loro rappresentanti<br />

possono soltanto esigere ed ottenere il congedo di quei capi militari che abbiano<br />

commesso degli errori pa<strong>le</strong>si.


CAPITOLO SECONDO.<br />

LA CRISI DEL DOPOGUERRA.<br />

La prima guerra mondia<strong>le</strong>, <strong>in</strong> Italia come <strong>in</strong> tutti gli altri paesi neutrali e belligeranti,<br />

produsse profondi mutamenti nella vita economica. (1) Rami <strong>del</strong>la produzione che<br />

prima <strong>del</strong>la guerra erano ad uno stadio rudimenta<strong>le</strong> raggiunsero proporzioni enormi,<br />

mentre altri che erano stati fiorenti cessarono di esistere. Industrie che si erano<br />

trasformate per adattarsi ai bisogni <strong>del</strong>la guerra dovevano, a guerra f<strong>in</strong>ita, essere<br />

riconvertite per i bisogni <strong>del</strong> tempo di pace. Molte imprese che erano fiorite come<br />

funghi occorreva che fossero ridotte o elim<strong>in</strong>ate addirittura. L'<strong>in</strong>tero sistema<br />

commercia<strong>le</strong> doveva essere rimesso <strong>in</strong> piedi. Nuove fonti di materie prime e nuovi<br />

mercati dovevano essere conquistati <strong>in</strong> concorrenza con nazioni assai più<br />

favorevolmente dotate, impegnandosi con <strong>le</strong> loro <strong>in</strong>dustrie e i loro commerci <strong>in</strong> un<br />

duello animato per il controllo dei mercati e dei prodotti.<br />

Le ferrovie e il materia<strong>le</strong> rotabi<strong>le</strong> erano stati sottoposti ad un logoramento<br />

ecceziona<strong>le</strong>. Uno degli ostacoli pr<strong>in</strong>cipali alla ripresa <strong>del</strong><strong>le</strong> attività <strong>in</strong>dustriali e al<br />

norma<strong>le</strong> funzionamento <strong>del</strong><strong>le</strong> ferrovie era costituito dalla scarsità di carbone, che per<br />

lo più doveva essere importato dall'Inghilterra ad assai caro prezzo. Nel 1919, il suo<br />

costo arrivò a toccare i 56 dollari per tonnellata, e spesso, a causa degli scioperi tra<br />

m<strong>in</strong>atori, portuali e marittimi <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si, non se ne trovava affatto.<br />

Le classi agrico<strong>le</strong> - vecchi, donne e bamb<strong>in</strong>i - erano riuscite durante la guerra, a<br />

prezzo di fatiche enormi, a mantenere la produzione ad un livello non molto <strong>in</strong>feriore<br />

a quello prebellico ma il terreno si era impoverito. Molto bestiame era stato macellato,<br />

senza che poi si fosse provveduto a sostituirlo. Il patrimonio foresta<strong>le</strong> era stato<br />

manomesso, sia per esigenze militari, sia perché <strong>in</strong> molte <strong>in</strong>dustrie la <strong>le</strong>gna aveva<br />

sostituito il carbone. Le zone adiacenti al vecchio conf<strong>in</strong>e austro-ungarico, che erano<br />

state il teatro <strong>del</strong><strong>le</strong> operazioni militari, erano <strong>in</strong> uno stato di rov<strong>in</strong>a: 163000 case di<br />

abitazione, 435 municipi, 255 ospedali, 1156 edifici scolastici, 1000 chiese, 1222<br />

cimiteri erano stati distrutti o danneggiati; 80 imprese di bonifica agraria <strong>in</strong>teressanti<br />

un'area di circa 120000 ettari erano andate <strong>in</strong> rov<strong>in</strong>a; 350 chilometri di strade erano<br />

fuori uso; 450000 capi di bestiame erano andati perduti. Fertilizzanti, macch<strong>in</strong>e e<br />

mezzi di trasporto erano, alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la guerra, generi piuttosto rari.<br />

Durante la guerra <strong>le</strong> importazioni avevano superato <strong>le</strong> esportazioni per un ammontare<br />

medio annuo di 1,1 miliardo di dollari, e <strong>le</strong> esportazioni <strong>in</strong>visibili erano venute quasi<br />

<strong>del</strong> tutto a cessare. A questo deficit <strong>del</strong>la bilancia commercia<strong>le</strong> si era provveduto<br />

mediante prestiti all'estero. Allo stesso modo, fu mediante prestiti ottenuti dai governi<br />

al<strong>le</strong>ati che la lira aveva potuto mantenere il proprio corso sia durante la guerra che<br />

nei primi mesi <strong>del</strong> dopoguerra. Nella seconda metà <strong>del</strong> 1919, il governo italiano<br />

dovette di nuovo far conto esclusivamente sul<strong>le</strong> proprie risorse. Si doveva far fronte<br />

ai debiti straord<strong>in</strong>ari di guerra, di cui si approssimava la scadenza, e il cui importo, dal<br />

luglio 1918 al luglio 1922, ammontò a 4 miliardi di dollari. Per un paese come l'Italia,<br />

ta<strong>le</strong> cifra rappresentava una somma enorme, che non poteva ricavarsi esclusivamente<br />

dal gettito fisca<strong>le</strong>, sebbene <strong>le</strong> tasse avessero subìto un aumento fortissimo. Il Tesoro<br />

dovette aumentare il debito pubblico e moltiplicare la carta moneta; sicché il tota<strong>le</strong><br />

<strong>del</strong> circolante e il debito pubblico aumentarono secondo quanto è mostrato nella<br />

seguente tabella (2).<br />

TABELLA.<br />

[Nell'ord<strong>in</strong>e: anno - circolante <strong>in</strong> milioni - debito <strong>in</strong>terno <strong>in</strong> milioni].<br />

1914, 30 giugno - 2764 - 15765 lire oro.<br />

1918, 30 giugno - 12183 - 48402 lire carta.


1919, 30 giugno - 14803 - 60213 lire carta.<br />

1920, 30 giugno - 20355 - 74496 lire carta.<br />

1921, 30 giugno - 20704 - 86482 lire carta.<br />

1922, 30 giugno - 20371 - 92856 lire carta.<br />

Tali procedimenti erano <strong>in</strong>evitabili, e tutti i governi dei paesi belligeranti fecero lo<br />

stesso; ma ciò nonostante erano sistemi malsani. L'<strong>in</strong>flazione di carta moneta<br />

conduce al deprezzamento <strong>del</strong>la moneta. Nel luglio 1914, quando la carta moneta<br />

ammontava a 2764 milioni di lire, il cambio con il dollaro era a lire 5,17. Nel giugno<br />

1919, la lira scese rispetto al dollaro a 8,05; nel dicembre 1919, a 13,07; nel giugno<br />

1920, a 16,89; nel dicembre 1920, a 28,57 (3). Il deprezzamento <strong>del</strong>la moneta<br />

faceva salire i prezzi. Ponendo a 100 la media dei prezzi italiani <strong>del</strong> 1913, i numeri<br />

<strong>in</strong>dice per il 1919 e il 1920 hanno il seguente andamento: 1919: giugno 451,<br />

dicembre 576; 1920: giugno 795, dicembre 825. Si ebbe dunque un vero e proprio<br />

rialzo economico.<br />

Gli operai <strong>in</strong>dustriali ed agricoli, che non potevano più vivere con i vecchi salari, il cui<br />

potere d'acquisto scemava rapidamente, reclamavano salari più alti. E quando <strong>le</strong> loro<br />

richieste non venivano accolte o <strong>le</strong> cose andavano troppo per <strong>le</strong> lunghe, allora<br />

scioperavano. I pubblici funzionari, sia <strong>del</strong><strong>le</strong> amm<strong>in</strong>istrazioni statali che degli enti<br />

locali, e gli addetti ai pubblici servizi, seguivano l'esempio dei lavoratori <strong>del</strong><strong>le</strong> imprese<br />

private.<br />

All'<strong>in</strong>terno di questo sconvolgimento economico si svilupparono i motivi di propaganda<br />

degli anarchici e dei bolscevichi, i quali, sperando <strong>in</strong> tal modo di preparare la via alla<br />

rivoluzione socia<strong>le</strong>, <strong>in</strong>citavano agli scioperi sia generali che locali, e predicavano<br />

l'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche e <strong>del</strong><strong>le</strong> terre, il sabotaggio e l'ostruzionismo. Né si<br />

trattava soltanto di scioperi economici, perché frequenti erano <strong>in</strong>fatti gli scioperi<br />

politici e di 'solidarietà,' molti dei quali erano orig<strong>in</strong>ati dai pretesti più assurdi e<br />

mesch<strong>in</strong>i, ed erano perciò tanto più esasperanti, specialmente quando venivano a<br />

colpire i più essenziali servizi pubblici, quali ferrovie, trasporti urbani, servizi<br />

te<strong>le</strong>grafici e postali, illum<strong>in</strong>azione e servizi di approvvigionamento alimentare <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

grandi città (4).<br />

Questi motivi di agitazione erano allora comuni a tutti i paesi e non c'era modo di<br />

evitarli. Soli rimedi a tanti malanni erano la pace, la pazienza, il tempo e la tenace<br />

operosità. Ma <strong>in</strong> Italia si <strong>in</strong>tromise tra questi fattori un'altra terribi<strong>le</strong> crisi mora<strong>le</strong>, che<br />

praticamente condusse il paese sull'orlo <strong>del</strong>lo sfacelo.<br />

Nel Patto di Londra (26 apri<strong>le</strong> 1915), con il qua<strong>le</strong> l'Italia si era impegnata a <strong>in</strong>tervenire<br />

nel conflitto contro la Germania e l'Austria, i governi <strong>in</strong> carica dei paesi <strong>del</strong>l'Intesa<br />

avevano promesso al m<strong>in</strong>istro degli Esteri italiano, Sonn<strong>in</strong>o, a titolo di compenso, che<br />

<strong>in</strong> caso di vittoria l'Italia avrebbe ottenuto: 1) il Trent<strong>in</strong>o di l<strong>in</strong>gua italiana; 2) il Sud-<br />

Tirolo di l<strong>in</strong>gua tedesca; 3) <strong>le</strong> città di Gorizia e Trieste e la parte occidenta<strong>le</strong><br />

<strong>del</strong>l'Istria, la cui popolazione era <strong>in</strong> maggioranza italiana; 4) gli "h<strong>in</strong>terlands" di<br />

Gorizia, Trieste e l'Istria orienta<strong>le</strong>, <strong>le</strong> cui popolazioni erano quasi totalmente slave; 5)<br />

la maggior parte <strong>del</strong>la Dalmazia e <strong>del</strong><strong>le</strong> iso<strong>le</strong> dalmate, <strong>le</strong> cui popolazioni erano <strong>in</strong><br />

schiacciante maggioranza slave; 6) libertà di azione <strong>in</strong> Albania e nel<strong>le</strong> iso<strong>le</strong> <strong>del</strong><br />

Dodecaneso, strappate dall'Italia alla Turchia nel 1912; 7) accessioni territoriali <strong>in</strong><br />

proporzione agli acquisti che Inghilterra e Francia avrebbero fatto nel Medio Oriente a<br />

spese <strong>del</strong>la Turchia, e <strong>in</strong> Africa a spese <strong>del</strong>la Germania. Nel corso <strong>del</strong>la guerra, il<br />

m<strong>in</strong>istero degli Esteri italiano e gli alti comandi <strong>del</strong>l'esercito e <strong>del</strong>la mar<strong>in</strong>a avevano<br />

<strong>org</strong>anizzato un sistematico servizio di propaganda, per conv<strong>in</strong>cere il popolo italiano<br />

che questi acquisti territoriali erano <strong>in</strong>dispensabili per il benessere e il prestigio <strong>del</strong>la<br />

nazione.<br />

F<strong>in</strong>ita la guerra, gli <strong>in</strong>viati italiani alla Conferenza <strong>del</strong>la Pace ottennero senza difficoltà<br />

quanto era da essi atteso secondo i titoli 1, 2 e 3. Ma con lo smembramento


<strong>del</strong>l'Impero austro-ungarico, la guerra aveva portato alla nascita <strong>del</strong>la Yugoslavia<br />

(regno unito di serbi, croati e sloveni). Alla Conferenza <strong>del</strong>la Pace, Sonn<strong>in</strong>o si trovò a<br />

dover contendere i territori slavi e italo-slavi che il Patto di Londra assegnava<br />

all'Italia, non con gli Asburgo, che erano ormai usciti dalla scena, ma con i<br />

rappresentanti <strong>del</strong> nuovo stato yugoslavo.<br />

Il prob<strong>le</strong>ma di Fiume sopraggiunse ad aumentare <strong>le</strong> difficoltà italiane. Questa città,<br />

abitata da una maggioranza italiana, e che sotto l'Impero austro-ungarico aveva<br />

sempre goduto <strong>del</strong>la condizione di città libera, analogamente ad Amburgo <strong>in</strong><br />

Germania, era stata lasciata da Sonn<strong>in</strong>o alla Croazia, secondo i term<strong>in</strong>i <strong>del</strong> Patto di<br />

Londra, che impegnava il governo italiano. Se l'Austria-Ungheria non fosse stata<br />

smembrata, la maggioranza italiana <strong>del</strong>la città avrebbe potuto acconsentire che Fiume<br />

rimanesse città libera <strong>in</strong> uno stato plur<strong>in</strong>aziona<strong>le</strong> austro-ungarico-croato. Ma nel<strong>le</strong><br />

condizioni attuali, essa si ribellava all'idea di venir privata <strong>del</strong><strong>le</strong> sue immunità<br />

tradizionali e lasciata alla mercé dei croati. Su questo punto, gli italiani tutti, senza<br />

dist<strong>in</strong>zione di fedi politiche, erano decisi a sostenere gli italiani di Fiume; anche coloro<br />

che erano conv<strong>in</strong>ti si dovesse arrivare ad un compromesso amichevo<strong>le</strong> tra italiani e<br />

yugoslavi si univano al<strong>le</strong> schiere dei protestatari, esigendo almeno che la città<br />

conservasse la sua tradiziona<strong>le</strong> autonomia sotto il protettorato italiano. La questione<br />

<strong>in</strong> sé non era di grande importanza. Nessun <strong>in</strong>teresse vita<strong>le</strong> né italiano né yugoslavo<br />

vi era co<strong>in</strong>volto. Come ebbe a dire un giornalista americano, gli italiani fanno tanto<br />

chiasso per un arancio e si scordano <strong>del</strong><strong>le</strong> m<strong>in</strong>iere d'oro disponibili altrove.<br />

Per risolvere il prob<strong>le</strong>ma non c'era che un modo: r<strong>in</strong>unciare alla rigida esecuzione <strong>del</strong><br />

Patto di Londra, servendosene <strong>in</strong>vece come base di negoziati per raggiungere una<br />

sistemazione migliore. I m<strong>in</strong>istri degli Esteri di Francia e d'Inghilterra, che secondo i<br />

term<strong>in</strong>i <strong>del</strong> Patto di Londra erano impegnati a dare la Dalmazia all'Italia, adesso<br />

desideravano <strong>in</strong>vece che questa fosse data alla Yugoslavia; per contro, l'Italia era<br />

impegnata dallo stesso Patto a dare Fiume alla Croazia, ma tutti gli italiani erano<br />

contrari alla cessione <strong>del</strong>la città alla Yugoslavia. Sarebbe bastato qu<strong>in</strong>di che gli <strong>in</strong>viati<br />

italiani avessero acconsentito alla revisione <strong>del</strong> Patto di Londra, abbandonando <strong>le</strong> loro<br />

pretese sulla Dalmazia <strong>in</strong> cambio di Fiume. A una soluzione <strong>del</strong> prob<strong>le</strong>ma <strong>in</strong> questi<br />

term<strong>in</strong>i si giunse f<strong>in</strong>almente tra il 1920 e il 1924, senza che la Yugoslavia andasse<br />

perciò <strong>in</strong> rov<strong>in</strong>a, né l'Italia divenisse più felice o acquistasse maggiore potenza per via<br />

di Fiume.<br />

Sia Sonn<strong>in</strong>o che il presidente <strong>del</strong> Consiglio Orlando, durante i negoziati di pace, fecero<br />

tutto quanto era possibi<strong>le</strong> per dare importanza al prob<strong>le</strong>ma e renderlo <strong>in</strong>solubi<strong>le</strong>.<br />

Sonn<strong>in</strong>o, come m<strong>in</strong>istro degli Esteri, cont<strong>in</strong>uava a reclamare la Dalmazia, mentre<br />

Orlando, come presidente <strong>del</strong> Consiglio, faceva appello al pr<strong>in</strong>cipio di nazionalità, a<br />

nome di tutti gli italiani, reclamando <strong>in</strong> aggiunta la città di Fiume. Gli <strong>in</strong>viati italiani,<br />

<strong>in</strong>somma, <strong>in</strong>vocavano per Fiume il diritto di nazionalità, mentre lo ignoravano per la<br />

Dalmazia; <strong>in</strong>vocavano il Patto di Londra per la Dalmazia, mentre lo ignoravano per<br />

Fiume.<br />

Questa tattica era tanto più assurda <strong>in</strong> quanto alla Conferenza <strong>del</strong>la Pace Sonn<strong>in</strong>o ed<br />

Orlando non dovevano fare i conti soltanto con i diplomatici <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si e francesi,<br />

impegnati dal Patto di Londra, ma avevano di fronte il presidente Wilson, che, non<br />

avendo sottoscritto quel Patto, non aveva obblighi verso l'Italia. Wilson era pronto ad<br />

accettare che ci venisse concesso il Trent<strong>in</strong>o, il Sud-Tirolo, Gorizia, Trieste e l'Istria<br />

occidenta<strong>le</strong>, ma rigettava <strong>le</strong> nostre pretese sulla Dalmazia, su Fiume, sull'Istria<br />

orienta<strong>le</strong> e sulla maggior parte degli "h<strong>in</strong>terlands" di Gorizia e di Trieste.<br />

Non appena Sonn<strong>in</strong>o ed Orlando si scontrarono nella opposizione di Wilson, essi<br />

scatenarono contro di lui sulla stampa italiana una campagna di m<strong>in</strong>acce, <strong>in</strong>sulti e<br />

recrim<strong>in</strong>azioni, che ebbe l'effetto di irrigidire s<strong>in</strong>o all'assurdo la resistenza <strong>del</strong><br />

presidente americano.


Approfittando <strong>del</strong>la frattura creatasi tra Sonn<strong>in</strong>o, fermo a reclamare quel mezzo chilo<br />

di carne che gli era stato promesso, e Wilson, che non aveva sottoscritto il Patto e<br />

non era qu<strong>in</strong>di impegnato a renderlo esecutivo, Lloyd Ge<strong>org</strong>e e C<strong>le</strong>menceau poterono<br />

eludere <strong>le</strong> promesse fatte nel Patto di Londra. Quando questo era stato stipulato,<br />

l'opposizione di Wilson non era stata contemplata; ta<strong>le</strong> opposizione era cosa che<br />

riguardava gli italiani, non gli <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si né i francesi: <strong>in</strong> tal modo essi assunsero l'aria<br />

<strong>in</strong>nocente di spettatori dis<strong>in</strong>teressati. Così il prob<strong>le</strong>ma degli "h<strong>in</strong>terlands" di Gorizia e<br />

Trieste, e il prob<strong>le</strong>ma <strong>del</strong>l'Istria orienta<strong>le</strong>, di Fiume, <strong>del</strong>la Dalmazia e <strong>del</strong>l'Albania,<br />

rimasero sospesi. E mentre gli uom<strong>in</strong>i politici italiani, i giornalisti e i professori si<br />

scaldavano per Fiume, e Sonn<strong>in</strong>o e Orlando litigavano con Wilson, Lloyd Ge<strong>org</strong>e e<br />

C<strong>le</strong>menceau si pappavano rispettivamente 450000 e 225000 chilometri quadrati di<br />

colonie tedesche <strong>in</strong> Africa, e si dividevano tutti i territori <strong>del</strong> Medio Oriente non abitati<br />

da popolazioni turche. La città di Smirne e il suo distretto, che durante la guerra<br />

(Trattato di, Sa<strong>in</strong>t Jean de Maurienne, 1917) era stata promessa a Sonn<strong>in</strong>o, fu<br />

restituita ai greci. La questione dei compensi territoriali che l'Italia avrebbe dovuto<br />

ricevere nel Medio Oriente e <strong>in</strong> Africa venne r<strong>in</strong>viata a negoziati futuri. Uno dei<br />

compensi che Sonn<strong>in</strong>o aveva sperato di strappare a C<strong>le</strong>menceau e Lloyd Ge<strong>org</strong>e<br />

durante i negoziati di pace era una qualche specie di mano libera <strong>in</strong> Etiopia. Londra e<br />

Parigi rifiutarono con fermezza. Gli <strong>in</strong>nocenti diplomatici <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si e i loro caval<strong>le</strong>reschi<br />

col<strong>le</strong>ghi francesi sfruttarono s<strong>in</strong>o <strong>in</strong> fondo il fatto di non aver più bisogno <strong>del</strong>la carne<br />

da cannone italiana per la cont<strong>in</strong>uazione <strong>del</strong>la guerra. Le promesse da essi fatte per<br />

trasc<strong>in</strong>are l'Italia <strong>in</strong> guerra e v<strong>in</strong>colarla s<strong>in</strong>o alla sconfitta tedesca, adesso potevano<br />

essere impunemente trascurate. Essi non si presero la pena di considerare che dietro<br />

Sonn<strong>in</strong>o ed Orlando vi era una nazione, i cui sacrifici sopportati durante la guerra<br />

meritavano una ricompensa migliore.<br />

Gli effetti di questa sconfitta diplomatica ebbero una vasta portata. Nel 1914, l'Italia<br />

non aveva subito sul proprio territorio nessun attacco, a differenza <strong>del</strong> Belgio e <strong>del</strong>la<br />

Francia, e neppure si era trovata improvvisamente impegnata nel conflitto e senza il<br />

tempo di rif<strong>le</strong>ttervi, come era accaduto alla Germania, all'Austria-Ungheria,<br />

all'Inghilterra e alla Russia. L'Italia per nove mesi, dall'agosto <strong>del</strong> 1914 al maggio<br />

1915, si era logorata a discutere se avrebbe dovuto o no <strong>in</strong>tervenire nel conflitto. Un<br />

paese dove per nove mesi si discute <strong>in</strong>torno al prob<strong>le</strong>ma <strong>del</strong>la guerra e <strong>del</strong>la pace è<br />

<strong>in</strong>evitabilmente dest<strong>in</strong>ato a dividersi <strong>in</strong> fazioni contrastanti. Ciò è avvenuto negli Stati<br />

Uniti negli anni dal 1939 al 1941. Ed è quanto avvenne <strong>in</strong> Italia nel 1914-1915. I<br />

partiti italiani si divisero <strong>in</strong> '<strong>in</strong>terventisti' e 'neutralisti,' e ta<strong>le</strong> divisione si mantenne<br />

durante tutta la guerra.<br />

F<strong>in</strong>ita la guerra, quando fu riprist<strong>in</strong>ata la libertà di stampa e di parola, la po<strong>le</strong>mica,<br />

che durante la guerra era stata soffocata, scoppiò con estrema vio<strong>le</strong>nza. Quegli<br />

uom<strong>in</strong>i politici e quei giornali che nel 1915 si erano opposti all'entrata <strong>del</strong>l'Italia <strong>in</strong><br />

guerra, adesso che il fallimento degli <strong>in</strong>viati italiani alla Conferenza <strong>del</strong>la Pace<br />

appariva evidente, potevano vantarsi che "essi" avevano sempre avuto ragione,<br />

cercando di risparmiare al popolo italiano una guerra dalla qua<strong>le</strong> non si era potuto<br />

trarre nessun profitto. Essi avevano previsto il 'tradimento' dei 'perfidi' al<strong>le</strong>ati, e per<br />

"questa" ragione si erano opposti all'entrata <strong>del</strong>l'Italia <strong>in</strong> guerra al fianco di tali al<strong>le</strong>ati.<br />

Responsabili <strong>del</strong> 'disastro' diplomatico a cui si era esposto il paese erano ritenuti tutti<br />

coloro che erano stati favorevoli all'<strong>in</strong>tervento <strong>in</strong> guerra. Ora era giunto per essi il<br />

tempo di render conto <strong>del</strong> loro misfatto. E come se ciò non bastasse, si dette il caso<br />

che fossero proprio gli uom<strong>in</strong>i politici che avevano sp<strong>in</strong>to l'Italia <strong>in</strong> guerra e quei<br />

giornali che avevano soffiato sul fuoco, che ora <strong>in</strong> ogni tono andavano ripetendo ai<br />

quattro venti che il sangue di mezzo milione di morti e di mezzo milione di <strong>in</strong>validi era<br />

stato versato <strong>in</strong>vano, dato che i 'perfidi al<strong>le</strong>ati' non ci avevano dato la Dalmazia, l'Asia<br />

M<strong>in</strong>ore, l'Etiopia e chissà mai cos'altro. Al popolo si era promesso che questa sarebbe<br />

stata l'ultima guerra, la guerra per porre f<strong>in</strong>e a tutte <strong>le</strong> guerre, e che sarebbe stata


assicurata la pace per i loro figli e per i loro nipoti. Ed ora, dopo tre anni e mezzo di<br />

sovrumane fatiche, a questo popolo si disse che esso aveva 'v<strong>in</strong>to la guerra, ma<br />

perduto la pace,' che l'America, l'Inghilterra e la Francia avevano 'mutilata' la vittoria,<br />

e che ci si doveva preparare per vendicare l'<strong>in</strong>utilità di questa guerra.<br />

Neppur il governo francese riuscì ad ottenere alla Conferenza <strong>del</strong>la Pace tutto ciò che<br />

vo<strong>le</strong>va: non riuscì ad ottenere che venisse tolta alla Germania la riva s<strong>in</strong>istra <strong>del</strong><br />

Reno, né poté ottenere l'annessione <strong>del</strong>la Saar, e neanche lo smembramento <strong>del</strong>la<br />

Germania. Tuttavia il popolo francese non attraversò una crisi di disperazione e di<br />

esasperazione come quella che fece comp<strong>le</strong>tamente perdere la testa a molti italiani.<br />

Po<strong>in</strong>caré, C<strong>le</strong>menceau e Foch non si misero a proclamare al paese che la Francia era<br />

stata truffata <strong>del</strong>la sua vittoria, che la Francia era rov<strong>in</strong>ata, che la Francia doveva<br />

prepararsi a fare la guerra ai suoi al<strong>le</strong>ati per prendersi ciò che questi al<strong>le</strong>ati <strong>le</strong><br />

avevano rifiutato. Che cosa sarebbe accaduto <strong>in</strong> Francia se quasi tutti i giornali, i<br />

deputati e i m<strong>in</strong>istri responsabili <strong>del</strong>la guerra, o coloro che avevano deplorato la<br />

guerra, avessero <strong>in</strong>iziato una vio<strong>le</strong>nta campagna di recrim<strong>in</strong>azione, simi<strong>le</strong> a quella a<br />

cui si abbandonarono <strong>in</strong> Italia Orlando, Sonn<strong>in</strong>o, gli alti comandi <strong>del</strong>l'esercito e <strong>del</strong>la<br />

mar<strong>in</strong>a, giornali e uom<strong>in</strong>i politici? Se ne sarebbero tornati beati e contenti al<strong>le</strong> loro<br />

case, i soldati francesi, o non avrebbero piuttosto trucidato m<strong>in</strong>istri, deputati e<br />

giornalisti, che avevano provocato la guerra e ora proclamavano che a causa di essa<br />

gli '<strong>in</strong>teressi vitali' <strong>del</strong> paese erano andati <strong>in</strong> rov<strong>in</strong>a? Il popolo italiano, anche<br />

sottoposto ad un trattamento così dissennato, non si dette a massacrare i responsabili<br />

<strong>del</strong>la guerra, qualunque fosse la loro fede o partito, come avrebbero meritato; cadde<br />

<strong>in</strong>vece <strong>in</strong> uno stato di morbosa irritazione.<br />

Chiunque voglia comprendere <strong>le</strong> agitazioni che ebbero luogo <strong>in</strong> Italia negli anni <strong>del</strong><br />

dopoguerra deve tenere presente non soltanto l'esaurimento fisico che tre anni e<br />

mezzo di sofferenze avevano causato, ma anche e soprattutto il ve<strong>le</strong>no <strong>del</strong>la<br />

propaganda disfattista alla qua<strong>le</strong> fu assoggettato il popolo italiano nel 1919. La storia<br />

d'Italia, <strong>del</strong><strong>le</strong> sue agitazioni sociali e dei suoi malanni politici nel dopoguerra appare<br />

nella sua vera luce solo quando si <strong>in</strong>quadri nella cornice psicologica <strong>del</strong>la 'vittoria<br />

mutilata.'<br />

Nel suo "Golia", B<strong>org</strong>ese ha descritto da maestro il morbo che rodeva gli animi <strong>del</strong>la<br />

"<strong>in</strong>tellighenzia" italiana negli anni dal 1870, alla guerra mondia<strong>le</strong>. Era il cancro<br />

romano-imperia<strong>le</strong>: il ricordo e la nostalgia <strong>del</strong>la grandezza <strong>del</strong>l'Impero romano, e<br />

<strong>in</strong>sieme un <strong>in</strong>quieto anelare ad impossibili imprese, che generava <strong>del</strong>usione e<br />

amarezza, e portava gli uom<strong>in</strong>i a mortificare se stessi. L'Italia era schiacciata dal suo<br />

passato. Gli americani non hanno passato; vivono nel futuro. E' quanto hanno di<br />

meglio e la loro più grande fortuna. Un certo grado di <strong>in</strong>telligente autocritica è un<br />

correttivo uti<strong>le</strong> contro la sciocca boria naziona<strong>le</strong>: ta<strong>le</strong> autocritica è stata giustamente<br />

def<strong>in</strong>ita come quel 'div<strong>in</strong>o scontento' che conduce gli uom<strong>in</strong>i a sempre maggiori<br />

progressi. Ma una aspettazione assurda e un'opera <strong>in</strong>cessante di degradazione sono<br />

ve<strong>le</strong>ni che creano la mania di persecuzione e conducono a errori madornali. Invece di<br />

porre a confronto il loro presente con il loro passato immediato e prender coscienza<br />

<strong>del</strong> camm<strong>in</strong>o che il loro popolo andava compiendo con eroico e si<strong>le</strong>nzioso sforzo, gli<br />

uom<strong>in</strong>i <strong>del</strong>la "<strong>in</strong>tellighenzia" italiana giudicavano <strong>le</strong> condizioni presenti secondo il<br />

metro dei ricordi di una passata grandezza o dei sogni di primati impossibili. La<br />

conseguenza fu che nessuna misura di progresso poteva soddisfarli. Essi ebbero<br />

paro<strong>le</strong> soltanto per lamentare la mediocrità, l'<strong>in</strong>capacità, la disonestà e i fallimenti dei<br />

loro uom<strong>in</strong>i politici.<br />

Questa malattia italiana non fu mai tanto diffusa e vio<strong>le</strong>nta come negli anni che<br />

seguirono la prima guerra mondia<strong>le</strong>: 'Si verificò un miracolo, mai visto prima, di<br />

alchimia psicopatica. L'Italia, o almeno la classe <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong> e politica alla qua<strong>le</strong> un<br />

dest<strong>in</strong>o avverso aveva affidato l'Italia, aveva mutato una vittoria <strong>in</strong> una sconfitta. (...)<br />

La nazione, colpita da masochismo, esultava di <strong>del</strong>usione.' (5) I soli italiani, tra tutti i


popoli che avevano v<strong>in</strong>to la guerra, soffrivano di un loro specifico disturbo. Invece<br />

<strong>del</strong>l'<strong>org</strong>oglio <strong>del</strong>la vittoria che doveva recare la fiducia <strong>in</strong> se stessi, subentrò negli<br />

italiani il nero pessimismo <strong>del</strong>la sconfitta.


CAPITOLO TERZO.<br />

LA RIPRESA DELL'ITALIA.<br />

S<strong>in</strong>o all'estate <strong>del</strong> 1920 ci furono momenti <strong>in</strong> cui si poté temere che non fosse<br />

possibi<strong>le</strong> evitare una catastrofe politica. Eppure non si arrivò mai alla crisi fata<strong>le</strong>, né si<br />

verificò un collasso economico. Al contrario: non appena la guerra fu f<strong>in</strong>ita, com<strong>in</strong>ciò a<br />

manifestarsi un processo di ripresa che, nonostante difficoltà di ogni genere, si svolse<br />

rapido e costante. Scegliamo tra i molti alcuni dati <strong>in</strong>dicativi.<br />

In un paese come l'Italia, che ha m<strong>in</strong>iere di carbone <strong>in</strong>sufficienti ai bisogni <strong>del</strong> paese,<br />

<strong>le</strong> importazioni di carbone danno una misura caratteristica <strong>del</strong>l'attività economica.<br />

Quando <strong>le</strong> importazioni aumentano, l'attività economica è <strong>in</strong> progresso; quando<br />

dim<strong>in</strong>uiscono, questo è segno di depressione. Nel 1913, alla vigilia <strong>del</strong>la guerra,<br />

l'Italia importò 11,8 milioni di tonnellate di carbone. Durante la guerra <strong>le</strong> importazioni<br />

scesero a 5,8 milioni di tonnellate. Nel 1922 <strong>le</strong> importazioni raggiunsero i 9,6 milioni.<br />

Nello stesso tempo il consumo di forza e<strong>le</strong>ttrica aumentò rapidamente.<br />

Un altro <strong>in</strong>dice di attività economica è il movimento <strong>del</strong><strong>le</strong> merci sul<strong>le</strong> ferrovie. Nel<br />

1913, <strong>le</strong> ferrovie italiane trasportarono 37,4 milioni di tonnellate. Nel 1918 il<br />

movimento era sceso a 28,9 milioni. Nel 1922 esso era risalito a 36,2 milioni, (1) cioè<br />

<strong>le</strong> ferrovie avevano riguadagnato quasi tutto il terreno perduto durante la guerra.<br />

Nello stesso tempo il numero dei camions cresceva rapidamente. Quasi un miliardo fu<br />

speso nel riparare <strong>le</strong> l<strong>in</strong>ee ferroviarie e accrescere il materia<strong>le</strong> rotabi<strong>le</strong>.<br />

Il numero <strong>del</strong><strong>le</strong> società per azioni, che nel 1918 era di 3463 con un capita<strong>le</strong> di 7257<br />

milioni, salì a 4520 con un capita<strong>le</strong> di 13014 milioni nel 1919; a 5541 con un capita<strong>le</strong><br />

di 17784 milioni nel 1920; a 6191 con un capita<strong>le</strong> di 20350 milioni nel 1921; a 6850<br />

con un capita<strong>le</strong> di 21395 milioni nel 1922.<br />

I depositi nel<strong>le</strong> casse di risparmio postali e ord<strong>in</strong>arie salirono da 7906 milioni nel 1918<br />

a 10643 nel 1919; a 13213 nel 1920; a 15576 nel 1921; e a 17250 nel 1922.<br />

Il dicembre 1919 e il gennaio 1920 furono fra i mesi più turbo<strong>le</strong>nti di quel periodo. Vi<br />

furono scioperi nel<strong>le</strong> ferrovie e nel<strong>le</strong> poste, nell'<strong>in</strong>dustria e nell'agricoltura. Tumulti e<br />

repressioni provocarono scioperi di protesta. Ebbene, proprio nel gennaio 1920 un<br />

prestito naziona<strong>le</strong> fruttò 18 miliardi di lire, somma assai superiore a qualunque altro<br />

prestito naziona<strong>le</strong> emesso prima. Gli eventi politici, spesso, stanno alla vita economica<br />

di una nazione, come <strong>le</strong> onde superficiali stanno agli strati profondi <strong>del</strong> mare: mentre<br />

quel<strong>le</strong> sono agitate dal<strong>le</strong> tempeste, questi rimangono immoti.<br />

Nel 1920, l'anno <strong>del</strong><strong>le</strong> più acute agitazioni, la disoccupazione fu <strong>in</strong>significante. I grandi<br />

scioperi erano resi possibili appunto dalla scarsezza di mano d'opera, mentre la<br />

<strong>in</strong>flazione, facendo salire il costo <strong>del</strong>la vita, sp<strong>in</strong>geva gli operai a domandare salari più<br />

alti: 'Contad<strong>in</strong>i ed operai,' scrisse un economista nel 1921, 'non hanno mai goduto di<br />

tanto benessere e di tanta agiatezza come <strong>in</strong> questi anni.' (2) Questo benessere non<br />

era dovuto a più alti salari reali: nel 1921 i salari <strong>in</strong>dustriali avevano una capacità di<br />

acquisto superiore appena per il 10 per cento a quelli <strong>del</strong> 1913. Ma nel 1919 e 1920,<br />

ogni persona capace di lavorare nel<strong>le</strong> famiglie operaie - uomo, donna, figli adulti - era<br />

occupata.<br />

Dopo il dicembre 1920, un <strong>le</strong>nto processo di deflazione com<strong>in</strong>ciò, e il valore <strong>del</strong>la lira<br />

conseguentemente risalì. La seguente tabella ci dà mese per mese il valore <strong>del</strong><br />

circolante e il tasso di scambio per gli anni 1920-22 (3).<br />

TABELLA.<br />

[Nell'ord<strong>in</strong>e: Mesi - anno 1920: circolazione <strong>in</strong> milioni - tasso scambio 1 dollaro //<br />

idem 1921 // idem 1922].


1 - 18167 - 13,98 // 21808 - 28,25 // 21300 - 22,94.<br />

2 - 17979 - 18,21 // 21472 - 27,34 // 20802 - 2045.<br />

3 - 18465 - 19,03 // 21309 - 26,04 // 20657 - 19,55.<br />

4 - 18963 - 22,94 // 20823 - 21,65 // 20257 - 18,68.<br />

5 - 19397 - 19,86 // 20575 - 18,73 // 19866 - 19,04.<br />

6 - 20355 - 16,89 // 20704 - 19,84 // 20371 - 20,07.<br />

7 - 20441 - 17,28 // 20485 - 21,90 // 20545 - 21,96.<br />

8 - 20500 - 20,54 // 20387 - 23,51 // 20293 - 22,28.<br />

9 - 21458 - 22,89 // 20702 - 23,54 // 20537 - 23,41.<br />

10 - 21846 - 25,67 // 20846 - 25,33 // 20761 - 23,97.<br />

11 - 22022 - 27,55 // 20468 - 24,29 // 20513 - 22,09.<br />

12 - 22277 - 28,57 // 21755 - 22,69 // 20559 - 19,88.<br />

Nonostante alcune oscillazioni stagionali, è <strong>in</strong>negabi<strong>le</strong> un genera<strong>le</strong> processo di ripresa<br />

(4). Nel dicembre <strong>del</strong> 1923, Mortara scrisse:<br />

«La f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1920 segna una svolta decisiva nella recente storia <strong>del</strong> nostro paese.<br />

Frenato l'aumento <strong>del</strong>la circolazione, ricondotto gradualmente l'equilibrio nel bilancio<br />

dei pagamenti <strong>in</strong>ternazionali, apparsa alla prova la impotenza <strong>del</strong> bolscevismo<br />

nostrano, la vita economica <strong>del</strong> paese riprende con ritmo più regolare. (...)<br />

Come l'<strong>in</strong>stabilità <strong>del</strong> potere d'acquisto <strong>del</strong>la moneta era stata la pr<strong>in</strong>cipa<strong>le</strong><br />

caratteristica <strong>del</strong> biennio 1919-20, così la stabilità di esso è la caratteristica<br />

fondamenta<strong>le</strong> <strong>del</strong> biennio 1921-23» (5).<br />

Il sistema fisca<strong>le</strong> sia stata<strong>le</strong> che <strong>del</strong><strong>le</strong> amm<strong>in</strong>istrazioni locali venne riformato <strong>in</strong> modo<br />

radica<strong>le</strong>, e i contribuenti spremuti senza pietà. Il gettito <strong>del</strong><strong>le</strong> imposte, che era stato<br />

di 9175 milioni nel bilancio 1918-19, salì a 15207 milioni nel 1919-20; a 18820<br />

milioni nel 1920-21; e a 19790 milioni nel 1921-22.<br />

I debiti dovuti al<strong>le</strong> spese di guerra e di cui giungevano <strong>le</strong> scadenze vennero<br />

puntualmente pagati. La loro spesa ammontava a 25,5 milioni nel bilancio 1918-19;<br />

12,4 milioni nel 1919-20; 23,3 milioni nel 1920-21; 18,2 milioni nel 1921-22; e scese<br />

a 4,8 milioni nel 1922-23. Il peso maggiore si fece sentire nei primi quattro anni dopo<br />

la guerra 86). Uno dei maggiori esperti italiani di economia, il Mortara, nel dicembre<br />

1921 predisse che nel 1924 il decifit sarebbe sparito (7).<br />

Nei rapporti mandati negli anni <strong>del</strong> dopoguerra a Wash<strong>in</strong>gton dagli "attachés"<br />

commerciali presso l'ambasciata americana a Roma e pubblicati nei "Commerce<br />

Reports", non appare mai il m<strong>in</strong>imo <strong>in</strong>dizio di un cataclisma economico <strong>in</strong> Italia. Al<br />

contrario, tutti hanno l'impressione che il paese sia <strong>in</strong> una fase di <strong>in</strong>tensa attività nel<br />

passaggio dallo stato di guerra allo stato di pace. 'Parecchie imprese americane<br />

estendono i loro affari <strong>in</strong> Italia.' (8) Gli italiani emigrati <strong>in</strong> America erano così poco<br />

preoccupati per il 'bolscevismo' <strong>in</strong> Italia, che ritornavano <strong>in</strong> Italia con <strong>le</strong> tasche piene<br />

di dollari; 'la ricchezza portata da questa gente forma oggi una larga fonte di reddito<br />

nell'Italia meridiona<strong>le</strong>.' (9) 'Le <strong>in</strong>dustrie tessili sono arrivate al punto che possono non<br />

solo provvedere ai bisogni normali <strong>del</strong>l'Italia, ma anche produrre per l'esportazione.'<br />

(10) 'L'anno 1919 fu estremamente prospero, (...) un periodo di ecceziona<strong>le</strong> attività<br />

che è cont<strong>in</strong>uata anche dopo.' (11) Neanche i turisti erano spaventati dal<br />

'bolscevismo' italiano. 'Il volume <strong>del</strong> movimento turistico cresce cont<strong>in</strong>uamente, e i<br />

grandi alberghi annunziano una buona quantità di affari.' (12) Gli italiani si<br />

permettevano pers<strong>in</strong>o il lusso di <strong>org</strong>anizzare a Venezia una mostra <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong><br />

d'arte.<br />

«Il popolo italiano ha dato prove evidenti di fiducia nella capacità che ha il suo<br />

governo di assumere il peso f<strong>in</strong>anziario risultante dalla guerra. L'aumento di più che il


35 per cento avvenuto nel<strong>le</strong> somme depositate nel<strong>le</strong> casse di risparmio dal dicembre<br />

1918 all'ottobre 1919 (...) dimostra chiarissimamente che il popolo italiano è disposto<br />

ad affidare al governo i propri risparmi. Un'altra prova <strong>del</strong>la stessa attitud<strong>in</strong>e è data<br />

dai prezzi dei titoli, compreso il debito consolidato 5 per cento messo sul mercato nel<br />

1917 a lire 86,50. Questi titoli sono stati sempre venduti ad un prezzo superiore a<br />

quello di emissione, e oggi sono giunti a 87 lire nonostante che un'altra campagna sia<br />

condotta con grande energia per un nuovo prestito al 5 per cento. Nel 1866, dopo la<br />

guerra per l'<strong>in</strong>dipendenza italiana, i titoli 5 per cento messi sul mercato caddero a<br />

circa 41 lire (13).<br />

Quasi senza eccezione <strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie italiane sono state e sono estremamente attive.<br />

Dove è possibi<strong>le</strong> la forza e<strong>le</strong>ttrica è stata utilizzata. L'uso <strong>del</strong> petrolio cresce<br />

cont<strong>in</strong>uamente. Si ha una ecceziona<strong>le</strong> domanda per i prodotti necessari all'agricoltura.<br />

I produttori di automobili sono sopraffatti dagli ord<strong>in</strong>i. Vi è stata una notevolissima<br />

domanda di prodotti di seta, tanto che i setaioli debbono rifiutare <strong>le</strong> ord<strong>in</strong>azioni per<br />

prima <strong>del</strong> 1921. Ciò può essere dovuto al maggiore potere di acquisto raggiunto da<br />

certe classi <strong>del</strong>la popolazione, che spendono largamente i loro aumentati guadagni <strong>in</strong><br />

articoli di abbigliamento. La esportazione di prodotti tessili di seta è quasi cessata;<br />

anzi prodotti tessili di seta sono importati dalla Svizzera, e trovano un largo mercato<br />

nonostante gli alti prezzi. Durante gli ultimi sei mesi <strong>le</strong> banche italiane hanno<br />

annunciato un volume di affari notevolmente superiore a quello raggiunto nel<br />

massimo periodo di attività durante la guerra, i depositi a risparmio e quelli <strong>in</strong> conto<br />

corrente sono aumentati rapidamente. Il mercato dei titoli è stato attivo e i prezzi ben<br />

sostenuti (14).<br />

Secondo i dati pubblicati dal m<strong>in</strong>istero <strong>del</strong> Tesoro i depositi ord<strong>in</strong>ari sono aumentati<br />

da lire 1.491.170.560 al 30 giugno 1914, a lire 3.567.462.189 al 30 giugno 1919; e i<br />

depositi di risparmio da lire 6.000.548.747 a lire 13.586.086.947. La moneta<br />

depositata nel<strong>le</strong> banche non sarebbe stata impiegata <strong>in</strong> quel modo se i depositanti<br />

avessero avuto debiti su cui pagare <strong>in</strong>teressi, poiché questi <strong>in</strong>teressi sarebbero<br />

certamente più alti di quelli ricevuti sui depositi. I monti di pietà sono quasi vuoti. (...)<br />

Da diversi anni si registrano <strong>in</strong> Italia pochissimi casi di fallimenti e nessuno di qualche<br />

importanza (15)<br />

Il tota<strong>le</strong> degli <strong>in</strong>vestimenti netti bancari, nei primi sei mesi <strong>del</strong> 1920, è assai maggiore<br />

che per <strong>le</strong> altre <strong>in</strong>dustrie e raggiunge una quota che s<strong>in</strong>ora non era mai stata sfiorata.<br />

Gli <strong>in</strong>vestimenti nel<strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie tessili, nei primi sei mesi <strong>del</strong> 1920, hanno raggiunto<br />

una cifra quasi dieci volte superiore a quella <strong>del</strong> periodo corrispondente nel 1919»<br />

(16).<br />

Dal 1919 al 1922, nella zona lungo la frontiera austriaca devastata dalla guerra, case<br />

private, chiese, ospedali, scuo<strong>le</strong>, strade, canali, ponti, acquedotti, ferrovie, tutto fu<br />

costruito o riparato, e il macch<strong>in</strong>ario agricolo e il bestiame ricostituito, con una spesa<br />

tota<strong>le</strong> di otto miliardi di lire (17). Aviatori italiani, su apparecchi fabbricati <strong>in</strong> Italia,<br />

v<strong>in</strong>sero la coppa Schneider nel<strong>le</strong> gare <strong>in</strong>ternazionali <strong>del</strong> 1920 e 1922. Nel 1920 il<br />

municipio di Milano mise Arturo Toscan<strong>in</strong>i a capo <strong>del</strong> teatro <strong>del</strong>la Scala, che ebbe<br />

proprio <strong>in</strong> quegli anni una fra <strong>le</strong> più gloriose stagioni <strong>del</strong>la sua storia. La "Enciclopedia<br />

Italiana" venne progettata nel 1920-21.<br />

Alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1920, i s<strong>in</strong>tomi di una crisi <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong> e commercia<strong>le</strong>, che si erano già<br />

manifestati sul mercato mondia<strong>le</strong>, com<strong>in</strong>ciarono ad apparire anche <strong>in</strong> Italia. Riccardo<br />

Bachi scrisse:<br />

«La presente crisi (...) si è venuta <strong>del</strong><strong>in</strong>eando ben decisa sul mercato mondia<strong>le</strong> lungo<br />

la seconda metà <strong>del</strong>l'anno 1920 e annuncia per il tempo prossimo vicende dolorose e<br />

gravi difficoltà economiche. (...). La crisi si è <strong>in</strong>iziata nella primavera scorsa nel


Giappone e si è propagata via via <strong>in</strong> tutto il mondo. (...) Il tempo prossimo si<br />

annuncia assai diffici<strong>le</strong>» (18).<br />

Fortunatamente il raccolto <strong>del</strong> 1921 fu buono e bilanciò la recessione <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong>. La<br />

vita economica italiana, alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1921, mostrava molti s<strong>in</strong>tomi di conva<strong>le</strong>scenza.<br />

Gi<strong>org</strong>io Mortara scrisse nel dicembre <strong>del</strong> 1921:<br />

«L'Italia ha sensibilmente migliorato <strong>le</strong> sue condizioni nel corso <strong>del</strong> 1921. (...) Che<br />

l'Italia stia <strong>in</strong> un <strong>le</strong>tto di rose sarebbe temerario sostenere; tuttavia, ricordando gli<br />

ostacoli superati ieri, si possono guardare senza soverchio timore <strong>le</strong> difficoltà di oggi.<br />

L'<strong>in</strong>dustria agricola, fondamento <strong>del</strong>la nostra economia, appare nettamente avviata<br />

verso <strong>le</strong> condizioni normali (...); quella profonda depressione che è stata conseguenza<br />

<strong>del</strong>la guerra è superata. Non meno confortanti, forse anche migliori, sono <strong>le</strong> condizioni<br />

<strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dustria zootecnica. L'<strong>in</strong>dustria m<strong>in</strong>eraria si risente <strong>del</strong>la depressione <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong><br />

esterna ed <strong>in</strong>terna: alcuni suoi rami tuttavia si mantengono attivi. Varie sono <strong>le</strong> sorti<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie trasformatrici di materie prime. Pochissime sono veramente floride;<br />

parecchie attraversano, con varia resistenza, un periodo di ral<strong>le</strong>ntata attività; alcune<br />

sono <strong>in</strong> profonda crisi. Meglio resistono alla riduzione <strong>del</strong>la domanda <strong>le</strong> tessili, che nel<br />

loro comp<strong>le</strong>sso costituiscono il ramo più poderoso e più vita<strong>le</strong> <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie<br />

trasformatrici italiane. Agili nella ricerca dei nuovi sbocchi e pronte nell'adattamento<br />

<strong>del</strong>la produzione ai gusti dei mercati, come hanno attraversato senza eccessiva<br />

espansione il periodo bellico, così superano senza eccessiva restrizione questi anni di<br />

laborioso assestamento. Reggono bene anche <strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie alimentari. (...) A molte di<br />

esse il mercato naziona<strong>le</strong> consente largo smercio di prodotti: (...) L'<strong>in</strong>dustria e<strong>le</strong>ttrica<br />

è <strong>in</strong> via di espansione. (...) La produzione di energia è <strong>in</strong>feriore alla domanda; sotto<br />

l'impulso <strong>del</strong> bisogno si riprendono più attivamente <strong>le</strong> opere per il migliore<br />

sfruttamento <strong>del</strong><strong>le</strong> acque d'Italia. L'<strong>in</strong>dustria edilizia e quel<strong>le</strong> che la provvedono di<br />

materiali da costruzione vegetano ancora fiaccamente, non essendo <strong>del</strong> tutto rimosse,<br />

benché siano attenuate, <strong>le</strong> difficoltà che <strong>le</strong> hanno paralizzate negli scorsi anni. Alcuni<br />

rami <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dustria meccanica si mantengono vivacemente attivi, o per energia<br />

propria, come l'<strong>in</strong>dustria <strong>del</strong>l'automobi<strong>le</strong>, o col sussidio di commesse governative,<br />

come quel<strong>le</strong> che provvedono alla costruzione ed ai restauri <strong>del</strong> materia<strong>le</strong> ferroviario.<br />

Le <strong>in</strong>dustrie che più languono sono quel<strong>le</strong> che, nate o cresciute durante la guerra,<br />

avevano assunto (...) una fittizia apparenza di rigoglio. (...) Col ritorno a condizioni<br />

meno anormali, <strong>org</strong>ani che furono utili o necessari divengono parassitari o superflui, o<br />

sproporzionati al bisogno. (...) Le elim<strong>in</strong>azioni e <strong>le</strong> restrizioni di siffatti <strong>org</strong>ani (...)<br />

corrispondono ad una necessità <strong>in</strong>eluttabi<strong>le</strong> e (...) apparivano già fatali dal giorno<br />

<strong>del</strong>l'armistizio. (...) In comp<strong>le</strong>sso, la depressione <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie trasformatrici di<br />

materie prime appare grave e diffusa anche <strong>in</strong> Italia, ma è ben lontana dal<br />

raggiungere l'<strong>in</strong>tensità e l'estensione che ha toccato nei maggiori paesi <strong>in</strong>dustriali,<br />

come gli Stati Uniti e il Regno Unito. Le condizioni dei mezzi di comunicazione terrestri<br />

sono sensibilmente migliorate. (...) La flotta mercanti<strong>le</strong> si è accresciuta. (...) Nei porti<br />

<strong>le</strong> cose, senza andar bene, vanno un po' meno peggio. Il disagio di parecchie <strong>in</strong>dustrie<br />

nazionali ha determ<strong>in</strong>ato una estesa disoccupazione. (...) A questo fenomeno<br />

sconfortante fa riscontro, nel campo <strong>del</strong> lavoro, il fatto confortante <strong>del</strong>la maggior<br />

cont<strong>in</strong>uità e <strong>del</strong> maggior rendimento <strong>del</strong><strong>le</strong> opere manuali. (...) Una buona fonte di<br />

speranze per l'avvenire economico <strong>del</strong>l'Italia sta nell'andamento degli scambi<br />

economici con l'estero. Ancora nel 1920 il valore <strong>del</strong><strong>le</strong> merci importate aveva superato<br />

di 10-12 miliardi di lire quello <strong>del</strong><strong>le</strong> merci esportate.<br />

(...) Nel 1921, mentre l'eccedenza <strong>del</strong> valore <strong>del</strong><strong>le</strong> importazioni su quello <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

esportazioni è scesa a 5 o 6 miliardi, <strong>le</strong> spese dei forestieri <strong>in</strong> Italia sono fortemente<br />

aumentate, tanto da compensare largamente la riduzione avvenuta nel risparmio<br />

degli emigrati. (...) I nostri debiti verso l'estero sono forse ancora aumentati nel


1921, ma certamente <strong>in</strong> misura molto m<strong>in</strong>ore che nel 1920. Il 1922 si <strong>in</strong>izia, per<br />

quanto riguarda gli scambi con l'estero, con buone promesse. Occorrerà forse nei<br />

primi mesi <strong>del</strong>l'anno accrescere alquanto <strong>le</strong> importazioni di combustibili per supplire al<br />

difetto di energia idroe<strong>le</strong>ttrica (...); ma il propizio andamento <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie agrarie e<br />

zootecniche nel 1921 dispensa da larghe importazioni di cereali e di altre derrate<br />

alimentari. (...) Le esportazioni di frutta e d'ortaggi: attraverso molte difficoltà di<br />

collocamento, raggiungono una discreta mo<strong>le</strong>. L'afflusso dei forestieri non accenna a<br />

dim<strong>in</strong>uire, anzi sembra aumentare» (19).<br />

Il 1922 com<strong>in</strong>ciò sotto auspici poco propizi: il fallimento <strong>del</strong>la grande impresa<br />

metallurgica dei fratelli Ansaldo e quello <strong>del</strong>la Banca Italiana di Sconto, allora uno dei<br />

quattro più potenti <strong>org</strong>anismi bancari italiani, <strong>in</strong>ghiottirono molti risparmi. Inoltre un<br />

lungo periodo di siccità nell'autunno <strong>del</strong> 1921 e la scarsità di pioggia nell'<strong>in</strong>verno <strong>del</strong><br />

1922 causarono una deficienza nel<strong>le</strong> riserve dei bac<strong>in</strong>i idroe<strong>le</strong>ttrici, sicché nell'estate<br />

<strong>del</strong> 1922 non si poté soddisfare tutte <strong>le</strong> domande <strong>in</strong>dustriali di energia. Anche i<br />

raccolti furono eccezionalmente poveri <strong>in</strong> quell'anno. Il governo dovette fronteggiare<br />

la crisi di energia e<strong>le</strong>ttrica importandone dalla Svizzera. (20) Già nell'ottobre <strong>del</strong> 1922<br />

nel<strong>le</strong> relazioni degli addetti commerciali americani si <strong>le</strong>gge:<br />

«Il carattere più evidente nella situazione economica italiana durante il settembre<br />

passato fu il miglioramento nel<strong>le</strong> previsioni per <strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie tessili, metallurgiche e<br />

automobilistiche. Moneta e credito sono più facili. I prezzi dei titoli sul mercato<br />

risalgono di nuovo. Negli ultimi sei mesi la tendenza genera<strong>le</strong> è stata per il meglio.»<br />

Alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1922 la situazione economica <strong>del</strong> paese, secondo Mortara, era la<br />

seguente:<br />

«L'attività economica <strong>del</strong> paese si è andata <strong>in</strong>tensificando nel corso <strong>del</strong>l'anno. Si<br />

lavora con maggior fede nell'avvenire e <strong>in</strong> modo cont<strong>in</strong>uo e regolare. L'<strong>in</strong>dustria<br />

agricola, ad onta <strong>del</strong>la povertà dei raccolti, è riuscita a tener vive alcune notevoli<br />

correnti d'esportazione, a rianimarne altre; l'<strong>in</strong>dustria zootecnica, <strong>in</strong>sidiata dalla<br />

siccità estiva, è rimasta <strong>in</strong> discrete condizioni. (...) L'<strong>in</strong>dustria e<strong>le</strong>ttrica (...) è tornata<br />

<strong>in</strong> efficienza. (...) Le <strong>in</strong>dustrie trasformatrici <strong>del</strong><strong>le</strong> materie prime sono quasi tutte <strong>in</strong><br />

progresso. (...) Cont<strong>in</strong>uano a prosperare <strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie trasformatrici dei prodotti<br />

agricoli e pastorali. (...) Possono dirsi buone <strong>le</strong> condizioni <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dustria cotoniera,<br />

soddisfacenti quel<strong>le</strong> <strong>del</strong>la laniera e <strong>del</strong>la serica, discrete <strong>le</strong> sorti <strong>del</strong><strong>le</strong> m<strong>in</strong>ori <strong>in</strong>dustrie<br />

tessili. L'<strong>in</strong>dustria siderurgica è tuttora depressa. (...) Fra <strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie meccaniche (...)<br />

rifioriscono quei rami che sono <strong>in</strong> grado di recare più copiosi frutti; altri vegetano<br />

fiaccamente (...); altri m<strong>in</strong>acciano di appassire. Fra <strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie chimiche si vanno<br />

fatalmente elim<strong>in</strong>ando quel<strong>le</strong> cui l'Italia non offre ambiente propizio (...); altre<br />

ritornano alla prist<strong>in</strong>a attività. Il ribasso dei prezzi <strong>del</strong> materia<strong>le</strong> per costruzioni ha<br />

agevolato la ripresa <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dustria edilizia. (...) I trasporti terrestri si sono andati<br />

<strong>le</strong>ntamente ri<strong>org</strong>anizzando: sono meno vivi i lamenti per ritardi e per irregolarità nel<strong>le</strong><br />

consegne. Le migliorate condizioni dei porti hanno recato sollievo al traffico marittimo,<br />

che per il disord<strong>in</strong>e ivi regnante aveva grandemente sofferto. (...) Da due anni, ormai,<br />

l'economia italiana si è emancipata dal sussidio <strong>del</strong> credito estero, che era stato<br />

ancora necessario a sostenerla nel 1919 e nel 1920. (...) L'aumento <strong>del</strong>la circolazione<br />

monetaria è ormai frenato» (21).<br />

Riccardo Bachi scrisse alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1922:<br />

«Il meccanismo <strong>del</strong>l'economia italiana si è <strong>in</strong> comp<strong>le</strong>sso rivelato assai più solido e<br />

consistente di quanto si potesse presumere. (...) Ad un anno di distanza dal punto più


acuto <strong>del</strong>la crisi, appaiono all'orizzonte dei <strong>le</strong>mbi di azzurro, che possono ispirare un<br />

giudizio più ottimistico» (22)»<br />

La ripresa italiana negli anni <strong>del</strong> dopoguerra sembra quasi miracolosa. Per spiegarla si<br />

devono prendere <strong>in</strong> considerazione tre fatti:<br />

a) La guerra mondia<strong>le</strong>, sconvolgendo la struttura economica <strong>del</strong> paese la rafforzò<br />

sotto molti aspetti. Molte <strong>in</strong>dustrie ampliarono i loro impianti e adottarono metodi più<br />

efficienti per fornire prodotti che non potevano più essere importati dall'estero. Una<br />

<strong>le</strong>gge, che esentava i profitti di guerra dalla soprattassa di guerra se erano <strong>in</strong>vestiti<br />

nell'ampliare <strong>le</strong> fabbriche o migliorare il macch<strong>in</strong>ario, consigliò molte aziende a<br />

<strong>in</strong>vestire vasti capitali nel perfezionare gli impianti (23). Non appena cessò la guerra,<br />

<strong>le</strong> rimesse degli emigrati, il movimento dei forestieri e i guadagni <strong>del</strong>la mar<strong>in</strong>a<br />

mercanti<strong>le</strong> ritornarono a funzionare. Nel 1921 e 1922 il governo italiano non fece più<br />

debiti all'estero, sebbene l'eccedenza <strong>del</strong><strong>le</strong> importazioni sul<strong>le</strong> esportazioni<br />

ammontasse a 8 miliardi di lire all'anno. Questo prova che la bilancia dei pagamenti<br />

<strong>in</strong>ternazionali nel 1922 era <strong>in</strong> equilibrio (24).<br />

b) I 610,8 milioni di sterl<strong>in</strong>e e i 1648 milioni di dollari ottenuti come prestiti di guerra<br />

dall'Inghilterra e dagli Stati Uniti erano avvenuti sotto forma di importazioni. Le armi,<br />

<strong>le</strong> munizioni, i cibi e gli abiti per i soldati furono consumati senza lasciar traccia. Ma<br />

molta parte consisté <strong>in</strong> macch<strong>in</strong>ario e materie prime per l'<strong>in</strong>dustria e l'agricoltura. Alla<br />

f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la guerra vaste quantità di queste ricchezze erano accumulate nei depositi<br />

governativi. Il governo <strong>le</strong> vendette al pubblico sotto costo, e da tutto ciò ricavò oltre<br />

tre miliardi di lire (25). Se il debito estero avesse mai dovuto essere pagato, avrebbe<br />

rov<strong>in</strong>ato l'economia <strong>del</strong> paese. Ma nessun pagamento per questo titolo fu mai fatto<br />

f<strong>in</strong>o al 1925. Quando arrivò il momento di pagare il conto, <strong>le</strong> riparazioni ricevute dalla<br />

Germania coprirono i pagamenti che occorreva fare all'Inghilterra e all'America. In tal<br />

modo i debiti di guerra aiutarono <strong>in</strong> larga misura l'economia italiana a rafforzarsi. La<br />

guerra costò al "governo" italiano il cresciuto debito <strong>in</strong>terno, mentre costò al "popolo"<br />

italiano la ricchezza <strong>in</strong>terna distrutta durante la guerra "meno" quella parte <strong>del</strong> debito<br />

estero che rappresentò ricchezza non distrutta e che non fu pagata. La guerra<br />

produsse grandi spostamenti di ricchezza da <strong>in</strong>dividuo a <strong>in</strong>dividuo, non dim<strong>in</strong>uì la<br />

ricchezza <strong>del</strong> paese nel suo <strong>in</strong>sieme.<br />

Né l'aumento <strong>del</strong> debito <strong>in</strong>terno <strong>del</strong> governo fu così disastroso come a prima vista<br />

potrebbe sembrare. Dal 1915 al 1922, esso salì da 15 a 93 miliardi di lire. Ma mentre<br />

<strong>le</strong> lire <strong>del</strong> 1915 erano lire-oro, <strong>le</strong> lire <strong>del</strong> 1922 erano lire-carta, cioè erano meno che<br />

20 miliardi di lire-oro. Questo vuol dire che la guerra costò al governo italiano non più<br />

di c<strong>in</strong>que miliardi di lire-oro. La unificazione politica, fra il 1859 e il 1870, aveva<br />

prodotto un aumento nel debito pubblico di 6 miliardi di lire-oro. Nel 1922 i 39 milioni<br />

di italiani potevano sopportare i c<strong>in</strong>que miliardi spesi nella guerra mondia<strong>le</strong> assai<br />

meglio che i 27 milioni di italiani <strong>del</strong> 1871 potessero sopportare i 6 miliardi <strong>del</strong>la<br />

unificazione.<br />

F<strong>in</strong>almente - e certamente non fu questo il fattore meno importante - vi fu il lavoro<br />

<strong>del</strong> popolo italiano, sempre pronto a fare la sua parte. Non fa meraviglia qu<strong>in</strong>di che,<br />

f<strong>in</strong>ita la guerra, abbia avuto luogo un processo di ripresa. Già nel 1920 i s<strong>in</strong>tomi <strong>del</strong>la<br />

ripresa erano così appariscenti che il Credito Italiano notò 'il crescere di vecchie<br />

<strong>in</strong>dustrie, nuove vaste <strong>in</strong>stallazioni, un più raziona<strong>le</strong> sistema di lavoro, una grande<br />

trasformazione nei metodi tecnici.'<br />

«La struttura economica <strong>del</strong> paese si è molto migliorata <strong>in</strong> questi ultimi anni. Le<br />

<strong>in</strong>dustrie si sono meglio specializzate, così che il ciclo di produzione, nel qua<strong>le</strong> prima<br />

vi erano <strong>del</strong><strong>le</strong> lacune, è oggi più comp<strong>le</strong>to» (26).<br />

Ecco altre testimonianze di questo fatto:


«La guerra stimolò quasi ogni ramo <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dustria, e l'<strong>in</strong>troduzione dei turni di lavoro<br />

condusse alla espansione degli impianti e a nuovi processi produttivi nei quali prodotti<br />

secondari, una volta neg<strong>le</strong>tti, erano utilizzati. La estrazione <strong>del</strong> m<strong>in</strong>era<strong>le</strong> di ferro e la<br />

produzione <strong>del</strong> ferro di prima lavorazione e <strong>del</strong>l'acciaio aumentarono grandemente.<br />

L'esercito ebbe bisogno non solo di armi e munizioni, ma anche di altri prodotti <strong>in</strong><br />

grande quantità, dal<strong>le</strong> stoffe di lana a quel<strong>le</strong> di canapa, dal<strong>le</strong> scarpe al<strong>le</strong> automobili,<br />

dalla gomma alla carta, dai prodotti chimici ai cantieri navali (27).<br />

Durante la guerra, l'entrata <strong>in</strong> attività di nuove centrali, l'estensione di quel<strong>le</strong> già<br />

esistenti e l'<strong>in</strong>tensificato sfruttamento degli impianti consentirono un rapido sviluppo<br />

<strong>del</strong>la produzione e <strong>del</strong> consumo di energia e<strong>le</strong>ttrica, ottenuta quasi esclusivamente da<br />

impianti idrici, specialmente nell'ultimo biennio bellico (28).<br />

L'<strong>in</strong>dustria laniera italiana, <strong>in</strong>torno al 1913, disponeva di 800 mila fusi, di 16 mila telai<br />

meccanici e di forse 20 mila telai a mano. (...) Erano <strong>in</strong>stallati, alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1918, (...)<br />

circa 470 mila fusi di cardato, (...) 420 mila fusi di pett<strong>in</strong>ato, (...) 145 mila fusi di<br />

ritorcitura, 17 mila telai meccanici. (...) Negli anni di guerra è grandemente<br />

aumentato il bisogno di manufatti di lana, specialmente per l'esercito; al maggiore<br />

bisogno si è supplito <strong>in</strong> parte con importazione di <strong>in</strong>dumenti f<strong>in</strong>iti, ma <strong>in</strong> parte molto<br />

maggiore con un forte sviluppo <strong>del</strong>la produzione <strong>in</strong>terna» (29).<br />

Nella nostra flotta è avvenuto (...) un efficace svecchiamento: nel 1914 meno d'un<br />

quarto <strong>del</strong> tonnellaggio tota<strong>le</strong> era costituito da piroscafi d'età <strong>in</strong>feriore a 10 anni; oggi<br />

la proporzione si accosta alla metà. Le navi d'oltre venti anni d'età formavano allora<br />

più di due qu<strong>in</strong>ti <strong>del</strong> tonnellaggio comp<strong>le</strong>ssivo; ora ne formano poco più di un qu<strong>in</strong>to.<br />

(...) Il numero dei piroscafi da 501 a 4000 tonnellate di portata è dim<strong>in</strong>uito da 321 nel<br />

dicembre 1914 a 287 nell'ottobre 1921; ma è aumentato da 202 a 251 il numero di<br />

quelli da 4001 a 8000 tonnellate, e da 13 a 122 il numero di quelli di portata<br />

superiore al<strong>le</strong> 8000 tonnellate. Queste ultime navi di grande portata costituivano un<br />

ventesimo <strong>del</strong> tonnellaggio tota<strong>le</strong> alla vigilia <strong>del</strong>la guerra; ne costituiscono oggi sei<br />

ventesimi» (30).<br />

Non si vuol dire con ciò che l'Italia abbia goduto negli anni <strong>del</strong> dopoguerra di un beato<br />

periodo di prosperità. L'Italia era come un paziente <strong>in</strong> conva<strong>le</strong>scenza dopo una brutta<br />

malattia, la malattia <strong>del</strong>la guerra mondia<strong>le</strong>. Essa ebbe a subire una grave crisi, ma fu<br />

una crisi di riassestamento e non di dis<strong>org</strong>anizzazione.<br />

E' vero che alla Conferenza <strong>del</strong>la Pace i de<strong>le</strong>gati italiani commisero una serie di<br />

madornali errori. Ma dopo tutto né questi errori, né la malafede di Lloyd Ge<strong>org</strong>e e<br />

C<strong>le</strong>menceau, né la mancanza di comprensione da parte di Wilson <strong>in</strong>flissero realmente<br />

ferite mortali agli <strong>in</strong>teressi essenziali <strong>del</strong>l'Italia.<br />

In conseguenza <strong>del</strong>la guerra, l'Impero austro-ungarico era stato smembrato; l'Italia<br />

qu<strong>in</strong>di non aveva più niente da temere dalla parte <strong>del</strong>la sua frontiera orienta<strong>le</strong> e sul<br />

mare Adriatico, una volta scomparsa questa potenza osti<strong>le</strong> che contava 51 milioni di<br />

sudditi. Ora l'Italia conf<strong>in</strong>ava ad est con la Repubblica austriaca e con il nuovo stato<br />

yugoslavo. La prima aveva non più di 10 milioni di abitanti ed era disarmata e<br />

neutralizzata. Il secondo aveva una popolazione di 12 milioni di abitanti, ed aveva<br />

assai maggiore <strong>in</strong>teresse a coltivare l'amicizia italiana contro il pericolo tedesco,<br />

bulgaro e ungherese, che non ad alienarsi l'Italia con una preconcetta politica osti<strong>le</strong>.<br />

Se si paragona la situazione <strong>del</strong>la Francia <strong>del</strong> dopoguerra con quella <strong>del</strong>l'Italia, si deve<br />

concludere che il successo riportato dall'Italia con la guerra mondia<strong>le</strong> superava quello<br />

riportato dalla Francia. Elim<strong>in</strong>ando l'Impero austro-ungarico dalla carta geografica<br />

<strong>del</strong>l'Europa l'Italia aveva di fatto risolto il prob<strong>le</strong>ma essenzia<strong>le</strong> <strong>del</strong>la sua sicurezza nei<br />

confronti <strong>del</strong>l'Europa centra<strong>le</strong>. Al contrario la Francia si trovava ancora di fronte la<br />

massa compatta <strong>del</strong>la Germania: il prob<strong>le</strong>ma <strong>del</strong>la sua sicurezza rimaneva aperto.<br />

Una volta che la Germania si fosse ri<strong>org</strong>anizzata, l'amicizia italiana avrebbe assunto


un valore anche maggiore sia nei confronti <strong>del</strong>la Francia che <strong>del</strong>la stessa Germania e<br />

dei paesi danubiani. L'Italia, che settanta anni prima era stata una pura 'espressione<br />

geografica,' adesso era diventata, non solo a paro<strong>le</strong> ma a fatti, una <strong>del</strong><strong>le</strong> grandi<br />

potenze europee.<br />

La mancata annessione <strong>del</strong>la Dalmazia non era cosa di cui ci si doveva do<strong>le</strong>re: la<br />

Dalmazia non avrebbe significato per l'Italia né un aumento di ricchezza né di<br />

sicurezza; essa è una regione povera e sassosa abitata da poco più di mezzo milione<br />

di slavi nazionalisti arrabbiati. Solo nella città di Zara c'era una maggioranza italiana,<br />

e altrove si possono contare non più di 20 mila italiani dissem<strong>in</strong>ati tra una<br />

maggioranza assolutamente slava. Le m<strong>in</strong>oranze razziali annesse con la forza<br />

difficilmente costituiscono per un paese un guadagno. Se l'Italia avesse conquistato la<br />

Dalmazia, una parte considerevo<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'esercito italiano avrebbe dovuto esser<br />

mantenuto <strong>in</strong> permanenza <strong>in</strong> assetto di guerra per reprimere la popolazione slava. Nel<br />

caso di una guerra europea con l'<strong>in</strong>tervento <strong>del</strong>l'Italia, essa sarebbe stata costretta a<br />

immobilizzare <strong>in</strong> quella regione importanti forze militari a protezione dei 500<br />

chilometri di frontiera lungo i quali dall'"h<strong>in</strong>terland" slavo può provenire<br />

un'aggressione. Un ta<strong>le</strong> esercito di occupazione può essere adoperato con maggiore<br />

vantaggio a protezione <strong>del</strong><strong>le</strong> più vitali frontiere italiane, <strong>in</strong> direzione <strong>del</strong>la Francia o<br />

<strong>del</strong>l'Europa centra<strong>le</strong>. Né la Dalmazia avrebbe dato all'Italia la supremazia<br />

nell'Adriatico. La supremazia sul mare è garantita dal<strong>le</strong> più potenti forze navali mobili,<br />

quando queste possano appoggiarsi su di una sola base nava<strong>le</strong> ben attrezzata. Un<br />

grande numero di basi navali non serve a niente; esse non sono mobili né<br />

combattono. L'esperienza <strong>del</strong>la guerra <strong>del</strong> 1915-18 ha dimostrato che <strong>le</strong> magnifiche<br />

basi navali <strong>del</strong>l'Adriatico orienta<strong>le</strong>, sebbene sotto il controllo <strong>del</strong>la mar<strong>in</strong>a austriaca,<br />

non permisero agli austriaci di svolgere nessuna importante azione nava<strong>le</strong>, perché <strong>le</strong><br />

loro forze navali erano <strong>in</strong>feriori a quel<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'Intesa. Anche se l'Italia avesse annesso la<br />

Dalmazia, la base nava<strong>le</strong> di Cattaro sulla costa adriatica orienta<strong>le</strong> sarebbe rimasta<br />

fuori <strong>del</strong> controllo italiano. In un mare poco esteso qua<strong>le</strong> quello Adriatico, la sola<br />

Cattaro - ammesso che avesse avuto ad appoggiarla una potente flotta propria -<br />

sarebbe stata sufficiente per tenere a bada la flotta italiana, a meno che l'Italia non<br />

avesse occupato tutta la costa orienta<strong>le</strong> s<strong>in</strong>o alla frontiera albanese. Ciò avrebbe<br />

costretto l'esercito italiano a proteggere una l<strong>in</strong>ea malfida <strong>del</strong>la estensione di oltre<br />

500 chilometri. Inoltre sarebbe stata necessaria una grossa mar<strong>in</strong>a mercanti<strong>le</strong> per<br />

trasportare dall'Italia alla Dalmazia i rifornimenti <strong>in</strong>dispensabili all'esercito stanziato <strong>in</strong><br />

questo paese arido ed osti<strong>le</strong>, e una forte mar<strong>in</strong>a militare avrebbe dovuto proteggere<br />

<strong>le</strong> l<strong>in</strong>ee di comunicazione tra l'esercito di occupazione e <strong>le</strong> sue basi <strong>in</strong> Italia. Tutte<br />

queste forze avrebbero dovuto essere distratte dal<strong>le</strong> l<strong>in</strong>ee di importanza vita<strong>le</strong> per<br />

l'Italia nei mari Tirreno ed Ionio. Insomma anche da un punto di vista strategico, e si<br />

potrebbe dire specialmente da un punto di vista strategico, la conquista <strong>del</strong>la<br />

Dalmazia sarebbe stato un madorna<strong>le</strong> errore.<br />

E' anche vero che alla Conferenza <strong>del</strong>la Pace C<strong>le</strong>menceau, Lloyd Ge<strong>org</strong>e e Wilson<br />

strapparono dal<strong>le</strong> mani di Orlando e di Sonn<strong>in</strong>o Smirne per darla alla Grecia. Ma se<br />

qualche volta un brutto tiro si può risolvere <strong>in</strong> un colpo di fortuna, questo fu proprio il<br />

caso. I diplomatici <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si e francesi si erano assegnati tutti i territori <strong>del</strong> Medio<br />

Oriente occupati da popolazioni non turche, verso <strong>le</strong> quali si presentavano come i<br />

liberatori dal giogo turco; ma per l'Italia avevan messo da parte il gradito dono di<br />

Smirne e d<strong>in</strong>torni, proprio nel cuore <strong>del</strong>la potenza turca. L'Italia avrebbe dovuto<br />

sostenere una guerra lunga e diffici<strong>le</strong> contro i turchi e sul loro territorio. Tirandosi<br />

contro <strong>le</strong> forze turche <strong>in</strong> una guerra lunga e diffici<strong>le</strong>, l'esercito italiano <strong>in</strong> Asia M<strong>in</strong>ore<br />

avrebbe assunto a proprio rischio e pericolo e a spese <strong>del</strong> popolo italiano il peso di<br />

garantire la sicurezza dei 'mandati' francesi ed <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si nel Medio Oriente. I greci si<br />

sarebbero dimostrati molto più saggi rifiutandosi di prender la parte degli italiani<br />

dicendo a <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si e a francesi di tenersi per sé il dono di Smirne. Avrebbero evitato il


disastro <strong>del</strong> 1922. Il triste dest<strong>in</strong>o dei greci fece r<strong>in</strong>graziare Dio a tutti gli italiani di<br />

buon senso per avere dotato Lloyd Ge<strong>org</strong>e, C<strong>le</strong>menceau e Wilson di cattive<br />

disposizioni verso di noi.<br />

Inf<strong>in</strong>e, è vero che, quando gli ex-possedimenti coloniali tedeschi <strong>in</strong> Africa furono divisi<br />

tra i v<strong>in</strong>citori, i diplomatici italiani vennero esclusi dalla divisione <strong>del</strong>la torta e non<br />

riuscirono ad ottenere il diritto di espandersi verso l'Etiopia. Le colonie sono simboli di<br />

superiorità e un paese che voglia essere considerato potente deve possederne<br />

qualcuna, come ogni buon milionario deve avere la sua Rolls Royce e rivestire di<br />

gioielli la moglie e l'amante. Inoltre i possedimenti coloniali esercitano un fasc<strong>in</strong>o<br />

irresistibi<strong>le</strong> sull'immag<strong>in</strong>azione di un popolo come l'italiano, affollato <strong>in</strong> una terra<br />

<strong>in</strong>sufficiente ai propri bisogni. Senza dubbio la politica miope dei governi già al<strong>le</strong>ati<br />

sem<strong>in</strong>ò un risentimento che doveva dare i suoi frutti. Anche quegli italiani che erano<br />

stati i più severi critici degli errori madornali di Sonn<strong>in</strong>o e consideravano <strong>in</strong>utili <strong>le</strong> sue<br />

pretese territoriali, furono disgustati <strong>del</strong>la malafede dei diplomatici <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si e francesi.<br />

Ma una volta che si è detto tutto questo, rimane il fatto che il non ottenimento <strong>del</strong>la<br />

mano libera contro l'Etiopia non rappresentava per l'Italia una vera perdita. Chiunque<br />

abbia una conoscenza anche rudimenta<strong>le</strong> <strong>del</strong><strong>le</strong> condizioni climatiche di quel territorio<br />

sa che esso è <strong>in</strong>adatto ad assorbire mano d'opera bianca, e qu<strong>in</strong>di non può essere di<br />

nessun aiuto a risolvere il prob<strong>le</strong>ma italiano <strong>del</strong>la sovrabbondanza di popolazione. Se<br />

il governo italiano avesse ottenuto da Francia e Inghilterra mano libera sull'Etiopia, la<br />

guerra <strong>in</strong>sensata che scoppiò nel 1935 sarebbe scoppiata parecchi anni prima. Invece<br />

di perdere tempo e fatica chiedendo colonie africane, i diplomatici italiani avrebbero<br />

dovuto darsi da fare per ottenere accordi migratori, libero accesso al<strong>le</strong> fonti di materie<br />

prime e un equo accomodamento dei debiti di guerra.<br />

Il prob<strong>le</strong>ma che Sonn<strong>in</strong>o e Orlando avevano complicato o ignorato durante la<br />

Conferenza <strong>del</strong>la Pace com<strong>in</strong>ciò a essere districato non appena lasciarono il potere<br />

(luglio 1919).<br />

Nel settembre 1919 il presidente <strong>del</strong> Consiglio Nitti concluse con il governo di Parigi<br />

un trattato di lavoro che garantiva agli emigranti italiani <strong>in</strong> Francia un trattamento<br />

analogo a quello dei lavoratori francesi. Questo trattato era assai più uti<strong>le</strong> al popolo<br />

italiano di qualsiasi conquista colonia<strong>le</strong> <strong>in</strong> Africa. L'immigrazione italiana <strong>in</strong> Francia<br />

assunse una maggiore importanza e la Francia divenne il più grande sbocco per il<br />

lavoro italiano dopo che gli Stati Uniti, il Canada e l'Australia avevano chiuso <strong>le</strong> porte.<br />

Quanto ai compensi coloniali che il governo francese ci doveva per <strong>le</strong> colonie tedesche<br />

ottenute <strong>in</strong> Africa, esso offrì soltanto poche misere miglia di deserto a sud <strong>del</strong>la<br />

Tunisia e a est <strong>del</strong> Fezzan, compresa la strada carovaniera da Ghadames a Ghat. I<br />

diplomatici italiani chiesero <strong>del</strong>l'altro deserto verso il lago Tchad. Ma il controllo<br />

effettivo esercitato dall'Italia <strong>in</strong> Tripolitania non andava allora molto al di là <strong>del</strong>la l<strong>in</strong>ea<br />

costiera. Per il momento gli italiani accettarono la rettifica di frontiera offerta dalla<br />

Francia, ma dichiararono che questi pochi ossi spolpati non erano sufficienti. La<br />

questione fu lasciata aperta.<br />

Nello stesso tempo, nel settembre 1919, il governo britannico accettò di cedere<br />

all'Italia l'oasi di Giarabub <strong>in</strong> Cirenaica e il territorio <strong>del</strong> Giuba sul<strong>le</strong> coste <strong>del</strong>l'oceano<br />

Indiano. Nell'apri<strong>le</strong> 1920 i conf<strong>in</strong>i di quest'ultimo territorio furono più def<strong>in</strong>itivamente<br />

stabiliti dall'accordo Milner-Scialoja. Dopo aver fatto queste promesse, il governo<br />

<strong>in</strong>g<strong>le</strong>se ritardò l'attuazione <strong>del</strong> passaggio con il pretesto che tutte <strong>le</strong> questioni di cui si<br />

era occupata la Conferenza <strong>del</strong>la Pace dovevano prima essere def<strong>in</strong>ite, e tra tali<br />

questioni c'era la sistemazione def<strong>in</strong>itiva <strong>del</strong><strong>le</strong> iso<strong>le</strong> greche <strong>del</strong> Dodecaneso, che<br />

l'Italia occupava s<strong>in</strong> dal tempo <strong>del</strong>la guerra italo-turca <strong>del</strong> 1911-12. Quanto all'oasi di<br />

Giarabub, l'Italia non era allora <strong>in</strong> condizioni di poterla occupare, perché il suo<br />

controllo <strong>in</strong> Cirenaica non andava oltre la l<strong>in</strong>ea costiera. Inoltre l'Egitto reclamava<br />

Giarabub come parte <strong>del</strong> suo territorio e nel 1922 Londra aveva accordato all'Egitto la<br />

sua <strong>in</strong>dipendenza; qu<strong>in</strong>di gli italiani dovevano discutere la questione di Giarabub non


più con l'Inghilterra ma con l'Egitto: E, naturalmente, il governo <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se avrebbe<br />

religiosamente rispettato l''autodeterm<strong>in</strong>azione' egiziana, a meno che non fosse stato<br />

nel suo <strong>in</strong>teresse di fare pressione sopra l'Egitto.<br />

Nell'estate <strong>del</strong> 1920 l'Italia si adoperò per trovare una via di uscita da una situazione<br />

pericolosa, che <strong>in</strong> quel momento avrebbe potuto avere serie conseguenze sulla<br />

politica <strong>in</strong>terna. Durante la guerra l'Italia aveva <strong>in</strong>sediato <strong>in</strong> Albania una specie di<br />

protettorato. Per far sì che ta<strong>le</strong> protettorato divenisse effettivo ci sarebbero voluti<br />

molti uom<strong>in</strong>i e molti denari da impiegare contro <strong>le</strong> <strong>in</strong>discipl<strong>in</strong>ate tribù che vivevano sui<br />

monti. Nel giugno <strong>del</strong> 1920 scoppiò una rivolta, e il governo decise di <strong>in</strong>viare <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

truppe. Un reggimento che doveva partire per l'Albania si ammut<strong>in</strong>ò ad Ancona. Il<br />

governo ebbe il buon senso di capire che non era possibi<strong>le</strong> imbarcarsi <strong>in</strong> una nuova<br />

guerra - anche se si trattava soltanto di una guerra 'colonia<strong>le</strong>' - mentre era ancora<br />

vivo il ricordo <strong>del</strong> sangue versato nella guerra mondia<strong>le</strong>. Era una dimostrazione di<br />

quello che sarebbe successo se <strong>in</strong> quel momento ci si fosse acc<strong>in</strong>ti ad una conquista <strong>in</strong><br />

Asia M<strong>in</strong>ore o <strong>in</strong> Etiopia. Il 3 agosto 1920, <strong>in</strong> un accordo a Tirana con i capi albanesi,<br />

venne riconosciuto il governo che era stato formato a Lushnjë. Ta<strong>le</strong> accordo fu<br />

seguito, il 2 settembre 1920, dal ritiro <strong>del</strong><strong>le</strong> truppe italiane dal territorio albanese. Il<br />

17 dicembre 1920 l'Albania venne ammessa alla Società <strong>del</strong><strong>le</strong> Nazioni. Ma l'Italia<br />

rimase <strong>in</strong> possesso <strong>del</strong>l'isola di Saseno all'entrata <strong>del</strong> golfo di Vallona <strong>in</strong> modo da<br />

annullarne il valore militare: esso non poteva essere utilizzato né come base militare<br />

a favore <strong>del</strong>l'Italia né contro. Inoltre nel 1921 <strong>le</strong> grandi potenze stabilirono che 'la<br />

violazione <strong>del</strong><strong>le</strong> sue frontiere e qualsiasi attentato contro l'<strong>in</strong>dipendenza <strong>del</strong>l'Albania<br />

avrebbe costituito un pericolo per la sicurezza italiana.' Nel caso che ta<strong>le</strong> pericolo si<br />

manifestasse, la restaurazione <strong>del</strong><strong>le</strong> frontiere sarebbe stata affidata all'Italia. Si<br />

trattava di un artificio per lasciare 'mano libera' al governo italiano nei confronti<br />

<strong>del</strong>l'Albania. La Società <strong>del</strong><strong>le</strong> Nazioni non avrebbe mai dovuto permettere che uno dei<br />

suoi membri fosse considerato come <strong>in</strong>cluso nella sfera d'<strong>in</strong>fluenza di un altro<br />

membro. Essa avrebbe dovuto rifiutare la registrazione di ta<strong>le</strong> accordo. Non lo fece,<br />

'capitolando' di fronte ai malfattori.<br />

Una soluzione ragionevo<strong>le</strong> al più acuto dei prob<strong>le</strong>mi di politica estera, quello dei<br />

rapporti italo-yugoslavi, fu data dal m<strong>in</strong>istro degli Esteri Sforza con il Trattato di<br />

Rapallo (novembre 1920). Con questo trattato il governo di Belgrado riconosceva<br />

l'annessione all'Italia <strong>del</strong><strong>le</strong> città di Gorizia e Trieste, e <strong>del</strong> loro "h<strong>in</strong>terland" qua<strong>le</strong> era<br />

segnato dalla frontiera yugoslava <strong>del</strong> 1920, e l'annessione di tutta l'Istria s<strong>in</strong>o al<strong>le</strong><br />

porte di Fiume. Il governo italiano lasciava alla Yugoslavia tutta la Dalmazia, esclusa<br />

la città di Zara, che veniva annessa all'Italia. Fiume rimaneva una città libera, e si<br />

doveva costituire un consorzio misto di fiumani, italiani e yugoslavi per provvedere ai<br />

suoi <strong>in</strong>teressi marittimi. Nel dicembre questo trattato veniva approvato dalla<br />

stragrande maggioranza sia alla Camera che al Senato. D'Annunzio da Fiume<br />

proclamò che piuttosto che arrendersi sarebbe morto. Ma quando si rese conto che il<br />

governo faceva sul serio, dichiarò che l'Italia non era degna che lui si sacrificasse per<br />

essa, e si ritirò. Nessun disord<strong>in</strong>e serio ebbe luogo <strong>in</strong> Italia per causa sua.<br />

Nel gennaio <strong>del</strong> 1921 venne firmato un trattato con il qua<strong>le</strong> Yugoslavia,<br />

Cecoslovacchia, Rumania e Italia si impegnavano a non permettere una restaurazione<br />

degli Asburgo né <strong>in</strong> Austria né <strong>in</strong> Ungheria. Si apriva per l'Italia la possibilità di fare da<br />

mediatrice tra i governi nati dallo smembramento <strong>del</strong>l'Impero austro-ungarico e quelli<br />

di Austria, Ungheria e Bulgaria, per correggere poco alla volta <strong>le</strong> decisioni troppo<br />

drastiche <strong>del</strong> Trattato di Trianon. In tal modo l'Italia si trovava nella posizione di poter<br />

esercitare una notevo<strong>le</strong> <strong>in</strong>fluenza mora<strong>le</strong> e politica nella penisola balcanica e nel<br />

bac<strong>in</strong>o danubiano, senza venir sospettata di 'machiavellismo' o di 'imperialismo.'<br />

Quanto al<strong>le</strong> mire territoriali italiane <strong>in</strong> Asia M<strong>in</strong>ore, Sforza fu il primo degli uom<strong>in</strong>i di<br />

stato occidentali a riconoscere che la Turchia non era più la stessa di prima <strong>del</strong>la<br />

guerra, costretta a disperdere <strong>le</strong> proprie forze per tenere soggetti i popoli cristiani


nella penisola balcanica, e i popoli arabi nel Medio Oriente. Essa aveva acquistato una<br />

solida unità naziona<strong>le</strong> con la qua<strong>le</strong> qu<strong>in</strong>di si dovevano fare i conti. Perciò Sforza<br />

r<strong>in</strong>unciò a tutte <strong>le</strong> pretese territoriali <strong>in</strong> Asia M<strong>in</strong>ore, ottenne dai turchi un trattato<br />

commercia<strong>le</strong> vantaggiosissimo, e lasciò che <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si, francesi e greci combattessero<br />

contro i turchi s<strong>in</strong>o <strong>in</strong> fondo. Le altre questioni coloniali per il momento vennero<br />

accantonate. F<strong>in</strong>tanto che il paese non aveva superato la crisi <strong>del</strong> dopoguerra non<br />

doveva disperdere <strong>le</strong> proprie forze <strong>in</strong> <strong>in</strong>utili imprese oltremare.<br />

Malgrado il Trattato di Rapallo, lo status di Fiume rimase <strong>in</strong>def<strong>in</strong>ito. Non appena la<br />

città fu lasciata a se stessa durante la prima metà <strong>del</strong> 1921, divenne teatro di vio<strong>le</strong>nte<br />

lotte non soltanto tra italiani e slavi, ma tra italiani che accettavano lo status di città<br />

libera e coloro che vo<strong>le</strong>vano la immediata annessione all'Italia. Nell'estate <strong>del</strong> 1921, il<br />

governo italiano <strong>in</strong>viò <strong>le</strong> proprie truppe ad occupare la città. Il governo di Belgrado<br />

non protestò. In tal modo, sebbene lo status <strong>del</strong>la città rimanesse <strong>in</strong>def<strong>in</strong>ito, il<br />

prob<strong>le</strong>ma aveva perduto quell'animosità artificia<strong>le</strong> ed assurda che lo aveva<br />

caratterizzato nel 1919 e nel 1920.<br />

Poiché il governo italiano si mostrava pronto a identificare gli <strong>in</strong>teressi <strong>del</strong> paese con<br />

quelli <strong>del</strong>la pace, alla Conferenza di Wash<strong>in</strong>gton <strong>del</strong> 1921 si ottenne senza difficoltà la<br />

parità nava<strong>le</strong> con la Francia per <strong>le</strong> navi da battaglia; e quando nell'apri<strong>le</strong> 1922 si riunì<br />

la prima conferenza <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong> nella qua<strong>le</strong> si sarebbero <strong>in</strong>contrati i rappresentanti<br />

dei paesi <strong>del</strong>l'Intesa con quelli russi e tedeschi, fu scelta come sede <strong>del</strong>la conferenza<br />

la città di Genova. L'Italia era il paese che più di ogni altro aveva cancellato i rancori<br />

<strong>del</strong>la guerra. Sembrava dunque l''ospite' più <strong>in</strong>dicata sia per i v<strong>in</strong>citori che per i v<strong>in</strong>ti.<br />

Nell'Europa qua<strong>le</strong> appariva dopo la guerra, l'Italia conf<strong>in</strong>ava sul cont<strong>in</strong>ente con Francia<br />

e Svizzera che non avevano da avanzare nessuna rivendicazione, con un'Austria<br />

neutralizzata e con una Yugoslavia al<strong>le</strong>ata e amica. Nel Mediterraneo, né la Francia né<br />

l'Inghilterra avevano <strong>in</strong>teresse a crear<strong>le</strong> fastidi, ammesso che non fosse <strong>le</strong>i la prima a<br />

vo<strong>le</strong>rne creare. A differenza <strong>del</strong>la Francia e <strong>del</strong>l'Inghilterra, l'Italia non era impegnata<br />

<strong>in</strong> conflitti costosi nel Medio Oriente, e si era sempre astenuta dall'<strong>in</strong>tervenire <strong>in</strong><br />

Russia a sostegno dei generali bianchi.<br />

L'Italia era uscita dalla prima guerra mondia<strong>le</strong> con i suoi <strong>org</strong>anismi vitali affaticati ma<br />

<strong>in</strong>tegri. Nella sua struttura economica era come una persona malata che stava<br />

riprendendosi rapidamente dopo una malattia seria ma non morta<strong>le</strong>, mentre nella sua<br />

posizione <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong> era come il malato immag<strong>in</strong>ario di Molière. Si tormentava per<br />

una malattia che non aveva. Ciò di cui aveva bisogno era una cura di riposo.<br />

Invece <strong>del</strong>la cura di riposo <strong>le</strong> capitò di esser curata con la stricn<strong>in</strong>a fascista che <strong>le</strong><br />

procurò venti anni di convulsioni.<br />

OSSERVAZIONI AL CAPITOLO TERZO.<br />

Per dare credito alla versione secondo la qua<strong>le</strong> il regime fascista avrebbe riportato<br />

l'ord<strong>in</strong>e dopo il caos, tutti i giornalisti <strong>le</strong>gati alla propaganda fascista hanno descritto<br />

la crisi <strong>del</strong> dopoguerra con <strong>le</strong> t<strong>in</strong>te più fosche. Uno dei libri che subito fece propria la<br />

versione fascista fu quello di Villari, "The Awaken<strong>in</strong>g of Italy". A Villari non occorreva<br />

preoccuparsi e perder tempo <strong>in</strong> faticose ricerche e meticolose documentazioni, gli<br />

occorreva soltanto di sfornare il prima possibi<strong>le</strong> un libro che potesse divenire una<br />

fonte di <strong>in</strong>formazioni alla portata di tutti coloro che vo<strong>le</strong>vano farsi un'idea <strong>del</strong><strong>le</strong> cose<br />

italiane, e "The Awaken<strong>in</strong>g of Italy", pubblicato al pr<strong>in</strong>cipio <strong>del</strong> 1924, veniva <strong>in</strong>contro<br />

a ta<strong>le</strong> richiesta e costituiva quella che si potrebbe dire la 'vulgata' fascista. In seguito<br />

gli editori <strong>del</strong>la "Encyclopaedia Britannica" si misero al servizio di Mussol<strong>in</strong>i, e Villari<br />

riadattò la sua 'vulgata' nel supp<strong>le</strong>mento <strong>del</strong> 1926 (II, pag<strong>in</strong>e 558-571) e nel<strong>le</strong><br />

edizioni <strong>del</strong> 1929 e <strong>del</strong> 1938. In tal modo la versione fascista raggiungeva <strong>in</strong> tutti i<br />

paesi un pubblico immenso e diveniva pane quotidiano per ogni <strong>in</strong>segnante


universitario, che, senza farsi venire il mal di testa, vo<strong>le</strong>sse diventare un 'esperto' di<br />

storia italiana contemporanea. Pretendere di e<strong>le</strong>ncare tutte <strong>le</strong> affermazioni errate che<br />

hanno circolato sulla storia d'Italia dal 1919 <strong>in</strong> poi, sarebbe come vo<strong>le</strong>r vuotar<br />

l'oceano con un cucchiaio. Ci limiteremo a raccogliere qua e là alcune per<strong>le</strong>, per<br />

mettere <strong>in</strong> grado il <strong>le</strong>ttore di rendersi conto <strong>del</strong> tutto da alcune <strong>del</strong><strong>le</strong> sue parti.<br />

E' stato detto e ripetuto che nell'ottobre <strong>del</strong> 1922 Mussol<strong>in</strong>i trovò un deficit di 15<br />

miliardi e lo ridusse a 3 miliardi nel primo anno <strong>del</strong>la sua amm<strong>in</strong>istrazione. Ed è vero<br />

che se confrontiamo i disavanzi degli anni 1919-1922 con quello <strong>del</strong> primo bilancio<br />

fascista, noi siamo colpiti da un grande contrasto (1):<br />

TABELLA.<br />

[Nell'ord<strong>in</strong>e: Anno -Deficit].<br />

1918-1919 - 23345 milioni.<br />

1919-1920 - 11494 milioni.<br />

1920-1921 - 20955 milioni.<br />

1921-1922 - 17169 milioni.<br />

'Marcia su Roma'<br />

1922-1923 - 3.260 milioni.<br />

Però queste cifre non danno la storia <strong>in</strong>tera. La storia <strong>in</strong>tera è che il disavanzo, a cui<br />

la dittatura dovette far fronte nel suo primo anno fisca<strong>le</strong>, 1922-1923, non fu il deficit<br />

che i suoi predecessori dovettero affrontare dal 1 luglio 1921 al 30 giugno 1922. In un<br />

anno fisca<strong>le</strong> ci può essere un grave deficit e al tempo stesso possono essere state<br />

prese quel<strong>le</strong> misure che nell'anno seguente produrranno un avanzo. Un gab<strong>in</strong>etto<br />

eredita dal suo predecessore non il deficit <strong>del</strong>l'anno precedente, ma <strong>le</strong> entrate e <strong>le</strong><br />

spese <strong>del</strong>l'anno <strong>in</strong> corso. Gli enormi disavanzi negli anni immediatamente successivi<br />

alla guerra furono dovuti alla liquidazione <strong>del</strong><strong>le</strong> spese straord<strong>in</strong>arie dipendenti dalla<br />

guerra. Nel maggio 1923, De Stefani, m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong><strong>le</strong> F<strong>in</strong>anze nel gab<strong>in</strong>etto Mussol<strong>in</strong>i<br />

dall'ottobre 1922 al luglio 1925, accennò a questo fatto:<br />

«A costituire gli avanzi e i disavanzi f<strong>in</strong>anziari dei s<strong>in</strong>goli esercizi, <strong>in</strong> un bilancio di<br />

competenza, concorrono, come si è detto, non soltanto <strong>le</strong> entrate riscosse e <strong>le</strong> spese<br />

pagate, ma anche <strong>le</strong> entrate rimaste da riscuotere e <strong>le</strong> spese rimaste da pagare negli<br />

esercizi stessi. Sennonché durante il periodo bellico <strong>le</strong> comp<strong>le</strong>sse esigenze, cui<br />

occorse provvedere, impedirono che il bilancio rispecchiasse tutti i fatti<br />

amm<strong>in</strong>istrativi, propri di ogni anno f<strong>in</strong>anziario. (...) Per tali cause i disavanzi degli<br />

esercizi di questo ultimo triennio, quali appariscono dai rendiconti consuntivi, non<br />

rappresentano <strong>le</strong> risultanze reali <strong>del</strong><strong>le</strong> gestioni <strong>in</strong>erenti agli esercizi medesimi, ma<br />

bensì la somma degli avanzi o disavanzi dipendenti dalla gestione <strong>del</strong><strong>le</strong> entrate e <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

spese di competenza di detti esercizi con l'aggiunta <strong>del</strong>l'importo <strong>del</strong><strong>le</strong> regolazioni<br />

anzidette, importo che avrebbe dovuto far carico ai precedenti anni f<strong>in</strong>anziari, nei<br />

quali <strong>le</strong> corrispondenti spese ebbero realmente a verificarsi.<br />

Scendendo ora all'esame dei risultati degli ultimi esercizi, si ha che il 1920-21 si è<br />

chiuso con un disavanzo rea<strong>le</strong> di 14 miliardi e 634 milioni (...); ma ove <strong>le</strong> entrate e <strong>le</strong><br />

spese vengano depurate di tutte <strong>le</strong> partite direttamente dipendenti da cause<br />

determ<strong>in</strong>ate dalla guerra, ne risulterebbe che la gestione <strong>del</strong>l'esercizio medesimo,<br />

nella parte che può considerarsi di carattere norma<strong>le</strong>, si è, <strong>in</strong> realtà, conclusa con un<br />

disavanzo notevolmente <strong>in</strong>feriore. (...) Per l'esercizio 1921-22 (...) il deficit, (...)<br />

come quello <strong>del</strong> precedente esercizio, risulta anch'esso di non poco attenuato» (2).<br />

De Stefani ebbe cura di non dare cifre precise. Ma <strong>le</strong> ricerche dei documenti ufficiali <strong>in</strong><br />

cui <strong>le</strong> cifre sono sepolte, danno i risultati seguenti (3):


TABELLA.<br />

[Nell'ord<strong>in</strong>e: anno - deficit - spese per la guerra].<br />

1918-1919 - 23345 milioni - 25683 milioni.<br />

1919-1920 - 11494 milioni - 12424 milioni.<br />

1920-1921 - 20955 milioni - 22329 milioni.<br />

1921-1922 - 17169 milioni -18264 milioni.<br />

'Marcia su Roma'<br />

1922-1923 - 3.260 milioni - 4837 milioni.<br />

E' chiaro che i disavanzi risultarono solamente dal<strong>le</strong> spese eccezionali dovute alla<br />

guerra. Il peso maggiore si fece sentire nei primi quattro anni dopo la guerra. Quando<br />

la pressione com<strong>in</strong>ciò a ral<strong>le</strong>ntarsi nel 1922-1923, anche il disavanzo com<strong>in</strong>ciò a<br />

sparire.<br />

Sarebbe fatica sprecata cercare una esposizione obiettiva di questi fatti nei panegirici<br />

sulla f<strong>in</strong>anza fascista con cui la 'propaganda' ha riempito il mondo <strong>in</strong>tero. Nel maggio<br />

<strong>del</strong> 1923, De Stefani, pur ammettendo che il deficit ereditato dal nuovo regime era<br />

'considerevolmente m<strong>in</strong>ore' di quello che era apparso nei bilanci <strong>del</strong> 1920-21 e 1921-<br />

22, ebbe il coraggio di dire:<br />

«In coloro che tennero il governo o il controllo parlamentare <strong>del</strong>la pubblica f<strong>in</strong>anza<br />

nell'ultimo periodo che precedette la Marcia su Roma, era diffuso il senso <strong>del</strong>la<br />

stabilizzazione <strong>del</strong> disavanzo, e pubblici documenti <strong>del</strong> tempo rif<strong>le</strong>ttono il travaglio di<br />

quel<strong>le</strong> anime per la coscienza che esse avevano <strong>del</strong>la gravità <strong>del</strong> momento e <strong>del</strong>la<br />

sproporzione <strong>del</strong><strong>le</strong> forze riparatrici. Queste forze furono create dagli umili (sic)<br />

volontari <strong>del</strong> nuovo stato» (4).<br />

I 'documenti ufficiali' citati a prova di questa asserzione erano la relazione <strong>del</strong><br />

sottocomitato parlamentare sul bilancio preventivo per il 1923 (presentata alla<br />

Camera il 28 giugno 1922), e il rapporto sulla situazione f<strong>in</strong>anziaria fatto dal m<strong>in</strong>istro<br />

<strong>del</strong> Tesoro, Peano, alla Camera nel luglio <strong>del</strong> 1922. Chi esam<strong>in</strong>a questi documenti non<br />

trova <strong>in</strong> essi il m<strong>in</strong>imo cenno di disperazione, e nemmeno 'la coscienza <strong>del</strong>la<br />

sproporzione <strong>del</strong><strong>le</strong> forze riparatrici,' sebbene non ci si nascondano <strong>le</strong> difficoltà che<br />

ancora rimanevano da superare.<br />

Ecco alcune op<strong>in</strong>ioni di m<strong>in</strong>istri ed esperti f<strong>in</strong>anziari, negli anni che precedettero la<br />

marcia su Roma. Meda, m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong> Tesoro, disse alla Camera il 19 dicembre 19110:<br />

«L'ottimismo sta (...) nella volontà di riparare, e nel conv<strong>in</strong>cimento che questa<br />

riparazione, oltreché doverosa, è possibi<strong>le</strong>; perché la nostra situazione f<strong>in</strong>anziaria<br />

risente gli effetti di una situazione economica norma<strong>le</strong>, che non è italiana soltanto, ma<br />

quasi direi mondia<strong>le</strong>, e che dovrebbe presumersi dest<strong>in</strong>ata a miglioramenti non troppo<br />

lontani; perché è giusto avvertire come (...) l'esercizio 1920-21 (...) segni un primo<br />

grad<strong>in</strong>o di circa tre miliardi nella scala discendente <strong>del</strong> deficit. (...) Nessuna illusione<br />

dunque (...) ma nessuna depressione di spiriti e di attività.»<br />

De Nava, successore di Meda al m<strong>in</strong>istero <strong>del</strong> Tesoro, disse alla Camera il 26 luglio<br />

1921:<br />

«Non v'è dubbio che se questa cifra (il deficit) la paragoniamo a quel<strong>le</strong> molto più<br />

paurose <strong>in</strong>dicate negli esercizi precedenti, (...) vi è ragione a <strong>le</strong>gittimo compiacimento<br />

perché, con uno sforzo notevo<strong>le</strong>, si è potuto profondamente modificare una<br />

situazione, che era sotto tutti gli aspetti allarmante e pericolosa. (...) Ma se


consideriamo <strong>in</strong> se stessa la cifra (...) e la accompagnamo alla visione non lieta <strong>del</strong>la<br />

crisi che (...) colpisce <strong>le</strong> nostre <strong>in</strong>dustrie e i nostri commerci (...) allora noi dobbiamo<br />

riconoscere che l'ora dei gravi disagi non è superata, e che per alcuni esercizi<br />

dobbiamo temere un deficit di bilancio, che dovrà coprirsi mediante il ricavato di<br />

debiti.»<br />

Ma l'8 dicembre 1921, calcolò che nel bilancio <strong>del</strong> 1923 il disavanzo sarebbe stato<br />

ridotto a non più di 3 miliardi, come <strong>in</strong>fatti avvenne. Il 12 luglio 1922, alla vigilia <strong>del</strong>la<br />

marcia su Roma, Peano, successore di De Nava, correggendo <strong>le</strong> previsioni <strong>del</strong> suo<br />

predecessore, calcolò per il prossimo esercizio un disavanzo di 3 miliardi e 998<br />

milioni. E aggiunse:<br />

«Che nei maggiori centri f<strong>in</strong>anziari <strong>del</strong> mondo non si consider<strong>in</strong>o con preoccupazione<br />

<strong>le</strong> condizioni f<strong>in</strong>anziarie ed economiche nostre, apparisce dal fatto stesso che<br />

numerose offerte di prestiti ci sono pervenute da gruppi bancari di primissimo ord<strong>in</strong>e<br />

così di Inghilterra come di America. E se, per far fronte ai bisogni <strong>del</strong>lo stato, il<br />

governo non ha creduto di accettare <strong>le</strong> offerte, per non aggravare con debiti verso<br />

l'estero la nostra bilancia commercia<strong>le</strong>, e per il nostro pr<strong>in</strong>cipio "aes alienum aeterna<br />

servitus", ha però accolto favorevolmente tali <strong>in</strong>iziative, <strong>in</strong> quanto offrono nuovi<br />

capitali all'attività privata.»<br />

I governanti ai quali De Stefani, nel maggio 1923, attribuì una pusillanimità che era<br />

dest<strong>in</strong>ata a far risaltare l'eroismo fascista, riapparvero tre anni dopo come<br />

'parliamentary experts' <strong>in</strong> "The Fascist Experiment" di Luigi Villari:<br />

«I tecnici parlamentari erano persuasi che il deficit fosse dest<strong>in</strong>ato a riapparire<br />

permanentemente nei bilanci futuri, e sembrava non vi fosse modo di elim<strong>in</strong>arlo» (5).<br />

Anche il conte Volpi, parlando al Senato il 9 dicembre 1926, ricordò come fosse<br />

'spaventosa e drammatica' la situazione <strong>del</strong>l'Italia alla vigilia <strong>del</strong>la marcia su Roma:<br />

'La rivoluzione fascista <strong>del</strong>l'ottobre 1922 ha ereditato dai cessati governi un bilancio<br />

(1921-1922) con 15 miliardi e 760 milioni di disavanzo.'<br />

Nessuna notizia <strong>del</strong><strong>le</strong> spese straord<strong>in</strong>arie prodotte dalla guerra è dato trovare nel libro<br />

di C. E. McGuire "Italy's International Economic Position". Non fa meraviglia qu<strong>in</strong>di<br />

che l'autore concluda che 'si deve all'amm<strong>in</strong>istrazione fascista tutto il credito per il<br />

miglioramento decisivo' <strong>del</strong><strong>le</strong> f<strong>in</strong>anze italiane. 86) Nel 1927 i 'parliamentary experts'<br />

<strong>in</strong>ventati da Villan, diventarono nel<strong>le</strong> mani <strong>del</strong> signor T. W. Lamont, socio <strong>del</strong>la banca<br />

M<strong>org</strong>an, 'i <strong>le</strong>aders <strong>del</strong> partito al potere': 'Uno dei <strong>le</strong>aders <strong>del</strong> partito al potere dichiarò<br />

allora che il disavanzo era <strong>in</strong>evitabi<strong>le</strong> per un <strong>in</strong>def<strong>in</strong>ito numero di anni' (6).<br />

Il caso <strong>del</strong> signor Lamont merita una particolare attenzione, data l'autorità <strong>del</strong>l'uomo,<br />

come socio di una <strong>del</strong><strong>le</strong> maggiori banche <strong>del</strong> mondo. Nell'apri<strong>le</strong> 1925 egli aveva fatto<br />

la seguente affermazione <strong>del</strong> tutto veritiera:<br />

«Immediatamente dopo la firma <strong>del</strong> trattato di pace, l'Italia <strong>in</strong>traprese con gran<br />

coraggio la restaurazione <strong>del</strong><strong>le</strong> sue f<strong>in</strong>anze. Il sistema tributario fu ri<strong>org</strong>anizzato<br />

secondo i bisogni <strong>del</strong> dopoguerra, e, senza contare sugli <strong>in</strong>certi pagamenti per <strong>le</strong><br />

riparazioni, il m<strong>in</strong>istro italiano <strong>del</strong><strong>le</strong> F<strong>in</strong>anze si dedicò a coprire tutte <strong>le</strong> spese ord<strong>in</strong>arie<br />

per mezzo <strong>del</strong><strong>le</strong> entrate ord<strong>in</strong>arie. In conseguenza di questa politica, i disavanzi<br />

furono ridotti da circa 15 miliardi nel 1919 a circa 3 miliardi nel 1922» (8).<br />

Nel 1927 il signor Lamont dette una versione <strong>del</strong> tutto diversa:


«Quando il regime fascista venne al potere, verso la f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1922, l'Italia sembrava<br />

barcollare sull'orlo <strong>del</strong> comunismo e <strong>del</strong> bolscevismo.( ...) Le f<strong>in</strong>anze <strong>del</strong> governo<br />

centra<strong>le</strong> erano malsane; i debiti si accumulavano. (...) I disavanzi <strong>del</strong> bilancio<br />

avevano raggiunto proporzioni allarmanti, sebbene i precedenti governi li avessero già<br />

largamente ridotti. Nell'anno fisca<strong>le</strong> 1920-21, due anni prima che l'attua<strong>le</strong> governo<br />

entrasse <strong>in</strong> carica, il deficit aveva superato i 17 miliardi. Grazie ad un rigido controllo<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> spese e ad un coraggioso programma di tassazione, ta<strong>le</strong> situazione venne posta<br />

sotto controllo. Il deficit <strong>del</strong> 1922-23, anno <strong>in</strong> cui entrò <strong>in</strong> carica l'attua<strong>le</strong> governo,<br />

venne ridotto a circa tre miliardi di lire» (9).<br />

In altre paro<strong>le</strong>, il signor Lamont ignorò <strong>le</strong> spese straord<strong>in</strong>arie prodotte dalla guerra <strong>del</strong><br />

1915-18 e che si erano dovute pagare, e decise che prima <strong>del</strong>la marcia su Roma il<br />

debito pubblico si andava accumulando per il fatto che <strong>le</strong> f<strong>in</strong>anze italiane erano<br />

malsane.<br />

Nel 1927, Mademoisel<strong>le</strong> Lion scrisse:<br />

«Il deficit di bilancio che era di circa 160 milioni di lire nell'anno fisca<strong>le</strong> 1914 era salito<br />

a circa 23 miliardi nel 1918-19. Le previsioni erano così tetre che De Nava, m<strong>in</strong>istro<br />

<strong>del</strong> Tesoro, il 26 luglio 1921 annunciò un "ulteriore" deficit per circa 5 miliardi. I vuoti<br />

spaventosi, che <strong>le</strong> amm<strong>in</strong>istrazioni avevano prodotto nell'apparato f<strong>in</strong>anziario, erano<br />

dovuti alla pressione dei bolscevichi, <strong>in</strong>tenti alla distruzione <strong>del</strong> capita<strong>le</strong>» (10).<br />

Mademoisel<strong>le</strong> Lion fu la prima a scoprire che il deficit <strong>del</strong> 1918-19 era arrivato a quasi<br />

23 miliardi, e che la 'pressione bolscevica' si era fatta sentire sul governo italiano<br />

proprio nell'anno fisca<strong>le</strong> <strong>in</strong> cui era al potere un gab<strong>in</strong>etto conservatore, che aveva<br />

Sonn<strong>in</strong>o per m<strong>in</strong>istro degli Esteri.<br />

Dall'articolo <strong>del</strong> signor Lamont, nel 1928 il '<strong>le</strong>ader <strong>del</strong> partito al potere' passò nella<br />

pseudo-autobiografia di Mussol<strong>in</strong>i.<br />

«Osserviamo ora la <strong>in</strong>credibi<strong>le</strong> e drammatica situazione f<strong>in</strong>anziaria. Un <strong>le</strong>ader <strong>del</strong><br />

partito libera<strong>le</strong> al Parlamento, Peano, sei mesi prima <strong>del</strong>la marcia su Roma, calcolò il<br />

disavanzo <strong>del</strong> nostro bilancio a oltre sei miliardi! La situazione f<strong>in</strong>anziaria era allora,<br />

anche secondo <strong>le</strong> dichiarazioni dei nostri avversari, disperatamente grave. Io so qua<strong>le</strong><br />

diffici<strong>le</strong> eredità ricevetti; mi era toccata <strong>in</strong> sorte per gli errori e la debo<strong>le</strong>zza di chi mi<br />

aveva preceduto» (11).<br />

Il "London Times" <strong>del</strong> 22 dicembre 1927 ammise che lo sforzo per elim<strong>in</strong>are il deficit<br />

risultante dalla guerra aveva già avuto molto successo prima che i fascisti andassero<br />

al potere: "'Non appena la guerra f<strong>in</strong>ì', il governo italiano si dedicò al diffici<strong>le</strong> compito<br />

di mettere la casa <strong>in</strong> ord<strong>in</strong>e, e quando Mussol<strong>in</strong>i andò al potere, l'eccesso <strong>del</strong><strong>le</strong> spese<br />

sul<strong>le</strong> entrate era stato ridotto 'a una somma relativamente modesta'. Con ammirevo<strong>le</strong><br />

coraggio, il signor De Stefani e il suo successore, conte Volpi, 'cont<strong>in</strong>uarono l'opera<br />

dei loro predecessori' e ottennero un equilibrio che è stato costantemente<br />

mantenuto." Ammirando il coraggio di coloro che 'cont<strong>in</strong>uarono' l'opera dei loro<br />

predecessori, il "Times" si risparmiò di ammirare il coraggio di coloro che avevano<br />

ridotto il deficit a una somma relativamente modesta. La stampa italiana fece ancora<br />

un passo avanti. Ecco come venne data notizia <strong>del</strong>l'articolo <strong>del</strong> "Times": "'Il Times'<br />

r<strong>in</strong>traccia la storia <strong>del</strong><strong>le</strong> fasi <strong>del</strong>la restaurazione f<strong>in</strong>anziaria italiana: <strong>in</strong>nanzitutto il<br />

pareggio <strong>del</strong> bilancio <strong>in</strong>iziato 'con mirabi<strong>le</strong> coraggio <strong>del</strong>l'on. De Stefani' e cont<strong>in</strong>uato<br />

dal suo successore Volpi" (12).<br />

Se la storia f<strong>in</strong>anziaria fu maltrattata così spietatamente nonostante che essa potesse<br />

essere ricostruita con l'aiuto di dati facilmente accessibili e controllabili, ci si può<br />

immag<strong>in</strong>are che cosa avvenne con la storia economica, assai più comp<strong>le</strong>ssa e diffici<strong>le</strong>


da <strong>in</strong>terpretare. Strada facendo avremo occasione di vedere <strong>le</strong> falsificazioni più<br />

grossolane e prive di ogni scrupolo accumulate <strong>in</strong> proposito. Ci basti <strong>in</strong>tanto dare qui<br />

alcuni esempi.<br />

1) Passando <strong>in</strong> rassegna la storia economica <strong>del</strong>l'Italia, il conte Volpi avvolse gli eventi<br />

monetari <strong>del</strong> 1919-1922 nella seguente nuvola di fumo:<br />

«La lira ebbe gravi agitazioni nel suo cambio (nel 1919-1920): e il fenomeno durò f<strong>in</strong>o<br />

alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1922. (...) I cambi, che avevano mostrato un miglioramento nel primo<br />

semestre 1922, <strong>in</strong> confronto allo stesso periodo <strong>del</strong>l'anno precedente, ripresero a<br />

peggiorare, f<strong>in</strong>o a che il governo naziona<strong>le</strong> (...) non poté con salda mano segnare la<br />

nuova giusta rotta alla sistemazione economica <strong>del</strong> paese» (13).<br />

McGuire non fece che ripetere docilmente quanto aveva scritto Volpi, scrivendo: 'Dopo<br />

essere caduta precipitosamente nel 1919-20, la lira oscillò nervosamente f<strong>in</strong>o<br />

all'<strong>in</strong>verno <strong>del</strong> 1921-22' (14).<br />

2) C. E. McGuire, pur ammettendo che nel 1922 il debito estero <strong>del</strong>l'Italia non subì<br />

aumenti, affermò che nel 1921 si erano contratti debiti all'estero per circa 3 miliardi e<br />

800 milioni di lire, senza confortare la sua affermazione con la più pallida prova.<br />

Afferma semplicemente che il deficit nella bilancia commercia<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1921 fu<br />

compensato solo <strong>in</strong> parte dal<strong>le</strong> esportazioni <strong>in</strong>visibili, e conclude che per pagare i<br />

debiti <strong>del</strong> 1921, l'Italia "deve" essere ricorsa a un prestito all'estero per non meno di 3<br />

miliardi e 800 milioni di lire. Così McGuire soddisfa la sua volontà di credere che la<br />

conva<strong>le</strong>scenza economica <strong>del</strong>l'Italia com<strong>in</strong>ci soltanto con Mussol<strong>in</strong>i (14 bis).<br />

Pers<strong>in</strong>o il merito <strong>del</strong>la "Enciclopedia Italiana" è stato sottratto al regime prefascista e<br />

attribuito a Mussol<strong>in</strong>i. Nel "New York Times" <strong>del</strong> 18 e 27 agosto 1939, essa veniva<br />

salutata come 'il più monumenta<strong>le</strong> prodotto <strong>le</strong>tterario e scientifico <strong>del</strong> regime<br />

fascista.' Certamente i suoi trentasei volumi furono pubblicati dal 1929 al 1939 sotto<br />

Mussol<strong>in</strong>i; ma non furono scritti da bamb<strong>in</strong>i nati e cresciuti dopo il 1922 sotto<br />

l'<strong>in</strong>fluenza di Mussol<strong>in</strong>i. L'"Enciclopedia" fu l'opera di studiosi italiani che erano stati<br />

educati nei c<strong>in</strong>quant'anni precedenti nel<strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> di un'Italia libera. La presenza <strong>del</strong><br />

<strong>fascismo</strong> nell'"Enciclopedia" si fece sentire soltanto <strong>in</strong> alcuni campi, quali storia<br />

contemporanea, scienze politiche, storia <strong>del</strong><strong>le</strong> religioni, storia <strong>del</strong>la Chiesa cattolica, e<br />

<strong>in</strong> tutti questi casi la sua <strong>in</strong>fluenza fu de<strong>le</strong>teria.<br />

Dal 1919 al 1921, tra gli addetti commerciali americani <strong>in</strong> Italia vi fu un certo signor<br />

A. P. Dennis, che spedì a Wash<strong>in</strong>gton molti rapporti più tardi pubblicati nei<br />

"Commercial Reports". In nessuno di questi rapporti l'Italia è descritta come un paese<br />

<strong>in</strong> preda al caos economico e alla miseria. Lo stesso signor Dennis, nell'agosto <strong>del</strong><br />

1929, descriveva <strong>le</strong> condizioni <strong>del</strong>l'Italia dal 1919 al 1922 nei seguenti term<strong>in</strong>i:<br />

«La prima impressione genera<strong>le</strong> degli anni neri, 1919, 1920 e 1921 era<br />

un'impressione di fiacchezza, una fiacchezza tormentosa, agghiacciante e senza f<strong>in</strong>e.<br />

Diec<strong>in</strong>e di migliaia di soldati ancora <strong>in</strong> uniforme, che non facevano niente di buono.<br />

C<strong>in</strong>que operai fannulloni impiegati dal<strong>le</strong> ferrovie <strong>del</strong>lo stato per fare il lavoro di due<br />

persone. Il paese pullulava di mendicanti. Il caos, il disord<strong>in</strong>e e la miseria regnavano<br />

sovrani. Mancanza di carbone, mancanza di discipl<strong>in</strong>a. (...) Ognuno si sentiva <strong>in</strong><br />

diritto non solo di esercitare la massima libertà di parola, ma anche quella di azione.<br />

Una sequela di scioperi scoraggiava e demoralizzava tutte <strong>le</strong> <strong>in</strong>iziative» (15).<br />

Quando è che il signor Dennis è <strong>in</strong>s<strong>in</strong>cero? negli anni dal 1919 al 1921, o nel 1929?<br />

Nell'apri<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1927, il Dottor Nicholas Murray But<strong>le</strong>r, presidente <strong>del</strong>la Columbia<br />

University, descrisse nei term<strong>in</strong>i seguenti l'abisso dal qua<strong>le</strong> Mussol<strong>in</strong>i aveva tratto<br />

l'Italia:


«Sei milioni di italiani un giorno si trovarono senza acqua da bere o da lavarsi. Le<br />

ferrovie si erano sfasciate, il servizio posta<strong>le</strong> era ridotto a un rudere, <strong>le</strong> strade non<br />

venivano riparate; brigantaggio, anarchia e <strong>del</strong>itto regnavano ovunque» (16).<br />

Ge<strong>org</strong>e Bernard Shaw, nel "Manchester Guardian" <strong>del</strong> 28 ottobre 1927, affermò con<br />

ottusità che l'Italia durante quegli anni aveva sofferto la mancanza di quanto occorre<br />

ai 'bisogni quotidiani materiali' e che Mussol<strong>in</strong>i, non appena era andato al potere,<br />

aveva riportato 'l'ord<strong>in</strong>e dopo il caos e obbligato l'Italia a lavorare e a non più morir di<br />

fame.' Shaw non aveva bisogno di dare nessuna prova di quanto affermava, egli<br />

crede che 'tutte <strong>le</strong> verità antiche e moderne sono div<strong>in</strong>amente ispirate,' e che lui<br />

stesso non è altro che uno strumento <strong>del</strong>la rivelazione. Veramente aggiunge con<br />

modestia: 'So dall'osservazione e dall'<strong>in</strong>trospezione che lo strumento su cui giuoca la<br />

forza ispiratrice può essere assai falloso tanto da ridurre il suo messaggio alla più<br />

ridicola scempiagg<strong>in</strong>e.' A buona ragione osserva anche: 'Sono spesso esterefatto dalla<br />

avidità e dalla credulità con cui <strong>le</strong> nuove idee vengono afferrate e adottate senza un<br />

m<strong>in</strong>imo di prove concrete. La gente f<strong>in</strong>irà per credere tutto quanto la diverta, la<br />

soddisfi o <strong>le</strong> prometta un qualche vantaggio' (17).<br />

A illustrare la verità di queste osservazioni non si potrebbe trovare esempio migliore<br />

di quanto lo stesso Shaw afferma a proposito <strong>del</strong><strong>le</strong> condizioni italiane prima <strong>del</strong>la<br />

marcia su Roma, se al posto <strong>del</strong><strong>le</strong> 'idee' poniamo i 'fatti'; una sostituzione che renderà<br />

ancora più sbalorditiva la credulità di chi fa certe affermazioni senza un m<strong>in</strong>imo di<br />

prove concrete.<br />

Dato che uno degli argomenti più <strong>in</strong>sistentemente addotti da chi descrive l'Italia nella<br />

più nera miseria negli anni dal 1919 al 1922 è il grande numero di scioperi, sarà bene<br />

tener presente che negli anni <strong>del</strong> dopoguerra gli scioperi furono comuni a tutti i paesi.<br />

In Francia ferrovieri e addetti al<strong>le</strong> poste non aspettarono neppure la f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la guerra<br />

per scioperare, mentre <strong>in</strong> Italia ferrovie e servizi postali non scioperarono prima <strong>del</strong><br />

1920. In Italia la smobilitazione non provocò nessuno di quei movimenti sediziosi che<br />

scoppiarono nell'esercito <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se subito dopo l'armistizio, e neppure ci fu, come<br />

avvenne <strong>in</strong> Inghilterra nel settembre <strong>del</strong> 1919, uno sciopero ferroviario, che paralizzò<br />

tutta la vita economica <strong>del</strong> paese per nove giorni. Nel 1919 e 1920, <strong>in</strong> Belgio ci furono<br />

tanti scioperi che la "Revue du Travail", che era una pubblicazione governativa<br />

ufficia<strong>le</strong>, dovette dedicare ventuno colonne <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dice dei suoi volumi per il 1920 a<br />

enumerare gli scioperi dei due anni precedenti. Negli Stati Uniti nel corso <strong>del</strong> 1919 vi<br />

furono 2665 scioperi con 4.160.000 scioperanti. Uno sciopero <strong>del</strong><strong>le</strong> forze di polizia,<br />

come avvenne a Boston, <strong>in</strong> Italia non si ebbe mai.


CAPITOLO QUARTO.<br />

L'ARRETRATEZZA DELL'ITALIA E IL 'VOLKSGEIST'.<br />

Non si vede per qua<strong>le</strong> ragione gli italiani abbiano sentito il bisogno di disfarsi <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

loro libere istituzioni, proprio al momento <strong>in</strong> cui avrebbero dovuto andare <strong>org</strong>ogliosi<br />

dei risultati raggiunti attraverso di esse. Ci si sarebbe piuttosto aspettati un passo<br />

avanti verso forme più avanzate di democrazia. Come fu che proprio <strong>in</strong> un momento<br />

simi<strong>le</strong> gli italiani aprirono <strong>le</strong> porte alla dittatura?<br />

Secondo i marxisti di stretta osservanza, una discussione <strong>del</strong> genere non ha ragione<br />

di essere. Secondo loro una democrazia politica non è una 'vera,' 'sostanzia<strong>le</strong>'<br />

democrazia, dato che <strong>le</strong> istituzioni di democrazia politica o 'forma<strong>le</strong>' diventano<br />

'veramente' democratiche soltanto quando ad esse si aggiungano <strong>le</strong> istituzioni di una<br />

democrazia economica. Solo la Russia sovietica è una 'vera' democrazia, nonostante<br />

che abbia abbandonato <strong>le</strong> istituzioni <strong>del</strong>la democrazia politica, ma dato che essa<br />

dichiara di essere <strong>in</strong> possesso <strong>del</strong><strong>le</strong> istituzioni <strong>del</strong>la democrazia economica. In<br />

conseguenza Hit<strong>le</strong>r e Roosevelt, Churchill e Mussol<strong>in</strong>i, tutti i governanti dei popoli<br />

passati, presenti e futuri, sono o saranno dittatori qualora non adott<strong>in</strong>o la dottr<strong>in</strong>a e la<br />

pratica comunista. In conseguenza non vi fu <strong>in</strong> Italia nessun collasso <strong>del</strong><strong>le</strong> istituzioni<br />

democratiche, poiché non vi erano istituzioni democratiche. Qu<strong>in</strong>di non vi è nessun<br />

prob<strong>le</strong>ma da risolvere.<br />

Non vogliamo accapigliarci sul<strong>le</strong> paro<strong>le</strong>; ma nemmeno vogliamo che <strong>le</strong> nostre idee<br />

vengano <strong>del</strong> tutto confuse per l'uso arbitrario <strong>del</strong><strong>le</strong> paro<strong>le</strong>. La parola 'democrazia' ha<br />

sempre significato una costituzione politica che garantisca a tutti i cittad<strong>in</strong>i, senza<br />

discrim<strong>in</strong>azione di classe socia<strong>le</strong>, fede religiosa, razza o appartenenza politica, tutti i<br />

diritti personali ("habeas corpus", libertà di pensiero, di religione, il diritto di seguire<br />

la propria vocazione eccetera) e tutti i diritti politici (libertà di parola, di stampa, di<br />

associazione, di riunione, di rappresentanza nei governi locali e nazionali eccetera).<br />

Secondo il significato tradiziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> term<strong>in</strong>e, una costituzione politica è democratica<br />

anche se <strong>le</strong> classi <strong>in</strong>feriori non sono <strong>in</strong> grado di servirsi dei loro diritti politici e dei loro<br />

privi<strong>le</strong>gi, per strappare al<strong>le</strong> classi superiori il loro potere politico ed economico, e<br />

passare <strong>in</strong> tal modo da una democrazia politica ad una democrazia economica. E<br />

secondo il significato tradiziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> term<strong>in</strong>e, una costituzione dittatoria<strong>le</strong> o totalitaria<br />

si ha quando vengono rigettati i diritti personali e politici dei sudditi. Se ci si vuo<strong>le</strong><br />

distaccare dal significato tradiziona<strong>le</strong> dei term<strong>in</strong>i e def<strong>in</strong>ire come dittatura quella che<br />

tradizionalmente si def<strong>in</strong>isce democrazia politica, e <strong>in</strong> tal modo mettere nello stesso<br />

mazzo Roosevelt e Hit<strong>le</strong>r, Churchill e Mussol<strong>in</strong>i, si f<strong>in</strong>isce poi per non capire più niente<br />

nel<strong>le</strong> vicende umane, a meno che non ci si rifaccia da capo mettendo <strong>in</strong> due mazzi<br />

diversi la dittatura n. 1, ad esempio gli Stati Uniti, che hanno una democrazia politica<br />

ma non economica, e la dittatura n. 2, la Germania nazista, che non ha una<br />

democrazia né politica né economica. Su questa l<strong>in</strong>ea, per quanto riguarda l'Italia, il<br />

prob<strong>le</strong>ma è di vedere se il suo regime prefascista si deve considerare una dittatura n.<br />

1, o una dittatura n. 2. Noi cont<strong>in</strong>uiamo a def<strong>in</strong>ire come democrazia quella che i<br />

marxisti di stretta osservanza chiamerebbero dittatura n. 1. E questo è tutto.<br />

Guglielmo Ferrero è <strong>del</strong>l'op<strong>in</strong>ione che l'Italia non aveva una democrazia, ma un<br />

sistema politico <strong>in</strong>termedio tra <strong>le</strong> vecchie forme di governo assolutistico e <strong>le</strong><br />

democrazie di Francia e Svizzera.<br />

«Il Parlamento, pur compiendo varî uffici e tutti di importanza, non era un "<strong>org</strong>ano<br />

dirigente". Controllava, <strong>in</strong> una certa misura, il Governo; era il portavoce, se non <strong>del</strong><br />

popolo <strong>in</strong>tero, di larghe e diffuse op<strong>in</strong>ioni e di grandi <strong>in</strong>teressi; serviva agli uom<strong>in</strong>i di<br />

Stato come pa<strong>le</strong>stra, per esercitarsi al Governo. Ma la direzione <strong>del</strong>la cosa pubblica


era altrove e discendeva dall'alto, dalla penombra mezzo aulica mezzo burocratica, <strong>in</strong><br />

cui si nascondeva quella che si potrebbe forse chiamare la 'oligarchia degli anziani':<br />

un piccolo gruppo di alti funzionari e di parlamentari autorevoli tutti attempati (per<br />

farne parte bisognava - e <strong>in</strong>com<strong>in</strong>cio a credere non fosse ma<strong>le</strong> - avere i capelli grigi) i<br />

quali, appoggiati non al Parlamento soltanto, sempre un po' oscillante con l'op<strong>in</strong>ione<br />

<strong>del</strong> paese, ma anche e più al<strong>le</strong> due ossature <strong>del</strong>lo Stato - Monarchia e Burocrazia -<br />

reggevano <strong>in</strong>visibili lo Stato e decidevano tutti gli affari capitali, sembrando di<br />

dipendere e cercando di andar d'accordo con il Parlamento, <strong>in</strong> modo da farlo partecipe<br />

<strong>del</strong>la responsabilità, ma sapendo contrariarne e piegarne la volontà, quando era<br />

necessario.»<br />

Insomma, il regime politico italiano era una 'paterna democrazia,' <strong>in</strong> cui 'trenta milioni<br />

di persone [erano] governate da trenta persone, a beneficio di trecentomila famiglie'<br />

(1).<br />

Anche questa teoria ci porterebbe a concludere che <strong>in</strong> Italia non si abbatté una<br />

democrazia, e che perciò non c'è motivo di do<strong>le</strong>rsene.<br />

Il quadro che Ferrero dà <strong>del</strong>l'Italia prefascista è giusto. Il suo errore sta nel credere<br />

che <strong>in</strong> Francia (nel 1925, al momento <strong>in</strong> cui scriveva), o <strong>in</strong> Svizzera, o <strong>in</strong> qualsiasi<br />

altro paese per il qua<strong>le</strong> era disposto ad ammettere l'esistenza di istituti democratici, <strong>le</strong><br />

cose andassero <strong>in</strong> modo sostanzialmente diverso da quello <strong>del</strong>l'Italia prefascista. Sta<br />

di fatto che <strong>in</strong> Francia <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni generali <strong>del</strong> 1936 furono condotte con lo slogan:<br />

'Combatti contro <strong>le</strong> duecento famiglie,' che si diceva avessero il controllo <strong>del</strong>la<br />

struttura economica, politica e f<strong>in</strong>anziaria <strong>del</strong> paese. Secondo G. K. Chesterton e molti<br />

altri osservatori, l'Inghilterra è governata dalla sua "week-end aristocracy". Nel 1938,<br />

<strong>in</strong> Inghilterra molti lamentavano che la politica estera britannica fosse diretta da un<br />

piccolo circolo di magnati filotedeschi, il 'Cliveden set,' dal nome <strong>del</strong>la casa di<br />

campagna di Lady Astor dove i <strong>le</strong>aders <strong>del</strong> partito conservatore si riunivano durante i<br />

loro "week-ends". Simon Haxey, <strong>in</strong> un libro pubblicato nel 1939, (2) ha raccolto prove<br />

conv<strong>in</strong>centi a dimostrazione <strong>del</strong> fatto che i rappresentanti parlamentari <strong>del</strong> partito<br />

"Tory" appartengono a una catena di <strong>in</strong>teressi capitalistici che non ha niente a che<br />

fare con la massa <strong>del</strong> popolo britannico; <strong>in</strong> un altro libro pubblicato nel 1941, (3) H.<br />

E. Da<strong>le</strong> mostra che gli uom<strong>in</strong>i che dirigono i 120000 impiegati statali <strong>in</strong> Gran Bretagna<br />

non sono più di seicento, e agiscono da ponte tra la macch<strong>in</strong>a amm<strong>in</strong>istrativa e i<br />

m<strong>in</strong>istri <strong>del</strong> gab<strong>in</strong>etto, al<strong>le</strong> cui spal<strong>le</strong> stanno i parlamentari Tory. Qu<strong>in</strong>di <strong>in</strong> effetti gli<br />

uom<strong>in</strong>i che governano la Gran Bretagna non sono più di un migliaio. Un quadro <strong>del</strong>la<br />

democrazia americana tracciato nel 1938 sorprende per la similarità con quello dato<br />

da Ferrero nel 1925 sull'Italia prefascista:<br />

«Gli Stati Uniti sono posseduti e dom<strong>in</strong>ati da una gerarchia <strong>del</strong><strong>le</strong> sessanta famiglie più<br />

ricche, sostenute da non più di novanta famiglie un po' meno ricche. Fuori di questo<br />

circolo plutocratico vi sono forse altre 350 famiglie, di ricchezza e di <strong>orig<strong>in</strong>i</strong> più<br />

<strong>in</strong>certe, con un reddito per lo più di 100000 dollari ed oltre che non ha <strong>le</strong>gami con i<br />

membri <strong>del</strong> più ristretto circolo. Queste famiglie sono il centro vitate <strong>del</strong>la moderna<br />

oligarchia <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong> che dom<strong>in</strong>a gli Stati Uniti, operando con discrezione sotto una<br />

forma di regime democratica "de jure", dietro la qua<strong>le</strong> a partire dalla Guerra Civi<strong>le</strong> si<br />

è formato un governo "de facto", che nel<strong>le</strong> sue l<strong>in</strong>ee è assolutista e plutocratico.<br />

Questo governo "de facto" è il governo effettivo degli Stati Uniti, non ufficia<strong>le</strong>,<br />

<strong>in</strong>visibi<strong>le</strong> e misterioso. E' il governo <strong>del</strong> denaro <strong>in</strong> una democrazia <strong>del</strong> dollaro» (4).<br />

In questo quadro ci deve essere molto di vero, se anche altri scrittori sono arrivati al<strong>le</strong><br />

stesse conclusioni, (5) e se, secondo il segretario di stato Ickes, l'America è testimone<br />

di una lotta all'ultimo sangue tra plutocrazia e democrazia, che durerà 's<strong>in</strong>tanto che<br />

riescano v<strong>in</strong>citori i 120 milioni di americani o <strong>le</strong> sessanta famiglie' (6).


In nessun regime democratico il potere è nel<strong>le</strong> mani di tutta la popolazione o <strong>del</strong>la sua<br />

maggioranza. Il potere è nel<strong>le</strong> mani di quel partito che per il momento è sostenuto dai<br />

voti <strong>del</strong>la maggioranza degli e<strong>le</strong>ttori, e questa maggioranza non è la maggioranza di<br />

tutta la popolazione, ma solo di quella parte <strong>del</strong>la popolazione che si <strong>in</strong>teressa di<br />

politica almeno quel tanto da partecipare al<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni. Tutti i partiti sono m<strong>in</strong>oranze<br />

<strong>org</strong>anizzate, che cercano di ottenere l'appoggio <strong>del</strong>la maggioranza e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>, e a sua<br />

volta questa maggioranza e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> non è che una m<strong>in</strong>oranza <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>tera popolazione.<br />

All'<strong>in</strong>terno <strong>del</strong>la m<strong>in</strong>oranza al potere poi ci sono dei gruppi più o meno clandest<strong>in</strong>i che<br />

tirano i fili dietro la scena. Nei regimi totalitari <strong>le</strong> cose non vanno diversamente. Ma<br />

c'è, tuttavia, una differenza sostanzia<strong>le</strong> tra un regime oligarchico o totalitario e un<br />

regime democratico. Sotto un regime oligarchico o totalitario i diritti politici (libertà di<br />

parola: di stampa, di associazione e di riunione) sono <strong>le</strong>galmente il privi<strong>le</strong>gio di una<br />

m<strong>in</strong>oranza che possiede "per diritto proprio" il monopolio <strong>del</strong> potere. Una costituzione<br />

democratica garantisce gli stessi diritti politici a tutti i cittad<strong>in</strong>i, senza dist<strong>in</strong>zione di<br />

classe, religione, razza o appartenenza politica. Conseguentemente una democrazia è<br />

un regime di libera concorrenza tra libere m<strong>in</strong>oranze, anche <strong>in</strong> quei paesi dove <strong>le</strong><br />

masse sono politicamente educate ed <strong>org</strong>anizzate. Ma questa non è una buona<br />

ragione per considerare un regime democratico come identico a un regime oligarchico<br />

o totalitario. Sotto un regime democratico l'e<strong>le</strong>ttorato può congedare il partito al<br />

potere, e mediante l'uso di questo diritto politico il corpo e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> può esercitare il<br />

proprio peso sul<strong>le</strong> decisioni <strong>del</strong>la m<strong>in</strong>oranza che governa. Sotto un regime oligarchico<br />

o totalitario, quella parte <strong>del</strong>la popolazione che non è emancipata, o tutta la<br />

popolazione, non ha questo potere.<br />

Il regime di libertà fu creato <strong>in</strong> Italia tra il 1848 e il 1870 da una oligarchia <strong>del</strong><strong>le</strong> classi<br />

superiori. Durante i c<strong>in</strong>quant'anni che seguirono il Ris<strong>org</strong>imento, <strong>le</strong> classi <strong>in</strong>feriori<br />

raggiunsero gradualmente un livello mora<strong>le</strong>, economico ed <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong> più alto. Di<br />

conseguenza chiesero ed ottennero una parte di <strong>in</strong>fluenza politica ed economica<br />

sempre maggiore. Lo stesso Ferrero scrive che all'<strong>in</strong>izio di questo secolo 'quel<strong>le</strong> tali<br />

trenta persone e quel<strong>le</strong> tali trecentomila famiglie' videro <strong>le</strong> classi medie e <strong>le</strong> classi<br />

popolari destarsi <strong>le</strong>ntamente e com<strong>in</strong>ciare ad esercitare la propria sovranità.<br />

«Questo risveglio che, facendo irrequieto lo spirito pubblico, <strong>in</strong>deboliva la oligarchia<br />

dom<strong>in</strong>ante, mise capo alla <strong>le</strong>gge <strong>del</strong> suffragio universa<strong>le</strong>. (...) La guerra fu una<br />

rivoluzione, perché, scuotendo <strong>le</strong> classi medie e <strong>le</strong> masse popolari, affrettò<br />

l'emancipazione <strong>del</strong> suffragio universa<strong>le</strong>. Tutti ricordano <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni <strong>del</strong> 1919 e <strong>del</strong><br />

1921: <strong>in</strong> cui quel<strong>le</strong> tali trenta persone e quel<strong>le</strong> tali trecentomila famiglie videro per la<br />

prima volta - e il sangue gelò loro nel<strong>le</strong> vene - milioni di e<strong>le</strong>ttori votare secondo il<br />

proprio pensiero o capriccio. (...) Questa emancipazione <strong>del</strong> suffragio universa<strong>le</strong> era<br />

un frutto che prima o poi doveva maturare» (7).<br />

Certamente la struttura politica italiana aveva dei punti deboli, e di questi si deve<br />

tener conto per spiegare il crollo <strong>del</strong><strong>le</strong> istituzioni democratiche <strong>in</strong> Italia. Come<br />

vedremo, l'opera <strong>del</strong> Parlamento era divenuta sempre più deficiente. Ma il Parlamento<br />

è soltanto uno degli istituti <strong>del</strong>la democrazia. Durante i c<strong>in</strong>quant'anni di regime libero,<br />

libertà di stampa, di parola e di associazione avevano <strong>in</strong>segnato ad una larga parte<br />

<strong>del</strong>l'e<strong>le</strong>ttorato a superare gli <strong>in</strong>teressi personali e i pregiudizi locali. Il popolo si andava<br />

<strong>in</strong>teressando <strong>in</strong> misura sempre maggiore alla vita pubblica. Nel 1880 il giorna<strong>le</strong> più<br />

diffuso d'Italia vendeva soltanto 25000 copie al giorno; nel 1914 se ne vendevano<br />

600000. Tra il 1860 e il 1880 il numero degli e<strong>le</strong>ttori non superava i 250000; al<strong>le</strong><br />

e<strong>le</strong>zioni generali <strong>del</strong> 1913 si recarono al<strong>le</strong> urne c<strong>in</strong>que milioni di votanti. Nel<br />

Mezzogiorno <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni erano viziate dal<strong>le</strong> pressioni e dal<strong>le</strong> vio<strong>le</strong>nze governative; ma<br />

al Nord la vita pubblica, si svolgeva <strong>in</strong> modo onesto e decente.


Durante la guerra mondia<strong>le</strong> <strong>in</strong> Italia non si ebbe nessun caso di selvaggia<br />

persecuzione contro gli avversari <strong>del</strong>la guerra, come avvenne <strong>in</strong>vece <strong>in</strong> America; non<br />

si ebbero soppressioni di giornali, né condanne a trenta anni di carcere per il reato di<br />

pacifismo, né licenziamento di <strong>in</strong>segnanti, sospensione <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>segnamento <strong>del</strong> tedesco,<br />

o altre forme di metodi illiberali. Chi scrive criticò apertamente durante quegli anni la<br />

politica estera <strong>del</strong> governo e si oppose tenacemente al progetto di annessione all'Italia<br />

<strong>del</strong>la Dalmazia, ma non ci fu mai la m<strong>in</strong>ima idea che egli potesse per questo essere<br />

congedato dal suo posto di <strong>in</strong>segnante universitario. Se questa non è democrazia -<br />

democrazia imperfetta, certamente, democrazia <strong>in</strong> camm<strong>in</strong>o - nessuno saprà mai che<br />

cosa <strong>in</strong> realtà è la democrazia.<br />

E' vero che il suffragio universa<strong>le</strong>, l'e<strong>le</strong>mento più caratteristico di una costituzione<br />

democratica, fu concesso <strong>in</strong> Italia solo nel 1912. S<strong>in</strong>o al 1881 il diritto e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong><br />

apparteneva a quei soli cittad<strong>in</strong>i maschi che avevano raggiunto l'età di 25 anni, e<br />

pagavano non meno di 40 lire all'anno di imposte dirette, e che sapevano <strong>le</strong>ggere e<br />

scrivere. In quell'anno il numero degli e<strong>le</strong>ttori ammontava a 662000, cioè al 2,2 per<br />

cento <strong>del</strong>la popolazione, mentre con il suffragio universa<strong>le</strong> limitato alla popolazione<br />

maschi<strong>le</strong> circa il 30 per cento <strong>del</strong>la popolazione avrebbe avuto il diritto di voto. Nel<br />

1882 il diritto e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> fu esteso a tutti i maschi che avevano raggiunto il<br />

ventunesimo anno di età e sapevano <strong>le</strong>ggere e scrivere, pagassero o non pagassero<br />

imposte dirette; ma se i cittad<strong>in</strong>i non erano iscritti nel registro dei contribuenti<br />

dovevano dimostrare di avere almeno frequentato la terza e<strong>le</strong>mentare <strong>in</strong> una scuola<br />

comuna<strong>le</strong>. In tal modo il numero degli e<strong>le</strong>ttori iscritti salì a 2.112.000 (7,39 per cento<br />

<strong>del</strong>la popolazione) e tra il 1882 e il 1912 ta<strong>le</strong> numero sali a 3.329.000 (9,28 per cento<br />

<strong>del</strong>la popolazione). Nel 1912, una nuova riforma e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> estese il diritto di voto a<br />

tutti i maschi che avessero raggiunto il trentesimo anno di età o avessero prestato il<br />

servizio militare, che sapessero o non sapessero <strong>le</strong>ggere e scrivere. Si pensò che<br />

l'esperienza <strong>del</strong>la vita è più importante <strong>del</strong> saper <strong>le</strong>ggere e scrivere. Milioni di<br />

contad<strong>in</strong>i erano ancora analfabeti, ma erano stati <strong>in</strong> America ed erano ritornati a casa<br />

con i loro risparmi e con una esperienza di vita maggiore di quella, ad esempio, di un<br />

giov<strong>in</strong> signore che <strong>le</strong>ggiucchiava i romanzi francesi, ma non aveva mai avuto nella<br />

vita da superare altra difficoltà che quella di aggiustarsi la cravatta <strong>in</strong>nanzi allo<br />

specchio. Il numero degli e<strong>le</strong>ttori salì a 8.672.000, cioè il 24,2 per cento <strong>del</strong>la<br />

popolazione. Ma se il suffragio universa<strong>le</strong> era <strong>le</strong>nto ad arrivare, <strong>le</strong> altre istituzioni <strong>del</strong>la<br />

democrazia politica erano vecchie di mezzo secolo.<br />

Anche osservatori liberi da pregiudizi hanno accettato e diffuso l'op<strong>in</strong>ione che<br />

gl'italiani non erano <strong>in</strong>teressati a fare uso dei loro diritti politici, e a prova di questa<br />

<strong>in</strong>differenza <strong>in</strong>dicavano la bassa percentua<strong>le</strong> di italiani votanti nel giorno di e<strong>le</strong>zioni<br />

(8). E sta di fatto che la percentua<strong>le</strong> di cittad<strong>in</strong>i <strong>in</strong> Italia che si recavano al<strong>le</strong> urne<br />

nella giornata e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> variava dal 55 al 60 per cento degli e<strong>le</strong>ttori iscritti (9). Il<br />

significato di questo fatto appare chiaro tenendo presente che:<br />

1) Non esiste <strong>in</strong> questo mondo nessun popolo che possieda una educazione tanto<br />

perfetta che tutti, nessuno escluso, si rech<strong>in</strong>o al<strong>le</strong> urne il giorno <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni. Negli<br />

Stati Uniti, nel<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni presidenziali <strong>del</strong> 1932, solo 40 milioni di votanti si recarono a<br />

votare, cioè il 57 per cento; nel 1936, 45,8 milioni, il 62 per cento; nel 1940, 49,6<br />

milioni, il 65 per cento.<br />

2) Negli Stati Uniti i cittad<strong>in</strong>i vengono iscritti durante la campagna e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> nel luogo<br />

di residenza, nel calore <strong>del</strong>la lotta politica. In Italia i cittad<strong>in</strong>i venivano iscritti dal<br />

s<strong>in</strong>daco nel luogo di nascita e <strong>in</strong> ta<strong>le</strong> località dovevano recarsi a votare, a meno che<br />

entro il mese di dicembre, <strong>in</strong> previsione di una campagna e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>, non avessero<br />

fatto una domanda per far trasferire la propria iscrizione al luogo di residenza. Qu<strong>in</strong>di<br />

molti impiegati statali, uom<strong>in</strong>i d'affari o lavoratori che non si trovavano nel loro luogo<br />

di nascita il giorno <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni, avrebbero dovuto fare un lungo e costoso viaggio<br />

per esercitare il loro diritto. Tutto ciò era causa di molte astensioni. Inoltre coloro che


stavano prestando servizio militare, che durava tre anni, non potevano votare, e nel<strong>le</strong><br />

statistiche figuravano come assenti. Quando ebbe luogo la prima e<strong>le</strong>zione a suffragio<br />

universa<strong>le</strong> nel 1913, molti milioni di lavoratori si guadagnavano da vivere come<br />

emigranti <strong>in</strong> Austria, Germania, Svizzera, Francia, paesi <strong>del</strong> bac<strong>in</strong>o Mediterraneo,<br />

Nord e Sud America. Così nel 1913 non più <strong>del</strong> 60,4 per cento e nel 1919 il 56,6 per<br />

cento dei votanti iscritti si recarono al<strong>le</strong> urne. Se si tengono presenti queste<br />

circostanze, si deve concludere che la percentua<strong>le</strong> italiana di votanti non sfigura <strong>in</strong><br />

confronto con la percentua<strong>le</strong> <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se, che di regola è di circa il 78-80 per cento.<br />

Nel 1903, nel settimana<strong>le</strong> "M<strong>in</strong>erva", uno scrittore politico, Federico Garlanda, fece <strong>le</strong><br />

seguenti osservazioni:<br />

«Da noi tutti i cittad<strong>in</strong>i discuton di politica. Ogni italiano che si rispetti passa ogni<br />

giorno un'ora o due al caffè a discuter di politica f<strong>in</strong> che ne ha fiato. Chi appoggia la<br />

s<strong>in</strong>istra e chi la destra; chi esprime op<strong>in</strong>ioni repubblicane e chi socialiste. Ma se<br />

domandate a ciascuno di questi spiritati <strong>in</strong>terlocutori: Scusi, di che partito è <strong>le</strong>i?,<br />

potete essere sicuri che novantanove volte su cento la risposta sarà: Io non<br />

appartengo a nessun partito» (10).<br />

Il discutere troppo di politica forse non è <strong>in</strong>dice di saggezza, ma certamente non è<br />

<strong>in</strong>dice di <strong>in</strong>differenza; viceversa il non appartenere a nessun partito può essere<br />

considerato come saggezza. La sola cosa che non si può s<strong>in</strong>ceramente dire è che gli<br />

italiani fossero <strong>in</strong>differenti alla politica.<br />

Durante gli anni <strong>del</strong> terrore e <strong>del</strong>la guerra civi<strong>le</strong>, 1921-26, nella loro tenace resistenza<br />

all'assalto fascista, vi furono tra gli antifascisti <strong>in</strong> Italia 4000 vittime. E' un po' diffici<strong>le</strong><br />

sostenere che questa sia una prova <strong>del</strong>lo scarso <strong>in</strong>teressamento degli italiani a<br />

sostegno <strong>del</strong><strong>le</strong> loro libertà politiche. Quando i locali di un giorna<strong>le</strong> venivano bruciati<br />

dai fascisti, subito i suoi <strong>le</strong>ttori <strong>in</strong>viavano offerte perché i danni potessero essere<br />

riparati. Ciò non si può dire che dimostri che essi non erano <strong>in</strong>teressati a sostenere la<br />

libertà di stampa. Certamente la massa <strong>del</strong> popolo italiano non aveva raggiunto lo<br />

stesso livello di maturità politica che si poteva riscontrare <strong>in</strong> Svizzera, <strong>in</strong> Belgio, <strong>in</strong><br />

Olanda, nei paesi scand<strong>in</strong>avi, <strong>in</strong> Inghilterra e anche <strong>in</strong> Francia; ma nessun popolo ha<br />

mai trovato una perfetta educazione democratica bell'e fatta nella culla. L'Inghilterra<br />

e la Francia erano politicamente assai <strong>in</strong>dietro prima di diventare quello che erano<br />

all'<strong>in</strong>izio di questo secolo. Al tempo <strong>del</strong> Duca di Well<strong>in</strong>gton il sistema parlamentare<br />

<strong>in</strong>g<strong>le</strong>se era ancora un rozzo <strong>in</strong>sieme di privi<strong>le</strong>gi <strong>in</strong>coerenti e corruzione sistematica; se<br />

la spiegazione <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> riposa nell'arretratezza italiana, l'Inghilterra nel 1832<br />

avrebbe dovuto produrre una dittatura fascista e non il "Reform Act". Dal 1871 al<br />

1877, <strong>in</strong> Francia vi fu sempre pericolo che la repubblica democratica soccombesse e il<br />

paese facesse ritorno ad una forma di assolutismo; perché <strong>in</strong>vece di ripiombare <strong>in</strong> un<br />

regime dispotico si ebbe <strong>in</strong> Francia un regime democratico? E perché quel regime<br />

democratico crollò disastrosamente nel 1940? Era più arretrata la Francia <strong>del</strong> 1940 di<br />

quella <strong>del</strong> 1877? Se la condizione di arretratezza fosse la spiegazione <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>,<br />

l'Italia avrebbe dovuto produrre il <strong>fascismo</strong> quando era assai più arretrata che non nel<br />

1922; non avrebbe neppure sperimentato <strong>le</strong> libere istituzioni, sarebbe rimasta<br />

succube e sonno<strong>le</strong>nta sotto i vecchi governi dispotici. In ogni modo, perché l'Italia<br />

pose f<strong>in</strong>e al<strong>le</strong> sue libere istituzioni non nel 1880, ad esempio, ma quarant'anni più<br />

tardi? Il movimento fascista non nacque nel Mezzogiorno, la parte più arretrata <strong>del</strong><br />

paese, nacque nell'Italia settentriona<strong>le</strong>, che aveva raggiunto un livello di civiltà non<br />

molto <strong>in</strong>feriore a quello dei paesi <strong>del</strong>l'Europa centra<strong>le</strong>. Il retrogrado Mezzogiorno<br />

italiano cadde <strong>in</strong> mano al <strong>fascismo</strong> solo dopo che il <strong>fascismo</strong> <strong>del</strong> Nord era andato al<br />

potere.<br />

Prima <strong>del</strong> 1933 una <strong>del</strong><strong>le</strong> spiegazioni <strong>del</strong>la 'arretratezza' italiana e <strong>del</strong>la sua<br />

<strong>in</strong>compatibilità con la democrazia era vista da taluni nel fatto che l'Italia era un paese


cattolico. Nei paesi protestanti una mentalità cattolico-romana è considerata come<br />

una mentalità 'retrograda.' Tuttavia, dopo il crollo <strong>in</strong> Germania <strong>del</strong>la Repubblica di<br />

Weimar, nel 1933, non, fu più possibi<strong>le</strong> ignorare il fatto che la Germania per più di<br />

metà era protestante, e che i protestanti tedeschi non fecero contro il nazismo figura<br />

migliore dei cattolici. Nessuno avrebbe mai detto che la Germania fosse un paese<br />

'retrogrado.' Quando Hit<strong>le</strong>r andò al potere, una rivista americana manifestò la propria<br />

fiducia nel movimento operaio tedesco, <strong>le</strong> cui basi erano troppo solide per essere<br />

scosse dalla brutalità <strong>del</strong> governo e perché il suo camm<strong>in</strong>o fosse <strong>in</strong>terrotto dalla<br />

<strong>in</strong>tossicazione nazionalista. 'Hit<strong>le</strong>r non riuscirà a calpestare socialdemocratici,<br />

comunisti e s<strong>in</strong>dacati, come fece Benito Mussol<strong>in</strong>i <strong>in</strong> un'Italia <strong>in</strong>dustrialmente assai<br />

meno sviluppata.' (11) L'esperienza ha dimostrato che i s<strong>in</strong>dacati tedeschi furono<br />

'pianificati' dopo una resistenza assai m<strong>in</strong>ore di quella opposta dai s<strong>in</strong>dacati italiani <strong>in</strong><br />

un paese <strong>in</strong>dustrialmente assai meno sviluppato. Gli italiani resistettero tenacemente<br />

per quattro anni all'assalto fascista, dopo che Mussol<strong>in</strong>i era andato al potere. E per<br />

quanto riguarda la <strong>in</strong>tossicazione nazionalista, i s<strong>in</strong>dacati tedeschi nella Saar, la più<br />

<strong>in</strong>dustrializzata regione <strong>del</strong> mondo, nel p<strong>le</strong>biscito <strong>del</strong> 1934 - un libero p<strong>le</strong>biscito, si<br />

noti, un libero p<strong>le</strong>biscito - dettero a Hit<strong>le</strong>r il 92 per cento dei loro voti. Non si<br />

richiamano questi fatti per dimostrare che la Germania era più 'arretrata' <strong>del</strong>l'Italia; si<br />

vuol solo chiarire il fatto che la vittoria <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> o <strong>del</strong> nazismo non si possono<br />

spiegare con la 'arretratezza' <strong>del</strong>l'Italia o <strong>del</strong>la Germania.<br />

Dopo aver conquistato l'Italia e la Germania, il <strong>fascismo</strong> fece la sua comparsa <strong>in</strong><br />

Francia, Belgio, Inghilterra, Stati Uniti e Canada, paesi che nessuno osa def<strong>in</strong>ire<br />

'arretrati,' e nel 1940 sorse <strong>in</strong> Francia una dittatura fascista, il regime di Vichy. (Non<br />

prendiamo <strong>in</strong> considerazione Austria, Polonia, Yugoslavia, Rumania, Grecia, Ungheria,<br />

e altri paesi che furono benedetti da una forma più o meno coerente di dittatura, dato<br />

che questi paesi erano considerati 'arretrati' e qu<strong>in</strong>di il loro esempio non avrebbe<br />

molto peso <strong>in</strong> questa discussione.) Dopo tali esperienze, sono pochi gli americani, gli<br />

<strong>in</strong>g<strong>le</strong>si o i francesi che ripetono ancora oggi quello che alcuni anni fa era uno slogan<br />

comune: "'It can't happen here,' 'Chez nous ça ne peut pas arriver.'" E' quasi est<strong>in</strong>ta<br />

la razza di quegli uom<strong>in</strong>i giusti che erano conv<strong>in</strong>ti di essere sotto la specia<strong>le</strong><br />

protezione <strong>del</strong>l'Onnipotente, e che la grand<strong>in</strong>ata fascista avrebbe devastato soltanto i<br />

campi dei loro vic<strong>in</strong>i, e che la febbre nazista si sarebbe abbattuta solo sul<strong>le</strong> case di<br />

fronte al<strong>le</strong> loro. Piaccia o non piaccia, il <strong>fascismo</strong> non è un tratto caratteristico dei<br />

paesi 'arretrati,' ma un fenomeno universa<strong>le</strong>, la cui spiegazione deve ricercarsi altrove<br />

che non nello stato di 'arretratezza.'<br />

Un <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se di grande <strong>in</strong>telligenza e una autorità per la storia <strong>del</strong> Ris<strong>org</strong>imento italiano<br />

notava che <strong>le</strong> città italiane <strong>del</strong> Medioevo non ebbero esperienza di governo<br />

rappresentativo, e <strong>in</strong> questo fatto ritrovava la chiave per comprendere perché l'Italia<br />

diventò fascista:<br />

«La città governava i luoghi circostanti <strong>in</strong> modo dispotico. Essa stessa era governata<br />

da una democrazia diretta, o da una propria oligarchia, o da un dittatore. Quando<br />

cambiava governo, non era <strong>in</strong> seguito a una e<strong>le</strong>zione genera<strong>le</strong>, ma <strong>in</strong> seguito a un<br />

moto di piazza: i cittad<strong>in</strong>i si raccoglievano, bastonavano alcune persone divenute<br />

impopolari o devastavano <strong>le</strong> loro case. (...) E così, nell'autunno <strong>del</strong> 1922, mentre da<br />

noi andava al potere un governo conservatore <strong>in</strong> seguito al<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni generali, gli<br />

italiani raggiungevano uno scopo analogo mediante una serie di moti di piazza per<br />

tutta l'Italia, culm<strong>in</strong>anti <strong>in</strong> un grande 'moto di piazza' naziona<strong>le</strong>: la marcia su Roma di<br />

Mussol<strong>in</strong>i. (...) Qualche volta la gente mi chiede perché gli italiani non potevano<br />

ottenere il cambiamento di governo che vo<strong>le</strong>vano per mezzo <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni generali.<br />

(...) Rispondo a chi mi ha posto la domanda <strong>in</strong>dicando la storia socia<strong>le</strong> e politica degli<br />

italiani, che li ha resi <strong>in</strong>adatti ad esprimersi mediante e<strong>le</strong>zioni generali. Ed è<br />

veramente molto diffici<strong>le</strong> per trenta o quaranta milioni di persone ottenere il governo


che vogliono mediante una e<strong>le</strong>zione genera<strong>le</strong>, a meno che non ne abbiano il senso<br />

<strong>in</strong>nato. Noi abbiamo questo oscuro ist<strong>in</strong>to ereditario; gli italiani non l'hanno. (...) In<br />

che modo gli italiani esprimono naturalmente i loro desideri? L'ho già detto, mediante<br />

il concorso dei cittad<strong>in</strong>i <strong>in</strong> ogni città. Quando l'anima, lo spirito o <strong>le</strong> passioni degli<br />

italiani hanno bisogno di sfogo, essi lo trovano <strong>in</strong> un moto di piazza» (12).<br />

Tutto ciò è assai brillante e ben scritto, ma non vengono presi <strong>in</strong> considerazione molti<br />

fatti pert<strong>in</strong>enti.<br />

Nel 1183, trentadue anni prima <strong>del</strong>la data di nascita <strong>del</strong>la Magna Charta, gli italiani<br />

strapparono all'imperatore Federico Barbarossa il Trattato di Costanza, che garantiva<br />

l'autogoverno a tutte <strong>le</strong> città <strong>del</strong>l'Italia settentriona<strong>le</strong>, mentre la Magna Charta <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se<br />

conteneva i diritti e i privi<strong>le</strong>gi soltanto di un pugno di baroni feudali. Che cosa faceva<br />

questo 'oscuro ist<strong>in</strong>to' <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se nel 1183? Perché si risvegliò soltanto nel 1215? Nel<br />

tredicesimo secolo, mentre l''ist<strong>in</strong>to' <strong>del</strong>l'Inghilterra stava facendo il suo primo passo<br />

<strong>in</strong>certo verso la rappresentanza mercanti<strong>le</strong> <strong>in</strong> Parlamento, nell'Italia centra<strong>le</strong> e<br />

settentriona<strong>le</strong> gli strati <strong>in</strong>feriori <strong>del</strong><strong>le</strong> classi medie cercavano di ottenere il controllo <strong>del</strong><br />

governo <strong>del</strong><strong>le</strong> loro città e abolivano la servitù <strong>del</strong>la g<strong>le</strong>ba. Non riuscirono ad <strong>in</strong>staurare<br />

un regime parlamentare, e ovunque ci furono molti 'moti di piazza'; ma forse che la<br />

guerra <strong>del</strong><strong>le</strong> Due Rose fu combattuta sulla luna e non per <strong>le</strong> strade d'Inghilterra? Le<br />

lotte sociali <strong>in</strong> Italia condussero a istituzioni dispotiche; ovunque <strong>in</strong> Italia sorsero<br />

tiranni. Ma Enrico Ottavo era un re costituziona<strong>le</strong>, di fronte al qua<strong>le</strong> i tiranni italiani<br />

avrebbero avuto ragione di sentirsi umiliati? E la rivoluzione <strong>del</strong> 1648 che cosa fu se<br />

non un 'grande moto' per <strong>le</strong> strade d'Inghilterra? E forse che la rivoluzione <strong>del</strong> 1688<br />

fu prodotta da una e<strong>le</strong>zione parlamentare?<br />

L''oscuro ist<strong>in</strong>to' <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se funzionava, piuttosto ma<strong>le</strong> anche <strong>in</strong> tempi più avanzati.<br />

Qualsiasi studente di liceo sarebbe da bocciare se non conoscesse a menadito che<br />

l'Inghilterra proibì il commercio <strong>le</strong>ga<strong>le</strong> degli schiavi solo nel 1807, e che la schiavitù<br />

nel<strong>le</strong> colonie britanniche non venne abolita s<strong>in</strong>o al 1833; che il diritto di riunirsi <strong>in</strong><br />

associazioni di mestiere fu concesso ai lavoratori solo nel 1824, e che solo <strong>in</strong><br />

quell'anno i cattolici furono emancipati; che nei primi trent'anni <strong>del</strong> secolo<br />

diciannovesimo <strong>le</strong> corporazioni municipali, grazie a un sistema di voto anche più<br />

assurdo di quello <strong>in</strong> vigore nel<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni parlamentari, erano controllate da oligarchie<br />

mesch<strong>in</strong>e, ignoranti, <strong>in</strong>efficienti e spesso disoneste; che la riforma <strong>del</strong> 1832<br />

concedeva il diritto di voto a non oltre metà <strong>del</strong><strong>le</strong> classi medie; che per molti anni,<br />

anche dopo il 1832, <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si cont<strong>in</strong>uarono a essere caratterizzate dal<strong>le</strong><br />

numerose forme di corruzione; che solo dopo il 1839 l'arruolamento forzato nella<br />

mar<strong>in</strong>a cadde <strong>in</strong> disuso; che ancora nel 1844 il m<strong>in</strong>istro degli Interni violava la<br />

corrispondenza privata, e non esisteva nessuna <strong>le</strong>gge a proibire tali pratiche; che solo<br />

nella seconda metà <strong>del</strong> diciannovesimo secolo la libertà di stampa venne garantita;<br />

che solo nel 1853 furono abolite quel<strong>le</strong> tasse sui giornali, che li rendevano costosi e<br />

qu<strong>in</strong>di <strong>in</strong>accessibili al<strong>le</strong> classi <strong>in</strong>feriori; che solo nel 1866 gli ebrei ottennero il diritto di<br />

far parte <strong>del</strong> Parlamento; che solo nel 1867 gli operai cittad<strong>in</strong>i e il resto <strong>del</strong><strong>le</strong> classi<br />

medie ottennero il diritto di voto; che i lavoratori agricoli dovettero attendere il diritto<br />

di voto s<strong>in</strong>o al 1885; che s<strong>in</strong>o al 1872 il voto era pubblico, e qu<strong>in</strong>di gli agricoltori<br />

erano costretti a votare secondo i desideri dei proprietari; che il voto plurimo, il qua<strong>le</strong><br />

accordava un vantaggio sostanzia<strong>le</strong> alla proprietà, fu abolito soltanto nel 1918; che<br />

ancora nel 1841 tra <strong>le</strong> classi lavoratrici neppure un ragazzo su dieci e un adulto su<br />

c<strong>in</strong>quanta sapevano <strong>le</strong>ggere e scrivere; che solo nel 1833 il Parlamento concesse<br />

20000 sterl<strong>in</strong>e per aiutare gli enti locali nella costruzione di edifici per scuo<strong>le</strong><br />

e<strong>le</strong>mentari, e che solo nel 1856 venne promosso un m<strong>in</strong>istero <strong>del</strong>l'Educazione, e solo<br />

nel 1870 l'educazione popolare com<strong>in</strong>ciò a diventare un sistema efficiente e ben<br />

<strong>org</strong>anizzato. Non si sa se si deve spiegare con l''oscuro ist<strong>in</strong>to' parlamentare il fatto<br />

che nel 1914 un esercito il<strong>le</strong>ga<strong>le</strong> di 'volontari' sorse tra gli <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si <strong>del</strong>l'Irlanda <strong>del</strong> Nord


con il programma dichiarato di opporsi con la forza alla "Home Ru<strong>le</strong>" se questa fosse<br />

stata approvata dal Parlamento, e che i <strong>le</strong>aders <strong>del</strong> partito conservatore <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se<br />

approvarono ta<strong>le</strong> m<strong>in</strong>accia contro il Parlamento. Quando nel 1920 il governo<br />

britannico <strong>in</strong>viò i 'Black and Tans' a <strong>in</strong>segnare come comportarsi agli irlandesi, forse<br />

che il governo britannico - e non quello irlandese - era ispirato da quell''oscuro ist<strong>in</strong>to'<br />

parlamentare, <strong>del</strong> cui monopolio l'Onnipotente ha <strong>in</strong>vestito il popolo <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se? Non<br />

sembra che i 'Black and Tans' abbiano dato prova <strong>del</strong> loro 'oscuro ist<strong>in</strong>to'<br />

parlamentare sorseggiando tazze di tè nei salotti <strong>del</strong><strong>le</strong> loro bel<strong>le</strong>, e non partecipando<br />

a 'moti' per <strong>le</strong> strade d'Irlanda. Gli scontri che avvennero nell'autunno <strong>del</strong> 1936 tra<br />

fascisti e antifascisti a Leeds, Londra, Liverpool, e dove molti dei contendenti f<strong>in</strong>irono<br />

all'ospeda<strong>le</strong>, erano né più né meno che 'moti' di strada e non lotte e<strong>le</strong>ttorali.<br />

Le api, <strong>le</strong> formiche e i bamb<strong>in</strong>i neonati fanno immediatamente quei movimenti ist<strong>in</strong>tivi<br />

che si adattano perfettamente ai loro scopi; ma questo non è mai stato il caso<br />

<strong>del</strong>l''ist<strong>in</strong>to' <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se. Il popolo <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se ha dovuto guadagnarsi <strong>le</strong> sue istituzioni<br />

democratiche durante secoli di coscienti sforzi morali e <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali, di tentativi e di<br />

errori, di successi e di fallimenti, di alti e bassi, di passi avanti e di passi <strong>in</strong>dietro,<br />

conflitti e spesso perdite tremende.<br />

I filosofi tedeschi e gli storici <strong>del</strong>la prima metà <strong>del</strong> diciannovesimo secolo<br />

fantasticavano sugli ist<strong>in</strong>ti profondi di cui ciascun popolo sarebbe stato dotato, e i<br />

quali ne controllano lo sviluppo e ne spiegano la storia. Tutti sanno che <strong>in</strong> Italia,<br />

durante il Medioevo, guelfi e ghibell<strong>in</strong>i si uccidevano per <strong>le</strong> strade, ragion per cui<br />

Romeo e Giulietta non si poterono sposare e la cosa andò a f<strong>in</strong>ir ma<strong>le</strong>. Tutti sanno<br />

anche che durante il R<strong>in</strong>ascimento Cesare B<strong>org</strong>ia e molti altri tiranni avevano avuto il<br />

controllo di tutto il popolo italiano. Il caso <strong>del</strong>l'Inghilterra è esattamente il contrario,<br />

perché tutti sanno che essa ebbe la Magna Charta nel 1215. Qu<strong>in</strong>di il 'Volksgeist'<br />

italiano è tirannico, mentre quello <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se è parlamentare. Gli storici liberali tedeschi<br />

che ammiravano <strong>le</strong> libere istituzioni <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si, annunciarono che la sete di libertà era il<br />

tratto essenzia<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'ist<strong>in</strong>to <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se-teutonico. Ma nessuno si è mai dato la pena di<br />

spiegare perché il libera<strong>le</strong> 'Volksgeist' teutonico fece meraviglie <strong>in</strong> un paese come<br />

l'Inghilterra, abitato da una popolazione mista di celti e teutonici, <strong>in</strong>vece di svilupparsi<br />

<strong>in</strong> Germania dove la razza teutonica (come dicevano) era rimasta pura con il suo<br />

'Volksgeist.' Ora che la Germania è diventata un paese totalitario, i professori tedeschi<br />

scopriranno che il puro 'Volksgeist' ariano non è parlamentare ma totalitario.<br />

Più la storia di un popolo è lunga e più numerose e molteplici sono <strong>le</strong> forme di<br />

'Volksgeist' che vi si possono r<strong>in</strong>tracciare. Chi impersona più fe<strong>del</strong>mente il 'carattere<br />

natura<strong>le</strong>' e l''scuro ist<strong>in</strong>to' italiano, Giulio Cesare o Romolo Augustolo, San Francesco<br />

d'Assisi o Casanova, Dante o Machiavelli, Manzoni o D'Annunzio, Toscan<strong>in</strong>i o<br />

Mussol<strong>in</strong>i? Cosa c'è di comune tra gli ist<strong>in</strong>ti degli <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si <strong>del</strong> tempo dei re sassoni e<br />

quelli <strong>del</strong> tempo di David Lloyd Ge<strong>org</strong>e? Il carattere naziona<strong>le</strong> <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se non era certo lo<br />

stesso, quando Enrico Ottavo sposava una dopo l'altra sei mogli, di quando Edoardo<br />

Ottavo era costretto ad abdicare perché vo<strong>le</strong>va sposare una signora che aveva già<br />

avuto non più di due mariti. Se ci fosse un crollo <strong>del</strong>la democrazia negli Stati Uniti,<br />

sarebbe faci<strong>le</strong> trovare prove di 'Volksgeist' fascista nordamericano nel Ku-Klux-Klan,<br />

<strong>in</strong> Huey Long, nel Major Hague, nei Vigilantes, nella Black Legion, nel<strong>le</strong> company<br />

unions, <strong>in</strong> Father Coughl<strong>in</strong>, nel vescovo cattolico di Brooklyn; nei l<strong>in</strong>ciaggi di negri,<br />

eccetera eccetera.<br />

Non <strong>in</strong>tendiamo affatto disconoscere che a dati momenti ciascun gruppo di uom<strong>in</strong>i<br />

presenta <strong>del</strong><strong>le</strong> date caratteristiche proprie, non solo fisiche ma anche psicologiche.<br />

Quello che si contesta è che uno sviluppo storico possa essere spiegato per mezzo<br />

<strong>del</strong>l'ist<strong>in</strong>to' o 'Volksgeist' o 'carattere naziona<strong>le</strong>.' Ogni poltrone, non appena nella<br />

nostra conoscenza <strong>del</strong><strong>le</strong> cause si <strong>in</strong>contra una lacuna, può colmare ta<strong>le</strong> lacuna usando<br />

uno di questi term<strong>in</strong>i. Ma non dobbiamo illuderci credendo di aver risolto un prob<strong>le</strong>ma


storico riparando la nostra ignoranza con un sofisma tautologico, che spesso nasce da<br />

un compiacimento nazionalistico.<br />

Se si vuo<strong>le</strong> comprendere perché <strong>le</strong> istituzioni democratiche cedettero <strong>in</strong> Italia o <strong>in</strong><br />

Francia e sono <strong>in</strong> pericolo ovunque, si devono mettere da parte schemi aprioristici e<br />

slogans vuoti di senso, e si deve accertare come e perché il movimento fascista<br />

nacque <strong>in</strong> un dato paese, quali gruppi sociali contribuirono a formarlo, come e perché<br />

la lotta tra fascisti e antifascisti si è andata sviluppando, e <strong>in</strong> che modo i fascisti<br />

sopraffecero i loro avversari.<br />

Proponiamo un ta<strong>le</strong> lavoro per l'Italia; è un prob<strong>le</strong>ma che merita una attenta analisi.<br />

Una <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e sul<strong>le</strong> <strong>orig<strong>in</strong>i</strong> e lo sviluppo di quello che fu il primo scoppio di <strong>fascismo</strong> <strong>in</strong><br />

Europa è essenzia<strong>le</strong> per la comprensione di ta<strong>le</strong> fenomeno non solo <strong>in</strong> Italia ma <strong>in</strong><br />

tutti gli altri paesi.


CAPITOLO QUINTO.<br />

L'ASSETTO POLITICO DEL 1914.<br />

Per comprendere gli avvenimenti italiani negli anni <strong>in</strong> cui avvenne il crollo degli istituti<br />

democratici, è necessario farsi un'idea di quali erano i gruppi politici <strong>in</strong> campo prima<br />

<strong>del</strong>la guerra, e che dovettero affrontare la guerra e la crisi <strong>del</strong> dopoguerra.<br />

Nel 1914, alla Camera c'era una maggioranza governativa di circa 370 deputati su un<br />

tota<strong>le</strong> di 508; fuori <strong>del</strong>la maggioranza c'erano 17 repubblicani, 28 socialisti riformisti,<br />

6 nazionalisti e una trent<strong>in</strong>a di conservatori. La tradizione repubblicana <strong>del</strong><br />

Ris<strong>org</strong>imento era ancora viva <strong>in</strong> alcuni col<strong>le</strong>gi e<strong>le</strong>ttorali, specialmente nell'Italia<br />

centra<strong>le</strong>, e produceva una rappresentanza repubblicana. Ma nessuno di questi<br />

repubblicani sarebbe stato pronto a versare una sola goccia di sangue <strong>in</strong> favore di una<br />

repubblica.<br />

I socialisti 'riformisti' corrispondevano a quei socialisti che <strong>in</strong> Francia erano capeggiati<br />

da Jaurès, <strong>in</strong> Inghilterra formavano il grosso <strong>del</strong> Labour Party, e <strong>in</strong> Germania<br />

venivano chiamati 'revisionisti.' Sostenevano un gradua<strong>le</strong> e pacifico processo di<br />

trasformazioni sociali e, all'occorrenza, scendevano a compromessi con i partiti<br />

democratici 'b<strong>org</strong>hesi.' Il loro <strong>le</strong>ader era Leonida Bissolati. I socialisti 'ufficiali' si<br />

dividevano <strong>in</strong> una 's<strong>in</strong>istra' e <strong>in</strong> una 'destra.' Alla destra appartenevano i capi più<br />

<strong>in</strong>fluenti <strong>del</strong> movimento s<strong>in</strong>daca<strong>le</strong>, e quasi tutti i c<strong>in</strong>quanta deputati, il cui <strong>le</strong>ader era<br />

Filippo Turati. Essi non erano meno 'riformisti' <strong>del</strong> precedente gruppo socialista, ma<br />

non erano pronti a rompere con il loro vecchio partito nel qua<strong>le</strong>, a partire dal 1912, la<br />

s<strong>in</strong>istra aveva preso il sopravvento. Dichiaravano nel partito di sottostare alla volontà<br />

<strong>del</strong>la maggioranza, sperando che il partito avrebbe cambiato mentalità tornando al<br />

punto di vista riformista. Gli uom<strong>in</strong>i <strong>del</strong>la s<strong>in</strong>istra si def<strong>in</strong>ivano socialisti 'rivoluzionari,'<br />

e erano <strong>in</strong> attesa <strong>del</strong> 'grande giorno,' quando il 'pro<strong>le</strong>tariato' avrebbe fatto piazza<br />

pulita <strong>del</strong> 'capitalismo'; di conseguenza, resp<strong>in</strong>gevano qualsiasi compromesso con i<br />

partiti 'b<strong>org</strong>hesi.' Essi corrispondevano all'Independent Labour Party <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se, o alla<br />

maggioranza dei 'socialdemocratici' tedeschi, fe<strong>del</strong>i alla dottr<strong>in</strong>a marxista qua<strong>le</strong><br />

l'aveva <strong>in</strong>terpretata Kautsky.<br />

II <strong>le</strong>ader dei socialisti rivoluzionari era Benito Mussol<strong>in</strong>i. Nel 1912 era diventato il<br />

direttore <strong>del</strong>l'"Avanti!", ed era anche più a s<strong>in</strong>istra di tutta la stessa s<strong>in</strong>istra socialista<br />

italiana. Era <strong>in</strong> Italia quello che <strong>in</strong> quello stesso tempo era Len<strong>in</strong> <strong>in</strong> Svizzera tra gli<br />

emigrati russi, Hervé <strong>in</strong> Francia e Karl Liebknecht <strong>in</strong> Germania. Più che un socialista<br />

era un anarchico.<br />

Nel luglio <strong>del</strong> 1910, un anarchico gettò una bomba nel teatro Colon di Buenos Aires.<br />

Nel settimana<strong>le</strong> "Lotta di Classe" di cui era il direttore, Mussol<strong>in</strong>i così scrisse <strong>in</strong> data 9<br />

luglio 1910:<br />

«Ammetto senza discussione che <strong>le</strong> bombe non possono costituire, <strong>in</strong> tempi normali,<br />

un mezzo d'azione socialista. Ma quando un governo - repubblicano o monarchico,<br />

imperia<strong>le</strong> o borbonico - vi imbavaglia e vi getta fuori <strong>del</strong>la <strong>le</strong>gge e <strong>del</strong>l'umanità, oh<br />

allora non bisogna imprecare alla vio<strong>le</strong>nza che risponde alla vio<strong>le</strong>nza, anche se fa<br />

qualche vittima <strong>in</strong>nocente.»<br />

E nel numero <strong>del</strong> 16 luglio 1910, così <strong>in</strong>sisteva<br />

«Nel teatro Colon, <strong>in</strong> quella famosa serata di gala, tutti erano gli esponenti <strong>del</strong>la<br />

reazione governativa. Persona vi<strong>le</strong> il lanciatore solo perché si è disperso tra la folla?<br />

Ma non tentò anche Felice Ors<strong>in</strong>i di nascondersi? E i terroristi russi non cercano di


sfuggire, dopo fatto il colpo, all'arresto? Eroi-pazzi quelli che compiono un atto<br />

<strong>in</strong>dividua<strong>le</strong>? Eroi, quasi sempre, ma pazzi, quasi mai. Pazzo un Angiolillo? Pazzo un<br />

Bresci? Pazza una Sofia Perowskaja? Ah no. Il loro atteggiamento ha strappato righe<br />

d'ammirazione a giornalisti b<strong>org</strong>hesi d'alta <strong>in</strong>telligenza. (...) Non mettiamoci<br />

giudicando questi uom<strong>in</strong>i e gli atti da loro compiuti sullo stesso piano <strong>del</strong>la mentalità<br />

b<strong>org</strong>hese e poliziesca. E non gettiamo noi socialisti <strong>le</strong> pietre <strong>del</strong>la nostra lapidazione.<br />

Riconosciamo <strong>in</strong>vece che anche gli atti <strong>in</strong>dividuali hanno il loro valore e qualche volta<br />

segnano l'<strong>in</strong>izio di profonde trasformazioni sociali.»<br />

Angiolillo era l'anarchico che, nel 1897, uccise il m<strong>in</strong>istro spagnolo Canovas <strong>del</strong><br />

Castillo, e Bresci l'anarchico che uccise il Re Umberto nel luglio 1900.<br />

Dopo l'assass<strong>in</strong>io <strong>del</strong> m<strong>in</strong>istro russo Stolyp<strong>in</strong>, Mussol<strong>in</strong>i scriveva nella "Lotta di Classe"<br />

<strong>del</strong> 23 settembre 1911:<br />

«La Nemesi giustiziera lo ha percosso a morte. Ben gli sta. Stolyp<strong>in</strong>, bieco, s<strong>in</strong>istro,<br />

sangu<strong>in</strong>ario, ha meritato il suo dest<strong>in</strong>o. La Russia dei pro<strong>le</strong>tari è <strong>in</strong> festa e attende che<br />

la d<strong>in</strong>amite frantumi <strong>le</strong> ossa <strong>del</strong> Piccolo Padre dal<strong>le</strong> mani rosse di sangue. La f<strong>in</strong>e<br />

tragica <strong>del</strong> m<strong>in</strong>istro di Niccolò Due è forse l'<strong>in</strong>izio di un nuovo periodo di azione<br />

rivoluzionaria? Lo speriamo. Intanto, sia gloria all'uomo che ha compiuto il sacro<br />

gesto <strong>del</strong> Vendicatore!»<br />

Nel marzo <strong>del</strong> 1912 l'anarchico Alba attentava alla vita <strong>del</strong>l'attua<strong>le</strong> Re d'Italia, ferendo<br />

un corazziere <strong>del</strong> seguito. Un gruppo di deputati socialisti riformisti, guidati da<br />

Bissolati, si recò dal Re per congratularsi <strong>del</strong>lo scampato pericolo. Al congresso<br />

naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito socialista, che fece seguito nel luglio, Mussol<strong>in</strong>i ne ottenne<br />

l'espulsione censurandoli severamente.<br />

«Il 14 marzo - egli disse - un muratore romano spara un colpo di revolver contro<br />

Vittorio Savoia. C'erano precedenti chiari: quelli di Bresci e di Elisabetta d'Austria. Si<br />

sperava che ora non vi fossero più camere <strong>del</strong> lavoro a metter fuori <strong>le</strong> bandiere. (...)<br />

Uom<strong>in</strong>i di 60 anni, f<strong>in</strong>i d'<strong>in</strong>tel<strong>le</strong>tto, non dovevano lasciarsi prendere dal sentimento.<br />

Gli attentati sono gli <strong>in</strong>fortuni dei re, come <strong>le</strong> cadute dai ponti quelli dei muratori. Se<br />

noi dobbiamo piangere, dobbiamo piangere pei muratori. E <strong>in</strong>vece avviene uno<br />

spettacolo funambolico! Giolitti dà l'annunzio alla Camera e tutti sono <strong>in</strong> piedi. Io non<br />

so se <strong>le</strong> banali paro<strong>le</strong> attribuite al Bissolati sian vere; ma più o meno esatte, furon<br />

dette, e rimane il fatto <strong>del</strong>l'andata al Quir<strong>in</strong>a<strong>le</strong> a ral<strong>le</strong>grarsi col Re» (1).<br />

In un discorso a Milano il 22 luglio 1913 affermava 'Questo pro<strong>le</strong>tariato ha bisogno di<br />

un bagno di sangue.' (2) Il 12 giugno 1914, dopo una settimana di gravi disord<strong>in</strong>i<br />

nell'Italia centra<strong>le</strong>, scriveva sull'Avanti! di cui era allora direttore:<br />

Tutto ciò non turba nel<strong>le</strong> sue l<strong>in</strong>ee grandiose la bel<strong>le</strong>zza <strong>del</strong> movimento. Noi lo<br />

constatiamo con un po' di quella gioia <strong>le</strong>gittima colla qua<strong>le</strong> l'artefice contempla la sua<br />

creazione. Se il pro<strong>le</strong>tariato d'Italia, oggi, va formandosi una nuova psicologia; se il<br />

pro<strong>le</strong>tariato d'Italia, oggi, si presenta sulla scena politica con una <strong>in</strong>dividualità, più<br />

libera e <strong>in</strong>sofferente, (...) lo si deve (...) a questo nostro giorna<strong>le</strong>.»<br />

Mussol<strong>in</strong>i aveva e conserva ancora i segni di uno sviluppo <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong> che si è andato<br />

formando disord<strong>in</strong>atamente tra <strong>le</strong> vicende turbo<strong>le</strong>nte di una gioventù passata <strong>in</strong><br />

povertà, tra frettolose <strong>le</strong>tture di giornali e opuscoli di propaganda, sotto lo sprone di<br />

un quotidiano prob<strong>le</strong>ma da risolvere, giorno per giorno, non importa dove, come e<br />

quando, che non era il prob<strong>le</strong>ma <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong>, ma quello <strong>del</strong>l'esistenza<br />

materia<strong>le</strong>. Ma <strong>in</strong>citando i lavoratori agli scioperi, promuovendo dimostrazioni e


tenendo comizi rivoluzionari, aveva imparato ad esercitare il controllo sulla emotività<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> fol<strong>le</strong>. La sua concezione politica e filosofica potrebbe ridursi a una sola parola:<br />

'vio<strong>le</strong>nza.'<br />

Pur attraverso tutte <strong>le</strong> sue <strong>in</strong>congruenze, Mussol<strong>in</strong>i è rimasto fede<strong>le</strong> a quella filosofia;<br />

movimento, azione, audacia, 'vivere pericolosamente': questi sono sempre stati e<br />

sono tuttora i suoi metodi e i suoi slogans.<br />

Nel giugno <strong>del</strong> 1914 un socialista riformista e futuro presidente <strong>del</strong> Consiglio, Ivanoe<br />

Bonomi, tracciò di Mussol<strong>in</strong>i il seguente profilo:<br />

«Per questo fiero romagnolo, il pro<strong>le</strong>tariato d'Italia è ancora un fanciullone<br />

sentimenta<strong>le</strong> che dà <strong>in</strong> ismanie ma si piega, poi, al<strong>le</strong> sculacciate. Bisogna qu<strong>in</strong>di<br />

curarlo con la striglia e cacciarlo avanti con <strong>le</strong> pedate. (...) Ci vuo<strong>le</strong> un salasso per<br />

rifare il sangue al popolo d'Italia. E venga dunque la 'giornata storica,' la giornata di<br />

combattimento, nella qua<strong>le</strong> il pro<strong>le</strong>tariato acquisti sulla barricata e nella lotta per <strong>le</strong><br />

strade la coscienza <strong>del</strong>la sua forza materia<strong>le</strong>. Non importa per ora v<strong>in</strong>cere; ciò che<br />

importa è trionfare <strong>del</strong>la timidità, <strong>del</strong>la paura, <strong>del</strong>la prudenza che <strong>in</strong>ceppano e<br />

arrestano lo slancio rivoluzionario <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato» (3).<br />

Il partito nazionalista era stato formato nel 1910 da un gruppo di scrittori e uom<strong>in</strong>i<br />

politici provenienti dalla piccola b<strong>org</strong>hesia <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong>: Luigi Federzoni, Alfredo Rocco,<br />

Enrico Corrad<strong>in</strong>i, Roberto F<strong>org</strong>es-Davanzati, Francesco Coppola, Maurizio Maraviglia,<br />

Paolo Orario, tutti dest<strong>in</strong>ati a diventare alti papaveri <strong>del</strong> regime fascista. Mentre<br />

Corrad<strong>in</strong>i aveva <strong>in</strong>iziato la sua carriera nel 1896 come un conservatore e un<br />

imperialista assoluto, i più degli altri avevano fatto il loro <strong>in</strong>gresso, nella vita pubblica<br />

un po' più tardi, tra il 1900 e il 1905, come seguaci <strong>del</strong> s<strong>in</strong>dacalista rivoluzionario<br />

francese Ge<strong>org</strong>es Sorel. Il pro<strong>le</strong>tariato si deve <strong>org</strong>anizzare nei s<strong>in</strong>dacati al di fuori<br />

<strong>del</strong>la politica e <strong>del</strong> meccanismo amm<strong>in</strong>istrativo creato dalla 'b<strong>org</strong>hesia'; i pro<strong>le</strong>tari si<br />

devono barricare nel<strong>le</strong> loro <strong>org</strong>anizzazioni come <strong>in</strong> fortilizi dai quali sferrare la loro<br />

guerra di classe; i s<strong>in</strong>dacati devono essere i pilastri fondamentali <strong>del</strong>la nuova società<br />

's<strong>in</strong>dacalista' <strong>in</strong> opposizione alla vecchia struttura democratica e parlamentare, <strong>in</strong><br />

modo da essere <strong>in</strong> grado di liberarsi di essa il giorno <strong>del</strong>la rivoluzione socia<strong>le</strong> e<br />

mettere <strong>in</strong> opera la dittatura <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato; il pro<strong>le</strong>tariato si deve emancipare dal<strong>le</strong><br />

illusioni e<strong>le</strong>ttorali, dai compromessi parlamentari, dalla tattica evoluzionista e<br />

<strong>le</strong>galitaria e dai <strong>le</strong>aders social-riformisti (4).<br />

Nei s<strong>in</strong>dacati e nel partito socialista non si prestò molta attenzione al loro vangelo, ed<br />

essi si stancarono subito di predicare ai sordi, e dal s<strong>in</strong>dacalismo passarono al<br />

nazionalismo, seguendo anche <strong>in</strong> questo l'esempio <strong>del</strong> loro maestro, Ge<strong>org</strong>es Sorel,<br />

che tra il 1907 e il 1910 era passato ai nazionalisti e ai monarchici <strong>del</strong>la "Action<br />

Française". La nuova dottr<strong>in</strong>a non era altro che una versione italiana <strong>del</strong> prussiano<br />

culto <strong>del</strong>lo stato, uno 'stato' deificato come ente assoluto di fronte al qua<strong>le</strong> i diritti<br />

<strong>in</strong>dividuali non contano nulla. A essere giusti si deve dire che nessuno di loro aveva<br />

mai <strong>le</strong>tto né Hegel né Treitschke : la dottr<strong>in</strong>a prussiana era giunta loro attraverso la<br />

Francia. I loro maestri diretti furono i nazionalisti francesi, Barrès, Daudet e Maurras.<br />

I nazionalisti francesi vo<strong>le</strong>vano una restaurazione monarchica antiparlamentare;<br />

rispetto alla religione cattolica non erano né credenti né praticanti, ma consideravano<br />

la <strong>org</strong>anizzazione <strong>del</strong>la Chiesa cattolica come una grande forza <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong>, e<br />

sostenevano un'al<strong>le</strong>anza tra Stato e Chiesa non solo per costituire un fronte comune<br />

contro il socialismo, ma anche per potenziare l'<strong>in</strong>fluenza <strong>del</strong>la Francia nel mondo. I<br />

nazionalisti italiani non avevano bisogno di nessuna restaurazione monarchica, ma<br />

sostenevano anch'essi l'al<strong>le</strong>anza tra Stato e Chiesa contro il socialismo, <strong>in</strong><br />

concorrenza con i nazionalisti francesi. La Repubblica francese aveva rotto i ponti con<br />

la Chiesa e abbandonato il posto di figlia maggiore <strong>del</strong>la Chiesa che una volta la<br />

Francia aveva occupato; spettava all'Italia occupare quel posto e, appoggiata dalla


Chiesa cattolica, estendere nel mondo la sua <strong>in</strong>fluenza. Una appendice al sistema<br />

francese, caratteristicamente italiana, era la scoperta che a questo mondo ci sono<br />

nazioni 'capitaliste' e nazioni 'pro<strong>le</strong>tarie,' e che tra questi due tipi di nazioni esiste un<br />

eterno conflitto simi<strong>le</strong> alla 'lotta di classe' che nel<strong>le</strong> società a base <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong> divide i<br />

capitalisti dai pro<strong>le</strong>tari. L'Italia era povera e prolifica: qu<strong>in</strong>di una nazione 'pro<strong>le</strong>taria.'<br />

La lotta <strong>del</strong>l'Italia pro<strong>le</strong>taria contro <strong>le</strong> nazioni capitaliste doveva prendere il posto <strong>del</strong>la<br />

lotta di classe all'<strong>in</strong>terno <strong>del</strong>la nazione; se vo<strong>le</strong>va sopravvivere, l'Italia doveva<br />

raccogliere tutte <strong>le</strong> sue forze, discipl<strong>in</strong>are il suo 'materia<strong>le</strong> umano' con mano di ferro,<br />

armarsi quanto era possibi<strong>le</strong>, e al momento giusto attaccare una <strong>del</strong><strong>le</strong> nazioni<br />

capitaliste spossata dall'opu<strong>le</strong>nza e spogliarla <strong>del</strong><strong>le</strong> sue colonie, <strong>del</strong><strong>le</strong> sue m<strong>in</strong>iere, dei<br />

suoi pozzi di petrolio. Parlavano con grande enfasi <strong>del</strong>la 'più grande Italia' e <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

aqui<strong>le</strong> romane di nuovo <strong>in</strong> volo su tutto il bac<strong>in</strong>o mediterraneo e oltre <strong>le</strong> Alpi.<br />

Annunciavano che nessuna forza umana avrebbe mai potuto contrastare il dest<strong>in</strong>o<br />

imperia<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'Italia. Sol<strong>le</strong>citavano la creazione di uno spirito guerriero nel<strong>le</strong> giovani<br />

generazioni italiane. Insistevano perché si agisse subito, non importa come e dove,<br />

con eroica noncuranza <strong>del</strong> pericolo. In questo <strong>in</strong>sieme di pensieri e di emozioni<br />

Gabrie<strong>le</strong> D'Annunzio <strong>in</strong>iettò una vena di morbosa sensualità.<br />

I nazionalisti erano, prima di tutto, antisocialisti, perché i socialisti erano pacifisti,<br />

<strong>in</strong>ternazionalisti e contrari al<strong>le</strong> spese militari e al<strong>le</strong> avventure di guerra; erano anche<br />

contro <strong>le</strong> istituzioni parlamentari, perché non potevano sperare di condurre a term<strong>in</strong>e<br />

i loro piani <strong>in</strong> un paese che era tutto men che guerriero, e con un Parlamento che non<br />

poteva sfidare i sentimenti <strong>del</strong> paese. Quando dalla estrema s<strong>in</strong>istra rivoluzionaria si<br />

volsero alla estrema destra conservatrice, non dovettero far altro che attaccare la<br />

democrazia dalla destra con <strong>le</strong> stesse armi che avevano imparato ad usare quando<br />

l'attaccavano dalla s<strong>in</strong>istra.<br />

Se il <strong>fascismo</strong> ha una dottr<strong>in</strong>a coerente, si deve al fatto che i fascisti acquistarono<br />

all'<strong>in</strong>grosso la dottr<strong>in</strong>a nazionalista. Lo stesso Mussol<strong>in</strong>i, durante i primi anni <strong>del</strong>la sua<br />

carriera politica, condivise <strong>in</strong>teramente la dottr<strong>in</strong>a s<strong>in</strong>dacalista: egli fu soltanto più<br />

<strong>le</strong>nto nella sua evoluzione dal s<strong>in</strong>dacalismo al <strong>fascismo</strong>. Mentre Federzoni, Maraviglia,<br />

F<strong>org</strong>es-Davanzati fecero il salto molto prima e nel 1910 si unirono a Corrad<strong>in</strong>i per<br />

formare il partito nazionalista, Mussol<strong>in</strong>i non abbandonò il partito socialista prima<br />

<strong>del</strong>l'autunno <strong>del</strong> 1914, e solo nel 1921 passò apertamente dalla parte nazionalista<br />

<strong>del</strong>la barricata.<br />

I nazionalisti <strong>in</strong>contravano favore tra gli ufficiali <strong>del</strong>l'esercito e <strong>del</strong>la mar<strong>in</strong>a e tra i capi<br />

<strong>del</strong> m<strong>in</strong>istero degli Esteri. Essi sostenevano anche l'autarchia economica, da<br />

raggiungersi mediante e<strong>le</strong>vate tariffe doganali, come mezzo <strong>in</strong>dispensabi<strong>le</strong> per<br />

preparare la guerra; erano qu<strong>in</strong>di sostenuti f<strong>in</strong>anziariamente dai grossi <strong>in</strong>dustriali, i<br />

quali, grazie agli alti dazi protettivi e al<strong>le</strong> forniture governative, prosperavano a spese<br />

dei consumatori e dei contribuenti.<br />

La <strong>in</strong>fluenza <strong>del</strong> partito nazionalista nel paese era più larga e profonda di quanto non<br />

apparisse dalla sua rappresentanza parlamentare. I più dei suoi <strong>le</strong>aders erano uom<strong>in</strong>i<br />

di ecceziona<strong>le</strong> scaltrezza politica e dotati di ardore giovani<strong>le</strong>. Erano tutti spiantati, ma<br />

sostenuti f<strong>in</strong>anziariamente da persone facoltose, e potevano qu<strong>in</strong>di dedicare tutto il<br />

loro tempo libero all'attività politica. Inf<strong>in</strong>e, e certamente non fu questo il fattore<br />

meno importante, la alta e media b<strong>org</strong>hesia <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong> italiana aveva una mentalità<br />

'nazionalista'; correnti di pensiero e stati d'animo 'nazionalisti' si potevano ritrovare<br />

pers<strong>in</strong>o tra i repubblicani di estrema s<strong>in</strong>istra. Ci dobbiamo ricordare che quella<br />

mentalità che oggi diciamo 'nazionalista' o 'imperialista,' nell'Europa cont<strong>in</strong>enta<strong>le</strong><br />

durante la prima metà <strong>del</strong> diciannovesimo secolo, non fu una dote peculiare dei partiti<br />

conservatori, ma dei partiti democratici, e solo nella seconda metà <strong>del</strong> secolo<br />

diciannovesimo e poi <strong>in</strong> questo secolo si è <strong>in</strong>corporata nel<strong>le</strong> dottr<strong>in</strong>e dei partiti<br />

conservatori. Perciò i richiami degli uom<strong>in</strong>i politici assolutamente nazionalisti<br />

<strong>in</strong>contravano un'eco più larga di quanto non abbia potuto credere chi si è fermato alla


superficie <strong>del</strong>la vita politica italiana. In tutte <strong>le</strong> redazioni dei più importanti quotidiani,<br />

quali il "Corriere <strong>del</strong>la Sera", la "Stampa", il "Giorna<strong>le</strong> d'Italia", si trovavano giornalisti<br />

più o meno strettamente <strong>le</strong>gati col movimento nazionalista.<br />

I trenta conservatori che formavano il gruppo di opposizione di destra alla Camera, e i<br />

cui <strong>le</strong>aders erano Antonio Salandra e Sidney Sonn<strong>in</strong>o, <strong>in</strong> fondo al cuore eran tutti<br />

accesi nazionalisti, consideravano il partito nazionalista come la punta avanzata di<br />

quello che avrebbe dovuto essere un solido partito conservatore, e si unirono di fatto<br />

ufficialmente nel 1920 con il partito nazionalista.<br />

Tra i 370 deputati che formavano la coalizione governativa, c'erano 29 deputati<br />

cattolici. La forza dei cattolici nel paese era maggiore di quanto non appaia dal<br />

numero dei loro rappresentanti. Si calcolò che nel<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni generali <strong>del</strong> 1913 non<br />

meno di oltre 200 deputati avevano mendicato e ricevuto l'appoggio dei cattolici, e si<br />

erano impegnati con i vescovi a non votare quel<strong>le</strong> <strong>le</strong>ggi che il Vaticano avrebbe potuto<br />

considerare offensive.<br />

Repubblicani, socialisti, nazionalisti e cattolici avevano <strong>org</strong>anizzazioni nazionali, con<br />

direttori centrali e programmi ufficiali approvati dai congressi nazionali. Tutti gli altri<br />

deputati che formavano il grosso <strong>del</strong>la coalizione governativa mancavano di una<br />

<strong>org</strong>anizzazione naziona<strong>le</strong>. Essi dipendevano dal<strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni locali dei loro col<strong>le</strong>gi<br />

e<strong>le</strong>ttorali. Nel<strong>le</strong> loro fi<strong>le</strong> c'era una destra 'più conservatrice' e una s<strong>in</strong>istra 'più<br />

democratica.' Gli uom<strong>in</strong>i politici <strong>del</strong>la destra 'più conservatrice' si def<strong>in</strong>ivano 'liberali';<br />

ma il term<strong>in</strong>e 'libera<strong>le</strong>' <strong>in</strong> Italia non possedeva più il significato antic<strong>le</strong>rica<strong>le</strong> che aveva<br />

avuto nella prima metà <strong>del</strong> diciannovesimo secolo nel cont<strong>in</strong>ente europeo, né era<br />

s<strong>in</strong>onimo di 'democratico' come <strong>in</strong> Inghilterra. Il 'libera<strong>le</strong>' italiano <strong>del</strong> primo decennio<br />

di questo secolo era un uomo politico, i cui predecessori mezzo secolo prima erano<br />

stati 'liberali' e avevano combattuto contro i privi<strong>le</strong>gi <strong>del</strong> c<strong>le</strong>ro cattolico, ma adesso<br />

erano diventati dei buoni 'conservatori,' che rifuggivano da controversie e attività che<br />

potessero creare dei contrasti con i cattolici. Il loro 'liberalismo' consisteva nel<br />

sostenere la libertà religiosa per la Chiesa cattolica contro tutti coloro che avrebbero<br />

voluto <strong>in</strong>iziare una nuova lotta antic<strong>le</strong>rica<strong>le</strong>.<br />

Gli uom<strong>in</strong>i politici <strong>del</strong>la s<strong>in</strong>istra 'più democratica' si def<strong>in</strong>ivano 'democratici,' ma la loro<br />

democrazia era soddisfatta <strong>del</strong>lo "status quo". Guardavano con sospetto i tentativi<br />

mediante i quali i conservatori potevano porre f<strong>in</strong>e a quel<strong>le</strong> libertà che già erano state<br />

ottenute. Guardavano con sospetto il c<strong>le</strong>ro cattolico, e se si fosse concretizzato un<br />

pericolo c<strong>le</strong>rica<strong>le</strong> non si sarebbero opposti ad un movimento antic<strong>le</strong>rica<strong>le</strong> con ardore<br />

pari ai 'liberali.' E guardavano con non m<strong>in</strong>or sospetto i socialisti. La loro democrazia<br />

non era più 'progressista»: era divenuta statica.<br />

In questo gruppo vi erano 70 'radicali,' che si professavano gli eredi di quei radicali<br />

che nell'Ottocento avevano sostenuto un programma di riforme politiche e sociali più<br />

profonde di quel<strong>le</strong> che i 'liberali' furono pronti a mettere <strong>in</strong> opera. Sicuramente alcuni<br />

di questi uom<strong>in</strong>i erano 'radicali' davvero, e allo stesso modo dei radicali <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si,<br />

sostenevano una politica di liberi traffici, decentralizzazione, riduzione <strong>del</strong><strong>le</strong> spese, e<br />

accordi <strong>in</strong>ternazionali; ma erano visti di malocchio dai loro col<strong>le</strong>ghi, i quali si erano<br />

fatti saggi. Essi erano radicali come erano liberali i 'liberali'; cont<strong>in</strong>uavano a tenere la<br />

loro etichetta più per quella parte di tradizione che era ancora viva <strong>in</strong> larghi settori <strong>del</strong><br />

corpo e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>, che non per un vero disaccordo con la s<strong>in</strong>istra 'più democratica.' In<br />

realtà non erano che una parte <strong>del</strong>la coalizione governativa e prestavano un certo<br />

numero di uom<strong>in</strong>i a tutti i gab<strong>in</strong>etti. Negli anni dal 1910 al 1940 i 'radicali' francesi<br />

non furono più radicali di questi italiani.<br />

Tra la 's<strong>in</strong>istra' e la 'destra' non c'era una l<strong>in</strong>ea di divisione netta: tra gli e<strong>le</strong>menti<br />

assolutamente conservatori favorevoli a un'al<strong>le</strong>anza dichiarata con i cattolici, e gli<br />

e<strong>le</strong>menti assolutamente antic<strong>le</strong>ricali, che consideravano degno di anatema ogni<br />

proposito di al<strong>le</strong>anza coi cattolici, c'erano molte zone <strong>in</strong>certe, pensieri confusi e non<br />

espressi; senza contare quelli a cui non importava affatto di c<strong>le</strong>ricalismo o


antic<strong>le</strong>ricalismo, ma erano preoccupati soltanto di venir rie<strong>le</strong>tti <strong>in</strong> col<strong>le</strong>gi <strong>in</strong> cui la<br />

maggioranza degli e<strong>le</strong>ttori non ne vo<strong>le</strong>va sapere di litigi tra c<strong>le</strong>ricali e antic<strong>le</strong>ricali.<br />

La figura dom<strong>in</strong>ante nella vita politica italiana era quella di Giovanni Giolitti. Giolitti<br />

proveniva da quell'ala s<strong>in</strong>istra 'più democratica' <strong>del</strong>la coalizione governativa, era stato<br />

m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong> Tesoro nel 1887-89, presidente <strong>del</strong> Consiglio nel 1892-94, m<strong>in</strong>istro degli<br />

Interni dal 1901 al 1903, e ancora presidente <strong>del</strong> Consiglio: quasi senza <strong>in</strong>terruzione,<br />

dal 1904 al 1914. Egli era stato il primo statista italiano a considerare i s<strong>in</strong>dacati<br />

come associazioni <strong>le</strong>gali, lo sciopero un diritto dei lavoratori e non un <strong>del</strong>itto <strong>del</strong>la<br />

lotta di classe, e il primo a sostenere che nei conflitti di lavoro il governo doveva<br />

rimanere neutra<strong>le</strong>. Giolitti amm<strong>in</strong>istrava con buon senso <strong>le</strong> pubbliche f<strong>in</strong>anze: nessun<br />

aumento <strong>del</strong> debito pubblico, nessun aumento di spese senza un corrispondente<br />

aumento di entrate; e, come abbiamo visto, f<strong>in</strong>o al tempo <strong>del</strong>la guerra italo-turca <strong>del</strong><br />

1911-12, la qua<strong>le</strong> seppur non gravemente, portò uno sconvolgimento nel<strong>le</strong> f<strong>in</strong>anze<br />

italiane, sotto il governo Giolitti il bilancio fu sempre <strong>in</strong> avanzo.<br />

Il sogno <strong>del</strong>la sua vita fu di <strong>in</strong>trodurre tutti i socialisti riformisti, cioè non soltanto<br />

Bissolati ma anche Turati e i suoi seguaci, nella coalizione governativa, lasciando nel<strong>le</strong><br />

peste i rivoluzionari. Ma al fondo egli era un tenace conservatore che vo<strong>le</strong>va comprare<br />

l'appoggio riformista col m<strong>in</strong>imo di concessioni possibili. Giolitti pensava che i<br />

riformisti avrebbero dovuto contentarsi <strong>del</strong><strong>le</strong> libertà politiche che egli assicurava ai<br />

s<strong>in</strong>dacati e ai partiti di opposizione, e <strong>del</strong> miglioramento <strong>del</strong> livello di vita <strong>del</strong><strong>le</strong> classi<br />

lavoratrici qua<strong>le</strong> si andava attuando <strong>in</strong> quegli anni.<br />

Dai suoi predecessori egli ereditò il costume di 'manipolare' <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni, ma egli adattò<br />

ta<strong>le</strong> costume al<strong>le</strong> nuove condizioni <strong>del</strong> corpo e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>. Nel<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni generali <strong>del</strong><br />

1900, erano stati e<strong>le</strong>tti 40 socialisti, quasi tutti nel Nord. Giolitti si rese conto che<br />

nell'Italia settentriona<strong>le</strong>, specialmente nel<strong>le</strong> città, dove l'educazione era <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>uo<br />

sviluppo, il governo non poteva più 'manipolare' <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni senza sol<strong>le</strong>vare scandali<br />

troppo gravi. Qu<strong>in</strong>di era meglio lasciare che gli e<strong>le</strong>ttori votassero chi vo<strong>le</strong>vano. Ma nel<br />

Mezzogiorno, dove venivano e<strong>le</strong>tti circa 200 dei 508 deputati, era ancora possibi<strong>le</strong><br />

'manipolare' <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni. Il metodo di Giolitti, qu<strong>in</strong>di, fu di lasciare <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni libere nel<br />

Nord e 'manipolar<strong>le</strong>' nel Sud.<br />

Che cosa faceva per 'manipolare' <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni? In ciascuna <strong>del</strong><strong>le</strong> 93 prov<strong>in</strong>cie <strong>in</strong> cui era<br />

divisa l'Italia, vi era un capo <strong>del</strong> potere esecutivo, il prefetto, il qua<strong>le</strong>, a differenza dei<br />

governatori di stato americani, non era e<strong>le</strong>tto dai cittad<strong>in</strong>i ma nom<strong>in</strong>ato dal m<strong>in</strong>istro<br />

degli Interni e responsabi<strong>le</strong> verso il m<strong>in</strong>istro degli Interni <strong>del</strong>la amm<strong>in</strong>istrazione <strong>del</strong>la<br />

prov<strong>in</strong>cia. I consigli comunali e i s<strong>in</strong>daci erano e<strong>le</strong>tti dai cittad<strong>in</strong>i, ma il prefetto era<br />

autorizzato a rimuovere i s<strong>in</strong>daci e sciogliere i consigli comunali, nom<strong>in</strong>ando al loro<br />

posto dei 'commissari,' ogni volta che a suo giudizio questi si fossero comportati <strong>in</strong><br />

modo scorretto. Nella costituzione politica italiana questo era il suo lato peggiore. Il<br />

prefetto era sempre <strong>in</strong> grado di esercitare pressioni sul s<strong>in</strong>daco e sui consiglieri,<br />

specialmente nel<strong>le</strong> zone più arretrate <strong>del</strong> paese, e contro eventuali <strong>in</strong>giustizie non vi<br />

era possibilità di riparazione. I s<strong>in</strong>daci e i consiglieri comunali che durante la<br />

campagna e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> adoperavano la loro <strong>in</strong>fluenza a favore <strong>del</strong> candidato governativo<br />

rimanevano <strong>in</strong> carica anche se erano pubblicamente conosciuti come i peggiori<br />

mascalzoni; quelli <strong>in</strong>vece che sostenevano i candidati di opposizione venivano<br />

sostituiti da commissari governativi, anche se erano i migliori amm<strong>in</strong>istratori possibili.<br />

Ta<strong>le</strong> metodo, applicato senza scrupoli, bastava per mettere a disposizione <strong>del</strong> prefetto<br />

la maggioranza dei s<strong>in</strong>daci <strong>del</strong> col<strong>le</strong>gio e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> che doveva essere conquistato o<br />

mantenuto per il candidato governativo.<br />

Dove il corpo e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> era refrattario alla pressione governativa e esprimeva s<strong>in</strong>daci,<br />

consiglieri comunali e deputati che rifiutavano di sottomettersi, Giolitti ricorreva ad<br />

altri metodi di lotta. Al tempo <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni amm<strong>in</strong>istrative o politiche, la polizia,<br />

d'accordo con i sostenitori <strong>del</strong> governo, assoldava la feccia peggiore e, se necessario,<br />

anche la malavita <strong>del</strong><strong>le</strong> prov<strong>in</strong>cie vic<strong>in</strong>e. Nel<strong>le</strong> settimane precedenti <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni, gli


oppositori venivano m<strong>in</strong>acciati, bastonati, costretti a starsene chiusi <strong>in</strong> casa; ai loro<br />

galopp<strong>in</strong>i e<strong>le</strong>ttorali si impediva di tenere comizi, e si giungeva pers<strong>in</strong>o a metterli <strong>in</strong><br />

prigione s<strong>in</strong>o a che <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni non erano concluse; agli e<strong>le</strong>ttori sospettati di sostenere<br />

l'opposizione si rifiutavano i certificati e<strong>le</strong>ttorali, mentre coloro che votavano a favore<br />

dei candidati governativi, ricevevano non solo il loro certificato ma anche i certificati<br />

degli oppositori, degli emigrati, degli e<strong>le</strong>ttori morti, e si permetteva loro di votare tre,<br />

c<strong>in</strong>que, dieci e anche venti volte. I candidati governativi v<strong>in</strong>cevano sempre. Un<br />

deputato meridiona<strong>le</strong> che cercava di disobbedire a Giolitti poteva essere sicuro che<br />

al<strong>le</strong> prossime e<strong>le</strong>zioni sarebbe stato sconfitto; coloro che gli erano fe<strong>del</strong>i erano sicuri<br />

di essere rie<strong>le</strong>tti.<br />

Non era necessario applicare tali sistemi <strong>in</strong> tutti i col<strong>le</strong>gi e<strong>le</strong>ttorali; di essi c'era<br />

bisogno soltanto dove c'era il pericolo che potesse venire e<strong>le</strong>tto un candidato<br />

<strong>del</strong>l'opposizione. Ma anche <strong>in</strong> tali col<strong>le</strong>gi e<strong>le</strong>ttorali non era necessario sottomettere<br />

tutti gli oppositori, bastava concentrare l'apparato bellico <strong>in</strong> alcuni dei centri <strong>del</strong><br />

col<strong>le</strong>gio e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>, dove raccogliere i voti sufficienti alla vittoria. Se ad esempio <strong>in</strong><br />

quattro paesi di un col<strong>le</strong>gio e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> si prevedeva che il governo potesse raccogliere<br />

1000 voti e l'opposizione 1500 voti, il prefetto si prendeva cura soltanto di una città,<br />

<strong>in</strong> modo da sottrarre all'opposizione soltanto 500 voti da aggiungere a quelli <strong>del</strong><br />

candidato protetto. In tutte <strong>le</strong> altre località si permetteva che <strong>le</strong> votazioni si<br />

svolgessero liberamente, purché l'opposizione si guardasse bene dal preparare dei<br />

trucchi.<br />

Se il partito che era stato <strong>in</strong> tal modo soffocato si appellava alla Camera, la<br />

commissione parlamentare per <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni, che nella grande maggioranza era formata<br />

da sostenitori <strong>del</strong> governo, sapeva bene <strong>in</strong> che modo ritardare ogni <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e. Il caso<br />

veniva portato davanti alla Camera uno, due, tre anni dopo che si erano svolte <strong>le</strong><br />

e<strong>le</strong>zioni, quando gli spiriti si erano calmati e nessuno aveva più <strong>in</strong>teresse <strong>in</strong> eventi<br />

preistorici. Di solito la relazione resp<strong>in</strong>geva <strong>le</strong> accuse di corruzione. Qualche protesta<br />

si <strong>le</strong>vava dall'estrema s<strong>in</strong>istra. Il gab<strong>in</strong>etto annunciava so<strong>le</strong>nnemente che non avrebbe<br />

preso parte alcuna alla discussione <strong>del</strong> caso, lasciando la Camera libera di decidere, e<br />

una maggioranza schiacciante appoggiava la commissione per <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni. Qualche<br />

volta lo scandalo era stato tanto clamoroso e tanto manifesti i reati di cui si erano resi<br />

responsabili seguaci <strong>del</strong> governo e polizia, che doveva <strong>in</strong>tervenire la magistratura e<br />

<strong>in</strong>fliggere <strong>del</strong><strong>le</strong> condanne. Ma prima o poi con una ben calcolata amnistia tutte <strong>le</strong><br />

condanne venivano cancellate, e la volta dopo si ricom<strong>in</strong>ciava da capo.<br />

Giolitti non fu il primo m<strong>in</strong>istro degli Interni a 'manipolare' <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni, ma nessuno<br />

aveva mai 'manipolato' una dopo l'altra tre e<strong>le</strong>zioni generali (1904, 1909, 1913), ed<br />

egli sorpassò tutti nella chiarezza dei propositi e nella sistematica mancanza di<br />

scrupoli. In questo modo Giolitti otteneva dal Mezzogiorno circa 150 fe<strong>del</strong>i sostenitori,<br />

che dovevano a lui il loro posto e che se non si fossero mostrati docili sarebbero stati<br />

mandati a spasso. Sostenuto da questo blocco compatto, Giolitti poteva dettare <strong>le</strong> sue<br />

condizioni ai deputati e<strong>le</strong>tti nell'Italia settentriona<strong>le</strong> e centra<strong>le</strong>, sia che fossero 'più<br />

conservatori' o 'più democratici.'<br />

Quando uno di questi due gruppi si faceva rumoroso e diffici<strong>le</strong> da trattare, egli lo<br />

m<strong>in</strong>acciava di rappresaglie e assicurava all'altro gruppo il suo favore. In tal modo<br />

Giolitti dava scacco ai suoi oppositori mettendoli gli uni contro gli altri, e nessuno<br />

osava abbandonare l'ovi<strong>le</strong> m<strong>in</strong>isteria<strong>le</strong>.<br />

La sua eloquenza era semplice, concisa, nemica degli artifici retorici, ravvivata di<br />

tanto <strong>in</strong> tanto da qualche discreto motto di spirito, pronta a servirsi di cavilli, più che<br />

a fare uso di argomenti solidi, attenta ad assopire <strong>le</strong> passioni piuttosto che ad<br />

eccitar<strong>le</strong>. Uno spettacolo teatra<strong>le</strong> che nel 1913 ebbe molto successo mostrava c<strong>le</strong>ricali<br />

e antic<strong>le</strong>ricali, monarchici e repubblicani, conservatori e socialisti, ciascuno con il<br />

vestito <strong>del</strong> colore <strong>del</strong> suo gruppo, che bisticciavano, gridavano, si m<strong>in</strong>acciavano a


vicenda; poi appariva sulla scena Giolitti, e immediatamente tutto si calmava e<br />

ognuno riappariva vestito <strong>del</strong>lo stesso abito grigio.<br />

Giolitti sapeva di non poter restare al potere per sempre, se non altro perché di tanto<br />

<strong>in</strong> tanto aveva bisogno di un po' di riposo. Quando giudicava che fosse giunto il<br />

momento adatto per eclissarsi, aveva sempre a portata di mano qualche trucco<br />

<strong>in</strong>fallibi<strong>le</strong>; pur di dimettersi <strong>in</strong>ventava qualsiasi pretesto, rifiutando una nuova<br />

<strong>in</strong>vestitura anche se era chiaro che la maggioranza era pronta a rispondere ad ogni<br />

suo cenno; allora consigliava il Re di chiamare a presidente <strong>del</strong> Consiglio uno dei<br />

<strong>le</strong>aders <strong>del</strong>la opposizione conservatrice, e la Camera non mancava mai di dare al<br />

nuovo gab<strong>in</strong>etto un voto di fiducia. Ma dopo pochi mesi si risvegliava una certa<br />

irrequietezza, il gab<strong>in</strong>etto ad <strong>in</strong>terim era costretto a dimettersi, e Giolitti se ne<br />

tornava trionfalmente <strong>in</strong> perfetta salute e più potente di prima.<br />

Il suffragio universa<strong>le</strong> fu attuato <strong>in</strong> Italia <strong>in</strong> seguito a uno dei soliti trucchi<br />

parlamentari di Giolitti. Esso era sempre stato, s<strong>in</strong> dal tempo <strong>del</strong>l'apostolato di<br />

Mazz<strong>in</strong>i, uno dei punti chiave <strong>del</strong> programma dei partiti democratici <strong>in</strong> Italia. Nel<br />

primo decennio di questo secolo, <strong>in</strong> Belgio e <strong>in</strong> Germania era stata condotta una<br />

energica campagna <strong>in</strong> favore <strong>del</strong> suffragio universa<strong>le</strong>, che <strong>in</strong> Austria era stato<br />

concesso nel 1908; ma Giolitti era sempre stato contrario ad ogni cambiamento nel<br />

sistema e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1882 (5). Nel 1911 tuttavia egli stava preparando la conquista<br />

<strong>del</strong>la Libia. Per superare, o almeno <strong>in</strong>debolire, l'opposizione socialista egli presentò<br />

una <strong>le</strong>gge che estendeva il diritto di voto a tutti gli uom<strong>in</strong>i al di sotto dei trent'anni,<br />

che avessero prestato servizio militare, e a tutti quelli che avessero superato i<br />

trent'anni; né per l'una né per l'altra di queste categorie fu più richiesto il saper<br />

<strong>le</strong>ggere e scrivere, né il pagamento <strong>del</strong><strong>le</strong> imposte dirette. I socialisti riformisti, guidati<br />

da Bissolati, si unirono alla coalizione governativa nel sostenere la riforma. Il partito<br />

rimase all'opposizione ed espulse Bissolati e i suoi seguaci. La maggioranza dei<br />

deputati socialisti, sebbene <strong>in</strong> fondo fossero riformisti, non se la sentirono di rompere<br />

i ponti con il partito. Così Giolitti non riuscì nel suo sforzo di tagliar fuori Turati<br />

<strong>in</strong>sieme con Bissolati. Ma quando nell'autunno <strong>del</strong> 1911 scoppiò la guerra, il partito<br />

socialista fu paralizzato da questa scissione e <strong>in</strong>capace di sol<strong>le</strong>vare una opposizione<br />

efficace. Mediante un atto di strategia parlamentare, il paese passava da un regime <strong>in</strong><br />

cui predom<strong>in</strong>avano <strong>le</strong> classi medie e <strong>le</strong> classi <strong>in</strong>feriori cittad<strong>in</strong>e, a un regime <strong>in</strong> cui<br />

predom<strong>in</strong>ava numericamente la popolazione rura<strong>le</strong>.<br />

Giolitti era un parlamentare straord<strong>in</strong>ariamente accorto, che afferrava con estrema<br />

perspicacia e con fulm<strong>in</strong>ea rapidità <strong>le</strong> più lievi correnti di op<strong>in</strong>ione tra i c<strong>in</strong>quecento<br />

politicanti che formavano la Camera dei deputati. Ma aveva poca sensibilità per quello<br />

che avveniva su un piano più vasto nel paese. Qui un senso di scontentezza per il<br />

'maneggio' <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni andò costantemente crescendo non solo fra i cittad<strong>in</strong>i che<br />

appartenevano ai partiti di opposizione, ma anche fra quelli che non appartenevano a<br />

nessun partito. Giolitti attuò il suffragio universa<strong>le</strong> senza rendersi conto <strong>del</strong>la<br />

potenzialità che esso conteneva, e illudendosi che sarebbe riuscito a dom<strong>in</strong>are il<br />

nuovo corpo e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> con la stessa facilità di prima. Non si era reso mai conto che i<br />

contad<strong>in</strong>i <strong>del</strong>l'Italia meridiona<strong>le</strong> non erano più la massa sup<strong>in</strong>a di vent'anni prima. Nel<br />

1913 si trovò a dover 'manipolare' col<strong>le</strong>gi non più di due o tremila, ma di diecimila o<br />

anche ventimila votanti. Fu perciò costretto ad aumentare la dose <strong>del</strong><strong>le</strong> vio<strong>le</strong>nze per<br />

assicurarsi il successo. Ottenne un'altra <strong>del</strong><strong>le</strong> sue schiaccianti vittorie e<strong>le</strong>ttorali. Ma gli<br />

scandali <strong>del</strong> Mezzogiorno provocarono ovunque viva <strong>in</strong>dignazione.<br />

Durante il secolo diciannovesimo, <strong>le</strong> istituzioni parlamentari <strong>in</strong> Italia erano state<br />

attaccate dai residui dei vecchi regimi assolutisti e c<strong>le</strong>ricali e dagli anarchici <strong>del</strong>la<br />

scuola di Bakun<strong>in</strong>. Né gli uni né gli altri potevano recare alcun danno. Conservatori e<br />

socialisti non avrebbero potuto concepire una vita politica senza <strong>le</strong> istituzioni<br />

parlamentari. Le e<strong>le</strong>zioni generali <strong>del</strong> 1900 furono combattute dai democratici, i<br />

radicali, i repubblicani e i socialisti per sostenere i diritti e i privi<strong>le</strong>gi <strong>del</strong> Parlamento


contro i conservatori, che vennero sconfitti. Nel primo decennio di questo secolo due<br />

correnti antiparlamentari fresche e ben più pericolose com<strong>in</strong>ciarono una campagna<br />

serrata contro <strong>le</strong> istituzioni parlamentari: i nazionalisti dalla destra, e i socialisti<br />

rivoluzionari dalla s<strong>in</strong>istra. E proprio nello stesso momento, per un periodo di dieci<br />

anni, Giolitti <strong>in</strong>deboliva <strong>le</strong> istituzioni dall'<strong>in</strong>terno, portando <strong>in</strong>volontariamente acqua al<br />

mul<strong>in</strong>o antiparlamentare dei nazionalisti e dei socialisti rivoluzionari.<br />

Gli altri istituti democratici - libertà di parola, libertà di stampa, libertà di associazione<br />

politica e s<strong>in</strong>daca<strong>le</strong>, amm<strong>in</strong>istrazioni locali e<strong>le</strong>ttive, e<strong>le</strong>zioni parlamentari -<br />

funzionavano abbastanza bene nel Nord. Ma a cosa servivano <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni, anche se<br />

basate sul suffragio universa<strong>le</strong>, quando queste producevano necessariamente una<br />

maggioranza schiacciante di deputati che dicevano sempre 'sì'? A cosa serviva una<br />

Camera dei deputati che rappresentava soltanto la volontà <strong>del</strong>l'uomo che era stato<br />

responsabi<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'e<strong>le</strong>zione <strong>del</strong>la sua maggioranza? Mentre non soltanto nel Nord, ma<br />

anche nel Sud l'educazione politica progrediva rapidamente, e mentre partiti<br />

chiaramente differenziati con <strong>org</strong>anizzazioni permanenti com<strong>in</strong>ciavano a emergere<br />

dalla massa amorfa, la maggioranza parlamentare, <strong>in</strong>vece di adattarsi al<strong>le</strong> nuove<br />

condizioni, se ne vendicava chiudendosi <strong>in</strong> un gruppo serrato che, con <strong>le</strong> buone o con<br />

<strong>le</strong> cattive, si manteneva <strong>in</strong> piedi. Alla vigilia <strong>del</strong>la guerra <strong>del</strong> 1914-18, Giolitti, come<br />

<strong>le</strong>ader di questo gruppo, era l'uomo più potente <strong>in</strong> Parlamento, ma era l'uomo più<br />

impopolare nel paese.<br />

Se si vuo<strong>le</strong> comprendere la cattiva riuscita di Giolitti e <strong>del</strong>la sua maggioranza<br />

parlamentare quando, nel maggio <strong>del</strong> 1915, si trovarono di fronte al di<strong>le</strong>mma pace o<br />

guerra, si deve tener presente questa situazione.<br />

OSSERVAZIONI AL CAPITOLO QUINTO.<br />

1.<br />

Nel<strong>le</strong> sue "Memorie <strong>del</strong>la mia vita", (1) Giolitti ci dice che nel 1892, quando fu<br />

presidente <strong>del</strong> Consiglio per la prima volta, <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni generali dettero una 'notevo<strong>le</strong><br />

vittoria <strong>del</strong>la s<strong>in</strong>istra,' ma parecchi dei candidati sconfitti 'ne fecero un chiasso<br />

<strong>in</strong>diavolato' come se avesse avuto 'il dovere di sostenere e<strong>le</strong>menti che non erano<br />

perfettamente nell'ambito <strong>del</strong>la costituzione.' (2) Sta di fatto che nel 1892 nessuno<br />

pretendeva che Giolitti 'sostenesse' i suoi oppositori; l'accusa che gli venne mossa fu<br />

di aver combattuto 'con mezzi vio<strong>le</strong>nti e disonesti.' Le sue paro<strong>le</strong> offrono un esempio<br />

dei trucchi usati da Giolitti <strong>in</strong> Parlamento per sviare la discussione. Quel 'chiasso<br />

<strong>in</strong>diavolato' era tanto poco <strong>in</strong>fondato che diciannove e<strong>le</strong>zioni furono annullate, dato<br />

che non aveva ancora avuto il tempo di perfezionare il suo metodo, come gli fu<br />

possibi<strong>le</strong> nel primo decennio di questo secolo. Dal<strong>le</strong> sue "Memorie" (3) apprendiamo<br />

che nel 1895 il suo successore, e nemico persona<strong>le</strong>, Crispi, cercò di impedire senza<br />

successo la sua e<strong>le</strong>zione; ma non si trova neppure un accenno al<strong>le</strong> accuse che furono<br />

sol<strong>le</strong>vate contro di lui per <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni locali e generali dal 1902 al 1913. Anche Croce,<br />

che è un ammiratore di Giolitti, ignora questo punto nella sua Storia d'Italia.<br />

Nella "Storia parlamentare politica e diplomatica d'Italia" <strong>del</strong> Cilibrizzi, (4) si trovano<br />

ampi particolari <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni <strong>del</strong> 1892, (5) niente sul<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni <strong>del</strong> 1904, e per quel<strong>le</strong><br />

<strong>del</strong> 1909 accenna soltanto al<strong>le</strong> '<strong>in</strong>numerevoli pressioni e vio<strong>le</strong>nze governative' (6);<br />

sul<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni <strong>del</strong> 1913 ci dà un'idea precisa dicendo: 'Giolitti, già esperto manipolatore<br />

di e<strong>le</strong>zioni, raggiunse il colmo <strong>del</strong>l'abilità nel 1913.' (7) I metodi e<strong>le</strong>ttorali di Giolitti<br />

furono ripetutamente descritti da G. Salvem<strong>in</strong>i nella rivista qu<strong>in</strong>dic<strong>in</strong>a<strong>le</strong> "Critica<br />

Socia<strong>le</strong>" <strong>del</strong> 16 dicembre 1902 e 15 ottobre 1908; e <strong>in</strong>oltre <strong>in</strong> alcuni libri e memorie<br />

(8).<br />

K<strong>in</strong>g e Okey, (8 bis) nel descrivere la situazione italiana <strong>del</strong> 1900, deplorano<br />

l'<strong>in</strong>terferenza dei prefetti nel<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni, e l'uso che fanno di e<strong>le</strong>menti <strong>del</strong>la malavita


come arma per v<strong>in</strong>cere. Questo fenomeno è stato osservato anche dal F<strong>in</strong>er, (9) ma<br />

uno studio sistematico manca.<br />

E' nostra op<strong>in</strong>ione che una ta<strong>le</strong> <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e porterebbe a concludere che anche prima<br />

<strong>del</strong>la riforma e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1882, normalmente, <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni <strong>in</strong> Italia venivano condotte<br />

con metodi non peggiori di quelli allora <strong>in</strong> uso negli altri paesi europei, dove il regime<br />

parlamentare funzionava <strong>in</strong> modo soddisfacente. Quando <strong>in</strong> Italia un col<strong>le</strong>gio<br />

e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> aveva una media di circa 1000 e<strong>le</strong>ttori iscritti, di cui neppure 600 si<br />

recavano al<strong>le</strong> urne, per ottenere la vittoria un candidato bastava che raccattasse<br />

poche cent<strong>in</strong>aia di voti, e il m<strong>in</strong>istro degli Interni che vo<strong>le</strong>va spostare i voti necessari<br />

per v<strong>in</strong>cere bastava che facesse sapere ai 'notabili' <strong>del</strong> col<strong>le</strong>gio e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> chi era il<br />

candidato prescelto dal governo. Tutto avveniva amichevolmente e senza nessun<br />

chiasso. Ciò tuttavia non impediva il fatto che <strong>in</strong> molti col<strong>le</strong>gi e<strong>le</strong>ttorali gli e<strong>le</strong>ttori<br />

e<strong>le</strong>ggevano deputati di opposizione. Nel<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni generali <strong>del</strong> 1867, il partito al<br />

governo evitò a malapena la sconfitta. La riforma e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1882, aumentando <strong>in</strong><br />

ogni col<strong>le</strong>gio e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> il numero degli e<strong>le</strong>ttori a una media di circa 4800, rese più<br />

diffici<strong>le</strong> il compito di un m<strong>in</strong>istro degli Interni che avesse voluto esercitare <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

pressioni su un ta<strong>le</strong> corpo e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>; più spesso successe che doveva m<strong>in</strong>acciare di<br />

destituire i s<strong>in</strong>daci e sciogliere i consigli comunali, e m<strong>in</strong>acciare o porre <strong>in</strong> atto atti di<br />

vio<strong>le</strong>nza e di corruzione. Ciò rese lo scandalo anche più manifesto. Nel<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni<br />

generali <strong>del</strong> 1892, e <strong>in</strong> quel<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1904 e <strong>del</strong> 1909, Giolitti perfezionò i metodi dei suoi<br />

predecessori. Quando nel 1913 venne concesso il suffragio universa<strong>le</strong>, e un col<strong>le</strong>gio<br />

e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> aveva 17000 e<strong>le</strong>ttori iscritti, Giolitti si trovò ad avere a che fare con una<br />

media di 10000 <strong>in</strong>tenzionati a recarsi al<strong>le</strong> urne <strong>in</strong> ciascun col<strong>le</strong>gio, e per sottometterli<br />

dovette sol<strong>le</strong>vare scandali ancor più clamorosi.<br />

2.<br />

In Italia la vita parlamentare fu considerata cagionevo<strong>le</strong> da tutti gli osservatori<br />

<strong>in</strong>dipendenti e onesti; e lo era veramente. Come regola genera<strong>le</strong> la radice <strong>del</strong> ma<strong>le</strong> fu<br />

<strong>in</strong>dicata nel fatto che <strong>in</strong> Italia non esisteva il sistema bipartitico dei paesi<br />

anglosassoni. Sulla esattezza di questa diagnosi abbiamo molti dubbi.<br />

Nel secolo diciannovesimo <strong>in</strong> Inghilterra, la Camera dei comuni si trovò con tre partiti,<br />

tutte <strong>le</strong> volte che il partito irlandese si distaccava dal partito libera<strong>le</strong>; e quando alla<br />

f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> secolo diciannovesimo venne sulla scena il partito laburista, vi furono quattro<br />

partiti, e neppure il secolo ventesimo conobbe mai un sistema bipartitico. Infatti:<br />

quando con la creazione di una Irlanda <strong>in</strong>dipendente il partito irlandese scomparve<br />

dalla Camera dei comuni, i quattro partiti si ridussero di nuovo a tre, ma si<br />

raggiunsero addirittura c<strong>in</strong>que partiti quando il partito laburista <strong>in</strong>dipendente e il<br />

partito comunista formarono dei gruppi propri. Negli Stati Uniti il governo si trova<br />

cont<strong>in</strong>uamente di fronte un partito repubblicano e uno democratico ambedue divisi <strong>in</strong><br />

una maggioranza e una m<strong>in</strong>oranza, sicché <strong>in</strong> questo paese, se si accettano i term<strong>in</strong>i<br />

tradizionali dei due partiti, non preva<strong>le</strong> un sistema bipartitico, bensì un sistema di<br />

quattro partiti. Né <strong>in</strong> Francia, né <strong>in</strong> Germania, né <strong>in</strong> Austria il sistema bipartitico ha<br />

mai funzionato. In Belgio venne a cessare quando il partito socialista si presentò sulla<br />

scena <strong>in</strong> concorrenza con i cattolici e i liberali.<br />

I gruppi che formano una società moderna sono tanto numerosi e fluttuanti che è<br />

diffici<strong>le</strong> possano disporsi sotto non più di due etichette. Ciò che conta per il sano<br />

funzionamento di un regime parlamentare non è l'esistenza di non più di due partiti,<br />

ma l'esistenza di un partito di maggioranza che governa e di una opposizione che<br />

controlla <strong>le</strong> attività <strong>del</strong> partito al potere. Il fatto che l'opposizione sia formata di un<br />

solo partito o di diversi partiti non impedisce di per sé il funzionamento soddisfacente<br />

<strong>del</strong> sistema. In Italia, dal 1903 al 1914, ci fu una coalizione che appoggiava il<br />

gab<strong>in</strong>etto, e fuori di quella coalizione dei gruppi di opposizione che controllavano <strong>le</strong><br />

attività <strong>del</strong> gab<strong>in</strong>etto. S<strong>in</strong>o al 1931, la Camera dei comuni <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se fu formata da un


enorme partito conservatore, e da una opposizione composta di liberali e laburisti,<br />

senza contare i pochi laburisti <strong>in</strong>dipendenti e un deputato comunista.<br />

Anche il pregiudizio che <strong>in</strong> Italia non esistono partiti ben def<strong>in</strong>iti come quelli che si<br />

trovano <strong>in</strong> Inghilterra è da accettarsi con molte riserve per i qu<strong>in</strong>dici anni anteriori alla<br />

guerra mondia<strong>le</strong>. A quella data c'erano <strong>in</strong> Italia un partito socialista, un partito<br />

cattolico e un partito nazionalista; erano partiti di m<strong>in</strong>oranza, ma erano partiti, e<br />

anche la maggioranza che sosteneva Giolitti era un partito, certamente composto di<br />

gruppi eterogenei. Ma <strong>in</strong> qua<strong>le</strong> paese è mai esistita una maggioranza parlamentare<br />

omogenea? La cosiddetta maggioranza conservatrice che ha governato l'Inghilterra<br />

s<strong>in</strong>o al 1931 era formata da gruppi eterogenei, che andavano dai più rigidi<br />

conservatori s<strong>in</strong>o a parlamentari che si sarebbero trovati meglio nel partito laburista. I<br />

due partiti che si contendono il predom<strong>in</strong>io politico negli Stati Uniti non sono altro che<br />

due mosaici composti da gruppi locali eterogenei e <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>uo movimento. Nemmeno<br />

i regimi totalitari sono sostenuti da forze omogenee, e i compromessi tra <strong>in</strong>teressi<br />

contrastanti sono anche qui una necessità quotidiana; la sola differenza è che i<br />

compromessi si possono tenere segreti più di quanto non sia possibi<strong>le</strong> <strong>in</strong> regimi liberi.<br />

Di conseguenza, nei regimi liberi il pericolo di scandali rende più diffici<strong>le</strong>, se non<br />

impossibi<strong>le</strong>, <strong>le</strong> forme peggiori di dare e avere.<br />

In altre paro<strong>le</strong> ci sembra che molte <strong>del</strong><strong>le</strong> critiche che vengono rivolte al regime<br />

parlamentare italiano, qua<strong>le</strong> era alla vigilia <strong>del</strong>la prima guerra mondia<strong>le</strong>, provengano<br />

dal fatto che quel regime non corrispondeva alla superstizione creata dai 'socialisti<br />

scientifici' <strong>del</strong> perfetto regime parlamentare, qua<strong>le</strong> essi hanno situato <strong>in</strong> Inghilterra,<br />

dove è un fatto che <strong>in</strong> quella forma perfetta non è mai esistito.<br />

Il ma<strong>le</strong> di cui soffriva il regime parlamentare italiano - un ma<strong>le</strong> la cui gravità deve<br />

essere attenuata - consisteva nella falsificazione <strong>del</strong>la volontà <strong>del</strong> corpo e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> che<br />

il governo operava tutte <strong>le</strong> volte che era necessario. Giolitti non fu il primo <strong>in</strong> Italia a<br />

rendersi responsabi<strong>le</strong> di queste pratiche corrotte, ma Giolitti se ne servì con meno<br />

scrupoli di tutti, e soprattutto egli poté servirsene <strong>in</strong> tre successive e<strong>le</strong>zioni generali.<br />

3.<br />

La biografia di Mussol<strong>in</strong>i prima <strong>del</strong> 1913 è stata ricostruita da Gaudens Megaro <strong>in</strong> un<br />

libro (10) che è un mo<strong>del</strong>lo di coscienziosa diligenza e di metodo critico. Sono anche<br />

da vedersi <strong>le</strong> pag<strong>in</strong>e <strong>in</strong> cui Sforza e B<strong>org</strong>ese tracciano il carattere di Mussol<strong>in</strong>i (11). Il<br />

libro <strong>del</strong> Megaro andrebbe messo a confronto con quello di Margherita Sarfatti, con la<br />

pseudo autobiografia di Mussol<strong>in</strong>i, e con l'opera di De Begnac (12) Dal confronto <strong>del</strong><br />

libro <strong>del</strong> Megaro con quello <strong>del</strong>la Sarfatti si può imparare la differenza tra vero e falso,<br />

storia e propaganda, assai meglio che da ogni astratta <strong>le</strong>zione di metodologia storica.<br />

Se si chiede alla Sarfatti che cosa Mussol<strong>in</strong>i pensasse <strong>del</strong>la religione prima di<br />

diventare Duce <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>, ci risponde che il suo eroe 'manifestò dapprima <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

tendenze antireligiose, ma senza mai cadere nella banalità <strong>del</strong>l'ateismo.' Questo è<br />

tutto. Ma <strong>le</strong>ggendo il libro di Megaro troviamo che il carattere di Mussol<strong>in</strong>i fu un po'<br />

più colorito di quanto non lo renda la Sarfatti. Nel 1904, a ventun anni, <strong>in</strong> nome <strong>del</strong>la<br />

ragione, <strong>del</strong>la scienza e <strong>del</strong> materialismo ateo sostenne che 'Dio non esiste,' e che<br />

'quanto ai pochi precetti di mora<strong>le</strong>, che vorrebbero costituire un'etica cristiana, essi<br />

non sono che consigli di soggezione, di rassegnazione, di viltà.' (13) Nell'ottobre <strong>del</strong><br />

1909, a Forlì, dopo avere ascoltato un discorso di Mussol<strong>in</strong>i, la folla frantumò <strong>le</strong><br />

f<strong>in</strong>estre <strong>del</strong> palazzo arcivescovi<strong>le</strong>, diede fuoco allo steccato di <strong>le</strong>gno che rec<strong>in</strong>geva la<br />

colonna con sopra una statua <strong>del</strong>la Madonna, e ne demolì il basamento marmoreo<br />

(14). Nel 1910, Mussol<strong>in</strong>i affermò che i socialisti avevano il dovere di 'evitare il<br />

matrimonio religioso, il battesimo dei figli e tutte <strong>le</strong> altre cerimonie culturali,' e scoprì<br />

che Cristo aveva dimostrato, 'amando Maria Madda<strong>le</strong>na e la moglie <strong>del</strong> buon Ponzio<br />

Pilato,' che era possibi<strong>le</strong> 'anche attraverso a un utero di donna di raggiungere la gloria<br />

dei cieli' (15).


Se oltre al<strong>le</strong> op<strong>in</strong>ioni di Mussol<strong>in</strong>i sulla religione cerchiamo nel libro <strong>del</strong>la Sarfatti la<br />

storia <strong>del</strong><strong>le</strong> sue conv<strong>in</strong>zioni politiche, sapremo che Mussol<strong>in</strong>i s<strong>in</strong> dalla prima<br />

ado<strong>le</strong>scenza fu affasc<strong>in</strong>ato dalla storia di Roma, dai suoi miti e dal<strong>le</strong> sue <strong>le</strong>ggende, e<br />

che Roma fu una parola che scriveva 'nei libri di testo e <strong>in</strong> marg<strong>in</strong>e ai quaderni' e<br />

'<strong>in</strong>cise nella corteccia degli alberi e sui banchi <strong>del</strong>la scuola'; 'a consolarlo ormai di<br />

tutto, la dura faccia <strong>del</strong>l'ado<strong>le</strong>scente aveva imparato a recl<strong>in</strong>arsi sui libri dei padri: il<br />

lat<strong>in</strong>o (...) <strong>le</strong> memorie di Cesare, la sapienza di Tacito, il poema di Enea.' (15 bis)<br />

Cos'altro poteva essere una volta cresciuto se non un grande patriotta un uomo che<br />

nella sua prima ado<strong>le</strong>scenza <strong>le</strong>ggeva Tacito? Quando visse <strong>in</strong> Svizzera, quella vita gli<br />

<strong>in</strong>segnò, '<strong>in</strong>nanzi tutto, ad amare l'Italia come la si ama solo di fuori' (16); quando si<br />

recò a Trento, che allora faceva parte <strong>del</strong>l'Impero austriaco, <strong>in</strong>contrò là un gruppo di<br />

socialisti, il gruppo <strong>del</strong>l'"Avvenire", 'giorna<strong>le</strong>tto socialista austriacante, che prendeva a<br />

Vienna l'imbeccata e forse il becchime' (17); perciò si distaccò da loro e si unì a quel<br />

gruppo di socialisti che alla loro idea politica associavano sentimenti italiani. A causa<br />

<strong>del</strong>la sua attività nazionalista a Trento Mussol<strong>in</strong>i venne arrestato ed espulso<br />

dall'Austria. 'E' chiaro che il suo soggiorno nel Trent<strong>in</strong>o fu decisivo per lo sviluppo<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> tendenze nazionaliste che culm<strong>in</strong>arono nel <strong>fascismo</strong>' (18).<br />

La storia ricostruita dal Megaro con l'aiuto dei documenti è molto diversa.<br />

Nell'autunno <strong>del</strong> 1903 Mussol<strong>in</strong>i, che per poco più di un anno aveva vissuto <strong>in</strong><br />

Svizzera come agitatore socialista, fece ritorno per poche settimane al suo paese<br />

nata<strong>le</strong>; ma poiché si approssimava la data <strong>in</strong> cui avrebbe dovuto prestare il servizio<br />

militare, nel gennaio <strong>del</strong> 1904 riparò di nuovo <strong>in</strong> Svizzera. Nel febbraio scriveva che<br />

'vi è bene un mezzo <strong>in</strong>fallibi<strong>le</strong> per abbattere dal<strong>le</strong> sue basi l'<strong>in</strong>fame coartazione<br />

militarista: disertare!' (19) Nell'apri<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1904, <strong>le</strong> autorità militari italiane lo<br />

dichiararono 'renitente di <strong>le</strong>va'; <strong>in</strong> quello stesso mese, Mussol<strong>in</strong>i fu espulso dal<br />

Cantone di G<strong>in</strong>evra, ma per l'<strong>in</strong>tervento dei socialisti svizzeri poté evitare di essere<br />

consegnato alla frontiera italiana. Gli fu permesso di rimanere nel Canton Tic<strong>in</strong>o,<br />

perché come renitente italiano non poteva, secondo il diritto <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong>, essere<br />

consegnato al proprio paese.<br />

Nel dicembre <strong>del</strong> 1904, Mussol<strong>in</strong>i r<strong>in</strong>unciò ai progetti di abbattere la <strong>in</strong>fame<br />

coartazione militarista con la diserzione, approfittò di una amnistia concessa dal<br />

governo italiano ai renitenti, tornò <strong>in</strong> Italia, e nel 1905 e 1906 fece regolarmente il<br />

suo servizio militare. Term<strong>in</strong>ato il periodo di <strong>le</strong>va, si immerse di nuovo nel movimento<br />

socialista. Nel 1909 fu a Trento per otto mesi come agitatore socialista. 'Il<br />

pro<strong>le</strong>tariato,' proclamava, 'è antipatriottico per def<strong>in</strong>izione e per necessità' (19 bis);<br />

sosteneva il diritto degli italiani <strong>del</strong> Trent<strong>in</strong>o di mantenere la loro l<strong>in</strong>gua ed ottenere<br />

<strong>le</strong>ggi proprie contro il pangermanesimo <strong>del</strong> Tirolo. Ma socialisti ed anarchici avevano<br />

sempre sostenuto che <strong>le</strong> m<strong>in</strong>oranze razziali avevano il diritto di conservare la propria<br />

l<strong>in</strong>gua e la propria cultura e di godere di <strong>le</strong>ggi proprie. Mussol<strong>in</strong>i non sostenne la<br />

separazione <strong>del</strong> Trent<strong>in</strong>o dall'Austria e la sua annessione all'Italia; questa era una<br />

aspirazione, per quanto segreta e remota, dei socialisti italiani <strong>del</strong> Trent<strong>in</strong>o, ma non di<br />

Mussol<strong>in</strong>i. Ciò che a Mussol<strong>in</strong>i stava a cuore era la rivoluzione socia<strong>le</strong>; l'affermazione<br />

<strong>del</strong>la Sarfatti che Mussol<strong>in</strong>i abbia trovato a Trento due gruppi, uno favorevo<strong>le</strong><br />

all'Austria e uno all'Italia, e che si sia unito al gruppo filoitaliano contro quello<br />

filoaustriaco, è pura <strong>in</strong>venzione. Quando nel settembre <strong>del</strong> 1909 il governo austriaco<br />

ord<strong>in</strong>ò l'espulsione di Mussol<strong>in</strong>i, lo fece perché lo considerava un <strong>in</strong>so<strong>le</strong>nte agitatore<br />

rivoluzionario, e non un nazionalista.<br />

Molti "social scientists" sono andati <strong>in</strong> cerca <strong>del</strong><strong>le</strong> fonti <strong>del</strong> pensiero politico di<br />

Mussol<strong>in</strong>i, come di tanto <strong>in</strong> tanto un qualche esploratore se ne parte alla ricerca <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

s<strong>org</strong>enti <strong>del</strong> Nilo. Ma questi ricercatori sono comp<strong>le</strong>tamente ignoranti <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong><br />

movimento socialista italiano e <strong>del</strong> pensiero politico italiano, e non si curano di fare<br />

attenzione alla cronologia registrando <strong>le</strong> manifestazioni <strong>del</strong> pensiero mussol<strong>in</strong>iano. Di<br />

conseguenza non scoprono un bel niente e ammucchiano un sacco di sciocchezze.


Al padre di Mussol<strong>in</strong>i, che prima era un anarchico attivo seguace di Bakun<strong>in</strong> e poi un<br />

attivo socialista <strong>del</strong>la prima ora, Megaro ha dedicato uno dei capitoli più <strong>in</strong>teressanti<br />

<strong>del</strong> suo libro. Tra gli scritti <strong>del</strong> padre e quelli <strong>del</strong> figlio - naturalmente <strong>del</strong> periodo <strong>in</strong><br />

cui era ancora un socialista estremista - c'era una sorprendente cont<strong>in</strong>uità. 'Quegli<br />

apologisti ed anti-apologisti,' scrive assai a proposito Megaro, 'che si sono <strong>in</strong>dugiati a<br />

tratteggiare la paternità <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong> di Benito Mussol<strong>in</strong>i, prima di sballottarla tra<br />

Nietzsche, Pareto, Sorel e vari altri pensatori, avrebbero fatto bene a ponderare<br />

l'<strong>in</strong>fluenza esercitata su di lui dal suo vero padre.' (20) E' assurdo far risalire a Sorel<br />

<strong>le</strong> idee di Mussol<strong>in</strong>i sulla necessità <strong>del</strong>la vio<strong>le</strong>nza; Mussol<strong>in</strong>i era un figlio rivoluzionario<br />

di quella Romagna 'da tempo così famosa per la vio<strong>le</strong>nza <strong>del</strong><strong>le</strong> passioni politiche' e<br />

'focolaio e <strong>in</strong>sieme campo di battaglia di dottr<strong>in</strong>e radicali estremiste, e roccaforte di<br />

giacob<strong>in</strong>ismo, carbonarismo, <strong>in</strong>surrezionalismo e repubblicanesimo mazz<strong>in</strong>iano,<br />

anarchismo e socialismo rivoluzionario.' (21) Quando Sorel si distaccò dal movimento<br />

s<strong>in</strong>dacalista rivoluzionario per unirsi ai c<strong>le</strong>rico-realisti <strong>del</strong>la "Action Française",<br />

anticipando un cambiamento che Mussol<strong>in</strong>i doveva compiere quattordici anni dopo,<br />

Mussol<strong>in</strong>i gli scagliò contro un torrente di <strong>in</strong>sulti, dei quali Megaro fornisce alcuni<br />

campioni. Questa è una <strong>del</strong><strong>le</strong> molte rivelazioni che si trovano nel libro.<br />

Megaro <strong>in</strong>oltre riduce al<strong>le</strong> sue giuste proporzioni, cioè a nulla, l'<strong>in</strong>fluenza che Pareto<br />

avrebbe avuto su Mussol<strong>in</strong>i; se Mussol<strong>in</strong>i abbia mai frequentato <strong>le</strong> <strong>le</strong>zioni di Pareto<br />

all'Università di Losanna si dimostra qui essere una questione aperta, e <strong>in</strong> caso<br />

affermativo ciò può esser stato solo per poche settimane nella primavera <strong>del</strong> 1904.<br />

Senza dubbio la concezione di Mussol<strong>in</strong>i di una m<strong>in</strong>oranza rivoluzionaria, che si<br />

impadronisce <strong>del</strong> potere e rovescia la b<strong>org</strong>hesia con la vio<strong>le</strong>nza, era aff<strong>in</strong>e alla teoria<br />

paretiana <strong>del</strong>l''élite'; ma la élite pro<strong>le</strong>taria, di cui Mussol<strong>in</strong>i senza quattr<strong>in</strong>i com'era si<br />

considerava egli stesso un membro, avrebbe soppiantato la élite b<strong>org</strong>hese, mentre<br />

Pareto, che aveva ereditato da uno zio un sacco di quattr<strong>in</strong>i, aveva una adorazione<br />

profonda per la professione <strong>del</strong> capitalista, e si arrabbiava contro quei b<strong>org</strong>hesi che<br />

non si curavano di proteggere ta<strong>le</strong> professione. Pareto vo<strong>le</strong>va che la b<strong>org</strong>hesia<br />

opponesse una spietata resistenza al socialismo s<strong>in</strong>o a soffocarlo; ma poiché né i<br />

b<strong>org</strong>hesi né i socialisti erano disposti a seguire i suoi consigli, egli li unì nella stessa<br />

condanna. E neppure Mussol<strong>in</strong>i aveva bisogno di conoscere gli scritti e <strong>le</strong> <strong>le</strong>zioni di<br />

Pareto, per accarezzare il sogno di un socialismo spietato che distruggesse la<br />

b<strong>org</strong>hesia decadente; gli bastava il "Manifesto comunista", e la dottr<strong>in</strong>a <strong>del</strong>la<br />

m<strong>in</strong>oranza <strong>org</strong>anizzata che mediante un colpo di mano rovescia la b<strong>org</strong>hesia risaliva<br />

tra i socialisti almeno a Blanqui. Quando nacque Mussol<strong>in</strong>i la tradizione cospiratrice<br />

era ancora viva <strong>in</strong> Romagna, e co<strong>in</strong>cideva perfettamente con <strong>le</strong> dottr<strong>in</strong>e di Blanqui;<br />

Mussol<strong>in</strong>i non doveva niente a Pareto. Del resto la dottr<strong>in</strong>a <strong>del</strong>la élite <strong>in</strong> una forma<br />

che suonasse gradita ai partiti antidemocratici non fu Pareto a <strong>in</strong>ventarla; lui l'aveva<br />

appresa da Gaetano Mosca; un brillante studioso che nel 1896 aveva elaborato<br />

sistematicamente una dottr<strong>in</strong>a <strong>del</strong><strong>le</strong> m<strong>in</strong>oranze <strong>org</strong>anizzate def<strong>in</strong>endo<strong>le</strong> 'classi<br />

dirigenti,' con term<strong>in</strong>e assai più rapido che non quello paretiano di 'élite.' A partire dal<br />

1921, Pareto vide nel movimento fascista lo spietato assalto b<strong>org</strong>hese antisocialista,<br />

di cui venti anni prima aveva auspicato l'avvento. Non fu Pareto a <strong>in</strong>segnar niente a<br />

Mussol<strong>in</strong>i, fu Mussol<strong>in</strong>i che esaudì i desideri di Pareto.<br />

Quando Mussol<strong>in</strong>i divenne Duce <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>, i suoi agiografi <strong>in</strong>ventarono per lui un<br />

albero genealogico che risaliva s<strong>in</strong>o al primo Medioevo, e una genealogia <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong><br />

<strong>in</strong> cui Sorel, Pareto, Nietzsche, e molti altri personaggi altolocati vennero reclutati per<br />

preparare la strada al redentore. Anche William James ebbe il suo postic<strong>in</strong>o <strong>in</strong> quel<br />

pedigré. La genealogia <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong> era falsa quanto quella familiare; per esempio,<br />

Mussol<strong>in</strong>i non aveva mai <strong>le</strong>tto una pag<strong>in</strong>a di James, sapeva solo che James era un<br />

'pragmatista,' e pensava che ta<strong>le</strong> parola significasse un uomo che si <strong>in</strong>fischia dei<br />

pr<strong>in</strong>cipi e guarda soltanto ai risultati pratici; e qu<strong>in</strong>di si vantò di essere un discepolo di


William James, il qua<strong>le</strong> sarebbe <strong>in</strong>orridito al conoscere una ta<strong>le</strong> def<strong>in</strong>izione <strong>del</strong><br />

pragmatismo.<br />

La più strabiliante menzogna che si deve alla signora Sarfatti è quella che Mussol<strong>in</strong>i<br />

fosse un buon patriotta anche quando, durante la guerra italo-turca <strong>del</strong> 1911-12,<br />

come socialista estremista faceva propaganda antimilitarista e a favore <strong>del</strong><br />

sabotaggio. Nel settembre <strong>del</strong> 1911, quando la guerra sembrava imm<strong>in</strong>ente, Mussol<strong>in</strong>i<br />

<strong>in</strong>vitò il 'pro<strong>le</strong>tariato' italiano a fare uno sciopero genera<strong>le</strong>. 'Noi aspettiamo fiduciosi gli<br />

eventi. Quasi sempre la guerra prelude alla rivoluzione.' (22) Le dimostrazioni<br />

socialiste contro la guerra assunsero forme vio<strong>le</strong>nte a Forlì, dove Mussol<strong>in</strong>i pubblicava<br />

il settimana<strong>le</strong> "Lotta di Classe". In quei giorni Mussol<strong>in</strong>i scrisse e parlò esaltando la<br />

'nuova mentalità rivoluzionaria che va scrostando e spezzando il pacifismo riformista<br />

e calcolatore.' 'Noi siamo stati i primi a famigliarizzare gli operai coll'arma <strong>del</strong><br />

sabotaggio.' 'Ancora qualche anno di buona propaganda e questa folla sarà capace di<br />

grandi eroismi.' (23) Mussol<strong>in</strong>i fu arrestato, processato e condannato a un anno di<br />

prigione per '<strong>in</strong>citamento al <strong>del</strong>itto'; al processo egli sostenne che lo sciopero genera<strong>le</strong><br />

non era stato proposto da lui, che egli non era un operaio ma un giornalista, e non<br />

<strong>in</strong>tendeva esercitare nessuna <strong>in</strong>fluenza sul pro<strong>le</strong>tariato; lo sciopero genera<strong>le</strong> era stato<br />

'merito <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato forlivese' (24); nell'opporsi alla spedizione di Libia egli si era<br />

posto 'sul terreno <strong>del</strong>l'amor patrio,' (25) dato che la conquista <strong>del</strong>la Libia non sarebbe<br />

stata di nessuna utilità per il popolo italiano, il suo sabotaggio non era quello 'dei<br />

vandali o dei teppisti,' ma quello che rispetta 'la <strong>in</strong>columità dei cittad<strong>in</strong>i.' (26) 'Le sue<br />

conclusioni, al pari <strong>del</strong>la maggior parte <strong>del</strong><strong>le</strong> sue affermazioni, furono, senza dubbio,<br />

dettate dalla dom<strong>in</strong>ante volontà di conv<strong>in</strong>cere il Tribuna<strong>le</strong> <strong>del</strong>la sua <strong>in</strong>nocenza: per la<br />

qual cosa bisognava necessariamente m<strong>in</strong>imizzare l'importanza <strong>del</strong>la sua propaganda<br />

e <strong>del</strong>la sua attività contro la guerra, e prospettarla come ispirata ad alti sensi<br />

patriottici. Il comportamento di Mussol<strong>in</strong>i al processo ci rivela soprattutto una spiccata<br />

capacità e facilità di destreggiarsi con astuti mezzi term<strong>in</strong>i' (27).<br />

Una volta arrivato al potere, il processo di Forlì divenne una prova <strong>del</strong> fatto che<br />

Mussol<strong>in</strong>i era sempre stato un patriotta; <strong>in</strong>oltre venne attribuito a Mussol<strong>in</strong>i un<br />

discorso che avrebbe tenuto <strong>in</strong> sua difesa al processo di Forlì, e che si trova riportato<br />

nel libro <strong>del</strong>la Sarfatti (28). Il primo a dare nel 1923 un falso riassunto di quel<br />

discorso fu Beltramelli; poi, nel 1924, Bonavita ne fornì due versioni, ma imprecise e<br />

sciatte; da ultimo la Sarfatti raffazzonò un testo che comprendeva <strong>del</strong><strong>le</strong> parti dei falsi<br />

resoconti sia di Beltramelli che di Bonavita, con una aggiunta di alcune varianti<br />

personali. Non occorre dire che il testo <strong>del</strong>la Sarfatti non corrisponde affatto con il<br />

testo autentico <strong>del</strong> discorso di Mussol<strong>in</strong>i qua<strong>le</strong> lo riferì nel novembre <strong>del</strong> 1911 lo<br />

stesso giorna<strong>le</strong> di Mussol<strong>in</strong>i "Lotta di Classe" (29).<br />

Dalla pseudo autobiografia di Mussol<strong>in</strong>i, si apprende soltanto che Mussol<strong>in</strong>i, ancor<br />

giov<strong>in</strong>etto, 'si buttò a capofitto nella politica,' la politica 'di quelli che cercano<br />

soluzioni' (30); 'prese parte a comizi politici,' 'tenne dei discorsi,' 'alcune (!)<br />

<strong>in</strong>temperanze (!) verbali lo resero <strong>in</strong>desiderabi<strong>le</strong> al<strong>le</strong> autorità svizzere,' (31) ed altre<br />

simili formu<strong>le</strong>tte vuote; soltanto una volta ci vien detto che egli era 'il portavoce <strong>del</strong><br />

gruppo socialista dei rivoluzionari <strong>in</strong>transigenti' (32); ma sul<strong>le</strong> op<strong>in</strong>ioni e <strong>le</strong> attività<br />

antipatriottiche e antimilitariste <strong>del</strong> nostro eroe non si trova nemmeno una parola.<br />

Nel terzo volume <strong>del</strong>l'opera <strong>del</strong> De Begnac, (33) l''<strong>in</strong>nato patriottismo' di Mussol<strong>in</strong>i è<br />

messo <strong>in</strong> luce da una caterva di paro<strong>le</strong> prive di senso, <strong>in</strong> cui il suo antipatriottismo e il<br />

suo antimilitarismo si dissolvono s<strong>in</strong>o a non essere più riconoscibili. Per quanto<br />

riguarda il processo di Forlì, veniamo <strong>in</strong>formati che la sola accusa che egli 'ribatté con<br />

tutta la forza <strong>del</strong> suo cuore' fu quella di antipatriottismo. Mussol<strong>in</strong>i si era opposto alla<br />

spedizione di Libia perché vo<strong>le</strong>va 'dare un'anima a questa sua Italia che non la<br />

possiede'; 'c'era da compiere nella penisola una missione storica, prima di andare <strong>in</strong><br />

Affrica.' Al <strong>le</strong>ttore non viene detto che nel settembre <strong>del</strong> 1911 l'anima <strong>del</strong>l'Italia di<br />

Mussol<strong>in</strong>i sarebbe stata un'anima antipatriottica, antimilitarista e sabotatrice. Al


<strong>le</strong>ttore non viene detto che la missione storica che, secondo il Mussol<strong>in</strong>i <strong>del</strong> settembre<br />

1911, doveva ancora essere compiuta <strong>in</strong> Italia, era la rivoluzione socia<strong>le</strong> come<br />

l'avevano tracciata Hervé e Len<strong>in</strong>.<br />

Eppure, una volta dissolta la cort<strong>in</strong>a di fumo <strong>del</strong><strong>le</strong> mistificazioni ufficiali grazie alla<br />

impeccabi<strong>le</strong> ricerca di Megaro, ci si trova di fronte a una figura di Mussol<strong>in</strong>i<br />

straord<strong>in</strong>ariamente consistente dalla <strong>in</strong>fanzia alla maturità piena. L'uomo che<br />

nell'ottobre <strong>del</strong> 1922 conquistò il potere non è altro che quell'<strong>in</strong>quieto e caparbio<br />

discolo che più di una volta faceva ritorno a casa con la testa sangu<strong>in</strong>ante per una<br />

sassata, che rubava gli uccelli da richiamo, che, bisticciandosi con un compagno, gli<br />

sferrò un pugno colpendo il muro <strong>in</strong>vece di colpire lui, sicché si fece ma<strong>le</strong> al<strong>le</strong> nocche<br />

e dovette farsi fasciare la mano, e un'altra volta colpì con un temper<strong>in</strong>o un compagno<br />

di scuola che lo aveva <strong>in</strong>sultato (34). Megaro riproduce un ritratto di Mussol<strong>in</strong>i all'età<br />

di quattordici anni (35); quel giovane a braccia <strong>in</strong>crociate, con <strong>le</strong> labbra serrate, la<br />

mascella sp<strong>org</strong>ente e una espressione di sfida negli occhi è già il Duce <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong><br />

qua<strong>le</strong> apparirà <strong>in</strong> Italia davanti al<strong>le</strong> fol<strong>le</strong>, e all'estero sarà la <strong>del</strong>izia dei caricaturisti.


CAPITOLO SESTO.<br />

IL COLPO DI STATO DEL MAGGIO 1915.<br />

Quattro mesi dopo <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni generali politiche <strong>del</strong> novembre 1913, nel marzo 1914,<br />

Giolitti giudicò che fosse arrivato per lui il momento di cedere per breve tempo il<br />

governo all'opposizione 'conservatrice.' Il suo successore fu Salandra, che, se avesse<br />

dovuto appoggiarsi al<strong>le</strong> sue so<strong>le</strong> forze, non avrebbe potuto contare che sui trenta voti<br />

conservatori e i sei voti nazionalisti. Era <strong>in</strong>teso che Salandra avrebbe ceduto<br />

nuovamente il posto a Giolitti non appena questi avesse f<strong>in</strong>ito di riposarsi; ma un<br />

fatto imprevedibi<strong>le</strong> sconvolse tutti i calcoli <strong>del</strong> grande parlamentare: la guerra <strong>del</strong><br />

1914-18.<br />

Non da meno di Giolitti, Salandra era sempre stato un deciso sostenitore <strong>del</strong>l'al<strong>le</strong>anza<br />

<strong>del</strong>l'Italia con la Germania e con l'Austria; ma il trattato <strong>del</strong>la Triplice Al<strong>le</strong>anza<br />

prevedeva una guerra puramente difensiva, e non contemplava tra i suoi scopi<br />

nessuna guerra di aggressione. (1) Nel 1902 il governo italiano si era impegnato col<br />

governo francese a non partecipare mai a nessuna guerra di aggressione contro la<br />

Francia, impegno che era <strong>in</strong> perfetto accordo col trattato <strong>del</strong>la Triplice Al<strong>le</strong>anza, e che<br />

era stato reso pubblico senza che venissero sol<strong>le</strong>vate obiezioni da parte dei gab<strong>in</strong>etti<br />

di Berl<strong>in</strong>o e di Vienna (2). Inoltre, i governi firmatari <strong>del</strong>la Triplice Al<strong>le</strong>anza erano<br />

impegnati a non prendere nessuna <strong>in</strong>iziativa nel<strong>le</strong> pr<strong>in</strong>cipali questioni <strong>in</strong>ternazionali,<br />

senza prima essersi consultati tra loro. Inf<strong>in</strong>e, e non è cosa di poca importanza, i<br />

gab<strong>in</strong>etti di Vienna e di Roma erano impegnati ad astenersi da qualsiasi <strong>in</strong>iziativa che<br />

avesse come scopo un mutamento nello "status quo" <strong>del</strong>la penisola balcanica. Se ta<strong>le</strong><br />

"status quo" veniva <strong>in</strong>franto <strong>in</strong> conseguenza di eventi imprevedibili, i due gab<strong>in</strong>etti<br />

dovevano consultarsi reciprocamente prima di fare qualsiasi passo. Il loro accordo<br />

doveva basarsi sul pr<strong>in</strong>cipio che nessuno dei due avrebbe ottenuto vantaggi territoriali<br />

o di altro genere che mutassero lo "status quo" senza concedere all'altro un vantaggio<br />

corrispondente (3).<br />

L'ultimatum, che il gab<strong>in</strong>etto di Vienna aveva <strong>in</strong>viato alla Serbia nel luglio 1914, non<br />

era stato preceduto da nessuna consultazione reciproca. La guerra che aveva fatto<br />

seguito a ta<strong>le</strong> ultimatum si proponeva un mutamento <strong>del</strong>lo "status quo" balcanico, e si<br />

trattava di una guerra di aggressione e non di una guerra difensiva. Il governo<br />

italiano avrebbe avuto il diritto di protestare contro la violazione <strong>del</strong> trattato di<br />

al<strong>le</strong>anza da parte <strong>del</strong> governo austriaco. Viceversa fu scelta una strada diversa. Il<br />

governo italiano affermò che il trattato non lo impegnava ad affiancarsi con <strong>le</strong> potenze<br />

centrali nell'approssimarsi di una guerra non difensiva, e qu<strong>in</strong>di, il 2 agosto 1914,<br />

scoppiato il conflitto europeo, venne annunciato che si sarebbe rimasti neutrali. Nello<br />

stesso tempo, il governo italiano <strong>in</strong>sistette sul fatto che il trattato di al<strong>le</strong>anza<br />

impegnava il governo austriaco a concedere all'Italia compensi corrispondenti a tutti i<br />

vantaggi che l'Austria avrebbe ottenuto nei Balcani <strong>in</strong> seguito alla guerra.<br />

In Italia, all'annuncio <strong>del</strong>l'ultimatum austriaco alla Serbia nel luglio <strong>del</strong> 1914, il partito<br />

nazionalista si dichiarò favorevo<strong>le</strong> all'<strong>in</strong>tervento immediato <strong>in</strong> guerra a fianco <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

potenze centrali; ma i nazionalisti si trovarono paralizzati da una vasta ondata di<br />

avversione mora<strong>le</strong> che si fece subito manifesta <strong>in</strong> tutti i ceti <strong>del</strong> popolo italiano non<br />

appena venne resa nota la brutalità <strong>del</strong>l'ultimatum austriaco. Fu allora che il governo<br />

annunciò che si sarebbe rimasti neutrali. Giolitti annunciò pubblicamente che la<br />

dichiarazione di neutralità era <strong>le</strong>gittima e che essa aveva il suo consenso pieno. La<br />

schiacciante maggioranza <strong>del</strong> popolo italiano e degli uom<strong>in</strong>i politici accolsero la<br />

neutralità con un profondo senso di sollievo, e d'improvviso Salandra divenne<br />

popolare. In un momento come quello, Giolitti non avrebbe potuto rovesciare il<br />

gab<strong>in</strong>etto senza sol<strong>le</strong>vare <strong>in</strong> tutto il paese ondate di <strong>in</strong>dignazione.


Tuttavia, sotto quella unanimità, circolavano <strong>del</strong><strong>le</strong> correnti contrastanti. Gli italiani si<br />

divisero subito <strong>in</strong> due gruppi: coloro che vo<strong>le</strong>vano che la neutralità fosse mantenuta<br />

s<strong>in</strong>o alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la guerra, e che perciò si dicevano 'neutralisti,' e coloro che<br />

chiedevano l'<strong>in</strong>tervento a fianco <strong>del</strong>l'Intesa antigermanica, e che perciò si dicevano<br />

'<strong>in</strong>terventisti.'<br />

Un certo numero di conservatori; che si raccoglievano <strong>in</strong>torno al più importante<br />

quotidiano italiano, "Il Corriere <strong>del</strong>la Sera", si dichiararono a favore <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>tervento<br />

contro l'Austria e la Germania, dato che non vi era nessuna speranza di raggiungere<br />

un accordo con l'Austria sui prob<strong>le</strong>mi balcanici, e dato che una vittoria tedesca<br />

avrebbe significato la f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la <strong>in</strong>dipendenza naziona<strong>le</strong> italiana <strong>in</strong> una Europa<br />

dom<strong>in</strong>ata dalla Germania.<br />

La grande maggioranza dei deputati, senatori e giornalisti <strong>in</strong>fluenti prese un<br />

atteggiamento di prudente attesa. Pensavano che il governo italiano, dopo aver<br />

dichiarato la neutralità, avrebbe dovuto negoziare con <strong>le</strong> potenze centrali per ottenere<br />

dei compensi. Tanto meglio sarebbero andate <strong>le</strong> cose quanto più si sarebbe potuto<br />

ottenere da tali negoziati. Dopo che fosse stata raggiunta una sistemazione tra <strong>le</strong><br />

potenze <strong>del</strong>la Triplice su ta<strong>le</strong> questione <strong>in</strong>terna, avrebbero aspettato di vedere come<br />

andavano <strong>le</strong> cose prima di prendere una decisione f<strong>in</strong>a<strong>le</strong> <strong>in</strong> merito al da farsi. Era<br />

questa l'op<strong>in</strong>ione di Salandra, ed era anche l'op<strong>in</strong>ione di Giolitti. Salandra riassunse<br />

ta<strong>le</strong> punto di vista <strong>in</strong> una formula che è rimasta famosa: 'sacro egoismo.'<br />

Non appena il governo ebbe dichiarato la neutralità, i nazionalisti si spogliarono di<br />

ogni entusiasmo per la Triplice assumendo un atteggiamento di riserva; ma quando,<br />

nel settembre <strong>del</strong> 1914, l'Austria subì <strong>le</strong> prime sconfitte <strong>in</strong> Galizia e l'avanzata tedesca<br />

venne fermata sulla Marna, com<strong>in</strong>ciarono ad <strong>in</strong>vocare la guerra contro l'Austria e la<br />

Germania. Uno di loro, il filosofo Giovanni Genti<strong>le</strong>, ha scritto: 'L'essenzia<strong>le</strong> era fare la<br />

guerra: con la Germania o contro la Germania.' (4) Furono essi che formularono e<br />

condussero durante la guerra una campagna di propaganda per il programma<br />

massimo di <strong>in</strong>grandimento territoria<strong>le</strong>.<br />

Il loro capobanda era Gabrie<strong>le</strong> D'Annunzio. Questo di<strong>le</strong>ttante di sadiche emozioni<br />

stava <strong>in</strong>vecchiando, e la sua arte perdeva il vigore <strong>del</strong>la giov<strong>in</strong>ezza. I suoi scritti di<br />

quegli anni fanno pensare ai sogni di gloria, di ricchezza, di sangue e di concupiscenza<br />

di un cameriere. Il popolo italiano, con il suo buon senso e l'<strong>in</strong>nata umanità non capì<br />

mai niente di questo caso di teratologia mora<strong>le</strong>. Tutti coloro che dovettero spiegare<br />

agli italiani la necessità di affiancarsi all'Intesa antitedesca mai si servirono dei<br />

messaggi che D'Annunzio metteva fuori. Si doveva ricordar loro i doveri di giustizia<br />

verso gli italiani soggetti all'Austria e verso il Belgio <strong>in</strong>vaso a tradimento, e si doveva<br />

presentare la guerra come il solo mezzo perché questo mondo tormentato ottenesse<br />

una giusta pace. Ma fuori d'Italia l'opera di questi uom<strong>in</strong>i oscuri non fu mai conosciuta<br />

né apprezzata. Fuori d'Italia D'Annunzio era conosciuto come il più grande poeta<br />

italiano vivente, e sapeva ben lui come promuovere la pubblicità <strong>in</strong>torno al suo nome.<br />

Nessun altro paese ebbe, come l'Italia, la mala sorte di essere rappresentato negli<br />

ambienti <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali, durante e dopo la guerra, da un uomo che era caduto tanto <strong>in</strong><br />

basso quanto a perversione mora<strong>le</strong> e mediocrità <strong>le</strong>tteraria.<br />

Nella loro grande maggioranza, i cattolici si dichiararono a favore <strong>del</strong>la neutralità.<br />

L'Impero austro-ungarico era la sola grande potenza europea la cui d<strong>in</strong>astia fosse<br />

fede<strong>le</strong> alla Chiesa cattolica e <strong>in</strong> cui il c<strong>le</strong>ro cattolico godesse di una situazione di<br />

privi<strong>le</strong>gio. La vittoria <strong>del</strong>la Intesa antitedesca avrebbe portato come conseguenza al<br />

distacco dall'Impero austro-ungarico di vasti territori abitati da popolazioni cattoliche,<br />

a vantaggio <strong>del</strong>la Russia, <strong>del</strong>la Serbia e <strong>del</strong>la Rumania, cioè di paesi <strong>in</strong> cui era<br />

dom<strong>in</strong>ante la religione greco-ortodossa. Durante la guerra <strong>del</strong> 1914-18, il Vaticano<br />

vol<strong>le</strong> sempre - e lo sperò s<strong>in</strong>o all'ultimo m<strong>in</strong>uto - che l'Impero austro-ungarico uscisse<br />

dalla crisi senza dim<strong>in</strong>uzioni territoriali. Perciò <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni cattoliche italiane si<br />

adoperarono per mantenere l'Italia entro i conf<strong>in</strong>i <strong>del</strong>la neutralità, sebbene, come è


loro abitud<strong>in</strong>e <strong>in</strong> tutti i paesi, agissero con cautela, senza mai compromettersi<br />

comp<strong>le</strong>tamente, e guardandosi sempre <strong>le</strong> spal<strong>le</strong> per una eventua<strong>le</strong> ritirata. Come già<br />

sappiamo, i deputati cattolici alla Camera non erano su 508 più di 29, ma molti altri<br />

deputati, più di 200, erano stati e<strong>le</strong>tti nel novembre <strong>del</strong> 1913 con l'appoggio <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

<strong>org</strong>anizzazioni cattoliche; questi perciò erano più o meno sotto l'<strong>in</strong>fluenza cattolica.<br />

D'altra parte, i cattolici speravano che Salandra avrebbe agguantato qualche<br />

sostanzia<strong>le</strong> compenso territoria<strong>le</strong> da parte <strong>del</strong> governo austriaco, obbligandosi <strong>in</strong> tal<br />

modo a mantenere la neutralità. Essi perciò approvavano tutti i tentativi di<br />

mercanteggiare sui compensi.<br />

Tra i radicali e i socialisti riformisti si andava mostrando un vivo spirito <strong>in</strong>terventista.<br />

Il più autorevo<strong>le</strong> uomo politico di questa s<strong>in</strong>istra <strong>in</strong>terventista era Leonida Bissolati.<br />

Quando venne annunciato l'ultimatum alla Serbia, Bissolati affermò che per nessuna<br />

ragione l'Italia si sarebbe unita al<strong>le</strong> potenze centrali. Se il governo italiano non avesse<br />

proclamato la neutralità, egli si sarebbe messo a capo di un movimento rivoluzionario.<br />

Ma era stata appena dichiarata la neutralità, che Bissolati affermò che l'Italia non<br />

poteva rimanere fuori da un conflitto da cui dipendeva il dest<strong>in</strong>o di tutta l'Europa. Egli<br />

non avrebbe mai preso, per nessuna ragione, l'<strong>in</strong>iziativa di una guerra; ma ora la<br />

guerra c'era, provocata da altri. La vittoria <strong>del</strong><strong>le</strong> potenze centrali avrebbe segnato la<br />

f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la <strong>in</strong>dipendenza di tutte <strong>le</strong> nazioni che circondavano il blocco austro-tedesco.<br />

L'Italia era m<strong>in</strong>acciata da una vittoria tedesca né più e né meno di tutte <strong>le</strong> altre<br />

nazioni europee. D'altra parte, la dichiarazione di neutralità aveva provocato una<br />

frattura fra l'Italia e <strong>le</strong> potenze centrali. Bisognava che l'Italia stesse <strong>in</strong> guardia contro<br />

la riv<strong>in</strong>cita che i suoi vecchi al<strong>le</strong>ati si sarebbero presi a causa <strong>del</strong>la sua neutralità.<br />

Essa qu<strong>in</strong>di doveva contribuire alla vittoria <strong>del</strong>la Intesa antitedesca. Inf<strong>in</strong>e, e non è il<br />

punto di m<strong>in</strong>ore importanza, i partiti democratici dei paesi <strong>del</strong>l'Intesa non avrebbero<br />

permesso che i partiti nazionalisti e militaristi avessero mano libera nel fare la guerra<br />

come nel fare la pace. Dopo aver dato il loro aiuto per la sconfitta <strong>del</strong>la Germania,<br />

essi avrebbero resistito contro i gruppi imperialisti quando si fosse negoziata la pace.<br />

Il governo italiano doveva <strong>in</strong>tervenire nel conflitto genera<strong>le</strong> con un programma di<br />

giustizia per tutti i popoli. Seguendo questa l<strong>in</strong>ea di condotta, esso avrebbe r<strong>in</strong>forzato<br />

<strong>le</strong> correnti democratiche e anti-imperialiste nei paesi <strong>del</strong>la Intesa antitedesca, e<br />

avrebbe contribuito a preparare una pace che non contenesse i semi di una nuova<br />

guerra. La guerra poteva essere accettata, come si accetta con fermezza un sacrificio<br />

necessario, solo su questa base. Altrimenti la guerra sarebbe stata un imperdonabi<strong>le</strong><br />

<strong>del</strong>itto.<br />

Le idee di Bissolati erano viziate da una debo<strong>le</strong>zza <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seca. Né <strong>in</strong> Italia, né fuori<br />

d'Italia i partiti socialisti e democratici erano preparati ad <strong>in</strong>tender<strong>le</strong>. Ovunque<br />

socialisti e democratici si divisero <strong>in</strong> due correnti, ambedue contrarie al pensiero di<br />

Bissolati. Essi o rimasero <strong>le</strong>gati agli slogans pacifisti e rivoluzionari, senza <strong>in</strong>teressarsi<br />

affatto a tutto ciò che la guerra poneva <strong>in</strong> giuoco, o si lasciarono trasportare dalla<br />

esaltazione guerriera, e divennero facili prede <strong>del</strong>la propaganda nazionalista. Bissolati<br />

trovò soltanto pochi seguaci fe<strong>del</strong>i, sparsi qua e là <strong>in</strong> tutti i gruppi conservatori e<br />

democratici e tra quei democratici cristiani che non erano sotto il controllo <strong>del</strong><br />

Vaticano, e che avevano <strong>in</strong> comune con Bissolati aspirazioni morali che non si<br />

urtavano col disaccordo dogmatico.<br />

I deputati <strong>del</strong> partito socialista ufficia<strong>le</strong> e i <strong>le</strong>aders <strong>del</strong> movimento s<strong>in</strong>daca<strong>le</strong> erano<br />

pacifisti. Il pacifismo ha un grande vantaggio: che il pacifista non deve studiare<br />

nessun prob<strong>le</strong>ma <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong> nei suoi e<strong>le</strong>menti spesso terribilmente comp<strong>le</strong>ssi. E'<br />

sufficiente per lui coltivare nella testa e nel cuore una sola idea e un solo sentimento:<br />

l'opposizione alla guerra. Egli ha fatto voto di non capire niente, e per mantenere il<br />

suo voto non ha bisogno di affaticarsi il cervello. I deputati socialisti e i <strong>le</strong>aders<br />

s<strong>in</strong>dacali non fecero mai un passo fuori <strong>del</strong>la loro posizione pacifista; essi sostennero<br />

con fermezza una neutralità <strong>in</strong>erte e lamentosa.


I <strong>le</strong>aders m<strong>in</strong>ori <strong>del</strong><strong>le</strong> sezioni politiche locali <strong>del</strong> partito mostrarono risolutamente la<br />

loro avversione al<strong>le</strong> potenze centrali, ma si rifiutarono non meno risolutamente di farsi<br />

trasc<strong>in</strong>are nel campo <strong>del</strong>la Intesa antitedesca; si mantennero ost<strong>in</strong>atamente <strong>le</strong>gati<br />

alla dottr<strong>in</strong>a marxista, che i socialisti tedeschi avevano impoverito e ridotto ad un<br />

catechismo. La sola guerra a cui il pro<strong>le</strong>tariato si sarebbe dedicato era la guerra<br />

contro la società capitalistica. Il pro<strong>le</strong>tariato doveva lasciare che i capitalisti<br />

combattessero la loro guerra per la difesa <strong>del</strong>la loro patria, e <strong>in</strong>tanto si sarebbero<br />

dovuti tener pronti per scatenare la rivoluzione socia<strong>le</strong>, approfittando di quella 'crisi<br />

<strong>del</strong>la società capitalista' vatic<strong>in</strong>ata da Marx, e che f<strong>in</strong>almente era arrivata. Durante i<br />

mesi di luglio, agosto e settembre <strong>del</strong> 1914, il <strong>le</strong>ader di questi uom<strong>in</strong>i fu Mussol<strong>in</strong>i.<br />

F<strong>in</strong>tanto che vi fu il pericolo che il governo decidesse di <strong>in</strong>tervenire a fianco <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

potenze centrali, Mussol<strong>in</strong>i m<strong>in</strong>acciò la rivoluzione. Nell'estate <strong>del</strong> 1914, come già nel<br />

1911, affermava, sul<strong>le</strong> orme <strong>del</strong>la dottr<strong>in</strong>a marxista, che la rivoluzione socia<strong>le</strong> doveva<br />

scoppiare per impedire la guerra. Per sol<strong>le</strong>vare il pro<strong>le</strong>tariato contro la guerra, nel<br />

1914 egli si servì <strong>del</strong> genera<strong>le</strong> sentimento di ostilità per l'Austria e la Germania,<br />

proprio come nel 1911 si era servito <strong>del</strong> fatto che la conquista <strong>del</strong>la Libia era<br />

economicamente sconsigliabi<strong>le</strong>. Ma il punto a cui miravano i suoi attacchi, nel 1914<br />

come nel 1911, era sempre la società capitalista che affrontava la sua ultima ora.<br />

Dopo che il governo ebbe dichiarato la neutralità, Mussol<strong>in</strong>i per due mesi riempì il<br />

quotidiano socialista di grida, proteste, accuse e m<strong>in</strong>acce contro il governo italiano e<br />

contro <strong>le</strong> 'orde teutoniche,' (5) contro l'imperialismo <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se e francese, contro il<br />

Belgio, contro tutto il mondo.<br />

Quanto al Belgio, il 4 settembre 1914 scriveva:<br />

«Ci si <strong>in</strong>vita a piangere sul Belgio martire. Siamo <strong>in</strong> presenza d'una farsa sentimenta<strong>le</strong><br />

<strong>in</strong>scenata dalla Francia e dal Belgio. Queste due comari vorrebbero sfruttare la<br />

credulità universa<strong>le</strong>. Per noi il Belgio non è che una potenza <strong>in</strong> guerra, come <strong>le</strong> altre,<br />

e noi non crediamo d'adottare pel nostro giudizio il metodo dei due pesi e <strong>del</strong><strong>le</strong> due<br />

misure. Tutte <strong>le</strong> potenze <strong>in</strong> guerra sono tutte allo stesso modo colpevoli e allo stesso<br />

grado, e noi abbiamo il diritto, il dovere di sol<strong>le</strong>vare la classe operaia contro questi<br />

fatti» (5 bis).<br />

Il 13 agosto, scriveva:<br />

«La guerra fra <strong>le</strong> nazioni è collaborazione di classe nella sua forma più acuta, più<br />

grandiosa, più sangu<strong>in</strong>osa. La b<strong>org</strong>hesia tripudia - e lo si vede dai giornali - quando<br />

può stroncare sull'altare <strong>del</strong>la 'sua' patria il pro<strong>le</strong>tariato e l'autonomia di classe <strong>del</strong><br />

pro<strong>le</strong>tariato. Il grido che echeggia <strong>in</strong> questi giorni e dom<strong>in</strong>a: 'Non ci sono più Partiti!'<br />

si presta al<strong>le</strong> più gravi rif<strong>le</strong>ssioni ed è una conferma <strong>del</strong>la nostra tesi. Colla guerra la<br />

b<strong>org</strong>hesia pone il pro<strong>le</strong>tariato d<strong>in</strong>nanzi a questo tragico di<strong>le</strong>mma: o l'<strong>in</strong>surrezione<br />

facilmente repressa nel sangue, o la partecipazione - solida<strong>le</strong> - al macello. Si capisce<br />

che quest'ultimo term<strong>in</strong>e <strong>del</strong> di<strong>le</strong>mma è mascherato di paro<strong>le</strong> più o meno so<strong>le</strong>nni,<br />

come patria, dovere, <strong>in</strong>tegrità territoria<strong>le</strong>, eccetera, ma la sostanza non muta. Ecco la<br />

ragione profonda che ci fa detestare la guerra» (6).<br />

E il 16 agosto: 'Noi vogliamo rimanere - f<strong>in</strong>o all'ultimo - fe<strong>del</strong>i al<strong>le</strong> nostre idee di<br />

socialisti e di <strong>in</strong>ternazionalisti: il turb<strong>in</strong>e potrà travolgere <strong>le</strong> nostre persone, ma non<br />

travolgerà la nostra fede.' (7) La conclusione era sempre la stessa: l'Italia non deve<br />

abbandonare la neutralità, e se il governo tenta di passare dalla neutralità alla guerra,<br />

sia contro <strong>le</strong> potenze centrali o contro la Triplice Intesa, il pro<strong>le</strong>tariato deve scatenare<br />

la rivoluzione socia<strong>le</strong>.<br />

Ben presto tuttavia, <strong>in</strong> queste espressioni antipatriottiche, com<strong>in</strong>ciarono ad <strong>in</strong>s<strong>in</strong>uarsi<br />

alcune <strong>in</strong>certezze. Già il 5 agosto 1914, aveva ammesso che ove la patria fosse<br />

vittima di un'aggressione, il pro<strong>le</strong>tariato avrebbe dovuto combattere per <strong>le</strong>gittima


difesa; ancora il 1 settembre, Mussol<strong>in</strong>i affermava che una guerra 'per resp<strong>in</strong>gere una<br />

eventua<strong>le</strong> <strong>in</strong>vasione' sarebbe stata considerata <strong>le</strong>gittima anche per i socialisti<br />

rivoluzionari (8). Questa era la dottr<strong>in</strong>a ufficia<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito canonizzata dai congressi<br />

<strong>in</strong>ternazionali, e nessun socialista, neppure quelli di più stretta osservanza, poteva<br />

aver niente da obiettare. Ma ai primi di settembre, Massimo Rocca, (9) già anarchico<br />

e che nel 1911 e nel 1914 si era unito ai nazionalisti nella campagna <strong>in</strong>terventista<br />

contro <strong>le</strong> potenze centrali, rivelò che Mussol<strong>in</strong>i, mentre nel suo giorna<strong>le</strong> sosteneva la<br />

neutralità assoluta, nel<strong>le</strong> conversazioni coi suoi amici era favorevo<strong>le</strong> all'<strong>in</strong>tervento<br />

contro <strong>le</strong> potenze centrali. Secondo la sua abitud<strong>in</strong>e, Mussol<strong>in</strong>i reagì vomitando un<br />

torrente di <strong>in</strong>sulti contro Rocca (10).<br />

L'8 ottobre, scriveva:<br />

«Non mi vergogno di confessare che, nel corso di questi due mesi tragici, il mio<br />

pensiero ha avuto oscillazioni, <strong>in</strong>certezze, trepidazioni. E chi dunque fra gli uom<strong>in</strong>i<br />

<strong>in</strong>telligenti d'Italia e di fuori non ha subito - più o meno profondamente - il duro<br />

travaglio di questa crisi <strong>in</strong>teriore?» (11).<br />

Aveva ragione. Molti altri pacifisti, socialisti e anarchici, e non soltanto <strong>in</strong> Italia,<br />

attraversarono angosciose sofferenze morali e ne vennero fuori uom<strong>in</strong>i nuovi. Il caso<br />

più famoso è quello <strong>del</strong>l'anarchico Kropotk<strong>in</strong>, un uomo di ecceziona<strong>le</strong> cultura ed<br />

<strong>in</strong>telligenza e di <strong>in</strong>discussa <strong>in</strong>tegrità mora<strong>le</strong>, il qua<strong>le</strong> nell'estate <strong>del</strong> 1914 si unì <strong>in</strong><br />

Inghilterra a coloro che sostenevano la guerra contro la Germania. Anche Bissolati, <strong>in</strong><br />

Italia, era stato un pacifista e un antimilitarista.<br />

Per quanto riguarda Mussol<strong>in</strong>i, l'ipotesi più plausibi<strong>le</strong> è che, trovatosi improvvisamente<br />

di fronte al non previsto scoppio <strong>del</strong>la guerra, egli, senza darsi troppo pensiero, abbia<br />

adottato quell'atteggiamento che ci si poteva aspettare da lui, data la sua mentalità<br />

rivoluzionaria, antipatriottica e antimilitaristica. Un giornalista deve avere al momento<br />

buono un'op<strong>in</strong>ione pronta per qualsiasi avvenimento, e deve esprimere ta<strong>le</strong> op<strong>in</strong>ione<br />

anche prima di averci pensato su. Dopo aver seguito il primo spontaneo impulso,<br />

Mussol<strong>in</strong>i passò un periodo di <strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>e e di dubbio <strong>in</strong>terno di cui nessuno sapeva<br />

niente, e poco a poco mutò op<strong>in</strong>ione, mentre sul suo giorna<strong>le</strong> cont<strong>in</strong>uava a battere i<br />

vecchi motivi, secondo quanto si aspettava il suo pubblico, che non avrebbe<br />

consentito oscillazioni, <strong>in</strong>certezze, o timori nella sua <strong>in</strong>condizionata avversione alla<br />

guerra. La disgrazia di Mussol<strong>in</strong>i derivò dal fatto che la sua natura egocentrica e<br />

vio<strong>le</strong>nta non gli permise di mostrare al pubblico quei dubbi che si andavano<br />

<strong>in</strong>s<strong>in</strong>uando nel suo animo fol<strong>le</strong>. Cont<strong>in</strong>uò a brandire la sua penna come si usa una<br />

spada, senza accettare di venir mai contraddetto su quanto scriveva, mentre <strong>in</strong> cuor<br />

suo non era affatto sicuro di quello che avrebbe pensato il giorno dopo.<br />

Improvvisamente, nell'ottobre <strong>del</strong> 1914, si dichiarò favorevo<strong>le</strong> all'<strong>in</strong>tervento <strong>del</strong>l'Italia<br />

<strong>in</strong> guerra contro la Germania e l'Austria, e immediatamente com<strong>in</strong>ciò a trattare come<br />

'<strong>in</strong>coerenti, apostati, disertori' (12) quei socialisti che non accettavano il suo nuovo<br />

punto di vista. Come era natura<strong>le</strong>, tutto il partito, che s<strong>in</strong>o a quel momento aveva<br />

visto <strong>in</strong> lui il sostenitore <strong>del</strong>la neutralità assoluta, gli si rivoltò contro. Mussol<strong>in</strong>i si<br />

dimise dalla carica di direttore <strong>del</strong> quotidiano socialista, e alla metà di novembre<br />

<strong>in</strong>augurò un nuovo quotidiano, "Il Popolo d'Italia".<br />

Dato che non aveva mai avuto denari, non poteva aver fondato il suo giorna<strong>le</strong> con <strong>le</strong><br />

sue risorse f<strong>in</strong>anziarie. Qu<strong>in</strong>di istantaneamente ognuno com<strong>in</strong>ciò a chiedersi di dove<br />

venivano i nuovi fondi a sostegno di quella avventura giornalistica. Naturalmente, i<br />

più rumorosi nel domandarsi 'chi paga?,' erano i vecchi compagni, e la risposta la<br />

conoscevano già: 'la b<strong>org</strong>hesia'; Mussol<strong>in</strong>i si era venduto alla b<strong>org</strong>hesia, e Mussol<strong>in</strong>i<br />

reagiva def<strong>in</strong>endoli 'imbecilli, stupidi, deficienti.' Un giorno si rifiutava di assoggettarsi<br />

all'assurda richiesta di rendere noti i retroscena dei suoi affari (13); un altro giorno si<br />

dichiarava pronto ad 'aprire <strong>le</strong> porte <strong>del</strong>la sua casa, spalancare i suoi cassetti,


squadernare i suoi registri, mettere a disposizione tutte <strong>le</strong> pezze giustificative<br />

<strong>del</strong>l'azienda,' ma a condizione che l'amm<strong>in</strong>istratore <strong>del</strong> giorna<strong>le</strong> socialista facesse<br />

altrettanto (14). M<strong>in</strong>acciava di rivelare fatti che i suoi avversari avrebbero preferito<br />

tenere all'oscuro. Era venuto a conoscenza di questi fatti nella sua qualità di direttore<br />

<strong>del</strong> giorna<strong>le</strong> socialista, ma f<strong>in</strong>ché era andato d'accordo con i suoi 'compagni' era stato<br />

ben disposto ad <strong>in</strong>gollarli.<br />

Il 18 novembre, il quotidiano svizzero "Neue Zürcherzeitung" e il "Wolff Bureau"<br />

pubblicavano un te<strong>le</strong>gramma da Milano dove si diceva che sembrava che Mussol<strong>in</strong>i<br />

'privo di mezzi personali' avesse a sua disposizione circa 500000 lire e ricevesse<br />

<strong>in</strong>formazioni dalla Francia 'tramite Monsieur Cambon,' che già era stato ambasciatore<br />

francese a Costant<strong>in</strong>opoli e a Berl<strong>in</strong>o. Di fronte a tali voci, Mussol<strong>in</strong>i si schermì :<br />

'Lasciamo dire, per quanto la cosa sia buffa. Io so di essere a posto con la mia<br />

coscienza e ciò mi basta.' (15) 'Vogliono farmi passare per un venduto? Ebbene,<br />

prov<strong>in</strong>o.' (16). La '<strong>in</strong>s<strong>in</strong>uazione' <strong>del</strong> "Wolff Bureau" era 'essenzialmente e soprattutto<br />

ridicola.' (17) Quando gli venne chiesto di spiegare come mai pochi giorni prima che<br />

uscisse il primo numero <strong>del</strong> suo giorna<strong>le</strong> egli era andato a G<strong>in</strong>evra rispose: 'Quando<br />

ne avrò voglia (...) descriverò il mio viaggio a G<strong>in</strong>evra. Viaggio noto, <strong>del</strong> resto, niente<br />

affatto 'misterioso'.' (18) E certamente il viaggio non era stato misterioso, ma<br />

rimaneva misterioso il suo scopo. Il punto crucia<strong>le</strong> era questo, e Mussol<strong>in</strong>i non dette<br />

mai <strong>in</strong> proposito nessuna spiegazione. Mussol<strong>in</strong>i aveva a suo vantaggio il fatto che<br />

Cambon non ebbe mai niente a che fare con lui; ma tra Parigi e l'Italia, oltre Cambon,<br />

c'erano molti altri canali possibili.<br />

Il 1 dicembre, il corrispondente <strong>del</strong> "Neue Zürcherzeitung" affermò che egli<br />

's<strong>in</strong>ceramente' credeva che 'i fondi venissero dal partito socialista francese,' il che,<br />

considerato il passato politico di Mussol<strong>in</strong>i, 'non avrebbe [sic] tornato affatto <strong>in</strong> suo<br />

disonore.' (19) Mussol<strong>in</strong>i chiedeva al giornalista di mostrare 'quali prove o documenti<br />

egli possedeva per te<strong>le</strong>grafare siffatta ridicola fantasia al suo giorna<strong>le</strong> e alla stampa<br />

tedesca.' 'Piaccia o no l'oro francese non c'entra affatto. La stampa italiana è più<br />

<strong>in</strong>dipendente di quanto non creda il signor Kerbs. Questo giorna<strong>le</strong>, poi, è<br />

<strong>in</strong>dipendentissimo, tanto all'<strong>in</strong>terno come all'estero. Lo ho dimostrato e lo dimostrerò.<br />

(20) Nessuno era <strong>in</strong> grado di pubblicare <strong>le</strong> ricevute <strong>del</strong> denaro che Mussol<strong>in</strong>i riceveva<br />

dalla Francia. Soltanto lui, o coloro che gli fornivano il denaro o che glielo portavano,<br />

avrebbero potuto fornire documenti e prove. La prova venne fuori molti anni più tardi.<br />

Qu<strong>in</strong>di Mussol<strong>in</strong>i, sfidando i suoi avversari a produrre 'prove o documenti,' si muoveva<br />

su un terreno sicuro.<br />

D'altra parte non sarebbe giusto affermare che l'animo di Mussol<strong>in</strong>i cambiò non prima,<br />

ma dopo che il denaro gli era stato dato o promesso. E' più probabi<strong>le</strong> che il<br />

cambiamento sia avvenuto prima, <strong>in</strong> seguito a una crisi che si trovò ad attraversare<br />

<strong>in</strong>sieme a molte altre degne persone <strong>in</strong> Europa, e che solo dopo che il suo stato<br />

d'animo era mutato egli sia stato condotto dal demone <strong>del</strong> suo egocentrismo a vo<strong>le</strong>re<br />

un giorna<strong>le</strong> tutto suo. Si dette daffare per trovare il denaro, e lo prese dove lo poteva<br />

trovare. F<strong>in</strong>o a un certo punto non era <strong>in</strong>s<strong>in</strong>cero neppure quando affermava che il suo<br />

giorna<strong>le</strong> non dipendeva da nessuno né <strong>in</strong> Italia né all'estero. Nel suo quotidiano<br />

faceva la sua politica, anche se era mantenuto dal denaro francese. In tal modo,<br />

Mussol<strong>in</strong>i si poteva sentire <strong>in</strong>dipendente, anche se avrebbe potuto chiedersi che cosa<br />

sarebbe stato <strong>del</strong> suo giorna<strong>le</strong> se il suo animo fosse mutato di nuovo, e se avrebbe<br />

veramente osato cambiar di nuovo animo sapendo che un nuovo cambiamento<br />

avrebbe fatto morire il suo giorna<strong>le</strong>. Queste, tuttavia, sono dist<strong>in</strong>zioni troppo sottili. Il<br />

codice pena<strong>le</strong> fascista, emanato da Mussol<strong>in</strong>i nel 1930, non fa dist<strong>in</strong>zione tra il denaro<br />

ricevuto prima e il denaro ricevuto dopo una conversione, e conseguentemente<br />

l'articolo 245 punisce con la reclusione da c<strong>in</strong>que a qu<strong>in</strong>dici anni chiunque 'tiene<br />

<strong>in</strong>telligenza con lo straniero per impegnare o per compiere atti diretti a impegnare lo<br />

Stato italiano alla dichiarazione o al mantenimento <strong>del</strong>la neutralità, ovvero alla


dichiarazione di guerra,' e la pena è aumentata s<strong>in</strong>o a venti anni 'se <strong>le</strong> <strong>in</strong>telligenze<br />

hanno per oggetto una propaganda col mezzo <strong>del</strong>la stampa.'<br />

Così il movimento <strong>in</strong>terventista italiano dovette sopportare non soltanto la umiliazione<br />

mora<strong>le</strong> di vedersi rappresentato da D'Annunzio, ma anche il sospetto di essere<br />

sussidiato da un governo straniero. I giornali austriaci e tedeschi approfittarono di<br />

questo fatto. Anche il cancelliere tedesco, Bethmann Hollweg, nel maggio <strong>del</strong> 1915<br />

affermò che il Consiglio dei m<strong>in</strong>istri italiano era entrato <strong>in</strong> guerra perché era stato<br />

comprato con l'oro francese, sebbene egli sapesse perfettamente che <strong>in</strong> Italia c'erano<br />

giornalisti che erano stati comprati non dal solo oro francese ma anche dall'oro<br />

tedesco, che i giornalisti mercenari <strong>in</strong> Italia potevano essere contati sul<strong>le</strong> dita <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

due mani, e che essi non erano il Consiglio dei m<strong>in</strong>istri. Questo era altrettanto onesto<br />

e rispettabi<strong>le</strong> <strong>del</strong>lo stesso cancelliere tedesco, anche se i suoi componenti non<br />

prendevano la strada che sarebbe piaciuta a lui.<br />

Il giorna<strong>le</strong> di Mussol<strong>in</strong>i portava il sottotitolo di 'quotidiano socialista,' ed egli ostentava<br />

di essere <strong>in</strong> Italia l'unica autentica salvaguardia <strong>del</strong>la dottr<strong>in</strong>a socialista rivoluzionaria.<br />

Era un socialista rivoluzionario che dissentiva dai suoi antichi compagni, i quali<br />

avevano sfuggito il loro dovere rivoluzionario. Guai al Re e alla b<strong>org</strong>hesia italiana se si<br />

fossero mantenuti fuori dalla guerra contro l'imperialismo tedesco! Una rivoluzione<br />

socialista e repubblicana avrebbe punito la loro vigliaccheria. Durante i mesi di luglio,<br />

agosto e settembre <strong>del</strong> 1914, il Re e la b<strong>org</strong>hesia avrebbero dovuto fare i conti con<br />

una rivoluzione se fossero entrati <strong>in</strong> guerra. A partire dal novembre <strong>del</strong> 1914, il loro<br />

dest<strong>in</strong>o era già segnato se non fossero entrati <strong>in</strong> guerra. Al tempo stesso Mussol<strong>in</strong>i<br />

vedeva nella guerra contro il militarismo tedesco il modo più opportuno per rovesciare<br />

la società capitalista. 'Oggi è la guerra, sarà la rivoluzione domani.' (21) La<br />

rivoluzione socia<strong>le</strong> sarebbe stata portata tra i ceti benestanti. D'altra parte, nel partito<br />

socialista italiano molte persone s<strong>in</strong>cere erano tormentate nella loro coscienza da un<br />

penoso di<strong>le</strong>mma: se accettare l'<strong>in</strong>tervento, o se rimanere <strong>le</strong>gati al<strong>le</strong> dottr<strong>in</strong>e pacifiste<br />

o rivoluzionarie <strong>del</strong> socialismo. Se Mussol<strong>in</strong>i fosse rimasto nel partito e avesse svolto<br />

un'opera fraterna e amichevo<strong>le</strong> di persuasione, avrebbe ottenuto molte conversioni al<br />

suo nuovo punto di vista. Ma la sua natura egoista e vio<strong>le</strong>nta non conobbe mai la via<br />

<strong>del</strong>la persuasione. Egli com<strong>in</strong>ciò ad accusare come traditori <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato, vigliacchi,<br />

buoni a nulla, quelli stessi socialisti che erano rimasti fe<strong>del</strong>i al suo precedente<br />

<strong>in</strong>segnamento. Con questi attacchi selvaggi ai suoi compagni <strong>del</strong>la vigilia, Mussol<strong>in</strong>i li<br />

bloccò nella loro posizione neutralista. Quei socialisti che, convertendosi<br />

all'<strong>in</strong>terventismo, avrebbero potuto portare con sé, se non tutto il partito, una buona<br />

parte di esso, furono ridotti alla impotenza e al si<strong>le</strong>nzio oppure dovettero<br />

abbandonare il partito. Mussol<strong>in</strong>i scavò tra l'<strong>in</strong>terventismo democratico e il partito<br />

socialista un solco che non si sarebbe mai più potuto colmare. In un certo senso, fu<br />

maggiore il danno che non l'aiuto che egli dette al movimento <strong>in</strong>terventista.<br />

Sia tra i gruppi che vo<strong>le</strong>vano l'<strong>in</strong>tervento <strong>del</strong>l'Italia nella guerra europea che tra quelli<br />

che vo<strong>le</strong>vano la neutralità non esisteva nessuna omogeneità. Tutti i partiti politici<br />

italiani erano divisi e si trovavano <strong>in</strong> uno stato di grande confusione. La maggioranza<br />

dei conservatori, dei cattolici e dei socialisti, e una m<strong>in</strong>oranza di radicali con alcuni<br />

nazionalisti facevano pressioni per la neutralità. La campagna per l'<strong>in</strong>tervento era<br />

sostenuta dai socialisti riformisti, dai repubblicani, dalla maggioranza dei nazionalisti,<br />

dalla maggioranza dei radicali, e da quel<strong>le</strong> m<strong>in</strong>oranze che avevano abbandonato i<br />

partiti favorevoli alla neutralità. Ciascuno dei due gruppi era una specie di crogiuolo <strong>in</strong><br />

cui si trovavano uom<strong>in</strong>i di <strong>orig<strong>in</strong>i</strong> e di conv<strong>in</strong>zioni divergenti. Oltre agli <strong>in</strong>terventisti e<br />

ai neutralisti, c'era una massa stolida di uom<strong>in</strong>i politici, opportunisti, pronti a seguire<br />

Giolitti qualsiasi strada avesse imboccato.<br />

La grande maggioranza dei ceti più e<strong>le</strong>vati era favorevo<strong>le</strong> al<strong>le</strong> potenze centrali, che<br />

venivano considerate come un solido sostegno <strong>del</strong>l'ord<strong>in</strong>e socia<strong>le</strong>. Le più importanti<br />

banche e <strong>le</strong> maggiori <strong>in</strong>dustrie erano favorevoli alla neutralità, non solo per quella


simpatia verso i regimi di autocrazia comune a tutte <strong>le</strong> persone ricche, ma anche<br />

perché gli uom<strong>in</strong>i d'affari pensavano che la neutralità, pur evitando i rischi <strong>del</strong>la<br />

guerra, avrebbe permesso loro di far quattr<strong>in</strong>i a spese sia <strong>del</strong><strong>le</strong> potenze centrali che<br />

<strong>del</strong>la Intesa antitedesca. L'<strong>in</strong>tervento <strong>del</strong>l'Italia nella guerra mondia<strong>le</strong> ebbe luogo<br />

contro la volontà di quasi tutti i capitalisti italiani.<br />

I gruppi sociali favorevoli all'<strong>in</strong>tervento si devono ricercare specialmente tra <strong>le</strong> classi<br />

<strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali; ma anche queste erano profondamente divise. Tra i professori<br />

universitari, molti si mantennero estranei ad ogni controversia, e non si sarebbero<br />

lasciati distrarre dai loro studi neppure da un diluvio universa<strong>le</strong>. Gli altri si divisero tra<br />

<strong>in</strong>terventisti e neutralisti, e tra gli <strong>in</strong>terventisti preva<strong>le</strong>vano i nazionalisti, e tra i<br />

neutralisti erano abbastanza numerosi coloro che accettavano la neutralità come un<br />

primo passo verso l'<strong>in</strong>tervento a fianco <strong>del</strong><strong>le</strong> potenze centrali. Gli <strong>in</strong>segnanti <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

scuo<strong>le</strong> medie si dividevano <strong>in</strong> tutte <strong>le</strong> correnti possibili, ma preva<strong>le</strong>vano quelli <strong>in</strong><br />

favore <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>tervento; alcuni erano nazionalisti, altri seguaci di Mussol<strong>in</strong>i, altri ancora<br />

seguaci di Bissolati. Gli <strong>in</strong>segnanti e<strong>le</strong>mentari erano divisi all'<strong>in</strong>circa come quelli <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

scuo<strong>le</strong> medie, ma tra loro erano <strong>in</strong> maggioranza i socialisti neutralisti, sia riformisti<br />

che rivoluzionari. Tra gli <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali <strong>in</strong>dipendenti, Benedetto Croce era un neutralista<br />

con tendenze filotedesche; D'Annunzio, come abbiamo visto, era un <strong>in</strong>terventista con<br />

tendenze nazionaliste; Guglielmo Ferrero era un <strong>in</strong>terventista di tendenze<br />

bissolatiane. I capi <strong>del</strong>l'esercito e <strong>del</strong>la mar<strong>in</strong>a erano favorevoli all'<strong>in</strong>tervento, e<br />

altrettanto la più parte dei giovani ufficiali.<br />

In queste condizioni, <strong>le</strong> masse <strong>del</strong> popolo italiano non capirono mai perché c'erano<br />

persone che vo<strong>le</strong>vano che si andasse <strong>in</strong> guerra, e persone che vo<strong>le</strong>vano che si<br />

rimanesse neutrali; perché c'erano <strong>in</strong>terventisti nazionalisti, e <strong>in</strong>terventisti<br />

democratici; perché la maggior parte degli <strong>in</strong>terventisti democratici si comportavano<br />

come i nazionalisti, mentre altri seguivano Bissolati; perché, tra i neutralisti, c'erano<br />

conservatori che rimanevano fe<strong>del</strong>i alla Germania, cattolici che rimanevano fe<strong>del</strong>i<br />

all'Austria, e socialisti che si <strong>in</strong>fischiavano sia <strong>del</strong>l'Austria che <strong>del</strong>la Germania; e<br />

perché c'erano socialisti che sostenevano una neutralità pacifista, e socialisti che<br />

chiedevano fragorosamente una neutralità rivoluzionaria. In una ta<strong>le</strong> torre di Babe<strong>le</strong>,<br />

la sola cosa che poteva fare il popolo italiano era di giungere alla conclusione che<br />

l'<strong>in</strong>tervento <strong>in</strong> guerra non era altro che il risultato di una capricciosa perversità da<br />

parte degli uom<strong>in</strong>i politici. I gruppi favorevoli all'<strong>in</strong>tervento trasc<strong>in</strong>arono nella loro scia<br />

solo una piccola parte <strong>del</strong>la popolazione. Nel<strong>le</strong> città e nel<strong>le</strong> campagne <strong>le</strong> masse dei<br />

lavoratori appoggiavano o i socialisti o i cattolici ed erano <strong>in</strong> favore <strong>del</strong>la neutralità.<br />

Chi, nell'autunno <strong>del</strong> 1914, avesse cercato di sp<strong>in</strong>gere lo sguardo nel futuro, ne<br />

avrebbe tratto <strong>le</strong> previsioni che l'Italia sarebbe rimasta neutra<strong>le</strong>, poiché la grande<br />

maggioranza di deputati e di senatori, il partito socialista, il Vaticano, <strong>le</strong><br />

<strong>org</strong>anizzazioni cattoliche, i ceti più e<strong>le</strong>vati, una parte notevo<strong>le</strong> dei ceti medi, e<br />

l'enorme maggioranza <strong>del</strong><strong>le</strong> classi lavoratrici nel<strong>le</strong> città come nel<strong>le</strong> campagne erano<br />

favorevoli alla neutralità. Il governo di Vienna nei suoi rapporti con il governo italiano<br />

basò la sua condotta su questa assunzione. Si sentì al sicuro dal pericolo di una<br />

guerra sulla frontiera italiana, e qu<strong>in</strong>di pensò che non c'era bisogno di fare nessuna<br />

concessione.<br />

Mentre gli italiani si sc<strong>in</strong>devano <strong>in</strong> neutralisti e <strong>in</strong>terventisti, il presidente <strong>del</strong><br />

Consiglio, Salandra, e il m<strong>in</strong>istro degli Esteri, Sonn<strong>in</strong>o, non si preoccuparono mai di<br />

portare un po' di ord<strong>in</strong>e <strong>in</strong> questo caos spiritua<strong>le</strong>. Appartenevano a quella vecchia<br />

tradizione conservatrice, secondo la qua<strong>le</strong> il diritto di pensare e di comandare<br />

apparteneva ad una m<strong>in</strong>oranza di 'notabili,' mentre i 'sudditi' dovevano obbedire e, se<br />

necessario, morire senza pensare, o tutt'al più pensare quello che i 'notabili' vo<strong>le</strong>vano<br />

che pensassero. Se Salandra e Sonn<strong>in</strong>o fossero vissuti <strong>in</strong> Francia prima <strong>del</strong>la<br />

rivoluzione <strong>del</strong> 1848, sarebbero stati dei fe<strong>del</strong>i sostenitori di Guizot, e con la loro<br />

ost<strong>in</strong>ata arroganza avrebbero aiutato Guizot a rendere <strong>in</strong>evitabi<strong>le</strong> la rivoluzione <strong>del</strong>


1848. Questi due uom<strong>in</strong>i entrarono <strong>in</strong> guerra senza neppure sognarsi che la guerra<br />

sarebbe stata fatta da milioni di uom<strong>in</strong>i, i quali non potevano essere mandati a morire<br />

senza che si dicesse loro perché. Essi non riuscirono mai ad afferrare la gravità di una<br />

crisi che stava mettendo sottosopra non solo l'equilibrio politico <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong>, ma <strong>le</strong><br />

stesse basi <strong>del</strong>l'ord<strong>in</strong>e socia<strong>le</strong> europeo. Negoziavano con i governi di Berl<strong>in</strong>o e di<br />

Vienna così come con quelli <strong>del</strong>l'Intesa antitedesca, come se non esistesse nessun<br />

popolo italiano. Ai loro amici non dettero mai nessuna istruzione precisa su quanto<br />

era da farsi, e neppure cercarono di guadagnare alla loro causa dei possibili<br />

oppositori. Il popolo italiano nel 1915 e il popolo degli Stati Uniti nel 1917 entrarono<br />

<strong>in</strong> guerra senza dover affrontare nessun pericolo immediato. Nessuno potrebbe<br />

affermare che l'Italia nel 1915 o gli Stati Uniti nel 1917 combattevano una guerra<br />

difensiva. Non vi fu nessuna Pearl Harbor per l'Italia nel 1915. Ma il popolo americano<br />

trovò nel presidente Wilson un <strong>le</strong>ader che dette alla guerra una impronta idealistica.<br />

Salandra e Sonn<strong>in</strong>o erano dei 'realisti.' Davanti al popolo italiano sventolarono<br />

soltanto la bandiera <strong>del</strong> 'sacro egoismo.' Si dovette ancora al loro 'realismo' se gli<br />

italiani ne conclusero che la guerra era un <strong>del</strong>itto commesso contro di loro dalla<br />

cattiva volontà <strong>del</strong> loro governo.<br />

Fu solo nei primi giorni di maggio <strong>del</strong> 1915 che tutti <strong>in</strong> Italia compresero che il<br />

governo si era al<strong>le</strong>ato con la Triplice Intesa contro <strong>le</strong> potenze centrali. Giolitti non era<br />

mai stato un partigiano <strong>del</strong>la neutralità assoluta; aveva approvato nell'agosto la<br />

dichiarazione di neutralità; aveva approvato la decisione di Sonn<strong>in</strong>o, nel dicembre, di<br />

<strong>in</strong>iziare i negoziati a proposito dei compensi col gab<strong>in</strong>etto di Vienna. Pubblicamente<br />

espresse l'op<strong>in</strong>ione che l'Italia avrebbe potuto ottenere 'parecchio' senza ricorrere alla<br />

guerra, ma non è possibi<strong>le</strong> credere che egli pensasse che il governo italiano avrebbe<br />

dovuto negoziare col proposito di mantenere la pace ad ogni costo e contentarsi di<br />

qualsiasi concessione gli venisse fatta dal gab<strong>in</strong>etto di Vienna. D'altra parte, non<br />

sembra che Giolitti si sia mai reso conto che <strong>in</strong>iziare dei negoziati significa entrare <strong>in</strong><br />

guerra nel caso che questi negoziati non approd<strong>in</strong>o a nulla. Ta<strong>le</strong> fu effettivamente il<br />

caso. Nel<strong>le</strong> sue "Memorie", pubblicate nel 1922, Giolitti ammette che <strong>le</strong> concessioni<br />

offerte dal gab<strong>in</strong>etto di Vienna non erano soddisfacenti; di qui la deduzione che<br />

Salandra e Sonn<strong>in</strong>o non avevano altra alternativa che la guerra. Nel maggio <strong>del</strong> 1915,<br />

Giolitti poteva dissentire da Salandra e da Sonn<strong>in</strong>o sulla scelta <strong>del</strong> momento per la<br />

dichiarazione di guerra; poteva condannare i f<strong>in</strong>i territoriali su cui si basavano<br />

Salandra e Sonn<strong>in</strong>o. Invece di far ciò, Giolitti si pose contro il gab<strong>in</strong>etto senza fornire<br />

nessuna ragione. Che cosa avrebbe fatto Giolitti se fosse ritornato al potere? Si<br />

sarebbe contentato di quel<strong>le</strong> concessioni che il governo di Vienna era disposto a fare,<br />

e che egli stesso nel 1922 doveva affermare che erano <strong>in</strong>sufficienti? Oppure avrebbe<br />

dichiarato guerra al<strong>le</strong> potenze centrali né più e né meno di quanto fecero Salandra e<br />

Sonn<strong>in</strong>o? La cosa più probabi<strong>le</strong> è che egli stesso non sapeva che cosa avrebbe fatto.<br />

Vo<strong>le</strong>va soltanto riprendere il potere. Poi avrebbe agito giorno per giorno secondo <strong>le</strong><br />

circostanze.<br />

Trecento deputati offersero a Giolitti una dimostrazione extra-parlamentare <strong>in</strong> suo<br />

favore: si recarono alla sua abitazione dove lasciarono i loro biglietti da visita.<br />

Salandra presentò <strong>le</strong> sue dimissioni. A questo punto i piani di Giolitti furono di nuovo<br />

sconvolti da un altro fatto <strong>in</strong>aspettato. Tutta la sfiducia, tutta l'ostilità, tutto l'odio che<br />

si era andato accumulando contro di lui nel corso degli anni precedenti si concentrò e<br />

scoppiò furiosamente. Nel<strong>le</strong> città più importanti, e a Roma specialmente, gli<br />

<strong>in</strong>terventisti dettero <strong>in</strong>izio a dimostrazioni nel<strong>le</strong> strade lanciando vituperi contro<br />

Giolitti e contro la sua maggioranza parlamentare, e m<strong>in</strong>acciando di ucciderlo.<br />

Salandra, che si era impegnato a dichiarare la guerra entro il 25 maggio, fece ridurre<br />

al si<strong>le</strong>nzio dalla polizia tutte <strong>le</strong> manifestazioni dei neutralisti, lasciando via libera a<br />

quel<strong>le</strong> degli <strong>in</strong>terventisti.


Gli <strong>in</strong>terventisti non erano che una m<strong>in</strong>oranza <strong>del</strong>la popolazione; ma la maggioranza<br />

era divisa tra gruppi s<strong>le</strong>gati e <strong>in</strong>capaci di una azione comune. I socialisti pacifisti<br />

avrebbero potuto esercitare una grande <strong>in</strong>fluenza tra i ceti medi, e agire come punto<br />

foca<strong>le</strong> di tutte <strong>le</strong> correnti neutraliste. Ma all'<strong>in</strong>terno <strong>del</strong> loro partito erano sommersi<br />

dalla rumorosa maggioranza rivoluzionaria, che dava alla campagna neutralista una<br />

impronta rivoluzionaria. In tal modo i ceti più e<strong>le</strong>vati e i ceti medi dovevano scegliere,<br />

tra una rivolta contro il governo che avrebbe potuto avere come conseguenza la<br />

rivoluzione m<strong>in</strong>acciata dai socialisti, o la guerra. Decisero che la guerra era il ma<strong>le</strong><br />

m<strong>in</strong>ore. Anche i cattolici temevano la rivoluzione più <strong>del</strong>la guerra. D'altra parte, quel<br />

pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario, di cui i marxisti di stretta osservanza pretendevano di<br />

essere i rappresentanti, non esisteva. La grande maggioranza degli operai e degli<br />

agricoltori non vo<strong>le</strong>va la guerra, ma non si curava neppure <strong>del</strong>la rivoluzione socia<strong>le</strong>. Si<br />

sottomisero alla guerra poiché un potente <strong>org</strong>anismo amm<strong>in</strong>istrativo li afferrava e li<br />

gettava nella fornace, ma non si rivoltarono <strong>in</strong> modo attivo. Il partito socialista non<br />

proclamò neppure uno sciopero genera<strong>le</strong>.<br />

In quel momento la maggioranza parlamentare era <strong>in</strong> accordo con la maggioranza <strong>del</strong><br />

paese che non vo<strong>le</strong>va la guerra. Ma essa non osò resistere al<strong>le</strong> m<strong>in</strong>acce <strong>del</strong>la folla<br />

nel<strong>le</strong> strade. Essendo stata manipolata dal governo durante tre successive e<strong>le</strong>zioni,<br />

essa non aveva il prestigio per resistere al governo e a quel<strong>le</strong> forze extraparlamentari<br />

che sostenevano il governo. Non poteva agire ora come rappresentanza<br />

<strong>del</strong> paese dopo che per dieci anni non si era curata di rappresentarlo.<br />

Nessun uomo politico osò prendere il posto di Salandra. Lo stesso Giolitti, dopo avere<br />

provocato la crisi, si rese conto che <strong>in</strong> quel momento non era possibi<strong>le</strong> per lui<br />

diventare presidente <strong>del</strong> Consiglio. Salandra e Sonn<strong>in</strong>o rimasero al potere. Quando il<br />

20 maggio il gab<strong>in</strong>etto presentò alla Camera la proposta <strong>del</strong>la dichiarazione di guerra,<br />

non più di 76 deputati, di cui 41 erano socialisti, furono abbastanza decisi da votare<br />

contro. Votarono a favore 407 deputati, ma tra questi non più di un cent<strong>in</strong>aio<br />

accettavano risolutamente la guerra come una necessità che si doveva affrontare con<br />

fortezza. Tutti gli altri si sottomisero vilmente alla volontà <strong>del</strong> potere esecutivo.<br />

Nel maggio <strong>del</strong> 1915, per la prima volta nella vita pubblica italiana, si vide la<br />

'anomalia' di una manifestazione pseudo-rivoluzionaria favorita e pers<strong>in</strong>o provocata<br />

dagli uom<strong>in</strong>i che erano al potere per forzare la mano al Parlamento. Nel maggio <strong>del</strong><br />

1915, Salandra e Sonn<strong>in</strong>o <strong>in</strong>sieme ai gruppi '<strong>in</strong>terventisti' fecero un vero e proprio<br />

colpo di stato contro la maggioranza parlamentare. L'Italia faceva la prova per<br />

quell'altro colpo di stato <strong>del</strong>l'ottobre 1922 che doveva essere la marcia su Roma.<br />

I governi di Francia e d'Inghilterra erano entrati <strong>in</strong> guerra col consenso unanime, o<br />

quasi unanime, dei loro popoli. L'Italia non fece mai l'esperienza di una 'union sacrée.'<br />

La divisione tra 'neutralisti' e '<strong>in</strong>terventisti' era <strong>in</strong>evitabi<strong>le</strong> al term<strong>in</strong>e di nove mesi di<br />

discussioni a proposito di una guerra che non poteva essere presentata al popolo<br />

come una guerra difensiva. Salandra e Sonn<strong>in</strong>o peggiorarono <strong>le</strong> cose tenendo per tutti<br />

quei mesi il paese <strong>in</strong> uno stato febbri<strong>le</strong> e tormentoso di ignoranza e di <strong>in</strong>certezza. Agli<br />

errori di Salandra e di Sonn<strong>in</strong>o, Giolitti aggiunse l'ulteriore sbaglio madorna<strong>le</strong> di<br />

rifiutare il suo consenso ad una guerra che lui stesso si era adoperato a rendere<br />

<strong>in</strong>evitabi<strong>le</strong>, approvando i negoziati con l'Austria. Tutti questi errori condussero al colpo<br />

di stato, che <strong>in</strong>fettò l'atmosfera italiana con il ve<strong>le</strong>no <strong>del</strong>la guerra civi<strong>le</strong>.<br />

OSSERVAZIONI AL CAPITOLO SESTO.<br />

1 (1).<br />

Sulla orig<strong>in</strong>e dei fondi, che permisero a Mussol<strong>in</strong>i di <strong>in</strong>iziare e di tirare avanti la<br />

pubblicazione <strong>del</strong> suo quotidiano, abbiamo due gruppi di testimonianze: a)<br />

testimonianze desunte da fonti francesi, e b) testimonianze desunte da fonti italiane.


a) Fonti francesi.<br />

1) In un libro di ricordi di un diplomatico italiano fede<strong>le</strong> a Mussol<strong>in</strong>i, Danie<strong>le</strong> Varé, alla<br />

data <strong>del</strong> 19 novembre 1922, si <strong>le</strong>gge quanto segue:<br />

«Mantoux mi raccontò una storia che aveva udita su Mussol<strong>in</strong>i ieri da Julien Louchaire,<br />

già m<strong>in</strong>istro per la Pubblica Istruzione nel gab<strong>in</strong>etto Ribot e direttore <strong>del</strong>l'Istituto<br />

francese di Firenze. (...) Eccola qua<strong>le</strong> fu raccontata da Louchaire a Mantoux:<br />

Sui primi <strong>del</strong> 1915, il giorna<strong>le</strong> di Mussol<strong>in</strong>i di recente fondazione, "Il Popolo d'Italia",<br />

faceva pressione perché l'Italia abbandonasse la neutralità, e predicava la necessità<br />

<strong>del</strong>l'<strong>in</strong>tervento a fianco degli Al<strong>le</strong>ati. In quel tempo il governo francese mandò <strong>in</strong> Italia<br />

una missione a scopo di propaganda. (...) Dato che il "Popolo d'Italia" faceva già la<br />

migliore propaganda possibi<strong>le</strong> a favore degli Al<strong>le</strong>ati, i membri <strong>del</strong>la missione francese,<br />

avendo appreso che il giorna<strong>le</strong> aveva bisogno di fondi per tirare avanti, andarono dal<br />

direttore-proprietario e gli offrirono di contribuire. Mussol<strong>in</strong>i accettò l'offerta, e gli fu<br />

consegnata una somma per sostenere la nuova impresa giornalistica. Non ricordo<br />

l'entità <strong>del</strong>la somma. Vogliamo dire centomila lire, o forse di più? Questi fondi furono<br />

debitamente usati per lo scopo, per il qua<strong>le</strong> erano stati offerti, e nessuno <strong>in</strong> Francia<br />

pensò più a quella faccenda. Ma un anno più tardi, molto tempo dopo che l'Italia era<br />

entrata <strong>in</strong> guerra, un assegno di centomila lire (o qua<strong>le</strong> che fosse la somma) con<br />

firma di Mussol<strong>in</strong>i, fu restituito ai donatori con molte espressioni di gratitud<strong>in</strong>e per il<br />

'temporaneo prestito.' La cosa fu raccontata al presidente <strong>del</strong> Consiglio Ribot, il qua<strong>le</strong><br />

non riusciva a crederlo. Chi mai "presta" denaro ad un giorna<strong>le</strong>? In tutta la storia <strong>del</strong><br />

giornalismo non è mai accaduto che una somma, spontaneamente offerta per uno<br />

scopo specifico e adoperata con successo per quello scopo, sia stata restituita a chi<br />

l'aveva data. A quel tempo Mussol<strong>in</strong>i era sconosciuto fuori d'Italia, e non era ancora<br />

diventato quello che fu più tardi. E' segno di grande <strong>in</strong>dipendenza di carattere <strong>in</strong> lui<br />

non essere rimasto obbligato verso un governo straniero e non dover ammettere che<br />

si dicesse che era 'f<strong>in</strong>anziato' da stranieri.<br />

Mantoux mi disse che questa storia gli aveva fatto una grande impressione» (2).<br />

Monsieur Julien Luchaire (non Louchaire) non fu mai m<strong>in</strong>istro <strong>in</strong> alcun gab<strong>in</strong>etto<br />

francese. Monsieur Mantoux, il noto storico che fece da <strong>in</strong>terprete alla Conferenza<br />

<strong>del</strong>la Pace nel 1919, non può aver detto che Luchaire è mai stato m<strong>in</strong>istro per la<br />

Pubblica Istruzione <strong>in</strong> un gab<strong>in</strong>etto francese. Molto probabilmente Varé non ricordava<br />

esattamente <strong>le</strong> paro<strong>le</strong> di Mantoux. Nel 1914-15, Luchaire era direttore <strong>del</strong>l'Istituto<br />

francese a Milano. Egli può aver agito solamente come <strong>in</strong>termediario tra la missione<br />

francese e Mussol<strong>in</strong>i.<br />

Quanto alla restituzione <strong>del</strong> denaro ai 'donatori,' la cosa sembra improbabi<strong>le</strong>, almeno<br />

nel 1916. A quel tempo Mussol<strong>in</strong>i non era <strong>in</strong> grado di dare diciamo pure centomila<br />

franchi.<br />

Sia come sia, rimane il fatto che nel novembre <strong>del</strong> 19222 Varé non aveva nessuna<br />

ragione di <strong>in</strong>ventare la sua conversazione con Mantoux, né Mantoux aveva nessuna<br />

ragione di <strong>in</strong>ventare la storia raccontatagli da Luchaire, né Luchaire aveva nessuna<br />

ragione per <strong>in</strong>ventare la storia <strong>del</strong> denaro francese accettato da Mussol<strong>in</strong>i nel 1915.<br />

Nel novembre <strong>del</strong> 1922, <strong>in</strong> vista <strong>del</strong>la occupazione <strong>del</strong>la Ruhr, il m<strong>in</strong>istero degli Esteri<br />

francese aveva estremo bisogno <strong>del</strong>l'aiuto di Mussol<strong>in</strong>i contro il Foreign Office <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se.<br />

I francesi vo<strong>le</strong>vano fare cosa gradita a Mussol<strong>in</strong>i. Molto probabilmente questo spiega<br />

perché, proprio <strong>in</strong> quel momento, Luchaire accreditò a Mussol<strong>in</strong>i questo atto di<br />

eroismo f<strong>in</strong>anziario, che non ha precedenti né possibili paral<strong>le</strong>li tra i giornalisti<br />

francesi. In tal modo l'affermazione di Luchaire circa il denaro accettato da Mussol<strong>in</strong>i<br />

nel 1915 deve essere accettata come una prova fornita da un testimone che era <strong>in</strong>


una posizione ta<strong>le</strong> da essere bene al corrente, e non aveva nessuna ragione di<br />

<strong>in</strong>gannare Mantoux.<br />

Stabilito questo fatto fondamenta<strong>le</strong>, altre testimonianze che altrimenti rimarrebbero<br />

ambigue acquistano un altro significato.<br />

2) Nel marzo 1925, nel corso di un processo politico davanti al<strong>le</strong> Assise di Parigi, il<br />

pubblico m<strong>in</strong>istero esortò i giurati a non dimenticare che l'Italia era entrata <strong>in</strong> guerra<br />

a fianco <strong>del</strong>la Francia grazie agli 'sforzi dis<strong>in</strong>teressati' di Mussol<strong>in</strong>i. Maître Torrès,<br />

avvocato <strong>del</strong>la parte antifascista, 'so<strong>le</strong>nnemente' ribatté che Mussol<strong>in</strong>i si era<br />

commosso per <strong>le</strong> sorti <strong>del</strong>la Francia solo dopo avere <strong>in</strong>tascato <strong>le</strong> somme dest<strong>in</strong>ate a<br />

comprarlo. Né il pubblico m<strong>in</strong>istero né l'avvocato <strong>del</strong>la parte fascista osarono<br />

soffermarsi più su questo punto. Fuori <strong>del</strong>la corte, Maître Torrès dette maggiori<br />

particolari:<br />

«Ci fu un momento, proprio al pr<strong>in</strong>cipio <strong>del</strong>la guerra, quando il partito socialista<br />

italiano era unanime contro l'<strong>in</strong>tervento <strong>del</strong>l'Italia. Il governo francese era<br />

preoccupato, e prese <strong>in</strong> considerazione la cosa <strong>in</strong> una seduta <strong>del</strong> gab<strong>in</strong>etto. Fu<br />

esam<strong>in</strong>ata la questione se fosse possibi<strong>le</strong> convertire qualche socialista alla causa <strong>del</strong>la<br />

guerra: una possibilità f<strong>in</strong>anziaria. Fu fatto il nome di Mussol<strong>in</strong>i. Il primo pagamento<br />

fu di 15000 franchi, e dopo gli furono accordati 10000 franchi al mese. Chi dava il<br />

denaro era il segretario di Guèsde, Dumas. Fu allora che nacque "Il Popolo d'Italia",<br />

per sostenere l'<strong>in</strong>tervento immediato. Questa è la storia esatta, che nessuno oserà<br />

smentire per paura di documenti più schiaccianti» (3).<br />

3) Il 9 novembre 1926, il deputato francese Renau<strong>del</strong> scrisse nel "Quotidien": 'Molti di<br />

noi ricordano che i primi numeri <strong>del</strong> "Popolo d'Italia" furono pubblicati con l'aiuto <strong>del</strong><br />

denaro francese. Marcel Cach<strong>in</strong> sa tutto ciò, ma non gli piace che se ne parli.' Marcel<br />

Cach<strong>in</strong>, che nel 1926 era un deputato comunista, era stato membro socialista <strong>del</strong>la<br />

'union sacrée' durante la guerra 1914-18, e si era recato diverse volte <strong>in</strong> Italia <strong>in</strong><br />

missioni semi-ufficiali.<br />

4) Il 9 gennaio 1928, il deputato francese Paul Faure scrisse nel Populaire: 'Un giorno<br />

Ju<strong>le</strong>s Guèsde, allora m<strong>in</strong>istro di stato, mi confidò che avevamo laggiù un uomo che<br />

era dei nostri: Mussol<strong>in</strong>i. Gli avevamo mandato un primo pagamento di centomila<br />

franchi per lanciare il suo giorna<strong>le</strong>. Non posso dire esattamente chi abbia portato il<br />

denaro; ma Cach<strong>in</strong>, se vuo<strong>le</strong>, può <strong>in</strong>formarne i <strong>le</strong>ttori <strong>del</strong>l'"Humanité"; egli era allora<br />

<strong>in</strong> Italia per <strong>in</strong>contrarsi con Mussol<strong>in</strong>i per conto <strong>del</strong> governo francese.' Le cifre date da<br />

Maître Torrès non corrispondono con quel<strong>le</strong> date da Faure; ma dopo diciotto anni un<br />

errore di memoria da parte di Faure è <strong>del</strong> tutto possibi<strong>le</strong>, mentre <strong>le</strong> affermazioni di<br />

Maître Torrès si basavano su documenti. In ogni modo, Cach<strong>in</strong> mantenne un ost<strong>in</strong>ato<br />

si<strong>le</strong>nzio.<br />

A differenza di Luchaire, Torrès, Renau<strong>del</strong> e Faure non erano testimoni di prima<br />

mano. Essi appartenevano a gruppi francesi antifascisti di s<strong>in</strong>istra, e ripetevano ciò<br />

che si diceva tra gli uom<strong>in</strong>i politici francesi. Se non esistesse l'affermazione di<br />

Luchaire, si potrebbe sospettare che i francesi calunniassero Mussol<strong>in</strong>i. Rimane<br />

tuttavia il fatto che Cach<strong>in</strong> non aprì mai bocca, mentre come deputato comunista<br />

sarebbe stato ben contento di essere <strong>in</strong> grado di protestare smentendo di essere mai<br />

stato <strong>in</strong>termediario tra il governo francese 'b<strong>org</strong>hese' e Mussol<strong>in</strong>i. Il si<strong>le</strong>nzio di Cach<strong>in</strong><br />

ha maggior valore <strong>del</strong><strong>le</strong> paro<strong>le</strong> di Torrès, Renau<strong>del</strong> e Faure.<br />

b) Fonti italiane.<br />

1) Il 3 maggio 1919, un settimana<strong>le</strong> milanese, "L'Italia <strong>del</strong> Popolo", affermò che<br />

Mussol<strong>in</strong>i aveva "riscosso 'chêques" patriottici dal governo francese,' e lo sfidò a dar<br />

querela per diffamazione: 'abbiamo <strong>le</strong> prove di quanto fu scritto e detto.' Mussol<strong>in</strong>i<br />

ignorò la sfida. Questo fatto è altrettanto significativo <strong>del</strong> si<strong>le</strong>nzio di Cach<strong>in</strong>.


2) Nel 1926, Massimo Rocca, (4) allora profugo a Parigi, pubblicò quanto segue nel<br />

numero di giugno <strong>del</strong>la rivista "Nuovo Paese":<br />

«Allora (ai primi di settembre <strong>del</strong> 1914) Mussol<strong>in</strong>i si abboccò con Filippo Naldi,<br />

direttore <strong>del</strong> quotidiano bolognese "Il Resto <strong>del</strong> Carl<strong>in</strong>o", e gli promise di voltare<br />

gabbana se Naldi gli avesse procurato un altro giorna<strong>le</strong>. Ottenutane la promessa,<br />

scrisse sull'"Avanti!" un articolo <strong>in</strong> cui affermava che la neutralità non avrebbe dovuto<br />

essere assoluta, ma solo un primo passo verso l'<strong>in</strong>tervento. Naturalmente i suoi<br />

compagni di redazione lo sconfessarono. Tuttavia, egli rimase ancora direttore<br />

<strong>del</strong>l'"Avanti!" per due settimane, e nel frattempo preparava con Naldi, mediante un<br />

primo sussidio francese, il f<strong>in</strong>anziamento <strong>del</strong> "Popolo d'Italia", stabi<strong>le</strong>ndo che egli,<br />

Mussol<strong>in</strong>i, ne sarebbe stato direttore e proprietario. Raggiunto lo scopo, egli si<br />

dimetteva da direttore <strong>del</strong>l'"Avanti!" (...) Poi si recava a G<strong>in</strong>evra a riscuotere i primi<br />

fondi» (5).<br />

Nel 1926, anche Naldi viveva <strong>in</strong> esilio a Parigi, e non contraddisse la versione di<br />

Rocca. Ma tanto Rocca che Naldi appartenevano al gruppo di quei fascisti dissidenti<br />

che avevano lasciato l'Italia nel' 1924, il "Nuovo Paese" era pubblicato allo scopo di<br />

ricattare Mussol<strong>in</strong>i, e prima o poi i suoi direttori f<strong>in</strong>irono col far la pace con lui e agire<br />

<strong>in</strong> Francia come spie fasciste. Naldi, che nel 1926 non aveva contraddetto la versione<br />

di Rocca, era persona poco accreditata, implicato <strong>in</strong> affari non chiari. Nel novembre<br />

<strong>del</strong> 1914 aveva dichiarato: 'Per quel che so io l'oro francese è <strong>in</strong>trovabi<strong>le</strong> nella<br />

amm<strong>in</strong>istrazione mussol<strong>in</strong>iana.' (6) Qu<strong>in</strong>di, la testimonianza di Rocca deve essere<br />

tenuta <strong>in</strong> sospeso, f<strong>in</strong>ché non sia convalidata da prove più attendibili.<br />

3) Nel 1928, al<strong>le</strong> pag<strong>in</strong>e 38-39 <strong>del</strong>la sua "Pseudo-Autobiography" Mussol<strong>in</strong>i così<br />

spiegò l'orig<strong>in</strong>e <strong>del</strong> "Popolo d'Italia":<br />

«Avevo bisogno di un quotidiano. (...) Dove si tratta soltanto di denaro, io sono<br />

tutt'altro che un mago. Quando mi trovo di fronte al prob<strong>le</strong>ma di procurarmi i mezzi,<br />

un capita<strong>le</strong> per eseguire un progetto, o il modo di f<strong>in</strong>anziare un giorna<strong>le</strong>, afferro<br />

soltanto il lato più astratto, il valore politico, l'essenza spiritua<strong>le</strong> <strong>del</strong>la cosa. Per me il<br />

denaro è detestabi<strong>le</strong>. Ciò che esso può fare è qualche volta bello, e qualche, volta<br />

nobi<strong>le</strong>.»<br />

Si tratta di una ammissione, o almeno di una mezza ammissione.<br />

4) Nel 1930, Alceste De Ambris, un s<strong>in</strong>dacalista rivoluzionario che nel 1914-15 aveva<br />

combattuto accanto a Mussol<strong>in</strong>i, mentre si trovava profugo <strong>in</strong> Francia scrisse quanto<br />

segue:<br />

«La maggior parte <strong>del</strong>la gente trova Mussol<strong>in</strong>i abom<strong>in</strong>evo<strong>le</strong> perché accettò denaro dal<br />

governo francese per fondare il "Popolo d'Italia". Ma il lato abom<strong>in</strong>evo<strong>le</strong> <strong>del</strong>la cosa<br />

non è questo. Se Mussol<strong>in</strong>i fosse stato <strong>in</strong>terventista s<strong>in</strong> dal pr<strong>in</strong>cipio, o se fosse<br />

diventato <strong>in</strong>terventista più tardi senza calcolo persona<strong>le</strong>, noi non lo qualificheremmo<br />

colpevo<strong>le</strong> per aver accettato <strong>in</strong> seguito quel denaro. Quando uno segue la strada che<br />

la sua coscienza gli detta, può anche accettare un aiuto offertogli e che lo aiuti a<br />

perseguire e a raggiungere il suo scopo. La profonda, radica<strong>le</strong> e imperdonabi<strong>le</strong><br />

immoralità di Mussol<strong>in</strong>i consiste nel fatto che egli deviò dalla sua strada<br />

<strong>in</strong>camm<strong>in</strong>andosi nel senso opposto per ottenere un vantaggio persona<strong>le</strong>» (7).<br />

De Ambris si basa sulla versione di Rocca. Poiché là testimonianza di Rocca non può<br />

essere accettata, anche <strong>le</strong> affermazioni di De Ambris diventano prive di autorità.<br />

5) Nel 1938, un altro profugo antifascista, Roberto Marvasi, raccontò (8) che nel<br />

marzo <strong>del</strong> 1915 due amici e collaboratori di Mussol<strong>in</strong>i, uno dei quali era Alceste de


Ambris, si recarono a Parigi. Luigi Campolonghi, un giornalista italiano <strong>in</strong> stretto<br />

contatto con gli ambienti francesi e che conosceva molti retroscena, confidò loro che<br />

due fra i capi <strong>del</strong> movimento italiano <strong>in</strong> favore <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>tervento contro <strong>le</strong> potenze<br />

centrali erano pagati dal governo francese. In una conversazione con <strong>le</strong> due persone<br />

<strong>in</strong> questione, De Ambris poté accertare che la cosa era vera. De Ambris, Campolonghi<br />

e il terzo amico decisero di presentare una protesta al m<strong>in</strong>istro Guèsde. Guèsde<br />

ascoltò la protesta, dopo di che chiamò il suo capo di gab<strong>in</strong>etto, Dumas, si fece<br />

portare un pacco di biglietti da mil<strong>le</strong>, e lo consegnò a De Ambris perché lo portasse a<br />

Mussol<strong>in</strong>i: 'Questa,' disse, 'è una rimessa persona<strong>le</strong> da parte dei compagni francesi.<br />

Non è il caso di preoccuparsene.' II denaro non venne rifiutato.<br />

Leggendo questo resoconto, chi scrive mandò una <strong>le</strong>ttera a Campolonghi, per<br />

chiedere se potesse o no dare una conferma. Campolonghi rispose <strong>in</strong> data 8 agosto<br />

1938, che 'l'episodio riferito da Marvasi era vero.' L'altro amico di Mussol<strong>in</strong>i che si era<br />

recato a Parigi dall'Italia era un repubblicano, D<strong>in</strong>o Roberto.<br />

«De Ambris e Roberto furono colti talmente di sorpresa che non ebbero il tempo di<br />

rifiutare l'<strong>in</strong>carico proposto da Guèsde. Forse, avendo scoperto l'orig<strong>in</strong>e dei fondi che<br />

alimentavano il "Popolo d'Italia", non avrebbero dovuto più collaborare a quel<br />

giorna<strong>le</strong>. Io non lo feci, e mi rifiutai fermamente di pubblicarvi anche una sola riga» (8<br />

bis).<br />

Nella sua <strong>le</strong>ttera Campolonghi non aggiunse, forse perché è cosa ovvia, che il fatto fu<br />

tenuto segreto per non provocare uno scandalo che avrebbe screditato il movimento<br />

<strong>in</strong>terventista.<br />

Nel 1938, Roberto era stato mandato al conf<strong>in</strong>o <strong>in</strong> un'isola, e De Ambris era morto.<br />

Qu<strong>in</strong>di non c'era modo di controllare con la loro testimonianza il resoconto di Marvasi<br />

e di Campolonghi. Non c'è nessuna ragione di sospettare che Campolonghi o Marvasi<br />

si siano <strong>in</strong>ventati i fatti; tuttavia essi furono resi noti da Marvasi solo dopo la morte di<br />

De Ambris. Sarebbe qu<strong>in</strong>di prudente non tenere <strong>in</strong> troppo conto questa fonte, se non<br />

altro per il fatto che dopo tanti anni è probabi<strong>le</strong> che alcuni particolari siano stati falsati<br />

e non siano sicuri.<br />

In conclusione, il si<strong>le</strong>nzio di Mussol<strong>in</strong>i nel 1919, la dichiarazione di Luchaire nel 1922,<br />

il si<strong>le</strong>nzio di Cach<strong>in</strong> nel 1926 e nel 1928, la mezza ammissione <strong>del</strong> fratello di Mussol<strong>in</strong>i<br />

nella "PseudoAntobiography", forniscono motivi sicuri per confermare <strong>le</strong> affermazioni<br />

di Torrès, Renau<strong>del</strong> e Faure.<br />

La signora Sarfatti, scrivendo "Dux", sapeva che Mussol<strong>in</strong>i era sospettato di avere<br />

ricevuto 'oro francese.' Ma essa allontanò ogni sospetto con la motivazione che il<br />

giorna<strong>le</strong> fu fondato grazie ad un accordo di pubblicità, e quattromila lire a prestito su<br />

cambia<strong>le</strong>, e che la redazione <strong>del</strong> giorna<strong>le</strong> consisteva <strong>in</strong> due bugigattoli con quattro<br />

sedie. Su tali basi essa, nel 1914, si era formata la sua 'conv<strong>in</strong>zione sicura come un<br />

ist<strong>in</strong>to.' (9) La Sarfatti non si rende conto che quattromila lire non sarebbero bastate<br />

neppure a pagare la carta necessaria per il primo numero <strong>del</strong> giorna<strong>le</strong>, che nessuna<br />

agenzia di pubblicità avrebbe rischiato il suo denaro <strong>in</strong> un giorna<strong>le</strong> che doveva ancora<br />

uscire, e che il giorna<strong>le</strong> di Mussol<strong>in</strong>i non poteva avere una base lussuosa, se si vo<strong>le</strong>va<br />

evitare che aumentasse il numero di coloro, i quali chiedevano: 'Chi paga?'<br />

L'unico e<strong>le</strong>mento ri<strong>le</strong>vante nella 'conv<strong>in</strong>zione' <strong>del</strong>la signora Sarfatti è che nel febbraio<br />

<strong>del</strong> 1915 una commissione d'<strong>in</strong>chiesta sulla orig<strong>in</strong>e dei fondi di Mussol<strong>in</strong>i arrivò alla<br />

conclusione che il giorna<strong>le</strong> di Mussol<strong>in</strong>i era stato reso possibi<strong>le</strong> da un contratto con<br />

una agenzia di pubblicità, e che quando l'agenzia non fu più disposta a sostenere il<br />

giorna<strong>le</strong>, arrivarono <strong>in</strong> aiuto alcuni 'parenti ed amici,' tutti favorevoli all'<strong>in</strong>tervento<br />

<strong>del</strong>l'Italia <strong>in</strong> guerra (10). La commissione sarebbe arrivata a conclusioni diverse se<br />

avesse avuto sott'occhio <strong>le</strong> notizie venute alla luce più tardi dal<strong>le</strong> paro<strong>le</strong> di Luchaire e<br />

dal si<strong>le</strong>nzio di Cach<strong>in</strong>.


De Begnac non ha dubbi sul fatto che l'orig<strong>in</strong>e f<strong>in</strong>anziaria <strong>del</strong> giorna<strong>le</strong> di Mussol<strong>in</strong>i sia<br />

stata 'purissima,' (11) e mentre dedica un cent<strong>in</strong>aio di pag<strong>in</strong>e a descrivere <strong>le</strong> glorie<br />

<strong>del</strong> suo eroe durante l'estate e l'autunno <strong>del</strong> 1914, si libera e<strong>le</strong>gantemente di questa<br />

faccenda dando <strong>in</strong> appendice la relazione <strong>del</strong>la commissione <strong>del</strong> febbraio 1915. La<br />

sola tattica che De Begnac poteva seguire con qualche decenza <strong>in</strong> questo tentativo<br />

disperato era di passar sopra alla questione con la maggior fretta possibi<strong>le</strong>.<br />

2.<br />

Per farsi un'idea <strong>del</strong><strong>le</strong> falsificazioni che sono state elaborate e messe <strong>in</strong> circolazione<br />

sulla carriera politica di Mussol<strong>in</strong>i, si ricorderanno alcuni esempi.<br />

1) Luigi Villari, parlando nel 1924 <strong>del</strong>la vita di Mussol<strong>in</strong>i prima <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>tervento italiano<br />

nella grande guerra, si guarda bene dal dire che s<strong>in</strong>o al 1914 Mussol<strong>in</strong>i era stato un<br />

furioso sostenitore di quella teoria per la qua<strong>le</strong> la difesa naziona<strong>le</strong> non è cosa che<br />

riguardi il pro<strong>le</strong>tariato. Villari si contentò di dire che 'dal momento <strong>del</strong>lo scoppio <strong>del</strong>la<br />

guerra, Mussol<strong>in</strong>i comprese ist<strong>in</strong>tivamente la necessità <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>tervento italiano, e <strong>in</strong><br />

questa sua conv<strong>in</strong>zione non ebbe mai <strong>in</strong>certezze' (12).<br />

La verità è che Mussol<strong>in</strong>i predicò la neutralità durante l'agosto e il settembre <strong>del</strong><br />

1914. Fu solo con il 18 ottobre che com<strong>in</strong>ciò a predicare l'<strong>in</strong>tervento.<br />

2) Nell'agosto <strong>del</strong> 1914, il <strong>le</strong>ader socialista <strong>del</strong> Trent<strong>in</strong>o, annesso all'Impero austriaco,<br />

fuggì <strong>in</strong> Italia, e si unì alla campagna per l'<strong>in</strong>tervento <strong>del</strong>l'Italia <strong>in</strong> guerra contro <strong>le</strong><br />

potenze centrali. (Quando venne dichiarata la guerra si arruolò volontario, e nel 1916<br />

venne fatto prigioniero dagli austriaci e impiccato.) Il quotidiano socialista "Avanti!",<br />

di cui Mussol<strong>in</strong>i era il direttore, <strong>in</strong> una corrispondenza da Roma mise <strong>in</strong> bur<strong>le</strong>tta una<br />

eventua<strong>le</strong> guerra 'per liberare coloro che non hanno assolutamente alcun desiderio di<br />

staccarsi dall'Austria.' (13) Battisti <strong>in</strong>viò a Mussol<strong>in</strong>i una <strong>le</strong>ttera di protesta contro ta<strong>le</strong><br />

affermazione.<br />

Nel 1909, Mussol<strong>in</strong>i per un certo tempo aveva lavorato a Trento sotto Battisti ed era<br />

rimasto con lui <strong>in</strong> rapporti di amicizia; non poteva qu<strong>in</strong>di rifiutarsi di pubblicare la sua<br />

protesta, che apparve nel numero <strong>del</strong>l'"Avanti!" <strong>del</strong> 14 settembre. Ma mentre Battisti<br />

aveva <strong>in</strong>titolato la sua <strong>le</strong>ttera 'Non bestemmiare,' Mussol<strong>in</strong>i scelse il titolo neutra<strong>le</strong> di<br />

'Trent<strong>in</strong>i e Trent<strong>in</strong>o,' e privò <strong>in</strong>oltre la <strong>le</strong>ttera <strong>del</strong> suo ultimo periodo, che diceva:<br />

«Se l'Italia non può ricordarsi di noi, irredenti, sia! Se l'operare per la nostra<br />

redenzione dovesse recar<strong>le</strong> rov<strong>in</strong>a, noi subiremo ancora il servaggio. Sia tutto questo!<br />

Dimenticateci, se vo<strong>le</strong>te, ma non dite che noi non vogliamo staccarci dall'Austria. E'<br />

un'offesa. E' una bestemmia!» (14).<br />

La <strong>le</strong>ttera di Battisti, così mutilata, veniva presentata con <strong>le</strong> seguenti paro<strong>le</strong>:<br />

«Non possiamo negar ospitalità a questa <strong>le</strong>ttera che un compagno ed amico carissimo<br />

di Trento, attualmente profugo <strong>in</strong> Italia, ci ha mandato per rettificare una<br />

affermazione contenuta <strong>in</strong> una <strong>del</strong><strong>le</strong> nostre note da Roma» (14 bis).<br />

Nel De Begnac si <strong>le</strong>gge soltanto: 'I neutralisti (...) combattono ogni sorta<br />

d'irredentismo. Arrivano a dire che nel Trent<strong>in</strong>o si desidera il mantenimento <strong>del</strong><br />

dom<strong>in</strong>io absburgico.' (15) Non si dice che i neutralisti sono il corrispondente da Roma<br />

<strong>del</strong>l'"Avanti!" e lo stesso Mussol<strong>in</strong>i. Poi si trova il periodo f<strong>in</strong>a<strong>le</strong> <strong>del</strong>la <strong>le</strong>ttera di Battisti,<br />

ma non viene detto che Mussol<strong>in</strong>i lo aveva soppresso.<br />

3) In un articolo di Umberto Morelli, 'Mussol<strong>in</strong>i: a patriotic socialist,' pubblicato nella<br />

"English Review", (16) si <strong>le</strong>gge:<br />

«Al pr<strong>in</strong>cipio <strong>del</strong>la guerra, tutti gli sforzi di Mussol<strong>in</strong>i si concentrarono contro i<br />

nazionalisti, <strong>in</strong>cl<strong>in</strong>i a favorire un conflitto con la Francia, paralizzando <strong>le</strong> loro


macch<strong>in</strong>azioni; e dopo essere riuscito a costr<strong>in</strong>gere l'Italia a rimanere neutra<strong>le</strong>, si<br />

mise immediatamente all'opera <strong>in</strong> favore di una guerra di liberazione di Trento e<br />

Trieste.»<br />

Il fatto è che i nazionalisti, quando cercarono di sostenere l'<strong>in</strong>tervento a fianco <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

potenze centrali, non trovarono <strong>in</strong> Italia nessun seguito. Attribuire a Mussol<strong>in</strong>i una<br />

<strong>in</strong>fluenza decisiva sugli avvenimenti di quei giorni, è un gettar la polvere negli occhi<br />

dei <strong>le</strong>ttori. Mussol<strong>in</strong>i non fu che un piccolo <strong>in</strong>granaggio di una macch<strong>in</strong>a enorme.<br />

Il governo italiano dichiarò la neutralità il 2 agosto, mentre Mussol<strong>in</strong>i cont<strong>in</strong>uò a<br />

predicare non l'<strong>in</strong>tervento, ma la neutralità s<strong>in</strong>o all'ottobre <strong>del</strong> 1914. Non è vero,<br />

qu<strong>in</strong>di, che egli si sia messo 'immediatamente all'opera <strong>in</strong> favore di una guerra di<br />

liberazione di Trento e Trieste.'


CAPITOLO SETTIMO.<br />

MUSSOLINI E I 'FASCISTI DELLA PRIMA ORA'.<br />

Sia <strong>in</strong> Italia che all'estero era op<strong>in</strong>ione genera<strong>le</strong> che l'<strong>in</strong>tervento italiano <strong>in</strong> guerra<br />

avrebbe portato <strong>in</strong> breve alla sconfitta <strong>del</strong><strong>le</strong> potenze centrali e alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la guerra.<br />

Ciò sarebbe forse successo se gli eserciti italiano e rumeno fossero entrati <strong>in</strong> guerra<br />

nei primi mesi <strong>del</strong> 1915, quando l'esercito austriaco stava subendo dei rovesci sul<br />

fronte russo e su quello serbo. Ai primi di marzo, l'idea che l'Italia e la Rumania<br />

attaccassero l'Austria <strong>in</strong> quel preciso momento sol<strong>le</strong>vò ondate di panico tra gli uom<strong>in</strong>i<br />

al potere a Vienna e a Budapest. Alla f<strong>in</strong>e di maggio, quando l'Italia entrò <strong>in</strong> guerra<br />

senza che la Rumania si muovesse, <strong>le</strong> armate russe erano già state messe fuori<br />

combattimento nella cosiddetta battaglia di Gorlice. Di conseguenza l'alto comando<br />

austriaco poteva disporre adesso di larghe forze sui fronti italiano e serbo; <strong>in</strong>oltre<br />

l'alto comando italiano mostrò nel<strong>le</strong> operazioni militari una comp<strong>le</strong>ta mancanza di<br />

immag<strong>in</strong>azione e di capacità. Invece di durare pochi mesi, la guerra si trasc<strong>in</strong>ò per tre<br />

anni e mezzo.<br />

La maggioranza parlamentare, che nel maggio 1915 aveva votato la guerra con<br />

riluttanza, rimase passiva e come <strong>in</strong> <strong>le</strong>targo durante i primi mesi; ma via via che <strong>le</strong><br />

difficoltà si moltiplicarono, questi uom<strong>in</strong>i presero coraggio e com<strong>in</strong>ciarono a ripetere:<br />

'Ve lo avevamo detto'; contemporaneamente i deputati 'socialisti ufficiali' divennero<br />

con <strong>le</strong> loro critiche sempre più aggressivi. E <strong>le</strong> buone ragioni per criticare non<br />

mancavano di certo, per il modo <strong>in</strong>etto con cui la guerra veniva condotta e per l'opera<br />

<strong>in</strong>efficiente e priva di tatto <strong>del</strong>la amm<strong>in</strong>istrazione civi<strong>le</strong>.<br />

Per sostenere i gab<strong>in</strong>etti di guerra contro i vio<strong>le</strong>nti attacchi dei socialisti, tutti quei<br />

deputati che erano stati favorevoli all'<strong>in</strong>tervento o che lo avevano s<strong>in</strong>ceramente<br />

accettato dopo che questo era diventato <strong>in</strong>evitabi<strong>le</strong>, si raccolsero <strong>in</strong> un 'Fascio di<br />

Difesa Naziona<strong>le</strong>,' che andava dai nazionalisti <strong>del</strong>la estrema destra ai socialisti<br />

riformisti <strong>del</strong>la estrema s<strong>in</strong>istra; il gruppo non comprendeva più di 150 deputati,<br />

rivolti contro i socialisti ufficiali e contro i loro più o meno prudenti sostenitori. La<br />

Camera rimase sempre divisa tra una m<strong>in</strong>oranza ost<strong>in</strong>ata favorevo<strong>le</strong> alla guerra s<strong>in</strong>o<br />

<strong>in</strong> fondo, un'altra m<strong>in</strong>oranza ost<strong>in</strong>ata che vo<strong>le</strong>va la immediata cessazione <strong>del</strong>la guerra<br />

mediante 'una pace qualunque,' e una maggioranza fol<strong>le</strong> i cui membri non sapevano<br />

se desiderare la vittoria, la qua<strong>le</strong> avrebbe significato il loro fallimento politico, o un<br />

nulla di fatto che avrebbe mitigato i loro rancori. Votavano contro i socialisti ufficiali, o<br />

abbandonavano <strong>le</strong> sedute quando i socialisti ufficiali chiedevano la cessazione<br />

immediata <strong>del</strong>la guerra, ma nel<strong>le</strong> anticamere ripetevano il ben noto ritornello: 'Ve lo<br />

avevamo detto.'<br />

Nel paese, via via che la guerra andava avanti, i sacrifici che al fronte si richiedevano<br />

ai soldati, e a casa alla popolazione civi<strong>le</strong>, crescevano, e lo scontento diventava più<br />

diffuso e profondo. In Europa ta<strong>le</strong> fenomeno era comune a tutti i paesi <strong>in</strong> guerra. In<br />

Germania, <strong>in</strong> Austria, <strong>in</strong> Francia, <strong>in</strong> Inghilterra, così come <strong>in</strong> Italia, il numero degli<br />

scioperi era <strong>in</strong> aumento. In Germania i deputati socialisti, che si opponevano alla<br />

cont<strong>in</strong>uazione <strong>del</strong>la guerra e per un anno avevano combattuto contro la maggioranza<br />

dei loro col<strong>le</strong>ghi, si distaccarono nella primavera <strong>del</strong> 1917 formando un partito<br />

socialista <strong>in</strong>dipendente. In Italia il partito socialista non aveva bisogno di sc<strong>in</strong>dersi,<br />

perché sia la destra riformista che la s<strong>in</strong>istra rivoluzionaria erano state unite contro<br />

l'<strong>in</strong>tervento ed erano unite contro la cont<strong>in</strong>uazione <strong>del</strong>la guerra. F<strong>in</strong>ita la guerra,<br />

quando i soldati com<strong>in</strong>ciarono a essere smobilitati, essi se ne tornavano a casa pieni<br />

di amarezza per i maltrattamenti subiti dal<strong>le</strong> loro famiglie durante i tre anni e mezzo<br />

di guerra; e detestavano tutti gli alti papaveri gallonati e tutti quei politicanti che


avevano voluto la guerra o l'avevano votata nel maggio 1915 e avevano poi<br />

cont<strong>in</strong>uato a votare per la sua cont<strong>in</strong>uazione, anche se non l'avevano voluta.<br />

Durante la guerra gli uom<strong>in</strong>i politici si erano abbandonati a promesse eccessive di<br />

riforme sociali, economiche e politiche; un r<strong>in</strong>novamento nel tronco e nel<strong>le</strong> radici di<br />

tutta la vita naziona<strong>le</strong> avrebbe dovuto testimoniare <strong>del</strong>la gratitud<strong>in</strong>e che il paese<br />

sentiva per coloro che per esso avevano versato il loro sangue. Il 20 novembre 1918,<br />

lo stesso Salandra che aveva condotto l'Italia a dichiarare guerra all'Austria ebbe a<br />

dire: 'Oggi ancora autorevolmente è stato detto che la guerra è rivoluzione. Si,<br />

grande, santissima rivoluzione. (...) Nessuno pensi che passata la tempesta, sia<br />

possibi<strong>le</strong> un pacifico ritorno all'antico. (...) Nessuno pensi che possano più giovare <strong>le</strong><br />

antiche consuetud<strong>in</strong>i di vita pacifica.' (1) Quello stesso giorno, il presidente <strong>del</strong><br />

Consiglio, Orlando, che era stato a capo <strong>del</strong> paese nell'ultimo anno di guerra, <strong>in</strong> un<br />

discorso alla Camera esclamò con veemenza: 'Io ebbi già a dire <strong>in</strong> questa Camera che<br />

questa grande guerra era nel tempo stesso la più grande rivoluzione politica e socia<strong>le</strong><br />

che la storia ricordi, superando la stessa rivoluzione francese.' (2) Naturalmente<br />

nessuno di loro con la parola 'rivoluzione' <strong>in</strong>tendeva una rivolta armata dei partiti<br />

sovversivi contro il governo <strong>in</strong> carica; <strong>in</strong>tendevano soltanto un riassestamento di tutta<br />

la struttura socia<strong>le</strong> e politica mediante riforme basilari ma ottenute per vie <strong>le</strong>gali;<br />

quali dovessero essere queste riforme rivoluzionarie non lo avevano mai lasciato<br />

capire e forse non lo sapevano neppure loro. Dopo aver fatto i loro discorsi<br />

'rivoluzionari,' furono svelti a scordarseli. Le so<strong>le</strong> riforme di cui ebbero conoscenza i<br />

soldati che venivano smobilitati furono un taglio di stoffa con cui farsi una volta a casa<br />

un abito civi<strong>le</strong>, un buono di 250 lire, e niente altro. Ma i soldati non dimenticavano: i<br />

'signori,' dicevano, hanno ottenuto la sostanza dei profitti di guerra, e ai soldati<br />

soltanto l'ombra di vuote promesse.<br />

Nel 1919 <strong>in</strong> Italia c'erano tutte <strong>le</strong> condizioni per una riforma comp<strong>le</strong>ta <strong>del</strong>la struttura<br />

socia<strong>le</strong> ed economica, verso quella che oggi viene def<strong>in</strong>ita democrazia economica. I<br />

tre anni e mezzo di guerra avevano creato nel popolo italiano una mentalità nuova,<br />

che neppure mezzo secolo di propaganda socialista sarebbe stata capace di creare:<br />

una viva <strong>in</strong>tol<strong>le</strong>ranza <strong>del</strong><strong>le</strong> condizioni attuali, l'aspettativa certa di grandi cambiamenti<br />

e un desiderio bruciante di avere parte attiva nella costruzione di un mondo migliore.<br />

L'idea che il passato era morto e che non sarebbe risorto era accettata anche dai<br />

conservatori. Uom<strong>in</strong>i come Salandra e Orlando si sentivano <strong>in</strong>capaci di arg<strong>in</strong>are la<br />

corrente. Le riforme politiche e sociali si presentavano a portata di mano per chiunque<br />

avesse voluto far<strong>le</strong> proprie. Sarebbe stato possibi<strong>le</strong> applicar<strong>le</strong> nei confronti di quel<strong>le</strong><br />

<strong>in</strong>dustrie che durante la guerra si erano largamente ampliate ottenendo profitti<br />

eccessivi e spesso disonesti, e adesso avevano bisogno <strong>del</strong>l'aiuto <strong>del</strong> governo per<br />

sopravvivere alla crisi di trapasso dalla guerra alla pace. Sarebbe stato possibi<strong>le</strong><br />

trasferire il possesso <strong>del</strong>la terra da quei proprietari assenti a quegli affittuari o<br />

mezzadri che la coltivavano con il loro lavoro e con quello <strong>del</strong><strong>le</strong> loro famiglie. Sarebbe<br />

stato possibi<strong>le</strong> disporre un gigantesco piano di opere pubbliche per riparare <strong>le</strong><br />

distruzioni <strong>del</strong>la guerra, ri<strong>org</strong>anizzare <strong>le</strong> ferrovie, modernizzare <strong>le</strong> strade di grande<br />

comunicazione, riprendere ed allargare <strong>le</strong> opere di bonifica e mettere <strong>in</strong> atto un<br />

programma di costruzioni edilizie nei quartieri più miseri <strong>del</strong><strong>le</strong> grandi città. Sarebbe<br />

stato possibi<strong>le</strong> attuare <strong>le</strong> otto ore di lavoro, <strong>le</strong> pensioni per limite di età,<br />

l'assicurazione contro la disoccupazione e <strong>le</strong> malattie. Sarebbe stato possibi<strong>le</strong><br />

<strong>org</strong>anizzare una lotta più <strong>in</strong>tensa contro l'analfabetismo nel Mezzogiorno e applicare<br />

ovunque un nuovo sistema di istruzione per i figli dei lavoratori. Sarebbe stato<br />

possibi<strong>le</strong> mettere <strong>in</strong> pratica una politica estera basata sul buon senso, che, messi da<br />

parte i sogni di Orlando, di Sonn<strong>in</strong>o e dei nazionalisti, appoggiasse con s<strong>in</strong>cerità il<br />

presidente Wilson contro <strong>le</strong> manovre di Lloyd Ge<strong>org</strong>e e C<strong>le</strong>menceau alla Conferenza<br />

<strong>del</strong>la Pace, rendendo <strong>in</strong> tal modo possibi<strong>le</strong> una riduzione radica<strong>le</strong> <strong>del</strong><strong>le</strong> spese militari


<strong>in</strong> un mondo pacificato. Qualsiasi partito o coalizione di partiti che avesse adottato un<br />

simi<strong>le</strong> programma non avrebbe trovato resistenza nel corso <strong>del</strong> suo camm<strong>in</strong>o.<br />

L'Italia era nata tra il 1859 e il 1870 sotto un regime oligarchico. Nel 1882 era<br />

passata a un regime e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> <strong>in</strong> cui preva<strong>le</strong>vano <strong>le</strong> classi medie e la parte più bassa<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> classi medie. Nel 1912 <strong>le</strong> era stato fatto dono di un regime <strong>in</strong> cui, grazie al<br />

suffragio quasi universa<strong>le</strong>, <strong>le</strong>galmente predom<strong>in</strong>avano <strong>le</strong> classi lavoratrici. Nel 1919 il<br />

diritto di voto divenne universa<strong>le</strong> senza limite alcuno, perché la <strong>le</strong>gge <strong>del</strong> 1912<br />

concedeva il diritto e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> a chiunque avesse fatto il servizio militare, e dal 1915 al<br />

1918 tutti <strong>in</strong> Italia avevano fatto il servizio militare. Nel<strong>le</strong> mani <strong>del</strong><strong>le</strong> classi lavoratrici<br />

il suffragio universa<strong>le</strong> avrebbe potuto servire come strumento per dei cambiamenti<br />

immediati di vasta portata, che c<strong>in</strong>que anni prima non si sarebbero potuti considerare<br />

tra <strong>le</strong> cose possibili. Chi avrebbe potuto capeggiare un ta<strong>le</strong> movimento 'rivoluzionario,'<br />

non nel senso di un rovesciamento vio<strong>le</strong>nto <strong>del</strong> regime esistente, ma nel senso di una<br />

sua comp<strong>le</strong>ta trasformazione?<br />

Alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1918, quando la vittoria aveva coronato <strong>le</strong> speranze di quei gruppi politici<br />

che avevano voluto la guerra e l'avevano sostenuta con decisione s<strong>in</strong>o alla f<strong>in</strong>e, i<br />

nazionalisti non videro più limite alcuno al<strong>le</strong> loro ambizioni.<br />

Nel dicembre 1918, due di essi, Alfredo Rocco e Francesco Coppola, annunciando la<br />

pubblicazione di una nuova rivista, "Politica", def<strong>in</strong>ivano <strong>le</strong> l<strong>in</strong>ee <strong>del</strong>la futura politica<br />

estera italiana nei seguenti term<strong>in</strong>i <strong>org</strong>iastici:<br />

«Tutto chiama l'Italia all'adempimento <strong>del</strong>la sua missione imperia<strong>le</strong>: la tradizione di<br />

Roma, di Venezia, di Genova; il genio politico <strong>del</strong>la stirpe, che l'ha fatta sempre<br />

maestra nell'arte di governare i popoli; la posizione geografica, che mentre la<br />

ricongiunge per terra all'Europa cont<strong>in</strong>enta<strong>le</strong>, <strong>le</strong> consente di dom<strong>in</strong>are, dal centro,<br />

tutto il bac<strong>in</strong>o <strong>del</strong> Mediterraneo, dove torna oggi a pulsare il cuore di tre cont<strong>in</strong>enti.<br />

Qui è il dovere, qui è la missione <strong>del</strong>l'Italia. Come dimostra la storia, tutte <strong>le</strong> volte che<br />

<strong>in</strong> questa penisola fata<strong>le</strong> è ritornata la vita, e si è costituita una unità etnica e politica,<br />

una potenza forte e <strong>org</strong>anizzata, la ferrea necessità <strong>del</strong><strong>le</strong> cose l'ha trasc<strong>in</strong>ata oltre i<br />

conf<strong>in</strong>i, verso quel mare dei tre cont<strong>in</strong>enti e verso <strong>le</strong> sponde che esso bagna, a cui la<br />

chiama una vocazione natura<strong>le</strong> e storica superiore ad ogni forza e ad ogni volontà<br />

contrastante» (3).<br />

I nazionalisti operavano d'accordo con il presidente <strong>del</strong> Consiglio Orlando, col m<strong>in</strong>istro<br />

degli Esteri Sonn<strong>in</strong>o, e con i capi <strong>del</strong>l'esercito e <strong>del</strong>la mar<strong>in</strong>a.<br />

Non appena la guerra fu f<strong>in</strong>ita, l'al<strong>le</strong>anza che era sorta durante la guerra tra costoro e<br />

i seguaci di Bissolati sparì per sempre. Durante la guerra, Bissolati - che era un uomo<br />

di c<strong>in</strong>quantotto anni, ma un valoroso alp<strong>in</strong>ista - si era arruolato volontario, era stato<br />

gravemente ferito, aveva fatto ritorno <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea dopo la guarigione, e si era meritato<br />

due medaglie al valore. Nel giugno <strong>del</strong> 1916, dopo <strong>le</strong> dimissioni di Salandra dalla<br />

presidenza <strong>del</strong> Consiglio, egli aveva accettato di far parte con Sonn<strong>in</strong>o di un gab<strong>in</strong>etto<br />

di unità naziona<strong>le</strong>, ma non aveva mai sottoscritto i progetti di pace di Sonn<strong>in</strong>o. F<strong>in</strong>ita<br />

la guerra, Bissolati riprese la sua libertà di azione, chiedendo che gli obbiettivi <strong>del</strong>la<br />

guerra italiana fossero def<strong>in</strong>iti da tutto il gab<strong>in</strong>etto, prima che gli <strong>in</strong>viati italiani si<br />

recassero alla Conferenza <strong>del</strong>la Pace. Egli era contrario alla annessione <strong>del</strong> Sud-Tirolo,<br />

abitato da popolazione tedesca, e alla annessione <strong>del</strong>la Dalmazia, abitata da<br />

popolazione slava. Tali annessioni erano <strong>in</strong>giuste e avrebbero condotto<br />

<strong>in</strong>evitabilmente a nuove guerre. Bissolati era conv<strong>in</strong>to che il piano <strong>del</strong> presidente <strong>del</strong><br />

Consiglio Orlando e <strong>del</strong> m<strong>in</strong>istro degli Esteri Sonn<strong>in</strong>o, cioè la richiesta <strong>del</strong>la Dalmazia<br />

secondo i term<strong>in</strong>i <strong>del</strong> Patto di Londra, fosse assurdo. Gli <strong>in</strong>viati italiani dovevano<br />

r<strong>in</strong>unciare alla Dalmazia e chiedere <strong>in</strong>vece Fiume. Inoltre ai combattenti era stata<br />

promessa una pace giusta e durevo<strong>le</strong>; gli <strong>in</strong>viati italiani dovevano unirsi al presidente<br />

Wilson nella sua lotta contro C<strong>le</strong>menceau e Lloyd Ge<strong>org</strong>e per una pace troppo


<strong>in</strong>giustamente severa contro la Germania; essi avrebbero dovuto aiutare Wilson per<br />

creare la Società <strong>del</strong><strong>le</strong> Nazioni, 'forma superiore <strong>del</strong>la vita <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong>,' per far sì<br />

che la guerra raggiungesse lo scopo sacrosanto di liberare l'uomo dalla schiavitù <strong>del</strong>la<br />

guerra (4)<br />

Il presidente <strong>del</strong> Consiglio Orlando era dalla parte di Sonn<strong>in</strong>o. Nel dicembre <strong>del</strong> 1918,<br />

Bissolati si dimise dalla sua carica m<strong>in</strong>isteria<strong>le</strong> e annunciò che avrebbe resi noti quali<br />

erano secondo lui gli obbiettivi di pace per l'Italia, <strong>in</strong> un discorso politico al teatro<br />

<strong>del</strong>la Scala. Non appena Bissolati com<strong>in</strong>ciò a parlare, una marmaglia capeggiata da<br />

Mussol<strong>in</strong>i sol<strong>le</strong>vò nel teatro un ta<strong>le</strong> tumulto che Bissolati non poté farsi sentire e<br />

dovette r<strong>in</strong>unciare al discorso.<br />

Durante la guerra Mussol<strong>in</strong>i era andato sotto <strong>le</strong> armi quando la sua classe era stata<br />

chiamata (31 agosto 1915). Dal suo diario di guerra, (5) sappiamo che rimase sotto <strong>le</strong><br />

armi dal 1 settembre 1915 al 23 febbraio 1917; durante questi diciotto mesi,<br />

Mussol<strong>in</strong>i non rimase <strong>in</strong> prima l<strong>in</strong>ea più di quattro mesi; di questi quattro mesi, rimase<br />

un mese e mezzo <strong>in</strong> una zona che, ebbe a scrivere, 'è la più tranquilla - forse -<br />

<strong>del</strong>l'<strong>in</strong>tera fronte.' (6) Insomma, Mussol<strong>in</strong>i partecipò al<strong>le</strong> vere e proprie operazioni<br />

militari per non più di due mesi e mezzo, e senza mai partecipare ad una battaglia. Il<br />

23 febbraio 1917 rimase ferito, non durante una azione, ma <strong>in</strong> seguito allo scoppio di<br />

una granata di un mortaio italiano; il 24 febbraio 1917 il "Popolo d'Italia" dichiarava<br />

che <strong>le</strong> ferite non erano pericolose; una volta guarito di queste ferite chiese ed ottenne<br />

l'esonero dal servizio militare, non perché non fosse più abi<strong>le</strong>, ma essendo<br />

<strong>in</strong>dispensabi<strong>le</strong> per la direzione <strong>del</strong> "Popolo d'Italia".<br />

Nel 1915 era stato contrario ad ogni forma di imperialismo e si era opposto al<br />

progetto italiano di annessione <strong>del</strong>la Dalmazia (7). Adesso era tra coloro che <strong>le</strong>vavan<br />

grida per Fiume, la Dalmazia, l'Asia M<strong>in</strong>ore e <strong>le</strong> colonie <strong>in</strong> Africa, e che impedivano a<br />

Bissolati di tenere il suo discorso al pubblico <strong>del</strong>la Scala. B<strong>org</strong>ese, che <strong>in</strong><br />

quell'occasione era presente, racconta che Bissolati quando riconobbe Mussol<strong>in</strong>i nel<br />

gruppo di coloro che facevan baccano, si voltò verso gli amici che gli erano più vic<strong>in</strong>i e<br />

disse: 'Quell'uomo no!' (8).<br />

In quella sera <strong>del</strong> gennaio 1919, nel teatro alla Scala accanto ai teppisti di Mussol<strong>in</strong>i si<br />

trovavano i futuristi. Dalla voce 'futurismo' nella "Enciclopedia Italiana", apprendiamo<br />

che il futurismo era un 'movimento artistico-politico svecchiatone, novatore,<br />

velocizzatone, creato da F. T. Mar<strong>in</strong>etti a Milano nel 1909.' L'articolo come il<br />

programma <strong>del</strong> nuovo movimento si battevano per una 'arte-viva' esplosiva, una<br />

italianità 'parossista,' l'abolizione <strong>del</strong>la cultura e <strong>del</strong>la logica, dei musei e <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

università, <strong>del</strong>la monarchia e <strong>del</strong> papato, la 'modernolatria,' un tipo di pittura astratta<br />

di 'suoni, rumori, odori, pesi e forze misteriose,' 'eroismo e pagliaccismo nell'arte e<br />

nella vita,' ed altre idiozie simili. Avendo ereditato dal padre una notevo<strong>le</strong> fortuna,<br />

Mar<strong>in</strong>etti era <strong>in</strong> grado di <strong>org</strong>anizzare <strong>in</strong>torno a se stesso e al suo movimento una<br />

rumorosa pubblicità a base di bol<strong>le</strong>tt<strong>in</strong>i, volant<strong>in</strong>i, conferenze, spettacoli drammatici,<br />

riviste. Nessuno mai lo prese sul serio; la gente accorreva nei teatri agli spettacoli<br />

futuristi solo per tirar pomodori e altri proiettili da ridere contro attori e musicisti. La<br />

scuola futurista non produsse una sola opera d'arte che non destasse derisione; tutto<br />

quanto di buono venne prodotto dai membri di ta<strong>le</strong> scuola fu fatto dopo che questi<br />

avevano smesso di fare i pagliacci al seguito di Mar<strong>in</strong>etti.<br />

Nei mesi <strong>del</strong>la neutralità italiana nel 1914-15, i futuristi <strong>le</strong>varono alte grida <strong>in</strong> favore<br />

<strong>del</strong>l'<strong>in</strong>tervento. Erano ferocemente antisocialisti e anticattolici, e <strong>in</strong> più ferocemente<br />

antitedeschi. Una <strong>del</strong><strong>le</strong> loro imprese più gloriose durante la guerra fu una<br />

dimostrazione contro Toscan<strong>in</strong>i, perché Toscan<strong>in</strong>i suonava <strong>in</strong> Italia musica tedesca<br />

mentre era <strong>in</strong> corso una guerra antitedesca. Toscan<strong>in</strong>i gettò via la bacchetta e si<br />

rifiutò di suonare qualsiasi musica. Dopo la guerra Mar<strong>in</strong>etti divenne ferocemente<br />

'antibolscevico,' ma il suo antibolscevismo era sempre anticattolico e<br />

ultrarivoluzionario. Mussol<strong>in</strong>i non si unì mai ufficialmente ai futuristi, perché essi


avevano già il loro <strong>le</strong>ader <strong>in</strong> Mar<strong>in</strong>etti e tra loro non c'era posto per due <strong>le</strong>aders ; ma<br />

futuristi e seguaci di Mussol<strong>in</strong>i agirono sempre di pari passo.<br />

Nella campagna di calunnie contro Bissolati, i nazionalisti marciarono accanto a<br />

Mussol<strong>in</strong>i e a Mar<strong>in</strong>etti: dietro questi tre gruppi di avanguardia stavano tutti i<br />

politicanti e tutti i giornali che sostenevano la politica di Orlando e di Sonn<strong>in</strong>o. Tra<br />

questi c'erano gli stessi uom<strong>in</strong>i e gli stessi giornali che nel 1915 avevano seguito<br />

Giolitti, e che pur di evitare che l'Italia entrasse <strong>in</strong> guerra avrebbero r<strong>in</strong>unciato non<br />

soltanto a Fiume e alla Dalmazia, ma anche a Trieste e all'Istria; adesso<br />

unanimemente tutti reclamavano con gran fragore non solo Trieste e l'Istria, ma<br />

anche Fiume e la Dalmazia s<strong>in</strong>o all'ultimo sasso. Più territori esigevano e maggiore<br />

sarebbe stato il successo dei loro attacchi contro i responsabili <strong>del</strong>la guerra, se ora<br />

erano <strong>in</strong>capaci di soddisfare tutte <strong>le</strong> aspettative. I socialisti si curavan poco <strong>del</strong>la<br />

Dalmazia, di Fiume, <strong>del</strong>l'Asia M<strong>in</strong>ore, <strong>del</strong>l'Africa; ostentavano una <strong>in</strong>differenza<br />

olimpica per i prob<strong>le</strong>mi che si dovevano discutere alla Conferenza <strong>del</strong>la Pace. Solo la<br />

'coscienza di classe <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato' era capace di dare al mondo pace e giustizia. Essi<br />

erano troppo occupati a formare la coscienza di classe <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato.<br />

Così <strong>in</strong> tutta Italia non più di una mezza dozz<strong>in</strong>a di quotidiani, tra cui spiccava il<br />

"Corriere <strong>del</strong>la Sera", sostenevano Bissolati. Pers<strong>in</strong>o due di quegli uom<strong>in</strong>i politici che<br />

erano sempre stati considerati come amici <strong>in</strong>timi di Bissolati e che, <strong>in</strong>sieme con lui,<br />

avevano partecipato al gab<strong>in</strong>etto Orlando, lo abbandonarono e restarono nel<br />

gab<strong>in</strong>etto. Bissolati rimase solo con un pugno di amici. I nazionalisti li odiavano<br />

perché essi si opponevano all'annessione <strong>del</strong>la Dalmazia; i socialisti e i neutralisti li<br />

odiavano perché essi erano stati favorevoli all'entrata <strong>del</strong>l'Italia <strong>in</strong> guerra. Nessuno<br />

dava ascolto al<strong>le</strong> loro ragioni. Adesso Orlando e Sonn<strong>in</strong>o potevano andare alla<br />

Conferenza <strong>del</strong>la Pace con pieni poteri per <strong>in</strong>sistere nella loro richiesta <strong>del</strong> Patto di<br />

Londra più Fiume.<br />

Dopo il suo trionfo su Bissolati nel gennaio 1919, Mussol<strong>in</strong>i nel marzo si mise a capo<br />

<strong>del</strong> 'Fascio di combattimento' fondato a Milano. La parola 'fascio' significa '<strong>in</strong>sieme di<br />

bastoni'; nell'Italia prefascista essa veniva adoperata per ogni tipo di gruppo o<br />

associazione politica. Nel marzo <strong>del</strong> 1919 i fascisti di Mussol<strong>in</strong>i non erano più di un<br />

cent<strong>in</strong>aio. Nei primi tempi <strong>del</strong> movimento la parola fascio fu associata solo con l'idea<br />

di '<strong>in</strong>sieme' e non con quella di 'fasces' dei littori romani; tuttavia molto presto la<br />

parola 'fasci' suggerì il trucco di adottare i 'fasces' romani come simboli <strong>del</strong><br />

movimento fascista.<br />

Il programma dei primi gruppi fascisti conteneva i seguenti punti: proclamazione <strong>del</strong>la<br />

repubblica; suffragio universa<strong>le</strong> per i due sessi; decentralizzazione <strong>del</strong> potere<br />

esecutivo; abolizione <strong>del</strong> Senato e <strong>del</strong>la polizia politica; abolizione di tutti i titoli<br />

nobiliari; abolizione <strong>del</strong> servizio militare obbligatorio e <strong>del</strong>la diplomazia segreta;<br />

sequestro dei beni <strong>del</strong><strong>le</strong> mense vescovili; scioglimento <strong>del</strong><strong>le</strong> società per azioni e<br />

soppressione <strong>del</strong><strong>le</strong> banche e <strong>del</strong> mercato azionario; censimento <strong>del</strong>la ricchezza<br />

persona<strong>le</strong> e confisca dei capitali improduttivi; la terra a cooperative contad<strong>in</strong>e; la<br />

gestione <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie e dei servizi pubblici a s<strong>in</strong>dacati di tecnici e di lavoratori. 'Tutti<br />

i luoghi comuni <strong>del</strong> dopo guerra, tutte <strong>le</strong> aspirazioni più estremiste ed assurde di quel<br />

periodo di sovraeccitazione morbosa vennero accolti tra i postulati <strong>del</strong> nascente<br />

partito' (9).<br />

Il motto di Mussol<strong>in</strong>i era: combattere per i frutti rivoluzionari di una guerra<br />

rivoluzionaria.<br />

«Una volta per tutte l'ora <strong>del</strong>la rivoluzione socia<strong>le</strong> è arrivata. Se adesso la rivoluzione<br />

socia<strong>le</strong> è diventata possibi<strong>le</strong>, ciò non si deve ai socialisti, rivoluzionari soltanto a<br />

paro<strong>le</strong>, ma a noi, rivoluzionari veri, che abbiamo dato la nostra opera a favore <strong>del</strong>la<br />

guerra, spianando <strong>in</strong> tal modo la via alla rivoluzione» (10).


Era contro i socialisti non perché questi fossero rivoluzionari, ma perché si rivelavano<br />

<strong>in</strong>capaci e non disposti a fare una rivoluzione socia<strong>le</strong>. Attribuiva ai socialisti il titolo di<br />

'bolscevichi' e si diceva un 'antibolscevico,' ma non dette mai la cooperazione né ai<br />

moderati contro i socialisti estremisti, né ai partiti conservatori contro i socialisti.<br />

Rimase solo nell'atteggiamento <strong>del</strong> profeta ultrarivoluzionario, che sp<strong>in</strong>ge <strong>le</strong> masse a<br />

rivoltarsi contro tutto e contro tutti e a credere soltanto <strong>in</strong> lui.<br />

E' <strong>del</strong> tutto <strong>in</strong>uti<strong>le</strong> nel calderone <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong> di Mussol<strong>in</strong>i <strong>in</strong> questo periodo isterico<br />

cercar di trovare una qualche coerenza. Nel 1932, volgendosi <strong>in</strong>dietro a considerare i<br />

primi giorni <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>, fece lui stesso la seguente ammissione: 'Non c'era nessun<br />

specifico piano dottr<strong>in</strong>a<strong>le</strong> nel mio spirito. (...) Il <strong>fascismo</strong> non fu tenuto a balia da una<br />

dottr<strong>in</strong>a elaborata <strong>in</strong> precedenza, a tavol<strong>in</strong>o: nacque da un bisogno di azione e fu<br />

azione.' (11) Come ultrarivoluzionario <strong>in</strong>sultava tutti i vecchi partiti costituzionali; ma<br />

come patriotta che aveva voluto la guerra e <strong>in</strong>veito più di ogni altro contro i neutralisti<br />

andava di perfetto accordo con i nazionalisti, il gruppo più conservatore di tutti; e<br />

come ultrarivoluzionario e ultranazionalista allo stesso tempo, metteva <strong>in</strong> stato di<br />

accusa i partiti democratici e <strong>le</strong> forme democratiche di governo, ma <strong>in</strong>sieme chiedeva<br />

una repubblica con suffragio universa<strong>le</strong> per uom<strong>in</strong>i e donne, giudici e<strong>le</strong>tti dal popolo,<br />

decentralizzazione <strong>del</strong> potere esecutivo, ogni sorta di restrizioni al<strong>le</strong> funzioni <strong>del</strong>lo<br />

stato; cioè sosteneva una forma di governo ultrademocratica.<br />

Pure sotto questo miscuglio caotico di frammenti tratti dal<strong>le</strong> filosofie politiche più<br />

diverse e contraddittorie, c'erano degli stati d'animo fondamentali, assai radicati, che<br />

controllavano il suo comportamento e gli davano una direzione concreta. In primo<br />

luogo, Mussol<strong>in</strong>i odiava i socialisti, di cui era stato il <strong>le</strong>ader s<strong>in</strong>o all'autunno <strong>del</strong> 1914,<br />

e che adesso lo ricoprivan di fango come un r<strong>in</strong>negato e un traditore, accusandolo di<br />

essere un complice <strong>del</strong>la 'classe capitalista' nella carnefic<strong>in</strong>a <strong>del</strong>la guerra mondia<strong>le</strong>. In<br />

secondo luogo aveva preso a prestito dal s<strong>in</strong>dacalismo rivoluzionario, dall'anarchismo<br />

e dal comunismo <strong>le</strong>n<strong>in</strong>ista il disprezzo per <strong>le</strong> istituzioni parlamentari, e il culto <strong>del</strong>la<br />

vio<strong>le</strong>nza come arma politica. In terzo luogo, aveva preso a prestito dai nazionalisti il<br />

loro appellarsi alla esaltazione patriottica. Tali erano nel 1919, e tali ancora nel 1942,<br />

<strong>le</strong> mol<strong>le</strong> pr<strong>in</strong>cipali <strong>del</strong>la sua azione.<br />

Tuttavia, nel 1919, egli era conv<strong>in</strong>to che la rivoluzione socia<strong>le</strong> <strong>in</strong> Italia si stesse<br />

approssimando, cercava di dare vento al<strong>le</strong> sue ve<strong>le</strong> all<strong>in</strong>eandosi con l'estrema s<strong>in</strong>istra<br />

<strong>del</strong> movimento rivoluzionario e superando <strong>in</strong> fervore gli altri rivoluzionari italiani. Se la<br />

rivoluzione socia<strong>le</strong> di cui tutti parlavano si fosse concretizzata, sarebbe stato possibi<strong>le</strong><br />

ai rivoluzionari più estremisti approfittare <strong>del</strong>la confusione <strong>in</strong>evitabi<strong>le</strong> <strong>in</strong> una crisi <strong>del</strong><br />

genere e sopraffare i socialisti più moderati. In Russia, Len<strong>in</strong> e Trotsky avevano<br />

dimostrato che <strong>in</strong> un momento di dis<strong>in</strong>tegrazione socia<strong>le</strong> un gruppo di uom<strong>in</strong>i<br />

rigidamente <strong>org</strong>anizzati, armati e pronti a tutto, poteva diventare il centro di raccolta<br />

di una larga massa di disperati. Mussol<strong>in</strong>i non aveva più nessuna speranza di essere<br />

accolto nel<strong>le</strong> schiere dei socialisti; quanto gli rimaneva da fare era di raccogliere<br />

<strong>in</strong>torno a sé come compagni di avventura uom<strong>in</strong>i capaci di rispondere al tempo stesso<br />

agli slogans ultrarivoluzionari e a quelli ultranazionalisti. Tali uom<strong>in</strong>i esistevano.<br />

La smobilitazione stava gettando sul mercato <strong>del</strong> lavoro circa 160000 ufficiali<br />

congedati. Tra questi, i migliori se ne tornarono tranquillamente al<strong>le</strong> loro case<br />

cercandosi un lavoro, tal qua<strong>le</strong> <strong>le</strong> masse anonime di operai e contad<strong>in</strong>i smobilitati. Ma<br />

per molti di loro non era faci<strong>le</strong> guadagnarsi la vita; provenivano dalla piccola<br />

b<strong>org</strong>hesia semi-<strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong>; prima <strong>del</strong>la guerra erano stati impiegati, piccoli<br />

professionisti, o commessi di negozio, ottenendo i gradi di ufficia<strong>le</strong> durante la guerra;<br />

oppure erano stati richiamati sotto <strong>le</strong> armi a diciannove o vent'anni, e non avevano<br />

imparato altro mestiere che quello di comandare degli uom<strong>in</strong>i. Si erano abituati a<br />

disporre di una discreta quantità di soldi da spendere, e avevano acquistato il gusto<br />

<strong>del</strong> comando e <strong>del</strong>la vita di avventura. Se non avessero trovato altri uom<strong>in</strong>i da


<strong>in</strong>quadrare, sarebbero stati costretti a tornarsene ad un misero impiego o ad un<br />

lavoro manua<strong>le</strong>. Di fare ciò non avevano la m<strong>in</strong>ima <strong>in</strong>tenzione.<br />

Resp<strong>in</strong>ta dalla b<strong>org</strong>hesia <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong>, e non disposta tuttavia ad abbassarsi al livello<br />

dei lavoratori manuali, la piccola b<strong>org</strong>hesia semi-<strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong> fornisce <strong>in</strong> tutti i paesi la<br />

base di reclutamento <strong>del</strong> professionismo politico. Quando non trovano un posto <strong>in</strong> un<br />

partito conservatore, trovan sempre da vivere <strong>in</strong> un movimento rivoluzionario. I meno<br />

<strong>in</strong>telligenti, i meno fortunati, o quelli più scrupolosi, rimangono per tutta la vita, non<br />

importa <strong>in</strong> che partito milit<strong>in</strong>o, nei grad<strong>in</strong>i più bassi <strong>del</strong>la scala politica; la loro classe è<br />

quella che fornisce i galopp<strong>in</strong>i pagati a tuttofare. I più <strong>in</strong>telligenti, i più fortunati, o i<br />

meno scrupolosi possono raggiungere posizioni e<strong>le</strong>vate, quali quel<strong>le</strong> di un primo<br />

m<strong>in</strong>istro <strong>in</strong> un regime monarchico o di un cancelliere <strong>del</strong> Reich.<br />

Facendo ritorno alla vita civi<strong>le</strong>, questi uom<strong>in</strong>i non si adattarono al lavoro vuoto e<br />

monotono di un post<strong>in</strong>o, di un commesso, o di un impiegato; un osservatore<br />

<strong>in</strong>telligente li chiamò 'il qu<strong>in</strong>to stato.' (12) Alcuni di essi si buttarono con i socialisti e i<br />

comunisti e furono scherzosamente chiamati 'socialisti di guerra'; ma per la maggior<br />

parte andarono a <strong>in</strong>grossare <strong>le</strong> fi<strong>le</strong> dei primi 'Fasci.' In quegli anni socialisti di guerra e<br />

fascisti si ritrovarono a capo di tutti i peggiori disord<strong>in</strong>i (13).<br />

Questi 'fascisti <strong>del</strong>la prima ora,' come più tardi vennero def<strong>in</strong>iti, erano conv<strong>in</strong>ti che il<br />

paese, che doveva ad essi la sua vittoria, avesse il dovere adesso di provvedere a<br />

loro, non <strong>in</strong> proporzione alla loro capacità di lavoro ma <strong>in</strong> proporzione alla loro gloria.<br />

La guerra era l'unica base dei loro reclami; gli atti di valore militare che avevano<br />

compiuto - o che si vantavano di aver compiuto - erano i loro titoli di nobiltà.<br />

Odiavano i socialisti e tutti coloro che erano stati contrari alla guerra, come avrebbero<br />

odiato un nemico persona<strong>le</strong> che avesse cercato di privarli dei loro onori e dei loro<br />

diritti: <strong>in</strong>oltre i socialisti erano i <strong>le</strong>aders degli operai, che guadagnavano salari e<strong>le</strong>vati,<br />

mentre essi - i 'salvatori <strong>del</strong>la patria' - non potevano trovare un impiego. Eppure il<br />

loro odio per i socialisti non significava affatto che essi fossero conservatori. A<br />

nessuno di essi passava neppur per la testa che un giorno sarebbero diventati i<br />

missionari <strong>del</strong>la gerarchia, discipl<strong>in</strong>a e obbedienza. Affamati, scontenti di sé e <strong>del</strong> loro<br />

prossimo e <strong>del</strong> mondo <strong>in</strong> genera<strong>le</strong>, si immag<strong>in</strong>avano di essere dei rivoluzionari. Per<br />

loro il 'capitalista' che passava <strong>in</strong> automobi<strong>le</strong>, come l'operaio specializzato che<br />

guadagnava un buon salario, erano 'pescicani' che sfruttavano il paese.<br />

Bighellonavano per <strong>le</strong> città consumandosi nell'ozio e smaniosi di azione non importa<br />

verso qua<strong>le</strong> direzione, capaci al tempo stesso di azioni eroiche e di spaventosi <strong>del</strong>itti.<br />

Si trovavano naturalmente attratti verso quei rivoluzionari di vecchia data, che<br />

formavano la prima guardia <strong>del</strong> corpo di Mussol<strong>in</strong>i.<br />

Tra essi i più vio<strong>le</strong>nti erano quelli che durante la guerra erano stati nei reparti di<br />

'arditi.' Di questi 'arditi' non pochi prima <strong>del</strong>la guerra avevano avuto <strong>del</strong><strong>le</strong> condanne<br />

per reati comuni; durante la guerra avevano usufruito di condoni e erano stati<br />

mandati al fronte per riabilitarsi con l'ammazzare quanti più nemici potevano. E di<br />

fatto si erano riabilitati, ma sotto <strong>le</strong> loro uniformi di truppe d'assalto avevano<br />

mantenuto la loro primitiva mentalità di crim<strong>in</strong>ali. Il 10 novembre 1918, durante una<br />

dimostrazione patriottica per <strong>le</strong> vie di Milano <strong>in</strong> loro compagnia, Mussol<strong>in</strong>i si era<br />

rivolto ad un gruppo di 'arditi' nei seguenti term<strong>in</strong>i:<br />

«Arditi! Commilitoni! Io vi ho difeso quando il vigliacco filisteo vi diffamava. (...). Il<br />

ba<strong>le</strong>nio dei vostri pugnali o lo scrosciare <strong>del</strong><strong>le</strong> vostre bombe, farà giustizia di tutti i<br />

miserabili che vorrebbero impedire il camm<strong>in</strong>o <strong>del</strong>la più grande Italia! Essa è vostra!<br />

Voi la difenderete! La difenderemo <strong>in</strong>sieme!» (14).<br />

Durante la guerra, nel maggio 1918, quei s<strong>in</strong>dacalisti rivoluzionari, repubblicani e<br />

anarchici che appoggiavano la guerra s<strong>in</strong>o <strong>in</strong> fondo avevano fondato la 'Unione<br />

Italiana <strong>del</strong> Lavoro,' il cui <strong>le</strong>ader era Edmondo Rossoni; come Mussol<strong>in</strong>i, Rossoni


prima <strong>del</strong>la guerra era stato un s<strong>in</strong>dacalista rivoluzionario di estrema s<strong>in</strong>istra, e <strong>in</strong><br />

America aveva fatto parte <strong>del</strong>la 'Industrial Workers of the World.' L'11 giugno <strong>del</strong><br />

1911, un gruppo di italiani 'em<strong>in</strong>enti' deponeva una corona al monumento di Garibaldi<br />

a New York. In seguito a questa dimostrazione 'patriottica,' gli italiani di sentimenti<br />

rivoluzionari ne <strong>org</strong>anizzarono una per conto loro. L'oratore che parlò al pubblico<br />

presso il monumento non era altri che Rossoni. Leggiamo nel "Pro<strong>le</strong>tario":<br />

«Prende la parola Rossoni, il qua<strong>le</strong> con voce sonora che vibra sul<strong>le</strong> teste come la<br />

corda d'un arco teso, flagella tutta l'immonda ciurma <strong>del</strong>l'affarismo colonia<strong>le</strong>, dei<br />

fraudo<strong>le</strong>nti, degli sfruttatori, dei falsari, degli adulteratori che han bisogno <strong>del</strong><br />

mantello <strong>del</strong> patriottismo per nascondere la refurtiva. (...) Dopo aver dichiarato che<br />

assume tutta la responsabilità <strong>del</strong> suo atto, fra un <strong>del</strong>irio d'applausi, sputa a piena<br />

bocca sul tricolore <strong>del</strong> re e la corona di Barsotti (uno degli em<strong>in</strong>enti cittad<strong>in</strong>i). (...) La<br />

nostra protesta è stata compiuta e noi siamo soddisfatti. Non lo è <strong>in</strong>vece Rossoni, il<br />

qua<strong>le</strong> slanciatosi ancora sul basalto propone (...) che ciascuno dei presenti passi <strong>in</strong><br />

pel<strong>le</strong>gr<strong>in</strong>aggio davanti alla corona maramalda e la decori con un coscienzioso sputo, il<br />

che tutti fanno applaudendo» (15).<br />

Quando scoppiò la guerra, Rossoni, come Mussol<strong>in</strong>i, scoprì improvvisamente di essere<br />

nazionalista. Tornò <strong>in</strong> Italia e nel maggio 1918, <strong>in</strong>sieme al altri socialisti non meno<br />

rivoluzionari e non meno patriottici di lui, fondò la Unione italiana <strong>del</strong> lavoro, che<br />

aveva come programma la guerra contro il sistema capitalistico e contro tutte <strong>le</strong><br />

istituzioni che sostenevano ta<strong>le</strong> sistema' (16).<br />

La tattica di Rossoni nel 1919 era di essere più esigente dei socialisti, chiedendo più di<br />

quello di cui i socialisti si sarebbero contentati, e sperando <strong>in</strong> tal modo di conquistare<br />

<strong>le</strong> masse lavoratrici al suo movimento ultrarivoluzionario-nazionalista. Nel novembre<br />

<strong>del</strong> 1918 la Federazione italiana operai metallurgici, condotta dai socialisti, aveva<br />

raggiunto un concordato con i datori di lavoro; Rossoni, che era a capo di un piccolo<br />

gruppo di lavoratori <strong>del</strong>la stessa <strong>in</strong>dustria, resp<strong>in</strong>se l'accordo socialista, chiedendo <strong>le</strong><br />

44 ore settimanali, il m<strong>in</strong>imo di paga, e il riposo nel pomeriggio di sabato ('sabato<br />

<strong>in</strong>g<strong>le</strong>se'), bollando i s<strong>in</strong>dacalisti socialisti che avevano accettato <strong>le</strong> 48 ore settimanali<br />

di traditori <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato. In un comizio tenuto a Milano nel marzo 1919, uno dei<br />

seguaci di Rossoni affermò che 'gli operai devono avere il diritto di ubriacarsi la<br />

domenica e stare a casa il lunedì senza <strong>in</strong>correre <strong>in</strong> punizioni ' (17).<br />

Mussol<strong>in</strong>i appoggiava Rossoni con tutto il cuore: non c'era dubbio che <strong>le</strong> 48 ore<br />

settimanali costituivano un tradimento <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato, e gli scioperi erano sempre<br />

<strong>in</strong>giusti quando erano promossi dai socialisti, e sempre giusti purché venissero<br />

proclamati contro o senza il benestare dei capi socialisti. Nel marzo <strong>del</strong> 1919 a<br />

Dalm<strong>in</strong>e, cittad<strong>in</strong>a vic<strong>in</strong>o a Bergamo, 2000 operai impegnati <strong>in</strong> una vertenza salaria<strong>le</strong><br />

con i loro datori di lavoro occuparono la fabbrica. Fu questo <strong>in</strong> Italia il primo caso di<br />

occupazione di fabbrica, e fu promosso dai seguaci di Mussol<strong>in</strong>i. Lo stesso Mussol<strong>in</strong>i si<br />

recò a Dalm<strong>in</strong>e e tenne un discorso agli operai lodando la loro <strong>in</strong>iziativa, e il "Popolo<br />

d'Italia" scrisse: 'L'esperimento di Dalm<strong>in</strong>e ha un valore altissimo come <strong>in</strong>dice <strong>del</strong>la<br />

potenzia<strong>le</strong> capacità <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato di gestire direttamente la fabbrica' (18).<br />

Queste manovre demagogiche caddero nel vuoto. Mussol<strong>in</strong>i, Rossoni e l'Unione<br />

italiana <strong>del</strong> lavoro erano stati favorevoli alla guerra. Gli uom<strong>in</strong>i che facevan ritorno dal<br />

fronte nella loro stragrande maggioranza erano nemici di chiunque avesse sostenuto<br />

la guerra, sia che si chiamasse Bissolati o Mussol<strong>in</strong>i. Rossoni non riuscì mai ad<br />

ottenere una larga <strong>in</strong>fluenza: era un genera<strong>le</strong> senza soldati.<br />

Da quali fonti nazionalisti, futuristi e fascisti ottenevano i denari per mantenere i loro<br />

uom<strong>in</strong>i e sostenere i loro giornali e <strong>le</strong> altre pubblicazioni m<strong>in</strong>ori? I futuristi non<br />

avevano un quotidiano, e Mar<strong>in</strong>etti era <strong>in</strong> grado di mantenere quei pochi amici che<br />

non avevan di che vivere. Ma l'"Idea Naziona<strong>le</strong>", il quotidiano dei nazionalisti, e il


"Popolo d'Italia", il quotidiano di Mussol<strong>in</strong>i, che avevano una tiratura limitata, non<br />

avrebbero potuto esistere senza un notevo<strong>le</strong> aiuto f<strong>in</strong>anziario. Quanto ai nazionalisti<br />

lo sanno anche <strong>le</strong> pietre che essi erano appoggiati dal<strong>le</strong> acciaierie, gli zuccherifici, gli<br />

stabilimenti chimici e da altre <strong>in</strong>dustrie che dovevano la loro fortuna agli armamenti,<br />

ai dazi protettivi e al<strong>le</strong> commesse governative. Per quanto riguarda Mussol<strong>in</strong>i, sembra<br />

che gli aiuti <strong>del</strong> governo francese siano venuti a mancare subito dopo la guerra,<br />

quando il m<strong>in</strong>istero degli Esteri francese non aveva più bisogno <strong>del</strong> sangue italiano.<br />

Nel 1919, nel 1920 e nel 1921, Mussol<strong>in</strong>i fu vio<strong>le</strong>ntemente antifrancese. Si erano<br />

aperte altre fonti di entrata. Nel gennaio <strong>del</strong> 1919, <strong>in</strong> quella tumultuosa serata<br />

milanese, nella qua<strong>le</strong> si impedì a Bissolati di parlare, gli avversari di Mussol<strong>in</strong>i gli<br />

gridaron contro la parola 'Ansaldo.' La Società Ansaldo era allora <strong>in</strong> Italia il più<br />

importante comp<strong>le</strong>sso per la fabbricazione di armi. Per <strong>le</strong> imprese di produzione di<br />

munizioni e per i capi militari la f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la guerra era arrivata all'improvviso e proprio<br />

al momento <strong>in</strong> cui si trovavano al vertice <strong>del</strong>la loro efficienza. Era stata una sorpresa<br />

spiacevo<strong>le</strong>. Tutto ciò che servisse a mantenere la gente <strong>in</strong> agitazione e potesse<br />

portare a <strong>del</strong><strong>le</strong> complicazioni <strong>in</strong>ternazionali serviva ai loro <strong>in</strong>teressi. Mussol<strong>in</strong>i e i suoi<br />

fascisti, così come i nazionalisti, erano i gruppi su cui i fabbricanti di armi e i capi<br />

militari potevano fare il più sicuro affidamento per tenere il paese <strong>in</strong> uno stato di<br />

agitazione.<br />

Nel 1919 il quotidiano socialista "Avanti!" affermò che i capi militari acquistavano il<br />

"Popolo d'Italia" a migliaia di copie e lo facevano distribuire tra i soldati. Mussol<strong>in</strong>i non<br />

negò il fatto, e si limitò a dire che i capi militari eran liberi di fare quel che vo<strong>le</strong>vano. I<br />

capi militari speravano che i soldati, <strong>le</strong>ggendo il giorna<strong>le</strong> di Mussol<strong>in</strong>i, assorbissero <strong>le</strong><br />

idee nazionaliste resp<strong>in</strong>gendo quel<strong>le</strong> rivoluzionarie; <strong>in</strong>vece i soldati assorbirono <strong>le</strong> idee<br />

rivoluzionarie e resp<strong>in</strong>sero quel<strong>le</strong> nazionaliste. Più tardi i capi militari rigettarono sul<br />

'bolscevismo' la colpa <strong>del</strong>lo stato d'animo <strong>del</strong>la truppa, <strong>in</strong>vece di <strong>in</strong>colpare se stessi<br />

per la propria stupidità. Era conv<strong>in</strong>cimento genera<strong>le</strong> <strong>in</strong> Italia che oltre dalla Società<br />

Ansaldo, il quotidiano di Mussol<strong>in</strong>i ricevesse aiuti da parte di altri <strong>in</strong>dustriali. Infatti,<br />

non appena la guerra fu f<strong>in</strong>ita, gli <strong>in</strong>dustriali com<strong>in</strong>ciarono a chiedere che il governo,<br />

<strong>in</strong> accordo con la dottr<strong>in</strong>a <strong>del</strong> "laissez-faire", abolisse tutte <strong>le</strong> restrizioni imposte al<strong>le</strong><br />

attività private durante la guerra, e abbandonasse tutte <strong>le</strong> sue funzioni che non erano<br />

strettamente politiche; contemporaneamente chiesero che il governo proteggesse <strong>le</strong><br />

<strong>in</strong>dustrie mediante tariffe doganali, sussidiasse la mar<strong>in</strong>a mercanti<strong>le</strong>, favorisse l'uso<br />

<strong>del</strong> combustibi<strong>le</strong> naziona<strong>le</strong> cessando l'importazione di carbone dall'estero, e così via.<br />

Tali richieste facevano a pugni con la politica <strong>del</strong> "laissez-faire"; ma gli <strong>in</strong>dustriali non<br />

ci vedevano niente di contrastante: il "laissez-faire" e l'<strong>in</strong>tervento stata<strong>le</strong> si<br />

contraddicevano nei libri degli economisti, non nel<strong>le</strong> tasche degli <strong>in</strong>dustriali. Mussol<strong>in</strong>i<br />

appoggiava ta<strong>le</strong> campagna, i suoi servigi meritavano un premio. Se non avesse<br />

potuto approfittare di questa entrata, non sarebbe stato <strong>in</strong> grado di annunciare il 23<br />

dicembre 1919 che nel prossimo anno il "Popolo d'Italia" avrebbe avuto 'i mezzi<br />

tipografici <strong>in</strong>dispensabili ad un giorna<strong>le</strong> di grande tiratura.'<br />

Certamente i ruggiti ultrarivoluzionari di Mussol<strong>in</strong>i non avevano come scopo di far<br />

contenti i grossi <strong>in</strong>dustriali. Tuttavia il metodo di appoggiare e<strong>le</strong>menti<br />

ultrarivoluzionari, numericamente scarsi, i quali dall'<strong>in</strong>terno e dall'esterno<br />

<strong>in</strong>deboliscano <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni radicali numericamente più forti, più moderate, meglio<br />

<strong>org</strong>anizzate e qu<strong>in</strong>di più efficienti, è una vecchia tattica dei partiti conservatori.<br />

Aristofane, l'autore comico greco <strong>del</strong> qu<strong>in</strong>to secolo avanti Cristo, nella sua commedia<br />

"I Cavalieri" ci mostra il partito aristocratico di Atene che, per <strong>in</strong>sidiare il potere <strong>del</strong><br />

demagogo C<strong>le</strong>one, assume un venditore di salsicce che era capace di urlare più forte<br />

<strong>del</strong>lo stesso C<strong>le</strong>one : 'Se lo superi,' essi dicono, 'la torta è nostra.' Questo spiega<br />

perché non soltanto Mussol<strong>in</strong>i ma anche gruppi locali fascisti sparsi furono foraggiati<br />

dagli <strong>in</strong>dustriali (19).


Nonostante il baccano che Mussol<strong>in</strong>i andava facendo sul suo giorna<strong>le</strong>, la sua <strong>in</strong>fluenza<br />

<strong>in</strong> Italia nel 1919 era di poco o di nessun conto; nel<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni generali <strong>del</strong> novembre<br />

1919 i candidati fascisti e futuristi raccolsero <strong>in</strong> Lombardia soltanto 5000 voti su di un<br />

tota<strong>le</strong> di 350000, di cui 90000 andarono a Turati, <strong>le</strong>ader dei socialisti.<br />

OSSERVAZIONI AL CAPITOLO SETTIMO.<br />

1.<br />

Le ferite di Mussol<strong>in</strong>i sono diventate il soggetto di una eroica saga. Margherita Sarfatti<br />

scrisse:<br />

«'E' moribondo,' dissero subito a Milano. 'Forse, già morto a quest'ora.' Poi, vennero<br />

raccapriccianti particolari: quarantadue ferite, per più di ottanta centimetri<br />

comp<strong>le</strong>ssivi, il corpo tutto piagato e bruciacchiato, una moltitud<strong>in</strong>e di schegge<br />

conficcate nella carne, come <strong>le</strong> freccie di un San Sebastiano» (1).<br />

Il "Morn<strong>in</strong>g Post" di Londra <strong>del</strong> 4 ottobre 1926: scrisse: 'Mussol<strong>in</strong>i cadde, sul fronte<br />

italiano, pieno di ferite come Cesare, e mentre giaceva avvolto di fasce ebbe senza<br />

dubbio tutto il tempo di considerare la vera filosofia <strong>del</strong>la pace.'<br />

La verità è che, secondo il racconto che Mussol<strong>in</strong>i fa nel suo "Diario", la lunghezza<br />

l<strong>in</strong>eare di tutte <strong>le</strong> quarantadue ferite raggiungeva comp<strong>le</strong>ssivamente gli 80 centimetri,<br />

il che significa che ciascuna era <strong>in</strong> media <strong>in</strong>feriore a due centimetri; se due di esse<br />

erano tanto ampie che potevano accogliere il pugno di un uomo, è ovvio che queste<br />

due da so<strong>le</strong> prendevano quasi tutta la lunghezza, e <strong>le</strong> altre quaranta ferite devono<br />

essere state superficiali e quasi <strong>in</strong>visibili. Non c'è proprio ragione qu<strong>in</strong>di per il chiasso<br />

<strong>del</strong>la Sarfatti per <strong>del</strong><strong>le</strong> ferite che non erano niente di grave <strong>in</strong> una guerra dove mezzo<br />

milione di soldati italiani hanno perduto la vita. Si deve aggiungere che <strong>le</strong> ferite di<br />

Mussol<strong>in</strong>i sarebbero guarite assai più <strong>in</strong> fretta, se il suo sangue non fosse stato<br />

<strong>in</strong>fettato dalla sifilide.<br />

Nel tempo <strong>in</strong> cui Mussol<strong>in</strong>i era all'ospeda<strong>le</strong>, il Re si recò a visitarlo. Secondo il<br />

resoconto pubblicato nel "Diario" di Mussol<strong>in</strong>i, il Re gli disse: 'Ed oggi, dopo tante<br />

prove di valore, è rimasto ferito' (2) Così a Mussol<strong>in</strong>i furono ufficialmente accreditate<br />

'tante prove di valore' che non c'erano mai state; di conseguenza, la Sarfatti non si<br />

lasciò sfuggire l'occasione per esaltare il suo eroe; essa ci racconta che anche al di<br />

fuori <strong>del</strong> suo battaglione si era diffusa la voce che Mussol<strong>in</strong>i 'aveva tanto fegato': la<br />

sua specialità 'era il rilancio <strong>del</strong><strong>le</strong> bombe prima che esplodessero, un gioco<br />

pericoloso'; ma malgrado il suo impareggiabi<strong>le</strong> ardimento, Mussol<strong>in</strong>i 'a tempo e luogo<br />

sa essere prudente.' (3) La Sarfatti non si chiede mai perché tanto impareggiabi<strong>le</strong><br />

ardimento nel rilanciare <strong>le</strong> bombe prima che esplodessero non venne mai riconosciuto<br />

dai superiori di Mussol<strong>in</strong>i, e perché nessuno pensò mai di concedere ad un guerriero<br />

così eroico e conosciuto una medaglia d'oro, o d'argento, o anche di bronzo.<br />

Pochi giorni dopo la visita <strong>del</strong> Re, degli aeroplani austriaci bombardarono l'ospeda<strong>le</strong><br />

(4). La signora Sarfatti è positivamente sicura che gli austriaci abbiano bombardato<br />

l'ospeda<strong>le</strong> per liberarsi di Mussol<strong>in</strong>i e v<strong>in</strong>cere la guerra: 'Subito apparve dal cielo un<br />

aeroplano, che avanzò per bombardare l'ospeda<strong>le</strong> esattamente <strong>in</strong>dividuato, dove<br />

giaceva questo nemico che tanto profondamente era odiato e temuto' (5).<br />

Il 23 febbraio 1932, il segretario <strong>del</strong> Guf di Tor<strong>in</strong>o, mentre si ce<strong>le</strong>brava il qu<strong>in</strong>dicesimo<br />

anniversario <strong>del</strong> giorno <strong>in</strong> cui Mussol<strong>in</strong>i era stato ferito, rendendo così la sua 'offerta di<br />

sangue alla patria,' dette il seguente resoconto di quanto era successo durante il<br />

bombardamento <strong>del</strong>l'ospeda<strong>le</strong>:


«Gli austriaci, saputo che il loro più fiero avversario giaceva sangu<strong>in</strong>ante nella scuola<br />

di Ronchi, giubilanti di gioia feroce, <strong>in</strong>viarono gli aeroplani a f<strong>in</strong>irlo. Rombo di<br />

esplosioni, schianto di bombe, fragore di macerie ru<strong>in</strong>anti, urla di feriti <strong>in</strong>chiodati da<br />

nuove piaghe ai <strong>le</strong>tti: ma il nemico mancò all'auspicatissimo colpo. Ancora una volta<br />

sul capo <strong>del</strong> Romagnolo era scesa protettrice la mano trafitta di Gesù. Nessuna forza<br />

umana poteva ormai arrestare i prodigi che già per lui maturava il dest<strong>in</strong>o» (6).<br />

Queste sono davvero <strong>del</strong><strong>le</strong> volgarità; ma servono a mostrare come è che si<br />

manipolano <strong>le</strong> saghe e come f<strong>in</strong>iscono per essere accettate come storia.<br />

2.<br />

Nel marzo <strong>del</strong> 1919, parlando ad un primo nuc<strong>le</strong>o di suoi seguaci a Milano, Mussol<strong>in</strong>i<br />

annunciò che entro due mesi <strong>in</strong> tutta Italia sarebbero sorti un migliaio di Fasci; ai<br />

primi di luglio il livello <strong>del</strong><strong>le</strong> sue aspettative era sceso da 1000 a 300, ma anche<br />

queste 300 sezioni sarebbero nate 'quanto prima,' e solo nel<strong>le</strong> pr<strong>in</strong>cipali città: 'Il<br />

<strong>fascismo</strong> non si può diffondere fuori <strong>del</strong><strong>le</strong> città.' Nell'ottobre <strong>del</strong> 1919, al primo<br />

congresso naziona<strong>le</strong> dei Fasci a Firenze, i fascisti dichiararono che esistevano già 137<br />

Fasci, e che 62 erano <strong>in</strong> via di costituzione, e il tota<strong>le</strong> degli iscritti si disse che<br />

ammontava a 40000; ma secondo la relazione presentata al congresso fascista <strong>del</strong><br />

novembre <strong>del</strong> 1921, nell'ottobre <strong>del</strong> 1919 i Fasci erano soltanto 20 e gli iscritti 17000<br />

(7). Questa ultima cifra è certamente <strong>in</strong>ventata; se fosse stato vero, ogni Fascio<br />

avrebbe avuto una media di 850 iscritti, cosa <strong>in</strong>audita nell'Italia <strong>del</strong> 1919. In un<br />

discorso tenuto il 9 marzo 1924, Mussol<strong>in</strong>i affermò che alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1919 i fascisti di<br />

tutta Italia 'non arrivavano a 10000' (8). Nel "Popolo d'Italia" <strong>del</strong> 23 mazzo 1929, il<br />

segretario amm<strong>in</strong>istrativo <strong>del</strong> partito affermò che al 31 dicembre 1919 i Fasci <strong>in</strong> Italia<br />

erano 31 con solo 870 iscritti. Quest'ultima cifra sembra essere quella esatta; <strong>le</strong> altre<br />

<strong>in</strong>dicano probabilmente non i membri effettivi dei Fasci ma i simpatizzanti fascisti,<br />

secondo un calcolo approssimato.


CAPITOLO OTTAVO.<br />

IL PARTITO POPOLARE.<br />

Una nuova <strong>org</strong>anizzazione politica si offrì al popolo italiano come la sola capace di<br />

svolgere un programma di radicali riforme politiche e sociali senza scosse vio<strong>le</strong>nte: il<br />

partito popolare italiano.<br />

Nel decennio precedente alla guerra, solo <strong>in</strong> casi eccezionali i cattolici avevano votato<br />

per candidati propri, di regola avevano votato per i candidati conservatori contro i<br />

socialisti o altri ben noti antic<strong>le</strong>ricali. Durante la guerra, crescendo nel paese lo<br />

scontento contro di essa, si resero conto che non gli conveniva di cont<strong>in</strong>uare a<br />

comportarsi come una appendice <strong>del</strong>la vecchia coalizione parlamentare giolittiana. Tra<br />

i soldati vi era grande eccitazione per <strong>le</strong> aspettative immense; i giovani preti, che<br />

durante la guerra avevano prestato servizio nel<strong>le</strong> tr<strong>in</strong>cee come cappellani, si<br />

sarebbero rifiutati <strong>in</strong> modo reciso di fare da galopp<strong>in</strong>i e<strong>le</strong>ttorali ai vecchi politicanti. Le<br />

<strong>org</strong>anizzazioni cattoliche <strong>del</strong> periodo prebellico tendenzialmente conservatrici non<br />

potevano smuovere sul piano <strong>del</strong>l'azione politica <strong>le</strong> agitate masse italiane. Perciò, nel<br />

gennaio <strong>del</strong> 1919, nacque il partito popolare italiano come una formazione <strong>del</strong> tutto<br />

nuova.<br />

Le <strong>org</strong>anizzazioni cattoliche <strong>del</strong> periodo prebellico erano state <strong>in</strong> ogni diocesi sotto il<br />

controllo <strong>del</strong> vescovo, e <strong>in</strong> conclusione <strong>del</strong> Vaticano. Il nuovo partito si asteneva dal<br />

def<strong>in</strong>irsi 'cattolico,' e negava pers<strong>in</strong>o di essere un partito 'religioso,' proclamandosi<br />

partito 'politico,' che tuttavia <strong>in</strong>tendeva uniformare la sua condotta 'ai saldi pr<strong>in</strong>cipi<br />

<strong>del</strong> cristianesimo.' Essendo un partito politico e non religioso, era autonomo nei<br />

confronti <strong>del</strong><strong>le</strong> autorità ecc<strong>le</strong>siastiche.<br />

Del<strong>le</strong> vecchie <strong>org</strong>anizzazioni cattoliche, la 'Unione e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> cattolica,' che prima <strong>del</strong>la<br />

guerra aveva sostenuto i candidati <strong>del</strong>la coalizione parlamentare giolittiana nei casi <strong>in</strong><br />

cui non aveva presentato candidati propri, scomparve senza che nessuno si chiedesse<br />

che cosa ne era successo; la 'Unione economico-socia<strong>le</strong>,' che prima <strong>del</strong>la guerra<br />

raggruppava i s<strong>in</strong>dacati, <strong>le</strong> società cooperative, <strong>le</strong> banche e <strong>in</strong> genere tutte <strong>le</strong><br />

<strong>org</strong>anizzazioni economiche controllate dai cattolici, fu ufficialmente sciolta dal<br />

Vaticano, e i s<strong>in</strong>dacati formarono una 'Confederazione italiana dei lavoratori,' mentre<br />

<strong>le</strong> società cooperative si raccolsero <strong>in</strong> tre diverse federazioni nazionali, la prima dei<br />

consumatori, la seconda dei produttori, e la terza <strong>del</strong><strong>le</strong> banche. La confederazione e <strong>le</strong><br />

tre federazioni si al<strong>le</strong>arono al partito popolare. Rimanevano fuori <strong>del</strong> partito popolare<br />

alcune <strong>org</strong>anizzazioni m<strong>in</strong>ori <strong>del</strong> periodo prebellico, come la 'Società <strong>del</strong>la gioventù<br />

cattolica italiana,' la 'Unione <strong>del</strong><strong>le</strong> donne cattoliche italiane,' che erano sotto il<br />

controllo di una 'Giunta centra<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'Azione cattolica' e <strong>in</strong> conclusione <strong>del</strong> Vaticano<br />

(1). In tal modo venne chiaramente posta <strong>in</strong> luce la differenza tra <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni<br />

<strong>le</strong>gate al partito popolare e autonome nei confronti <strong>del</strong><strong>le</strong> autorità ecc<strong>le</strong>siastiche, e <strong>le</strong><br />

<strong>org</strong>anizzazioni cattoliche dipendenti dal<strong>le</strong> autorità ecc<strong>le</strong>siastiche.<br />

Il partito popolare condannava l'imperialismo e sosteneva la Società <strong>del</strong><strong>le</strong> Nazioni, il<br />

disarmo, l'abolizione <strong>del</strong> segreto dei trattati; <strong>in</strong> politica <strong>in</strong>terna vo<strong>le</strong>va il suffragio<br />

universa<strong>le</strong> anche per <strong>le</strong> donne, la proporziona<strong>le</strong>, una <strong>le</strong>gislazione socia<strong>le</strong> che avesse<br />

come scopo l'ammissione dei lavoratori al possesso dei mezzi di produzione e<br />

l'aumento <strong>del</strong> numero di piccoli proprietari, una lotta più attiva contro l'analfabetismo,<br />

e libertà per <strong>in</strong>dividui, associazioni e enti locali dalla burocrazia stata<strong>le</strong> oppressiva e<br />

centralizzata. A coloro che condannavano la guerra e i responsabili di essa, questi<br />

cattolici che erano stati contrari all'<strong>in</strong>tervento <strong>del</strong>l'Italia <strong>in</strong> guerra ricordavano il<br />

proprio passato e salutavano Papa Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo, che nel 1917 aveva<br />

<strong>in</strong>utilmente cercato di fermare la '<strong>in</strong>uti<strong>le</strong> strage' (secondo <strong>le</strong> paro<strong>le</strong> usate dal papa <strong>in</strong>


persona); a coloro che erano stati favorevoli alla guerra ed erano fieri <strong>del</strong>la vittoria, i<br />

cappellani militari e i giovani reduci mostravano <strong>le</strong> loro medaglie al valore e <strong>le</strong> loro<br />

ferite e mutilazioni; a quanti non vo<strong>le</strong>vano ritrovarsi ad un'altra guerra, il programma<br />

<strong>del</strong> nuovo partito prometteva una politica di pace sotto <strong>le</strong> ali <strong>del</strong>la Società <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

Nazioni. Ciò tuttavia non vietava ai cattolici di tendenza nazionalista di chiedere la<br />

Dalmazia, l'Asia M<strong>in</strong>ore, l'Etiopia e quanto più si potesse. Molti <strong>org</strong>anizzatori<br />

provenivano dal c<strong>le</strong>ro secolare e regolare, <strong>in</strong>sieme a giovani che da poco avevan<br />

lasciato l'esercito. Nel marzo <strong>del</strong> 1919 a Napoli, 350 tra canonici, parroci e preti<br />

tennero una riunione <strong>in</strong> cui decisero di iscriversi <strong>in</strong> massa al partito popolare (2). La<br />

stessa cosa accadde un po' dovunque. Ma dato che il partito non era cattolico e<br />

neppure religioso, tutti i non-cattolici che accettavano i saldi pr<strong>in</strong>cipi <strong>del</strong> cristianesimo<br />

potevano entrarvi. Vi furono degli ebrei che ne chiesero l'iscrizione e che<br />

candidamente cercarono di esserne candidati nel<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni generali.<br />

Il nuovo partito fece fortuna con una sorprendente rapidità. Nel 1914 <strong>in</strong> Italia i<br />

cattolici controllavano coi loro s<strong>in</strong>dacati non più di 42000 lavoratori nel<strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie e<br />

65000 nell'agricoltura (3). Alla f<strong>in</strong>e di ottobre <strong>del</strong> 1918, gli iscritti ai s<strong>in</strong>dacati cattolici<br />

erano 162000; nel marzo 1919, la Confederazione italiana dei lavoratori contava<br />

200000 iscritti (4); nell'autunno <strong>del</strong> 1920 gli iscritti erano saliti a 1.189.000 (5); nel<br />

giugno <strong>del</strong> 1919, al primo congresso naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito, erano rappresentate 850<br />

sezioni con 55895 iscritti; alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1919 <strong>le</strong> sezioni ammontavano a 2700 con<br />

100000 iscritti (6).<br />

Dapprima il nuovo partito fu accolto con favore dai vecchi gruppi dirigenti, che<br />

speravano di servirsene come 'massa di manovra' contro i socialisti, come avevan<br />

fatto con <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni e<strong>le</strong>ttorali cattoliche <strong>del</strong> periodo prebellico (7). Ma ben<br />

presto i 'liberali' furono <strong>del</strong>usi (8). Nell'estate <strong>del</strong> 1919 questi 'liberali' <strong>in</strong>sieme con i<br />

conservatori cattolici com<strong>in</strong>ciarono a lamentarsi di un 'bolscevismo nero'. (9) Non<br />

avevano <strong>del</strong> tutto torto. Ben presto nel movimento popolare si fecero avanti qua e là<br />

uom<strong>in</strong>i che dettero <strong>in</strong>izio a una vivace concorrenza coi socialisti sotto la bandiera di<br />

Cristo <strong>in</strong>vece che quella di Len<strong>in</strong>. Nell'agosto <strong>del</strong> 1919, nel villaggio di Calusco (prov.<br />

di Bergamo) i contad<strong>in</strong>i si riunirono al suono <strong>del</strong><strong>le</strong> campane e assediarono i figli di un<br />

proprietario cattolico, il conte Medolago Albano, per dodici ore, f<strong>in</strong>ché questi da<br />

Bergamo mandò a dire che accettava <strong>in</strong>condizionatamente <strong>le</strong> condizioni richieste dai<br />

contad<strong>in</strong>i (10). Non furono pochi i casi di questo genere nel corso <strong>del</strong> 1919 e 1920.<br />

Tuttavia, se si vogliono esam<strong>in</strong>are i fatti obiettivamente, si deve tener presente che <strong>in</strong><br />

Italia, ,come ovunque, negli anni immediati <strong>del</strong> dopoguerra gli stessi conservatori<br />

erano spesso più accesi nei loro modi di esprimersi di molti rivoluzionari di professione<br />

(11). Ognuno prometteva tutto a tutti, e chi si provava a suggerire calma e pazienza<br />

veniva tagliato fuori da coloro che strepitavano a favore dei provvedimenti più<br />

estremi. Il solo mezzo per mantenersi <strong>in</strong> contatto con <strong>le</strong> masse e sol<strong>le</strong>var<strong>le</strong> dal loro<br />

stato di amarezza era quello di <strong>in</strong>dulgere s<strong>in</strong>o a un certo grado al<strong>le</strong> loro convulsioni.<br />

Un partito come il partito popolare che traeva <strong>le</strong> sue reclute tra larghe masse di<br />

popolo di tutte <strong>le</strong> condizioni sociali era costretto a mostrare una certa tendenza o<br />

verso la estrema s<strong>in</strong>istra o verso la estrema destra. Non è giusto, giudicando l'operato<br />

<strong>del</strong> partito popolare, considerare soltanto la sua estrema s<strong>in</strong>istra, ignorando il fatto<br />

che il direttorio <strong>del</strong> partito cercò di tenerla a freno, e quando si dimostrò necessario<br />

sconfessò comp<strong>le</strong>tamente <strong>le</strong> sue azioni (12) La vera colpa <strong>del</strong> partito popolare - colpa<br />

imperdonabi<strong>le</strong> agli occhi dei conservatori, sia di quelli 'liberali' che di quelli cattolici -<br />

fu di non essersi unito con <strong>le</strong> classi ricche contro <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni dei lavoratori. Agli<br />

occhi dei conservatori ogni sciopero era 'bolscevico,' sia che fosse promosso dai<br />

'bianchi,' cioè dai democratici-cristiani, che dai 'rossi,' cioè dai s<strong>in</strong>dacalisti, e anche se<br />

a tali scioperi non si accompagnava nessun atto di vio<strong>le</strong>nza, <strong>del</strong> genere di quelli di cui<br />

avevan fatto esperienza i figli <strong>del</strong> conte Medolago Albano. La bandiera non faceva una<br />

gran differenza, quando sia gli uni che gli altri chiedevano gli stessi aumenti di salari e


<strong>le</strong> stesse riduzioni di orari di lavoro. Se Gesù Cristo si rifiutava di fare il carceriere di<br />

coloro che si dovevano guadagnare il pane quotidiano col sudore <strong>del</strong>la fronte, anche<br />

Gesù Cristo diventava un 'bolscevico.' Quelli che vogliono affogare il cane dicono<br />

sempre che il cane è rabbioso.<br />

Sta di fatto che il partito popolare impedì che il partito socialista raggiungesse un<br />

dom<strong>in</strong>io <strong>in</strong>contrastato sul<strong>le</strong> masse contad<strong>in</strong>e. Di 1.189.000 iscritti nel 1920 alla<br />

Confederazione dei lavoratori controllata dai popolari, 945000 erano mezzadri, piccoli<br />

affittuari e piccoli proprietari. Di 2.150.000 iscritti nel 1920 ai s<strong>in</strong>dacati socialisti,<br />

quelli appartenenti al<strong>le</strong> classi agrico<strong>le</strong> erano non più di 750000. Se non ci fosse stato<br />

il partito popolare, il controllo dei socialisti sui contad<strong>in</strong>i sarebbe stato schiacciante,<br />

come lo era sui lavoratori urbani. I grandi proprietari terrieri, i banchieri e i nuovi<br />

ricchi, che nel 1919 e 1920 appoggiarono il partito popolare, fecero un buon affare ed<br />

un calcolo <strong>in</strong>telligente: impiegarono i loro denari e la loro fede cattolica ad un tasso di<br />

<strong>in</strong>teresse molto alto.<br />

Pur svolgendo un ta<strong>le</strong> compito, certamente di grande importanza ma negativo, il<br />

partito popolare non aveva forza sufficiente per una azione positiva <strong>in</strong>dipendente.<br />

Nel<strong>le</strong> città esso non ebbe mai una <strong>in</strong>fluenza preponderante: i suoi seguaci erano quasi<br />

esclusivamente agricoltori <strong>del</strong>l'Italia settentriona<strong>le</strong> e centra<strong>le</strong>. In queste regioni <strong>le</strong><br />

popolazioni agrico<strong>le</strong> sono sparse per la campagna; il parroco vive <strong>in</strong> contatto con<br />

esse, conosce la loro mentalità e i loro bisogni, e se è un uomo buono ed attivo nel<br />

campo dei servizi sociali, può facilmente diventare il <strong>le</strong>ader <strong>del</strong>la comunità rura<strong>le</strong> oltre<br />

che il m<strong>in</strong>istro dei sacramenti. Nel Mezzogiorno <strong>le</strong> condizioni sono <strong>del</strong> tutto diverse;<br />

qui generalmente i contad<strong>in</strong>i vivono <strong>in</strong> paesi discretamente grandi; i braccianti escono<br />

dal paese al matt<strong>in</strong>o per recarsi a lavorare nei campi, e fanno ritorno alla sera, o alla<br />

f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la settimana, o dopo diverse settimane di assenza. Il parroco non può<br />

raggiungere su di essi quel controllo che viene da un contatto persona<strong>le</strong> cont<strong>in</strong>uo; egli<br />

non è <strong>in</strong> grado di conoscere uno per uno più di una modesta parte <strong>del</strong>la sua<br />

sovrappopolata parrocchia. Inoltre il c<strong>le</strong>ro <strong>del</strong> Mezzogiorno è meno educato, meno<br />

austero e più preoccupato degli <strong>in</strong>teressi propri e di quelli <strong>del</strong>la propria famiglia <strong>del</strong><br />

c<strong>le</strong>ro <strong>del</strong> Nord. Anche <strong>in</strong> questo campo si dimostra l'arretratezza <strong>del</strong> Mezzogiorno. Di<br />

conseguenza, così come nei grossi centri urbani di tutta Italia, il Mezzogiorno era un<br />

terreno steri<strong>le</strong> per il c<strong>le</strong>ro cattolico, a parte i casi di alcuni preti di ecceziona<strong>le</strong><br />

<strong>in</strong>telligenza e forza mora<strong>le</strong> che qua e là svolgevano tra il popolo una funzione di<br />

<strong>le</strong>aders sociali.<br />

In tali condizioni il partito popolare non raccolse mai sotto <strong>le</strong> sue bandiere più di un<br />

qu<strong>in</strong>to <strong>del</strong>la popolazione politicamente attiva. Avrebbe dovuto al<strong>le</strong>arsi con altri partiti<br />

per svolgere il suo programma, o alcuni punti <strong>del</strong> suo programma. Qui <strong>le</strong> difficoltà<br />

serie gli venivano dall'<strong>in</strong>terno e dall'esterno. La massa dei suoi seguaci era formata<br />

preva<strong>le</strong>ntemente da quella classe che <strong>in</strong> Italia si dice 'popolo m<strong>in</strong>uto,' e che nella sua<br />

maggioranza era nata e cresciuta democratica. Il segretario naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito, un<br />

prete siciliano, Don Luigi Sturzo, condivideva s<strong>in</strong>ceramente i sentimenti dei suoi<br />

seguaci e godeva tra loro di grande prestigio. Ma il partito era appesantito anche da<br />

tutti quei conservatori che nel periodo prebellico avevano controllato il movimento<br />

politico cattolico. Questi formavano soltanto una piccola m<strong>in</strong>oranza a confronto con il<br />

'popolo m<strong>in</strong>uto' e con il basso c<strong>le</strong>ro; ma essi godevano <strong>del</strong>la fiducia <strong>del</strong>la maggioranza<br />

di card<strong>in</strong>ali, vescovi e alti funzionari <strong>del</strong> Vaticano. Erano aristocratici, grossi<br />

proprietari terrieri e altri personaggi so<strong>le</strong>nni, ben noti per <strong>le</strong> cariche pubbliche che una<br />

volta avevano ricoperto. Essi potevano sostenere <strong>le</strong> spese <strong>del</strong><strong>le</strong> campagne e<strong>le</strong>ttorali,<br />

avevano tempo da dedicare alla politica, conoscevano tutte <strong>le</strong> strade e tutti i mezzi<br />

attraverso i quali un uomo politico al momento buono compare nella posizione<br />

strategica, ogni volta che si deve scegliere un candidato per la Camera, un ente<br />

loca<strong>le</strong>, o l'esecutivo naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito. Amm<strong>in</strong>istravano <strong>le</strong> banche <strong>le</strong>gate al partito,<br />

e attraverso di esse controllavano molte società cooperative. La più importante di


queste banche e la più corrotta era il Banco di Roma, che foraggiava i due più<br />

importanti giornali <strong>del</strong> partito: il "Corriere d'Italia" di Roma, e l'"Avvenire d'Italia" di<br />

Bologna. Nei circoli non-cattolici si diceva che il partito popolare era nato portandosi<br />

addosso il cancro <strong>del</strong> Banco di Roma. Anche gli altri quotidiani, il "Momento" di Tor<strong>in</strong>o,<br />

l'"Italia" di Milano, e il "Messaggero Toscano" di Pisa, erano tenuti <strong>in</strong> vita dai<br />

conservatori cattolici a spese <strong>del</strong><strong>le</strong> banche locali. Come un deputato cattolico ebbe a<br />

dire più tardi, 'sotto la bandiera <strong>del</strong> partito popolare italiano non c'era un partito solo,<br />

ma due: due partiti cattolici che, <strong>in</strong> un memorabi<strong>le</strong> momento storico, si fusero' (13).<br />

Questa duplice natura <strong>del</strong> partito fu una causa permanente di conflitto <strong>in</strong>terno e, <strong>in</strong><br />

ultima analisi, di azione <strong>in</strong>certa e <strong>in</strong>efficace. Il partito era una macch<strong>in</strong>a <strong>in</strong> cui un gran<br />

numero di piccoli <strong>in</strong>granaggi giravano <strong>in</strong> una direzione, mentre alcuni grossi<br />

<strong>in</strong>granaggi giravano nella direzione opposta, disturbando o paralizzando <strong>del</strong> tutto il<br />

lavoro dei piccoli. Il partito non riuscì mai a scendere dal<strong>le</strong> nuvo<strong>le</strong> di astrazioni<br />

filosofiche e morali alla terra ferma di un programma def<strong>in</strong>ito di ampie riforme che<br />

costr<strong>in</strong>gesse gli altri partiti a prendere posizione e a combattere pro o contro.<br />

Posto che il partito doveva al<strong>le</strong>arsi con altri partiti se vo<strong>le</strong>va svolgere un'opera<br />

efficiente, l'ala conservatrice <strong>del</strong> partito era pronta a venire a patti con la destra <strong>del</strong>la<br />

coalizione parlamentare giolittiana, cont<strong>in</strong>uando la politica cattolica di prima <strong>del</strong>la<br />

guerra. Nel maggio <strong>del</strong> 1919 un congresso cattolico che si tenne nel Mezzogiorno, e al<br />

qua<strong>le</strong> parteciparono tre arcivescovi e quattordici vescovi, chiese che al<strong>le</strong> prossime<br />

e<strong>le</strong>zioni generali i cattolici non mettessero avanti dei candidati propri, ma<br />

sostenessero i gruppi 'nazionali,' cioè i conservatori e i nazionalisti (14). Se i <strong>le</strong>aders<br />

<strong>del</strong> partito avessero seguito questa strada, avrebbero perduto il loro esercito. La<br />

vecchia coalizione giolittiana era screditata e impopolare. Il nuovo partito era sorto<br />

proprio perché era diventato necessario rompere con la tattica <strong>del</strong><strong>le</strong> vecchie<br />

<strong>org</strong>anizzazioni cattoliche.<br />

Rimanevano i partiti che erano, o dichiaravano di essere, democratici: la s<strong>in</strong>istra <strong>del</strong>la<br />

coalizione giolittiana, i socialisti riformisti, i repubblicani, i socialisti ufficiali. Qui<br />

s<strong>org</strong>evano difficoltà <strong>in</strong>sormontabili.<br />

In Italia l'unità naziona<strong>le</strong> e <strong>le</strong> libere istituzioni erano state create e mantenute durante<br />

tutto il diciannovesimo secolo attraverso una dura lotta con il Vaticano, l'alto c<strong>le</strong>ro, e<br />

quella parte <strong>del</strong> basso c<strong>le</strong>ro e <strong>del</strong>la popolazione che formavano il partito 'c<strong>le</strong>rica<strong>le</strong>,' un<br />

partito non solo conservatore, ma assolutamente reazionario. Nell'ultimo decennio <strong>del</strong><br />

diciannovesimo secolo, sotto il pontificato di Leone Tredicesimo, c'era stato un<br />

promettente <strong>in</strong>izio di 'democrazia cristiana'; ma Pio Decimo, al pr<strong>in</strong>cipio <strong>del</strong> secolo,<br />

aveva soffocato il movimento e aggregato <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni cattoliche ai gruppi<br />

conservatori <strong>in</strong> tutte <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni sia nazionali che locali. Perciò, <strong>le</strong> correnti antic<strong>le</strong>ricali<br />

che risalivano all'epoca <strong>del</strong> Ris<strong>org</strong>imento erano sempre vive ed attive all'<strong>in</strong>terno dei<br />

partiti democratici, e spesso prendevano la forma di un odio cieco e settario. Per<br />

quanto il partito popolare <strong>in</strong>sistesse nel chiamarsi democratico, non poteva far sì che<br />

il popolo dimenticasse il recente passato <strong>del</strong> movimento cattolico, dato specialmente<br />

che molti dei suoi vecchi <strong>le</strong>aders erano bene <strong>in</strong> vista nel<strong>le</strong> posizioni strategiche <strong>del</strong><br />

nuovo partito.<br />

C'era anche un'altra ragione che rendeva diffici<strong>le</strong>, per non dire impossibi<strong>le</strong>, una <strong>in</strong>tesa<br />

tra il partito popolare e i partiti democratici antic<strong>le</strong>ricali. Era la questione romana.<br />

Prima <strong>del</strong> 1859, il papa era stato al tempo stesso capo <strong>del</strong>la Chiesa cattolica, una<br />

<strong>org</strong>anizzazione religiosa <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong>, e sovrano dei territori <strong>del</strong>l'Italia centra<strong>le</strong>.<br />

Secondo la dottr<strong>in</strong>a cattolica, la sovranità territoria<strong>le</strong> era necessaria al papa per<br />

garantire <strong>del</strong>la sua libertà spiritua<strong>le</strong> come capo <strong>del</strong>la Chiesa cattolica <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong>.<br />

Tra il 1859 e il 1870, tutti i territori <strong>del</strong> Papato furono annessi al regno d'Italia, e<br />

quando Roma, capita<strong>le</strong> <strong>del</strong>lo Stato pontificio, il 20 settembre 1870, venne occupata<br />

dal<strong>le</strong> truppe italiane, il papa <strong>in</strong>sieme alla sua corte si ritirò nel cosiddetto Vaticano, un


comp<strong>le</strong>sso di edifici, giard<strong>in</strong>i e altri terreni, che coprono un'area di circa 44 ettari sulla<br />

riva destra <strong>del</strong> Tevere.<br />

Nel marzo <strong>del</strong> 1871 il Parlamento italiano approvò una <strong>le</strong>gge, la '<strong>le</strong>gge <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

guarentigie,' secondo la qua<strong>le</strong> la persona <strong>del</strong> papa, come quella <strong>del</strong> Re, era sacra e<br />

<strong>in</strong>violabi<strong>le</strong>. Il papa era autorizzato a 'godere dei palazzi apostolici Vaticano e<br />

Lateranense' e di Castel Gandolfo, nei d<strong>in</strong>torni di Roma; aveva il potere di mantenere<br />

una guardia per la sua persona, e agli <strong>in</strong>viati accreditati presso di lui erano concesse<br />

<strong>le</strong> immunità diplomatiche; il governo italiano si asteneva da qualsiasi giurisdizione<br />

sopra il Vaticano e dall'<strong>in</strong>terferire con l'amm<strong>in</strong>istrazione <strong>del</strong>la Chiesa cattolica nel<br />

mondo. La <strong>le</strong>gge prevedeva <strong>in</strong>oltre che al papa fosse concessa la dotazione annua di<br />

lire 3.225.000 per il mantenimento <strong>del</strong>la sua corte e <strong>del</strong> servizio diplomatico.<br />

In tal modo il papa rimaneva capo <strong>del</strong>la Chiesa, ma era privato <strong>del</strong>la sovranità<br />

territoria<strong>le</strong> che era considerata come una garanzia necessaria alla sua libertà. Era un<br />

sovrano spodestato, che viveva con la sua corte nel cuore <strong>del</strong> suo antico stato,<br />

circondato da coloro che lo avevano privato dei suoi beni. Cont<strong>in</strong>uava a godere tutti i<br />

privi<strong>le</strong>gi di un sovrano <strong>in</strong>dipendente, ma non poteva reclamare come sua proprietà<br />

<strong>le</strong>ga<strong>le</strong> neppure il palazzo <strong>in</strong> cui viveva. Il governo italiano gliene garantiva soltanto<br />

l'uso ma si riservava per esso il possesso <strong>del</strong>la proprietà. Al posto <strong>del</strong><strong>le</strong> sue garanzie<br />

territoriali gli era stata offerta una <strong>le</strong>gge con la qua<strong>le</strong> il governo italiano si impegnava<br />

al rispetto <strong>del</strong>la sua libertà. Ma lo stesso Parlamento che aveva approvato la '<strong>le</strong>gge<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> guarentigie' avrebbe potuto abolirla e assoggettare il papa ad una nuova<br />

<strong>le</strong>gislazione che <strong>in</strong>terferisse con la sua libertà.<br />

Papa Pio Nono si rifiutò di riconoscere come <strong>le</strong>gittimo questo atto <strong>le</strong>gislativo decretato<br />

senza il suo consenso, e non si lasciò sfuggire occasione per reclamare i territori sui<br />

quali una volta aveva esercitato la propria sovranità. Rifiutò la dotazione annua<br />

offertagli dal governo italiano e fece appello ai cattolici di tutto il mondo perché<br />

provvedessero ai bisogni <strong>del</strong>la Santa Sede mediante l'obolo di S. Pietro. Quando Pio<br />

Nono morì, nel febbraio <strong>del</strong> 1878, il suo successore, Leone Tredicesimo, rifiutò di dare<br />

la benedizione tradiziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> nuovo pontefice al popolo <strong>in</strong> attesa <strong>in</strong> piazza San<br />

Pietro. Dichiarò che si considerava un prigioniero <strong>in</strong> terra straniera. Proibì ai fe<strong>del</strong>i <strong>in</strong><br />

Italia di recarsi a votare o di presentarsi come candidati al Parlamento. Ai sovrani dei<br />

paesi cattolici era proibito di recarsi a Roma ufficialmente per render visita alla corte<br />

italiana. Fuori d'Italia, i cattolici conducevano una sistematica campagna di<br />

propaganda contro l'Italia, usurpatrice dei diritti <strong>del</strong>la Santa Sede. S<strong>in</strong>o a che <strong>in</strong><br />

qualche modo non fosse stato restaurato il potere tempora<strong>le</strong> <strong>del</strong> papa, l'Italia doveva<br />

essere considerata una potenza il<strong>le</strong>gittima, senza uno stato <strong>le</strong>ga<strong>le</strong> nella comunità<br />

<strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong>. Con questi sistemi il Vaticano mirava a mantenere viva la questione<br />

romana.<br />

Malgrado tutte queste difficoltà, l'Italia riuscì a vivere e a rafforzarsi. D'altra parte,<br />

tutti i governi italiani, <strong>in</strong>dipendentemente dal partito al potere, ebbero cura di<br />

rispettare scrupolosamente la libertà <strong>del</strong> papa come capo <strong>del</strong>la Chiesa; nessun<br />

vescovo fuori d'Italia poté mai lamentare che il governo italiano avesse ostacolato <strong>le</strong><br />

sue comunicazioni col papa; nessun ambasciatore dei governi stranieri presso la<br />

Santa Sede poté mai asserire che <strong>le</strong> sue relazioni col papa erano state ostacolate, o <strong>le</strong><br />

sue immunità diplomatiche violate dal governo italiano. Poco a poco divenne chiaro<br />

che la condizione <strong>del</strong> papa era più comoda dopo il 1870 di quanto non lo fosse prima.<br />

Il papa non aveva più la responsabilità di governo su un territorio popolato da sudditi,<br />

una parte dei quali non <strong>in</strong>tendeva assolutamente obbedirgli; d'altra parte egli godeva<br />

di fatto di una comp<strong>le</strong>ta libertà, anche se questa non era garantita da una sovranità<br />

territoria<strong>le</strong>. E mentre era immune da tutte <strong>le</strong> responsabilità che gravano <strong>le</strong> spal<strong>le</strong> dei<br />

governi civili e godeva veramente di una libertà comp<strong>le</strong>ta, poteva al tempo stesso<br />

lamentarsi, adducendo che la sua libertà essenzia<strong>le</strong> non era garantita, poteva<br />

presentarsi al mondo con l'alone romantico di un prigioniero, che era stato vittima di


un atto di vio<strong>le</strong>nza ma non si <strong>in</strong>ch<strong>in</strong>ava alla vio<strong>le</strong>nza, e al contrario cont<strong>in</strong>uava a<br />

<strong>le</strong>vare proteste per il rispetto dei suoi diritti. Il papa non avrebbe potuto trovare per la<br />

questione romana soluzione più comoda <strong>del</strong>la situazione <strong>in</strong> cui si trovava.<br />

Tali circostanze spiegano perché Pio Decimo (1903-1914), il successore di Leone<br />

Tredicesimo, com<strong>in</strong>ciò <strong>le</strong>ntamente ad abbandonare la posizione di protesta<br />

<strong>in</strong>transigente che per trenta anni era stata mantenuta da Pio Nono e da Leone<br />

Tredicesimo. Nel 1904, sotto forma di eccezione, permise che i cattolici italiani<br />

partecipassero <strong>in</strong> alcuni col<strong>le</strong>gi e<strong>le</strong>ttorali al<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni generali. Nel 1909 e nel 1913 <strong>le</strong><br />

eccezioni si moltiplicarono; i cattolici furono e<strong>le</strong>tti deputati e giurarono fe<strong>del</strong>tà allo<br />

Statuto. Allo scoppio <strong>del</strong>la guerra mondia<strong>le</strong> gli imperi centrali, da una parte e <strong>le</strong><br />

potenze <strong>del</strong>l'Intesa, dall'altra, erano desiderosi che l'Italia fosse loro al<strong>le</strong>ata. Da<br />

nessuna <strong>del</strong><strong>le</strong> due parti i cattolici si fecero scrupolo di prendere <strong>in</strong> considerazione per<br />

il loro tornaconto la carne da cannone italiana, anche se questa non aveva la<br />

benedizione papa<strong>le</strong>. L'Italia si unì all'Intesa. Di conseguenza i cattolici tedeschi ed<br />

austriaci com<strong>in</strong>ciarono a mostrare molto <strong>in</strong>teresse per la questione romana. I cattolici<br />

francesi ed <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si trovarono più opportuno ignorarla. Dato che la Germania e l'Austria<br />

persero la guerra, durante i negoziati di pace nessuno sol<strong>le</strong>vò la questione romana.<br />

Perdute tutte <strong>le</strong> speranze di mantenere viva la questione romana sia <strong>in</strong> Italia che<br />

all'estero, Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo e il card<strong>in</strong>al Gasparri, suo segretario di stato,<br />

decisero di negoziare un accordo con il governo italiano. Le trattative furono aperte<br />

nella primavera <strong>del</strong> 1919. Il papa si sarebbe contentato <strong>del</strong> solo riconoscimento<br />

esplicito <strong>del</strong>la sua sovranità sul Vaticano (15); dato che il governo italiano non aveva<br />

mai pensato di avere una qualche autorità sul Vaticano, Orlando accettò la richiesta<br />

<strong>del</strong> papa. Le trattative, <strong>in</strong>terrotte nel giugno <strong>del</strong> 1919 dalla caduta <strong>del</strong> gab<strong>in</strong>etto<br />

Orlando, furono riprese dal gab<strong>in</strong>etto che gli succedette. La strada per una def<strong>in</strong>izione<br />

f<strong>in</strong>a<strong>le</strong> <strong>del</strong>la questione era così aperta. Tuttavia <strong>le</strong> trattative rimasero assolutamente<br />

segrete; esse furono rese note solamente nel 1929. Nel 1919, sebbene avesse<br />

perduto comp<strong>le</strong>tamente ogni tensione, la questione romana era sempre aperta.<br />

Certamente i <strong>le</strong>aders <strong>del</strong> partito popolare più di ogni altro desideravano che tra la<br />

Santa Sede e il governo italiano fosse raggiunta la pace; ma essi non sapevano che il<br />

papa era pronto a r<strong>in</strong>unciare <strong>in</strong> modo esplicito alla sua sovranità sopra i suoi vecchi<br />

territori, eccettuata l'area <strong>del</strong> Vaticano; anche se lo avessero saputo, non sarebbero<br />

stati autorizzati a rivelare la esistenza <strong>del</strong><strong>le</strong> trattative, che dovevano rimanere<br />

segrete. D'altra parte, se avessero posto sulla loro bandiera la questione romana<br />

senza proporre per essa una soluzione def<strong>in</strong>itiva, avrebbero sol<strong>le</strong>vato il sospetto che il<br />

Vaticano si stesse preparando, per riportare di nuovo a galla tutte <strong>le</strong> sue tradizionali<br />

pretese. Ne sarebbero derivate <strong>del</strong><strong>le</strong> reazioni vio<strong>le</strong>nte, nella tumultuosa atmosfera <strong>del</strong><br />

dopoguerra, non solo da parte dei partiti antic<strong>le</strong>ricali, ma anche di quei 'liberali' che<br />

avevano sempre sostenuto una <strong>in</strong>tesa con i cattolici.<br />

I <strong>le</strong>aders <strong>del</strong> partito popolare risolsero il prob<strong>le</strong>ma ignorandolo; si limitarono a<br />

chiedere che <strong>le</strong> relazioni tra Stato e Chiesa fossero riesam<strong>in</strong>ate, e meglio garantita la<br />

libertà <strong>del</strong>la Chiesa nell'esercizio <strong>del</strong>la sua missione spiritua<strong>le</strong> <strong>in</strong> tutto il mondo: paro<strong>le</strong><br />

che dicono tutto e non dicono niente. La "Civiltà Cattolica", rivista ufficia<strong>le</strong> <strong>del</strong><br />

Vaticano, nel suo numero <strong>del</strong> 15 febbraio 1919, lamentava che nel programma <strong>del</strong><br />

nuovo partito 'non vi è cenno esplicito (...) <strong>del</strong>la piena libertà, sovranità e<br />

<strong>in</strong>dipendenza <strong>del</strong> Papa, nel suo altissimo m<strong>in</strong>istero.' Gli autori di un opuscolo<br />

pubblicato poche settimane dopo scrivevano:<br />

«V'è una grave lacuna (nel programma <strong>del</strong> P.P.I.). Manca <strong>in</strong> esso un accenno esplicito<br />

<strong>del</strong>la piena libertà, sovranità ed <strong>in</strong>dipendenza <strong>del</strong> Papa nel suo, altissimo m<strong>in</strong>istero.<br />

Manca una coraggiosa e doverosa affermazione <strong>del</strong>la necessità di risolvere la<br />

questione romana. (...) Come cattolici noi non possiamo presc<strong>in</strong>dere dal Papa né<br />

ignorare la sua condizione attua<strong>le</strong>. Ed un partito che si ispira ai pr<strong>in</strong>cipi cristiani non


può trascurare il fatto doloroso che oggi l'<strong>in</strong>dipendenza e la libertà spiritua<strong>le</strong> <strong>del</strong><br />

Pontefice non è a sufficienza guarentita. (...) In nome stesso <strong>del</strong>la grandezza d'Italia il<br />

Partito nostro deve tendere alla soluzione <strong>del</strong>la questione romana» (16).<br />

Al primo congresso naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito, nel giugno <strong>del</strong> 1919 due congressisti, il<br />

conte V<strong>in</strong>cenzo Reggio d'Aci e il conte Filippo Sassoli de' Bianchi cercarono di portare<br />

sul tappeto l'argomento <strong>del</strong> 'grave dissidio esistente tra Stato e Chiesa <strong>in</strong> Italia.'<br />

«Se il partito popolare - disse il conte d'Aci - vuo<strong>le</strong> lo stato cristiano, deve vo<strong>le</strong>re che<br />

questo dissidio cessi. Non sta a lui dire come: vi e per questo la Suprema Autorità;<br />

ma bisogna portare fra <strong>le</strong> masse la coscienza <strong>del</strong>la necessità di sciogliere questo<br />

conflitto. Nell'ord<strong>in</strong>e <strong>del</strong> giorno dovrebbe essere <strong>in</strong>serita l'esistenza <strong>del</strong>la questione<br />

romana e il desiderio che sia risolta» (17).<br />

A questo punto <strong>del</strong>la cronaca, l'"Osservatore Romano" <strong>del</strong> 17 giugno 1919 dice:<br />

'rumori e <strong>in</strong>terruzioni.' I due conti capirono, e ritirarono la proposta.<br />

Questo si<strong>le</strong>nzio su una questione che realmente esisteva e realmente avrebbe dovuto<br />

preoccupare il partito, sol<strong>le</strong>vò sospetti anche tra i partiti antic<strong>le</strong>ricali. A che cosa<br />

miravano i <strong>le</strong>aders <strong>del</strong> partito popolare? Tacevano oggi aspettando il momento buono<br />

per mostrare i loro artigli, o consideravano davvero la questione romana così<br />

sorpassata da non meritare la loro attenzione? La situazione politica avrebbe potuto<br />

diventare più favorevo<strong>le</strong> al Vaticano <strong>in</strong> seguito all'<strong>in</strong>fluenza che il partito popolare<br />

aveva acquistato nel governo e nel<strong>le</strong> amm<strong>in</strong>istrazioni attraverso la sua attività<br />

e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> e parlamentare. Che cosa avrebbe fatto allora il Vaticano? Era <strong>del</strong> tutto<br />

natura<strong>le</strong> che i partiti antic<strong>le</strong>ricali fossero sospettosi di un movimento che, anche a<br />

proposito <strong>del</strong>la questione romana, seguiva un l<strong>in</strong>ea di condotta oscura.<br />

Il partito popolare adottò come grido di guerra la parola 'libertà.' Chiedeva <strong>le</strong> 'libertà<br />

religiose contro ogni oppressione di setta'; libertà alla Chiesa 'per la esplicazione <strong>del</strong>la<br />

sua missione spiritua<strong>le</strong> nel mondo'; libertà per <strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> private mantenute dai<br />

cattolici che non potevano reggere la concorrenza <strong>del</strong><strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> di stato; libertà per i<br />

s<strong>in</strong>dacati controllati dai cattolici, che non potevano essere <strong>in</strong> grado di svilupparsi se il<br />

governo favoriva soltanto i s<strong>in</strong>dacati socialisti. Non c'è dubbio qu<strong>in</strong>di che il partito<br />

popolare chiedeva la libertà per i cattolici. Ma cosa ne pensava <strong>del</strong>la libertà per i noncattolici?<br />

Don Sturzo sosteneva che il partito popolare chiedeva 'libertà per tutti';<br />

tuttavia la dottr<strong>in</strong>a ufficia<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Chiesa cattolica non aveva mai accettato la 'libertà<br />

per tutti,' la Chiesa cattolica ammette soltanto la 'libertà per il bene,' cioè per quello<br />

che <strong>le</strong> autorità <strong>del</strong>la Chiesa def<strong>in</strong>iscono come 'bene.' Libertà di coscienza per tutti,<br />

libertà di culto per tutti, libertà di parola per tutti, libertà di stampa per tutti, libertà di<br />

<strong>in</strong>segnamento per tutti: queste 'libertà per tutti' sono sempre state condannate da<br />

tutti i papi come libertà di ma<strong>le</strong>, di errore, di disord<strong>in</strong>e, di anarchia, di immoralità<br />

(18). Nei paesi <strong>in</strong> cui i cattolici non sono <strong>in</strong> grado di controllare i governi, la Chiesa<br />

'tol<strong>le</strong>ra' la libertà per tutti; ma i cattolici devono servirsi di queste libertà concesse a<br />

tutti per raggiungere quel controllo <strong>del</strong> governo che è loro dovuto, e una volta<br />

ottenuto ta<strong>le</strong> controllo devono servirsene per limitare, e quando è possibi<strong>le</strong><br />

sopprimere <strong>del</strong> tutto, la libertà <strong>del</strong> ma<strong>le</strong> (19).<br />

Il partito popolare si proclamava autonomo dal<strong>le</strong> autorità ecc<strong>le</strong>siastiche e dal<br />

Vaticano; ma il suo segretario genera<strong>le</strong> era un prete cattolico, che non avrebbe preso<br />

l'<strong>in</strong>iziativa di creare il nuovo partito, e non ne sarebbe divenuto il segretario genera<strong>le</strong>,<br />

se avesse previsto che i suoi superiori ecc<strong>le</strong>siastici avrebbero potuto condannarlo.<br />

Molti degli e<strong>le</strong>menti più attivi <strong>del</strong> movimento popolare appartenevano al c<strong>le</strong>ro secolare<br />

o regolare, cioè erano uom<strong>in</strong>i che, come Don Sturzo, erano <strong>le</strong>gati ai loro superiori<br />

ecc<strong>le</strong>siastici non solo da quel dovere di obbedienza comune a tutti i cattolici, ma<br />

anche da quella particolare forma di discipl<strong>in</strong>a che è peculiare al c<strong>le</strong>ro. La massa <strong>del</strong>


partito era formata da cattolici praticanti. La dottr<strong>in</strong>a cattolica ufficia<strong>le</strong> <strong>in</strong>segna che il<br />

cattolico deve obbedienza al<strong>le</strong> autorità ecc<strong>le</strong>siastiche <strong>in</strong> tutte <strong>le</strong> questioni dogmatiche<br />

e morali, e non nel<strong>le</strong> questioni politiche. Ma dove f<strong>in</strong>isce la mora<strong>le</strong> e dove com<strong>in</strong>cia la<br />

politica? Il papa è <strong>in</strong>fallibi<strong>le</strong> quando parla "ex cathedra" su questioni di dogma e di<br />

mora<strong>le</strong>. Ma: egli non parla "ex cathedra". Al contrario, parla tutti i giorni per mezzo di<br />

encicliche, allocuzioni, <strong>le</strong>ttere. Con maggiore frequenza <strong>del</strong> papa parlano i vescovi. La<br />

disobbedienza al papa o ai vescovi è come m<strong>in</strong>imo un peccato di <strong>org</strong>oglio, <strong>in</strong> quanto<br />

implica sfiducia verso <strong>le</strong> <strong>le</strong>gittime autorità <strong>del</strong>la Chiesa. Un non-cattolico può chieder<br />

consiglio al<strong>le</strong> autorità <strong>del</strong>la sua chiesa, ma <strong>in</strong> "ultima istanza" è la sua coscienza<br />

<strong>in</strong>dividua<strong>le</strong> che detta la sua azione esclusivamente secondo la sua responsabilità. I<br />

doveri di un cattolico sono <strong>del</strong> tutto diversi; se vuo<strong>le</strong> non cadere <strong>in</strong> peccato, deve<br />

obbedire all''<strong>in</strong>segnamento dottr<strong>in</strong>ario' <strong>del</strong> papa e dei vescovi; tutt'al più gli è<br />

consentito di conservare il si<strong>le</strong>nzio.<br />

Papa Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo e il suo segretario di stato card<strong>in</strong>al Gasparri né<br />

approvarono né proibirono la nascita <strong>del</strong> nuovo partito politico: lo ignorarono. Ma<br />

ignorandolo lo permettevano, o almeno lo tol<strong>le</strong>ravano. Che cosa sarebbe successo il<br />

giorno che questa tol<strong>le</strong>ranza fosse stata negata? Un prete giornalista riassumeva la<br />

situazione nei term<strong>in</strong>i seguenti:<br />

«Trattandosi di materia molto <strong>del</strong>icata, bisognerà evitare di oltrepassare i debiti limiti.<br />

L'aconfessionalità <strong>del</strong> partito popolare non toglie che il nerbo pr<strong>in</strong>cipa<strong>le</strong> <strong>del</strong><strong>le</strong> forze<br />

popolari venga dal cattolicesimo; se qu<strong>in</strong>di <strong>in</strong> base all'aconfessionalità vera o<br />

presunta, i dirigenti venissero a trovarsi <strong>in</strong> contrasto coll'autorità religiosa, non pochi<br />

credenti, posti nella situazione di dover scegliere tra la coscienza religiosa e la<br />

coscienza di partito, opterebbero per la prima. (...) Ecco perché praticamente<br />

conviene procedere coi piedi di piombo <strong>in</strong> materia dove l'autorità religiosa può, deve<br />

forse, dire la sua parola. Sotto questo riguardo l'aconfessionalismo <strong>del</strong> partito<br />

popolare dev'essere preso "cum grano salis." (...) Il partito popolare e un fatto<br />

<strong>in</strong>concepibi<strong>le</strong> senza la volontà permissiva <strong>del</strong>la Santa Sede» (20).<br />

In altre paro<strong>le</strong>, il partito rimaneva autonomo f<strong>in</strong>ché non faceva niente che fosse<br />

sgradito al<strong>le</strong> autorità ecc<strong>le</strong>siastiche, ma il giorno <strong>in</strong> cui queste dichiaravano che non<br />

potevano più approvare il suo operato, il partito si sarebbe trovato ad un bivio: o<br />

r<strong>in</strong>unciare alla propria autonomia e obbedire al<strong>le</strong> autorità ecc<strong>le</strong>siastiche, o affermare<br />

la propria autonomia e affrontare una condanna da parte <strong>del</strong><strong>le</strong> autorità ecc<strong>le</strong>siastiche.<br />

Don Sturzo era conv<strong>in</strong>to che <strong>in</strong> un regime di libertà per tutti, la Chiesa cattolica, non<br />

più protetta ma neppure screditata da privi<strong>le</strong>gi <strong>le</strong>gali, fidando sul vigore <strong>del</strong><strong>le</strong> proprie<br />

idee e contando soltanto sulla forza di persuasione e di esempio, avrebbe conquistato<br />

lo spirito <strong>del</strong> popolo italiano. Quando venne la cattiva sorte, Don Sturzo dette prova<br />

<strong>del</strong>la sua s<strong>in</strong>cerità. Ma nel 1919 una prova <strong>del</strong> genere non era ancora stata offerta, e<br />

era <strong>le</strong>gittimo chiedersi se la sua fede nella democrazia e nella 'libertà per tutti' non<br />

fosse dest<strong>in</strong>ata a scomparire non appena la situazione politica fosse mutata. Molti altri<br />

preti cattolici che, dopo la guerra 1914-18, furono <strong>in</strong> altri paesi europei <strong>le</strong>aders dei<br />

movimenti democratici cristiani (Seipel <strong>in</strong> Austria, Goos <strong>in</strong> Germania, Korosech <strong>in</strong><br />

Yugoslavia, Tiso <strong>in</strong> Slovacchia) dovevano rivelarsi più tardi degli amici <strong>in</strong>fe<strong>del</strong>i o dei<br />

veri traditori <strong>del</strong>la democrazia. Anche <strong>in</strong> Italia, non appena cambiò il vento, si vide<br />

quanto fosse vacillante la fede democratica di molti <strong>le</strong>aders <strong>del</strong> partito popolare, che<br />

passarono armi e bagagli al partito fascista. Anche coloro che credevano alla <strong>in</strong>tegrità<br />

mora<strong>le</strong> di Don Sturzo dovevano tener presente che Don Sturzo poteva scomparire ma<br />

che dietro a lui e al suo partito restava <strong>in</strong> piedi tutta l'<strong>org</strong>anizzazione <strong>del</strong>la Chiesa<br />

cattolica, pronta a tornare all'assalto con <strong>le</strong> sue tradizioni dottr<strong>in</strong>arie <strong>del</strong> tutto <strong>in</strong>tatte.<br />

Perciò, i partiti che rimanevano fe<strong>del</strong>i alla tradizione antic<strong>le</strong>rica<strong>le</strong> <strong>del</strong> Ris<strong>org</strong>imento<br />

italiano non avevano torto se rifiutavano di entrare <strong>in</strong> relazioni di buon vic<strong>in</strong>ato con il


nuovo partito. Certamente ci fu <strong>in</strong> essi qualcosa di più che una calma visione dei<br />

pericoli reali; ci fu anche un odio irragionevo<strong>le</strong>. Ma il partito popolare sol<strong>le</strong>vava un<br />

sospetto <strong>in</strong>superabi<strong>le</strong> anche tra coloro che consideravano sorpassato l'odio<br />

antic<strong>le</strong>rica<strong>le</strong>, e avrebbero accolto con favore un movimento democratico non più<br />

<strong>le</strong>gato alla mesch<strong>in</strong>a e settaria mentalità anticattolica.<br />

OSSERVAZIONI AL CAPITOLO OTTAVO.<br />

Un errore da cui deve liberarsi chi voglia capire qualcosa <strong>del</strong><strong>le</strong> difficoltà che il partito<br />

popolare si trovò di fronte, e tutta la storia d'Italia, è quello che la popolazione<br />

italiana sia compattamente cattolica, e come ta<strong>le</strong> obbediente al papa e al c<strong>le</strong>ro.<br />

Se si considerano come cattolici tutti coloro che al momento <strong>del</strong>la nascita furono<br />

battezzati nella Chiesa cattolica, senza dubbio l'Italia è un paese cattolico; ma se<br />

come cattolici si <strong>in</strong>tendono soltanto coloro che effettivamente fanno <strong>del</strong> loro meglio<br />

per dare alla società <strong>in</strong> cui vivono una impronta cattolica, allora è molto dubbio che la<br />

maggioranza <strong>del</strong> popolo italiano possa essere di fatto def<strong>in</strong>ita cattolica.<br />

Dal punto di vista religioso, gli italiani si possono dividere <strong>in</strong> c<strong>in</strong>que gruppi: 1) Non<br />

cattolici; 2) Indifferenti; 3) Idolatri; 4) Cattolici veri e propri; 5) Mistici.<br />

Al primo gruppo appartengono non soltanto i 10000 ebrei e i 125000 protestanti <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

statistiche ufficiali, ma anche un gran numero di persone che sono state battezzate<br />

nella Chiesa cattolica, ma hanno perso qualsiasi fede religiosa, e professano pr<strong>in</strong>cipi<br />

antic<strong>le</strong>ricali o addirittura l'ateismo. Nel 1911 fu fatto <strong>in</strong> Italia un censimento <strong>in</strong> cui<br />

veniva chiesta la religione. In ta<strong>le</strong> censimento 870000 persone dichiararono di non<br />

avere 'nessuna religione,' mentre altre 653000 non si dettero la pena di rispondere.<br />

In tutta onestà, ta<strong>le</strong> si<strong>le</strong>nzio deve <strong>in</strong>terpretarsi come un equiva<strong>le</strong>nte <strong>del</strong>la risposta<br />

'nessuna religione.' Di queste persone che esplicitamente o implicitamente<br />

dichiararono di non essere cattoliche, 900000 erano uom<strong>in</strong>i, e 600000 donne. Degli<br />

870000 italiani che dichiararono esplicitamente di non avere nessuna religione, circa<br />

200000, cioè poco meno di un quarto, appartenevano al<strong>le</strong> regioni che avevan fatto<br />

parte <strong>del</strong>lo Stato pontificio, sebbene tali regioni non contenessero che un dodicesimo<br />

<strong>del</strong>la popolazione tota<strong>le</strong>. Fu da questo gruppo di popolazione che, durante il secolo<br />

diciannovesimo e ventesimo, vennero gli antic<strong>le</strong>ricali militanti. Tipico rappresentante<br />

di questi fu Mussol<strong>in</strong>i, che s<strong>in</strong>o al 1921 aveva fatto professione di ateismo, e con tutti<br />

i mezzi aveva sostenuto che si doveva distruggere la Chiesa cattolica.<br />

Il gruppo degli '<strong>in</strong>differenti' è formato da persone battezzate nella Chiesa cattolica e<br />

che professano alcune pratiche religiose esteriori: si sposano <strong>in</strong> chiesa, battezzano i<br />

figli, si dichiarano cattolici, e quando arrivano <strong>in</strong> punto di morte domandano i funerali<br />

religiosi per avere il biglietto d'<strong>in</strong>gresso per il paradiso. I nove decimi degli <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali<br />

italiani appartengono a questa categoria di 'battezzati <strong>in</strong>differenti.' Una <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

caratteristiche di questo gruppo è il loro 'antic<strong>le</strong>ricalismo,' 'cioè la loro opposizione a<br />

tutti i tentativi <strong>del</strong>la Chiesa e <strong>del</strong> c<strong>le</strong>ro di esercitare una <strong>in</strong>fluenza sulla vita politica e<br />

socia<strong>le</strong> <strong>del</strong> paese, e sul<strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> e gli istituti di educazione. Essi rifiutano di farsi<br />

comandare dal c<strong>le</strong>ro, e diventano fieramente antic<strong>le</strong>ricali non appena si sentano<br />

<strong>in</strong>fastiditi dalla Chiesa. La <strong>le</strong>tteratura italiana <strong>del</strong>l'Ottocento è piena di spirito<br />

antic<strong>le</strong>rica<strong>le</strong>; da Alfieri a Carducci, Roma papa<strong>le</strong> è stata bersaglio di attacchi taglienti<br />

e di denigrazioni. Quando non sono <strong>del</strong> tutto anticattolici, questi <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali<br />

<strong>in</strong>differenti sono cattolici, ma <strong>in</strong> un senso negativo, cioè non aderiscono a nessun<br />

gruppo cristiano non-cattolico. Non fanno professione di ateismo, perché nei loro cuori<br />

e nel loro spirito c'è un attaccamento a certe forme di religiosità che, con una certa<br />

frequenza, <strong>in</strong> età avanzata o <strong>in</strong> punto di morte, viene alla luce dalla profondità <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

loro coscienze. Ma durante la loro vita, o almeno f<strong>in</strong>ché godono buona salute, non<br />

sono una forza attiva, ma piuttosto un passivo per la Chiesa cattolica italiana.


Giolitti fu un tipico rappresentante di questo gruppo. Il 30 maggio 1904, <strong>in</strong> un<br />

discorso alla Camera diceva:<br />

«Credo che il guardare con grande <strong>in</strong>differenza un fenomeno di questo genere<br />

(l'immigrazione <strong>in</strong> Italia <strong>del</strong><strong>le</strong> corporazioni religiose espulse dalla Francia) non sia<br />

<strong>in</strong>dizio di debo<strong>le</strong>zza. (...) Il pr<strong>in</strong>cipio nostro à questo, che lo Stato e la Chiesa sono<br />

due paral<strong>le</strong><strong>le</strong> che non si debbono <strong>in</strong>contrare mai. Guai alla Chiesa il giorno che vo<strong>le</strong>sse<br />

<strong>in</strong>vadere i poteri <strong>del</strong>lo Stato! Libertà per tutti entro i limiti <strong>del</strong>la <strong>le</strong>gge: questo è il<br />

nostro programma. E come lo applichiamo a tutti i partiti che sono fuori <strong>del</strong>la<br />

Costituzione da un estremo, l'applichiamo a quelli che sono fuori dall'altra parte» (1).<br />

Quando fu sul punto di morte, nel 1928, dichiarò che vo<strong>le</strong>va morire <strong>in</strong> seno alla<br />

Chiesa cattolica, così come era sempre vissuto, e chiese che gli venissero fatti i<br />

funerali religiosi.<br />

Molti lavoratori nel<strong>le</strong> città, quando non sono comp<strong>le</strong>tamente irreligiosi, hanno di<br />

regola questa mentalità <strong>in</strong>differente. Non sarà mai possibi<strong>le</strong>, per un italiano di questo<br />

tipo, capire come mai un uomo di buon senso possa farsi cattivo sangue per gli affari<br />

<strong>del</strong> papa, <strong>in</strong>vece d'andare a prendere una boccata d'aria buona o a giuocare una<br />

partita a carte nel<strong>le</strong> ore di riposo. Il folklore italiano è pieno di racconti <strong>in</strong> cui preti,<br />

frati e monache sono oggetto di riso. La poesia dia<strong>le</strong>tta<strong>le</strong> italiana prende spesso a<br />

bersaglio <strong>del</strong>la sua satira <strong>in</strong> modo di<strong>le</strong>ttevo<strong>le</strong> preti, card<strong>in</strong>ali e papi. Il popol<strong>in</strong>o di<br />

Roma è uno degli esempi più caratteristici di questo cattolicesimo <strong>in</strong>differente e<br />

motteggiatore, e c'è un vecchio modo di dire: 'A Roma si fa la fede, ed altrove ci si<br />

crede.'<br />

Il gruppo degli 'idolatri' forma la massa <strong>del</strong>la popolazione tra i ceti più bassi <strong>del</strong><br />

Mezzogiorno, <strong>in</strong> quasi tutti gli antichi territori pontifici, e <strong>in</strong> buona parte <strong>del</strong>la Toscana.<br />

I popolani che a Napoli <strong>in</strong>sultano l'immag<strong>in</strong>e <strong>del</strong> loro santo patrono chiamandolo<br />

'vigliacco' quando tarda a compiere il miracolo <strong>del</strong>lo scioglimento <strong>del</strong> sangue; i<br />

contad<strong>in</strong>i che adorano la loro Madonna, ma considerano <strong>in</strong>feriore la Madonna dei paesi<br />

vic<strong>in</strong>i, o credono e praticano la stregoneria, o compiono tutto il percorso all'<strong>in</strong>terno di<br />

un santuario per recarsi a venerare l'idolo miracoloso <strong>le</strong>ccando con la l<strong>in</strong>gua il<br />

pavimento; la prostituta che nella sua 'stanza di lavoro' tiene una lampada perpetua<br />

davanti alla sacra immag<strong>in</strong>e... Tutti questi idolatri si devono considerare cattolici? Non<br />

oserei rispondere <strong>in</strong> senso affermativo, non solo perché la fede e gli ideali <strong>del</strong>la Chiesa<br />

cattolica non meritano questa offesa, ma anche perché <strong>le</strong> dottr<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la Chiesa e<br />

l'<strong>in</strong>segnamento <strong>del</strong> c<strong>le</strong>ro non hanno nessuna vera <strong>in</strong>fluenza su questa parte idolatra<br />

<strong>del</strong>la popolazione. Per essi i sacramenti non sono altro che riti magici, e il prete, dopo<br />

aver compiuto questi riti, è per essi un uomo come tutti gli altri, se è abbastanza<br />

fortunato da non essere considerato persona di dubbia moralità; e il papa è una<br />

specie di essere mitico, con il qua<strong>le</strong> non hanno niente <strong>in</strong> comune; e mentre si<br />

comportano con generosità, tenuto conto <strong>del</strong>la loro miseria, nei confronti dei santuari<br />

locali, al papa mandano poco o niente.<br />

Non bisogna però credere che gli idolatri siano degli esseri moralmente <strong>in</strong>feriori; di<br />

regola essi amano la loro famiglia, sono lavoratori, rifuggono dagli eccessi, e sono<br />

profondamente onesti. In mezzo a loro si trovano <strong>in</strong>dividui più o meno morali nella<br />

stessa proporzione che <strong>in</strong> ogni altro gruppo di popolazione. L'ignoranza e la<br />

superstizione sono malattie <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>tel<strong>le</strong>tto, non <strong>del</strong> cuore.<br />

Ed eccoci f<strong>in</strong>almente ai cattolici effettivi, che accettano nella mora<strong>le</strong> i canoni <strong>del</strong>la<br />

Chiesa, e ad essi conformano la loro condotta, per quanto glielo consente la fragilità<br />

umana.<br />

Quanti sono <strong>in</strong> Italia i cattolici 'veri e propri?' Sarebbe assurdo dare dei dati def<strong>in</strong>iti,<br />

ma ce ne possiamo fare un'idea se si guardano i risultati <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni generali <strong>del</strong><br />

1919. Queste e<strong>le</strong>zioni ebbero luogo con il suffragio universa<strong>le</strong> e secondo il sistema


proporziona<strong>le</strong>, che permise a ciascun partito di raccogliere sotto la propria bandiera<br />

tutte <strong>le</strong> forze disponibili <strong>del</strong> paese. Il governo non esercitò nessuna pressione<br />

sull'e<strong>le</strong>ttorato, tanto che queste furono <strong>le</strong> so<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni italiane per <strong>le</strong> quali la Camera<br />

non dovette esam<strong>in</strong>are nessuna denuncia di <strong>in</strong>terferenza governativa. Il partito<br />

popolare ebbe candidati propri <strong>in</strong> tutti i col<strong>le</strong>gi, e fu appoggiato dal c<strong>le</strong>ro e da tutte <strong>le</strong><br />

<strong>org</strong>anizzazioni cattoliche: per quanto professasse di non essere un 'partito cattolico,'<br />

esso era il partito dei cattolici. Qu<strong>in</strong>di questi ebbero la possibilità di esprimere tramite<br />

un p<strong>le</strong>biscito la loro volontà, di avere un'<strong>in</strong>fluenza sulla politica naziona<strong>le</strong> per mezzo di<br />

un partito che rappresentava <strong>le</strong> loro conv<strong>in</strong>zioni politiche, sociali e morali. Esso<br />

raccolse 1.170.000 voti su 5.682.000 votanti, cioè circa un qu<strong>in</strong>to <strong>del</strong> tota<strong>le</strong>. I<br />

socialisti raccolsero 2.400.000 voti, cioè due qu<strong>in</strong>ti <strong>del</strong> tota<strong>le</strong>, e il loro programma era<br />

fondamentalmente antic<strong>le</strong>rica<strong>le</strong>, e i candidati tutte persone note per la loro ostilità alla<br />

Chiesa. Gli altri due qu<strong>in</strong>ti dei voti, 2.100.000, andarono agli altri partiti, tra cui i<br />

repubblicani, i socialisti riformisti, i più dei 'radicali,' e, ultimi per ord<strong>in</strong>e ma non per<br />

importanza, i fascisti, tutti appartenenti alla tradizione antic<strong>le</strong>rica<strong>le</strong>. Tutti gli altri<br />

erano per lo più <strong>in</strong>differenti o idolatri.<br />

Insomma, non più di un qu<strong>in</strong>to di tutta la popolazione italiana può essere considerata<br />

cattolica <strong>in</strong> senso 'vero e proprio.' Quattro regioni <strong>del</strong>l'Italia settentriona<strong>le</strong>, Piemonte,<br />

Liguria, Lombardia, Veneto, che nel 1919 contavano un terzo di tutta la popolazione<br />

italiana, dettero da so<strong>le</strong> al partito popolare 613000 voti, cioè la metà dei voti raccolti<br />

<strong>in</strong> tutta Italia. A questi 613000 voti <strong>le</strong> città più importanti contribuirono con appena<br />

70000 voti, mentre i centri m<strong>in</strong>ori e <strong>le</strong> campagne dettero 540000 voti, ossia i sei<br />

settimi. Nel<strong>le</strong> quattro regioni più caratteristiche <strong>del</strong> Mezzogiorno (Basilicata, Calabria,<br />

Sicilia e Sardegna), che contavano un qu<strong>in</strong>to di tutta la popolazione, il partito<br />

popolare raccolse solo 115000 voti, cioè un decimo <strong>del</strong> tota<strong>le</strong> naziona<strong>le</strong>, e un nono <strong>del</strong><br />

tota<strong>le</strong> dei voti di quel<strong>le</strong> regioni. Anche qui i centri pr<strong>in</strong>cipali dettero appena 13000<br />

voti, e gli altri nove decimi dei voti vennero raccolti nei centri meno popolati. In<br />

conclusione, questi dati mostrano che i cattolici 'veri e propri' si trovano specialmente<br />

nel<strong>le</strong> zone rurali, e <strong>in</strong> particolare nell'Italia settentriona<strong>le</strong>.<br />

Non pochi di questi cattolici effettivi appartengono a quel tipo che si potrebbe dire<br />

'mistico'; se ne trovano specialmente tra <strong>le</strong> donne, di tutte <strong>le</strong> classi e condizioni<br />

sociali. Il basso c<strong>le</strong>ro italiano produce non di rado eroi sconosciuti, che vivono una vita<br />

di povertà e di sacrificio, esposti <strong>in</strong> molte zone all'ostilità di ambienti irreligiosi. I<br />

missionari italiani <strong>in</strong> terre non cristiane hanno fatto più <strong>del</strong>la loro parte nell'opera di<br />

evangelizzazione. Gli osservatori superficiali non ri<strong>le</strong>vano l'esistenza di questa 'Italia<br />

mistica.' Gli stranieri che si recano a Roma e vengono a contatto con i prelati<br />

<strong>in</strong>triganti <strong>del</strong> Vaticano o con gli <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali <strong>in</strong>differenti <strong>del</strong> mondo laico ne concludono<br />

che tutti gli italiani sono c<strong>in</strong>ici e irreligiosi. E un grosso sbaglio. Non tutti gli italiani<br />

sono a Roma. L'Italia mistica, l'Italia di S. Francesco, di S. Cater<strong>in</strong>a da Siena, e di<br />

Savonarola, è ancora viva: nell'Ottocento produsse Don Bosco.<br />

I mistici italiani accettano il dogma senza discuterlo, ma non se ne <strong>in</strong>teressano, e non<br />

amano che altri ne discutano neanche per difenderlo. Le controversie dogmatiche non<br />

servono alla salute <strong>del</strong>l'anima; ciò che conta per loro è ricevere i sacramenti, pregare<br />

la Verg<strong>in</strong>e e i Santi che abbiano pietà di questa umanità <strong>in</strong>felice e peccatrice, e fare<br />

per quanto è possibi<strong>le</strong> opere di bene. In Italia c'è un numero <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito di opere di carità<br />

tenute <strong>in</strong> vita dai mistici, che fioriscono col contributo quotidiano volontario <strong>del</strong><br />

pubblico. Capita abbastanza spesso di trovare persone <strong>in</strong>differenti o anticattoliche che<br />

danno il loro contributo a queste opere di bene, per l'ammirazione che hanno per gli<br />

uom<strong>in</strong>i e <strong>le</strong> donne che dedicano ad esse <strong>in</strong> si<strong>le</strong>nzio tesori di abnegazione e di<br />

genti<strong>le</strong>zza. Per la persona <strong>del</strong> papa i mistici hanno una vera e propria adorazione, e<br />

non oserebbero mai opp<strong>org</strong>lisi. I protestanti <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si possono farsi un'idea di questa<br />

devozione paragonandola al sentimento <strong>del</strong><strong>le</strong> fol<strong>le</strong> <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si per il loro re. Ma per loro<br />

non è il papa come potenza terrena che conta; per loro il papa idea<strong>le</strong> sarebbe S.


Pietro che possedeva solo una barca e una rete da pesca. Quando il 25 luglio 1929 Pio<br />

Undicesimo apparve <strong>in</strong> Piazza San Pietro con la pompa di un sovrano orienta<strong>le</strong>, uno di<br />

questi italiani mistici disse: 'Avrebbe fatto meglio a portare il viatico a un ammalato.'<br />

Appena mezz'ora prima aveva parlato <strong>del</strong> papa con emozione, come <strong>del</strong>l'essere <strong>in</strong> cui<br />

'il corpo mistico <strong>del</strong>la Chiesa prende forma rea<strong>le</strong> e vivente.' L'Italia mistica non vuol<br />

sentir parlare di quanto accade a Roma; pensa che a Roma è bene non andare per<br />

non correre il rischio di perdere la fede. Di solito l'Italia mistica non si <strong>in</strong>teressa di<br />

politica, che per la salvezza <strong>del</strong>l'anima è anche meno importante <strong>del</strong><strong>le</strong> controversie<br />

dogmatiche. Queste persone sono di una grande bel<strong>le</strong>zza mora<strong>le</strong>, ma politicamente<br />

sono <strong>in</strong>erti. Tipi di questo genere si trovano spesso nei romanzi russi, per esempio<br />

Platone Karaiev di "Guerra e Pace". Ma talvolta accade che i mistici si <strong>in</strong>teress<strong>in</strong>o di<br />

politica; <strong>in</strong> questi casi, pur senza sfidare mai gli <strong>in</strong>segnamenti dogmatici <strong>del</strong>la Chiesa,<br />

agiscono con una libertà che sconcerta e spaventa l'alto c<strong>le</strong>ro. Dante condannò<br />

severamente l'attentato di Nogaret e Sciarra Colonna contro la vita di Bonifacio<br />

Ottavo, <strong>in</strong> quanto Bonifacio era il Vicario di Cristo; ma riservò nel suo <strong>in</strong>ferno un posto<br />

allo stesso Bonifacio Ottavo, <strong>in</strong> quanto lo considerava un papa simoniaco. Girolamo<br />

Savonarola è un altro esempio tipico di questo misticismo italiano. Nello spirito di<br />

questa grande razza di mistici è sempre esistita una netta separazione tra prob<strong>le</strong>mi<br />

religiosi, <strong>in</strong> cui l'autorità <strong>del</strong>la Chiesa e <strong>del</strong> papa è <strong>in</strong>discutibi<strong>le</strong>, e prob<strong>le</strong>mi politici, <strong>in</strong><br />

cui il cittad<strong>in</strong>o deve prender consiglio solo dalla propria coscienza.<br />

Quando fu sul punto di morte, Cavour, che era stato scomunicato, mandò a chiamare<br />

il suo parroco, Padre Giacomo, e chiese di confessarsi. Padre Giacomo gli dette<br />

l'assoluzione, e venne per ciò chiamato a Roma per rendere conto <strong>del</strong> suo operato.<br />

Pio Nono gli <strong>in</strong>timò di riconoscere per scritto di aver mancato ai suoi doveri<br />

ecc<strong>le</strong>siastici. Padre Giacomo rispose che aveva agito secondo coscienza, e si rifiutò di<br />

fare la dichiarazione che gli veniva richiesta (2). Non era né un teologo né un politico<br />

di professione, era un mistico; nel dare l'assoluzione al suo penitente seguiva la sua<br />

coscienza e il buon senso, e non il diritto canonico. Forse un caso <strong>del</strong> genere, <strong>in</strong><br />

Irlanda, <strong>in</strong> Polonia, nel Canada francese o anche negli Stati Uniti, sarebbe impossibi<strong>le</strong>.<br />

Don Bosco, che fondò l'ord<strong>in</strong>e dei sa<strong>le</strong>siani ed è stato santificato, non si <strong>in</strong>teressò mai<br />

<strong>del</strong> potere tempora<strong>le</strong> <strong>del</strong> papa, per quanto ta<strong>le</strong> potere venisse annientato proprio<br />

sotto i suoi occhi. I tre maggiori scrittori cattolici italiani <strong>del</strong>l'Ottocento furono<br />

Manzoni, Rosm<strong>in</strong>i e Fogazzaro. Manzoni fu senatore <strong>del</strong> Regno, e votò <strong>in</strong> favore <strong>del</strong>la<br />

soppressione <strong>del</strong> potere tempora<strong>le</strong> <strong>in</strong> Roma, nonostante che il papa scomunicasse<br />

tutti coloro che favorivano e <strong>in</strong>coraggiavano ta<strong>le</strong> 'usurpazione'; <strong>le</strong> opere di Rosm<strong>in</strong>i<br />

furono messe all'Indice; Fogazzaro fu accusato di modernismo, e uno dei suoi romanzi<br />

messo all'Indice.<br />

Se fosse vero che l'Italia è un paese effettivamente cattolico, tutta la storia d'Italia nel<br />

secolo diciannovesimo sarebbe un enigma <strong>in</strong>solubi<strong>le</strong>. Tra il 1848 e il 1880, <strong>le</strong> scuo<strong>le</strong><br />

furono sottratte al controllo <strong>del</strong> c<strong>le</strong>ro cattolico, il matrimonio religioso perse la sua<br />

validità civi<strong>le</strong>, il c<strong>le</strong>ro venne privato di tutti i privi<strong>le</strong>gi che reclamava secondo il diritto<br />

canonico, e la maggior parte <strong>del</strong><strong>le</strong> sue proprietà furono confiscate, venne concessa la<br />

più ampia libertà di propagazione a tutte <strong>le</strong> fedi e <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni religiose, e<br />

f<strong>in</strong>almente - e non fu certo il fatto meno importante - il papa fu spogliato <strong>del</strong>la sua<br />

sovranità sopra l'Italia centra<strong>le</strong>. Il papa scomunicò tutti coloro che ebbero parte <strong>in</strong><br />

questa <strong>le</strong>gislazione antic<strong>le</strong>rica<strong>le</strong>, ma al<strong>le</strong> sue scomuniche nessuno prestò particolare<br />

attenzione.<br />

Durante il Ris<strong>org</strong>imento il movimento cattolico italiano reclutò <strong>le</strong> sue forze, o piuttosto<br />

<strong>le</strong> sue debo<strong>le</strong>zze, soprattutto tra i seguaci <strong>del</strong><strong>le</strong> vecchie d<strong>in</strong>astie, nell'alto c<strong>le</strong>ro<br />

mummificato, e fra quei politicanti litigiosi che si professavano fe<strong>del</strong>i al<strong>le</strong> concezioni<br />

assolutistiche di De Maistre. Tutta questa gente non dette un solo martire alla causa<br />

<strong>del</strong> papa. A Roma, nel settembre 1870, fu <strong>org</strong>anizzata una dimostrazione di affetto<br />

per Pio Nono alla vigilia <strong>del</strong>l'entrata <strong>del</strong><strong>le</strong> truppe italiane; una nuova dimostrazione si


ebbe dopo che <strong>le</strong> truppe italiane avevano occupato la città. Dato che a quel tempo<br />

Roma aveva 220000 abitanti, non era diffici<strong>le</strong> ai militanti cattolici mettere <strong>in</strong>sieme<br />

alcune migliaia di persone per dimostrare a favore di Pio Nono, e agli antic<strong>le</strong>ricali<br />

militanti di raccoglierne altrettante per dimostrare a favore <strong>del</strong><strong>le</strong> truppe italiane. In<br />

tutti e due i casi, probabilmente la maggior parte dei dimostranti era composta<br />

sempre dagli stessi curiosi, che non mancano mai quando si tratta di far baccano. Ma<br />

nessuno dei due partiti si credette <strong>in</strong> dovere di provocare un conflitto disturbando la<br />

dimostrazione <strong>del</strong> partito avversario. I volontari che combatterono sotto la bandiera<br />

pontificia tra il 1860 e il 1870, furono nella grandissima maggioranza svizzeri,<br />

francesi, irlandesi, spagnoli, austriaci, ma pochi italiani, e ancor meno abitanti degli<br />

Stati pontifici.<br />

Senza dubbio il 20 settembre 1870, giorno <strong>in</strong> cui <strong>le</strong> truppe italiane occuparono Roma,<br />

fu giorno di lutto per molti cattolici italiani effettivi. Ma nessuno di loro versò una<br />

goccia di sangue per vendicare i diritti <strong>del</strong> papa. I più si consolarono abbastanza<br />

facilmente, come quel parroco di Masserano, un paes<strong>in</strong>o <strong>del</strong> Piemonte, che mise il<br />

v<strong>in</strong>o migliore <strong>del</strong>la sua vigna <strong>in</strong> due bottiglie, <strong>le</strong> sigillò, e decise che <strong>le</strong> avrebbe tenute<br />

nella cant<strong>in</strong>a <strong>del</strong>la parrocchia per farne dono a quel papa che avesse fatto la pace con<br />

l'Italia. Le due bottiglie furono consegnate a Pio Undicesimo il 4 settembre 1929,<br />

secondo quanto pubblicarono i giornali italiani <strong>del</strong> giorno dopo.<br />

Nel 1874 la Santa Sede 'consigliò' i cattolici italiani a non occuparsi <strong>del</strong>la politica<br />

naziona<strong>le</strong>, e il 'consiglio' divenne proibizione categorica nel 1886. Dato che<br />

generalmente il quaranta per cento <strong>del</strong>l'e<strong>le</strong>ttorato italiano si asteneva dal voto, il<br />

Vaticano poteva vantarsi che questa fosse la conseguenza <strong>del</strong> veto papa<strong>le</strong>. Ma quando<br />

il veto venne abolito, il numero dei votanti che si recarono al<strong>le</strong> urne non aumentò <strong>in</strong><br />

una proporzione sensibi<strong>le</strong>. I cattolici si erano recati al<strong>le</strong> urne anche durante il periodo<br />

<strong>del</strong>la proibizione papa<strong>le</strong>.<br />

Nei primi vent'anni di questo secolo, mentre la Santa Sede cont<strong>in</strong>uava a lamentarsi<br />

per l'usurpazione di quelli che erano stati i suoi territori, e i cattolici di tutto il mondo<br />

facevano coro al Santo Padre, i deputati cattolici non dissero mai una parola riguardo<br />

alla questione romana, né durante <strong>le</strong> campagne e<strong>le</strong>ttorali né alla Camera.<br />

Nel 1929 c'erano <strong>in</strong> Italia oltre 1200 preti spretati, di cui più di ottocento <strong>in</strong>segnavano<br />

nel<strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> pubbliche. La gente non faceva caso al<strong>le</strong> censure ecc<strong>le</strong>siastiche e li<br />

trattava come buoni cittad<strong>in</strong>i e buoni <strong>in</strong>segnanti. La Santa Sede pretese dal governo<br />

italiano, nel Concordato <strong>del</strong> 1929, uno specia<strong>le</strong> articolo contro di loro, col qua<strong>le</strong><br />

venivano esclusi da ogni impiego stata<strong>le</strong>. Questa misura era <strong>in</strong> aperta violazione con<br />

lo Statuto <strong>del</strong> Regno, che garantiva uguali diritti a tutti i cittad<strong>in</strong>i di ogni fede e<br />

denom<strong>in</strong>azione. Dopo la firma <strong>del</strong> Concordato <strong>le</strong> proteste contro ta<strong>le</strong> provvedimento<br />

furono così numerose che il governo lasciò <strong>in</strong>disturbati quasi tutti i preti spretati, col<br />

pretesto che la <strong>le</strong>gge non era retroattiva.<br />

Vi sono due Chiese <strong>in</strong> Italia: la Chiesa loca<strong>le</strong> popolare costituita dal<strong>le</strong> parrocchie, e il<br />

Vaticano, istituto <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong> con sede a Roma. Il fatto che la maggioranza dei<br />

funzionari di ogni grado <strong>del</strong>la curia sia costituita da italiani, non basta a fare <strong>del</strong><br />

Vaticano un istituto italiano. I non-italiani vedono nel Vaticano un istituto 'romano'; gli<br />

italiani vedono nel Vaticano un istituto 'cosmopolita.' Mentre i prelati vaticani sono<br />

imbevuti di 'spirito romano,' i parroci sono attaccati alla loro parrocchia e ai loro<br />

parrocchiani.<br />

Gli artefici <strong>del</strong> Ris<strong>org</strong>imento italiano videro con chiarezza la distanza che divideva il<br />

Vaticano cosmopolita e la Chiesa popolare italiana: attaccarono il Vaticano, ma non<br />

toccarono <strong>le</strong> parrocchie. Questa tattica spiega la loro vittoria.<br />

La Santa Sede gode di un prestigio assai maggiore <strong>in</strong> Inghilterra e negli Stati Uniti che<br />

non <strong>in</strong> Italia: "maior e longiquo reverentia".


CAPITOLO NONO.<br />

IL PARTITO SOCIALISTA.<br />

I radicali, i repubblicani e i socialisti riformisti avevano voluto la guerra, e qu<strong>in</strong>di non<br />

godevano di popolarità. Soltanto il partito socialista ufficia<strong>le</strong> si era opposto alla guerra<br />

rifiutando ogni compromesso, e perciò nell'Italia settentriona<strong>le</strong> e centra<strong>le</strong> gli operai e<br />

gli artigiani dei centri urbani, via via che venivano smobilitati, si iscrivevano a quei<br />

s<strong>in</strong>dacati che erano sotto il controllo socialista, o direttamente al<strong>le</strong> sezioni locali <strong>del</strong><br />

partito.<br />

I s<strong>in</strong>dacati <strong>le</strong>gati al partito socialista formavano <strong>del</strong><strong>le</strong> federazioni nazionali, che a loro<br />

volta si raccoglievano nella 'Confederazione Genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> Lavoro.' Questa era nata nel<br />

1904 e aveva una direzione naziona<strong>le</strong> permanente analoga a quella <strong>del</strong> Trade Union<br />

Council <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se o <strong>del</strong>la A.F.L. americana. Nel<strong>le</strong> città più importanti, tutti i s<strong>in</strong>dacati<br />

<strong>del</strong>la città e <strong>del</strong>la campagna, associazioni di impiegati privati, <strong>in</strong>segnanti e<strong>le</strong>mentari,<br />

dipendenti statali dei gradi <strong>in</strong>feriori, e <strong>le</strong> società cooperative socialiste, formavano una<br />

confederazione loca<strong>le</strong> con una propria sede e degli impiegati stabili. Questa era la<br />

Camera <strong>del</strong> lavoro, un istituto sconosciuto nei paesi anglosassoni, ma che <strong>in</strong> Italia<br />

aveva una grande importanza. La Camera <strong>del</strong> lavoro era il centro di una <strong>in</strong>tensa<br />

attività economica, politica e socia<strong>le</strong>; i segretari dei s<strong>in</strong>dacati e <strong>del</strong><strong>le</strong> associazioni si<br />

riunivano <strong>in</strong> una assemb<strong>le</strong>a genera<strong>le</strong> e sbrigavano <strong>le</strong> questioni locali che erano di<br />

comune <strong>in</strong>teresse per tutta la classe lavoratrice. La Camera <strong>del</strong> lavoro era il nuovo<br />

<strong>org</strong>anismo municipa<strong>le</strong> <strong>del</strong>la classe lavoratrice, mentre il vecchio municipio doveva<br />

rappresentare tutte <strong>le</strong> classi; i s<strong>in</strong>dacati e <strong>le</strong> società cooperative dei centri m<strong>in</strong>ori<br />

facevano capo per consiglio ed aiuto alla Camera <strong>del</strong> lavoro <strong>del</strong> capoluogo di<br />

prov<strong>in</strong>cia; a loro volta <strong>le</strong> Camere <strong>del</strong> lavoro facevano parte <strong>del</strong>la Confederazione<br />

genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> lavoro.<br />

Nel 1913, gli iscritti alla Confederazione genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> lavoro erano stati 327302;<br />

durante la guerra, nel 1916, scesero a 201291; nel 1917 si com<strong>in</strong>ciò a notare una<br />

tendenza a un aumento di attività, e gli iscritti salirono a 237560 nel 1917, a 249039<br />

nel 1918; arrivarono a 1.159.062 nel 1919, e 2.150.000 nel 1920 (1). Come abbiamo<br />

già detto, di questi solo 750000 erano lavoratori agricoli, e per lo più occupati nei<br />

lavori di bonifica, cioè lavori pubblici più che agricoltura. In Italia il movimento<br />

socialista, come negli altri paesi europei, attirava soprattutto i lavoratori <strong>del</strong><strong>le</strong> città.<br />

La grande maggioranza degli iscritti alla C.G.L. proveniva dall'Italia settentriona<strong>le</strong> e<br />

centra<strong>le</strong>. Erano <strong>le</strong> regioni <strong>in</strong> cui, nei precedenti c<strong>in</strong>quant'anni, l'<strong>in</strong>dustria aveva fatto i<br />

passi più lunghi, e l'agricoltura con <strong>le</strong> bonifiche e l'uso <strong>del</strong><strong>le</strong> macch<strong>in</strong>e e dei<br />

fertilizzanti chimici aveva raggiunto il livello più alto. Nel Mezzogiorno, dove<br />

l'educazione politica era più arretrata, né il partito socialista né il partito popolare<br />

avevano un numero sufficiente di uom<strong>in</strong>i per <strong>org</strong>anizzare i reduci. Questi, che nella<br />

maggior parte erano braccianti, si riunivano nel<strong>le</strong> associazioni di ex-combattenti, che<br />

<strong>in</strong> tutta Italia godevano <strong>le</strong> simpatie <strong>del</strong><strong>le</strong> autorità militari, dei nazionalisti e dei<br />

conservatori; essi speravano che i reduci, formando <strong>del</strong><strong>le</strong> associazioni proprie, si<br />

sarebbero mantenuti estranei ai partiti socialista e popolare, agendo così da base<br />

e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> per un nuovo movimento conservatore di cui i nazionalisti sarebbero stati<br />

l'anima. Sfortunatamente per loro, neppure nel Mezzogiorno i reduci ne vo<strong>le</strong>vano<br />

sapere di berretti gallonati, nazionalisti e conservatori; dal<strong>le</strong> loro sofferenze e da<br />

quel<strong>le</strong> <strong>del</strong><strong>le</strong> loro famiglie vo<strong>le</strong>vano che nascesse un nuovo mondo; non sapevano che<br />

forma avrebbe preso; aspettavano che si facesse avanti qualcuno a guidarli; se il<br />

partito socialista avesse saputo come prenderli, avrebbe potuto facilmente averli dalla<br />

sua parte.<br />

Per tutta l'Italia c'erano larghe masse desiderose di spazzar via tutti coloro che erano<br />

stati responsabili <strong>del</strong>la guerra; erano pronte a seguire il partito socialista <strong>in</strong> una


politica di riforme, ma non mostravano <strong>in</strong>teresse per una rivoluzione <strong>del</strong> tipo di quella<br />

russa <strong>del</strong> 1917; <strong>le</strong> condizioni <strong>del</strong>l'Italia erano assai diverse da quel<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Russia. Nel<br />

1917 i soldati-contad<strong>in</strong>i russi avevano disertato i loro reggimenti <strong>in</strong> via di sfacelo e<br />

facendo ritorno ai loro villaggi avevano espropriato i grandi proprietari terrieri. I<br />

soldati-contad<strong>in</strong>i italiani alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la guerra furono formalmente smobilitati; non<br />

fecero ritorno a casa <strong>in</strong> seguito a una disgregazione militare e amm<strong>in</strong>istrativa. Inoltre<br />

<strong>in</strong> Russia c'erano pochissimi proprietari terrieri <strong>in</strong> proporzione alla disponibilità di<br />

terra. In Italia c'erano grossi proprietari terrieri soltanto nella parte centra<strong>le</strong> e<br />

occidenta<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Sicilia, <strong>in</strong> alcune zone d'eccezione <strong>del</strong> Mezzogiorno, e nel Lazio, e<br />

quella che <strong>in</strong> Italia era considerata una grande proprietà era ridicolmente modesta<br />

paragonata al<strong>le</strong> proprietà che esistevano <strong>in</strong> Russia e che ancora si possono trovare<br />

nella Prussia orienta<strong>le</strong>, <strong>in</strong> Ungheria, <strong>in</strong> Inghilterra o <strong>in</strong> Spagna. La terra alla qua<strong>le</strong><br />

facevano ritorno i soldati-contad<strong>in</strong>i italiani per secoli era stata suddivisa tra milioni di<br />

piccoli proprietari, affittuari e mezzadri; i piccoli proprietari avrebbero opposto una<br />

tenace resistenza contro tutto ciò che avesse m<strong>in</strong>acciato il loro possesso; gli affittuari<br />

e i mezzadri vo<strong>le</strong>vano diventare proprietari <strong>del</strong>la terra che coltivavano, e non che<br />

questa venisse 'socializzata.'<br />

Quanto ai lavoratori <strong>in</strong>dustriali, sapevano bene che il popolo italiano non poteva<br />

andare avanti senza <strong>le</strong> importazioni dall'estero di carbone, ferro, cotone, petrolio,<br />

gomma, carne, frumento, e che una rivoluzione comunista avrebbe privato il paese<br />

<strong>del</strong> credito estero, senza contare il pericolo di un <strong>in</strong>tervento straniero armato. Queste<br />

circostanze furono sottol<strong>in</strong>eate da uno dei <strong>le</strong>aders <strong>del</strong>la destra socialista, Filippo<br />

Turati, al congresso naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito nel settembre <strong>del</strong> 1919:<br />

«In Italia soprattutto, che non ha <strong>le</strong> sterm<strong>in</strong>ate risorse <strong>del</strong>la Russia, (...) noi avremmo<br />

una più sicura e triplice fame con un governo socialista, che sarebbe immediatamente<br />

boicottato dagli stati nostri creditori. Onde avremmo la rivolta immediata <strong>del</strong><strong>le</strong> masse<br />

affamate nei primi giorni <strong>del</strong>la stessa rivoluzione. Questi sono fatti di platea<strong>le</strong><br />

evidenza» (2).<br />

Len<strong>in</strong> non discordava da Turati. Nell'estate <strong>del</strong> 1920, consigliava Serrati, <strong>le</strong>ader <strong>del</strong>la<br />

s<strong>in</strong>istra socialista, di non tentare una rivoluzione comunista <strong>in</strong> Italia: 'Noi non<br />

vogliamo una seconda Ungheria,' (2 bis) dichiarava; e discutendo con Angelica<br />

Balabanoff sul<strong>le</strong> prospettive di una rivoluzione socia<strong>le</strong> <strong>in</strong> Italia, Len<strong>in</strong> <strong>le</strong> chiese:<br />

'Compagna, ti ha mai colpito il fatto che l'Italia non ha carbone?' (3)<br />

Il pencolo di rimanere senza materie prime e senza generi alimentari, che l'Italia<br />

avrebbe corso <strong>in</strong> caso di una rivoluzione comunista, fu soggetto di vivaci discussioni.<br />

Nel 1920, un anarchico avvertì che era necessario dimostrare che 'tutta la stampa<br />

b<strong>org</strong>hese, dalla gialla alla rossa, tutti gli economisti da E<strong>in</strong>audi a Cabiati, tutti i<br />

socialisti da Prampol<strong>in</strong>i a Turati' mentivano quando mettevano <strong>in</strong> guardia contro un<br />

possibi<strong>le</strong> disastro economico e il rischio di soffrir la fame, per scoraggiare una<br />

rivoluzione socia<strong>le</strong>. Ammetteva che se i rivoluzionari non avessero saputo <strong>org</strong>anizzare<br />

subito la produzione e la raziona<strong>le</strong> distribuzione, la rivoluzione avrebbe dovuto<br />

fatalmente soccombere 'per opera <strong>del</strong>la stessa grande massa pro<strong>le</strong>taria meno<br />

cosciente.' Qu<strong>in</strong>di, per un anno o due, l'Italia avrebbe dovuto trovare all'<strong>in</strong>terno tutte<br />

<strong>le</strong> risorse necessarie. Ciò era possibi<strong>le</strong>. I due milioni di tonnellate di carbon fossi<strong>le</strong>,<br />

'che certamente si troveranno nei magazz<strong>in</strong>i,' la lignite prodotta nel paese, il carbone<br />

di <strong>le</strong>gna e l'energia e<strong>le</strong>ttrica avrebbero sostituito i sei milioni di tonnellate di carbon<br />

fossi<strong>le</strong> che l'Italia aveva dovuto importare nel 1919. Il prob<strong>le</strong>ma più grave era quello<br />

<strong>del</strong> pane. L'Italia consumava annualmente sei milioni di tonnellate di grano, di cui se<br />

ne importava un milione e mezzo. Per coprire questo deficit sarebbe stato necessario<br />

vietare l'esportazione di patate, noci, frutta, verdure, conserva di pomodoro, aranci e<br />

limoni. Sarebbe anche stato necessario fare a meno di 8,5 milioni di tonnellate di


carne, grassi e pesce che venivano importati dall'estero. Il popolo italiano avrebbe<br />

risolto questo prob<strong>le</strong>ma consumando <strong>le</strong> riserve di bestiame esistenti <strong>in</strong> Italia (3 bis).<br />

Sarebbe <strong>in</strong>uti<strong>le</strong> seguire lo scrittore <strong>in</strong> tutti i suoi calcoli; basti osservare che i due<br />

milioni di tonnellate che avrebbero dovuto esistere nei magazz<strong>in</strong>i non esistevano<br />

affatto; che di regola la lignite italiana ha il 75 per cento di acqua; che <strong>le</strong> centrali<br />

idroe<strong>le</strong>ttriche esistenti nei 1920 erano sfruttate al massimo <strong>del</strong>la loro capacità, e che<br />

per far sì che esse producessero maggiore energia sarebbe stato necessario importare<br />

macch<strong>in</strong>ari dall'estero, e che nuovi impianti non potevano venir creati da un giorno<br />

all'altro; che anche distruggendo tutti gli alberi esistenti <strong>in</strong> Italia, il carbone di <strong>le</strong>gna<br />

sarebbe stato <strong>in</strong>uti<strong>le</strong> per molte <strong>in</strong>dustrie, a com<strong>in</strong>ciare da quella <strong>del</strong> ferro; che 1,5<br />

milioni di tonnellate di aranci, limoni e conserva di pomodoro non avrebbero avuto lo<br />

stesso potere nutritivo di 1,5 milioni di tonnellate di grano; che <strong>le</strong> riserve italiane di<br />

bestiame erano state durante la guerra gravemente colpite, e nel 1920 com<strong>in</strong>ciavano<br />

appena a ritornare al livello norma<strong>le</strong>, e se si fossero usate come cibo, l'<strong>in</strong>dustria<br />

agricola non avrebbe potuto produrre latte, formaggio, vegetali, salsa di pomodoro,<br />

patate, e tutti quegli altri prodotti che avrebbero dovuto sostituire il grano estero, e <strong>in</strong><br />

più non si sarebbe prodotto neppure il grano nostro. Il quadro che stiamo discutendo,<br />

nella sua candida <strong>in</strong>nocenza, ci porta un'eco <strong>del</strong><strong>le</strong> discussioni che ebbero luogo tra i<br />

lavoratori, su un argomento che tutti sentivano come il prob<strong>le</strong>ma pr<strong>in</strong>cipa<strong>le</strong> <strong>del</strong>la vita<br />

italiana <strong>in</strong> pace e <strong>in</strong> guerra, <strong>in</strong> tempi di rivoluzione e <strong>in</strong> tempi normali.<br />

Nell'autunno <strong>del</strong> 1920 l'ansietà per il pericolo di un blocco contro l'Italia<br />

nell'eventualità di una rivoluzione socia<strong>le</strong> divenne tanto diffusa che Len<strong>in</strong> sentì il<br />

bisogno di entrare nella discussione. Egli ammise che 'il blocco <strong>del</strong>l'Italia da parte<br />

<strong>del</strong>l'Inghilterra, <strong>del</strong>la Francia, <strong>del</strong>l'America <strong>in</strong> caso di vittoria <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato è<br />

possibi<strong>le</strong> e probabi<strong>le</strong>'; il prob<strong>le</strong>ma era 'gravissimo.' La Russia aveva potuto resistere al<br />

blocco grazie alla vastità <strong>del</strong> suo territorio e alla scarsità di popolazione; <strong>in</strong> Italia <strong>le</strong><br />

condizioni erano <strong>del</strong> tutto diverse; perciò la rivoluzione italiana 'non potrebbe<br />

resistere a lungo se non fosse coord<strong>in</strong>ata a quella di un altro paese <strong>del</strong>l'Europa<br />

centra<strong>le</strong>'; 'questa coord<strong>in</strong>azione è diffici<strong>le</strong>,' ma poiché tutta l'Europa cont<strong>in</strong>enta<strong>le</strong><br />

attraversa un periodo rivoluzionario, 'non impossibi<strong>le</strong>' (4). 'Una certa coord<strong>in</strong>azione -<br />

quantunque ancora <strong>in</strong>sufficiente, quantunque <strong>in</strong>comp<strong>le</strong>ta - è assicurata all'Italia, e si<br />

dovrà lottare per una coord<strong>in</strong>azione comp<strong>le</strong>ta' (5).<br />

«I rivoluzionari, i comunisti devono riconoscere i pericoli e <strong>le</strong> difficoltà <strong>del</strong>la lotta per<br />

ispirare alla massa una fermezza maggiore, per liberare il partito dai deboli, dagli<br />

esitanti, dai tentennanti, per <strong>in</strong>fondere a tutto il movimento un maggior entusiasmo,<br />

un maggior spirito di <strong>in</strong>ternazionalismo, una maggior prontezza al sacrificio per un<br />

grande f<strong>in</strong>e: affrettare la rivoluzione <strong>in</strong> Inghilterra, <strong>in</strong> Francia, <strong>in</strong> America, se questi<br />

paesi si decideranno a bloccare la repubblica pro<strong>le</strong>taria e sovietica italiana» (6).<br />

Il popolo italiano aveva sempre abbastanza buon senso da rendersi conto che non era<br />

possibi<strong>le</strong> aspettarsi una rivoluzione <strong>in</strong> Inghilterra, Francia e America per la salvezza<br />

<strong>del</strong>l'Italia sovietica, e che <strong>in</strong> Italia entusiasmo, <strong>in</strong>ternazionalismo e buona volontà di<br />

fronte al sacrificio non sarebbero serviti a lungo come surrogato per il pane, il carbone<br />

e il petrolio. Se la Francia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti avessero gettato al<strong>le</strong> ortiche i<br />

loro sistemi capitalistici per abbracciare il comunismo, i lavoratori italiani si sarebbero<br />

affrettati a fare altrettanto diventando bolscevichi, anche contro la loro volontà, per<br />

non morire di fame; ma l'Italia era l'ultimo paese <strong>in</strong> cui si poteva dare il via a una<br />

rivoluzione comunista. I lavoratori italiani vo<strong>le</strong>vano farla pagare cara ai 'ricchi che<br />

avevan voluto la guerra'; scioperavano con estrema frequenza, tiravano i sassi contro<br />

<strong>le</strong> automobili, e al<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni votavano per i candidati socialisti; ma anche nei momenti<br />

di maggiore furia si astennero sempre dal commettere assurdità irreparabili.


Non solo <strong>le</strong> condizioni materiali <strong>in</strong> Italia erano profondamente diverse da quel<strong>le</strong> <strong>del</strong>la<br />

Russia, ma la mentalità dei socialisti italiani, anche quando si dicevano rivoluzionari,<br />

era molto diversa da quella dei socialisti russi.<br />

«Nei grandi paesi a regime costituziona<strong>le</strong> e democratico, lo stato non appariva, alla<br />

maggioranza dei socialisti, come una fortezza nemica ma, dimenticate <strong>le</strong> ecatombe<br />

<strong>del</strong> passato, piuttosto come una grande casa confortevo<strong>le</strong> ove c'è posto per tutti.<br />

Casa naziona<strong>le</strong>, alla cui proprietà nessuno può aspirare, ma che ogni società solvibi<strong>le</strong><br />

ha il diritto e la possibilità di prendere <strong>in</strong> locazione. Lo stato, la cui struttura<br />

m<strong>in</strong>acciosa e tetra appare a Len<strong>in</strong>, f<strong>in</strong> dalla sua prima maturità politica, è la fortezza<br />

di San Pietro e Paolo, è il Palazzo d'Inverno, rifugio <strong>del</strong>l'aristocrazia sangu<strong>in</strong>aria, che<br />

Pietro il Grande e Cater<strong>in</strong>a Seconda, messe da parte <strong>le</strong> armi di parata, avevano<br />

modernizzato con cannoni di piccolo e di medio calibro. E attorno, non corazzieri di<br />

gala con giustacuori di latta dorata, ma barbuti cosacchi con scudiscio e carab<strong>in</strong>a. Non<br />

vie d'accesso al popolo. Di qui la spontanea formazione <strong>del</strong>la psicologia rivoluzionaria<br />

di Len<strong>in</strong>, che differisce dalla mentalità <strong>le</strong>galitaria dei suoi compagni socialisti europei<br />

od europeizzati, esattamente come la fortezza di San Pietro e Paolo o il Palazzo<br />

d'Inverno differivano dal Buck<strong>in</strong>gham Palace o anche dall'Eliseo. (...) Mentre tutta la<br />

socialdemocrazia si occupa per trent'anni di cooperative, di s<strong>in</strong>dacati e conquiste<br />

parlamentari, Len<strong>in</strong> si occupa sì di <strong>org</strong>anizzazioni operaie, (...) ma se ne occupa con<br />

lo stesso spirito con cui un capo di stato maggiore <strong>org</strong>anizza l'esercito <strong>in</strong> previsione di<br />

una guerra » (7).<br />

Così, quando il regime zarista crollò e la sua rov<strong>in</strong>a lasciò la Russia <strong>in</strong> uno stato di<br />

genera<strong>le</strong> anarchia, Len<strong>in</strong> e Trotsky si gettarono a capofitto nella tempesta sp<strong>in</strong>ti<br />

dall'odio e da un desiderio selvaggio di vendetta e di distruzione. Messisi a capo di<br />

poche migliaia di uom<strong>in</strong>i, schiacciarono chiunque era <strong>le</strong>gato al passato, distrussero<br />

ogni traccia <strong>del</strong> vecchio regime, e sotto lo stimolo <strong>del</strong><strong>le</strong> necessità quotidiane<br />

costruirono una nuova macch<strong>in</strong>a militare e amm<strong>in</strong>istrativa.<br />

Le classi operaie tedesca e italiana e i loro capi appartenevano a un mondo <strong>del</strong> tutto<br />

diverso. Il pro<strong>le</strong>tariato tedesco non era la moltitud<strong>in</strong>e disperata, che non aveva niente<br />

da perdere se non <strong>le</strong> catene che Marx ed Engels avevano descritto nel "Manifesto"<br />

comunista; godevano di pensioni di vecchiaia, assicurazione contro la disoccupazione<br />

e contro <strong>le</strong> malattie, scuo<strong>le</strong> per i loro figli, una <strong>org</strong>anizzazione s<strong>in</strong>daca<strong>le</strong> e<br />

cooperativistica, e di molti altri vantaggi che avrebbero potuto perdere. I capi di quel<br />

pro<strong>le</strong>tariato - segretari s<strong>in</strong>dacali, deputati, giornalisti, gestori di cooperative - negli<br />

ultimi trent'anni, protetti dall'Impero bismarckiano, avevano raggiunto una posizione<br />

agiata. Nel gennaio 1919 il 'pro<strong>le</strong>tariato' tedesco lasciò che Rosa Luxemburg e Karl<br />

Liebknecht venissero brutalmente assass<strong>in</strong>ati dagli ufficiali <strong>del</strong>l'esercito regolare, e<br />

votò per il partito di Ebert e Noske, i quali erano strettamente <strong>le</strong>gati con i capi<br />

<strong>del</strong>l'esercito regolare.<br />

Fondamentalmente la situazione <strong>in</strong> Italia era la stessa. I molti scioperi, spesso<br />

capricciosi, che avvennero <strong>in</strong> quegli anni, sono prova di irrequietud<strong>in</strong>e e non di<br />

sentimenti rivoluzionari. Astenersi dal lavoro o <strong>in</strong>dulgere <strong>in</strong> scioperi senza preavviso, e<br />

andare a divertirsi <strong>in</strong> campagna con la moglie sottobraccio e il figliolo per mano, è<br />

cosa assai diversa da quel sentimento d'ira, odio e ferma decisione di combattere, che<br />

fa una rivoluzione.<br />

Tra i socialisti italiani, coloro che appartenevano a quella che abbiamo chiamato l'ala<br />

destra <strong>del</strong> partito e che consideravano Filippo Turati loro <strong>le</strong>ader, non considerarono<br />

mai possibi<strong>le</strong> una rivoluzione comunista e non dettero mai per essa la loro opera;<br />

anche costoro fecero un certo sfoggio di slogans rivoluzionari, perché facevano parte<br />

<strong>del</strong> ritua<strong>le</strong> marxista; ma la loro rivoluzione significava soltanto quel r<strong>in</strong>novamento<br />

radica<strong>le</strong> <strong>del</strong>la struttura politica e socia<strong>le</strong>, che è il risultato <strong>del</strong>lo sviluppo dei mezzi di


produzione. La loro rivoluzione era una specie di fenomeno natura<strong>le</strong>, come la<br />

rivoluzione <strong>del</strong>la terra <strong>in</strong>torno al so<strong>le</strong>, alla qua<strong>le</strong> la razza umana si deve adattare per<br />

<strong>le</strong> sem<strong>in</strong>e e per i raccolti. Il compito rivoluzionario dei socialisti era di educare e<br />

<strong>org</strong>anizzare il pro<strong>le</strong>tariato, e prepararlo ad assumere il potere politico quando lo<br />

sviluppo fosse arrivato al suo stadio f<strong>in</strong>a<strong>le</strong>; ma lo stadio f<strong>in</strong>a<strong>le</strong> non era mai a portata<br />

di mano; la rivoluzione avvenuta <strong>in</strong> Russia non corrispondeva affatto al mo<strong>del</strong>lo di<br />

rivoluzione marxista che avevano sempre immag<strong>in</strong>ato; <strong>in</strong> fondo ai loro cuori,<br />

avrebbero desiderato una politica di compromesso e di cooperazione con quei gruppi<br />

non socialisti di tendenze democratiche, per rendere possibili <strong>del</strong><strong>le</strong> riforme politiche e<br />

ottenere gradualmente il controllo <strong>del</strong>l'amm<strong>in</strong>istrazione centra<strong>le</strong> e di quel<strong>le</strong> locali<br />

attraverso la via norma<strong>le</strong> <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni democratiche, per trasformare, non appena ciò<br />

fosse possibi<strong>le</strong>, la democrazia politica <strong>in</strong> una democrazia economica.<br />

E' impossibi<strong>le</strong> dire come sarebbero andate <strong>le</strong> cose se avessero preso una diversa<br />

piega; non si può qu<strong>in</strong>di sostenere con certezza che se il partito socialista avesse<br />

seguito questa strada il movimento fascista non avrebbe avuto possibilità di vittoria <strong>in</strong><br />

Italia; la sola cosa che si può affermare è che il metodo <strong>del</strong>la destra socialista non fu<br />

sperimentato mai, perché la maggioranza <strong>del</strong> partito non permise mai che ta<strong>le</strong><br />

esperimento fosse compiuto. Quando nell'autunno <strong>del</strong> 1922, l'ala destra <strong>del</strong> partito si<br />

distaccò dalla maggioranza, tutte <strong>le</strong> occasioni per un'opera uti<strong>le</strong> erano già sfumate.<br />

Inoltre, nel 1919 neppure la destra socialista era disposta ad unirsi con gli altri partiti<br />

per affrontare la crisi <strong>del</strong> dopoguerra: anche questi uom<strong>in</strong>i erano pieni di amarezza<br />

per i quattro anni di lotta contro coloro che avevan voluto la guerra, ed annunciavano<br />

che 'la liquidazione <strong>del</strong>la guerra deve esser fatta da coloro che l'hanno voluta'; 'noi<br />

saremmo il più malaccorto dei partiti (...) se ci disponessimo a sostituirci ad essi <strong>in</strong><br />

questo momento, liberandoli dal<strong>le</strong> loro responsabilità (8). E tuttavia il modo migliore<br />

per far sì che i responsabili <strong>del</strong>la guerra pagassero per <strong>le</strong> loro responsabilità sarebbe<br />

stato proprio quello di cacciarli dal governo e prendere il loro posto, anche se ciò<br />

avrebbe significato l'assunzione di una pesante eredità. Ma pare che i socialisti di<br />

destra aspettassero, per accettare la responsabilità <strong>del</strong> governo che il bilancio fosse <strong>in</strong><br />

pareggio, e tutti <strong>in</strong> Italia fossero felici e contenti. Len<strong>in</strong> e Trotsky non ebbero mai<br />

esitazioni nell'accettare l'eredità <strong>del</strong> regime zarista e <strong>del</strong>la disfatta militare. Nessuno<br />

tra i socialisti italiani di destra ebbe la tempra di Len<strong>in</strong> o di Trotsky.<br />

I socialisti rivoluzionari, che erano <strong>in</strong> maggioranza nel<strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni politiche e<br />

nell'esecutivo naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito, com<strong>in</strong>ciarono nel 1918 a chiamarsi 'massimalisti.'<br />

La parola italiana 'massimalista' corrisponde alla parola russa 'bolscevico': la Russia di<br />

Len<strong>in</strong> era il loro paradiso. Al congresso naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito tenuto a Roma nel<br />

settembre 1918, fu approvata a grande maggioranza come programma <strong>del</strong> partito<br />

'l'istituzione <strong>del</strong>la repubblica socialista e la dittatura <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato' (9). Secondo il<br />

loro misurato parere, si stava avvic<strong>in</strong>ando l'ora <strong>del</strong>la rivoluzione socia<strong>le</strong>; chi doveva<br />

decidere quand'è che l'ora fosse suonata, era 'il pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario,' che era<br />

stato educato nel culto <strong>del</strong> "Manifesto" comunista <strong>del</strong> 1848. Il pro<strong>le</strong>tariato doveva<br />

prendere l'<strong>in</strong>iziativa, e i socialisti lo dovevano seguire; non appena scoppiò una crisi di<br />

<strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>e più diffusa ed acuta <strong>del</strong> solito, i socialisti si aspettarono che dal<br />

'pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario' scaturisse la apocalisse, ma non fecero niente con un atto<br />

di propria volontà per far sì che gli eventi precipitassero; e la crisi non era f<strong>in</strong>ita di<br />

passare che ricom<strong>in</strong>ciarono ad annunciare che l'ora <strong>del</strong>l'apocalisse era vic<strong>in</strong>a. Per essi<br />

qualsiasi idea di un'al<strong>le</strong>anza tra socialisti e non socialisti era tabù; tutti i non socialisti<br />

erano b<strong>org</strong>hesi: tra i fe<strong>del</strong>i e gli <strong>in</strong>fe<strong>del</strong>i, tra gli e<strong>le</strong>tti e i peccatori, tra <strong>le</strong> forze <strong>del</strong><br />

bene e quel<strong>le</strong> <strong>del</strong> ma<strong>le</strong>, nessun compromesso era ammissibi<strong>le</strong>; la lotta tra<br />

'capitalismo' e 'pro<strong>le</strong>tariato' doveva essere una lotta all'ultimo sangue. Quando nel<br />

gennaio <strong>del</strong> 1919 Mussol<strong>in</strong>i e Mar<strong>in</strong>etti impedirono a Bissolati di tenere il suo discorso<br />

alla Scala, i massimalisti ripeterono che Bissolati aveva avuto quanto meritava; non


aveva voluto la guerra? come si poteva aspettare una giusta pace? poteva mai esserci<br />

una giusta pace senza che il comunismo dalla Russia dilagasse nel resto <strong>del</strong> mondo?<br />

Gli scioperi politici ed economici, sia locali che generali, erano salutati dai massimalisti<br />

quasi senza eccezioni come manifestazioni di spirito rivoluzionario; non si rendevano<br />

conto che <strong>in</strong> questi scioperi troppo ripetuti la classe operaia non rafforzava <strong>le</strong> proprie<br />

forze, ma al contrario <strong>le</strong> esauriva, e che da ultimo se ne sarebbe stancata,<br />

resp<strong>in</strong>gendoli come futili e dannosi. I massimalisti facevano chiasso perché fossero<br />

adottati <strong>in</strong> Italia i soviet russi; non si resero mai conto che la parola russa 'soviet'<br />

significa <strong>in</strong> italiano 'unione,' e che <strong>le</strong> Camere <strong>del</strong> lavoro, sorte <strong>in</strong> Italia per esperienza<br />

propria e spontanea, erano i soviet italiani; non c'era nessun bisogno di importare <strong>in</strong><br />

Italia dalla Russia istituti che <strong>in</strong> Russia erano nati dal crollo di un regime dispotico,<br />

che aveva sempre negato ai lavoratori il diritto di <strong>org</strong>anizzazione s<strong>in</strong>daca<strong>le</strong> e <strong>le</strong> libertà<br />

municipali. I massimalisti italiani facevano come quel ta<strong>le</strong> che cercava il cavallo,<br />

mentre gli stava <strong>in</strong> groppa; nel<strong>le</strong> loro mani, il partito socialista diventò <strong>in</strong> quegli anni<br />

un gigante mentecatto.<br />

La scissione all'<strong>in</strong>terno <strong>del</strong> partito socialista ebbe i suoi effetti all'<strong>in</strong>terno <strong>del</strong>la<br />

Confederazione <strong>del</strong> lavoro. I socialisti di destra controllavano la maggioranza dei<br />

s<strong>in</strong>dacati e la direzione centra<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Confederazione, ma molti s<strong>in</strong>dacati locali erano<br />

sotto il controllo dei massimalisti; questi seguivano la propria politica, proclamando<br />

scioperi di propria <strong>in</strong>iziativa ed ord<strong>in</strong>andone la cessazione, senza mai chiedere il<br />

consiglio o il benestare <strong>del</strong> direttorio naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Confederazione. Nei momenti<br />

critici, i <strong>le</strong>aders <strong>del</strong>la Confederazione si adoprarono sempre per tenere a freno <strong>le</strong> teste<br />

calde e rimandare <strong>le</strong> decisioni pericolose; uno di questi <strong>le</strong>aders, Ludovico D'Aragona,<br />

<strong>in</strong> un discorso tenuto a Milano nel settembre <strong>del</strong> 1922, fece <strong>le</strong> seguenti affermazioni:<br />

«Noi siamo forse responsabili d'aver troppo concesso nel periodo <strong>del</strong>la follia<br />

bolscevica; ma abbiamo la coscienza di aver fatto tutto ciò che si poteva per <strong>in</strong>frenare<br />

gli impazienti. (...) Resta tuttavia onore e vanto nostro l'aver impedito lo scoppio di<br />

quella rivoluzione, che dagli estremisti si meditava. Dopo, quando noi già avevamo<br />

avuto l'onore d'impedire la catastrofe <strong>del</strong>la rivoluzione è venuto il <strong>fascismo</strong>» (10).<br />

Tuttavia, D'Aragona prese per sé e per i suoi amici più onori di quanti non ne<br />

meritassero: più dei socialisti di destra, furono i massimalisti che impedirono la<br />

catastrofe rivoluzionaria, perché furono essi che parlarono senza tregua di una<br />

<strong>in</strong>combente rivoluzione senza fare altro che <strong>del</strong><strong>le</strong> chiacchiere. Turati colpì nel segno<br />

quando nel marzo <strong>del</strong> 1920, <strong>in</strong> una <strong>in</strong>tervista al "Manchester Guardian", affermò che<br />

<strong>in</strong> Italia non c'era ragione di temere una crisi rivoluzionaria, ma che i massimalisti<br />

'giocano col fuoco <strong>del</strong><strong>le</strong> teorie sovietiche soltanto per mantenere <strong>le</strong> masse <strong>in</strong> uno stato<br />

di tensione e di fermento'; 'queste teorie sono concezioni puramente <strong>le</strong>ggendarie,<br />

programmi immaturi, che non servono per uso pratico' (11).<br />

Dato che la rivoluzione che avevano sempre annunciato come imm<strong>in</strong>ente non si<br />

faceva mai vedere, i massimalisti dovettero spiegare come mai <strong>le</strong> cose andavano a<br />

questo modo. La spiegazione era a portata di mano; i socialisti di destra che<br />

controllavano il direttorio naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Confederazione <strong>del</strong> lavoro non erano disposti<br />

a com<strong>in</strong>ciare la rivoluzione e il loro 'tradimento' era la chiave di tutto. Anche <strong>in</strong> Russia<br />

c'erano stati dei 'socialisti traditori' nel 1917, se si accetta quanto hanno detto Len<strong>in</strong> e<br />

Trotsky; ma quando essi ritennero che fosse giunto il momento di agire, non<br />

domandarono certo né il parere né il permesso dei 'socialisti traditori'; agirono per<br />

conto proprio sia contro i 'capitalisti' che contro i 'socialisti traditori.' Ai massimalisti<br />

italiani non passò mai per la testa che anche loro avrebbero potuto agire per conto<br />

proprio; dovevano sempre essere gli altri a <strong>in</strong>iziare e portare avanti la rivoluzione.<br />

Tra essi c'era un gruppo di estremisti, <strong>del</strong> genere degli spartachisti tedeschi <strong>del</strong> 1919,<br />

e che <strong>in</strong>fatti si chiamavano con <strong>org</strong>oglio 'spartachisti.' Essi erano dest<strong>in</strong>ati a rompere


con il partito socialista e formare nel 1921 il partito comunista. Non sapevano<br />

neppure loro che cosa fare se non rigettare sugli altri compagni, cioè non soltanto sui<br />

socialisti di destra ma anche sui massimalisti, la responsabilità di aver tradito quella<br />

rivoluzione che non arrivava mai. Neppure loro furono <strong>in</strong> grado di produrre un Len<strong>in</strong> o<br />

un Trotsky, che andasse avanti senza chiedere il permesso a nessuno; se avessero<br />

capito che nel<strong>le</strong> masse italiane non esisteva uno stato d'animo rivoluzionario,<br />

sarebbero stati meno feroci nei loro attacchi contro gli altri compagni; ma nel<strong>le</strong> loro<br />

caterve di opuscoli avevano imparato che il 'pro<strong>le</strong>tariato' era rivoluzionario per<br />

def<strong>in</strong>izione, e qu<strong>in</strong>di ricercavano altrove e non nel pro<strong>le</strong>tariato stesso la ragione <strong>del</strong>la<br />

immobilità <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato, che ritrovavano nel tradimento dei capi.<br />

Al di fuori <strong>del</strong> partito socialista, gli anarchici facevano anche più baccano dei<br />

massimalisti e degli spartachisti. Se avessero avuto mano libera, avrebbero potuto<br />

provocare <strong>del</strong><strong>le</strong> gravi rivolte rivoluzionarie. La loro azione si svolgeva <strong>in</strong> perfetto<br />

accordo con i s<strong>in</strong>dacalisti rivoluzionari, che non avevano seguito Mussol<strong>in</strong>i e Rossoni<br />

ed erano stati contro la guerra; questi controllavano la 'Unione s<strong>in</strong>daca<strong>le</strong> italiana,' ma<br />

non avevano molto seguito; <strong>in</strong>oltre la loro rivoluzione non era la rivoluzione dei<br />

massimalisti o dei comunisti; doveva essere una rivoluzione che la facesse f<strong>in</strong>ita con<br />

tutte <strong>le</strong> forme di governo, a com<strong>in</strong>ciare da quella comunista. Anche gli anarchici<br />

persero molto tempo e molte energie accusando i socialisti di destra, i massimalisti e<br />

gli spartachisti di 'tradire il pro<strong>le</strong>tariato': ogni rivoluzionario odiava i rivoluzionari suoi<br />

vic<strong>in</strong>i più <strong>del</strong> 'capitalismo.'<br />

Tra i diversi gruppi rivoluzionari non ci fu mai nessun accordo per un'azione comune;<br />

scioperi e disord<strong>in</strong>i non si svilupparono mai secondo un piano congegnato; spesso uno<br />

sciopero proclamato da un gruppo non veniva appoggiato dagli altri gruppi; quando<br />

scoppiava uno sciopero di una qualche importanza <strong>in</strong> un'<strong>in</strong>dustria privata o quando i<br />

disord<strong>in</strong>i politici si estendevano <strong>in</strong> buona parte <strong>del</strong> paese, i servizi pubblici non<br />

scioperavano; quando scioperava un servizio pubblico <strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie private rimanevano<br />

tranquil<strong>le</strong>. Lo sciopero dei servizi postali smise quando com<strong>in</strong>ciò quello dei ferrovieri;<br />

scioperavano <strong>le</strong> città mentre <strong>le</strong> campagne erano tranquil<strong>le</strong>, e nel<strong>le</strong> campagne<br />

dilagavano gli scioperi quando nel<strong>le</strong> città era già tornata la calma; nel Mezzogiorno vi<br />

furono pochi scioperi su larga scala, che furono <strong>in</strong>vece cosa quotidiana nell'Italia<br />

settentriona<strong>le</strong> e centra<strong>le</strong>. Tutti parlavano <strong>del</strong>la rivoluzione <strong>in</strong>combente, ma nessuno<br />

cercò seriamente di farla. Mussol<strong>in</strong>i aveva buon giuoco, qu<strong>in</strong>di, quando scherniva<br />

questi pseudorivoluzionari chiamandoli dei buoni a nulla.<br />

OSSERVAZIONI AL CAPITOLO NONO.<br />

Luigi Villari è molto severo con i socialisti di destra, che 'seguivano la corrente' (1).<br />

«Turati sosteneva che bisognava penetrare <strong>le</strong>ntamente nel<strong>le</strong> istituzioni b<strong>org</strong>hesi per<br />

trasformar<strong>le</strong> <strong>in</strong> <strong>org</strong>ani che operassero nell'<strong>in</strong>teresse <strong>del</strong>la comunità, e non cercare di<br />

costruire uno stato socialista con mezzi rivoluzionari. Anche i socialisti più moderati<br />

che non vo<strong>le</strong>vano una rivoluzione o che non credevano che una rivoluzione fosse<br />

possibi<strong>le</strong>, come Turati e Treves, avevano troppo paura di perdere popolarità nel<strong>le</strong><br />

masse per parlare con franchezza» (2).<br />

Dell'atteggiamento ultrarivoluzionario di Mussol<strong>in</strong>i e dei suoi amici <strong>in</strong> quegli anni <strong>in</strong> cui<br />

la marea era al suo massimo, Villari non fa parola; scrive soltanto: "Il numero di<br />

aderenti ai Fasci era ancora troppo scarso perché il movimento potesse avere quella<br />

importanza naziona<strong>le</strong> che doveva assumere più tardi, 'né i Fasci avevano ancora<br />

sviluppato quella politica socia<strong>le</strong> di riconciliazione tra capita<strong>le</strong> e lavoro': per il<br />

momento la loro pr<strong>in</strong>cipa<strong>le</strong> funzione era di opporsi con la forza al bolscevismo" (3).


Mettendo un velo così modesto sopra tutto quanto Mussol<strong>in</strong>i fece per <strong>in</strong>grossare<br />

quella marea, Villari può permettersi di far ricadere tutto il peso <strong>del</strong>la sua onorevo<strong>le</strong><br />

condanna sui socialisti moderati, che non arg<strong>in</strong>arono la corrente con sufficiente<br />

energia.<br />

Nello stesso libro egli afferma che il programma socialista era di 'promuovere gli<br />

scioperi dei servizi pubblici, allo scopo di dis<strong>org</strong>anizzare la vita economica <strong>del</strong> paese,<br />

nella speranza che la fame avrebbe sp<strong>in</strong>to <strong>le</strong> masse verso la rivoluzione' (4). Villari ha<br />

sempre avuto cura di mischiare <strong>in</strong>sieme anarchici, spartachisti, massimalisti e<br />

socialisti di destra; se i 'socialisti' avessero avuto un 'programma rivoluzionario,' <strong>del</strong><br />

tipo di quello supposto dal Villari, se ne sarebbe vista qualche traccia <strong>in</strong> alcuni dei<br />

tentativi di coord<strong>in</strong>are gli scioperi, che si sarebbero sviluppati secondo un piano<br />

<strong>org</strong>anizzato; <strong>in</strong> realtà questi avvennero <strong>in</strong> modo sporadico, e senza nessuna<br />

coord<strong>in</strong>azione.<br />

Le accuse degli anarchici contro i socialisti sono contenute nel volume <strong>in</strong>titolato<br />

"Sempre!", Almanacco n. 2 (1923) di 'Guerra di classe,' 2a ed., Berl<strong>in</strong>o, gennaio<br />

1923; <strong>in</strong> Luigi Fabbri, "La controrivoluzione preventiva", nella col<strong>le</strong>zione 'Il Fascismo e<br />

i partiti politici italiani,' Bologna, Cappelli, 1924, pag<strong>in</strong>e 11-19; e <strong>in</strong> Armando B<strong>org</strong>hi,<br />

"L'Italia tra due Crispi", Parigi, Libreria Internaziona<strong>le</strong>, 1924, pag<strong>in</strong>e 125-296.<br />

Le accuse contro i socialisti di destra e contro i massimalisti furono formulate da<br />

Z<strong>in</strong>oviev e da Len<strong>in</strong> nel 1920, "Le Parti Socialiste Italien et l'Internationa<strong>le</strong><br />

Communiste; recueil de documents", Petrograd, Editions de l'Internationa<strong>le</strong><br />

Communiste, 1921. Dopo Z<strong>in</strong>oviev e Len<strong>in</strong> tutti i comunisti hanno ripetuto la loro<br />

versione (5).<br />

La versione degli anarchici, dei comunisti e dei massimalisti ha <strong>in</strong> comune con la<br />

versione fascista la controversa affermazione che <strong>in</strong> Italia nel 1919-20 fosse<br />

<strong>in</strong>combente una rivoluzione socia<strong>le</strong>; tuttavia, secondo i fascisti, questa rivoluzione<br />

socia<strong>le</strong> sarebbe stata soffocata da Mussol<strong>in</strong>i, mentre secondo i comunisti e gli<br />

anarchici essa fu tradita dai socialisti di destra e dai massimalisti, e secondo questi<br />

ultimi dai soli socialisti di destra.<br />

La prima versione è contraddetta dal fatto che durante il 1919 e il 1920, cioè per il<br />

tempo <strong>in</strong> cui credette alla possibilità di una rivoluzione, Mussol<strong>in</strong>i fu sempre <strong>in</strong> prima<br />

l<strong>in</strong>ea nell'<strong>in</strong>citare i movimenti rivoluzionari. La seconda versione è fondata solo sulla<br />

romantica illusione che esistesse <strong>in</strong> Italia un 'pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario,' mentre un<br />

ta<strong>le</strong> pro<strong>le</strong>tariato non è mai esistito né <strong>in</strong> Germania, né <strong>in</strong> Italia e <strong>in</strong> nessun altro paese<br />

<strong>del</strong> mondo.


CAPITOLO DECIMO.<br />

LO SCIOPERO GENERALE DELL'APRILE 1919.<br />

I primi mesi dopo l'armistizio furono <strong>in</strong> Italia molto meno agitati che <strong>in</strong> Francia e <strong>in</strong><br />

Inghilterra, per non parlare <strong>del</strong>la Germania. A Parigi, nel gennaio <strong>del</strong> 1919, la vita<br />

<strong>del</strong>la città fu comp<strong>le</strong>tamente sconvolta da uno sciopero di tutti i trasporti pubblici; <strong>in</strong><br />

Inghilterra, nel febbraio e nel marzo 1919, vi furono scioperi nel<strong>le</strong> ferrovie sotterranee<br />

di Londra, nel<strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie metallurgiche <strong>in</strong> Scozia, nel<strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie e<strong>le</strong>ttriche, nel<strong>le</strong><br />

ferrovie, nel<strong>le</strong> m<strong>in</strong>iere e nei porti. Al confronto, l'Italia era tranquilla. I datori di lavoro<br />

erano disposti a concessioni generose nei confronti dei loro dipendenti, sia che si<br />

sentissero moralmente obbligati a dare prova di buona volontà, o che avessero paura<br />

di provocare con la resistenza pericolose rivolte. Il 3 febbraio, gli <strong>in</strong>dustriali e i<br />

rappresentanti s<strong>in</strong>dacali <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie metallurgiche stipularono un accordo per <strong>le</strong><br />

otto ore di lavoro, che per la prima volta erano state chieste nel 1889 da un<br />

congresso <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong> socialista, e contro <strong>le</strong> quali tutti gli economisti <strong>del</strong>la scuola<br />

<strong>del</strong> "laissez-faire" avevano sol<strong>le</strong>vato una serie <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita di obiezioni economiche,<br />

tecniche e morali. Il movimento <strong>in</strong> favore <strong>del</strong><strong>le</strong> otto ore si diffuse rapidamente e<br />

vittoriosamente tra i tipografi, i lavoratori edilizi, i tessili, e tutte <strong>le</strong> altre categorie<br />

<strong>in</strong>dustriali e agrico<strong>le</strong>.<br />

Contemporaneamente i socialisti di destra ripudiavano apertamente <strong>le</strong> idee<br />

filorivoluzionarie dei massimalisti e degli spartachisti; uno dei socialisti <strong>del</strong>la vecchia<br />

generazione che godeva di maggior prestigio, Camillo Prampol<strong>in</strong>i, parlando a Reggio<br />

Emilia ad un comizio <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni socialiste, deplorò che molti con <strong>le</strong>ggerezza<br />

e faciloneria si riempissero la bocca di paro<strong>le</strong> rivoluzionarie.<br />

«[Il governo b<strong>org</strong>hese sta elaborando dei preparativi per sopprimere qualsiasi mossa<br />

rivoluzionaria. La libertà stessa che ci lasciano, di parlare e di scrivere, ci dovrebbe<br />

rendere sospettosi. La <strong>le</strong>ggerezza con cui molti gridano 'Viva la Rivoluzione' è<br />

spaventosa. Il popolo crede che la rivoluzione porrebbe f<strong>in</strong>e ai loro guai; questa fede<br />

nella vio<strong>le</strong>nza come mezzo per mutare la storia è una superstizione che non considera<br />

gli orrori connessi sia ad una guerra che ad una rivoluzione.] Noi abbiamo ribrezzo dei<br />

diplomatici che, freddamente seduti <strong>in</strong>torno ad un tavolo, <strong>del</strong>iberano la guerra, cioè il<br />

massacro di milioni di uom<strong>in</strong>i. Ma i nostri circoli, ma i dirigenti non somigliano un po'<br />

a costoro quando, o per <strong>le</strong>ggerezza o per freddezza di sentimento, <strong>del</strong>iberano o<br />

aderiscono al<strong>le</strong> azioni rivoluzionarie, e poi vanno all'osteria a berne un litro? [Questa<br />

orribi<strong>le</strong> <strong>in</strong>differenza mora<strong>le</strong>, questo disprezzo <strong>del</strong><strong>le</strong> nostre vite e <strong>del</strong><strong>le</strong> vite degli altri è<br />

profondamente b<strong>org</strong>hese. La tradizione militarista classica ci ha educato a giuocare<br />

con la pel<strong>le</strong> <strong>del</strong> nostro prossimo. Fu per questa ragione che Liebknecht e Rosa<br />

Luxemburg furono uccisi dai loro compagni di ieri, come loro stessi avrebbero ucciso<br />

se ne avessero avuto il modo]» (1).<br />

Prampol<strong>in</strong>i concludeva affermando che non era vero che la b<strong>org</strong>hesia fosse una<br />

m<strong>in</strong>oranza; isolata era una m<strong>in</strong>oranza, ma aveva un largo seguito.<br />

I <strong>le</strong>aders <strong>del</strong>la Confederazione <strong>del</strong> lavoro non osavano opporsi risolutamente ai<br />

massimalisti che ricoprivano <strong>le</strong> cariche nell'esecutivo naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito; vo<strong>le</strong>vano<br />

evitare crisi all'unità <strong>del</strong> partito, e adottavano come proprio il programma<br />

massimalista. Ma al tempo stesso dicevano chiaro che non <strong>in</strong>tendevano 'alimentare<br />

illusioni perniciose sulla possibilità di improvvisi rivolgimenti sociali ed immediati<br />

capovolgimenti economici'; <strong>le</strong> <strong>in</strong>novazioni rivoluzionarie sostenute dall'esecutivo<br />

naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito socialista implicavano 'da parte <strong>del</strong>la classe operaia (...) una


severa e ponderata preparazione (...) che non si può ottenere se non attraverso tutta<br />

un'opera metodica, costante, sistematica di <strong>org</strong>anizzazione s<strong>in</strong>daca<strong>le</strong> e di educazione<br />

politica'; perciò <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni confederate venivano <strong>in</strong>vitate 'ad adoperarsi con la<br />

maggiore alacrità, a diffondere fra <strong>le</strong> masse la comprensione <strong>del</strong>l'alta responsabilità<br />

che la propugnazione e l'effettuazione dei postulati politici <strong>del</strong> programma confedera<strong>le</strong><br />

richiedono da parte di tutti i lavoratori (2). In altre paro<strong>le</strong> il programma massimalista<br />

era accettato, ma si rimandava il giorno <strong>del</strong>l'attuazione ad un vago ed <strong>in</strong>def<strong>in</strong>ito<br />

futuro, quando la severa e ponderata preparazione fosse arrivata al giusto grado di<br />

ebollizione.<br />

Mentre scansavano con tanta accortezza la rivoluzione massimalista, i <strong>le</strong>aders <strong>del</strong>la<br />

Confederazione trattavano con disprezzo Rossoni e gli altri mestatori <strong>del</strong>la Unione<br />

italiana <strong>del</strong> lavoro; rifiutavano di unirsi a loro per trattare con gli <strong>in</strong>dustriali, e non<br />

facevano caso al<strong>le</strong> richieste esagerate che gli altri avanzavano per poter dire che la<br />

Confederazione era d'accordo con la b<strong>org</strong>hesia per tradire i lavoratori. Dopo che <strong>le</strong><br />

otto ore erano divenute una regola per tutti i contratti di lavoro, il più autorevo<strong>le</strong><br />

<strong>le</strong>ader <strong>del</strong>la Confederazione, Rigola, ral<strong>le</strong>grandosi che nel<strong>le</strong> città e nel<strong>le</strong> campagne i<br />

lavoratori adesso avessero maggiore possibilità di 'godere la vita,' li avvertiva che per<br />

questo ci sono diversi modi:<br />

«Ci sono i gusti bassi e i gusti e<strong>le</strong>vati. I gusti bassi sono anch'essi causa di sperpero<br />

di forze e contribuiscono ad accrescere la miseria <strong>del</strong><strong>le</strong> classi lavoratrici. Pare a noi,<br />

qu<strong>in</strong>di, che la riduzione <strong>del</strong>l'orario imponga alla massa operaia <strong>in</strong> genere ed<br />

all'<strong>org</strong>anizzazione <strong>in</strong> ispecie, il dovere di fare ogni sforzo per correggere, <strong>in</strong> ciò che<br />

hanno di difettoso, <strong>le</strong> abitud<strong>in</strong>i dei lavoratori. (...) C'è ancora molto da fare <strong>in</strong> Italia<br />

dal punto di vista <strong>del</strong>l'istruzione, <strong>del</strong>l'educazione fisica e <strong>del</strong>l'aff<strong>in</strong>amento <strong>del</strong> gusto<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> masse. Bisognerà moltiplicare <strong>le</strong> scuo<strong>le</strong>, <strong>le</strong> pa<strong>le</strong>stre, <strong>le</strong> biblioteche; bisognerà<br />

<strong>org</strong>anizzare divertimenti sani, giuochi sportivi, viaggi d'istruzione, passeggiate<br />

igieniche; bisognerà far s<strong>org</strong>ere tutte <strong>le</strong> istituzioni che concorrono a r<strong>in</strong>vigorire il<br />

corpo e ad allargare il campo <strong>del</strong><strong>le</strong> cognizioni <strong>del</strong><strong>le</strong> cassi operaie» (3).<br />

I massimalisti avevano altro <strong>in</strong> testa; aspettavano il 'gran giorno' e tentavano di<br />

affrettarlo <strong>in</strong>coraggiando con ogni pretesto qualsiasi specie di sciopero, e<br />

trasformando scioperi economici <strong>in</strong> scioperi politici, e scioperi di gruppi s<strong>in</strong>goli <strong>in</strong><br />

scioperi generali.<br />

Poiché la Conferenza <strong>del</strong>la Pace a Parigi ritardava la soluzione dei prob<strong>le</strong>mi che<br />

riguardavano l'Italia, la Camera <strong>del</strong> lavoro di Roma, controllata dai massimalisti,<br />

senza nessun accordo precedente né con la Confederazione <strong>del</strong> lavoro né col partito<br />

socialista, proclamò il 9 apri<strong>le</strong> uno sciopero genera<strong>le</strong> per il giorno seguente, unendo<br />

alla protesta contro la Conferenza <strong>del</strong>la Pace, che non dava 'una pronta e giusta<br />

pace,' la richiesta per <strong>le</strong> 'immediate rivendicazioni pro<strong>le</strong>tarie' (4). Lo sciopero genera<strong>le</strong><br />

cessò dopo ventiquattro ore, cioè fu una semplice parata di forze 'rivoluzionarie' e non<br />

l'<strong>in</strong>izio di un movimento rivoluzionario da parte di queste stesse forze. L'ord<strong>in</strong>e di<br />

sciopero fu osservato dai lavoratori <strong>del</strong><strong>le</strong> pr<strong>in</strong>cipali fabbriche e dai tranvieri; f<strong>in</strong>tanto<br />

che rimanevano chiuse <strong>le</strong> fabbriche, era cosa che riguardava solo i datori di lavoro e<br />

gli operai; ma quando scioperavano i tranvieri tutta la vita cittad<strong>in</strong>a era<br />

scombussolata. La paralisi dei mezzi di trasporto dava noia specialmente agli<br />

impiegati dei m<strong>in</strong>isteri, che per recarsi dalla periferia ai luoghi di lavoro erano costretti<br />

ad usare il tram. Nel pomeriggio, mentre la maggior parte degli scioperanti era a casa<br />

a riposare, o <strong>in</strong> campagna a prendere una boccata d'aria, alcune cent<strong>in</strong>aia di<br />

massimalisti tennero un comizio per ascoltare i soliti slogans urlati da un qualche<br />

oratore improvvisato; f<strong>in</strong>ito il comizio, cercarono di raggiungere il centro <strong>del</strong>la città,<br />

gridando al seguito di una bandiera rossa. Un cordone di soldati li fermò, la polizia li<br />

sciolse, e diverse persone furono arrestate e subito rilasciate. Immediatamente,


l'associazione combattenti, che a Roma era controllata dai nazionalisti, <strong>org</strong>anizzò una<br />

dimostrazione nel centro <strong>del</strong>la città <strong>in</strong> onore <strong>del</strong>l'esercito che aveva mantenuto<br />

l'ord<strong>in</strong>e. Scelsero proprio l'ora <strong>in</strong> cui gli impiegati dei m<strong>in</strong>isteri uscivano dagli uffici e<br />

non trovavano tram per andare a casa. Una grande folla si raccolse al grido di 'Viva<br />

l'Italia! Abbasso Len<strong>in</strong>!'; 'ufficiali e soldati, mutilati e combattenti venivano sol<strong>le</strong>vati a<br />

braccia e portati <strong>in</strong> trionfo' (5). 'Lo stesso accadde ad un valoroso genera<strong>le</strong> brigadiere<br />

con due promozioni per merito di guerra e quattro medaglie al valore, il qua<strong>le</strong>, v<strong>in</strong>to<br />

dall'emozione, impugnò una bandiera tricolore baciandola ripetutamente fra salve di<br />

applausi' (6). Si formò un corteo, al qua<strong>le</strong> parteciparono molti ufficiali <strong>in</strong> uniforme;<br />

esso si diresse verso il m<strong>in</strong>istero <strong>del</strong>la Guerra; qui 'tutte <strong>le</strong> f<strong>in</strong>estre erano gremite di<br />

ufficiali e di soldati plaudenti.' Una commissione capeggiata dal deputato nazionalista<br />

di Roma fu ricevuta dal m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Guerra, al qua<strong>le</strong> rivolse 'l'omaggio <strong>del</strong> popolo di<br />

Roma.' La dimostrazione si sciolse davanti al Palazzo Rea<strong>le</strong>. Durante tutta la<br />

dimostrazione il 'pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario' non dette segno di vita. Lo sciopero, nella<br />

misura <strong>in</strong> cui aveva preteso di essere una parata di forza rivoluzionaria, era stato un<br />

comp<strong>le</strong>to fallimento (7).<br />

Tre giorni dopo, il 13 apri<strong>le</strong> 1919 a Milano, i massimalisti <strong>org</strong>anizzarono un comizio<br />

all'aperto; vi prese parte una gran folla; un anarchico si <strong>le</strong>vò a parlare, attaccando la<br />

società b<strong>org</strong>hese e 'la debo<strong>le</strong>zza e <strong>le</strong> esitazioni <strong>del</strong> partito socialista ufficia<strong>le</strong>' (8). A<br />

questo punto, dimostrando poco buon senso, la polizia si acc<strong>in</strong>se a sciogliere il<br />

comizio; com<strong>in</strong>ciarono a volare <strong>le</strong> prime pietre; la polizia rispose sparando dei colpi di<br />

rivoltella. Ci furono morti e feriti da tutte e due <strong>le</strong> parti; f<strong>in</strong>almente la folla venne<br />

dispersa. Per protesta contro il comportamento <strong>del</strong>la polizia, la federazione milanese<br />

<strong>del</strong> partito socialista e la Camera <strong>del</strong> lavoro proclamarono uno sciopero genera<strong>le</strong> per il<br />

15 apri<strong>le</strong>. Doveva durare non più di ventiquattr'ore e svolgersi 'con calma ord<strong>in</strong>ata,<br />

lontana dà qualunque vio<strong>le</strong>nza e da qualsiasi eccesso' (9). Il 15 apri<strong>le</strong> tutti i servizi<br />

pubblici furono arrestati, tutte <strong>le</strong> fabbriche rimasero ferme; la matt<strong>in</strong>ata procedette<br />

calma. Nel pomeriggio, all'arena, fuori <strong>del</strong> centro, si tenne un comizio al qua<strong>le</strong><br />

parteciparono circa 50000 persone; tutti gli oratori, sia i socialisti di destra che i<br />

massimalisti, lodarono la calma e la compattezza con cui si svolgeva la protesta, e<br />

raccomandarono che il lavoro venisse ripreso il giorno dopo. Un anarchico, che<br />

propose di prolungare lo sciopero, venne fatto tacere.<br />

Mentre si svolgeva questa manifestazione, gruppi di ufficiali <strong>in</strong> divisa, 'arditi' <strong>in</strong> divisa,<br />

futuristi e fascisti armati di rivoltel<strong>le</strong>, si raccoglievano nel centro <strong>del</strong>la città, agitando<br />

bandiere nazionali e i gagliardetti che gli 'arditi' portavano con sé negli assalti;<br />

trecento studenti <strong>del</strong> Politecnico, che erano ufficiali <strong>del</strong>l'esercito, si riunirono per unirsi<br />

alla dimostrazione patriottica.<br />

Dopo che il comizio socialista si era sciolto, una parte <strong>del</strong>la folla che ostentava<br />

bandiere rosse e nere e ritratti di Len<strong>in</strong> e <strong>del</strong>l'anarchico Malatesta, si mise <strong>in</strong> marcia<br />

verso il centro <strong>del</strong>la città. E' chiaro che gli spartachisti e gli anarchici si erano messi<br />

d'accordo per <strong>org</strong>anizzare una dimostrazione senza il concorso dei socialisti di destra<br />

e dei massimalisti. La polizia sapeva che nel centro <strong>del</strong>la città si era ormai formata<br />

l'altra dimostrazione. Ai socialisti era sempre stato proibito di tenere comizi o<br />

dimostrazioni nel centro; questa volta si permise che la folla avanzasse verso i suoi<br />

nemici.<br />

Le due dimostrazioni si <strong>in</strong>contrarono; vi furono spari e vennero uccise tre persone che<br />

non c'entravano niente; f<strong>in</strong>almente i pompieri con potenti getti d'acqua dispersero i<br />

combattenti di ambo <strong>le</strong> parti. A questo punto, un gruppo capeggiato da Mar<strong>in</strong>etti e<br />

dall''ardito' Ferruccio Vecchi si recò nella strada dove erano gli uffici di redazione e la<br />

tipografia <strong>del</strong> quotidiano socialista "Avanti!"; la polizia e i soldati che vi prestavano<br />

servizio lasciarono mano libera agli attaccanti; il persona<strong>le</strong> <strong>del</strong> giorna<strong>le</strong>, colto di<br />

sorpresa, tentò di resistere; un soldato venne ucciso; sopraffatti, scapparono da una<br />

porta sul retro; i locali furono <strong>in</strong>cendiati. Persone che sapevano bene quello che


dovevano fare distrussero metodicamente gli <strong>in</strong>dirizzi degli abbonati e misero fuori<br />

uso <strong>le</strong> l<strong>in</strong>otypes e <strong>le</strong> macch<strong>in</strong>e per la stampa. "La colonna, ormai padrona di Milano<br />

riconquistata, ritorna <strong>in</strong> piazza <strong>del</strong> Duomo, ritmando la sua marcia col grido 'L'Avanti'<br />

non è più!' e portando <strong>in</strong> testa l'<strong>in</strong>segna di <strong>le</strong>gno <strong>del</strong> giorna<strong>le</strong> <strong>in</strong>cendiato, che fu<br />

donata a Mussol<strong>in</strong>i, nella redazione <strong>del</strong> 'Popolo d'Italia'" (10).<br />

Nella serata, quando <strong>le</strong> notizie dei fatti di Milano arrivarono a Roma, il gab<strong>in</strong>etto<br />

credette opportuno per calmare <strong>le</strong> acque di tutte <strong>le</strong> proteste che <strong>in</strong>dubbiamente si<br />

sarebbero <strong>le</strong>vate da tutta Italia, di mandare a Milano due m<strong>in</strong>istri 'per compiere una<br />

esauriente <strong>in</strong>chiesta'; uno di questi era il m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Guerra, genera<strong>le</strong> Caviglia, che<br />

era accompagnato dal suo segretario particolare Rotigliano, un nazionalista <strong>le</strong>gato con<br />

l'<strong>in</strong>dustria siderurgica e che più tardi sarebbe diventato un pezzo grosso <strong>del</strong><br />

movimento fascista; l'altro era il m<strong>in</strong>istro dei Lavori Pubblici Bonomi, uno dei due<br />

socialisti riformisti che nel gennaio era rimasto nel gab<strong>in</strong>etto, appoggiando Orlando e<br />

Sonn<strong>in</strong>o contro Bissolati; nel 1920 e 1921, come m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Guerra, fu lui che fornì<br />

al movimento fascista ufficiali, armi e munizioni. Il 16 apri<strong>le</strong> a Milano, convocò ad una<br />

riunione al municipio dirigenti s<strong>in</strong>dacali e deputati socialisti; i socialisti accusarono la<br />

polizia di essere responsabi<strong>le</strong> dei fatti <strong>del</strong> giorno prima, e alcuni furono tanto stupidi<br />

da lamentare che i fascisti di Mussol<strong>in</strong>i conducessero una campagna di 'vio<strong>le</strong>nza e di<br />

odio,' chiedendo che venissero dichiarati fuori <strong>del</strong>la <strong>le</strong>gge. A una richiesta tanto<br />

'illibera<strong>le</strong>' Bonomi fu profondamente scandalizzato; il governo non avrebbe mai preso<br />

'altre misure restrittive <strong>del</strong>la libertà di propaganda e di azione'; 'mettendosi su questo<br />

terreno i socialisti venivano a smentire i loro stessi pr<strong>in</strong>cipi' (11). Caviglia ricevette<br />

Mussol<strong>in</strong>i, Mar<strong>in</strong>etti e Ferruccio Vecchi, e disse a Mar<strong>in</strong>etti: 'La vostra battaglia di ieri<br />

(...) fu, secondo me, decisiva' (12). Poi tutti e due i m<strong>in</strong>istri ricevettero i deputati<br />

conservatori e i rappresentanti <strong>del</strong><strong>le</strong> 'associazioni patriottiche,' che dettero 'una<br />

esposizione dei fatti e <strong>del</strong><strong>le</strong> responsabilità perfettamente opposta a quella raccolta al<br />

Municipio dai rappresentanti socialisti' (13).<br />

Naturalmente, <strong>le</strong> paro<strong>le</strong> di congratulazione di Caviglia a Mar<strong>in</strong>etti non vennero<br />

pubblicate; ma l''esauriente <strong>in</strong>chiesta' di Caviglia e Bonomi ebbe l'effetto desiderato. I<br />

lavoratori milanesi avevano cont<strong>in</strong>uato lo sciopero anche il giorno 16; a Tor<strong>in</strong>o,<br />

Bologna e un'altra dozz<strong>in</strong>a di città <strong>del</strong>l'Italia settentriona<strong>le</strong>, erano stati proclamati<br />

scioperi di solidarietà; il 17 apri<strong>le</strong> il s<strong>in</strong>daco di Milano, un socialista di destra, diffuse<br />

un manifesto dove <strong>in</strong>vitava i cittad<strong>in</strong>i e i lavoratori 'a lavorare ed attendere calmi' <strong>in</strong><br />

attesa dei 'provvedimenti che il governo avrebbe preso' (14); lo stesso giorno,<br />

l'esecutivo naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito socialista, che come già sappiamo era composto di<br />

massimalisti, <strong>in</strong>vitò tutte <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni a raccogliere fondi per ricostruire gli uffici<br />

<strong>del</strong> loro giorna<strong>le</strong>, e decisero che gli scioperi di protesta dovevano aver f<strong>in</strong>e ovunque. Il<br />

18 apri<strong>le</strong> il lavoro venne ripreso. Fu raccolta una grossa somma, e fu costruito per<br />

l'"Avanti!" uno sp<strong>le</strong>ndido edificio nuovo.<br />

Se un deficiente avventato fosse entrato <strong>in</strong> una chiesa, si fosse arrampicato su un<br />

altare e avesse fatto a pezzi una immag<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la Madonna, <strong>le</strong> donne, di cui aveva<br />

offeso i sentimenti religiosi, lo avrebbero ridotto a mal partito; queste donne<br />

avrebbero agito all'istante, senza chieder il da farsi al parroco. L'"Avanti!" era la<br />

bandiera e il simbolo <strong>del</strong> socialismo italiano; devastarne i locali equiva<strong>le</strong>va a sfidare <strong>in</strong><br />

modo bruta<strong>le</strong> la fede, l'<strong>org</strong>oglio e <strong>le</strong> speranze di milioni di uom<strong>in</strong>i e di donne. Se il<br />

'pro<strong>le</strong>tariato' italiano fosse stato davvero animato da spirito rivoluzionario, avrebbe<br />

risposto alla <strong>in</strong>ascoltata sfida di Mar<strong>in</strong>etti con una rivoluzione genera<strong>le</strong> immediata, o<br />

almeno massacrando gli autori <strong>del</strong>l'assalto che sfoggiavano vantandosene i loro trofei.<br />

Pochi giorni più tardi, chi scrive così commentava questi fatti:<br />

«Un movimento rivoluzionario a tipo più o meno massimalista non può riuscire <strong>in</strong><br />

Italia. L'<strong>org</strong>ano centra<strong>le</strong> <strong>del</strong> movimento rivoluzionario, il faro a cui i fe<strong>del</strong>i guardavano


con fervore religioso, l'"Avanti!" ha potuto essere saccheggiato brutalmente senza che<br />

scoppiasse immediata, spontanea, irrefrenabi<strong>le</strong>, la rivoluzione» (15).<br />

Un anno dopo, Mussol<strong>in</strong>i scriveva:<br />

«Nella giornata <strong>del</strong> 5 apri<strong>le</strong> 1919 (...) i socialisti massimalisti milanesi rivelarono <strong>in</strong><br />

piena luce solare la loro anima filistea e pusillanime. Non un gesto di riv<strong>in</strong>cita fu<br />

<strong>del</strong><strong>in</strong>eato o tentato. (...) Né denari per il 'baslott' di Bert<strong>in</strong>i, (16) né schede per i<br />

qu<strong>in</strong>dicimila <strong>del</strong> pus bastano a cancellare la significazione storica e la portata mora<strong>le</strong><br />

<strong>del</strong> giorno <strong>in</strong> cui il fantoccio massimalista, smontato e stroncato, rotolò nel<strong>le</strong> acque<br />

limacciose <strong>del</strong> vecchio Naviglio» (17).<br />

Senza dubbio i massimalisti milanesi erano filistei, nel senso che non erano dei<br />

rivoluzionari sul serio, ed erano pusillanimi, nel senso che non erano dei banditi. La<br />

storia vera di quegli anni si può riassumere con <strong>le</strong> paro<strong>le</strong> di uno studioso <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se:<br />

'V<strong>in</strong>sero i più cru<strong>del</strong>i' (18). Ma di fatto non aveva torto Mar<strong>in</strong>etti, quando più tardi<br />

scrisse: 'Milano mutò comp<strong>le</strong>tamente da quel giorno. La tracotanza bolscevica non era<br />

morta, ma colpita mortalmente' (19). Per la prima volta gli 'antibolscevichi' sentirono,<br />

dai fatti di quei giorni, che dietro il 'bolscevismo' italiano non c'era nessun vero<br />

slancio rivoluzionario.<br />

Nei fatti di Roma e di Milano <strong>del</strong>l'apri<strong>le</strong> 1919 si trovano condensati i tratti<br />

fondamentali di tutti i disord<strong>in</strong>i 'rivoluzionari' che ebbero luogo <strong>in</strong> Italia dal 1919 al<br />

1922.<br />

Secondo la dottr<strong>in</strong>a marxista, qua<strong>le</strong> prima <strong>del</strong>la guerra era stata elaborata <strong>in</strong><br />

Germania, lo sciopero genera<strong>le</strong> doveva erompere <strong>in</strong> modo spontaneo dal 'pro<strong>le</strong>tariato<br />

rivoluzionario' nel giorno <strong>del</strong>l'apocalisse; si doveva diffondere come il fuoco sulla<br />

polvere da sparo per libera <strong>in</strong>iziativa <strong>del</strong><strong>le</strong> masse, giunte al massimo grado di<br />

saturazione rivoluzionaria, e doveva trasformarsi <strong>in</strong> rivoluzione socia<strong>le</strong>. Anche<br />

secondo Len<strong>in</strong>, lo sciopero genera<strong>le</strong> doveva essere il preludio immediato <strong>del</strong>la<br />

rivoluzione socia<strong>le</strong>, ma questo preludio doveva essere provocato e controllato da un<br />

gruppo di rivoluzionari rigidamente <strong>org</strong>anizzato, 'avanguardia <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato.' In<br />

Italia, gli scioperi generali negli anni <strong>del</strong> dopoguerra non furono altro che uno sfoggio<br />

di <strong>in</strong>utili petardi rivoluzionari, o <strong>del</strong><strong>le</strong> proteste a cui i lavoratori ricorrevano quando, a<br />

torto o a ragione, si credevano vittime di una <strong>in</strong>giustizia. Ma petardi e proteste<br />

diventarono roba da ridere, non appena tutti si resero conto che dietro non c'era né la<br />

volontà né il potere di fare sul serio: ripetuti troppo spesso, f<strong>in</strong>irono per non fare più<br />

effetto neppure sul<strong>le</strong> classi lavoratrici. Contemporaneamente questi scioperi<br />

provocavano l'ira e <strong>le</strong> rappresaglie <strong>del</strong><strong>le</strong> altre categorie di persone; e dato che tali<br />

rappresaglie erano seguite tutt'al più da altri <strong>in</strong>utili scioperi di protesta e da altre<br />

rappresaglie, il risultato ultimo di tutta la faccenda era il fallimento mora<strong>le</strong> degli<br />

scioperanti.<br />

Un'altra caratteristica dei fatti di Milano e di Roma, nell'apri<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1919, fu la<br />

partecipazione di ufficiali <strong>del</strong>l'esercito al<strong>le</strong> dimostrazioni di piazza 'antibolsceviche.'<br />

Anche a Novara, il 18 apri<strong>le</strong>, un colonnello <strong>in</strong> divisa tenne un discorso durante una<br />

dimostrazione patriottica, e il 22 apri<strong>le</strong> gruppi di studenti, 'arditi' e ufficiali <strong>in</strong> divisa<br />

<strong>in</strong>vasero il municipio, la cui amm<strong>in</strong>istrazione era socialista (20). Il regolamento<br />

militare punisce il soldato che partecipa a dimostrazioni politiche di qualsiasi specie,<br />

tanto che un genera<strong>le</strong> che era presente alla manifestazione alla Scala <strong>del</strong> gennaio, <strong>in</strong><br />

cui doveva parlare Bissolati, e si era rivolto al pubblico per chiedere che Bissolati<br />

avesse la libertà di parlare, fu <strong>in</strong>cluso nella lista degli esonerati (21); a Bologna, un<br />

soldato <strong>in</strong> divisa che prendeva parte a una manifestazione socialista venne arrestato<br />

(22); il m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Guerra emanò disposizioni contro ufficiali e soldati che si<br />

univano a dimostrazioni pubbliche (23); un ufficia<strong>le</strong> <strong>in</strong> congedo di sentimenti


socialisti, che aveva rivolto un pubblico manifesto agli altri ufficiali <strong>in</strong> congedo, venne<br />

arrestato (24); a Lovere (prov. di Bergamo) il segretario <strong>del</strong>la loca<strong>le</strong> sezione<br />

socialista, che era soggetto alla discipl<strong>in</strong>a militare, venne arrestato sotto l'accusa di<br />

'avere spiegato propaganda <strong>in</strong>compatibi<strong>le</strong> con la sua qualità di militare esonerato'<br />

(25). Ma nessun ufficia<strong>le</strong> venne mai ripreso o punito per aver partecipato a<br />

dimostrazioni 'patriottiche' o 'antibolsceviche,' e per di più, il m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Guerra<br />

non pensava vi fosse alcun motivo di scoraggiare 'battaglie decisive' quali quella <strong>del</strong><br />

15 apri<strong>le</strong>.<br />

Un'altra caratteristica dei fatti che stiamo considerando fu anche la partecipazione al<strong>le</strong><br />

dimostrazioni 'antibolsceviche' di giovani <strong>del</strong><strong>le</strong> classi medie. Questi giovani erano<br />

cresciuti <strong>in</strong> mezzo ai tragici avvenimenti bellici, e a scuola erano stati nutriti di<br />

<strong>le</strong>tteratura patriottica di tipo eroico.<br />

La maggior parte di loro era s<strong>in</strong>cera e di sentimenti generosi; non avevano <strong>in</strong>teressi<br />

personali da difendere. I comunisti, gli anarchici, e non pochi socialisti ebbero il torto<br />

di non comprendere e di non rispettare i sentimenti di questa gioventù; <strong>in</strong>sistettero a<br />

considerare questi sentimenti con disprezzo, come se sentimento naziona<strong>le</strong> s<strong>in</strong>cero e<br />

brutalità nazionalista fossero la stessa cosa; non era concepibi<strong>le</strong> per essi che potesse<br />

esistere un sacrificio onorevo<strong>le</strong>, se questo non era compiuto per il 'pro<strong>le</strong>tariato';<br />

bollarono come crim<strong>in</strong>ali gli eroi <strong>del</strong>la guerra, e lodarono come eroi i disertori; <strong>in</strong> certe<br />

zone, chi aveva fatto con onore il proprio dovere durante la guerra, o era tornato a<br />

casa <strong>in</strong>valido, veniva considerato come una vergogna da tenersi nascosta. Questo<br />

atteggiamento fece più danno ai partiti rivoluzionari di qualsiasi altra cosa.<br />

Nazionalisti, fascisti e futuristi approfittarono con grande scaltrezza di questo errore:<br />

uno dei pr<strong>in</strong>cipali richiami <strong>del</strong>la loro 'offensiva antibolscevica' fu proprio la<br />

rivendicazione dei diritti e <strong>del</strong>l'onore degli <strong>in</strong>validi e dei decorati di guerra, e fu questo<br />

richiamo che fece sì che molti giovani <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali si raccogliessero <strong>in</strong>torno a loro.<br />

Inf<strong>in</strong>e non va sottovalutato il fatto che tra <strong>le</strong> classi <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali si andava <strong>le</strong>ntamente<br />

diffondendo un vivo sentimento di <strong>in</strong>vidia e di odio per <strong>le</strong> classi lavoratrici. Le classi<br />

lavoratrici, con gli scioperi, riuscivano ad ottenere aumenti di salari con cui far fronte<br />

al crescente costo <strong>del</strong>la vita; ma i maestri e<strong>le</strong>mentari e gli <strong>in</strong>segnanti <strong>del</strong><strong>le</strong> scuo<strong>le</strong><br />

medie e universitarie, i magistrati, i questur<strong>in</strong>i e tutti gli altri funzionari, militari e<br />

civili, che dovevano vivere con un reddito fisso, non avevano nessun mezzo per<br />

ristabilire l'equilibrio tra entrate e uscite. Se, si fossero messi <strong>in</strong> sciopero, nessuno<br />

avrebbe avuto paura di loro; che forse avrebbe dato noia agli scolari se i loro<br />

<strong>in</strong>segnanti avessero scioperato? D'altra parte il governo rimandava più che poteva<br />

qualsiasi aumento negli stipendi dei suoi dipendenti, per non aumentare il deficit che<br />

era già spaventoso. Così vasti settori <strong>del</strong><strong>le</strong> classi <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali erano scontenti <strong>del</strong><br />

governo. Ma erano anche <strong>in</strong>vidiosi degli operai; e questa <strong>in</strong>vidia diveniva odio ogni<br />

volta che uno sciopero dei trasporti pubblici, o <strong>del</strong>la luce, o dei servizi di distribuzione<br />

dei generi alimentari, peggiorava la loro situazione.<br />

Proprio nei giorni dei disord<strong>in</strong>i di Roma e di Milano, i giornali conservatori<br />

com<strong>in</strong>ciarono a fare il confronto tra <strong>le</strong> pietose condizioni economiche dei pubblici<br />

funzionari e quel<strong>le</strong> degli operai. Nel numerò <strong>del</strong>l'8 apri<strong>le</strong> 1919, il "Corriere <strong>del</strong>la Sera"<br />

scriveva:<br />

«Oggi sono molti gli <strong>in</strong>gegneri professionisti od anche dirigenti di offic<strong>in</strong>e, moltissimi i<br />

professionisti, i funzionari pubblici, gli alti magistrati, presidenti di tribunali e di corti,<br />

professori ord<strong>in</strong>ari di università, consiglieri di stato, i quali non sanno credere ai loro<br />

occhi. Vedono dei capi tecnici chiedere paghe, <strong>le</strong> quali (...) sono di 1000, 1250, 1625<br />

e 2000 lire il mese (...). Che cosa dovremmo chiedere noi, si domandano tutti quegli<br />

alti magistrati, quei professori universitari, i quali hanno passato nello studio i più<br />

begli anni <strong>del</strong>la vita per giungere sì e no verso i 35-40 anni a 600 lire di stipendio al<br />

mese ed i più anziani al<strong>le</strong> 1000 lire? La mortificazione nei ceti <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali è genera<strong>le</strong>.


I padri di famiglia si domandano se essi non hanno torto di far seguire ai loro figli<br />

corsi di studio lunghi 12 o 14 anni, dopo <strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> e<strong>le</strong>mentari; e se non sarebbe<br />

meglio di mandarli senz'altro <strong>in</strong> una offic<strong>in</strong>a.»<br />

La dottr<strong>in</strong>a marxista dei socialisti tedeschi aveva <strong>in</strong>segnato che, per un progresso<br />

costante nella tecnica di produzione, nella società capitalista <strong>le</strong> ricchezze si sarebbero<br />

andate concentrando nel<strong>le</strong> mani di un numero di persone sempre m<strong>in</strong>ore, e qu<strong>in</strong>di si<br />

sarebbe andati verso una crescente pro<strong>le</strong>tarizzazione <strong>del</strong><strong>le</strong> classi medie. Quando ta<strong>le</strong><br />

processo, <strong>in</strong> un grado estremo di perfezione tecnica e di concentrazione <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

ricchezze, avesse raggiunto il suo apice, il pro<strong>le</strong>tariato, <strong>in</strong>grossato di numero dagli<br />

e<strong>le</strong>menti decaduti <strong>del</strong><strong>le</strong> classi medie, avrebbe tolto dal<strong>le</strong> mani dei capitalisti i mezzi di<br />

produzione e di distribuzione, e avrebbe fondato una società senza classi basata sulla<br />

eguaglianza economica. L'esperienza ci mostra che non esiste uno sviluppo rettil<strong>in</strong>eo<br />

<strong>del</strong>la società capitalistica verso la concentrazione di ricchezza; la concentrazione di un<br />

settore è bilanciata dalla dispersione <strong>in</strong> altri. L'<strong>org</strong>anizzazione su larga scala<br />

<strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dustria automobilistica ha portato alla scomparsa di una quantità di piccoli<br />

<strong>in</strong>dustriali, ma ha fatto s<strong>org</strong>ere un numero enorme di picco<strong>le</strong> imprese per servizi di<br />

rimessa e di riparazione, e per provvedere al<strong>le</strong> necessità degli automobilisti lungo <strong>le</strong><br />

strade. La proprietà terriera non dà segno di <strong>in</strong>dirizzarsi verso una concentrazione; al<br />

contrario c'è una forte tendenza a dividere <strong>le</strong> grandi tenute <strong>in</strong> picco<strong>le</strong> proprietà, ogni<br />

volta che sia conveniente un metodo di coltivazione <strong>in</strong>tensiva. In Europa il dopoguerra<br />

ha portato al<strong>le</strong> classi medie povertà e sofferenza, ma <strong>le</strong> classi medie, per quanto<br />

declassate dalla crisi economica, non <strong>in</strong>tendono identificarsi con il pro<strong>le</strong>tariato.<br />

All'<strong>in</strong>izio il <strong>fascismo</strong> italiano e il nazismo tedesco furono essenzialmente movimenti<br />

composti di e<strong>le</strong>menti impoveriti <strong>del</strong><strong>le</strong> classi medie, decisi a non affondare s<strong>in</strong>o al<br />

livello <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato, e che si dettero a strappare dal<strong>le</strong> mani <strong>del</strong><strong>le</strong> classi <strong>in</strong>feriori<br />

quella parte <strong>del</strong>la ricchezza naziona<strong>le</strong> che esse avevano v<strong>in</strong>to.<br />

Né <strong>in</strong> Germania né <strong>in</strong> Italia i marxisti di stretta osservanza arrivarono mai a rendersi<br />

conto <strong>del</strong>la gravità di questo fenomeno e <strong>del</strong><strong>le</strong> sue implicazioni. I fatti di Roma e di<br />

Milano <strong>del</strong>l'apri<strong>le</strong> non scossero i massimalisti dal loro torpore marxista. Il 29 apri<strong>le</strong>, la<br />

direzione naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito socialista pubblicò un manifesto, <strong>in</strong> cui si <strong>in</strong>vitava il<br />

pro<strong>le</strong>tariato italiano ad uno sciopero genera<strong>le</strong> per il 1 maggio, che così veniva<br />

annunciato:<br />

«La classe lavoratrice dovrà <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e affermare che è ormai animata da chiara coscienza<br />

<strong>del</strong>la propria forza e dei propri dest<strong>in</strong>i; che è pronta a raccogliere e seguire gli<br />

<strong>in</strong>segnamenti <strong>del</strong>la Russia, <strong>del</strong>l'Ungheria, <strong>del</strong>la Baviera dove il potere politico ed<br />

economico è raccolto soltanto nel<strong>le</strong> mani di chi produce, di chi lavora. (...) Ed ognuno<br />

sia pronto per la grande ora decisiva» (26).<br />

Proprio <strong>in</strong> quei giorni <strong>in</strong> Baviera, la Repubblica comunista, proclamata il 4 apri<strong>le</strong>,<br />

veniva abbattuta <strong>in</strong> una reazione sangu<strong>in</strong>osa, e si apriva la strada ad un feroce<br />

regime 'totalitario.'


CAPITOLO UNDICESIMO.<br />

L'ITALIA NEL GIUGNO DEL 1919.<br />

Tra il 14 e il 23 apri<strong>le</strong>, l'urto tra Wilson e la de<strong>le</strong>gazione italiana alla Conferenza <strong>del</strong>la<br />

Pace di Parigi raggiunse il suo punto critico. Orlando abbandonò la Conferenza e partì<br />

per l'Italia la sera <strong>del</strong> 24 apri<strong>le</strong>; Sonn<strong>in</strong>o lo seguì due giorni dopo. Lungo il percorso<br />

dal conf<strong>in</strong>e a Roma, i due uom<strong>in</strong>i politici furono salutati da dimostrazioni trionfali,<br />

mentre <strong>in</strong> tutta Italia si avevano <strong>in</strong>numerevoli dimostrazioni vio<strong>le</strong>nte contro Wilson.<br />

Perf<strong>in</strong>o la Confederazione <strong>del</strong> lavoro, che pur si dichiarava osti<strong>le</strong> al<strong>le</strong> 'richieste<br />

esorbitanti di annessioni territoriali' avanzate da Orlando e Sonn<strong>in</strong>o, protestò contro<br />

Wilson, che 'applicava i suoi ideali <strong>in</strong> modo partigiano,' dato che permetteva<br />

l'imperialismo francese ed <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se e deprecava soltanto gli eccessi italiani (1). Il 29<br />

apri<strong>le</strong> alla Camera, spiegando <strong>le</strong> ragioni per cui i deputati socialisti avrebbero negato il<br />

voto di fiducia al gab<strong>in</strong>etto, Turati non mancava di affermare che 'a Fiume non è chi<br />

non parli italiano' - cosa abbastanza diffici<strong>le</strong> da sostenere, dato che a Fiume,<br />

mescolati ai 24000 italiani, c'erano 15000 slavi - ed ebbe paro<strong>le</strong> di biasimo per i<br />

laburisti <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si e i socialisti francesi i quali, <strong>in</strong>differenti quando si tratta <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

ambizioni territoriali dei loro governi, 'pretendono oggi di rifarsi una verg<strong>in</strong>ità<br />

democratico-socialista restando accanto al Wilson <strong>del</strong>l'ultima maniera, proprio e<br />

soltanto per Fiume, la Dalmazia e l'Istria orienta<strong>le</strong>!' (2) La Camera accordò la fiducia<br />

al gab<strong>in</strong>etto con 382 voti; solo 40 socialisti votarono contro. Il Senato accordò<br />

unanime al gab<strong>in</strong>etto 191 voti. Ma nessuno sapeva che cosa vo<strong>le</strong>vano Orlando,<br />

Sonn<strong>in</strong>o, la maggioranza <strong>del</strong>la Camera, e il Senato unanime. In un suo discorso,<br />

Turati giustamente denunciò la situazione assurda <strong>in</strong> cui il m<strong>in</strong>istero poneva se stesso<br />

e il paese.<br />

«O voi sapete, con matematica certezza, che un componimento è possibi<strong>le</strong> (...). A che<br />

pro, allora, questa enorme montatura <strong>del</strong>l'op<strong>in</strong>ione <strong>del</strong> paese? (...) Oppure voi non<br />

siete certi <strong>del</strong> risultato. E allora la montatura, che avete provocata, vi fa prigionieri di<br />

sé, vi taglia ogni via di ritorno, che non sia di umiliazione profonda. (...) Potevate<br />

dirci: 'Al nostro buon vo<strong>le</strong>re fallì la fortuna. Siamo v<strong>in</strong>colati da troppi precedenti. Non<br />

possiamo con dignità ritornare a Parigi. Lasciamo il posto a chi avrà <strong>le</strong> mani più libere<br />

e potrà ripigliare con miglior fortuna <strong>le</strong> trattative, per noi rotte o <strong>in</strong>terrotte.' (...) Un<br />

profondo rispetto avrebbe accolto <strong>le</strong> paro<strong>le</strong> ed il gesto. Ma voi vi fate piedistallo <strong>del</strong><br />

vostro <strong>in</strong>successo. Voi <strong>le</strong>gate ad esso la vita <strong>del</strong> paese voi provocate la solidarietà <strong>del</strong><br />

paese con voi, f<strong>in</strong>o al<strong>le</strong> estreme conseguenze, f<strong>in</strong>o - il cielo avverta! - alla guerra. A<br />

una nuova guerra. Oggi! Ci pensate, o signori?» (3).<br />

Mentre <strong>in</strong> Italia Orlando e Sonn<strong>in</strong>o facevano col<strong>le</strong>zione di dimostrazioni e di voti di<br />

fiducia, a Parigi Wilson, Lloyd Ge<strong>org</strong>e e C<strong>le</strong>menceau stavano sistemando tutte <strong>le</strong><br />

questioni ancora <strong>in</strong> sospeso. Sonn<strong>in</strong>o si era sempre opposto ost<strong>in</strong>atamente e<br />

stupidamente al riconoscimento <strong>del</strong> nuovo Regno serbo-croato-sloveno; <strong>in</strong> sua<br />

assenza, gli altri decisero per il suo riconoscimento, <strong>in</strong> più fissarono <strong>le</strong> date <strong>in</strong> cui <strong>le</strong><br />

condizioni di pace dovevano essere consegnate al<strong>le</strong> de<strong>le</strong>gazioni tedesca e austroungarica,<br />

e affermarono che, se gli italiani non fossero stati presenti a questa<br />

cerimonia, il Patto di Londra sarebbe divenuto privo di validità.<br />

Il 4 maggio, si tenne a Roma un grande comizio, <strong>in</strong> cui il s<strong>in</strong>daco di Roma chiese la<br />

Dalmazia più Fiume, e D'Annunzio attaccò grossolanamente Wilson e la moglie,<br />

proclamando che 'un ritorno a Parigi avrebbe significato il disonore d'Italia' (4). La<br />

sera di quello stesso giorno Sonn<strong>in</strong>o e Orlando partivano per Parigi, senza aver<br />

chiesto né ottenuto nessuna condizione, ma semplicemente allo scopo di evitare <strong>le</strong>


appresaglie che la loro assenza avrebbe provocato. Erano appena tornati a Parigi che<br />

Wilson, Lloyd Ge<strong>org</strong>e e C<strong>le</strong>menceau, senza consultarli, assegnarono alla Grecia la<br />

prov<strong>in</strong>cia di Smirne, <strong>in</strong> Asia M<strong>in</strong>ore, la qua<strong>le</strong> secondo il Trattato di Sa<strong>in</strong>t Jean de<br />

Maurienne (19 apri<strong>le</strong> 1917) era stata assegnata all'Italia, e Lloyd Ge<strong>org</strong>e e<br />

C<strong>le</strong>menceau si divisero tra loro <strong>le</strong> colonie tedesche <strong>in</strong> Africa, rimandando al futuro i<br />

negoziati con l'Italia per <strong>le</strong> compensazioni che <strong>le</strong> erano state promesse dal Patto di<br />

Londra.<br />

L'<strong>in</strong>fluenza <strong>del</strong>l'Italia <strong>in</strong> campo <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong> non dipende tanto dalla sua forza<br />

militare, che di fronte al<strong>le</strong> altre grandi potenze non è molto ri<strong>le</strong>vante, quanto dalla sua<br />

abilità di barcamenarsi tra queste grandi potenze quando vi siano dei contrasti tra<br />

loro. Mentre <strong>in</strong> tempo di guerra la importanza <strong>del</strong>l'Italia è notevo<strong>le</strong>, non appena una<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> potenze europee o una coalizione di potenze abbiano raggiunto un grado di<br />

superiorità decisiva, questa importanza <strong>del</strong>l'Italia scompare <strong>del</strong> tutto. A questo punto<br />

<strong>le</strong> promesse che <strong>le</strong> sono state fatte nel momento <strong>del</strong> bisogno possono esser lasciate<br />

cadere impunemente, e l'Italia venir gettata via come un limone spremuto. Nel 1915<br />

l'Italia aveva goduto <strong>del</strong> suo massimo di <strong>in</strong>fluenza; Sonn<strong>in</strong>o aveva abusato di questa<br />

<strong>in</strong>fluenza e per l'<strong>in</strong>tervento italiano a fianco <strong>del</strong>la Intesa antigermanica aveva<br />

strappato un prezzo che questa era riluttante a pagare. Nel 1919 la guerra era f<strong>in</strong>ita,<br />

la Germania priva di forza e Sonn<strong>in</strong>o non più <strong>in</strong> una posizione ta<strong>le</strong> da potersi<br />

mantenere <strong>in</strong> equilibrio tra la Germania e i suoi nemici, e neppure era <strong>in</strong> grado di<br />

m<strong>in</strong>acciare di guerra Wilson, Lloyd Ge<strong>org</strong>e e C<strong>le</strong>menceau; poteva soltanto m<strong>in</strong>acciare<br />

una riv<strong>in</strong>cita per quando la Germania avrebbe riacquistato <strong>le</strong> proprie forze. E' quanto<br />

fecero i giornali italiani. Tali m<strong>in</strong>acce, <strong>in</strong>vece di migliorare la situazione dei diplomatici<br />

italiani, la peggiorarono.<br />

Intanto <strong>in</strong> Italia <strong>le</strong> condizioni diventavano sempre più precarie. Le zone di frontiera<br />

che erano state teatro <strong>del</strong><strong>le</strong> operazioni belliche e gli ex-territori austriaci che erano<br />

adesso sotto il controllo <strong>del</strong><strong>le</strong> truppe italiane erano <strong>in</strong> uno stato economico, politico e<br />

socia<strong>le</strong> caotico. Le popolazioni che durante la guerra erano state costrette a scappare<br />

vi avevano fatto ritorno, trovando ovunque distruzioni tremende. Ogni commercio con<br />

l'Europa centra<strong>le</strong> era paralizzato. I rapporti tra italiani e slavi, nei territori di<br />

popolazioni miste, erano resi più difficili dal fatto che era ancora <strong>in</strong> discussione il<br />

conf<strong>in</strong>e tra l'Italia e la Yugoslavia.<br />

In maggio e giugno vi fu un brusco aumento <strong>del</strong> costo <strong>del</strong>la vita e specialmente nei<br />

generi alimentari; di conseguenza salì il numero degli scioperi per ottenere salari più<br />

alti. Il numero degli scioperanti nel<strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie e nell'agricoltura, che erano stati<br />

22280 nel gennaio 1919, 40103 nel febbraio, 68820 nel marzo, salì a 87449<br />

nell'apri<strong>le</strong>, e 309026 nel maggio (5). Negli scioperi, oltre agli aumenti salariali, si<br />

chiedeva che venisse <strong>in</strong>trodotto un nuovo 'regime costituziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> lavoro' <strong>in</strong>vece <strong>del</strong><br />

tradiziona<strong>le</strong> regime <strong>del</strong> datore di lavoro 'padrone <strong>in</strong> casa propria.' La resistenza dei<br />

datori di lavoro si fece più salda al momento <strong>in</strong> cui la pressione <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni<br />

operaie si <strong>in</strong>tensificò su questo secondo punto. Alcuni di questi scioperi causarono<br />

molto fastidio al pubblico; ad esempio lo sciopero dei camerieri di ristoranti, a Roma<br />

(5-13 giugno) e a Milano (6-22), che misero a molto dura prova tutti coloro che, non<br />

avendo famiglia o essendo <strong>in</strong> giro per affari, non sapevano dove andare a mangiare.<br />

Oltre questi scioperi altri ve ne furono ai quali ricorsero, per gli stessi motivi<br />

economici, i dipendenti statali. L'11 giugno, 50000 maestri e<strong>le</strong>mentari, <strong>org</strong>anizzati <strong>in</strong><br />

una associazione naziona<strong>le</strong> diretta da democratici e da socialisti, si misero <strong>in</strong> sciopero<br />

<strong>in</strong> tutta Italia; ad essi si unirono, il 14 giugno, anche i maestri cattolici, <strong>org</strong>anizzati <strong>in</strong><br />

una associazione separata. Lo sciopero cessò il 20 giugno.<br />

Gli scioperi economici di una categoria provocavano gli scioperi di solidarietà di altri<br />

gruppi, con i quali <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni operaie cercavano di costr<strong>in</strong>gere i datori di lavoro<br />

ad accettare <strong>le</strong> richieste dei lavoratori che avevano <strong>in</strong>iziato lo sciopero. A Biella, uno<br />

sciopero di 30000 operai <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie laniere, com<strong>in</strong>ciato il 6 maggio, provocò ai


primi di giugno uno sciopero di solidarietà di due giorni di molte altre categorie di<br />

lavoratori, e lo sciopero orig<strong>in</strong>ario non fu composto s<strong>in</strong>o all'11 giugno. A Napoli, l'8<br />

giugno, i comunisti riuscirono a far proclamare <strong>in</strong> tutta la prov<strong>in</strong>cia uno sciopero<br />

genera<strong>le</strong> di solidarietà con i lavoratori <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dustria metallurgica; i giornali non<br />

uscirono; ventun paesi <strong>del</strong>la prov<strong>in</strong>cia rimasero comp<strong>le</strong>tamente senza luce; si<br />

assalirono quei tram il cui persona<strong>le</strong> si era rifiutato di prender parte allo sciopero. Lo<br />

sciopero di solidarietà term<strong>in</strong>ò l'11 giugno, e lo sciopero particolare <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dustria<br />

metallurgica, che si era <strong>in</strong>iziato l'8 maggio, fu composto il 13 giugno.<br />

Vi furono <strong>in</strong>oltre disord<strong>in</strong>i per il caro-viveri. L'11 giugno, a La Spezia, i negozi di frutta<br />

e verdura chiusero per protesta contro il municipio che aveva bloccato i prezzi di tali<br />

generi; i lavoratori reagirono proclamando uno sciopero contro i commercianti, e<br />

dandosi poi a saccheggiare ristoranti, negozi di generi di abbigliamento, e rivendite di<br />

v<strong>in</strong>o, olio e formaggio; <strong>in</strong>tervenne la polizia, e vi furono due morti e sette feriti tra cui<br />

un poliziotto: 'Le donne si dimostrarono <strong>le</strong> più furenti ed ardite. (...) Il corso Cavour e<br />

<strong>le</strong> vie adiacenti dove più aspra si è svolta la lotta danno l'impressione di un campo di<br />

battaglia: rottami e frammenti di specchi, di vetri, di scansie, di cartonaggi, di stoffe,<br />

di generi commestibili sono sem<strong>in</strong>ati sul terreno' (6). Il 12 giugno, i disord<strong>in</strong>i<br />

dilagarono verso la periferia, dove si saccheggiarono molti negozi, 'senza che la forza<br />

pubblica e <strong>le</strong> truppe stazionanti ai crocicchi <strong>in</strong>tervenissero' (7). La Camera <strong>del</strong> lavoro<br />

'a qualche commerciante che ne ha fatto richiesta ha dato <strong>del</strong><strong>le</strong> guardie a scopo di<br />

protezione, che ottimamente hanno fatto il loro dovere' (8). Il 13 giugno a Massa e a<br />

Carrara, venne proclamato uno sciopero genera<strong>le</strong> per protestare contro il costo <strong>del</strong>la<br />

vita e contro la polizia che il giorno 11, a La Spezia, aveva ucciso due persone. Gli<br />

scioperi cessarono quando i negozianti annunciarono riduzioni di prezzi per i generi<br />

alimentari e <strong>le</strong> scarpe. Il 14 giugno il saccheggio dei negozi si estese ad altre tre città.<br />

Il 15 giugno a Pisa la Camera <strong>del</strong> lavoro, diretta dai s<strong>in</strong>dacalisti, proclamò uno<br />

sciopero genera<strong>le</strong> di 24 ore per protestare contro il contegno tenuto dalla polizia a La<br />

Spezia e contro il costo <strong>del</strong>la vita. Frattanto a La Spezia, <strong>in</strong> un imponente comizio, i<br />

socialisti e il segretario <strong>del</strong>la Camera <strong>del</strong> lavoro proposero la cessazione <strong>del</strong>lo<br />

sciopero, a condizione che il governo, <strong>in</strong> attesa <strong>del</strong> pubblico processo, rilasciasse <strong>le</strong><br />

persone arrestate durante i disord<strong>in</strong>i dei giorni precedenti, e ord<strong>in</strong>asse una riduzione<br />

genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> 30 per cento sui prezzi. Gli anarchici e i s<strong>in</strong>dacalisti rivoluzionari<br />

vo<strong>le</strong>vano una riduzione <strong>del</strong> 50 per cento, e il rilascio degli arrestati senza nessun<br />

seguito, neppure a carico di coloro che erano stati presi mentre portavan via la roba<br />

dai negozi. Gli anarchici e i s<strong>in</strong>dacalisti ebbero partita v<strong>in</strong>ta; ma la popolazione era<br />

stanca. Il 16 giugno la Camera <strong>del</strong> lavoro ord<strong>in</strong>ava per il giorno seguente la<br />

cessazione <strong>del</strong>lo sciopero; gli anarchici e i s<strong>in</strong>dacalisti, per dist<strong>in</strong>guersi dai socialisti,<br />

ord<strong>in</strong>arono che lo sciopero fosse cont<strong>in</strong>uato per altre 24 ore.<br />

Non solo gli anarchici, i comunisti e i s<strong>in</strong>dacalisti, ma anche persone che <strong>in</strong> condizioni<br />

normali erano di sentimenti conservatori, sembravano impazzite. L'11 giugno, a<br />

Genova, l'associazione <strong>in</strong>dustriali e commercianti proclamò una serrata di c<strong>in</strong>que<br />

giorni per protestare contro il governo, che non aboliva tutte quel<strong>le</strong> restrizioni al<strong>le</strong><br />

quali era stata soggetta durante la guerra l'<strong>in</strong>iziativa privata, progettando <strong>in</strong>vece di<br />

imporne <strong>del</strong><strong>le</strong> altre. Dato che scioperavano persone rispettabili, come gli <strong>in</strong>dustriali e i<br />

commercianti, la Camera <strong>del</strong> lavoro decise per il 12 giugno uno sciopero genera<strong>le</strong> di<br />

protesta 'contro il crescente costo <strong>del</strong>la vita, contro il governo e contro gli affamatori<br />

<strong>del</strong> popolo' (9). Allo sciopero parteciparono tutti i partiti democratici e l'associazione<br />

combattenti. Durante un comizio nei pressi <strong>del</strong>la Camera <strong>del</strong> lavoro, un gruppo di<br />

'arditi' si scontrò con i dimostranti, e se ne ebbe un morto e sei feriti tra i civili, e<br />

quattro feriti tra la polizia. Molti negozi furono saccheggiati, e parecchie f<strong>in</strong>estre rotte;<br />

un <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong> che si recava <strong>in</strong> città <strong>in</strong> macch<strong>in</strong>a fu fatto scendere e la macch<strong>in</strong>a<br />

distrutta; un deputato conservatore venne malmenato. Altri comizi di protesta e<br />

dimostrazioni contro l'alto costo <strong>del</strong>la vita si ebbero <strong>in</strong> diverse località vic<strong>in</strong>o a


Genova. Il giorno dopo, 13 giugno, i disord<strong>in</strong>i cont<strong>in</strong>uarono a Genova, da parte di<br />

gruppi isolati, che nel pomeriggio imposero la cessazione <strong>del</strong> servizio tranviario e la<br />

chiusura dei negozi. L'ord<strong>in</strong>e fu ristabilito il 14 giugno, ma la serrata degli <strong>in</strong>dustriali e<br />

dei commercianti cont<strong>in</strong>uò, con la puntualità che si addice quando si tratta di affari,<br />

s<strong>in</strong>o allo scadere <strong>del</strong> qu<strong>in</strong>to giorno.<br />

A Milano e a Tor<strong>in</strong>o, nel pomeriggio <strong>del</strong> 13 giugno, quando giunse la notizia che il<br />

cadavere di Rosa Luxemburg era stato ritrovato a Berl<strong>in</strong>o <strong>in</strong> un cana<strong>le</strong>, 'persone<br />

ignote' (probabilmente teste calde comuniste) andarono <strong>in</strong> giro annunciando che la<br />

Camera <strong>del</strong> lavoro aveva proclamato uno sciopero genera<strong>le</strong> di protesta. Scioperi<br />

improvvisi si ebbero <strong>in</strong> molte fabbriche, e a Milano il servizio tranviario venne<br />

<strong>in</strong>terrotto. Qui la Camera <strong>del</strong> lavoro ord<strong>in</strong>ò agli scioperanti di riprendere il lavoro il<br />

giorno dopo, e venne obbedita; a Tor<strong>in</strong>o, dove la Camera <strong>del</strong> lavoro e la federazione<br />

socialista erano controllate dai comunisti, i disord<strong>in</strong>i furono molto più gravi. La sera<br />

<strong>del</strong> 13, 20000 persone si riunirono nel centro <strong>del</strong>la città cantando una canzone che<br />

f<strong>in</strong>iva con <strong>le</strong> paro<strong>le</strong> 'Morte al Re'; vi furono numerosi scontri tra polizia e dimostranti;<br />

la polizia <strong>in</strong>vase la Camera <strong>del</strong> lavoro, <strong>in</strong>seguendo i rivoltosi di piano <strong>in</strong> piano; vi<br />

furono c<strong>in</strong>que feriti, tra i quali, grave, un poliziotto; <strong>in</strong> seguito a questi fatti, <strong>in</strong> città vi<br />

fu il giorno dopo uno sciopero genera<strong>le</strong> di protesta.<br />

A Bologna, la matt<strong>in</strong>a <strong>del</strong> 15 giugno, mentre un grande corteo socialista attraversava<br />

la città, un gruppo di estremisti che si erano uniti ad esso chiese che venissero ritirate<br />

da lungo <strong>le</strong> strade <strong>le</strong> bandiere tricolori; ne nacquero dei conflitti; un ufficia<strong>le</strong> venne<br />

aggredito e, facendo uso <strong>del</strong>la rivoltella, ferì una donna. Nel pomeriggio, un gruppo di<br />

nazionalisti e di 'arditi' <strong>org</strong>anizzò una contro-dimostrazione. Ecco come il quotidiano<br />

"Idea Naziona<strong>le</strong>" <strong>del</strong> 17 giugno descrive i fatti:<br />

«Verso <strong>le</strong> 18 una dimostrazione popolare, con alla testa i nazionalisti, si formò <strong>in</strong> via<br />

Indipendenza. A loro si unirono soldati e ufficiali. (...) Alla piazza avvengono tafferugli<br />

vio<strong>le</strong>nti fra nazionalisti e socialisti ed è necessario che <strong>in</strong>tervenga la forza per<br />

sciogliere i dimostranti. (...) I nazionalisti si portano quasi di corsa <strong>in</strong> via Cavaliera,<br />

dove ha sede la Camera <strong>del</strong> Lavoro "senza che l'autorità cercasse di fermarli" (10).<br />

Dalla Camera <strong>del</strong> Lavoro erano già usciti quasi tutti gli <strong>org</strong>anizzatori. (...) I<br />

dimostranti giunti all'<strong>in</strong>gresso si fermarono e un giovanotto, rivolgendosi ai compagni,<br />

gridò: Avanti! Avanti! [Un ardito si precipitò dentro, non si sa a che scopo. (!!!) Venne<br />

subito circondato dai presenti che gli strapparono di dosso un gagliardetto e lo<br />

cacciarono via a calci e sp<strong>in</strong>te. Altri 'arditi' si fecero avanti per difendere il loro<br />

compagno e vendicare l'<strong>in</strong>sulto che aveva subito.] Fu tentata una irruzione nella<br />

Camera <strong>del</strong> lavoro e poco dopo si udirono alcuni colpi di rivoltella che si susseguirono<br />

per una dec<strong>in</strong>a di m<strong>in</strong>uti fra <strong>le</strong> due parti. (...) Due colpi andarono a ferire gli studenti.<br />

(...) Condotti dai pompieri al posto di soccorso, dichiararono di essere stati colpiti dai<br />

loro amici per disgrazia» (10 bis).<br />

Il giorno seguente, la Camera <strong>del</strong> lavoro, controllata dai socialisti di destra, si rifiutò<br />

di proclamare lo sciopero genera<strong>le</strong>; ma un'altra Camera <strong>del</strong> lavoro, da poco creata dai<br />

s<strong>in</strong>dacalisti rivoluzionari e dai comunisti, proclamò lo sciopero; e il giorno dopo i tram<br />

non andarono e molte fabbriche rimasero ferme.<br />

Nel<strong>le</strong> campagne <strong>in</strong>torno a Padova, gli affittuari scioperavano sotto la guida dei<br />

socialisti. Il 21 giugno un proprietario terriero venne aggredito a casa sua, e si difese<br />

a fucilate ferendo tre persone, di cui una <strong>in</strong> modo morta<strong>le</strong>. In prov<strong>in</strong>cia di Bergamo i<br />

braccianti erano controllati dai popolari. Mentre i socialisti chiedevano 'la terra ai<br />

contad<strong>in</strong>i,' i popolari chiedevano 'che la terra fosse affittata ai contad<strong>in</strong>i'; i loro<br />

seguaci si riunivano al suono <strong>del</strong><strong>le</strong> campane.<br />

Il 24 giugno a Genova, la federazione dei lavoratori <strong>del</strong> mare, che aveva una<br />

controversia <strong>in</strong> corso con <strong>le</strong> società di navigazione, proibì la partenza di un piroscafo,


e il persona<strong>le</strong> <strong>del</strong> piroscafo eseguì l'ord<strong>in</strong>e. Il 30 giugno, ta<strong>le</strong> divieto fu esteso ad altri<br />

due piroscafi. A Sampierdarena, il 25 giugno, l'associazione combattenti, d'accordo<br />

con i fascisti locali, si oppose alla vendita all'asta dei mobili di tre famiglie di excombattenti<br />

che non avevano pagato l'affitto mentre i loro uom<strong>in</strong>i erano al fronte.<br />

Durante la dimostrazione si m<strong>in</strong>acciarono di morte 'i barbari sfruttatori dei difensori<br />

<strong>del</strong>la patria,' e si m<strong>in</strong>acciò di far vendetta contro 'magistrati, giudici, questur<strong>in</strong>i,<br />

avvocati, complici dei barbari proprietari di case,' impedendo che si tenesse l'asta,<br />

<strong>in</strong>vitando gli altri affittuari a pagare solo metà <strong>del</strong> prezzo di affitto, <strong>in</strong>vadendo l'aula<br />

<strong>del</strong>la corte al canto di 'Fratelli d'Italia, l'Italia si è desta.'<br />

A Napoli, il 28 giugno, i contad<strong>in</strong>i si rifiutarono di portare i loro prodotti <strong>in</strong> città, non<br />

<strong>in</strong>tendendo accettare i prezzi stabiliti dal municipio. Perf<strong>in</strong>o i preti scioperarono; a<br />

Loreto, il 1 maggio, sei preti si rifiutarono di ce<strong>le</strong>brare la Messa, non avendo ricevuto<br />

l'aumento di salario richiesto, e furono congedati, ma fecero 'immediata<br />

sottomissione': qu<strong>in</strong>di vi fu un esempio di sciopero, serrata e vittoria dei datori di<br />

lavoro (11). Uno sciopero di preti ebbe luogo anche a Prato, senza che i giornali che<br />

ne davano la notizia ne spiegassero il motivo (12). A Napoli, il 1 luglio, 200 preti<br />

<strong>in</strong>viarono una <strong>le</strong>ttera ai giornali m<strong>in</strong>acciando uno sciopero, perché con lo stipendio di<br />

200 lire mensili non potevano più vivere; la <strong>le</strong>ttera diceva: 'Ne abbiamo abbastanza.<br />

La fame fa uscire il lupo <strong>del</strong> bosco' (13).<br />

Chi voglia rendersi comp<strong>le</strong>tamente conto <strong>del</strong>la situazione, deve tener presente che,<br />

mentre i dati relativi agli scioperi economici nel<strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie e nell'agricoltura si<br />

possono considerare comp<strong>le</strong>ti, gli scioperi di solidarietà e gli scioperi parziali o<br />

generali promossi per ragioni politiche non erano presi <strong>in</strong> considerazione dal<strong>le</strong><br />

statistiche ufficiali. I due quotidiani milanesi dai quali abbiamo tratto <strong>le</strong> notizie relative<br />

agli scioperi politici e di solidarietà forniscono una cronaca abbastanza diligente per<br />

l'Italia settentriona<strong>le</strong>, ma non si occupano dei fatti <strong>del</strong>l'Italia centra<strong>le</strong> e meridiona<strong>le</strong>, a<br />

meno che questi non siano di particolare gravità. Perciò l'agitazione nel paese era<br />

anche maggiore di quanto non ci port<strong>in</strong>o a credere i dati che abbiamo raccolto.<br />

In questi fatti <strong>del</strong> giugno 1919, anche più che <strong>in</strong> quelli <strong>del</strong>l'apri<strong>le</strong> precedente, vengono<br />

chiaramente alla luce molti dei tratti caratteristici dest<strong>in</strong>ati a ripetersi cont<strong>in</strong>uamente<br />

negli anni seguenti.<br />

1) Ogni volta che i nazionalisti, i fascisti, i futuristi e gli 'arditi' attaccavano i centri di<br />

comando <strong>del</strong><strong>le</strong> istituzioni socialiste, la polizia concedeva loro via libera. Ta<strong>le</strong> pratica<br />

era il<strong>le</strong>ga<strong>le</strong> e immora<strong>le</strong>; ma durante i comizi socialisti e nel<strong>le</strong> dimostrazioni di piazza<br />

c'era sempre qualcuno che attaccava la polizia a colpi di pietra o a revolverate, e la<br />

polizia era lieta di vedersi vendicata da dei volontari.<br />

2) Massimalisti, spartachisti e anarchici non potevan chiedere la protezione <strong>del</strong>la<br />

polizia, dopo che nel<strong>le</strong> loro dimostrazioni la <strong>in</strong>sultavano, la prendevano a sassate e la<br />

ferivano. Avrebbero dovuto difendersi da sé, armati contro coloro che li attaccavano<br />

armati; ma a questo non pensarono mai, più che non avrebbero pensato di fare un<br />

viaggio nella luna. Persuasi che nel 'grande giorno' il 'pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario'<br />

sarebbe stato <strong>in</strong>v<strong>in</strong>cibi<strong>le</strong>, aspettavano che arrivasse questo 'grande giorno.' Nel<br />

frattempo rispondevano agli assalti armati con dei futili scioperi di protesta, che<br />

secondo loro avrebbero dovuto servire al pro<strong>le</strong>tariato come 'g<strong>in</strong>nastica rivoluzionaria.'<br />

3) Nazionalisti, fascisti, futuristi e 'arditi' si erano resi conto di quanto fosse pueri<strong>le</strong> la<br />

tattica rivoluzionaria dei loro avversari, e sicuri <strong>del</strong>la connivenza <strong>del</strong>la polizia, non si<br />

lasciarono mai spaventare dai conflitti, anzi avevano piuttosto l'<strong>in</strong>teresse massimo a<br />

provocarli. Il giorna<strong>le</strong> nazionalista così commentava gli <strong>in</strong>cidenti di Bologna <strong>del</strong> 15<br />

giugno:<br />

«Non deploriamo affatto questi <strong>in</strong>cidenti. I nazionalisti, e con loro i veri e forti cittad<strong>in</strong>i<br />

italiani di Bologna, hanno reagito contro la provocazione e la vio<strong>le</strong>nza socialiste, come<br />

hanno reagito due mesi fa a Roma e a Milano, difendendo contro la imposizione


olscevica il nome e la volontà popolare. (...) Quando un gruppo di persone (...) si<br />

getta a vio<strong>le</strong>ntare una città, straccia <strong>le</strong> bandiere nazionali, <strong>in</strong>sulta gli ufficiali, e<br />

dichiara apertamente lo stato di guerra civi<strong>le</strong> - tutte cose concretamente e<br />

precisamente avvenute a Bologna - sia anche concreto e preciso dovere dei cittad<strong>in</strong>i<br />

reagire. Anche se questa reazione sia una battaglia di piazza - <strong>del</strong> resto <strong>in</strong> proporzioni<br />

m<strong>in</strong>ime - a colpi di rivoltella» (14).<br />

4) Il fatto più importante era che dietro i nazionalisti, i futuristi, i fascisti e gli 'arditi'<br />

manovrava un gruppo di generali.<br />

Nel 1915 allo scoppio <strong>del</strong>la guerra italo-austriaca, l'esercito italiano aveva 142<br />

generali. Alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la guerra portavano questo grado 1246 ufficiali. Nel 1914 <strong>in</strong><br />

Francia c'erano 360 generali; alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la guerra ce ne erano 769. Qu<strong>in</strong>di l'Italia<br />

aveva 477 generali più <strong>del</strong>la Francia. Il numero di colonnelli e di ufficiali di grado<br />

<strong>in</strong>feriore era cresciuto <strong>in</strong> proporzione. Ma gli ufficiali di grado più basso erano dei civili<br />

che erano stati mobilitati per il tempo di guerra ed erano ansiosi di far ritorno alla vita<br />

civi<strong>le</strong>; i colonnelli e i generali non avevano una condizione civi<strong>le</strong> a cui tornare, e non<br />

vo<strong>le</strong>vano venir messi <strong>in</strong> congedo. Il 4 marzo alla Camera un deputato richiamò<br />

l'attenzione <strong>del</strong> m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Guerra su questa situazione:<br />

«L'on. Caviglia (...) potrebbe forse fare i nomi di quei capitani addetti al Comando<br />

Supremo che non hanno mai combattuto un giorno, che non hanno mai comandato<br />

un'unità, che non hanno visto se non col b<strong>in</strong>ocolo <strong>le</strong> fiamme di una battaglia, e che<br />

oggi sono generali! (...) Se si dicesse al Parlamento o al paese di aumentare i Corpi di<br />

armata da 12 a 15 o a 18, Parlamento e paese si ribel<strong>le</strong>rebbero. Ed allora si<br />

abbandona la via maestra e si cercano quel<strong>le</strong> oblique. (...) Per esempio, prima <strong>del</strong>la<br />

guerra il capo di stato maggiore presso il corpo di armata era un colonnello: oggi è un<br />

genera e brigadiere, e il capo <strong>del</strong>lo stato maggiore <strong>del</strong>la divisione, che era un tenente<br />

colonnello, oggi <strong>in</strong> tutte <strong>le</strong> divisioni territoriali d'Italia è un colonnello, e così via <strong>in</strong><br />

tutti i gradi. (...) Si va ventilando che ogni brigata, oltre i due reggimenti che<br />

porterebbero ciascuno due colonnelli e il brigadiere, dovrebbe avere nei quadri un<br />

terzo reggimento, di guisa che si farebbe il posto ad atri due colonnelli e ad un altro<br />

brigadiere» (15).<br />

Il m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Guerra, quello stesso genera<strong>le</strong> Caviglia che nell'apri<strong>le</strong> doveva<br />

condurre la 'esauriente <strong>in</strong>chiesta' per l'<strong>in</strong>cendio <strong>del</strong>l'"Avanti!" a Milano, non negò<br />

nessuno di questi fatti, ma si limitò a dire che anche lui 'seguiva con molta attenzione<br />

tutti questi prob<strong>le</strong>mi.' Le pensioni agli <strong>in</strong>validi e al<strong>le</strong> famiglie dei caduti, e <strong>le</strong> visite<br />

mediche a coloro che accusavano <strong>in</strong>fermità, venivano concesse solo dopo ritardi<br />

esasperanti. Questo <strong>in</strong> parte era dovuto allo stato di disord<strong>in</strong>e <strong>in</strong> cui si trovavano <strong>le</strong><br />

carte personali, ma per lo più la ragione era che gli addetti ai comandi tiravano <strong>le</strong><br />

cose il più a lungo possibi<strong>le</strong> per evitare di essere smobilitati. Un funzionario addetto<br />

al<strong>le</strong> pensioni che <strong>in</strong> un giorno sbrigò più di dodici pratiche venne considerato dai suoi<br />

col<strong>le</strong>ghi un crumiro, e la loro ostilità fu ta<strong>le</strong> che gli resero la vita impossibi<strong>le</strong>. Eppure,<br />

lavorando sul serio, un solo funzionario avrebbe potuto sbrigare almeno qu<strong>in</strong>dici<br />

pratiche al giorno. I reduci e <strong>le</strong> famiglie dei caduti si sentivano defraudati dei loro<br />

diritti, da un 'governo' che dava prova di cattiva volontà e da una 'b<strong>org</strong>hesia'<br />

malvagia.<br />

Per molti generali e colonnelli, il modo più sicuro per rendersi <strong>in</strong>dispensabili era una<br />

nuova guerra. Nel 1919 il comando supremo <strong>del</strong>l'esercito e <strong>del</strong>la mar<strong>in</strong>a aveva allo<br />

studio piani per non meno di altre quattro guerre: una guerra <strong>in</strong> Ge<strong>org</strong>ia contro i<br />

bolscevichi russi; una guerra <strong>in</strong> Asia M<strong>in</strong>ore contro i turchi; una guerra <strong>in</strong> Albania<br />

contro gli albanesi, la Grecia e la Yugoslavia; e una guerra <strong>in</strong> Dalmazia e <strong>in</strong> Slovenia<br />

contro la Yugoslavia.


Nel giugno <strong>del</strong> 1919 com<strong>in</strong>ciarono a circolare voci di un complotto per un colpo di<br />

stato militare; si sarebbe dovuto sciogliere la Camera dei deputati, e arrestare 'i<br />

responsabili dei disastri <strong>del</strong> paese,' dichiarare il<strong>le</strong>gali <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni operaie e<br />

<strong>in</strong>iziare una guerra contro la Yugoslavia. Il Duca d'Aosta (cug<strong>in</strong>o <strong>del</strong> Re), il genera<strong>le</strong><br />

Giard<strong>in</strong>o, D'Annunzio, Federzoni e Mussol<strong>in</strong>i avrebbero fatto parte <strong>del</strong> complotto; gli<br />

'arditi' e gli ufficiali avrebbero costituito <strong>le</strong> forze di combattimento. Giard<strong>in</strong>o,<br />

Federzoni, D'Annunzio e Mussol<strong>in</strong>i smentirono quella 'stupida chiacchiera,' quella<br />

'favola idiota'; ma, <strong>in</strong>tervistato dal "Corriere <strong>del</strong>la Sera", Giard<strong>in</strong>o ammise che <strong>in</strong><br />

conversazioni private al Senato coi suoi col<strong>le</strong>ghi, egli aveva sostenuto la necessità di<br />

'sentire libera e genu<strong>in</strong>a la voce <strong>del</strong> popolo,' per 'prevenire qualunque moto<br />

<strong>in</strong>consulto,' e dare 'a questo popolo affidamenti precisi che avrà facoltà e modo di<br />

esprimere il suo vo<strong>le</strong>re mediante la nom<strong>in</strong>a <strong>le</strong>ga<strong>le</strong> <strong>del</strong>la sua rappresentanza politica.'<br />

'E' chiaro? E non ho altro da dire' (16). Non era chiaro affatto, dato che non aveva<br />

spiegato se tutte queste misure dovevano venir prese da un gab<strong>in</strong>etto di norma<strong>le</strong><br />

nom<strong>in</strong>a regia secondo <strong>le</strong> rego<strong>le</strong> costituzionali, o da un gab<strong>in</strong>etto creato da quel colpo<br />

di stato militare, di cui era stato fatto il nome di Giard<strong>in</strong>o come di uno dei capi. Il suo<br />

si<strong>le</strong>nzio su questo punto <strong>in</strong>vece di allontanare il sospetto lo confermò. D'Annunzio<br />

annunciava di non <strong>in</strong>tessere complotti, ma 'nel nome <strong>del</strong> popolo vero' era pronto ad<br />

osare qualsiasi impresa e 'con la sola forza <strong>del</strong> popolo vero, l'Italia avrà la sua<br />

qu<strong>in</strong>dicesima vittoria' (17); nella guerra italo-austriaca aveva contato quattordici<br />

vittorie. Dove e contro chi doveva esser v<strong>in</strong>ta la qu<strong>in</strong>dicesima vittoria? A Roma e<br />

contro il Parlamento, o fuori d'Italia e contro la Yugoslavia? Chiunque si sol<strong>le</strong>vi contro<br />

un governo <strong>le</strong>gittimo parla sempre nel nome <strong>del</strong> 'popolo vero.' Mussol<strong>in</strong>i fece la<br />

seguente dichiarazione: 'Accadrà quello che deve accadere' (18).<br />

Il conservatore "Corriere <strong>del</strong>la Sera" non poteva accusare <strong>in</strong> modo esplicito un<br />

pr<strong>in</strong>cipe <strong>del</strong>la casa rea<strong>le</strong> e un ufficia<strong>le</strong> di un alto grado <strong>del</strong>l'esercito; qu<strong>in</strong>di sostenne<br />

che <strong>le</strong> voci di una congiura militare erano <strong>in</strong>fondate; ma si dimostrava lieto 'che un<br />

tempora<strong>le</strong> di ridicolo sommerga ed affoghi queste panzane'; 'dip<strong>in</strong>gere il diavolo sul<br />

muro serve talvolta a qualche cosa'; poi si prendeva la pena di spiegare perché il<br />

paese avrebbe reagito con 'lo sdegno e la rivolta' contro qualsiasi tentativo di un<br />

colpo di stato militare.<br />

«La vel<strong>le</strong>ità di crear fatti compiuti e di ricom<strong>in</strong>ciare <strong>in</strong> un modo o nell'altro la guerra, è<br />

stata troppe volte espressa nei comizi e nei giornali. (...) Da un lato è natura<strong>le</strong> che,<br />

essendo mobilitato senza la guerra un grande esercito glorioso, vi sia qualcuno che, <strong>in</strong><br />

accademiche conversazioni, pensi di dare una funzione (<strong>in</strong>terna o esterna) a<br />

quest'<strong>org</strong>ano p<strong>le</strong>torico. Dall'altro lato è natura<strong>le</strong> che <strong>le</strong> popolazioni soffrano di una<br />

situazione anorma<strong>le</strong> e precaria (...). Né possono non soffrire <strong>del</strong>l'immenso gravame di<br />

cui <strong>le</strong> carica il mantenimento di uno stato di guerra senza guerra. (...) E non v'è che<br />

un solo programma di cura che non sia ciarlatanesco: la pace, la smobilitazione,<br />

l'apertura <strong>del</strong><strong>le</strong> frontiere, la ripresa degli scambi, la restaurazione <strong>del</strong>la fiducia e <strong>del</strong><br />

lavoro. E' proprio il programma diametralmente opposto a quello che viene attribuito<br />

al fantastico complotto militarista, dittatoria<strong>le</strong> e perpetratore <strong>del</strong>la guerra» (19).<br />

Le attività politiche degli 'arditi' devono esser messe <strong>in</strong> relazione al<strong>le</strong> manovre<br />

politiche <strong>del</strong>la mano nera militare. L'amm<strong>in</strong>istrazione militare, ritardando di quanto<br />

era possibi<strong>le</strong> la smobilitazione, col pretesto che il prob<strong>le</strong>ma <strong>del</strong>la frontiera italoyugoslava<br />

era ancora da risolvere, mandava <strong>in</strong> licenza migliaia di 'arditi,' i quali<br />

partecipavano <strong>in</strong> divisa al<strong>le</strong> dimostrazioni politiche, col pugna<strong>le</strong> sul fianco, <strong>le</strong>vando il<br />

loro grido di guerra, 'A noi!,' senza che <strong>le</strong> autorità militari facessero niente per<br />

scoraggiare queste azioni il<strong>le</strong>gali. Gli 'arditi' non si limitavano al<strong>le</strong> dimostrazioni<br />

politiche; ogni giorno l'"Avanti!" pubblicava <strong>in</strong>tere colonne di reati commessi <strong>in</strong> tutta


Italia dagli 'arditi.' Il giorna<strong>le</strong> nazionalista <strong>le</strong>vava energiche proteste, sostenendo che<br />

l'"Avanti!" si serviva di s<strong>in</strong>goli atti di vio<strong>le</strong>nza come pretesto per diffamare gli 'arditi.'<br />

«L'"Avanti!" tenta di diffamare negli 'arditi,' attraverso questo o quel caso <strong>in</strong>dividua<strong>le</strong><br />

di <strong>del</strong><strong>in</strong>quenza, lo spirito <strong>del</strong>la vittoria che negli 'arditi' assume una forma più evidente<br />

e più plastica. (...) Ma (...) gli 'arditi,' convenientemente epurati d'ogni tristo avanzo<br />

di bassofondo cittad<strong>in</strong>o (...) e convenientemente <strong>org</strong>anizzati, rimarranno a perpetuare<br />

nell'Italia di domani proprio quello spirito di educazione naziona<strong>le</strong> e militare che ci è<br />

valso, <strong>in</strong> guerra, il sovrumano impeto vittorioso <strong>del</strong>l'assalto e, <strong>in</strong> pace, l'attiva e<br />

fattiva resistenza al<strong>le</strong> mene crim<strong>in</strong>ose dei nemici <strong>del</strong>la patria. (...) L'Italia non<br />

permetterà che i suoi figli migliori siano <strong>in</strong>iquamente offesi» (20).<br />

Il modo migliore per porre f<strong>in</strong>e alla campagna <strong>del</strong>l'"Avanti!" era quello di sciogliere i<br />

battaglioni di 'arditi,' ora che la guerra era f<strong>in</strong>ita, vietare l'uso <strong>del</strong>la divisa militare a<br />

tutti coloro che non erano più sotto <strong>le</strong> armi, e lasciare che se la sbrigasse la polizia<br />

con tutti i <strong>del</strong><strong>in</strong>quenti comuni. Invece, il 17 giugno, i giornali pubblicarono la notizia<br />

che un genera<strong>le</strong> era stato nom<strong>in</strong>ato ispettore degli 'arditi,' col compito di ri<strong>org</strong>anizzarli<br />

e discipl<strong>in</strong>arli. L'"Idea Naziona<strong>le</strong>" era stata ben <strong>in</strong>formata: nel maggio aveva<br />

affermato che gli 'arditi' non sarebbero stati sciolti.<br />

Le autorità militari italiane avevano davanti agli occhi quei 'Frei Korps,' che <strong>in</strong><br />

Germania, a partire dal dicembre 1918, conducevano la guerra civi<strong>le</strong> sotto la guida di<br />

ufficiali <strong>del</strong>l'ex-esercito imperia<strong>le</strong>. In Italia, gli 'arditi' dovevano essere il<br />

corrispondente dei 'Frei Korps' tedeschi.<br />

OSSERVAZIONI AL CAPITOLO UNDICESIMO.<br />

1.<br />

Nel<strong>le</strong> descrizioni dei disord<strong>in</strong>i <strong>del</strong> dopoguerra <strong>in</strong> Italia non viene mai detto che la<br />

situazione era ugualmente grave <strong>in</strong> Inghilterra, <strong>in</strong> Francia, negli Stati Uniti d'America,<br />

nel Belgio, <strong>in</strong> Svizzera, e si è perciò portati a credere che, negli anni <strong>del</strong> dopoguerra, il<br />

solo popolo italiano abbia attraversato una crisi di follia a causa <strong>del</strong>la propria<br />

'arretratezza' o <strong>del</strong>la sua 'natura emotiva,' tanto diversa da quella di popoli più<br />

civilizzati e più equilibrati.<br />

Sta di fatto che ai primi di giugno, i poliziotti di Londra, Liverpool, Birm<strong>in</strong>gham,<br />

Manchester e di altre importanti città, m<strong>in</strong>acciarono uno sciopero per ottenere non<br />

soltanto un aumento di stipendio, ma anche il diritto di formare un s<strong>in</strong>dacato e di<br />

aderire a scioperi di solidarietà con tutti gli altri s<strong>in</strong>dacati. A Londra 20000 poliziotti<br />

marciarono su Hyde Park, e alla dimostrazione si unirono 100000 persone; gli oratori<br />

attaccarono il m<strong>in</strong>istero e dichiararono che <strong>le</strong> votazioni ufficiali sulla questione <strong>del</strong>lo<br />

sciopero avevano dato come risultato 44539 voti a favore e 4324 contrari, ma lo<br />

sciopero fu r<strong>in</strong>viato a dopo la firma <strong>del</strong>la pace. A Plymouth l'8 giugno, 1500 soldati si<br />

rifiutarono di salire sul treno che doveva portarli ad un campo di isolamento, e <strong>le</strong><br />

autorità dovettero sottomettersi. A Liverpool, Cardiff e <strong>in</strong> altre città il 12 e 13 giugno<br />

si ebbero vio<strong>le</strong>nti combattimenti tra i lavoratori negri e la popolazione; vi furono morti<br />

e feriti; alcune case vennero prese a sassate, <strong>in</strong>cendiate e saccheggiate. Il 16 giugno,<br />

alcuni soldati rivoltosi devastarono un campo militare, saccheggiarono la mensa<br />

ufficiali e i negozi, portaron via <strong>le</strong> casseforti e altri valori, tentaron di dar fuoco a una<br />

banca e a due altri edifici, e distrussero un teatro <strong>del</strong>la capacità di 2000 posti. In<br />

luglio, <strong>in</strong> seguito a uno sciopero nello Yorkshire, 200000 m<strong>in</strong>atori si astennero dal<br />

lavoro, e vi furono sei m<strong>in</strong>iere <strong>in</strong>ondate e diciassette che corsero il rischio di un<br />

disastro analogo. In agosto, i poliziotti di Londra e di Liverpool tentarono uno<br />

sciopero, che però fallì. A Liverpool, circa 150 negozi furono saccheggiati, i soldati che


prestavano servizio d'ord<strong>in</strong>e furono presi a sassate, e si ebbero molti feriti; a Londra<br />

scioperarono gli addetti alla ferrovia sotterranea e gli spazz<strong>in</strong>i; molte città corsero il<br />

rischio di rimanere senza pane a causa di uno sciopero dei fornai.<br />

In Svizzera, a Basi<strong>le</strong>a e a Zurigo, <strong>in</strong> agosto vi fu uno sciopero genera<strong>le</strong> contro l'alto<br />

costo <strong>del</strong>la vita, al qua<strong>le</strong> parteciparono anche i dipendenti pubblici; a Basi<strong>le</strong>a durante i<br />

disord<strong>in</strong>i vi furono c<strong>in</strong>que morti.<br />

In Francia, ai primi di giugno, erano <strong>in</strong> sciopero 500000 lavoratori, di cui 200000<br />

metallurgici <strong>del</strong>la regione di Parigi. Il 2 giugno scioperarono gli addetti alla ferrovia<br />

sotterranea, gli autisti di taxi e i conducenti di autobus. Il 17 giugno, a Brest, 200<br />

mar<strong>in</strong>ai, sventolando una bandiera rossa, tentarono di irrompere nella prigione <strong>del</strong>la<br />

mar<strong>in</strong>a per liberare i mar<strong>in</strong>ai che vi si trovavano.<br />

Negli Stati Uniti gli scioperi si svolsero su scala gigantesca. In giugno scioperarono<br />

autisti, sorveglianti, facch<strong>in</strong>i, impiegati postali, operatori te<strong>le</strong>grafici e te<strong>le</strong>fonici,<br />

e<strong>le</strong>ttricisti. Furono esplose <strong>del</strong><strong>le</strong> bombe a Wash<strong>in</strong>gton, Boston e New York. In luglio,<br />

uno sciopero dei lavoratori <strong>del</strong> porto tenne fermi 500 piroscafi a New York, e 700 negli<br />

altri porti. A Chicago scioperarono 30000 lavoratori edili, Boston fu paralizzata da uno<br />

sciopero <strong>del</strong>la ferrovia sotterranea e dei tram. In agosto venne bloccato tutto il<br />

traffico ferroviario tra New York e Boston. In Italia, uno sciopero <strong>del</strong><strong>le</strong> forze di polizia<br />

non fu mai né m<strong>in</strong>acciato né tentato. Ai primi di agosto, il presidente <strong>del</strong> Consiglio,<br />

Nitti, ricevette 'una notifica a mano di usciere, <strong>in</strong> cui era contenuto l'<strong>in</strong>vito da parte<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> guardie carcerarie di provvedere ai miglioramenti richiesti dalla classe' (1); ciò<br />

fu considerato uno scandalo <strong>in</strong>tol<strong>le</strong>rabi<strong>le</strong>.<br />

La differenza fondamenta<strong>le</strong> tra i disord<strong>in</strong>i che ebbero luogo <strong>in</strong> Italia e quelli degli altri<br />

paesi nasce dal fatto che negli altri paesi, e <strong>in</strong> Inghilterra specialmente, la stampa<br />

attenuava <strong>le</strong> cose o non ne parlava affatto, mentre la stampa italiana dedicava a<br />

questi fatti uno spazio enorme, creando con ciò maggiore eccitazione e maggiori<br />

preoccupazioni. In politica quello che conta specialmente non è quello che realmente<br />

accade, ma quello che la gente crede che accada. La stampa italiana fu sempre più<br />

chiassosa <strong>del</strong>la stampa degli altri paesi, dando <strong>in</strong> tal modo l'impressione di una<br />

eccitazione maggiore, e creando veramente uno stato di eccitazione, anche quando<br />

ciò si sarebbe potuto evitare facendo uso <strong>del</strong><strong>le</strong> notizie con maggiore cautela.<br />

2.<br />

Dal libro <strong>del</strong> genera<strong>le</strong> Giard<strong>in</strong>o, "Picco<strong>le</strong> faci nella bufera" (2), apprende che il<br />

complotto di cui si parlò nel giugno <strong>del</strong> 1919, e <strong>le</strong> altre 'famose congiure,' furono<br />

'<strong>in</strong>ventate' per 'diffamare capi militari, non esclusi pr<strong>in</strong>cipi <strong>del</strong> sangue,' e che egli fu<br />

'sottoposto <strong>in</strong> varii periodi a sorveglianza e a ped<strong>in</strong>amento' da parte <strong>del</strong>la polizia. Ma<br />

Giard<strong>in</strong>o nel suo libro non si diffonde 'su queste porcherie,' e afferma soltanto che si<br />

sente 'di tutto questo sommamente onorato,' e che 'cambiato l'<strong>in</strong>dirizzo politico,<br />

risultò <strong>in</strong> <strong>in</strong>chieste ufficiali (...) come si <strong>in</strong>ventassero e qua<strong>le</strong> sudicio arnese di polizia<br />

ne fosse il pr<strong>in</strong>cipa<strong>le</strong> <strong>in</strong>ventore.' Apprendiamo <strong>in</strong> ogni modo che '<strong>in</strong> varii periodi' venne<br />

sorvegliato. Se non ci fossero state gravi ragioni di sospetto contro un uomo che era<br />

un capo <strong>del</strong>l'esercito, già m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Guerra, e senatore, perché mai la polizia<br />

avrebbe perso il suo tempo con lui? E se questi sospetti erano fondati, era natura<strong>le</strong><br />

che <strong>le</strong> <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i venissero affidate agli agenti di polizia. Qu<strong>in</strong>di è diffici<strong>le</strong> comprendere il<br />

disprezzo di Giard<strong>in</strong>o verso uom<strong>in</strong>i che facevano soltanto il loro dovere, e senza<br />

l'opera dei quali nessun governo può andare avanti.<br />

I 'pr<strong>in</strong>cipi <strong>del</strong> sangue,' di cui parla Giard<strong>in</strong>o, erano 'un pr<strong>in</strong>cipe <strong>del</strong> sangue,' il Duca<br />

d'Aosta, cug<strong>in</strong>o <strong>del</strong> Re. Vedremo come veramente egli abbia avuto una parte nella<br />

congiura militare che doveva condurre al colpo di stato <strong>del</strong>l'ottobre 1922.


CAPITOLO DODICESIMO.<br />

DA ORLANDO A NITTI.<br />

Il fallimento di Orlando alla Conferenza <strong>del</strong>la Pace suggellò la condanna <strong>del</strong> suo<br />

gab<strong>in</strong>etto. Coloro che erano stati contrari alla guerra avversavano Orlando, perché<br />

apparteneva al partito di guerra; coloro che sostenevano una politica più <strong>in</strong>telligente<br />

alla Conferenza <strong>del</strong>la Pace lo avversavano per la sua <strong>in</strong>ettitud<strong>in</strong>e; coloro che da lui si<br />

aspettavano che da Parigi riportasse <strong>in</strong> tasca la Dalmazia più Fiume lo avversavano,<br />

dato che Orlando non aveva osato annettere all'Italia Fiume e la Dalmazia <strong>in</strong> barba a<br />

Wilson, C<strong>le</strong>menceau e Lloyd Ge<strong>org</strong>e. Non si domandavano che cosa sarebbe accaduto<br />

<strong>del</strong>l'Italia se l'Inghilterra avesse cessato <strong>le</strong> spedizioni di carbone e gli Stati Uniti quel<strong>le</strong><br />

di grano; per essi la Politica non era l'arte <strong>del</strong> possibi<strong>le</strong>, ma il sogno <strong>del</strong> desiderabi<strong>le</strong>.<br />

Di ritorno alla Camera per esporre gli avvenimenti recenti, Orlando ricevette soltanto<br />

78 voti di fiducia; gli votarono contro 259 deputati, mentre 171 non parteciparono<br />

alla seduta (1).<br />

Il successore di Orlando alla presidenza <strong>del</strong> Consiglio fu Francesco Saverio Nitti.<br />

Nessun presidente <strong>del</strong> Consiglio <strong>in</strong> Italia si era mai trovato di fronte una eredità più<br />

diffici<strong>le</strong>.<br />

Ai disord<strong>in</strong>i avvenuti s<strong>in</strong>ora <strong>in</strong> Italia a causa dei rivolgimenti economici e morali <strong>del</strong><br />

dopoguerra, comuni a tutto il mondo, si veniva ad aggiungere adesso l'isterismo<br />

prodotto dal fallimento alla Conferenza <strong>del</strong>la Pace. Da ogni parte si <strong>le</strong>vavano grida<br />

contro la Conferenza <strong>del</strong>la Pace e contro il Trattato di Versail<strong>le</strong>s. Massimalisti,<br />

comunisti e anarchici strepitavano, perché gli strepiti avvic<strong>in</strong>avano il 'grande giorno';<br />

socialisti di destra, che durante la guerra chiedevano 'una pace qualunque,' ora che la<br />

pace c'era non erano contenti di quel genere di pace; quei democratici che avevano<br />

voluto la guerra nella speranza di ottenere una giusta pace, strepitavano che quella<br />

non era la giusta pace da essi <strong>in</strong>vocata; i nazionalisti strepitavano perché erano<br />

rimasti a mani vuote; coloro che si erano opposti alla guerra strepitavano, perché così<br />

potevano anche strepitare contro coloro che la guerra avevano voluto.<br />

I più rumorosi erano i nazionalisti, avevano sostenuto s<strong>in</strong>o <strong>in</strong> fondo Orlando e<br />

Sonn<strong>in</strong>o, e ora che <strong>in</strong> quel disastro tota<strong>le</strong> i loro uom<strong>in</strong>i di fiducia erano naufragati, non<br />

erano abbastanza onesti da ammettere i loro errori. Nessun uomo politico che si<br />

rispetti lo fa mai. Cercavano un capro espiatorio su cui scaricare <strong>le</strong> loro rampogne per<br />

la 'umiliazione' sofferta dall'Italia, e trovarlo non fu diffici<strong>le</strong>. Non Orlando e Sonn<strong>in</strong>o,<br />

né tanto meno coloro che li avevano appoggiati, erano stati i responsabili, ma <strong>in</strong>vece<br />

quegli italiani che per mancanza di discipl<strong>in</strong>a e di patriottismo non avevano<br />

appoggiato Orlando e Sonn<strong>in</strong>o contro 'lo straniero.' Se tutti gli italiani fossero rimasti<br />

compatti dietro i loro rappresentanti durante <strong>le</strong> trattative di pace, Wilson e gli al<strong>le</strong>ati<br />

non avrebbero mai osato negare all'Italia il compimento <strong>del</strong><strong>le</strong> sue 'aspirazioni<br />

nazionali.' I 'traditori' <strong>del</strong>la 'democrazia parlamentare' avevano 'pugnalato l'Italia al<strong>le</strong><br />

spal<strong>le</strong>.'<br />

Mussol<strong>in</strong>i, come suo solito, fu il più vio<strong>le</strong>nto di tutti. Accusò di vigliaccheria gli uom<strong>in</strong>i<br />

<strong>del</strong> governo e <strong>in</strong>citò il popolo italiano a schiacciare tutti i 'traditori' - cattolici,<br />

democratici e 'bolscevichi' soprattutto - e offrì il proprio aiuto a Russia, Germania,<br />

Ungheria e Bulgaria, che chiamava <strong>le</strong> 'nazioni pro<strong>le</strong>tarie,' <strong>in</strong> una nuova 'guerra<br />

rivoluzionaria' contro <strong>le</strong> 'nazioni capitaliste.' L'Italia non avrebbe mai trovato pietà<br />

presso americani, <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si e francesi, 'lupi, volpi e sciacalli,' f<strong>in</strong>tanto che fosse rimasta<br />

di fronte a loro con aria umi<strong>le</strong> e servi<strong>le</strong>; per disarmare i suoi terribili al<strong>le</strong>ati avrebbe<br />

dovuto mostrar loro i denti, e non piagnucolare quando questi la tenevano <strong>in</strong> poco<br />

conto (2).


Tutta questa <strong>le</strong>vata di scudi per la 'vittoria mutilata' colpì <strong>in</strong> primo luogo i giovani e i<br />

ceti medi. L'idea che l'Italia, dopo tante sofferenze, fosse vittima di una <strong>in</strong>giustizia e<br />

di una <strong>in</strong>gratitud<strong>in</strong>e crim<strong>in</strong>a<strong>le</strong>, creò <strong>in</strong> loro il desiderio di un'azione vio<strong>le</strong>nta contro<br />

coloro che <strong>in</strong> Italia e fuori d'Italia erano i responsabili di ta<strong>le</strong> disastro. Arrivarono a<br />

conv<strong>in</strong>cersi che i vecchi uom<strong>in</strong>i politici avrebbero dovuto essere estromessi dal potere<br />

anche a costo di una rivoluzione, e che l'affronto patito dal paese alla Conferenza<br />

<strong>del</strong>la Pace avrebbe dovuto essere vendicato anche a costo di una nuova guerra.<br />

Contro l'accusa di essere degli antirivoluzionari, avrebbero protestato <strong>in</strong>dignati; non<br />

avrebbero mai dato il loro appoggio ad un movimento politico al servizio degli<br />

<strong>in</strong>teressi e degli ideali conservatori. Mussol<strong>in</strong>i soddisfece la loro confusa agitazione<br />

presentandosi a loro come il solo rivoluzionario autentico che esistesse allora <strong>in</strong> Italia.<br />

Uno scrittore fascista ha osservato che tra i seguaci di Mussol<strong>in</strong>i si ritrova 'la mentalità<br />

repubblicano-anarchica, la mentalità s<strong>in</strong>dacal-rivoluzionaria, la mentalità goliardica e<br />

quella futuristica, potenziate da tutte <strong>le</strong> d<strong>in</strong>amiche <strong>del</strong>l'arditismo (...); fortunato<br />

<strong>in</strong>contro di valori e forze f<strong>in</strong>o allora disperse, solidarietà imprevista di cui la guerra era<br />

stata la prima scuola' (3). In altre paro<strong>le</strong>, tra i seguaci di Mussol<strong>in</strong>i si potevano<br />

ritrovare tutte <strong>le</strong> mentalità, tranne quella conservatrice. Il movimento fascista non fu<br />

un movimento di difesa contro i frutti rivoluzionari <strong>del</strong>la guerra, ma fu esso stesso un<br />

frutto rivoluzionario; senza dubbio Mussol<strong>in</strong>i combatté contro i socialisti e i comunisti,<br />

ma anche gli anarchici combatterono contro di loro, e pers<strong>in</strong>o i comunisti furono<br />

cont<strong>in</strong>uamente <strong>in</strong> conflitto con i socialisti, per quanto s<strong>in</strong>o alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1920 siano<br />

stati nello stesso partito. Queste non erano lotte tra conservatori e rivoluzionari, ma<br />

tra uom<strong>in</strong>i che sostenevano di essere uno più rivoluzionario <strong>del</strong>l'altro.<br />

Il solo gruppo politico che <strong>in</strong> quegli anni ebbe il coraggio di dichiararsi comp<strong>le</strong>tamente<br />

conservatore e antirivoluzionario, sostenendo apertamente la repressione, fu il partito<br />

nazionalista. Gli <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali <strong>del</strong><strong>le</strong> classi abbienti e gli ufficiali <strong>del</strong>l'esercito regolare che<br />

si occupavan di politica, non aderirono al movimento fascista ma al movimento<br />

nazionalista; allora nessuno avrebbe sospettato che un giorno Mussol<strong>in</strong>i sarebbe<br />

diventato il capo di un partito <strong>le</strong> cui idee erano prese quasi tutte dal nazionalismo.<br />

Che cosa ci poteva essere <strong>in</strong> comune tra la grave e pedante dottr<strong>in</strong>a autoritaria dei<br />

nazionalisti e gli sbrigliati clamori di Mussol<strong>in</strong>i? A quel tempo l'abisso che si apriva tra<br />

i nazionalisti e i fascisti sembrava <strong>in</strong>colmabi<strong>le</strong>.<br />

Nazionalisti, fascisti e futuristi attaccarono Nitti con estrema vio<strong>le</strong>nza. Era stato<br />

m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong> Tesoro con Orlando dal novembre 1917 (dopo la sconfitta di Caporetto)<br />

s<strong>in</strong>o alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la guerra, e f<strong>in</strong>tanto che era stato nel gab<strong>in</strong>etto Orlando i nazionalisti<br />

lo avevano visto assolutamente di buon occhio (4). Ma nel gennaio <strong>del</strong> 1919, Nitti si<br />

era dimesso perché Orlando e Sonn<strong>in</strong>o avevano resp<strong>in</strong>to il suo piano per una rapida<br />

smobilitazione; da quel momento egli fu uno dei traditori che avevan pugnalato l'Italia<br />

al<strong>le</strong> spal<strong>le</strong> (5). Quando la sconfitta di Orlando com<strong>in</strong>ciò ad apparire possibi<strong>le</strong> e il nome<br />

di Nitti a esser dato come il probabi<strong>le</strong> successore, i nazionalisti mobilitarono contro di<br />

lui D'Annunzio. Nei giornali <strong>del</strong> 26 maggio, D'Annunzio denunciava una 'congiura'<br />

capeggiata da Giolitti e da Nitti, e <strong>in</strong>vocava contro di loro 'un castigo diritto come il<br />

getto <strong>del</strong> lanciafiamme maneggiato dall'Ardito' (6). Secondo D'Annunzio, Nitti 'di là<br />

dall'Atlantico' era stato già 'covato dall'alta banca.' Avevan ben altro da fare che<br />

covare Nitti; ma chiunque accusi un uomo politico di essere al servizio dei banchieri,<br />

ha buone probabilità di essere creduto.<br />

Non appena alla Camera Orlando venne sconfitto, a Roma, Tor<strong>in</strong>o e Milano vennero<br />

<strong>org</strong>anizzate dimostrazioni, al grido di 'Abbasso Giolitti, abbasso Nitti; viva l'Italia, viva<br />

l'esercito.' Nitti si dette premura di annunciare che non <strong>in</strong>tendeva 'consentire alla<br />

supremazia di Giolitti,' ricordando che aveva servito il paese come m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong> Tesoro<br />

dal<strong>le</strong> rov<strong>in</strong>e di Caporetto s<strong>in</strong>o alla f<strong>in</strong>e vittoriosa <strong>del</strong>la guerra, e che uno dei suoi figli<br />

abi<strong>le</strong> al servizio militare era stato <strong>in</strong> guerra volontario. Ma erano paro<strong>le</strong> al vento.


Al momento <strong>in</strong> cui Nitti andò al governo, era pronta per la partenza una spedizione<br />

militare <strong>in</strong> Ge<strong>org</strong>ia. Wilson, Lloyd Ge<strong>org</strong>e e C<strong>le</strong>menceau, se da una parte rendevano<br />

vani tutti gli sforzi di Orlando e di Sonn<strong>in</strong>o, li avevano però <strong>in</strong>coraggiati a correre <strong>in</strong><br />

aiuto di quei generali zaristi che stavano attaccando la Russia sovietica. Orlando e<br />

Sonn<strong>in</strong>o eran cascati nella trappola, con la speranza di trovare <strong>in</strong> Ge<strong>org</strong>ia quegli<br />

acquisti territoriali che erano mancati <strong>in</strong> Africa e <strong>in</strong> Asia M<strong>in</strong>ore, e i capi militari italiani<br />

erano ansiosi di 'servire la patria' <strong>in</strong> Ge<strong>org</strong>ia. Nitti pose il veto ai loro piani, e ord<strong>in</strong>ò<br />

che la smobilitazione venisse compiuta il più rapidamente possibi<strong>le</strong>. Se non si tiene<br />

conto <strong>del</strong>l'odio dei capi militari per Nitti, non si riesce a capire la <strong>in</strong>cessante asprezza<br />

con cui quest'uomo venne attaccato.<br />

Il 22 giugno, cioè proprio il giorno <strong>in</strong> cui Nitti presentava il suo nuovo m<strong>in</strong>istero,<br />

l'associazione combattenti tenne a Roma il suo primo congresso naziona<strong>le</strong>. Vi erano<br />

rappresentati 600000 iscritti. Un nazionalista, Giunta, <strong>in</strong>vocò 'un grande movimento di<br />

opposizione,' contro la politica 'che l'Italia stava seguendo allora'; fu fatto tacere. Il<br />

giorno dopo, l''ardito' Ferruccio Vecchi fu sol<strong>le</strong>vato di peso e buttato fuori. Giunta<br />

cercò ancora una volta di portare il congresso a fare una dimostrazione contro il<br />

Parlamento, e <strong>in</strong>vocò una assemb<strong>le</strong>a costituente, 'il solo modo per dare al popolo il<br />

diritto di governarsi.' L'assemb<strong>le</strong>a costituente era stata, dal 1831 al 1870, uno dei<br />

gridi di guerra di Mazz<strong>in</strong>i nel Ris<strong>org</strong>imento: il popolo avrebbe dovuto proclamare una<br />

repubblica <strong>in</strong> tutta Italia, e una assemb<strong>le</strong>a costituente e<strong>le</strong>tta col suffragio universa<strong>le</strong><br />

avrebbe tracciato la costituzione <strong>del</strong>la nuova repubblica. I repubblicani avevano<br />

sempre chiesto l'assemb<strong>le</strong>a costituente, che avrebbe spazzato <strong>le</strong> istituzioni<br />

monarchiche e <strong>in</strong>staurato una repubblica. Nel 1919 i repubblicani cont<strong>in</strong>uavano a<br />

battere sul loro vecchio chiodo. Giunta, appropriandosi adesso <strong>del</strong> loro grido di<br />

guerra, esprimeva lo scontento dei suoi amici verso il Re, che aveva chiamato Nitti<br />

alla presidenza <strong>del</strong> Consiglio. Il congresso dei combattenti non dette ascolto a Giunta.<br />

Qualcuno propose che venissero <strong>in</strong>vitati Mussol<strong>in</strong>i e D'Annunzio, che erano a Roma,<br />

per tenere un discorso. Ta<strong>le</strong> proposta non venne approvata. Era chiaro che i<br />

combattenti non vo<strong>le</strong>vano aver niente a che fare con nazionalisti, fascisti, o 'arditi.'<br />

Non per questo i nazionalisti e i fascisti abbandonarono la lotta. Per la sera <strong>del</strong> 28<br />

giugno <strong>in</strong>dissero a Roma un comizio di protesta contro Nitti. Il m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Guerra<br />

proibì agli ufficiali di <strong>in</strong>tervenire, ma molti ufficiali <strong>in</strong> divisa vi si recarono lo stesso.<br />

Uno dei <strong>le</strong>aders nazionalisti, Corrad<strong>in</strong>i, parlò vio<strong>le</strong>ntemente contro 'la casta politica<br />

parlamentare,' la qua<strong>le</strong> dom<strong>in</strong>ava 'la nazione e tutte <strong>le</strong> sue istituzioni, dal<strong>le</strong> più umili<br />

al<strong>le</strong> più alte, a quel<strong>le</strong> <strong>in</strong>vano altissime' (7). Era un'allusione al Re che aveva affidato il<br />

governo a Nitti. Un altro oratore disse: 'Str<strong>in</strong>giamoci <strong>in</strong> una unità sola <strong>in</strong>torno ad un<br />

uomo che fu il più grande soldato: Gabrie<strong>le</strong> D'Annunzio. (...) Combattenti, siamo<br />

uniti, siamo pronti ad ascoltare la voce di D'Annunzio, <strong>del</strong> nostro condottiero<br />

altissimo, quando egli ci chiamerà per la salvezza d'Italia!' (8) E ancora un altro<br />

oratore: 'Lasciamo stare gli applausi e i fischi. Fatti vogliono essere e non bal<strong>le</strong>' (9). A<br />

questo punto una voce annunciò: 'Il comizio è sospeso! Si riprenderà a piazza<br />

Barber<strong>in</strong>i,' e la folla si dette a gridare: 'A piazza Barber<strong>in</strong>i!' che era dove viveva Nitti.<br />

Al comizio doveva partecipare D'Annunzio, che all'ultimo momento non si fece vedere.<br />

Ma l'"Idea Naziona<strong>le</strong>" <strong>del</strong> 1 luglio pubblicò il testo <strong>del</strong> discorso che avrebbe<br />

pronunciato se non avesse ritenuto più prudente astenersene. In quel discorso<br />

D'Annunzio rimproverava la folla che permetteva che i suoi comizi fossero controllati<br />

dai poliziotti.<br />

«Ma voi che avete fatto <strong>in</strong>tanto, mentre io preparavo <strong>in</strong> si<strong>le</strong>nzio, senza perdere<br />

un'ora, qualcosa di cui avrete notizia, spero: fra non molto? Quali armi voi mi date?<br />

(...) Sono venuto qui (...) per misurare la vostra pazienza, che sembra<br />

<strong>in</strong>commensurabi<strong>le</strong>. (...) Se seguissi il mio ist<strong>in</strong>to, io stasera, con <strong>le</strong> latte di benz<strong>in</strong>a<br />

che avanzarono nella corsa di Buccari, andrei a bruciare il Palazzo Braschi (10), (...)


con una <strong>del</strong><strong>le</strong> mazze ferrate a spunzone (...) andrei a sgonfiare il ciccioso dirimpettaio<br />

<strong>del</strong> Tritone (11), (...) con <strong>le</strong> mie vecchie ali carsiche (...) mol<strong>le</strong>rei su Montecitorio<br />

tutto il carico di bombe che risparmiai a Schoenbrunn. (...) Voi pensate che per ora<br />

sia meglio andare a coricarsi. (...) Tornate a casa, mettete la testa fra due guanciali.<br />

E mandatemi una buona volta al diavolo.»<br />

E' chiaro che il comizio era stato <strong>org</strong>anizzato con l'idea che dovesse f<strong>in</strong>ire con un<br />

attacco contro Nitti a piazza Barber<strong>in</strong>i, e che polizia e carab<strong>in</strong>ieri avrebbero lasciato<br />

passare gli ufficiali <strong>in</strong> divisa, perché la discipl<strong>in</strong>a militare li obbligava al rispetto verso<br />

gli ufficiali come loro superiori.<br />

Tuttavia, polizia e carab<strong>in</strong>ieri ebbero ord<strong>in</strong>e di <strong>in</strong>terpretare <strong>in</strong> modo diverso i loro<br />

doveri militari, e impedirono l'aggressione alla residenza di Nitti, colpendo senza<br />

riguardo sia i civili che gli ufficiali <strong>in</strong> uniforme. Non ci furono né morti né feriti, il che<br />

dimostra che, date <strong>le</strong> circostanze, la polizia agì con cautela, mentre gli ufficiali non<br />

erano sp<strong>in</strong>ti da nessun impulso eroico.<br />

I metodi usati dalla polizia per sciogliere la dimostrazione, pugni, bastonate, e anche<br />

colpi di pistola e di moschetto, non avevano mai sol<strong>le</strong>vato obiezioni da parte dei<br />

nazionalisti, f<strong>in</strong>tanto che erano stati usati contro i 'sovversivi'; questa volta erano<br />

nazionalisti, fascisti e ufficiali <strong>in</strong> divisa che erano stati malmenati. Questo era un<br />

<strong>del</strong>itto imperdonabi<strong>le</strong> di cui Nitti era il responsabi<strong>le</strong>. Egli aveva aggredito, <strong>in</strong>sultato,<br />

vio<strong>le</strong>ntato, e colpito per <strong>le</strong> strade non un certo numero di ufficiali sediziosi, ma 'i<br />

combattenti'; i combattenti non erano coloro che non avevan permesso a D'Annunzio<br />

e a Mussol<strong>in</strong>i di parlare al loro congresso, ma quelli che vo<strong>le</strong>vano aggredire Nitti. Nel<br />

suo numero <strong>del</strong> 30 giugno, l'"Idea Naziona<strong>le</strong>" scrisse:<br />

«Noi parliamo a nome dei combattenti. E diciamo che siamo decisi al<strong>le</strong> estreme<br />

vio<strong>le</strong>nze, ma non tol<strong>le</strong>reremo mai e poi mai che tanta <strong>in</strong>famia sia consumata contro i<br />

combattenti da un tristanzuolo di <strong>orig<strong>in</strong>i</strong> equivoche e di fama screditata che, per<br />

difendere se stesso, scatena la guerra civi<strong>le</strong>. Francesco Saverio Nitti dev'essere<br />

espulso dal corpo <strong>del</strong>la nazione come un cancro maligno che m<strong>in</strong>accia l'estrema<br />

putrefazione.»<br />

Il deputato nazionalista di Roma, Federzoni, presentò una <strong>in</strong>terrogazione contro la<br />

polizia, che con '<strong>in</strong>audita vio<strong>le</strong>nza' aveva osato senza ragione malmenare 'ufficiali <strong>in</strong><br />

divisa, con gravissima offesa <strong>del</strong>la discipl<strong>in</strong>a militare' (12). Non erano gli ufficiali che<br />

avevan violato la discipl<strong>in</strong>a militare partecipando ad una manifestazione il<strong>le</strong>ga<strong>le</strong>, ma<br />

era la polizia che aveva impedito loro di aggredire l'abitazione <strong>del</strong> presidente <strong>del</strong><br />

Consiglio. D'Annunzio proclamò che la sera <strong>del</strong> 28 giugno i caduti <strong>in</strong> guerra erano stati<br />

uccisi una seconda volta: 'Essi furono f<strong>in</strong>iti a colpi di bastone italiano, come quelli che<br />

boccheggiarono sotto <strong>le</strong> atroci mazze austriache' (13). Nel suo numero <strong>del</strong> 2 luglio,<br />

l'"Idea Naziona<strong>le</strong>" pubblicava una <strong>le</strong>ttera, firmata 'tantissimi ufficiali,' <strong>in</strong> cui si<br />

<strong>le</strong>ggeva:<br />

«Il M<strong>in</strong>istero, il Parlamento vogliono fare la guerra civi<strong>le</strong>? E sia. Siamo pronti, siamo<br />

decisi a tutto. (...) Vogliamo solo dei capi che ci guid<strong>in</strong>o, vogliamo un movimento<br />

<strong>org</strong>anizzato. (...) Abbiamo <strong>le</strong> armi, abbiamo l'esercito con noi. Al momento stabilito<br />

tutte <strong>le</strong> truppe ci seguiranno.»<br />

Sempre l'"Idea Naziona<strong>le</strong>", nel suo numero <strong>del</strong> 3 luglio, pubblicava una <strong>le</strong>ttera a firma<br />

'un ufficia<strong>le</strong> combattente,' che diceva:<br />

«Impugnamo <strong>le</strong> rivoltel<strong>le</strong> e difendiamo il nostro onore, la nostra dignità. (...) Se un<br />

ufficia<strong>le</strong> ha il dovere di uccidere un soldato che lo aggredisce, tanto maggiormente


l'avrà di fronte a un carab<strong>in</strong>iere. (...) Se all'onore nostro non viene data<br />

soddisfazione, se i nostri maggiori non la pretendono, abbiamo il diritto a ribellarci a<br />

loro.»<br />

Secondo il regolamento militare queste <strong>le</strong>ttere sediziose, pubblicate senza <strong>le</strong> firme dei<br />

s<strong>in</strong>goli, erano proibite. E' molto probabi<strong>le</strong> che esse fossero preparate dalla redazione<br />

<strong>del</strong> giorna<strong>le</strong>. Ma il figlio di Salandra, che faceva l'avvocato, si assunse il compito di<br />

spiegare <strong>in</strong> una <strong>le</strong>ttera firmata i diritti e i privi<strong>le</strong>gi degli ufficiali <strong>in</strong> divisa; certamente<br />

non era loro permesso di partecipare a dimostrazioni politiche, ma il compito di far<br />

rispettare la <strong>le</strong>gge spettava ai loro superiori e non alla polizia o ai carab<strong>in</strong>ieri; un<br />

ufficia<strong>le</strong> poteva essere arrestato soltanto da un ufficia<strong>le</strong> di grado superiore o come<br />

m<strong>in</strong>imo <strong>del</strong>lo stesso grado; perciò un carab<strong>in</strong>iere o un poliziotto che colpivano un<br />

ufficia<strong>le</strong> commettevano un 'grave atto di <strong>in</strong>subord<strong>in</strong>azione.' Da parte sua, il figlio di<br />

Salandra diceva: 'Mi crederei <strong>in</strong> diritto di reagire con qualunque mezzo, nessuno<br />

escluso, contro un mio <strong>in</strong>feriore, carab<strong>in</strong>iere o no, che attentasse alla dignità <strong>del</strong> mio<br />

grado,' e non dubitava che tutti i suoi col<strong>le</strong>ghi ufficiali fossero <strong>del</strong>la sua stessa<br />

op<strong>in</strong>ione (14). In altre paro<strong>le</strong>, gli ufficiali <strong>in</strong> divisa avevano il diritto di partecipare a<br />

movimenti sediziosi di qualsiasi genere; la polizia poteva soltanto prendere i loro<br />

nomi, se gli riusciva, e denunciarli ai loro superiori <strong>in</strong> modo che questi potessero<br />

decidere se era o no il caso di punirli, dopo che il movimento sedizioso era stato<br />

condotto a term<strong>in</strong>e.<br />

Secondo queste nuove teorie di diritto costituziona<strong>le</strong>, i nazionalisti tennero un comizio<br />

di protesta il 4 luglio, al qua<strong>le</strong> parteciparono 'molte cent<strong>in</strong>aia di ufficiali, di reduci e di<br />

cittad<strong>in</strong>i,' sotto la presidenza <strong>del</strong> combattente Giuriati, che più tardi fu segretario<br />

genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito fascista e m<strong>in</strong>istro dei Lavori Pubblici con Mussol<strong>in</strong>i. Nitti non fu il<br />

solo bersaglio di quel giorno; votarono anche 'un monito so<strong>le</strong>nne nell'ora grave che<br />

volge <strong>in</strong> Italia, alla Corona, al Governo e al Parlamento' (15). Tanto per i nazionalisti e<br />

i fascisti, quanto per i massimalisti, gli spartachisti e gli anarchici, <strong>le</strong> <strong>le</strong>ggi non<br />

esistevano più. I primi lavoravano per un colpo di stato militare dest<strong>in</strong>ato da ultimo a<br />

riuscire; i secondi sognavano una rivoluzione pro<strong>le</strong>taria che non si realizzò mai.<br />

Questo turb<strong>in</strong>io di paro<strong>le</strong> aveva appena com<strong>in</strong>ciato a placarsi, quando una ondata<br />

senza precedenti di moti per il caro-viveri sconvolse gran parte d'Italia. I disord<strong>in</strong>i<br />

com<strong>in</strong>ciarono a Forlì la matt<strong>in</strong>a <strong>del</strong> 30 giugno, quando la folla, che era esasperata per<br />

i crescenti prezzi <strong>del</strong><strong>le</strong> verdure, uova, frutta, pesce, distrusse nella piazza <strong>del</strong> mercato<br />

tutto quanto vi era <strong>in</strong> vendita: un metodo certamente non tra i più idonei per ridurre il<br />

costo <strong>del</strong>la vita. Anche <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni operaie vol<strong>le</strong>ro fare qualcosa perché<br />

dim<strong>in</strong>uisse il costo <strong>del</strong>la vita, e proclamarono per il giorno seguente uno sciopero<br />

genera<strong>le</strong> di protesta contro gli speculatori e contro il governo che non faceva niente<br />

per fermare la 'speculazione.' Pers<strong>in</strong>o il s<strong>in</strong>daco <strong>del</strong>la città vol<strong>le</strong> fare la sua parte, e<br />

ord<strong>in</strong>ò che tutti i prezzi venissero ridotti <strong>del</strong>la metà. Il giorno dopo, durante lo<br />

sciopero, un negoziante sparò contro un gruppo di persone che si erano radunate<br />

davanti al suo negozio. Questo negozio fu saccheggiato, e quando la notizia <strong>del</strong> fatto<br />

si diffuse, altri negozi di stoffe, generi alimentari e scarpe vennero saccheggiati. I<br />

negozianti che vo<strong>le</strong>vano evitare di farsi devastare <strong>le</strong> botteghe, attaccarono dei cartelli<br />

dove si diceva: 'Le chiavi sono state consegnate ai rappresentati <strong>del</strong> popolo,' oppure:<br />

'Le merci sono state messe a disposizione <strong>del</strong>la Camera <strong>del</strong> lavoro,' o anche: 'Le<br />

chiavi sono state consegnate al s<strong>in</strong>daco.' Qualcosa <strong>del</strong>lo stesso genere era avvenuto a<br />

La Spezia due settimane prima (16), e <strong>le</strong> notizie dei fatti di La Spezia servirono come<br />

mo<strong>del</strong>lo per gli scioperanti, per il s<strong>in</strong>daco e per i negozianti di Forlì. Qui tuttavia gli<br />

scioperanti non arraffavano per sé quel<strong>le</strong> merci che non venivano distrutte, ma <strong>le</strong><br />

'requisivano,' <strong>le</strong> ammassavano su automobili e camions, anche questi 'requisiti,' e <strong>le</strong><br />

portavano alla Camera <strong>del</strong> lavoro; <strong>in</strong> tal modo la ricchezza non veniva 'privatamente<br />

appropriata,' ma 'socializzata.'


Il 2 luglio, alla notizia dei fatti di Forlì, <strong>in</strong> tre località vic<strong>in</strong>e e a nord di Forlì - Faenza,<br />

Meldola, e Imola - scoppiarono scioperi generali contro gli 'speculatori,' e contro il<br />

governo che non <strong>le</strong>gava gli 'speculatori' mani e piedi. A Imola, come a Forlì, la folla<br />

saccheggiò i negozi; la polizia fece ricorso al<strong>le</strong> armi e uccise quattro persone. Il 3<br />

luglio, scioperi generali si diffusero anche nel<strong>le</strong> città a sud di Forlì: Cesena, Senigallia,<br />

Ancona, Falconara, Iesi. Di città <strong>in</strong> città, automobili 'requisite' dal<strong>le</strong> 'guardie rosse'<br />

portavano la notizia che il 'gran giorno' era arrivato. Il 4 luglio, tutta la Romagna e la<br />

parte conf<strong>in</strong>ante <strong>del</strong><strong>le</strong> Marche era teatro di scioperi generali, forzate riduzioni di prezzi<br />

e 'requisizioni.'<br />

Contemporaneamente, il 3 luglio, <strong>le</strong> notizie dei fatti di Forlì e di Imola, riportate dai<br />

giornali, provocarono a Firenze la devastazione dei negozi, che si ripeté il 4 a Prato,<br />

Tor<strong>in</strong>o e Voghera, e il 5 a Brescia, A<strong>le</strong>ssandria, P<strong>in</strong>erolo, Novi Ligure, Pisa, Livorno,<br />

Piomb<strong>in</strong>o, Siena, Taranto e Pa<strong>le</strong>rmo; il 6 e il 7 luglio, vi furono saccheggi a Milano,<br />

Sesto San Giovanni, Vicenza, Genova, Roma, Napoli e Catania; a Grottaglie la folla<br />

appiccò il fuoco al municipio; contemporaneamente, scioperi generali e scontri con la<br />

polizia avvenivano <strong>in</strong> molte altre località.<br />

E' assai probabi<strong>le</strong> che i giornali non abbian dato notizia dei disord<strong>in</strong>i e degli scioperi<br />

generali che avvennero nei centri m<strong>in</strong>ori; ma anche se i disord<strong>in</strong>i avessero co<strong>in</strong>volto<br />

parecchi altri paesi e città oltre quel<strong>le</strong> enumerate, si deve tener presente che ci sono<br />

<strong>in</strong> Italia circa 7500 paesi e città. Ciò significa che nella sua stragrande maggioranza il<br />

paese rimase tranquillo. Solo <strong>in</strong> Romagna e nel<strong>le</strong> vic<strong>in</strong>e Marche la rivolta si estese <strong>in</strong><br />

un'area vasta e compatta. L'Italia <strong>del</strong> luglio <strong>del</strong> 1919 non era la Russia <strong>del</strong> 1917,<br />

quando milioni di soldati, che conservavano i loro fucili, disertarono dal fronte e<br />

misero a soqquadro tutta la struttura politica e amm<strong>in</strong>istrativa <strong>del</strong> paese. Tuttavia, tra<br />

<strong>le</strong> città che ai primi <strong>del</strong> luglio 1919 soffrivano di convulsioni, erano alcuni dei centri<br />

più importanti, come Milano, Tor<strong>in</strong>o, Livorno, Firenze, Ancona, Roma, Pa<strong>le</strong>rmo, e qui<br />

erano i centri vitali <strong>del</strong> paese; se i moti per il caroviveri si fossero trasformati, <strong>in</strong><br />

queste grandi città, <strong>in</strong> movimenti rivoluzionari, certamente anche i centri m<strong>in</strong>ori<br />

avrebbero seguito il loro esempio. In quei giorni, sembrò che una rivoluzione di tipo<br />

russo si stesse avanzando, e che niente potesse fermarla.<br />

Non successe niente di simi<strong>le</strong>. La Confederazione genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> lavoro si mantenne<br />

estranea al movimento e non fece niente per dargli un f<strong>in</strong>e politico o rivoluzionario. Le<br />

ferrovie, i servizi posta<strong>le</strong>, te<strong>le</strong>grafico e te<strong>le</strong>fonico non scioperarono. Poco alla volta<br />

l'uragano si placò da sé, e il 13 luglio <strong>le</strong> condizioni erano ritornate normali <strong>in</strong> tutta<br />

Italia, cioè gli scioperi e gli altri <strong>in</strong>cidenti non erano più numerosi che <strong>in</strong> tempi<br />

normali.<br />

Durante tutto il periodo critico, polizia e carab<strong>in</strong>ieri, ovviamente per ord<strong>in</strong>e di Nitti, si<br />

astennero ovunque da azioni di repressione vio<strong>le</strong>nta. Ricorsero alla tattica difensiva;<br />

proteggevano dagli assalti <strong>le</strong> banche, <strong>le</strong> zone più importanti <strong>del</strong><strong>le</strong> città grandi e tutti i<br />

centri vitali per l'attività di governo, abbandonando a se stesse <strong>le</strong> periferie <strong>del</strong><strong>le</strong> città<br />

grandi, la campagna, e i centri m<strong>in</strong>ori. Sarebbe stato diffici<strong>le</strong> fare altrimenti. I<br />

carab<strong>in</strong>ieri, ai quali <strong>in</strong> tempi normali era affidato il compito di mantenere l'ord<strong>in</strong>e, a<br />

causa <strong>del</strong><strong>le</strong> perdite subite <strong>in</strong> guerra, erano ridotti a non più di 28000 uom<strong>in</strong>i. D'altra<br />

parte, i soldati <strong>del</strong>l'esercito regolare simpatizzavano con i rivoltosi, e non potevano<br />

essere utilizzati <strong>in</strong> azioni di repressione senza correre il rischio di <strong>in</strong>subord<strong>in</strong>azioni da<br />

parte loro. In tali condizioni, se Nitti avesse ord<strong>in</strong>ato una repressione con spargimento<br />

di sangue su larga scala, non sarebbe stato sicuro di portarla <strong>in</strong> fondo con successo, e<br />

al tempo stesso avrebbe costretto la Confederazione genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> lavoro ad uscire<br />

dalla propria <strong>in</strong>azione per una protesta sul piano naziona<strong>le</strong>, cioè per un sol<strong>le</strong>vamento<br />

di maggiori proporzioni. Forse questa sarebbe stata la sp<strong>in</strong>ta f<strong>in</strong>a<strong>le</strong> per quel salto nel<br />

buio tanto atteso dagli estremisti. La prudenza fu il merito maggiore di Nitti.<br />

Si ebbero qua e là conflitti tra polizia e rivoltosi, e ci furono <strong>del</strong><strong>le</strong> vittime: quattro<br />

morti a Imola; uno a Firenze; due a Brescia; due a Genova; uno a Catanzaro; c<strong>in</strong>que


a Taranto; due a Roma; quattro a Spilimbergo; otto a Lucera. Ma date <strong>le</strong> proporzioni<br />

e la vio<strong>le</strong>nza <strong>del</strong>la rivolta, la polizia e i carab<strong>in</strong>ieri, tutto sommato, controllarono la<br />

situazione con molta prudenza.


CAPITOLO TREDICESIMO.<br />

CONSERVATORI E RIVOLUZIONARI.<br />

I moti per il caro-viveri <strong>del</strong> luglio 1919 ci aiutano, più di ogni altro fatto, a capire la<br />

mentalità <strong>del</strong> popolo italiano e i f<strong>in</strong>i dei diversi partiti nei primi anni <strong>del</strong> dopoguerra. I<br />

disord<strong>in</strong>i di Firenze furono i più gravi e i più significativi.<br />

A Firenze, la federazione socialista, il giorna<strong>le</strong> ufficia<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito, "La Difesa", e la<br />

Camera <strong>del</strong> lavoro erano sotto il controllo dei massimalisti. Il 21 giugno 1919, "La<br />

Difesa" annunciò che 'l'azione era imm<strong>in</strong>ente':<br />

«Sentiamo che è venuta l'ora, tanto per il partito quanto per i lavoratori, di tener fede<br />

agli impegni presi, di passare dal<strong>le</strong> paro<strong>le</strong> ai fatti. (...) Oggi è l'ora <strong>in</strong> cui si raccolgono<br />

<strong>le</strong> fila di una immensa rete di <strong>in</strong>citamenti alla lotta e al sacrificio. (...) Guai a chi<br />

credesse di poter dare sfogo all'ira popolare (...) con uno sciopero genera<strong>le</strong> contenuto<br />

<strong>in</strong> prestabiliti limiti di tempo. (...) Il generoso popolo nostro (...) non vede nulla che<br />

non sia l'azione nella qua<strong>le</strong> è stato educato; non spera <strong>in</strong> nulla che non sia l'azione<br />

nella qua<strong>le</strong> gli si è fatto riporre ogni speranza. Ma che sia azione, azione vera e<br />

risolutiva. Compagni, s<strong>org</strong>iamo! La grande ora sta per scoccare!»<br />

Pure, quando la notizia dei moti di Forlì apparve sui giornali <strong>del</strong> 2 luglio, non furono i<br />

massimalisti ad <strong>in</strong>citare la folla alla 'azione vera e risolutiva'; fu quello stesso<br />

nazionalista, Giunta, che a Roma pochi giorni prima aveva cercato di sol<strong>le</strong>vare i<br />

combattenti contro il governo. La sera <strong>del</strong> 2 luglio, <strong>in</strong> una adunanza di combattenti,<br />

agitando un paio di scarpe gridò di aver<strong>le</strong> pagate 48 lire, eccitando i suoi compagni a<br />

saccheggiare i negozi. La matt<strong>in</strong>a <strong>del</strong> 3 luglio, il quotidiano ultraconservatore di<br />

Firenze, "La Nazione", dedicò due colonne a descrivere la rivolta 'discipl<strong>in</strong>ata' di Forlì,<br />

Faenza, Imola ed altre località, e mezza colonna ad attaccare vio<strong>le</strong>ntemente i<br />

profittatori di guerra.<br />

«In verità, è amaro di dover scrivere paro<strong>le</strong> di sdegno contro gente che, bene o ma<strong>le</strong>,<br />

fa pure parte <strong>del</strong>la famiglia italiana. Ma il disgusto e l'ira ci salgono alla gola. E' mai<br />

possibi<strong>le</strong> di dover trovare anche oggi, dopo la tremenda <strong>le</strong>zione <strong>del</strong>la guerra, uom<strong>in</strong>i<br />

così testardi e perseveranti nel ma<strong>le</strong>? Ma non sentono nulla, questi sciagurati, di quel<br />

che accade <strong>in</strong>torno a loro? Non pensano che la pazienza <strong>del</strong> popolo ha un limite<br />

terribi<strong>le</strong>, oltre il qua<strong>le</strong> <strong>le</strong> più cru<strong>del</strong>i <strong>in</strong>cognite sono schierate? Hanno cervello, hanno<br />

sangue, hanno nervi, questi malvagi cittad<strong>in</strong>i? (...) Noi non aggiungiamo di più.<br />

Abbiamo ancora la vaga speranza che alcuni esempi di ieri possano far r<strong>in</strong>savire<br />

questi pervertiti. Che se anche queste speranze dovessero fallire... e, allora, non<br />

saremmo noi certamente a lamentare lo scoppio di una <strong>in</strong>dignazione col<strong>le</strong>ttiva che si<br />

sarebbe fatto di tutto per provocare.»<br />

Quando un giorna<strong>le</strong> ultraconservatore scrive <strong>in</strong> questo modo, che altro può fare la<br />

folla se non seguire gli 'esempi' <strong>in</strong>dicati? Effettivamente il saccheggio dei negozi<br />

com<strong>in</strong>ciò proprio nel pomeriggio <strong>del</strong> 3 luglio. Per tutto quel pomeriggio, e la notte e il<br />

matt<strong>in</strong>o successivo, i quartieri periferici <strong>del</strong>la città e la campagna circostante furono<br />

teatro di 'requisizioni' <strong>in</strong>contrastate eseguite da autorità che si eran nom<strong>in</strong>ate da sé.<br />

Non si seppe mai quanti furono i negozi saccheggiati, ma certo nell'ord<strong>in</strong>e <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

cent<strong>in</strong>aia.<br />

A quel tempo, chi scrive viveva a Firenze, e durante quei giorni di disord<strong>in</strong>i andò <strong>in</strong><br />

giro per <strong>le</strong> strade per imparare 'come si fa una rivoluzione.' Quando la crisi fu<br />

passata, pubblicò il seguente resoconto:


«Chiunque ha camm<strong>in</strong>ato per <strong>le</strong> vie di Firenze durante i giorni <strong>del</strong>la rivolta, cercando<br />

di rendersi conto di quel che la massa <strong>del</strong> popolo pensava e vo<strong>le</strong>va, non ha trovato <strong>in</strong><br />

nessun luogo un programma di ri<strong>org</strong>anizzazione comunista <strong>del</strong>la società, e meno che<br />

mai la voglia di lasciarsi prendere nella 'immensa rete di <strong>in</strong>citamenti alla lotta e al<br />

sacrifizio.' Noi non abbiamo mai visto nel mondo tanta gente armata di... fiaschi di<br />

v<strong>in</strong>o, quanta ne abbiamo vista per <strong>le</strong> strade di Firenze nei giorni 4 e 5 luglio 1919.<br />

Uom<strong>in</strong>i, donne, bamb<strong>in</strong>i, bamb<strong>in</strong>e, vecchi, giovani, tutti andavano <strong>in</strong> giro con uno,<br />

due, quattro fiaschi di v<strong>in</strong>o. Firenze non aveva fame: aveva sete: non è stata<br />

saccheggiata, è stata sfiascheggiata. Era gente bonaria, gioconda, lieta, di potersi<br />

godere f<strong>in</strong>almente un fiasco a due lire o addirittura gratis, che si avviava<br />

pacificamente verso casa, pregustando la baldoria <strong>del</strong>la famigliola, provvista<br />

f<strong>in</strong>almente di un po' di ben di Dio; quando era più giudiziosa <strong>del</strong>la media, depositava<br />

<strong>in</strong> casa la prima merce, e ritornava a comprarne a metà prezzo o a 'requisirne'<br />

<strong>del</strong>l'altra. Dopo i fiaschi di v<strong>in</strong>o, la merce più ricercata erano <strong>le</strong> scarpe. Ma una vera e<br />

propria esaltazione eroica e rivoluzionaria non c'era <strong>in</strong> nessuno. Una nuova<br />

<strong>org</strong>anizzazione di pensieri e di volontà, capace di prendere il posto <strong>del</strong><strong>le</strong> vecchie<br />

autorità politiche e amm<strong>in</strong>istrative, non c'era. (...) Esistono sempre fol<strong>le</strong> pronte alla<br />

rivolta; non esiste <strong>in</strong> nessun luogo una classe capace di una rivoluzione. Né si dica<br />

che la rivoluzione repubblicana o comunista non è stata <strong>in</strong>iziata, perché non era<br />

ancora preparato un movimento d'<strong>in</strong>sieme. I movimenti d'<strong>in</strong>sieme non si preparano a<br />

data fissa: scoppiano, quando tutto è preparato negli animi: un <strong>in</strong>cidente loca<strong>le</strong> dà la<br />

sp<strong>in</strong>ta al movimento genera<strong>le</strong>» (1).<br />

Ta<strong>le</strong> era lo stato d'animo <strong>del</strong>la folla. E cosa pensavano i suoi capi? Al<strong>le</strong> ore 15 <strong>del</strong> 3<br />

luglio, migliaia di lavoratori si diressero ist<strong>in</strong>tivamente alla Camera <strong>del</strong> lavoro; era<br />

questo il loro comando supremo, e qui venivano a chiedere che cosa dovevan fare. Il<br />

direttore <strong>del</strong> giorna<strong>le</strong> massimalista brillò per la sua assenza; non fu presente per<br />

ripetere al<strong>le</strong> 'masse' che 'la grande ora era scoccata.' Il compito di guidare il<br />

'pro<strong>le</strong>tariato' ricadde sul<strong>le</strong> spal<strong>le</strong> <strong>del</strong> segretario <strong>del</strong>la Camera <strong>del</strong> lavoro. Il<br />

pover'uomo, dovendo dire qualcosa a quella folla, disse che 'per l'<strong>in</strong>gordigia degli<br />

speculatori e degli strozz<strong>in</strong>i la classe operaia è costretta a mettersi alla testa di un<br />

movimento energico e risoluto,' e propose ai lavoratori di proclamare uno sciopero<br />

genera<strong>le</strong> (2). Così, lo sciopero genera<strong>le</strong> che si era già <strong>in</strong>iziato prima che venisse<br />

proclamato, adesso fu proclamato. Nel frattempo eran com<strong>in</strong>ciate <strong>le</strong> 'requisizioni' nei<br />

negozi, e <strong>le</strong> merci che non erano andate distrutte o non eran f<strong>in</strong>ite nel<strong>le</strong> case dei<br />

'requisitori' venivano portate alla Camera <strong>del</strong> lavoro, che si trovò improvvisamente<br />

carica di formaggio, pezze di stoffa, scarpe, fiaschi di v<strong>in</strong>o, prosciutti, e un ammasso<br />

confuso di ogni ben di Dio. Al<strong>le</strong> 18, il segretario <strong>del</strong>la Camera <strong>del</strong> lavoro si recò dal<br />

prefetto, non per dirgli che si considerasse dimesso dalla carica e che era com<strong>in</strong>ciata<br />

'la dittatura <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato,' ma per consultarsi con lui circa la nom<strong>in</strong>a 'di una<br />

commissione che studierà il mezzo migliore (...) per discipl<strong>in</strong>are il movimento' (3).<br />

Il giorno seguente, 4 luglio, il giorna<strong>le</strong> massimalista pubblicò un articolo trionfa<strong>le</strong>:<br />

«E' giunta l'ora non <strong>del</strong><strong>le</strong> mezze misure ma <strong>del</strong><strong>le</strong> energiche e radicali decisioni.<br />

Intenda dunque chi deve... La dittatura <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato dimostra alla prova dei fatti<br />

qua<strong>le</strong> e quanta sia la sua efficacia. (...) L'azione diretta ha trionfato. (...)"Avanti!<br />

Avanti! Per il Comunismo!» (4).<br />

Il giorna<strong>le</strong> conservatore uscì con sei colonne dedicate ai fatti <strong>del</strong> giorno prima, sotto<br />

un enorme titolo di testa che diceva: 'Ieri, a Firenze, è accaduto l'<strong>in</strong>evitabi<strong>le</strong> (5).<br />

Erano già due anni che il giorna<strong>le</strong> aveva previsto questo '<strong>in</strong>evitabi<strong>le</strong>'; la colpa era<br />

<strong>del</strong>la '<strong>org</strong>anizzazione affaristica' che spremeva il sangue al popolo italiano; il giorna<strong>le</strong>


esprimeva la propria soddisfazione per il movimento che, si diceva, 'si è svolto con<br />

una certa discipl<strong>in</strong>a e serietà, salvo, naturalmente, alcuni casi isolati che sono <strong>del</strong><br />

resto <strong>in</strong>evitabili nel<strong>le</strong> sommosse di carattere popolare per l'<strong>in</strong>tromissione di torbidi<br />

e<strong>le</strong>menti'; ma quello che contava era che la Camera <strong>del</strong> lavoro si fosse assunta la<br />

responsabilità <strong>del</strong><strong>le</strong> 'requisizioni,' 'la Camera <strong>del</strong> lavoro non deve dimenticare che<br />

avendo essa presa la responsabilità di un movimento di requisizione, il suo dovere è<br />

di provvedere che esso non diventi un saccheggio' (6).<br />

La Camera <strong>del</strong> lavoro faceva tutto il possibi<strong>le</strong> per mettere un po' d'ord<strong>in</strong>e <strong>in</strong> quel caos.<br />

Al<strong>le</strong> ore nove, la commissione nom<strong>in</strong>ata il giorno prima d'accordo col prefetto e<br />

composta dai rappresentanti di tutte <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni di lavoratori, da quel<strong>le</strong> <strong>del</strong><br />

partito socialista a quel<strong>le</strong> dirette dai s<strong>in</strong>dacalisti rivoluzionari e dagli anarchici, si riunì<br />

alla Camera <strong>del</strong> lavoro. Dato che lo sciopero procedeva senza il permesso di nessuno,<br />

la commissione decise che lo sciopero venisse cont<strong>in</strong>uato, ma non vi partecipassero<br />

gli operai <strong>del</strong>la luce, <strong>del</strong> gas, degli altri servizi pubblici nonché gli <strong>in</strong>fermieri; <strong>in</strong>oltre i<br />

negozianti avrebbero ricevuto degli avvisi a cura <strong>del</strong>la Camera <strong>del</strong> lavoro e da<br />

attaccarsi al<strong>le</strong> porte dei negozi, dove si <strong>in</strong>formava il pubblico che i negozi erano 'a<br />

disposizione <strong>del</strong>la Camera <strong>del</strong> lavoro' (7); nessuno avrebbe potuto operare<br />

requisizioni nei negozi protetti da questi talismani. La proprietà privata veniva posta<br />

sotto la protezione <strong>del</strong>la Camera <strong>del</strong> lavoro massimalista: <strong>in</strong> questo modo la<br />

commissione com<strong>in</strong>ciò a 'discipl<strong>in</strong>are il movimento.'<br />

Il 5 luglio, il giorna<strong>le</strong> massimalista gridava ancora gli slogans più vuoti:<br />

«La lotta non è f<strong>in</strong>ita. E' appena <strong>in</strong>com<strong>in</strong>ciata. Dovrà estendersi, dovrà <strong>in</strong>tensificarsi.<br />

Perché tutte <strong>le</strong> aspirazioni dei lavoratori han da essere conseguite, perché il<br />

comunismo che è ancora una speranza ha da essere realtà, (...) chi non sente che si<br />

mira sempre più lontano, sempre più <strong>in</strong> alto?» (8).<br />

Mentre gli scrittori <strong>del</strong> giorna<strong>le</strong> massimalista si ubriacavano di paro<strong>le</strong>, gli scrittori <strong>del</strong><br />

giorna<strong>le</strong> conservatore, il 5 luglio, cessavano di esprimere la loro soddisfazione per 'la<br />

discipl<strong>in</strong>a e serietà' <strong>del</strong> movimento, e <strong>in</strong>sistevano <strong>in</strong> maniera più decisa sul fatto che la<br />

responsabilità per quanto stava avvenendo ricadeva sulla Camera <strong>del</strong> lavoro; era suo<br />

dovere adesso 'sbrogliare il pasticcio giuridico creato dal<strong>le</strong> requisizioni' (9); la<br />

responsabilità dei suoi dirigenti sarebbe stata al tempo stesso civi<strong>le</strong> e pena<strong>le</strong>;<br />

attualmente c'era anche una responsabilità verso il genere umano, dato che era<br />

diventato loro dovere provvedere all'approvvigionamento <strong>del</strong>la città. Così, se si fosse<br />

rimasti a corto di merci, ne sarebbe stata responsabi<strong>le</strong> la Camera <strong>del</strong> lavoro.<br />

La commissione <strong>del</strong>la Camera <strong>del</strong> lavoro aveva altro da fare che badare a queste<br />

<strong>in</strong>s<strong>in</strong>uazioni; la popolazione si stava stancando di disord<strong>in</strong>i che provocavano sprechi di<br />

beni e non avevano nessuno scopo; perciò venne diramato un ord<strong>in</strong>e che <strong>in</strong>vitava a<br />

cessare lo sciopero a partire dalla mezzanotte seguente. Ta<strong>le</strong> ord<strong>in</strong>e fu pubblicato<br />

nello stesso numero <strong>del</strong> giorna<strong>le</strong> massimalista che annunciava che la lotta non era<br />

f<strong>in</strong>ita, ma appena com<strong>in</strong>ciata. Dato che il 5 luglio era un sabato, lo sciopero veniva a<br />

cessare di domenica; la commissione era sicura che tutti l'avrebbero obbedita, perché<br />

sciopero o non sciopero di domenica tutte <strong>le</strong> fabbriche erano chiuse; nel frattempo,<br />

un altro giorno di rif<strong>le</strong>ssione avrebbe aiutato la gente a ritrovare la via <strong>del</strong> buon<br />

senso. E difatti, il lunedì 7 luglio, il lavoro venne ripreso ovunque.<br />

Ora, proprio il 7 luglio, il giorna<strong>le</strong> conservatore scoprì che il popolo che desiderava<br />

una rivoluzione politica sp<strong>in</strong>geva il paese verso la miseria e la fame; non erano riusciti<br />

nel loro sforzo durante i moti per il caro-viveri, ma avrebbero provato di nuovo. Tutti<br />

coloro che amavano la patria dovevano str<strong>in</strong>gersi <strong>in</strong>sieme per difenderla contro i<br />

nemici <strong>in</strong>terni; così sorse a Firenze un'al<strong>le</strong>anza antibolscevica (10), e Giunta, quello<br />

stesso nazionalista che la sera <strong>del</strong> 2 luglio aveva agitato il paio di scarpe a 48 lire, ne


fu uno dei primi fondatori. Naturalmente i negozianti e i contad<strong>in</strong>i che si erano visti<br />

'requisire' i prodotti, furono entusiasti di questa nuova al<strong>le</strong>anza.<br />

In tutta Italia, quei giornali che avevano agito <strong>in</strong> pieno accordo con la cricca<br />

nazionalista, si comportarono come a Firenze. A Roma il "Giorna<strong>le</strong> d'Italia", che era<br />

l'<strong>org</strong>ano di Salandra, Sonn<strong>in</strong>o, e dei capi <strong>del</strong>l'esercito e <strong>del</strong>la mar<strong>in</strong>a, pubblicò vio<strong>le</strong>nti<br />

articoli contro gli speculatori alimentari. Calmatesi <strong>le</strong> acque, lo stesso giorna<strong>le</strong> attaccò<br />

i 'bolscevichi' per aver provocato i disord<strong>in</strong>i, e <strong>in</strong>vocò una coalizione di tutti i buoni<br />

cittad<strong>in</strong>i contro i nemici <strong>del</strong>la patria, primo fra i quali Nitti. L'"Idea Naziona<strong>le</strong>", nel suo<br />

numero <strong>del</strong> 3 luglio, dette <strong>le</strong> notizie dei moti di Forlì senza una sola parola di<br />

condanna; il 4 luglio condannò gli speculatori alimentari per tutto ciò che stava<br />

accadendo; il 5 luglio, protestò contro il prezzo proibitivo <strong>del</strong> v<strong>in</strong>o <strong>in</strong>citando i<br />

combattenti a non volgere il proprio rancore contro i carab<strong>in</strong>ieri, ma a ribellarsi contro<br />

Nitti, e pubblicando un proclama <strong>in</strong> cui D'Annunzio affermava che il nemico d'Italia era<br />

a Roma: 'lo cacceremo' (11). Il 6 luglio, l'"Idea Naziona<strong>le</strong>" spiegava che al 'carovivere'<br />

si veniva ad aggiungere un 'ultra caro-vivere,' ed era colpa <strong>del</strong>lo stato libera<strong>le</strong><br />

la mancata repressione di questo secondo ma<strong>le</strong>. Nella notte tra il 6 e il 7 luglio, verso<br />

<strong>le</strong> due, un gruppo di circa trenta persone si presentarono ad una caserma, cercando<br />

di <strong>in</strong>durre un battaglione di 'arditi,' che era là stanziato, a partecipare ad un colpo di<br />

mano volto ad impadronirsi dei punti strategici <strong>del</strong>la città; il tentativo fallì, e alcune<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> persone vennero arrestate, ma il loro capo, un certo Argo Secondari, riuscì a<br />

fuggire; gli autori di questo tentativo erano tutti 'arditi' (12). F<strong>in</strong>almente, il 7 luglio,<br />

anche a Roma scoppiarono disord<strong>in</strong>i per il caro-viveri, e cont<strong>in</strong>uarono per tre giorni.<br />

Subito, il giorna<strong>le</strong> nazionalista com<strong>in</strong>ciò ad attaccare vio<strong>le</strong>ntemente Nitti per non<br />

avere mantenuto l'ord<strong>in</strong>e. Il 9 luglio, mentre ancora cont<strong>in</strong>uavano i disord<strong>in</strong>i per il<br />

caro-viveri, un gruppo di fascisti, futuristi e 'arditi' guidati da Mar<strong>in</strong>etti, cercò di<br />

provocare nel cuore di Roma una dimostrazione contro Nitti.<br />

A Bologna, dove la Camera <strong>del</strong> lavoro e <strong>le</strong> autorità comunali erano riuscite a evitare<br />

disord<strong>in</strong>i, <strong>le</strong> stesse autorità militari si affrettarono a mettere a disposizione <strong>del</strong>la<br />

Camera <strong>del</strong> lavoro quaranta camions, da usarsi eventualmente per andare a requisire<br />

i prodotti presso i contad<strong>in</strong>i (13). Se la Camera <strong>del</strong> lavoro si fosse servita di questi<br />

camions, si sarebbe creato un abisso di odio tra i lavoratori urbani da una parte, e<br />

dall'altra gli affittuari e i piccoli proprietari nel<strong>le</strong> campagne <strong>in</strong>torno alla città.<br />

Come c'era da aspettarsi, Mussol<strong>in</strong>i si mostrò il più vio<strong>le</strong>nto di tutti nell'attaccare gli<br />

speculatori alimentari. Ecco quanto scrisse il "Popolo d'Italia" <strong>del</strong> 4 luglio:<br />

«Il caro viveri ha appassionato e agitato tutta la Romagna. (...) Il popolo è <strong>in</strong>sorto<br />

energicamente contro la venalità degli speculatori e ha già ottenuto un forte ribasso<br />

sul prezzo di vendita dei generi alimentari. (...) Le requisizioni e i calmieri hanno<br />

ottenuto gli sperati risultati e non si farà comunque macch<strong>in</strong>a <strong>in</strong>dietro.»<br />

E <strong>in</strong> un commento redaziona<strong>le</strong> si diceva:<br />

«Anche <strong>in</strong> altri punti <strong>del</strong>l'Italia centra<strong>le</strong> si <strong>del</strong><strong>in</strong>ea l'<strong>in</strong>surrezione <strong>del</strong><strong>le</strong> classi operaie<br />

contro i primi e diretti responsabili <strong>del</strong>la <strong>in</strong>sostenibi<strong>le</strong> situazione alimentare <strong>del</strong> nostro<br />

paese. (...) Non è il partito socialista ufficia<strong>le</strong> quello che ha provocato e retto queste<br />

dimostrazioni (...) manca ad esso la volontà di capeggiare un moto che oltre ad<br />

essere saturo di responsabilità può frustrare <strong>le</strong> vecchie e nuove speculazioni<br />

parlamentari e m<strong>in</strong>isteriali preord<strong>in</strong>ate magari a base di m<strong>in</strong>acce rivoluzionarie. (...)<br />

Per nostro conto affermiamo esplicitamente la giustizia fondamenta<strong>le</strong> <strong>del</strong>la protesta<br />

popolare.»<br />

Sul numero <strong>del</strong> 5 luglio si <strong>le</strong>ggeva:


«Io spero anzi che, nell'esercizio di questo sacrosanto diritto, la folla non si limiti a<br />

colpire i crim<strong>in</strong>ali nei beni, ma com<strong>in</strong>ci anche a colpirli nel<strong>le</strong> persone. Qualche<br />

<strong>in</strong>cettatore penzolante dal lampione vic<strong>in</strong>o al covo dei suoi misfatti (...) servirebbe di<br />

esempio» (14).<br />

E nello stesso numero, un comunicato dei Fasci di combattimento diceva:<br />

«Il comitato centra<strong>le</strong> dei Fasci di combattimento, proclama la sua illimitata solidarietà<br />

con il popolo <strong>del</strong><strong>le</strong> varie prov<strong>in</strong>cie d'Italia <strong>in</strong>sorto contro gli affamatori; plaude<br />

all'<strong>in</strong>iziativa <strong>del</strong>la requisizione popolare, ed impegna i fascisti ad <strong>in</strong>dire e fiancheggiare<br />

risolutamente <strong>le</strong> manifestazioni di energica protesta.»<br />

A Milano i moti per il caro-viveri com<strong>in</strong>ciarono il 6 luglio e cont<strong>in</strong>uarono per due<br />

giorni, ma senza raggiungere la gravità di Firenze, perché a Milano la polizia aveva<br />

raccolto forze sufficienti per controllare l'uragano, e operò 2200 arresti tra i bassifondi<br />

cittad<strong>in</strong>i. Anche a Milano, f<strong>in</strong>iti i tumulti, si moltiplicarono <strong>le</strong> <strong>in</strong>iziative<br />

'antibolsceviche,' promosse dal<strong>le</strong> stesse persone e dagli stessi gruppi che pochi giorni<br />

prima erano stati <strong>in</strong> testa a tutti nell'<strong>in</strong>citare la folla contro gli speculatori alimentari;<br />

<strong>in</strong> questa ondata 'antibolscevica,' Mussol<strong>in</strong>i fu di nuovo <strong>in</strong> prima fila.<br />

Tutti questi fatti ci portano a concludere che i moti per il caro-viveri <strong>del</strong> luglio<br />

com<strong>in</strong>ciarono <strong>in</strong> modo spontaneo <strong>in</strong> Romagna, come era successo alla metà di giugno<br />

a La Spezia e nel<strong>le</strong> città vic<strong>in</strong>e; ma a questo punto i gruppi che operavano contro Nitti<br />

si misero a soffiare sul fuoco, nella speranza che Nitti, sopraffatto dai disord<strong>in</strong>i, fosse<br />

costretto a cedere il governo ad un m<strong>in</strong>istero di generali, o che, per ristabilire l'ord<strong>in</strong>e,<br />

ricorresse a una politica di repressione vio<strong>le</strong>nta, che avrebbe creato una barriera di<br />

odio tra lui e i socialisti. Nitti evitò tutte e due <strong>le</strong> alternative, dando al paese<br />

l'impressione che non <strong>in</strong>tendeva approfittare dei moti per il caro-viveri, per<br />

<strong>in</strong>augurare una politica reazionaria; <strong>in</strong> tal modo i conflitti, anche se ci furono morti e<br />

feriti, rimasero degli sciagurati <strong>in</strong>cidenti locali, <strong>in</strong>evitabili <strong>in</strong> una rivolta di ta<strong>le</strong><br />

ampiezza.<br />

La Camera dei deputati tornò ad aprirsi il 9 luglio, cioè quando il peggio era passato. I<br />

deputati socialisti mantennero il loro atteggiamento di opposizione senza possibilità di<br />

compromessi verso qualsiasi governo 'b<strong>org</strong>hese,' però si astennero dall'attaccare con<br />

critiche troppo vio<strong>le</strong>nte il nuovo presidente <strong>del</strong> Consiglio, che il 14 luglio 1919<br />

ricevette dalla Camera 257 voti di fiducia; dei 111 voti contrari, non più di 25<br />

appartenevano ai socialisti, dato che qu<strong>in</strong>dici di loro non parteciparono alla votazione<br />

proprio per rendere meno diffici<strong>le</strong> la posizione <strong>del</strong> governo; per il resto, i voti di<br />

opposizione appartenevano a deputati che avevano appoggiato s<strong>in</strong>o all'ultimo Orlando<br />

e Sonn<strong>in</strong>o, e pur tuttavia, anche tra questi, circa una quarant<strong>in</strong>a si unirono alla<br />

maggioranza per votare la fiducia.<br />

Mentre durante i moti per il caro-viveri i conservatori si adoprarono ovunque per<br />

esasperare <strong>le</strong> agitazioni, i socialisti, sia di destra che massimalisti, fecero tutto il<br />

possibi<strong>le</strong> per porre f<strong>in</strong>e ai disord<strong>in</strong>i e agli scioperi, non solo a Firenze ma <strong>in</strong> tutta<br />

Italia. Anche a Tor<strong>in</strong>o, dove il partito socialista e i s<strong>in</strong>dacati erano controllati dagli<br />

estremisti, i s<strong>in</strong>dacati richiamarono gli operai al lavoro e non riconobbero nessuno dei<br />

tentativi di sciopero non autorizzati (15). Sfortunatamente per loro, i massimalisti non<br />

riuscirono a conciliare i desideri con i fatti; il 5 luglio, la commissione <strong>del</strong>la Camera <strong>del</strong><br />

lavoro di Firenze, annunciando la cessazione <strong>del</strong>lo sciopero, si dichiarava certa 'che<br />

nessuno avrebbe mancato di rispondere all'appello che sarebbe stato lanciato al<br />

momento buono per la conquista f<strong>in</strong>a<strong>le</strong>' (16). Sciocchezze <strong>del</strong> genere furono ripetute<br />

ovunque.<br />

Chi scrive, come già aveva osservato e descritto i moti per il caro-viveri a Firenze,<br />

notò il fatto che <strong>in</strong> Italia i gruppi reazionari erano <strong>in</strong>tenzionati a ricorrere alla bruta<strong>le</strong>


vio<strong>le</strong>nza, ma ciò non era possibi<strong>le</strong> se prima il paese non si era stancato di disord<strong>in</strong>i<br />

privi di scopo che fossero venuti a sconvolgere la vita naziona<strong>le</strong>.<br />

«Tutto ciò che accumula odio contro gli operai <strong>del</strong><strong>le</strong> città nel<strong>le</strong> altre classi <strong>del</strong>la<br />

popolazione prepara il terreno alla reazione. E che cosa meglio <strong>del</strong><strong>le</strong> 'requisizioni'<br />

contro bottegai e contad<strong>in</strong>i può favorire questo piano? Ecco perché i tumulti annonari<br />

sono eccitati o almeno accolti con simpatia (...) per uno o due giorni da certi giornali.<br />

Quando la stanchezza sarà divenuta universa<strong>le</strong> contro uno stato di cose, di cui non si<br />

vedrà la f<strong>in</strong>e, allora i prefetti non saranno più <strong>in</strong>dulgenti come <strong>in</strong> questi giorni: allora<br />

funzioneranno per <strong>le</strong> strade <strong>le</strong> mitragliatrici» (17).<br />

Insistendo nel far uso di retorica rivoluzionaria senza condividere né i f<strong>in</strong>i né la<br />

mentalità rivoluzionaria i massimalisti esasperarono la nevrastenia <strong>del</strong> dopoguerra,<br />

facendo il giuoco dei gruppi reazionari.<br />

«Da siffatta vicenda illogica e sconclusionata di eccitamenti e di tumulti e di ritorni<br />

all'antico, che altro può nascere se non una stanchezza irritata nel<strong>le</strong> classi<br />

danneggiate o disturbate, una <strong>del</strong>usione apatica nel<strong>le</strong> zone meno esacerbate <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

classi pro<strong>le</strong>tarie, un nervosismo crescente nei gruppi sociali meno soggetti al controllo<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni, e alla f<strong>in</strong>e una mostruosa reazione a base di stati d'assedio e di<br />

tribunali militari?» (18).<br />

Una nuova prova <strong>del</strong> fatto che nel paese non esisteva una situazione rivoluzionaria si<br />

ebbe il 21 luglio. In quel giorno doveva aver luogo <strong>in</strong> Inghilterra, <strong>in</strong> Francia e <strong>in</strong> Italia<br />

una manifestazione 'dimostrativa' contro l'<strong>in</strong>tervento militare <strong>in</strong> Russia e <strong>in</strong> Ungheria<br />

da parte <strong>del</strong><strong>le</strong> potenze occidentali. Questa manifestazione dimostrativa era stata<br />

decisa il 27 giugno da una conferenza <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong> dei rappresentanti dei partiti<br />

socialisti e dei s<strong>in</strong>dacati di questi paesi, tenuta a Southport <strong>in</strong> Inghilterra. Ciascun<br />

paese doveva svolgere la propria manifestazione 'seguendo <strong>le</strong> forme che saranno più<br />

adatte al<strong>le</strong> circostanze e ai metodi di lotta di ciascun paese' (19); ciò significava che i<br />

lavoratori <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si sarebbero rimasti come sempre nei limiti <strong>del</strong>la <strong>le</strong>gge; i francesi,<br />

ammesso che C<strong>le</strong>menceau glielo permettesse, avrebbero tenuto dei comizi con dei<br />

discorsi tuonanti; e gli italiani erano liberi di provare 'il grande giorno.' I più zelanti<br />

nella preparazione <strong>del</strong>la manifestazione furono proprio i massimalisti italiani, cioè i<br />

cittad<strong>in</strong>i di un paese, il cui governo non aveva nessuna <strong>in</strong>tenzione di <strong>in</strong>tervenire né <strong>in</strong><br />

Russia né <strong>in</strong> Ungheria, mentre sia la Gran Bretagna che la Francia erano<br />

effettivamente <strong>in</strong>tervenute <strong>in</strong> Russia. Quando nei giorni dei tumulti annonari i<br />

massimalisti annunciarono che il 'gran giorno' non era ancora arrivato ma che era<br />

imm<strong>in</strong>ente, pensarono subito alla manifestazione decisa a Southport. In una nuova<br />

riunione che si tenne a Parigi il 4 luglio, i <strong>le</strong>aders <strong>del</strong>la Confederazione <strong>del</strong> lavoro<br />

italiana e francese decisero che la manifestazione si svolgesse sotto forma di sciopero<br />

genera<strong>le</strong> il lunedì 21 luglio; ma i massimalisti, che controllavano il partito socialista<br />

italiano, non furono d'accordo per un giorno solo, e decisero che <strong>in</strong> Italia lo sciopero<br />

genera<strong>le</strong> durasse almeno due giorni, cioè dalla domenica 20 luglio al lunedì 21, come<br />

se la gente non si rendesse conto che uno sciopero genera<strong>le</strong> di domenica era una<br />

fanfaronata pueri<strong>le</strong>. I capi <strong>del</strong>la Confederazione genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> lavoro non ebbero il<br />

coraggio di opporsi a questo nuovo eccesso di follia; non solo accora sentirono a<br />

proclamare che lo sciopero doveva essere 'una prima e so<strong>le</strong>nne mobilitazione <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

forze pro<strong>le</strong>tarie <strong>in</strong>ternazionali' (20), ma anche che i francesi avrebbero partecipato<br />

allo sciopero, che gli <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si non avrebbero scioperato ma 'manifesteranno <strong>del</strong> pari il<br />

proposito di ricorrere all'uso <strong>del</strong>la loro potente azione diretta s<strong>in</strong>daca<strong>le</strong>,' se se ne fosse<br />

presentata la necessità, e che svizzeri, olandesi, svedesi e danesi 'si uniranno al<br />

genera<strong>le</strong> movimento'; <strong>in</strong> tal modo 'si <strong>in</strong>izia nel mondo l'azione <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong> <strong>del</strong>


pro<strong>le</strong>tariato contro gli <strong>in</strong>teressi <strong>del</strong> capitalismo' (21). L'<strong>org</strong>anizzazione naziona<strong>le</strong> dei<br />

ferrovieri e quella dei poste<strong>le</strong>grafonici promisero che avrebbero aderito allo sciopero.<br />

Era questo un dato <strong>del</strong> tutto nuovo di cui non era possibi<strong>le</strong> prevedere <strong>le</strong> conseguenze.<br />

Era davvero imm<strong>in</strong>ente lo scadere <strong>del</strong>la 'grande ora'?<br />

Ma la 'grande ora' non scoppiò neppure questa volta. I <strong>le</strong>aders <strong>del</strong>la Confederazione<br />

<strong>del</strong> lavoro, dopo essersi uniti ai massimalisti nell'<strong>org</strong>anizzare il "bluff" di uno sciopero<br />

di due giorni che <strong>in</strong> realtà era solo di un giorno, rammentarono ai loro iscritti che lo<br />

sciopero doveva essere 'calmo e tranquillo,' che doveva avere 'soltanto valore di<br />

affermazione e nulla più' e qu<strong>in</strong>di 'nessun carattere rivoluzionario e nessun trionfo di<br />

idee massimaliste, la cui realizzazione è follia sperare ora <strong>in</strong> Italia' e che non si<br />

sarebbe permesso agli 'e<strong>le</strong>menti più estremi' di prolungare lo sciopero (22). La stessa<br />

direzione naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito socialista esortò tutti i compagni a 'non accettare<br />

provocazioni di sorta,' '<strong>in</strong>frenare <strong>le</strong> generose impazienze che, <strong>in</strong> questa ora, non<br />

potrebbero avere che <strong>in</strong>feconde e tragiche conseguenze,' e contentarsi al pensiero<br />

che lo sciopero sarebbe servito a difendere '<strong>le</strong> possibilità rivoluzionarie <strong>in</strong> tutta Europa<br />

e specialmente <strong>in</strong> Italia...' (23). Una nuova doccia fredda cadde sulla testa degli<br />

estremisti quando l'esecutivo naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> s<strong>in</strong>dacato ferrovieri revocò la decisione di<br />

partecipare allo sciopero, senza dare di questo <strong>in</strong>aspettato cambiamento nessuna<br />

ragione precisa; e il colpo f<strong>in</strong>a<strong>le</strong> giunse dalla Confederazione genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> lavoro<br />

francese, che il 19 luglio 'sospese' lo sciopero. La 'manifestazione genera<strong>le</strong>' <strong>del</strong> 20 e<br />

21 luglio si ridusse così a una serie di scioperi s<strong>le</strong>gati e <strong>in</strong>concludenti, e qua e là ad<br />

alcuni atti di vio<strong>le</strong>nza. Lo sciopero fallì specialmente tra i ferrovieri e tra i<br />

poste<strong>le</strong>grafonici. Tutto questo non impedì al comunista Bombacci (che più tardi si<br />

mise al servizio <strong>del</strong> governo fascista) di annunciare 'la vittoria imm<strong>in</strong>ente <strong>del</strong><br />

pro<strong>le</strong>tariato' (24).<br />

Chi trasse profitto dalla 'manifestazione genera<strong>le</strong>' fu Nitti. Avendo fronteggiato<br />

saldamente anche questo tempora<strong>le</strong>, il 22 luglio alla Camera fu salutato con applausi,<br />

e <strong>in</strong>oltre al Senato, che era composto nella sua grande maggioranza di vecchi<br />

conservatori, ricevette un voto di fiducia da tutti i 102 senatori presenti, il 26 luglio,<br />

tra applausi cont<strong>in</strong>ui ed entusiastici.<br />

I moti per il caro-viveri dei primi dieci giorni di luglio, e lo sfortunato sciopero<br />

genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> 20 e <strong>del</strong> 21 lasciarono la classe lavoratrice con un senso di <strong>del</strong>usione e di<br />

stanchezza; <strong>in</strong> quel mese svanirono molte speranze e molti entusiasmi. Avendo<br />

sprecato la loro forza <strong>in</strong> questi movimenti, i lavoratori si trovarono nella posizione di<br />

non poter fare nessuna protesta quando sarebbe stato il momento buono. La<br />

domenica 3 agosto 1919, a Trieste, 1600 ragazzi e ragazze i cui genitori erano iscritti<br />

ai s<strong>in</strong>dacati socialisti, fecero una gita <strong>in</strong> campagna. La sera, facendo ritorno <strong>in</strong> città, il<br />

corteo fu fermato da un gruppo di poliziotti che vo<strong>le</strong>vano impedir loro di proseguire;<br />

ne nacque una confusione. Uom<strong>in</strong>i e donne protestavano, gridavano, lanciavano<br />

<strong>in</strong>sulti; i bamb<strong>in</strong>i piangevano. Per <strong>in</strong>timidire la folla, la polizia com<strong>in</strong>ciò a sparare <strong>in</strong><br />

aria. Non vi fu nessun ferito. La matt<strong>in</strong>a dopo scoppiò uno sciopero genera<strong>le</strong> di<br />

protesta. Nel pomeriggio, <strong>in</strong> una riunione alla Camera <strong>del</strong> lavoro, i capi dei s<strong>in</strong>dacati<br />

decisero di far cessare lo sciopero il giorno dopo. All'uscita dalla riunione vennero tutti<br />

arrestati: erano 430. Subito dopo la Camera <strong>del</strong> lavoro venne <strong>in</strong>vasa da nazionalisti,<br />

'arditi' e ufficiali <strong>in</strong> divisa, e saccheggiata. La stessa sorte toccò ai magazz<strong>in</strong>i e al<strong>le</strong><br />

biblioteche <strong>del</strong><strong>le</strong> cooperative e agli edifici <strong>del</strong><strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> e <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni slave. Se<br />

fosse realmente esistito un 'pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario,' questi atti di vio<strong>le</strong>nza<br />

avrebbero provocato immediatamente una rivoluzione a Trieste e <strong>in</strong> Italia; <strong>in</strong>vece i<br />

<strong>le</strong>aders massimalisti <strong>del</strong> socialismo triest<strong>in</strong>o, che erano stati rilasciati, si sforzarono<br />

per cercar di persuadere i lavoratori a cessare lo sciopero, dato che la sua<br />

cont<strong>in</strong>uazione avrebbe provocato ogni genere di rappresaglia. Sebbene a mal<strong>in</strong>cuore e<br />

con <strong>le</strong>ntezza, i lavoratori obbedirono (25). Nel resto d'Italia non si <strong>le</strong>vò nessuna<br />

protesta.


Alcune settimane più tardi, nel settembre, al congresso naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito<br />

socialista, Filippo Turati rivolgeva ai suoi compagni il seguente avvertimento:<br />

«Quando troveranno uti<strong>le</strong> prenderci sul serio, il nostro appello alla vio<strong>le</strong>nza sarà<br />

raccolto dai nostri nemici, cento volte meglio armati di noi (...). Parlare poi di vio<strong>le</strong>nza<br />

cont<strong>in</strong>uamente per r<strong>in</strong>viarla sempre a l'<strong>in</strong>domani è (...) la cosa più assurda di questo<br />

mondo. Ciò non serve che ad armare, a suscitare, a giustificare anzi la vio<strong>le</strong>nza<br />

avversaria, mil<strong>le</strong> volte più forte <strong>del</strong>la nostra» (26).<br />

I massimalisti e gli spartachisti italiani non ebbero l'<strong>in</strong>telligenza necessaria per<br />

comprendere questi avvertimenti. Niente riuscì a scuoterli dalla loro certezza che il<br />

'pro<strong>le</strong>tariato' fosse là, pronto a s<strong>org</strong>ere, e che quando sarebbe scoccata la 'grande<br />

ora' niente avrebbe potuto resistere lungo la via <strong>del</strong> suo trionfo.<br />

OSSERVAZIONI AL CAPITOLO TREDICESIMO.<br />

Va<strong>le</strong> la pena di riportare <strong>le</strong> accuse che Luigi Villari muove contro Nitti, a proposito dei<br />

tumulti annonari <strong>del</strong> luglio 1919, perché esse danno una perfetta idea <strong>del</strong> punto di<br />

vista nazionalista.<br />

«Il governo non fece assolutamente niente per fermare i disord<strong>in</strong>i; e <strong>in</strong>fatti <strong>le</strong> autorità<br />

ricevettero istruzioni di non prendere nessun provvedimento energico. (...) I nemici di<br />

Nitti dichiararono che <strong>in</strong> realtà questi moti erano promossi dal governo, il qua<strong>le</strong>,<br />

<strong>in</strong>capace di ridurre il costo <strong>del</strong>la vita e di impedirne un ulteriore aumento con i mezzi<br />

<strong>le</strong>gali, nella sua ignoranza <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>le</strong>ggi economiche giudicò opportuno affidarne il<br />

compito all'azione <strong>del</strong>la piazza. Fu anche detto e fermamente creduto che Nitti guardò<br />

i disord<strong>in</strong>i con soddisfazione, sperando che essi terrorizzassero la b<strong>org</strong>hesia e la<br />

sp<strong>in</strong>gessero ad appoggiare il suo governo, come l'unico baluardo contro la vera<br />

rivoluzione. Questo punto di vista probabilmente (!) è una esagerazione, ma non c'è<br />

dubbio (!) che Nitti <strong>in</strong>coraggiò e f<strong>in</strong>o a un certo punto giustificò (?) i disord<strong>in</strong>i, dopo<br />

che questi ebbero <strong>in</strong>izio. (...) Anche se questa conv<strong>in</strong>zione fosse (!) <strong>in</strong>fondata, il solo<br />

fatto che essa era largamente diffusa costituisce una grave (!) accusa contro la<br />

politica di Nitti» (1).<br />

Villari dà 'largamente diffusa' la conv<strong>in</strong>zione che i suoi amici politici cercavano di<br />

diffondere; <strong>in</strong>oltre si dà cura di ignorare i seguenti fatti:<br />

1) Nel luglio 1919, Nitti non fece né più né meno quello che aveva fatto Orlando<br />

poche settimane prima, quando i tumulti annonari erano avvenuti a La Spezia e nel<strong>le</strong><br />

città vic<strong>in</strong>e.<br />

2) I disord<strong>in</strong>i non furono <strong>in</strong>coraggiati da Nitti, ma dai nazionalisti, dai fascisti e dai<br />

seguaci di Orlando e di Sonn<strong>in</strong>o.<br />

3) Nel luglio 1919, il Senato, ultraconservatore, dette a Nitti un voto di fiducia<br />

unanime, malgrado il chiasso che stavano facendo i nazionalisti, i fascisti e i seguaci<br />

di Orlando e di Sonn<strong>in</strong>o.


CAPITOLO QUATTORDICESIMO.<br />

'LA TERRA AI CONTADINI' E D'ANNUNZIO A FIUME.<br />

Si parlò molto <strong>del</strong>la necessità di una nuova costituzione politica al posto <strong>del</strong>lo Statuto,<br />

che risaliva a 1848; ma nessun progetto raccolse mai l'appoggio concorde di un<br />

movimento di importanza naziona<strong>le</strong>.<br />

I massimalisti e gli spartachisti si erano <strong>in</strong>caricati di <strong>in</strong>trodurre <strong>in</strong> Italia l'istituto russo<br />

<strong>del</strong> soviet. L'esecutivo naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito socialista affidò al compagno Bombacci,<br />

un maestro e<strong>le</strong>mentare che più tardi doveva passare al <strong>fascismo</strong>, il compito di<br />

tracciare un piano, che servisse come base di discussione per il partito e al qua<strong>le</strong> lo<br />

stesso esecutivo naziona<strong>le</strong> avrebbe poi dato forma def<strong>in</strong>itiva. Il compagno Bombacci<br />

presentò il suo piano nel gennaio <strong>del</strong> 1920. In ogni città, paese e villaggio si<br />

sarebbero dovuti creare immediatamente soviet locali, o 'Consigli dei lavoratori:<br />

operai contad<strong>in</strong>i.' Una: 'istituzione naziona<strong>le</strong>' formata dai consigli centrali degli operai<br />

e dei contad<strong>in</strong>i doveva guidare i soviet locali nella loro lotta 'contro il regime b<strong>org</strong>hese<br />

e la sua falsa illusione democratica: il parlamentarismo.' I soviet centrali, così come i<br />

soviet locali, dovevano agire sotto la 'stretta vigilanza' <strong>del</strong>la 'avanguardia pro<strong>le</strong>taria'<br />

cioè di commissari nom<strong>in</strong>ati dal partito socialista, i quali dovevano aver cura che<br />

'uom<strong>in</strong>i effettivamente <strong>le</strong>gati con la classe lavoratrice' diventassero membri dei<br />

consigli, e impedissero che 'la b<strong>org</strong>hesia potesse <strong>in</strong>sidiare la libera espressione <strong>del</strong>la<br />

volontà <strong>del</strong><strong>le</strong> classi lavoratrici.' I soviet locali e centrali dovevano prepararsi ad<br />

assumere la direzione suprema 'per la regolarizzazione di tutto il comp<strong>le</strong>sso dei<br />

rapporti economici, sociali e politici <strong>in</strong>terni ed esterni,' e per <strong>in</strong>staurare la dittatura <strong>del</strong><br />

pro<strong>le</strong>tariato e compiere la rivoluzione socia<strong>le</strong>. Questo capolavoro di idiozia fu<br />

pubblicato nell'"Avanti!" <strong>del</strong> 23 gennaio 1920, e fu il pr<strong>in</strong>cipio e la f<strong>in</strong>e dei soviet<br />

italiani locali e centrali. Il piano non fu discusso da nessuno, né l'esecutivo naziona<strong>le</strong><br />

trovò il tempo di dargli forma def<strong>in</strong>itiva, e il regime b<strong>org</strong>hese tirò avanti meglio che<br />

poteva.<br />

Coscienziosamente, i repubblicani cont<strong>in</strong>uarono a ripetere il loro vecchio grido di<br />

battaglia <strong>del</strong>l'assemb<strong>le</strong>a costituente, e con lo stesso grido di battaglia i fascisti fecero<br />

il maggior chiasso possibi<strong>le</strong>, e vi furono dei momenti <strong>in</strong> cui pers<strong>in</strong>o i nazionalisti<br />

sperarono di spaventare il Re unendosi ai repubblicani e ai fascisti nel chiedere<br />

l'assemb<strong>le</strong>a costituente (1). Ma era faci<strong>le</strong> rispondere che la Camera dei deputati<br />

poteva sempre riformare lo Statuto, nei suoi punti non essenziali col Senato e col Re,<br />

e ogni volta che <strong>le</strong> riforme fossero sostenute nel paese da un movimento di op<strong>in</strong>ione<br />

abbastanza vasto, ta<strong>le</strong> accordo non sarebbe mai mancato. Se <strong>in</strong>vece i repubblicani<br />

<strong>in</strong>tendevano abolire <strong>le</strong> istituzioni monarchiche e proclamare la repubblica, non<br />

potevano aspettarsi che il Re e i suoi seguaci si arrendessero senza combattere;<br />

prima avrebbe dovuto trionfare una rivoluzione repubblicana, e poi sarebbe sorta la<br />

necessità di una assemb<strong>le</strong>a costituente. Senza dubbio massimalisti e spartachisti<br />

erano favorevoli alla repubblica, ma non avrebbero mai cooperato, neppure per<br />

amore <strong>del</strong>la rivoluzione, con i repubblicani, che avevano commesso la colpa<br />

<strong>in</strong>cancellabi<strong>le</strong> di sostenere la guerra. Inoltre, essi vo<strong>le</strong>vano qualcosa di più che una<br />

semplice rivoluzione politica per la repubblica; vo<strong>le</strong>vano una rivoluzione socia<strong>le</strong> e la<br />

dittatura <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato; questa dittatura comprendeva la repubblica, come il tutto<br />

comprende <strong>le</strong> sue parti; ma non erano preparati a preoccuparsi <strong>del</strong><strong>le</strong> parti, quando il<br />

tutto era per loro a portata di mano. Solo gli anarchici erano pronti a partecipare ad<br />

una rivoluzione repubblicana; loro <strong>in</strong>tenzione era di unirsi a qualsiasi movimento<br />

rivoluzionario di ogni tipo, propagarlo, elim<strong>in</strong>are al momento buono i loro al<strong>le</strong>ati, e<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>e arrivare al tota<strong>le</strong> rovesciamento di tutte <strong>le</strong> forme di governo di qualsiasi specie.<br />

Ma dato che non accettavano nessuna costituzione, non avevano <strong>in</strong>teresse <strong>in</strong> nessuna


iforma costituziona<strong>le</strong>, e <strong>in</strong> ogni modo la loro <strong>in</strong>fluenza era sensibi<strong>le</strong> solo <strong>in</strong> alcune<br />

zone limitate <strong>del</strong>l'Italia centra<strong>le</strong>. Così, i repubblicani e i fascisti non poterono mai<br />

<strong>in</strong>staurare la repubblica; proprio il fatto che essi non abbiano mai osato sostenere<br />

apertamente la repubblica, ma abbiano preso la strada traversa <strong>del</strong>l'assemb<strong>le</strong>a<br />

costituente, dimostra che il loro grido di battaglia non sol<strong>le</strong>vava larghi consensi.<br />

Un abbozzo di schema di riforma costituziona<strong>le</strong> fu tracciato dalla Confederazione<br />

genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> lavoro. Il consiglio naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> lavoro, che s<strong>in</strong>o allora era stato formato<br />

da membri di nom<strong>in</strong>a governativa, e aveva solo poteri consultori, avrebbe dovuto<br />

venire e<strong>le</strong>tto dai datori di lavoro e dai lavoratori e dotato di poteri <strong>le</strong>gislativi (2).<br />

Questo avrebbe potuto essere un primo passo verso una più <strong>in</strong>telligente divisione <strong>del</strong><br />

lavoro tra diversi <strong>org</strong>ani <strong>le</strong>gislativi, <strong>in</strong> sostituzione di un solo parlamento nel governo<br />

centra<strong>le</strong>; ma i massimalisti, che controllavano il partito socialista, non si occuparono<br />

mai di queste sciocchezze, e gli stessi <strong>le</strong>aders <strong>del</strong>la Confederazione, oberati<br />

com'erano da una cont<strong>in</strong>ua marea di grossi scioperi, non ebbero il tempo di <strong>in</strong>sistere<br />

per <strong>le</strong> riforme costituzionali.<br />

Tutto il parlare che si fece <strong>in</strong> favore di riforme costituzionali si ridusse alla<br />

sostituzione, nel<strong>le</strong> prossime e<strong>le</strong>zioni, <strong>del</strong> sistema di rappresentanza proporziona<strong>le</strong> <strong>in</strong><br />

luogo <strong>del</strong> sistema un<strong>in</strong>om<strong>in</strong>a<strong>le</strong>. La proporzione era sempre stata uno dei punti fermi<br />

dei programmi socialisti <strong>in</strong> tutti i paesi d'Europa, e da molti anni esisteva <strong>in</strong> Italia una<br />

associazione estranea ai partiti <strong>in</strong> favore <strong>del</strong>la proporziona<strong>le</strong>. Le nuove repubbliche<br />

tedesca e austriaca avevano adottato nel<strong>le</strong> loro e<strong>le</strong>zioni la proporziona<strong>le</strong> e nel 1919 la<br />

proporziona<strong>le</strong> fu accettata <strong>in</strong> Italia assai alla svelta da uom<strong>in</strong>i politici di tutte <strong>le</strong> t<strong>in</strong>te.<br />

Nel marzo si era tenuta a Roma una riunione di democratici, popolari, nazionalisti e<br />

riformisti per chiedere la proporziona<strong>le</strong>. Alcuni dei più autorevoli 'liberali,' cioè<br />

conservatori, come i senatori Tittoni e Ponti, si dichiararono <strong>in</strong> favore <strong>del</strong>la<br />

proporziona<strong>le</strong> (3); l'associazione libera<strong>le</strong>, cioè conservatrice, di Milano presentò la<br />

stessa richiesta, e altrettanto fece il congresso naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito nazionalista (4), il<br />

congresso naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito popolare (5), una riunione di quei deputati che<br />

avevano sostenuto s<strong>in</strong>o all'ultimo Orlando e Sonn<strong>in</strong>o (6), e il congresso naziona<strong>le</strong> dei<br />

combattenti. I fascisti, secondo il loro solito, fecero più baccano di tutti, su questo<br />

come su ogni altro argomento, e m<strong>in</strong>acciarono di 'impedire con ogni mezzo, anche<br />

vio<strong>le</strong>nto' che <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni generali politiche fossero fatte col vecchio sistema (7).<br />

Ognuno sosteneva la proporziona<strong>le</strong> per ragioni diverse da quel<strong>le</strong> degli altri; i<br />

democratici e i socialisti di destra rimanevano fe<strong>del</strong>i ai loro pr<strong>in</strong>cipi tradizionali; i<br />

conservatori e i nazionalisti si sentivano m<strong>in</strong>acciati dallo scontento <strong>del</strong><strong>le</strong> masse,<br />

temevano che col sistema un<strong>in</strong>om<strong>in</strong>a<strong>le</strong> non gli sarebbe riuscito di essere e<strong>le</strong>tti, e<br />

pensavano che almeno la proporziona<strong>le</strong> avrebbe garantito loro la m<strong>in</strong>oranza dei<br />

seggi; i popolari non vo<strong>le</strong>vano avere <strong>le</strong>gami e<strong>le</strong>ttorali né con i conservatori né con i<br />

democratici, e la proporziona<strong>le</strong> permetteva loro di seguire la propria strada senza<br />

compromettersi con nessuno; coloro che non avevano scopi particolari e vo<strong>le</strong>vano<br />

soltanto porre f<strong>in</strong>e a e<strong>le</strong>zioni 'manipolate' dal governo, speravano che la proporziona<strong>le</strong><br />

avrebbe reso questo scandalo più diffici<strong>le</strong>, se non impossibi<strong>le</strong>; i massimalisti e gli<br />

spartachisti non si rendevano conto che la proporziona<strong>le</strong> non era compatibi<strong>le</strong> con la<br />

'dittatura <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato,' dato che il pro<strong>le</strong>tariato non deve concedere a nessuna<br />

m<strong>in</strong>oranza 'b<strong>org</strong>hese' di godere i vantaggi di una proporziona<strong>le</strong> e bloccare <strong>in</strong> tal modo<br />

l'opera <strong>del</strong>la dittatura. In Russia, Len<strong>in</strong> non aveva mai pensato alla proporziona<strong>le</strong>, ma<br />

i suoi ammiratori italiani non avevano l'abitud<strong>in</strong>e di pensare, e non impedirono ai loro<br />

compagni di destra alla Camera di 'cooperare' con gli altri partiti nel chiedere la<br />

proporziona<strong>le</strong>. Al momento <strong>in</strong> cui andò al governo, Nitti vide che non era possibi<strong>le</strong><br />

arg<strong>in</strong>are la corrente; qu<strong>in</strong>di la riforma e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> venne approvata <strong>in</strong> agosto dal<br />

Parlamento.<br />

Col nuovo sistema, l'Italia non era più divisa <strong>in</strong> col<strong>le</strong>gi e<strong>le</strong>ttorali, ma <strong>in</strong> prov<strong>in</strong>cie,<br />

ciascuna <strong>del</strong><strong>le</strong> quali e<strong>le</strong>ggeva da c<strong>in</strong>que a venti deputati; l'e<strong>le</strong>ttore poteva scegliere


una <strong>del</strong><strong>le</strong> liste, tra quel<strong>le</strong> presentate da gruppi di non meno di trecento cittad<strong>in</strong>i, e non<br />

si trattava più di scegliere un s<strong>in</strong>golo nome tra i candidati <strong>in</strong> lizza; <strong>in</strong>oltre l'e<strong>le</strong>ttore<br />

poteva, all'<strong>in</strong>terno <strong>del</strong>la lista prescelta, dare un voto di preferenza. A ciascuna lista<br />

veniva assegnato un numero di seggi proporzionato al numero dei voti ricevuti, e<br />

all'<strong>in</strong>terno di ogni lista tali seggi venivano distribuiti ai candidati che avevano ottenuto<br />

il maggior numero di voti preferenziali.<br />

La <strong>le</strong>gge e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1912 concedeva il diritto di voto a tutti i cittad<strong>in</strong>i maschi che<br />

avevano fatto il servizio militare; dato che tutti gli italiani erano stati sotto <strong>le</strong> armi<br />

durante la guerra <strong>del</strong> 1915-18 il suffragio quasi universa<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1912 diventava adesso<br />

un suffragio universa<strong>le</strong>. Nel 1919, il diritto di voto venne esteso a coloro che avevano<br />

prestato servizio <strong>in</strong> guerra anche se non avevano raggiunto l'età di 21 anni, <strong>in</strong> tal<br />

modo 700000 giovani furono aggiunti al<strong>le</strong> liste e<strong>le</strong>ttorali. Il corpo e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> che da<br />

3.329.000 (9,28 per cento <strong>del</strong>la popolazione) era salito nel 1912 a 8.672.000 (24,2<br />

per cento <strong>del</strong>la popolazione), passò adesso a 11.915.000 (29,3 per cento <strong>del</strong>la<br />

popolazione). La estensione <strong>del</strong> diritto di voto a quei m<strong>in</strong>orenni che avevan prestato<br />

servizio <strong>in</strong> guerra fu sostenuta da Salandra. Salandra si era sempre opposto al<br />

suffragio universa<strong>le</strong>, ma adesso sperava che i giovani che tornavano dal fronte<br />

dessero voti ai nazionalisti e ai conservatori. Questa fu la sola riforma di cui prese<br />

l'<strong>in</strong>iziativa, dopo che nel novembre <strong>del</strong> 1918 aveva predetto niente meno che una<br />

rivoluzione (8).<br />

Verso la metà di agosto, mentre i partiti si preparavano per <strong>le</strong> prossime e<strong>le</strong>zioni, <strong>in</strong><br />

molte parti <strong>del</strong>la Puglia i braccianti disoccupati, o che erano <strong>in</strong> sciopero per ottenere<br />

più alti salari, com<strong>in</strong>ciarono a <strong>in</strong>vadere <strong>le</strong> terre (9). Prima <strong>del</strong>la f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> mese, i<br />

contad<strong>in</strong>i di parecchie località <strong>del</strong> Lazio, dove si trovavano i latifondi <strong>del</strong><strong>le</strong> famiglie<br />

<strong>del</strong>l'aristocrazia romana, seguirono il loro esempio; e ben presto i contad<strong>in</strong>i siciliani<br />

fecero altrettanto. La promessa <strong>del</strong>la 'terra ai contad<strong>in</strong>i' fatta e ripetuta durante la<br />

guerra stava dando i suoi frutti. Il movimento <strong>in</strong>teressò pr<strong>in</strong>cipalmente quei vasti<br />

fondi che erano coltivati a grano o tenuti a pascolo. C'era l'idea che <strong>le</strong> terre <strong>in</strong>colte o<br />

malamente coltivate dovessero essere consegnate ai lavoratori, i quali migliorandone<br />

il lavoro avrebbero <strong>in</strong>crementato la produzione. Tuttavia, <strong>in</strong> non pochi casi, i<br />

lavoratori trovarono di maggior gradimento terre già <strong>in</strong>tensamente coltivate (10). I<br />

combattenti erano alla testa <strong>del</strong> movimento. Dove erano guidati dai popolari o dai<br />

dirigenti <strong>del</strong><strong>le</strong> sezioni locali <strong>del</strong>la loro associazione naziona<strong>le</strong>, marciavano al seguito<br />

<strong>del</strong> tricolore e al canto degli <strong>in</strong>ni patriottici, dichiarandosi pronti a pagare un fitto<br />

annuo; dove erano guidati dai socialisti sventolavano bandiere rosse, suonavano canti<br />

pro<strong>le</strong>tari e non si preoccupavano di fitti. Ma di regola, i socialisti si astenevano dal<br />

sostenere questo genere di <strong>in</strong>iziative; ne sarebbe risultata la creazione di una classe<br />

più numerosa di piccoli affittuari e di piccoli proprietari, mentre i socialisti avevano<br />

come scopo la 'socializzazione di tutti i mezzi di produzione.'<br />

I soldati simpatizzavano con <strong>le</strong> occupazioni <strong>del</strong><strong>le</strong> terre dei combattenti, e <strong>in</strong> alcune<br />

località si rifiutarono di andargli contro. Se il governo avesse tentato di reprimere<br />

queste <strong>in</strong>iziative, ne sarebbero potuti s<strong>org</strong>ere gravi disord<strong>in</strong>i. Di nuovo, anche qui,<br />

Nitti ricorse alla strategia <strong>del</strong>l'esaurimento di forze. Il 2 settembre pubblicò un regio<br />

decreto che dava ai prefetti <strong>del</strong><strong>le</strong> prov<strong>in</strong>cie la potestà di autorizzare la temporanea<br />

occupazione di terre <strong>in</strong>colte o malamente coltivate da parte di associazioni contad<strong>in</strong>e;<br />

nei prossimi quattro anni una commissione di esperti e di arbitri avrebbe deciso se<br />

l'occupazione doveva rimanere permanente e qua<strong>le</strong> <strong>in</strong>dennità doveva essere<br />

corrisposta al vecchio proprietario. In tal modo <strong>le</strong> occupazioni di terre si svolsero<br />

quasi ovunque <strong>in</strong> modo pacifico e <strong>in</strong> al<strong>le</strong>gria. Solo a Corneto Tarqu<strong>in</strong>ia, nel Lazio, la<br />

folla uccise un commissario di polizia e ferì gravemente c<strong>in</strong>que carab<strong>in</strong>ieri che<br />

cercavano di resistere al movimento (11); e <strong>in</strong> Sicilia, la polizia uccise sette persone a<br />

Riesi e due a Terranova (12).


Un anno dopo, il m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>l'Agricoltura affermò che s<strong>in</strong>o al maggio <strong>del</strong> 1920 erano<br />

occupati con l'autorizzazione dei prefetti 30000 ettari di terra senza il consenso dei<br />

proprietari, di cui 14000 ettari nel Lazio, e che calcolando i numerosi casi di bonario<br />

accordo il tota<strong>le</strong> <strong>del</strong>la terra occupata si poteva fare ascendere a 10000 ettari (12 bis).<br />

Anche ammettendo che difficilmente questi accordi 'bonari' erano accordi 'liberi,'<br />

rimane il fatto che 100000 ettari rappresentavano non più <strong>del</strong>lo 0,3 per cento <strong>in</strong> un<br />

paese con una superficie coltivabi<strong>le</strong> di 26.397.600 ettari. Anche prendendo come base<br />

per il nostro confronto solo due regioni d'Italia <strong>in</strong> cui il fenomeno si presentò su scala<br />

maggiore che non nel<strong>le</strong> altre, cioè il Lazio e la Sicilia, troviamo che 100000 ettari<br />

rappresentano il 2,3 per cento dei 42640 chilometri quadrati di superficie tota<strong>le</strong> di<br />

queste due regioni. L'Italia non era la Russia. Tuttavia il diritto di proprietà era stato<br />

violato senza che il governo fosse ricorso a spargimenti di sangue per sostenerlo;<br />

perciò Nitti era accusato di essere un complice <strong>del</strong> 'bolscevismo agrario.'<br />

Questa non fu la peggiore <strong>del</strong><strong>le</strong> sue prove. Il 12 settembre, per impedire che la città<br />

di Fiume fosse lasciata al<strong>le</strong> truppe <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si e francesi, D'Annunzio, alla testa di un<br />

reggimento <strong>del</strong>l'esercito regolare e di un gruppo di 'arditi' che si erano impadroniti di<br />

fucili e autobl<strong>in</strong>de, occupò la città. Dietro di lui si precipitarono a Fiume molti giovani<br />

generosi, <strong>in</strong>tossicati dal<strong>le</strong> frenesie <strong>del</strong>la 'vittoria mutilata,' che non cercavano nessun<br />

profitto persona<strong>le</strong> e avrebbero fatto qualsiasi sacrificio pur di servire il loro idea<strong>le</strong><br />

patriottico. Ma vi si precipitarono anche una folla variop<strong>in</strong>ta di avventurieri, che<br />

all'umi<strong>le</strong> ed onesto lavoro quotidiano preferivano la spensierata vita parassitaria <strong>del</strong><br />

servizio militare, senza il rischio di una guerra vera; rivoluzionari pazzoidi, che<br />

pensavano D'Annunzio fosse un Len<strong>in</strong> occidenta<strong>le</strong>; uom<strong>in</strong>i d'affari dal passato torbido;<br />

coca<strong>in</strong>omani e prostitute. In pochi giorni D'Annunzio ebbe sotto il suo comando 15000<br />

uom<strong>in</strong>i, muniti di artiglieria, aeroplani e quattro navi da guerra. Tre generali,<br />

Maggiotto, Ceccher<strong>in</strong>i e Tamajo, passarono apertamente dalla sua parte.<br />

Si trattava a prima vista di una 'guerra privata' contro Inghilterra, Francia e Stati<br />

Uniti, capitanata da un poeta privo sia di buon senso che di senso mora<strong>le</strong>: una<br />

rievocazione medieva<strong>le</strong>, che non si concluse <strong>in</strong> tragedia solo perché nessuno fuori<br />

d'Italia la prese sul serio. Ma dietro a D'Annunzio c'erano i capi <strong>del</strong>l'esercito e <strong>del</strong>la<br />

mar<strong>in</strong>a. Per raggiungere Fiume, D'Annunzio aveva dovuto attraversare l'Istria, che<br />

era sotto il controllo <strong>del</strong><strong>le</strong> autorità militari italiane; queste sapevano <strong>in</strong> anticipo quanto<br />

D'Annunzio stava preparando, ma lasciarono che proseguisse <strong>in</strong>disturbato,<br />

pretendendo di non averlo potuto fermare.<br />

Lo storico fascista Gioacch<strong>in</strong>o Volpe rivolge molte lodi al regime italiano prefascista,<br />

per aver saputo creare un esercito che era 'ord<strong>in</strong>ato, fe<strong>del</strong>issimo strumento <strong>del</strong>la<br />

nazione.' 'Politica e fazioni, pronunciamenti e vel<strong>le</strong>ità dittatoriali furono f<strong>in</strong> dagli <strong>in</strong>izi<br />

cosa remotissima <strong>del</strong>l'esercito italiano' (13). Nel 1919, questa tradizione venne a<br />

f<strong>in</strong>ire. Ufficiali <strong>del</strong>l'esercito e <strong>del</strong>la mar<strong>in</strong>a, <strong>le</strong>gati dal loro giuramento di fe<strong>del</strong>tà al Re,<br />

disertarono i loro posti, si unirono a D'Annunzio a Fiume, e prestarono pubblicamente<br />

un giuramento che li v<strong>in</strong>colava a disobbedire al loro Re. A Fiume i '<strong>le</strong>gionari' di<br />

D'Annunzio cantavano un <strong>in</strong>no 'ufficia<strong>le</strong>' <strong>in</strong> cui si m<strong>in</strong>acciava di andare da Fiume 'a<br />

Roma,' a 'gettar <strong>le</strong> bombe sul nuovo Parlamento,' a fare pulizia 'entro a Palazzo<br />

Braschi' e a far la festa a 'Cagoja' (14).<br />

Il ben noto storico Guglielmo Ferrero, <strong>in</strong> un articolo <strong>del</strong> 27 settembre 1919, mettendo<br />

<strong>in</strong> rilievo che a Fiume D'Annunzio era circondato da 'frammenti <strong>del</strong>l'esercito, che<br />

hanno cessato di obbedire alla <strong>le</strong>gge,' sottol<strong>in</strong>eava i pericoli impliciti nella situazione:<br />

«S<strong>in</strong>ora l'Europa pareva m<strong>in</strong>acciata dalla rivoluzione russa. L'Italia è il primo dei paesi<br />

vittoriosi che, da una settimana, si trova tra due fuochi: la rivoluzione rossa e la<br />

rivoluzione bianca. C'è chi lavora a fare <strong>del</strong>l'esercito un ariete da guerre civili. (...) Io<br />

credo che (...) l'Italia sia tra i paesi d'Europa quello che ha meno da temere la


ivoluzione rossa. (...) Ma se l'esempio di spezzare <strong>le</strong> tavo<strong>le</strong> <strong>del</strong>la <strong>le</strong>gge viene<br />

dall'alto! Da quei ceti e da quei partiti che hanno maggior dovere di rispettar<strong>le</strong>?» (15).<br />

Il significato di questi presagi doveva venire alla luce nei tre anni seguenti. La stessa<br />

cricca di ufficiali superiori e uom<strong>in</strong>i politici che nel 1919 favorì D'Annunzio, doveva<br />

favorire Mussol<strong>in</strong>i nel 1921 e nel 1922: la 'marcia su Fiume' <strong>del</strong> 1919 fu il precedente<br />

<strong>del</strong>la 'marcia su Roma' <strong>del</strong> 1922.<br />

A Fiume <strong>le</strong> scorte che erano state una volta di proprietà <strong>del</strong> governo austriaco e che<br />

alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la guerra erano ammassate nei magazz<strong>in</strong>i militari, caddero nel<strong>le</strong> mani dei<br />

'cortigiani' di D'Annunzio. In una città di 39000 abitanti, di cui 15000 slavi, tremila<br />

cittad<strong>in</strong>i italiani di Fiume divennero impiegati <strong>del</strong> 'governo'; questi tremila 'impiegati<br />

governativi' reclamavano a gran voce l'annessione <strong>del</strong>la città all'Italia, dato che con <strong>le</strong><br />

sue so<strong>le</strong> risorse la città non sarebbe stata <strong>in</strong> grado di mantenerli, mentre l'annessione<br />

avrebbe caricato i loro stipendi sul<strong>le</strong> spal<strong>le</strong> dei contribuenti italiani.<br />

Durante i qu<strong>in</strong>dici mesi <strong>in</strong> cui Fiume rimase sotto il controllo di D'Annunzio, questi<br />

tremila impiegati e tutti coloro che piombavano a Fiume da ogni parte d'Italia<br />

formarono il così detto 'Partito italiano' di Fiume. Da parte sua D'Annunzio aveva<br />

fondato uno stato totalitario, e un solo partito aveva diritto di esistenza, quello di<br />

D'Annunzio. Nell'ottobre vi fu un 'p<strong>le</strong>biscito' talmente truccato, che <strong>in</strong> una città dove si<br />

trovavano 15000 slavi ostili a D'Annunzio egli raccolse la 'unanimità' dei voti. Quando<br />

nel dicembre ci mancò poco che un altro 'p<strong>le</strong>biscito' rivelasse a D'Annunzio che la<br />

popolazione era stanca di lui, gli 'arditi' si impossessarono <strong>del</strong><strong>le</strong> urne e impedirono il<br />

conto dei voti. Nella città fu decretata la pena di morte immediata per tutti coloro 'che<br />

professavano sentimenti ostili a Fiume.' La pratica di costr<strong>in</strong>gere chi portava nel cuore<br />

sentimenti impuri a bere l'olio di ric<strong>in</strong>o, fu <strong>in</strong>ventata dai '<strong>le</strong>gionari' di D'Annunzio a<br />

Fiume. Il fez, la camicia nera, il pugna<strong>le</strong>, e la mazza ferrata, erano stati durante la<br />

guerra l'armamento dist<strong>in</strong>tivo degli 'arditi,' e dagli 'arditi' furono importati a Fiume;<br />

sostituirono soltanto la crude<strong>le</strong> mazza ferrata con un più genti<strong>le</strong> manganello. La<br />

canzone 'Giov<strong>in</strong>ezza' e il cosiddetto saluto romano, fatto sol<strong>le</strong>vando per aria la mano<br />

destra (16), erano durante la guerra la canzone e il saluto degli 'arditi' e furono<br />

adottati a Fiume. Le adunate all'aria aperta, nel<strong>le</strong> quali il capo pone <strong>del</strong><strong>le</strong> domande e<br />

la folla, alzando la mano destra, grida 'Sì' o quanto altro è stato prefabbricato, furono<br />

usate da D'Annunzio a Fiume. La città anticipò s<strong>in</strong>o al più piccolo particolare tutto<br />

quanto doveva accadere <strong>in</strong> Italia dopo la conquista fascista.<br />

Coloro che maggiormente trassero profitto dal colpo di mano di D'Annunzio furono i<br />

socialisti. Essi poterono affermare che era imm<strong>in</strong>ente un'altra guerra, una guerra di<br />

cui D'Annunzio aveva dato il segna<strong>le</strong> con l'occupazione di Fiume. Molti che<br />

com<strong>in</strong>ciavano a essere stanchi dei disord<strong>in</strong>i <strong>in</strong>concludenti provocati dai socialisti,<br />

furono adesso costretti a scegliere tra questi disord<strong>in</strong>i e una nuova guerra, da cui<br />

certamente sarebbe scaturita una dittatura militare. Pensarono che i socialisti eran<br />

meno pericolosi dei capi <strong>del</strong>l'esercito. D'Annunzio, non soltanto alimentò lo spirito di<br />

sedizione nell'esercito e rese impossibi<strong>le</strong> al governo civi<strong>le</strong> di servirsi <strong>del</strong><strong>le</strong> forze militari<br />

per il mantenimento <strong>del</strong>l'ord<strong>in</strong>e, ma <strong>in</strong>crementò anche nella popolazione civi<strong>le</strong> la<br />

<strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>e <strong>del</strong> sospetto, <strong>del</strong>lo scontento e <strong>del</strong>l'isterismo.<br />

Pochi giorni dopo la spedizione di D'Annunzio a Fiume, ai primi di ottobre, si tenne a<br />

Bologna il congresso naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito socialista. L'ala destra, guidata da Turati,<br />

sostenne che si doveva rimaner fe<strong>del</strong>i alla tradizione <strong>del</strong> partito, e partecipare sia alla<br />

prossima campagna e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> che ai lavori <strong>del</strong>la futura Camera, avendo di mira di<br />

strappare al governo il maggior numero possibi<strong>le</strong> di riforme immediate, che servissero<br />

al<strong>le</strong> classi lavoratrici. I massimalisti sostennero che la rivoluzione socia<strong>le</strong> doveva farla<br />

f<strong>in</strong>ita col Parlamento e con tutti gli altri istituti b<strong>org</strong>hesi, ma che il partito socialista<br />

doveva partecipare alla campagna e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> per aumentare la <strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>e<br />

rivoluzionaria; i deputati socialisti dovevano andare al Parlamento per sabotare


dall'<strong>in</strong>terno questo 'istituto b<strong>org</strong>hese,' e affrettare <strong>in</strong> tal modo quell'ora <strong>in</strong> cui il<br />

'pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario' avrebbe costruito la repubblica dei soviet. Gli spartachisti<br />

sostennero che un 'pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario' si doveva astenere dal<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni e<br />

provocare senza ritardo la rivoluzione socia<strong>le</strong> secondo il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>la Russia<br />

sovietica. La destra socialista raccolse 14880 voti, i massimalisti 48411, e gli<br />

spartachisti 3417.<br />

Durante la campagna e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>, gli spartachisti non presentarono nessun candidato,<br />

ma si unirono con i massimalisti per disturbare i comizi degli altri candidati, e dare<br />

una idea, con <strong>le</strong> loro grida, di quello che pensavano dovesse essere la dittatura <strong>del</strong><br />

pro<strong>le</strong>tariato.<br />

Mussol<strong>in</strong>i non si limitò a gridare. A Milano e nel<strong>le</strong> città vic<strong>in</strong>e, durante la campagna<br />

e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> comparvero gruppi di uom<strong>in</strong>i armati, pagati trenta lire al giorno, e pronti a<br />

combattere i socialisti non solo con gli urli ma con <strong>le</strong> revolverate (17). Mussol<strong>in</strong>i prese<br />

i fondi necessari per mantenere questi uom<strong>in</strong>i dalla somma di un milione di lire, che<br />

era stata raccolta tra gli italiani negli Stati Uniti, perché tramite Mussol<strong>in</strong>i venisse<br />

<strong>in</strong>viata a D'Annunzio. Mussol<strong>in</strong>i trattenne per sé 480000 lire, e mandò il resto a<br />

D'Annunzio. Questi <strong>in</strong> vita sua non aveva mai avuto troppi scrupoli <strong>in</strong> fatto di soldi,<br />

ma <strong>in</strong> questa occasione si mostrò scandalizzatissimo <strong>del</strong>la operazione f<strong>in</strong>anziaria<br />

condotta da Mussol<strong>in</strong>i senza il suo permesso (18).<br />

Il 13 novembre 1919, a Lodi, gli uom<strong>in</strong>i di Mussol<strong>in</strong>i per rappresaglia contro i<br />

massimalisti che avevano <strong>in</strong>terrotto un precedente comizio, spararono dei colpi di<br />

rivoltella durante un comizio che si stava tenendo <strong>in</strong> un teatro, uccidendo tre persone<br />

e ferendone otto. I massimalisti non reagirono neppure con uno sciopero genera<strong>le</strong>; si<br />

stavano abituando a vedere uccidere i pro<strong>le</strong>tari, <strong>in</strong>tanto che la 'dittatura <strong>del</strong><br />

pro<strong>le</strong>tariato' era <strong>in</strong> camm<strong>in</strong>o.<br />

Le e<strong>le</strong>zioni furono tenute il 16 novembre. Nitti si astenne da qualsiasi <strong>in</strong>terferenza. Fu<br />

questo il primo e unico caso <strong>in</strong> Italia <strong>in</strong> cui non venne presentata nessuna denunzia<br />

contro il governo per 'manipolazioni' e<strong>le</strong>ttorali. I massimalisti e gli estremisti che<br />

avevano disturbato i comizi degli altri partiti non fecero niente nel giorno <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni<br />

per impedire la libertà di voto; i risultati qu<strong>in</strong>di rappresentarono esattamente lo stato<br />

d'animo <strong>del</strong> popolo italiano <strong>in</strong> quel momento. Di conseguenza esse furono disastrose<br />

per quei gruppi politici, 'liberali' (cioè conservatori) e democratici, che dal 1913 al<br />

1919 avevano formato alla Camera la maggioranza. Quegli e<strong>le</strong>ttori che avevano<br />

promosso o accettato la guerra, votarono contro i deputati uscenti, perché questi<br />

erano stati neutralisti o sostenitori <strong>del</strong>la guerra a mal<strong>in</strong>cuore; e coloro che erano stati<br />

contro la guerra avevano segnato nel<strong>le</strong> liste nere i deputati uscenti, perché questi non<br />

avevano mai osato votare contro la guerra e, vo<strong>le</strong>nti o no<strong>le</strong>nti, ne avevano assunto la<br />

responsabilità.<br />

Confrontando i risultati <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni <strong>del</strong> 1913 con quelli <strong>del</strong> 1919 ci si rende conto<br />

<strong>del</strong>la gravità <strong>del</strong> disastro:<br />

TABELLA.<br />

[nell'ord<strong>in</strong>e: coalizione : voti 1913 / 1919 ; seggi 1913 / 1919].<br />

1. Coalizione Giolittiana: a) 'Liberali' e Nazionalisti b) Democratici c) Radicali d)<br />

Riformisti : 3.392.000 / 1.779.000 ; a) + b) 310, c) 73, d) 27; a) 23, b) 91, c) 57, d)<br />

22.<br />

2. Combattenti: - / 320000; - / 33.<br />

3. Cattolici: 302000 / -; 29 / -.<br />

4. Popolari: - / 1.167.000; - / 100.<br />

5. Repubblicani + 6. Indipendenti: 437000 / 581000; 17 / 17 (solo <strong>in</strong>dipend.)<br />

7. Socialisti: 883000 / 1.835.000; 52 / 156.


Tota<strong>le</strong> 5.014.000 / 5.682.000; 508 / 508 (19).<br />

'Liberali,' nazionalisti e democratici, da 310 seggi scesero a 114, perdendone 196.<br />

Sonn<strong>in</strong>o non venne e<strong>le</strong>tto. Fu e<strong>le</strong>tto Salandra, e i nazionalisti ottennero a malapena<br />

mezza dozz<strong>in</strong>a di seggi, e li salvò dalla distruzione tota<strong>le</strong> la proporziona<strong>le</strong>, che fece sì<br />

che <strong>le</strong> m<strong>in</strong>oranze non venissero schiacciate sotto il peso dei partiti più forti. Bissolati<br />

fu e<strong>le</strong>tto solo grazie alla proporziona<strong>le</strong>. Con il sistema un<strong>in</strong>om<strong>in</strong>a<strong>le</strong> i socialisti<br />

nell'Italia settentriona<strong>le</strong> e centra<strong>le</strong> avrebbero conquistato molti più seggi (20); gli altri<br />

gruppi sarebbero sopravvissuti specialmente nel Mezzogiorno, e si sarebbe così creata<br />

una pericolosa lacuna tra l'Italia <strong>del</strong> Nord e quella <strong>del</strong> Sud, che fu impedita dalla<br />

proporziona<strong>le</strong> (21).<br />

Senza dubbio nei mesi di settembre, ottobre e novembre <strong>del</strong> 1919 il suffragio<br />

universa<strong>le</strong> contribuì notevolmente ad evitare più gravi disord<strong>in</strong>i. Il diritto di voto non è<br />

la fonte <strong>del</strong>la sovranità, come ripetono gli uom<strong>in</strong>i imbevuti di ideologie democratiche,<br />

e che <strong>in</strong>vece si danno gran pena di negare gli uom<strong>in</strong>i imbevuti di ideologie<br />

oligarchiche. Il diritto di voto è un mezzo, piuttosto crudo ma assai accomodante,<br />

dato ai cittad<strong>in</strong>i perché una volta ogni tanto dicano se sono o non sono soddisfatti<br />

degli uom<strong>in</strong>i che sono al governo. Se sono soddisfatti, votano per i candidati<br />

filogovernativi; se non sono soddisfatti, votano per l'opposizione. Attribuire al<strong>le</strong><br />

e<strong>le</strong>zioni un compito maggiore è un assurdo, ma questo compito è molto uti<strong>le</strong> e<br />

importante. Gli istituti e<strong>le</strong>ttorali costr<strong>in</strong>gono gli uom<strong>in</strong>i che sono al potere a badare<br />

allo scontento che la loro azione può provocare nel corpo e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>. Il suffragio<br />

universa<strong>le</strong> obbliga <strong>le</strong> classi dirigenti a stare all'erta e prendere atto di ogni s<strong>in</strong>tomo di<br />

scontento. Al tempo stesso fa sì che i cittad<strong>in</strong>i esprimano il loro scontento senza<br />

vio<strong>le</strong>nza: il voto sostituisce i proiettili. Il suffragio universa<strong>le</strong> è il miglior preventivo<br />

contro <strong>le</strong> crisi rivoluzionarie; nei periodi di crisi, una e<strong>le</strong>zione a suffragio universa<strong>le</strong> è<br />

una rivoluzione abortita. Per il governo italiano sarebbe stato molto diffici<strong>le</strong> superare<br />

la guerra se nel 1912 l'Italia non fosse diventata un paese a suffragio universa<strong>le</strong>, cioè<br />

se i propagandisti <strong>del</strong>la pace ad ogni costo avessero potuto dire al popolo che gli<br />

operai e i contad<strong>in</strong>i tedeschi ed austriaci godevano <strong>del</strong> diritto di voto, mentre gli<br />

operai e i contad<strong>in</strong>i italiani, che versavano <strong>in</strong> guerra il loro sangue, erano privi di ta<strong>le</strong><br />

diritto. Anche la crisi <strong>del</strong> 1919 sarebbe stata assai più grave, se lo scontento genera<strong>le</strong><br />

non fosse stato mitigato dalla prospettiva di fare una rivoluzione a buon mercato nel<br />

giorno <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni; molto probabilmente, se non ci fosse stata la valvola di sicurezza<br />

<strong>del</strong> suffragio universa<strong>le</strong>, <strong>le</strong> masse di operai e contad<strong>in</strong>i avrebbero fatto ricorso<br />

all'azione diretta. Nel 1919 aspettarono <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni generali, e dopo <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni,<br />

aspettarono per tutto il 1920, di vedere che cosa avrebbero fatto i nuovi deputati. In<br />

questo modo furono superati i due anni più pericolosi <strong>del</strong>la crisi <strong>del</strong> dopoguerra. Gli<br />

anarchici non avevano torto quando sostenevano che <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni acquietavano lo<br />

spirito rivoluzionario, e che qu<strong>in</strong>di i rivoluzionari autentici dovevano astenersi dal<br />

parteciparvi.<br />

La proporziona<strong>le</strong>, aggiungendosi nel 1919 al suffragio universa<strong>le</strong>, dim<strong>in</strong>uiva<br />

l'amarezza <strong>del</strong><strong>le</strong> competizioni e<strong>le</strong>ttorali. Con il sistema un<strong>in</strong>om<strong>in</strong>a<strong>le</strong>, il corpo e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong><br />

è costretto <strong>in</strong> ciascun col<strong>le</strong>gio a dividersi <strong>in</strong> non più di due fazioni, una <strong>del</strong><strong>le</strong> quali deve<br />

mettere l'altra fuori combattimento. La proporziona<strong>le</strong> permette a ciascun partito di<br />

mostrare la sua forza e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> senza venir tolto dal giuoco solo perché m<strong>in</strong>oranza.<br />

Ciascun partito si preoccupa più di aumentare i propri voti che di distruggere quelli dei<br />

suoi oppositori. Anche con la proporziona<strong>le</strong> la lotta e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> qua e là assunse forme<br />

di <strong>in</strong>timidazioni <strong>in</strong>civili a causa dei massimalisti e degli spartachisti; ma col sistema<br />

un<strong>in</strong>om<strong>in</strong>a<strong>le</strong> avrebbe degenerato <strong>in</strong> una guerra civi<strong>le</strong>.<br />

Nessuno si aspettava un ta<strong>le</strong> trionfo dei socialisti. I massimalisti videro <strong>in</strong> esso la<br />

prova che la 'grande ora' si stava avvic<strong>in</strong>ando. Se avessero avuto più cervello,


avrebbero trovato di che rif<strong>le</strong>ttere quando a Milano due degli uom<strong>in</strong>i di Mussol<strong>in</strong>i e<br />

Volpi gettarono una bomba contro un corteo socialista che festeggiava la vittoria<br />

e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>, ferendo gravemente nove persone (22). I socialisti proclamarono per il<br />

giorno dopo lo sciopero genera<strong>le</strong> di rito, e la polizia manifestò una commendevo<strong>le</strong><br />

sol<strong>le</strong>citud<strong>in</strong>e arrestando Mussol<strong>in</strong>i, Mar<strong>in</strong>etti, Vecchi, e un'altra diec<strong>in</strong>a di persone che<br />

col <strong>del</strong>itto non c'entravan niente. I giudici trovarono che contro gli imputati non<br />

c'erano prove, e con sol<strong>le</strong>citud<strong>in</strong>e altrettanto lodevo<strong>le</strong> li rilasciarono. I socialisti se ne<br />

rimasero con i loro nove feriti, il loro sciopero genera<strong>le</strong>, e la seguente sfida, lanciata<br />

loro da Mussol<strong>in</strong>i: 'Un conto è gettare una scheda nell'urna e un altro conto è gettare<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> bombe a mano agli angoli <strong>del</strong><strong>le</strong> strade, o, peggio ricever<strong>le</strong> sul grugno' (23).


CAPITOLO QUINDICESIMO.<br />

LA PARALISI PARLAMENTARE.<br />

Al momento <strong>in</strong> cui una nuova Camera entrava <strong>in</strong> funzione, la tradizione vo<strong>le</strong>va che la<br />

cerimonia di <strong>in</strong>augurazione, con l'<strong>in</strong>tervento dei deputati e dei senatori, fosse<br />

presenziata dal Re. I deputati costituzionali prestavano giuramento di fe<strong>del</strong>tà al Re e<br />

allo Statuto, e dopo aver ricevuto questo giuramento, il Re <strong>le</strong>ggeva un breve<br />

messaggio <strong>in</strong> cui non diceva niente e col qua<strong>le</strong> si chiudeva lo spettacolo. I deputati<br />

socialisti e repubblicani non avevano mai preso parte a questa cerimonia; prestavano<br />

giuramento nei giorni seguenti, col sott<strong>in</strong>teso che non vi annettevano nessuna<br />

importanza, perché la consideravano una pratica imposta da una <strong>le</strong>gge il<strong>le</strong>gittima. Nel<br />

1919, i deputati massimalisti trovarono che questo procedimento non era abbastanza<br />

rivoluzionario, e qu<strong>in</strong>di decisero di <strong>in</strong>tervenire <strong>in</strong> massa alla seduta e abbandonare <strong>in</strong><br />

massa l'aula all'<strong>in</strong>gresso <strong>del</strong> Re.<br />

Da quando il Re era salito al trono, nel 1900, non aveva mai dato segno di essere un<br />

reazionario. Gli anni ancora da venire dovevano mostrare che non era né un<br />

reazionario né un democratico; era semplicemente un uomo senza nessuna forza di<br />

volontà, che desiderava una cosa sola: qualsiasi cosa accadesse, lasciare ogni<br />

responsabilità al Parlamento e al presidente <strong>del</strong> Consiglio designato da qualsiasi<br />

maggioranza. Sceglieva per presidente <strong>del</strong> Consiglio l'uomo che era sostenuto per<br />

quella carica dalla maggioranza degli uom<strong>in</strong>i politici di maggior rilievo, con i quali,<br />

secondo <strong>le</strong> rego<strong>le</strong> <strong>del</strong> protocollo, si era consultato. Se il nuovo presidente riceveva<br />

dalla Camera un voto di fiducia, da quel momento <strong>in</strong> avanti il Re firmava sottomesso<br />

tutte <strong>le</strong> carte che il presidente gli sottometteva, s<strong>in</strong>o a quando la maggioranza <strong>del</strong>la<br />

Camera costr<strong>in</strong>geva il presidente al<strong>le</strong> dimissioni. Allora il Re sceglieva un nuovo<br />

presidente secondo la stessa procedura, e ricom<strong>in</strong>ciava la firma <strong>del</strong><strong>le</strong> carte. Va<strong>le</strong> la<br />

pena di <strong>le</strong>ggere il ritratto che di lui ha dato B<strong>org</strong>ese:<br />

«F<strong>in</strong> dalla prima ado<strong>le</strong>scenza, il suo sviluppo psicologico era stato <strong>in</strong>fluenzato dalla<br />

sua statura più piccola <strong>del</strong> norma<strong>le</strong>; essa gli <strong>in</strong>fondeva un senso di amarezza e di<br />

disagio che, provocando <strong>in</strong> lui un comp<strong>le</strong>sso di <strong>in</strong>feriorità fisica, sempre presente alla<br />

sua coscienza e agli occhi degli altri, gli aveva dato, benché egli non fosse affatto<br />

cattivo o stupido, una diffidenza e una timidezza che non poteva mai dimenticare.<br />

(...) Sarebbe bastato questo <strong>in</strong>conveniente fisico, aggiunto ai tempi difficili, per<br />

rendere il suo compito <strong>in</strong>grato. Ma per di più egli era figlio unico di un re <strong>in</strong>significante<br />

(...) e di una reg<strong>in</strong>a molto <strong>in</strong>telligente la cui popolarità nel mondo giornalistico e la cui<br />

vanità <strong>le</strong>tteraria non potevano piacere al figlio, avendo egli un'<strong>in</strong>do<strong>le</strong> fatta per tutto<br />

tranne che per la <strong>le</strong>tteratura e per la retorica. In questo ambiente, o meglio <strong>in</strong> questa<br />

solitud<strong>in</strong>e, la sua freddezza si era fatta ancora più fredda; aveva avuto un'educazione<br />

rigidissima e il precettore, che aveva il compito particolare di formare la sua mente,<br />

non dimenticò un sol giorno di ripetergli il concetto che un monarca costituziona<strong>le</strong> non<br />

ha da fare altro che obbedire al desiderio <strong>del</strong> popolo e <strong>del</strong> Parlamento, ovverosia che<br />

non deve far nulla. Suo padre, dopo un debo<strong>le</strong> tentativo reazionario nel qua<strong>le</strong> era<br />

stato trasc<strong>in</strong>ato quasi senza acc<strong>org</strong>ersene, era morto per mano di un anarchico:<br />

questa per il giovane Vittorio Emanue<strong>le</strong> fu una <strong>le</strong>zione più efficace di tutte <strong>le</strong> ore<br />

passate con l'<strong>in</strong>segnante di diritto costituziona<strong>le</strong>. La corona non gli piaceva. Egli la<br />

subì. (...) I suoi ozi erano riempiti dal più <strong>in</strong>nocuo dei passatempi, cioè la<br />

numismatica o col<strong>le</strong>zione sistematica di monete antiche. (...) Benché fosse<br />

sostanzialmente scettico, la sua condotta, nella vita di tutti i giorni, era impeccabi<strong>le</strong>.<br />

Buon marito, padre affettuoso e attento, burocrate coscienzioso, egli rappresentava<br />

l'idea<strong>le</strong> - specialmente per l'ord<strong>in</strong>e, la frugalità e la modestia - <strong>del</strong> b<strong>org</strong>hese italiano


<strong>del</strong>la sua generazione, anche se il trono era troppo alto per <strong>le</strong> sue gambe. (...) Al re<br />

non importava né la gloria né la potenza; nulla era più lontano dalla sua mente <strong>del</strong><br />

sangu<strong>in</strong>ario clamore dei poemi e dei discorsi di D'Annunzio. (...) Alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la guerra,<br />

con i capelli e i baffi comp<strong>le</strong>tamente grigi benché non avesse ancora c<strong>in</strong>quant'anni,<br />

poteva pensare di riprendere la solita vita (...) dedicando <strong>le</strong> giornate alla firma degli<br />

affari costituzionali e ai sapienti svaghi <strong>del</strong>la numismatica. Ciò che veramente gli<br />

piaceva e che lo assorbiva comp<strong>le</strong>tamente non era lo sparare ad antilopi predest<strong>in</strong>ate,<br />

né il pavoneggiarsi, su trampoli ideali, davanti a eserciti risonanti o fol<strong>le</strong> plaudenti,<br />

vanità <strong>del</strong><strong>le</strong> vanità che egli con lo spirito <strong>del</strong>l'Ecc<strong>le</strong>siaste <strong>in</strong> cuor suo disprezzava. Il<br />

compito che veramente lo <strong>in</strong>teressava era quello <strong>del</strong> padre di famiglia, il cui<br />

patrimonio ereditario era andato aumentando attraverso guerre pericolose e fortunate<br />

quanto <strong>in</strong>aspettate e temute!» (1).<br />

A partire dal giugno 1919, il Re era stato bersagliato dagli attacchi dei fascisti e dal<strong>le</strong><br />

più o meno velate m<strong>in</strong>acce dei nazionalisti, perché con la sua stolida <strong>in</strong>erzia si era<br />

opposto a tutti i progetti di colpo di stato militare. I capi militari parlavano<br />

apertamente <strong>del</strong>la necessità di sostituirlo con il Duca d'Aosta. Il "New York Times" <strong>del</strong><br />

7 dicembre 1919 pubblicava 'una fotografia di Sua Altezza Rea<strong>le</strong> la Duchessa d'Aosta,<br />

che dovrebbe diventare Reg<strong>in</strong>a d'Italia <strong>in</strong> caso di abdicazione di Re Vittorio Emanue<strong>le</strong><br />

Terzo e <strong>del</strong>la Reg<strong>in</strong>a.' Se il Re fosse stato uomo capace di un colpo di stato avrebbe<br />

risposto alla sfida dei deputati massimalisti facendoli arrestare tutti la notte prima<br />

<strong>del</strong>l'apertura <strong>del</strong>la Camera, e procedendo senza di loro all'<strong>in</strong>augurazione <strong>del</strong>la nuova<br />

Camera. I massimalisti, a loro volta avrebbero dovuto o fare appello al loro<br />

'pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario' per <strong>in</strong>iziare la loro rivoluzione nel giorno <strong>del</strong>la seduta rea<strong>le</strong><br />

recandovisi e rimanendo <strong>in</strong> aula e proclamando la loro 'repubblica dei soviet,' oppure<br />

non partecipare alla cerimonia risparmiandosi un atto volgare di scortesia. Né il Re né<br />

Nitti erano uom<strong>in</strong>i capaci di un colpo di stato, e quanto ai massimalisti erano persuasi<br />

che non spettasse a loro provocare la 'grande ora' ma al 'pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario';<br />

loro unico compito era di far baccano <strong>in</strong> attesa <strong>del</strong>la 'grande ora.' E neppure<br />

pensarono di rifiutarsi nei giorni seguenti di prestar giuramento; presentarono alla<br />

Camera un disegno di <strong>le</strong>gge per l'abolizione <strong>del</strong> giuramento, ma poi se ne scordarono<br />

<strong>del</strong> tutto tanto che non arrivò mai a essere discusso.<br />

La matt<strong>in</strong>a <strong>del</strong> 1 dicembre, lasciando il Quir<strong>in</strong>a<strong>le</strong> con il suo seguito per recarsi a,<br />

Montecitorio, il Re fu applaudito da 2000 ufficiali <strong>in</strong> divisa, compresi otto generali, che<br />

sia all'andata che al ritorno accompagnarono il corteo rea<strong>le</strong>.<br />

Chi scrive era presente alla seduta rea<strong>le</strong>. Il Re entrò nell'aula zoppicando, circondato<br />

dai pr<strong>in</strong>cipi <strong>del</strong> sangue, compreso il Duca d'Aosta, tutti molto più alti di lui e facendolo<br />

qu<strong>in</strong>di sembrare più picc<strong>in</strong>o che mai. I socialisti, <strong>in</strong> gruppo compatto, coprivano tre<br />

settori <strong>del</strong>l'estrema s<strong>in</strong>istra. I socialisti di destra, <strong>le</strong>gati dalla discipl<strong>in</strong>a di partito,<br />

erano <strong>in</strong>sieme ai massimalisti; i pochi repubblicani occupavano i seggi vic<strong>in</strong>o ai<br />

socialisti. Il Re aveva appena raggiunto il trono che i socialisti e repubblicani si<br />

alzarono tutti <strong>in</strong>sieme uscendo da una porta latera<strong>le</strong>, i massimalisti gridando 'Viva il<br />

socialismo,' mentre repubblicani e socialisti di destra si astennero da qualsiasi grido.<br />

Poco a poco, via via che uscivano, deputati e senatori degli altri partiti occuparono i<br />

loro posti. Il Re, <strong>in</strong> piedi su uno sgabello preparato davanti al suo seggio perché<br />

sembrasse meno piccolo, <strong>le</strong> mani <strong>in</strong>crociate sull'impugnatura <strong>del</strong>la spada, cercava,<br />

senza riuscirci, di assumere un'aria maestosa; i suoi occhi <strong>in</strong>certi e sbigottiti<br />

sembravan quelli di un cane uscito allora dall'acqua dopo aver corso rischio di<br />

annegare. Cessati i clamori dei deputati uscenti e gli applausi dei deputati e senatori<br />

rimasti, la cerimonia poté com<strong>in</strong>ciare e si concluse senza altri <strong>in</strong>cidenti.<br />

Dopo che il Re ebbe fatto ritorno al Quir<strong>in</strong>a<strong>le</strong>, si com<strong>in</strong>ciarono a verificare scontri tra<br />

ufficiali e socialisti. Come il solito, i socialisti, disarmati e pronti solo per gli scioperi e


per <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni, ebbero ovunque la peggio. Un deputato socialista venne ferito<br />

gravemente, e altri quattro <strong>in</strong> modo <strong>le</strong>ggero.<br />

In seguito a ciò, la direzione naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito socialista proclamò uno sciopero<br />

genera<strong>le</strong> di protesta <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato <strong>in</strong> tutta Italia 'contro l'offesa arrecata ai suoi<br />

rappresentanti (2). I <strong>le</strong>aders <strong>del</strong>la Confederazione <strong>del</strong> lavoro sottoscrissero la<br />

decisione, non perché la considerassero ragionevo<strong>le</strong>, ma perché la loro tattica<br />

consisteva nel farsi trasc<strong>in</strong>are dai massimalisti, e al tempo stesso frenarli nel loro<br />

impeto. La durata di questo sciopero non venne fissata, mentre per quello <strong>del</strong> luglio<br />

1919 si erano annunciati due giorni; questo significava che lo sciopero doveva durare<br />

quanto tempo vo<strong>le</strong>va il 'pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario,' e questo pro<strong>le</strong>tariato era<br />

autorizzato, a propria discrezione, ad affrettare nel corso <strong>del</strong>lo sciopero la 'grande<br />

ora.' Questo era quanto avevan voluto i massimalisti, e i <strong>le</strong>aders <strong>del</strong>la Confederazione<br />

si eran lasciati rimorchiare.<br />

Nei giorni 2 e 3 dicembre, lo sciopero colpì tutte <strong>le</strong> più importanti città italiane. Solo i<br />

ferrovieri fecero eccezione e si recarono al lavoro. Come il solito, gli anarchici<br />

<strong>in</strong>tervennero ovunque, provocando scontri con la polizia. Vi furono <strong>in</strong> Italia otto morti,<br />

di cui due tra la polizia, e molti feriti. Gli <strong>in</strong>cidenti più seri si ebbero a Mantova. Qui, il<br />

3 dicembre, qualche cent<strong>in</strong>aio di estremisti e di anarchici, sventolando una bandiera<br />

sulla qua<strong>le</strong> era scritto il nome di Spartaco, appiccarono il fuoco alla stazione<br />

ferroviaria, forzarono la porta <strong>del</strong><strong>le</strong> carceri liberando i prigionieri e impossessandosi<br />

dei fucili <strong>del</strong><strong>le</strong> guardie, saccheggiarono un negozio di armi e varie botteghe. Alla f<strong>in</strong>e<br />

<strong>del</strong>la giornata si contavano c<strong>in</strong>que morti, tra i quali un soldato e una donna.<br />

Ma la 'grande ora' non scoccò neppure <strong>in</strong> questa occasione. Il pomeriggio <strong>del</strong> 3<br />

dicembre, la Confederazione <strong>del</strong> lavoro ebbe il sopravvento sulla direzione <strong>del</strong> partito<br />

socialista, e <strong>in</strong>sieme <strong>in</strong>vitarono partito e s<strong>in</strong>dacati <strong>in</strong> tutta Italia a riprendere il lavoro<br />

per il giorno dopo, tenendosi però pronti 'a r<strong>in</strong>tuzzare efficacemente dovunque ogni<br />

vel<strong>le</strong>ità reazionaria dei militaristi professionali' (3). Il 4 dicembre, la Camera <strong>del</strong><br />

lavoro di Mantova condannava 'i crim<strong>in</strong>ali e ladri' autori degli <strong>in</strong>cidenti <strong>del</strong> giorno<br />

prima, ma <strong>in</strong> un nuovo scontro con la polizia gli <strong>in</strong>sorti ebbero due morti. Il 5<br />

dicembre l'agitazione era cessata ovunque; ancora una volta lo sciopero genera<strong>le</strong>, che<br />

non si sviluppava mai <strong>in</strong> un decisivo movimento rivoluzionario, si lasciò dietro un<br />

certo numero di morti e un immenso ed <strong>in</strong>uti<strong>le</strong> spreco di energia.<br />

Dopo queste giornate, 'liberali,' nazionalisti e fascisti poterono fare uso di un<br />

formidabi<strong>le</strong> motivo di propaganda contro i 'bolscevichi.' S<strong>in</strong> dall'apri<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1919 ufficiali<br />

<strong>in</strong> uniforme, violando i doveri imposti dalla discipl<strong>in</strong>a militare, avevano partecipato a<br />

molte dimostrazioni politiche, e qua e là socialisti ed anarchici erano stati malmenati<br />

da ufficiali <strong>in</strong> divisa. Ma erano fatti sporadici, ai quali non veniva data importanza<br />

alcuna. Il 1 dicembre, duemila ufficiali <strong>in</strong> uniforme parteciparono alla dimostrazione<br />

monarchica di Roma, e durante lo sciopero genera<strong>le</strong> dei giorni seguenti, <strong>in</strong> ogni parte<br />

d'Italia molti ufficiali furono aggrediti. A Tor<strong>in</strong>o, un colonnello fu ferito tanto<br />

gravemente che <strong>in</strong> seguito morì. 'Liberali,' nazionalisti e fascisti non avevano mai<br />

<strong>le</strong>vato la voce contro lo scandalo degli ufficiali che partecipavano al<strong>le</strong> dimostrazioni<br />

politiche di piazza, anzi di fatto era uno scandalo che <strong>in</strong>coraggiavano; ma adesso<br />

com<strong>in</strong>ciarono a protestare rumorosamente tutte <strong>le</strong> volte che qualche ufficia<strong>le</strong> si<br />

trovava co<strong>in</strong>volto <strong>in</strong> disgraziati <strong>in</strong>cidenti, e la loro propaganda cadde su di un terreno<br />

ferti<strong>le</strong>, grazie alla cecità di estremisti ed anarchici, che aggredivano e maltrattavano<br />

gli ufficiali anche nei casi <strong>in</strong> cui questi se ne andavano pacificamente per gli affari<br />

loro.<br />

Inutilmente cont<strong>in</strong>uarono a sognare ad occhi aperti. L'"Avanti!" <strong>del</strong> 5 dicembre<br />

scriveva:<br />

«La trasformazione psicologica <strong>del</strong><strong>le</strong> masse, alla vigilia degli <strong>in</strong>evitabili avvenimenti<br />

che la guerra ha acce<strong>le</strong>rati, si compie con rapidità ta<strong>le</strong> che noi potremmo anche


essere travolti dallo improvviso erompere dei fatti, imprevisti ed imprevedibili,<br />

dipendenti da e<strong>le</strong>menti assolutamente imponderabili.»<br />

Il giorno seguente lo stesso giorna<strong>le</strong> pubblicava una <strong>le</strong>ttera di Len<strong>in</strong>, che non aveva<br />

nessuna esperienza diretta di vita italiana, e dalla Russia era privo di notizie su<br />

quanto accadeva <strong>in</strong> Italia; e pure considerava sicure due cose:<br />

1) che i socialisti che non aderivano alla Internaziona<strong>le</strong> comunista '<strong>in</strong>gannano <strong>le</strong><br />

masse,' e sono 'uno stato maggiore senza esercito,' che i comunisti ovunque<br />

dovranno considerare nemici; e 2) che 'la dittatura <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato e il sistema<br />

sovietico hanno già v<strong>in</strong>to moralmente <strong>in</strong> tutto il mondo' una vittoria vera e def<strong>in</strong>itiva,<br />

'la qua<strong>le</strong>, nonostante tutte <strong>le</strong> difficoltà, i fiumi di sangue, nonostante il terrore bianco<br />

<strong>del</strong>la b<strong>org</strong>hesia, eccetera, si affermerà <strong>in</strong> tutti paesi <strong>del</strong> mondo' (4). Il 29 ottobre,<br />

dopo che i massimalisti avevano ottenuto vittoria al congresso di Bologna (5), Len<strong>in</strong><br />

scriveva a Serrati per congratularsi con i comunisti italiani, e approvare la loro<br />

decisione di partecipare al<strong>le</strong> prossime e<strong>le</strong>zioni. Certamente 'gli opportunisti aperti o<br />

mascherati, ed essi sono molti nel gruppo parlamentare socialista italiano,' tenteranno<br />

di far def<strong>le</strong>ttere il partito dalla l<strong>in</strong>ea comunista accettata dal congresso di Bologna: 'la<br />

lotta contro queste tendenze non è ancora f<strong>in</strong>ita.' Tuttavia, Len<strong>in</strong> aggiungeva:<br />

«Data la situazione <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'Italia, al pro<strong>le</strong>tariato <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong> spettano<br />

ancora compiti molto difficili. Può darsi che l'Inghilterra e la Francia, aiutate dalla<br />

b<strong>org</strong>hesia italiana, tenteranno di provocare il pro<strong>le</strong>tariato italiano ad una <strong>in</strong>surrezione<br />

prematura onde soffocarlo più facilmente. Ma esse non riusciranno nel loro <strong>in</strong>tento. Il<br />

meraviglioso lavoro dei comunisti italiani serve di garanzia ch'essi riusciranno a<br />

conquistare alla causa <strong>del</strong> comunismo tutto il pro<strong>le</strong>tariato <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong> ed agricolo,<br />

nonché i piccoli proprietari, ed allora - previa la scelta di un momento favorevo<strong>le</strong> dal<br />

punto di vista <strong>del</strong>la situazione <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong> - la vittoria <strong>del</strong>la dittatura <strong>del</strong><br />

pro<strong>le</strong>tariato italiano sarà def<strong>in</strong>itiva» (6).<br />

Questa <strong>le</strong>ttera era stata scritta il 29 ottobre, prima <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni italiane <strong>del</strong> 16<br />

novembre. Molto probabilmente, dopo queste e<strong>le</strong>zioni, Len<strong>in</strong> non avrebbe dato<br />

consigli di prudenza, ma piuttosto avrebbe <strong>in</strong>coraggiato i comunisti italiani ad osare di<br />

più. In ogni modo, la <strong>le</strong>ttera, pubblicata <strong>in</strong> Italia il 6 dicembre, venne considerata da<br />

tutti come una doccia fredda che Len<strong>in</strong> faceva cadere sul capo degli estremisti italiani,<br />

<strong>in</strong> quanto li consigliava di astenersi da tentativi rivoluzionari prematuri, e di<br />

conquistare prima non solo il pro<strong>le</strong>tariato <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong> e agricolo, ma anche i piccoli<br />

proprietari, ed aspettare 'il momento favorevo<strong>le</strong> dal punto di vista <strong>del</strong>la situazione<br />

<strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong>.' Serrati aveva pubblicato la <strong>le</strong>ttera di Len<strong>in</strong> il 6 dicembre perché non<br />

gli era pervenuta prima, e ogni giornalista avrebbe pubblicato una <strong>le</strong>ttera di Len<strong>in</strong><br />

qualsiasi ne fosse stato il contenuto; ma i nazionalisti sostennero che questa <strong>le</strong>ttera<br />

era un falso, che Len<strong>in</strong> non poteva aver dato un simi<strong>le</strong> consiglio, e che Serrati cercava<br />

di mettere un freno al<strong>le</strong> esaltazioni rivoluzionarie dei suoi seguaci. 'L'"Avanti!" si serve<br />

di questa <strong>le</strong>tter<strong>in</strong>a <strong>del</strong> compagno Len<strong>in</strong> perché <strong>in</strong> essa il bol<strong>le</strong>nte comunista<br />

ammonisce, (...) che non è venuto ancora il momento <strong>del</strong>la rivoluzione <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong>!<br />

Proprio il contrario di quello che, <strong>in</strong> nome di Len<strong>in</strong>, ha scritto l'"Avanti!", hanno detto i<br />

propagandisti e<strong>le</strong>ttorali, e di cui non vorrebbero con sconcia ipocrisia riconoscere i<br />

naturali effetti nella rivolta teppistica dei giorni scorsi' (7). Anche se la <strong>le</strong>ttera fosse<br />

stata falsa e creata allo scopo di calmare <strong>le</strong> masse, i nazionalisti avrebbero dovuto<br />

gioire di questa <strong>in</strong>aspettata prova di saggezza; <strong>in</strong>vece se ne dispiacquero. Avendo<br />

perduto tutte <strong>le</strong> speranze di controllare la nuova Camera per vie <strong>le</strong>gali, non avevano<br />

altra strada per conseguire i loro f<strong>in</strong>i che un colpo di stato militare, e questo non<br />

poteva venire attuato se il paese non raggiungeva un ta<strong>le</strong> stato di disord<strong>in</strong>e da non<br />

lasciare al Re altra scelta: o una rivoluzione comunista, o una dittatura militare; se<br />

adesso Len<strong>in</strong> consigliava la prudenza tutte <strong>le</strong> loro speranze sarebbero andate <strong>in</strong> fumo.


Per resistere contemporaneamente contro gli estremisti socialisti e quelli reazionari,<br />

Nitti avrebbe avuto bisogno alla Camera di una solida maggioranza; ma la nuova<br />

Camera era divisa <strong>in</strong> tre gruppi: 100 popolari, 156 socialisti, e 252 deputati che non<br />

erano né socialisti né popolari. Di quest'ultimo gruppo facevano parte 33<br />

rappresentanti dei combattenti e 17 <strong>in</strong>dipendenti. Questi non avevano una base<br />

comune: vi erano riformisti e nazionalisti, democratici e conservatori, e alcuni non<br />

eran niente; ciascuno andava per la sua strada senza avere nessun peso. I nove<br />

repubblicani avrebbero votato vo<strong>le</strong>ntieri a favore <strong>del</strong> governo, se questo fosse stato il<br />

governo di una repubblica, ed erano comunque sperduti <strong>in</strong> mezzo agli altri 508<br />

deputati. I 23 'liberali' e i nazionalisti formavano un gruppo compatto, ma non erano<br />

popolari e non avevano gran peso. Una volta elim<strong>in</strong>ate queste picco<strong>le</strong> fazioni,<br />

eterogenee ed <strong>in</strong>capaci di fondersi, dal numero dei gruppi <strong>in</strong>fluenti, rimanevano<br />

soltanto 100 popolari, 156 socialisti, e 170 tra democratici, radicali e riformisti.<br />

I popolari occupavano una posizione analoga a quella <strong>del</strong> centro cattolico <strong>in</strong><br />

Germania. Questo centro prima <strong>del</strong>la guerra era stato al<strong>le</strong>ato con i conservatori, dai<br />

quali si era distaccato durante la guerra, e formava adesso <strong>in</strong>sieme ai democratici e ai<br />

socialdemocratici (che erano analoghi ai socialisti di destra italiani) la coalizione<br />

parlamentare che era alla base <strong>del</strong>la nuova Repubblica di Weimar. Nel 1919, <strong>in</strong> Italia,<br />

né Don Sturzo né il grosso degli e<strong>le</strong>ttori popolari avrebbero permesso un'al<strong>le</strong>anza con<br />

'liberali' e nazionalisti, e anche ammesso che ciò fosse stato possibi<strong>le</strong>, questa al<strong>le</strong>anza<br />

non avrebbe fornito una base sufficiente per un nuovo gab<strong>in</strong>etto. Al<strong>le</strong>andosi con<br />

radicali, democratici e riformisti, i popolari avrebbero potuto contribuire alla<br />

formazione di un gruppo di 270 membri, cioè poco più di metà <strong>del</strong>la Camera, e<br />

resistere alla opposizione dei 156 socialisti e dei 23 'liberali' e nazionalisti. Ma una<br />

coalizione parlamentare <strong>del</strong> genere avrebbe dovuto essere compatta, e pronta ad<br />

affrontare i socialisti <strong>in</strong> modo risoluto. Invece quei democratici sopravvissuti al<br />

disastro <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni erano divisi tra seguaci di Nitti e seguaci di Giolitti. Una parte di<br />

essi si rendeva conto <strong>del</strong>la necessità di raggiungere con la Yugoslavia un<br />

compromesso sulla questione adriatica, ma un'altra parte rimaneva ciecamente<br />

ancorata al<strong>le</strong> idee di Orlando e di Sonn<strong>in</strong>o, e reclamava l'annessione <strong>del</strong>la Dalmazia e<br />

di Fiume. Gli uni sospettavano gli altri, e nessuno di loro si fidava dei popolari (8).<br />

In tali condizioni, nessuna coalizione di governo efficiente era possibi<strong>le</strong> s<strong>in</strong>o a che i<br />

156 socialisti non fossero stati disposti a cooperare. Tra questi, 50 provenivano dalla<br />

Camera precedente, ed erano stati rie<strong>le</strong>tti perché avevano sempre votato contro la<br />

guerra. Erano quasi tutti socialisti di destra, che si sarebbero uniti <strong>in</strong> appoggio a Nitti<br />

con democratici, radicali e riformisti. Ma oltre 100 dei deputati nuovi e<strong>le</strong>tti erano<br />

massimalisti; la rivoluzione russa di cui tutti parlavano ma di cui nessuno sapeva<br />

niente, ebbe su di loro uno straord<strong>in</strong>ario fasc<strong>in</strong>o. Ai loro occhi l'attività parlamentare<br />

aveva perduto qualsiasi prestigio; la presenza alla Camera di 156 deputati socialisti<br />

non avrebbe avuto comunque importanza alcuna, se essi non 'facevano la<br />

rivoluzione.' Che cosa <strong>in</strong>tendessero per 'fare la rivoluzione' non lo sapeva nessuno,<br />

ma erano tutti d'accordo che partecipare ad un governo 'b<strong>org</strong>hese' <strong>in</strong>vece di 'fare la<br />

rivoluzione' avrebbe significato tradire il pro<strong>le</strong>tariato; erano venuti alla Camera con il<br />

solo scopo di sabotare dall'<strong>in</strong>terno questo istituto 'b<strong>org</strong>hese' schiamazzando e<br />

provocando disord<strong>in</strong>i. I due settori <strong>del</strong>la Camera che essi occupavano all'estrema<br />

s<strong>in</strong>istra erano sempre una specie di gabbia di scimmie urlanti, vio<strong>le</strong>nte e volgari. I<br />

socialisti di destra avevano partecipato alla lotta e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> accanto a loro ed erano<br />

stati e<strong>le</strong>tti con loro nella stessa lista, sulla base di una opposizione <strong>in</strong>transigente verso<br />

tutti i partiti 'b<strong>org</strong>hesi,' e i loro col<strong>le</strong>ghi oltre alla direzione naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito non<br />

lasciavano loro nessuna libertà di movimento. Per trent'anni il partito socialista aveva<br />

propugnato e sostenuto la 'conquista <strong>del</strong> potere politico' attraverso una tattica<br />

e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> e parlamentare; e adesso, proprio nel momento <strong>in</strong> cui erano diventati<br />

abbastanza forti da controllare qualsiasi governo, il partito si chiudeva nella torre


d'avorio <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>transigenza rivoluzionaria, r<strong>in</strong>unciando ad ogni forma d'<strong>in</strong>fluenza sul<br />

governo.<br />

Un regime democratico può funzionare soltanto f<strong>in</strong>o a che i cittad<strong>in</strong>i sono disposti ad<br />

accettare come def<strong>in</strong>itivo il verdetto <strong>del</strong>la maggioranza, ad unirsi per e<strong>le</strong>ggere i<br />

rappresentanti la cui maggioranza formerà il governo, e ad agire secondo la <strong>le</strong>gge<br />

anche quando questa venga imposta mediante sanzioni penali. Quando non esiste una<br />

maggioranza def<strong>in</strong>ita tra i rappresentanti, i diversi gruppi devono essere pronti a<br />

raggiungere un compromesso e formare una coalizione <strong>in</strong> grado di funzionare.<br />

L'unanimità non è necessaria e neppure possibi<strong>le</strong>; ci sarà sempre chi si rifiuta di<br />

cooperare e di rispettare la <strong>le</strong>gge. Ma f<strong>in</strong>ché ci sono soltanto <strong>del</strong><strong>le</strong> picco<strong>le</strong> m<strong>in</strong>oranze il<br />

regime democratico sta <strong>in</strong> piedi. La crisi sopravviene quando queste m<strong>in</strong>oranze non<br />

sono più picco<strong>le</strong>, e quando esse si rifiutano di prestare la loro collaborazione al<br />

momento <strong>in</strong> cui questa è divenuta <strong>in</strong>dispensabi<strong>le</strong>. Ta<strong>le</strong> fu il caso <strong>del</strong>l'Italia nel 1919-<br />

1920. I massimalisti affermarono che il pro<strong>le</strong>tariato è una classe compatta impegnata<br />

<strong>in</strong> una lotta all'ultimo sangue con la classe capitalista. In attesa <strong>del</strong>l'era nuova, essi<br />

non potevano venire a un compromesso di nessuna specie con i rappresentanti politici<br />

<strong>del</strong>la classe 'capitalista.' F<strong>in</strong>tanto che il numero dei deputati socialisti era stato scarso,<br />

la loro mentalità marxista non aveva dato nessuna noia al funzionamento <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

istituzioni parlamentari. Essi esprimevano <strong>le</strong> sofferenze <strong>del</strong><strong>le</strong> masse lavoratrici e<br />

agivano utilmente come un campanello d'allarme a impedire che i partiti conservatori<br />

si addormentassero compiaciuti di sé e <strong>del</strong>la propria opera. Ma adesso i socialisti<br />

formavano quasi un terzo di una Camera <strong>in</strong> cui senza la loro collaborazione non era<br />

possibi<strong>le</strong> formare nessuna coalizione governativa; essi non erano abbastanza<br />

numerosi per formare da soli un gab<strong>in</strong>etto, e tuttavia il loro pregiudizio marxista,<br />

contrario al compromesso, proibiva loro di al<strong>le</strong>arsi con i partiti 'b<strong>org</strong>hesi' e aiutarli<br />

nella formazione di un gab<strong>in</strong>etto. Il sistema non poteva far altro che <strong>in</strong>cepparsi.<br />

La crisi si verificò al momento <strong>in</strong> cui l'atteggiamento sedizioso dei capi militari rendeva<br />

più che mai necessario un governo saldo. Quelli che non avevano ancora capito la<br />

serietà <strong>del</strong>la congiura militare dovevano capirlo il 23 novembre, quando il governo<br />

permise che i giornali pubblicassero la notizia che il 14 D'Annunzio aveva lasciato<br />

Fiume dirigendosi su una nave da guerra a Zara, capita<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Dalmazia, senza che la<br />

flotta italiana facesse niente per fermarlo, e che a Zara il vice ammiraglio Millo,<br />

governatore <strong>del</strong>la Dalmazia <strong>in</strong>viato dal governo italiano, lo aveva ricevuto con so<strong>le</strong>nni<br />

onori, dandogli pubblicamente la sua parola d'onore che non avrebbe mai<br />

abbandonato la Dalmazia. La censura aveva tenuto la notizia segreta s<strong>in</strong>o a dopo <strong>le</strong><br />

e<strong>le</strong>zioni <strong>del</strong> 19 novembre; come osservava l'"Osservatore Romano" <strong>del</strong> 23 novembre,<br />

se il governo avesse permesso la pubblicazione <strong>del</strong>la notizia prima <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni, i<br />

cosiddetti partiti patriottici sarebbero stati sconfitti <strong>in</strong> modo anche più disastroso. Alla<br />

nuova Camera, nella seduta <strong>del</strong> 21 dicembre, un deputato sol<strong>le</strong>vò la questione dei<br />

rapporti tra il governo civi<strong>le</strong> e <strong>le</strong> più alte autorità militari. Domandò se era vero che il<br />

pericolo di atti di <strong>in</strong>discipl<strong>in</strong>a nel<strong>le</strong> truppe nell'Istria fu segnalato <strong>in</strong> tempo dal governo<br />

al genera<strong>le</strong> Diaz, e nel caso che questo fatto fosse vero, perché il governo non aveva<br />

punito il genera<strong>le</strong> Diaz, che non aveva impedito l'impresa di Fiume; domandò anche<br />

perché non si erano prese <strong>del</strong><strong>le</strong> misure discipl<strong>in</strong>ari contro quei capi militari<br />

responsabili <strong>del</strong>la discipl<strong>in</strong>a di quei reggimenti ai quali appartenevano i soldati che<br />

avevano accompagnato D'Annunzio a Fiume; e perché il vice ammiraglio Millo, dopo<br />

aver dato a D'Annunzio la sua parola d'onore, era rimasto governatore <strong>del</strong>la Dalmazia<br />

<strong>in</strong>vece di venire destituito da ta<strong>le</strong> carica e punito.<br />

«Non si tratta di un soldato o di un ufficia<strong>le</strong>, che si assuma la responsabilità di<br />

abbandonare il posto per passare <strong>in</strong> altro campo; non si tratta di un genera<strong>le</strong>, a cui si<br />

possa addebitare un errore o una colpa di imprevidenza o di omissione, ma che,<br />

formalmente almeno, rimane nei cancelli <strong>del</strong>la discipl<strong>in</strong>a, conservando il suo posto


nella subord<strong>in</strong>azione e nella gerarchia; non si tratta di un pubblico funzionario, che<br />

sentendo <strong>in</strong>s<strong>org</strong>ere nella propria coscienza un contrasto irriducibi<strong>le</strong> tra i suoi doveri<br />

gerarchici e la sua coscienza, si dimette, cede l'ufficio a un nuovo funzionario e,<br />

acquistata la qualità di libero cittad<strong>in</strong>o, segue quella condotta che dalla sua coscienza<br />

è dettata. Si tratta di un altissimo funzionario militare che, cont<strong>in</strong>uando ad essere<br />

capo <strong>del</strong>la gerarchia, il cui comando gli è stato affidato dal governo responsabi<strong>le</strong>,<br />

assume l'obbligo di disubbidire eventualmente agli ord<strong>in</strong>i di questo governo. E' un<br />

caso di patente <strong>in</strong>subord<strong>in</strong>azione. Orbene, dopo questa tipica <strong>in</strong>subord<strong>in</strong>azione, il vice<br />

ammiraglio Millo rimane tuttora <strong>in</strong> carica... Ed allora abbiamo il diritto e il dovere di<br />

domandare al presidente <strong>del</strong> Consiglio ed ai m<strong>in</strong>istri <strong>del</strong>la Mar<strong>in</strong>a e <strong>del</strong>la Guerra, se <strong>in</strong><br />

Italia la sovranità sulla politica estera ed <strong>in</strong>terna è esercitata <strong>in</strong>tera dagli <strong>org</strong>ani <strong>del</strong><br />

potere civi<strong>le</strong>, cioè dal Parlamento e dal governo che abbia la fiducia <strong>del</strong> Parlamento,<br />

oppure se siamo <strong>in</strong> regime di diarchia civi<strong>le</strong> e militare, nel qua<strong>le</strong> regime, contro <strong>le</strong><br />

<strong>del</strong>iberazioni <strong>del</strong>la Camera e <strong>del</strong> governo esiste un diritto di veto da parte degli alti<br />

gradi <strong>del</strong>la mar<strong>in</strong>a e <strong>del</strong>l'esercito. (...) Tutta questa discussione temo che non<br />

servirebbe a nulla, se noi cont<strong>in</strong>uassimo a fare come don Rodrigo, che, preso dalla<br />

pesti<strong>le</strong>nza, non osava guardarsi là dove aveva il dolore, per la paura di riconoscervi i<br />

segni <strong>del</strong> ma<strong>le</strong>» (9).<br />

Ma fu come parlare a un sordo. I massimalisti videro la m<strong>in</strong>accia <strong>del</strong>la dittatura<br />

militare, e la denunciarono nei loro discorsi e nei loro giornali; ma nella loro mentalità<br />

<strong>in</strong>fanti<strong>le</strong> erano conv<strong>in</strong>ti che tutto ciò che veniva ad <strong>in</strong>debolire il Parlamento, istituto<br />

<strong>del</strong> mondo capitalistico, affrettava il crollo tota<strong>le</strong> di quel mondo. Se i capi militari<br />

attaccavano quell'istituto 'b<strong>org</strong>hese' dall'esterno, mentre i massimalisti lo sabotavano<br />

dall'<strong>in</strong>terno, era tanto di guadagnato per la preparazione <strong>del</strong> 'grande giorno.' Il<br />

'pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario' avrebbe fatto piazza pulita sia dei capi militari che <strong>del</strong><br />

Parlamento. I massimalisti segavano il ramo <strong>del</strong>l'albero su cui stavano seduti.<br />

Nitti non poté mai disporre di una maggioranza parlamentare stabi<strong>le</strong>; dovette sempre<br />

affidarsi ai resti di quella maggioranza che, prima <strong>del</strong>la guerra al tempo di Giolitti, era<br />

sembrata <strong>in</strong>crollabi<strong>le</strong>, e che ora alla Camera era soltanto una m<strong>in</strong>oranza, e<br />

sull'appoggio datogli di malavoglia dai deputati popolari, i quali votavano per lui solo<br />

perché non c'era nessun altro che potesse raccogliere <strong>in</strong>torno al suo nome una<br />

qualsiasi maggioranza. La sua tattica era di guadagnar tempo, vivendo alla giornata,<br />

e trarre profitto da quella divisione tra socialisti e popolari che paralizzava entrambi,<br />

facendo a ciascuno un m<strong>in</strong>imo di concessioni.<br />

Avrebbe dovuto costr<strong>in</strong>gere i deputati ad affrontare <strong>le</strong> loro responsabilità,<br />

presentando loro un piano di decise riforme f<strong>in</strong>anziarie, amm<strong>in</strong>istrative e sociali, e<br />

obbligarli a discuter<strong>le</strong>, emendando<strong>le</strong>, se necessario, o resp<strong>in</strong>gendo<strong>le</strong> se ne avevano il<br />

coraggio. I massimalisti avrebbero sol<strong>le</strong>vato l'<strong>in</strong>dignazione <strong>in</strong> larghi settori <strong>del</strong><strong>le</strong> classi<br />

lavoratrici se, ad esempio, avessero ostacolato la discussione di un progetto di <strong>le</strong>gge<br />

che stabiliva <strong>le</strong> otto ore di lavoro, <strong>le</strong> pensioni per la vecchiaia, l'assicurazione contro la<br />

disoccupazione, oppure che regolava un vasto piano di riforma agraria. I socialisti di<br />

destra e la Confederazione <strong>del</strong> lavoro avrebbero potuto distaccarsi dai massimalisti,<br />

rivendicando il loro diritto e il loro dovere di servire la causa <strong>del</strong><strong>le</strong> classi lavoratrici<br />

mediante un'azione costruttiva e non vuoti clamori. Almeno c<strong>in</strong>quanta deputati<br />

socialisti si sarebbero uniti ad un movimento di opera <strong>le</strong>gislativa costruttiva.<br />

Invece di rimanersene al suo posto a Roma e affrontare la Camera presentando <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

proposte precise da discutere, accettare o resp<strong>in</strong>gere, Nitti era quasi sempre a Parigi<br />

per sistemare l'eterna questione adriatica e l'eterna questione dei compensi coloniali.<br />

Egli si serviva di questi viaggi come pretesto per chiedere alla Camera di sospendere<br />

<strong>le</strong> sedute per tutto il tempo che doveva rimanere assente. I deputati, che non<br />

avevano niente da discutere perché il governo non dava loro niente da discutere, e<br />

che non osavano provocare una crisi perché non sapevano qua<strong>le</strong> altro gab<strong>in</strong>etto


avrebbe potuto sostituire quello di Nitti, sospendevano vo<strong>le</strong>ntieri i lavori parlamentari;<br />

ma, quando tornavano a riunirsi, si trovavano sempre col non aver niente da fare, se<br />

non ascoltare <strong>le</strong> vio<strong>le</strong>nte recrim<strong>in</strong>azioni dei socialisti contro <strong>le</strong> responsabilità per gli<br />

ultimi scioperi e gli ultimi sangu<strong>in</strong>osi conflitti tra polizia e dimostranti, o ascoltare i<br />

resoconti degli ultimi <strong>in</strong>successi nel<strong>le</strong> trattative sull'eterna questione di Fiume. La<br />

paralisi parlamentare era peggiorata dal fatto che Nitti aveva scelto come presidente<br />

<strong>del</strong>la Camera Orlando, che durante la Confederazione <strong>del</strong>la Pace aveva perso ogni<br />

prestigio, e che non aveva assolutamente l'energia che sarebbe occorsa per<br />

discipl<strong>in</strong>are <strong>le</strong> discussioni di queste c<strong>in</strong>quecento persone, tra <strong>le</strong> quali circa un cent<strong>in</strong>aio<br />

parevano evasi da un manicomio.<br />

Le trattative col Vaticano sulla questione romana erano giunte a un punto ta<strong>le</strong> che<br />

Nitti avrebbe potuto presentare al Parlamento un patto di conciliazione tra la Santa<br />

Sede e l'Italia, dimostrando che la Santa Sede era contenta che l'Italia riconoscesse la<br />

sovranità <strong>del</strong> papa sulla basilica di S. Pietro e sul Vaticano, cioè quella parte di<br />

territorio <strong>in</strong> cui, s<strong>in</strong> dal 1871, il governo italiano non aveva mai pensato di esercitare<br />

la propria giurisdizione. In tal modo Nitti avrebbe cancellato i sospetti di coloro che<br />

consideravano il Vaticano un nemico irriconciliabi<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'unità d'Italia, si sarebbe<br />

assicurato la fe<strong>del</strong>tà dei cento deputati popolari, e avrebbe messo gli altri deputati<br />

faccia a faccia con un prob<strong>le</strong>ma di <strong>in</strong>teresse naziona<strong>le</strong>; oltre a ciò avrebbe fornito una<br />

prova evidente che la guerra non era stata v<strong>in</strong>ta <strong>in</strong>vano, se aveva servito a porre f<strong>in</strong>e<br />

a una disputa che mezzo secolo prima sembrava <strong>in</strong>solubi<strong>le</strong>. Nitti non osò prendere<br />

nessuna <strong>in</strong>iziativa coraggiosa né <strong>in</strong> questo né <strong>in</strong> nessun altro campo.<br />

Quando D'Annunzio si impadronì di Fiume, Nitti ebbe uno scoppio di rabbia, e<br />

denunciò ta<strong>le</strong> impresa davanti alla Camera come un tiro crim<strong>in</strong>a<strong>le</strong> che era stato<br />

progettato dal 'militarismo.' Aveva ragione; ma non avrebbe dovuto fermarsi qui.<br />

Dopo aver provato il metodo <strong>del</strong>la persuasione per <strong>in</strong>durre quei seguaci di<br />

D'Annunzio, mossi da un impulso di generosità, a ritornare all'obbedienza, avrebbe<br />

dovuto reprimere con fermezza quel reato di sedizione militare e punire coloro che<br />

cont<strong>in</strong>uavano nella disobbedienza. Sarebbe bastato bloccare Fiume, e costr<strong>in</strong>gere<br />

D'Annunzio ad arrendersi per fame. Prima di prendere ta<strong>le</strong> misura, Nitti avrebbe<br />

dovuto porre f<strong>in</strong>e all'eterna questione adriatica con l'annessione immediata all'Italia di<br />

Gorizia, Trieste, l'Istria e Fiume, annunciando al tempo stesso che era pronto a<br />

consegnare la Dalmazia alla Yugoslavia non appena questa avesse smesso di litigare<br />

con l'Italia per gli altri territori. E', assai poco probabi<strong>le</strong> che Lloyd Ge<strong>org</strong>e, che aveva<br />

tante difficoltà da affrontare, si sarebbe assunto <strong>in</strong> aggiunta il peso di un conflitto con<br />

l'Italia per una piccola città di nessuna importanza. Il presidente Wilson era stato<br />

colpito da paralisi nel settembre <strong>del</strong> 1919, e non avrebbe certamente dichiarato<br />

guerra all'Italia per Fiume; tutt'al più avrebbe chiuso questo sfortunato capitolo con<br />

una protesta platonica. C<strong>le</strong>menceau aveva lasciato il potere nel gennaio <strong>del</strong> 1920, e<br />

non era più <strong>in</strong> grado di fare sfoggio <strong>del</strong>la sua bruta<strong>le</strong> arroganza né su questo né su<br />

alcun altro punto. Quanto alla Yugoslavia, essa si trovava nella prima e più diffici<strong>le</strong><br />

fase <strong>del</strong>la sua <strong>org</strong>anizzazione <strong>in</strong>terna, e poteva pensare a tutto meno che ad attaccare<br />

l'Italia. Un anno dopo il governo di Belgrado abbandonò Fiume, perché f<strong>in</strong>almente si<br />

trovò di fronte una volontà italiana chiara e risoluta, e non perché non avrebbe<br />

preferito una diversa soluzione. Nitti avrebbe dovuto sottoporre il suo piano al<br />

Parlamento, di modo che tutti i gruppi si sarebbero trovati di fronte alla responsabilità<br />

di scegliere tra un compromesso con la Yugoslavia, o una nuova guerra per la<br />

questione adriatica.<br />

Egli sapeva che i capi <strong>del</strong>l'esercito e <strong>del</strong>la mar<strong>in</strong>a erano d'accordo con D'Annunzio e<br />

non avrebbero obbedito a nessun governo che r<strong>in</strong>unciasse alla Dalmazia. Dato che<br />

non si poteva contare sulla fe<strong>del</strong>tà dei capi militari, Nitti avrebbe dovuto sfidarli o ad<br />

obbedire, o ad affrontare apertamente <strong>le</strong> loro responsabilità assumendo il potere. Ma<br />

ciò avrebbe significato precipitare il paese nell'abisso di una dittatura militare. D'altra


parte, dopo il primo momento di irritazione provato alla notizia <strong>del</strong>la marcia su Fiume,<br />

Nitti pensò che <strong>in</strong> fondo D'Annunzio <strong>in</strong>stallato a Fiume era un pegno uti<strong>le</strong> nei tentativi<br />

di trovare un compromesso favorevo<strong>le</strong> nella questione fiumana. Così, anche su questo<br />

terreno, egli scelse di giuocare una partita di attesa. Lasciò che i generi necessari alla<br />

popolazione <strong>del</strong>la città transitassero liberamente dall'Italia a Fiume;<br />

contemporaneamente si sforzò di corrompere i capi militari riconoscendo che l'esercito<br />

<strong>in</strong> tempo di pace doveva essere composto di qu<strong>in</strong>dici corpi di armata, e non più di<br />

dodici come prima <strong>del</strong>la guerra, mantenendo così molti generali, ispettori e alti<br />

papaveri gallonati che non servivano a niente (10). L'animo di Nitti era quello di un<br />

paciere, non di un lottatore; egli era un uomo di buon senso, ma non fece mai sentire<br />

che al timone c'era qualcuno, che con mano ferma guidava il paese <strong>in</strong> mezzo alla<br />

bufera.<br />

A questo punto ci potremmo chiedere come fu possibi<strong>le</strong> che venisse <strong>in</strong>trapresa (11)<br />

una azione decisa per il risanamento f<strong>in</strong>anziario ed economico se il Parlamento era<br />

paralizzato e <strong>in</strong>capace di funzionare. La risposta a questa domanda si trova nel fatto<br />

che il Parlamento non ha il compito <strong>del</strong>la amm<strong>in</strong>istrazione quotidiana. Le sue funzioni<br />

sono <strong>le</strong>gislative e politiche; approva i provvedimenti <strong>le</strong>gislativi e, <strong>in</strong> paesi come<br />

l'Inghilterra e l'Italia prefascista, <strong>in</strong>dica il presidente <strong>del</strong> Consiglio che deve formare il<br />

gab<strong>in</strong>etto. Il peso <strong>del</strong>l'amm<strong>in</strong>istrazione quotidiana è sul<strong>le</strong> spal<strong>le</strong> di funzionari<br />

permanenti, alti e bassi, che fanno funzionare il meccanismo. Sia che un gab<strong>in</strong>etto<br />

abbia vita lunga o breve, che il controllo parlamentare funzioni o no, i funzionari<br />

<strong>del</strong>l'amm<strong>in</strong>istrazione rimangono ai loro posti. Durante la guerra e negli anni seguenti,<br />

<strong>in</strong> virtù dei poteri straord<strong>in</strong>ari concessi dal Parlamento al governo, i bilanci preventivi<br />

e <strong>le</strong> <strong>le</strong>ggi che non erano state discusse o approvate dalla Camera, venivano emanate<br />

mediante decreti-<strong>le</strong>gge. Il governo, sia nell'azione <strong>le</strong>gislativa che amm<strong>in</strong>istrativa, non<br />

<strong>in</strong>contrava nessun ostacolo da parte <strong>del</strong> Parlamento. Mai prima di allora, nel corso<br />

<strong>del</strong>la storia d'Italia, il potere esecutivo godette di tanta libertà <strong>in</strong> materia f<strong>in</strong>anziaria,<br />

<strong>in</strong> bene come <strong>in</strong> ma<strong>le</strong>, come durante questi anni di paralisi parlamentare (12).<br />

Supponiamo che un qualsiasi Guy Fawkes americano (13) riesca a far saltare <strong>in</strong> aria il<br />

Campidoglio a Wash<strong>in</strong>gton mentre si svolge una seduta di tutte e due <strong>le</strong> Camere,<br />

sicché all'improvviso tutti e deputati e senatori vengano fatti fuori. In conseguenza, il<br />

Congresso degli Stati Uniti verrebbe ad essere paralizzato, e di fatto distrutto; ma ciò<br />

nonostante si cont<strong>in</strong>uerebbero a pagare <strong>le</strong> tasse, ferrovie e m<strong>in</strong>iere non cesserebbero<br />

per ciò di funzionare, i traffici marittimi non verrebbero sospesi, e gli sportelli <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

banche non verrebbero chiusi se non per lutto. Il Parlamento non è tutto il paese;<br />

esso è la voce <strong>del</strong> paese. Si può avere un disturbo alla gola, al naso o alla bocca, che<br />

dà noia quando si deve parlare, mentre tutto il resto <strong>del</strong> corpo è sano. La salute<br />

<strong>del</strong>l'Italia non era compromessa, anche se il Parlamento non funzionava. Uno studioso<br />

<strong>in</strong>telligente di pubblica amm<strong>in</strong>istrazione, Ubaldo Forment<strong>in</strong>i, così scriveva nel 1922:<br />

«Se non governa il Gab<strong>in</strong>etto, governano gli uffici i quali non muoiono e non mutano.<br />

(...) Perciò non è vero che lo Stato sia debo<strong>le</strong>: è fortissimo e diventa sempre più<br />

forte; la verità è che certi poteri <strong>del</strong>lo Stato sono straord<strong>in</strong>ariamente <strong>in</strong>deboliti di<br />

fronte a certi altri» (14).<br />

Per decreto-<strong>le</strong>gge si stanziarono 3,3 miliardi di lire per opere pubbliche onde evitare<br />

la disoccupazione (17 novembre 1918), e si istituì l'assicurazione contro la vecchiaia<br />

(5 gennaio 1919) e contro la disoccupazione (14 ottobre 1919). Il sistema fisca<strong>le</strong> fu<br />

radicalmente riformato per mezzo di decreti-<strong>le</strong>gge. Gli effetti non si potevano vedere<br />

subito, perché per porre <strong>in</strong> atto i nuovi provvedimenti doveva esser creata la<br />

macch<strong>in</strong>a amm<strong>in</strong>istrativa (15). Le entrate, che per il bilancio <strong>del</strong> 1918-19 erano state<br />

di 9,6 miliardi di lire, salirono a 15,2 miliardi nel 1919-20, e 18,8 miliardi nel 1920-21<br />

(16). Il prestito naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> gennaio 1920, che rese 18 miliardi di lire - somma


enorme per l'Italia - fu lanciato con un decreto-<strong>le</strong>gge. La ri<strong>org</strong>anizzazione <strong>del</strong><strong>le</strong> forze<br />

per il mantenimento <strong>del</strong>l'ord<strong>in</strong>e pubblico venne effettuata per mezzo di decreti-<strong>le</strong>gge.<br />

Come si è visto, alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la guerra, i carab<strong>in</strong>ieri erano ridotti a 28000 uom<strong>in</strong>i; nel<br />

giugno <strong>del</strong> 1920 il loro numero era salito a 60000; <strong>in</strong>oltre, era stato creato un nuovo<br />

corpo ausiliario di polizia, la 'Guardia Regia,' che nel giugno <strong>del</strong> 1920, contava 25000<br />

uom<strong>in</strong>i (17). Un deputato socialista, che di mestiere faceva il carrettiere, si conquistò<br />

grande popolarità <strong>in</strong>terrompendo i discorsi dei m<strong>in</strong>istri, a proposito e a sproposito,<br />

gridando: 'Sciogliete la Guardia Regia.' La Guardia Regia cont<strong>in</strong>uò ad aumentare il suo<br />

<strong>org</strong>anico.<br />

Ma una volta che si è detto tutto questo, rimane il fatto che, <strong>in</strong> seguito al<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni<br />

<strong>del</strong> novembre 1919, il Parlamento era diventato un <strong>org</strong>anismo paralizzato. Esso<br />

rappresentava perfettamente il paese, perché era stato e<strong>le</strong>tto liberamente mediante<br />

un sistema che lo faceva specchio esatto <strong>del</strong> paese; ma era stato e<strong>le</strong>tto <strong>in</strong> un periodo<br />

anorma<strong>le</strong>, e qu<strong>in</strong>di funzionava <strong>in</strong> modo anorma<strong>le</strong>. Una situazione di questo genere<br />

non poteva cont<strong>in</strong>uare <strong>in</strong> eterno. O il Parlamento svolgeva i suoi doveri <strong>le</strong>gislativi, o<br />

sarebbe stato elim<strong>in</strong>ato dal sistema politico italiano come un <strong>org</strong>ano <strong>in</strong>uti<strong>le</strong>, se non<br />

nocivo.


CAPITOLO SEDICESIMO.<br />

IL 'BOLSCEVISMO' ITALIANO NEL 1920.<br />

Durante la prima metà <strong>del</strong> 1920, il numero di scioperanti per cause economiche, tra <strong>le</strong><br />

quali soprattutto era il crescente costo <strong>del</strong>la vita, salì da 877000 nella seconda metà<br />

<strong>del</strong> 1919 a 1.769.000 (1). Non si possiedono dati relativi agli scioperi di solidarietà,<br />

agli scioperi generali, sia locali che nazionali, e ai morti e feriti <strong>in</strong> seguito a disord<strong>in</strong>i.<br />

Da uno spoglio accurato <strong>del</strong>la stampa quotidiana, si trae la conclusione certa che<br />

anche questi dati furono <strong>in</strong> aumento nella stessa proporzione, se non <strong>in</strong> misura<br />

maggiore, degli scioperi economici. Gli scioperi agricoli dettero luogo a occupazioni di<br />

terre, non soltanto nel Mezzogiorno ma anche nell'Italia settentriona<strong>le</strong>, e<br />

all'abbandono <strong>del</strong> bestiame nel<strong>le</strong> stal<strong>le</strong>, privo di cibo e senza che se ne effettuasse la<br />

mungitura, a <strong>in</strong>cendi dolosi di stal<strong>le</strong> e fienili, taglio di piante, scontri tra scioperanti da<br />

una parte e polizia e 'crumiri' dall'altra.<br />

Le e<strong>le</strong>zioni <strong>del</strong> novembre 1919 avevano mostrato che tra i contad<strong>in</strong>i il partito popolare<br />

era l'unico baluardo efficiente contro i socialisti. Gli attacchi dei socialisti contro i capi<br />

dei s<strong>in</strong>dacati popolari e i loro iscritti divennero sempre più accaniti; i popolari a loro<br />

volta li ripagavano con la stessa moneta, sicché erano frequenti scontri e conflitti. Gli<br />

altri partiti si ral<strong>le</strong>gravano di questa divisione tra popolari e socialisti, ma essa non<br />

contribuiva certo a placare l'irrequietezza genera<strong>le</strong>. D'altra parte, <strong>in</strong> alcune zone <strong>del</strong>la<br />

Lombardia e <strong>del</strong> Veneto i contad<strong>in</strong>i popolari facevano concorrenza a quelli socialisti nel<br />

fare scioperi, affamare il bestiame e aggredire proprietari terrieri e coltivatori. Col<br />

passare <strong>del</strong> tempo alcuni degli agitatori popolari <strong>del</strong> 1920 passarono al partito<br />

comunista.<br />

Ferrovieri e poste<strong>le</strong>grafonici durante tutto il 1919 non avevano mai scioperato, e il<br />

governo aveva grandemente lodato il loro buon senso per non aver partecipato allo<br />

sciopero genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> 20-21 luglio. Ma non potevano più andare avanti col buon<br />

senso, gli elogi e i vecchi stipendi. Nitti a sua volta si preoccupava <strong>del</strong>l'enorme spesa<br />

che sarebbe stata necessaria per concedere loro gli aumenti salariali e <strong>le</strong> otto ore di<br />

lavoro, e cercava di dom<strong>in</strong>are questo prob<strong>le</strong>ma, come <strong>del</strong> resto tutti gli altri prob<strong>le</strong>mi,<br />

ritardandone il più possibi<strong>le</strong> la soluzione. Di conseguenza questi impiegati<br />

com<strong>in</strong>ciarono a tenere comizi di protesta, poi a ritardare i servizi, e f<strong>in</strong>almente, nel<br />

gennaio 1920, i poste<strong>le</strong>grafonici scesero <strong>in</strong> sciopero. Solo a questo punto il governo<br />

fece quel<strong>le</strong> concessioni, che se fossero state fatte prima avrebbero evitato lo sciopero.<br />

Fu subito la volta dei ferrovieri, e dopo due settimane di sciopero (6-20 gennaio)<br />

anche loro ottennero quanto chiedevano, cioè aumento dei salari, otto ore di lavoro e<br />

misure protettive contro gli arbitrî dei loro superiori. Ma durante questa crisi, i<br />

s<strong>in</strong>dacalisti rivoluzionari e gli anarchici conquistarono il controllo <strong>del</strong>la <strong>org</strong>anizzazione<br />

naziona<strong>le</strong> dei ferrovieri, e da questo momento <strong>in</strong> poi la discipl<strong>in</strong>a andò a farsi<br />

benedire. Il primo maggio, il traffico praticamente venne sospeso <strong>in</strong> tutto il paese;<br />

s<strong>in</strong>o al giugno <strong>del</strong> 1920 si ebbero circa una c<strong>in</strong>quant<strong>in</strong>a di scioperi più o meno estesi;<br />

alcuni di questi scioperi erano fatti per bloccare treni che trasportavano soldati,<br />

carab<strong>in</strong>ieri e guardie regie. Il 15 apri<strong>le</strong> venne fermato alla stazione di Livorno un treno<br />

di guardie regie diretto a Tor<strong>in</strong>o. Il 22 apri<strong>le</strong>, al<strong>le</strong> stazioni di Pavia, Domodossola e<br />

Novara, i ferrovieri si rifiutarono di trasportare <strong>le</strong> truppe <strong>in</strong>viate a Tor<strong>in</strong>o per<br />

ristabilirvi l'ord<strong>in</strong>e; e alla stazione di Firenze ci fu uno sciopero bianco. L'8 giugno, i<br />

ferrovieri <strong>del</strong>la stazione di Cremona rifiutarono di condurre un treno di munizioni<br />

belliche, che pensavano fosse dest<strong>in</strong>ato alla Polonia contro la Russia sovietica. Un<br />

funzionario <strong>del</strong>la stazione si adoprò per far partire il treno; gli scioperanti chiesero il<br />

suo trasferimento, e siccome questo venne rifiutato, lo sciopero si allargò a Milano e


alla parte orienta<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Lombardia. Lo sciopero term<strong>in</strong>ò il 24 giugno, senza che il<br />

trasferimento fosse stato ottenuto.<br />

In Italia gli scioperi ferroviari non furono mai così gravi come quelli che nello stesso<br />

periodo di tempo ebbero luogo <strong>in</strong> Inghilterra. Nel settembre <strong>del</strong> 1919, mezzo milione<br />

di ferrovieri <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si scioperarono per nove giorni consecutivi paralizzando<br />

comp<strong>le</strong>tamente il traffico <strong>in</strong> tutto il paese. In Italia, nel gennaio <strong>del</strong> 1920, non più di<br />

72000 ferrovieri, su 198000, scioperarono; nel Mezzogiorno, il 90 per cento <strong>del</strong><br />

persona<strong>le</strong> si astenne dallo sciopero. Quasi tutti gli altri scioperi furono di durata<br />

limitata. Ma uno sciopero <strong>in</strong> un nodo ferroviario, quali Verona, Milano, Tor<strong>in</strong>o,<br />

Genova, Bologna, anche se era puramente loca<strong>le</strong>, dis<strong>org</strong>anizzava i servizi di tutte <strong>le</strong><br />

l<strong>in</strong>ee che dipendevano da esso. Il disagio tra il pubblico era grande, e quando<br />

sopraggiunse la reazione i ferrovieri dovettero pagar cari i loro capricci. I casi di<br />

arresto di treni militari non furono più di una dozz<strong>in</strong>a <strong>in</strong> tutto l'anno; ma divennero un<br />

luogo comune <strong>del</strong>la propaganda 'antibolscevica,' e la gente, sentendone parlare di<br />

cont<strong>in</strong>uo, f<strong>in</strong>i per credere che questo <strong>in</strong>tol<strong>le</strong>rabi<strong>le</strong> scandalo avvenisse tutti i giorni e<br />

ovunque, e che si dovesse porvi f<strong>in</strong>e a qualunque costo.<br />

Nel dicembre <strong>del</strong> 1919 fece ritorno dall'Inghilterra l'anarchico Errico Malatesta. Aveva<br />

67 anni, e dietro di sé mezzo secolo di attività rivoluzionarie. Nella primavera <strong>del</strong><br />

1914 era stato implicato <strong>in</strong> una rivolta piuttosto grave scoppiata nell'Italia centra<strong>le</strong>, la<br />

cosiddetta 'settimana rossa,' e per sfuggire all'arresto si era rifugiato <strong>in</strong> Inghilterra.<br />

Una amnistia genera<strong>le</strong> gli aveva riaperto <strong>le</strong> porte <strong>del</strong>l'Italia, ma non gli era stato<br />

concesso di attraversare la Francia, e quando aveva cercato di effettuare il viaggio per<br />

mare, il governo <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se aveva proibito a tutti i piroscafi, <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si o non <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si, di<br />

prenderlo a bordo. Riuscì a filarsela su di una nave italiana; e quando si diffuse la<br />

notizia che era a Genova, tutta la popolazione lavoratrice sospese il lavoro <strong>in</strong> segno di<br />

gioia, ricevendolo come un eroe conquistatore. Nel febbraio <strong>del</strong> 1920, ebbe <strong>in</strong>izio a<br />

Milano la pubblicazione di un quotidiano anarchico, "Umanità Nuova", sotto la<br />

direzione di Malatesta.<br />

A somiglianza di Len<strong>in</strong>, Malatesta era un rivoluzionario assolutamente onesto, e il suo<br />

lungo, attivo e coraggioso passato, il suo dis<strong>in</strong>teresse, il suo fasc<strong>in</strong>o persona<strong>le</strong> e la<br />

sua giovani<strong>le</strong> energia gli conferivano un prestigio immenso. Ma era cresciuto nel<br />

Mezzogiorno tra il 1860 e il 1880; nel 1884 era stato costretto ad andare <strong>in</strong> esilio per<br />

sfuggire il carcere, e da quel momento <strong>in</strong> poi aveva vissuto all'estero s<strong>in</strong>o al 1913,<br />

salvo parecchie visite clandest<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la durata di pochi mesi tra il 1896 e il 1897,<br />

quando era <strong>in</strong> contatto soltanto con pochi amici. Appena poté fare ritorno<br />

liberamente, passò dieci mesi - dall'agosto 1913 al giugno 1914 - tra e<strong>le</strong>menti<br />

anarchici <strong>del</strong><strong>le</strong> Marche e <strong>del</strong>la Romagna. Non aveva una conoscenza profonda<br />

<strong>del</strong>l'Italia settentriona<strong>le</strong>, dove negli ultimi quarant'anni l'<strong>in</strong>dustria aveva avuto un<br />

grande sviluppo e dove il partito socialista controllava i lavoratori urbani. Altri che non<br />

erano mai stati costretti a vivere <strong>in</strong> esilio e erano sempre rimasti <strong>in</strong> Italia avrebbero<br />

dovuto conoscere <strong>le</strong> cose meglio di Malatesta; ma gli anarchici cont<strong>in</strong>uavano a vivere<br />

nella atmosfera idealistica di Bakun<strong>in</strong>, allo stesso modo che i socialisti vivevano <strong>in</strong><br />

quella di Marx e i repubblicani <strong>in</strong> quella di Mazz<strong>in</strong>i. Il 'popolo' o il 'pro<strong>le</strong>tariato' <strong>del</strong><br />

secolo ventesimo non era più quello che i rivoluzionari romantici <strong>del</strong> secolo<br />

diciannovesimo avevano immag<strong>in</strong>ato, amato e glorificato.<br />

Uom<strong>in</strong>i e donne accorrevano a frotte ad ascoltare Malatesta e <strong>le</strong>ggere il suo giorna<strong>le</strong>,<br />

con la speranza di trovare <strong>in</strong> lui il salvatore, il liberatore, il <strong>le</strong>ader, un nuovo Garibaldi,<br />

il Len<strong>in</strong> italiano. Ma egli non era Len<strong>in</strong>, comunista; era Malatesta, anarchico. Secondo<br />

la sua dottr<strong>in</strong>a anarchico-<strong>in</strong>dividualista, chiunque si proclamava <strong>le</strong>ader <strong>in</strong>vece di<br />

rimanere umilmente <strong>in</strong> mezzo agli altri era colpevo<strong>le</strong> <strong>del</strong> reato di dittatura. Egli era<br />

pronto a partecipare a qualsiasi tentativo rivoluzionario, ma mai come <strong>le</strong>ader dei suoi<br />

compagni. Tutti gli uom<strong>in</strong>i dovevano essere liberi e uguali, ed egli non si sentiva<br />

autorizzato a renderli schiavi dando loro degli ord<strong>in</strong>i, neppure se erano per una


ivoluzione. Più che lus<strong>in</strong>garsi egli si rattristava quando la gente mostrava di<br />

attendere da lui la sua guida, deplorevo<strong>le</strong> residuo di quel rispetto per l'autorità che la<br />

diseducazione b<strong>org</strong>hese aveva sem<strong>in</strong>ato nell'animo popolare. Nettlau, che condivideva<br />

la fede politica di Malatesta, scrive:<br />

«Era disposto ad affrontare qualsiasi genere di sacrificio, ma non a prendere il potere<br />

politico. Anche se avessero messo ai suoi piedi una dittatura, egli non l'avrebbe<br />

accettata. (...) Questa <strong>in</strong>comprensione, il frutto <strong>del</strong> culto <strong>del</strong>l'autorità comune a tutti i<br />

partiti avanzati salvo che a quello anarchico, è veramente tragica. (...) Il popolo<br />

aspettava un segna<strong>le</strong>, un ord<strong>in</strong>e; ma il segna<strong>le</strong> e l'ord<strong>in</strong>e non vennero mai, né<br />

avrebbero potuto venire. (...) La gente applaudiva e poi se ne faceva ritorno a casa.<br />

La m<strong>in</strong>ima <strong>in</strong>iziativa polare avrebbe dato il via alla valanga, e probabilmente sarebbe<br />

com<strong>in</strong>ciato un nuovo capitolo di storia. Ma ciò non doveva essere» (2).<br />

Secondo Nettlau e gli anarchici, 'ciò non doveva essere' perché i '<strong>le</strong>aders' socialisti, sia<br />

quelli di destra che i massimalisti e gli estremisti, non solo non dettero né segnali né<br />

ord<strong>in</strong>i, - e nel fare ciò rimasero nei limiti <strong>del</strong> loro dovere perché non avevano nessun<br />

diritto di darne - ma soffocarono <strong>le</strong> <strong>in</strong>iziative rivoluzionarie non appena queste si<br />

presentavano, <strong>in</strong>vece di favorir<strong>le</strong>, diffonder<strong>le</strong> e potenziar<strong>le</strong> sempre ed ovunque (3). La<br />

stessa accusa fu sol<strong>le</strong>vata dagli estremisti contro i massimalisti, e sia da questi che da<br />

quelli contro i socialisti di destra. Le radici <strong>del</strong>l'accusa erano <strong>le</strong> stesse per tutto: il<br />

concetto che esistesse un 'pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario,' desideroso di ribellarsi e capace<br />

di trionfare, se a un certo punto non vi fosse stato qualcuno a tradire e paralizzare i<br />

suoi impulsi naturali. La 'm<strong>in</strong>ima <strong>in</strong>iziativa popolare' che Malatesta auspicava e<br />

attendeva non si realizzò mai, non perché i '<strong>le</strong>aders' tradissero il pro<strong>le</strong>tariato, ma<br />

perché il 'pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario' era una f<strong>in</strong>zione <strong>del</strong>la loro fantasia. Anche se<br />

Malatesta non credeva di avere il diritto di dare degli ord<strong>in</strong>i e si recava disarmato ai<br />

comizi popolari, molti dei suoi seguaci vi partecipavano ben muniti di pietre, bastoni e<br />

rivoltel<strong>le</strong>, <strong>in</strong>citando alla lotta immediata e provocando scontri con la polizia. Se il<br />

'pro<strong>le</strong>tariato' fosse stato quella massa rivoluzionaria che aveva soltanto bisogno <strong>del</strong><br />

segna<strong>le</strong>, un ord<strong>in</strong>e per 'dare il via alla valanga,' come scrive Nettlau, esso avrebbe<br />

avuto segnali e ord<strong>in</strong>i <strong>in</strong> quantità, anche troppi. Ma a questi ord<strong>in</strong>i si fece sempre<br />

orecchi da mercanti. Il 'pro<strong>le</strong>tariato,' cioè coloro che partecipavano a comizi e<br />

dimostrazioni, poteva scegliere tra gli anarchici che lo <strong>in</strong>citavano a sol<strong>le</strong>varsi,<br />

Malatesta che non dava ord<strong>in</strong>i, e i massimalisti che consigliavano di aspettare la<br />

'grande ora.' Il pro<strong>le</strong>tariato applaudiva i discorsi più altisonanti, dava sfogo con gli<br />

applausi al<strong>le</strong> vaghe speranze di un mondo migliore, e poi tutti tornavano a casa<br />

aspettando che questo mondo migliore piovesse dal cielo. Solo una piccolissima<br />

m<strong>in</strong>oranza si dava da fare per un'azione diretta immediata, attaccando la polizia e<br />

lasciando sul campo un certo numero di morti, spesso persone che si trovavano sul<br />

posto per caso e rimanevano uccise senza sapere perché. A questo punto il<br />

'pro<strong>le</strong>tariato' proclamava uno sciopero genera<strong>le</strong> di protesta ed era tutto f<strong>in</strong>ito, pronti<br />

però a ricom<strong>in</strong>ciare da capo alla prossima occasione. Anche <strong>in</strong> Germania, nel gennaio<br />

<strong>del</strong> 1919, il 'pro<strong>le</strong>tariato,' costretto a scegliere tra Ebert e Noske da un lato, Rosa<br />

Luxemburg e Karl Liebknecht dall'altro, scelse i primi; ma allora <strong>in</strong> Germania <strong>le</strong><br />

condizioni obiettive per una rivoluzione socia<strong>le</strong> erano <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itamente meno favorevoli<br />

che <strong>in</strong> Italia, se la dottr<strong>in</strong>a marxista fosse stata giusta. Spogliate <strong>del</strong><strong>le</strong> loro illusioni<br />

ideologiche, queste erano <strong>le</strong> amare realtà! Socialisti e anarchici di tutte <strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> non<br />

se ne acc<strong>org</strong>evano e cont<strong>in</strong>uavano a pestare l'acqua <strong>in</strong> un mortaio.<br />

Data la situazione italiana, e data la sua mentalità <strong>in</strong>dividualistica e antidittatoria<strong>le</strong>,<br />

Malatesta era dest<strong>in</strong>ato a versare olio sul fuoco <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>i italiane, senza<br />

accrescere m<strong>in</strong>imamente <strong>le</strong> probabilità di una rivoluzione socia<strong>le</strong>. Il movimento<br />

anarchico divenne più aggressivo, ma non più efficace. Più spesso di prima i comizi si


concludevano <strong>in</strong> un conflitto tra folla e polizia, con morti e feriti. Nel settembre <strong>del</strong><br />

1919, a Milano, gli anarchici commisero alcuni atti di vio<strong>le</strong>nza con <strong>del</strong><strong>le</strong> bombe. Nel<br />

1920 l'uso di servirsi <strong>del</strong><strong>le</strong> bombe per compiere attentati si moltiplicò. Chiunque<br />

vo<strong>le</strong>va munirsi di bombe non aveva da fare altro che raggiungere la più prossima<br />

l<strong>in</strong>ea dove era stato il fronte, e raccogliervi gli ordigni <strong>in</strong>esplosi che <strong>le</strong> autorità militari<br />

con crim<strong>in</strong>a<strong>le</strong> negligenza vi avevano lasciato al momento <strong>del</strong>la smobilitazione.<br />

Quando avvenivano scontri con la polizia o attentati d<strong>in</strong>amitardi, i massimalisti si<br />

affrettavano a deplorare la 'irresponsabilità' degli anarchici, ciò che era causa di<br />

scoraggiamento tra <strong>le</strong> fi<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'esercito rivoluzionario. Il 5 apri<strong>le</strong>, <strong>in</strong> uno scontro<br />

provocato dagli anarchici a Decima di Persiceto, vic<strong>in</strong>o a Bologna, vi furono nove<br />

morti, e durante gli scioperi di protesta dei giorni seguenti, a cui <strong>in</strong> molte prov<strong>in</strong>cie<br />

parteciparono anche i ferrovieri, si ebbero sei morti a Modena, ed oltre trenta feriti ad<br />

Andria.<br />

La direzione naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito socialista si rifiutò di proclamare uno sciopero di<br />

protesta naziona<strong>le</strong>. Gli anarchici accusarono i massimalisti di tradire il pro<strong>le</strong>tariato.<br />

Nel numero <strong>del</strong> 10 apri<strong>le</strong> 1920, l'"Avanti!" ebbe uno sprazzo di buon senso:<br />

«Bando al<strong>le</strong> paro<strong>le</strong>. Chi <strong>le</strong> fa <strong>le</strong> paro<strong>le</strong>? Ci vogliono armi. Le avete? Dove sono? Perché<br />

non <strong>le</strong> usate? Perché voi, che non siete parolai, non avete un fatto solo nella storia di<br />

questi ultimi anni? Paro<strong>le</strong>?... Oh i sì, sì, paro<strong>le</strong>.»<br />

I massimalisti vedevano la trave negli occhi degli anarchici, ma non nei propri.<br />

Nel tempo che 'governava' Fiume, D'Annunzio cercava di provocare disord<strong>in</strong>i o di<br />

approfittare di quei disord<strong>in</strong>i spontanei che si verificavano ovunque. Malatesta poté<br />

raggiungere l'Italia grazie all'aiuto ricevuto dal segretario genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> s<strong>in</strong>dacato<br />

lavoratori <strong>del</strong> mare, Giulietti, che operava di pieno accordo con D'Annunzio. Il 26<br />

ottobre 1920, l'"Avanti!" usciva con la seguente affermazione di oscuro significato:<br />

«Chi non ricorda che vi fu un tempo <strong>in</strong> cui D'Annunzio, giovandosi anche <strong>del</strong>la<br />

romantica dabbenagg<strong>in</strong>e di qualche <strong>org</strong>anizzatore, tentò di presentarsi al<strong>le</strong> classi<br />

operaie come il campione <strong>del</strong>l'antimperialismo e <strong>del</strong>la repubblica socia<strong>le</strong>, tenne dei<br />

discorsi di sapore bolscevico, e si <strong>in</strong>teressò perf<strong>in</strong>o... di scioperi ferroviari <strong>in</strong> Italia?»<br />

Siamo <strong>in</strong> grado di fare un po' di luce su queste paro<strong>le</strong>. Ai primi <strong>del</strong> 1920, si tenne a<br />

Firenze una riunione segreta. Giulietti annunciò che tutti i comandanti militari che<br />

avevano il comando dei reggimenti posti tra Fiume e Roma, erano fe<strong>del</strong>i a D'Annunzio<br />

e pronti a marciare su Roma; i deputati repubblicani e alcuni deputati socialisti erano<br />

d'accordo; la <strong>org</strong>anizzazione segreta che doveva <strong>org</strong>anizzare la marcia su Roma si<br />

chiamava 'Sagra Lampa.' Gli altri partecipanti sostennero che il momento non poteva<br />

riuscire senza l'appoggio <strong>del</strong>la Confederazione genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> lavoro. Giulietti si <strong>in</strong>caricò<br />

di tastare il terreno. Uno dei <strong>le</strong>aders <strong>del</strong>la Confederazione era d'accordo, ma gli altri<br />

rifiutarono. In tal modo la 'Sagra Lampa' fu spenta (4). Ma D'Annunzio non si<br />

scoraggiò per questo. Tra il 26 e il 29 giugno 1920, ad Ancona i soldati si rifiutarono<br />

di partire per l'Albania. Il 28 giugno, un emissario di D'Annunzio, il tenente Claudio<br />

Mariani, si recò ad Ancona latore di messaggi di D'Annunzio, <strong>del</strong> genera<strong>le</strong> Ceccher<strong>in</strong>i e<br />

<strong>del</strong> maggiore Sant<strong>in</strong>i, con cui D'Annunzio metteva a disposizione dei soldati rivoltosi<br />

'tutte <strong>le</strong> forze comuniste (sic) di Fiume' (5).<br />

A Firenze nel 1920, un ufficia<strong>le</strong> <strong>del</strong> settantesimo reggimento fanteria, che si diceva<br />

anarchico e agente segreto <strong>del</strong>l'Inghilterra, offrì dei fondi agli anarchici per il loro<br />

giorna<strong>le</strong> "Il Grido <strong>del</strong>la Rivolta". Gli anarchici lo sorvegliarono, e scoprirono che era<br />

una spia <strong>del</strong> governo. Sempre a Firenze, poco tempo dopo, un ufficia<strong>le</strong> superiore <strong>del</strong>la<br />

divisione di Firenze offrì la propria collaborazione per attuare un colpo di mano contro<br />

alcune caserme. Gli anarchici, sospettando un tranello, non ne fecero di nulla (6).


In quegli anni si parlò molto di una formidabi<strong>le</strong> azione di propaganda svolta <strong>in</strong> tutta<br />

Italia da agenti <strong>del</strong> bolscevismo russo. Fantasie eccitate videro ovunque s<strong>in</strong>istri agenti<br />

bolscevichi. Senza dubbio <strong>in</strong> Italia come altrove il governo russo <strong>in</strong>viò un certo<br />

numero di agenti; ma è diffici<strong>le</strong> valutare la estensione precisa <strong>del</strong><strong>le</strong> ramificazioni<br />

russe. In ogni modo, uno dei più attivi agenti bolscevichi, ta<strong>le</strong> Ferrari, che parlava<br />

diverse l<strong>in</strong>gue, aveva a disposizione fondi enormi, ed era <strong>in</strong> <strong>in</strong>timi rapporti con<br />

Serrati, formò l'oggetto di una <strong>in</strong>terrogazione alla Camera <strong>del</strong> deputato nazionalista<br />

Federzoni. Perché il governo lasciava <strong>in</strong> circolazione questo pericoloso bolscevico? Il<br />

governo non dette nessuna risposta; ma un bel giorno i socialisti scoprirono che<br />

questo pericolosissimo bolscevico era un agente segreto <strong>del</strong>la polizia italiana. Qua<strong>le</strong><br />

che sia stata l'autentica propaganda bolscevica <strong>in</strong> Italia, ci fu anche un 'bolscevismo'<br />

strombazzato, sia perché fabbricato apposta dalla polizia per spiare il 'bolscevismo'<br />

autentico, sia perché uom<strong>in</strong>i come D'Annunzio provocavano pretesti per la reazione<br />

militare.<br />

Mussol<strong>in</strong>i, che doveva attribuire a se stesso e ai suoi fascisti il merito di aver soffocato<br />

il 'bolscevismo' <strong>in</strong> Italia, proprio negli ultimi mesi <strong>del</strong> 1919 e nei primi sei mesi <strong>del</strong><br />

1920, si abbandonò al<strong>le</strong> più sfrenate manifestazioni rivoluzionarie. Quando<br />

D'Annunzio occupò Fiume, Mussol<strong>in</strong>i glorificò ta<strong>le</strong> impresa come 'il gesto <strong>in</strong>trepido' che<br />

scioglieva 'il nodo gordiano dei plutocrati occidentali' (7), come 'il primo gesto di<br />

rivolta' contro la coalizione plutocratica che si è formata a Versaglia (8). La<br />

rivoluzione era <strong>in</strong> marcia, 'com<strong>in</strong>ciata a Fiume, può conchiudersi a Roma' (9). Alla<br />

vigilia <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni <strong>del</strong> 16 novembre, Mussol<strong>in</strong>i cercò di riconciliarsi con gli e<strong>le</strong>ttori<br />

dichiarando di opporsi a qualsiasi forma di dittatura:<br />

«Noi diciamo che se domani i nostri più feroci avversari fossero vittime <strong>in</strong> tempi<br />

normali di un regime d'eccezione, noi <strong>in</strong>s<strong>org</strong>eremmo perché siamo per tutte <strong>le</strong> libertà,<br />

contro tutte <strong>le</strong> tirannie...<br />

Gli italiani sono <strong>in</strong>dividualistici e non sopportano l'autorità di uno solo. (...) Nessuno<br />

vuo<strong>le</strong> essere governato da un suo simi<strong>le</strong> che si eriga a Messia, Czar, e Padreterno.<br />

(...) Vogliamo la libertà per tutti. Vogliamo che governi la libertà universa<strong>le</strong>, non la<br />

volontà di un gruppo o di un uomo» (10).<br />

Dato che non era stato e<strong>le</strong>tto, Mussol<strong>in</strong>i si dette immediatamente a sostenere<br />

l'abolizione <strong>del</strong> Parlamento. Quando Malatesta tornò <strong>in</strong> Italia, Mussol<strong>in</strong>i così salutava il<br />

vecchio rivoluzionario:<br />

«Noi non sappiamo se il fatto di essere stati <strong>in</strong>terventisti e di aver coraggio di<br />

vantarsene, sia ta<strong>le</strong> da provocare <strong>le</strong> scomuniche <strong>del</strong> vecchio agitatore anarchico.<br />

Forse egli è molto meno <strong>in</strong>transigente dei tesserati idioti e nefandi <strong>del</strong> pus. Noi siamo<br />

lontani dal<strong>le</strong> sue idee, perché non crediamo più a nessuna verità rivelata, perché non<br />

crediamo più alla possibilità dei paradisi terrestri ad opera di <strong>le</strong>ggi o di mitragliatrici,<br />

perché non crediamo più al<strong>le</strong> mutuazioni taumaturgiche, perché abbiamo un altro<br />

concetto - nettamente <strong>in</strong>dividualistico - <strong>del</strong>la vita e <strong>del</strong>la lotta, ma tutto ciò non<br />

impedisce a noi sempre pronti ad ammirare gli uom<strong>in</strong>i che professano con<br />

dis<strong>in</strong>teresse una fede e per quella sono pronti a morire, di mandare a Malatesta il<br />

nostro saluto cordia<strong>le</strong>. Lo facciamo colla speranza che la sua vasta esperienza di vita<br />

vissuta giovi a smascherare i mercanti <strong>del</strong>la rivoluzione, i venditori di fumo<br />

bolscevico, i preparatori di una nuova tirannia che, dopo un breve periodo, lascerebbe<br />

il posto a una spaventevo<strong>le</strong> reazione» (11).<br />

Il suo disprezzo per qualsiasi fede religiosa si accompagnava ancora ai suoi petardi<br />

ultrarivoluzionari. Nel "Popolo d'Italia" <strong>del</strong> 12 dicembre 1919, scriveva:


«Noi che detestiamo dal profondo tutti i cristianesimi, da quello di Gesù a quello di<br />

Marx (!), guardiamo con simpatia straord<strong>in</strong>aria a questo 'riprendere' <strong>del</strong>la vita<br />

moderna, nel<strong>le</strong> forme pagane <strong>del</strong> culto <strong>del</strong>la forza e <strong>del</strong>l'audacia. (...) Basta, teologi<br />

rossi e neri di tutte <strong>le</strong> chiese, colla promessa astuta e falsa di un paradiso che non<br />

verrà mai! (...) Basta, ridicoli salvatori <strong>del</strong> genere umano che se ne <strong>in</strong>fischia dei vostri<br />

'ritrovati' <strong>in</strong>fallibili per regalargli la felicità. Lasciate sgombro il camm<strong>in</strong>o al<strong>le</strong> forze<br />

e<strong>le</strong>mentari degli <strong>in</strong>dividui, perché altra realtà umana, all'<strong>in</strong>fuori <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dividuo, non<br />

esiste!»<br />

Il 1 gennaio 1920, egli scriveva:<br />

«"Ritorniamo all'<strong>in</strong>dividuo". (...) Due religioni si contendono oggi il dom<strong>in</strong>io degli<br />

spiriti e <strong>del</strong> mondo: la nera e la rossa. Da due Vaticani partono, oggi, <strong>le</strong> encicliche: da<br />

quello di Roma e da quello di Mosca. Noi siamo gli eretici di queste due religioni'»<br />

(12).<br />

Nello stesso giorno così si commentava il m<strong>in</strong>acciato sciopero dei dipendenti<br />

poste<strong>le</strong>grafonici:<br />

«Noi vogliamo la lotta ad oltranza per la perequazione stipendi, l'aumento <strong>in</strong>dennità<br />

notturna e straord<strong>in</strong>aria, il raddoppiamento e <strong>in</strong>dennità caro-viveri, la connessione<br />

<strong>in</strong>dennità di resistenza e il riconoscimento dei diritti di carriera. (...) Noi gridiamo oggi<br />

il nostro diritto alla vita contro i falsi monetari <strong>del</strong> patriottismo e i pescicani di guerra»<br />

(13).<br />

Poche settimane dopo la Confederazione genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> lavoro si rifiutava di appoggiare<br />

lo sciopero dei ferrovieri. Il fascista Agost<strong>in</strong>o Lanzillo, che più tardi doveva diventare<br />

un personaggio illustre <strong>del</strong> regime fascista, così scriveva nel "Popolo d'Italia" <strong>del</strong> 24<br />

gennaio 1920:<br />

«Lo sciopero fu fatto da una formidabi<strong>le</strong> massa di persona<strong>le</strong>, con <strong>in</strong>negabi<strong>le</strong> fede e<br />

conv<strong>in</strong>zione di loro buon diritto. (...) Nella dura questione ferroviaria, apparve<br />

evidente lo sforzo <strong>del</strong> partito (socialista) e <strong>del</strong>la Confederazione di lasciare i ferrovieri<br />

<strong>in</strong> loro balia f<strong>in</strong>o a quando siano prossimi alla sconfitta. (...) Parmi che questi due<br />

scioperi siano i primi che possano <strong>in</strong>dicarsi, dopo tanto tempo di preponderanza<br />

politica socialista, come concepiti ed attuati al di fuori e contro la tirannica volontà <strong>del</strong><br />

partito socialista. (...) Le giornate <strong>del</strong>la vio<strong>le</strong>nza operaia hanno un valore r<strong>in</strong>novatore<br />

che supera di mil<strong>le</strong> cubiti la miseria degli arruffapopoli».<br />

Nell'apri<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1920, il governo applicava l'ora <strong>le</strong>ga<strong>le</strong>. I comunisti scoprirono che<br />

questo nuovo sistema di contare <strong>le</strong> ore era stato <strong>in</strong>ventato dai 'b<strong>org</strong>hesi' per rendere<br />

ancora più duro il lavoro <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato. In alcune fabbriche di Tor<strong>in</strong>o si ebbero degli<br />

scioperi di protesta, e Mussol<strong>in</strong>i plaudì a questi scioperi. Secondo lui, lo stato italiano<br />

com'era allora, questo povero stato democratico <strong>in</strong> cui si scioperava pers<strong>in</strong>o contro<br />

l'ora <strong>le</strong>ga<strong>le</strong>, era troppo attivo, troppo opprimente, <strong>in</strong>sopportabi<strong>le</strong>.<br />

«Anch'io sono contro l'ora <strong>le</strong>ga<strong>le</strong> perché rappresenta un'altra forma d'<strong>in</strong>vertimento e<br />

coercizione stata<strong>le</strong>. (...) Lo Stato, colla sua enorme macch<strong>in</strong>a burocratica, dà il senso<br />

<strong>del</strong>l'asfissia. Lo Stato era sopportabi<strong>le</strong>, dall'<strong>in</strong>dividuo, s<strong>in</strong>o a quando si limitava a fare<br />

il soldato e il poliziotto; ma oggi lo Stato fa tutto: fa il banchiere, fa l'usuraio, il<br />

biscazziere, il navigatore, il ruffiano, l'assicuratore, il post<strong>in</strong>o, il ferroviere,<br />

l'impresario <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong>, il maestro, il professore, il tabaccaio, e <strong>in</strong>numerevoli altre<br />

cose, oltre a fare come sempre, il poliziotto, il giudice, il carceriere e l'agente <strong>del</strong><strong>le</strong>


imposte. Lo Stato, Moloch dal<strong>le</strong> sembianze spaventevoli, oggi vede tutto, fa tutto,<br />

controlla tutto e manda tutto alla malora: ogni funzione <strong>del</strong>lo Stato è un disastro.<br />

Disastro l'arte di Stato, la scuola di Stato, <strong>le</strong> poste di Stato, la navigazione di Stato, i<br />

rifornimenti - ahimè - di Stato e la litania potrebbe durare all'<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito. Ora <strong>le</strong><br />

prospettive <strong>del</strong> domani sono raccapriccianti. Il socialismo non è che l'ampliamento, il<br />

moltiplicamento, il perfezionamento <strong>del</strong>lo Stato. Lo Stato b<strong>org</strong>hese controlla i nove<br />

decimi <strong>del</strong>la vostra vita e <strong>del</strong>la vostra attività; domani lo Stato socialista vi control<strong>le</strong>rà<br />

<strong>in</strong> ogni m<strong>in</strong>uto, <strong>in</strong> ogni funzione o movimento; oggi siete obbligati. a denunciare il<br />

numero dei vostri figli, ma domani vi si costr<strong>in</strong>gerà a denunciare anche il numero<br />

esatto dei vostri capricci amorosi. Anche l'amore sarà - <strong>in</strong> regime di Stato socialista -<br />

standardizzato, tesaurizzato diagrammizzato a uso e consumo e di<strong>le</strong>tto dei centomila<br />

A<strong>le</strong>ssandro Schiavi che sbocceranno <strong>in</strong> regime di socialismo di Stato. Se gli uom<strong>in</strong>i<br />

avessero soltanto una vaga sensazione <strong>del</strong>l'abisso che li attende, il numero dei suicidi<br />

sarebbe <strong>in</strong> aumento: "si va verso l'annientamento tota<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dividualità umana". Lo<br />

Stato è la macch<strong>in</strong>a tremenda che <strong>in</strong>goia gli uom<strong>in</strong>i vivi e li rivomita cifre morte. La<br />

vita umana non ha più nulla di segreto, di <strong>in</strong>timo, di ord<strong>in</strong>e materia<strong>le</strong> o spiritua<strong>le</strong> che<br />

sia: tutti gli angoli sono esplorati, tutti i movimenti cronometrati, ognuno è<br />

<strong>in</strong>castellato nel suo 'raggio' e numerato come <strong>in</strong> una ga<strong>le</strong>ra. Questa, questa è la<br />

grande ma<strong>le</strong>dizione che colpì la razza umana, negli <strong>in</strong>certi com<strong>in</strong>ciamenti <strong>del</strong>la sua<br />

storia: creare, nei secoli, lo Stato, per rimanervi sotto, annientata! (...) Io parto<br />

dall'<strong>in</strong>dividuo e punto contro lo Stato. (...) Abbasso lo Stato sotto tutte <strong>le</strong> sue specie e<br />

<strong>in</strong>carnazioni. Lo Stato di ieri, di oggi, di domani. Lo Stato b<strong>org</strong>hese e quello socialista.<br />

A noi che siamo i morituri <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dividualismo non resta, per il buio presente e per il<br />

tenebroso domani, che la religione, assurda oramai, ma sempre consolatrice,<br />

<strong>del</strong>l'"Anarchia!"» (14).<br />

Verso i contad<strong>in</strong>i che qua e là occupavano <strong>le</strong> terre, Mussol<strong>in</strong>i mostrava piena simpatia.<br />

Il 25 maggio 1920, scriveva:<br />

«I contad<strong>in</strong>i che oggi si agitano per risolvere il prob<strong>le</strong>ma terriero non possono essere<br />

guardati da noi con antipatia. Commetteranno degli eccessi, ma vi prego di<br />

considerare che il nerbo <strong>del</strong><strong>le</strong> fanterie era composto di contad<strong>in</strong>i, che chi ha fatto la<br />

guerra sono stati i contad<strong>in</strong>i» (15).<br />

Se allora l'ondata rivoluzionaria non ruppe gli arg<strong>in</strong>i neppure nella prima metà <strong>del</strong><br />

1920, la ragione non va ricercata nell'azione di Mussol<strong>in</strong>i, e non soltanto perché egli<br />

fece tutto il possibi<strong>le</strong> perché quell'ondata rompesse gli arg<strong>in</strong>i, ma anche perché <strong>in</strong><br />

quel tempo la sua <strong>in</strong>fluenza era irri<strong>le</strong>vante. Nell'ottobre <strong>del</strong> 1919, i fascisti<br />

dichiararono che gli iscritti <strong>in</strong> tutta Italia al loro movimento politico erano 40000, e<br />

160000 gli iscritti ai loro s<strong>in</strong>dacati (16). Ma questi dati erano una fantasia. Abbiamo<br />

visto che nel<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni <strong>del</strong> novembre 1919, <strong>in</strong> tutta la Lombardia Mussol<strong>in</strong>i non<br />

raccolse neppure 6000 voti, mentre i socialisti ne ebbero 138000 e i popolari 61000.<br />

A quel tempo, secondo un resoconto presentato al congresso naziona<strong>le</strong> fascista <strong>del</strong><br />

novembre 1921, c'erano <strong>in</strong> tutta Italia soltanto 17000 fascisti (17); ma secondo<br />

quanto disse Mussol<strong>in</strong>i <strong>in</strong> un discorso <strong>del</strong> 24 marzo 1924, per tutto il 1919 i fascisti<br />

d'Italia non arrivarono alla cifra di diecimila (18), e secondo un comunicato ufficia<strong>le</strong><br />

pubblicato nel Popolo d'Italia <strong>del</strong> 23 marzo 1929, i fascisti erano appena 870.<br />

Quest'ultima sembra essere la cifra più probabi<strong>le</strong>. La <strong>in</strong>fluenza che aveva Mussol<strong>in</strong>i<br />

servì soltanto a rendere più acuto il diffuso stato di agitazione.<br />

La 'nevrastenia' italiana <strong>del</strong> dopoguerra fu detta 'bolscevica' non solo perché la<br />

rivoluzione russa aveva reso il 'bolscevismo' di moda, e gli agitatori cercavano<br />

effettivamente di servirsi <strong>del</strong>la crisi per provocare una rivoluzione bolscevica, ma<br />

anche perché gli uom<strong>in</strong>i politici, che avevano condotto ma<strong>le</strong> la guerra e anche peggio


la pace, i nuovi ricchi che con i loro lussi sfrenati sol<strong>le</strong>vavano l'<strong>in</strong>dignazione genera<strong>le</strong>, i<br />

capi militari e i nazionalisti che avevano creato il mito ve<strong>le</strong>noso <strong>del</strong>la 'vittoria mutilata'<br />

e con l'impresa di Fiume avevano sparso i semi <strong>del</strong>la sedizione nell'esercito, tutti<br />

costoro trovarono comodo far ricadere la responsabilità <strong>del</strong>la <strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>e popolare<br />

sulla propaganda 'bolscevica.' In politica, come <strong>in</strong> ogni altro genere di cose, non piace<br />

a nessuno ricercare <strong>le</strong> cause <strong>del</strong> ma<strong>le</strong> nel<strong>le</strong> proprie colpe: è sempre più comodo<br />

attribuirne ad altri la responsabilità. Se ogni sciopero, ogni conflitto, ogni disord<strong>in</strong>e,<br />

deve essere onorato <strong>del</strong>la qualifica di 'bolscevico,' <strong>in</strong> tal caso non c'è dubbio che nel<br />

1919 e 1920 l'Italia era <strong>in</strong> preda al 'bolscevismo.' Gli italiani sono un popolo<br />

rumoroso: non riescono a far niente senza fare un gran chiasso, e spesso fanno un<br />

gran chiasso senza fare niente. Ma se il term<strong>in</strong>e 'bolscevismo' si deve usare<br />

solamente nel caso di una rivoluzione socia<strong>le</strong> che rovesci <strong>le</strong> classi abbienti privando<strong>le</strong><br />

<strong>del</strong> potere politico, allora l'Italia durante quegli anni non è stata mai <strong>in</strong> preda al<br />

'bolscevismo.' E se per 'bolscevismo' si <strong>in</strong>tende il collasso economico <strong>in</strong> seguito ad una<br />

agitazione politica, ta<strong>le</strong> collasso economico non si ebbe mai.<br />

Non occorre sm<strong>in</strong>uire il disagio provocato dagli scioperi, specialmente di quelli che<br />

riguardavano <strong>le</strong> ferrovie e gli altri servizi pubblici, o m<strong>in</strong>imizzare la responsabilità di<br />

quegli e<strong>le</strong>menti aggressivi e radicali che si abbandonavano al giuoco assai costoso di<br />

creare i guai nella speranza che i guai alimentassero la rivoluzione. E' chiaro che nella<br />

prima metà <strong>del</strong> 1920 vi era tra <strong>le</strong> masse un vero stato di attesa per una <strong>in</strong>combente<br />

rivoluzione socia<strong>le</strong>. Ma anche quando si sia tenuto presente tutto questo, rimane il<br />

fatto che vi furono sì molti disord<strong>in</strong>i, scioperi, conflitti e molto chiasso e molta<br />

confusione, ma non si arrivò mai alla crisi fata<strong>le</strong>.<br />

Per lo più <strong>le</strong> persone che, col fiato sospeso e gli occhi fuori <strong>del</strong><strong>le</strong> orbite, parlano <strong>del</strong><br />

'bolscevismo' di quegli anni, non sono <strong>in</strong>s<strong>in</strong>cere. Nel 1919 e 1920, furono terrorizzate<br />

dalla tragedia russa, ed erano <strong>in</strong> uno stato di timor panico, <strong>in</strong> attesa <strong>del</strong>la rivoluzione<br />

socia<strong>le</strong> come <strong>le</strong> pecore davanti al macello. Se la paura, lo smarrimento e la<br />

vigliaccheria dei ceti abbienti fossero sufficienti a provocare una rivoluzione<br />

comunista, nel 1919 e 1920 il popolo italiano avrebbe potuto fare quante rivoluzioni<br />

comuniste vo<strong>le</strong>va. Se non si prende <strong>in</strong> considerazione ta<strong>le</strong> stato di panico non si<br />

riuscirà a comprendere la ferocia <strong>del</strong>la reazione fascista che venne dopo. Inoltre si<br />

deve ricordare l'amarezza patriottica e il profondo desiderio di riv<strong>in</strong>cita che realmente<br />

esisteva <strong>in</strong> larghi settori dei ceti medi italiani contro <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si, francesi e americani che<br />

'avevano mutilato la vittoria italiana,' contro quegli uom<strong>in</strong>i politici italiani <strong>del</strong>la vecchia<br />

scuola che 'avevano v<strong>in</strong>to la guerra ma perduto la pace,' e contro tutti quegli italiani<br />

che si erano rifiutati di sostenere Sonn<strong>in</strong>o e si erano opposti a nuove avventure<br />

belliche <strong>in</strong>ternazionali. I socialisti formavano la parte più potente di questo gruppo<br />

contrario alla guerra, e qu<strong>in</strong>di era contro di loro che nazionalisti e fascisti<br />

<strong>in</strong>dirizzavano maggiormente il loro odio. Venivano chiamati 'bolscevichi' anche quando<br />

professavano la forma più mite <strong>del</strong> socialismo; e fu così che nacque lo slogan che i<br />

fascisti combattevano contro il 'bolscevismo.' Ma allo stesso modo che non è prudente<br />

credere alla parola di chi sia <strong>in</strong> preda ai fumi <strong>del</strong> v<strong>in</strong>o, così non è prudente credere<br />

alla parola di chi sia <strong>in</strong> preda al panico o all'ira. Se si controllano i rif<strong>le</strong>ssi psicologici<br />

<strong>del</strong>la crisi post-bellica con gli <strong>in</strong>dici oggettivi <strong>del</strong>la vita economica e socia<strong>le</strong>, ciascun<br />

ricercatore spregiudicato dovrà pervenire alla conclusione che il cosiddetto<br />

'bolscevismo' italiano <strong>del</strong> 1919-20 non era niente di peggio di un <strong>in</strong>s<strong>org</strong>ere di<br />

agitazione <strong>in</strong>composta <strong>in</strong> larghi settori <strong>del</strong> popolo italiano, alla qua<strong>le</strong> i peggiori<br />

e<strong>le</strong>menti <strong>del</strong>la classe dirigente risposero dando prova di una vigliaccheria e di uno<br />

stato di scoraggiamento <strong>del</strong> tutto sproporzionato alla rea<strong>le</strong> entità <strong>del</strong> pericolo (19). Al<br />

contrario un documento lampante <strong>del</strong>la frenesia italiana 'antibolscevica' è il libro di<br />

Panta<strong>le</strong>oni, "Bolscevismo italiano" (20). Agli occhi <strong>del</strong> Panta<strong>le</strong>oni chiunque non era un<br />

sostenitore <strong>in</strong>condizionato <strong>del</strong>la dottr<strong>in</strong>a economica <strong>del</strong> "laissez-faire" era o un<br />

'bolscevico' o un 'cripto-bolscevico'; anarchici, comunisti, socialisti, repubblicani


mazz<strong>in</strong>iani, e aderenti al partito popolare, erano tutti 'bolscevichi.' Quei democratici<br />

che non combattevano il socialismo con impeto sufficiente non erano 'bolscevichi' ma<br />

'bolscevisti sornioni.' Mescolando <strong>in</strong>sieme <strong>in</strong> una sola entità chiamata 'bolscevismo'<br />

tutti i gruppi <strong>in</strong> contrasto tra loro, e attribuendo a questa unica entità tutte <strong>le</strong> azioni e<br />

<strong>le</strong> responsabilità dei diversi gruppi, Panta<strong>le</strong>oni fa credere ai suoi <strong>le</strong>ttori all'esistenza di<br />

un movimento bolscevico compatto, <strong>in</strong>telligente, coord<strong>in</strong>ato, la cui forza è<br />

spaventosa.<br />

Nel 1919 e 1920, l'Inghilterra si trovò <strong>in</strong> condizioni di assai maggior disagio <strong>del</strong>l'Italia,<br />

ma non capitò mai che gli <strong>in</strong>g<strong>le</strong>si cadessero <strong>in</strong> preda al<strong>le</strong> convulsioni, per la paura che<br />

l'Inghilterra stesse diventando 'bolscevica.'


CAPITOLO DICIASSETTESIMO.<br />

L'OCCUPAZIONE DELLE FABBRICHE.<br />

Nel giugno <strong>del</strong> 1920, Nitti si dimise, perché i deputati <strong>del</strong> partito popolare lo avevano<br />

abbandonato. Orlando aveva perso ogni prestigio nel corso <strong>del</strong>la Conferenza <strong>del</strong>la<br />

Pace. Non vi era nessun altro uomo politico disponibi<strong>le</strong> per la presidenza all'<strong>in</strong>fuori di<br />

Giolitti, il <strong>le</strong>ader di quei deputati che nel 1915 si erano opposti all'entrata <strong>del</strong>l'Italia <strong>in</strong><br />

guerra. Questo fatto contribuì grandemente a diffondere il senso che la guerra fosse<br />

stata un fallimento.<br />

Giolitti si trovò subito a dover affrontare non soltanto la solita ondata di scioperi e<br />

disord<strong>in</strong>i, ma anche un ammut<strong>in</strong>amento dei soldati di Ancona. Questi dovevano<br />

partire per l'Albania per reprimere una rivolta contro gli italiani. I soldati si rifiutavano<br />

di partire. Molti ufficiali <strong>del</strong>l'esercito regolare nel settembre <strong>del</strong> 1919 avevano<br />

disobbedito al governo civi<strong>le</strong>, schierandosi dalla parte di D'Annunzio nella questione di<br />

Fiume; questa volta erano i soldati che disobbedivano ai loro ufficiali rifiutandosi di<br />

andare a combattere <strong>in</strong> Albania. I semi <strong>del</strong>la sedizione militare sem<strong>in</strong>ati l'anno prima<br />

dai nazionalisti stavano dando i loro frutti. Gli anarchici e i repubblicani, forti ad<br />

Ancona, cercarono di approfittare di questo movimento, ma i soldati non li seguirono;<br />

si sottomisero ai loro ufficiali, e parteciparono pers<strong>in</strong>o alla repressione di un tentativo<br />

rivoluzionario <strong>in</strong> città <strong>in</strong> cui persero la vita ventic<strong>in</strong>que persone (26-27 giugno). Seguì<br />

poi il solito scoppio disord<strong>in</strong>ato di scioperi generali.<br />

La direzione <strong>del</strong> partito socialista si riunì per decidere se era il caso di allargare il<br />

movimento e <strong>in</strong>iziare la tanto a lungo annunciata rivoluzione socia<strong>le</strong>. I membri <strong>del</strong>la<br />

direzione, che erano tutti massimalisti o estremisti, si divisero tre per parte. Per<br />

raggiungere una maggioranza chiesero che partecipasse alla votazione il<br />

rappresentante dei deputati, che secondo lo statuto <strong>del</strong> partito partecipava al<strong>le</strong><br />

riunioni senza diritto di voto. Tutti sapevano che egli avrebbe dato il suo voto contro<br />

l'allargamento <strong>del</strong> movimento, e così fece. In tal modo la 'grande ora' fu ancora una<br />

volta r<strong>in</strong>viata. Ma adesso gli estremisti erano <strong>in</strong> posizione ta<strong>le</strong> da poter sostenere che<br />

essa non era scoccata perché il pro<strong>le</strong>tariato era stato tradito da quel<strong>le</strong> quattro<br />

persone che non avevano votato <strong>in</strong> favore <strong>del</strong>la rivoluzione (1).<br />

Pochi giorni dopo nascevano difficoltà da un'altra parte. Giolitti aveva scelto come suo<br />

m<strong>in</strong>istro degli Esteri il conte Sforza, che aveva sempre condannato i progetti di<br />

annessione all'Italia <strong>del</strong>la Dalmazia ed era <strong>in</strong>tenzionato a raggiungere un<br />

compromesso italo-yugoslavo sulla questione adriatica. A Trieste, il 13 luglio, un<br />

gruppo di nazionalisti e di fascisti appiccò il fuoco, distruggendolo, al quartier genera<strong>le</strong><br />

di tutte <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni politiche, economiche e culturali degli slavi <strong>in</strong> città, il<br />

'Narodni dom,' un atto di vio<strong>le</strong>nza che produsse un danno di circa due milioni e mezzo<br />

di lire. Gli <strong>in</strong>cendiari si procurarono <strong>in</strong> una caserma vic<strong>in</strong>a la benz<strong>in</strong>a necessaria per la<br />

loro opera. In tal modo essi avevano sperato di far fallire i negoziati tra Sforza e il<br />

governo di Belgrado. A capo di questa impresa ritroviamo quello stesso Giunta che<br />

abbiamo <strong>in</strong>contrato a Roma e a Firenze nel giugno e luglio <strong>del</strong> 1919 come<br />

fomentatore di disord<strong>in</strong>i.<br />

Nel frattempo, tra i ceti medi ed abbienti si andava <strong>le</strong>ntamente maturando un nuovo<br />

stato d'animo. Gli <strong>in</strong>dustriali, che durante la guerra avevano fabbricato munizioni o<br />

panno militare, s<strong>in</strong>ora non avevano veramente sofferto <strong>le</strong> conseguenze dei disord<strong>in</strong>i e<br />

degli scioperi. Il timore dei disord<strong>in</strong>i che avrebbero potuto s<strong>org</strong>ere dalla<br />

disoccupazione tratteneva il governo dal porre term<strong>in</strong>e alla produzione di materia<strong>le</strong><br />

bellico. Gli <strong>in</strong>dustriali poi protestavano, affermando che non potevano cont<strong>in</strong>uare a<br />

pagare i salari richiesti dagli operai se il governo non aumentava i prezzi <strong>del</strong><strong>le</strong> merci;<br />

e il governo allora, allo scopo di far fronte ai propri impegni, aumentava la


circolazione <strong>del</strong>la carta moneta. Di conseguenza vi fu un r<strong>in</strong>caro dei prezzi, nuovi<br />

scioperi, un r<strong>in</strong>novato timore di disord<strong>in</strong>i, e nuove ord<strong>in</strong>azioni di materia<strong>le</strong> bellico.<br />

Ma il governo non poteva cont<strong>in</strong>uare a ord<strong>in</strong>are all'<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito <strong>del</strong> materia<strong>le</strong> bellico <strong>in</strong>uti<strong>le</strong>,<br />

e a loro volta gli <strong>in</strong>dustriali non potevano passare dai prezzi antieconomici ai prezzi<br />

economici senza o r<strong>in</strong>unciare ai profitti o abbassare i salari, e non potevano abbassare<br />

i salari senza una dura lotta contro l'<strong>org</strong>anizzazione economica e l'<strong>in</strong>fluenza politica<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> classi lavoratrici.<br />

Nella bassa Lombardia, <strong>in</strong> Emilia, Toscana e Puglia, dove la pressione dei s<strong>in</strong>dacati<br />

socialisti e popolari era al suo massimo, i datori di lavoro agricolo vivevano <strong>in</strong> uno<br />

stato di cont<strong>in</strong>uo timore per sé e per <strong>le</strong> proprie famiglie, spesso isolati com'erano <strong>in</strong><br />

aperta campagna e senza mezzi di difesa. Durante il primo anno dopo la f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la<br />

guerra, essi avevano sopportato questo stato di cose, sperando che presto tutto<br />

sarebbe tornato come prima; i contad<strong>in</strong>i erano quasi tutti reduci, e si doveva portar<br />

pazienza per i colpi di testa dei 'salvatori <strong>del</strong>la patria.' Ma col passar <strong>del</strong> tempo questa<br />

tenerezza verso i 'salvatori <strong>del</strong>la patria' com<strong>in</strong>ciò ad affievolirsi, mentre cresceva uno<br />

stato d'irritazione. Con la batosta <strong>del</strong><strong>le</strong> nuove imposte diventava sempre più diffici<strong>le</strong><br />

per i proprietari terrieri sopportare il peso di alti salari e <strong>in</strong> più l'obbligo di assumere,<br />

per al<strong>le</strong>viare la disoccupazione, un numero di opere non necessarie e talvolta perf<strong>in</strong>o<br />

dannose. I più esasperati non erano i grandi proprietari terrieri, che non avevano<br />

contatti diretti con i braccianti e i mezzadri, ma gli affittuari, i fattori, i piccoli e medi<br />

proprietari. Più di tutti erano esacerbati quei piccoli proprietari che da poco eran<br />

venuti <strong>in</strong> possesso <strong>del</strong>la terra con i risparmi accumulati durante la guerra, e che<br />

adesso si vedevano costretti a difendere la loro proprietà.<br />

Insieme all''antibolscevismo' degli <strong>in</strong>dustriali e dei proprietari terrieri, vi era quello dei<br />

bottegai e dei commercianti. Molti di costoro avevano avversato la guerra, e nel 1919<br />

avevano simpatizzato con <strong>le</strong> proteste dei 'bolscevichi' contro i responsabili <strong>del</strong>la<br />

guerra. Ma non appena questo 'bolscevismo' com<strong>in</strong>ciò ad imporre calmieri,<br />

saccheggiare negozi, rompere <strong>le</strong> vetr<strong>in</strong>e, anch'essi divennero accesi 'antibolscevichi.'<br />

Inoltre <strong>le</strong> cooperative di vendita al m<strong>in</strong>uto dei socialisti e dei popolari facevano<br />

concorrenza ai piccoli negozianti. Per costoro 'antibolscevismo' significava porre f<strong>in</strong>e,<br />

a) ai disord<strong>in</strong>i per <strong>le</strong> strade, b) ai calmieri per i generi alimentari, c) alla concorrenza<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> cooperative socialiste e popolari.<br />

Anche i dipendenti statali avevano la loro forma di 'antibolscevismo.' Gli operai, i<br />

contad<strong>in</strong>i non proprietari, quei dipendenti di pubblici servizi che potevano scioperare -<br />

come i ferrovieri e i poste<strong>le</strong>grafonici - si erano s<strong>in</strong>o allora difesi contro l'<strong>in</strong>flazione e il<br />

conseguente rialzo dei prezzi, esigendo salari e stipendi più alti. Al contrario, i<br />

magistrati, gli ufficiali, gli <strong>in</strong>segnanti, i pensionati, e quanti vivevano con un reddito<br />

fisso, si trovavano <strong>in</strong> grandi strettezze. Molti di questi nel 1919 erano stati<br />

'bolscevichi.' Durante il 1920, mettendo a confronto la loro crescente miseria con i<br />

crescenti salari dei lavoratori manuali, divennero anch'essi 'antibolscevichi.' Invece di<br />

risalire alla causa prima <strong>del</strong> loro ma<strong>le</strong>, anche se meno ovvia, cioè all'<strong>in</strong>flazione, ne<br />

attribuivano tutta la colpa agli scioperi, fenomeno secondario ma certo più<br />

appariscente.<br />

Una sottospecie di questo 'antibolscevismo' burocratico era l'antibolscevismo' <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

forze di polizia <strong>del</strong>la Guardia Regia, dei carab<strong>in</strong>ieri: costretti a correre da ogni parte<br />

per far cessare i disord<strong>in</strong>i, <strong>in</strong>sultati dai giornali e nei comizi rivoluzionari, esposti <strong>in</strong><br />

cont<strong>in</strong>uazione al pericolo di essere feriti ed uccisi, esasperati per il frequente uso <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

armi, al qua<strong>le</strong> erano realmente costretti, contro <strong>le</strong> fol<strong>le</strong> <strong>in</strong> tumulto. Estremisti come<br />

quelli che <strong>in</strong> un paese <strong>del</strong>la Toscana, Abbadia San Salvadore, <strong>in</strong> prov<strong>in</strong>cia di Siena,<br />

assalirono una processione, si scontrarono con i carab<strong>in</strong>ieri che cercavano di<br />

mantenere l'ord<strong>in</strong>e, ne uccisero uno, ebbero a loro volta un morto, e per vendetta<br />

uccisero un frate e ferirono due preti, non contribuivano certo a far dim<strong>in</strong>uire la forza<br />

di questo 'antibolscevismo' che era corrente nell'agosto <strong>del</strong> 1920. In quella


circostanza due altre persone e un bamb<strong>in</strong>o <strong>in</strong> fasce persero la vita. A Roma, il 20<br />

luglio, i tranvieri vo<strong>le</strong>vano ce<strong>le</strong>brare la loro vittoria <strong>in</strong> seguito a uno sciopero,<br />

adornando <strong>le</strong> vetture con <strong>del</strong><strong>le</strong> bandier<strong>in</strong>e rosse. Il pubblico reagì contro questa<br />

manifestazione e malmenò i tranvieri con ta<strong>le</strong> vio<strong>le</strong>nza che alcuni di essi f<strong>in</strong>irono<br />

all'ospeda<strong>le</strong>. La Camera <strong>del</strong> lavoro proclamò uno sciopero genera<strong>le</strong> di protesta. Si<br />

ebbero scontri tra socialisti e nazionalisti. Furono devastati i locali dove si pubblicava<br />

l'edizione romana <strong>del</strong>l'"Avanti!"; tre deputati socialisti furono feriti piuttosto<br />

gravemente. Dopo quattro giorni di sciopero e di conflitti <strong>le</strong> acque si placarono.<br />

Certamente l'aggressione contro i lavoratori fu condotta dai nazionalisti, ma senza<br />

dubbio una gran parte <strong>del</strong>la popolazione era esasperata nei confronti dei tranvieri, e,<br />

che vi partecipasse o no, approvava la reazione (2).<br />

L'alto comando <strong>del</strong>l'esercito osservava attentamente questi s<strong>in</strong>tomi di reazione.<br />

Nell'estate <strong>del</strong> 1920, il colonnello A. R., 'esperto militare per la guerra civi<strong>le</strong>,' fu<br />

<strong>in</strong>viato dal m<strong>in</strong>istero <strong>del</strong>la Guerra per un giro di ispezione <strong>in</strong> tutta Italia. Il suo<br />

rapporto fu pubblicato un anno dopo dal giorna<strong>le</strong> comunista "Ord<strong>in</strong>e Nuovo", e la sua<br />

autenticità non venne mai smentita. Il colonnello A. R. non riteneva possibi<strong>le</strong> per i<br />

rivoluzionari italiani concludere niente di serio.<br />

«Gli spiriti irrequieti e rivoluzionari non posseggono carattere <strong>org</strong>anizzativo.<br />

Generalmente si tratta di gruppi <strong>in</strong>composti, eterogenei e non affiatati, che agiscono<br />

impulsivamente per una ragione emotiva momentanea. Le armi <strong>in</strong> loro possesso non<br />

possono essere molte, né distribuite con ord<strong>in</strong>e. Gruppi <strong>org</strong>anici per il loro<br />

funzionamento non ve ne sono. Le munizioni non possono essere che scarse e<br />

<strong>in</strong>adeguate per una lunga resistenza. I gruppi politici che concorrono ad alimentare<br />

questi esaltati hanno uom<strong>in</strong>i coraggiosi e abili, ma mescolati con fatui parolai, gli uni e<br />

gli altri dotati di limitatissimo spirito d'osservazione circa la tattica, <strong>le</strong> armi, <strong>le</strong> forze<br />

<strong>del</strong>l'ord<strong>in</strong>e, il col<strong>le</strong>gamento, la coord<strong>in</strong>azione necessaria, l'azione stessa. Per <strong>le</strong><br />

condizioni e abitud<strong>in</strong>i di vita, i mezzi a disposizione dei turbo<strong>le</strong>nti sono limitatissimi;<br />

ogni tentativo di affiatamento e di preparazione resta loca<strong>le</strong>, al massimo tenta di<br />

arrivare f<strong>in</strong>o ai limiti <strong>del</strong>la regione... La possibilità di una lunga ed oculata<br />

preparazione viene a mancare. Qu<strong>in</strong>di sp<strong>in</strong>ti da emozioni momentanee, i rivoltosi si<br />

adunano generalmente <strong>in</strong> masse per eccitarsi a vicenda, per trovare i capi, gli<br />

<strong>in</strong>dirizzi. I più restano <strong>in</strong>certi, senza <strong>in</strong>iziativa. Si suggestionano <strong>del</strong> chiasso e <strong>del</strong><br />

numero, si <strong>in</strong>gannano a vicenda sul<strong>le</strong> armi e sugli avvenimenti. Ai primi <strong>in</strong>successi<br />

seguono la disillusione e lo scompiglio».<br />

Secondo il colonnello A. R., un esercito basato sul servizio militare obbligatorio per<br />

tutti non era idoneo per una repressione su larga scala, perché la truppa proveniva<br />

dal popolo e ne condivideva la mentalità; 'un saldo <strong>in</strong>quadramento di ufficiali e<br />

sottufficiali volontari, a ferma piuttosto lunga, ben pagati e se<strong>le</strong>zionati con cura'<br />

avrebbe servito meglio allo scopo. Ma neppure questo esercito volontario sarebbe<br />

stato sufficiente.<br />

«Ai 300 mila soldati obbligati al servizio, ai 250 mila mercenari dei quali presto<br />

disporremo, bisogna aggiungere una milizia d'idealisti, fatta dei più esperti, dei più<br />

valorosi, dei più forti e aggressivi fra di noi. Bisogna che essa compia azione di<br />

resistenza e azione politica <strong>in</strong>sieme, che riesca, <strong>in</strong> questi duri momenti, a <strong>in</strong>fondere<br />

sangue, vita e omogeneità nel<strong>le</strong> forze nazionali per portar<strong>le</strong> alla vittoria».<br />

Questi uom<strong>in</strong>i sarebbero stati <strong>in</strong>quadrati e comandati da ufficiali <strong>del</strong>l'esercito regolare.<br />

I gruppi locali avrebbero dovuto essere sotto il controllo ai un comando centra<strong>le</strong>,<br />

composto di esperti politici e militari.


«Parziali azioni dest<strong>in</strong>ate a fiaccare la tracotanza loca<strong>le</strong> di alcuni centri più accesi nella<br />

furia sovvertitrice, mentre varranno a demoralizzare e spezzare il nemico, saranno<br />

un'ottima scuola per la nostra milizia. I n tal caso, però, avvertenza da usarsi sarà<br />

sempre quella d'avere una o più basi d'operazione a distanza sufficiente dal punto da<br />

colpire, nel<strong>le</strong> quali ammassare i mezzi, <strong>in</strong>iziare l'azione, e al<strong>le</strong> quali poter ritornare<br />

sicuri, senza dar sospetto, a riord<strong>in</strong>arsi, se eventualmente un momentaneo <strong>in</strong>successo<br />

avvenisse. Questo se da noi si <strong>in</strong>iziassero azioni punitive locali» (3).<br />

Questo piano doveva essere attuato comp<strong>le</strong>tamente entro il prossimo anno, ma per<br />

fare sì che potesse essere accettato occorreva ancora qualche grosso spavento<br />

rivoluzionario, e fu quello che avvenne.<br />

Nel mese di luglio gli operai metallurgici avevano chiesto un ulteriore aumento<br />

salaria<strong>le</strong>, m<strong>in</strong>acciando lo sciopero. I datori di lavoro erano adesso decisi ad affrontare<br />

<strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni operaie s<strong>in</strong>o alla loro resa <strong>in</strong>condizionata. Quello stesso Rotigliano,<br />

che nell'apri<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1919 era il segretario <strong>del</strong> genera<strong>le</strong> Caviglia (4), era adesso il<br />

rappresentante dei datori di lavoro.<br />

In diverse fabbriche si ebbero casi sporadici di atti di sabotaggio. Il 30 agosto uno dei<br />

gruppi imprenditoriali decise la serrata. Per impedire che gli altri gruppi<br />

imprenditoriali chiudessero <strong>le</strong> offic<strong>in</strong>e, i <strong>le</strong>aders degli operai decisero di attuare lo<br />

'sciopero bianco.' Il movimento dilagò anche nel<strong>le</strong> altre <strong>in</strong>dustrie. In tutta Italia mezzo<br />

milione di operai occuparono <strong>le</strong> fabbriche dove lavoravano, e sia il governo che i<br />

datori di lavoro non poterono opporre nessuna resistenza.<br />

Arturo Labriola, che un tempo era stato s<strong>in</strong>dacalista rivoluzionario ma che era poi<br />

r<strong>in</strong>savito e adesso era m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong> Lavoro nel gab<strong>in</strong>etto Giolitti, nel 1924 espresse<br />

l'op<strong>in</strong>ione che nel settembre <strong>del</strong> 1920 i <strong>le</strong>aders <strong>del</strong> partito socialista avrebbero potuto<br />

impadronirsi <strong>del</strong> potere politico senza <strong>in</strong>contrare una seria opposizione (5). Sta di<br />

fatto che gli operai, chiudendosi nel<strong>le</strong> fabbriche, si erano messi <strong>in</strong> trappola. Se fossero<br />

stati davvero dei rivoluzionari, non avrebbero occupato <strong>le</strong> offic<strong>in</strong>e ma gli uffici<br />

governativi, i servizi te<strong>le</strong>fonici e te<strong>le</strong>grafici, <strong>le</strong> ferrovie; f<strong>in</strong>o a che rimanevano nel<strong>le</strong><br />

fabbriche, il governo poteva permettersi di rimanersene fermo ad aspettare che si<br />

fossero stancati. I datori di lavoro lamentarono che gli operai violavano il diritto di<br />

proprietà privata, e chiesero che il governo impiegasse la forza per farli uscire dal<strong>le</strong><br />

fabbriche. E' quello che Giolitti si rifiutò di fare. In quel momento, una repressione con<br />

spargimento di sangue avrebbe costretto tutti i gruppi dei partiti estremi a schierarsi<br />

dalla parte di chi occupava <strong>le</strong> fabbriche, creando quella coalizione di forze<br />

rivoluzionarie che gli stessi rivoluzionari non erano stati <strong>in</strong> grado di ottenere.<br />

Mentre gli operai erano <strong>in</strong> attesa non si sa di cosa, i socialisti litigavano tra di loro. A<br />

un consiglio naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Confederazione <strong>del</strong> lavoro convocato d'accordo con la<br />

direzione <strong>del</strong> partito socialista, i comunisti e i più accesi massimalisti chiesero che 'la<br />

crisi venisse estesa' e che assumesse f<strong>in</strong>i decisamente rivoluzionari. I socialisti di<br />

destra si dichiararono disposti a lasciare la direzione <strong>del</strong> movimento alla direzione<br />

naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito socialista; dopo di che gli estremisti avrebbero provocato una<br />

sol<strong>le</strong>vazione rivoluzionaria, e la Confederazione <strong>del</strong> lavoro gli sarebbe andata dietro. I<br />

rappresentanti di Tor<strong>in</strong>o, <strong>del</strong> centro comunista più attivo che vi fosse <strong>in</strong> Italia, fecero<br />

un resoconto talmente scoraggiante <strong>del</strong><strong>le</strong> condizioni generali di quella città da un<br />

punto di vista rivoluzionario, che gli estremisti, messi di fronte al<strong>le</strong> loro responsabilità,<br />

non osarono accettare <strong>le</strong> proposte <strong>del</strong>la Confederazione (6). L'11 settembre, dopo un<br />

giorno e mezzo di discussioni accanite, i massimalisti si divisero <strong>in</strong> destra e estrema, e<br />

questa venne sconfitta con 591000 voti contro 409000 (7). Di nuovo gli estremisti<br />

potevano affermare che la rivoluzione socia<strong>le</strong> non era stata possibi<strong>le</strong> perché gli altri<br />

compagni non l'avevano voluta. La rivoluzione socia<strong>le</strong> avrebbero dovuto farla i<br />

socialisti di destra, che non la ritenevano possibi<strong>le</strong>, e non gli estremisti, che la<br />

promettevano tutti i giorni. Quello che questi vo<strong>le</strong>vano veramente era di trarre


profitto da questa crisi per gettare discredito sui socialisti di destra, e toglierli di<br />

mezzo prima che scoccasse la 'grande ora,' <strong>in</strong> cui il 'pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario' doveva<br />

aver cura di sé.<br />

Via via che passavano i giorni, gli uom<strong>in</strong>i videro che senza l'assistenza tecnica, <strong>le</strong><br />

materie prime, la fiducia dei mercati esteri, l'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche era <strong>in</strong>uti<strong>le</strong>.<br />

Chiudendosi nel<strong>le</strong> fabbriche, si erano chiusi <strong>in</strong> una trappola, e il governo non doveva<br />

far altro che aspettare che si fossero stancati. Quando la stanchezza si fece avvertire,<br />

venne fuori Giolitti e concluse un accordo tra datori di lavoro e operai, <strong>in</strong> seguito al<br />

qua<strong>le</strong> gli operai fecero ritorno al<strong>le</strong> loro case ma 'i rappresentanti dei lavoratori<br />

venivano ad avere il diritto di <strong>in</strong>vestigare su ogni fase <strong>del</strong> processo <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong>,<br />

comprese <strong>le</strong> f<strong>in</strong>anze, per conoscere <strong>le</strong> condizioni effettive <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dustria <strong>in</strong> cui<br />

lavoravano, ed essere così <strong>in</strong> grado di chiedere aumenti salariali quando i guadagni ne<br />

giustificavano la richiesta; all'opposto essi non si sarebbero dovuti opporre ad una<br />

riduzione di salari quando i guadagni dim<strong>in</strong>uivano' (8).<br />

Uno studioso francese, che fu un testimone oculare di questi fatti, Albert Dauzat <strong>del</strong>la<br />

Sorbona, scrisse poche settimane più tardi:<br />

«Sono passate settimane e mesi, e la rivoluzione che taluni speravano e altri<br />

temevano non ha avuto luogo, e secondo tutte <strong>le</strong> apparenze non avrà luogo mai.<br />

L'ora è passata. Gli scioperi non hanno ottenuto quei risultati politici sperati dagli<br />

estremisti. La società capitalista ha dimostrato una ecceziona<strong>le</strong> resistenza.<br />

L'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche sembra essere stata il punto culm<strong>in</strong>ante <strong>del</strong>la crisi.<br />

L'ord<strong>in</strong>e socia<strong>le</strong> e politico ne è uscito felicemente. (...) La parola d'ord<strong>in</strong>e è stata<br />

soprattutto evitare spargimenti di sangue, che avrebbero potuto provocare<br />

l'irreparabi<strong>le</strong>. A loro volta, i socialisti e i dirigenti s<strong>in</strong>dacali hanno sempre consigliato ai<br />

loro seguaci di mantenere la calma. Ta<strong>le</strong> atteggiamento fa onore al popolo italiano e<br />

ai <strong>le</strong>aders politici. Il governo non ha tirato <strong>le</strong> red<strong>in</strong>i, senza tuttavia abbandonar<strong>le</strong><br />

comp<strong>le</strong>tamente. Ta<strong>le</strong> metodo, secondo i conservatori, è stato pericoloso. Certamente<br />

esso ha implicato dei rischi, ma non maggiori che col metodo opposto» (9).<br />

Giolitti si poteva congratulare con se stesso <strong>del</strong>la buona riuscita di questa politica di<br />

attesa, che aveva superato tutte <strong>le</strong> aspettative (10).<br />

Il sistema <strong>del</strong>lo sciopero bianco fu imitato <strong>in</strong> Francia da milioni di lavoratori nel giugno<br />

<strong>del</strong> 1936. Il governo francese non liberò <strong>le</strong> offic<strong>in</strong>e a cannonate, se non altro perché<br />

facendo così avrebbe danneggiato gli impianti. Naturalmente i datori di lavoro francesi<br />

lamentarono che gli scioperanti occupassero il<strong>le</strong>galmente i loro stabilimenti. Ciò<br />

nonostante nessuna persona di buon senso proclamò che nel 1936 la Francia era <strong>in</strong><br />

balìa di una rivoluzione bolscevica. Al contrario, il "New York Times" <strong>del</strong> 6 gennaio<br />

1937, faceva il seguente commento: 'Esso (il movimento di scioperi bianchi) è prova<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> riserve di prudenza e autocontrollo <strong>del</strong> popolo francese, che nell'occupazione di<br />

fabbriche e offic<strong>in</strong>e ha dimostrato così scarsa vio<strong>le</strong>nza.' Il sistema <strong>del</strong>lo sciopero<br />

bianco si estese negli Stati Uniti nel 1937. Il governatore <strong>del</strong> Michigan, Murphy, si<br />

rifiutò di fare uscire gli operai con la forza a Detroit, Fl<strong>in</strong>t e nel<strong>le</strong> altre città d'<strong>in</strong>torno.<br />

E' da sperare che dopo questa esperienza americana, l'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche <strong>del</strong><br />

1920 <strong>in</strong> Italia cesserà di essere usata dalla propaganda come la più terribi<strong>le</strong><br />

manifestazione <strong>del</strong> 'bolscevismo italiano.'<br />

Una <strong>del</strong><strong>le</strong> idee sbagliate diffuse nei paesi di l<strong>in</strong>gua <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se <strong>in</strong> rapporto a questi fatti è<br />

dovuta soltanto ad una erronea traduzione <strong>del</strong>la parola italiana 'controllo.' La parola<br />

'controllo' <strong>in</strong> italiano non è l'equiva<strong>le</strong>nte <strong>del</strong> term<strong>in</strong>e <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se 'control,' che significa<br />

possesso e direzione; essa significa 'riscontro dei conti.' Gli operai chiedevano salari<br />

più alti per fare fronte al crescente costo <strong>del</strong>la vita. I datori di lavoro ribattevano che il<br />

livello di produzione non permetteva loro la concessione di salari più alti. I lavoratori<br />

sostenevano che gli affari andavano bene. L'<strong>in</strong>dustria automobilistica, ad esempio,


aveva esportato nel 1919 lo stesso numero di macch<strong>in</strong>e che nel 1913, alla vigilia <strong>del</strong>la<br />

guerra; e nel 1920, anno <strong>del</strong>l'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche, l'esportazione di automobili<br />

aveva superato di otto volte quella <strong>del</strong>l'anno precedente. Mentre i datori di lavoro<br />

affermavano di trovarsi <strong>in</strong> brutte acque, gli operai sapevano che nell'<strong>in</strong>dustria<br />

metallurgica la disoccupazione era <strong>in</strong> dim<strong>in</strong>uzione, il che significava che gli affari<br />

andavano bene (11). Gli operai qu<strong>in</strong>di chiedevano che i bilanci <strong>del</strong><strong>le</strong> aziende fossero<br />

verificati e resi pubblici; domandavano anche che <strong>in</strong> ogni fabbrica gli operai<br />

e<strong>le</strong>ggessero una commissione, che li rappresentasse nel<strong>le</strong> vertenze discipl<strong>in</strong>ari e nella<br />

stipulazione di accordi di lavoro. Per <strong>in</strong>durli ad abbandonare <strong>le</strong> fabbriche e ritornare a<br />

casa, Giolitti promise loro che avrebbe presentato al Parlamento un disegno di <strong>le</strong>gge<br />

per il 'controllo <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche,' cioè, per dare il diritto ai rappresentanti s<strong>in</strong>dacali di<br />

ottenere <strong>in</strong>formazioni veritiere circa <strong>le</strong> condizioni f<strong>in</strong>anziarie effettive <strong>del</strong><strong>le</strong> aziende, e<br />

il diritto di avere voce <strong>in</strong> capitolo <strong>in</strong> tutte <strong>le</strong> fabbriche <strong>in</strong> materia di discipl<strong>in</strong>a <strong>in</strong>terna.<br />

Gli addetti commerciali <strong>del</strong>l'ambasciata di Gran Bretagna a Roma, E. C. Cure e J. H.<br />

Henderson, nel loro "General Report on the Commercial, Industrial and Economic<br />

Situation <strong>in</strong> Italy <strong>in</strong> December 1920", alla pag<strong>in</strong>a 19 scrivono:<br />

«I dipendenti si rifiutano di lavorare perché hanno la conv<strong>in</strong>zione di venire sfruttati,<br />

anche se molti accetterebbero un sistema dove si riconoscono i diritti <strong>del</strong> capita<strong>le</strong>, una<br />

volta assicurati che questo capita<strong>le</strong> viene amm<strong>in</strong>istrato equamente. E' da augurarsi<br />

che questa difficoltà venga almeno <strong>in</strong> parte rimossa con l'<strong>in</strong>troduzione <strong>del</strong> sistema di<br />

controllo operaio avanzata nel corso <strong>del</strong>la recente vertenza degli operai metallurgici, e<br />

il cui pr<strong>in</strong>cipio è stato accettato nell'accordo f<strong>in</strong>a<strong>le</strong>. A rigor di term<strong>in</strong>i, il controllo<br />

operaio <strong>in</strong>dica il diritto di verifica e di <strong>in</strong>vestigazione da parte degli operai e non la<br />

partecipazione alla direzione. (...) Le trattative sono state <strong>in</strong>terrotte <strong>in</strong> seguito alla<br />

richiesta degli operai di ampliare il significato <strong>del</strong> term<strong>in</strong>e, e <strong>in</strong> particolare<br />

comprendervi il diritto da parte loro di avere voce <strong>in</strong> capitolo nell'assunzione e<br />

licenziamento dei dipendenti.»<br />

Gli agenti fascisti e quegli 'studiosi' che hanno att<strong>in</strong>to dalla loro propaganda hanno<br />

tradotto la parola italiana 'controllo' con la parola <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se 'control,' e così è stata<br />

creata la <strong>le</strong>ggenda che gli operai vo<strong>le</strong>vano la proprietà o almeno la direzione <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

fabbriche.<br />

Durante il periodo <strong>del</strong>la crisi, a Tor<strong>in</strong>o, gli scioperanti uccisero un giovane nazionalista<br />

e una guardia carceraria, e <strong>in</strong>oltre tre guardie regie e un carab<strong>in</strong>iere rimasero uccisi<br />

nel corso di conflitti (12). I due primi <strong>del</strong>itti furono particolarmente cru<strong>del</strong>i. Non si dà<br />

movimento socia<strong>le</strong> <strong>in</strong> cui sia possibi<strong>le</strong> evitare l'<strong>in</strong>filtrazione di pazzi o di crim<strong>in</strong>ali. In<br />

tutte <strong>le</strong> altre parti d'Italia non si verificarono spargimenti di sangue. Un produttore<br />

americano, proprietario di un vasto stabilimento nell'Italia settentriona<strong>le</strong>, dette il<br />

seguente resoconto, che rispecchia la sua esperienza persona<strong>le</strong>:<br />

«Gli operai furono abbastanza <strong>in</strong>genui da credere che con l'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

fabbriche avrebbero dato il via a una rivoluzione mondia<strong>le</strong>. Una volta al nostro posto,<br />

non arrecarono nessun danno volontario al macch<strong>in</strong>ario, al contrario cercarono di far<br />

funzionare la fabbrica. Durante <strong>le</strong> loro esibizioni, io me ne andai tutti i giorni a<br />

giuocare a golf. Per quanto transitassi <strong>in</strong> macch<strong>in</strong>a nella zona dove si trova il mio<br />

stabilimento, non venni mai mo<strong>le</strong>stato» (13).<br />

Tor<strong>in</strong>o era considerata come la citta<strong>del</strong>la <strong>del</strong> comunismo italiano, e la Fiat come uno<br />

dei più fiorenti vivai <strong>del</strong> comunismo tor<strong>in</strong>ese. Il 20 settembre, il presidente <strong>del</strong>la Fiat,<br />

Agnelli, si recò allo stabilimento <strong>del</strong>la Fiat Centro, per prenderlo di nuovo <strong>in</strong> consegna<br />

dalla commissione <strong>in</strong>terna che lo aveva diretto durante l'occupazione. Il "Corriere<br />

<strong>del</strong>la Sera" <strong>del</strong> 1 ottobre 1920 scrive:


«Il loro arrivo (di Agnelli e <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>g. Fornaca) fu salutato da una salve di applausi. (...)<br />

Sul tavolo <strong>del</strong>lo studio <strong>del</strong> comm. Agnelli era stato deposto un grosso mazzo di<br />

garofani rossi (simbolo socialista). A una parete era l'emb<strong>le</strong>ma <strong>del</strong>la falce e <strong>del</strong><br />

martello.»<br />

Agnelli non ritenne che gli applausi fossero un compenso sufficiente per la falce e il<br />

martello comunisti, e annunciò sui giornali che si sarebbe dimesso dalla presidenza:<br />

Un mese dopo, gli morì la madre. Ecco quanto si <strong>le</strong>gge nel "Corriere <strong>del</strong>la Sera" <strong>del</strong> 31<br />

ottobre 1920:<br />

«Agli imponenti funerali <strong>del</strong>la signora Agnelli hanno preso parte (...) 3000 operai <strong>del</strong>la<br />

'Fiat.' Per <strong>del</strong>iberazione dei dirigenti <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni operaie, durante <strong>le</strong> esequie <strong>in</strong><br />

tutti i quattordici stabilimenti che compongono la 'Fiat' è stato sospeso il lavoro <strong>in</strong><br />

segno di lutto. All'uscita <strong>del</strong>la salma dalla chiesa parrocchia<strong>le</strong> (...) è avvenuto un<br />

significativo episodio: uno dei membri <strong>del</strong>la commissione <strong>in</strong>terna operaia <strong>del</strong>la 'Fiat<br />

Centro,' consigliere prov<strong>in</strong>cia<strong>le</strong> socialista, si è avvic<strong>in</strong>ato al comm. Agnelli e gli ha<br />

detto ad alta voce: 'Torni con noi...!' Un rappresentante degli impiegati, a nome di<br />

tutti i col<strong>le</strong>ghi, ha espresso lo stesso desiderio. Il comm. Agnelli, sopraffatto dalla<br />

commozione, non ha pronunziato paro<strong>le</strong>, ma ha stretto lungamente la mano ai due<br />

<strong>in</strong>terpreti <strong>del</strong> persona<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'azienda.»<br />

Questo era il 'bolscevismo' italiano nel 1919-1920. Una pueri<strong>le</strong> baraonda di applausi,<br />

garofani rossi, emb<strong>le</strong>mi comunisti, scioperi, dimostrazioni, che durò più di<br />

ventiquattro mesi e si macchiò <strong>del</strong> sangue di circa 300 persone rimaste uccise durante<br />

i disord<strong>in</strong>i.<br />

Mussol<strong>in</strong>i approvò l'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche, accusando tuttavia i <strong>le</strong>aders socialisti<br />

di non vo<strong>le</strong>r sferrare il colpo decisivo. Ecco quanto scrisse uno dei suoi camerati,<br />

Miche<strong>le</strong> Bianchi:<br />

«Il nostro atteggiamento è stato f<strong>in</strong> dal primo momento improntato a simpatia per <strong>le</strong><br />

masse. (...)Oggi diciamo che la presa di possesso è un errore formidabi<strong>le</strong>, salvo che<br />

gli <strong>org</strong>anizzatori non <strong>in</strong>tendano di servirsene come ped<strong>in</strong>a per un disegno<br />

smisuratamente più vasto. Deve servire per un movimento socia<strong>le</strong>? In tal caso<br />

sarebbe prova di squisito acume politico... avrebbe una logica. (...) Ma Buozzi,<br />

Colomb<strong>in</strong>o, Guarnieri hanno una mentalità troppo realista» (14).<br />

Nei giorni <strong>del</strong>l'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche, Mussol<strong>in</strong>i cercò Bruno Buozzi, capo <strong>del</strong><br />

movimento, e i due si <strong>in</strong>contrarono <strong>in</strong> un albergo di Milano, alla presenza di Manlio<br />

M<strong>org</strong>agni <strong>del</strong> "Popolo d'Italia" e <strong>del</strong> suo col<strong>le</strong>ga Guarnieri. Mussol<strong>in</strong>i non fece 'offerte'<br />

di nessun genere, ma chiese di essere <strong>in</strong>formato sugli scopi <strong>del</strong> movimento. Espresse<br />

l'op<strong>in</strong>ione che non si sarebbe mai dovuto espel<strong>le</strong>re gli operai dal<strong>le</strong> fabbriche con la<br />

forza. Se i f<strong>in</strong>i <strong>del</strong>l'agitazione erano puramente economici, ai fascisti sarebbe<br />

importato ben poco che <strong>le</strong> fabbriche appartenessero ai datori di lavoro o agli operai,<br />

ma si sarebbero opposti con tutta la loro forza a qualsiasi esperimento di governo<br />

bolscevico (15).<br />

Il 28 settembre, tre giorni dopo che gli operai avevano abbandonato <strong>le</strong> fabbriche,<br />

Mussol<strong>in</strong>i affermò che Giolitti era responsabi<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'occupazione; la vertenza si era<br />

trasc<strong>in</strong>ata per molte settimane senza che Giolitti fosse mai <strong>in</strong>tervenuto a risolverla.<br />

'Un <strong>in</strong>tervento anticipato di Giolitti poteva evitare <strong>le</strong> balorde pregiudiziali <strong>in</strong> cui si sono<br />

irrigiditi gli <strong>in</strong>dustriali' (16). Così Giolitti avrebbe dovuto risolvere <strong>le</strong> cose contro gli<br />

<strong>in</strong>dustriali, e <strong>in</strong> più Giolitti avrebbe 'forse' potuto impedire l'occupazione. Mussol<strong>in</strong>i<br />

non diceva come; molto probabilmente <strong>in</strong>tendeva che <strong>le</strong> fabbriche fossero state fatte<br />

occupare dall'esercito.


«Ad <strong>in</strong>vasione compiuta, nel<strong>le</strong> ventiquattr'ore successive ta<strong>le</strong> compito si presentava<br />

già più diffici<strong>le</strong>. Ogni giorno di occupazione rendeva sempre più ponderoso il compito<br />

di una espulsione degli operai - "manu militari" - dal<strong>le</strong> fabbriche. I guai provocati da<br />

questo atteggiamento governativo sono stati certamente gravissimi; ma chi può<br />

asseverare che la 'maniera forte' non avrebbe scatenato un <strong>in</strong>cendio <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itamente più<br />

pericoloso da domare? Anche nella strategia, che chiameremo poliziesca, bisogna<br />

freddamente esam<strong>in</strong>are se il gioco va<strong>le</strong> la can<strong>del</strong>a» (17).<br />

In ogni modo, <strong>in</strong> Italia era avvenuta una rivoluzione, e di chi era il merito? Di<br />

Mussol<strong>in</strong>i.<br />

«Quella che si è svolta <strong>in</strong> Italia <strong>in</strong> questo settembre che muore è stata una<br />

rivoluzione, o, se si vuo<strong>le</strong> essere più esatti, una fase <strong>del</strong>la rivoluzione com<strong>in</strong>ciata - "da<br />

noi" - nel maggio 1915. (...) Non c'è stata la lotta nel<strong>le</strong> strade, <strong>le</strong> barricate e tutto il<br />

resto <strong>del</strong>la coreografia <strong>in</strong>surrezionista che ci ha commosso sul<strong>le</strong> pag<strong>in</strong>e dei<br />

"Miserabili". Ciò nonostante una rivoluzione si è compiuta e si può aggiungere una<br />

grande rivoluzione. Un rapporto giuridico plurisecolare è stato spezzato» (18).<br />

E' vero proprio l'opposto. L'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche fu per gli operai italiani una<br />

grande <strong>le</strong>zione pratica di politica e di economia; essi furono posti di fronte al crudo<br />

dato di fatto che il loro lavoro manua<strong>le</strong> unito al<strong>le</strong> macch<strong>in</strong>e non era sufficiente a<br />

produrre ricchezza; ci vo<strong>le</strong>va direzione tecnica, credito e <strong>org</strong>anizzazione commercia<strong>le</strong><br />

(19). La occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche segna il punto più alto e l'<strong>in</strong>izio <strong>del</strong> decl<strong>in</strong>o <strong>del</strong><br />

grado di eccitazione nell'Italia <strong>del</strong> dopoguerra.<br />

In guerra, un esercito com<strong>in</strong>cia a v<strong>in</strong>cere quando i suoi avversari smettono di credere<br />

alla possibilità di vittoria e com<strong>in</strong>ciano a ritirarsi. E' a questo punto che coloro i quali,<br />

ove il nemico avesse resistito dieci m<strong>in</strong>uti di più, avrebbero potuto non farcela, si<br />

sentono forti come <strong>le</strong>oni e si lanciano all'<strong>in</strong>seguimento. Fu questo il caso dei datori di<br />

lavoro italiani. Uno scrittore, che di tutte <strong>le</strong> disgrazie di quegli anni dà la<br />

responsabilità ai massimalisti, ma si dimentica <strong>del</strong><strong>le</strong> responsabilità degli estremisti,<br />

scrive:<br />

«L'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche denota il decl<strong>in</strong>o <strong>del</strong> movimento operaio, la f<strong>in</strong>e senza<br />

gloria <strong>del</strong> 'massimalismo,' il cui cadavere cont<strong>in</strong>uerà ad <strong>in</strong>gombrare il campo di<br />

battaglia, f<strong>in</strong>o a che i becch<strong>in</strong>i fascisti lo spazzeranno. Un sensibi<strong>le</strong> voltafaccia si<br />

produce ben presto nella psicologia operaia: 'l'<strong>in</strong>izio <strong>del</strong>la saggezza,' secondo<br />

Mussol<strong>in</strong>i. Gli avversari ne sono non disarmati, ma resi più aggressivi, più decisi al<strong>le</strong><br />

rappresaglie. (...) La b<strong>org</strong>hesia ha ricevuto, con l'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche, uno<br />

"choc psicologico" che spiega il suo furore e che determ<strong>in</strong>a i suoi atteggiamenti<br />

successivi. Gli <strong>in</strong>dustriali si sono sentiti colpiti nei loro diritti di proprietà e di<br />

comando; si sono visti soppiantati nel<strong>le</strong> offic<strong>in</strong>e, dove il lavoro cont<strong>in</strong>uava, bene o<br />

ma<strong>le</strong>, <strong>in</strong> loro assenza. Hanno ricevuto la scossa di colui che è stato rasentato dalla<br />

morte, e che, tornando alla vita, si sente un 'uomo nuovo.' Dopo qualche giorno di<br />

amarezza e d'<strong>in</strong>certezza, <strong>in</strong> cui mostrano soprattutto un gran rancore contro Giolitti,<br />

che 'non li ha difesi,' e ha imposto loro per decreto il controllo <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>in</strong>dustrie, la<br />

precipitazione avviene nel senso di una lotta a morte contro la classe operaia e contro<br />

lo 'Stato libera<strong>le</strong>' » (20).<br />

Giolitti sentì che adesso avrebbe potuto vibrare un grosso colpo. Il 17 ottobre, fece<br />

arrestare Malatesta a Milano. Non si ebbe nessuna grave reazione.


Il 20 ottobre, una circolare diramata dallo stato maggiore sol<strong>le</strong>citava i comandi<br />

divisionali a favorire i fascisti. Il piano tracciato dall''esperto militare per la guerra<br />

civi<strong>le</strong>' era stato adottato dal m<strong>in</strong>istero <strong>del</strong>la Guerra (21).<br />

OSSERVAZIONI AL CAPITOLO DICIASSETTESIMO.<br />

La fantasia degli agenti fascisti si è sbizzarrita <strong>in</strong>torno all'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche<br />

più che su ogni altro avvenimento. Sir Percival Phillips, <strong>in</strong>viato specia<strong>le</strong> <strong>del</strong> ben noto<br />

quotidiano <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se "Daily Mail", <strong>in</strong> un suo libro dice: 'La politica comunista consiste nel<br />

gettare degli uom<strong>in</strong>i vivi negli altiforni, come avvenne a Tor<strong>in</strong>o da parte di un<br />

tribuna<strong>le</strong> rosso composto di donne' (1). Non sappiamo se <strong>in</strong> Russia o <strong>in</strong> qualche altra<br />

parte la politica comunista ha mai gettato uom<strong>in</strong>i vivi negli altiforni; ma quello che<br />

sappiamo è che a Tor<strong>in</strong>o cose <strong>del</strong> genere non sono mai successe. e' già abbastanza<br />

grave che durante l'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche un tribuna<strong>le</strong> rosso abbia pronunciato<br />

paro<strong>le</strong> vio<strong>le</strong>nte parlando di gettare i due disgraziati Scimula e Sonz<strong>in</strong>i <strong>in</strong> un altoforno,<br />

prima che venissero condannati alla fucilazione (2). Perché esagerare fatti già di per<br />

sé terribili?<br />

Il giorna<strong>le</strong> francese L'"Oeuvre" <strong>del</strong> 18 novembre 1926 riproduceva da un settimana<strong>le</strong><br />

francese la descrizione seguente:<br />

«La marcia su Roma, che ha posto f<strong>in</strong>e ad un terribi<strong>le</strong> stato di cose, si deve al signor<br />

Fiat. Gli operai, non contenti di occupare la sua fabbrica, imbavagliarono il grande<br />

<strong>in</strong>dustria<strong>le</strong> italiano e vio<strong>le</strong>ntarono la moglie e <strong>le</strong> figlie davanti ai suoi occhi. Indignato,<br />

il grande <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong> mise a disposizione di Mussol<strong>in</strong>i I fondi necessari per rovesciare il<br />

regime.»<br />

L'"Oeuvre" faceva notare che Fiat non significa altro che F(abbrica) I(taliana)<br />

A(utomobili) T(or<strong>in</strong>o), e che questa società non aveva né moglie né figlie che<br />

potessero venir vio<strong>le</strong>ntate. Il giornalista pagato per scrivere questo articolo di<br />

propaganda evidentemente non sapeva niente di questa fabbrica di automobili famosa<br />

<strong>in</strong> tutto il mondo.<br />

Quanto al signor Agnelli, presidente <strong>del</strong>la Fiat, nessuno ha mai fatto irruzione <strong>in</strong> casa<br />

sua e tanto meno vio<strong>le</strong>ntato moglie e figlie.<br />

Luigi Villari (3), facendo la descrizione <strong>del</strong>la crisi, tralascia qualsiasi riferimento agli<br />

scritti e all'autorità di Mussol<strong>in</strong>i e dei suoi amici <strong>in</strong> quei giorni. Egli poi non fa nessuna<br />

differenza tra l'atteggiamento dei socialisti moderati e degli altri: "I socialisti<br />

consideravano questa forma di azione diretta come 'l'<strong>in</strong>izio <strong>del</strong>la tanto a lungo<br />

sospirata dittatura <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato'"; 'il partito socialista tentò di ottenere la direzione<br />

di tutto il movimento nella speranza di convertirlo <strong>in</strong> una vera e propria rivoluzione e<br />

<strong>in</strong>staurare una repubblica sovietica.' Egli afferma che l'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche<br />

venne ord<strong>in</strong>ata dal deputato comunista Bombacci, e dagli altri <strong>le</strong>aders <strong>del</strong>la F.I.O.M<br />

(4); che la proposta di dare all'occupazione un carattere rivoluzionario venne<br />

sostenuta dal partito socialista, mentre vi si oppose la Confederazione genera<strong>le</strong> <strong>del</strong><br />

lavoro; che <strong>in</strong> seguito alla crisi 'il valore <strong>del</strong>la lira nei confronti <strong>del</strong> franco svizzero<br />

scese a 25 centesimi, mentre all'<strong>in</strong>izio <strong>del</strong>l'anno era stato a 74.'<br />

L'affermazione che il deputato comunista Bombacci, <strong>in</strong>sieme agli altri <strong>le</strong>aders <strong>del</strong>la<br />

F.I.O.M., abbia ord<strong>in</strong>ato l'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche è una pura <strong>in</strong>venzione.<br />

Bombacci non era uno dei <strong>le</strong>aders <strong>del</strong>la F.I.O.M. e non ebbe parte alcuna nella<br />

disgraziata decisione, non foss'altro perché nell'estate <strong>del</strong> 1920 si trovava <strong>in</strong> Russia.<br />

Villari presenta mezzo milione di operai come una massa di assass<strong>in</strong>i, ubriaconi e<br />

ladri. Riccardo Bachi, che non era affatto l'avvocato difensore degli operai, scrive:


«L'<strong>org</strong>anizzazione operaia procurò che fossero evitate vio<strong>le</strong>nze, danneggiamenti e<br />

<strong>in</strong>debite appropriazioni; i casi di vio<strong>le</strong>nza al<strong>le</strong> persone non furono numerosi, ma alcuni<br />

eccezionalmente gravi, e si dovette constatare poi che i danni materiali agli impianti e<br />

gli sciupii di materie prime e prodotti siano stati piuttosto estesi; l'<strong>in</strong>do<strong>le</strong> stessa <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

<strong>in</strong>dustrie implicate e <strong>le</strong> opportune caute<strong>le</strong> adottate hanno mantenuto <strong>in</strong> limiti<br />

relativamente ristretti i furti» (5).<br />

Quanto al rapporto tra lira e franco svizzero, se Villari fosse stato una persona onesta<br />

e non un propagandista, avrebbe confrontato il tasso di scambio <strong>del</strong>la lira <strong>del</strong><br />

settembre e ottobre 1920, non solo col gennaio <strong>del</strong> 1920, ma anche con i mesi<br />

seguenti da gennaio a settembre. Avrebbe visto allora che la lira aveva cont<strong>in</strong>uato a<br />

calare s<strong>in</strong> dal 1919, a causa <strong>del</strong>la costante <strong>in</strong>flazione, e che nel settembre e ottobre<br />

<strong>del</strong> 1920 essa non subì un deprezzamento più rapido che non nei mesi precedenti e<br />

seguenti. Il prezzo di acquisto di 100 franchi svizzeri <strong>in</strong> lire italiane fu il seguente:<br />

1919, marzo, lire 132,20; giugno, lire 151,32; settembre, lire 174,86; dicembre, lire<br />

241,67; 1920, marzo, lire 321,24; apri<strong>le</strong>, lire 410,50; maggio, lire 352,78; giugno,<br />

lire 309,98; luglio, lire 305,53; agosto, lire 341,98; settembre, lire 373,74; ottobre,<br />

lire 408,33; novembre, lire 427,55; dicembre, lire 441,02; 1921, marzo, lire 446,86;<br />

giugno, lire 339,64 (6).


CAPITOLO DICIOTTESIMO.<br />

LA REAZIONE 'ANTIBOLSCEVICA'.<br />

Nell'agosto e settembre <strong>del</strong> 1920, una commissione di de<strong>le</strong>gati <strong>del</strong> partito socialista,<br />

<strong>del</strong>la Confederazione <strong>del</strong> lavoro e <strong>del</strong> movimento italiano cooperativo si recò <strong>in</strong> visita<br />

<strong>in</strong> Russia alla scoperta <strong>del</strong>la terra promessa.<br />

«Anche nei particolari pratici, la de<strong>le</strong>gazione italiana dimostrò la sua comprensione e<br />

solidarietà. Avevano portato con sé un cent<strong>in</strong>aio di enormi casse piene di cibarie -<br />

roba <strong>in</strong> scatola, riso, olio, zucchero, eccetera - medic<strong>in</strong>e, sapone, aghi per <strong>le</strong><br />

cooperative di sarti, e altri generi di cui c'era gran bisogno. Bisognava aver visto <strong>le</strong><br />

sofferenze <strong>del</strong> popolo russo per capire quanto fossero apprezzati questi aiuti. Del<strong>le</strong><br />

molte de<strong>le</strong>gazioni che si recarono <strong>in</strong> Russia <strong>in</strong> questo e nei periodi seguenti, <strong>le</strong> so<strong>le</strong><br />

che dimostrarono <strong>in</strong> questo modo la loro fraterna solidarietà furono la italiana e la<br />

svedese» (1).<br />

Quando vennero <strong>in</strong> discussione i modi e i mezzi per attuare una rivoluzione socia<strong>le</strong> <strong>in</strong><br />

Italia, si manifestò un vivo dissenso tra Serrati, <strong>le</strong>ader dei massimalisti e che come<br />

direttore <strong>del</strong>l'"Avanti!" era la persona più <strong>in</strong>fluente che ci fosse nel partito socialista, e<br />

Len<strong>in</strong> e Z<strong>in</strong>oviev, presidente <strong>del</strong>la Internaziona<strong>le</strong> comunista. Len<strong>in</strong> aveva già risolto il<br />

prob<strong>le</strong>ma s<strong>in</strong> dall'autunno <strong>del</strong> 1919 con la <strong>le</strong>ttera pubblicata allora dall'"Avanti!" (2):<br />

bisognava espel<strong>le</strong>re dal partito socialista Turati e gli altri opportunisti <strong>del</strong> gruppo<br />

parlamentare. Nel maggio <strong>del</strong> 1920, sviluppò <strong>in</strong> modo più pieno questo concetto <strong>in</strong> un<br />

libretto "La malattia <strong>in</strong>fanti<strong>le</strong> <strong>del</strong> comunismo", <strong>in</strong> cui non soltanto si accusano i<br />

socialisti di destra di aver tradito il pro<strong>le</strong>tariato, ma si accusa il partito socialista<br />

italiano di '<strong>in</strong>coerenza' per essersi rifiutato di espel<strong>le</strong>re Turati e i suoi compagni (3).<br />

Naturalmente Z<strong>in</strong>oviev era d'accordo con Len<strong>in</strong>. Sia l'uno che l'altro erano come quel<br />

dottore che curava gli ammalati rimanendo nella strada, facendoli venire alla f<strong>in</strong>estra<br />

a mostrar la l<strong>in</strong>gua, e prescrivendo a distanza la medic<strong>in</strong>a. Serrati sapeva che era<br />

impossibi<strong>le</strong> espel<strong>le</strong>re Turati e i suoi compagni dal partito socialista senza creare una<br />

profonda frattura non soltanto all'<strong>in</strong>terno <strong>del</strong> partito ma anche all'<strong>in</strong>terno dei<br />

s<strong>in</strong>dacati: la Confederazione <strong>del</strong> lavoro avrebbe perduto i suoi dirigenti più capaci e si<br />

sarebbe trovata <strong>in</strong> una crisi pericolosa, che sarebbe tornata a tutto vantaggio dei<br />

datori di lavoro e dei partiti antisocialisti. Serrati qu<strong>in</strong>di si rifiutava di farsi trasc<strong>in</strong>are<br />

su di una strada che considerava disastrosa.(4). Un comunista che si fosse opposto a<br />

Len<strong>in</strong> <strong>in</strong> quel momento avrebbe dovuto essere un uomo di ecceziona<strong>le</strong> caparbietà.<br />

Serrati non era uomo di grande <strong>in</strong>telligenza, ma era coraggioso ed onesto, e si<br />

mantenne sul<strong>le</strong> sue posizioni. Angelica Balabanoff, che si trovava allora <strong>in</strong> Russia tra i<br />

<strong>le</strong>aders <strong>del</strong>la terza Internaziona<strong>le</strong> e che era vissuta per molti anni <strong>in</strong> Italia, sostenne<br />

l'op<strong>in</strong>ione di Serrati. Essa era molto scossa dai trucchi volgari con cui Len<strong>in</strong> e Z<strong>in</strong>oviev<br />

si sforzavano di abusare dei sentimenti di devozione che Serrati nutriva per la Russia<br />

sovietica, per farne strumento di divisione all'<strong>in</strong>terno <strong>del</strong> suo paese. Len<strong>in</strong> e Z<strong>in</strong>oviev<br />

riuscirono a conquistare soltanto due degli italiani: Bombacci, una zucca vuota di<br />

maestro e<strong>le</strong>mentare che più tardi doveva passare al <strong>fascismo</strong>, e un professore<br />

universitario di economia, Graziadei, uomo ambizioso che era stato una volta un<br />

socialista di destra e che più tardi, con l'<strong>in</strong>furiare <strong>del</strong>la reazione fascista, si ritirò nel<br />

suo guscio facendo <strong>in</strong> modo di salvare la pel<strong>le</strong>, e adesso se ne vive tranquillo <strong>in</strong> Italia.<br />

«Erano stati scelti questi due <strong>in</strong>dividui, a preferenza di altri, a causa <strong>del</strong>la loro<br />

debo<strong>le</strong>zza e vanità, e <strong>del</strong>la loro <strong>in</strong>capacità all'adulazione e all'applauso. Erano stati


icevuti e adulati al Creml<strong>in</strong>o, la ex-residenza degli zar, <strong>in</strong> un ambiente che<br />

testimoniava ricchezza e potere. Mentre Len<strong>in</strong> considerava questi due <strong>in</strong>dividui degli<br />

strumenti di cui servirsi e poi sbarazzarsi, i due pel<strong>le</strong>gr<strong>in</strong>i si immag<strong>in</strong>avano di essere<br />

stati prescelti per <strong>le</strong> loro qualità positive a essere i <strong>le</strong>aders <strong>del</strong> movimento italiano<br />

sotto il patronato bolscevico. In nostra assenza, venivano presentati al pubblico russo<br />

come autentici rappresentanti <strong>del</strong>la rivoluzione, <strong>in</strong> contrapposizione a Serrati che<br />

aveva 'tradita.' I loro discorsi venivano tradotti <strong>in</strong> modo da far dire loro quello che<br />

vo<strong>le</strong>va Z<strong>in</strong>oviev. Perdevano comp<strong>le</strong>tamente la testa per gli applausi <strong>del</strong><strong>le</strong> fol<strong>le</strong> e <strong>le</strong><br />

adulazioni dei tirannelli di Z<strong>in</strong>oviev» (5).<br />

Quando i pel<strong>le</strong>gr<strong>in</strong>i di Mosca fecero ritorno <strong>in</strong> Italia, i de<strong>le</strong>gati <strong>del</strong>la Confederazione <strong>del</strong><br />

lavoro e <strong>del</strong><strong>le</strong> cooperative, tutti socialisti di destra, non si tennero per sé <strong>le</strong> notizie di<br />

quanto avevan visto. Sebbene, con grande orrore di Angelica Balabanoff e di Emma<br />

Goldman, fossero stati fatti viaggiare su treni e battelli ben funzionanti e<br />

perfettamente puliti, e nutriti <strong>del</strong> cibo migliore, tuttavia non si eran lasciati prendere<br />

<strong>in</strong> giro. Fecero dei racconti spaventosi sul<strong>le</strong> condizioni <strong>del</strong> popolo russo. Serrati di<br />

quanto aveva visto non disse niente, ma il suo si<strong>le</strong>nzio fu sufficientemente<br />

significativo. Il mito bolscevico ricevette un duro colpo.<br />

La controversia tra Serrati e gli estremisti divenne più vio<strong>le</strong>nta. Serrati cont<strong>in</strong>uava ad<br />

<strong>in</strong>sistere che la 'unità <strong>del</strong> pro<strong>le</strong>tariato italiano' non doveva esser messa <strong>in</strong> pericolo da<br />

provvedimenti sbagliati e imprevidenti. La occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche era stato un<br />

movimento grandioso, ma era stato diretto dai socialisti di destra, e aveva avuto f<strong>in</strong>i<br />

economici e non politici, sviluppandosi ovunque <strong>in</strong> modo pacifico, ad eccezione di<br />

pochi <strong>in</strong>cidenti di carattere loca<strong>le</strong>. Certamente l'Italia si trovava <strong>in</strong> una situazione<br />

rivoluzionaria; ma 'la rivoluzione non può essere il risultato di un magico segna<strong>le</strong> dato<br />

da un capo, anche se l'<strong>in</strong>fluenza persona<strong>le</strong> non è priva di effetto. La rivoluzione<br />

dipende da circostanze molto comp<strong>le</strong>sse e da numerosi fattori, che a un dato<br />

momento provocano la crisi.' Compito <strong>del</strong> partito socialista non era tanto quello di<br />

sp<strong>in</strong>gere <strong>le</strong> masse verso la lotta vio<strong>le</strong>nta, ma di 'preparare tutte <strong>le</strong> forze <strong>del</strong> futuro<br />

ord<strong>in</strong>e socialista, per consolidare il nuovo regime e condurlo verso il suo trionfo<br />

f<strong>in</strong>a<strong>le</strong>.' Mirando a questo scopo, il partito non poteva fare a meno di quegli uom<strong>in</strong>i che<br />

per tanti anni avevano diretto i s<strong>in</strong>dacati, <strong>le</strong> cooperative, i comuni; essi erano gli unici<br />

capaci di dirigere <strong>le</strong> cose nella nuova società quando la vecchia fosse crollata.<br />

'Figuratevi che cosa sarebbe Milano <strong>in</strong> mano ad un pugno di <strong>in</strong>etti arrivisti che hanno<br />

aspettato l'ultimo momento per professarsi comunisti ferventi' (6). Queste<br />

controversie non erano fatte per mantenere e<strong>le</strong>vata <strong>in</strong> Italia la febbre rivoluzionaria.<br />

Nell'autunno <strong>del</strong> 1920, due fatti mostrarono che <strong>in</strong> Italia si era già creata una nuova<br />

"forma mentis" tra i partiti non socialisti. Nel<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni amm<strong>in</strong>istrative che si svolsero<br />

<strong>in</strong> tutto il paese nel settembre e ottobre, i socialisti conquistarono 2022 comuni (24,3<br />

per cento); i popolari 1613 (19,4 per cento) ; e tutti gli altri partiti che avevano<br />

formato blocchi 'patriottici' o 'antibolscevichi' 4692 (56,3 per cento) (7). I socialisti si<br />

dimostrarono particolarmente forti <strong>in</strong> Lombardia e <strong>in</strong> Emilia, e i popolari nel Veneto;<br />

ma dappertutto e anche nell'Italia settentriona<strong>le</strong>, i socialisti furono sconfitti <strong>in</strong> quasi<br />

tutte <strong>le</strong> città più importanti: Venezia, Tor<strong>in</strong>o, Genova, Firenze, Roma, Napoli,<br />

Pa<strong>le</strong>rmo. A Tor<strong>in</strong>o furono sconfitti di stretta misura, 48899 voti contro 48792, grazie<br />

ai popolari che, facendo questa unica eccezione alla loro tattica <strong>in</strong>dipendente,<br />

parteciparono al blocco 'antibolscevico' salvando la situazione. A Milano i socialisti<br />

v<strong>in</strong>sero con uno scarto di appena 3000 voti su un tota<strong>le</strong> di 144000. Sia a Tor<strong>in</strong>o che a<br />

Milano i lavoratori formavano la netta maggioranza <strong>del</strong>la popolazione; ovviamente,<br />

una parte di questi aveva votato 'antibolscevismo.' La sola schiacciante vittoria<br />

socialista <strong>in</strong> una grande città si ebbe a Bologna. Via via che dal nord si scendeva<br />

verso il centro e verso il meridione erano <strong>in</strong> testa gli 'antibolscevichi' e i 'blocchi<br />

patriottici.' Pochi giorni dopo che si erano concluse <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni amm<strong>in</strong>istrative, il 4


novembre <strong>del</strong> 1920 si ce<strong>le</strong>brò so<strong>le</strong>nnemente <strong>in</strong> tutta Italia l'anniversario<br />

<strong>del</strong>l'armistizio. L'anno prima non era stata tenuta nessuna ce<strong>le</strong>brazione; il paese era<br />

agitato per la campagna e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>, e Nitti, non a torto, aveva paura che la<br />

ce<strong>le</strong>brazione desse luogo a proteste contro la guerra e a pericolosi disord<strong>in</strong>i. Nel 1920,<br />

né anarchici, né comunisti, né socialisti si sognarono di disturbare la cerimonia;<br />

l'ondata di antipatriottismo che per quasi due anni sembrava aver sommerso il paese,<br />

adesso era chiaramente cessata. Il 10 novembre, il "Popolo d'Italia" osservò che 'la<br />

situazione <strong>in</strong>terna italiana migliora giorno per giorno'.<br />

Il momento era qu<strong>in</strong>di maturo perché il governo riprendesse <strong>le</strong> sue funzioni: il<br />

mantenimento <strong>del</strong>l'ord<strong>in</strong>e pubblico e il rispetto per la <strong>le</strong>gge, contraria ad ogni forma di<br />

disord<strong>in</strong>e. Una volta restaurato il rispetto per la <strong>le</strong>gge e per l'ord<strong>in</strong>e, si sarebbe<br />

dovuto attendere pazientemente che il processo di conva<strong>le</strong>scenza seguisse la sua<br />

strada, e poco alla volta la gente avrebbe ritrovato la via <strong>del</strong> buon senso. Dato lo<br />

stato di scoraggiamento dei partiti di s<strong>in</strong>istra, il ristabilimento <strong>del</strong>la pace pubblica era<br />

diventato un compito faci<strong>le</strong>.<br />

E' vero che non si poteva pretendere di rimettere <strong>le</strong> cose a posto tutto d'un tratto; il<br />

solo farmaco per certi malanni è il tempo. E sarebbe stata per il nostro popolo una<br />

grande e preziosa <strong>le</strong>zione, se esso si fosse potuto liberare dei sogni comunisti e <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

illusioni rivoluzionarie attraverso la libera esperienza e per conv<strong>in</strong>zione spontanea.<br />

Questo popolo che dopo Caporetto aveva dimostrato tanta fermezza e spirito di<br />

sacrificio avrebbe meritato un certo credito; la pazienza e la calma erano un dovere<br />

natura<strong>le</strong>, tanto più per quegli uom<strong>in</strong>i politici che non avevano saputo né fare la guerra<br />

né fare la pace, e che erano i diretti e pr<strong>in</strong>cipali responsabili di quella nevrastenia<br />

postbellica che affliggeva il popolo italiano.<br />

Fu la disgrazia <strong>del</strong>l'Italia che <strong>in</strong> un momento come quello fosse al potere un uomo<br />

come Giolitti. L'esperienza aveva mostrato che la Camera dei deputati, e<strong>le</strong>tta nel<br />

novembre <strong>del</strong> 1919, non era <strong>in</strong> grado di funzionare. Se si vo<strong>le</strong>va una Camera meno<br />

confusionaria occorrevano nuove e<strong>le</strong>zioni generali. Prima <strong>del</strong>la guerra mondia<strong>le</strong>,<br />

Giolitti aveva l'abitud<strong>in</strong>e di 'manipolare' <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni parlamentari senza nessun<br />

scrupolo e con pieno successo; egli pensò adesso che i fascisti gli sarebbero stati di<br />

aiuto per ridurre alla Camera il numero di deputati <strong>del</strong> partito socialista. I fascisti<br />

erano ansiosi di 'dare una <strong>le</strong>zione ai bolscevichi': lasciamogliela dunque dare; una<br />

volta compiuta l'opera, ci si poteva facilmente disfare dei fascisti; dopo tutto, essi non<br />

erano nel paese che una piccola m<strong>in</strong>oranza. Anche i capi militari erano desiderosi di<br />

dare una mano per schiacciare i 'bolscevichi,' e la loro cooperazione poteva essere<br />

uti<strong>le</strong> per un f<strong>in</strong>e comune, a condizione che smettessero di disobbedire al governo<br />

civi<strong>le</strong> nella questione di Fiume. Tutto quanto occorreva era di lasciare che questi capi<br />

militari equipaggiassero i fascisti con fucili, mitragliatrici, bombe e autocarri, e li<br />

mettessero sotto il comando di ufficiali <strong>in</strong> congedo e <strong>in</strong> licenza. Per quanto riguarda la<br />

polizia e la magistratura, era sufficiente che questi chiudessero un occhio sui disord<strong>in</strong>i<br />

promossi dai fascisti, e <strong>in</strong>tervenissero soltanto quando si trattava di disarmare,<br />

processare e condannare chi cercava di opporre resistenza. Quanto al<strong>le</strong> nuove e<strong>le</strong>zioni<br />

generali, queste non potevano essere 'manipolate' da un giorno all'altro; occorrevano<br />

per preparar<strong>le</strong> diversi mesi.<br />

Un primo risultato <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>tesa tra Giolitti e i fascisti si vide a Trieste il 14 ottobre. Qui<br />

nel partito socialista prevalsero gli estremisti, che annunciarono un comizio di<br />

protesta <strong>in</strong> favore <strong>del</strong>la Russia. A nome dei fascisti, Giunta <strong>in</strong>timò che 'nessun comizio<br />

deve essere tenuto per la Russia né oggi né domani, perché sarebbe un comizio<br />

contro l'Italia,' 'noi sappiamo di bastare contro chicchessia, risoluti a sparare, se<br />

occorre, contro chiunque si opponga all'urto <strong>del</strong><strong>le</strong> nostre fi<strong>le</strong>,' 'siamo f<strong>in</strong> da ora pronti<br />

ad uccidere e pronti a morire.' e La polizia vietò il comizio. Il quotidiano estremista "Il<br />

Lavoratore" <strong>in</strong>vitò il pro<strong>le</strong>tariato a 'scendere nel<strong>le</strong> strade contro il nemico.' Gli operai<br />

abbandonarono <strong>le</strong> fabbriche, e qua e là si ebbero scontri per <strong>le</strong> strade. I fascisti


assalirono la sede <strong>del</strong> "Lavoratore" e la distrussero appiccandovi il fuoco. La polizia si<br />

dist<strong>in</strong>se per la propria assenza, e come al solito lo sciopero genera<strong>le</strong> fallì. Questa<br />

manovra era stata progettata da Giunta d'accordo con Giolitti, che lo aveva convocato<br />

a Roma per dargli istruzioni sul modo d'agire (9).<br />

A questo punto, l'orribi<strong>le</strong> massacro che ebbe luogo a Bologna il 21 novembre 1920<br />

scatenò la reazione 'antibolscevica.'<br />

Come si è detto, <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni comunali di Bologna, <strong>del</strong> 31 ottobre, avevano dato ai<br />

socialisti una vittoria assoluta. Esasperati da questa vittoria, un gruppo di fascisti, il 4<br />

novembre, attaccò la Camera <strong>del</strong> lavoro. In questa circostanza il comunista Bucco,<br />

segretario <strong>del</strong>la Camera <strong>del</strong> lavoro, che con la sua tracotanza aveva già provocato<br />

<strong>in</strong>sofferenza ed irritazione, dimostrò di essere un vigliacco, <strong>in</strong>capace di <strong>org</strong>anizzare<br />

qualsiasi forma di resistenza. Dopo avere maltrattato la polizia nel corso di due anni,<br />

adesso, di fronte all'assalto fascista ne chiedeva te<strong>le</strong>fonicamente l'aiuto. La polizia<br />

arrivò, e confiscò un deposito di armi ed esplosivi, e mentre la polizia perquisiva i<br />

locali, i fascisti li saccheggiarono.<br />

Per riparare al grave danno mora<strong>le</strong>, i socialisti decisero di ce<strong>le</strong>brare la seduta di<br />

apertura <strong>del</strong> nuovo consiglio comuna<strong>le</strong> con una grande dimostrazione, che doveva<br />

aver luogo il 21 novembre. Un giorna<strong>le</strong> cittad<strong>in</strong>o 'antibolscevico,' "Il Progresso", <strong>in</strong>iziò<br />

allora una campagna per impedire che i socialisti, durante la loro dimostrazione,<br />

sventolassero <strong>le</strong> bandiere rosse. La polizia riuscì a far sì che il 18 novembre si<br />

arrivasse a un compromesso tra socialisti e fascisti: i socialisti avrebbero r<strong>in</strong>unciato al<br />

loro corteo, limitandosi a tenere un comizio davanti al palazzo <strong>del</strong> municipio (Palazzo<br />

d'Accursio); <strong>le</strong> bandiere rosse sarebbero apparse sul balcone <strong>del</strong> municipio soltanto<br />

durante i discorsi <strong>del</strong> nuovo s<strong>in</strong>daco e degli altri oratori ufficiali; term<strong>in</strong>ati i discorsi, <strong>le</strong><br />

bandiere sarebbero state ritirate e il comizio sciolto.<br />

Nonostante questo accordo, la popolazione rimase sospettosa e <strong>in</strong> preda a uno stato<br />

di eccitazione. Circolavano voci ignote di attacchi da una parte e dall'altra. Nel<br />

pomeriggio <strong>del</strong> sabato 20 novembre, il direttorio <strong>del</strong> Fascio fece circolare il seguente<br />

manifest<strong>in</strong>o dattiloscritto:<br />

«Cittad<strong>in</strong>i, i massimalisti rossi sbaragliati e v<strong>in</strong>ti per <strong>le</strong> piazze e per <strong>le</strong> strade <strong>del</strong>la<br />

città chiamano a raccolta <strong>le</strong> masse <strong>del</strong> contado per tentare una riv<strong>in</strong>cita, per tentare<br />

d'issare il loro cencio rosso sul Palazzo Comuna<strong>le</strong>. Noi non tol<strong>le</strong>reremo mai<br />

quest'<strong>in</strong>sulto! Insulto per ogni cittad<strong>in</strong>o italiano e per la Patria nostra che di Len<strong>in</strong> e di<br />

bolscevismo non vuo<strong>le</strong> saperne. Domenica <strong>le</strong> donne di tutti coloro che amano la pace<br />

e la tranquillità rest<strong>in</strong>o <strong>in</strong> casa e se vogliono meritare <strong>del</strong>la Patria espongano dal<strong>le</strong> loro<br />

f<strong>in</strong>estre il Tricolore Italico. Per <strong>le</strong> strade di Bologna, domenica, debbono trovarsi soli<br />

Fascisti e Bolscevichi. Sarà la prova! La grande prova <strong>in</strong> nome d'Italia.»<br />

Domenica, 21 novembre, al<strong>le</strong> tre <strong>del</strong> pomeriggio, i nuovi consiglieri comunali si<br />

riunirono per e<strong>le</strong>ggere il nuovo s<strong>in</strong>daco. La sala era piena di gente, e nella piazza<br />

antistante erano riunite migliaia di persone. Cordoni di truppe a piedi e a cavallo,<br />

carab<strong>in</strong>ieri e guardie regie chiudevano tutte <strong>le</strong> strade di accesso alla piazza, per<br />

impedire che i fascisti e i nazionalisti potessero entrare e venire a contatto con la<br />

gente qui raccolta.<br />

Al<strong>le</strong> tre e mezzo, un gruppo di circa 500 fascisti, nazionalisti e ufficiali <strong>del</strong>l'esercito <strong>in</strong><br />

divisa si gettarono contro uno sbarramento di soldati riuscendo a fare breccia.<br />

Raggiunta l'entrata <strong>del</strong>la piazza, cercarono di fare breccia anche attraverso il secondo<br />

sbarramento, proprio mentre il nuovo s<strong>in</strong>daco si faceva alla f<strong>in</strong>estra, accompagnato<br />

dal<strong>le</strong> bandiere rosse, per parlare alla folla. Dal gruppo dei fascisti partirono tre colpi di<br />

rivoltella, e nel nervosismo genera<strong>le</strong> essi provocarono una ondata di panico. Alcuni<br />

carab<strong>in</strong>ieri e guardie regie aprirono il fuoco contro il municipio. Nella piazza, la folla <strong>in</strong><br />

cerca di riparo si precipitò verso il corti<strong>le</strong> <strong>in</strong>terno <strong>del</strong> palazzo comuna<strong>le</strong>; da una


f<strong>in</strong>estra <strong>del</strong> municipio, su questa massa terrorizzata piovvero alcune bombe. Vi furono<br />

tra la folla dieci morti e c<strong>in</strong>quantotto feriti. Alcuni rimasero vittime <strong>del</strong> fuoco dei<br />

carab<strong>in</strong>ieri e <strong>del</strong><strong>le</strong> guardie regie, ma i più furono colpiti dal<strong>le</strong> schegge <strong>del</strong><strong>le</strong> bombe.<br />

Nel frattempo, nella sala consiliare, era tutto un gridare e una confusione: chi si<br />

affannava verso <strong>le</strong> porte per scappare, chi si gettava per terra per non essere colpito<br />

dai proiettili che entravano dal<strong>le</strong> f<strong>in</strong>estre. Improvvisamente due uom<strong>in</strong>i armati di<br />

rivoltella (o forse soltanto uno, che cambiò di posto mentre sparava) si fecero verso i<br />

banchi occupati dai consiglieri <strong>del</strong>la m<strong>in</strong>oranza antisocialista, com<strong>in</strong>ciando a sparar<br />

loro contro. Un consigliere <strong>del</strong>la m<strong>in</strong>oranza, che si era dist<strong>in</strong>to come ufficia<strong>le</strong> <strong>in</strong><br />

guerra, venne ucciso, due altri vennero feriti.<br />

Quando la polizia perquisì il municipio, scoprì che un comunista, ta<strong>le</strong> Martelli, uno di<br />

quegli squilibrati che nei partiti rivoluzionari si trovano sempre <strong>in</strong> troppa abbondanza,<br />

aveva disposto una provvista di bombe nell'eventualità di un assalto al municipio. Egli<br />

era amico <strong>in</strong>timo di un agente provocatore, certo Galli, che poco tempo più tardi<br />

uccise la sua amante, ne bruciò il corpo, ma non venne mai processato per ta<strong>le</strong><br />

<strong>del</strong>itto. Fu esso a gettare <strong>le</strong> bombe sulla folla?<br />

Questi sono i fatti, quali oggi possono essere ricostruiti a sangue freddo, dai resoconti<br />

<strong>del</strong> pubblico processo, che si svolse a Milano dal 30 gennaio al 14 marzo 1923 (10).<br />

Nel novembre <strong>del</strong> 1920, sotto la impressione immediata <strong>del</strong>la tragedia, non era<br />

possibi<strong>le</strong> attribuire spassionatamente <strong>le</strong> responsabilità. Le simpatie politiche personali<br />

avevano il sopravvento. Giornali e partiti 'antibolscevichi' gettavano <strong>le</strong> responsabilità<br />

sul partito di appartenenza, preso nel suo <strong>in</strong>sieme, degli autori materiali <strong>del</strong> <strong>del</strong>itto. I<br />

socialisti tutti, non importa se comunisti, massimalisti o riformisti, si trovarono senza<br />

dist<strong>in</strong>zioni al centro di un'ondata di <strong>in</strong>dignazione mora<strong>le</strong>. Giolitti prese la palla al balzo<br />

e sciolse il consiglio comuna<strong>le</strong>. La città fu governata adesso da un commissario che<br />

svolgeva la sua opera d'amore e d'accordo con nazionalisti e fascisti. La magistratura,<br />

emettendo mandati di arresto per cent<strong>in</strong>aia di persone che a torto o a ragione erano<br />

accusate come responsabili <strong>del</strong> massacro, fece il resto. Nazionalisti e fascisti<br />

diventarono padroni <strong>del</strong>la città, misero al bando tutti i capi <strong>del</strong> partito socialista, e<br />

mantennero la popolazione lavoratrice <strong>in</strong> un cont<strong>in</strong>uo stato di terrore.<br />

Poche settimane dopo, Ferrara fu testimone di una replica perfetta di quanto era<br />

accaduto a Bologna. Il 19 dicembre, due avvocati socialisti, deputati, erano stati<br />

malmenati a Bologna mentre uscivano dai locali <strong>del</strong> tribuna<strong>le</strong>, dove stavano<br />

difendendo alcuni lavoratori. Non appena la notizia di questa aggressione arrivò a<br />

Ferrara, nella notte, i capi socialisti convocarono tutte <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni <strong>del</strong>la città e<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> località vic<strong>in</strong>e per un comizio di protesta <strong>in</strong> massa da tenersi nel pomeriggio <strong>del</strong><br />

giorno seguente. La polizia non proibì questa manifestazione. Ma la matt<strong>in</strong>a <strong>del</strong> 20<br />

dicembre un migliaio di fascisti arrivati su camions dai paesi più vic<strong>in</strong>i e più lontani si<br />

raccolsero nella città. I camions erano stati forniti dai datori di lavoro e dal<strong>le</strong> autorità<br />

militari. La polizia permise loro l'<strong>in</strong>gresso <strong>in</strong> città. Essi attaccarono dei manifesti dove<br />

si diceva: 'Occhio per occhio, dente per dente, sangue per sangue.' Al<strong>le</strong> due <strong>del</strong><br />

pomeriggio, quattromila persone si erano radunate nel teatro, e una gran folla, che<br />

non aveva potuto trovar posto all'<strong>in</strong>terno <strong>del</strong> teatro, era fuori <strong>in</strong> attesa. I fascisti si<br />

misero <strong>in</strong> marcia verso di essa. La folla si aprì lasciando via libera ai fascisti, e<br />

siccome c'era una bandiera rossa i fascisti cercarono di impadronirsene. Intorno ad<br />

essa ebbe luogo uno scontro, e fu sparato un colpo di rivoltella. A questo punto, dal<br />

vic<strong>in</strong>o palazzo comuna<strong>le</strong>, un comunista com<strong>in</strong>ciò a sparare alla cieca contro la folla. In<br />

seguito a ciò si ebbero tre morti e tre feriti tra i fascisti; due morti e sei feriti tra i<br />

socialisti. Sopraggiunse la polizia che arrestò 76 segretari di s<strong>in</strong>dacati e s<strong>in</strong>daci<br />

socialisti <strong>del</strong>la prov<strong>in</strong>cia di Ferrara. Tolti di mezzo i capi, i fascisti attaccarono una<br />

dopo l'altra tutte <strong>le</strong> località <strong>del</strong>la prov<strong>in</strong>cia. Tutti i lunedì, giorno di mercato a Ferrara,<br />

venivano bastonati cent<strong>in</strong>aia di contad<strong>in</strong>i che erano venuti dal<strong>le</strong> campagne circostanti.<br />

La polizia forniva ai fascisti i nomi <strong>del</strong><strong>le</strong> persone da aggredire.


In poche settimane nel<strong>le</strong> prov<strong>in</strong>cie di Bologna, Ferrara e Cremona, cioè <strong>del</strong><strong>le</strong> zone<br />

agrico<strong>le</strong> più ricche d'Italia, dove <strong>le</strong> <strong>le</strong>ghe dei braccianti erano <strong>le</strong> più potenti e <strong>le</strong> più<br />

esigenti, la reazione ebbe il sopravvento. A partite da questo momento, i piccoli<br />

proprietari e gli affittuari si rifiutarono di acconsentire al<strong>le</strong> richieste <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>le</strong>ghe e si<br />

rimangiarono quel<strong>le</strong> concessioni già fatte durante i due anni precedenti; i loro<br />

<strong>in</strong>teressi economici fomentavano il loro spirito di vendetta. Subito si unirono ad essi i<br />

grossi proprietari terrieri. Seguendo l'esempio dei proprietari e dei coltivatori diretti<br />

<strong>del</strong>la Val<strong>le</strong> <strong>del</strong> Po, anche quelli <strong>del</strong>la parte occidenta<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Lombardia, <strong>del</strong>la Toscana,<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> Puglie e <strong>del</strong>la Sicilia irrigidirono la loro resistenza contro i braccianti e i mezzadri.<br />

Anche gli <strong>in</strong>dustriali com<strong>in</strong>ciarono non soltanto a rifiutare ogni ulteriore aumento<br />

salaria<strong>le</strong>, ma a imporre riduzioni salariali e a mettere <strong>in</strong> atto nel<strong>le</strong> fabbriche un più<br />

rigido sistema di discipl<strong>in</strong>a. Nessuno disse più niente a proposito <strong>del</strong> 'controllo' nel<strong>le</strong><br />

fabbriche.<br />

Nel frattempo la questione di Fiume perdeva il suo mordente. Nel novembre <strong>del</strong> 1920,<br />

Sforza, d'accordo con i rappresentanti yugoslavi, aveva def<strong>in</strong>ito la questione adriatica<br />

con il Trattato di Rapallo (11). Con grande sorpresa di tutti, il 13 novembre 1920,<br />

Mussol<strong>in</strong>i annunciò che nel<strong>le</strong> condizioni attuali era necessario accettare il Trattato di<br />

Rapallo; il prob<strong>le</strong>ma avrebbe potuto essere risol<strong>le</strong>vato nel futuro (12). Giolitti, a cui<br />

venne chiesto che cosa avrebbe fatto Mussol<strong>in</strong>i al momento <strong>del</strong>la crisi f<strong>in</strong>a<strong>le</strong>, sorrise e<br />

fece il gesto di sfregare il pollice contro l'<strong>in</strong>dice, abbastanza significativo ad <strong>in</strong>dicare<br />

'quattr<strong>in</strong>i.' Alla Camera dei deputati e al Senato una maggioranza schiacciante<br />

approvò nel 1920 il Trattato di Rapallo. Dal canto suo, D'Annunzio proclamò che<br />

piuttosto che arrendersi sarebbe morto; ma Giolitti sapeva come trattarlo. Ricordò al<br />

Re che egli, come monarca costituziona<strong>le</strong> e comandante supremo <strong>del</strong><strong>le</strong> forze armate,<br />

aveva il dovere di richiamare i capi militari al giuramento di fe<strong>del</strong>tà prestato a lui e<br />

allo Statuto. Il Re fece il suo dovere. Millo dimenticò di aver dato a D'Annunzio la sua<br />

parola d'onore e si sottomise. Gli altri capi militari non osarono disubbidire. In uno<br />

scontro con <strong>le</strong> truppe italiane regolari, alcuni dei soldati di D'Annunzio persero la vita.<br />

Quando si rese conto che l'esercito regolare faceva sul serio, D'Annunzio annunciò che<br />

non va<strong>le</strong>va la pena di gettare la sua vita '<strong>in</strong> servizio di un popolo che non si cura di<br />

distogliere neppure per un attimo dal<strong>le</strong> gozzoviglie natalizie la sua <strong>in</strong>gordigia,' e<br />

abbandonò la scena. Nessun disord<strong>in</strong>e grave avvenne <strong>in</strong> Italia. Questo scoglio era<br />

stato felicemente superato.<br />

Il 31 dicembre, con quel senso <strong>del</strong> momento psicologico che possedeva <strong>in</strong> grado<br />

ecceziona<strong>le</strong>, Mussol<strong>in</strong>i scrisse:<br />

«E' onesto aggiungere che da tre mesi a questa parte e precisamente dal<br />

"referendum" <strong>in</strong>detto per la occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche e dal ritorno dei Missionari<br />

andati <strong>in</strong> Russia, la psicologia <strong>del</strong>la massa operaia italiana si è profondamente<br />

modificata. (...) La famosa ondata di svogliatezza e di pigrizia appare superata. Le<br />

masse operaie sembrano conv<strong>in</strong>cersi che il prob<strong>le</strong>ma fondamenta<strong>le</strong> <strong>del</strong> momento è un<br />

prob<strong>le</strong>ma di produzione. S<strong>in</strong>tomo certissimo di questo stato d'animo è la relativa<br />

facilità con la qua<strong>le</strong> <strong>in</strong> questi ultimi tempi sono stati raggiunti accordi dopo trattative<br />

pacifiche nella grande categoria dei tessili e dei chimici» (13).<br />

Il "Corriere <strong>del</strong>la Sera" <strong>del</strong> 31 dicembre 1920 diceva:<br />

«In questi ultimi mesi, la reazione spontanea <strong>del</strong> popolo italiano è riuscita a dim<strong>in</strong>uire<br />

sensibilmente la tirannia socialista. A l'alta marea <strong>del</strong> rivoluzionarismo, rappresentata<br />

dall'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche, ha fatto seguito un rapido decl<strong>in</strong>o» (14.<br />

Nel gennaio, al congresso naziona<strong>le</strong> di Livorno <strong>del</strong> partito socialista, gli attacchi degli<br />

estremisti contro la destra e i massimalisti raggiunsero il loro culm<strong>in</strong>e. La destra


ottenne 14625 voti, i massimalisti 98028, gli estremisti 58183. Se si confrontano i<br />

dati <strong>del</strong>la situazione <strong>del</strong> congresso di Bologna nell'ottobre <strong>del</strong> 1919 con quelli <strong>del</strong><br />

gennaio 1921, si vedrà che durante il periodo <strong>in</strong>termedio la forza dei socialisti di<br />

destra non è né aumentata né dim<strong>in</strong>uita; erano 14880 nell'ottobre <strong>del</strong> 1919 ed erano<br />

ancora 14625 nel gennaio <strong>del</strong> 1921. Ma i massimalisti avevano <strong>in</strong>grossato <strong>le</strong> loro fi<strong>le</strong><br />

da 48411 a 98028, e gli estremisti erano dei convertiti <strong>del</strong>l'ultimo anno, 'socialisti di<br />

guerra' improvvisati; nei mesi seguenti si allontanarono con la stessa facilità con cui<br />

avevano aderito. Per lo più, coloro che affrontarono <strong>in</strong> modo più deciso la marea<br />

fascista furono gli uom<strong>in</strong>i <strong>del</strong>la 'vecchia guardia.'<br />

In seguito al congresso di Livorno, gli estremisti abbandonarono il partito socialista e<br />

formarono il 'Partito Comunista Italiano.' Questa scissione socialista che arrivava dopo<br />

l'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche, <strong>le</strong> notizie dalla Russia riportate dai dirigenti s<strong>in</strong>dacali e<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> cooperative, <strong>le</strong> sconfitte morali di Bologna e di Ferrara, non servì certo ad<br />

alimentare tra <strong>le</strong> masse operaie cittad<strong>in</strong>e fiduciose speranze. Si diffuse l'idea che una<br />

rivoluzione era divenuta impossibi<strong>le</strong>.<br />

Ai primi <strong>del</strong> 1921, Mussol<strong>in</strong>i cambiò la l<strong>in</strong>ea <strong>del</strong> fronte. F<strong>in</strong>tanto che una rivoluzione<br />

socia<strong>le</strong> era sembrata possibi<strong>le</strong>, egli aveva attaccato socialisti e comunisti dalla<br />

s<strong>in</strong>istra, accusandoli di essere dei rivoluzionari <strong>in</strong>concludenti. Non appena la<br />

rivoluzione socia<strong>le</strong> si dimostrò impossibi<strong>le</strong>, com<strong>in</strong>ciò ad attaccare socialisti e comunisti<br />

dalla destra, accusandoli di essere i responsabili degli scioperi e dei disord<strong>in</strong>i politici.<br />

Aveva annusato la nuova direzione <strong>del</strong> vento e adattava la sua tattica alla mutata<br />

situazione. Ora che la 'rivoluzione' di Mussol<strong>in</strong>i si dirigeva apertamente non contro la<br />

società capitalistica ma contro il movimento socialista, gli <strong>in</strong>dustriali italiani e i grossi<br />

proprietari terrieri generalizzarono il sistema di foraggiamento. Veramente i fascisti<br />

facevano ancora sfoggio di apparato rivoluzionario. Ma non vi era niente di più<br />

natura<strong>le</strong> <strong>del</strong>la formazione di una "union sacrée" contro il comune nemico tra coloro<br />

che erano pronti ad attaccarlo dalla destra e coloro che per due anni lo avevano<br />

combattuto dalla s<strong>in</strong>istra. Fu così che <strong>le</strong> locali sezioni dei Fasci divennero i punti di<br />

raccolta di tutte <strong>le</strong> forze 'antibolsceviche' che si andavano <strong>org</strong>anizzando.<br />

Gli arditi, che s<strong>in</strong>o al dicembre 1920 erano stati a Fiume con D'Annunzio ed erano<br />

stati costretti ad abbandonare la città, erano adesso disoccupati. Una parte di essi<br />

trovò nel<strong>le</strong> fi<strong>le</strong> fasciste un nuovo impiego ben remunerato. Furono essi a <strong>in</strong>trodurre<br />

nel movimento fascista la camicia nera, il pugna<strong>le</strong>, il manganello, la canzone<br />

'Giov<strong>in</strong>ezza,' il saluto romano, l'olio di ric<strong>in</strong>o, la cru<strong>del</strong>tà, tutto il loro armamentario,<br />

gli slogans e <strong>le</strong> abitud<strong>in</strong>i.<br />

Nell'azione fascista trovarono i mezzi per vivere non soltanto quegli ufficiali smobilitati<br />

mezzo morti di fame, ma anche operai disoccupati. In Italia, come dappertutto, si<br />

avvic<strong>in</strong>ava una crisi <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong> che portava la disoccupazione; e come sempre<br />

succede, la disoccupazione agiva come un tarlo nello spirito combattivo degli operai.<br />

Datori di lavoro e fascisti trassero profitto da questa situazione. Molti dei socialisti di<br />

guerra ritrovarono adesso la loro vera anima e aderirono al movimento fascista.<br />

All'amore <strong>del</strong>l'avventura e al fasc<strong>in</strong>o di una buona paga si aggiungeva la certezza<br />

<strong>del</strong>l'impunità (15).<br />

Al quadro <strong>del</strong>la situazione che, tutto sommato, su scala maggiore, ripeteva i tratti<br />

comuni ai due anni precedenti, si aggiungeva adesso l'apporto di quegli e<strong>le</strong>menti che<br />

provenivano dai ceti dei proprietari terrieri, dei negozianti e degli artigiani. Così<br />

scrisse un attento osservatore nell'estate <strong>del</strong> 1921:<br />

«Dopo qualche mese ovunque la maggior parte dei Fasci nell'Emilia, nel Veneto, nel<strong>le</strong><br />

Puglie, furono nel<strong>le</strong> campagne costituiti da creature <strong>del</strong>l'Agraria. La composizione <strong>del</strong><br />

<strong>fascismo</strong> era già notevolmente mutata, da quel ch'era prima <strong>del</strong>l'ottobre; e gli<br />

e<strong>le</strong>menti studenteschi non vi rappresentavano più la forza predom<strong>in</strong>ante. Anche <strong>le</strong><br />

funzioni dirigenti dei fascisti passarono qua e là <strong>in</strong> mani diverse. Nel<strong>le</strong> città gli


aderenti non erano più neppur loro i medesimi di un tempo. Questi, nella loro miglior<br />

parte più dis<strong>in</strong>teressata, (...) eran tutti mossi da quello spirito patriottico che la<br />

guerra aveva sovreccitato ed esasperato: un patriottismo <strong>in</strong>dubbiamente ma<strong>le</strong> <strong>in</strong>teso<br />

quanto impreciso, ma s<strong>in</strong>cero. Questi però col tempo eran diventati m<strong>in</strong>oranza, al<br />

sopraggiungere dei nuovi e<strong>le</strong>menti» (16).<br />

Questo rapido afflusso su larga scala di gente danarosa e di spirito conservatore <strong>in</strong><br />

una <strong>org</strong>anizzazione di giovani squattr<strong>in</strong>ati che si credevano rivoluzionari, scandalizzò<br />

e creò uno stato di disagio tra molti 'fascisti <strong>del</strong>la prima ora.' Si vedano nel<strong>le</strong><br />

"Memorie di un fascista", di Umberto Banchelli (17), <strong>le</strong> proteste contro 'i figli ed i<br />

clienti dei barbogi,' che si recavano numerosi al<strong>le</strong> riunioni fasciste, ma non<br />

partecipavano mai a pericolose spedizioni:<br />

«Erano entrati nel Fascio con i loro scopi particolari, uno fra tanti, quello di esercitare<br />

la giustizia di classe, cioè punire non come fascisti, ma come figli <strong>del</strong>l'avvocato, <strong>del</strong><br />

dottore, <strong>del</strong> fornitore, eccetera. Ne derivò che per molto tempo bastava che uno<br />

stuolo di questi <strong>in</strong>contrassero gente vestita da operaio, perché i giustizieri<br />

picchiassero di santa ragione. Avevano anch'essi una concezione egua<strong>le</strong> a quella dei<br />

comunisti che avevano picchiato e assass<strong>in</strong>ato gente decentemente vestita. (...) Si<br />

vedevano giungere alla sede <strong>del</strong> Fascio note facce torve e rapaci di ex-fornitori,<br />

dimessamente calzati e vestiti, ma con l'immancabi<strong>le</strong> brillante di gran prezzo <strong>in</strong> dito;<br />

e noi costretti ad accettare per il bisogno di avere i mezzi necessari per soffocare un<br />

ma<strong>le</strong> peggiore di loro» (18).<br />

La classe capitalista italiana era di formazione recente; essa doveva la sua ricchezza<br />

soprattutto ai dazi protettivi e al<strong>le</strong> commesse statali, e non aveva ancora acquisito<br />

quella coscienza <strong>del</strong>la propria dignità socia<strong>le</strong>, dei propri diritti e dei propri obblighi,<br />

che è il frutto di una lunga esperienza politica ed economica. In particolare i 'nuovi<br />

ricchi' creati dalla guerra - i cosiddetti 'pescicani' - erano gente grossolana<br />

<strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttualmente e moralmente. Avendo acquistato ricchezza e potere più per fortuna<br />

che per merito, essi erano <strong>in</strong>capaci di mantenere <strong>le</strong> loro posizioni all'<strong>in</strong>terno di un<br />

sistema di libera concorrenza e di libertà politiche. Questi profittatori, che erano allora<br />

<strong>in</strong> Italia il grosso <strong>del</strong>la classe capitalista, non appena il loro terrore <strong>del</strong> 'bolscevismo' si<br />

fu mutato <strong>in</strong> ira, non si contentarono di ricondurre gli operai alla ragionevo<strong>le</strong>zza. Si<br />

proposero <strong>in</strong>vece di sfruttare al massimo la loro vittoria e distruggere <strong>le</strong><br />

<strong>org</strong>anizzazioni operaie. Ancora più brutali degli <strong>in</strong>dustriali furono gli agrari, che per<br />

tradizione secolare erano abituati a considerarsi padroni assoluti <strong>del</strong><strong>le</strong> loro terre e a<br />

trattare i contad<strong>in</strong>i come bestie da soma, senza nessun diritto civi<strong>le</strong> e nessun senso di<br />

dignità umana. Anch'essi, non contenti di difendere la loro libertà e la loro proprietà,<br />

vo<strong>le</strong>vano vendicarsi dei servi che avevan sognato di diventare padroni. 'Vi<br />

rimetteremo a tirare l'aratro <strong>in</strong>sieme ai buoi!' dicevano gli agrari di Cremona ai loro<br />

braccianti, e correvano ad iscriversi ai Fasci. Se il pericolo di una rivoluzione non era<br />

mai stato grande, era stata grande la paura, e questa durò per molto tempo dopo il<br />

1920. La paura è cattiva consigliera.<br />

I militari di professione, che armarono e <strong>in</strong>quadrarono <strong>le</strong> squadre fasciste,<br />

<strong>in</strong>trodussero nel movimento fascista la loro mentalità, e con essa quella ferocia<br />

metodica che prima <strong>del</strong> 1921 era sconosciuta alla lotta politica italiana. Furono <strong>le</strong><br />

autorità militari che dettero ai fascisti una <strong>org</strong>anizzazione fortemente gerarchica.<br />

Senza ta<strong>le</strong> aiuto non si sarebbe mai realizzata la <strong>org</strong>anizzazione armata <strong>del</strong><strong>le</strong> forze<br />

fasciste, e il meccanismo <strong>del</strong> partito fascista non sarebbe stato essenzialmente<br />

diverso da quello di ogni altro partito italiano.


CAPITOLO DICIANNOVESIMO.<br />

IL DRAGO ROSSO E LA CAMICIA NERA.<br />

Ogni volta che si verificava un conflitto tra datori di lavoro e lavoratori, ecco che<br />

comparivano 'squadre' di camicie nere, che assalivano i dirigenti s<strong>in</strong>dacali, li<br />

bastonavano, li uccidevano, saccheggiavano <strong>le</strong> loro abitazioni, li costr<strong>in</strong>gevano a<br />

fuggire o a nascondersi, spezzando <strong>in</strong> tal modo la sp<strong>in</strong>a dorsa<strong>le</strong> <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni<br />

operaie. Membri <strong>del</strong> Parlamento, direttori di giornali, allo stesso modo dei dirigenti<br />

s<strong>in</strong>dacali si trovarono a dover affrontare la stessa sorte. Tutte <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni<br />

operaie venivano def<strong>in</strong>ite 'bolsceviche' e soggette qu<strong>in</strong>di ad aggressioni<br />

<strong>in</strong>discrim<strong>in</strong>ate. Nella primavera <strong>del</strong> 1921, quella offensiva che dapprima si era rivolta<br />

soltanto contro i s<strong>in</strong>dacati socialisti com<strong>in</strong>ciò ad <strong>in</strong>vestire anche quei s<strong>in</strong>dacati che<br />

erano sotto il controllo dei popolari. Contemporaneamente l'offensiva si estese dai<br />

s<strong>in</strong>dacati al<strong>le</strong> cooperative di consumo. I bottegai, avevano aderito al partito fascista,<br />

portavano <strong>in</strong> esso il loro odio contro istituzioni che facevano loro concorrenza. Fu una<br />

'controrivoluzione spietata nei confronti di una rivoluzione fallita' (1). Fu 'la più, dura,<br />

la più <strong>in</strong>esorabi<strong>le</strong>, la più scientifica <strong>del</strong><strong>le</strong> vio<strong>le</strong>nze' (2).<br />

Luigi Fabbri, che viveva a Bologna, uno dei centri più attivi <strong>del</strong> movimento fascista,<br />

dava nell'estate <strong>del</strong> 1921 la seguente descrizione <strong>del</strong>l'offensiva fascista:<br />

«Dove, come a Reggio Emilia e Modena, preva<strong>le</strong>vano <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni riformiste, si<br />

sono assalite queste; a Bologna e a Ferrara <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni massimaliste unitarie; a<br />

Treviso <strong>le</strong> .<strong>org</strong>anizzazioni repubblicane; nel Bergamasco <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni cattoliche; a<br />

Carrara e nel Valdarno <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni anarchiche; a Piacenza, a Sestri e a Parma <strong>le</strong><br />

<strong>org</strong>anizzazioni s<strong>in</strong>dacaliste, non escluse quel<strong>le</strong> già partigiane <strong>del</strong>la guerra e con<br />

tendenze dannunziane; a Tor<strong>in</strong>o <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni comuniste; ed <strong>in</strong> qualche luogo,<br />

come a Padova, perf<strong>in</strong>o degli <strong>org</strong>anismi cooperativi <strong>del</strong> tutto apolitici e amm<strong>in</strong>istrati<br />

da uom<strong>in</strong>i <strong>del</strong>l'ord<strong>in</strong>e. La furia distruttrice non ha fatto dist<strong>in</strong>zione fra i vari istituti;<br />

bastava fossero operai: <strong>le</strong>ghe o camere <strong>del</strong> lavoro, uffici di collocamento o<br />

federazioni, biblioteche o giornali, cooperative di consumo di produzione, società<br />

operaie di M.S. o circoli di divertimento, caffè ed osterie o case private. (...) I pretesti<br />

addotti dai fascisti non hanno importanza, poiché variano da luogo a luogo. A Bologna<br />

e nel Reggiano vi dicono che bisogna sgom<strong>in</strong>are i socialisti che, vigliacchi, non han<br />

saputo o voluto fare la rivoluzione. Al contrario a Carrara e nel Valdarno proclamano<br />

che è ora di f<strong>in</strong>irla con gli anarchici, che m<strong>in</strong>acciano nuove convulsioni ed impediscono<br />

<strong>le</strong> graduali conquiste. A Tor<strong>in</strong>o e Firenze declameranno contro il mito comunista<br />

russo, e a Roma o Milano contro il riformismo nittiano. E così via, trascurando <strong>in</strong> ogni<br />

località <strong>le</strong> fazioni di m<strong>in</strong>oranza che, appunto perché m<strong>in</strong>oranza - siano essi socialisti,<br />

anarchici, repubblicani o cattolici - non hanno altro che <strong>le</strong> idee da difendere e non<br />

rappresentano alcun <strong>in</strong>teresse pro<strong>le</strong>tario concreto e cont<strong>in</strong>gente da colpire» (3).<br />

Nel corso dei due anni <strong>del</strong>la loro 'tirannia' i 'bolscevichi' non devastarono neppure una<br />

volta l'ufficio di una associazione degli <strong>in</strong>dustriali, degli agrari o dei commercianti; non<br />

obbligarono mai con la forza al<strong>le</strong> dimissioni nessuna amm<strong>in</strong>istrazione controllata dai<br />

partiti conservatori; non bruciarono neppure "una" tipografia di un giorna<strong>le</strong>; non<br />

saccheggiarono mai una sola casa di un avversario politico. Tali atti di 'eroismo'<br />

furono <strong>in</strong>trodotti nella vita italiana dagli 'antibolscevichi.' Inoltre va notato che mentre<br />

i <strong>del</strong>itti commessi dai 'bolscevichi' negli anni 1919-20 furono quasi sempre compiuti<br />

da fol<strong>le</strong> eccitate, <strong>le</strong> 'eroiche' imprese degli 'antibolscevichi' troppo spesso furono<br />

preparate e condotte a sangue freddo da appartenenti a quei ceti benestanti, che<br />

hanno la pretesa di essere i custodi <strong>del</strong>la civiltà (4).


Nell'estate <strong>del</strong> 1922, Luigi Fabbri così scriveva:<br />

«L'odio che i fascisti van sem<strong>in</strong>ando con <strong>le</strong> quotidiane bastonature, con <strong>le</strong> distruzioni<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> sedi di <strong>org</strong>anizzazioni, con gli <strong>in</strong>cendi, con <strong>le</strong> devastazioni <strong>del</strong><strong>le</strong> cooperative, con<br />

la violazione di tutte <strong>le</strong> libertà di riunione, di parola e di stampa: col rendere diffici<strong>le</strong> e<br />

impossibi<strong>le</strong> lo svolgersi <strong>del</strong>la vita di partito o d'associazione <strong>in</strong> certe zone, con<br />

l'impedire s<strong>in</strong> lo svago sera<strong>le</strong> norma<strong>le</strong> agli operai, assa<strong>le</strong>ndoli nei caffè o nel<strong>le</strong> osterie<br />

od obbligandoli a r<strong>in</strong>casare per tempo, con la violazione <strong>del</strong> domicilio privato, eccetera<br />

eccetera, quest'odio che aumenta ogni giorno non ha modo di sfogarsi con mezzi<br />

relativamente <strong>in</strong>cruenti e pa<strong>le</strong>si, alla luce <strong>del</strong> so<strong>le</strong>. Rendere pan per focaccia è<br />

impossibi<strong>le</strong> agli operai, perché per certe forme di rappresaglia occorrerebbe quella<br />

relativa impunità, nella libertà di muoversi, difendersi e assalire che ai fascisti è<br />

garantita dalla complicità o dalla tol<strong>le</strong>ranza <strong>del</strong>la forza pubblica. Oltre a questo gli<br />

operai han compreso che per essi il rischio è identico tanto se usano il bastone quanto<br />

quanto la rivoltella. In ogni caso, gli altri van subito agli estremi, e il pericolo di morte<br />

è ugua<strong>le</strong>, alla più piccola resistenza. Essi sanno <strong>in</strong>oltre che, difendendosi con la<br />

vio<strong>le</strong>nza, saranno <strong>in</strong>evitabilmente arrestati. Eppoi agli operai mancano i mezzi di<br />

comunicazione, di trasporto, di rapido raccoglimento: e per lo più son presi alla<br />

sprovvista, o quando se ne vanno isolati per via, oppure quando se ne stanno<br />

pacificamente riuniti per i motivi più vari. Gli operai che van tutti a lavorare, e ne han<br />

bisogno, non possono lasciare <strong>in</strong> paese squadre permanenti di difesa. Le distruzioni<br />

avvengono o di giorno, quando tutti gli operai son fuori al lavoro, o a notte <strong>in</strong>oltrata,<br />

quando tutti sono a dormire. (...) E costoro (gli operai), sp<strong>in</strong>ti dalla loro passione e<br />

disperazione, agiscono come possono, contro i primi che capitano loro a tiro <strong>in</strong><br />

condizioni di parità o d'<strong>in</strong>feriorità, dove meno è probabi<strong>le</strong> l'<strong>in</strong>tervento partigiano <strong>del</strong>la<br />

forza pubblica. (...) Poiché la lotta, la difesa aperta è <strong>in</strong>ibita e quasi impossibi<strong>le</strong>, l'odio<br />

popolare sprigiona <strong>le</strong> sue esplosioni anche attraverso quei cosidetti 'agguati' di cui i<br />

giornali parlan con tanto lusso di particolari attribuendoli a comunisti o anarchici o<br />

arditi <strong>del</strong> popolo, mentre sono tutti senza alcun carattere di partito. Si noti <strong>del</strong> resto<br />

che la stampa partigiana dà spessissimo il nome di agguati a 'scontri' veri e propri su<br />

terreno aperto, ad atti di <strong>le</strong>gittima e improvvisa difesa da parte di operai aggrediti e<br />

posti nell'assoluta necessità di colpire per non essere colpiti. Si è parlato di 'agguato'<br />

perf<strong>in</strong>o nel caso di qualche fascista che, <strong>in</strong>vaso con la forza un domicilio privato, dopo<br />

sfondato la porta, ha trovato nell'<strong>in</strong>terno la morte per mano degli abitanti che si sono<br />

disperatamente difesi!» (5).<br />

Fabbri è un anarchico, e qu<strong>in</strong>di espone i fatti <strong>in</strong> modo da gettare tutto il biasimo sui<br />

fascisti e scusare gli antifascisti. Ma ecco quanto scriveva un testimone oculare<br />

americano, che non è un anarchico, nel 1921:<br />

«In Italia la gente <strong>del</strong> popolo è ignorante, ha spirito di sopportazione e facilmente si<br />

fa tiranneggiare, ma non è vigliacca. Passato il primo momento di sorpresa, gli italiani<br />

avrebbero resistito con <strong>le</strong> loro forze contro i fascisti, se questi ultimi non fossero stati<br />

aiutati dalla polizia. Fu solo di fronte ai carab<strong>in</strong>ieri e al<strong>le</strong> guardie regie, una volta che<br />

si furon resi conto <strong>del</strong>la situazione, che essi si mostrarono <strong>del</strong> tutto impotenti. Allora<br />

com<strong>in</strong>ciarono a usare l'arma di tutti gli oppressi senza speranza, l'assass<strong>in</strong>io» (6).<br />

Al<strong>le</strong> pag<strong>in</strong>e 113, 115 di "The Awaken<strong>in</strong>g of Italy", Villari così descrive <strong>le</strong> imprese<br />

fasciste:<br />

«Armati di manganello o di revolver, i fascisti fanno il loro <strong>in</strong>gresso <strong>in</strong> città e paesi<br />

dove sia stato compiuto un <strong>del</strong>itto, arrestano gli assass<strong>in</strong>i quando riescono a trovarli,<br />

li uccidono se oppongono resistenza, ed altrimenti li consegnano ai carab<strong>in</strong>ieri. Se i


veri autori <strong>del</strong> fatto non vengono scoperti, si prendono i capi socialisti e comunisti <strong>del</strong><br />

posto e si bastonano di santa ragione, e talvolta si dà fuoco alla "Camera <strong>del</strong> Lavoro"<br />

o ad altre sedi di <strong>org</strong>anizzazioni rosse, o perlomeno si gettano per la strada registri e<br />

arredi, e si bruciano» (7).<br />

Non soltanto coloro che opponevano resistenza venivano uccisi, ma anche persone<br />

che non c'entravano affatto nel conflitto che era all'orig<strong>in</strong>e; i fascisti seguivano il<br />

metodo degli ostaggi, come truppe di occupazione <strong>in</strong> un paese nemico. Le Camere <strong>del</strong><br />

lavoro e <strong>le</strong> altre <strong>org</strong>anizzazioni dei lavoratori non venivano bruciate "talvolta" ma<br />

"sempre": lo scopo rea<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'offensiva, fosse o no provocata da precedenti <strong>in</strong>cidenti<br />

tra fascisti e antifascisti, non era altro che la distruzione <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni operaie,<br />

bruciandone i registri, devastando i locali di vendita <strong>del</strong><strong>le</strong> cooperative, uccidendo o<br />

mettendo al bando gli <strong>org</strong>anizzatori. E <strong>le</strong> sedi <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni non erano i soli<br />

luoghi saccheggiati; molto spesso <strong>le</strong> abitazioni private dei capi socialisti, comunisti e<br />

popolari venivano bruciate e i loro proprietari uccisi, anche quando 'i veri autori <strong>del</strong><br />

fatto,' preso a pretesto per <strong>le</strong> rappresaglie, erano stati scoperti.<br />

Ovunque si manifestava la pressione fascista, <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni operaie crollavano<br />

come castelli di carte. Contemporaneamente si venivano creando nuovi s<strong>in</strong>dacati<br />

fascisti a cui era dato il nome di 's<strong>in</strong>dacati economici.' Il loro pr<strong>in</strong>cipa<strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzatore<br />

era Edmondo Rossoni. Il bilancio di questi s<strong>in</strong>dacati così come gli stipendi pagati ai<br />

loro funzionari rimanevano avvolti nel mistero. Non è affermazione troppo ardita dire<br />

che tali s<strong>in</strong>dacati ricavavano la maggior parte dei loro fondi dai sussidi degli<br />

<strong>in</strong>dustriali, dei proprietari terrieri, dei negozianti e dei banchieri. Il primo di questi<br />

's<strong>in</strong>dacati' sorse nel febbraio <strong>del</strong> 1921 nel paese di San Bartolomeo <strong>in</strong> Bosco, <strong>in</strong><br />

prov<strong>in</strong>cia di Ferrara. Questi primi esemplari di s<strong>in</strong>dacalismo fascista furono<br />

umoristicamente qualificati 'prigionieri di guerra.' Parlando di essi il 6 maggio <strong>del</strong><br />

1928, Mussol<strong>in</strong>i ammise che 'un'aliquota di costoro non capivano bene dove<br />

andavano' (8).<br />

Da questo momento il movimento fascista acquistò un nuovo carattere. S<strong>in</strong>o<br />

all'autunno <strong>del</strong> 1920 campo di azione dei fascisti erano state <strong>le</strong> città, e la loro lotta<br />

contro comunisti e socialisti si era sviluppata su di un terreno politico. Adesso dal<strong>le</strong><br />

città il movimento si diffondeva nel<strong>le</strong> campagne, e non si trattava più di un semplice<br />

movimento politico 'antibolscevico'; divenne anche un movimento economico contro<br />

tutte <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni operaie di qualsiasi partito. Tali <strong>org</strong>anizzazioni furono tutte<br />

<strong>in</strong>discrim<strong>in</strong>atamente def<strong>in</strong>ite 'bolsceviche.'<br />

I <strong>le</strong>aders nazionalisti dettero istruzioni ai loro seguaci perché entrassero <strong>in</strong> massa nei<br />

Fasci, senza tuttavia abbandonare la tessera <strong>del</strong> partito nazionalista. Ciò che allora i<br />

nazionalisti pensavano <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>, e quali fossero i loro propositi nell'associarsi ad<br />

esso, fu affermato <strong>in</strong> modo chiaro nel febbraio <strong>del</strong> 1922, da uno di essi, Balb<strong>in</strong>o<br />

Giuliano, che più tardi doveva diventare m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Pubblica Istruzione nel<br />

gab<strong>in</strong>etto Mussol<strong>in</strong>i:<br />

«Il <strong>fascismo</strong> è nazionalismo non ancora ben compreso. (...) Il <strong>fascismo</strong> deve la sua<br />

popolarità non solo alla verità che contiene, ma anche ai difetti che ne attenuano la<br />

luce. Senza il loro verbalismo repubblicano, senza quel po' di ribellione a vuoto, senza<br />

<strong>le</strong> frasi vane contro la b<strong>org</strong>hesia e i gesti di ribellione romantica avrebbe avuto<br />

l'impopolarità, che il nazionalismo appena ora com<strong>in</strong>cia a v<strong>in</strong>cere. E ora più che mai<br />

noi dobbiamo mantenere pura e <strong>in</strong>tatta la nostra concezione nazionalista. Possiamo<br />

scendere <strong>in</strong> campo accanto ai Fasci ogni volta che i nostri programmi vengano a<br />

co<strong>in</strong>cidere, e sia necessario difendere i capisaldi comuni, ma dobbiamo restare<br />

dist<strong>in</strong>ti, e cont<strong>in</strong>uare la nostra opera di chiarificazione dei partiti nazionali e <strong>del</strong> partito<br />

fascista <strong>in</strong> specie, senza accettare la responsabilità né dei difetti che hanno dato al


<strong>fascismo</strong> la sua grande popolarità né dei difetti che potrebbero togliergliela domani»<br />

(9).<br />

I <strong>le</strong>aders nazionalisti miravano ad assicurarsi il controllo <strong>del</strong> movimento, senza<br />

assumersi alcuna responsabilità diretta per <strong>le</strong> azioni di vio<strong>le</strong>nza che <strong>le</strong> bande fasciste<br />

andavano compiendo. Ufficialmente essi non erano fascisti; ma <strong>in</strong> realtà tiravano i fili<br />

dietro <strong>le</strong> qu<strong>in</strong>te d'accordo con i grossi uom<strong>in</strong>i d'affari e con i capi <strong>del</strong>l'esercito.<br />

Non è faci<strong>le</strong> calcolare quanti fascisti vi fossero <strong>in</strong> Italia alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1920. L'8<br />

novembre <strong>del</strong> 1921 il giorna<strong>le</strong> di Mussol<strong>in</strong>i affermava che nel maggio <strong>del</strong> 1920 i<br />

fascisti erano 30000. Ma <strong>in</strong> un discorso <strong>del</strong> 9 marzo 1924, Mussol<strong>in</strong>i affermò che <strong>in</strong><br />

data 31 dicembre 1920 essi erano 20615. Nel 1932, i dati statistici ufficiali forniti<br />

dall'ufficio amm<strong>in</strong>istrativo <strong>del</strong> partito fascista davano la cifra di 60000 iscritti al<br />

dicembre 1920. Cercare di conoscere la verità <strong>in</strong> questo marasma di affermazioni<br />

contrastanti è una impresa disperata. Tuttavia una cosa è chiara: che anche se si<br />

accetta per vera la cifra di 60000, ta<strong>le</strong> forza rappresenta una forza ridicola a<br />

confronto dei 2.150.000 iscritti ai s<strong>in</strong>dacati controllati dai socialisti, e di 1.200.000<br />

iscritti ai s<strong>in</strong>dacati controllati dal partito popolare. Come era possibi<strong>le</strong> che <strong>in</strong> pochi<br />

mesi 60000 uom<strong>in</strong>i riducessero a un mucchio di rov<strong>in</strong>e una <strong>org</strong>anizzazione di oltre tre<br />

milioni di uom<strong>in</strong>i?<br />

Gli storici fascisti trovano subito una risposta pronta: i fascisti, dicono, erano tutti<br />

eroi, i socialisti e i popolari tutti vigliacchi. Fu per merito di puro eroismo che <strong>le</strong> forze<br />

<strong>del</strong>la civiltà fascista sopraffecero <strong>le</strong> potenze <strong>del</strong>la tenebra 'bolscevica.' Un giornalista<br />

<strong>in</strong>g<strong>le</strong>se descrisse <strong>le</strong> gesta fasciste allo stesso modo di come un poeta medieva<strong>le</strong><br />

avrebbe cantato <strong>in</strong> una "chanson de geste" <strong>le</strong> imprese dei cavalieri erranti:<br />

«Uno scrittore <strong>del</strong> Medioevo narrerebbe la storia di questo risveglio con <strong>del</strong>icate<br />

immag<strong>in</strong>i, dato che essa contiene tutti gli e<strong>le</strong>menti di una impresa epica. Abbiamo un<br />

prode cavaliere che da solo, deriso dai nemici e commiserato da pavidi amici, se ne<br />

parte per combattere un drago rosso la cui forza e la cui mo<strong>le</strong> vanno sempre più<br />

aumentando. Tutto il paese è <strong>in</strong> pericolo. La lotta è lunga e dolorosa, e a momenti il<br />

drago sembra prossimo a v<strong>in</strong>cere. Ma poco alla volta la schiera dei seguaci <strong>del</strong><br />

cavaliere si <strong>in</strong>grossa, e quando il popolo vede che la sua salvezza è possibi<strong>le</strong>, tutti<br />

accorrono sotto <strong>le</strong> sue bandiere. E così il drago è ucciso, e il prode cavaliere - che non<br />

era se non il figlio di un fabbro di villaggio - diventa il primo m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong> re» (10).<br />

Non c'è niente che faccia tanta presa sul<strong>le</strong> facoltà immag<strong>in</strong>ative <strong>del</strong>la gente come una<br />

semplificazione <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong> genere di questa, e una personificazione di pr<strong>in</strong>cipî e<br />

forze <strong>in</strong> guerra tra di loro per contendersi il dest<strong>in</strong>o di una nazione e, forse, <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>tero<br />

genere umano. Si creano <strong>in</strong> tal modo dei miti che né <strong>le</strong> fatiche degli storici, né l'analisi<br />

di prove documentarie riusciranno mai a distruggere. Tuttavia, vediamo <strong>in</strong> che modo<br />

la Camicia Nera operò per condurre a morte il Drago Rosso.<br />

In un paes<strong>in</strong>o due camicie nere entrarono nei locali dove sono riuniti c<strong>in</strong>quanta<br />

operai; spianano contro di essi <strong>le</strong> rivoltel<strong>le</strong> gridando 'mani <strong>in</strong> alto,' e qu<strong>in</strong>di ord<strong>in</strong>ano<br />

che si alz<strong>in</strong>o <strong>in</strong> piedi e lasc<strong>in</strong>o i locali due alla volta. Mentre gli operai eseguiscono<br />

quanto è stato loro ord<strong>in</strong>ato, i fascisti, che sono appostati all'<strong>in</strong>gresso, si buttano su di<br />

loro e li bastonano. I c<strong>in</strong>quanta operai non oppongono resistenza alcuna. Da una<br />

parte due eroi, dall'altra c<strong>in</strong>quanta vigliacchi. La faccenda non è affatto così semplice.<br />

I c<strong>in</strong>quanta vigliacchi, che obbediscono al<strong>le</strong> <strong>in</strong>timazioni dei due eroi, sono disarmati, e<br />

i due eroi lo sanno bene, dato che <strong>in</strong> precedenza gli operai hanno subito perquisizioni<br />

<strong>del</strong>la polizia, e portare <strong>del</strong><strong>le</strong> armi significherebbe esser passibili di arresto. Inoltre i<br />

c<strong>in</strong>quanta vigliacchi sanno bene che se essi fanno obiezioni e disobbediscono, i due<br />

eroi non esiteranno a sparare. I c<strong>in</strong>quanta vigliacchi sanno per aggiunta che il rumore<br />

di spari farebbe giungere sul luogo la polizia, la qua<strong>le</strong> procederebbe all'arresto non


degli eroi armati, ma dei vigliacchi disarmati. E ciò che più di tutto conta, i c<strong>in</strong>quanta<br />

vigliacchi sanno che se per caso una camicia nera rimane uccisa <strong>in</strong> un conflitto, il<br />

direttorio fascista <strong>del</strong>la zona ne sarà subito <strong>in</strong>formato te<strong>le</strong>fonicamente; poche ore più<br />

tardi cent<strong>in</strong>aia di fascisti convocati per te<strong>le</strong>fono, dal<strong>le</strong> località circostanti arriveranno<br />

<strong>in</strong> camion sul posto, saccheggeranno <strong>le</strong> loro case e quel<strong>le</strong> dei loro vic<strong>in</strong>i, bruceranno i<br />

loro arredi, bastoneranno <strong>in</strong>discrim<strong>in</strong>atamente vecchi donne e bamb<strong>in</strong>i; e questa volta<br />

la polizia non si farà vedere s<strong>in</strong>o a cose fatte, e anche allora arresterà sotto l'accusa<br />

di omicidio gli uom<strong>in</strong>i che hanno agito per <strong>le</strong>gittima difesa. Questa è la realtà <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

cose. Davanti a ta<strong>le</strong> quadro tutti dovranno riconoscere che tra i due uom<strong>in</strong>i armati e i<br />

c<strong>in</strong>quanta uom<strong>in</strong>i disarmati non ci sono né eroi né vigliacchi: ci sono soltanto due<br />

<strong>del</strong><strong>in</strong>quenti.<br />

Non è assolutamente mia <strong>in</strong>tenzione capovolgere la <strong>le</strong>ggenda fascista <strong>in</strong> modo da far<br />

apparire i fascisti come tutti vigliacchi. Senza dubbio tra di loro vi furono uom<strong>in</strong>i di<br />

coraggio, specialmente tra i più giovani, uom<strong>in</strong>i pronti a dare la vita per il loro idea<strong>le</strong>.<br />

Nel 1919 e 1920, e nei primi <strong>del</strong> 1921, cioè prima che <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni socialiste e<br />

popolari venissero comp<strong>le</strong>tamente devastate e smantellate, chi era fascista doveva<br />

possedere una non comune dose di coraggio. Doveva prepararsi a essere impopolare.<br />

Correva il rischio di venir ferito o ucciso; un rischio non così grave come vorrebbe<br />

farci credere la 'propaganda' fascista, ma un rischio abbastanza rea<strong>le</strong> da raffreddare<br />

gli ardori di un uomo comune. L'anarchico Luigi Fabbri, che ho già citato, così scriveva<br />

nell'estate <strong>del</strong> 1921:<br />

«Né gli aiuti morali, materiali e f<strong>in</strong>anziari <strong>del</strong> capitalismo <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong> e terriero, né la<br />

complicità <strong>del</strong>la forza pubblica, né l'adesione di tutti i sup<strong>in</strong>i adoratori <strong>del</strong> successo<br />

avrebbe bastato a far forte il <strong>fascismo</strong>; anzi tutti cotesti coefficienti sarebbero<br />

mancati, se non vi fosse stato all'<strong>in</strong>izio un nuc<strong>le</strong>o di persone dotate di forza di volontà<br />

e di spirito di sacrificio che a proprio rischio avessero per primi spezzato il ghiaccio<br />

<strong>del</strong>la <strong>in</strong>differenza degli amici e <strong>del</strong>la osti<strong>le</strong> noncuranza nemica; se - odio od amor che<br />

fosse - una forza mora<strong>le</strong> <strong>in</strong>teriore non li avesse scaraventati nella mischia noncuranti<br />

anche <strong>del</strong>la vita. Ed alcuni vi hanno trovata la morte. Questi pochi, animatori dei<br />

molti, misero <strong>in</strong> movimento tutto l'<strong>in</strong>sieme che ora appare così forte; e furono i più<br />

oscuri» (11).<br />

Siamo pers<strong>in</strong>o pronti ad ammettere ché la reazione 'antibolscevica' era natura<strong>le</strong>, e<br />

che avrebbe potuto essere uti<strong>le</strong> agli stessi operai e contad<strong>in</strong>i. Per due anni essi non si<br />

erano trovati di fronte altro che la paura e la vigliaccheria <strong>del</strong><strong>le</strong> classi abbienti, e<br />

avevano perduto ogni senso <strong>del</strong>la misura. Erano diventati come bamb<strong>in</strong>i viziati, e i<br />

loro stessi capi non erano spesso capaci di controllarli. Una resistenza viri<strong>le</strong> da parte<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> forze conservatrici li avrebbe costretti a considerare con maggiore equilibrio <strong>le</strong><br />

loro capacità e <strong>le</strong> loro responsabilità.<br />

Foraggiando i fascisti, gli <strong>in</strong>dustriali, i proprietari terrieri e i banchieri non compivano<br />

nessuna azione che esorbitasse dai loro diritti. Il capita<strong>le</strong>, come il lavoro, è una forza<br />

socia<strong>le</strong>, ed era natura<strong>le</strong> che i capitalisti fornissero fondi al<strong>le</strong> loro 'guardie bianche,'<br />

così come gli operai e i contad<strong>in</strong>i contribuivano a mantenere i loro propagandisti e i<br />

loro <strong>org</strong>anizzatori.<br />

Pers<strong>in</strong>o gli atti di vio<strong>le</strong>nza commessi dai fascisti nei primissimi mesi <strong>del</strong>la loro<br />

controffensiva possono considerarsi con una certa <strong>in</strong>dulgenza. Dato che polizia e<br />

magistratura erano impotenti nella difesa dei privati cittad<strong>in</strong>i contro la forza<br />

preponderante dei s<strong>in</strong>dacati e <strong>del</strong> loro arbitrio, era ben giustificato che tali cittad<strong>in</strong>i<br />

cercassero di difendersi per mezzo di metodi il<strong>le</strong>gali.<br />

Ma quando si sia riconosciuto tutto questo rimane il fatto che, specialmente a partire<br />

dai primi <strong>del</strong> 1921, parlare di un fascista ucciso o ferito nel corso <strong>del</strong>la guerra civi<strong>le</strong><br />

come di un 'eroe' o di un 'martire,' nella maggioranza dei casi è tanto assurdo quanto


usare questi term<strong>in</strong>i per un bandito, che rimanga <strong>in</strong>aspettatamente ucciso da una<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> sue supposte vittime. Senza dubbio per fare il bandito ci vuo<strong>le</strong> <strong>del</strong> coraggio, ma<br />

ta<strong>le</strong> coraggio non va confuso con l'eroismo. La verità è che sia da una parte che<br />

dall'altra vi furono aggressori e aggrediti, assass<strong>in</strong>i e vittime, imboscate ed assalti su<br />

terreno aperto, atti di coraggio e di tradimento; ma i fascisti, sostenuti<br />

economicamente da <strong>in</strong>dustriali, proprietari terrieri e commercianti, e politicamente da<br />

polizia, magistratura e autorità militari, godettero di una forza schiacciante.<br />

Per chiarire questo punto, consideriamo un autentico episodio di questa terribi<strong>le</strong><br />

guerra civi<strong>le</strong>, che, secondo <strong>le</strong> paro<strong>le</strong> <strong>del</strong> Dr. Nicholas Murray But<strong>le</strong>r, presidente <strong>del</strong>la<br />

Columbia University, è stata def<strong>in</strong>ita 'una rivoluzione si<strong>le</strong>nziosa e senza spargimenti di<br />

sangue' (12).<br />

A Foiano <strong>del</strong>la Chiana, come <strong>in</strong> molti altri comuni, <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni amm<strong>in</strong>istrative erano<br />

state v<strong>in</strong>te dai socialisti. Ai primi di apri<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1921, il s<strong>in</strong>daco socialista ricevette una<br />

<strong>le</strong>ttera dal marchese Perrone Compagni, segretario politico dei Fasci <strong>del</strong>la Toscana,<br />

con la qua<strong>le</strong> si <strong>in</strong>vitava il s<strong>in</strong>daco e i consiglieri comunali a dimettersi entro la f<strong>in</strong>e<br />

<strong>del</strong>la settimana, se non vo<strong>le</strong>vano esporre se stessi e <strong>le</strong> loro famiglie al<strong>le</strong> rappresaglie<br />

fasciste (13). Il s<strong>in</strong>daco e i consiglieri non obbedirono.<br />

Il 12 apri<strong>le</strong> 1921, più di duecento fascisti, arrivati <strong>in</strong> camion da Arezzo, Firenze e altre<br />

località poste lungo la strada, si concentrarono per fare una 'spedizione di<br />

propaganda' nel paese; il che significa che saccheggiarono il municipio, la Camera <strong>del</strong><br />

lavoro e i locali <strong>del</strong>la <strong>le</strong>ga contad<strong>in</strong>i, gettando i mobili nella strada e appiccando loro il<br />

fuoco. Poi si impadronirono dei locali <strong>del</strong>la cooperativa distribuendone <strong>le</strong> merci a chi<br />

capitava e bruciando quanto era rimasto. Il 17 apri<strong>le</strong> si preparò una seconda<br />

'spedizione di propaganda.' Questa volta c'erano appena venti fascisti <strong>in</strong> un solo<br />

camion. Dopo avere sequestrato la bandiera rossa che i 'comunisti' di solito<br />

esponevano sul municipio al posto <strong>del</strong>la bandiera naziona<strong>le</strong>, la bruciarono <strong>in</strong>sieme ai<br />

registri <strong>del</strong> circolo socialista, e si apprestarono poi a raggiungere il vic<strong>in</strong>o villaggio di<br />

Marciano per un altro 'giro di propaganda.' Sulla via <strong>del</strong> ritorno, diversi fascisti si<br />

fermarono a Foiano per formarvi il Fascio loca<strong>le</strong>, mentre gli altri procedettero <strong>in</strong><br />

camion verso Arezzo.<br />

Poco fuori di Foiano, un gruppo di circa c<strong>in</strong>quanta contad<strong>in</strong>i, armati di fucili, falci,<br />

accette e pisto<strong>le</strong> erano <strong>in</strong> attesa dietro una siepe. Il camion fu accolto con una scarica<br />

di proiettili. L'autista cadde ferito, e il camion sbandò e andò a sbattere contro un<br />

albero. Mentre i fascisti venivano scaraventati a terra, i contad<strong>in</strong>i <strong>in</strong> agguato saltarono<br />

fuori andandogli contro. L'autista ebbe la testa staccata da un colpo di accetta. Due<br />

fascisti furono uccisi, e un terzo ebbe tre dita mozzate da un colpo di roncola. Gli altri<br />

riuscirono a fuggire.<br />

Al rumore degli spari, i carab<strong>in</strong>ieri, che erano rimasti s<strong>in</strong>o allora <strong>in</strong>attivi, si<br />

risvegliarono precipitandosi fuori <strong>del</strong> paese <strong>in</strong>sieme a quei fascisti che erano rimasti. A<br />

loro volta i contad<strong>in</strong>i, vedendo sopraggiungere i carab<strong>in</strong>ieri, si dettero alla fuga.<br />

Da questo momento com<strong>in</strong>ciarono <strong>le</strong> rappresaglie.<br />

Le case coloniche vic<strong>in</strong>o al luogo dove era avvenuto l'agguato furono <strong>in</strong>cendiate. Un<br />

contad<strong>in</strong>o scoperto <strong>in</strong> una soffitta, ta<strong>le</strong> Burri, fu ucciso con un colpo di pistola alla<br />

testa.<br />

Il giorno dopo <strong>le</strong> rappresaglie cont<strong>in</strong>uarono su più larga scala. C<strong>in</strong>que camions carichi<br />

di fascisti lasciarono Firenze nel<strong>le</strong> prime ore <strong>del</strong> matt<strong>in</strong>o. Altri camions da Arezzo e da<br />

altre città dei d<strong>in</strong>torni concentrarono i fascisti a Foiano. Come al solito, <strong>le</strong> autorità<br />

lasciarono ai fascisti mano libera. I 'comunisti' più <strong>in</strong> vista di Foiano avevano già<br />

abbandonato <strong>le</strong> loro case. I fascisti si dettero a saccheggiare, devastare e <strong>in</strong>cendiare<br />

<strong>le</strong> abitazioni private. Un operaio, C<strong>in</strong>o Milani, che non aveva pensato a scappare, fu<br />

trasc<strong>in</strong>ato <strong>in</strong> mezzo alla piazza: gli fu chiesto di promettere che si sarebbe dimesso<br />

dal partito socialista; rifiutò. Gli fu chiesto di dichiarare che deplorava l'imboscata <strong>del</strong><br />

giorno prima: rifiutò di nuovo. Gli spararono e rimase ucciso. Un contad<strong>in</strong>o, ta<strong>le</strong>


Gherardi, colpevo<strong>le</strong> di essere il fratello di un 'comunista,' fu colpito da uno sparo e<br />

ucciso mentre cercava di fuggire. I fascisti di Arezzo avevano portato con loro a<br />

Foiano come prigioniero un socialista, ex-deputato, Bernard<strong>in</strong>i, direttore <strong>del</strong> giorna<strong>le</strong><br />

socialista di Arezzo. Sotto m<strong>in</strong>accia di morte, il prigioniero fu obbligato a pronunciare<br />

dal balcone di una casa un discorso contro <strong>le</strong> 'vio<strong>le</strong>nze socialiste,' mentre nella strada<br />

di sotto una folla di fascisti schiamazzava e fischiava. Grazie a questo atto di<br />

vigliaccheria, che disonora i suoi carcerieri non meno di lui, gli fu risparmiata la vita.<br />

Quando si furono stancati di tormentare la popolazione di Foiano, i fascisti ritornarono<br />

sul luogo <strong>del</strong>l'agguato <strong>del</strong> giorno prima. Venne ferito gravemente il contad<strong>in</strong>o Caciolli;<br />

due altri contad<strong>in</strong>i, feriti mentre fuggivano, non furono ritrovati; probabilmente <strong>le</strong> loro<br />

ferite non erano gravi ed essi riuscirono a nascondersi. Ma tutto questo non bastava.<br />

Nella notte, verso la una, i fascisti ritornarono sul luogo; saccheggiarono una per una<br />

<strong>le</strong> case coloniche, terrorizzando donne, bamb<strong>in</strong>i e vecchi, e riducendo altre case a un<br />

mucchio di rov<strong>in</strong>e fumanti. Una donna, Luisa Bracciali, che era accusata di aver ferito<br />

un fascista con un forcone durante l'agguato, fu trovata <strong>in</strong> casa e uccisa a<br />

revolverate. Il contad<strong>in</strong>o Nocciol<strong>in</strong>i fu ucciso mentre cercava di scappare. Un altro<br />

contad<strong>in</strong>o, Alfredo Rampi, sentendo dire che i fascisti erano sul<strong>le</strong> sue tracce, si uccise.<br />

Le operazioni cont<strong>in</strong>uarono anche per tutto il giorno dopo, 19 apri<strong>le</strong>. La casa <strong>del</strong><br />

s<strong>in</strong>daco Nucci, che era fuggito, fu <strong>in</strong>vasa e <strong>in</strong>cendiata. Il circolo comunista di Bettol<strong>le</strong><br />

fu saccheggiato e bruciato. Da ultimo i fascisti riunirono <strong>in</strong> modo 'spontaneo' un<br />

gruppo di contad<strong>in</strong>i, ne presero i nomi e dichiararono fondato il Fascio di Foiano. In tal<br />

modo, dopo avere convertito i 'comunisti' di Foiano alla 'fede naziona<strong>le</strong>,' i fascisti,<br />

gloriosi e trionfanti, abbandonarono il teatro <strong>del</strong>la loro vittoria.<br />

Non occorre dire che <strong>le</strong> autorità civili e militari si fecero notare per la loro assenza.<br />

Esse erano occupate a 'scovare i comunisti' che si erano nascosti nella campagna<br />

<strong>in</strong>torno a Foiano. I colpevoli <strong>del</strong>la 'imboscata,' che non furono uccisi durante <strong>le</strong><br />

rappresaglie, furono condannati, quattro a trent'anni di carcere, tre a ventic<strong>in</strong>que<br />

anni, due a vent'anni, sei a dieci anni, e tre a pene dai sette ai dieci anni (14).<br />

Nessuno dei fascisti che presero parte al<strong>le</strong> operazioni descritte ebbe a subire alcunché<br />

di nulla (15).<br />

Ci sono due fatti fondamentali che si devono tenere presenti se si vuo<strong>le</strong> comprendere<br />

la vittoria fascista. Il primo è che il movimento fascista - non il movimento<br />

scarsamente <strong>org</strong>anizzato, ultrarivoluzionario e poco efficiente <strong>del</strong> 1919-20, ma il<br />

movimento antis<strong>in</strong>daca<strong>le</strong>, ben <strong>org</strong>anizzato e <strong>del</strong> tutto efficiente <strong>del</strong> 1921 - com<strong>in</strong>ciò a<br />

svilupparsi proprio mentre nel paese l'agitazione <strong>del</strong> dopoguerra com<strong>in</strong>ciava a venire<br />

meno. Verso la f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1920 il peggio <strong>del</strong>la crisi <strong>del</strong> dopoguerra era passato (16). Via<br />

via che gli effetti <strong>del</strong> contraccolpo <strong>del</strong>la guerra si andavano attenuando, il popolo<br />

italiano si avviava a guarigione dopo la 'nevrastenia <strong>del</strong> dopoguerra.' Ma <strong>le</strong> autorità<br />

militari con l'armare i fascisti, la polizia e la magistratura assicurando loro l'impunità,<br />

impedirono al popolo italiano di ritrovare per processo spontaneo la via <strong>del</strong>la salvezza.<br />

Esso non fu pacificato per mezzo <strong>del</strong>la ragione; esso fu sottoposto al ferro e al fuoco.<br />

Il <strong>fascismo</strong> non significò affatto la medic<strong>in</strong>a contro la malattia bolscevica; esso fu una<br />

nuova ed ancor più terrificante malattia - la guerra civi<strong>le</strong> - che si sostituì alla<br />

esaltazione rivoluzionaria, quando questa volgeva già al tramonto; o era piuttosto una<br />

fase nuova ed ancor più terrificante di quella stessa malattia di cui, più o meno,<br />

soffrivano tutti i paesi: la nevrastenia <strong>del</strong> dopoguerra.<br />

Il secondo fatto è anche più essenzia<strong>le</strong> per spiegare la vittoria fascista. Le autorità<br />

militari, la polizia e la magistratura non <strong>in</strong>terferirono mai nel<strong>le</strong> attività fasciste, ma <strong>le</strong><br />

aiutarono e <strong>le</strong> favorirono. Se non si considera ta<strong>le</strong> circostanza, la vittoria fascista<br />

appare un ta<strong>le</strong> mistero, degno di diventare oggetto di un racconto <strong>del</strong> mistero, più che<br />

di un libro di storia. Ogni volta che viene sol<strong>le</strong>vata la questione se un movimento<br />

fascista sarebbe possibi<strong>le</strong> o desiderabi<strong>le</strong> <strong>in</strong> altri paesi, si cont<strong>in</strong>ua a confondere il<br />

<strong>fascismo</strong> con un movimento conservatore. Perché un movimento conservatore diventi


un movimento fascista occorrono due condizioni. In primo luogo che i conservatori si<br />

mettano sulla via <strong>del</strong>la il<strong>le</strong>galità e <strong>del</strong>lo spargimento di sangue. In secondo luogo,<br />

dovrebbero poter trovare un numero sufficiente di alte autorità militari, di esponenti<br />

<strong>del</strong>la polizia e <strong>del</strong>la magistratura, che abbian <strong>del</strong> tutto perduto il senso <strong>del</strong> diritto e<br />

<strong>del</strong>l'onore, e siano disposti ad impiegare <strong>in</strong> favore <strong>del</strong><strong>le</strong> classi agiate contro <strong>le</strong> classi<br />

lavoratrici quella potestà imparzia<strong>le</strong> che la <strong>le</strong>gge ha affidato loro. S<strong>in</strong>ché non esistano<br />

queste due condizioni, parlare di <strong>fascismo</strong> per qualsiasi movimento conservatore è<br />

cosa priva di senso.<br />

Quando ci si domanda che cosa avrebbero potuto fare, nella prima metà <strong>del</strong> 1921,<br />

socialisti di destra, massimalisti, comunisti e anarchici per resistere all'impeto<br />

fascista, bisogna tenere <strong>in</strong> conto il fatto che tutte <strong>le</strong> vie <strong>le</strong>gali per ottenere giustizia<br />

erano bloccate dal comportamento proditorio <strong>del</strong>la polizia, <strong>del</strong>la magistratura e <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

autorità militari. Mentre i massimalisti, i comunisti e gli anarchici rimanevano <strong>in</strong> attesa<br />

che il loro 'pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario' si prendesse la riv<strong>in</strong>cita, i socialisti di destra<br />

esigevano che il governo imponesse di fronte a tutti il rispetto <strong>del</strong>la <strong>le</strong>gge. Ma,<br />

<strong>in</strong>sieme ai massimalisti, essi appartenevano a un partito il cui esecutivo naziona<strong>le</strong><br />

<strong>in</strong>vocava, anche se soltanto a paro<strong>le</strong>, la rivoluzione socia<strong>le</strong>, e considerava come<br />

nemico qualsiasi governo 'b<strong>org</strong>hese,' anche se imponeva di fronte a tutti il rispetto<br />

<strong>del</strong>la <strong>le</strong>gge. Se un m<strong>in</strong>istro degli Interni avesse fatto quanto chiedevano i socialisti di<br />

destra, si sarebbe trovato tra due fuochi: da una parte i reazionari, dall'altra i<br />

socialisti. F<strong>in</strong>tanto che non rompeva i ponti con i massimalisti, i socialisti di destra non<br />

contavano niente nel giuoco parlamentare di dare e avere.<br />

Non rimaneva nessun'altra strada che quella di opporsi con la forza alla forza. Gli<br />

anarchici seguivano ta<strong>le</strong> l<strong>in</strong>ea di condotta e gettavano bombe. Ta<strong>le</strong> metodo si<br />

dimostrò comp<strong>le</strong>tamente rov<strong>in</strong>oso. Rimanevano uccise o ferite persone <strong>del</strong> pubblico<br />

che non c'entravano affatto, e qualche volta donne e bamb<strong>in</strong>i. Tali fatti sol<strong>le</strong>vavano<br />

una genera<strong>le</strong> <strong>in</strong>dignazione. I fascisti, dal canto loro, applicavano feroci azioni di<br />

rappresaglia contro persone che non avevano la m<strong>in</strong>ima responsabilità degli attentati,<br />

e <strong>in</strong> tal modo diventava sempre più acuto il senso di terrore che paralizzava i<br />

lavoratori. Due esperienze avrebbero dovuto aprire gli occhi a tutti.<br />

A Firenze (17), la matt<strong>in</strong>a <strong>del</strong>la domenica 27 febbraio 1921, un gruppo di circa 100<br />

studenti, maschi e femm<strong>in</strong>e, <strong>del</strong>l'università e <strong>del</strong><strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> medie, stava attraversando<br />

alcune strade cittad<strong>in</strong>e, affiancato da circa sessanta carab<strong>in</strong>ieri, cantando <strong>in</strong>ni<br />

patriottici dopo aver preso parte alla cerimonia di <strong>in</strong>augurazione di una bandiera. In<br />

cima a Via Tornabuoni, due uom<strong>in</strong>i stavano aspettando il passaggio <strong>del</strong> corteo da una<br />

strad<strong>in</strong>a latera<strong>le</strong>. Uno di essi sparò contro il corteo c<strong>in</strong>que o sei revolverate; l'altro<br />

gettò una bomba <strong>in</strong> mezzo al gruppo. Un carab<strong>in</strong>iere rimase ucciso sul colpo, e furono<br />

più o meno gravemente ferite sedici persone, una <strong>del</strong><strong>le</strong> quali, uno studente<br />

universitario, morì alcuni giorni più tardi. La salma <strong>del</strong> carab<strong>in</strong>iere ucciso venne posta<br />

<strong>in</strong> una ambulanza, e condotta all'ospeda<strong>le</strong> <strong>in</strong>sieme agli altri feriti, e al passaggio <strong>del</strong><br />

veicolo veniva chiesto ai passanti di togliersi il cappello. In Piazza <strong>del</strong> Duomo, un<br />

ferroviere, che <strong>del</strong> tutto all'oscuro di quanto era successo camm<strong>in</strong>ava <strong>le</strong>ggendo un<br />

giorna<strong>le</strong> e non si era qu<strong>in</strong>di <strong>le</strong>vato il cappello, fu ucciso con un colpo di moschetto da<br />

uno dei carab<strong>in</strong>ieri di scorta alla salma <strong>del</strong> compagno, e che si trovava '<strong>in</strong> uno stato di<br />

grande eccitazione' (18).<br />

Poco tempo dopo questi episodi imprevisti, entrarono <strong>in</strong> scena i fascisti, mentre<br />

autobl<strong>in</strong>de, carab<strong>in</strong>ieri, guardie regie, soldati pattugliavano <strong>le</strong> strade e occupavano la<br />

Camera <strong>del</strong> lavoro per impedire ogni riunione di lavoratori. Nel pomeriggio, una<br />

squadra di fascisti si presentò alla sede <strong>del</strong>la associazione comunista <strong>in</strong>validi di<br />

guerra, dove si trovava soltanto il segretario <strong>del</strong>l'associazione, Spartaco Lavagn<strong>in</strong>i,<br />

ferroviere comunista e consigliere comuna<strong>le</strong>. I componenti <strong>del</strong>la squadra rimasero <strong>in</strong><br />

parte appostati nella strada, mentre quattro di loro entravano dentro, sparavano<br />

contro il Lavagn<strong>in</strong>i e lo uccidevano. Qu<strong>in</strong>di si davano al saccheggio dei locali stessi,


senza il m<strong>in</strong>imo <strong>in</strong>tervento da parte <strong>del</strong>la polizia, la cui azione si limitava ad arrestare<br />

<strong>in</strong> massa i 'rivoluzionari.'<br />

Per protesta contro l'uccisione di Lavagn<strong>in</strong>i e contro <strong>le</strong> autorità, che sistematicamente<br />

lasciavano impuniti <strong>del</strong>itti di questo genere, la sera stessa i ferrovieri proclamavano lo<br />

sciopero immediato <strong>in</strong> tutto il compartimento. Tranvieri, tipografi dei giornali cittad<strong>in</strong>i<br />

e dipendenti <strong>del</strong>la società e<strong>le</strong>ttrica seguirono il loro esempio. Al centro e alla periferia<br />

si ebbero numerosi conflitti tra fascisti e operai, e durante la notte furono tagliati i fili<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> l<strong>in</strong>ee te<strong>le</strong>foniche e te<strong>le</strong>grafiche.<br />

Il lunedì 28 febbraio, lo sciopero si estese a tutte <strong>le</strong> categorie di lavoratori. Da parte<br />

loro, i fascisti emisero un proclama, <strong>in</strong> cui si <strong>in</strong>vitava la popolazione a <strong>in</strong>s<strong>org</strong>ere contro<br />

il terrore rosso. Il prefetto proibì tutte <strong>le</strong> riunioni e i cortei, e perf<strong>in</strong>o la circolazione di<br />

autoveicoli; ma <strong>in</strong> realtà i fascisti ebbero la più assoluta mano libera per dare la<br />

caccia nel<strong>le</strong> strade agli operai, e specialmente ai ferrovieri.<br />

La loro prima offensiva contro il popolare quartiere di S. Frediano fu un fiasco. I<br />

lavoratori e <strong>le</strong> loro donne avevano messo a soqquadro il selciato <strong>del</strong><strong>le</strong> strade ed eretto<br />

barricate per impedire l'<strong>in</strong>gresso degli autocarri armati. Contro chiunque tentava di<br />

entrare <strong>in</strong> quel dedalo di strade, si sparava, si gettavan tegoli e arredi dal<strong>le</strong> f<strong>in</strong>estre<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> case. Nel pomeriggio, i fascisti fecero ritorno accompagnati da un pattuglione di<br />

guardie regie, da un battaglione di fanteria, da numerosi carab<strong>in</strong>ieri e da due<br />

autobl<strong>in</strong>de. Tutte <strong>le</strong> vie di uscita <strong>del</strong> quartiere furono bloccate. Le autobl<strong>in</strong>de si<br />

aprirono a forza un valico tra <strong>le</strong> barricate stradali, sparando contro <strong>le</strong> f<strong>in</strong>estre e<br />

costr<strong>in</strong>gendo la popolazione a r<strong>in</strong>chiudersi nel<strong>le</strong> case. V<strong>in</strong>ta la resistenza strada per<br />

strada, i fascisti e la polizia <strong>in</strong>vasero <strong>le</strong> case, e dettero sfogo alla loro furia. Cent<strong>in</strong>aia<br />

di uom<strong>in</strong>i e di donne a caso furono feriti. Il resoconto ufficia<strong>le</strong> parla di tre operai uccisi<br />

e di c<strong>in</strong>quanta feriti.<br />

Qua e là, <strong>in</strong> altre parti <strong>del</strong>la città, si ebbero numerosi altri scontri isolati.<br />

«All'imboccatura di Via Lamarmora - scrive il corrispondente filofascista <strong>del</strong> "Corriere<br />

<strong>del</strong>la Sera" il 1 marzo 1921 - (un gruppo di fascisti) furono fischiati da alcuni <strong>in</strong>dividui<br />

che, allorquando i fascisti fecero dietro front, si diedero alla fuga, verso Piazza<br />

Cavour. Parve ai fascisti che uno di essi si fosse rifugiato nella bottega di certo<br />

Angelico Bon<strong>in</strong>i, detto Angiol<strong>in</strong>o. Vi entrarono, e spararono colpi di rivoltella, ferendo<br />

gravemente il Bon<strong>in</strong>i stesso. Certo Donatello Sanesi, di anni 33, (...) che atterrito<br />

dagli spari correva sotto il loggiato <strong>del</strong>la piazza, fu colpito da un proietti<strong>le</strong> che l'uccise<br />

sull'istante.»<br />

Verso sera, un ragazzo di sedici anni, Giovanni Berta, figlio di un noto <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong>, e<br />

che 'portava all'occhiello il dist<strong>in</strong>tivo dei fascisti' (19), cercò di passare <strong>in</strong> bicic<strong>le</strong>tta <strong>in</strong><br />

mezzo a un gruppo di operai riuniti <strong>in</strong> un ponte sull'Arno (20). Questi, <strong>in</strong>furiati di<br />

quanto accadeva <strong>in</strong> quei giorni, irritati dal dist<strong>in</strong>tivo fascista e credendo che il ragazzo<br />

fosse un ciclista <strong>in</strong> servizio per il Fascio, lo circondarono, e dopo averlo ferito a<br />

pugnalate lo gettarono nel fiume. In un quartiere periferico una guardia regia,<br />

durante la notte, fu brutalmente uccisa da un gruppo di persone.<br />

Lo sciopero cont<strong>in</strong>uò s<strong>in</strong>o al giorno dopo, 1 marzo. Le operazioni di polizia, dal<br />

quartiere di S. Frediano, furono spostate ad un altro quartiere popolare, S. Croce. Nel<br />

pomeriggio, una squadra di fascisti devastò i locali <strong>del</strong>la Camera <strong>del</strong> lavoro, lasciati<br />

alla loro mercé dalla polizia, che li aveva occupati nei due giorni precedenti. Un'altra<br />

squadra <strong>in</strong>vadeva e saccheggiava la sede <strong>del</strong> s<strong>in</strong>dacato metallurgici. Alla periferia, con<br />

il concorso <strong>del</strong>l'artiglieria, la polizia stroncava ogni segno di protesta e di rivolta,<br />

mentre ovunque i fascisti cont<strong>in</strong>uavano la loro opera di devastazione e di <strong>in</strong>cendio<br />

contro <strong>le</strong> sedi <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni operaie. Verso il pomeriggio una certa calma fu<br />

ristabilita a Firenze.


Secondo un resoconto ufficia<strong>le</strong>, i morti, durante quei giorni, furono sedici, i feriti 100.<br />

Tra i morti vi erano due fascisti e quattro appartenenti ai corpi di polizia. Il numero<br />

effettivo di morti e feriti di parte operaia, probabilmente, fu molto più alto di quanto<br />

non appaia nel resoconto ufficia<strong>le</strong>.<br />

Lo stesso pomeriggio <strong>del</strong> 1 marzo, a un'ora di treno da Firenze, avvenne uno<br />

spaventoso eccidio. Il governo aveva <strong>in</strong>viato da Livorno a Firenze due camions con 45<br />

mar<strong>in</strong>ai e 14 carab<strong>in</strong>ieri per sostituire gli scioperanti. Per non essere notati lungo la<br />

strada, i mar<strong>in</strong>ai non erano <strong>in</strong> divisa. Ma i camions furono notati da un ta<strong>le</strong>, che<br />

credendo trasportassero fascisti e carab<strong>in</strong>ieri, te<strong>le</strong>fonò a Empoli, dicendo che era per<br />

la strada una 'spedizione punitiva.' Dato che i fascisti di Firenze, Livorno e Pisa<br />

avevano più di una volta m<strong>in</strong>acciato una spedizione punitiva contro la Camera <strong>del</strong><br />

lavoro di Empoli, questa notizia provocò un grande assembramento di folla già<br />

eccitata dal<strong>le</strong> notizie di Firenze (21). Appena i due camions giunsero nella piazza <strong>del</strong><br />

mercato, furono circondati da tutte <strong>le</strong> parti: nove uom<strong>in</strong>i furono uccisi e dieci feriti più<br />

o meno gravemente. Diverse salme furono gettate nel fiume.<br />

Nei giorni seguenti, sia la città che i d<strong>in</strong>torni di Empoli furono oggetto di atroci<br />

rappresaglie. I fascisti convennero a Empoli da tutta la prov<strong>in</strong>cia, devastarono la<br />

Camera <strong>del</strong> lavoro e molti negozi, mentre la polizia arrestava 218 persone. Tre<br />

camions di fascisti, seguiti da un'autobl<strong>in</strong>da, scorrazzarono per tutta la zona,<br />

devastando <strong>le</strong> sedi s<strong>in</strong>dacali e <strong>le</strong> abitazioni dei socialisti conosciuti. Ogniqualvolta<br />

veniva <strong>in</strong>contrata resistenza, <strong>in</strong>terveniva l'autobl<strong>in</strong>da. A Siena, fascisti e polizia<br />

attaccarono la Camera <strong>del</strong> lavoro. Per un'ora i lavoratori opposero resistenza, ma<br />

quando entrò <strong>in</strong> azione l'artiglieria sparando otto granate contro la porta d'<strong>in</strong>gresso,<br />

gli assediati si arresero. Tra essi, dieci avevano riportato ferite più o meno gravi, che<br />

<strong>in</strong> due casi furono mortali. La Camera <strong>del</strong> lavoro fu devastata e data al<strong>le</strong> fiamme.<br />

A Firenze, il 2 marzo, gli uom<strong>in</strong>i com<strong>in</strong>ciarono pian piano a far ritorno al lavoro. A<br />

Scandicci, un paes<strong>in</strong>o dei d<strong>in</strong>torni, i contad<strong>in</strong>i attaccarono un camion di carab<strong>in</strong>ieri<br />

lanciando <strong>del</strong><strong>le</strong> bombe, e barricarono il ponte all'<strong>in</strong>gresso <strong>del</strong> paese. Una colonna di<br />

artigliera con mezzi corazzati e pezzi da campagna soffocò la rivolta. Come al solito,<br />

dopo che l'ord<strong>in</strong>e era stato ristabilito, fece il suo arrivo una spedizione punitiva di<br />

fascisti fiorent<strong>in</strong>i, distruggendo <strong>le</strong> sedi <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni operaie <strong>del</strong> paese.<br />

«Questa sera - scrive il corrispondente <strong>del</strong> "Corriere <strong>del</strong>la Sera", la notte <strong>del</strong> 2 marzo<br />

1921 - verso <strong>le</strong> 18 <strong>le</strong> vie pr<strong>in</strong>cipali di Firenze sono state attraversate da alcuni pezzi<br />

<strong>del</strong>l'artiglieria che aveva operato a Scandicci. Fra gli applausi <strong>del</strong>la cittad<strong>in</strong>anza si è<br />

qu<strong>in</strong>di formato un corteo importantissimo di cui facevano parte tre "camions" carichi<br />

di bersaglieri, soldati di fanteria e fascisti reduci da Scandicci. Tutti cantavano <strong>in</strong>ni<br />

patriottici e sventolavano grandi bandiere tricolori, mentre dal<strong>le</strong> f<strong>in</strong>estre si gettavano<br />

sul corteo fiori. I soldati e i fascisti portavano come trofei bandiere rosse e altri<br />

emb<strong>le</strong>mi sovversivi asportati dalla sede <strong>del</strong>la Società di mutuo soccorso di Scandicci.<br />

La dimostrazione, che non è stata turbata da alcun <strong>in</strong>cidente, si è sciolta<br />

all'Associazione dei combattenti.»<br />

Coloro ritenuti colpevoli di aver gettato <strong>le</strong> bombe e di altre vio<strong>le</strong>nze ebbero condanne<br />

severissime; tre furono condannati a trent'anni, due a ventuno, uno a diciassette,<br />

sette a pene varianti da due a dodici anni. Due, che erano riusciti a scappare, furono<br />

condannati all'ergastolo (22). Gli uccisori di Berta furono condannati a pene detentive<br />

varianti da dieci a diciotto anni. Per i fatti di Empoli diciotto persone furono<br />

condannate a pene detentive dai venti ai trenta anni; trentadue a pene dai quattordici<br />

ai diciassette anni; trenta a pene da c<strong>in</strong>que a dodici anni. Condanne analoghe si<br />

ebbero per tutti gli altri reati. Ma nessun fascista fu mai condannato per l'assass<strong>in</strong>io di<br />

Lavagn<strong>in</strong>i, di Bon<strong>in</strong>i, di Sanesi, per <strong>le</strong> distruzioni, <strong>le</strong> rappresaglie,, gli altri<br />

<strong>in</strong>numerevoli atti di vio<strong>le</strong>nza commessi <strong>in</strong> quei giorni.


Poche settimane dopo un altro attentato d<strong>in</strong>amitardo ancor più vi<strong>le</strong> recò conseguenze<br />

ancor più rov<strong>in</strong>ose. Il 17 ottobre erano stati arrestati Malatesta ed altri anarchici, ma<br />

il giorno <strong>del</strong> processo non arrivava mai. Il governo vo<strong>le</strong>va tenerli dentro il più a lungo<br />

possibi<strong>le</strong>, e il pubblico m<strong>in</strong>istero e il giudice istruttore facevano <strong>del</strong> loro meglio per<br />

soddisfare il governo. Per protesta contro questo <strong>in</strong>giusto trattamento, Malatesta e i<br />

suoi amici <strong>in</strong>iziarono uno sciopero <strong>del</strong>la fame. Che il modo come venivano trattati<br />

fosse <strong>in</strong>giusto, era una cosa tanto ovvia che la stampa democratica <strong>in</strong>iziò una<br />

campagna <strong>in</strong> loro favore (23). Alla sera <strong>del</strong> 23 marzo tre anarchici gettavano una<br />

bomba al teatro Diana provocando la morte di venti persone e il ferimento di<br />

duecento, compresi donne e bamb<strong>in</strong>i (23 bis). Contemporaneamente, un gruppo di<br />

altri anarchici avvic<strong>in</strong>atosi all'edificio <strong>del</strong> quotidiano socialista "Avanti!" cercava di<br />

gettarvi contro alcune bombe, per protestare contro l'<strong>in</strong>differenza manifestata dai<br />

socialisti verso il modo come venivano trattati Malatesta e gli altri anarchici che erano<br />

<strong>in</strong> prigione. Mezz'ora dopo i fascisti appiccavano il fuoco ai locali <strong>del</strong> giorna<strong>le</strong><br />

anarchico "Umanità Nuova" distruggendoli, devastavano la sede centra<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Unione<br />

s<strong>in</strong>daca<strong>le</strong> italiana, che era retta da s<strong>in</strong>dacalisti rivoluzionari e anarchici, la casa<br />

<strong>del</strong>l'anarchico Mol<strong>in</strong>ari, e un circolo socialista, che nulla aveva a che fare con gli<br />

anarchici, e cercavano <strong>in</strong>oltre di attaccare con bombe a mano i locali <strong>del</strong>l'"Avanti!",<br />

che per la seconda volta nella stessa notte correvano il rischio di essere devastati,<br />

prima dagli anarchici, poi dai fascisti. Ma questa volta la polizia protesse il giorna<strong>le</strong>.<br />

L'<strong>in</strong>dignazione per la bomba al teatro Diana fu enorme. B<strong>org</strong>hi, che era <strong>in</strong> prigione<br />

<strong>in</strong>sieme a Malatesta, scrive:<br />

«In 24 ore tutta la situazione sembrò capovolta a nostro danno. Ognuno che avesse<br />

speso una parola per noi si sentiva <strong>in</strong> pericolo. Il terrore a Milano toccò lo zenit. La<br />

prudenza e la caccia all'anarchico obbligarono al largo tutti i migliori» (24).<br />

Malatesta e gli altri che erano <strong>in</strong> prigione si resero conto che il movimento di protesta<br />

era fallito, e desistettero dal proseguimento <strong>del</strong> loro sciopero <strong>del</strong>la fame (25). Le<br />

bombe al teatro Diana vennero a partire da questo momento r<strong>in</strong>facciate <strong>in</strong><br />

cont<strong>in</strong>uazione a tutti i 'bolscevichi.'<br />

I massimalisti e i comunisti condannarono la pratica <strong>del</strong> gettare bombe, e reagirono<br />

contro la vio<strong>le</strong>nza fascista proclamando scioperi generali. Gli scioperi non erano<br />

affatto più efficaci <strong>del</strong><strong>le</strong> bombe. Uno sciopero genera<strong>le</strong>, se non significa l'<strong>in</strong>izio di una<br />

concreta <strong>in</strong>surrezione rivoluzionaria, è dest<strong>in</strong>ato a morir di morte natura<strong>le</strong>. Una<br />

<strong>in</strong>surrezione rivoluzionaria non c'era stata nel 1919 e 1920. Era pura follia pensare<br />

che avrebbe potuto aver luogo nel 1921. Quando si verificava uno sciopero genera<strong>le</strong>, i<br />

fascisti, per rappresaglia, moltiplicavano <strong>le</strong> azioni di vio<strong>le</strong>nza contro i dirigenti politici<br />

e s<strong>in</strong>dacali, e dopo uno, due o tre giorni, uno per uno i lavoratori riprendevano il<br />

lavoro, più scoraggiati che mai.<br />

Molte volte, abbandonati a se stessi, i lavoratori venivano a conflitto con i fascisti. Un<br />

certo numero di fascisti - circa 300 nel 1921 e 1922 - caddero <strong>in</strong> scontri aperti o<br />

vittime di imboscate. Ma il risultato di questi scontri erano nuove spedizioni punitive e<br />

nuove rappresaglie. Circa tremila persone persero la vita per mano fascista durante i<br />

due anni di guerra civi<strong>le</strong>.<br />

Forse per mettere f<strong>in</strong>e alla lotta vi sarebbe stato un solo sistema efficace: quello di<br />

opporre al terrorismo fascista una terrorismo metodico e <strong>in</strong>telligente. I fascisti<br />

concentravano la loro vio<strong>le</strong>nza specialmente contro i <strong>le</strong>aders degli <strong>org</strong>anismi locali:<br />

segretari s<strong>in</strong>dacali, dirigenti di cooperative, s<strong>in</strong>daci, consiglieri comunali, direttori di<br />

giorna<strong>le</strong>, e altre persone che godevano di prestigio tra i lavoratori. 'Colpisci il pastore<br />

e il gregge verrà disperso.' Il <strong>del</strong>itto di tenere il paese <strong>in</strong> una terrificante condizione di<br />

guerra civi<strong>le</strong> non trovava punizione, perché coloro che avrebbero avuto il dovere di<br />

punire ne erano i maggiori responsabili. Viceversa <strong>le</strong> vio<strong>le</strong>nze commesse da anarchici,


comunisti, socialisti o popolari venivano immediatamente soffocate senza pietà. I<br />

socialisti avrebbero potuto imitare i fascisti e fare <strong>del</strong><strong>le</strong> rappresaglie non contro i pesci<br />

picc<strong>in</strong>i, che componevano <strong>le</strong> squadre, ma contro i pezzi grossi e contro gli alti<br />

funzionari militari e civili, che erano i soli davvero responsabili <strong>del</strong>l'il<strong>le</strong>galismo fascista:<br />

Mussol<strong>in</strong>i, poi il presidente <strong>del</strong> Consiglio Giolitti, poi il m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Giustizia, e ancora<br />

un paio di generali e un paio di magistrati. Se coloro che erano direttamente<br />

responsabili <strong>del</strong>la guerra civi<strong>le</strong> avessero pagato personalmente, è probabi<strong>le</strong> che i<br />

rimanenti si sarebbero affrettati a dare gli ord<strong>in</strong>i necessari alla polizia e alla<br />

magistratura perché venisse soppresso l'il<strong>le</strong>galismo fascista. Una dozz<strong>in</strong>a di<br />

antifascisti che avessero <strong>in</strong>telligentemente dato la loro vita, avrebbero salvato molte<br />

cent<strong>in</strong>aia di altre vite e avrebbero posto f<strong>in</strong>e alla guerra civi<strong>le</strong>.<br />

In quegli anni ta<strong>le</strong> idea non venne a nessuno <strong>in</strong> Italia. Se fosse venuta <strong>in</strong> mente a<br />

qualcuno, con tutta probabilità sarebbe stata rigettata con orrore. La vittoria arrise a<br />

coloro che non erano ostacolati da scrupoli morali.


CAPITOLO VENTESIMO.<br />

LA CONGIURA MILITARE.<br />

Mentre l''il<strong>le</strong>galismo autorizzato' faceva sì che nel paese scorresse il sangue, Giolitti<br />

scioglieva la Camera, fissava <strong>le</strong> nuove e<strong>le</strong>zioni per il 15 maggio 1921, e rimaneva <strong>in</strong><br />

attesa che <strong>le</strong> squadre fasciste riducessero il numero dei deputati popolari, socialisti e<br />

comunisti. Le e<strong>le</strong>zioni si svolsero <strong>in</strong> un clima di guerra civi<strong>le</strong>. Soltanto nel giorno <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

e<strong>le</strong>zioni vi furono nel<strong>le</strong> diverse parti <strong>del</strong> paese quaranta morti e settanta feriti (1).<br />

Giolitti aveva fatto i conti senza l'oste. Aveva 82 anni, ed era sempre riuscito a<br />

manipolare <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni felicemente. Ma alla sua età non si poteva render conto che<br />

quei metodi che erano stati efficaci col sistema un<strong>in</strong>om<strong>in</strong>a<strong>le</strong>, erano <strong>in</strong>adeguati di<br />

fronte alla proporziona<strong>le</strong>. Con questo nuovo sistema egli doveva fare i conti con<br />

cent<strong>in</strong>aia di migliaia di e<strong>le</strong>ttori, <strong>in</strong> cent<strong>in</strong>aia di città, paesi e villaggi. Egli non sapeva<br />

dove battere per trasformare <strong>le</strong> m<strong>in</strong>oranze <strong>in</strong> maggioranze e viceversa. Le squadre<br />

fasciste potevano sopprimere qualche migliaio di voti da una parte, e rubarne qualche<br />

migliaio da un'altra, ma il grosso <strong>del</strong>la forza avversaria non poteva venir soppresso<br />

così facilmente come si era fatto ai tempi felici <strong>del</strong> sistema un<strong>in</strong>om<strong>in</strong>a<strong>le</strong>. Giolitti<br />

cont<strong>in</strong>uava a ripetere: 'Con questa ma<strong>le</strong>detta proporziona<strong>le</strong> non so come fare.'<br />

D'altra parte, sotto l'imperversare <strong>del</strong>la vio<strong>le</strong>nza fascista, comunisti e socialisti<br />

dimenticarono <strong>le</strong> loro dispute decisi soltanto a contenere la irruenza fascista. Il popolo<br />

italiano non aveva mai capito i motivi di diverbio tra socialisti e comunisti, e ovunque i<br />

voti vennero dati non alla lista di un partito, ma a quei candidati che più<br />

vio<strong>le</strong>ntemente venivano attaccati dai fascisti o che mostravano il maggiore coraggio<br />

nell'opporsi ad essi. Molti cittad<strong>in</strong>i estranei alla vita politica e che nel 1920 erano<br />

disgustati dai socialisti, questa volta votarono la lista socialista per protesta contro i<br />

fascisti, dando il loro voto di preferenza ai socialisti di destra. Anche i popolari furono<br />

favoriti dalla vio<strong>le</strong>nza fascista, di cui erano ugualmente vittime.<br />

Il corpo e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> rimandò alla Camera 122 socialisti e 107 popolari. I comunisti, che<br />

si erano staccati dai socialisti, ottennero soltanto 16 seggi. E questa nel momento era<br />

tutta la loro forza, quando, secondo la 'romantica' storiografia fascista, c'era bisogno<br />

<strong>del</strong>la Camicia Nera che uccidesse il Drago Rosso. In questa nuova Camera la<br />

proporzione tra i diversi gruppi rimase, rispetto alla precedente, quasi <strong>in</strong>variata.<br />

Ma la situazione psicologica era cambiata <strong>in</strong> peggio. I socialisti di destra, che avevano<br />

sempre caldeggiato l'abbandono <strong>del</strong>la tattica di opposizione assoluta, e la<br />

partecipazione al governo con i democratici, adesso non potevano più al<strong>le</strong>arsi con i<br />

'democratici,' f<strong>in</strong>tanto che questi avevano a loro capo Giolitti, che si era servito dei<br />

fascisti per 'fare <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni' con <strong>le</strong> rivoltel<strong>le</strong> e i manganelli. La <strong>in</strong>transigenza <strong>del</strong> 1919,<br />

che nel 1920 com<strong>in</strong>ciava a temperarsi, fu esasperata nel 1921.<br />

Gli stessi popolari, che avrebbero seguito vo<strong>le</strong>ntieri una politica di collaborazione,<br />

erano stati costretti dalla vio<strong>le</strong>nza fascista ad affrontare <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni come oppositori<br />

<strong>del</strong> governo. Ritornarono alla Camera <strong>in</strong><strong>org</strong>ogliti dalla loro vittoria e irati contro<br />

Giolitti, che aveva fatto bastonare dai fascisti i loro e<strong>le</strong>ttori, dopo avere <strong>in</strong>vitato i loro<br />

<strong>le</strong>aders a far parte <strong>del</strong> suo gab<strong>in</strong>etto.<br />

In quell'agglomerato di deputati, che il governo considerava come la sua<br />

maggioranza, che non erano né socialisti, né comunisti, né popolari, vi era un gruppo<br />

di 35 fascisti, giovani e vio<strong>le</strong>nti, che fuori <strong>del</strong>la Camera avevano dietro di sé una<br />

<strong>org</strong>anizzazione armata pronta a qualsiasi eccesso. Giolitti aveva dato fuoco a una<br />

foresta per cuocere un uomo.<br />

Quando nel giugno <strong>del</strong> 1921 si riunì la nuova Camera, i comunisti, i socialisti e i<br />

popolari, irati contro Giolitti per l'ondata di vio<strong>le</strong>nze a cui aveva dato via libera<br />

durante la campagna e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>, e nazionalisti e fascisti, che non perdonavano la pace


che Sforza aveva concluso con la Yugoslavia e la espulsione di D'Annunzio da Fiume,<br />

si misero <strong>in</strong>sieme per rovesciare il governo.<br />

In quel momento, di un pericolo 'bolscevico' <strong>in</strong> Italia non rimaneva neppure l'ombra.<br />

Il 2 luglio 1921, Mussol<strong>in</strong>i scriveva:<br />

«Dire che un pericolo 'bolscevico' esiste ancora <strong>in</strong> Italia significa scambiare per realtà<br />

certe oblique paure. Il bolscevismo è v<strong>in</strong>to. Di più: è stato r<strong>in</strong>negato dai capi e dal<strong>le</strong><br />

masse. L'Italia <strong>del</strong> 1921 è fondamentalmente diversa da quella <strong>del</strong> 1919: lo si è detto<br />

e dimostrato mil<strong>le</strong> volte» (2).<br />

A partire dall'estate <strong>del</strong> 1921, i cosiddetti 'bolscevichi' non erano altro che un esercito<br />

sconfitto, che si difendeva disord<strong>in</strong>atamente senza nessun piano preord<strong>in</strong>ato e senza<br />

la m<strong>in</strong>ima probabilità di successo (3).<br />

Il successore di Giolitti, Bonomi, era stato prima <strong>del</strong>la guerra uno dei più <strong>in</strong>timi amici<br />

di Bissolati. Durante la guerra si era staccato da Bissolati e aveva sostenutola politica<br />

di Sonn<strong>in</strong>o. Nel dicembre <strong>del</strong> 1918, quando Bissolati si dimise dal gab<strong>in</strong>etto Orlando,<br />

Bonomi non lo seguì. Come m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Guerra nel gab<strong>in</strong>etto Giolitti egli aveva<br />

avuto una larga parte di responsabilità nell'attività filofascista <strong>del</strong><strong>le</strong> autorità militari.<br />

Né lui né Giolitti avevano mai pensato di abbattere il regime parlamentare o spazzar<br />

via <strong>in</strong> Italia <strong>le</strong> libertà politiche. Inoltre anche lui aveva creduto che una volta<br />

scomparso il pericolo 'bolscevico' quel<strong>le</strong> forze che esercitavano metodi il<strong>le</strong>gali di<br />

vio<strong>le</strong>nza avrebbero potuto esser rimesse sotto controllo. Le squadre fasciste<br />

avrebbero potuto essere sciolte facilmente, se più che sulla propria forza non<br />

avessero avuto a sostegno altri e<strong>le</strong>menti. Il 21 luglio <strong>del</strong> 1921, a Sarzana, bastarono<br />

sei carab<strong>in</strong>ieri per disperdere 500 fascisti che avevano tentato di far uscire di prigione<br />

alcuni dei loro camerati; tra i fascisti sbandati, venti vennero l<strong>in</strong>ciati <strong>in</strong> modo<br />

selvaggio da turbe di popolo, e molti altri vennero feriti (4).<br />

A differenza di Giolitti, il qua<strong>le</strong> godendo di un grande prestigio persona<strong>le</strong> avrebbe<br />

potuto servirsene sia <strong>in</strong> bene che <strong>in</strong> ma<strong>le</strong> (e se ne servì <strong>in</strong> ma<strong>le</strong>), Bonomi era un<br />

uomo privo di qualsiasi autorità persona<strong>le</strong>, <strong>in</strong>capace sia di far bene che di far ma<strong>le</strong>.<br />

Inoltre egli doveva fare i conti con i capi militari, i quali, s<strong>in</strong>o allora, avevano obbedito<br />

a Giolitti, fornendo ai fascisti ufficiali, armi, munizioni e camions. Ma via via che la<br />

<strong>org</strong>anizzazione fascista si estendeva e si consolidava, i capi militari si resero conto che<br />

nel<strong>le</strong> loro mani ta<strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazione avrebbe potuto servire come arma formidabi<strong>le</strong> per<br />

assicurare alla loro casta una sempre maggiore <strong>in</strong>fluenza. Sotto il governo Bonomi,<br />

essi cessarono di obbedire al governo civi<strong>le</strong> e andarono avanti per conto proprio.<br />

Il card<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la congiura militare era il Duca d'Aosta, cug<strong>in</strong>o <strong>del</strong> Re. Quest'uomo non<br />

era né molto <strong>in</strong>telligente né molto cosciente di sé, ma la moglie, E<strong>le</strong>na di Francia, era<br />

una donna molto sveglia. Si può sospettare che dietro tutti i movimenti di sedizione<br />

militare che hanno avuto luogo dopo la guerra vi sia stata la mano di questa donna.<br />

Essa sperava che il movimento fascista avrebbe condotto alla abdicazione <strong>del</strong> Re e ad<br />

un mutamento di d<strong>in</strong>astia, dal qua<strong>le</strong> suo figlio avrebbe potuto essere favorito. Nel<strong>le</strong><br />

sue vene scorreva il sangue traditore <strong>del</strong>la casa di Orléans. Sarebbe certamente<br />

azzardato attribuire un eccesso di <strong>in</strong>telligenza al Duca d'Aosta, o a sua moglie, o<br />

anche ai generali Diaz, Gandolfo, De Bono e all'ammiraglio Thaon de Revel, come<br />

pure a quegli altri personaggi esaltati che, venendo meno al loro giuramento di<br />

fe<strong>del</strong>tà allo Statuto, presero parte alla congiura militare. Allo stesso modo degli<br />

uom<strong>in</strong>i politici che autorizzando nel 1920 <strong>le</strong> autorità militari ad armare i fascisti non<br />

previdero che sei mesi più tardi <strong>le</strong> autorità militari avrebbero agito di loro propria<br />

<strong>in</strong>iziativa, così i generali che nella seconda metà <strong>del</strong> 1921 com<strong>in</strong>ciarono ad agire per<br />

conto proprio non previdero gli sviluppi <strong>del</strong> 1922 e ancor meno quelli degli anni<br />

seguenti. Per compiere il primo passo <strong>in</strong> un certo genere di azioni <strong>del</strong>ittuose non<br />

occorre una <strong>in</strong>telligenza superiore alla media; ciò che si richiede è soltanto una<br />

mancanza di scrupoli oltre il norma<strong>le</strong>. Al momento di compiere il primo passo tutti gli


altri successivi non sono ancora previsti; ma chi com<strong>in</strong>cia ad agire ma<strong>le</strong> cont<strong>in</strong>ua ad<br />

agire ma<strong>le</strong>, per evitare <strong>le</strong> conseguenze <strong>del</strong> primo fallo. Solo quando la catena di cause<br />

ed effetti è arrivata alla sua conclusione, quegli uom<strong>in</strong>i che quasi alla cieca hanno<br />

seguito <strong>le</strong> cose s<strong>in</strong>o ai loro imprevisti risultati fanno la figura di avere condotto gli<br />

eventi verso la meta prestabilita.<br />

Inoltre non va dimenticato che a partire dal 1910 sullo sfondo <strong>del</strong>la vita italiana ha<br />

sempre agito una cricca di uom<strong>in</strong>i politici nazionalisti, di capitani di <strong>in</strong>dustrie belliche e<br />

di militari. Nel muovere i primi passi nel 1921 e 1922, il Duca d'Aosta e compagni non<br />

avevano bisogno di nessun eccesso di materia grigia: bastava che si lasciassero<br />

consigliare da uom<strong>in</strong>i come Federzoni, Rocco, F<strong>org</strong>es-Davanzati, cioè dai <strong>le</strong>aders <strong>del</strong><br />

movimento nazionalista, che non erano affatto stupidi (5).<br />

La congiura ordita dai capi militari ebbe effetti decisivi sullo sviluppo successivo <strong>del</strong><br />

<strong>fascismo</strong>. Nel 1919 e 1920 il <strong>fascismo</strong> era stato un movimento politico antisocialista<br />

condotto da spostati che appartenevano ai ceti medi, imbevuto di sentimenti<br />

ultrarivoluzionari, e da studenti universitari che ribollivano di eccitazione nazionalista.<br />

Durante la prima metà <strong>del</strong> 1921 era diventato un movimento economico antis<strong>in</strong>daca<strong>le</strong><br />

foraggiato dai capitalisti, dai proprietari terrieri e dal<strong>le</strong> autorità militari. Nella seconda<br />

metà <strong>del</strong> 1921 divenne un movimento antiparlamentare al servizio <strong>del</strong>la 'mano nera'<br />

militare.<br />

Bonomi si dovette rendere conto che non solo non poteva far conto sul<strong>le</strong> autorità<br />

militari, ma che anche la polizia non era più quello strumento obbediente di una volta.<br />

La polizia aveva <strong>le</strong> mani <strong>le</strong>gate perché durante i mesi precedenti aveva aiutato e<br />

favorito troppi <strong>del</strong>itti fascisti. Ogni volta che Bonomi cercava di mettere <strong>in</strong> moto la<br />

polizia contro di loro, i fascisti m<strong>in</strong>acciavano di pubblicare <strong>le</strong> prove che la polizia e lo<br />

stesso Bonomi avevano aiutato e favorito <strong>le</strong> loro azioni. Uno tra i più noti fac<strong>in</strong>orosi<br />

fascisti, Giuseppe Far<strong>in</strong>acci, nell'estate <strong>del</strong> 1921 ricordò a Bonomi che egli nel<strong>le</strong><br />

e<strong>le</strong>zioni <strong>del</strong> maggio 1921 era stato il candidato dei fascisti:<br />

«Ricordiamo tra i molti un episodio che lo caratterizza e lo def<strong>in</strong>isce. Eravamo una<br />

sera a Mantova, quando giunse la notizia <strong>del</strong><strong>le</strong> vio<strong>le</strong>nze socialiste a Poggio Rusco; fu<br />

Bonomi - m<strong>in</strong>istro scadente - che mise la automobi<strong>le</strong> m<strong>in</strong>isteria<strong>le</strong> a disposizione dei<br />

fascisti che nella notte stessa dovevano distruggere la cooperativa di quel paese! E<br />

nel<strong>le</strong> giornate meravigliose <strong>del</strong>la lotta e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1921, lo vedemmo marciar sotto i<br />

nostri gagliardetti e assistemmo ai suoi comizi, ben protetto dal<strong>le</strong> balde nostre<br />

camicie nere» (6).<br />

Nell'estate <strong>del</strong> 1921 la nuova fase <strong>del</strong> movimento fascista fu caratterizzata da un<br />

nuovo tipo di operazioni. Seguendo un piano di 'mobilitazione' comb<strong>in</strong>ato <strong>in</strong><br />

precedenza, migliaia di fascisti, talvolta provenienti da località molto distanti e che si<br />

spostavano o <strong>in</strong> camion o <strong>in</strong> treno, di cui non pagavano il biglietto, si concentravano<br />

<strong>in</strong> una città o <strong>in</strong> un paese. Qui la Camera <strong>del</strong> lavoro, <strong>le</strong> sedi <strong>del</strong><strong>le</strong> cooperative, <strong>le</strong><br />

biblioteche popolari, <strong>le</strong> abitazioni private dei 'bolscevichi,' cioè dei comunisti, dei<br />

socialisti di s<strong>in</strong>istra o di destra, e dei popolari, tutto veniva devastato. S<strong>in</strong>daci e<br />

consiglieri comunali venivano costretti a dimettersi sotto m<strong>in</strong>accia di morte. Una volta<br />

dimessisi, sopraggiungeva il prefetto <strong>del</strong>la prov<strong>in</strong>cia il qua<strong>le</strong> nom<strong>in</strong>ava ad<br />

amm<strong>in</strong>istrare il municipio 'conquistato' un commissario fascista.<br />

Una <strong>del</strong><strong>le</strong> prime operazioni di questo genere fu la 'conquista' di Roccastrada. Come<br />

Foiano <strong>del</strong>la Chiana anche Roccastrada è un piccolo centro agricolo. Nel<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni<br />

municipali <strong>del</strong> novembre 1920, l'amm<strong>in</strong>istrazione era stata conquistata dai socialisti. Il<br />

6 apri<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1921, il s<strong>in</strong>daco ricevette la seguente <strong>le</strong>ttera:<br />

«Fasci italiani di combattimento <strong>del</strong>la Toscana.<br />

Il Segretario politico.


Firenze, 6 Apri<strong>le</strong> 1921.<br />

Al s<strong>in</strong>daco <strong>del</strong> Comune di Roccastrada, Prov. di Grosseto. Dato che l'Italia deve essere<br />

degli italiani e non può, qu<strong>in</strong>di, essere amm<strong>in</strong>istrata da <strong>in</strong>dividui come voi, facendomi<br />

<strong>in</strong>terprete dei vostri amm<strong>in</strong>istrati e dei cittad<strong>in</strong>i di qua, vi consiglio a dare, entro<br />

domenica, 17 apri<strong>le</strong>, <strong>le</strong> dimissioni da S<strong>in</strong>daco, assumendovi voi, <strong>in</strong> caso contrario,<br />

ogni responsabilità di cose e di persone. E se ricorrete al<strong>le</strong> autorità per questo mio<br />

pio, genti<strong>le</strong> ed umano consiglio, il term<strong>in</strong>e suddetto vi sarà ridotto a merco<strong>le</strong>dì 13,<br />

cifra che porta fortuna.<br />

Firmato: D<strong>in</strong>o Perrone Compagni» (7).<br />

Il s<strong>in</strong>daco non la prese <strong>in</strong> considerazione. Per un paio di mesi <strong>le</strong> m<strong>in</strong>acce non ebbero<br />

nessun seguito. Ma il 1 luglio 1921, verso <strong>le</strong> quattro <strong>del</strong> pomeriggio arrivarono due<br />

camions di fascisti. Secondo il corrispondente <strong>del</strong> "Corriere <strong>del</strong>la Sera", 26 luglio<br />

1921, la spedizione punitiva 'si limitò ad alcune bastonature e al getto dal<strong>le</strong> f<strong>in</strong>estre<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> masserizie di qualche famiglia di contad<strong>in</strong>i sovversivi.' Il quotidiano socialista<br />

"Avanti!" afferma che i fascisti, urlando e agitando per aria i loro revolvers per<br />

spaventare donne e bamb<strong>in</strong>i - gli uom<strong>in</strong>i erano ancora al lavoro nei campi - dettero<br />

fuoco ai locali <strong>del</strong> circolo dei contad<strong>in</strong>i, <strong>del</strong> s<strong>in</strong>dacato boscaioli, e ai magazz<strong>in</strong>i <strong>del</strong>la<br />

cooperativa. Inoltre essi devastarono la casa <strong>del</strong> s<strong>in</strong>daco e quella <strong>del</strong> segretario di uno<br />

dei s<strong>in</strong>dacati, ripartendosene prima che gli uom<strong>in</strong>i facessero ritorno dai campi.<br />

Pochi giorni dopo il s<strong>in</strong>daco, mentre stava parlando con il prefetto a Grosseto, fu<br />

preso dai fascisti, condotto alla sede <strong>del</strong> Fascio e costretto a firmare una <strong>le</strong>ttera di<br />

dimissioni, promettendo di non far mai più ritorno <strong>in</strong> paese.<br />

Il 24 luglio 1921, verso l'alba, una settant<strong>in</strong>a di fascisti partirono <strong>in</strong> camion da<br />

Grosseto, passando <strong>in</strong>disturbati davanti alla questura. Arrivarono a Roccastrada al<strong>le</strong><br />

4,30. Il paese era ancora addormentato. Dopo aver sparato una fucilata, si misero a<br />

urlare che gli abitanti dovevano esporre la bandiera naziona<strong>le</strong>, fermando i contad<strong>in</strong>i<br />

che uscivano dal<strong>le</strong> case e bastonandoli.<br />

Svegliati di soprassalto, gli abitanti non poterono opporre nessuna resistenza. Vi fu un<br />

fuggi fuggi genera<strong>le</strong>. Diverse case furono devastate e date al<strong>le</strong> fiamme, e l'opera di<br />

vandalismo cont<strong>in</strong>uò per tre ore. Verso <strong>le</strong> otto, i fascisti risalirono sui loro camions<br />

dirigendosi a Sassofort<strong>in</strong>o, dove avevano <strong>in</strong>tenzione di cont<strong>in</strong>uare la loro 'propaganda<br />

naziona<strong>le</strong>.'<br />

Poco fuori il paese, tre contad<strong>in</strong>i, nascosti dietro una siepe, spararono contro i<br />

camions dandosi poi alla fuga. Un fascista rimase ucciso sul colpo. Gli altri, non<br />

essendo riusciti a catturare i fuggiaschi, fecero ritorno al paese.<br />

«Lungo la via - scrive il corrispondente filofascista <strong>del</strong> "Secolo", 26 luglio 1921 -<br />

<strong>in</strong>contrano Tommaso Barta<strong>le</strong>tti di 59 anni e suo figlio Guido di 27 e li uccidono a colpi<br />

di rivoltella. Entrano poscia <strong>in</strong> paese lanciando alte grida: 'Chi ha sparato? Chi ha<br />

sparato?' Penetrano <strong>in</strong> diverse case ed uccidono a colpi di rivoltella e pugnalate<br />

V<strong>in</strong>cenzo Tacconi di 27 anni, Francesco Monecheri di 39 anni, Luigi Nativi di 37 anni<br />

ed Antonio Fabbri di 68 anni che cade morto accanto alla propria figlia la qua<strong>le</strong><br />

assisteva, fol<strong>le</strong> di terrore, alla terribi<strong>le</strong> scena; Angelo Barni di 53 anni, Ezio Checcucci<br />

di 23 anni e Giuseppe Regoli di 62, che vengono colpiti a morte per. <strong>le</strong> vie <strong>del</strong> paese.<br />

Giovanni Gori, anch'egli vecchio di 62 anni, riporta una grave ferita; altri c<strong>in</strong>que sono<br />

feriti più <strong>le</strong>ggermente. (...) Intanto mentre si compie l'eccidio il paese si illum<strong>in</strong>a<br />

s<strong>in</strong>istramente <strong>del</strong><strong>le</strong> fiamme appiccate dai fascisti a 17 case <strong>del</strong><strong>le</strong> quali quattro sono<br />

ridotte ad un mucchio di macerie fumanti.»<br />

I nove uccisi non erano membri di nessuna <strong>org</strong>anizzazione. Soltanto uno era noto<br />

come simpatizzante per gli anarchici. I tredici carab<strong>in</strong>ieri di stanza nel paese se ne<br />

rimasero assolutamente <strong>in</strong>erti, serrati nella loro caserma: si limitarono a te<strong>le</strong>fonare a


Grosseto per <strong>in</strong>formare di quello che stava succedendo. Inuti<strong>le</strong> dire che nessuno dei<br />

fascisti fu arrestato, per quanto il nome <strong>del</strong> loro capo, Castellani, segretario <strong>del</strong> Fascio<br />

per la prov<strong>in</strong>cia di Grosseto, fosse sulla bocca di tutti; mentre furono arrestati e<br />

condannati severamente tre uom<strong>in</strong>i ritenuti colpevoli <strong>del</strong>l'imboscata. Molti altri<br />

abitanti <strong>del</strong> paese furono arrestati senza alcun motivo e trattenuti <strong>in</strong> prigione per non<br />

breve tempo.<br />

Roccastrada è un piccolo paese. Treviso è una città importante. La 'spedizione<br />

punitiva' contro Treviso, il 12 luglio 1921, non era diretta contro i comunisti o i<br />

socialisti, ma contro i popolari, che si erano schierati dalla parte di alcuni lavoratori<br />

contro due proprietari terrieri iscritti alla <strong>org</strong>anizzazione fascista.<br />

«Mil<strong>le</strong>c<strong>in</strong>quecento uom<strong>in</strong>i - scrive il giornalista americano Mowrer - condotti dal<strong>le</strong><br />

località più lontane, quali la Toscana e Trieste, armati di fucili bombe a mano,<br />

mitragliatrici ed elmetti, forniti <strong>in</strong> parte dall'esercito regolare, arrivarono a Treviso la<br />

sera tardi su cento camions preceduti da una automobi<strong>le</strong> bianca. Protetti dal buio,<br />

circondarono <strong>le</strong> mura <strong>del</strong>la città e si <strong>in</strong>oltrarono nel<strong>le</strong> strade. Il loro piano era perfetto,<br />

e loro nemico 'chiunque non fosse fascista.' Per prima cosa i fascisti assaltarono e<br />

saccheggiarono gli uffici <strong>del</strong> quotidiano popolare "Il Piave", poi quelli <strong>del</strong> repubblicano<br />

"Riscossa", dove alcuni difensori furono sopraffatti dopo alcune ore di assedio. L'alba<br />

trovò i fascisti padroni <strong>del</strong>la città, dato che la polizia e i soldati avevano assunto un<br />

atteggiamento di 'neutralità benevola.' E così per alcune ore i fascisti rimasero<br />

padroni <strong>del</strong> campo, devastando alcune case e negozi prima di ritirarsi» (8).<br />

Nel settembre <strong>del</strong> 1921 doveva ce<strong>le</strong>brarsi a Ravenna il sesto centenario <strong>del</strong>la morte di<br />

Dante, e <strong>in</strong> ta<strong>le</strong> occasione la città sarebbe stata piena di stranieri venuti da ogni parte<br />

<strong>del</strong> mondo. Sarebbe stato per tutti i partiti il momento di mettere da parte <strong>le</strong> loro<br />

mesch<strong>in</strong>e rivalità e risparmiare ai visitatori poco edificanti esibizioni di vio<strong>le</strong>nza. Ma il<br />

deputato fasciata di Bologna, D<strong>in</strong>o Grandi, la pensava diversamente, e un mese prima<br />

che si tenessero <strong>le</strong> ce<strong>le</strong>brazioni, propose che per quella data i fascisti effettuassero<br />

una 'marcia su Ravenna.'<br />

«Sembrava - scrisse il filofascista "Resto <strong>del</strong> Carl<strong>in</strong>o", il 13 settembre 1921 - che<br />

l'idea fosse di <strong>in</strong>scenare una grande dimostrazione di tutte quel<strong>le</strong> forze fasciste che si<br />

erano opposte alla pacificazione coi socialisti. I capi avevano <strong>in</strong> mente una marcia<br />

spettacolare di formazioni <strong>in</strong>quadrate con <strong>le</strong> bandiere al vento, che <strong>in</strong>iziando da<br />

Bologna avrebbe proceduto lungo la Via Emilia s<strong>in</strong>o a Imola, piegando poi verso Lugo<br />

prima di arrivare a Ravenna. Così <strong>le</strong> nuove forze <strong>del</strong>l'Italia, marciando <strong>in</strong>colonnate -<br />

come era nel<strong>le</strong> <strong>in</strong>tenzioni di coloro che prepararono il piano - avrebbero attraversato il<br />

territorio classico <strong>del</strong> comunismo e sarebbero state ricevute a braccia aperte nei paesi<br />

e villaggi già repubblicani.»<br />

Il deputato socialista riformista di Ravenna, Bald<strong>in</strong>i, richiamò personalmente<br />

l'attenzione di Bonomi sugli <strong>in</strong>convenienti che sarebbero sorti se si fosse permesso ai<br />

fascisti di concentrarsi su Ravenna. Bonomi dette la sua parola d'onore che la marcia<br />

dei fascisti sulla città sarebbe stata proibita a tutti i costi (9). Evidentemente nel fare<br />

questa promessa era s<strong>in</strong>cero. Inoltre non poteva non vedere la necessità di evitare<br />

uno scandalo <strong>in</strong> una occasione come questa e alla presenza di tanti stranieri.<br />

Ma Bonomi non aveva fatto i conti con il genera<strong>le</strong> Sani, comandante <strong>del</strong> corpo di<br />

armata di Bologna, che comprendeva nella sua giurisdizione anche Ravenna.<br />

Quest'uomo era colui che avrebbe dovuto impedire la 'marcia su Ravenna,' che<br />

generosamente era stata propagandata <strong>in</strong> anticipo (10). Ma il giorno <strong>del</strong>la<br />

ce<strong>le</strong>brazione, mentre i fascisti stavano avanzando sulla città, egli se ne andò <strong>in</strong>vece a<br />

Ravenna a rendere omaggio a Dante. Sani fu notoriamente uno di quei generali che,


negli anni <strong>del</strong>la guerra civi<strong>le</strong>, dettero nella loro zona l'aiuto più attivo ai fascisti,<br />

consegnando loro armi e permettendo agli ufficiali dipendenti di partecipare al<strong>le</strong><br />

spedizioni punitive.<br />

I fascisti avevano qu<strong>in</strong>di via libera per questa <strong>in</strong>audita dimostrazione. Il 9 settembre,<br />

squadre di camicie nere, bandiere al vento, com<strong>in</strong>ciarono a raccogliersi <strong>in</strong>disturbate a<br />

Bologna, arrivando da Rovigo, Reggio, Modena, Carpi, F<strong>in</strong>a<strong>le</strong>, eccetera. Al<strong>le</strong> sei <strong>del</strong><br />

matt<strong>in</strong>o <strong>del</strong> 10 settembre, una colonna di 450 fascisti con <strong>le</strong> trombe <strong>in</strong> testa, si mise<br />

<strong>in</strong> camm<strong>in</strong>o (11). La colonna ebbe la <strong>del</strong>icatezza di evitare Imola, centro socialista, e<br />

passando per Medic<strong>in</strong>a marciò direttamente su Lugo. Contemporaneamente, un'altra<br />

colonna di 500 fascisti partì da Ferrara, <strong>in</strong>camm<strong>in</strong>andosi per Argenta. Le due colonne<br />

si <strong>in</strong>contrarono a Lugo nel pomeriggio <strong>del</strong>l'11 settembre (12). Strada facendo,<br />

naturalmente il loro numero aumentava. Quattro camions di guardie regie seguivano<br />

la marcia! (13) La matt<strong>in</strong>a <strong>del</strong> 12 settembre, 3000 fascisti <strong>in</strong>vasero Ravenna.<br />

I fatti di Ravenna <strong>del</strong> 12 settembre furono narrati dal corrispondente <strong>del</strong> "Giorna<strong>le</strong><br />

d'Italia" il 22 settembre 1921, nel modo seguente (14):<br />

«I fascisti giunsero a Ravenna sul<strong>le</strong> ore 11 <strong>del</strong> giorno 12 e percorsero <strong>le</strong> pr<strong>in</strong>cipali vie<br />

<strong>del</strong>la città, cantando i loro <strong>in</strong>ni, salutati da battimani e da evviva <strong>del</strong>la folla che si<br />

assiepava al loro passaggio. [I fascisti costr<strong>in</strong>sero tutti a scoprirsi mettendo <strong>in</strong> opera i<br />

loro manganelli contro i sordi e i distratti. Tuttavia non ebbe luogo nessun <strong>in</strong>cidente<br />

("sic") degno di. nota.]<br />

Nel pomeriggio, mentre alcuni fascisti stavano seduti <strong>in</strong> un pubblico esercizio sito fuori<br />

Porta Saffi, furono loro rivolte paro<strong>le</strong> poco corrette da un comunista. Costui ad un<br />

tratto esplose un colpo di rivoltella contro gli avversari, colpo che andò a vuoto. I<br />

fascisti r<strong>in</strong>corsero lo sparatore, ma un altro comunista si parò loro d<strong>in</strong>nanzi sparando<br />

un altro colpo di rivoltella contro di essi. Nella confusione che avvenne, i due<br />

comunisti riuscirono ad eclissarsi (15). [La notizia di questo scontro si sparse<br />

rapidamente tra la massa fascista.] I fascisti, divisi <strong>in</strong> forti gruppi, si recarono al<strong>le</strong><br />

sedi dei circoli socialisti dei sobb<strong>org</strong>hi (...) ed alla Camera <strong>del</strong> lavoro, e li devastarono.<br />

Sulla pubblica piazza furono ammucchiati quadri, carte, qualche panca ed il tutto fu<br />

dato al<strong>le</strong> fiamme.<br />

"L'autorità aveva preso lodevolissime misure, <strong>le</strong> truppe erano stazionate qua e là, forti<br />

gruppi di carab<strong>in</strong>ieri e di militi <strong>del</strong>la regia guardia guardavano i punti centrali <strong>del</strong>la<br />

città, camions carichi di agenti <strong>del</strong>la forza pubblica erano pronti nel corti<strong>le</strong> <strong>del</strong> palazzo<br />

prefettizio per accorrere ove vi fosse bisogno: nell'andito <strong>del</strong>lo stesso palazzo stava<br />

un'automitragliatrice", ma l'assalto ai vari circoli socialisti fu così improvviso, così<br />

immediato (!) che non poté essere impedito.. Quattro o c<strong>in</strong>quemila formano un bel<br />

numero... La forza pubblica prudentemente si limitò a <strong>in</strong>tervenire per evitare danni<br />

maggiori; se si fosse imposta sarebbe nato un macello. Si noti che tutte <strong>le</strong> vie <strong>del</strong>la<br />

città e dei sobb<strong>org</strong>hi rigurgitavano di una folla enorme mai vista a Ravenna.<br />

La residenza <strong>del</strong>la Federazione <strong>del</strong><strong>le</strong> cooperative, sita <strong>in</strong> via Mazz<strong>in</strong>i, era guardata da<br />

un buon nerbo di agenti <strong>del</strong>la forza pubblica. Un forte gruppo di fascisti si recò sotto<br />

di essa gridando: 'Fuori la bandiera, fuori i tre colori!' I funzionari di P. S. che colà si<br />

trovavano, assicurarono i dimostranti che la bandiera naziona<strong>le</strong> sarebbe stata<br />

esposta; ma mentre essi parlamentavano con la massa dei fascisti, alcuni di questi,<br />

arrampicatisi come scoiattoli su per <strong>le</strong> <strong>in</strong>ferriate <strong>del</strong><strong>le</strong> f<strong>in</strong>estre - e poco dopo anche per<br />

mezzo di una scala - riuscirono a penetrare <strong>in</strong> quel palazzo e ad esporre la bandiera.<br />

[Registri e fasci di carte furono gettati dal<strong>le</strong> f<strong>in</strong>estre e dati al<strong>le</strong> fiamme.]<br />

Alla sera mentre un camion carico di fascisti passava davanti al Caffè-Caffè (...) da un<br />

giovanotto che trovavasi seduto <strong>in</strong> quell'esercizio, fu lanciato contro il camion stesso,<br />

non si sa bene se un piattello o un bicchiere. Un fascista saltato a terra dal camion,<br />

diede un colpo di bastone all'imprudente giovanotto. Mentre ciò avveniva, dal Caffè-<br />

Caffè partirono alcuni colpi di rivoltella a cui risposero i fascisti, i quali poi, entrati


nell'esercizio, lo devastarono comp<strong>le</strong>tamente fracassando mobili, frantumando<br />

specchi, cristal<strong>le</strong>rie, terraglie, bottiglie di liquore, eccetera [Il giorno dopo <strong>le</strong> autorità<br />

riuscirono a far ripartire i fascisti con dei treni speciali.]»<br />

E' evidente che vi fu la connivenza <strong>del</strong><strong>le</strong> autorità militari con i fascisti, anche se si<br />

accetta la versione dei fatti che attribuisce ai cosiddetti 'comunisti' la responsabilità<br />

<strong>del</strong>la prima provocazione. In casi come questi, prima o poi un colpo di revolver viene<br />

sparato sempre, e sempre una parte cerca di rigettare sull'altra la responsabilità. Ma<br />

la vera responsabilità è di coloro che hanno creato, o hanno permesso che altri<br />

creassero, una situazione ta<strong>le</strong> <strong>in</strong> cui si arriva al colpo di revolver. Permettere che più<br />

di tremila persone armate si concentr<strong>in</strong>o <strong>in</strong> una città, e qu<strong>in</strong>di protestare che non è<br />

possibi<strong>le</strong> <strong>in</strong>tervenire senza dar luogo ad un macello - e questo <strong>in</strong> un paese <strong>in</strong> cui<br />

l'esperienza di tutto un anno aveva mostrato come com<strong>in</strong>c<strong>in</strong>o e come f<strong>in</strong>iscano questi<br />

raduni - che altro era se non un <strong>del</strong>iberato <strong>in</strong>citamento alla vio<strong>le</strong>nza, sapendo<br />

perfettamente <strong>in</strong> anticipo quello che sarebbe accaduto?<br />

Pochi giorni dopo, il 25 settembre, il deputato Di Vagno venne ucciso a Mola di Bari da<br />

una banda di sedici fascisti che lo aggredirono a colpi di revolver poco fuori la città,<br />

mentre <strong>del</strong> tutto <strong>in</strong>erme stava passeggiando con un amico (16). Poco prima Di Vagno<br />

aveva tenuto un discorso ai contad<strong>in</strong>i; non c'erano stati disord<strong>in</strong>i e non si era<br />

verificato nessun atto di vio<strong>le</strong>nza che potesse giustificare una rappresaglia.<br />

L'imboscata fu premeditata e compiuta a sangue freddo. Gli assass<strong>in</strong>i erano conosciuti<br />

da tutti, ma nessuno di loro venne arrestato: si limitarono ad andarsene a stare da<br />

un'altra parte.<br />

Italo Balbo, che nel settembre <strong>del</strong> 1921 guidò la colonna proveniente da Ferrara nella<br />

'marcia su Ravenna,' <strong>in</strong> un discorso a Milano, il 23 apri<strong>le</strong> 1923, disse:<br />

«Fu nel settembre <strong>del</strong> 1921, che lo squadrismo fascista di difesa prese una<br />

regolarissima forma militare. (...) Il 12 settembre, anniversario <strong>del</strong>la marcia di<br />

Ronchi, tremila fascisti <strong>in</strong> camicia nera entravano polverosi <strong>in</strong> Ravenna. (...) Era<br />

quello un piccolo esercito che aveva marciato per tre giorni sul<strong>le</strong> vie polverose. (...) A<br />

Ravenna il 12 settembre <strong>del</strong> '21 <strong>le</strong> prime camicie nere lanciarono lo stesso grido che<br />

s'alzò a Napoli il 24 ottobre <strong>del</strong>l'anno dopo: 'A Roma, a Roma!' (...) L'esperimento era<br />

riuscito comp<strong>le</strong>tamente. Lo squadrismo poteva trasformarsi da fenomeno loca<strong>le</strong> <strong>in</strong><br />

fenomeno naziona<strong>le</strong>» (17).<br />

L'idea di una 'marcia su Roma' proveniva da D'Annunzio, e risaliva alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1919,<br />

quando era a Fiume. A quel tempo Mussol<strong>in</strong>i non pensava che un'impresa <strong>del</strong> genere<br />

avrebbe avuto successo (18). Diciotto mesi più tardi, il 31 maggio <strong>del</strong> 1921, ecco<br />

quanto scriveva sul suo giorna<strong>le</strong>:<br />

«S<strong>in</strong> da questo momento i fascisti di tutto il Lazio, <strong>del</strong>l'Umbria, <strong>del</strong>l'Abruzzo, <strong>del</strong>la<br />

Toscana, <strong>del</strong>la Campania sono moralmente impegnati a concentrarsi a Roma al primo<br />

appello che sarà lanciato dagli <strong>org</strong>ani direttivi <strong>del</strong> nostro movimento» (19).<br />

Quello che fu poi il colpo di stato <strong>del</strong>l'ottobre 1922, orig<strong>in</strong>ariamente era stato fissato<br />

per il novembre <strong>del</strong> 1921. Con il pretesto di ce<strong>le</strong>brare l'anniversario <strong>del</strong>la vittoria<br />

italiana (4 novembre), un gran numero di fascisti doveva raccogliersi a Roma;<br />

sarebbe stato presente D'Annunzio, il qua<strong>le</strong> avrebbe dovuto tenere un discorso<br />

memorabi<strong>le</strong> e mettersi poi alla testa dei fascisti per congedare i m<strong>in</strong>istri e proclamarsi<br />

dittatore. Ma all'ultimo momento il poeta non si fece vedere. Bonomi lo aveva corrotto<br />

con una forte somma di cui doveva servirsi per soccorrere i veterani fiumani.<br />

D'Annunzio che era il veterano più em<strong>in</strong>ente si tenne per sé tutto il denaro. I fascisti<br />

si raccolsero <strong>in</strong> Roma senza il <strong>le</strong>ader previsto, e commisero eccessi di ogni genere


f<strong>in</strong>ché non vennero cacciati dai quartieri popolari <strong>del</strong>la città dopo vio<strong>le</strong>nti scontri per <strong>le</strong><br />

strade.<br />

Il congresso naziona<strong>le</strong> fascista <strong>del</strong> novembre 1921 decise la trasformazione <strong>del</strong><br />

'movimento' <strong>in</strong> 'partito politico,' il partito naziona<strong>le</strong> fascista. Questo sarebbe stato<br />

'una milizia volontaria al servizio <strong>del</strong>la nazione,' e avrebbe basato la sua condotta su<br />

tre pr<strong>in</strong>cipi fondamentali: 'ord<strong>in</strong>e, discipl<strong>in</strong>a, gerarchia.' Le sezioni locali avevano<br />

diritto a e<strong>le</strong>ggere i propri direttori, ma questi dovevano essere <strong>le</strong>gati da una discipl<strong>in</strong>a<br />

assoluta al direttorio naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito, di cui dovevano seguire <strong>le</strong> istruzioni senza<br />

discuter<strong>le</strong>. Ciascuna sezione doveva avere una 'squadra di combattimento' pronta a<br />

marciare al comando <strong>del</strong>l'esecutivo naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito.<br />

Non si sa quanti fossero i fascisti alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1921. In una <strong>in</strong>tervista concessa al<br />

"Giorna<strong>le</strong> d'Italia", il 22 maggio 1921, Mussol<strong>in</strong>i aveva affermato che gli iscritti ai<br />

Fasci erano non meno di mezzo milione. Ma secondo una relazione presentata al<br />

congresso <strong>del</strong> novembre 1921, gli iscritti ai Fasci erano aumentati da 30000, nel<br />

maggio 1920, a 230000 nel novembre 1921 (20). Nel 1924, Mussol<strong>in</strong>i affermò che i<br />

fascisti da 20615 alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1920 erano saliti a 248000 alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1921 (21). Nel<br />

1929, il segretario amm<strong>in</strong>istrativo <strong>del</strong> partito forniva i seguenti dati: 20615 alla f<strong>in</strong>e<br />

<strong>del</strong> 1920; 248936 al 31 dicembre 1921; 299867 alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1922 (22). Ma è<br />

possibi<strong>le</strong> che <strong>in</strong> tutto il 1922, un anno straord<strong>in</strong>ariamente fortunato da un punto di<br />

vista politico, i fascisti siano aumentati soltanto da 248000 a 300000? Le statistiche<br />

fasciste mostrano sempre molti dati controversi e poco probabili, come avviene<br />

quando nel fornire <strong>le</strong> cifre ci si abbandona alla fantasia. Quanto al numero di<br />

<strong>org</strong>anizzati dei s<strong>in</strong>dacati fascisti, fu detto che essi fossero 64000 al novembre 1921, e<br />

250000 nel gennaio 1922 (23).<br />

Nel gennaio <strong>del</strong> 1922, sotto la direzione <strong>del</strong> genera<strong>le</strong> Gandolfo, venne creata una<br />

<strong>org</strong>anizzazione naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong><strong>le</strong> squadre locali. Si stabilirono <strong>del</strong><strong>le</strong> zone di comando con<br />

una gerarchia centralizzata. Sotto gli occhi <strong>del</strong> governo civi<strong>le</strong> si andava così formando<br />

un esercito il<strong>le</strong>ga<strong>le</strong>, pronto a muoversi contro il governo civi<strong>le</strong> con la connivenza dei<br />

capi <strong>del</strong>l'esercito regolare. In Italia c'erano due governi: un governo ufficia<strong>le</strong> formato<br />

dal gab<strong>in</strong>etto dei m<strong>in</strong>istri, e un governo clandest<strong>in</strong>o formato da un gruppo di alte<br />

autorità militari, che controllavano i Fasci locali tramite i nazionalisti, ufficiali <strong>in</strong><br />

congedo e ufficiali <strong>in</strong> licenza (24).<br />

La storiografia fascista dà il nome di 'bolscevismo' non solo agli avvenimenti <strong>del</strong> 1919<br />

e <strong>del</strong> 1920, ma anche agli avvenimenti <strong>del</strong> 1921 e <strong>del</strong> 1922, come se dalla primavera<br />

<strong>del</strong> 1919 all'autunno <strong>del</strong> 1922 vi fosse stata una serie omogenea e cont<strong>in</strong>ua di atti di<br />

vio<strong>le</strong>nza. La verità è che si deve fare una netta dist<strong>in</strong>zione tra il periodo 1919-20, e il<br />

periodo 1921-22. Nel primo biennio i disord<strong>in</strong>i quasi sempre venivano provocati dai<br />

cosiddetti 'bolscevichi'; nel secondo biennio presero l'offensiva i fascisti e<br />

schiacciarono i loro avversari. Se si dà il nome di 'bolscevismo' al primo periodo, si<br />

deve dare al secondo periodo una diversa denom<strong>in</strong>azione: quella di 'reazione<br />

antibolscevica.' Ma i disord<strong>in</strong>i che ebbero luogo <strong>in</strong> Italia nel 1919-20 non meritano né<br />

l'offesa né l'eccesso di onore di passare alla storia sotto il nome di 'bolscevismo'; e la<br />

reazione italiana <strong>del</strong> 1921-22 non dovette superare nessuna di quel<strong>le</strong> formidabili<br />

difficoltà che impedirono <strong>in</strong> Russia qualsiasi tentativo di reazione. Tra la Russia e<br />

l'Italia <strong>del</strong> 1919-22 c'è la stessa differenza che passa tra un ciclone che sconvolge un<br />

<strong>in</strong>tero cont<strong>in</strong>ente, e una burrasca che rompe qualche vetro e butta giù pochi alberi e<br />

qualche cam<strong>in</strong>o. Sarebbe più appropriato parlare di 'nevrastenia <strong>del</strong> dopoguerra,' per<br />

il 1919-20, e di 'guerra civi<strong>le</strong>,' per il 1921-22. Inoltre, si devono dist<strong>in</strong>guere due<br />

periodi secondari negli anni <strong>del</strong>la guerra civi<strong>le</strong>, 1921-22: la reazione antis<strong>in</strong>daca<strong>le</strong>, tra<br />

l'autunno <strong>del</strong> 1920 e l'estate <strong>del</strong> 1921, e la congiura militare, tra l'estate <strong>del</strong> 1921 e<br />

l'autunno <strong>del</strong> 1922.


CAPITOLO VENTUNESIMO.<br />

'UN CAPO CHE PRECEDE, NON UN CAPO CHE SEGUE'<br />

Durante la primavera e l'estate <strong>del</strong> 1921, la situazione qua<strong>le</strong> si andava sviluppando<br />

sotto gli occhi di Mussol<strong>in</strong>i rese la sua posizione assai diffici<strong>le</strong>. Ciascun Fascio,<br />

controllato dai propri dirigenti locali, seguiva la sua politica secondo <strong>le</strong> circostanze<br />

locali e prestando poca o punta attenzione ai consigli o agli ord<strong>in</strong>i <strong>del</strong> comitato<br />

centra<strong>le</strong>. Per quanto di nome Mussol<strong>in</strong>i fosse il capo <strong>del</strong> movimento, di fatto la sua<br />

autorità era assai limitata. Vedeva che i nazionalisti, che si erano <strong>in</strong>filtrati tra <strong>le</strong> fi<strong>le</strong><br />

fasciste, diventavano i veri padroni di quelli che egli considerava i suoi uom<strong>in</strong>i.<br />

Def<strong>in</strong>iva i nazionalisti 'i pescecani <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>,' o 'topi che si <strong>in</strong>grassano rosicchiando<br />

il formaggio fascista' (1).<br />

Tra i fascisti molti che avevano preso sul serio <strong>le</strong> esplosioni rivoluzionarie di Mussol<strong>in</strong>i<br />

erano sbalorditi dalla rapidità con cui benestanti e conservatori affluivano <strong>in</strong> grande<br />

quantità nel<strong>le</strong> loro <strong>org</strong>anizzazioni. Nel febbraio <strong>del</strong> 1921, un giovane squattr<strong>in</strong>ato,<br />

D<strong>in</strong>o Grandi, che doveva diventare più tardi ambasciatore italiano alla corte di Sa<strong>in</strong>t<br />

James, lamentava che il movimento fascista fosse 'un <strong>in</strong>sieme caotico di e<strong>le</strong>menti<br />

locali di reazione,' e esprimeva la speranza che dopo questo fenomeno 'transitorio' si<br />

affermasse un nuovo socialismo 'più potente di prima ma con altri uom<strong>in</strong>i' (2).<br />

Può darsi che di tanto <strong>in</strong> tanto lo spirito <strong>in</strong>coerente, e mutevo<strong>le</strong> di Mussol<strong>in</strong>i riandasse<br />

al suo passato antib<strong>org</strong>hese. Non è possibi<strong>le</strong> dopo tutto che egli fosse accecato dalla<br />

passione a tal punto da non dire mai a se stesso, almeno una volta tanto, che se c'era<br />

un uomo che non aveva nessun diritto di trattare col revolver e il manganello i<br />

lavoratori italiani, quest'uomo era Mussol<strong>in</strong>i. Nessuno prima <strong>del</strong>la guerra aveva più di<br />

lui contribuito a diffondere <strong>in</strong> Italia il socialismo rivoluzionario e ant<strong>in</strong>aziona<strong>le</strong>. Di<br />

fronte alla guerra mondia<strong>le</strong> egli aveva lanciato tra <strong>le</strong> masse lo slogan <strong>del</strong>la neutralità<br />

rivoluzionaria. Durante la guerra nessuno aveva fatto promesse più larghe di controllo<br />

operaio e proprietà <strong>del</strong>la terra ai contad<strong>in</strong>i, come conseguenza <strong>del</strong>la 'guerra<br />

rivoluzionaria.' Nel 1919-20 nessuno aveva contribuito <strong>in</strong> misura maggiore a<br />

diffondere quella frenesia rivoluzionaria che condusse alla occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

fabbriche.<br />

D'altra parte egli sentiva che nel paese la gente com<strong>in</strong>ciava sempre più ad essere<br />

stanca <strong>del</strong>la guerra civi<strong>le</strong>, e dopo avere condannato i socialisti m<strong>in</strong>acciava adesso di<br />

rivoltarsi contro i fascisti. Ecco un fatto che mostra <strong>in</strong> modo evidente questo nuovo<br />

stato d'animo. Il 26 settembre 1921, a Modena alcuni fascisti rimasero uccisi <strong>in</strong> uno<br />

scontro con la polizia. I fascisti fiorent<strong>in</strong>i cercarono di <strong>org</strong>anizzare una pubblica<br />

dimostrazione di lutto. La città rimase <strong>in</strong>differente. Il 30 settembre essi affissero un<br />

manifesto dove si lamentava la 'ostilità pa<strong>le</strong>se o nascosta <strong>del</strong>la cittad<strong>in</strong>anza, <strong>in</strong> special<br />

modo <strong>del</strong>la b<strong>org</strong>hesia'; 'pochissimi cittad<strong>in</strong>i hanno sentito il dovere di esporre il<br />

tricolore a lutto per i tragici fatti di Modena e nessun esercente ha chiuso <strong>in</strong> ta<strong>le</strong><br />

occasione il proprio negozio (3). Ta<strong>le</strong> stato d'animo aveva com<strong>in</strong>ciato a manifestarsi<br />

subito dopo <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni <strong>del</strong> maggio. Mussol<strong>in</strong>i lo avvertiva; perciò, non appena fu<br />

e<strong>le</strong>tto deputato, cercò di liberarsi dalla stretta dei nazionalisti.<br />

Pensò che era possibi<strong>le</strong> risolvere il prob<strong>le</strong>ma accentuando il carattere repubblicano <strong>del</strong><br />

movimento fascista, offrendo la sua al<strong>le</strong>anza ai socialisti moderati e ai popolari,<br />

bruciando <strong>in</strong> tal modo i ponti fra fascisti e nazionalisti. In una <strong>in</strong>tervista al "Giorna<strong>le</strong><br />

d'Italia" il 22 maggio, così dichiarava:<br />

«Il <strong>fascismo</strong> (...) è tendenzialmente repubblicano, <strong>in</strong> ciò differenziandosi nettamente<br />

dai nazionalisti che sono pregiudizialmente e sempiternamente monarchici. (...) Non è<br />

da escludersi una ipotesi che uno scrittore di un giorna<strong>le</strong> bolognese (...) ha


prospettato <strong>in</strong> questi term<strong>in</strong>i: 'Sul programma di lavoro e di redenzione dei lavoratori i<br />

socialisti possono trovare <strong>in</strong>attesi al<strong>le</strong>ati <strong>in</strong> seno allo stesso <strong>fascismo</strong>. (...) La salvezza<br />

<strong>del</strong> paese deve essere assicurata non dalla soppressione materia<strong>le</strong> di questa antitesi<br />

(tra <strong>fascismo</strong> e socialismo) ma dalla loro conciliazione nel funzionamento stesso<br />

<strong>del</strong>l'<strong>org</strong>ano parlamentare.' (...) E' evidente che la coabitazione fra i moscoviti (...) e<br />

quelli che di Mosca non voglion più saperne diventerà a lungo andare impossibi<strong>le</strong>.<br />

Mussol<strong>in</strong>i term<strong>in</strong>ava pronunciandosi <strong>in</strong> favore di un m<strong>in</strong>istero presieduto da un<br />

popolare: 'Insomma, se a un dato momento il gioco varrà la can<strong>del</strong>a, noi<br />

appoggeremo e collaboreremo anche direttamente con il governo.'<br />

Questa <strong>in</strong>tervista sol<strong>le</strong>vò una ondata di proteste tra i giornali conservatori filofascisti e<br />

un largo moto di rivolta da parte di quei gruppi fascisti che erano sotto l'<strong>in</strong>fluenza dei<br />

nazionalisti (4). Mussol<strong>in</strong>i credette dapprima di poter controllare il tempora<strong>le</strong>. Nel<br />

"Popolo d'Italia" <strong>del</strong> 24 maggio 1921 scriveva:<br />

«Io non permetto che siano alterati i connotati di quel <strong>fascismo</strong> che io ho fondato,<br />

s<strong>in</strong>o a renderli irriconoscibili, s<strong>in</strong>o a farli diventare monarchici, anzi d<strong>in</strong>astici, da<br />

'tendenzialmente repubblicani' che erano o dovevano essere. (...) Il nostro simbolo<br />

non e lo scudo dei Savoia; è il fascio littorio, romano anche, se non vi dispiace,<br />

repubblicano. (...) L'astensione fascista (dalla seduta di apertura <strong>del</strong>la Camera) è un<br />

gesto di pura e semplice coerenza. (...) Non è permesso di predicare <strong>in</strong> un modo e<br />

praticare <strong>in</strong> un altro. Se per avventura queste mie idee non <strong>in</strong>contrassero<br />

l'approvazione <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>, non me ne importerebbe affatto. Io sono un capo che<br />

precede, non un capo che segue.»<br />

Il giorno dopo, di fronte al<strong>le</strong> crescenti proteste dei suoi seguaci, 'il capo che precede e<br />

non segue' com<strong>in</strong>ciò a mettere acqua nel v<strong>in</strong>o:<br />

«Il <strong>fascismo</strong> è (...) al di sopra <strong>del</strong>la monarchia e <strong>del</strong>la repubblica. (...) Se il <strong>fascismo</strong> è<br />

monarchico, non è più <strong>fascismo</strong>; se il <strong>fascismo</strong> è repubblicano, non è più <strong>fascismo</strong>.<br />

(...) Non <strong>in</strong>tendiamo di sostituirci al partito repubblicano, ma non <strong>in</strong>tendiamo<br />

nemmeno di genuf<strong>le</strong>tterci d<strong>in</strong>nanzi al trono (5). (...) Chi da questo atteggiamento<br />

fascista vuo<strong>le</strong> arguire che il <strong>fascismo</strong> sposa la causa repubblicana e, anzi, la<br />

pregiudizia<strong>le</strong> repubblicana, rivela la più lamentevo<strong>le</strong> <strong>in</strong>comprensione politica. Ma io, e<br />

qui parlo <strong>in</strong> prima persona, ho voluto <strong>in</strong>tenzionalmente fare la nota affermazione,<br />

perché vo<strong>le</strong>vo gettare un sasso o <strong>in</strong>iziare addirittura una sassaiola contro parecchi<br />

ranocchi, più o meno verdi e gracidanti, che ho visto affiorare, laddove il magnifico<br />

fiume <strong>del</strong>la giov<strong>in</strong>ezza fascista m<strong>in</strong>accia di stagnare nel morto padu<strong>le</strong> <strong>del</strong>la<br />

conservazione e <strong>del</strong>l'egoismo. (...) Nel <strong>fascismo</strong> vi sono nascoste <strong>del</strong><strong>le</strong> '<strong>in</strong>clite viltà' di<br />

gente che aveva paura degli altri o paura di noi; si sono <strong>in</strong>s<strong>in</strong>uati nel <strong>fascismo</strong> egoismi<br />

rapaci e refrattari ad ogni spirito di conciliazione naziona<strong>le</strong> e anche non mancano<br />

coloro che <strong>del</strong> prestigio <strong>del</strong>la vio<strong>le</strong>nza fascista si sono serviti per i loro miserabili<br />

calcoli personali o che la vio<strong>le</strong>nza <strong>in</strong>tesa come mezzo hanno tramutato <strong>in</strong> vio<strong>le</strong>nza f<strong>in</strong>e<br />

a se stessa» (6).<br />

Mussol<strong>in</strong>i si trovava a dover fronteggiare un vio<strong>le</strong>nto moto di rivolta da parte dei<br />

nazionalisti, i quali erano decisi a distruggere s<strong>in</strong>o all'ultima tutte <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni<br />

socialiste e popolari (7). Uno dei <strong>le</strong>aders di questa rivolta era lo stesso Grandi, che nel<br />

febbraio <strong>del</strong> 1921 si era soffermato con tanta attenzione sul pericolo che il movimento<br />

fascista diventasse un puro movimento di reazione. Come Mussol<strong>in</strong>i, Grandi passava<br />

dalla destra alla s<strong>in</strong>istra e dalla s<strong>in</strong>istra alla destra con versatilità <strong>in</strong>credibi<strong>le</strong>.<br />

Mussol<strong>in</strong>i non si arrese. Il 13 luglio <strong>del</strong> 1921 scriveva:


«F<strong>in</strong>o ad ora <strong>le</strong> abbiamo curate (<strong>le</strong> masse dei lavoratori) con rimedi energici. Ma<br />

grande e sotti<strong>le</strong> medico è colui che sa adattare <strong>le</strong> medic<strong>in</strong>e al corso <strong>del</strong>la malattia.<br />

Ognuno di noi può constatare che lo stato d'animo <strong>del</strong><strong>le</strong> masse operaie è<br />

fondamentalmente diverso da quello di due anni fa. Penso che oggi si possa cambiare<br />

la medic<strong>in</strong>a e sia da andare verso queste masse operaie per conv<strong>in</strong>cer<strong>le</strong> <strong>del</strong>la fallacia<br />

di tutte <strong>le</strong> dottr<strong>in</strong>e socialiste. (...) O noi abbiamo la conv<strong>in</strong>zione che siamo i portatori<br />

di una verità, e allora dobbiamo essere anche pronti a scendere su altri terreni di<br />

lotta; o noi rimarremo sempre sul terreno <strong>del</strong>la vio<strong>le</strong>nza, e allora sarà pa<strong>le</strong>se che <strong>in</strong><br />

noi non c'è nessuna verità e che noi rappresentiamo un fenomeno puramente<br />

negativo. Ora io stesso, che, per ragioni nazionali e, soprattutto, umane, ero proclive<br />

ad accedere su questo terreno, oggi sono contrario» (8).<br />

Quando avvenne a Sarzana lo scontro tra fascisti e carab<strong>in</strong>ieri, Mussol<strong>in</strong>i deplorò la<br />

mancanza di discipl<strong>in</strong>a tra i suoi seguaci:<br />

«Con lo sviluppo enorme preso dal nostro movimento sono confluiti nei fasci migliaia<br />

di <strong>in</strong>dividui che hanno <strong>in</strong>terpretato il <strong>fascismo</strong> come una difesa di determ<strong>in</strong>ati <strong>in</strong>teressi<br />

personali e come una <strong>org</strong>anizzazione <strong>del</strong><strong>le</strong> vio<strong>le</strong>nze per la vio<strong>le</strong>nza. Parecchie volte su<br />

queste colonne fu detto che la nostra vio<strong>le</strong>nza doveva essere caval<strong>le</strong>resca,<br />

aristocratica, chirurgica, e qu<strong>in</strong>di, <strong>in</strong> un certo senso umana. Ma fu detto <strong>in</strong>vano. (...)<br />

Si tratta di ristabilire prontissimamente il senso <strong>del</strong>la discipl<strong>in</strong>a <strong>in</strong>dividua<strong>le</strong> e col<strong>le</strong>ttiva,<br />

ricordando che <strong>in</strong> un paese come l'Italia, anarcoide nel<strong>le</strong> tendenze e negli spiriti, il<br />

<strong>fascismo</strong> si annunziò come un movimento di restaurazione <strong>del</strong>la discipl<strong>in</strong>a. Ora non si<br />

può pretendere di imporre una discipl<strong>in</strong>a alla nazione se non si è capaci<br />

<strong>del</strong>l'autodiscipl<strong>in</strong>a» (9).<br />

Il 3 agosto <strong>del</strong> 1921, rappresentanti <strong>del</strong> partito fascista e <strong>del</strong>la Confederazione <strong>del</strong><br />

lavoro firmarono un accordo, <strong>in</strong> cui si impegnavano 'a fare immediata opera, perché<br />

m<strong>in</strong>acce, vie di fatto, rappresaglie, punizioni, vendette, pressioni e vio<strong>le</strong>nze personali<br />

di qualsiasi specie abbiano subito a cessare.' Le cose andarono di ma<strong>le</strong> <strong>in</strong> peggio.<br />

Sessanta segretari di sezioni dei Fasci <strong>in</strong> rappresentanza di 160000 iscritti si riunirono<br />

a Bologna e non riconobbero l'accordo (10).<br />

Mussol<strong>in</strong>i si sentì offeso e si dimise dalla commissione esecutiva dei Fasci. Il 7 agosto<br />

1921 scrisse:<br />

«Il <strong>fascismo</strong> non è più liberazione, ma tirannia; non più salvaguardia <strong>del</strong>la nazione,<br />

ma difesa di <strong>in</strong>teressi privati e <strong>del</strong><strong>le</strong> caste più opache, sorde, miserabili che esistano <strong>in</strong><br />

Italia» (11).<br />

Nel Popolo d'Italia <strong>del</strong> 18 agosto 1921, egli domandava:<br />

«Come realizzarla ora la pace? Pensate, forse, di poterla effettuare attraverso lo<br />

sterm<strong>in</strong>io dei due milioni che hanno votato per il pus? O non correte il rischio di<br />

cronicizzare la guerra civi<strong>le</strong>? O l'altro di vedervi rivoltare contro l'anima <strong>in</strong>tera <strong>del</strong>la<br />

nazione? O il terzo rischio di dover 'subire' domani una pace pussista, attraverso un<br />

altro non improbabi<strong>le</strong> capovolgimento <strong>del</strong><strong>le</strong> situazioni? E i segni di ciò non li vedete? Il<br />

fronte unico antifascista che il patto di Roma spezzava, non si riformerà quasi<br />

automaticamente domani? (...) Chi è sconfitto deve andarsene. Ed io me ne vado dai<br />

primi posti. Resto e spero di poter restare semplice gregario <strong>del</strong> Fascio milanese.»<br />

Cesare Rossi, collaboratore <strong>in</strong>timo di Mussol<strong>in</strong>i, ne seguiva l'esempio il 20 agosto<br />

1921, così scrivendo:


«Poiché io sono stato uno dei più caldi propugnatori <strong>del</strong> trattato di tregua, ed anche<br />

uno dei suoi firmatari non posso più seriamente ed onestamente rimanere fra i<br />

dirigenti l'<strong>org</strong>anizzazione fascista, quando questa (...) <strong>in</strong> clamorosi voti di congressi<br />

regionali, e quel che Più conta, con gli atti di ogni giorno ha dimostrato la sua precisa<br />

ed assoluta ostilità al rispetto ed all'applicazione di detto trattato. (...) Il primitivo<br />

carattere <strong>in</strong>terventista <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> è sparito d<strong>in</strong>nanzi alla folla degli ultimi venuti,<br />

venuti soprattutto quando il nemico batteva <strong>in</strong> ritirata; l'immissione nel <strong>fascismo</strong> (...)<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite vecchie cariatidi <strong>del</strong><strong>le</strong> consorterie c<strong>le</strong>rico-agrarie-conservatrici paesane<br />

erano dest<strong>in</strong>ate a cancellarne i maschi connotati. (...) La nostra balda m<strong>in</strong>oranza <strong>del</strong><br />

1919 (...) è travolta dal<strong>le</strong> successive ondate impetuose che (...) rappresentavano solo<br />

o stati d'animo d'artificio o d'esaltazione o <strong>in</strong>teressi di classe, di casta e di zona. Forte<br />

di questi nuovi e<strong>le</strong>menti, il <strong>fascismo</strong> (...) è diventato un puro, autentico ed esclusivo<br />

movimento di conservazione e di reazione. Ma non la nostra affermata e giustamente<br />

affermata 'reazione' (...) reazione predicata e praticata quando l'Italia correva sul<br />

serio il rischio di cadere <strong>in</strong> balìa <strong>del</strong>la dittatura <strong>del</strong>la tessera <strong>del</strong> pus; (...) ma la<br />

reazione idiota, crude<strong>le</strong> ed <strong>in</strong>uti<strong>le</strong> contro tutto ciò che puzza di conquista consapevo<strong>le</strong>,<br />

<strong>in</strong>eluttabi<strong>le</strong>, raziona<strong>le</strong>, <strong>del</strong>la vita contemporanea, contro tutto ciò che è ord<strong>in</strong>e<br />

acquisito e pacifico. Già, perché i fascisti <strong>del</strong><strong>le</strong> zone bellicose negano ormai (...) i<br />

fenomeni più normali <strong>del</strong>la vita socia<strong>le</strong>. (...) Si vuo<strong>le</strong>, per esempio, esiliare lo sciopero<br />

- manifestazione che possiamo, sì, augurarci di rendere meno frequente e meno<br />

dannosa, ma che è pur sempre una realtà economica che non si può sopprimere (...)<br />

non solo, ma di fatto si arriva a vio<strong>le</strong>ntare la libertà di riunione, di stampa e di<br />

associazione degli avversari. E' <strong>in</strong>somma la mentalità cod<strong>in</strong>a, tirannica e sopraffattrice<br />

che noi abbiamo rimproverato al partito socialista negli anni aurei o tenebrosi <strong>del</strong>la<br />

sua tracotanza che si trasferisce <strong>in</strong> pieno nel campo fascista. (...) Vi siete mai chiesti,<br />

per esempio, cosa rappresent<strong>in</strong>o di sacro quel<strong>le</strong> case con tutto il loro carico di<br />

masserizie e di affetti, che <strong>in</strong> alcune zone <strong>del</strong>la Val Padana i nostri gregari bruciano<br />

con tanta serietà sol perché abitate da avversari? (...) La mozione D'Aragona, votata<br />

durante l'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche a Milano il 12 settembre 1920 contro<br />

l'estensione politica <strong>del</strong> movimento (confer cap. diciassettesimo, [pag. 278 <strong>del</strong> libro<br />

cartaceo]), (...) la scissione avvenuta al congresso. di Livorno (confer cap.<br />

diciottesimo, [pag. 298 <strong>del</strong> libro cartaceo]), la politica e la crociata antisocialista<br />

anticonfedera<strong>le</strong> dei comunisti, lo smagamento <strong>del</strong> <strong>le</strong>n<strong>in</strong>ismo nella coscienza operaia<br />

(confer cap. diciottesimo, [pag. 290 <strong>del</strong> libro cartaceo]), la riscossa naziona<strong>le</strong><br />

avvenuta nel<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni amm<strong>in</strong>istrative ultime (confer cap. diciottesimo, [pag. 291 <strong>del</strong><br />

libro cartaceo]), la stessa offensiva (...) <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>, la nuova scissione socialista:<br />

sono tutti e<strong>le</strong>menti che non esistono e che non valgono per i nostri superficialoni<br />

abituati a tutto livellare e tutto confondere. (...) Siamo andati avanti ancora un po' fra<br />

l'<strong>in</strong>augurazione di un gagliardetto e l'<strong>in</strong>vestimento di una città, senza riuscire a fissare<br />

un'opera d'<strong>in</strong>sieme, senza saperci dare una discipl<strong>in</strong>a <strong>in</strong>terna, <strong>in</strong>capaci a rif<strong>le</strong>ttere,<br />

<strong>in</strong>capaci ad affrontare e risolvere i prob<strong>le</strong>mi politici <strong>del</strong>l'ora. Osservo che i Fasci (...) si<br />

sono ben guardati dal fondare una biblioteca di cultura, al massimo si sono limitati a<br />

distruggere quel<strong>le</strong> degli avversari (...). (...) Gli avversari <strong>del</strong> partito di pacificazione<br />

non hanno capito che esso rispondeva ad una necessità e ad un dovere naziona<strong>le</strong> ed<br />

<strong>in</strong> particolare all'<strong>in</strong>teresse immediato e futuro <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>» (12).<br />

Paro<strong>le</strong> al vento! Gli <strong>in</strong>dustriali, gli agrari e la cricca militare non erano disposti ad<br />

ascoltar<strong>le</strong>; e i fascisti che eseguivano <strong>le</strong> spedizioni punitive, eccitati dal<br />

combattimento, contenti di dare la caccia ai contad<strong>in</strong>i 'bolscevichi' come a bestie<br />

feroci, ben pagati e sicuri <strong>del</strong>l'impunità, erano disposti ad ascoltar<strong>le</strong> anche meno di<br />

coloro che a sangue freddo tiravano i fili.<br />

In questa situazione, che cosa fece allora il 'capo che precede e non segue'? Se<br />

avesse cont<strong>in</strong>uato a condannare 'la reazione idiota, crude<strong>le</strong> ed <strong>in</strong>uti<strong>le</strong>,' Mussol<strong>in</strong>i si


sarebbe ritrovato a capo di un esercito <strong>in</strong> disfacimento e senza gli aiuti dei grossi<br />

affaristi; il suo giorna<strong>le</strong> sarebbe fallito. A qualsiasi costo egli era deciso a non<br />

permettere che <strong>le</strong> cose arrivassero a questo punto. Molti anni dopo disse a Briand che<br />

'il Rubicone non si può passare due volte.'<br />

Mussol<strong>in</strong>i cessò di andare contro corrente. Si dedicò al<strong>le</strong> meditazioni filosofiche e<br />

scoprì che il <strong>fascismo</strong> non possedeva una propria dottr<strong>in</strong>a e che a ta<strong>le</strong> <strong>in</strong>conveniente<br />

si doveva trovare al più presto un rimedio. 'Il <strong>fascismo</strong> italiano,' scriveva il 27 agosto<br />

1921, 'pena la morte o, peggio, il suicidio, deve farsi un 'corpo' di dottr<strong>in</strong>e. (...) Io<br />

vorrei che nei due mesi che ci separano dall'Adunata naziona<strong>le</strong> si creasse la filosofia<br />

<strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> italiano. (13).<br />

Il fatto vero è che i nazionalisti non avevano nessun bisogno di crearsi una filosofia,<br />

dato che da dieci anni ne avevano una propria, e i fascisti avevano ben altro da fare<br />

che crearsi una filosofia.<br />

Dopo essersi abbandonato s<strong>in</strong>o al novembre <strong>del</strong> 1921 al<strong>le</strong> meditazioni filosofiche,<br />

Mussol<strong>in</strong>i si presentò al congresso di Roma come se non ci fosse stato proprio niente<br />

ad <strong>in</strong>durlo a dimettersi da capo <strong>del</strong> movimento. Della cosa non parlò nessuno.<br />

Mussol<strong>in</strong>i e Grandi si abbracciarono, e il capo che precede cont<strong>in</strong>uò a seguire i suoi<br />

seguaci. I nazionalisti esultarono: 'Il <strong>fascismo</strong> (...) è <strong>del</strong> nostro sangue; e, quando<br />

avrà visto più chiaro dentro di sé e <strong>in</strong>torno a sé, quando sarà arrivato all'equilibrio<br />

<strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong> e d'azione di una maturità più consapevo<strong>le</strong>, sarà contento di venire<br />

accanto a suo padre' (14).<br />

Mussol<strong>in</strong>i aveva scelto bene il momento di seguire i suoi seguaci. S<strong>in</strong>o all'autunno <strong>del</strong><br />

1921, la parte di primo piano come eroe dei fascisti era stata ricoperta da D'Annunzio.<br />

Dopo che D'Annunzio aveva abbandonato il suo posto di condottiero <strong>del</strong><strong>le</strong> camicie<br />

nere nel progettato colpo di mano <strong>del</strong> novembre 1921, il primo posto fu occupato da<br />

Mussol<strong>in</strong>i. Da questo momento, egli divenne il solo ed <strong>in</strong>discusso <strong>le</strong>ader: 'il Duce.' I<br />

capi militari e i nazionalisti che dietro <strong>le</strong> qu<strong>in</strong>te tiravano i fili avevano bisogno di<br />

qualcuno che si assumesse pubblicamente la responsabilità <strong>del</strong> movimento<br />

antiparlamentare. Essi erano <strong>le</strong>gati al Re e allo Statuto da un giuramento di fe<strong>del</strong>tà<br />

che non osavano violare apertamente e brutalmente. Attaccando il Parlamento e<br />

m<strong>in</strong>acciando il Re qualora si fosse rifiutato di compiere il colpo di stato contro il<br />

Parlamento, i fascisti permettevano ai generali di presentarsi come mediatori tra il Re,<br />

verso il qua<strong>le</strong> f<strong>in</strong>gevano di rimanere fe<strong>del</strong>i, e i fascisti, il cui movimento facevano<br />

credere che fosse tanto forte da essere <strong>in</strong>v<strong>in</strong>cibi<strong>le</strong>. Perché questa manovra riuscisse<br />

bisognava che il movimento fascista fosse condotto pubblicamente da un uomo che,<br />

<strong>in</strong> forza <strong>del</strong> proprio passato, potesse m<strong>in</strong>acciare e spaventare il Re.<br />

Il compito di Mussol<strong>in</strong>i era tutt'altro che faci<strong>le</strong>. Se si passano <strong>in</strong> rassegna i gruppi che<br />

si vennero a mescolare nel movimento fascista, si troverà che i primi Fasci <strong>del</strong> 1919-<br />

20 comprendevano e<strong>le</strong>menti di tre diverse provenienze: 1) vecchi rivoluzionari, che<br />

nell'autunno <strong>del</strong> 1914 avevano mostrato <strong>in</strong> modo più o meno confuso una mentalità<br />

nazionalista, sebbene cont<strong>in</strong>uassero a chiamarsi rivoluzionari; 2) reduci appartenenti<br />

ai grad<strong>in</strong>i più bassi dei ceti medi, di cui la guerra aveva fatto tanti spostati, e che <strong>in</strong><br />

modo disord<strong>in</strong>ato si rivoltavano contro <strong>le</strong> sofferenze materiali e <strong>le</strong> <strong>del</strong>usioni morali<br />

<strong>le</strong>gate al periodo di transizione tra la guerra e la pace; e 3) giovani <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali, che<br />

vo<strong>le</strong>vano opporsi alla propaganda ant<strong>in</strong>aziona<strong>le</strong> e agli scioperi. Questi primi gruppi,<br />

lasciati a se stessi, non sarebbero mai stati <strong>in</strong> grado di formare un movimento politico<br />

permanente di importanza naziona<strong>le</strong>. Poco a poco, via via che la nevrastenia <strong>del</strong><br />

dopoguerra si andava calmando, ciascuno sarebbe stato riassorbito dal proprio gruppo<br />

socia<strong>le</strong> e se ne sarebbe andato per la sua strada.<br />

Nel 1921, la grande maggioranza dei nuovi venuti che si unirono agli sparuti gruppi<br />

<strong>del</strong>la prima ora cont<strong>in</strong>uava a provenire da quegli stessi grad<strong>in</strong>i più bassi dei ceti medi<br />

che già formavano <strong>le</strong> fi<strong>le</strong> <strong>del</strong> movimento. Ma i vecchi rivoluzionari e gli studenti, che<br />

nei due anni precedenti avevano fornito quasi esclusivamente i dirigenti dei gruppi


locali, si trovarono presto ridotti <strong>in</strong> m<strong>in</strong>oranza di fronte a un nuovo e<strong>le</strong>mento socia<strong>le</strong>,<br />

gli ufficiali <strong>del</strong>l'esercito e gli agenti degli <strong>in</strong>dustriali e degli agrari. Il movimento<br />

fascista non era più un semplice movimento di reazione patriottica, più o meno<br />

agitato, contro l'azione politica dei socialisti e dei comunisti; esso divenne lo<br />

strumento di una sistematica reazione capitalistica, che aveva come f<strong>in</strong>e la<br />

demolizione di tutte <strong>le</strong> istituzioni economiche che la classe lavoratrice italiana aveva<br />

costruito per la propria difesa e per il proprio miglioramento durante mezzo secolo di<br />

libertà. Oltre a ciò, nel 1921 <strong>le</strong> azioni locali, che prima avvenivano <strong>in</strong> modo<br />

disord<strong>in</strong>ato, com<strong>in</strong>ciarono a seguire direttive politiche superiori, e nel 1922 si fusero<br />

<strong>in</strong> un vero e proprio movimento di carattere naziona<strong>le</strong>.<br />

All'<strong>in</strong>grossamento di questo movimento contribuirono tutte <strong>le</strong> classi sociali; e, d'altra<br />

parte, uom<strong>in</strong>i provenienti da ogni classe socia<strong>le</strong> si trovavano presenti <strong>in</strong> tutti i gruppi<br />

antifascisti, allo stesso modo che gli uom<strong>in</strong>i provenienti da ogni classe socia<strong>le</strong> si<br />

trovavano presenti <strong>in</strong> quella larga massa di <strong>in</strong>differenti che vanno avanti occupandosi<br />

soltanto dei casi propri. La storia politica non è fatta dal<strong>le</strong> classi sociali ma dai partiti<br />

politici, i quali sono formati da uom<strong>in</strong>i provenienti da strati sociali diversi, ma <strong>le</strong>gati<br />

<strong>in</strong>sieme da un f<strong>in</strong>e comune: la conquista <strong>del</strong> potere politico. Anche nei casi <strong>in</strong> cui lo<br />

scopo proclamato di un partito politico è quello di curare gli <strong>in</strong>teressi o i diritti di una<br />

classe contro <strong>le</strong> altre, il partito rimane sempre una <strong>org</strong>anizzazione politica che non va<br />

confusa con quella classe socia<strong>le</strong>.<br />

Senza dubbio all'<strong>in</strong>terno <strong>del</strong> movimento fascista si trovavano dei capitalisti. Se i<br />

capitalisti non avessero mantenuto il movimento col loro denaro, il movimento si<br />

sarebbe esaurito <strong>in</strong> clamori privi di effetto. D'altra parte, lasciati a se stessi, fascisti e<br />

capitalisti avrebbero potuto tutt'al più creare un nuovo partito politico - uno tra tanti -<br />

e la loro rapida e schiacciante vittoria rimarrebbe un miracolo, un imperscrutabi<strong>le</strong><br />

mistero. Ta<strong>le</strong> vittoria va spiegata col fatto che <strong>le</strong> autorità militari equipaggiarono il<br />

movimento di armi e capi, e una parte <strong>del</strong><strong>le</strong> autorità governative italiane - cioè la<br />

polizia e la magistratura - concesse a ta<strong>le</strong> movimento il privi<strong>le</strong>gio <strong>del</strong>la immunità. I<br />

grossi uom<strong>in</strong>i d'affari - o, come dicono i marxisti, 'il capitalismo' - occupò, e ancora<br />

occupa, una posizione prem<strong>in</strong>ente all'<strong>in</strong>terno <strong>del</strong>la struttura fascista; ma se si<br />

ignorano gli altri fattori di ta<strong>le</strong> struttura, cioè gli e<strong>le</strong>menti dei ceti medi e dei grad<strong>in</strong>i<br />

più bassi dei ceti medi, i quali fornirono il materia<strong>le</strong> umano, e <strong>le</strong> autorità militari, e i<br />

<strong>le</strong>aders nazionalisti, la polizia e la magistratura, non si capisce più il funzionamento di<br />

tutto il sistema.<br />

Questo movimento - <strong>in</strong>tendo il movimento ben efficiente antis<strong>in</strong>daca<strong>le</strong> e<br />

antiparlamentare <strong>del</strong> 1921-22, e non quello pseudo-rivoluzionario e <strong>in</strong>efficiente <strong>del</strong><br />

1919-20 - non fu affatto una creatura di Mussol<strong>in</strong>i. Le sezioni dei Fasci nel<strong>le</strong> diverse<br />

città, paesi e villaggi, vennero fondate da ufficiali <strong>in</strong> congedo o <strong>in</strong> licenza, agenti di<br />

possidenti, e studenti. Il movimento comprendeva uom<strong>in</strong>i <strong>del</strong>la più diversa<br />

provenienza e mentalità: datori di lavoro, che fornivano i quattr<strong>in</strong>i, e s<strong>in</strong>dacalisti, che<br />

s<strong>in</strong>o al giorno prima avevano guidato scioperi rivoluzionari contro quegli stessi datori<br />

di lavoro; ufficiali <strong>del</strong>l'esercito, educati negli ideali monarchici, e repubblicani, che con<br />

la monarchia non avevano niente a che fare; proprietari terrieri, che <strong>le</strong>vavano <strong>le</strong> armi<br />

<strong>in</strong> difesa <strong>del</strong>la loro proprietà, e pro<strong>le</strong>tari <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali mezzo morti di fame, che<br />

avevano tutto da guadagnare e niente da perdere; ragazzi di buona famiglia, che<br />

saltavano la scuola per unirsi al<strong>le</strong> spedizioni punitive nell'illusione di compiere<br />

un'azione patriottica, e crim<strong>in</strong>ali, che approfittavano di quel<strong>le</strong> stesse spedizioni per<br />

soddisfare la loro sete di vio<strong>le</strong>nza.<br />

Gioacch<strong>in</strong>o Volpe, storico ufficia<strong>le</strong> <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>, così descrisse il movimento di<br />

Mussol<strong>in</strong>i qua<strong>le</strong> si presentava negli anni 1921-22:<br />

«Si trattava di naufraghi e transfughi e scontenti di altri partiti e gruppi, oppure di<br />

gente estranea ai partiti o addirittura nuova alla politica e tornata di fresco dalla


tr<strong>in</strong>cea, tornata da Fiume. (...) Animava tutti, essenzialmente e centralmente, il<br />

pensiero <strong>del</strong>la guerra combattuta e v<strong>in</strong>ta. (...) Fame e sete di ord<strong>in</strong>e, di lavoro<br />

produttivo, di comando e di obbedienza. (...)Ed anche, se si vuo<strong>le</strong>, desiderio di<br />

avventura, fasc<strong>in</strong>o <strong>del</strong><strong>le</strong> rapide e perigliose spedizioni punitive <strong>in</strong> assetto di guerra,<br />

giovani<strong>le</strong> amore di parate e <strong>in</strong>segne e gagliardetti al vento. (...) Aggiungiamo<br />

<strong>in</strong>teressi di classe; calcolo di arricchiti di guerra o di b<strong>org</strong>hesi impauriti, disposti a dar<br />

denaro per sangue; sol<strong>le</strong>citi, poiché <strong>in</strong>capaci a procurarsela da sé, ad <strong>in</strong>vocare ed<br />

accettare la salvezza da altri, da chiunque. Né escludiamo basse passioni, spirito di<br />

vio<strong>le</strong>nza e di sopraffazione, vecchia e non mai morta faziosità, ressa di gente senza<br />

arte né parte, queste ed altre manifestazioni più o meno patologiche e fisiologiche.<br />

(:..) Ai seguaci il <strong>fascismo</strong> poco chiese da pr<strong>in</strong>cipio, <strong>in</strong> fatto di idee. Porte spalancate,<br />

attraverso cui entrò chi vol<strong>le</strong>: non escluso, fior di comunisti. Si trattava di agire,<br />

battagliare, demolire, buttare a terra l'<strong>org</strong>anizzazione dei bolscevizzanti italiani; e<br />

chiunque si sentiva chiamato ad una attività di tal genere, fu attirato e trovò<br />

accoglienza nel <strong>fascismo</strong>» (14 bis).<br />

Prudentemente, lo storico fascista evita di mettere <strong>in</strong> rilievo qua<strong>le</strong> fosse la<br />

proporzione di questi e<strong>le</strong>menti così diversi tra loro all'<strong>in</strong>terno <strong>del</strong><strong>le</strong> formazioni fasciste:<br />

la sete di ord<strong>in</strong>e e il desiderio di avventura, la ressa di gente senza arte né parte e la<br />

sete di lavoro produttivo, il patriottismo dis<strong>in</strong>teressato e <strong>le</strong> basse passioni. Su questo<br />

punto un altro scrittore fascista è stato più preciso:<br />

«Il primo squadrismo, ancora disord<strong>in</strong>atissimo e caotico, si compose di e<strong>le</strong>menti<br />

umani assai curiosi e diversi: ex-arditi, <strong>le</strong>gionari fiumani, ex-d<strong>in</strong>amitardi reduci dalla<br />

guerra, molti disoccupati di vario tipo, alcuni smarriti giovani <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali e idealisti,<br />

fior di canaglie... Sì, dico, canaglie; di quel<strong>le</strong> a cui la storia avvenire costruisce dei<br />

monumenti; banditi, come quelli che posero <strong>le</strong> prime pietre di Roma; pirati come<br />

quelli che <strong>in</strong>iziarono la Repubblica Veneta o la potenza Britannica; avventurieri, come<br />

i palad<strong>in</strong>i <strong>del</strong>l'epopea caval<strong>le</strong>resca, come certi nobili <strong>del</strong><strong>le</strong> Crociate. Sublimi canaglie<br />

che si redimevano <strong>in</strong> un pr<strong>in</strong>cipio di passione etica, <strong>in</strong> una fiamma di spirito col<strong>le</strong>ttivo,<br />

<strong>in</strong> una discipl<strong>in</strong>a anche <strong>in</strong>teriore di obbedienza e di sacrificio» (15).<br />

Non solo ogni gruppo loca<strong>le</strong> era formato da e<strong>le</strong>menti sociali eterogenei, ma procedeva<br />

per conto proprio seguendo i propri impulsi secondo la situazione loca<strong>le</strong>. Uno studioso<br />

americano, a cui si deve il miglior lavoro s<strong>in</strong> qui conosciuto sul<strong>le</strong> <strong>orig<strong>in</strong>i</strong> <strong>del</strong><br />

movimento fascista, ha osservato che '<strong>in</strong> Romagna i Fasci andavano contro il Re, a<br />

Cremona contro il Papa, nel Veneto contro gli slavi, nel Tirolo contro i tedeschi. Tutti<br />

erano contro i 'bolscevichi,' ma i `bolscevichi' potevano essere pro<strong>le</strong>tari da una parte,<br />

b<strong>org</strong>hesi da un'altra' (16).<br />

Per tenere <strong>in</strong>sieme e<strong>le</strong>menti tanto diversi giustificando la loro opera e <strong>le</strong> ragioni <strong>del</strong>la<br />

loro associazione ci vo<strong>le</strong>va una dose di abilità superiore al norma<strong>le</strong>. Una azione<br />

politica col<strong>le</strong>ttiva è possibi<strong>le</strong> soltanto quando coloro che vi prendono parte possono<br />

tenere alta la bandiera di una qualche fede comune che, anche se la loro attività trae<br />

orig<strong>in</strong>e da <strong>in</strong>teressi mesch<strong>in</strong>i, faccia appello ai loro sentimenti migliori. Poteva<br />

ragionevolmente sembrare impossibi<strong>le</strong> trovare una fede comune per una folla tanto<br />

composita. Nel 1923 un nazionalista scrisse:<br />

«Bisognava (...) attuare un programma di schietto conservatorismo senza contrastare<br />

troppo apertamente i pregiudizi demagogici che <strong>in</strong>qu<strong>in</strong>avano la coscienza politica <strong>del</strong>la<br />

nazione, andare a destra coll'apparenza di andare a s<strong>in</strong>istra, assumere <strong>le</strong> pose<br />

esteticamente demagogiche per concludere con una tesi di realistico buon senso. Si<br />

trattava <strong>in</strong>somma di compiere un capolavoro di seduzione di un popolo» (17).


Mussol<strong>in</strong>i compì questo capolavoro di seduzione. Figlio di un fabbro e di una<br />

<strong>in</strong>segnante e<strong>le</strong>mentare di un villaggio di Romagna, ed essendo stato egli stesso nella<br />

sua giov<strong>in</strong>ezza maestro e<strong>le</strong>mentare, egli apparteneva ai grad<strong>in</strong>i più bassi dei ceti<br />

medi. Possedeva qu<strong>in</strong>di una esperienza di prima mano <strong>del</strong>la mentalità di coloro che<br />

dovevano formare la massa dei suoi seguaci. Essendo stato operaio giornaliero<br />

disoccupato, aveva imparato a conoscere la mentalità dei lavoratori disoccupati<br />

vittime <strong>del</strong>la fame. Ed essendo stato un giornalista, prima di estrema s<strong>in</strong>istra, poi di<br />

estrema destra, conosceva molto bene gli uom<strong>in</strong>i più <strong>in</strong> vista dei diversi partiti politici<br />

italiani. Era dotato di una capacità di assimilazione eccezionalmente rapida, e di una<br />

viva capacità di <strong>in</strong>tuizione che gli permetteva <strong>in</strong> ogni momento di seguire i sentimenti<br />

<strong>del</strong> suo pubblico. Possedeva una particolare abilità nell'improvvisare slogans e paro<strong>le</strong><br />

d'ord<strong>in</strong>e, che erano <strong>in</strong> sé assolutamente prive di significato, ma che suonavano bene<br />

dando alla folla l'illusione di trovarsi improvvisamente chiarite <strong>le</strong> idee. A queste<br />

brillanti doti si accompagnava una assoluta <strong>in</strong>differenza mora<strong>le</strong> <strong>in</strong>torno alla scelta dei<br />

modi e dei mezzi per raggiungere i suoi f<strong>in</strong>i. Possedeva soprattutto una forte e tenace<br />

volontà di affermare se stesso, il che pare sia un requisito essenzia<strong>le</strong> per un uomo<br />

politico che voglia avere successo, sia che si tratti di un genio o di una figura di<br />

secondo piano, <strong>del</strong> più onesto degli uom<strong>in</strong>i o <strong>del</strong>l'ultimo dei farabutti. Di questa massa<br />

multiforme che andava <strong>in</strong>grossando il movimento fascista, egli era il giornalista, il<br />

propagandista e l'animatore multiforme. Mantenendosi sempre <strong>in</strong> luce, sol<strong>le</strong>vava<br />

l'entusiasmo dei più giovani con i suoi articoli quotidiani, <strong>in</strong>citando a sempre nuove<br />

mosse offensive e vantandosi autore di tutto quello che ovunque succedeva o non<br />

succedeva. Da questo coacervo privo di ogni coerenza, di formu<strong>le</strong> antibolsceviche,<br />

nazionaliste, s<strong>in</strong>dacaliste, antiparlamentari, rivoluzionarie, contrastanti tra loro, e che<br />

formavano il bagaglio <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong> suo e dei suoi seguaci, Mussol<strong>in</strong>i sapeva<br />

rapidamente, di giorno <strong>in</strong> giorno, quella formula o quel frammento di formula, col<br />

qua<strong>le</strong> contentare alcuni senza scontentare gli altri, <strong>in</strong>coraggiando alcuni senza<br />

scoraggiare i rimanenti. Egli contraddiceva oggi a quello che aveva detto ieri, si<br />

contraddiceva <strong>in</strong> uno stesso giorno sul<strong>le</strong> diverse pag<strong>in</strong>e <strong>del</strong> suo stesso giorna<strong>le</strong>, nei<br />

diversi periodi di uno stesso articolo.<br />

Tra <strong>le</strong> generazioni più giovani c'era una vera smania di affermare la propria<br />

personalità ad ogni costo contro tutti gli altri; una febbre vio<strong>le</strong>nta di quella che<br />

potrebbe chiamarsi 'abdicazione <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong>,' una avversione profonda verso<br />

qualsiasi sforzo volto ad esplorare e a rischiarare tramite la rif<strong>le</strong>ssione e la logica<br />

quella zona oscura presente nel nostro spirito e dove sono custoditi gli ist<strong>in</strong>ti più bassi<br />

<strong>del</strong>la nostra natura. Mussol<strong>in</strong>i era <strong>org</strong>oglioso di autodef<strong>in</strong>irsi antiraziona<strong>le</strong>, ist<strong>in</strong>tivo,<br />

anti<strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong>, pragmatico. Disprezzava la ragione e la logica come s<strong>in</strong>tomi di<br />

povertà Spiritua<strong>le</strong> e ragioni prime <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>debolimento <strong>del</strong>la volontà. Nel novembre <strong>del</strong><br />

1921, E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> venne <strong>in</strong> Italia per <strong>del</strong><strong>le</strong> conferenze sulla sua teoria <strong>del</strong>la relatività, e <strong>in</strong><br />

tutti i salotti si discuteva <strong>del</strong>la relatività di E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong>, senza nemmeno capire di che si<br />

trattava. Mussol<strong>in</strong>i si impadronì immediatamente di quella parola <strong>in</strong>comprensibi<strong>le</strong>, e<br />

proclamò che per parte sua aveva già scoperto e applicato nel campo <strong>del</strong>la politica il<br />

pr<strong>in</strong>cipio <strong>del</strong>la relatività prima che E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> lo scoprisse e lo applicasse nel campo <strong>del</strong>la<br />

scienza.<br />

«Il <strong>fascismo</strong> è stato un movimento super-relativista perché non ha mai cercato di<br />

dare una veste def<strong>in</strong>itiva 'programmatica' ai suoi comp<strong>le</strong>ssi e potenti stati d'animo,<br />

ma ha proceduto per <strong>in</strong>tuizioni e frammenti. (...) L'aver tolto dagli altri partiti ciò che<br />

ci piace e ci giova e l'aver resp<strong>in</strong>to quello che non ci garba e ci nuoce (.) costituiscono<br />

altrettante documentazioni <strong>del</strong>la nostra mentalità relativistica» (18).<br />

I mercenari che formavano <strong>le</strong> fi<strong>le</strong> <strong>del</strong> movimento non avvertivano la necessità di una<br />

dottr<strong>in</strong>a politica logicamente articolata: essi avevano di fronte a sé un compito


vantaggioso ed immediato: abbattere ogni forma di resistenza e riscuotere un salario<br />

per ta<strong>le</strong> onorevo<strong>le</strong> comportamento. Ai giovani <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali a cui stavano a cuore gli<br />

ideali, Mussoli offriva i fuochi d'artificio s<strong>in</strong>dacalisti. Molta gente non lo avrebbe mai<br />

seguito se si fossero resi conto che essi agivano <strong>in</strong> favore di <strong>in</strong>teressi egoistici e<br />

reazionari; ma Mussol<strong>in</strong>i si faceva giuoco di loro, facendoli credere che quanto<br />

stavano realizzando era una nuova e più nobi<strong>le</strong> forma di civiltà. Agli <strong>in</strong>dustriali, ai<br />

proprietari terrieri, ai banchieri e ai commercianti, che non percepivano salari ma<br />

piuttosto sborsavano loro stessi denaro, e che non si sarebbero contentati di fuochi<br />

d'artificio, egli offriva <strong>le</strong> spedizioni punitive, <strong>le</strong> devastazioni <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni<br />

operaie, l'uccisione e la messa al bando degli <strong>org</strong>anizzatori. Con i repubblicani, si<br />

dichiarava egli stesso repubblicano <strong>in</strong> potenza. Con gli ufficiali <strong>del</strong>l'esercito e con i<br />

generali sediziosi che davano credito al movimento, prometteva che sarebbe<br />

diventato monarchico non appena il Re fosse diventato più monarchico.<br />

Uno dei suoi giuochi verbali più riusciti - e che era dest<strong>in</strong>ato ad avere <strong>in</strong> Italia e fuori<br />

d'Italia un brillante futuro - fu quello di dare il nome magico di 'rivoluzione' al<br />

movimento di vio<strong>le</strong>nza il<strong>le</strong>ga<strong>le</strong> condotto dai suoi seguaci con la connivenza <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

autorità militari, <strong>del</strong>la magistratura e <strong>del</strong>la polizia. Quando la vio<strong>le</strong>nza il<strong>le</strong>ga<strong>le</strong> è<br />

adoperata dal<strong>le</strong> forze <strong>del</strong> governo regolare contro <strong>in</strong>dividui od <strong>org</strong>anizzazioni che sono<br />

fuori <strong>del</strong> governo, ta<strong>le</strong> il<strong>le</strong>galismo non è 'rivoluzione,' è 'terrorismo.' Mussol<strong>in</strong>i riuscì a<br />

meraviglia a capovolgere ogni nozione così bene che ci furono persone che non<br />

sospettarono mai che sotto una cort<strong>in</strong>a di paro<strong>le</strong> 'rivoluzionarie' si andava compiendo<br />

una impresa <strong>del</strong> capitalismo e <strong>del</strong> militarismo (19). Egli era solito dire: 'Più c'è<br />

confusione e meglio è (20) Def<strong>in</strong>endo come una 'rivoluzione,' o una 'grande<br />

rivoluzione,' o meglio ancora la 'più grande rivoluzione <strong>del</strong>la storia,' il movimento<br />

fascista, egli si andava creando la più abi<strong>le</strong> <strong>del</strong><strong>le</strong> giustificazioni a sua difesa contro<br />

l'accusa di <strong>in</strong>congruenza e opportunismo. Egli si metteva <strong>in</strong> grado di sostenere di<br />

essere sempre stato un rivoluzionario, senza soluzione di cont<strong>in</strong>uità, dal<strong>le</strong> sue<br />

giovanili scappate <strong>in</strong> Romagna e <strong>in</strong> Svizzera s<strong>in</strong>o al vertice <strong>del</strong> potere. E se i suoi<br />

seguaci saccheggiavano, bruciavano, uccidevano, ciò accadeva perché essi andavano<br />

compiendo una 'rivoluzione.' Perf<strong>in</strong>o un ammiratore di S. Francesco d'Assisi, qua<strong>le</strong> G.<br />

K. Chesterton, condivise l'op<strong>in</strong>ione che 'gli <strong>in</strong>scusabili atti di vio<strong>le</strong>nza' <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong><br />

dovessero essere giudicati da un diverso punto di vista che non quello di una norma<strong>le</strong><br />

moralità, e concluse affermando che 'è tanto giusto quanto faci<strong>le</strong> e, <strong>in</strong> un certo senso,<br />

altrettanto giusto def<strong>in</strong>ire Michael Coll<strong>in</strong>s un assass<strong>in</strong>o quanto def<strong>in</strong>ire Mussol<strong>in</strong>i un<br />

assass<strong>in</strong>o' (21), Mettere sullo stesso piano 'rivoluzionario' Michael Coll<strong>in</strong>s, che non ha<br />

mai ricevuto l'appoggio <strong>del</strong>la polizia, <strong>del</strong>la magistratura, o <strong>del</strong>l'esercito di Inghilterra,<br />

Scozia o Irlanda, e Mussol<strong>in</strong>i che <strong>in</strong> Italia è stato sostenuto proprio da queste forze,<br />

richiede uno sforzo di buona volontà abbastanza ecceziona<strong>le</strong>. Basandosi sul fatto che<br />

il <strong>fascismo</strong> non fu 'terrorismo' ma 'rivoluzione,' era faci<strong>le</strong> arrivare a scoprire che tutte<br />

<strong>le</strong> azioni di vio<strong>le</strong>nza fasciste erano <strong>le</strong>gittime. 'Di fatto - scrive un propagandista<br />

<strong>in</strong>g<strong>le</strong>se - ci troviamo di fronte a una rivoluzione che per molti aspetti è di importanza<br />

non meno fondamenta<strong>le</strong> <strong>del</strong>la rivoluzione francese e di quella russa.( ...)<br />

Sfortunatamente, è <strong>in</strong>evitabi<strong>le</strong> che gli eccessi si accompagn<strong>in</strong>o a ciascuna di queste<br />

grandi rivoluzioni.<br />

Ogni persona ragionevo<strong>le</strong> li considererà perciò per quello che sono' (22).<br />

I mistici cristiani risolvono tutte <strong>le</strong> <strong>in</strong>congruenze <strong>del</strong> loro pensiero <strong>in</strong> un atto di amore<br />

soprannatura<strong>le</strong> <strong>in</strong> cui spariscono tutte <strong>le</strong> contraddizioni. Mussol<strong>in</strong>i risolse tutte <strong>le</strong><br />

contraddizioni nella magica parola 'rivoluzione.' Coloro che credono nella 'rivoluzione'<br />

devono vivere pericolosamente, sfidare la vita, osare o morire. L'azione per la vittoria<br />

<strong>del</strong>la 'rivoluzione' non ha bisogno di essere giustificata né da rego<strong>le</strong> logiche né da<br />

pr<strong>in</strong>cipi morali. Ai giovani Mussol<strong>in</strong>i offrì l'idea che soltanto lui e il suo partito<br />

operassero per la 'rivoluzione,' mentre tutti gli altri partiti tradivano la 'rivoluzione.'<br />

Per questi giovani egli fu il <strong>le</strong>ader, il 'duce,' il 'salvatore,' l'<strong>in</strong>viato da Dio,' l'uomo <strong>del</strong>


dest<strong>in</strong>o.' Egli condusse una buona parte dei giovani italiani a uno stato di eccitazione<br />

frenetica.<br />

Lo storico futuro che cercherà di richiamare <strong>in</strong> vita nel<strong>le</strong> sue pag<strong>in</strong>e gli uom<strong>in</strong>i e gli<br />

eventi <strong>del</strong>la 'rivoluzione fascista <strong>in</strong> Italia,' e che ne saprà più di quanto non ne<br />

sappiamo noi, perché un altro secolo di ricerche si sarà aggiunto alla nostra<br />

documentazione, arriverà probabilmente a concludere la sua narrazione sul<strong>le</strong> <strong>orig<strong>in</strong>i</strong> e<br />

sui primi sviluppi <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> affermando semplicemente: non fu Mussol<strong>in</strong>i il creatore<br />

<strong>del</strong> movimento fascista, ma egli fu il vero e concreto creatore <strong>del</strong> mito e <strong>del</strong><br />

misticismo fascista.


CAPITOLO VENTIDUESIMO.<br />

IL PARTITO POPOLARE E IL VATICANO.<br />

Nel corso <strong>del</strong> 1919 e <strong>del</strong> 1920, i popolari furono <strong>in</strong> modo compatto antifascisti e<br />

antisocialisti. Non avrebbe potuto essere altrimenti, dato l'atteggiamento antireligioso<br />

sia dei fascisti che dei socialisti. Inoltre, per quanto riguarda questi ultimi, c'era una<br />

viva concorrenza nel<strong>le</strong> attività s<strong>in</strong>dacali, concorrenza che, come già sappiamo,<br />

assumeva spesso forme di estrema vio<strong>le</strong>nza. Questa concorrenza era bene accetta dai<br />

c<strong>le</strong>rical-conservatori, <strong>in</strong> quanto impediva ai socialisti di ottenere un monopolio<br />

<strong>in</strong>contrastato <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni operaie. Ma i sentimenti dei c<strong>le</strong>rical-conservatori<br />

mutavano <strong>del</strong> tutto quando i s<strong>in</strong>dacati popolari chiedevano più alti salari, scendevano<br />

<strong>in</strong> sciopero, e davano prova di una ta<strong>le</strong> mancanza di rispetto per il diritto di proprietà,<br />

qua<strong>le</strong> avrebbe fatto <strong>in</strong><strong>org</strong>oglire gli stessi socialisti. Al contrario, la massa dei popolari<br />

sarebbe stata ben disposta a collaborare con la destra socialista, non appena questa<br />

avesse ottenuto il sopravvento sopra i massimalisti e gli estremisti. I c<strong>le</strong>ricalconservatori<br />

erano assai preoccupati di questo pericolo. Essi sopportavano Don Sturzo<br />

e la sua democrazia come chi si <strong>in</strong>ietta la rabbia o il tetano a picco<strong>le</strong> dosi, per<br />

prevenire forme più vio<strong>le</strong>nte di rabbia o di tetano.<br />

S<strong>in</strong>o all'estate <strong>del</strong> 1920 Papa Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo, il suo segretario di stato,<br />

card<strong>in</strong>al Gasparri, e i vescovi, ignorarono <strong>le</strong> attività <strong>del</strong> partito popolare. La teoria<br />

ufficia<strong>le</strong> era che, essendo il partito popolare autonomo dal<strong>le</strong> autorità ecc<strong>le</strong>siastiche,<br />

quest'ultime gli lasciavano piena libertà e responsabilità. I primi s<strong>in</strong>tomi di malumore<br />

da parte <strong>del</strong><strong>le</strong> alte autorità ecc<strong>le</strong>siastiche si manifestarono nell'estate <strong>del</strong> 1920, cioè<br />

tra la rivolta militare di Ancona e l'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche, quando sembrò<br />

veramente che l'Italia fosse sull'orlo di una rivoluzione socia<strong>le</strong>. Il 6 agosto <strong>del</strong> 1920, il<br />

card<strong>in</strong>al Boggiani, arcivescovo di Genova, diramò una <strong>le</strong>ttera pastora<strong>le</strong> al c<strong>le</strong>ro <strong>del</strong>la<br />

sua diocesi, <strong>in</strong> cui proibiva al<strong>le</strong> associazioni riconosciute come cattoliche dal<strong>le</strong> autorità<br />

ecc<strong>le</strong>siastiche (confer cap. ottavo, [pag. 142 <strong>del</strong> libro cartaceo]) di unirsi al partito<br />

popolare. Questo partito non ha niente a che fare con l'Azione cattolica. I suoi<br />

deputati, non solo non hanno nessun mandato da parte dei cattolici, ma 'neppure<br />

hanno ancora dimostrato di possedere la capacità adeguata per poterlo<br />

<strong>le</strong>gittimamente e fruttuosamente assolvere' (1).<br />

Lo scontento sol<strong>le</strong>vato da questa <strong>le</strong>ttera fu talmente forte tra i popolari di Genova,<br />

che Papa Benedetto qu<strong>in</strong>dicesimo, sebbene approvasse il modo di pensare <strong>del</strong><br />

card<strong>in</strong>al Boggiani, <strong>in</strong> una <strong>le</strong>ttera che per il momento rimase confidenzia<strong>le</strong> lo richiamò<br />

a Roma, nom<strong>in</strong>ando un successore meno imprudente.<br />

Doveva presto apparire chiaro che il card<strong>in</strong>al Boggiani non era solo. Nel settembre <strong>del</strong><br />

1920, durante <strong>le</strong> settimane di occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche, com<strong>in</strong>ciarono ad aver<br />

luogo <strong>in</strong> tutta Italia <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni amm<strong>in</strong>istrative. A differenza di quel<strong>le</strong> politiche, tali<br />

e<strong>le</strong>zioni non si svolgevano col sistema proporziona<strong>le</strong>, ma la lista che riceveva il<br />

massimo dei voti otteneva i quattro qu<strong>in</strong>ti dei seggi; la lista che otteneva il secondo<br />

posto nel<strong>le</strong> votazioni otteneva un qu<strong>in</strong>to dei seggi; <strong>le</strong> altre liste non ottenevano<br />

niente. Ovunque sorsero 'blocchi nazionali' o '<strong>le</strong>ghe antibolsceviche,' con l'<strong>in</strong>tento di<br />

opporsi ai candidati socialisti, e ovunque tali coalizioni chiesero ai popolari di unirsi ad<br />

esse. Fe<strong>del</strong>i alla volontà <strong>del</strong>la massa <strong>del</strong> partito, Don Sturzo e l'esecutivo naziona<strong>le</strong><br />

decisero che il partito non si sarebbe <strong>in</strong> nessun luogo al<strong>le</strong>ato con nessun altro partito.<br />

Si <strong>le</strong>varono alte proteste non soltanto dal<strong>le</strong> '<strong>le</strong>ghe antibolsceviche': il 26 settembre <strong>del</strong><br />

1920, diversi giornali di Roma annunciarono che il card<strong>in</strong>al Pompilj, vescovo di<br />

Vel<strong>le</strong>tri, aveva <strong>in</strong>viato una <strong>le</strong>ttera per <strong>in</strong>formare il 'blocco' che Papa Benedetto<br />

Qu<strong>in</strong>dicesimo non approvava '<strong>le</strong> mosse e la tattica e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito popolare<br />

italiano' 82). Il giorno seguente il "Corriere Italiano", portavoce romano <strong>del</strong> partito


popolare, affermava che la <strong>le</strong>ttera era falsa. Ma il 28 settembre un altro prelato, il<br />

card<strong>in</strong>al Pignatelli, vescovo di Albano, <strong>in</strong>tervenne nella questione, e <strong>in</strong> una <strong>in</strong>tervista<br />

alla "Tribuna", pur negando che esistesse una circolare <strong>del</strong> Vaticano <strong>in</strong> merito al<strong>le</strong><br />

e<strong>le</strong>zioni, biasimò la tattica <strong>del</strong> partito popolare, annunciando che il card<strong>in</strong>al Pompilj<br />

era <strong>del</strong>la stessa op<strong>in</strong>ione, e aggiungendo: 'Non credo che si sia lontani dal vero<br />

credendo che questo sia anche il pensiero <strong>del</strong> Vaticano, contrario a quello <strong>del</strong>la<br />

direzione <strong>del</strong> P.P' (3). Qu<strong>in</strong>di, anche se la <strong>le</strong>ttera <strong>del</strong> card<strong>in</strong>al Pompilj poteva essere<br />

stato un falso, il suo pensiero non era stato falsato <strong>del</strong> tutto. Subito dopo, la<br />

"Settimana Socia<strong>le</strong>", portavoce ufficia<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'Unione popolare, che ufficialmente<br />

dipendeva dalla Santa Sede, entrò <strong>in</strong> lizza. Secondo ta<strong>le</strong> giorna<strong>le</strong>, la <strong>in</strong>transigenza era<br />

pienamente spiegabi<strong>le</strong> quando <strong>le</strong> al<strong>le</strong>anze fossero per riuscire dannose od <strong>in</strong>utili;<br />

meritasse <strong>in</strong>vece 'prudenti quanto dignitose eccezioni allorché <strong>le</strong> <strong>in</strong>tese risultassero<br />

mezzo unico e necessario ad impedire il trionfo di programmi contrari sì ai pr<strong>in</strong>cipi<br />

religiosi come all'ord<strong>in</strong>e socia<strong>le</strong>' (4). Il 27-28 settembre 1920, l'"Osservatore Romano"<br />

<strong>in</strong>terpretava <strong>le</strong> paro<strong>le</strong> <strong>del</strong> suo confratello come un 'consiglio ai cattolici di preoccuparsi<br />

tempestivamente e seriamente di situazioni che, per comp<strong>le</strong>ssi prob<strong>le</strong>mi morali e<br />

religiosi, non possono essere considerate ed affrontate con esclusivi concetti politici e<br />

tattici.' Il giorna<strong>le</strong> term<strong>in</strong>ava <strong>in</strong>vitando la direzione naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito popolare 'ad<br />

uno spassionato, quanto libero esame di alcune specialissime condizioni locali'; essi<br />

dovevano rammentare che 'di fronte ad <strong>in</strong>teressi, religiosi e civili, quelli politici e<br />

particolari di un partito debbono, specie <strong>in</strong> momenti di ecceziona<strong>le</strong> gravità, ed <strong>in</strong> casi<br />

di riconosciuta ed uti<strong>le</strong> efficacia, non tanto sacrificarsi, ma cercare di coord<strong>in</strong>arvisi.'<br />

A partire da questo momento, i c<strong>le</strong>rical-conservatori potevano sostenere che se essi si<br />

ribellavano contro il partito popolare, ciò era <strong>in</strong> obbedienza 'ad <strong>in</strong>teressi superiori,<br />

religiosi e civili,' secondo il consiglio dato dal Vaticano. In grandi centri urbani, <strong>in</strong> cui<br />

per trent'anni i c<strong>le</strong>ricali erano stati al<strong>le</strong>ati coi conservatori nel<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni<br />

amm<strong>in</strong>istrative, <strong>le</strong> ribellioni e <strong>le</strong> m<strong>in</strong>acce di ribellione furono talmente forti che Don<br />

Sturzo e la direzione <strong>del</strong> partito non osarono affrontare la tempesta, e annunciarono<br />

che erano disposti a permettere al<strong>le</strong>anze 'antibolsceviche' dovunque fosse evidente lo<br />

stato di necessità. A Roma non fu permessa al<strong>le</strong>anza, e il partito presentò una propria<br />

lista. A Tor<strong>in</strong>o Don Sturzo permise che <strong>le</strong> locali sezioni <strong>del</strong> partito partecipassero ad<br />

una al<strong>le</strong>anza 'antibolscevica.' A Ferrara, Modena, Venezia, Padova, Brescia, chiuse gli<br />

occhi e lasciò che i popolari entrassero nei blocchi 'antibolscevichi' (5). Quanto a<br />

Milano, Don Sturzo consigliò i popolari all'astensione, ma i c<strong>le</strong>rical-conservatori non<br />

obbedirono. Il quotidiano cattolico "Italia", il 3 novembre 1920, e un deputato iscritto<br />

al partito popolare, Nava, <strong>in</strong>vitarono i cattolici a votare per la lista 'antibolscevica.' Il 5<br />

novembre 1920, il giorna<strong>le</strong> "La Perseveranza" annunciò che 'una altissima personalità<br />

ecc<strong>le</strong>siastica,' <strong>in</strong> cui tutti riconobbero il card<strong>in</strong>al Ferrari, arcivescovo di Milano, <strong>in</strong>vitava<br />

'quanti hanno a cuore il vero bene <strong>del</strong>la città,' a votare per la coalizione antisocialista<br />

(6). Nel<strong>le</strong> città più picco<strong>le</strong> e nel<strong>le</strong> campagne, i conservatori e l'alto c<strong>le</strong>ro non ebbero<br />

successo. Le masse rimasero compatte dietro a Don Sturzo.<br />

Quando alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1920 i fascisti com<strong>in</strong>ciarono a distruggere <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni<br />

socialiste, gli e<strong>le</strong>menti conservatori <strong>del</strong> partito popolare si schierarono con tutto il<br />

cuore dalla parte dei fascisti (7). Tra <strong>le</strong> masse vi fu un <strong>in</strong>izia<strong>le</strong> sbandamento. Dove i<br />

socialisti avevano <strong>in</strong>staurato un proprio monopolio mostrando di vo<strong>le</strong>r opprimere i<br />

popolari, questi ultimi considerarono l'offensiva fascista contro i socialisti come una<br />

liberazione. Ma non appena i fascisti <strong>in</strong>iziarono lo smantellamento <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni<br />

popolari, la massa <strong>del</strong> partito, pur senza associarsi ai socialisti, divenne <strong>in</strong>teramente<br />

contraria a fascisti. Don Sturzo, ora come sempre, era con la massa <strong>del</strong> partito.<br />

E a questo punto, nel suo primo discorso parlamentare il 21 giugno 1921, con grande<br />

sorpresa di tutti coloro che conoscevano il suo passato antireligioso, Mussol<strong>in</strong>i offrì<br />

l'al<strong>le</strong>anza dei fascisti non solo ai socialisti, ma anche ai popolari. E ancor più egli<br />

affermò la necessità di risolvere la questione romana..


«Vi è un prob<strong>le</strong>ma che trascende questi prob<strong>le</strong>mi cont<strong>in</strong>genti (...), ed è il prob<strong>le</strong>ma<br />

storico dei rapporti che possono <strong>in</strong>tercedere (...) fra l'Italia e il Vaticano. (...) Affermo<br />

qui che la tradizione lat<strong>in</strong>a e imperia<strong>le</strong> di Roma oggi è rappresentata dal cattolicismo.<br />

(...) Affermo che l'unica idea universa<strong>le</strong> che oggi esista a Roma è quella che si irradia<br />

dal Vaticano. (...) Penso che se il Vaticano r<strong>in</strong>unzia def<strong>in</strong>itivamente ai suoi sogni<br />

temporalistici - e credo che sia già su questa strada - l'Italia profana o laica, dovrebbe<br />

fornire al Vaticano gli aiuti materiali, <strong>le</strong> agevolazioni materiali per scuo<strong>le</strong>, chiese,<br />

ospedali o altro, che una potenza profana ha a sua disposizione. Perché lo sviluppo<br />

<strong>del</strong> cattolicismo nel mondo (...) è di un <strong>in</strong>teresse e di un <strong>org</strong>oglio anche per noi che<br />

siamo italiani.»<br />

L'<strong>in</strong>vito non venne raccolto. La coscienza mora<strong>le</strong> <strong>del</strong> 'popolo m<strong>in</strong>uto' <strong>org</strong>anizzato nel<br />

partito popolare era stata offesa dalla cru<strong>del</strong>tà <strong>del</strong>la guerra civi<strong>le</strong>. Anche se fosse<br />

stato un altro uomo e si fosse arreso al<strong>le</strong> pressioni di Mussol<strong>in</strong>i, Don Sturzo sarebbe<br />

stato seguito soltanto da una piccola m<strong>in</strong>oranza <strong>del</strong> suo partito. D'altra parte la<br />

tenerezza di Mussol<strong>in</strong>i nei confronti <strong>del</strong> Vaticano era talmente <strong>in</strong>aspettata che nessuno<br />

se ne fidò. Nell'agosto <strong>del</strong> 1921, Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo condannò pubblicamente '<strong>le</strong><br />

spedizioni cru<strong>del</strong>i, perpetrate da mali <strong>in</strong>tenzionati' <strong>in</strong> Istria, contro il c<strong>le</strong>ro di l<strong>in</strong>gua<br />

slava. 'Sacerdoti non di altro colpevoli che di essere <strong>del</strong>la stessa nazionalità e<br />

<strong>del</strong>l'idioma dei fe<strong>del</strong>i (...) sono vittime di atrocità sangu<strong>in</strong>ose e contumelie di ogni<br />

specie.' Il papa deplorava anche che '<strong>le</strong> scel<strong>le</strong>ratezze accennate si compiono<br />

impunemente' (8).<br />

Lungi dal scendere a patti con i fascisti, nell'estate <strong>del</strong> 1921 diversi gruppi <strong>del</strong> partito<br />

popolare com<strong>in</strong>ciarono a discutere pubblicamente se non fosse opportuno al<strong>le</strong>arsi con<br />

i socialisti per formare un gab<strong>in</strong>etto che disarmasse i fascisti e ponesse f<strong>in</strong>e alla<br />

guerra civi<strong>le</strong>. Il 13 settembre <strong>del</strong> 1921, il settimana<strong>le</strong> "Il Popolo Nuovo", <strong>org</strong>ano<br />

ufficia<strong>le</strong> <strong>del</strong>la direzione <strong>del</strong> partito popolare, controllato da Don Sturzo, rese noti i<br />

term<strong>in</strong>i che i socialisti avrebbero dovuto accettare per rendere possibi<strong>le</strong> un'al<strong>le</strong>anza.<br />

Essi erano 'la libertà e il rispetto <strong>del</strong>la coscienza cristiana,' specificare un programma<br />

ragionevo<strong>le</strong> di immediate riforme f<strong>in</strong>anziarie ed economiche, e garantire al<strong>le</strong><br />

<strong>org</strong>anizzazioni popolari diritti uguali a quel<strong>le</strong> socialiste. Commentando tali<br />

affermazioni, la "Tribuna" così diceva: 'Per la prima volta ed esso per primo, il partito<br />

popolare formula al partito socialista una base concreta di <strong>in</strong>tesa e di attività comune '<br />

(9).<br />

Il prob<strong>le</strong>ma venne discusso al congresso naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito che si tenne a Venezia<br />

dal 20 al 23 ottobre <strong>del</strong> 1921. I c<strong>le</strong>rical-conservatori, sentendosi <strong>in</strong> m<strong>in</strong>oranza, non<br />

osarono proporre al partito di al<strong>le</strong>arsi con i fascisti e con i gruppi conservatori non<br />

cattolici; si limitarono a richiedere che ta<strong>le</strong> al<strong>le</strong>anza non fosse vietata. I democratici,<br />

che rappresentavano la stragrande maggioranza, accettarono di non escludere <strong>in</strong><br />

modo assoluto una al<strong>le</strong>anza con <strong>le</strong> destre; ma la dichiarazione votata dal congresso<br />

offriva un'al<strong>le</strong>anza ai socialisti, qualora questi considerassero 'travolte dalla realtà <strong>le</strong><br />

illusioni apocalittiche di un governo o di una dittatura di classe,' e accettassero 'una<br />

politica di realizzazioni e di dirette responsabilità, contraddicendo alla <strong>in</strong>transigenza<br />

collaborazionista, ultimo tentativo di sequestrarsi dalla comp<strong>le</strong>ssa, <strong>org</strong>anica vita<br />

col<strong>le</strong>ttiva' (10).<br />

Se i socialisti avessero accettato questa offerta, un anno prima <strong>del</strong>la marcia su Roma<br />

sarebbe sorto un governo solido, sostenuto <strong>in</strong> Parlamento da una forte maggioranza,<br />

il qua<strong>le</strong> forse avrebbe ristabilito la pace pubblica <strong>in</strong> Italia e salvato dalla rov<strong>in</strong>a <strong>le</strong><br />

istituzioni parlamentari. Ma i massimalisti erano drogati dal<strong>le</strong> formu<strong>le</strong> marxiste, e i<br />

socialisti di destra erano <strong>in</strong>decisi e timorosi di assumersi <strong>le</strong> responsabilità <strong>del</strong> governo.<br />

Di conseguenza, quando i c<strong>le</strong>rical-conservatori sostenevano una al<strong>le</strong>anza tra il partito<br />

popolare e i partiti conservatori non cattolici r<strong>in</strong>forzati dai fascisti, essi avevano il


vantaggio di sostenere una politica possibi<strong>le</strong>; mentre i popolari, paralizzati dalla cecità<br />

dei massimalisti e dalla <strong>in</strong>decisione dei socialisti di destra, non avevano nessuna<br />

possibilità per una azione positiva.<br />

In aiuto ai c<strong>le</strong>rical-conservatori venne l'"Osservatore Romano" con un articolo <strong>del</strong> 1<br />

gennaio 1922. Il giorna<strong>le</strong> ufficia<strong>le</strong> <strong>del</strong> Vaticano lamentava che attualmente 'l'azione<br />

schiettamente e apertamente cattolica è meno sentita da uom<strong>in</strong>i politici, da<br />

<strong>org</strong>anizzatori e da scrittori.' Poi <strong>in</strong>tervenne il "Cittad<strong>in</strong>o", di Brescia, attaccando il<br />

partito popolare e <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni che da esso dipendevano, <strong>in</strong> quanto non ponevano<br />

al primo posto l'azione cattolica, ma 'una politica meno sana' (11). Terzo venne<br />

"L'Avvenire d'Italia", di Bologna. Già da un anno esso sosteneva l'al<strong>le</strong>anza tra il<br />

partito popolare e i fascisti; <strong>in</strong>oltre, denunciava il pericolo che grosse <strong>org</strong>anizzazioni<br />

(cioè, i s<strong>in</strong>dacati dipendenti dal partito popolare) potessero far passare <strong>in</strong> secondo<br />

piano 'quella forza unificatrice che sola si trova nell'Azione cattolica' (12). L'"Unità<br />

Cattolica" di Firenze a sua volta com<strong>in</strong>ciò a chiedere con fervido zelo che i cattolici<br />

ritornassero al<strong>le</strong> loro 'tradizioni gloriose.' I c<strong>le</strong>rical-conservatori non osavano accusare<br />

i popolari di essere democratici, perciò muovevano contro di essi l'<strong>in</strong>s<strong>in</strong>uazione che<br />

non fossero abbastanza cattolici. Speravano così di provocare lo smarrimento nel<strong>le</strong><br />

masse.<br />

Senza dubbio la campagna dei giornali C<strong>le</strong>rical-conservatori nel gennaio 1922 fu<br />

voluta dal Vaticano. Ne è prova l'articolo <strong>del</strong>l'"Osservatore Romano". Articoli su<br />

questioni di quel genere non vengono mai pubblicati dall'"Osservatore" se prima non<br />

sono stati approvati dalla segreteria di stato.<br />

Per comprendere l'atteggiamento <strong>del</strong> Vaticano va tenuto presente che la Santa Sede<br />

attraversava gravi difficoltà f<strong>in</strong>anziarie. Già al tempo di Pio Nono, l'obolo di Pietro<br />

bastava appena a coprire <strong>le</strong> necessità <strong>del</strong> Vaticano. Leone Tredicesimo si guadagnò la<br />

reputazione di avaro, riducendo <strong>le</strong> spese <strong>in</strong>f<strong>le</strong>ssibilmente. Per aumentare <strong>le</strong> sue<br />

risorse, si avviò <strong>in</strong> una serie di speculazioni edilizie <strong>in</strong> Roma, cercando cioè di fare<br />

quattr<strong>in</strong>i approfittando <strong>del</strong> fatto che come capita<strong>le</strong> d'Italia la città si andava<br />

sviluppando, e questo mentre al tempo stesso protestava che Roma non doveva<br />

essere la capita<strong>le</strong> d'Italia. La tragica crisi dei beni immobili <strong>del</strong> 1887 si portò via gran<br />

parte dei suoi risparmi. Pio Decimo dovette vivere giorno per giorno. Per far fronte<br />

al<strong>le</strong> spese più essenziali, vendeva tutti i beni di valore che riceveva <strong>in</strong> dono dai suoi<br />

devoti. Durante la guerra, sotto Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo, i cattolici di Francia e di<br />

Belgio dovettero ridurre <strong>in</strong> modo drastico i loro contributi all'obolo di Pietro, non solo<br />

perché impoveriti dalla guerra, ma soprattutto perché scontenti <strong>del</strong>la politica di<br />

Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo e <strong>del</strong> card<strong>in</strong>al Gasparri. In seguito alla rivoluzione bolscevica,<br />

<strong>le</strong> corporazioni religiose francesi, che avevano <strong>in</strong>vestito <strong>in</strong> Russia enormi capitali,<br />

avevano perduto tutto, e non soltanto non potevano più contribuire al mantenimento<br />

<strong>del</strong>la Santa Sede, ma avevano bisogno esse stesse di essere aiutate da questa. Alla<br />

f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la guerra anche i buoni <strong>del</strong> tesoro austriaci furono ridotti a zero, mentre nel<br />

1915 il card<strong>in</strong>al Gasparri aveva ceduto parte dei titoli italiani posseduti dalla Santa<br />

Sede per acquistare titoli austriaci(13). La spaventosa crisi economica che a partire<br />

dal 1919 sconvolse l'Austria e la Germania privò il Vaticano dei contributi dei tedeschi<br />

cattolici, mentre francesi e belgi cont<strong>in</strong>uavano a non contribuire. Per la maggior parte<br />

il Vaticano visse nel periodo <strong>del</strong> dopoguerra dei contributi <strong>del</strong> Nord e Sud-America, ma<br />

tali entrate non coprivano tutte <strong>le</strong> spese. Qualche volta Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo era<br />

costretto a e<strong>le</strong>mos<strong>in</strong>are dai suoi visitatori: alla moglie di un grosso <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong><br />

piemontese chiese un milione (14). Ad aumentare <strong>le</strong> preoccupazioni <strong>del</strong> Vaticano,<br />

Giolitti nel settembre <strong>del</strong> 1920 fece approvare dal Parlamento una <strong>le</strong>gge che<br />

obbligava i possessori di titoli pubblici o privati a registrarli sotto il loro nome, <strong>in</strong><br />

modo da non evadere <strong>le</strong> tasse di successione e quel<strong>le</strong> dirette. Ta<strong>le</strong> sistema era già <strong>in</strong><br />

funzione <strong>in</strong> Inghilterra. Ma il Vaticano e <strong>le</strong> corporazioni religiose furono terrorizzati. Se<br />

avessero dovuto registrare i loro titoli sotto il nome di un possessore, avrebbero


dovuto affidare i loro capitali a persone che di regola erano assai <strong>in</strong> là con gli anni; di<br />

conseguenza avrebbero dovuto pagare molto spesso <strong>le</strong> tasse di successione, assai<br />

e<strong>le</strong>vate, ed entro pochi anni esse avrebbero divorato tutto il capita<strong>le</strong> (15). Come se<br />

questi guai non fossero abbastanza, il Banco di Roma, a cui il Vaticano e molti istituti<br />

cattolici avevano affidato buona parte <strong>del</strong> loro denaro, era stato diretto talmente ma<strong>le</strong><br />

che era sull'orlo <strong>del</strong> fallimento.<br />

In tali circostanze, il Vaticano era ansioso e i c<strong>le</strong>rical-conservatori <strong>in</strong>sistevano che il<br />

partito popolare si al<strong>le</strong>asse con i gruppi conservatori e filo-fascisti, che erano disposti<br />

a pagare ta<strong>le</strong> al<strong>le</strong>anza abrogando la nom<strong>in</strong>atività dei titoli e salvando il Banco di<br />

Roma. La massa <strong>del</strong> partito popolare ignorava tali faccende, rifiutandosi di al<strong>le</strong>arsi coi<br />

fascisti. Ecco perché il partito popolare era <strong>in</strong> disgrazia con il card<strong>in</strong>al Gasparri.<br />

La campagna giornalistica <strong>del</strong> gennaio 1922 non fu condotta contro la volontà di<br />

Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo. Le preoccupazioni f<strong>in</strong>anziarie dovevano turbarlo non meno<br />

<strong>del</strong> suo segretario di stato. Inoltre una al<strong>le</strong>anza tra i cattolici italiani e i socialisti<br />

significava troppo un salto nel buio. Leone Tredicesimo con l'enciclica Rerum Novarum<br />

(1891) aveva <strong>in</strong>coraggiato il movimento democratico cristiano, e poi con l'enciclica<br />

Graves de Communi (1902) vi aveva posto un freno. Ma non ha senso argomentare<br />

su quanto avrebbe fatto Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo se fosse vissuto. Il fatto è che egli<br />

morì il 22 gennaio 1922, e gli succedette il card<strong>in</strong>a<strong>le</strong> Achil<strong>le</strong> Ratti, arcivescovo di<br />

Milano, che prese il nome di Pio Undicesimo.<br />

Il padre di Achil<strong>le</strong> Ratti era stato un capo operaio <strong>in</strong> una fabbrica di seta <strong>in</strong> Lombardia.<br />

Achil<strong>le</strong> Ratti, da giovane, era stato precettore a Bologna e a Milano <strong>in</strong> famiglie nobili.<br />

Come papa, egli conferì il titolo di conte al fratello, che si era arricchito durante la<br />

guerra (16).b e ce<strong>le</strong>brò con molta pompa <strong>in</strong> Vaticano il matrimonio <strong>del</strong>la nipote, come<br />

se si fosse trattato di una pr<strong>in</strong>cipessa di sangue imperia<strong>le</strong>. Pio Decimo, che proveniva<br />

anch'egli da umili <strong>orig<strong>in</strong>i</strong>, non permise mai che i suoi parenti abbandonassero la<br />

condizione socia<strong>le</strong> <strong>in</strong> cui erano nati.<br />

Pio Undicesimo proveniva da quella parte di c<strong>le</strong>ro che aveva sempre desiderato <strong>in</strong><br />

Italia una conciliazione tra Stato e Chiesa, che opponesse alla marea crescente <strong>del</strong><br />

socialismo la resistenza compatta di tutti gli e<strong>le</strong>menti conservatori, fossero questi<br />

cattolici o 'liberali.' Nell'estate <strong>del</strong> 1920, quando <strong>le</strong> armate dei bolscevichi russi<br />

arrivarono sotto <strong>le</strong> mura di Varsavia, monsignor Ratti si trovava <strong>in</strong> quella città come<br />

nunzio apostolico. Tutti gli altri diplomatici fuggirono. Egli rimase al suo posto. Questo<br />

<strong>in</strong>contro col bolscevismo autentico pare che abbia lasciato nel suo spirito una<br />

impronta <strong>in</strong>de<strong>le</strong>bi<strong>le</strong>. Di tutto quanto avveniva <strong>in</strong> Italia nel 1919 e 1920, egli <strong>le</strong>sse<br />

stando <strong>in</strong> Polonia quanto pubblicavano i giornali conservatori di Milano, i quali<br />

denunciavano 'la sangu<strong>in</strong>osa tirannia <strong>del</strong> bolscevismo italiano.' Monsignor Ratti era<br />

persuaso che <strong>in</strong> Italia <strong>le</strong> cose andassero come <strong>in</strong> Russia e <strong>in</strong> quella parte di Polonia<br />

<strong>in</strong>festata dal contagio bolscevico. Richiamando monsignor Ratti dalla Polonia e<br />

nom<strong>in</strong>andolo arcivescovo di Milano (13 giugno 1921), Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo fece ai<br />

conservatori milanesi il più bel dono che potessero desiderare. E' probabi<strong>le</strong> che Achil<strong>le</strong><br />

Ratti, al suo ritorno dalla Polonia e prima che la sua nom<strong>in</strong>a ad arcivescovo di Milano<br />

venisse ufficialmente annunciata, sia venuto <strong>in</strong> contatto con Mussol<strong>in</strong>i, smantellando il<br />

suo bellicoso antic<strong>le</strong>ricalismo. Se <strong>le</strong> cose sono veramente andate così, il discorso di<br />

Mussol<strong>in</strong>i alla Camera <strong>del</strong> 21 giugno 1921 sarebbe stato il risultato di questo primo<br />

scambio di vedute. Sia come sia, i card<strong>in</strong>ali, scegliendo Achil<strong>le</strong> Ratti come papa nel<br />

febbraio <strong>del</strong> 1922, sapevano bene quello che facevano. Allo stesso modo che Pio<br />

Decimo era stato scelto alla morte di Leone Tredicesimo, Pio Undicesimo fu scelto alla<br />

morte di Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo, perché <strong>in</strong> tutti e due i casi i card<strong>in</strong>ali vo<strong>le</strong>vano un<br />

papa che rafforzasse nella Chiesa e nella società gli e<strong>le</strong>menti conservatori.<br />

Il nuovo papa trovò nel<strong>le</strong> casse <strong>del</strong>la Santa Sede appena 600000 lire, cioè neppure<br />

quanto bastava per pagare <strong>le</strong> spese quotidiane di una settimana, e <strong>in</strong> sopraggiunta<br />

c'era la prospettiva <strong>del</strong>la nom<strong>in</strong>atività dei titoli e l'imm<strong>in</strong>ente fallimento <strong>del</strong> Banco di


Roma. Per rimettere <strong>in</strong> sesto <strong>le</strong> f<strong>in</strong>anze vaticane bisognava condurre <strong>in</strong> porto la<br />

soluzione <strong>del</strong>la questione romana.<br />

Nell'assumere il suo ufficio, Pio Undicesimo ripeté il giuramento di affermare e<br />

difendere i diritti <strong>in</strong>violabili <strong>del</strong>la Chiesa e <strong>del</strong>la Santa Sede, ma dette la sua<br />

benedizione alla folla <strong>in</strong> attesa <strong>in</strong> Piazza S. Pietro. Ta<strong>le</strong> mutamento nel corso <strong>del</strong>la<br />

cerimonia mostrò chiaramente che si era creata una situazione nuova.<br />

L''esprit nouveau' non tardò a manifestarsi. Nel giugno <strong>del</strong> 1922, il marchese<br />

Cornaggia, un c<strong>le</strong>rical-conservatore milanese, amico persona<strong>le</strong> <strong>del</strong> nuovo papa, fondò<br />

la 'Unione costituziona<strong>le</strong> italiana.' La nuova associazione, così come il partito<br />

popolare, evitava di dichiararsi cattolica, ma, diceva, 'riconosce nella religione il<br />

fondamento <strong>del</strong>la moralità pubblica e privata.' Per sopraggiunta il marchese<br />

Cornaggia annunciava che la sua <strong>org</strong>anizzazione si proponeva di aprire <strong>le</strong> sue porte a<br />

quei cattolici che si staccassero dal partito popolare, nel caso che questo si al<strong>le</strong>asse<br />

coi socialisti. Interrogato se la sua <strong>in</strong>iziativa avesse l'approvazione <strong>del</strong> nuovo papa,<br />

Cornaggia rispondeva, o meglio non rispondeva:<br />

«Da tempo non vedo il Pontefice e non credo che egli si sia ancora espresso con<br />

alcuno sulla questione alla qua<strong>le</strong> <strong>le</strong>i accenna, ma posso dir<strong>le</strong> che Pio Undicesimo è al<br />

corrente <strong>del</strong><strong>le</strong> nostre idee e dei nostri propositi, e che <strong>in</strong> una recente occasione egli ha<br />

<strong>in</strong>viato (...) un te<strong>le</strong>gramma con espressioni particolarmente benevo<strong>le</strong> e, se <strong>le</strong>i vuo<strong>le</strong>,<br />

significative. Dal canto nostro non abbiamo fatto alcun passo verso il Vaticano» (17).<br />

Commentando tali affermazioni, l'"Idea Naziona<strong>le</strong>" <strong>del</strong> 29 giugno 1922 scriveva:<br />

«Ora, se a queste pacate, ma chiare affermazioni aggiungiamo un dato di fatto a tutti<br />

noto, e cioè i rapporti di devota amicizia che <strong>le</strong>gano l'on. Cornaggia a Pio Undicesimo,<br />

potremo desumere, senza aver l'aria di fare <strong>del</strong><strong>le</strong> rivelazioni, che il Pontefice segue<br />

con simpatia l'opera <strong>in</strong>iziata dalla Unione costituziona<strong>le</strong> italiana.»<br />

Da parte sua l'"Osservatore Romano", sempre pronto a rigettare da parte <strong>del</strong> Vaticano<br />

ogni responsabilità per l'azione <strong>del</strong> partito popolare, non negò <strong>in</strong> alcun modo la<br />

'simpatia' <strong>del</strong> papa per l'<strong>in</strong>iziativa <strong>del</strong> marchese Cornaggia.<br />

Malgrado la pubblicità fattagli da fascisti, nazionalisti e 'liberali,' il marchese<br />

Cornaggia fallì miseramente. La massa rimase fede<strong>le</strong> al partito popolare. Tuttavia il<br />

suo tentativo era significativo. Un estraneo, che seguiva con la curiosità <strong>del</strong>lo storico e<br />

con la simpatia <strong>del</strong> democratico il movimento popolare, nel giugno <strong>del</strong> 1922 scriveva:<br />

«Pei conservatori-cattolici e pei conservatori-liberali-democratici, l'idea<strong>le</strong> sarebbe che<br />

il nuovo Papa, Pio Undicesimo, ritornasse alla politica <strong>del</strong> suo omonimo,<br />

abbandonando la tattica <strong>del</strong> predecessore immediato. Papa Ratti, se obbligasse Don<br />

Sturzo ad abbandonare la segreteria <strong>del</strong> Partito popolare, se mettesse l'azione<br />

e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> e politica <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni popolari sotto il controllo dei vescovi, se<br />

sconfessasse l'on. Miglio, diventerebbe subito un gran Papa per gli agrari lombardi e<br />

toscani e per tutti i candidati <strong>del</strong> liberalismo, che non è liberalismo, di destra, e <strong>del</strong>la<br />

democrazia, che non è democrazia, di s<strong>in</strong>istra. Ma sembra assai diffici<strong>le</strong> che Pio<br />

Undicesimo voglia tentare oggi, contro il Partito popolare di Don Sturzo, una nuova<br />

edizione <strong>del</strong>la spietata operazione chirurgica compiuta da Pio Decimo, tra il 1904 e il<br />

1906, contro la democrazia cristiana di Romolo Murri. Ai tempi di Pio Decimo, non era<br />

scesa ancora <strong>in</strong> campo una massa di più che un milione di <strong>org</strong>anizzati, <strong>in</strong> maggioranza<br />

piccoli proprietari di campagna, fittabili, contad<strong>in</strong>i. Un orientamento <strong>del</strong> Partito<br />

popolare verso la destra fascista, nazionalista, agraria, getterebbe lo sfacelo <strong>in</strong> queste<br />

moltitud<strong>in</strong>i. I socialisti mieterebbero dove i popolari hanno sem<strong>in</strong>ato. (...) Mentre<br />

correggo <strong>le</strong> bozze, giugno 1922, <strong>le</strong> vio<strong>le</strong>nze fasciste hanno <strong>in</strong>tensificato nel Partito


socialista quella evoluzione verso il riformismo e verso il collaborazionismo coi<br />

popolari, che alcuni mesi or sono, mentre davo la prima forma a questo studio,<br />

com<strong>in</strong>ciava appena ad accennarsi. E <strong>in</strong> relazione con quest'accostarsi <strong>del</strong>la<br />

maggioranza socialista all'idea di collaborazione col Partito popolare, si accentua nel<br />

Partito popolare una crisi fra gli e<strong>le</strong>menti di destra e quelli di s<strong>in</strong>istra: il Marchese<br />

Cornaggia, che al tempo di Pio Decimo fu il personaggio più autorevo<strong>le</strong> <strong>del</strong> movimento<br />

demomoderato, promuove il s<strong>org</strong>ere di una <strong>org</strong>anizzazione cattolica di destra; e Pio<br />

Undicesimo sembra approvare questo tentativo, e già com<strong>in</strong>ciano a chiamarlo 'il Papa<br />

dei lombardi'» (18).<br />

I s<strong>in</strong>tomi di questo 'esprit nouveau' com<strong>in</strong>ciarono subito a manifestarsi. Ripubblicando<br />

la sua <strong>le</strong>ttera <strong>del</strong>l'agosto 1920 (19), il card<strong>in</strong>al Boggiani si prese il disturbo di<br />

sottol<strong>in</strong>eare che essa "non era mai stata biasimata né condannata da Colui che solo<br />

avrebbe avuto ed 'ha' il diritto di farlo" (20); e a prova di quanto affermava,<br />

pubblicava una nota di approvazione <strong>in</strong>viatagli da Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo. Il card<strong>in</strong>al<br />

Boggiani parlava di 'Colui che avrebbe avuto ed "ha" il diritto' di condannarlo,<br />

mettendo <strong>in</strong> rilievo <strong>in</strong> tal modo non solo Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo ('avrebbe avuto'),<br />

ma anche il Papa vivente ('ha'). Egli non avrebbe fatto ta<strong>le</strong> affermazione, se non ne<br />

fosse stato autorizzato da Pio Undicesimo. A dissipare ogni ultimo dubbio,<br />

l'"Osservatore Romano" <strong>del</strong> 30 luglio scriveva che: 'Questi atti <strong>del</strong>l'Em.mo Porporato<br />

(...) se hanno la data di qualche anno addietro, conservano, peraltro, tuttora, la<br />

stessa ragione di attualità e di previggente <strong>in</strong>tervento che li fecero, a suo tempo,<br />

dettare.' 'Lo sviluppo di avvenimenti e di speciali condizioni (...) rendono questi Atti<br />

Pastorali (...) ancor più <strong>in</strong>teressanti e utili, avendo essi avuto, <strong>in</strong> questi anni, dagli<br />

uom<strong>in</strong>i e dal<strong>le</strong> cose, piena conferma e giusta illustrazione, nei loro giusti richiami e nei<br />

loro saggi ammonimenti.' "E' questo volume un vero prontuario e un manua<strong>le</strong> di<br />

dottr<strong>in</strong>a e di discipl<strong>in</strong>a utilissimo ai cattolici, specialmente <strong>in</strong> questi tempi di 'tanti oblii<br />

e di tante defezioni.'"


CAPITOLO VENTITREESIMO.<br />

LO SCIOPERO GENERALE DEL 1-3 AGOSTO 1922.<br />

Il 2 febbraio <strong>del</strong> 1922, il gab<strong>in</strong>etto Bonomi si dimetteva. Il suo atteggiamento <strong>in</strong>certo<br />

aveva f<strong>in</strong>ito con l'attirarsi l'ostilità sia dei fascisti che degli antifascisti. Giolitti non<br />

poteva essere il successore perché, avendo armato i fascisti, nessuno si fidava di lui.<br />

La nom<strong>in</strong>a di Nitti avrebbe provocato una rivolta armata dei fascisti sostenuta dal<strong>le</strong><br />

autorità militari. Un gab<strong>in</strong>etto nazionalista-conservatore-fascista non avrebbe potuto<br />

contare su più di un cent<strong>in</strong>aio di deputati. D'altra parte il fatto che socialisti e<br />

comunisti avrebbero comunque votato contro qualsiasi gab<strong>in</strong>etto rendeva la<br />

situazione parlamentare disperata. Sembrava impossibi<strong>le</strong> riuscire a trovare un<br />

presidente <strong>del</strong> Consiglio più <strong>in</strong>capace di Bonomi; <strong>in</strong>vece si trovò Facta: un uomo<br />

politico di quart'ord<strong>in</strong>e col cervello di una gall<strong>in</strong>a. Egli venne considerato un sostituto,<br />

<strong>in</strong> attesa che scappasse fuori qualcosa a migliorare la situazione che sembrava<br />

altrimenti disperatamente senza via d'uscita.<br />

Senza dubbio tre erano i mali di cui soffriva il corpo politico italiano: la paralisi<br />

parlamentare, la guerra civi<strong>le</strong> e la sedizione militare. Se il Parlamento non riusciva a<br />

riacquistare il suo potere e mettere f<strong>in</strong>e alla guerra civi<strong>le</strong> e alla sedizione militare,<br />

esso sarebbe stato privato di tutti i poteri o addirittura tolto di mezzo.<br />

Le responsabilità maggiori di questa situazione ricadevano sui deputati socialisti. Essi<br />

si erano separati dai comunisti al pr<strong>in</strong>cipio <strong>del</strong> 1921. Così facendo, non soltanto i<br />

socialisti di destra ma gli stessi massimalisti avevano implicitamente resp<strong>in</strong>to ogni<br />

progetto e ogni speranza di una rivoluzione socia<strong>le</strong>. Adesso avrebbero dovuto sentire<br />

il dovere di assicurare un governo che potesse almeno apparire degno di qualche<br />

rispetto. Un ta<strong>le</strong> governo sarebbe stato possibi<strong>le</strong> soltanto se i socialisti avessero<br />

acconsentito a formare una coalizione coi popolari e coi democratici. I socialisti di<br />

destra erano favorevoli a ta<strong>le</strong> politica; ma la maggioranza <strong>del</strong> partito era composta di<br />

marxisti di stretta osservanza, e per essi era <strong>in</strong>concepibi<strong>le</strong> cooperare con qualsiasi<br />

altra classe che non fosse il pro<strong>le</strong>tariato rivoluzionario. Si chiamavano massimalisti e<br />

rivoluzionari, ma tutto quello che sapevano fare era di risciacquarsi la bocca con una<br />

rivoluzione che non arrivava mai. Pur senza sapere come realizzare una rivoluzione,<br />

essi resero impossibi<strong>le</strong> ogni riforma. Sottomessi alla cieca ost<strong>in</strong>azione di questi<br />

pro<strong>le</strong>tari <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali, i socialisti di destra persero un anno <strong>in</strong>tero senza fare nessun<br />

tentativo per trovare una via d'uscita nella disperata situazione parlamentare. Uom<strong>in</strong>i<br />

come Turati e i suoi seguaci erano persone dis<strong>in</strong>teressate e piene di buone <strong>in</strong>tenzioni,<br />

ma essi non osavano agire contro la volontà <strong>del</strong>la maggioranza <strong>del</strong> partito. Avevano<br />

paura, qualora fossero entrati <strong>in</strong> un governo, od anche si fossero limitati ad<br />

appoggiarlo, senza il permesso <strong>del</strong>la maggioranza <strong>del</strong> partito, di essere accusati di<br />

ambizione persona<strong>le</strong>. Aspettavano pazientemente che i loro compagni cambiassero<br />

idea. Non si resero conto che i cervelli dei marxisti di stretta osservanza sono come <strong>le</strong><br />

uova sode: più bollono e più diventano dure.<br />

Come era natura<strong>le</strong>, la guerra civi<strong>le</strong> cont<strong>in</strong>uò con la stessa <strong>in</strong>tensità. Tra il 31 maggio e<br />

il 2 giugno 1922, diecimila fascisti provenienti dal<strong>le</strong> prov<strong>in</strong>cie limitrofe si<br />

concentrarono a Bologna chiedendo <strong>le</strong> dimissioni <strong>del</strong> prefetto, accusato di essere<br />

complice dei 'bolscevichi.' E' chiaro che se il prefetto avesse potuto contare<br />

sull'esercito avrebbe impedito questa concentrazione, ma il genera<strong>le</strong> Sani durante<br />

tutto il periodo critico rimase assente, proprio come aveva fatto otto mesi prima<br />

durante la 'marcia su Ravenna.'<br />

Il 19 luglio, anche Facta si dovette dimettere. Le consultazioni per formare un nuovo<br />

gab<strong>in</strong>etto proseguirono per una qu<strong>in</strong>dic<strong>in</strong>a di giorni, tra i diversi gruppi, i loro <strong>le</strong>aders,<br />

e il Re. Durante quei giorni avvenne qualcosa di molto importante: la maggioranza dei


deputati socialisti, ribellandosi contro i massimalisti che controllavano l'esecutivo<br />

centra<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito, si dichiararono pronti a dare il proprio appoggio ad un nuovo<br />

m<strong>in</strong>istero, a condizione che questo ristabilisse l'ord<strong>in</strong>e nel paese. Il 29 luglio, il <strong>le</strong>ader<br />

<strong>del</strong>la destra, Turati, con il consenso dei suoi col<strong>le</strong>ghi, si recò dal Re per discutere la<br />

situazione politica.<br />

Ma il ristabilimento <strong>del</strong>la pace pubblica non si poteva raggiungere senza sciogliere<br />

l'<strong>org</strong>anizzazione fascista. Ciò significava sfidare la 'mano nera' militare, che si era già<br />

compromessa troppo a fondo con l'avventura fascista. Quando si criticano <strong>le</strong> Camere<br />

<strong>del</strong> periodo postbellico per la <strong>in</strong>capacità a formare un m<strong>in</strong>istero stabi<strong>le</strong>, si devono<br />

dist<strong>in</strong>guere <strong>le</strong> cause che paralizzarono <strong>le</strong> Camere a partire dal novembre 1919 s<strong>in</strong>o al<br />

luglio 1922, da quel<strong>le</strong> che si manifestarono nel luglio 1922. S<strong>in</strong>o al luglio 1922, la<br />

causa <strong>del</strong>la paralisi era nella stessa Camera; ogni coalizione stabi<strong>le</strong> era resa<br />

impossibi<strong>le</strong> dall'<strong>in</strong>transigenza dei deputati socialisti e dalla mancanza di fiducia di tutti<br />

i partiti nei confronti dei popolari. Nel luglio <strong>del</strong> 1922 questi dissidi <strong>in</strong>terni stavano per<br />

scomparire. Ma adesso era una causa esterna a paralizzare la Camera; la mano nera,<br />

che aveva una scarsa forza nella Camera, ma una formidabi<strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazione armata<br />

all'esterno, mise il veto ad una coalizione parlamentare di s<strong>in</strong>istra, che il nuovo<br />

atteggiamento dei deputati socialisti rendeva possibi<strong>le</strong>. 'C'è troppa paura fisica <strong>in</strong><br />

giro,' disse Turati, <strong>in</strong> una <strong>in</strong>tervista all'"Epoca" <strong>del</strong> 1 agosto 1922. 'In tutti i partiti ci<br />

sono troppi pavidi, ma è certo che nella Camera se ne trova una percentua<strong>le</strong><br />

superiore a quella che di solito dà una raccolta qualsiasi di uom<strong>in</strong>i.'<br />

Se i socialisti si fossero decisi nel luglio 1921, probabilmente avrebbero salvato il<br />

paese dai malanni <strong>del</strong>l'anarchia militare-fascista, e <strong>le</strong> libere istituzioni dalla<br />

distruzione. Nel luglio 1922 era troppo tardi. Ma un anno avanti, subito dopo <strong>le</strong><br />

sciagurate e<strong>le</strong>zioni <strong>del</strong> maggio 1921, qual è quel socialista che avrebbe potuto fare il<br />

primo passo senza provocare la rivolta di tutti i suoi compagni? Più si rif<strong>le</strong>tte sugli<br />

avvenimenti di quei tristi anni, e più appaiono imperdonabili gli uom<strong>in</strong>i politici che alla<br />

f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1920 e all'<strong>in</strong>izio <strong>del</strong> 1921 armarono i fascisti per farsene strumenti di<br />

punizione e di pressione e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>.<br />

Mentre i gruppi parlamentari erano paralizzati da questo ostruzionismo e il Re era<br />

<strong>in</strong>capace di trovare un presidente <strong>del</strong> Consiglio che, sostenuto alla Camera da una<br />

maggioranza, potesse tener testa ai fascisti nel paese, il 30 luglio, un giorna<strong>le</strong> di<br />

Genova, "Il Lavoro", annunciava che per il 1 agosto era stato proclamato uno sciopero<br />

genera<strong>le</strong>.<br />

Questa mossa pazzesca era stata decisa dall''Al<strong>le</strong>anza <strong>del</strong> lavoro,' che si era formata<br />

nel dicembre precedente tra i rappresentanti <strong>del</strong> S<strong>in</strong>dacato naziona<strong>le</strong> ferrovieri, la<br />

Confederazione genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> lavoro, la Federazione lavoratori <strong>del</strong> mare, l'Unione<br />

italiana s<strong>in</strong>daca<strong>le</strong> e altre <strong>org</strong>anizzazioni m<strong>in</strong>ori.<br />

Nell'esecutivo centra<strong>le</strong> <strong>del</strong> S<strong>in</strong>dacato ferrovieri gli anarchici esercitavano una grande<br />

<strong>in</strong>fluenza, sebbene la gran massa degli iscritti fosse tutt'altro che anarchica. La<br />

Confederazione <strong>del</strong> lavoro era diretta e composta per lo più da socialisti riformisti, ma<br />

conteneva anche una attiva e chiassosa m<strong>in</strong>oranza di comunisti e socialisti<br />

massimalisti. L'Unione s<strong>in</strong>daca<strong>le</strong> era composta di anarchici e di s<strong>in</strong>dacalisti<br />

rivoluzionari. La Federazione lavoratori <strong>del</strong> mare e <strong>le</strong> altre <strong>org</strong>anizzazioni m<strong>in</strong>ori erano<br />

composte da iscritti appartenenti a partiti diversi. L'<strong>in</strong>iziativa di formare l'Al<strong>le</strong>anza <strong>del</strong><br />

lavoro era partita dall'esecutivo centra<strong>le</strong> <strong>del</strong> S<strong>in</strong>dacato ferrovieri; scopo degli<br />

anarchici, che vi avevano la maggioranza, era di formare una coalizione tra <strong>le</strong><br />

<strong>org</strong>anizzazioni economiche <strong>del</strong><strong>le</strong> classi lavoratrici, rifiutando ogni contatto col<br />

Parlamento. I dirigenti <strong>del</strong>la Confederazione <strong>del</strong> lavoro avevano aderito all'Al<strong>le</strong>anza<br />

per la pressione degli iscritti comunisti e massimalisti, conv<strong>in</strong>ti che non avrebbe mai<br />

approdato a niente, sperando di tenere a freno gli estremisti. Nei primi sei mesi <strong>del</strong><br />

1922, l'Al<strong>le</strong>anza <strong>del</strong> lavoro limitò <strong>le</strong> sue attività a qualche discorso generico su uno<br />

sciopero genera<strong>le</strong>. Nel luglio 1922, la discussione si fece accesa. Coloro che più


desideravano lo sciopero erano gli anarchici; i dirigenti <strong>del</strong>la Confederazione <strong>del</strong><br />

lavoro erano contrari. Dopo un mese di accanite discussioni, la mozione per lo<br />

sciopero fu approvata con una lieve maggioranza contro il voto <strong>del</strong>la Confederazione<br />

<strong>del</strong> lavoro.<br />

E' probabi<strong>le</strong> che, oltre gli estremisti i quali aspettavano che dallo sciopero potesse<br />

s<strong>org</strong>ere una autentica rivoluzione, vi fossero degli agenti provocatori tra coloro che si<br />

adoperarono per promuoverlo (1). Ma va anche ricordato che <strong>in</strong> tutto il paese <strong>le</strong> classi<br />

lavoratrici erano esasperate dalla prospettiva che il nuovo gab<strong>in</strong>etto si sarebbe al<strong>le</strong>ato<br />

coi fascisti o comunque sarebbe stato <strong>in</strong>capace di disarmarli.<br />

La sp<strong>in</strong>ta f<strong>in</strong>a<strong>le</strong> fu data dai disord<strong>in</strong>i di Ravenna <strong>del</strong> 26-29 luglio. Qui il 25 luglio un<br />

modesto sciopero loca<strong>le</strong> di carrettieri degenerò <strong>in</strong> un conflitto, <strong>in</strong> cui un fascista perse<br />

la vita (2). Ne seguì un conflitto con la polizia <strong>in</strong> cui rimasero uccisi sette scioperanti.<br />

La cosa sarebbe potuta f<strong>in</strong>ire qui ma il 26 luglio calarono sulla città dal<strong>le</strong> prov<strong>in</strong>cie<br />

limitrofe tremila fascisti, armati di fucili, bombe e mitragliatrici. venne ord<strong>in</strong>ato ai<br />

dirigenti repubblicani, socialisti e comunisti di abbandonare la città entro <strong>le</strong><br />

ventiquattr'ore. Il giorno 27, i fascisti distrussero la Casa <strong>del</strong> popolo e tentarono di<br />

<strong>in</strong>vadere la Camera <strong>del</strong> lavoro, il municipio, e <strong>le</strong> sedi pr<strong>in</strong>cipali <strong>del</strong><strong>le</strong> cooperative<br />

<strong>del</strong>l'<strong>in</strong>tera zona. Nei giorni seguenti distrussero gli uffici di un quotidiano e la<br />

succursa<strong>le</strong> di una cooperativa, bruciarono un circolo, e, con una bomba <strong>in</strong>cendiaria,<br />

appiccarono il fuoco alla sede pr<strong>in</strong>cipa<strong>le</strong> <strong>del</strong><strong>le</strong> cooperative: solo il piano terreno e<br />

un'ala di questo bel palazzo dove una volta aveva abitato Byron rimasero <strong>in</strong> piedi; i<br />

danni ammontarono a un milione e mezzo di lire, che significavano ventic<strong>in</strong>que anni di<br />

lavoro cont<strong>in</strong>uo ed <strong>in</strong>telligente. 'L'<strong>in</strong>cendio <strong>del</strong> grande edificio,' scrive Italo Balbo che<br />

comandava <strong>le</strong> squadre fasciste che compirono l'eroica impresa, 'proiettava s<strong>in</strong>istri<br />

bagliori nella notte. (...) Dobbiamo oltre a tutto dare agli avversari il senso <strong>del</strong><br />

terrore' (3). Bald<strong>in</strong>i, <strong>org</strong>anizzatore socialista e deputato al Parlamento, s<strong>in</strong>o all'ultimo<br />

momento era rimasto al suo posto nell'edificio. Scrive ancora Balbo:<br />

«Quando ho visto uscire l'<strong>org</strong>anizzatore socialista con <strong>le</strong> mani nei capelli e i segni<br />

<strong>del</strong>la disperazione sul viso, ho compreso tutta la sua tragedia. Andavano <strong>in</strong> cenere <strong>in</strong><br />

quel momento, col palazzo <strong>del</strong><strong>le</strong> cooperative di Ravenna, il sogno e <strong>le</strong> fatiche <strong>del</strong>la<br />

sua vita. Qui era tutta o per lo meno gran parte <strong>del</strong>la forza di cui i socialisti godono<br />

nella regione. Organizzazione mastodontica, ma retta con criteri sostanzialmente<br />

onesti. Soltanto che non era un ente economico, bensì politico» (4).<br />

Il giorno 29, Balbo partì da Ravenna, a capo di una lunga colonna di camions pieni di<br />

fascisti, per una spedizione <strong>in</strong> prov<strong>in</strong>cia che doveva concludersi all'alba <strong>del</strong> giorno<br />

dopo.<br />

«Siamo passati da Rim<strong>in</strong>i, Sant'Arcangelo, Savignano, Cesena, Bert<strong>in</strong>oro, per tutti i<br />

centri e <strong>le</strong> vil<strong>le</strong> tra la prov<strong>in</strong>cia di Forlì e la prov<strong>in</strong>cia di Ravenna, distruggendo e<br />

<strong>in</strong>cendiando tutte <strong>le</strong> case rosse, sedi di <strong>org</strong>anizzazioni socialiste e comuniste. E' stata<br />

una notte terribi<strong>le</strong>. Il nostro passaggio era segnato da alte colonne di fuoco e fumo.<br />

Tutta la pianura di Romagna f<strong>in</strong>o ai colli è stata sottoposta alla esasperata<br />

rappresaglia dei fascisti. (...) Episodi <strong>in</strong>numerevoli. Scontri con la teppaglia<br />

bolscevica, <strong>in</strong> aperta resistenza, nessuno. I capi sono tutti fuggiaschi. Le <strong>le</strong>ghe, i<br />

circoli socialisti, <strong>le</strong> cooperative, semideserti» (5).<br />

Balbo, come spesso per tutto il suo "Diario", tralascia di descrivere gli atti di vio<strong>le</strong>nza<br />

contro persone, ma il quadro è abbastanza eloquente e non ha bisogno di commenti.<br />

Sotto la pressione di questi avvenimenti l'Al<strong>le</strong>anza <strong>del</strong> lavoro proclamò lo sciopero<br />

genera<strong>le</strong> (6). Dato che Ravenna era la pr<strong>in</strong>cipa<strong>le</strong> roccaforte dei socialisti di destra,<br />

questi si trovarono <strong>in</strong>deboliti nella loro opposizione allo sciopero. Molti di coloro che


all'ultimo momento furono trasc<strong>in</strong>ati a votare <strong>in</strong> favore <strong>del</strong>lo sciopero, non solo<br />

<strong>in</strong>tendevano protestare contro questa distruzione irragionevo<strong>le</strong>, ma speravano anche<br />

che un largo spiegamento <strong>del</strong><strong>le</strong> forze antifasciste, ta<strong>le</strong> da mostrare che i fascisti non<br />

erano i padroni <strong>del</strong> paese, avrebbe condotto alla formazione di un m<strong>in</strong>istero di<br />

s<strong>in</strong>istra. Per farvi aderire questi e<strong>le</strong>menti non rivoluzionari, l'Al<strong>le</strong>anza <strong>del</strong> lavoro, nel<br />

proclamare lo sciopero, dichiarò che urgeva spezzare 'un assalto <strong>in</strong> forze agli <strong>org</strong>ani<br />

<strong>del</strong>lo Stato.'<br />

La notizia <strong>del</strong>lo sciopero colse di sorpresa i deputati socialisti riformisti, mentre erano<br />

a mezzo i negoziati per la formazione <strong>del</strong> nuovo gab<strong>in</strong>etto. Lo sciopero mandò a<br />

monte tutti i loro sforzi <strong>in</strong> favore <strong>del</strong>la collaborazione governativa. Impedirlo non era<br />

stato loro possibi<strong>le</strong>, perché gli estremisti che lo avevano proclamato non erano sotto il<br />

loro controllo, e i dirigenti <strong>del</strong>la Confederazione <strong>del</strong> lavoro, una volta commesso lo<br />

sbaglio <strong>in</strong>izia<strong>le</strong> di avere aderito all'Al<strong>le</strong>anza, erano impegnati ad attenersi al<strong>le</strong> decisioni<br />

<strong>del</strong>la maggioranza. Se avessero sconfessato lo sciopero, essi sarebbero stati tenuti<br />

responsabili <strong>del</strong> suo fallimento, <strong>in</strong> un momento <strong>in</strong> cui i fascisti avrebbero approfittato<br />

<strong>del</strong> fallimento per sferrare una nuova offensiva. Se avessero mantenuto il si<strong>le</strong>nzio,<br />

sarebbero stati accusati di aspettare a vedere come andava a f<strong>in</strong>ire prima di prendere<br />

una decisione. Nella diffici<strong>le</strong> situazione <strong>in</strong> cui si trovavano, essi fecero la scelta<br />

peggiore: sostennero quegli e<strong>le</strong>menti secondo <strong>le</strong> cui <strong>in</strong>tenzioni lo sciopero doveva<br />

essere una protesta contro la m<strong>in</strong>accia di un gab<strong>in</strong>etto fascista, senza sfociare <strong>in</strong> un<br />

movimento rivoluzionario. Intervistato, Turati dichiarò che lo sciopero aveva come<br />

scopo la difesa <strong>del</strong>la costituzione contro gli scioperi anticostituzionali: 'Sarebbe uno<br />

sciopero <strong>le</strong>galitario' disse. 'Il pro<strong>le</strong>tariato sosterrà lo Stato difendendolo dai fascisti'<br />

(7).<br />

Ma uno sciopero genera<strong>le</strong>, <strong>in</strong>teso soltanto come una manifestazione antifascista,<br />

avrebbe dovuto essere proclamato per un periodo di tempo def<strong>in</strong>ito (non più di<br />

ventiquatt'ore), e sarebbe occorsa la cooperazione <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni popolari.<br />

Queste non erano state consultate, e si pronunciarono contro lo sciopero. Inoltre non<br />

fu posto nessun limite di tempo, dato che gli anarchici e gli altri estremisti, che ne<br />

erano i promotori, si illudevano con la speranza che, dopo diciotto mesi di irresistibi<strong>le</strong><br />

pressione fascista, esso avrebbe potuto sfociare <strong>in</strong> una rivoluzione.<br />

A questa sfida <strong>in</strong>sensata, i capi <strong>del</strong> partito fascista risposero con una abi<strong>le</strong> mossa. Essi<br />

dichiararono che i fascisti avrebbero aspettato quarantotto ore perché lo stato<br />

affermasse la sua autorità:<br />

«Trascorso questo term<strong>in</strong>e, il <strong>fascismo</strong> rivendicherà piena libertà di azione e si<br />

sostituirà allo stato che avrà ancora una volta dimostrato la sua impotenza» (8).<br />

Se lo sciopero non fosse stato genera<strong>le</strong>, il suo fallimento sarebbe risultato pa<strong>le</strong>se alla<br />

f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> secondo giorno: i fascisti, scendendo <strong>in</strong> campo il terzo giorno, avrebbero<br />

vantato tutta <strong>in</strong>tera la gloria <strong>del</strong>la vittoria. Se, d'altra parte, lo sciopero fosse stato<br />

genera<strong>le</strong>, <strong>le</strong> prime quarantotto ore di tempo sarebbero bastate a malapena al governo<br />

per mettere <strong>in</strong> moto la macch<strong>in</strong>a di repressione: i fascisti, arrivando sulla scena<br />

proprio quando la macch<strong>in</strong>a avrebbe com<strong>in</strong>ciato a funzionare, avrebbero preso per sé<br />

tutto il merito <strong>del</strong>la repressione. Comunque andassero <strong>le</strong> cose, i fascisti si sarebbero<br />

presentati come gli unici salvatori <strong>del</strong> paese.<br />

Come primo risultato <strong>del</strong>la proclamazione <strong>del</strong>lo sciopero, il Re <strong>in</strong>terruppe tutte <strong>le</strong><br />

consultazioni per una soluzione <strong>del</strong>la crisi m<strong>in</strong>isteria<strong>le</strong>, mantenendo Facta come<br />

presidente <strong>del</strong> Consiglio, tanto per avere un governo come che sia per ristabilire<br />

l'ord<strong>in</strong>e.<br />

S<strong>in</strong> dal suo <strong>in</strong>izio, lo sciopero genera<strong>le</strong> fu un fiasco. I ferrovieri, i cui rappresentanti <strong>in</strong><br />

seno all'Al<strong>le</strong>anza <strong>del</strong> lavoro erano stati i più accaniti sostenitori <strong>del</strong>lo sciopero,<br />

risposero aderendo parzialmente e <strong>in</strong> modo fiacco. Su 229000 uom<strong>in</strong>i solo 60000


scioperarono (9). Gli altri gruppi risposero anch'essi <strong>in</strong> modo <strong>in</strong>coerente. Fu l'ultima<br />

mossa fuori tempo <strong>del</strong> pugi<strong>le</strong> che sta per esser messo al tappeto. Nella notte <strong>del</strong><br />

secondo giorno, l'Al<strong>le</strong>anza <strong>del</strong> lavoro proclamò la f<strong>in</strong>e <strong>del</strong>lo sciopero per <strong>le</strong> ore 12 <strong>del</strong><br />

giorno seguente, 3 agosto (10).<br />

Il 5 agosto, l'ufficio stampa fascista pubblicò la 'prima lista approssimata' <strong>del</strong><strong>le</strong> città<br />

dove i fascisti avevano, come rappresaglia, occupato i municipi e devastato <strong>le</strong> Camere<br />

<strong>del</strong> lavoro, circoli, cooperative, eccetera: A<strong>le</strong>ssandria, Ancona, Antignano, Ardenza,<br />

Campicaneto, Falconara, Figl<strong>in</strong>e Valdarno, Firenze, Fornovo, Gallarate, Grav<strong>in</strong>a, Intra,<br />

Livorno, Milano, Muggia, Noceto, Novara, Novi Ligure, Oderzo, Pavia, Pagazzano,<br />

Pistoia, Ponte a Signa, Rim<strong>in</strong>i, Ronco, Rebocco, Sampierdarena, San Secondo, San<br />

Jacopo, Savona, Scand<strong>in</strong>o, Schio, Spezia, Tabiano, Torre, Tor<strong>in</strong>o, Vigevano, Voghera.<br />

Tali rappresaglie cont<strong>in</strong>uarono s<strong>in</strong>o al 17 agosto.<br />

L'occupazione <strong>del</strong> municipio di Milano e la defenestrazione <strong>del</strong> s<strong>in</strong>daco massimalista e<br />

dei consiglieri comunali fece <strong>in</strong> tutta Italia una grande impressione. Nessuno avrebbe<br />

mai ritenuto possibi<strong>le</strong> una ta<strong>le</strong> vio<strong>le</strong>nza <strong>in</strong> una città che era stata sempre considerata<br />

come la citta<strong>del</strong>la <strong>del</strong> movimento socialista <strong>in</strong> Italia. Questa volta gli operai milanesi<br />

non reagirono <strong>in</strong> nessun modo: il loro scoraggiamento era tota<strong>le</strong>.<br />

Mentre questa ondata di vio<strong>le</strong>nze <strong>in</strong>furiava <strong>in</strong> tutto il paese, Facta concentrava tutti i<br />

suoi sforzi nei negoziati con i fascisti, per impedire che essi occupassero Roma.<br />

Ottenuta la loro promessa che la capita<strong>le</strong> sarebbe stata rispettata, lasciò loro man<br />

libera nel resto d'Italia. Di tutti i possibili presidenti <strong>del</strong> Consiglio, egli era quello che<br />

faceva più comodo ai fascisti, f<strong>in</strong>o a che questi non avessero deciso di occupare anche<br />

la capita<strong>le</strong>. La Camera, che il 19 luglio aveva rifiutato di accettare la politica di Facta,<br />

gli concesse il voto di fiducia il 10 agosto, e prese <strong>le</strong> vacanze.<br />

Nell'agosto <strong>del</strong> 1922, secondo il piano <strong>del</strong> genera<strong>le</strong> Gandolfo, l'<strong>org</strong>anizzazione<br />

<strong>del</strong>l'esercito fascista appariva <strong>in</strong>sufficiente, sicché venne deciso dall'esecutivo<br />

naziona<strong>le</strong> fascista di adottare un nuovo piano maggiormente centralizzato, e la<br />

creazione di un direttorio militare. A far parte di questo direttorio furono chiamati De<br />

Vecchi, Italo Balbo e il genera<strong>le</strong> De Bono. Il nuovo piano venne steso dai primi due a<br />

Torre Pellice, e fu pronto per il 15 settembre (11).<br />

Era conv<strong>in</strong>zione genera<strong>le</strong> che il nuovo gab<strong>in</strong>etto non sarebbe sopravvissuto s<strong>in</strong>o al<br />

term<strong>in</strong>e <strong>del</strong><strong>le</strong> vacanze parlamentari. Agosto e settembre furono mesi di <strong>in</strong>tense<br />

trattative dietro <strong>le</strong> qu<strong>in</strong>te.<br />

Il 20 settembre, otto senatori che appartenevano al partito popolare pubblicarono una<br />

<strong>le</strong>ttera <strong>in</strong>dirizzata a Don Sturzo, <strong>in</strong> cui deploravano 'che il partito popolare, sorto con<br />

un programma di concordia di classi, di superiore armonia naziona<strong>le</strong>, non abbia<br />

sempre saputo e potuto sottrarsi a talune deviazioni esteriori.' E la <strong>le</strong>ttera così<br />

cont<strong>in</strong>uava:<br />

«I sottoscritti (...) sanno non vera l'accusa da taluni rivolta al gruppo parlamentare<br />

popolare di aver cercato al<strong>le</strong>anze o <strong>in</strong>tese con partiti <strong>in</strong>compatibili con i pr<strong>in</strong>cipi per<br />

noi fondamentali. Tuttavia non è <strong>in</strong>uti<strong>le</strong> ribadire il conv<strong>in</strong>cimento che certi connubi<br />

ripugnanti ai pr<strong>in</strong>cipi più sacri e più necessari alla vita socia<strong>le</strong> non debbono essere<br />

ammessi, e molto meno cercati» (12).<br />

Uno degli otto firmatari, il conte Santucci, era il presidente <strong>del</strong> Banco di Roma; costui,<br />

e un altro dei firmatari, il conte Grosoli, <strong>in</strong> caso di fallimento <strong>del</strong> Banco di Roma<br />

avrebbero dovuto risponderne davanti ai magistrati; altri due, Montresor e Crispolti,<br />

erano generalmente noti come uom<strong>in</strong>i di fiducia di Pio Undicesimo e <strong>del</strong> card<strong>in</strong>al<br />

Gasparri. Gli otto senatori non osavano dire esplicitamente che la sola al<strong>le</strong>anza<br />

compatibi<strong>le</strong> coi 'pr<strong>in</strong>cipi più sacri e più necessari alla vita socia<strong>le</strong>' era quella col partito<br />

fascista; si limitavano a resp<strong>in</strong>gere l'al<strong>le</strong>anza con i socialisti. Il resto sarebbe venuto<br />

da solo.


Il pericolo di una coalizione parlamentare tra popolari, democratici e socialisti di<br />

destra crebbe dopo il congresso socialista tenutosi a Roma nei giorni 1-3 ottobre. In<br />

questo congresso i socialisti di destra rappresentavano 29119 voti, e i massimalisti<br />

31106; i primi avevano guadagnato 15000 sostenitori, mentre i secondi avevano visto<br />

dissolversi nel nulla 67000 dei loro 'socialisti di guerra.' La destra si staccò e formò un<br />

nuovo partito, che prese il nome di 'Partito Socialista Unitario,' il che suona<br />

abbastanza strano <strong>in</strong> un paese dove c'erano tre partiti socialisti, senza contare quei<br />

riformisti che erano <strong>in</strong>torno a Bonomi e che ancora pretendevano di essere socialisti.<br />

In seguito a ta<strong>le</strong> scissione la Confederazione genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> lavoro si staccò da tutti i<br />

partiti socialisti, pur cont<strong>in</strong>uando a essere divisa da cont<strong>in</strong>ue contese tra socialisti di<br />

destra, massimalisti e comunisti.<br />

Vi era adesso alla Camera un gruppo di settanta socialisti di destra pronti a cooperare<br />

con gli altri partiti. La strada era dunque aperta per uno stabi<strong>le</strong> riassestamento dei<br />

gruppi parlamentari: una coalizione di maggioranza formata da 107 popolari, 167<br />

democratici e 70 socialisti di destra, per un tota<strong>le</strong> di 334 deputati; una opposizione di<br />

destra formata da 35 fascisti, 10 nazionalisti e 13 conservatori; una opposizione di<br />

estrema s<strong>in</strong>istra formata da 50 massimalisti e 14 comunisti. Non si era ancora arrivati<br />

a nessun accordo def<strong>in</strong>itivo tra il nuovo partito socialista di destra, i popolari e i<br />

democratici; ma ta<strong>le</strong> riassestamento era una questione di pochi mesi, forse pers<strong>in</strong>o di<br />

poche settimane. Parlando con il <strong>le</strong>ader socialista belga, Vandervelde, nell'agosto <strong>del</strong><br />

1922, il Re prevedeva una ta<strong>le</strong> soluzione <strong>del</strong>la crisi e se ne mostrava soddisfatto.<br />

I più ansiosi di questo riassestamento parlamentare erano i comunisti e i<br />

massimalisti. Una volta che il nuovo governo avesse pacificato il paese, avrebbero<br />

potuto accusare i socialisti di destra di avere tradito il pro<strong>le</strong>tariato al<strong>le</strong>andosi con i<br />

partiti b<strong>org</strong>hesi per andare al potere. Nell'estate <strong>del</strong> 1922, il desiderio di pace, dopo<br />

tre anni di guerra e quattro di disord<strong>in</strong>i, l'orrore per <strong>le</strong> cru<strong>del</strong>tà <strong>del</strong>la guerra civi<strong>le</strong>, lo<br />

stato di ansietà provocato dalla anarchia militare, la preoccupazione per la situazione<br />

economica e f<strong>in</strong>anziaria <strong>del</strong> paese, che per quanto <strong>in</strong> realtà non fosse più disperata si<br />

mostrava <strong>in</strong> apparenza ancora ta<strong>le</strong>, la stanchezza per <strong>le</strong> <strong>in</strong>utili manovre dei gruppi<br />

parlamentari, l'<strong>in</strong>dignazione per l'<strong>in</strong>ettitud<strong>in</strong>e di un presidente <strong>del</strong> Consiglio qua<strong>le</strong><br />

Facta, tutti questi sentimenti confluivano <strong>in</strong> un diffuso stato d'animo di vergogna e<br />

scoraggiamento. Per uscire da una situazione mora<strong>le</strong> divenuta <strong>in</strong>tol<strong>le</strong>rabi<strong>le</strong>, il paese<br />

avrebbe accettato qualsiasi governo nuovo, a condizione che ristabilisse l'ord<strong>in</strong>e e la<br />

pace.<br />

Una soluzione <strong>del</strong> genere sconcertava i piani e <strong>le</strong> speranze di molta gente, oltre a Pio<br />

Undicesimo, al card<strong>in</strong>al Gasparri e ai conservatori-cattolici. Anche negli ambienti<br />

f<strong>in</strong>anziari si era molto ansiosi di riuscire ad ottenere l'abrogazione <strong>del</strong>la <strong>le</strong>gge <strong>del</strong><br />

1920 sulla nom<strong>in</strong>atività dei titoli, sia pubblici che privati. Molte ditte <strong>in</strong>dustriali<br />

durante la guerra avevano fornito al governo ogni genere di materiali e di prodotti.<br />

Adesso si era ansiosi di ottenere lo scioglimento di una commissione parlamentare<br />

che stava <strong>in</strong>vestigando su tutte <strong>le</strong> transazioni facendo luce su speculazioni<br />

scandalose. Le compagnie di assicurazione guardavano con timore l'avvic<strong>in</strong>arsi <strong>del</strong><br />

1923, anno <strong>in</strong> cui, secondo una <strong>le</strong>gge <strong>del</strong> 1912, avrebbero dovuto trasferire ogni loro<br />

attività a un Istituto naziona<strong>le</strong> di assicurazioni gestito dal governo <strong>in</strong> condizione di<br />

monopolio. Per tutti questi gruppi il pensiero di un governo a cui partecipassero dei<br />

socialisti, non importa quanto moderati, era estremamente scoraggiante (13).<br />

Adesso autorità militari e fascisti operavano apertamente fianco a fianco. Chiunque<br />

scorra i giornali fascisti troverà cent<strong>in</strong>aia di nomi di ufficiali <strong>del</strong>l'esercito che nel 1922,<br />

apertamente, si iscrivevano ai Fasci, partecipavano a cerimonie pubbliche, <strong>in</strong>viavano<br />

te<strong>le</strong>grammi di solidarietà a Mussol<strong>in</strong>i. Nei tre mesi di luglio, agosto e settembre 1922,<br />

il Popolo d'Italia menzionò i seguenti generali: Zirano (5 luglio), Bertol<strong>in</strong>i (8 luglio),<br />

Moriani (30 luglio), Campomazza (23 luglio), Ceccher<strong>in</strong>i (25 luglio), Zampieri (26


luglio), Gandolfo (30 luglio), Fiori (1 agosto), Pastore (8 settembre), De Marzillac (14<br />

settembre), Milanesi e Oro (9 settembre).<br />

Tra il 30 settembre e il 4 ottobre, settemila fascisti provenienti dalla Lombardia e dal<br />

Veneto si concentrarono a Trento e a Bolzano, per protestare contro il governatore<br />

civi<strong>le</strong> <strong>del</strong>la prov<strong>in</strong>cia. Non vi fu nessun <strong>in</strong>tervento per impedir loro di servirsi <strong>del</strong>la<br />

ferrovia.<br />

Al<strong>le</strong> ore 14 <strong>del</strong> 4 ottobre, il comandante la settima divisione di Trento assunse i pieni<br />

poteri per il mantenimento <strong>del</strong>l'ord<strong>in</strong>e. Di conseguenza si ebbe un aumento <strong>del</strong><br />

disord<strong>in</strong>e. Al<strong>le</strong> 16,30 ebbe luogo un colloquio tra i fascisti e il governatore, alla<br />

presenza <strong>del</strong> genera<strong>le</strong> Ghersi, comandante il corpo d'armata di Verona, il genera<strong>le</strong><br />

comandante di brigata Acqui ed 'altri ufficiali superiori e funzionari.' I fascisti chiesero<br />

che il governatore desse <strong>le</strong> dimissioni e abbandonasse la zona, e non rimasero<br />

soddisfatti <strong>del</strong><strong>le</strong> sue risposte (14). La notte seguente i fascisti assediarono la<br />

residenza <strong>del</strong> governatore:<br />

«Le truppe erano schierate <strong>in</strong> modo che la più <strong>le</strong>ggera pressione <strong>del</strong><strong>le</strong> squadre<br />

fasciste avrebbe determ<strong>in</strong>ato il mescolamento <strong>del</strong>la forza, di guisa che non si sarebbe<br />

potuto usare <strong>le</strong> armi. (...) Il comando fascista si accontentò di dare uno spettacolo<br />

so<strong>le</strong>nne (!) di forza (!) e di discipl<strong>in</strong>a; spettacolo che nel si<strong>le</strong>nzio più profondo duro<br />

f<strong>in</strong>o al<strong>le</strong> ore tre <strong>del</strong>la notte» (15).<br />

Nel pomeriggio <strong>del</strong> 5 ottobre, i fascisti tolsero l'assedio dal palazzo. 'Il genera<strong>le</strong> Ghersi<br />

(...) ci ha assicurato che il governatore Credaro sarebbe partito immediatamente'<br />

(16).<br />

Soltanto un colpo di stato antiparlamentare avrebbe potuto prevenire alla Camera il<br />

formarsi di una coalizione di popolari, democratici e socialisti. Su questo punto è<br />

decisiva la testimonianza di Luigi Villari, noto propagandista fascista:<br />

«All'<strong>in</strong>terno <strong>del</strong> partito socialista il prob<strong>le</strong>ma di accettare l'idea di collaborare a un<br />

governo b<strong>org</strong>hese era altamente controverso. I <strong>le</strong>aders <strong>del</strong> gruppo collaborazionista<br />

lavoravano di buona <strong>le</strong>na per conv<strong>in</strong>cere i oro compagni, e a un certo momento<br />

sembrò che il loro punto di vista avesse buone probabilità di venire accettato. In<br />

diversi degli altri partiti c'era una vera e propria concorrenza per assicurarsi<br />

l'appoggio dei socialisti collaborazionisti nella formazione di un futuro gab<strong>in</strong>etto, "dato<br />

che si era conv<strong>in</strong>ti che una comb<strong>in</strong>azione con gli e<strong>le</strong>menti rossi moderati avrebbe<br />

garantito un governo di lunga durata". (...) I fascisti, i nazionalisti, e generalmente <strong>le</strong><br />

destre si opponevano rigidamente a ta<strong>le</strong> esperimento. (...) "Il socialismo<br />

rivoluzionario non costituiva più un pericolo serio"; i comunisti potevano<br />

occasionalmente commettere <strong>del</strong><strong>le</strong> vio<strong>le</strong>nze o degli atti di terrorismo, ma avevano<br />

perduto l'appoggio di gran parte <strong>del</strong>la classe lavoratrice. "Ma il collaborazionismo<br />

rappresentava un pericolo assai più concreto ed <strong>in</strong>sidioso"» (17).<br />

Un'altra prova lampante su questo punto viene da un personaggio fascista altolocato,<br />

il professor Volpe, amico persona<strong>le</strong> di Mussol<strong>in</strong>i e storico ufficia<strong>le</strong> <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>. Nel<br />

1932, Volpe scriveva:<br />

«Si può riconoscere che nella seconda metà <strong>del</strong> 1921, e più, nel 1922, <strong>le</strong> condizioni<br />

generali <strong>del</strong> paese, certe condizioni, accennavano a un miglioramento. Qualche <strong>in</strong>dice<br />

confortante di vita economica. Ripresa di lavoro. Ormai <strong>in</strong> decadenza, l'<strong>in</strong>fatuazione<br />

per la Russia e il suo bolscevismo. (...) Gli italiani tutti venivano, un po' per volta,<br />

riconciliandosi con la guerra, cioè con se stessi. (...) Questo, dunque, si può e deve<br />

riconoscere. (...) Mentre molti, anche simpatizzanti, si aspettavano che il <strong>fascismo</strong><br />

com<strong>in</strong>ciasse a smobilitare e disarmare (...) il <strong>fascismo</strong> <strong>in</strong>vece mobilitò sempre di più.


Il bersaglio maggiore, ormai, diventa il Governo, possiamo dire il regime<br />

parlamentare» (18).<br />

In conclusione, la marcia su Roma fu progettata non perché la paralisi parlamentare<br />

fosse divenuta <strong>in</strong>tol<strong>le</strong>rabi<strong>le</strong>, ma perché la paralisi parlamentare poteva essere<br />

superata da una coalizione di gruppi democratici.<br />

Molta luce viene fatta su questo punto dal "Diario" di Balbo. Il 16 ottobre, fu tenuto a<br />

Milano un 'consiglio di guerra' segreto, al qua<strong>le</strong>, oltre a De Bono, Mussol<strong>in</strong>i <strong>in</strong>vitò due<br />

generali <strong>in</strong> pensione, Ceccher<strong>in</strong>i e Fara. Egli spiegò che 'nel fatto rivoluzionario crede<br />

uti<strong>le</strong> vi siano generali <strong>in</strong> divisa, alla testa dei gruppi <strong>in</strong>sorti' (19). Ceccher<strong>in</strong>i e Fara<br />

erano stati tra quei generali che, nel settembre 1919, avevano raggiunto D'Annunzio<br />

a Fiume. Nel 'consiglio di guerra,' Mussol<strong>in</strong>i affermò che il <strong>fascismo</strong> si sarebbe trovato<br />

'da un momento all'altro condotto nella necessità di <strong>in</strong>iziare il movimento<br />

<strong>in</strong>surreziona<strong>le</strong>,' perché 'non si può attendere una soluzione parlamentare che è contro<br />

lo spirito e gli <strong>in</strong>teressi <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>' (20). Alla domanda se <strong>le</strong> forze militari <strong>del</strong><br />

<strong>fascismo</strong> fossero pronte e sufficienti al compito, il genera<strong>le</strong> De Bono e De Vecchi<br />

risposero che secondo loro non erano ancora pronte, e che era necessario ritardare un<br />

poco la cosa. Balbo pensava che non ci fosse tempo da perdere.<br />

«Io mi dichiaro preoccupato per la piega che hanno preso <strong>in</strong> questi ultimi giorni gli<br />

avvenimenti politici. Ritengo pericolosissimo ogni <strong>in</strong>dugio. Le manovre dei vecchi<br />

partiti parlamentari si fanno più serrate. Anche non vo<strong>le</strong>ndo, il <strong>fascismo</strong> m<strong>in</strong>accia di<br />

restare prigioniero <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>trigo che si ordisce ai suoi danni con la trappola <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

e<strong>le</strong>zioni. Penso che se non tentiamo subito il colpo di stato, <strong>in</strong> primavera sarà troppo<br />

tardi: nel tepore di Roma, liberali e sovversivi si metteranno d'accordo: non sarà<br />

diffici<strong>le</strong> al nuovo m<strong>in</strong>istero predisporre più energiche misure di polizia e<br />

compromettere l'esercito contro di noi. Oggi godiamo <strong>del</strong> beneficio <strong>del</strong>la sorpresa.<br />

Nessuno crede ancora seriamente al<strong>le</strong> nostre <strong>in</strong>tenzioni <strong>in</strong>surrezionali. Insomma, tra<br />

sei mesi, <strong>le</strong> difficoltà saranno decuplicate. Meglio tentare oggi l'azione def<strong>in</strong>itiva,<br />

anche se la nostra preparazione non è comp<strong>le</strong>ta, piuttosto che domani, quando<br />

<strong>in</strong>sieme con la nostra sarà comp<strong>le</strong>ta anche la preparazione degli avversari» (21).<br />

Non venne presa nessuna decisione def<strong>in</strong>itiva; ma fu nom<strong>in</strong>ato un quadrumvirato per<br />

dirigere l'<strong>in</strong>surrezione, formato da De Bono, De Vecchi, Balbo, e il segretario genera<strong>le</strong><br />

<strong>del</strong> partito, Miche<strong>le</strong> Bianchi. Due giorni dopo, i quadrumviri si <strong>in</strong>contrarono a<br />

Bordighera per preparare nei particolari il loro piano, con l'assistenza <strong>del</strong> colonnello<br />

Sacco, che aveva appartenuto allo stato maggiore <strong>del</strong>l'esercito. Mentre che 'nel<br />

massimo segreto' aveva luogo questo <strong>in</strong>contro, la vecchia reg<strong>in</strong>a madre, Margherita,<br />

che passava l'estate nella sua villa di Bordighera, seppe <strong>del</strong>la presenza di questi<br />

signori, e li <strong>in</strong>vitò ad una colazione, al term<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la qua<strong>le</strong>, scrive Balbo, 'ha formulato<br />

i più grandi auguri per la realizzazione dei nostri piani che non potevano che essere<br />

<strong>in</strong>dirizzati alla salvezza e alla gloria <strong>del</strong>la patria' (22).<br />

Il Vaticano non era <strong>in</strong>formato di questi preparativi. Lavorava per conto proprio per<br />

rendere impossibi<strong>le</strong> un accordo tra i deputati popolari e i socialisti di destra.<br />

Il 2 ottobre 1922, il card<strong>in</strong>al Gasparri <strong>in</strong>tervenne personalmente nella campagna. In<br />

una circolare diretta ai vescovi italiani, egli 'protestava energicamente' contro '<strong>le</strong><br />

<strong>in</strong>s<strong>in</strong>uazioni assolutamente false e calunniose,' che presentavano il partito popolare<br />

come una 'emanazione <strong>del</strong>la Santa Sede o l'esponente dei cattolici nel Parlamento e<br />

nel paese.' La Santa Sede <strong>in</strong>tendeva rimanere 'fede<strong>le</strong> al pr<strong>in</strong>cipio di non lasciarsi<br />

trasc<strong>in</strong>are nel gioco <strong>del</strong><strong>le</strong> competizioni politiche'; essa 'era rimasta sempre e<br />

<strong>in</strong>tendeva rimanere totalmente estranea al partito popolare come ad ogni altro partito<br />

politico (...) pur riservandosi di assumere verso di esso, come verso altri partiti, un<br />

atteggiamento di riprovazione e di biasimo ove fosse venuto a mettersi <strong>in</strong> contrasto


con i pr<strong>in</strong>cipi <strong>del</strong>la religione e <strong>del</strong>la mora<strong>le</strong> cattolica.' Neppure negava la Santa Sede ai<br />

vescovi e ai parroci il diritto di avere, come privati cittad<strong>in</strong>i, <strong>le</strong> proprie op<strong>in</strong>ioni e<br />

preferenze politiche; ma '<strong>in</strong> quanto vescovi e parroci essi dovranno tenersi <strong>in</strong> tutto<br />

alieni dal<strong>le</strong> lotte dei partiti al di sopra di ogni competizione meramente politica' (23).<br />

Non era faci<strong>le</strong> tracciare una l<strong>in</strong>ea di separazione tra privati cittad<strong>in</strong>i e vescovi e<br />

parroci. Nei casi dubbi, essi dovevano astenersi.<br />

Per quattro anni, <strong>in</strong> tutti i toni e <strong>in</strong> tutte <strong>le</strong> occasioni, il partito popolare aveva ripetuto<br />

che esso non era una emanazione <strong>del</strong>la Santa Sede. Il card<strong>in</strong>al Gasparri, perciò,<br />

andava dicendo una verità sacrosanta. Ma la forma aspra e tagliente che egli dava a<br />

questa verità equiva<strong>le</strong>va, non solo a un rifiuto di responsabilità, ma ad una condanna.<br />

Egli condannava come '<strong>in</strong>s<strong>in</strong>uazioni assolutamente false e calunniose' <strong>le</strong> voci circa un<br />

<strong>le</strong>game tra il Vaticano e il partito popolare, come se quest'ultimo fosse stato una<br />

associazione a <strong>del</strong><strong>in</strong>quere. Il Vaticano era pronto a condannare il partito popolare non<br />

appena questo si comportasse ma<strong>le</strong>; mentre il Vaticano lo avrebbe ignorato, dal<br />

momento che non aveva nulla a che fare con esso, quando questo si comportasse<br />

bene. Del resto era significativo anche il momento scelto dal card<strong>in</strong>al Gasparri per<br />

emanare la sua circolare. Egli <strong>in</strong>vitava il c<strong>le</strong>ro a non confondersi con il partito<br />

popolare, qualora quest'ultimo non prestasse la dovuta attenzione a quella che era la<br />

volontà <strong>del</strong><strong>le</strong> autorità religiose, proprio nel momento <strong>in</strong> cui appariva possibi<strong>le</strong> una<br />

coalizione tra popolari, democratici e socialisti di destra.<br />

Lo stesso giorno che <strong>in</strong>viava la circolare sul partito popolare, il card<strong>in</strong>al Gasparri<br />

<strong>in</strong>viava ai vescovi un'altra circolare sulla Azione cattolica. Tramite l'Azione cattolica,<br />

egli spiegava, i laici cooperano a quella missione religiosa che appartiene di diritto alla<br />

Chiesa. L'Azione cattolica, 'a causa <strong>del</strong>la necessaria connessione di tutte <strong>le</strong> cose, deve<br />

scendere anche nel campo economico-socia<strong>le</strong>, toccando anche questioni politiche'; ma<br />

nel far ciò, deve sempre tenere presenti 'gli <strong>in</strong>teressi supernaturali' e operare 'per<br />

l'e<strong>le</strong>vazione mora<strong>le</strong> e religiosa <strong>del</strong> popolo'; di conseguenza, l'Azione cattolica era una<br />

<strong>org</strong>anizzazione religiosa e non politica; essendo una <strong>org</strong>anizzazione religiosa, essa<br />

'dipendeva <strong>in</strong>teramente dal<strong>le</strong> autorità ecc<strong>le</strong>siastiche'; non era autorizzata a emettere<br />

'direttive di natura teoretica'; poteva soltanto 'svolgere la propria opera nel campo<br />

<strong>del</strong>la pratica'; <strong>in</strong> base a questi pr<strong>in</strong>cipi, il papa avrebbe ri<strong>org</strong>anizzato l'Azione cattolica,<br />

e chiesto ai vescovi di esprimere la propria op<strong>in</strong>ione sulla nuova costituzione (24).<br />

Il rapporto logico tra questi due documenti che recano la stessa data è ovvio. Pio<br />

Undicesimo faceva ritorno alla politica di Pio Decimo, e poneva <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni<br />

cattoliche laiche di nuovo sotto il controllo <strong>del</strong><strong>le</strong> autorità ecc<strong>le</strong>siastiche. Il partito<br />

popolare si trovò posto di fronte ad un di<strong>le</strong>mma: o sottomettersi al controllo <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

autorità ecc<strong>le</strong>siastiche come un ramo <strong>del</strong>l'Azione cattolica, o affrontare la concorrenza<br />

<strong>del</strong>l'Azione cattolica, sola <strong>org</strong>anizzazione nel<strong>le</strong> cui fi<strong>le</strong> i cattolici potevano operare con<br />

l'approvazione <strong>del</strong>la Santa Sede.


CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO.<br />

LA MARCIA SU ROMA.<br />

S<strong>in</strong>o dal 29 settembre, l'esecutivo centra<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito fascista sapeva che, <strong>in</strong> caso di<br />

una <strong>in</strong>surrezione fascista 'l'esercito non vi avrebbe partecipato' (1). Lo stesso<br />

Mussol<strong>in</strong>i, parlando il 30 ottobre 1923, rivelò che nell'ottobre 1922 egli sapeva che <strong>le</strong><br />

mitragliatrici <strong>del</strong> governo 'al momento opportuno non avrebbero sparato' (2).<br />

L'ambasciatore americano a Roma, Child, filofascista accanito, venne <strong>in</strong>formato che<br />

'segretamente l'esercito favoriva il movimento' (3) Con la parola 'esercito' si devono<br />

<strong>in</strong>tendere i capi <strong>del</strong>l'esercito.<br />

Il 14 ottobre una fonte non ufficia<strong>le</strong> annunciò che il governo aveva <strong>in</strong>caricato il<br />

genera<strong>le</strong> Badoglio di preparare l'esercito alla battaglia contro il <strong>fascismo</strong>, e che<br />

Badoglio avrebbe detto: 'Al primo fuoco, tutto il <strong>fascismo</strong> crol<strong>le</strong>rà' (4). La notizia<br />

produsse una forte impressione al quartier genera<strong>le</strong> fascista. In un vibrante articolo<br />

sul "Popolo d'Italia", Mussol<strong>in</strong>i dichiarava di non credere che la notizia fosse vera.<br />

'L'esercito naziona<strong>le</strong> non verrà contro l'esercito <strong>del</strong><strong>le</strong> Camicie nere, per la<br />

semplicissima ragione che i fascisti non andranno mai contro l'esercito naziona<strong>le</strong>'; 'il<br />

genera<strong>le</strong> Badoglio si rifiuterà al tentativo <strong>in</strong>uti<strong>le</strong> di fare il carnefice <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong><br />

italiano' (5). Commentando il fatto, così Balbo scriveva nel suo "Diario":<br />

«E' strano come i generali conoscano poco la psicologia dei loro soldati. Abbiamo <strong>le</strong><br />

prove ormai, documentatissime, che gran parte <strong>del</strong>l'esercito è con noi. Mi è stato<br />

portato da Ferrara il rapporto 'Zeta' dei nostri fiduciari al m<strong>in</strong>istero <strong>del</strong>la Guerra. Vi<br />

sono notizie <strong>in</strong>teressanti sopra la costituzione dei "battaglioni misti" che dovrebbero<br />

essere impiegati contro di noi: formazioni ibride di carab<strong>in</strong>ieri, guardie regie, guardie<br />

di f<strong>in</strong>anza e poliziotti. Aspetto altri particolari sulla loro dislocazione futura. Se il<br />

regime conta su queste forze per sferrare l'attacco contro il <strong>fascismo</strong>, è segno che non<br />

si fida <strong>del</strong><strong>le</strong> forze regolari. Quanto a noi, nemici di questo genere ci lasciano<br />

comp<strong>le</strong>tamente tranquilli» (6).<br />

Il giorno seguente i giornali annunciavano che Badoglio aveva smentito la notizia<br />

diramata il giorno prima. Balbo scrive nel suo "Diario": 'Ne sono contentissimo' (7).<br />

Secondo il "Diario" di Balbo, al 'consiglio di guerra' <strong>del</strong> 16 ottobre, De Bono e De<br />

Vecchi pensavano che <strong>le</strong> truppe fasciste non fossero ancora pronte e che occorresse<br />

r<strong>in</strong>viare ogni decisione, mentre Balbo sosteneva che l'<strong>in</strong>surrezione si sarebbe trovata<br />

di fronte ostacoli assai più seri se fosse stata r<strong>in</strong>viata alla primavera. Questo<br />

sembrava dimostrare che si riteneva che <strong>le</strong> truppe fasciste sarebbero state pronte per<br />

la primavera <strong>del</strong> 1923. Secondo la stessa fonte, la decisione def<strong>in</strong>itiva di mobilitare<br />

immediatamente <strong>le</strong> camicie nere e far<strong>le</strong> muovere contro Roma venne presa a Napoli<br />

nella notte tra il 24 e il 25 ottobre, durante una riunione presieduta da Mussol<strong>in</strong>i.<br />

Scopo <strong>del</strong>la 'mobilitazione' era di costr<strong>in</strong>gere il m<strong>in</strong>istero Facta al<strong>le</strong> dimissioni. Dopo di<br />

che i fascisti si sarebbero acc<strong>in</strong>ti 'alla conquista <strong>del</strong> potere con un m<strong>in</strong>istero che<br />

avesse almeno sei m<strong>in</strong>istri nostri nei dicasteri più importanti' (8). Nella stessa notte, il<br />

genera<strong>le</strong> Baistrocchi si recò da De Bono per dirgli, 'che i reparti <strong>del</strong>l'esercito dislocati<br />

nel Mezzogiorno seguono con grande simpatia il movimento fascista' (9). Il giorno<br />

dopo, mentre si trovava ancora a Napoli, Balbo ricevette da un messo, <strong>in</strong>viato dal<br />

'fiduciario' presso il m<strong>in</strong>istero <strong>del</strong>la Guerra, 'una copia degli ord<strong>in</strong>i emanati poche ore<br />

prima dal m<strong>in</strong>istro: riservatissimi.'<br />

«Ma non abbastanza per essere ignorati dal comando genera<strong>le</strong> fascista... Risulta che<br />

la formazione dei battaglioni misti è ancora <strong>in</strong> alto mare. Sono stati dati <strong>in</strong> proposito


ord<strong>in</strong>i ai corpi d'Armata. Ma noi sappiamo come queste cose procedono sotto il regime<br />

<strong>del</strong>la burocrazia militare. Possiamo dunque stare tranquilli. L'esercito non ci<br />

impressiona. E' molto più nostro che di So<strong>le</strong>ri» (10).<br />

Dopo che a Napoli era stata presa la decisione per una azione immediata, Mussol<strong>in</strong>i<br />

fece partenza, passò per Roma senza fermarsi, non si recò a Perugia dove era il<br />

quartier genera<strong>le</strong> <strong>del</strong>la <strong>in</strong>surrezione, ma andò direttamente a Milano, che dista circa<br />

seicento chilometri sia da Perugia che da Roma, e dove rimase s<strong>in</strong>o alla notte <strong>del</strong> 29<br />

ottobre. Lussu ha osservato ironicamente che Milano 'era una località davvero curiosa<br />

per dirigere una battaglia'; 'anche secondo <strong>le</strong> più moderne concezioni strategiche,<br />

seicento chilometri di distanza dalla l<strong>in</strong>ea pr<strong>in</strong>cipa<strong>le</strong> <strong>del</strong> fuoco sono molti; ma, d'altra<br />

parte, Milano aveva il vantaggio di essere assai vic<strong>in</strong>a al conf<strong>in</strong>e svizzero' (11). Se<br />

Mussol<strong>in</strong>i avesse previsto la improvvisa e schiacciante vittoria <strong>del</strong> 28 ottobre, sarebbe<br />

stato a Perugia, <strong>in</strong> modo da non dover dividere con altri la gloria <strong>del</strong>la 'battaglia' e<br />

<strong>del</strong>la 'vittoria.' Ma non si fidava <strong>del</strong>l'avventura. Si conf<strong>in</strong>ò a Milano, a due ore dalla<br />

frontiera svizzera, pronto a fuggire se <strong>le</strong> cose avessero preso una brutta piega.<br />

Durante il mese di ottobre, Mussol<strong>in</strong>i condusse trattative segrete con Giolitti, da una<br />

parte, e con Nitti, dall'altra. Egli chiedeva per i fascisti sei posti nel m<strong>in</strong>istero, e nuove<br />

e<strong>le</strong>zioni generali (12). Non era questo il piano <strong>del</strong><strong>le</strong> autorità militari e dei nazionalisti,<br />

i quali vo<strong>le</strong>vano un governo totalmente conservatore-reazionario-militarista. Il loro<br />

candidato per la presidenza non era Mussol<strong>in</strong>i, ma Salandra. Intendevano servirsi di<br />

Mussol<strong>in</strong>i e dei fascisti tenendo poi per sé i frutti <strong>del</strong>la vittoria. Il 22 agosto, il<br />

"Giorna<strong>le</strong> d'Italia" di Roma aveva pubblicato una <strong>le</strong>ttera, firmata 'un gruppo di ufficiali<br />

<strong>del</strong>l'esercito,' <strong>in</strong> cui si sfidava Mussol<strong>in</strong>i a pronunciarsi francamente sulla questione<br />

monarchica. Mussol<strong>in</strong>i, sul suo giorna<strong>le</strong>, aveva risposto rassicurandoli che la<br />

monarchia non correva nessun rischio da parte dei fascisti, e più tardi, nel discorso di<br />

Ud<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 20 settembre, aveva ribadito la stessa assicurazione e fatto una professione<br />

di fede monarchica, buttando al<strong>le</strong> ortiche <strong>le</strong> idee repubblicane professate dal <strong>fascismo</strong><br />

al suo <strong>in</strong>izio (13). Malgrado questa virata a destra, i capi militari e i nazionalisti<br />

rimasero fermi nella loro scelta, per un futuro presidente <strong>del</strong> Consiglio, su Salandra.<br />

Mussol<strong>in</strong>i non era disposto ad avere la parte <strong>del</strong> secondo viol<strong>in</strong>o <strong>in</strong> un m<strong>in</strong>istero<br />

nazionalista, che si sarebbe risolto <strong>in</strong> una dittatura militare, e avrebbe offerto ancor<br />

meno occasioni di un qualche mutamento a suo favore. Parlava <strong>del</strong>la imm<strong>in</strong>ente<br />

'marcia su Roma,' come già aveva fatto altre volte, perché non vo<strong>le</strong>va rimaner<br />

tagliato fuori dal giuoco, nel caso che la 'marcia su Roma' venisse posta veramente <strong>in</strong><br />

attuazione. Ma teneva al suo arco due altre frecce: Giolitti e Nitti. Il primo era il<br />

candidato dei socialisti di destra; il secondo dei popolari e <strong>del</strong> card<strong>in</strong>al Gasparri.<br />

Comunque fossero andate <strong>le</strong> cose, Mussol<strong>in</strong>i era sicuro che avrebbe avuto un posto<br />

nel nuovo m<strong>in</strong>istero. Ma preferiva un m<strong>in</strong>istero democratico, e contava sul<strong>le</strong> prossime<br />

e<strong>le</strong>zioni generali per arrivare alla presidenza.<br />

La sera <strong>del</strong> 27 ottobre, venne ufficialmente annunciata la 'mobilitazione,' e durante la<br />

notte gruppi fascisti com<strong>in</strong>ciarono a convergere su Roma dal<strong>le</strong> località limitrofe<br />

<strong>del</strong>l'Italia centra<strong>le</strong>. De Bono avrebbe dovuto dirigere il movimento da Perugia, ma<br />

appare dal "Diario" di Balbo che di fatto egli non diresse un bel niente. Altri quattro<br />

generali <strong>in</strong> pensione, Fara, Maggiotto, Ceccher<strong>in</strong>i, Tiby, comandavano i gruppi fascisti<br />

che 'marciavano' su Roma. Un qu<strong>in</strong>to genera<strong>le</strong>, Zamboni, era a Foligno, poco distante<br />

da Perugia, al comando <strong>del</strong><strong>le</strong> 'riserve' fasciste. Qui venne raggiunto da un altro<br />

genera<strong>le</strong>, Novelli (14). Altri ufficiali, alcuni <strong>in</strong> pensione, altri <strong>in</strong> servizio ma <strong>in</strong> regolare<br />

licenza, comandavano i gruppi fascisti che dovevano impadronirsi <strong>del</strong><strong>le</strong> stazioni<br />

ferroviarie, dei te<strong>le</strong>grafi e dei te<strong>le</strong>foni, <strong>in</strong> molte <strong>del</strong><strong>le</strong> più importanti città <strong>del</strong>l'Italia<br />

settentriona<strong>le</strong> e centra<strong>le</strong>.<br />

Il Re, che si trovava vic<strong>in</strong>o a Pisa nella sua residenza, estiva di San Rossore, si<br />

affrettò a far ritorno a Roma la sera <strong>del</strong> 27 ottobre. Si dice che, <strong>in</strong>dignato contro i


fascisti, abbia detto <strong>in</strong> piemontese: 'Piuttosto che cedere, prendo mia moglie e mio<br />

figlio e me ne vado.' Nei momenti di rabbia capita agli italiani di fare ritorno al<br />

dia<strong>le</strong>tto.<br />

Nella notte <strong>del</strong> 27 ottobre, il m<strong>in</strong>istero decise di proclamare lo stato d'assedio, e <strong>in</strong><br />

attesa <strong>del</strong>la firma <strong>del</strong> Re per la proclamazione, venne fatto sapere ai prefetti <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

prov<strong>in</strong>cie che dovevano passare i poteri al<strong>le</strong> autorità militari. Si era sicuri che il Re<br />

avrebbe firmato il decreto di stato d'assedio.<br />

Durante la notte, <strong>in</strong> tutta l'Italia, dopo che <strong>in</strong> obbedienza al decreto di stato d'assedio<br />

<strong>le</strong> autorità civili avevano ceduto i poteri al<strong>le</strong> autorità militari, ovunque queste ultime<br />

tennero <strong>le</strong> truppe nel<strong>le</strong> caserme, permettendo ai fascisti di impossessarsi <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

stazioni ferroviarie, degli uffici te<strong>le</strong>grafici e te<strong>le</strong>fonici, dei magazz<strong>in</strong>i di armi e<br />

munizioni, <strong>del</strong><strong>le</strong> sedi dei giornali. Ogni volta che i fascisti avanzavano, prudentemente<br />

<strong>le</strong> autorità militari si ritiravano (15). Vi furono qua e là alcuni comandanti militari, i<br />

quali non appartenevano alla congiura, che non si ritirarono di fronte alla <strong>in</strong>surrezione<br />

fascista. Dove e quando ciò avvenne, furono i fascisti che si ritirarono o furono<br />

annientati.<br />

Il ben noto scrittore <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se Israel Zangwill si trovava a Firenze negli ultimi giorni<br />

<strong>del</strong>l'ottobre 1922. Ai suoi occhi gli avvenimenti di quei giorni parevano più che una<br />

vera rivoluzione un'opera comica. Curzio Malaparte, uno dei capi <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong><br />

toscano, racconta questo episodio. Sforzandosi di persuadere Zangwill che quella di<br />

cui era testimone era una rivoluzione, lo condusse, per veder di conv<strong>in</strong>cerlo, al<strong>le</strong><br />

offic<strong>in</strong>e <strong>del</strong> gas, ai te<strong>le</strong>foni, ai te<strong>le</strong>grafi, ai ponti e al<strong>le</strong> stazioni ferroviarie. Tutti questi<br />

'punti strategici' erano nel<strong>le</strong> mani <strong>del</strong><strong>le</strong> camicie nere. Il risultato di questa<br />

dimostrazione fu disastroso per la tesi di Malaparte. Zangwill osservò che i fascisti si<br />

erano impadroniti di tutte queste posizioni senza colpo ferire, mentre <strong>le</strong> forze di<br />

polizia si erano rifugiate <strong>in</strong> prefettura, riparate dietro cordoni di carab<strong>in</strong>ieri, di guardie<br />

regie e di autobl<strong>in</strong>de. E non basta: '<strong>le</strong> truppe <strong>del</strong>la guarnigione, i reggimenti di<br />

fanteria, di artiglieria e di caval<strong>le</strong>ria, (..) erano consegnate nel<strong>le</strong> caserme: <strong>le</strong> autorità<br />

militari mantenevano per il momento una neutralità benevola' (16).<br />

Malaparte richiamò l'attenzione di Zangwill sul fatto che il prefetto di Firenze non<br />

poteva comunicare con <strong>le</strong> altre autorità perché gli uffici te<strong>le</strong>grafici e te<strong>le</strong>fonici erano<br />

nel<strong>le</strong> mani dei fascisti. Egli si guardò bene dal dire che a Firenze il comando militare è<br />

a soli duecento metri dalla prefettura, e che il prefetto <strong>in</strong> c<strong>in</strong>que m<strong>in</strong>uti avrebbe<br />

potuto dare ord<strong>in</strong>i al comandante militare di far sgomberare i fascisti dai 'punti<br />

strategici.' Anche senza conoscere questo significativo particolare, Zangwill avrebbe<br />

potuto chiedersi perché il prefetto non si serviva <strong>del</strong>la polizia, concentrata <strong>in</strong><br />

prefettura, per espel<strong>le</strong>re i fascisti dagli uffici te<strong>le</strong>grafici e te<strong>le</strong>fonici e dalla stazione<br />

centra<strong>le</strong>: tutti posti che non distavano dalla prefettura più di mezzo chilometro.<br />

L'atteggiamento <strong>del</strong> genera<strong>le</strong> Gonzaga, comandante la piazza di Firenze, qua<strong>le</strong><br />

Malaparte lo descrive, appare, se non altro, anche più ambiguo di quello <strong>del</strong> prefetto.<br />

Dopo avere consegnato <strong>le</strong> truppe nel<strong>le</strong> caserme e aver permesso <strong>in</strong> tal modo ai<br />

fascisti di occupare i 'punti strategici' senza colpo ferire, egli apprese dai giornali che il<br />

Re stava trattando con Mussol<strong>in</strong>i e probabilmente gli avrebbe affidato l'<strong>in</strong>carico di<br />

formare un nuovo m<strong>in</strong>istero. In quel momento la notizia era falsa. Ma il genera<strong>le</strong><br />

Gonzaga te<strong>le</strong>grafò al m<strong>in</strong>istero <strong>del</strong>la Guerra a Roma per ottenerne conferma<br />

(evidentemente <strong>le</strong> autorità militari avevano ancora a loro disposizione i servizi radio,<br />

che i fascisti si erano dimenticati di sequestrare). Il m<strong>in</strong>istero <strong>del</strong>la Guerra si rifiutò di<br />

dare una risposta precisa, rispondendo che il nome <strong>del</strong> Re non doveva essere<br />

mescolato <strong>in</strong> risse di partiti, e che la notizia era probabilmente prematura. La mossa<br />

seguente <strong>del</strong> genera<strong>le</strong> fu di recarsi al quartier genera<strong>le</strong> dei fascisti a Firenze per<br />

chiedere se la notizia era vera. Gli fu assicurato che <strong>le</strong> cose stavano veramente così.<br />

Questa 'lieta notizia' pose term<strong>in</strong>e ai suoi scrupoli di coscienza e sol<strong>le</strong>vò dal<strong>le</strong> sue


spal<strong>le</strong> una grossa responsabilità: quella di far sloggiare i fascisti da quei 'punti<br />

strategici.'<br />

Un caso tipico si verificò a Padova. Il genera<strong>le</strong> Boriani, comandante <strong>del</strong>la piazza, nella<br />

notte <strong>del</strong> 27 ottobre era assente, pare <strong>in</strong> licenza. Il genera<strong>le</strong> Emo Capodilista, che<br />

aveva temporaneamente assunto il comando e non apparteneva alla cricca militare <strong>in</strong><br />

combutta con i fascisti, si preparava a prendere <strong>le</strong> misure necessarie per far sloggiare<br />

i fascisti, quando <strong>in</strong> tutta fretta il genera<strong>le</strong> Boriani poneva term<strong>in</strong>e alla sua licenza,<br />

riprendeva il comando nel cuor <strong>del</strong>la notte, e consegnava <strong>le</strong> truppe nel<strong>le</strong> caserme<br />

(17).<br />

Un fascista, che <strong>in</strong>sieme ai suoi camerati occupava la stazione ferroviaria di Cancello,<br />

a sud di Roma, così racconta la sua avventura:<br />

«Si era sparsa la voce che i carab<strong>in</strong>ieri vo<strong>le</strong>ssero tentare il forzamento <strong>del</strong>la l<strong>in</strong>ea e<br />

perciò siamo rimasti al posto, con una scato<strong>le</strong>tta di carne <strong>in</strong> conserva e una pagnotta<br />

per lauto cibo per tutta la giornata. I carab<strong>in</strong>ieri, calunniati a torto, non sono venuti.<br />

E' venuto, <strong>in</strong>vece, un capitano <strong>del</strong> commissariato militare, il qua<strong>le</strong> ci ha donato,<br />

<strong>in</strong>neggiando a Mussol<strong>in</strong>i, un camion carico di ogni ben di Dio» (18).<br />

La matt<strong>in</strong>a <strong>del</strong> 28, erano disponibili per una vera 'marcia' su Roma quattro gruppi<br />

fascisti. Circa quattromila dislocati a Santa Mar<strong>in</strong>ella, vic<strong>in</strong>o a Civitavecchia, a una<br />

c<strong>in</strong>quant<strong>in</strong>a di chilometri a nord-ovest di Roma; circa duemila a Orte, una c<strong>in</strong>quant<strong>in</strong>a<br />

di chilometri a nord di Roma; circa ottomila a Tivoli, a poco più di venti chilometri a<br />

est di Roma; e un gruppo a Valmontone, circa trenta chilometri a sud di Roma, di cui<br />

nessuna fonte dà la forza. Questi gruppi non disponevano di mezzi di trasporto, e <strong>le</strong><br />

l<strong>in</strong>ee ferroviarie che conducevano a Roma avrebbero potuto facilmente venire<br />

<strong>in</strong>terrotte al momento voluto dal<strong>le</strong> truppe regolari con l'assistenza <strong>del</strong> tutto spontanea<br />

dei ferrovieri. Tra questi gruppi sparsi a ovest, est, nord e sud di Roma, non c'era un<br />

contatto diretto. Quanto al loro armamento, possiamo affidarci al "Popolo d'Italia", <strong>del</strong><br />

1 novembre 1922, dove si dice che '<strong>le</strong> più strane foggie caratterizzano questo<br />

poderoso esercito <strong>del</strong> dopoguerra. (...) Predom<strong>in</strong>a l'armamento di bastoni e rivoltel<strong>le</strong>,<br />

ma numerosissimi hanno il fuci<strong>le</strong> ed un <strong>le</strong>ggero armamento di cartuccie.' Due altri<br />

testimoni oculati, il deputato belga Louis Pierard, e il giornalista americano C. Beals,<br />

descrivono i fascisti come 'uom<strong>in</strong>i armati nel modo più fantastico, con rivoltel<strong>le</strong>, fucili<br />

da caccia, bastoni, mitragliatrici e zappe'; 'armati di fucili e di gambe di tavol<strong>in</strong>o' (19).<br />

Gli uom<strong>in</strong>i dislocati a Foligno, e che dovevano costituire <strong>le</strong> 'riserve,' erano tremila, ma<br />

non più di trecento erano armati. Il loro numero crebbe a 5000 alla sera <strong>del</strong> 28<br />

ottobre, e solo durante la notte tra il 28 e il 29 si impossessarono di due depositi di<br />

armi e poterono così armarsi. In ogni modo, da Foligno, che dista oltre cento<br />

chilometri da Roma, il 28 ottobre non avrebbero potuto fare niente.<br />

Le forze <strong>del</strong>l'esercito regolare, concentrate a Roma, ammontavano a 12000 uom<strong>in</strong>i.<br />

Esse avrebbero potuto facilmente disperdere ad una ad una queste turbe. Non<br />

sarebbe occorsa una battaglia campa<strong>le</strong>; sarebbe bastato lasciar<strong>le</strong> senza viveri e acqua<br />

<strong>in</strong> quel deserto che circonda Roma, tagliando <strong>le</strong> comunicazioni con <strong>le</strong> loro basi. Dopo<br />

ventiquattr'ore di questo trattamento, quattro fucilate distribuite con giudizio e una<br />

discreta dose di pedate sarebbero state sufficienti a spedirli a casa col loro giusto<br />

castigo.<br />

A Roma, il decreto che proclamava lo stato d'assedio, era stato affisso al<strong>le</strong> ore 10 <strong>del</strong><br />

28 ottobre. Non appena conosciuta la notizia, i fascisti di Roma furono presi dal<br />

panico. Temevano che <strong>le</strong> autorità militari, richiamate al loro giuramento di fe<strong>del</strong>tà da<br />

un ord<strong>in</strong>e perentorio <strong>del</strong> Re, avrebbero messo <strong>in</strong> moto la macch<strong>in</strong>a <strong>del</strong>la repressione.<br />

Dal<strong>le</strong> dieci a mezzogiorno per <strong>le</strong> strade di Roma non si vide un fascista. Un deputato<br />

fascista, Acerbo, scappò con <strong>in</strong>dosso la camicia nera alla Camera dei deputati, e


tremando da capo a piedi chiese se f<strong>in</strong>tanto che rimaneva là poteva essere sicuro di<br />

non venire arrestato.<br />

Frattanto il presidente <strong>del</strong> Consiglio, Facta, portò il decreto al Re per la firma. Egli era<br />

stato preceduto. L'ammiraglio Thaon de Revel aveva 'consigliato' al Re di cedere alla<br />

'rivoluzione.' Anche il genera<strong>le</strong> Diaz - uno dei capi militari - arrivò al palazzo. Nel<br />

pomeriggio <strong>del</strong> giorno 27, egli si trovava a Firenze, al momento <strong>in</strong> cui il quartier<br />

genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito fascista aveva ord<strong>in</strong>ato la 'mobilitazione' <strong>del</strong><strong>le</strong> camicie nere. Diaz<br />

aveva ricevuto una entusiastica manifestazione dei fascisti, e aveva concesso al<br />

giorna<strong>le</strong> fiorent<strong>in</strong>o "La Nazione" una <strong>in</strong>tervista, <strong>in</strong> cui esprimeva la sua piena fiducia<br />

nel movimento fascista; <strong>in</strong>di si era precipitato <strong>in</strong> automobi<strong>le</strong> a Roma per '<strong>in</strong>formare' il<br />

Re che l'esercito non avrebbe combattuto contro i fascisti (20). Il genera<strong>le</strong> Cittad<strong>in</strong>i,<br />

aiutante di campo <strong>del</strong> Re, era anche lui filofascista, e appoggiava Thaon de Revel e<br />

Diaz. Anche Federzoni si recò a corte, da parte dei nazionalisti, per dare <strong>le</strong> stesse<br />

notizie. Giunse la notizia che il cug<strong>in</strong>o <strong>del</strong> Re, il Duca d'Aosta, si trovava a Bevagna,<br />

presso Perugia, pronto a farsi proclamare Re non appena Vittorio Emanue<strong>le</strong> avesse<br />

abdicato o fosse stato deposto dai fascisti.<br />

Tutti questi 'consigli,' '<strong>in</strong>formazioni,' 'notizie' spaventarono il Re. Facta era ancora più<br />

spaventato di lui. Inoltre pare che nella sua vanità imbecil<strong>le</strong> egli immag<strong>in</strong>asse che,<br />

aiutando il Re e i fascisti a trovare un compromesso, egli sarebbe stato <strong>in</strong>vitato a<br />

formare un nuovo m<strong>in</strong>istero con la collaborazione dei fascisti. Perciò egli non consigliò<br />

la proclamazione <strong>del</strong>lo stato d'assedio. 'Sire,' avrebbe detto al sovrano, 'ci pensi<br />

sopra.' E il Re ci ripensò e si rifiutò di firmare (21). Dato il suo carattere debo<strong>le</strong>, non<br />

firmare era molto più faci<strong>le</strong>. Egli agì esattamente allo stesso modo dei generali che<br />

comandavano <strong>le</strong> diverse piazze: lasciò via libera ai fascisti (22).<br />

Una volta ottenuta la revoca <strong>del</strong>lo stato d'assedio, Thaon de Revel, Diaz e Cittad<strong>in</strong>i<br />

suggerirono al Re di convocare l'uomo su cui essi potevano contare, Salandra. Questi<br />

era a Roma, <strong>in</strong> attesa di quell'alto dest<strong>in</strong>o che era stato preparato apposta per lui.<br />

I consiglieri <strong>del</strong> Re si accorsero subito di avere fatto un grosso sbaglio. La revoca <strong>del</strong>lo<br />

stato d'assedio era un'arma a doppio taglio. Non appena essa fu resa nota al<strong>le</strong> 12,15,<br />

la notizia propagò un fremito di trionfo nei fascisti di tutta Italia. Essi si riversarono<br />

nel<strong>le</strong> strade, <strong>in</strong>vasero i treni e 'marciarono' su Roma. Era una gara frenetica per<br />

arrivare primi. Arg<strong>in</strong>are la marea era impossibi<strong>le</strong>. Anche i carab<strong>in</strong>ieri abbandonarono<br />

<strong>le</strong> loro caserme fraternizzando con i fascisti e accompagnandoli nella loro 'marcia su<br />

Roma.' Fu un caso di improvvisa suggestione col<strong>le</strong>ttiva. Rifiutandosi di firmare il<br />

decreto di stato d'assedio, il Re non solo aveva disarmato il gab<strong>in</strong>etto <strong>in</strong> carica, ma<br />

aveva perso la propria libertà nella scelta <strong>del</strong> presidente <strong>del</strong> Consiglio. S<strong>in</strong>o al<strong>le</strong> 12,15<br />

<strong>del</strong> 28 ottobre, Salandra, con <strong>in</strong> mano il decreto di stato d'assedio, avrebbe ancora<br />

potuto trattare con i fascisti; dopo <strong>le</strong> 12,15 Mussol<strong>in</strong>i era il padrone <strong>del</strong>la barca. Il Re<br />

non era più un Re, ma un prigioniero di guerra con il titolo di Re.<br />

Uno dei due 'quadrunviri' presenti a Roma, De Vecchi, si dava da fare per Salandra,<br />

mentre il segretario genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito, Miche<strong>le</strong> Bianchi, sosteneva Mussol<strong>in</strong>i con<br />

<strong>in</strong>trepida ost<strong>in</strong>azione. La sera <strong>del</strong> 28 ottobre, egli si rese conto che senza lo stato<br />

d'assedio a Roma o <strong>in</strong> Italia, con migliaia di fascisti che da tutte <strong>le</strong> parti si riversavano<br />

su Roma, Mussol<strong>in</strong>i poteva facilmente aver ragione dei nazionalisti, e persuase gli altri<br />

quadrunviri che Salandra sarebbe stato messo da parte, e che la presidenza sarebbe<br />

toccata a Mussol<strong>in</strong>i.<br />

A Milano, Mussol<strong>in</strong>i fu anche meno pronto nel rendersi conto di quanto schiacciante<br />

fosse la sua vittoria. Dato che il Re aveva affidato a Salandra l'<strong>in</strong>carico di formare il<br />

governo, Mussol<strong>in</strong>i pensò che la sola cosa da fare fosse di trattare con Salandra per<br />

te<strong>le</strong>fono circa il numero di posti che sarebbero andati al suo partito nel nuovo<br />

gab<strong>in</strong>etto. Fu F<strong>in</strong>zi, uno degli amici che contornavano Mussol<strong>in</strong>i negli uffici <strong>del</strong> "Popolo<br />

d'Italia", che strappò il ricevitore a Mussol<strong>in</strong>i dichiarando a Salandra che avrebbe<br />

dovuto cedere il passo a Mussol<strong>in</strong>i, e ponendo f<strong>in</strong>e al<strong>le</strong> trattative. Per ventiquattro ore


Salandra si sforzò <strong>in</strong>vano di mettere <strong>in</strong>sieme il nuovo gab<strong>in</strong>etto. Nel pomeriggio <strong>del</strong><br />

29 ottobre riconobbe il suo fallimento. I nazionalisti erano furiosi, ma anche loro<br />

dovettero cedere il passo. Il Re non aveva altra alternativa che chiamare Mussol<strong>in</strong>i.<br />

Ogni movimento politico ha bisogno di un <strong>le</strong>ader. Diventa <strong>le</strong>ader alla f<strong>in</strong>e colui che si è<br />

mantenuto più <strong>in</strong> vista. Mussol<strong>in</strong>i si era sempre tenuto <strong>in</strong> vista. Egli era divenuto 'la<br />

voce articolata <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>.' Così, quando venne l'ora <strong>del</strong>la vittoria, il mantello <strong>del</strong><br />

pontificato fascista cadde sul<strong>le</strong> sue spal<strong>le</strong>, perché egli era stato il profeta che aveva<br />

pronunciato il verbo. All'<strong>in</strong>vito <strong>del</strong> Re, egli lasciò Milano la sera <strong>del</strong> 29, e 'marciò su<br />

Roma' <strong>in</strong> vagone <strong>le</strong>tto.<br />

Nel frattempo, dopo la revoca <strong>del</strong> decreto di stato d'assedio, nel pomeriggio <strong>del</strong> 28<br />

ottobre e per tutto il giorno 29 e la notte seguente, migliaia di fascisti avevano<br />

'marciato su Roma,' unendosi a coloro che già avevano 'marciato' nella notte <strong>del</strong> 27 e<br />

la matt<strong>in</strong>a <strong>del</strong> 28. Alcuni di loro, come il Duce, 'marciarono' <strong>in</strong> vagone <strong>le</strong>tto; la<br />

maggioranza 'marciò' nei treni che erano stati presi d'assalto, altri su camions, alcuni<br />

a cavallo o anche a piedi. Al loro passaggio vi fu ovunque un <strong>in</strong>credibi<strong>le</strong> massacro di<br />

polli e <strong>in</strong>tere botti di v<strong>in</strong>o vennero ridotte all'asciutto; e quel contad<strong>in</strong>o che fosse stato<br />

tanto <strong>in</strong>discreto da reclamare i propri diritti di proprietà su una gall<strong>in</strong>a o su un fiasco<br />

di v<strong>in</strong>o correva il rischio di passarsela brutta, come 'comunista' e 'nemico <strong>del</strong>la patria.'<br />

Più gente si andava radunando al<strong>le</strong> quattro località di raccolta e più diventava ridicola<br />

e tragica la situazione di queste moltitud<strong>in</strong>i affamate, assetate e disord<strong>in</strong>ate. A<br />

rendere la confusione anche peggiore contribuivano rovesci di pioggia. La campagna<br />

<strong>in</strong>torno a Roma, nei tempi andati, ha già visto scene <strong>del</strong> genere. Una di queste è<br />

descritta dallo storico lat<strong>in</strong>o Tacito. Fu la 'marcia su Roma' di Vitellius: 'Sexag<strong>in</strong>ta<br />

millia armatorum sequebantur, discipl<strong>in</strong>a corrupta.'<br />

La sera <strong>del</strong> 29 ottobre, il comandante <strong>in</strong> carica dei tredicimila uom<strong>in</strong>i dislocati a nord<br />

di Roma, non sapendo più cosa fare di tutta quella turba, irrequieta, affamata,<br />

assetata e fradicia d'acqua, <strong>in</strong>viò al comandante <strong>del</strong>la turba che si era rifugiato a<br />

Tivoli un messaggio, dove diceva che '<strong>in</strong> vista <strong>del</strong>la impossibilità di rimanere a<br />

Monterotondo' (23) sarebbe partito per Roma la matt<strong>in</strong>a seguente, e lo <strong>in</strong>vitava a fare<br />

altrettanto.<br />

La matt<strong>in</strong>a <strong>del</strong> 30 ottobre, Mussol<strong>in</strong>i arrivò a Roma assumendo la carica di presidente<br />

<strong>del</strong> Consiglio. Era per lui impossibi<strong>le</strong> ord<strong>in</strong>are a quei quarantamila uom<strong>in</strong>i che avevano<br />

'marciato su Roma' di farsene ritorno a casa senza neppure essere entrati a Roma.<br />

Perciò <strong>le</strong> autorità militari e la direzione <strong>del</strong><strong>le</strong> ferrovie dedicarono l'<strong>in</strong>tero giorno <strong>del</strong> 30<br />

ottobre, la notte di poi e il matt<strong>in</strong>o <strong>del</strong> 31, a mettere un po' d'ord<strong>in</strong>e, come meglio<br />

potevano, <strong>in</strong> quell'anarchia. Le orde che si trovavano più vic<strong>in</strong>e a Roma furono<br />

alloggiate e rifocillate il meglio possibi<strong>le</strong>, date <strong>le</strong> circostanze; quel<strong>le</strong> più lontane furono<br />

trasportate per ferrovia. In tal modo fu possibi<strong>le</strong> classificar<strong>le</strong> secondo il numero <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

vetture e dare loro un certo ord<strong>in</strong>e prima che arrivassero a Roma. Al tempo stesso,<br />

con l'aiuto dei nazionalisti, <strong>le</strong> autorità militari distribuivano <strong>in</strong> Roma alcune migliaia di<br />

camicie azzurre, l'uniforme usata dai nazionalisti per dist<strong>in</strong>guersi dai fascisti, a<br />

e<strong>le</strong>menti raccogliticci che si facevano avanti sp<strong>in</strong>ti dal<strong>le</strong> circostanze. Le stesse autorità<br />

militari consegnavano il 31 ottobre dei cavalli a questi uom<strong>in</strong>i <strong>in</strong> camicia azzurra. Si<br />

improvvisò così una caval<strong>le</strong>ria, il cui compito era di soffocare eventuali vio<strong>le</strong>nze da<br />

parte dei fascisti al momento <strong>del</strong> loro <strong>in</strong>gresso <strong>in</strong> Roma. Quando tutto fu preparato<br />

per questa ridicola dimostrazione, f<strong>in</strong>almente nel pomeriggio <strong>del</strong> 31 ottobre la<br />

dimostrazione ebbe luogo. C<strong>in</strong>quantamila uom<strong>in</strong>i sfilarono <strong>in</strong> parata per <strong>le</strong> strade di<br />

Roma per ce<strong>le</strong>brare la loro vittoria, dopo una 'marcia su Roma' che non c'era mai<br />

stata.<br />

Un vecchio prelato romano che era stato <strong>in</strong> Vaticano con Pio Nono il 20 settembre <strong>del</strong><br />

1870, quando <strong>le</strong> truppe italiane presero la città, con una perdita di soli venti uom<strong>in</strong>i,<br />

commentò la difesa di Roma <strong>del</strong> 1922 da parte <strong>del</strong> governo regio con una frase non<br />

<strong>in</strong>degna di Tacito: 'Noi, Roma, nel 1870 l'abbiamo difesa meglio' (24). La 'suggestione


col<strong>le</strong>ttiva' <strong>del</strong> 28 ottobre, il fallimento di Salandra, il farsi avanti di Mussol<strong>in</strong>i per la<br />

presidenza, la dimostrazione per <strong>le</strong> vie: di Roma dei c<strong>in</strong>quantamila prodi, nulla era<br />

stato previsto. La marcia su Roma fu una 'commedia degli errori.' 'La fortuna e gli<br />

stati d'animo passeggeri governano il mondo,' dice La Rochefoucauld.<br />

La storiografia fascista chiama quest'opera buffa una; 'rivoluzione.' Che cosa è una<br />

rivoluzione?<br />

Alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> secolo diciottesimo, la Rivoluzione francese com<strong>in</strong>ciò con un colpo di<br />

mano, la presa <strong>del</strong>la Bastiglia, il, 14 luglio <strong>del</strong> 1789; il che fu reso possibi<strong>le</strong> da un<br />

ammut<strong>in</strong>amento <strong>del</strong><strong>le</strong> truppe di Parigi, dai dissensi che paralizzavano la nobiltà e il<br />

c<strong>le</strong>ro, il disord<strong>in</strong>e amm<strong>in</strong>istrativo e la ignavia <strong>del</strong> re. Questo colpo di mano dette il via<br />

a quattro 'rivoluzioni' contemporanee, che si aiutarono a vicenda: 1) i contad<strong>in</strong>i<br />

dettero fuoco ai castelli feudali e cacciarono o uccisero gli esattori fiscali; 2) il<br />

popol<strong>in</strong>o <strong>del</strong><strong>le</strong> città attaccò <strong>le</strong> barriere daziarie e <strong>le</strong> botteghe di generi; alimentari; 3) i<br />

ceti medi si rifiutarono di obbedire al<strong>le</strong> autorità amm<strong>in</strong>istrative; 4) una parte<br />

considerevo<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'esercito regolare si rifiutò di partecipare alla repressione dei<br />

disord<strong>in</strong>i. Durante il periodo di 'anarchia spontanea' che, dopo la crisi pr<strong>in</strong>cipa<strong>le</strong><br />

<strong>del</strong>l'estate 1789, durò per parecchi anni, ebbero luogo numerosi colpi di mano o colpi<br />

di stato. La conseguenza di tutti questi avvenimenti fu, dopo il 1799, l'emergere di un<br />

società controllata dai ceti medi.<br />

Nel 1917 la Russia fu il teatro di una 'rivoluzione.' Milioni di uom<strong>in</strong>i, <strong>in</strong> rivolta contro la<br />

discipl<strong>in</strong>a militare, uccisero i loro ufficiali, fecero ritorno armati ai loro villaggi e si<br />

impossessarono <strong>del</strong>la terra, cacciando o uccidendo vecchi proprietari. Altri gruppi<br />

<strong>in</strong>vasero <strong>le</strong> grosse città, paralizzando col loro numero l'azione <strong>del</strong><strong>le</strong> vecchie autorità<br />

politiche e amm<strong>in</strong>istrative. Tutti gli <strong>in</strong>teressi, <strong>le</strong> abitud<strong>in</strong>i, <strong>le</strong> ideologie e <strong>le</strong><br />

superstizioni che componevano la vecchia società crollarono al suolo. In mezzo a<br />

questo caos socia<strong>le</strong>, nell'autunno <strong>del</strong> 1917, emergevano ancora alcuni resti <strong>del</strong>la<br />

vecchia struttura. Nell'ottobre <strong>del</strong> 1917, i bolscevichi, approfittando <strong>del</strong>la condizione<br />

creata dalla precedente rivoluzione, si impadronirono <strong>del</strong> potere con un colpo di<br />

mano, spazzando tutti i resti <strong>del</strong> vecchio regime <strong>in</strong>iziando poi la costruzione di una<br />

nuova struttura, militare, amm<strong>in</strong>istrativa e socia<strong>le</strong>, <strong>in</strong> parte mo<strong>del</strong>lata sulla loro<br />

ideologia marxista o pseudo-marxista, <strong>in</strong> parte sotto la pressione di necessità<br />

<strong>in</strong>aspettate.<br />

Si deve fare una dist<strong>in</strong>zione tra 'colpo di mano' e 'rivoluzione.' Strettamente parlando,<br />

<strong>le</strong> 'rivoluzioni' <strong>in</strong> Francia <strong>del</strong> luglio 1830 e <strong>del</strong> febbraio 1848 furono dei 'colpi di mano,'<br />

che ebbero successo per la debo<strong>le</strong>zza <strong>del</strong><strong>le</strong> autorità militari e civili, timorose di<br />

appoggiarsi sull'esercito e <strong>in</strong>capaci di agire con la necessaria energia ed <strong>in</strong>telligenza.<br />

Nel settembre <strong>del</strong> 1870, per la f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> Secondo Impero, <strong>in</strong> Francia, non fu necessario<br />

neppure un 'colpo di mano'; alla sconfitta militare si accompagnò il crollo <strong>del</strong> governo,<br />

che abdicò senza colpo ferire. La Comune di Parigi ebbe orig<strong>in</strong>e da un 'colpo di mano'<br />

che <strong>in</strong>tendeva essere il pr<strong>in</strong>cipio di una rivoluzione socia<strong>le</strong>, ma rimase un tentativo<br />

isolato, e Thiers poté disporre di abbastanza truppe per soffocarla. La rivoluzione<br />

repubblicana tedesca e la dis<strong>in</strong>tegrazione <strong>del</strong>la monarchia austro-ungarica<br />

nell'autunno <strong>del</strong> 1918 furono fenomeni paragonabili alla caduta <strong>del</strong> governo che nel<br />

1870 produsse <strong>in</strong> Francia la Terza Repubblica. Questi mutamenti di regime si<br />

differenziano dal<strong>le</strong> rivoluzioni francese e russa <strong>in</strong> quanto si tratta di rivoluzioni<br />

'politiche' e non 'sociali.' Essi implicano soltanto alcuni cambiamenti negli uom<strong>in</strong>i che<br />

sono a capo <strong>del</strong><strong>le</strong> amm<strong>in</strong>istrazioni centra<strong>le</strong> e locali, mentre una rivoluzione socia<strong>le</strong><br />

impone una espropriazione economica e politica, o pers<strong>in</strong>o la effettiva elim<strong>in</strong>azione<br />

fisica <strong>del</strong><strong>le</strong> vecchie classi dirigenti. In ogni modo una 'rivoluzione,' sia 'socia<strong>le</strong>' che<br />

'politica,' è sempre il risultato di una <strong>in</strong>surrezione di forze extragovernative contro <strong>le</strong><br />

forze regolari di un governo.<br />

Se ta<strong>le</strong> è una 'rivoluzione,' si può seriamente pensare che la marcia su Roma sia stata<br />

una 'rivoluzione'? Senza dubbio la marcia su Roma possiede alcuni degli e<strong>le</strong>menti di


un 'colpo di mano' o di una 'rivoluzione politica,' <strong>in</strong> quanto un gruppo di persone, che<br />

non erano al potere, approfittando <strong>del</strong>la debo<strong>le</strong>zza <strong>del</strong> Re e <strong>del</strong>la stupidità <strong>del</strong><br />

presidente <strong>del</strong> Consiglio, si impadronirono <strong>del</strong> governo. Ma <strong>in</strong> una rivoluzione i capi<br />

militari rimangono fe<strong>del</strong>i al governo regolare, e l'esercito è sconfitto dal<strong>le</strong> forze<br />

rivoluzionarie. Nel caso <strong>del</strong>la marcia su Roma, uom<strong>in</strong>i che non erano al potere si<br />

impadronirono <strong>del</strong> governo con la connivenza <strong>del</strong><strong>le</strong> autorità militari. Qu<strong>in</strong>di la marcia<br />

su Roma dovrebbe piuttosto essere def<strong>in</strong>ita un 'colpo di mano' militare. Durante<br />

l'estate e l'autunno <strong>del</strong> 1922, i fascisti parlavano di un imm<strong>in</strong>ente 'colpo di stato' e<br />

non di una rivoluzione (25).<br />

Tuttavia un 'colpo di stato' militare è condotto da uom<strong>in</strong>i che occupano nel governo <strong>le</strong><br />

cariche più alte. Esempi tipici i 'colpi al stato' <strong>del</strong> brumaio 1799 e <strong>del</strong> 2 dicembre<br />

1851, <strong>in</strong> Francia. Napo<strong>le</strong>one Bonaparte e Luigi Napo<strong>le</strong>one assunsero apertamente la<br />

responsabilità di abolire il Parlamento. In Italia, nel 1922, la prima vittima<br />

<strong>del</strong>l'<strong>in</strong>surrezione fu il Re. Quanto realmente avvenne fu qualcosa di mezzo tra una<br />

'sedizione militare' e un '<strong>in</strong>trigro d<strong>in</strong>astico,' che sotto la veste di una 'rivoluzione<br />

popolare' si proponeva di costr<strong>in</strong>gere il Re o all'abdicazione o a compiere un 'colpo di<br />

stato' contro il Parlamento. Trovandosi stretto tra un presidente <strong>del</strong> Consiglio<br />

imbecil<strong>le</strong> e una sedizione militare travestita da falsa <strong>in</strong>surrezione popolare, il Re,<br />

piuttosto che abdicare a favore <strong>del</strong> cug<strong>in</strong>o, cedette al 'consiglio,' cioè alla pressione,<br />

<strong>del</strong>la cricca militare, e contro il suo desiderio condusse il 'colpo di stato'<br />

antiparlamentare, privando il governo civi<strong>le</strong> dei mezzi <strong>in</strong>dispensabili ad una<br />

repressione <strong>le</strong>ga<strong>le</strong> e affidando a Mussol<strong>in</strong>i la presidenza <strong>del</strong> Consiglio.<br />

Def<strong>in</strong>ire come una 'rivoluzione' la marcia su Roma significa assolvere <strong>le</strong> autorità<br />

militari e lo stesso Re da ogni accusa di mancata fe<strong>del</strong>tà allo Statuto, e contornare<br />

Mussol<strong>in</strong>i di un alone di 'conquistatore rivoluzionario' il qua<strong>le</strong> ha raggiunto il potere<br />

dopo Dio sa quante battaglie campali e quante dure prove.<br />

OSSERVAZIONI AL CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO.<br />

Quanti erano i fascisti che la matt<strong>in</strong>a <strong>del</strong> 28 ottobre erano disponibili per un attacco<br />

contro Roma?<br />

Un giorna<strong>le</strong> fascista romano, "La Patria", riportando il 31 ottobre <strong>del</strong> 1922 una<br />

pittoresca descrizione <strong>del</strong><strong>le</strong> epiche giornate trascorse, calcolava che 'fossero circa<br />

settantamila i fascisti accampati la notte sul 29 al<strong>le</strong> porte di Roma' (1). La stessa cifra<br />

di 70000 è data nel libro <strong>del</strong> giornalista <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se, Sir Percival Phillips; secondo lui i<br />

fascisti ammontavano a quasi 120000, o più precisamente 117000, 'di cui 70000<br />

erano camicie nere che costituivano truppe scelte' (2). Va<strong>le</strong> la pena di riportare per<br />

<strong>in</strong>tero <strong>le</strong> paro<strong>le</strong> di Sir Percival:<br />

«Fu una marcia di poveri contad<strong>in</strong>i, alcuni dei quali per la prima volta vedevano una<br />

grande città, e di operai provenienti da cantieri ed offic<strong>in</strong>e, mescolati con e<strong>le</strong>menti<br />

sociali diversi, tutti che reclamavano libertà (sic). Quasi 120000 uom<strong>in</strong>i armati, tutti<br />

uom<strong>in</strong>i fe<strong>del</strong>i, tutti pensosi solamente <strong>del</strong> bene <strong>del</strong> paese e pronti a mettere <strong>le</strong> loro<br />

persone <strong>in</strong> disparte, raccolti al<strong>le</strong> porte di Roma. Essi, come <strong>le</strong> <strong>le</strong>gioni di un tempo,<br />

arrivarono <strong>in</strong> coorti, <strong>in</strong> centurie comandate da centurioni, <strong>in</strong> 'manipoli', o <strong>in</strong> gruppi che<br />

recavano nomi resi famosi dal<strong>le</strong> loro imprese. (...) La matt<strong>in</strong>a seguente, sotto la<br />

direzione <strong>del</strong> genera<strong>le</strong> Fara, essi erano <strong>in</strong> marcia verso i tre luoghi di raccolta. I tre<br />

comandanti supremi (De Bono, De Vecchi e Balbo) stavano al loro quartier genera<strong>le</strong> a<br />

Perugia. Le camicie nere provenienti dall'Umbria, dalla Romagna e dalla Toscana si<br />

raccolsero prima a Foligno e successivamente a Monterotondo, poco più di trenta<br />

chilometri a nord di Roma. Dagli Abruzzi altre camicie nere al comando di Bottai<br />

scesero dal<strong>le</strong> loro montagne e si raccolsero presso Tivoli, pressappoco alla stessa


distanza da Roma, <strong>in</strong> direzione nord-est. Le unità fasciste provenienti da Genova,<br />

Milano, Bologna e <strong>in</strong> genere dal<strong>le</strong> zone di nord-ovest, scesero lungo la costa s<strong>in</strong>o a<br />

Santa Mar<strong>in</strong>ella, un piccolo posto di mare vic<strong>in</strong>o a Civitavecchia, dove aveva il<br />

comando Pollastr<strong>in</strong>i. In tal modo Roma fu circondata da tre parti da un esercito di<br />

quasi 120000 uom<strong>in</strong>i, perfettamente <strong>org</strong>anizzati e discipl<strong>in</strong>ati e pronti a combattere.<br />

Devo però sottol<strong>in</strong>eare che il movimento convergente di queste forze verso Roma fu<br />

un movimento di picco<strong>le</strong> unità e non di vaste formazioni militari. Squadre e manipoli<br />

si <strong>in</strong>contrarono come di solito ai loro luoghi di riunione e si diressero poi al centro di<br />

mobilitazione. Viaggiarono <strong>in</strong> treno, <strong>in</strong> automobi<strong>le</strong>, <strong>in</strong> camion. Il loro equipaggiamento<br />

consisteva di moschetti, rivoltel<strong>le</strong> ed elmetti» (3).<br />

Nel 1924, Luigi Villari, propagandista fascista per i paesi di l<strong>in</strong>gua <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se, dava la<br />

cifra di 70000 per <strong>le</strong> truppe di prima l<strong>in</strong>ea, e di 20000 per quel<strong>le</strong> alla retroguardia (4).<br />

Due anni dopo, nel "Manchester Guardian" <strong>del</strong> 27 marzo 1926, portava il tota<strong>le</strong> a<br />

200000. Sir Ernest Benn, un editore <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se che si faceva passare per studioso di<br />

politica e di economia, non trovando ta<strong>le</strong> cifra abbastanza <strong>in</strong>gente, la portò a 300000<br />

(5). Nessuno di questi signori si è mai domandato quanti treni e autocarri sarebbero<br />

stati necessari per trasportare <strong>in</strong> una sola notte 70000 uom<strong>in</strong>i, né tanto meno 200000<br />

o 300000.<br />

Il giorna<strong>le</strong> di Mussol<strong>in</strong>i, "Il Popolo d'Italia", <strong>del</strong> 3 novembre 1922, troppo presto qu<strong>in</strong>di<br />

perché fosse <strong>in</strong>ventata la <strong>le</strong>ggenda fascista, affermò che tra il 31 ottobre e il 1<br />

novembre, partirono da Roma <strong>in</strong> ferrovia 45000 fascisti. In un discorso di Mussol<strong>in</strong>i<br />

<strong>del</strong> 24 marzo 1924, egli disse di avere avuto al suo comando 52000 uom<strong>in</strong>i. Il 17<br />

giugno, aumentò ta<strong>le</strong> cifra s<strong>in</strong>o a 60000, ma <strong>in</strong> una <strong>le</strong>ttera scritta il 28 ottobre 1924,<br />

riportò la cifra a 50000. Qu<strong>in</strong>di probabilmente <strong>le</strong> sue 'truppe' al 30 ottobre<br />

ammontavano ad una cifra tra 50000 e 60000.<br />

Ma i fascisti che entrarono a Roma il 30 ottobre non erano gli stessi che al matt<strong>in</strong>o <strong>del</strong><br />

28 ottobre avrebbero potuto trovarsi a dover affrontare l'esercito regolare. La corsa<br />

sfrenata di camicie nere verso Roma ebbe luogo solo durante il pomeriggio <strong>del</strong> 28<br />

ottobre, e nei due giorni seguenti. Le cifre che abbiamo dato sono state ricavate dal<strong>le</strong><br />

affermazioni fatte da De Bono, Balbo e gli altri capi <strong>del</strong>la marcia su Roma, senza che<br />

si rendessero conto che così facendo distruggevano la saga fascista (6).


CAPITOLO VENTICINQUESIMO.<br />

IL DELITTO MATTEOTTI.<br />

Al momento <strong>del</strong>la marcia su Roma, la Camera dei deputati era composta dai seguenti<br />

gruppi: 1) fascisti 35; 2) nazionalisti 10; 3) conservatori 43; 4) popolari 107; 5)<br />

democratici di correnti diverse 167; 6) repubblicani 7; 7) socialisti di destra 71; 8)<br />

socialisti massimalisti 50; 9) comunisti 11; 10) slavi e tedeschi 8; 11) <strong>in</strong>dipendenti<br />

16. I primi tre di questi gruppi erano favorevoli a Mussol<strong>in</strong>i, ma non potevano mettere<br />

<strong>in</strong>sieme più di 88 voti. I gruppi dal 6 al 10 e la maggioranza dei deputati <strong>del</strong> gruppo<br />

11, erano contro Mussol<strong>in</strong>i, e <strong>in</strong>sieme controllavano circa 160 voti. Il dest<strong>in</strong>o <strong>del</strong><br />

gab<strong>in</strong>etto di Mussol<strong>in</strong>i dipendeva dai 107 deputati <strong>del</strong> partito popolare e dai 167<br />

democratici. Se il partito popolare avesse deciso di schierarsi contro Mussol<strong>in</strong>i, una<br />

buona parte dei democratici si sarebbe unita all'opposizione, e il gab<strong>in</strong>etto di Mussol<strong>in</strong>i<br />

non avrebbe ottenuto il voto di fiducia. In questo caso Mussol<strong>in</strong>i avrebbe avuto tre<br />

alternative: o dimettersi, o sciogliere la Camera e <strong>in</strong>dire <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni, o abolire<br />

comp<strong>le</strong>tamente la Camera stessa. Per questa ultima ipotesi sarebbe stato necessario<br />

che il Re facesse un altro colpo di stato. Ciascuno, a com<strong>in</strong>ciare dal Re, avrebbe<br />

dovuto assumersi direttamente e apertamente <strong>le</strong> proprie responsabilità.<br />

Nel partito popolare c'era una m<strong>in</strong>oranza <strong>in</strong> combutta con Mussol<strong>in</strong>i, e sebbene la<br />

maggioranza gli fosse contraria, essa non osava sfidare la sua col<strong>le</strong>ra. Durante la<br />

votazione alla Camera, soltanto due deputati popolari furono tanto coraggiosi da<br />

votare contro Mussol<strong>in</strong>i, quattro o c<strong>in</strong>que si dettero assenti, gli altri si comportarono<br />

come un branco di pecore. La maggior parte dei democratici fecero lo stesso. Ci<br />

furono 306 voti a favore di Mussol<strong>in</strong>i e 116 contrari. Erano assenti 113 deputati, i più<br />

per paura. Fu così che la Camera dei deputati si suicidò.<br />

C'era <strong>in</strong> molti la speranza che i fascisti, ora che avevano ottenuto il controllo <strong>del</strong><br />

governo, avrebbero messo f<strong>in</strong>e ai loro il<strong>le</strong>galismi. Tali speranze vennero subito <strong>del</strong>use.<br />

Nel suo libro, "Un anno di dom<strong>in</strong>azione fascista" (1), Giacomo Matteotti riportava più<br />

di 2000 casi di omicidi, ferimenti più o meno gravi, bastonature, distribuzioni di olio di<br />

ric<strong>in</strong>o, devastazioni di abitazioni private e sedi di associazioni, <strong>in</strong>cendi di tipografie e<br />

redazioni di giornali, avvenuti tra il novembre 1922 e l'ottobre 1923.<br />

A Tor<strong>in</strong>o, nella notte tra il 17 e il 18 dicembre, <strong>in</strong> seguito a una lite per ragioni private<br />

e non politiche, venne ucciso un fascista. Il capo <strong>del</strong> Fascio loca<strong>le</strong>, ta<strong>le</strong> Brandimarte,<br />

fece f<strong>in</strong>ta che si trattasse di un <strong>del</strong>itto politico ta<strong>le</strong> da meritare rappresaglie. Per tutto<br />

un giorno venne lasciata al<strong>le</strong> camicie nere, e la polizia si guardò bene dall'<strong>in</strong>tervenire,<br />

piena libertà di fare uso a volontà <strong>del</strong><strong>le</strong> rivoltel<strong>le</strong>, <strong>in</strong>cendiare abitazioni private, locali<br />

di s<strong>in</strong>dacati, cooperative e <strong>org</strong>anizzazioni politiche. Brandimarte dichiarò<br />

pubblicamente: 'Da una lista di trecento rivoluzionari, ne furono scelti ventiquattro, e<br />

affidati al<strong>le</strong> migliori squadre punitive.' Si ritrovarono soltanto quattordici dei corpi<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> vittime. Brandimarte affermò: 'Gli altri cadaveri saranno restituiti dal Po, se così<br />

vuo<strong>le</strong>, o altrimenti si troveranno nei fossi, negli avvallamenti e nel<strong>le</strong> boscaglie sul<strong>le</strong><br />

coll<strong>in</strong>e <strong>in</strong>torno a Tor<strong>in</strong>o, ad eccezione di due che sono fuggiti' (2). Due giorni dopo il<br />

massacro di Tor<strong>in</strong>o, il 22 dicembre, un regio decreto concedeva un'amnistia genera<strong>le</strong><br />

a tutti coloro colpevoli di <strong>del</strong>itti 'politici,' omicidio compreso, a condizione che tali<br />

<strong>del</strong>itti fossero stati commessi 'per un f<strong>in</strong>e naziona<strong>le</strong>, immediato o mediato.'<br />

'Naziona<strong>le</strong>' significa 'fascista.' Ta<strong>le</strong> amnistia mostrava chiaramente che una volta<br />

compiute <strong>le</strong> loro imprese, i fascisti potevano contare sul pieno appoggio <strong>del</strong> governo.<br />

Pochi giorni dopo veniva sciolta la Guardia Regia, e col regio decreto 14 gennaio 1923<br />

<strong>le</strong> 'squadre' fasciste, che nei due anni precedenti avevano condotto la guerra civi<strong>le</strong>,<br />

venivano ufficialmente raccolte <strong>in</strong> una 'Milizia volontaria per la sicurezza naziona<strong>le</strong>.' Il<br />

compito <strong>del</strong>la milizia era 'di proteggere gli <strong>in</strong>evitabili ed <strong>in</strong>esorabili sviluppi <strong>del</strong>la


ivoluzione d'ottobre' (3), e di 'sostenere a tutti i costi il regime nato con la Marcia su<br />

Roma'(4). Le spese <strong>del</strong> suo mantenimento erano a carico <strong>del</strong> bilancio <strong>del</strong>lo stato, ma<br />

per fare parte <strong>del</strong>la milizia era necessario essere iscritti al partito fascista, e i militi<br />

dovevano prestare un giuramento di fe<strong>del</strong>tà a Mussol<strong>in</strong>i. I caporioni <strong>del</strong><strong>le</strong> squadre<br />

locali fasciste furono fatti ufficiali <strong>del</strong>la milizia. I responsabili <strong>del</strong><strong>le</strong> più cru<strong>del</strong>i uccisioni<br />

avvenute nei due anni precedenti venivano ora <strong>in</strong>signiti dei gradi di conso<strong>le</strong><br />

(colonnello) o di genera<strong>le</strong> <strong>del</strong>la milizia. Brandimarte ottenne il grado di conso<strong>le</strong>.<br />

Dato che l'articolo 5 <strong>del</strong>lo Statuto <strong>del</strong> Regno considera fuori <strong>le</strong>gge tutte quel<strong>le</strong><br />

formazioni armate <strong>le</strong>gate da un giuramento di fe<strong>del</strong>tà a persona diversa dallo stesso<br />

Re, che 'comanda tutte <strong>le</strong> forze di terra e di mare' <strong>del</strong>lo stato, il decreto era<br />

<strong>in</strong>costituziona<strong>le</strong>. Esso toglieva al Re una <strong>del</strong><strong>le</strong> prerogative fondamentali <strong>del</strong>la corona.<br />

La creazione <strong>del</strong>la milizia segna una svolta fondamenta<strong>le</strong> nella storia <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>. Nel<br />

1924 un commentatore fascista scriveva:<br />

«La sostanza <strong>del</strong> movimento fascista vuol essere attuata, di necessità, fra<br />

l'<strong>in</strong>differenza o l'<strong>in</strong>izia<strong>le</strong> ostilità <strong>del</strong><strong>le</strong> masse. (...) Onde la necessità che chi dom<strong>in</strong>a<br />

abbia anche una forza sua, caratteristica, <strong>in</strong>dipendente da ogni altro pr<strong>in</strong>cipio o<br />

autorità, unicamente ispirata ai f<strong>in</strong>i precipui e caratteristici <strong>del</strong> suo dom<strong>in</strong>io. Ta<strong>le</strong> è e<br />

deve restare il più a lungo possibi<strong>le</strong>, per il governo fascista, la Milizia volontaria <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

Camicie nere. Da essa trae, il governo, il massimo <strong>del</strong>la sua <strong>in</strong>dipendenza, autorità e<br />

stabilità» (5).<br />

In forma ancor più conv<strong>in</strong>cente, Mussol<strong>in</strong>i nel 1927 scriveva:<br />

«La creazione <strong>del</strong>la Milizia è il fatto fondamenta<strong>le</strong>, <strong>in</strong>esorabi<strong>le</strong>, che poneva il governo<br />

sopra un piano assolutamente diverso da tutti i precedenti e ne faceva un regime.<br />

(...) La notte <strong>del</strong> gennaio 1923, durante la qua<strong>le</strong> fu creata la Milizia, segnò la<br />

condanna a morte <strong>del</strong> vecchio stato demo-libera<strong>le</strong>. (...) Da allora esso non fece che<br />

attendere di essere sepolto» (6).<br />

Lo storico ufficia<strong>le</strong> <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>, professor Volpe, scrisse nel 1928 che la fondazione<br />

<strong>del</strong>la milizia 'vo<strong>le</strong>va dire, almeno implicitamente: qui stiamo e qui resteremo, f<strong>in</strong>o al<br />

compimento <strong>del</strong>l'opera nostra, piaccia o non piaccia agli altri partiti' (7).<br />

Una settimana dopo la creazione <strong>del</strong>la milizia, a La Spezia vi fu una ripetizione <strong>del</strong><br />

massacro di Tor<strong>in</strong>o. Nella notte <strong>del</strong> 21 gennaio un fascista fu ucciso dai suoi camerati<br />

fascisti. Come al solito la responsabilità venne fatta ricadere sul<strong>le</strong> spal<strong>le</strong> dei<br />

'bolscevichi.' Il giorno dopo <strong>in</strong>iziarono <strong>le</strong> rappresaglie. Prima che si placasse l'ira dei<br />

fascisti occorsero ben quattordici morti e un cent<strong>in</strong>aio di feriti più o meno gravi. La<br />

polizia si fece notare per la sua assenza. Nessuno venne né arrestato né processato.<br />

Quando il 10 febbraio si parlò dei fatti alla Camera, Mussol<strong>in</strong>i pose f<strong>in</strong>e ad ogni<br />

discussione dichiarando:<br />

«Non c'è niente da discutere <strong>in</strong> materia di politica <strong>in</strong>terna; quello che accade accade<br />

per mia precisa e diretta volontà e dietro miei ord<strong>in</strong>i tassativi dei quali assumo<br />

naturalmente piena e persona<strong>le</strong> responsabilità. (...) La differenza fra lo Stato libera<strong>le</strong><br />

e lo Stato fascista consiste precisamente <strong>in</strong> ciò: che lo stato fascista non solo si<br />

difende, ma attacca» (8).<br />

Dal 1 novembre 1922 al 31 marzo 1923, per quanto è possibi<strong>le</strong> ricavare dal<strong>le</strong> fonti<br />

disponibili, i fascisti uccisero non meno di 118 persone. Sarebbe <strong>in</strong>giusto affermare<br />

che tutti questi atti di vio<strong>le</strong>nza venivano compiuti dietro ord<strong>in</strong>e di Mussol<strong>in</strong>i. Ma<br />

rimane il fatto che i responsabili di tali <strong>del</strong>itti non furono mai puniti. Segni di ostilità<br />

nei confronti <strong>del</strong> regime fascista si manifestavano per tutto il paese, ed era necessario


il terrore per arg<strong>in</strong>are l'opposizione. E' perciò che Mussol<strong>in</strong>i, anche quando <strong>in</strong> cuor suo<br />

riteneva che gli atti di vio<strong>le</strong>nza fossero eccessivi o non necessari, si guardò bene dal<br />

reprimerli. In molti casi fu egli stesso a darne l'ord<strong>in</strong>e. Nel giugno 1924, il<br />

sottosegretario agli Interni, Aldo F<strong>in</strong>zi, e il capo <strong>del</strong>l'ufficio stampa di Mussol<strong>in</strong>i,<br />

Cesare Rossi, rivelarono che parecchi atti di vio<strong>le</strong>nza, e specialmente quelli compiuti<br />

contro giornalisti e deputati <strong>del</strong>l'opposizione, erano stati ord<strong>in</strong>ati da Mussol<strong>in</strong>i<br />

personalmente.<br />

Nel febbraio 1923, il partito fascista e il partito nazionalista si fusero <strong>in</strong> un solo<br />

<strong>org</strong>anismo. Come abbiamo già visto, durante i due anni precedenti, i nazionalisti si<br />

erano ovunque <strong>in</strong>filtrati nel<strong>le</strong> fi<strong>le</strong> fasciste, e dato che erano i soli a sapere quel che<br />

vo<strong>le</strong>vano, avevano contribuito <strong>in</strong> modo massiccio a fare <strong>del</strong> movimento fascista uno<br />

strumento <strong>del</strong>la reazione capitalista e militarista. Ma i <strong>le</strong>aders nazionalisti non<br />

aderirono ufficialmente al partito fascista e mantennero la propria <strong>org</strong>anizzazione.<br />

Ta<strong>le</strong> stato di cose conduceva spesso a un certo, urto tra i seguaci dei due partiti gli<br />

'aristocratici' nazionalisti guardavano dall'alto <strong>in</strong> basso i 'democratici' fascisti; a loro<br />

volta i fascisti accusavano i nazionalisti di essere dei parassiti, che vivevano a spese<br />

dei loro sacrifici. Per mettere f<strong>in</strong>e a questo stato di frizione, nel febbraio <strong>del</strong> 1923 i<br />

<strong>le</strong>aders dei due partiti decisero che i loro seguaci si sarebbero riuniti <strong>in</strong> un solo<br />

partito.<br />

Questo fatto ebbe una grande <strong>in</strong>fluenza sull'orientamento <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito<br />

fascista. Dopo la conquista <strong>del</strong> potere, la mistica puramente negativa <strong>del</strong>la<br />

'rivoluzione' (= vio<strong>le</strong>nza) non bastava più. Né Mussol<strong>in</strong>i, né gli altri capi <strong>del</strong> partito<br />

fascista avevano la preparazione, la pratica, o il tempo per costruire da sé una nuova<br />

dottr<strong>in</strong>a, mentre i nazionalisti per oltre qu<strong>in</strong>dici anni erano stati i sostenitori di un<br />

'governo forte' e <strong>del</strong>la liquidazione sia <strong>del</strong>la democrazia che <strong>del</strong> parlamentarismo, cioè<br />

proprio di quel<strong>le</strong> dottr<strong>in</strong>e di cui avevano bisogno Mussol<strong>in</strong>i e i suoi seguaci. Il partito<br />

fascista mancava di un cervello; i <strong>le</strong>aders nazionalisti lo fornirono di questo cervello.<br />

In compenso, questi ultimi trovarono nel partito fascista quell'<strong>org</strong>anismo che da soli<br />

non erano mai stati capaci di creare. Dopo la fusione dei due partiti, tutti i <strong>le</strong>aders<br />

nazionalisti divennero personaggi di primo piano nel partito fascista. Essi <strong>in</strong>iettarono<br />

nel<strong>le</strong> arterie <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> <strong>le</strong> dottr<strong>in</strong>e nazionaliste. I 'filosofi,' i 'giuristi,' gli 'storici' <strong>del</strong><br />

regime fascista provenivano quasi tutti dal nazionalismo.<br />

In un discorso <strong>del</strong> 7 marzo 1923, Mussol<strong>in</strong>i così def<strong>in</strong>iva lo spirito <strong>del</strong> suo regime:<br />

«Qualcuno potrebbe domandare: perché tanto clamore, perché tanti armati...? Io<br />

dichiaro che voglio governare, se possibi<strong>le</strong>, col consenso <strong>del</strong> maggior numero di<br />

cittad<strong>in</strong>i, ma nell'attesa che questo consenso si formi, si alimenti e si fortifichi, io<br />

accantono il massimo <strong>del</strong><strong>le</strong> forze disponibili. Perché può darsi per avventura che la<br />

forza faccia ritrovare il consenso e <strong>in</strong> ogni caso, quando mancasse il consenso, c'è la<br />

forza» (9).<br />

Consenso, <strong>in</strong> quel momento, significa il consenso <strong>del</strong>la maggioranza alla Camera.<br />

Nell'apri<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1923, i deputati <strong>del</strong> partito popolare si scissero: sedici passarono<br />

apertamente al <strong>fascismo</strong>, e novantuno, sotto la pressione <strong>del</strong>la massa <strong>del</strong> partito,<br />

passarono all'opposizione. In seguito a ciò Mussol<strong>in</strong>i doveva fare i conti con una<br />

opposizione che era formata da una metà <strong>del</strong>la Camera. Inoltre, tra i deputati che<br />

votavano <strong>in</strong> suo favore, ce n'erano almeno 150 che si erano uniti <strong>in</strong> tutta fretta al<br />

coro degli osanna dopo la vittoria fascista, ma che erano favorevoli ad un<br />

'esperimento fascista' e non al '<strong>fascismo</strong>,' erano cioè pronti a passare dalla parte<br />

<strong>del</strong>l'anti<strong>fascismo</strong> non appena l'esperimento fallisse.<br />

Non avendo una maggioranza sicura <strong>in</strong> quella Camera, Mussol<strong>in</strong>i doveva<br />

sbarazzarsene per formarne una nuova, con una maggioranza chiaramente <strong>in</strong> suo<br />

favore. Tuttavia, con il sistema e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> esistente non c'era da fidarsi di nuove


e<strong>le</strong>zioni generali. Il corpo e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> avrebbe potuto rimandare alla Camera una<br />

maggioranza antifascista. Bisognava qu<strong>in</strong>di trovare un nuovo sistema e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> che<br />

garantisse. una maggioranza fascista. Non si poteva dare forza di <strong>le</strong>gge ad un ta<strong>le</strong><br />

sistema per mezzo di un regio decreto. Questo avrebbe significato un altro colpo di<br />

stato, e la corona si sarebbe trovata troppo esposta. La <strong>le</strong>gge doveva essere<br />

approvata dalla Camera. In tal modo, per liberarsi dei suoi oppositori, Mussol<strong>in</strong>i<br />

doveva chiedere a questi stessi oppositori di approvare una <strong>le</strong>gge che avrebbe<br />

impedito loro di essere rie<strong>le</strong>tti.<br />

La <strong>le</strong>gge fu presentata alla Camera il 17 apri<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1923. Come già sappiamo, secondo<br />

il sistema e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> <strong>in</strong> vigore nel 1923, il paese era diviso <strong>in</strong> grandi col<strong>le</strong>gi e<strong>le</strong>ttorali, e<br />

<strong>in</strong> ciascun col<strong>le</strong>gio ciascun partito otteneva un numero di seggi proporzionato al<br />

numero di voti ottenuto dalla sua lista. Il nuovo progetto manteneva la divisione <strong>del</strong><br />

paese <strong>in</strong> grandi col<strong>le</strong>gi e<strong>le</strong>ttorali, ma prescriveva che <strong>in</strong> ciascun col<strong>le</strong>gio ogni partito<br />

presentasse un numero di candidati non superiore ai due terzi dei deputati di<br />

spettanza <strong>del</strong> col<strong>le</strong>gio. I voti ottenuti <strong>in</strong> tutti i col<strong>le</strong>gi da ciascun partito venivano<br />

sommati <strong>in</strong>sieme per formare per ogni partito un 'tota<strong>le</strong> naziona<strong>le</strong>.' Il partito che<br />

riceveva il 'tota<strong>le</strong> naziona<strong>le</strong>' più alto, avrebbe avuti assegnati i due terzi dei seggi<br />

(356 su 535) <strong>in</strong> tutti i col<strong>le</strong>gi, anche <strong>in</strong> quelli <strong>in</strong> cui non avesse ottenuto la<br />

maggioranza. Ta<strong>le</strong> partito perciò avrebbe controllato alla Camera i due terzi dei voti.<br />

Gli altri partiti si sarebbero divisi <strong>in</strong> ciascun col<strong>le</strong>gio il restante terzo dei seggi, <strong>in</strong><br />

proporzione al numero dei voti ottenuti. Ad un sistema di rappresentanza<br />

proporziona<strong>le</strong> avrebbe fatto luogo un sistema di rappresentanza 'disproporziona<strong>le</strong>.'<br />

Quando nel luglio la <strong>le</strong>gge venne <strong>in</strong> discussione alla Camera, i gruppi socialisti e<br />

comunisti, e quei democratici condotti da Amendola, immediatamente si schierarono<br />

contro di essa. L'esito f<strong>in</strong>a<strong>le</strong> dipendeva dall'atteggiamento dei deputati popolari. Se<br />

questi avessero votato contro, il conflitto tra Camera e governo avrebbe dato motivo<br />

ad un <strong>in</strong>tervento <strong>del</strong> Re. Se il Re si fosse schierato con la Camera contro il governo,<br />

Mussol<strong>in</strong>i avrebbe dovuto o dimettersi, o fare un colpo di stato non solo contro la<br />

Camera, ma anche contro il Re.<br />

Tra i deputati popolari, i più conservatori o meno coraggiosi erano disposti a cedere,<br />

ma Don Sturzo era un irriducibi<strong>le</strong> avversario <strong>del</strong>la <strong>le</strong>gge, ed aveva dietro di sé<br />

l'appoggio <strong>del</strong>la massa <strong>del</strong> partito e <strong>del</strong>la maggioranza dei deputati. La <strong>le</strong>gge era<br />

dest<strong>in</strong>ata ad <strong>in</strong>contrare una forte opposizione e una probabi<strong>le</strong> sconfitta.<br />

Per Mussol<strong>in</strong>i c'era soltanto una soluzione: costr<strong>in</strong>gere la Camera ad <strong>in</strong>gollare la<br />

<strong>le</strong>gge. La milizia fascista era pronta. Invece <strong>del</strong><strong>le</strong> truppe regolari, come era<br />

consuetud<strong>in</strong>e <strong>del</strong>la 'vecchia era,' Montecitorio fu posto sotto la custodia <strong>del</strong>la milizia<br />

fascista. Le truppe regolari erano state agli ord<strong>in</strong>i <strong>del</strong> presidente <strong>del</strong>la Camera a<br />

garanzia <strong>del</strong>la libertà dei deputati. I militi fascisti erano agli ord<strong>in</strong>i <strong>del</strong> presidente <strong>del</strong><br />

Consiglio per <strong>in</strong>timidire i deputati. La stampa fascista pubblicò attacchi selvaggi contro<br />

i deputati di opposizione. Molti di questi venivano ped<strong>in</strong>ati. Uno di essi, Misuri, il 29<br />

maggio 1923 era stato bastonato quasi a morte, e i suoi aggressori, per quanto<br />

conosciuti da tutti, rimasero per la polizia 'persone ignote.' Contemporaneamente la<br />

stampa fascista e oratori fascisti <strong>in</strong> pubblici comizi annunciavano con l<strong>in</strong>guaggio<br />

trucu<strong>le</strong>nto che, se il partito popolare non avesse ceduto di fronte alla <strong>le</strong>gge e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>,<br />

l'Italia avrebbe assistito al più vio<strong>le</strong>nto scoppio di antic<strong>le</strong>ricalismo che si fosse mai<br />

avuto nella storia. Don Sturzo, così argomentavano, era un prete; come ta<strong>le</strong>, egli era<br />

sotto la discipl<strong>in</strong>a dei suoi superiori ecc<strong>le</strong>siastici; qu<strong>in</strong>di questi ultimi erano<br />

responsabili per la politica <strong>del</strong> partito popolare; perciò il partito fascista avrebbe<br />

esteso la sua ostilità non soltanto contro Don Sturzo e il suo partito politico, ma anche<br />

contro l'<strong>in</strong>tera gerarchia ecc<strong>le</strong>siastica alla qua<strong>le</strong> Don Sturzo apparteneva.<br />

Il 10 luglio <strong>del</strong> 1923, la <strong>le</strong>gge venne presentata davanti alla Camera. I corridoi erano<br />

affollati di camicie nere che facevano grande sfoggio di corde, preparate - gridavano -<br />

per impiccare quei deputati che avessero osato votare contro. I deputati sapevano


molto bene, dopo quello che era capitato a Misuri il 29 maggio, che non si trattava<br />

semplicemente di manifestazioni verbali. Scrive Don Sturzo:<br />

«L'atmosfera politica era grave e opprimente. Le camicie nere erano concentrate a<br />

Roma. Circolavano da ogni parte voci di feroci vio<strong>le</strong>nze e di vendette personali; <strong>le</strong><br />

forze armate fasciste si mettevano <strong>in</strong> mostra <strong>in</strong> numero sempre crescente; perf<strong>in</strong>o <strong>le</strong><br />

gal<strong>le</strong>rie <strong>del</strong>la Camera, e i corridoi e i saloni ne erano affollati» (10).<br />

Ciò malgrado, l'opposizione rivelò una energia <strong>in</strong>sospettata. Quand'ecco che l'11 luglio<br />

Don Sturzo si dimette da segretario <strong>del</strong> suo partito, rilasciando la seguente<br />

dichiarazione:<br />

«Ho creduto di prendere una simi<strong>le</strong> decisione per non dare più oltre ad avversari di<br />

ogni colore il pretesto, per quanto <strong>in</strong>giustificato, altrettanto subdolamente sfruttato, di<br />

equivocare sui rapporti <strong>del</strong> partito popolare italiano con la Chiesa, e qu<strong>in</strong>di<br />

co<strong>in</strong>volgere questa negli <strong>in</strong>evitabili contrasti politici che il partito stesso deve<br />

affrontare, con piena autonomia e responsabilità, per la difesa e la realizzazione <strong>del</strong><br />

suo programma idea<strong>le</strong> e pratico. (...) Credo di non dovere più oltre <strong>in</strong>dugiare per non<br />

lasciare che la offensiva contro la Chiesa, <strong>in</strong>iziata proprio <strong>in</strong> occasione<br />

<strong>del</strong>l'atteggiamento popolare contro la riforma e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> politica, dal<strong>le</strong> <strong>in</strong>sidie e dal<strong>le</strong><br />

m<strong>in</strong>acce vada più oltre» (11).<br />

Il giorna<strong>le</strong> libera<strong>le</strong> La Stampa era più esplicito di Don Sturzo:<br />

«In Vaticano si temette che l'ostilità fascista venisse ad estendersi al c<strong>le</strong>ro <strong>in</strong><br />

genera<strong>le</strong>. Infatti, dal<strong>le</strong> alte sfere fasciste giunse <strong>in</strong> Vaticano l'avvertimento<br />

<strong>del</strong>l'impossibilità di mantenere l'<strong>in</strong>columità sia <strong>del</strong>la persona di Don Sturzo sia dei<br />

sacerdoti <strong>in</strong> genere nel<strong>le</strong> varie regioni d'Italia. Il Vaticano si mostrò preoccupato di<br />

ta<strong>le</strong> situazione, e poiché Don Sturzo aveva già preventivamente offerto di elim<strong>in</strong>are la<br />

propria persona qualora essa potesse creare qualche imbarazzo al Vaticano, così esso<br />

fece conoscere a Don Sturzo che il momento <strong>del</strong><strong>le</strong> dimissioni era venuto. Il segretario<br />

politico <strong>in</strong>viò senz'altro la <strong>le</strong>ttera di dimissioni, che fu conosciuta prima dal Vaticano»<br />

(12).<br />

Nel numero <strong>del</strong> 12-13 luglio 1923, il "Popolo", quotidiano popolare diretto da un<br />

amico di Don Sturzo, riproduceva <strong>le</strong> paro<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Stampa senza smentita alcuna, né da<br />

parte di Don Sturzo né da parte <strong>del</strong> Vaticano. Ta<strong>le</strong> giudizio <strong>in</strong> proposito è qu<strong>in</strong>di da<br />

considerarsi giusto.<br />

Ma questa non era tutta la verità. La verità <strong>in</strong>tera è che nel gennaio <strong>del</strong> 1923,<br />

Mussol<strong>in</strong>i e il card<strong>in</strong>al Gasparri, segretario di stato <strong>del</strong> papa, avevano avuto un<br />

colloquio segreto nell'abitazione di uno dei direttori <strong>del</strong> Banco di Roma. Essi si erano<br />

accordati sul modo di risolvere la questione romana, e Mussol<strong>in</strong>i si era impegnato al<br />

salvataggio <strong>del</strong>la banca a spese dei contribuenti italiani (13). Egli aveva mantenuto la<br />

parola. Un fallimento era stato evitato. Era giunto il momento che il papa ricambiasse<br />

il favore. Si disse a Don Sturzo che egli doveva dimettersi da segretario <strong>del</strong> partito<br />

popolare. Per lui non c'era altro da fare che obbedire.<br />

Una volta abbattuto il pastore, era faci<strong>le</strong> disperdere il gregge. Il 13 luglio <strong>le</strong> sedi di<br />

molte <strong>org</strong>anizzazioni cattoliche, <strong>in</strong> tutta Italia, vennero assaltate e devastate. Era<br />

questo un altro avvertimento a quei deputati popolari che non avessero ancora<br />

compreso il consiglio di arrendersi.<br />

Lo stesso giorno, fu portato alla ribalta il Re. I giornali pubblicarono il testo di un<br />

decreto-<strong>le</strong>gge, con il qua<strong>le</strong> si autorizzavano i prefetti <strong>del</strong><strong>le</strong> prov<strong>in</strong>cie e 'diffidare' quei<br />

direttori di giornali che avessero messo <strong>in</strong> circolazione notizie 'false o tendenziose.' Un


direttore che fosse stato 'diffidato' due volte nel corso di un anno avrebbe perso il<br />

diritto a dirigere il giorna<strong>le</strong>. Il decreto era una violazione aperta allo Statuto e<br />

riguardava una materia che era sempre stata <strong>in</strong>terdetta ai regi decreti. Mai né un<br />

gab<strong>in</strong>etto né il Re avevano emesso provvedimenti <strong>del</strong> genere senza la preventiva<br />

approvazione <strong>del</strong> Parlamento. Il Re non aveva ancora firmato il decreto. Diffondendo<br />

la notizia che esso era stato firmato, Mussol<strong>in</strong>i creava l'impressione che il Re fosse<br />

decisamente dalla sua parte e pronto a sostenerlo anche su di un terreno<br />

<strong>in</strong>costituziona<strong>le</strong>. Il Re non aprì bocca. In questo modo la Camera venne avvisata che<br />

essa non poteva far altro che cedere o affrontare un altro colpo di stato, dato che<br />

Mussol<strong>in</strong>i aveva il Re nel<strong>le</strong> sue mani.<br />

Dopo che la Camera aveva per quattro giorni discusso la <strong>le</strong>gge, il 15 luglio Mussol<strong>in</strong>i<br />

fece un discorso <strong>in</strong>aspettatamente mite, e nel qua<strong>le</strong> faceva sperare che non appena la<br />

<strong>le</strong>gge fosse stata approvata, ogni il<strong>le</strong>galismo sarebbe subito cessato <strong>in</strong> tutto il paese.<br />

Il <strong>le</strong>ader dei democratici antifascisti, Amendola, con disgraziata mancanza di acume<br />

politico, si lasciò irretire da questa promessa, e sacrificando i suoi sentimenti<br />

antifascisti al desiderio di pace genera<strong>le</strong>, dichiarò che si sarebbe astenuto dal votare<br />

contro la <strong>le</strong>gge. Fu questo il segna<strong>le</strong> <strong>del</strong> 'ciascun per sé' per tutti coloro che o erano<br />

ansiosi di entrare nel<strong>le</strong> buone grazie di Mussol<strong>in</strong>i, o non avevano nessuna voglia di<br />

assaggiare il manganello fascista.<br />

La <strong>le</strong>gge fu approvata con 235 voti <strong>in</strong> suo favore. Solo un cent<strong>in</strong>aio di deputati<br />

socialisti, comunisti e democratici, e 39 popolari ebbero abbastanza fegato da votare<br />

contro. Tutti gli altri o si dettero assenti o si astennero dalla votazione.<br />

Quello stesso giorno il Re firmava il decreto contro la stampa. Dopo che la Camera<br />

aveva r<strong>in</strong>unciato al suo onore e alla sua <strong>in</strong>dipendenza, egli si sentiva meno colpevo<strong>le</strong><br />

distruggendo un altro pezzetto <strong>del</strong> vecchio Statuto <strong>del</strong> Regno. Il decreto tuttavia non<br />

venne pubblicato nella Gazzetta Ufficia<strong>le</strong>; rimase nel cassetto di Mussol<strong>in</strong>i, pronto per<br />

la pubblicazione e l'applicazione non appena Mussol<strong>in</strong>i lo desiderasse. Anche questa fu<br />

una <strong>in</strong>novazione nella prassi costituziona<strong>le</strong>, o piuttosto <strong>in</strong>costituziona<strong>le</strong>, italiana. Mai si<br />

era dato prima che un presidente <strong>del</strong> Consiglio avesse presentato al Re un decreto la<br />

cui pubblicazione ed entrata <strong>in</strong> vigore non seguisse immediatamente la firma <strong>del</strong> Re,<br />

ma venisse rimandata ad un tempo futuro quando quel presidente <strong>del</strong> Consiglio lo<br />

ritenesse opportuno.<br />

Anche con la nuova <strong>le</strong>gge e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>, una e<strong>le</strong>zione genera<strong>le</strong> poteva sempre produrre<br />

qualche spiacevo<strong>le</strong> sorpresa. Era necessario assicurarsi che i risultati dessero una<br />

maggioranza fascista. Era anche necessario attaccare forza e consenso allo stesso<br />

carro.<br />

Il reverendo Giovanni M<strong>in</strong>zoni, parroco di Argenta (Ferrara), era il coraggioso <strong>le</strong>ader<br />

<strong>del</strong>l'<strong>org</strong>anizzazione <strong>del</strong>la gioventù cattolica <strong>del</strong>la sua zona, e con tutte <strong>le</strong> sue forze<br />

cercava di impedire che la propaganda fascista si <strong>in</strong>filtrasse tra i ragazzi. Il 23 agosto<br />

tre uom<strong>in</strong>i provenienti da Ferrara arrivarono ad Argenta e ridussero per sempre al<br />

si<strong>le</strong>nzio Don M<strong>in</strong>zoni fracassandogli il cranio a colpi di bastone. Il 29 novembre <strong>le</strong><br />

camicie nere assalirono l'abitazione <strong>del</strong>l'ex presidente <strong>del</strong> Consiglio Nitti: la casa fu<br />

saccheggiata e gli arredi distrutti.<br />

Il 26 dicembre Amendola venne aggredito <strong>in</strong> una <strong>del</strong><strong>le</strong> vie pr<strong>in</strong>cipali di Roma e<br />

bastonato s<strong>in</strong>o a fargli perdere la conoscenza.<br />

Né Don M<strong>in</strong>zoni, né Nitti, né Amendola erano socialisti o comunisti. La furia fascista<br />

non era meno spietata e crude<strong>le</strong> nei confronti di coloro che rappresentavano gruppi<br />

<strong>del</strong> tutto ossequienti alla <strong>le</strong>gge. Non c'è bisogno di dire che nessuno degli autori di tali<br />

vio<strong>le</strong>nze venne mai punito. L'"Osservatore Romano", <strong>org</strong>ano ufficia<strong>le</strong> <strong>del</strong> Vaticano,<br />

ignorò l'assass<strong>in</strong>io di Don M<strong>in</strong>zoni: l'<strong>in</strong>tesa cordia<strong>le</strong> tra Pio Undicesimo e Mussol<strong>in</strong>i<br />

stava dando i suoi frutti.<br />

Nel gennaio <strong>del</strong> 1924, il Re venne ancora portato alla ribalta. Un regio decreto-<strong>le</strong>gge<br />

<strong>del</strong> giorno 24 poneva sotto la vigilanza dei prefetti quel<strong>le</strong> associazioni che 'traggono <strong>in</strong>


tutto o <strong>in</strong> parte i mezzi f<strong>in</strong>anziari occorrenti alla esplicazione <strong>del</strong>la loro attività, da<br />

contributi dei lavoratori.' I prefetti erano autorizzati a dichiarare sciolti i consigli di<br />

amm<strong>in</strong>istrazione, sostituirli con un proprio commissario e, se necessario, ord<strong>in</strong>are la<br />

liquidazione <strong>del</strong> loro patrimonio (14). C'erano <strong>in</strong> Italia migliaia di società di mutuo<br />

soccorso, specialmente per pensioni di vecchiaia, fondate dai lavoratori, di solito <strong>in</strong><br />

gruppi dist<strong>in</strong>ti per categoria, e f<strong>in</strong>anziati dai contributi degli iscritti. Inoltre c'erano<br />

migliaia di istituzioni a scopo educativo o ricreativo, e circa 20000 società<br />

cooperative. E c'erano <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e i s<strong>in</strong>dacati socialisti o popolari, che contavano ancora un<br />

alto numero di iscritti nonostante la vio<strong>le</strong>nta pressione esercitata contro di loro dai<br />

fascisti negli ultimi tre anni. In seguito a questo nuovo decreto, i lavoratori non<br />

avevano altra scelta: o si sottomettevano al controllo fascista, o altrimenti i fondi<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> loro <strong>org</strong>anizzazioni - frutto di mezzo secolo di lavoro, di economie e di progressi<br />

- sarebbero stati gettati al vento. Ta<strong>le</strong> decreto non era meno <strong>in</strong>costituziona<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'altro<br />

sulla stampa <strong>del</strong> 15 luglio 1923. Il Re, compiuto il primo passo, aveva perduto ogni<br />

senso <strong>del</strong>l'onore.<br />

Il 28 gennaio 1924, <strong>in</strong> una assemb<strong>le</strong>a naziona<strong>le</strong> dei <strong>le</strong>aders fascisti, Mussol<strong>in</strong>i<br />

annunciava il suo ultimo ultimatum alla nazione: il paese doveva dare un pieno voto<br />

di fiducia al suo governo, un p<strong>le</strong>biscito fascista; la lista fascista doveva v<strong>in</strong>cere, costi<br />

quel che costi: 'chi tocca la milizia avrà <strong>del</strong> piombo!'<br />

I <strong>le</strong>aders dei partiti antifascisti avevano troppa paura per tentare una coalizione dei<br />

loro candidati ta<strong>le</strong> da ottenere la maggioranza dei voti. Nemmeno il senso profondo<br />

che questa era la loro ultima disperata battaglia poté superare la loro paura <strong>del</strong>la<br />

vio<strong>le</strong>nza fascista. Di conseguenza ogni gruppo presentò la sua propria lista separata.<br />

Mussol<strong>in</strong>i, al contrario, ammise nella sua lista solo 256 dei militanti fascisti, e distribuì<br />

i rimanenti cento posti tra quegli uom<strong>in</strong>i politici <strong>del</strong>la 'vecchia era' che non erano stati<br />

avari nel loro appoggio al <strong>fascismo</strong>, o che erano disposti a convertirsi dietro<br />

compenso. Ancora una volta questa era una mossa politica astuta. Comprendendo<br />

nella sua lista nomi come quelli dei due ex-presidenti <strong>del</strong> Consiglio, Salandra e<br />

Orlando, e di parecchi altri i quali, specialmente nel Mezzogiorno, avevano ancora il<br />

fermo controllo dei loro col<strong>le</strong>gi e<strong>le</strong>ttorali, Mussol<strong>in</strong>i impedì che essi comparissero nel<strong>le</strong><br />

liste di opposizione, assicurando alla sua lista i voti di larghi settori, che altrimenti<br />

sarebbero andati agli antifascisti.<br />

In diverse parti d'Italia, durante la campagna e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>, cent<strong>in</strong>aia di propagandisti<br />

antifascisti furono arrestati dalla polizia, e tra questi ventic<strong>in</strong>que furono estromessi da<br />

questa val<strong>le</strong> di lacrime. I partiti di opposizione non potevano tenere comizi, e<br />

nemmeno attaccare manifesti. A Napoli si impedì ad Amendola di pronunciare il suo<br />

discorso e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>; dovette tenerlo <strong>in</strong> una casa privata davanti a un gruppetto di<br />

amici. Un dissidente fascista, Forni, che aveva osato presentarsi candidato nel col<strong>le</strong>gio<br />

di Pavia, venne aggredito alla stazione ferroviaria di Milano e bastonato quasi a morte<br />

da quella stessa banda che il 10 giugno seguente doveva assass<strong>in</strong>are Giacomo<br />

Matteotti. Questa brillante operazione era stata ord<strong>in</strong>ata da Giunta, sottosegretario<br />

nel Gab<strong>in</strong>etto Mussol<strong>in</strong>i, e lo stesso Mussol<strong>in</strong>i, nel "Popolo d'Italia", scrisse un articolo<br />

<strong>in</strong>titolato 'Chi tradisce, perisce!' <strong>in</strong> cui si approvava il fatto. Un candidato <strong>del</strong> col<strong>le</strong>gio<br />

di Reggio Emilia, Antonio Picc<strong>in</strong><strong>in</strong>i, venne assass<strong>in</strong>ato. In molti col<strong>le</strong>gi e<strong>le</strong>ttorali,<br />

specialmente nel Mezzogiorno, ai partiti antifascisti fu impossibi<strong>le</strong> pers<strong>in</strong>o nom<strong>in</strong>are i<br />

loro candidati; il partito fascista nom<strong>in</strong>ava i candidati sia per la maggioranza che per<br />

la m<strong>in</strong>oranza. Molte amm<strong>in</strong>istrazioni municipali controllate da s<strong>in</strong>daci fascisti<br />

rifiutavano di consegnare i certificati e<strong>le</strong>ttorali agli e<strong>le</strong>ttori antifascisti.<br />

Fu durante questa campagna e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> che il filosofo neohegeliano, Giovanni Genti<strong>le</strong>,<br />

allora m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Pubblica Istruzione, parlando a Pa<strong>le</strong>rmo il 24 marzo 1924,<br />

accennò al manganello come a uno strumento di educazione mora<strong>le</strong> e <strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttua<strong>le</strong>, <strong>in</strong><br />

un elogio che merita un posto particolare nella storia <strong>del</strong>la filosofia moderna. A<br />

proposito di coloro che dist<strong>in</strong>guono tra forza mora<strong>le</strong> e forza materia<strong>le</strong>, egli disse:


«Dist<strong>in</strong>zioni <strong>in</strong>genue, se <strong>in</strong> buona fede! Ogni forza è forza mora<strong>le</strong>, perché si rivolge<br />

sempre alla volontà; e qualunque sia l'argomento adoperato - dalla predica al<br />

manganello - la sua efficacia non può essere altra che quella che sol<strong>le</strong>cita <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e<br />

<strong>in</strong>teriormente l'uomo e lo persuade a consentire. Qua<strong>le</strong> debba essere poi la natura di<br />

questo argomento, non è materia di discussione astratta» (15).<br />

Il 6 apri<strong>le</strong>, giorno <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni, specialmente nel<strong>le</strong> zone rurali, i locali <strong>in</strong> cui<br />

avvenivano <strong>le</strong> votazioni erano sorvegliati da fascisti armati, che proibivano agli<br />

e<strong>le</strong>ttori antifascisti di dare il loro voto. In molte località i votanti furono condotti al<strong>le</strong><br />

urne <strong>in</strong> camion sotto la supervisione dei fascisti, ricevettero il certificato e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> dai<br />

fascisti, e dovettero deporre la scheda nel<strong>le</strong> urne senza nemmeno entrare nella cab<strong>in</strong>a<br />

e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>. Parecchie persone che cercarono di andare a votare furono ferite o<br />

addirittura uccise. In moltissime sezioni non si permise ai partiti di opposizione di<br />

avere i loro rappresentanti per il controllo <strong>del</strong><strong>le</strong> votazioni. I fascisti, liberi di fare quel<br />

che vo<strong>le</strong>vano, riempirono <strong>le</strong> urne di voti falsi, tanto che <strong>in</strong> molte sezioni la loro lista<br />

ricevette i voti di tutti i votanti iscritti, anche di coloro che erano morti o erano<br />

all'estero. Dove non si era permesso ai partiti di opposizione di nom<strong>in</strong>are i propri<br />

candidati, i candidati fascisti riuscirono e<strong>le</strong>tti sia come candidati governativi che come<br />

candidati d'opposizione.<br />

Malgrado tutto ciò, 2.300.000 cittad<strong>in</strong>i ebbero il coraggio di votare per i candidati di<br />

opposizione non comunisti. I comunisti ricevettero 265000 voti. I candidati fascisti<br />

raccolsero 4.613.000 voti. Di questi, il grosso (2.700.000) veniva dal Mezzogiorno;<br />

nei col<strong>le</strong>gi meridionali i funzionari governativi avevano sempre 'manipolato' i risultati<br />

e<strong>le</strong>ttorali, secondo i desideri <strong>del</strong> partito al governo, anche nell'era prefascista.<br />

Nell'Italia settentriona<strong>le</strong>, la lista fascista ottenne soltanto 1.800.000 voti, contro<br />

1.285.000 voti <strong>del</strong><strong>le</strong> liste antifasciste, esclusa quella comunista che raccolse 185000<br />

voti. In parecchie <strong>del</strong><strong>le</strong> maggiori città <strong>del</strong> Nord, i fascisti ricevettero un numero<br />

m<strong>in</strong>ore di voti <strong>del</strong> tota<strong>le</strong> raccolto dal<strong>le</strong> liste non fasciste.<br />

Nella nuova Camera, contro una maggioranza di 374 deputati, c'era una m<strong>in</strong>oranza di<br />

159 deputati divisi tra loro. Con una ta<strong>le</strong> Camera, un Senato <strong>in</strong> cui il governo era<br />

appoggiato sia dai vecchi senatori conservatori che dai nuovi fascisti, e con la milizia<br />

al<strong>le</strong> sue spal<strong>le</strong>, Mussol<strong>in</strong>i era padrone assoluto <strong>del</strong>la situazione. Tuttavia ancora<br />

esisteva una opposizione parlamentare; e f<strong>in</strong>tanto che essa cont<strong>in</strong>uava ad esistere,<br />

c'era da aspettarsi che avrebbe svolto la sua norma<strong>le</strong> funzione di discutere la politica<br />

<strong>del</strong> governo. Inoltre, la maggioranza alla Camera sapeva di non rappresentare la<br />

maggioranza nel paese, e la maggioranza negava il suo diritto di mantenere il potere.<br />

Il 30 maggio 1924, il deputato socialista unitario Giacomo Matteotti denunciò la<br />

vio<strong>le</strong>nza e i brogli messi <strong>in</strong> opera durante <strong>le</strong> ultime e<strong>le</strong>zioni. Egli portò numerosi<br />

esempi di m<strong>in</strong>acce, di atti di vio<strong>le</strong>nza e <strong>del</strong>la genera<strong>le</strong> manipolazione <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni e<br />

dei risultati. In conclusione, egli proponeva che <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni fossero dichiarate nul<strong>le</strong> e<br />

prive di effetto, e che si tenessero nuove e<strong>le</strong>zioni <strong>in</strong> condizioni tali da permettere agli<br />

e<strong>le</strong>ttori di esprimere liberamente la loro preferenza.<br />

La Camera era <strong>in</strong> preda ad una tensione drammatica. Il discorso di Matteotti veniva<br />

<strong>in</strong>terrotto quasi ad ogni frase da grida, smentite, <strong>in</strong>sulti e m<strong>in</strong>acce <strong>del</strong>la maggioranza<br />

fascista, ma rimanendo calmo ed impassibi<strong>le</strong> il coraggioso deputato cont<strong>in</strong>uò s<strong>in</strong>o alla<br />

f<strong>in</strong>e la sua denuncia <strong>del</strong><strong>le</strong> vio<strong>le</strong>nze fasciste. Poi volgendosi verso i col<strong>le</strong>ghi disse con lo<br />

stesso tono di voce calmo e fermo: 'Ed ora preparatevi a farmi l'elogio funebre.'<br />

Matteotti sapeva bene che avrebbe pagato con la vita il suo atto di coraggio.<br />

Il pomeriggio <strong>del</strong> 10 giugno 1924, <strong>in</strong> una strada di Roma e <strong>in</strong> piena luce <strong>del</strong> so<strong>le</strong>,<br />

Matteotti venne aggredito da c<strong>in</strong>que uom<strong>in</strong>i e trasc<strong>in</strong>ato a forza dentro una<br />

automobi<strong>le</strong>. Due mesi più tardi, <strong>in</strong> un bosco, una sessant<strong>in</strong>a di chilometri fuori Roma,<br />

venne scoperto il luogo dove era stato sepolto.


Le <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i giudiziarie misero <strong>in</strong> luce i seguenti fatti: 1) che il capo <strong>del</strong>la banda che<br />

aveva rapito e assass<strong>in</strong>ato Matteotti era un certo Dum<strong>in</strong>i, che era al servizio <strong>del</strong> capo<br />

<strong>del</strong>l'ufficio stampa di Mussol<strong>in</strong>i, Cesare Rossi; 2) che l'automobi<strong>le</strong> usata per il<br />

rapimento era stata procurata da un certo Filippelli, direttore di uno dei quotidiani<br />

fascisti di Roma; 3) che Dum<strong>in</strong>i aveva agito secondo ord<strong>in</strong>i ricevuti da Giovanni<br />

Mar<strong>in</strong>elli, segretario amm<strong>in</strong>istrativo dei partito fascista, e da Cesare Rossi, capo<br />

<strong>del</strong>l'ufficio stampa di Mussol<strong>in</strong>i. Sembra che il piano di Dum<strong>in</strong>i fosse di rapire<br />

Matteotti, condurlo <strong>in</strong> un punto isolato <strong>del</strong>la campagna <strong>in</strong>torno a Roma, ucciderlo e<br />

abbandonare là il cadavere. Ma all'<strong>in</strong>terno <strong>del</strong>l'automobi<strong>le</strong>, Matteotti com<strong>in</strong>ciò a lottare<br />

contro i suoi rapitori e a gridare. Uno dei suoi aggressori allora lo avrebbe ridotto al<br />

si<strong>le</strong>nzio con una pugnalata al petto.<br />

Non appena si sparse la notizia <strong>del</strong>la sparizione di Matteotti, per quanto ancora non ci<br />

fossero prove che egli fosse stato assass<strong>in</strong>ato, gli italiani ebbero subito il sospetto che<br />

Matteotti fosse morto, e chi aveva commesso il crim<strong>in</strong>e e perché. Per tutto il paese si<br />

sol<strong>le</strong>vò un moto di sdegno.<br />

Il pomeriggio <strong>del</strong> 12 giugno, alla Camera, un deputato socialista unitario presentò una<br />

<strong>in</strong>terrogazione sulla scomparsa <strong>del</strong> deputato. Mussol<strong>in</strong>i sapeva già che Matteotti era<br />

stato ucciso, perché Dum<strong>in</strong>i aveva fatto ritorno a Roma la notte precedente, e<br />

Filippelli, Mar<strong>in</strong>elli e Rossi erano stati <strong>in</strong>formati <strong>del</strong> fatto. E' assurdo pensare che<br />

nessuno di loro avesse <strong>in</strong>formato Mussol<strong>in</strong>i prima che questi si recasse alla Camera ad<br />

affrontare la tempesta. Mussol<strong>in</strong>i affermò che Matteotti era scomparso<br />

improvvisamente '<strong>in</strong> circostanze di tempo e di luogo non ancora ben precisate, ma<br />

comunque tali da <strong>le</strong>gittimare l'ipotesi di un <strong>del</strong>itto che, se compiuto, non potrebbe non<br />

suscitare lo sdegno e la commozione <strong>del</strong> governo e <strong>del</strong> Parlamento.' Un deputato<br />

socialista esclamò: 'Allora Matteotti è morto.' Un deputato repubblicano gridò:<br />

'Lasciate parlare il presidente.' Si fece si<strong>le</strong>nzio. Il deputato repubblicano gridò: 'Allora<br />

è complice.' Fu sottratto con difficoltà alla furia dei fascisti.<br />

Per parecchi giorni il marciapiede dove Matteotti era stato sopraffatto e rapito fu<br />

cosparso di rami di palma e di fiori; una folla di uom<strong>in</strong>i, donne e bamb<strong>in</strong>i che si<br />

<strong>in</strong>g<strong>in</strong>occhiavano e dicevano preghiere, lo affollava di cont<strong>in</strong>uo. I fascisti non osavano<br />

mo<strong>le</strong>starli. Intanto i giornali riguadagnavano coraggio e dedicavano molte colonne a<br />

commentare il <strong>del</strong>itto, discutendo gli e<strong>le</strong>menti che giorno per giorno venivano alla<br />

luce. I capi fascisti erano storditi, come se fossero stati colpiti da un disastro<br />

irreparabi<strong>le</strong>; la massa dei loro seguaci li abbandonava; per <strong>le</strong> strade <strong>le</strong> camicie nere<br />

evitavano di farsi vedere. Fu una di quel<strong>le</strong> reazioni spontanee di tutto un popolo, che<br />

nessun regime può impedire né tentare di soffocare con la forza. Lo stesso Mussol<strong>in</strong>i,<br />

scomparso <strong>del</strong> tutto il suo ardimento e il suo coraggio, aspettava senza più speranza il<br />

sopraggiungere <strong>del</strong>la catastrofe. Vi furono parecchi giorni di <strong>in</strong>tensa aspettativa.<br />

Non successe niente. I deputati massimalisti e comunisti, che per anni avevano<br />

parlato di rivoluzione, non osarono proclamare uno sciopero genera<strong>le</strong>. I deputati<br />

socialisti unitari, democratici e popolari erano contrari ad una soluzione rivoluzionaria<br />

<strong>del</strong>la crisi. La sola cosa che fecero i deputati di opposizione di tutti i gruppi fu la<br />

decisione di astenersi dal partecipare al<strong>le</strong> sedute <strong>del</strong>la Camera <strong>in</strong> segno di protesta<br />

contro il governo. Essi redassero poi un manifesto ben scritto, <strong>in</strong> cui si chiedeva che<br />

venisse fatta luce sul <strong>del</strong>itto e che si facesse ritorno ad un regime costituziona<strong>le</strong>.<br />

In un articolo sul "Mondo" <strong>del</strong> 2 luglio 1924, Guglielmo Ferrero così descriveva la<br />

situazione:<br />

«C'è un punto sul qua<strong>le</strong> Opposizione e Maggioranza non potranno <strong>in</strong>tendersi mai: la<br />

<strong>le</strong>gittimità <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni. Se l'Opposizione accettasse come <strong>le</strong>gittime <strong>le</strong> operazioni<br />

e<strong>le</strong>ttorali <strong>del</strong> 6 apri<strong>le</strong>, si suiciderebbe, perché riconoscerebbe alla maggioranza il<br />

diritto di distruggerla con il ferro ed il fuoco. Se la Maggioranza riconoscesse<br />

il<strong>le</strong>gittime <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni, si suiciderebbe a sua volta, perché dichiarerebbe essa stessa


usurpato il suo potere. Opposizione e Maggioranza non potranno discutere di nulla,<br />

perché tra loro si <strong>le</strong>verà sempre questa questione <strong>in</strong>solubi<strong>le</strong>. (...) Pochi giorni dopo<br />

che Giacomo Matteotti aveva ufficialmente, <strong>in</strong> nome <strong>del</strong><strong>le</strong> opposizioni, <strong>in</strong>timato alla<br />

Camera una diffida di il<strong>le</strong>gittimità, una mano usciva dall'ombra e lo pugnalava. Ed<br />

oggi Opposizione e Maggioranza formano due Camere, che si negano e si escludono a<br />

vicenda. Che queste due Camere si possano fondere <strong>in</strong> una sola assemb<strong>le</strong>a,<br />

universalmente riconosciuta e rispettata come la <strong>le</strong>gittima espressione <strong>del</strong>la sovrana<br />

volontà naziona<strong>le</strong>, è una illusione. Tra l'una e l'altra sta non solo un cadavere, ma una<br />

questione di <strong>le</strong>gittimità che né l'una né l'altra, ma la nazione soltanto, può sciogliere.<br />

(...) Una piccola m<strong>in</strong>oranza, dopo essersi imposta al paese con la forza, vuo<strong>le</strong> essere<br />

riconosciuta come <strong>le</strong>gittima rappresentanza <strong>del</strong>la maggioranza (...). In un regime<br />

rappresentativo, come quello che vige <strong>in</strong> Italia, e di cui la d<strong>in</strong>astia è garante giurata,<br />

non può ad essi spettare altro diritto che quello di concorrere al potere e al governo,<br />

<strong>in</strong> condizioni eguali, con gli altri gruppi, <strong>le</strong> altre scuo<strong>le</strong> e gli altri partiti politici,<br />

secondo <strong>le</strong> rego<strong>le</strong> convenzionali <strong>del</strong> parlamentarismo <strong>le</strong>almente osservate.»<br />

Quello che speravano i deputati di opposizione era che con la loro assenza la Camera<br />

sarebbe stata paralizzata, e il Re sarebbe stato costretto a chiedere <strong>le</strong> dimissioni di<br />

Mussol<strong>in</strong>i. Nel gennaio e nel luglio <strong>del</strong> 1923, e nel gennaio <strong>del</strong> 1924, il Re aveva già<br />

firmato tre decreti <strong>in</strong>costituzionali, dimostrando quanto poco lo turbasse il suo ufficio<br />

di garante giurato. Gli oppositori non si resero conto che quando è necessario agire <strong>le</strong><br />

paro<strong>le</strong> sono <strong>in</strong>utili. I fatti hanno dimostrato che fu la loro assenza e il loro rifiuto di<br />

impegnarsi immediatamente <strong>in</strong> una battaglia parlamentare nel momento <strong>in</strong> cui il<br />

risentimento <strong>del</strong> paese era al suo massimo, ciò che veramente salvò Mussol<strong>in</strong>i.<br />

Mussol<strong>in</strong>i, dopo un primo momento di depressione, <strong>in</strong>coraggiato dall'<strong>in</strong>erzia<br />

<strong>del</strong>l'opposizione corse ai ripari. Il primo segno che egli aveva già superato la tempesta<br />

si ebbe il 10 luglio 1924, quando egli mise fuori dal cassetto e fece pubblicare il regio<br />

decreto sulla stampa 15 luglio 1923, con <strong>in</strong> aggiunta un altro regio decreto che dava<br />

potestà ai prefetti <strong>del</strong><strong>le</strong> prov<strong>in</strong>cie di sequestrare a loro discrezione quei giornali che<br />

pubblicassero 'notizie false o tendenziose.' In tal modo ancora una volta il Re dette<br />

prova di sostenere Mussol<strong>in</strong>i. Questo avrebbe dovuto aprire gli occhi alla opposizione<br />

parlamentare, che ancora credeva che il Re potesse prendere l'<strong>in</strong>iziativa di congedare<br />

Mussol<strong>in</strong>i. Ma i loro sogni non vennero dissipati affatto, ed essi cont<strong>in</strong>uarono ad<br />

attendere <strong>le</strong> dimissioni di Mussol<strong>in</strong>i.<br />

Di fatto un forte sentimento antifascista era ancora vivo <strong>in</strong> tutto il paese. Nonostante<br />

il decreto contro la libertà di stampa, il <strong>del</strong>itto Matteotti occupò la prima pag<strong>in</strong>a dei<br />

giornali di opposizione per tutta l'estate e l'autunno <strong>del</strong> 1924. Nella seconda metà <strong>del</strong><br />

1924 i giornali antifascisti <strong>in</strong> tutta Italia avevano una tiratura tota<strong>le</strong> di quattro milioni<br />

di copie, contro soltanto 400000 <strong>del</strong>la stampa fascista. A Tor<strong>in</strong>o, la "Stampa",<br />

antifascista, aveva una circolazione di 400000 copie, contro soltanto 30000 <strong>del</strong>la<br />

"Gazzetta <strong>del</strong> Popolo", fascista. A Milano, il "Corriere <strong>del</strong>la Sera" raggiungeva la cifra<br />

tonda di mezzo milione di copie, mentre il giorna<strong>le</strong> di Mussol<strong>in</strong>i, "Il Popolo d'Italia",<br />

aveva una vendita di appena 40000 copie. A Roma, i due quotidiani fascisti, "Idea<br />

Naziona<strong>le</strong>" e "Impero", andavano bene quando riuscivano a vendere 10000 copie<br />

ciascuno, mentre il giorna<strong>le</strong> umoristico antifascista, "Becco Giallo", nell'agosto <strong>del</strong><br />

1924 aveva una tiratura e una vendita di oltre 350000 copie per ogni numero. I<br />

pazienti <strong>del</strong>l'ospeda<strong>le</strong> pr<strong>in</strong>cipa<strong>le</strong> di Milano acquistavano giornalmente 290 quotidiani<br />

antifascisti contro 62 fascisti. Se questi dati significano qualcosa, significano che la<br />

maggioranza degli italiani era tutto men che fascista.<br />

Durante l'estate, il <strong>le</strong>ader dei democratici antifascisti, Amendola, venne <strong>in</strong> possesso di<br />

due memoriali, scritti uno da Filippelli e l'altro da Cesare Rossi, ambedue implicati nel<br />

<strong>del</strong>itto e trattenuti <strong>in</strong> prigione. Temendo di essere presi come capri espiatori, i due


avevano scritto questi memoriali, affidandoli poi ad amici, perché, se necessario, se<br />

ne servissero <strong>in</strong> loro difesa. Tali amici li avevano consegnati ad Amendola.<br />

Filippelli affermava che tanto Cesare Rossi, capo <strong>del</strong>l'ufficio stampa di Mussol<strong>in</strong>i,<br />

quanto Mar<strong>in</strong>elli, segretario amm<strong>in</strong>istrativo <strong>del</strong> partito fascista, gli avevano detto che<br />

l'ord<strong>in</strong>e per l'uccisione di Matteotti era stato dato personalmente da Mussol<strong>in</strong>i. Su<br />

questo punto Cesare Rossi manteneva il si<strong>le</strong>nzio, ma accusava Mussol<strong>in</strong>i di essere<br />

personalmente responsabi<strong>le</strong> di molte azioni di vio<strong>le</strong>nza commesse dai fascisti dopo la<br />

marcia su Roma. Inoltre, F<strong>in</strong>zi, che al tempo <strong>del</strong> <strong>del</strong>itto era sottosegretario agli<br />

Interni, aveva confidato a diverse persone che l'ord<strong>in</strong>e di sopprimere Matteotti era<br />

stato dato dallo stesso Mussol<strong>in</strong>i:<br />

Senza dubbio <strong>le</strong> affermazioni di F<strong>in</strong>zi e i memoriali di Filippelli e Rossi non costituivano<br />

una prova provata <strong>del</strong>la colpevo<strong>le</strong>zza di Mussol<strong>in</strong>i, ma offrivano motivo più che<br />

sufficiente per la presentazione di una mozione alla Camera per chiedere che venisse<br />

nom<strong>in</strong>ata una commissione parlamentare di <strong>in</strong>chiesta, <strong>in</strong>dipendentemente dal<strong>le</strong><br />

<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i condotte dalla magistratura. L'opposizione parlamentare antifascista aveva <strong>in</strong><br />

mano armi e munizioni sufficienti per dare battaglia. Ma avrebbero dovuto andare alla<br />

Camera. Appariva ormai chiaro che la loro astensione dal<strong>le</strong> sedute parlamentari era<br />

stato un errore che era servito à vantaggio di Mussol<strong>in</strong>i. Persistere nella stessa tattica<br />

sarebbe stata pura follia. Ciò nonostante, essi persistettero nella stessa tattica. E nel<br />

dicembre <strong>del</strong> 1924, alla riapertura <strong>del</strong>la Camera, essi decisero di cont<strong>in</strong>uare<br />

l'astensione dal<strong>le</strong> sedute. Solo i deputati comunisti fecero ritorno alla Camera, ma<br />

dichiararono che il <strong>del</strong>itto Matteotti era faccenda <strong>del</strong>la 'b<strong>org</strong>hesia' e che non li<br />

riguardava, e che da parte loro non avrebbe costituito motivo per attaccare il<br />

governo.<br />

I deputati democratici, popolari e socialisti unitari erano sicuri che <strong>le</strong> <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i<br />

giudiziarie <strong>in</strong> corso avrebbero portato alla luce la responsabilità di Mussol<strong>in</strong>i nel<br />

<strong>del</strong>itto, il che di conseguenza avrebbe costretto il Re a congedarlo. Una eventua<strong>le</strong><br />

rivolta <strong>del</strong><strong>le</strong> camicie nere poteva essere facilmente domata dall'esercito regolare, e la<br />

crisi avrebbe trovato la sua soluzione <strong>in</strong> un modo costituziona<strong>le</strong>. Sembrava che tutto<br />

fosse chiaro e semplice. Non si rendevano conto che il prob<strong>le</strong>ma creato dal <strong>del</strong>itto<br />

Matteotti non poteva trovare una soluzione secondo una procedura puramente<br />

giudiziaria, come se si fosse trattato di un caso comune. I giudici che si occupavano<br />

<strong>del</strong>la cosa non avevano fretta. segnavano il passo aspettando che <strong>le</strong> forze politiche<br />

trovassero una via di uscita <strong>in</strong> quel vicolo cieco. Conducevano l'istruttoria con grande<br />

<strong>le</strong>ntezza, e per sei mesi <strong>in</strong>terrogavano cent<strong>in</strong>aia di presunti testimoni che non<br />

avevano niente da dire, mentre evitavano accuratamente di <strong>in</strong>terrogare gli esecutori<br />

<strong>del</strong> <strong>del</strong>itto e di metterli a confronto con i promotori di esso, per evitare che il nome di<br />

Mussol<strong>in</strong>i venisse portato direttamente <strong>in</strong> causa.<br />

Pur astenendosi dal<strong>le</strong> sedute <strong>del</strong>la Camera, l'opposizione cercò di tirare <strong>in</strong> ballo il Re.<br />

Verso la metà di novembre, Amendola consegnò al Re i memoriali di Rossi e Filippelli,<br />

pensando che, una volta <strong>in</strong> possesso di tali prove, egli non si sarebbe più rifiutato di<br />

agire. Il Re non dette segno di vita.<br />

Dopo che la Camera aveva preso <strong>le</strong> vacanze natalizie, il 28 dicembre, Amendola<br />

pubblicò il memoria<strong>le</strong> di Cesare Rossi, contando di fare uso più tardi di quello di<br />

Filippelli. Ta<strong>le</strong> pubblicazione suscitò una impressione enorme, sia perché Rossi era<br />

stato uno dei più <strong>in</strong>timi aiutanti di Mussol<strong>in</strong>i, sia perché provava che molti atti di<br />

vio<strong>le</strong>nza erano stati ord<strong>in</strong>ati direttamente da Mussol<strong>in</strong>i. Amendola e i suoi amici non si<br />

mossero, aspettando di vedere che cosa avrebbe fatto il Re. Il Re non alzò un dito.<br />

Al contrario, Mussol<strong>in</strong>i non perdette tempo. Egli sapeva di avere il Re nel<strong>le</strong> sue mani.<br />

Durante i mesi di agosto, settembre ed ottobre era stato <strong>in</strong> giro <strong>in</strong> molte località<br />

<strong>del</strong>l'Italia settentriona<strong>le</strong> e centra<strong>le</strong>, tenendo ovunque discorsi <strong>in</strong>cendiari contro<br />

l'opposizione. Le squadre avevano ripreso a compiere <strong>le</strong> loro 'spedizioni punitive' con<br />

spietata efficienza. Il 22 ottobre <strong>del</strong> 1924, l'"Osservatore Romano" dichiarava che


nella sola prov<strong>in</strong>cia di Piacenza, nel corso dei quattro mesi precedenti, trentasei preti<br />

erano stati aggrediti e bastonati, uno dei quali era stato ferito mortalmente. I preti<br />

appartenevano al partito popolare, che era solo uno dei partiti che formavano<br />

l'opposizione e Piacenza era solo una <strong>del</strong><strong>le</strong> novantanove prov<strong>in</strong>cie d'Italia. Ciò può<br />

dare un'idea <strong>del</strong>la situazione predom<strong>in</strong>ante nel paese durante quei mesi.<br />

Il 30 dicembre 1924, per impedire ogni commento al memoria<strong>le</strong> Rossi e ancor più per<br />

impedire la pubblicazione <strong>del</strong> memoria<strong>le</strong> Filippelli, che lo accusava direttamente,<br />

Mussol<strong>in</strong>i dissotterrò una <strong>le</strong>gge di oltre quarant'anni prima che dava potestà ai<br />

prefetti, <strong>in</strong> caso di urgenza, di 'vegliare sull'andamento di tutte <strong>le</strong> pubbliche<br />

amm<strong>in</strong>istrazioni' (16). La stampa veniva considerata come un ramo <strong>del</strong>la pubblica<br />

amm<strong>in</strong>istrazione, e di conseguenza i prefetti erano autorizzati a prendere 'i<br />

provvedimenti che credano <strong>in</strong>dispensabili' per impedire ai giornali la pubblicazione di<br />

notizie ritenute dannose. Da quel momento <strong>in</strong> poi la stampa antifascista fu soffocata<br />

da una serie cont<strong>in</strong>ua di sequestri, tutte <strong>le</strong> volte che essa tentava di pubblicare quel<strong>le</strong><br />

notizie che i prefetti consideravano dannose. Mediante questo nuovo colpo di stato<br />

contro la stampa, fu 'affrontato e risolto quasi comp<strong>le</strong>tamente il prob<strong>le</strong>ma <strong>del</strong>la:<br />

stampa fascista,' come affermò Mussol<strong>in</strong>i <strong>in</strong> un discorso <strong>del</strong> 10 ottobre 1928.<br />

Contemporaneamente, specialmente nell'Italia centra<strong>le</strong>, <strong>le</strong> camicie nere andavano<br />

conducendo spettacolari 'spedizioni punitive.'<br />

Ora che la stampa era stata ridotta al si<strong>le</strong>nzio e il paese terrorizzato, il 3 gennaio<br />

1925 Mussol<strong>in</strong>i si presentò alla Camera. Egli rigettò ogni diretta partecipazione al<br />

<strong>del</strong>itto Matteotti, ma assunse la responsabilità politica per l'atmosfera di vio<strong>le</strong>nza <strong>in</strong><br />

cui era vissuto il paese negli ultimi quattro anni.<br />

«Si grida: 'Il <strong>fascismo</strong> è un'orda di barbari accampati nella nazione ed un movimento<br />

di banditi e di predoni,' e s'<strong>in</strong>scena, o signori, la questione mora<strong>le</strong>! (...) Ebbene, io<br />

dichiaro qui al cospetto di questa assemb<strong>le</strong>a ed al cospetto di tutto il popolo italiano<br />

che assumo, io solo, la responsabilità politica, mora<strong>le</strong>, storica di tutto quanto è<br />

avvenuto. (...) Se il <strong>fascismo</strong> è stato un'associazione a <strong>del</strong><strong>in</strong>quere, se tutte <strong>le</strong> vio<strong>le</strong>nze<br />

sono state il risultato di un determ<strong>in</strong>ato clima storico, mora<strong>le</strong>, a me la responsabilità<br />

di questo, perché questo clima storico, politico, mora<strong>le</strong> io l'ho creato con una<br />

propaganda che va dall'<strong>in</strong>tervento f<strong>in</strong>o ad oggi.»<br />

Poi egli sfidava l'opposizione ad avere il coraggio di porlo sotto stato di accusa, e<br />

concludeva: 'Voi state certi che nel<strong>le</strong> 48 ore successive al mio discorso, la situazione<br />

sarà chiarita.'<br />

Non c'era alla Camera nessun gruppo di opposizione che potesse immediatamente<br />

raccogliere la sfida. Per essere ancor più sicuri che nessuno degli oppositori si facesse<br />

vivo entro <strong>le</strong> 48 ore, immediatamente dopo che Mussol<strong>in</strong>i aveva lanciato la sua sfida,<br />

il presidente <strong>del</strong>la Camera aggiornò la seduta a data da dest<strong>in</strong>arsi, senza qu<strong>in</strong>di far<br />

sapere quando la Camera sarebbe tornata a riunirsi. I membri <strong>del</strong>l'opposizione<br />

avrebbero così potuto chiedere che Mussol<strong>in</strong>i venisse posto <strong>in</strong> stato d'accusa solo fuori<br />

<strong>del</strong>la Camera, cioè mediante un atto rivoluzionario che avrebbe dato al<strong>le</strong> camicie nere<br />

un buon pretesto per massacrarli. La stampa, imbavagliata, non avrebbe neppure<br />

potuto annunciare al mondo il felice evento.<br />

Solo c<strong>in</strong>que giorni dopo, i deputati di opposizione pubblicarono un 'manifesto,' scritto<br />

<strong>in</strong> bello sti<strong>le</strong> <strong>le</strong>tterario e pieno di bei sentimenti morali, ma che non conteneva<br />

nessuna esplicita accusa contro Mussol<strong>in</strong>i. Esso valse soltanto come il documento di<br />

una sconfitta def<strong>in</strong>itiva, e il governo fu ben lieto di consentirne la pubblicazione.<br />

Rocco, m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Giustizia nel gab<strong>in</strong>etto Mussol<strong>in</strong>i dal gennaio 1925 al luglio 1932,<br />

ha scritto:


«Il discorso memorando <strong>del</strong> 3 gennaio aprì la nuova fase <strong>del</strong>la rivoluzione. Ogni<br />

residuo di collaborazione con altri partiti fu elim<strong>in</strong>ato. Scomparvero i detriti <strong>del</strong><br />

vecchio mondo politico e il <strong>fascismo</strong> dom<strong>in</strong>ò da solo lo stato» (17).<br />

Nel 1927, Mussol<strong>in</strong>i personalmente affermò che il regime democratico <strong>in</strong> Italia, dopo<br />

essere stato ucciso nel gennaio 1923, con la creazione <strong>del</strong>la milizia, fu def<strong>in</strong>itivamente<br />

sepolto il 3 gennaio 1925 (18).<br />

Da un punto di vista politico, il <strong>del</strong>itto Matteotti segna una svolta decisiva nella<br />

evoluzione <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>. Mussol<strong>in</strong>i conquistò il potere nel 1922 grazie all'appoggio<br />

<strong>del</strong>l'alta f<strong>in</strong>anza, dei grossi <strong>in</strong>dustriali, dei grandi proprietari terrieri, con la connivenza<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> autorità militari e l'acquiescenza <strong>del</strong> Re. Tutte queste persone non avevano<br />

nessuna voglia di una dittatura qua<strong>le</strong> sorse dal <strong>del</strong>itto Matteotti. Il Parlamento era<br />

stato reso impotente, la stampa imbavagliata, il suffragio universa<strong>le</strong> 'discipl<strong>in</strong>ato,' ma<br />

esteriormente e da un punto di vista forma<strong>le</strong> lo Statuto non era stato toccato. Da<br />

molto tempo i conservatori erano contro quello che chiamavano il sistema<br />

'parlamentare,' al qua<strong>le</strong> vo<strong>le</strong>vano facesse luogo un sistema 'costituziona<strong>le</strong>.' Il Re<br />

doveva 'governare' e non 'regnare' semplicemente. Non era loro proposito <strong>in</strong>staurare<br />

una dittatura che privasse la corona di tutti i suoi diritti ed attributi; la loro monarchia<br />

idea<strong>le</strong> era quella prussiana, qua<strong>le</strong> era stata sotto Bismarck.<br />

Negli anni 1923 e 1924, erano i fascisti di estrema s<strong>in</strong>istra ad <strong>in</strong>vocare radicali riforme<br />

costituzionali, m<strong>in</strong>acciando di proclamare la repubblica qualora il Re avesse opposto<br />

resistenza. Mussol<strong>in</strong>i, assorbito dagli impegni quotidiani <strong>del</strong> governo, lasciò che gli<br />

<strong>in</strong>tel<strong>le</strong>ttuali facessero e disfacessero <strong>le</strong> loro astratte teorie, servendosene a sua volta<br />

o rigettando<strong>le</strong> a seconda <strong>del</strong><strong>le</strong> necessità pratiche. Durante quegli anni il suo<br />

programma pr<strong>in</strong>cipa<strong>le</strong> fu di rimanere al potere: 'Sono venuto qui per rimanervi il più a<br />

lungo possibi<strong>le</strong>' (19).<br />

Di conseguenza, i primi anni <strong>del</strong> regime fascista furono caratterizzati dalla più assurda<br />

contraddizione tra paro<strong>le</strong> e fatti, teoria e pratica, <strong>le</strong>gge e governo. Fu un periodo, da<br />

una parte di anarchia loca<strong>le</strong>, dall'altra di abuso <strong>del</strong> potere centralizzato. Le squadre<br />

fasciste cont<strong>in</strong>uavano a compiere atti di vio<strong>le</strong>nza, ma questi atti di vio<strong>le</strong>nza erano<br />

condannati dalla <strong>le</strong>gge. Gli antifascisti erano di fatto privati dei loro diritti personali e<br />

politici, ma l'Italia era ancora un paese <strong>in</strong> cui, secondo lo Statuto <strong>in</strong> vigore, tutti i<br />

cittad<strong>in</strong>i, senza dist<strong>in</strong>zione di partito, godevano degli stessi diritti personali e <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

stesse libertà politiche. Un partito politico da solo, il partito fascista, si proclamava il<br />

rappresentante di tutta la nazione. Il Parlamento era stato consegnato ad una<br />

maggioranza fascista con mezzi certo non contemplati dal vecchio Statuto, e si<br />

impediva con la vio<strong>le</strong>nza ai membri dei gruppi di opposizione di esercitare il loro<br />

<strong>le</strong>gittimo compito di discutere e criticare <strong>le</strong> azioni <strong>del</strong> governo. L'esistenza dei partiti<br />

politici tuttavia era ancora contemplata dalla <strong>le</strong>gge, e si poteva ancora sperare che<br />

una m<strong>in</strong>oranza parlamentare fosse <strong>in</strong> grado di svolgere la propria azione. La stampa<br />

era imbavagliata, ma la <strong>le</strong>gge che garantiva la libertà di stampa non era ancora stata<br />

esplicitamente soppressa. Direttori ed editori dei giornali antifascisti venivano<br />

bastonati, <strong>le</strong> redazioni devastate e date al<strong>le</strong> fiamme; ma ai giornali antifascisti era<br />

ancora consentita la pubblicazione. In conclusione, sebbene la democrazia venisse<br />

messa <strong>in</strong> croce, <strong>le</strong> forme di uno stato democratico venivano ancora mantenute.<br />

Solo con la crisi susseguente al <strong>del</strong>itto Matteotti si ebbe la rottura aperta anche con gli<br />

aspetti formali <strong>del</strong> vecchio regime democratico. Fu durante ta<strong>le</strong> crisi che a Mussol<strong>in</strong>i<br />

non fu più possibi<strong>le</strong> autorizzare da una parte, come Duce <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>, i <strong>del</strong>itti<br />

compiuti dal<strong>le</strong> squadre, e sconfessarli dall'altra, come presidente <strong>del</strong> Consiglio. Non gli<br />

era più possibi<strong>le</strong> promettere che giustizia sarebbe stata fatta, e contemporaneamente<br />

fare uso dei mezzi a disposizione <strong>del</strong> governo per garantire l'impunità agli esecutori<br />

dei <strong>del</strong>itti. Per superare la crisi, per evitare di essere egli stesso sommerso, Mussol<strong>in</strong>i<br />

doveva bloccare tutte <strong>le</strong> vie costituzionali, attraverso <strong>le</strong> quali l'opposizione poteva


svolgere una azione <strong>le</strong>ga<strong>le</strong>. Doveva distruggere comp<strong>le</strong>tamente la libertà di stampa e<br />

sopprimere nel paese ad ogni costo ogni possibi<strong>le</strong> manifestazione di dissenso.<br />

Assumendo pubblicamente, col discorso <strong>del</strong> 3 gennaio 1925, la responsabilità <strong>del</strong><br />

'clima storico' che aveva condotto il <strong>fascismo</strong> alla il<strong>le</strong>galità e alla vio<strong>le</strong>nza, egli poneva<br />

f<strong>in</strong>e alla ambigua politica <strong>del</strong> suo regime. Adesso apertamente <strong>le</strong> vuote forme <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

costituzioni democratiche venivano messe da parte.<br />

Anche il Re fu costretto a venire alla ribalta. F<strong>in</strong>tanto che la vio<strong>le</strong>nza fascista veniva<br />

ufficialmente sconfessata dal suo presidente <strong>del</strong> Consiglio, il Re, come Ponzio Pilato,<br />

se ne poteva lavare <strong>le</strong> mani. Ma una volta che Mussol<strong>in</strong>i si era assunta ufficialmente la<br />

responsabilità mora<strong>le</strong> e politica per tutte <strong>le</strong> imprese fasciste, il Re era costretto ad<br />

assumere la sua parte di responsabilità. Il giuramento prestato al momento di salire<br />

sul trono lo obbligava esplicitamente all'osservanza e alla difesa <strong>del</strong>lo Statuto <strong>del</strong><br />

Regno lasciatogli <strong>in</strong> eredità dal padre. Al contrario, il 31 luglio 1925, egli firmava una<br />

amnistia che consentiva ai fascisti, colpevoli <strong>del</strong> <strong>del</strong>itto Matteotti, di evitare la pena.<br />

In tal modo diventava un complice <strong>del</strong> sovvertimento <strong>del</strong>lo Statuto.<br />

La vittoria di Mussol<strong>in</strong>i confermava def<strong>in</strong>itivamente il suo supremo ed assoluto<br />

controllo non soltanto nei confronti <strong>del</strong> suo partito. Indipendentemente da quanto tutti<br />

gli altri capi fascisti m<strong>in</strong>ori avessero detto e fatto per salvare il <strong>fascismo</strong> nell'ora <strong>del</strong><br />

pericolo, fu Mussol<strong>in</strong>i che, assumendosi <strong>in</strong>tera la responsabilità <strong>del</strong><strong>le</strong> imprese fasciste<br />

e sfidando apertamente l'opposizione ad un duello def<strong>in</strong>itivo, aveva condotto a<br />

term<strong>in</strong>e la crisi. Da questo momento <strong>in</strong> poi non c'era niente che Mussol<strong>in</strong>i non potesse<br />

permettersi di fare. La sua vittoria <strong>in</strong>tensificò nel<strong>le</strong> fi<strong>le</strong> <strong>del</strong> suo partito la fede <strong>del</strong> mito<br />

<strong>del</strong> 'Duce <strong>in</strong>v<strong>in</strong>cibi<strong>le</strong>,' e la conv<strong>in</strong>zione che la obbedienza cieca a Mussol<strong>in</strong>i fosse<br />

essenzia<strong>le</strong> per la esistenza <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>. Il partito divenne sempre più una<br />

<strong>org</strong>anizzazione militare <strong>in</strong> cui il primo dovere era il vecchio slogan militare: 'Prima<br />

obbedisci e non cercar di capire.' Superando la crisi con pieno successo, Mussol<strong>in</strong>i si<br />

rese conto non soltanto <strong>del</strong>la condizione disperata dei suoi avversari, ma <strong>del</strong>la misura<br />

<strong>del</strong>la sua forza.


CAPITOLO VENTISEIESIMO.<br />

LA COSTITUZIONE DELLO STATO TOTALITARIO.<br />

1. LO STATO A PARTITO UNICO.<br />

Dopo il colpo di stato <strong>del</strong> gennaio 1925, s<strong>in</strong>o alla f<strong>in</strong>e <strong>del</strong> 1926, il paese fu mantenuto<br />

<strong>in</strong> un regime di terrore. Durante il 1925 e il 1926, la Camera e il Senato (la prima era<br />

sgombra ormai di ogni opposizione, e nel secondo solo un pugno di uom<strong>in</strong>i avevano il<br />

coraggio di criticare la nuova <strong>le</strong>gislazione) liquidarono la vecchia libera costituzione<br />

italiana dando una forma giuridica al regime dittatoria<strong>le</strong>.<br />

I diritti dei cittad<strong>in</strong>i garantiti dalla libera costituzione erano compresi <strong>in</strong> tre categorie<br />

pr<strong>in</strong>cipali: 1) diritti personali, cioè, il diritto di "habeas corpus", la libertà di pensiero,<br />

di fede, di educazione, di lavoro eccetera, e il diritto di essere giudicati secondo la<br />

determ<strong>in</strong>ata procedura giuridica; 2) libertà di parola, di stampa e di associazione, e il<br />

diritto di partecipare a riunioni che si svolgono <strong>in</strong> modo pacifico; 3) il diritto di<br />

autogoverno e di rappresentanza politica, cioè il diritto <strong>del</strong>la maggioranza dei cittad<strong>in</strong>i<br />

di cambiare attraverso <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni gli uom<strong>in</strong>i al potere nell'amm<strong>in</strong>istrazione centra<strong>le</strong> e<br />

loca<strong>le</strong>.<br />

Quando nel diciottesimo secolo ebbe <strong>in</strong>izio il movimento libera<strong>le</strong>, esso mirava ad<br />

imporre i diritti <strong>del</strong>la maggioranza dei ceti <strong>in</strong>feriori contro i privi<strong>le</strong>gi <strong>del</strong> c<strong>le</strong>ro e<br />

<strong>del</strong>l'aristocrazia. Dopo che i privi<strong>le</strong>gi politici di queste m<strong>in</strong>oranze furono aboliti, sorse<br />

un nuovo pericolo: i partiti al potere potevano sopprimere <strong>le</strong> libertà <strong>del</strong><strong>le</strong> m<strong>in</strong>oranze.<br />

A questo punto la def<strong>in</strong>izione di libertà divenne più comp<strong>le</strong>ssa. La dottr<strong>in</strong>a libera<strong>le</strong><br />

venne a comprendere non soltanto il pr<strong>in</strong>cipio che la maggioranza è <strong>in</strong>vestita <strong>del</strong><br />

diritto di governare, ma anche il pr<strong>in</strong>cipio che la m<strong>in</strong>oranza è <strong>in</strong>vestita <strong>del</strong> diritto di<br />

dissentire dalla maggioranza. I diritti di coloro che erano al potere venivano limitati<br />

dai diritti di coloro che erano all'opposizione. Fondamentalmente la libertà è il diritto<br />

dei cittad<strong>in</strong>i di dissentire col partito al potere. E' da questo diritto di dissentire col<br />

partito al potere che <strong>in</strong> una libera costituzione s<strong>org</strong>ono tutti gli altri diritti dei cittad<strong>in</strong>i:<br />

libertà di parola, libertà di stampa e di associazione, diritto di riunione, e diritto di<br />

rappresentanza. I diritti personali, <strong>le</strong> libertà politiche e gli istituti parlamentari hanno il<br />

compito di proteggere <strong>le</strong> m<strong>in</strong>oranze contro una possibi<strong>le</strong> oppressione <strong>del</strong> partito al<br />

governo. La prova migliore per valutare il grado di liberalità di una costituzione è data<br />

dal<strong>le</strong> disposizioni che essa contiene a favore <strong>del</strong><strong>le</strong> m<strong>in</strong>oranze.<br />

In una dittatura un solo partito - il partito al potere - ha il diritto di esistere. Un uomo<br />

solo controlla il meccanismo centra<strong>le</strong> di governo. Il controllo di tutte <strong>le</strong> branche<br />

subord<strong>in</strong>ate <strong>del</strong>la vita naziona<strong>le</strong> è affidato a uom<strong>in</strong>i di fiducia <strong>del</strong> padrone assoluto: Gli<br />

oppositori effettivi o potenziali degli uom<strong>in</strong>i al governo sono posti fuori <strong>le</strong>gge.<br />

La costituzione <strong>del</strong>la dittatura italiana ci offre un esempio perfetto di quello che uno<br />

stato a partito unico è obbligato ad essere. Il partito fascista è il solo partito di cui sia<br />

consentita l'esistenza. Tutti gli altri sono il<strong>le</strong>gali.<br />

Il partito fascista non è una <strong>org</strong>anizzazione privata, ma un istituto pubblico<br />

riconosciuto dalla <strong>le</strong>gge. Lo statuto <strong>del</strong> partito è pubblicato mediante regio decreto e il<br />

suo testo ha valore di <strong>le</strong>gge. L'emb<strong>le</strong>ma <strong>del</strong> partito fascista fa parte <strong>del</strong>lo stemma<br />

naziona<strong>le</strong>, e c<strong>in</strong>ge lo stemma d<strong>in</strong>astico. Chiunque commette un atto irrispettoso<br />

contro l'emb<strong>le</strong>ma <strong>del</strong> partito è soggetto ad una pena da uno a tre anni di detenzione,<br />

e s<strong>in</strong>o a 24 anni qualora il <strong>del</strong>itto sia stato commesso <strong>in</strong> territorio straniero.<br />

Il partito fascista è una <strong>org</strong>anizzazione il cui sistema è rigidamente centralizzato.<br />

Mussol<strong>in</strong>i è il suo 'duce,' cioè il suo capo supremo. Egli nom<strong>in</strong>a il segretario genera<strong>le</strong><br />

<strong>del</strong> partito. Il segretario genera<strong>le</strong> sottopone al Duce i membri <strong>del</strong> direttorio naziona<strong>le</strong><br />

e i segretari prov<strong>in</strong>ciali. A loro volta i segretari prov<strong>in</strong>ciali nom<strong>in</strong>ano i loro diretti<br />

dipendenti e i segretari <strong>del</strong><strong>le</strong> sezioni locali, sottoponendo la loro scelta


all'approvazione <strong>del</strong> segretario genera<strong>le</strong>. I segretari locali nom<strong>in</strong>ano i loro dipendenti<br />

e ne sottopongono la scelta all'approvazione <strong>del</strong> segretario prov<strong>in</strong>cia<strong>le</strong>.<br />

Ciascun fascista deve <strong>in</strong>discussa obbedienza al suo superiore. Le nuove reclute<br />

prestano il seguente giuramento: 'Giuro di eseguire senza discutere gli ord<strong>in</strong>i <strong>del</strong> Duce<br />

e di servire con tutte <strong>le</strong> mie forze e se è necessario col mio sangue la causa <strong>del</strong>la<br />

Rivoluzione fascista.' A ta<strong>le</strong> giuramento si è v<strong>in</strong>colati per tutta la vita. La<br />

disubbidienza è punita con l'espulsione dal partito. Essa comporta, per l'eretico che ha<br />

rifiutato di sottomettersi, la espulsione da ogni ufficio pubblico. Egli diventa un<br />

proscritto. Nessun fascista deve per nessuna ragione rimanere <strong>in</strong> contatto con coloro<br />

che sono stati espulsi. Chiunque contravviene a questo dovere deve essere<br />

denunciato al<strong>le</strong> autorità di polizia.<br />

A somiglianza <strong>del</strong> primo m<strong>in</strong>istro <strong>in</strong> un regime libera<strong>le</strong>, Mussol<strong>in</strong>i è <strong>in</strong>sieme presidente<br />

<strong>del</strong> Consiglio e <strong>le</strong>ader <strong>del</strong> partito che controlla il governo. Egli è al tempo stesso capo<br />

<strong>del</strong> governo e duce <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>. Ma <strong>in</strong> un regime libera<strong>le</strong> il partito è una<br />

<strong>org</strong>anizzazione privata e la guida <strong>del</strong> partito è una faccenda sistemata nell'<strong>in</strong>terno <strong>del</strong><br />

partito stesso, e non un ufficio pubblico come la presidenza. Nella dittatura fascista il<br />

partito è una istituzione pubblica. Mussol<strong>in</strong>i è <strong>in</strong> primo luogo il duce <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> e poi<br />

il capo <strong>del</strong> governo. Come capo <strong>del</strong> governo egli mette <strong>in</strong> opera la sua volontà di duce<br />

<strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>. Ta<strong>le</strong> situazione è la logica conseguenza <strong>del</strong> fatto che Mussol<strong>in</strong>i agisce<br />

come se avesse conquistato il potere con la forza armata, e il suo diritto al potere<br />

deriva dal fatto che egli è il capo <strong>del</strong><strong>le</strong> sue proprie forze armate.<br />

Secondo una <strong>le</strong>gge <strong>del</strong> dicembre 1925, 'chiunque con paro<strong>le</strong> od atti offende il capo <strong>del</strong><br />

governo è punito con la reclusione o con la detenzione da sei a trenta mesi' (1). Gli<br />

autori <strong>del</strong> codice pena<strong>le</strong> entrato <strong>in</strong> vigore nel 1931 pensarono che trenta mesi non<br />

erano sufficienti, e portarono il m<strong>in</strong>imo <strong>del</strong>la pena a c<strong>in</strong>que anni.<br />

Il potere esecutivo <strong>del</strong> governo centra<strong>le</strong> non dipende più dal potere <strong>le</strong>gislativo. Il<br />

Parlamento è privato di ogni effettiva autorità. Come membro <strong>del</strong> partito fascista,<br />

ciascun deputato è soggetto alla discipl<strong>in</strong>a di partito, e se il segretario genera<strong>le</strong> <strong>del</strong><br />

partito decretasse la sua espulsione e lo sospendesse, egli sarebbe "ipso facto"<br />

espulso o sospeso dal suo ufficio di deputato. Se criticasse una qualche azione <strong>del</strong><br />

duce <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> e capo <strong>del</strong> governo, sarebbe imputabi<strong>le</strong> di 'offesa' alla sua persona.<br />

Qu<strong>in</strong>di, il capo <strong>del</strong> governo non è <strong>in</strong> nessun modo responsabi<strong>le</strong> di fronte al<br />

Parlamento. E' il Parlamento che è responsabi<strong>le</strong> verso di lui. Ogni volta che ragioni di<br />

urgente od assoluta necessità lo richiedono, il governo può modificare una <strong>le</strong>gge<br />

esistente <strong>in</strong> ogni ramo <strong>del</strong>l'amm<strong>in</strong>istrazione e promulgare una nuova <strong>le</strong>gge, mediante<br />

regio decreto, senza il consenso preventivo <strong>del</strong> Parlamento. Posta così <strong>in</strong> balìa<br />

<strong>del</strong>l'esecutivo e privata di ogni potere, la Camera dei deputati è ridotta alla condizione<br />

di un ufficio di registrazione di <strong>le</strong>ggi e decreti, e alla funzione di un grammofono per<br />

lodare ed esaltare <strong>le</strong> virtù <strong>del</strong> dittatore.<br />

Anche <strong>le</strong> amm<strong>in</strong>istrazioni locali non sono più e<strong>le</strong>ttive. Esse sono rette da funzionari di<br />

nom<strong>in</strong>a governativa. Tutte <strong>le</strong> associazioni <strong>le</strong> cui attività posson essere considerate<br />

ostili al partito al potere sono fuori <strong>del</strong>la <strong>le</strong>gge. Chiunque ri<strong>org</strong>anizzi sotto nuovo<br />

nome associazioni che la polizia ha decretato essere il<strong>le</strong>gali diviene un proscritto.<br />

Tutte <strong>le</strong> associazioni, anche gli istituti di carità, i circoli sportivi, i circoli di bocciofili,<br />

eccetera, devono essere diretti da uom<strong>in</strong>i che siano ben visti dal partito al governo, e<br />

sono scelti dai capi <strong>del</strong> partito fascista.<br />

Qualsiasi tipo di manifestazione o di attività antigovernativa è severamente punito.<br />

Riunioni <strong>in</strong> case private sono il<strong>le</strong>gali e soggette a pene severe, <strong>in</strong>dipendentemente dal<br />

numero dei partecipanti, se nel corso di esse si siano tenute discussioni politiche<br />

giudicate pericolose.<br />

Tutti i mezzi di educazione e di <strong>in</strong>formazione devono avere lo scopo di creare uno<br />

spirito <strong>del</strong> tutto conformato al mo<strong>del</strong>lo eretto dal partito dom<strong>in</strong>ante. Direttori di<br />

giornali e di riviste devono essere uom<strong>in</strong>i di fiducia <strong>del</strong> partito al potere. I libri non


graditi al partito al potere sono sequestrati. Il c<strong>le</strong>ro di tutte <strong>le</strong> confessioni deve<br />

mantenere assoluto si<strong>le</strong>nzio su questioni non gradite al partito al potere, o altrimenti<br />

unirsi al coro <strong>del</strong><strong>le</strong> lodi. Gli <strong>in</strong>segnanti devono prestare un giuramento di fe<strong>del</strong>tà al<br />

partito al potere, impegnandosi a fare uso <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>segnamento per formare cittad<strong>in</strong>i<br />

devoti al regime esistente. Giudici e pubblici funzionari sono allontanati dai loro uffici,<br />

avvocati, medici, chimici <strong>in</strong>gegneri e professionisti <strong>in</strong> genere non hanno il diritto di<br />

svolgere la loro professione, se si mettono <strong>in</strong> opposizione al partito al potere.<br />

I <strong>del</strong>itti politici vengono giudicati non da giudici regolari, ma da un tribuna<strong>le</strong> specia<strong>le</strong>,<br />

composto da un genera<strong>le</strong> e da c<strong>in</strong>que ufficiali <strong>del</strong>la milizia, i quali, come fascisti,<br />

hanno giurato senza discussione agli ord<strong>in</strong>i <strong>del</strong> Duce.<br />

La polizia ha la potestà di tenere sotto sorveglianza o di <strong>in</strong>ternare <strong>in</strong> iso<strong>le</strong> ed <strong>in</strong><br />

villaggi remoti coloro che siano processati e condannati, una volta che essi hanno già<br />

scontato la pena, e anche coloro 'che svolgono o abbiano manifestato il proposito di<br />

svolgere un'attività rivolta a sovvertire vio<strong>le</strong>ntemente gli ord<strong>in</strong>amenti politici,<br />

economici o sociali costituiti nello Stato o a contrastare o a ostacolare l'azione dei<br />

poteri <strong>del</strong>lo Stato, o un'attività comunque ta<strong>le</strong> da recare nocumento agli <strong>in</strong>teressi<br />

nazionali' (2). La persona è presa, e spesso senza nessun <strong>in</strong>terrogatorio, condotta<br />

ammanettata al luogo di <strong>in</strong>ternamento. La durata <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>ternamento può essere s<strong>in</strong>o a<br />

c<strong>in</strong>que anni. Trascorsi i primi c<strong>in</strong>que anni, può <strong>in</strong>iziare un nuovo periodo di c<strong>in</strong>que<br />

anni, e così via all'<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito, a discrezione <strong>del</strong>la polizia.<br />

La polizia può aprire <strong>le</strong> <strong>le</strong>ttere. Chiunque sia trovato fuori <strong>del</strong>la sua città di orig<strong>in</strong>e e<br />

privo di una carta di identità può essere 'fermato' dalla polizia, cioè tenuto <strong>in</strong> stato<br />

d'arresto a discrezione <strong>del</strong>la polizia. I datori di lavoro non possono occupare nessuno<br />

che sia sprovvisto di documenti. Basti qu<strong>in</strong>di che la polizia ritiri a uno la carta<br />

d'identità per ridurlo alla fame.<br />

Ogni tentativo di lasciare il paese senza un regolare passaporto, come pure l'aiuto<br />

fornito per un ta<strong>le</strong> tentativo, è punito con la detenzione s<strong>in</strong>o a c<strong>in</strong>que anni. Chiunque<br />

sia sorpreso nel tentativo di passare il conf<strong>in</strong>e fuori dei pochi valichi autorizzati può<br />

essere ucciso a fucilate dalla polizia di frontiera. Si tratta di una pena di morte<br />

sommaria, applicata dal<strong>le</strong> guardie, che diventano tutto <strong>in</strong> una volta accusatori, giudici<br />

ed esecutori.<br />

Per farla breve, non soltanto <strong>le</strong> libertà politiche sono tenute <strong>in</strong> non conto, ma anche i<br />

diritti personali. Ciò non si deve al capriccio, alla cattiva volontà o al caso. Le<br />

istituzioni che hanno orig<strong>in</strong>e dalla dottr<strong>in</strong>a libera<strong>le</strong> non sono qualcosa di divisibi<strong>le</strong>. Un<br />

regime politico che garantisce ai cittad<strong>in</strong>i il diritto di e<strong>le</strong>ggere gli uom<strong>in</strong>i che li devono<br />

rappresentare davanti al loro governo deve essere basato sul pr<strong>in</strong>cipio <strong>del</strong>la<br />

concorrenza dei partiti, cioè sul diritto dei partiti di opposizione di sostituirsi al partilo<br />

al potere quando questo abbia perso la fiducia <strong>del</strong>la maggioranza <strong>del</strong> corpo e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>.<br />

Il diritto di mutare il partito al potere perderebbe ogni valore senza essere unito al<br />

diritto di cui è <strong>in</strong>vestita l'opposizione di criticare il partito al potere. Ciò significa che i<br />

partiti di opposizione devono godere <strong>del</strong>la libertà di parola, di stampa e di<br />

associazione, e <strong>del</strong> diritto di riunione. A loro volta queste libertà politiche sarebbero<br />

ridotte a una mistificazione se il partito al potere avesse il diritto di violare e<br />

sopprimere <strong>del</strong> tutto i diritti dei cittad<strong>in</strong>i, ogni volta che questi cercassero di farne uso<br />

per opporsi al partito al potere. Qu<strong>in</strong>di, istituti rappresentativi, libertà politiche, diritti<br />

personali, formano una catena i cui anelli sono <strong>in</strong>separabilmente <strong>le</strong>gati <strong>in</strong>sieme.<br />

Viceversa se si accetta il pr<strong>in</strong>cipio <strong>del</strong>lo stato monopartitico o stato 'totalitario,' si<br />

devono non solo sopprimere o ridurre a una mistificazione gli istituti rappresentativi,<br />

ma anche sopprimere <strong>le</strong> libertà politiche e i diritti personali. Infatti, se al cittad<strong>in</strong>o<br />

fosse garantito il diritto di opposizione con tutti i suoi accessori, cioè libertà di parola,<br />

di stampa e di associazione, e il diritto di riunione, senza dargli la possibilità di<br />

cambiare il partito al potere mediante mezzi <strong>le</strong>gali, questi diritti sfocerebbero nella<br />

vio<strong>le</strong>nza di una rivoluzione. E quando siano soppresse <strong>le</strong> libertà politiche, anche i


diritti personali devono essere soppressi o rigorosamente ridotti. Come è possibi<strong>le</strong><br />

sopprimere la libertà di parola, se la libertà di pensiero rimane priva di v<strong>in</strong>coli? Come<br />

si può sopprimere la libertà di stampa, se la libertà di <strong>in</strong>segnamento rimane <strong>in</strong>tatta?<br />

Come si può impedire la formazione di un movimento di opposizione, se la polizia non<br />

ha il potere di controllare anche la vita privata di tutti coloro che sono sospettati di<br />

essere oppositori? E per sopprimere l'opposizione, quando questa si manifesti, qua<strong>le</strong><br />

metodo più efficace che spedire gli oppositori <strong>in</strong> prigione o ridurli alla fame?<br />

Gli istituti di uno stato monopartitico non sono divisibili, allo stesso modo di quelli<br />

<strong>del</strong>lo stato pluripartitico. Si deve accettare o resp<strong>in</strong>gere tutto, nell'uno come nell'altro<br />

caso. Sia per la libertà che per la dittatura, si tratta di 'prendere o lasciare.'<br />

2. GLI ISTITUTI CORPORATIVI.<br />

Gli istituti <strong>del</strong>la dittatura fascista non sono una novità nella storia. La Francia, sia<br />

sotto Napo<strong>le</strong>one Primo che sotto Napo<strong>le</strong>one Terzo, visse sotto istituti <strong>del</strong>lo stesso tipo<br />

di quelli <strong>del</strong>l'Italia fascista. Tuttavia, nell'<strong>in</strong>staurare i loro sistemi totalitari, <strong>le</strong> dittature<br />

dei tempi andati dovevano preoccuparsi soltanto di quel<strong>le</strong> correnti di opposizione che<br />

potevano svilupparsi tra i ceti e<strong>le</strong>vati e i ceti medi <strong>del</strong>la società. Sia nel<strong>le</strong> città che<br />

nel<strong>le</strong> campagne <strong>le</strong> classi lavoratrici erano politicamente <strong>in</strong>erti, e per quanto<br />

riguardava la politica di governo si poteva tranquillamente non tenerne conto. 'Le<br />

autorità sapevano con precisione dove rivolgere la sorveglianza <strong>del</strong>la polizia: al<strong>le</strong><br />

redazioni di tali e tali giornali, nel<strong>le</strong> vic<strong>in</strong>anze di tali e tali caffè trasformati <strong>in</strong> circoli,<br />

nei pressi <strong>del</strong><strong>le</strong> abitazioni di tali e tali cittad<strong>in</strong>i, sospettati e tenuti d'occhio. Lo<br />

sviluppo economico non aveva ancora fatto s<strong>org</strong>ere quegli enormi aggregati di esseri<br />

umani che sono oggi ammassati <strong>in</strong>sieme nel<strong>le</strong> grandi fabbriche. Le conseguenze<br />

sociali <strong>del</strong> progresso <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong> imponevano al<strong>le</strong> dittature nuove necessità e nuove<br />

tattiche. A che serve abolire il diritto di riunione, mettere <strong>in</strong> catene la stampa, proibire<br />

manifestazioni nel<strong>le</strong> strade, se all'<strong>in</strong>terno <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche si tol<strong>le</strong>ra lo sviluppo di centri<br />

rivoluzionari? A che serve impedire ai lavoratori di impegnarsi <strong>in</strong> qualsiasi genere di<br />

attività politica fuori <strong>del</strong> lavoro, se si permette che ta<strong>le</strong> attività abbia orig<strong>in</strong>e sul luogo<br />

di lavoro, <strong>in</strong> quel<strong>le</strong> occasioni <strong>in</strong>numerevoli <strong>in</strong> cui gli operai term<strong>in</strong>ato il loro lavoro si<br />

trovano <strong>in</strong>sieme, all'entrata e all'uscita <strong>del</strong><strong>le</strong> offic<strong>in</strong>e? Era assolutamente necessario<br />

che il nuovo governo adottasse un atteggiamento di stretta sorveglianza verso i<br />

gruppi operai' (3).<br />

E' questa la ragione perché oggi <strong>in</strong> una dittatura c'è una serie di istituti che non hanno<br />

precedenti nel<strong>le</strong> dittature dei tempi passati: i cosiddetti istituti corporativi.<br />

L'Italia è divisa <strong>in</strong> prov<strong>in</strong>cie. In ogni prov<strong>in</strong>cia, per ciascun gruppo di datori di lavoro,<br />

lavoratori o classi professionali, una sola <strong>org</strong>anizzazione è giuridicamente<br />

riconosciuta. La <strong>le</strong>gge ammette l'esistenza "de facto" di altre <strong>org</strong>anizzazioni oltre<br />

quel<strong>le</strong> riconosciute giuridicamente. Ma nessuno s<strong>in</strong>ora ha osato di formare una di<br />

queste <strong>org</strong>anizzazioni "de facto". Un tentativo <strong>del</strong> genere sarebbe considerato come<br />

sovversivo nei confronti <strong>del</strong>l'ord<strong>in</strong>e 'naziona<strong>le</strong>,' e severamente punito.<br />

Nessuno può appartenere alla propria <strong>org</strong>anizzazione ufficia<strong>le</strong> fascista di mestiere<br />

senza esservi ammesso dal segretario, e il segretario può espel<strong>le</strong>re quei membri che,<br />

a suo giudizio, siano <strong>in</strong>desiderabili. Ma tutti devono corrispondere il loro contributo<br />

annuo alla propria <strong>org</strong>anizzazione di mestiere, che vi appartengano o no.<br />

Le <strong>org</strong>anizzazioni fasciste sono riunite <strong>in</strong> nove confederazioni nazionali: quattro per i<br />

datori di lavoro, quattro per i lavoratori, e una per <strong>le</strong> classi professionali.<br />

I presidenti <strong>del</strong><strong>le</strong> confederazioni nazionali vengono nom<strong>in</strong>ati da Mussol<strong>in</strong>i. I segretari<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni prov<strong>in</strong>ciali vengono designati dai presidenti <strong>del</strong><strong>le</strong> confederazioni<br />

dopo essersi consultati con <strong>le</strong> più alte autorità <strong>del</strong> partito fascista. I segretari <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

<strong>org</strong>anizzazioni prov<strong>in</strong>ciali scelgono i funzionari dei gruppi locali. Un funzionario può<br />

essere sempre destituito dal governo, quando manchi di manifestare un grado<br />

sufficientemente e<strong>le</strong>vato di <strong>in</strong>dubbia fe<strong>del</strong>tà naziona<strong>le</strong> (cioè fascista).


In tal modo, i funzionari non sono 'e<strong>le</strong>tti' dagli iscritti, ma 'nom<strong>in</strong>ati' dall'alto, ed essi<br />

devon render conto <strong>del</strong>la propria azione non ai membri <strong>del</strong>la loro <strong>org</strong>anizzazione, ma<br />

ai capi <strong>del</strong> partito al potere.<br />

In questo, sembrerebbe che non ci fosse nessuna differenza tra <strong>le</strong> associazioni di<br />

datori di lavoro, da una parte, e quel<strong>le</strong> di lavoratori o <strong>del</strong><strong>le</strong> classi professionali,<br />

dall'altra. I loro funzionari sono sempre nom<strong>in</strong>ati dall'alto.<br />

Ma <strong>le</strong> condizioni di fatto <strong>del</strong><strong>le</strong> diverse classi non sono identiche.<br />

Tra i datori di lavoro c'è una netta differenza tra grossi <strong>in</strong>dustriali, proprietari terrieri,<br />

e banchieri, da una parte, e gli altri m<strong>in</strong>ori. Quando si deve nom<strong>in</strong>are un funzionario<br />

<strong>in</strong> una associazione di datori di lavoro, grossi uom<strong>in</strong>i d'affari, numericamente scarsi, si<br />

mettono d'accordo prima durante una <strong>del</strong><strong>le</strong> loro riunioni, scelgono il loro uomo di<br />

fiducia, fanno una te<strong>le</strong>fonata a uno dei capi <strong>del</strong> partito al potere, gli comunicano il<br />

nome <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dividuo prescelto, e questo viene nom<strong>in</strong>ato. Ad esempio, oggi il<br />

presidente <strong>del</strong>la confederazione <strong>in</strong>dustriali è il conte Volpi, che si può considerare il<br />

Rockefel<strong>le</strong>r italiano. Non c'è dubbio che egli rappresenta perfettamente il grosso<br />

<strong>in</strong>dustria<strong>le</strong> italiano.<br />

I piccoli datori di lavoro, piccoli <strong>in</strong>dustriali, negozianti, proprietari terrieri, non<br />

partecipano alla partita. Nella nom<strong>in</strong>a dei funzionari <strong>del</strong><strong>le</strong> loro associazioni, essi non<br />

hanno voce <strong>in</strong> capitolo. Alla direzione <strong>del</strong><strong>le</strong> loro associazioni vi sono gli agenti dei<br />

grandi uom<strong>in</strong>i d'affari, non i rappresentanti dei piccoli <strong>in</strong>dustriali.<br />

Quanto ai lavoratori, tra loro non c'è nessuna differenza di più potenti o meno potenti,<br />

grossi e picc<strong>in</strong>i. Sono tutti picc<strong>in</strong>i, tutti privi di potere. Essi sono troppo numerosi, e<br />

non si permette loro di riunirsi per discutere dei loro affari. A loro non è possibi<strong>le</strong><br />

te<strong>le</strong>fonare ai capi <strong>del</strong> partito al potere per presentare i nom<strong>in</strong>ativi dei loro prescelti. Le<br />

direzioni <strong>del</strong><strong>le</strong> loro <strong>org</strong>anizzazioni non rappresentano nessuno. Sono composte dagli<br />

uom<strong>in</strong>i di fiducia <strong>del</strong> partito al potere, il qua<strong>le</strong> controlla i loro s<strong>in</strong>dacati.<br />

E questo va<strong>le</strong> anche per <strong>le</strong> classi professionali.<br />

Nello stato corporativo fascista i grossi uom<strong>in</strong>i d'affari costituiscono un fattore attivo e<br />

dirigono <strong>le</strong> associazioni dei datori di lavoro. I piccoli datori di lavoro, i lavoratori e <strong>le</strong><br />

classi professionali costituiscono l'e<strong>le</strong>mento passivo, e devono assoggettarsi a tutto<br />

quello che sia ritenuto opportuno dai loro funzionari.<br />

Una volta che ci si sia formata un'idea chiara di queste <strong>org</strong>anizzazioni <strong>le</strong>galmente<br />

riconosciute e dei loro funzionari, si comprenderà che cosa significa affermare che<br />

tutti i contratti <strong>in</strong> merito a salari, ore di lavoro, eccetera, sono stipulati dal<strong>le</strong><br />

<strong>org</strong>anizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori e che tali contratti sono v<strong>in</strong>colanti<br />

per tutti i datori di lavoro e i lavoratori, siano questi o no membri <strong>del</strong>l'<strong>org</strong>anizzazione.<br />

Questi contratti sono stipulati da uom<strong>in</strong>i di fiducia dei grossi datori di lavoro e da<br />

funzionari che sono stati nom<strong>in</strong>ati dall'alto per controllare i s<strong>in</strong>dacati dei lavoratori. In<br />

tali faccende gli iscritti ai s<strong>in</strong>dacati non possono metter bocca. Se qualcuno degli<br />

iscritti non fosse soddisfatto e si provasse a brontolare, il segretario <strong>del</strong> suo s<strong>in</strong>dacato<br />

ne decreterebbe l'espulsione, e qu<strong>in</strong>di tutti coloro che rimangono iscritti al s<strong>in</strong>dacato<br />

se ne stanno beati e contenti.<br />

Gli scioperi sono proibiti e puniti con una serie severa e progressiva di sanzioni, che<br />

contemplano un massimo di sette anni di detenzione.<br />

Così come gli scioperi, anche la serrata è proibita. Di qui i fascisti pretendono che il<br />

capita<strong>le</strong> sia stato messo sullo stesso piano <strong>del</strong> lavoro. Ma una volta che non ci siano<br />

più scioperi, la serrata diviene superflua. Inoltre la <strong>le</strong>gge, mentre obbliga gli operai al<br />

lavoro sotto pena di imprigionamento, non può obbligare un datore di lavoro a<br />

cont<strong>in</strong>uare la sua attività quando egli dichiari che non può più mantenere i vecchi<br />

salari. La <strong>in</strong>terruzione di lavoro allora non è una serrata, ma una chiusura dovuta a<br />

'giustificati motivi.'<br />

Quando i rappresentanti dei datori di lavoro e i funzionari che dirigono i s<strong>in</strong>dacati<br />

operai non raggiungono l'accordo, la vertenza deve essere risolta da una corte <strong>del</strong>


lavoro, sia per quanto riguarda i contratti <strong>in</strong> corso di esecuzione che per quelli che<br />

siano <strong>in</strong> via di formazione. La corte è formata da un giudice e da due esperti, e tutti<br />

gli esperti devono essere dei laureati. In tal modo i lavoratori sono automaticamente<br />

esclusi dalla corte.<br />

I fascisti giustificano l'abolizione <strong>del</strong> diritto di sciopero mediante il seguente teorema:<br />

Lo stato non è più stato, cioè non è più sovrano, se non può applicare la giustizia nei<br />

conflitti tra classi e categorie sociali, proibendo loro di esercitare una giustizia privata,<br />

esattamente allo stesso modo che ciò viene proibito agli <strong>in</strong>dividui e al<strong>le</strong> famiglie. Ma<br />

nel<strong>le</strong> vertenze di lavoro chi è lo 'stato?' Nello 'stato corporativo' al primo grad<strong>in</strong>o si<br />

trovano gli uom<strong>in</strong>i di fiducia dei grossi datori di lavoro, e i funzionari nom<strong>in</strong>ati dall'alto<br />

per dirigere i s<strong>in</strong>dacati dei lavoratori, e al grad<strong>in</strong>o più alto troviamo i giudici e gli<br />

esperti <strong>del</strong><strong>le</strong> corti <strong>del</strong> lavoro. A nessuno di questi due livelli i lavoratori hanno una<br />

vera rappresentanza. Perciò lo 'stato' viene a essere la classe dei datori di lavoro.<br />

Prendiamo un esempio per mostrare come funziona il sistema <strong>in</strong> pratica.<br />

Nel marzo <strong>del</strong> 1927, i rappresentanti dei coltivatori di riso e i funzionari che dirigono i<br />

s<strong>in</strong>dacati dei mondariso firmarono un contratto secondo il qua<strong>le</strong> i salari sarebbero<br />

stati ridotti <strong>del</strong> 10 per cento. Qu<strong>in</strong>dici giorni prima l'<strong>in</strong>izio dei lavori, i datori di lavoro<br />

annunciarono che essi non potevano pagare i salari concordati, perché, dopo la firma<br />

<strong>del</strong> contratto, il prezzo <strong>del</strong> riso aveva subito un ribasso <strong>del</strong> 25 per cento, e chiedevano<br />

qu<strong>in</strong>di una ulteriore riduzione dei salari <strong>del</strong> 20 per cento. I funzionari che dirigevano i<br />

s<strong>in</strong>dacati offrirono una seconda riduzione <strong>del</strong> 2 e mezzo per cento. Essa fu giudicata<br />

<strong>in</strong>sufficiente dai datori di lavoro. Quando la vertenza venne portata davanti alla corte<br />

<strong>del</strong> lavoro, questa autorizzò soltanto la riduzione <strong>del</strong> 2 e mezzo per cento a cui<br />

gentilmente avevano acconsentito i funzionari, e fece restituire dai mondariso ai<br />

datori di lavoro quanto essi avevano già percepito <strong>in</strong> eccesso. I giornali annunciarono<br />

che la corte <strong>del</strong> lavoro aveva sconfitto i datori di lavoro. Non si preoccuparono di<br />

spiegare che di fatto i salari erano stati dim<strong>in</strong>uiti <strong>del</strong> 12 e mezzo per cento.<br />

Nel 1928, il governo decise che avesse luogo una nuova riduzione <strong>del</strong> 7,5 per cento.<br />

Durante il 1929, il prezzo <strong>del</strong> riso salì <strong>del</strong> 20 per cento, e i coltivatori offrirono ai<br />

lavoratori un aumento <strong>del</strong>l'1,5 per cento. I funzionari <strong>del</strong> s<strong>in</strong>dacato lo accettarono con<br />

animo grato. Ma nel 1930 il prezzo dim<strong>in</strong>uì di nuovo, e i funzionari generosamente<br />

accettarono una ulteriore riduzione dei salari <strong>del</strong> 17,5 per cento.<br />

Nel 1931, i datori di lavoro richiesero un'altra riduzione <strong>del</strong> 35 per cento. I funzionari<br />

si affrettarono ad offrire una riduzione <strong>del</strong> 20 per cento. La corte <strong>del</strong> lavoro stabilì una<br />

riduzione <strong>del</strong> 21 per cento. Nel 1933 e 1934, i salari furono di nuovo ridotti. In tal<br />

modo i salari di 200000 lavoratori, <strong>in</strong> gran parte donne, dal 1927 al 1934 subirono<br />

una riduzione dal 55 al 61 per cento, secondo <strong>le</strong> diverse categorie di mondariso.<br />

Al di sopra <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni di datori di lavoro e di lavoratori, <strong>in</strong> Italia troviamo <strong>le</strong><br />

ventidue cosiddette 'corporazioni.' Da queste corporazioni, la dittatura fascista ha<br />

preso la sua denom<strong>in</strong>azione di 'stato corporativo.'<br />

Che cosa sono queste corporazioni?<br />

Sono <strong>org</strong>anismi, ciascuno dei quali si occupa di una determ<strong>in</strong>ata categoria<br />

<strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dustria, <strong>del</strong>l'agricoltura e <strong>del</strong> commercio. Per esempio, uno si occupa dei tessili,<br />

un altro <strong>del</strong>la produzione e vendita <strong>del</strong> grano, un altro <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dustria siderurgica, e così<br />

via.<br />

I membri che fanno parte di queste corporazioni si dividono <strong>in</strong> quattro categorie:<br />

1) M<strong>in</strong>istri e alti funzionari, nom<strong>in</strong>ati da Mussol<strong>in</strong>i; 2) esperti, nom<strong>in</strong>ati da Mussol<strong>in</strong>i;<br />

3) membri <strong>del</strong> partito fascista, nom<strong>in</strong>ati dal segretario genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito, che è a<br />

sua volta nom<strong>in</strong>ato da Mussol<strong>in</strong>i; 4) cosiddetti rappresentanti dei datori di lavoro e dei<br />

lavoratori, designati dai presidenti <strong>del</strong><strong>le</strong> confederazioni, che sono nom<strong>in</strong>ati da<br />

Mussol<strong>in</strong>i, e che non hanno l'obbligo di render conto <strong>del</strong><strong>le</strong> loro azioni ai membri <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

<strong>org</strong>anizzazioni. I datori di lavoro, naturalmente, sono rappresentati dai grossi uom<strong>in</strong>i


d'affari, mentre i lavoratori sono rappresentati da burocrati dei s<strong>in</strong>dacati che non sono<br />

responsabili verso gli iscritti.<br />

Mussol<strong>in</strong>i è il presidente di tutti questi <strong>org</strong>anismi, e designa i loro vicepresidenti. Egli<br />

ha il potere di mutare la composizione dei consigli ogni volta che lo ritenga opportuno,<br />

e di liberarsi di quei consiglieri che siano diventati <strong>in</strong>discreti. Se l'op<strong>in</strong>ione dei consigli<br />

non co<strong>in</strong>cide con quella di Mussol<strong>in</strong>i, egli ha il potere di resp<strong>in</strong>gerli, e può anche<br />

impedire che di tali op<strong>in</strong>ioni contrarie riferisca la stampa. I consigli sono convocati<br />

quando lo voglia Mussol<strong>in</strong>i. Se non li convocasse mai, nessuno potrebbe obiettare<br />

nulla e <strong>le</strong> cose andrebbero avanti nello stesso identico modo.<br />

Le ventidue corporazioni vennero <strong>in</strong>augurate il 10 novembre 1934 e la prima com<strong>in</strong>ciò<br />

a funzionare nel gennaio 1935. F<strong>in</strong>o ad ora tutto quello che hanno fatto è stato di<br />

dare dei pareri su questioni tecniche: come, per esempio, che nomi si debbano dare<br />

ai differenti tipi di formaggio, perché non si abbiano a confondere l'uno con l'altro; se<br />

non sia possibi<strong>le</strong> usare seta prodotta <strong>in</strong> Italia <strong>in</strong>vece di cotone importato dall'estero,<br />

eccetera.<br />

Oggi <strong>in</strong> molti paesi ci sono, accanto ai m<strong>in</strong>isteri <strong>del</strong> lavoro, dei comitati consultivi, <strong>in</strong><br />

parte nom<strong>in</strong>ati dal governo. Essi possono esercitare una <strong>in</strong>fluenza notevo<strong>le</strong> sulla<br />

politica dei governi, dato che i loro pareri vengono riferiti dalla stampa, vengono<br />

pubblicamente discussi e non possono essere ignorati dai m<strong>in</strong>istri. Ora se si dicesse<br />

che <strong>in</strong> Italia oggi ci sono dei 'comitati consultivi' per <strong>le</strong> questioni economiche, che i<br />

membri di questi comitati sono tutti assolutamente <strong>in</strong> mano a Mussol<strong>in</strong>i, e che tali<br />

comitati sono privi di potere se Mussol<strong>in</strong>i non è d'accordo con loro, ciascuno capirebbe<br />

subito che tali istituti sono il più <strong>in</strong>uti<strong>le</strong> <strong>org</strong>anismo burocratico che ci sia mai stato al<br />

mondo.<br />

Mussol<strong>in</strong>i pomposamente annuncia che 'nello stato corporativo il lavoro non è più<br />

oggetto <strong>del</strong> sistema economico, ma soggetto,' perché nello stato corporativo 'la<br />

direzione <strong>del</strong>la produzione non è imposta dall'alto, da un <strong>org</strong>ano o da un comp<strong>le</strong>sso<br />

esterno all'attività produttiva; è imposto dagli stessi gruppi economici, poiché ciascun<br />

gruppo economico si esprime attraverso <strong>le</strong> corporazioni. La corporazione è lo<br />

strumento attraverso il qua<strong>le</strong> la produzione discipl<strong>in</strong>a <strong>org</strong>anicamente se stessa' (4).<br />

Nobili sentimenti e bel<strong>le</strong> paro<strong>le</strong>, se non si guarda al funzionamento effettivo degli<br />

istituti corporativi fascisti. Se si guarda a questo si possono trarre soltanto due<br />

conclusioni: il lavoro nello stato corporativo fascista non ha parte più attiva di quella<br />

che hanno gli animali <strong>in</strong> una società per la protezione degli animali.<br />

3. LE ELEZIONI TOTALITARIE.<br />

Nel 1929 e nel 1934 <strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni di datori di lavoro, lavoratori e classi<br />

professionali posero <strong>le</strong> basi su cui doveva s<strong>org</strong>ere la Camera dei fasci e <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

corporazioni. Nel regime prefascista, il Parlamento italiano consisteva di due camere:<br />

il Senato e la Camera dei deputati. Il Senato era formato da membri scelti dal<br />

presidente <strong>del</strong> Consiglio e nom<strong>in</strong>ati dal Re. Sarebbe la Camera idea<strong>le</strong> di un regime<br />

dittatoria<strong>le</strong>, dato che rende superflua la Camera e<strong>le</strong>ttiva. Nella costituzione fascista<br />

esso qu<strong>in</strong>di venne mantenuto. Anche una Camera 'e<strong>le</strong>ttiva' venne mantenuta. Se di<br />

tanto <strong>in</strong> tanto Mussol<strong>in</strong>i non si desse la pena di avere <strong>del</strong><strong>le</strong> 'e<strong>le</strong>zioni' nazionali o, come<br />

sprezzantemente Mussol<strong>in</strong>i <strong>le</strong> ha chiamate, 'ludi cartacei,' gli altri paesi civili, che sono<br />

ancora <strong>in</strong>fatuati per una ridicola procedura qua<strong>le</strong> quella <strong>del</strong><strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni, avrebbero<br />

pensato che la dittatura fascista non fosse fondata sul consenso popolare. Ma la<br />

Camera 'e<strong>le</strong>ttiva' fascista era una Camera 'senza opposizione.' La 'Camera senza<br />

opposizione' veniva 'e<strong>le</strong>tta' mediante una procedura che rendeva impossibi<strong>le</strong> ai<br />

votanti di 'e<strong>le</strong>ggere' degli oppositori <strong>del</strong> governo.<br />

Quando si doveva formare una nuova Camera, i funzionari prov<strong>in</strong>ciali e nazionali di<br />

ciascuna confederazione si riunivano a Roma e compilavano una lista dei candidati. Il<br />

procedimento per la scelta <strong>del</strong><strong>le</strong> candidature era il seguente: il presidente di ciascuna


confederazione, che era nom<strong>in</strong>ato da Mussol<strong>in</strong>i, d'accordo con i dirigenti nazionali <strong>del</strong><br />

partito fascista, anch'essi nom<strong>in</strong>ati da Mussol<strong>in</strong>i, preparava la lista dei candidati, che<br />

<strong>le</strong>ggeva durante la riunione dei funzionari <strong>del</strong>la sua confederazione. I funzionari la<br />

approvavano <strong>in</strong> blocco per acclamazione, e la lista dei candidati <strong>del</strong>la confederazione<br />

era varata.<br />

La confederazione poteva disporre di ottocento candidati. Altri duecento candidati<br />

venivano nom<strong>in</strong>ati da <strong>org</strong>anismi culturali o enti assistenziali designati dal governo. Il<br />

sistema per la scelta <strong>del</strong><strong>le</strong> candidature anche <strong>in</strong> questi enti privi<strong>le</strong>giati era lo stesso<br />

come per <strong>le</strong> confederazioni. Il presidente <strong>del</strong>l'ente, che era stato nom<strong>in</strong>ato dal<br />

segretario genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito fascista, il qua<strong>le</strong> a sua volta era stato nom<strong>in</strong>ato da<br />

Mussol<strong>in</strong>i, annunciava i nom<strong>in</strong>ativi e i presenti li accettavano per acclamazione.<br />

L'autorità veniva dall'alto.<br />

I nomi dei duemila candidati erano qu<strong>in</strong>di 'presentati' al Gran Consiglio <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>,<br />

che era un <strong>org</strong>ano di cui facevano parte circa trenta alte personalità fasciste scelte da<br />

Mussol<strong>in</strong>i. Il Gran Consiglio redigeva la lista dei quattrocento futuri rappresentanti. Ma<br />

ta<strong>le</strong> scelta non era limitata ai duemila candidati, potevano essere scelte anche<br />

persone che non erano comprese nella lista. Un ta<strong>le</strong> illimitato potere discreziona<strong>le</strong><br />

rendeva la 'presentazione' <strong>del</strong>la lista prelim<strong>in</strong>are una vera farsa.<br />

Dopo che il Gran Consiglio aveva 'designato' i quattrocento rappresentanti, i nomi<br />

venivano portati di fronte al corpo e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> per la 'ratifica.' A ta<strong>le</strong> scopo tutto il paese<br />

veniva a essere una s<strong>in</strong>gola unità e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>. Al votante veniva chiesto di dichiarare se<br />

approvava o no l'<strong>in</strong>tera lista coi quattrocento nomi.<br />

In altre paro<strong>le</strong>, il compito di nom<strong>in</strong>are i candidati non apparteneva più ai partiti<br />

politici, ma ai presidenti <strong>del</strong><strong>le</strong> confederazioni e degli altri enti privi<strong>le</strong>giati, che<br />

direttamente o <strong>in</strong>direttamente erano stati nom<strong>in</strong>ati da Mussol<strong>in</strong>i. Il diritto di 'e<strong>le</strong>ggere'<br />

i deputati non apparteneva al corpo e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> ma al Gran Consiglio <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>, i cui<br />

membri anche questa volta erano stati nom<strong>in</strong>ati da Mussol<strong>in</strong>i. All'e<strong>le</strong>ttorato si lasciava<br />

soltanto il compito di dire 'sì' o 'no.'<br />

Quando si richiese di dire 'sì' o 'no,' non c'era più una stampa di opposizione, nessuna<br />

<strong>org</strong>anizzazione di partito di opposizione, nessuna possibilità di una campagna contro<br />

la lista ufficia<strong>le</strong>, e nessun candidato di opposizione. Chiunque si rifiutasse di recarsi<br />

al<strong>le</strong> urne si metteva <strong>in</strong> luce come un oppositore di Mussol<strong>in</strong>i e diventava un proscritto.<br />

All'<strong>in</strong>gresso <strong>del</strong> seggio e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>, il votante riceveva due schede, una tricolore con la<br />

parola 'si' e una bianca con la parola 'no.' La scheda tricolore era stampata su carta<br />

talmente <strong>le</strong>ggera e trasparente che anche una volta piegata poteva essere facilmente<br />

dist<strong>in</strong>ta da quella bianca. Il votante tuttavia poteva ritirarsi <strong>in</strong> un luogo appartato<br />

dove, nel più assoluto segreto, poneva <strong>in</strong> un'urna una <strong>del</strong><strong>le</strong> due schede, e<br />

precisamente quella che non vo<strong>le</strong>va utilizzare. Lasciando il luogo appartato, doveva<br />

consegnare l'altra scheda, quella buona, al funzionario addetto.<br />

Nel 'p<strong>le</strong>biscito' <strong>del</strong> marzo 1929, il governo poté annunciare che l'89 per cento di tutti i<br />

votanti iscritti si erano recati al<strong>le</strong> urne, e che si erano avuti oltre 8.500.000 'sì' contro<br />

appena 136000 'no.' Sia che quei 'no' fossero generosamente regalati dal governo a<br />

una opposizione <strong>in</strong>esistente per evitare l'assurdo di una unanimità comp<strong>le</strong>ta, o siano<br />

altre <strong>le</strong> ragioni, essi dimostrano che nel marzo <strong>del</strong> 1929 si potevano ancora trovare <strong>in</strong><br />

Italia 136000 uom<strong>in</strong>i coraggiosi, anche se pazzi, disposti a sfidare <strong>le</strong> camicie nere per<br />

la soddisfazione di deporre <strong>in</strong> un'urna una scheda assolutamente <strong>in</strong>uti<strong>le</strong>.<br />

I risultati <strong>del</strong> p<strong>le</strong>biscito <strong>del</strong> marzo 1934 furono anche più adulatori verso la dittatura di<br />

quelli di c<strong>in</strong>que anni prima. Su un tota<strong>le</strong> di 10.433.536 votanti iscritti, se ne recarono<br />

al<strong>le</strong> urne 10.041.997, cioè il 96,25 per cento; i 'si' furono 10.025.513, pari al 99,84<br />

per cento dei votanti. Hit<strong>le</strong>r nei suoi p<strong>le</strong>bisciti fu meno 'efficiente' di Mussol<strong>in</strong>i: nel<br />

novembre 1933 ricevette solo il 92,8 per cento, nell'agosto 1934 l'89,09 per cento, e<br />

nel marzo 1936 il 98,79 per cento.


Nel 1934, <strong>in</strong> tutta la prov<strong>in</strong>cia di Aquila, si ebbero nel p<strong>le</strong>biscito solo otto voti contro il<br />

regime. Pochi giorni dopo, a Pratola Peligna, vi fu una sommossa popolare <strong>in</strong> cui<br />

furono uccise sette persone, trenta furono ferite e circa duecento arrestate. E'<br />

evidente che tutte queste persone, meno otto, nel giorno <strong>del</strong> p<strong>le</strong>biscito avevano<br />

votato 'sì,' e nessun altro nel resto <strong>del</strong>la prov<strong>in</strong>cia aveva votato un 'no.'<br />

Il sentimento di soddisfazione fu unanime anche tra i tedeschi <strong>del</strong> Sud-Tirolo e gli<br />

slavi e i croati <strong>del</strong>l'Istria. Nel Sud-Tirolo gli e<strong>le</strong>ttori iscritti erano 51952; di questi si<br />

recarono al<strong>le</strong> urne 48543, e solo 516 votarono 'no.' Nel<strong>le</strong> prov<strong>in</strong>cie di Fiume, Pola,<br />

Gorizia e Trieste, comprendenti 500.000 persone tra slavi e croati, gli e<strong>le</strong>ttori iscritti<br />

erano 240.599, di cui 230.954 si recarono al<strong>le</strong> urne, e non più di 418 votarono 'no.'<br />

Ciò nonostante nella primavera <strong>del</strong> 1931 la stampa fascista aveva affermato che a<br />

causa <strong>del</strong> sentimento anti-italiano, <strong>in</strong> meno di quattro mesi nel<strong>le</strong> regioni abitate da<br />

slavi, si erano avuti oltre un cent<strong>in</strong>aio di crim<strong>in</strong>i, comprendenti qu<strong>in</strong>dici omicidi e<br />

trenta aggressioni a mano armata. Diciotto tra scuo<strong>le</strong>, asili e offic<strong>in</strong>e erano state<br />

<strong>in</strong>cendiate. C'erano stati otto azioni terroristiche e quattro casi di spionaggio. Il<br />

tribuna<strong>le</strong> specia<strong>le</strong> per la difesa <strong>del</strong>lo stato, tra il febbraio 1927 e il giugno 1932,<br />

condannò 106 slavi, per un tota<strong>le</strong> di 1124 anni di carcere, e c<strong>in</strong>que alla pena di<br />

morte. Il p<strong>le</strong>biscito <strong>del</strong> marzo 1934 dimostra che più aumentano gli arresti, <strong>le</strong> pene di<br />

morte, <strong>le</strong> pene detentive, gli <strong>in</strong>vii al conf<strong>in</strong>o tra questi 500000 slavi, e più cresce il<br />

loro entusiasmo per Mussol<strong>in</strong>i.<br />

Parlando di 'e<strong>le</strong>zioni' fasciste, i propagandisti di Mussol<strong>in</strong>i affermano che <strong>in</strong> Italia <strong>le</strong><br />

votazioni non avvengono più nei col<strong>le</strong>gi e<strong>le</strong>ttorali ripartiti per territorio, ma avvengono<br />

nei col<strong>le</strong>gi e<strong>le</strong>ttorali ripartiti per categoria professiona<strong>le</strong>, e si accalorano a spiegare<br />

che, per un <strong>in</strong>dividuo, è assai più importante la propria occupazione che non la<br />

propria residenza, e che i cittad<strong>in</strong>i voterebbero per i propri rappresentanti all'<strong>in</strong>terno<br />

<strong>del</strong>la propria categoria, e non secondo il luogo fortuito <strong>del</strong>la loro residenza. Questa<br />

dottr<strong>in</strong>a politica sarebbe meritevo<strong>le</strong> di discussione se nell'Italia fascista i<br />

rappresentanti fossero veramente e<strong>le</strong>tti dai membri di ciascuna confederazione. Ma<br />

sta di fatto che la scelta <strong>del</strong><strong>le</strong> candidature fu opera dei presidenti <strong>del</strong><strong>le</strong> confederazioni<br />

e di altri enti privi<strong>le</strong>giati, e la se<strong>le</strong>zione f<strong>in</strong>a<strong>le</strong> fu fatta dai membri <strong>del</strong> Gran Consiglio<br />

<strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>. E tutti questi signori erano stati nom<strong>in</strong>ati da Mussol<strong>in</strong>i. Queste<br />

operazioni non avevano niente a che fare con col<strong>le</strong>gi e<strong>le</strong>ttorali a base territoria<strong>le</strong> o<br />

professiona<strong>le</strong>. Quando venne per i votanti il momento di rispondere 'sì' o 'no,' questi<br />

dettero la loro risposta di fronte a una lista e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> non a carattere professiona<strong>le</strong>,<br />

ma naziona<strong>le</strong>, cioè <strong>in</strong> un enorme col<strong>le</strong>gio e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> a base territoria<strong>le</strong>, e se non<br />

vo<strong>le</strong>vano f<strong>in</strong>ire <strong>in</strong> ga<strong>le</strong>ra dovevano rispondere 'sì.'<br />

Per quanto riguarda i quattrocento rappresentanti, questi non rappresentavano niente<br />

e nessuno. Nessun <strong>le</strong>game li univa ad un corpo e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>. Coloro che erano stati<br />

costretti a pronunciare il loro 'sì' non disponevano di nessun mezzo per esprimere sul<br />

conto degli e<strong>le</strong>tti approvazione e disapprovazione. I cosiddetti rappresentanti erano<br />

sotto la discipl<strong>in</strong>a militare <strong>del</strong> partito fascista, e sia alla Camera che fuori dovevano<br />

obbedire agli ord<strong>in</strong>i di Mussol<strong>in</strong>i.<br />

Ma neppure questa 'Camera senza opposizione' era di gradimento di Mussol<strong>in</strong>i. Il 14<br />

novembre 1933, egli affermava:<br />

«La Camera dei deputati non mi è mai piaciuta. In fondo questa Camera dei deputati<br />

è ormai anacronistica anche nel suo stesso titolo: è un istituto che noi abbiamo<br />

trovato e che è estraneo alla nostra mentalità, alla nostra passione di fascisti. La<br />

Camera presuppone un mondo che noi abbiamo demolito presuppone pluralità dei<br />

partiti: spesso e vo<strong>le</strong>ntieri l'attacco alla diligenza. Dal giorno <strong>in</strong> cui noi abbiamo<br />

annullato questa pluralità, la Camera dei deputati ha perduto il motivo essenzia<strong>le</strong> per<br />

cui sorse» (5).


Secondo quanto Mussol<strong>in</strong>i affermò il 25 marzo 1936, la Camera doveva essere<br />

sostituita da una assemb<strong>le</strong>a genera<strong>le</strong> di tutte <strong>le</strong> ventidue corporazioni, che si doveva<br />

chiamare 'Camera dei fasci e <strong>del</strong><strong>le</strong> corporazioni.' La riforma fu emanata nel 1938. A<br />

partire da allora, i membri <strong>del</strong><strong>le</strong> 'Camere dei fasci e <strong>del</strong><strong>le</strong> corporazioni' furono senza<br />

tanto chiasso nom<strong>in</strong>ati da Mussol<strong>in</strong>i, e rimasero <strong>in</strong> carica per il tempo che egli ce li<br />

teneva, e il 'p<strong>le</strong>biscito' venne abolito.


CAPITOLO VENTISETTESIMO.<br />

CHIESA E STATO.<br />

I rapporti tra il Vaticano e il governo italiano furono posti su basi nuove dai Patti<br />

lateranensi <strong>del</strong> febbraio 1929. Ta<strong>le</strong> accordo consisteva di tre documenti: un trattato di<br />

conciliazione, una convenzione f<strong>in</strong>anziaria, un concordato.<br />

Il trattato di conciliazione riguardava la posizione <strong>del</strong> papa qua<strong>le</strong> capo <strong>del</strong>la<br />

<strong>org</strong>anizzazione <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Chiesa cattolica. Il governo italiano riconosceva il<br />

papa, <strong>in</strong> modo esplicito, non solo come <strong>le</strong>gittimo possessore <strong>del</strong> Vaticano, ma anche<br />

come sovrano <strong>in</strong>dipendente sopra l'area che è occupata dal Vaticano. In tal modo si<br />

veniva a formare nel cuore di Roma uno stato lillipuziano, ufficialmente chiamato<br />

'Città <strong>del</strong> Vaticano,' e <strong>in</strong>dipendente da qualsiasi sovranità italiana. A sua volta la Santa<br />

Sede riconosceva come <strong>le</strong>gittimo il regno d'Italia, avente Roma come sua capita<strong>le</strong>.<br />

Ciò significava che il papa riconosceva l'esistenza di una Italia che già esisteva da<br />

c<strong>in</strong>quantanove anni anche senza il suo permesso; e l'Italia riconosceva il papa come<br />

sovrano di una piccola area <strong>in</strong> cui, per c<strong>in</strong>quantanove anni, gli era stato permesso di<br />

vivere da sovrano. Il mutamento era nella formula; la realtà rimaneva immutata. La<br />

sola <strong>in</strong>novazione effettiva importante era che il papa avrebbe potuto emettere<br />

francobolli e cartol<strong>in</strong>e postali. In cambio, il governo italiano non sarebbe stato più<br />

def<strong>in</strong>ito fuori d'Italia, dai predicatori cattolici, carceriere <strong>del</strong> papa. Nessun italiano di<br />

buon senso avrebbe potuto trovare nulla da ridire su una ta<strong>le</strong> sistemazione <strong>del</strong>la<br />

questione romana. La pacificazione è preferibi<strong>le</strong> all'ostilità, anche se di fatto l'ostilità<br />

era già sbollita.<br />

Secondo la convenzione f<strong>in</strong>anziaria, il papa riceveva 90 milioni di dollari (dollari di<br />

prima di Roosevelt) (1), che, se non venivano dilapidati, gli avrebbero dato una<br />

rendita annua<strong>le</strong> di quattro milioni e mezzo di dollari. La <strong>le</strong>gge <strong>del</strong><strong>le</strong> guarentigie nel<br />

1871 gli garantiva una rendita annua di 600 mila dollari. E ta<strong>le</strong> era la somma che<br />

figurava nel bilancio <strong>del</strong> vecchio stato pontificio come contributo dei sudditi <strong>del</strong> papa<br />

per il mantenimento dei servizi centrali <strong>del</strong>la Chiesa cattolica. Il resto veniva pagato<br />

dai cattolici di tutti gli altri paesi. Nel 1919 venne stimato che al Vaticano occorresse<br />

una rendita corrispondente ad un capita<strong>le</strong> di circa 30 milioni di dollari. A partire dal<br />

1929, il papa non avrebbe più avuto preoccupazioni f<strong>in</strong>anziarie. Veniva a ricevere un<br />

capita<strong>le</strong> che gli forniva una rendita tre volte maggiore di quella che nel 1919 era stata<br />

considerata necessaria per fare fronte al<strong>le</strong> sue spese annuali. Il popolo italiano pagava<br />

quattro milioni e mezzo di dollari all'anno <strong>del</strong> suo pane quotidiano per coprire <strong>le</strong> spese<br />

occorrenti per i servizi centrali <strong>del</strong>la <strong>org</strong>anizzazione <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Chiesa<br />

cattolica. Parrebbe giusto che la Chiesa cattolica, basata sulla fede religiosa di 300<br />

milioni di uom<strong>in</strong>i viventi <strong>in</strong> tutte <strong>le</strong> parti <strong>del</strong> mondo, dovesse essere mantenuta dai<br />

contributi spontanei di tutti i suoi fe<strong>del</strong>i, e non dal tributo forzato di un solo popolo.<br />

Il Concordato, terzo e<strong>le</strong>mento dei Patti lateranensi, riguardava i rapporti tra Chiesa e<br />

Stato <strong>in</strong> Italia. Per <strong>in</strong>tendere questo trattato, si deve tenere presente che <strong>in</strong> Italia<br />

sotto il regime prefascista, tutte <strong>le</strong> professioni religiose godevano <strong>del</strong>lo stesso<br />

trattamento; il c<strong>le</strong>ro cattolico non aveva privi<strong>le</strong>gi di nessun genere, e c'era un sistema<br />

di quasi comp<strong>le</strong>ta separazione tra Chiesa e Stato. Mediante il Concordato <strong>del</strong> 1929 la<br />

separazione veniva sostituita da un sistema def<strong>in</strong>ito di 'cooperazione' tra i due poteri.<br />

Questo nuovo sistema non aveva la sua orig<strong>in</strong>e <strong>in</strong> un atto <strong>le</strong>gislativo decretato dal<br />

governo italiano; ma trovava la sua orig<strong>in</strong>e come conseguenza di un trattato<br />

<strong>in</strong>ternazione tra il capo <strong>del</strong>la Chiesa cattolica e il governo italiano. Da quel momento<br />

<strong>in</strong> poi i cattolici italiani erano sotto il protettorato di una potenza straniera, la Santa<br />

Sede, e questa potenza straniera aveva il diritto di rappresentarli davanti al governo<br />

italiano. Questo è, ora e sempre, il significato sostanzia<strong>le</strong> di qualsiasi concordato


cattolico: si viene a creare una doppia sovranità sopra i cattolici di un paese, il cui<br />

governo firma un concordato: quella <strong>del</strong> governo secolare e quella <strong>del</strong> papa. Se il<br />

presidente Roosevelt firmasse un trattato con Stal<strong>in</strong> che garantisse ai comunisti degli<br />

Stati Uniti un particolare stato giuridico, e desse a Stal<strong>in</strong> il diritto di controllare quello<br />

stato giuridico e proteggere i comunisti americani davanti al governo americano, il<br />

presidente Roosevelt firmerebbe un 'concordato' con Stal<strong>in</strong> analogo a quello che la<br />

Santa Sede si sforza di ottenere dai governi di tutto il mondo.<br />

In seguito al Concordato <strong>del</strong> 1929, i sessantamila ecc<strong>le</strong>siastici viventi <strong>in</strong> Italia<br />

divennero una casta privi<strong>le</strong>giata. Essi sono esenti dal servizio militare. Tutti quei<br />

giovani che si avviano a diventare preti o frati sono esenti dal<strong>le</strong> tasse sul reddito per<br />

quello che guadagnano nell'esercizio <strong>del</strong> loro m<strong>in</strong>istero. Se uno è medico, avvocato,<br />

<strong>in</strong>segnante, o bottegaio, paga la tassa sul reddito dei propri guadagni, per picc<strong>in</strong>i che<br />

questi siano; se uno è un prete, non la paga. Inf<strong>in</strong>e, un ecc<strong>le</strong>siastico che commetta un<br />

reato non è soggetto allo stesso trattamento degli altri sfortunati mortali: egli 'è<br />

trattato col riguardo dovuto al suo stato ed al suo grado gerarchico' e, nel caso di<br />

condanna, la pena è scontata possibilmente <strong>in</strong> locali separati da quelli dest<strong>in</strong>ati ai<br />

laici.<br />

Il c<strong>le</strong>ro forma un corpo che è sotto la giurisdizione <strong>del</strong>la Santa Sede e dei vescovi. I<br />

preti spretati o coloro che sono <strong>in</strong>corsi <strong>in</strong> una censura non possono <strong>in</strong>segnare, né<br />

essere mantenuti nella posizione di <strong>in</strong>segnanti. Un uomo che sia stato chiuso <strong>in</strong> un<br />

sem<strong>in</strong>ario dall'età di dieci anni s<strong>in</strong>o a ventuno, e che diventi prete senza conoscere<br />

niente <strong>del</strong> mondo, rimane per tutta la vita alla mercé <strong>del</strong> suo vescovo. Se cambia idea<br />

e abbandona l'abito, il suo vescovo gli impedirà di guadagnarsi da vivere <strong>in</strong> quel solo<br />

campo che di regola gli sarebbe aperto, l'<strong>in</strong>segnamento. Di conseguenza sarà<br />

costretto a rimanere prete anche quando abbia perduto la sua fede. In tal modo, la<br />

sovranità <strong>del</strong> Vaticano non riguarda soltanto il territorio <strong>del</strong>la Città <strong>del</strong> Vaticano; essa<br />

si irradia da questo territorio, e si fa sentire <strong>in</strong> tutta Italia su tutti quegli italiani che<br />

entrano a far parte <strong>del</strong> c<strong>le</strong>ro.<br />

La Santa Sede ed i vescovi esercitano una sovranità sopra <strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> italiane. Il<br />

Concordato stabilisce che 'l'Italia considera fondamento e coronamento <strong>del</strong>l'istruzione<br />

pubblica l'<strong>in</strong>segnamento <strong>del</strong>la dottr<strong>in</strong>a cristiana secondo la forma ricevuta dalla<br />

tradizione cattolica.' Per farsi una idea <strong>del</strong> significato di questa norma, basta solo<br />

<strong>le</strong>ggere un articolo pubblicato dalla Civiltà Cattolica nel 1929 (2). La rivista si pubblica<br />

a Roma a cura dei padri Gesuiti, sotto il controllo persona<strong>le</strong> <strong>del</strong> papa. La rivista<br />

affermava che nel<strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> medie non doveva essere <strong>in</strong>segnato niente che fosse<br />

contrario alla dottr<strong>in</strong>a cattolica. Sarebbe qu<strong>in</strong>di opportuno sgravare il professore di<br />

storia dal compito di <strong>in</strong>segnare ai suoi studenti la religione e la storia degli ebrei, <strong>le</strong><br />

<strong>orig<strong>in</strong>i</strong> <strong>del</strong> cristianesimo, la <strong>org</strong>anizzazione <strong>del</strong>la Chiesa, e altri soggetti altrettanto<br />

rischiosi. Queste materie dovrebbero essere affidate all'<strong>in</strong>segnante di religione, che è<br />

designato dal vescovo <strong>del</strong>la diocesi. Solo la filosofia cattolica, qua<strong>le</strong> è stata eretta a<br />

sistema una volta per tutte da San Tomaso d'Aqu<strong>in</strong>o, dovrebbe essere <strong>in</strong>segnata.<br />

Sfortunatamente non ci si può aspettare che tutti gli <strong>in</strong>segnanti di filosofia mut<strong>in</strong>o lo<br />

spirito e <strong>le</strong> dottr<strong>in</strong>e di cui sono imbevuti. Sarebbe qu<strong>in</strong>di la soluzione migliore abolire<br />

<strong>del</strong> tutto una materia tanto pericolosa come la filosofia. Qualora si dimostri<br />

impossibi<strong>le</strong> ottenere una ta<strong>le</strong> soluzione radica<strong>le</strong>, si potrà trovare un possibi<strong>le</strong><br />

accomodamento considerando che la mentalità degli <strong>in</strong>segnanti si verrà modificando<br />

secondo <strong>le</strong> nuove rego<strong>le</strong>. L'<strong>in</strong>segnante di religione <strong>in</strong>segnerà la dottr<strong>in</strong>a cattolica,<br />

esponendo tutte <strong>le</strong> dottr<strong>in</strong>e contrarie; l'<strong>in</strong>segnante di filosofia eviterà tutti quei<br />

soggetti 'che possano ragionevolmente turbare o mettere <strong>in</strong> disagio la coscienza<br />

religiosa e mora<strong>le</strong> degli alunni.' In tal modo si eviterà ogni urto tra l'<strong>in</strong>segnamento<br />

<strong>del</strong>la religione e quello <strong>del</strong>la filosofia e <strong>del</strong>la storia.<br />

Il Concordato riconosce la sovranità <strong>del</strong>la Santa Sede nel caso di matrimonio contratto<br />

tra cattolici italiani. S<strong>in</strong>o al 1929, chiunque <strong>in</strong> Italia vo<strong>le</strong>va dare uno stato giuridico al


suo <strong>le</strong>game familiare doveva compiere un matrimonio civi<strong>le</strong> davanti al<strong>le</strong> autorità<br />

municipali. Non era proibito a nessuno di avere oltre a ciò un matrimonio religioso. I<br />

cattolici si recavano prima davanti al parroco, gli ebrei alla s<strong>in</strong>agoga, i protestanti dai<br />

loro pastori, e coloro che non avevano nessuna religione si recavano soltanto davanti<br />

al s<strong>in</strong>daco. Quando nel 1865 venne <strong>in</strong>trodotto <strong>in</strong> Italia il matrimonio 'alla francese,'<br />

che veniva a sostituire il vecchio sistema secondo il qua<strong>le</strong> il matrimonio era<br />

esclusivamente nel<strong>le</strong> mani <strong>del</strong>la Chiesa, il c<strong>le</strong>ro cattolico sol<strong>le</strong>vò un gran putiferio; essi<br />

diffamarono come concub<strong>in</strong>ato il matrimonio civi<strong>le</strong> e cercarono di impedire che la<br />

gente lo praticasse. I risultati di questa lotta furono pessimi. Molti uom<strong>in</strong>i sposavano<br />

una donna davanti al parroco, e con il beneplacito <strong>del</strong> prete non contraevano il<br />

matrimonio davanti al s<strong>in</strong>daco. Dopo alcuni anni trovavano che <strong>le</strong> loro mogli non<br />

erano più così piacenti, e decidevano che era più comodo prendersi un'altra ragazza;<br />

si recavano allora a sposarsi davanti al s<strong>in</strong>daco; secondo la <strong>le</strong>gge era valido questo<br />

secondo matrimonio, mentre il primo, sebbene valido secondo la Chiesa, non aveva<br />

nessun valore <strong>le</strong>ga<strong>le</strong>. F<strong>in</strong>almente il c<strong>le</strong>ro trovò che era meglio r<strong>in</strong>unciare alla lotta<br />

contro il matrimonio civi<strong>le</strong>. La Santa Sede dette istruzioni a tutti i parroci perché non<br />

sposassero nessuno senza prima essersi assicurati che il matrimonio sarebbe<br />

avvenuto anche davanti al<strong>le</strong> autorità civili. Divenne così uso comune di sposarsi prima<br />

<strong>in</strong> comune e poi <strong>in</strong> chiesa. Durante questo secolo nessuno aveva più discusso ta<strong>le</strong><br />

argomento. La Chiesa si era arresa anche su ta<strong>le</strong> questione. Inaspettatamente, nei<br />

Patti lateranensi il matrimonio tra cattolici veniva riconosciuto di nuovo dal governo<br />

italiano come un sacramento. I cattolici che desideravano sposarsi dovevano soltanto<br />

recarsi davanti al parroco e davanti a lui contrarre il matrimonio, mentre ebrei e<br />

protestanti si devono recare davanti ai loro rabb<strong>in</strong>i o pastori. Parroco, pastore o<br />

rabb<strong>in</strong>o ce<strong>le</strong>brano la cerimonia, e al<strong>le</strong> autorità comunali non rimane altro compito che<br />

quello di trascrivere l'avvenuto matrimonio. I miscredenti vanno soltanto <strong>in</strong> comune.<br />

Ma di fatto, chi si sposa <strong>in</strong> comune prima di ce<strong>le</strong>brare il matrimonio religioso è<br />

segnato a dito come una pecora nera e si procura dei guai.<br />

In aggiunta il Concordato stabilisce che '<strong>le</strong> cause concernenti la nullità <strong>del</strong> matrimonio<br />

e la dispensa dal matrimonio rato e non consumato sono riservate alla competenza<br />

dei tribunali e dei dicasteri ecc<strong>le</strong>siastici' (3). Se esistesse un trattato <strong>del</strong> genere tra la<br />

Santa Sede e gli Stati Uniti, tutti quei cattolici americani che vogliono che il loro<br />

matrimonio venga annullato dovrebbero rivolgersi non ai tribunali degli Stati Uniti, ma<br />

ai tribunali vescovili <strong>del</strong><strong>le</strong> loro diocesi e, <strong>in</strong> ultimo appello, al tribuna<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Città <strong>del</strong><br />

Vaticano. La causa sarebbe giudicata da questi tribunali ecc<strong>le</strong>siastici, e alla<br />

magistratura americana non rimarrebbe altro da fare che accettare la sentenza e<br />

registrarla.<br />

L'articolo 1070 <strong>del</strong> codice di diritto canonico, secondo il qua<strong>le</strong> i tribunali ecc<strong>le</strong>siastici<br />

giudicano la causa, stabilisce che il matrimonio tra una persona non battezzata e una<br />

persona battezzata nella Chiesa cattolica è da ritenersi nullo e come non avvenuto. Di<br />

conseguenza la Santa Sede può annullare un matrimonio <strong>le</strong>galmente ce<strong>le</strong>brato<br />

davanti al<strong>le</strong> autorità municipali italiane, qualora la moglie o il marito non siano<br />

battezzati, e non appena uno di loro si battezzi e ritenga conveniente sposarsi con un<br />

altro battezzato. Nel 1853, ad esempio, una ebrea di Cento, paese che era allora nello<br />

Stato Pontificio, abbandonò il marito fuggendo con l'amante, ricevette il battesimo e<br />

chiese che <strong>le</strong> fosse concesso di sposare l'amante. L'arcivescovo di Bologna dichiarò<br />

nullo il primo matrimonio e sposò la donna e l'amante. Anche <strong>in</strong> questo caso, il<br />

tribuna<strong>le</strong> secolare si limiterebbe a registrare l'annullamento <strong>del</strong> primo matrimonio e la<br />

ce<strong>le</strong>brazione <strong>del</strong> nuovo matrimonio. L'articolo 1072 <strong>del</strong> codice di diritto canonico<br />

stabilisce che il matrimonio di un sacerdote è nullo. Di conseguenza l'autorità secolare<br />

non è autorizzata a sposare un prete spretato; qualora un matrimonio <strong>del</strong> genere<br />

abbia luogo, il tribuna<strong>le</strong> ecc<strong>le</strong>siastico lo può annullare e permettere <strong>in</strong> tal modo alla<br />

moglie di risposarsi. L'articolo 1014 <strong>del</strong> codice di diritto canonico ammette il


matrimonio segreto senza pubblicazioni e la cui registrazione avviene su speciali<br />

registri custoditi negli archivi vescovili. In tal modo si possono ce<strong>le</strong>brare <strong>in</strong> Italia<br />

matrimoni dei quali <strong>le</strong> autorità civili non sono messe al corrente, ma che sono<br />

<strong>le</strong>galmente validi e rendono il<strong>le</strong>gittimi altri matrimoni successivi.<br />

I Patti lateranensi contengono diverse altre disposizioni, la cui forma è tanto <strong>in</strong>certa<br />

ed equivoca da significare tutto e nulla. Ad esempio, una <strong>del</strong><strong>le</strong> disposizioni stabilisce<br />

che 'avranno (...) senz'altro piena efficacia giuridica, anche a tutti gli effetti civili, <strong>in</strong><br />

Italia <strong>le</strong> sentenze ed i provvedimenti emanati da autorità ecc<strong>le</strong>siastiche ed<br />

ufficialmente comunicati al<strong>le</strong> autorità civili, circa persone ecc<strong>le</strong>siastiche o religiose e<br />

concernenti materie spirituali o discipl<strong>in</strong>ari' (4). Ciò potrebbe significare che i tribunali<br />

<strong>del</strong>la Santa Sede e i tribunali vescovili possono condannare un ecc<strong>le</strong>siastico colpevo<strong>le</strong><br />

di eresia o di <strong>in</strong>discipl<strong>in</strong>a ad essere conf<strong>in</strong>ato <strong>in</strong> un chiostro per fare penitenza. Se il<br />

prete si rifiuta di sottostare alla sentenza, la Santa Sede comunica il fatto al<strong>le</strong> autorità<br />

civili e la polizia costr<strong>in</strong>ge il ribel<strong>le</strong> a fare penitenza. Una clausola <strong>del</strong> Concordato<br />

stabilisce che l'Italia 'ove occorra, accorda agli ecc<strong>le</strong>siastici per gli atti <strong>del</strong> loro<br />

m<strong>in</strong>istero spiritua<strong>le</strong> la difesa da parte <strong>del</strong><strong>le</strong> sue autorità' (5). Queste paro<strong>le</strong> possono<br />

significare semplicemente che il governo si impegna a proteggere la fede cattolica<br />

contro chiunque voglia recare contro di essa impedimento. Possono anche significare<br />

che la polizia ha l'obbligo di applicare una sentenza pronunciata dall'<strong>in</strong>quisizione<br />

contro un eretico, o da una corte vescovi<strong>le</strong> contro una signora che abbia la sottana o<br />

<strong>le</strong> maniche <strong>del</strong> vestito troppo corte. Un'altra clausola stabilisce che '<strong>in</strong> considerazione<br />

<strong>del</strong> carattere sacro <strong>del</strong>la Città eterna, sede vescovi<strong>le</strong> <strong>del</strong> Sommo Pontefice, centro <strong>del</strong><br />

mondo cattolico e meta di pel<strong>le</strong>gr<strong>in</strong>aggi, il governo italiano avrà cura di impedire <strong>in</strong><br />

Roma tutto ciò che possa essere <strong>in</strong> contrasto col detto carattere' (6). Ta<strong>le</strong> formula<br />

imprecisa può significare, ad esempio, che nessuna chiesa protestante potrà essere<br />

aperta al pubblico per il culto nella città di Roma, esattamente come avveniva quando<br />

la città era sotto il dom<strong>in</strong>io pontificio. Può anche significare che nessuna strada di<br />

Roma debba portare il nome di un qualche noto eretico. O ancora può significare che<br />

nessun congresso religioso o scientifico, che non sia autorizzato dalla Santa Sede,<br />

possa essere tenuto a Roma. Il 2 giugno <strong>del</strong> 1930, la tragedia di D'Annunzio, "La figlia<br />

di Jorio", veniva rappresentata all'aperto <strong>in</strong> una piazza di Roma. Contrariamente a<br />

molte opere di D'Annunzio questa non presenta nessun caso di perversione sessua<strong>le</strong>,<br />

ma solo di una passione sfrenata <strong>in</strong>differente ad ogni <strong>le</strong>gge mora<strong>le</strong>. Il giorna<strong>le</strong><br />

vaticano, l'"Osservatore Romano", il 2-3 giugno <strong>del</strong> 1930, protestava contro ta<strong>le</strong><br />

rappresentazione. 'Chiediamo se la rappresentazione di un'opera proibita dall'autorità<br />

ecc<strong>le</strong>siastica per la sua passionalità immora<strong>le</strong>, al<strong>le</strong>stita proprio <strong>in</strong> una pubblica piazza<br />

<strong>in</strong> Roma, risponda al rispetto dovuto al carattere <strong>del</strong>la sacra Città.' La <strong>in</strong>terpretazione<br />

e l'applicazione di queste e di molte altre clauso<strong>le</strong> imprecise dipendevano dalla<br />

pressione che il Vaticano poteva esercitare, caso per caso, sul governo italiano. Pio<br />

Undicesimo ebbe a dichiarare che i Patti lateranensi erano 'l'<strong>in</strong>izio di nuovi sviluppi'<br />

(7). Nessuno può prevedere quali questi nuovi sviluppi possano essere.<br />

Tuttavia due fatti erano certi. Il primo era che a partire dal 1929 il governo italiano<br />

non era più libero di mutare, di propria <strong>in</strong>iziativa, la sua <strong>le</strong>gislazione <strong>in</strong>terna <strong>in</strong><br />

materia <strong>in</strong> cui la Santa Sede si dichiarasse <strong>in</strong>teressata. Se il partito al potere<br />

cambiasse e il Parlamento, ad esempio, vo<strong>le</strong>sse <strong>in</strong>trodurre il divorzio nella <strong>le</strong>gislazione<br />

italiana, dovrebbe ricordarsi che un trattato bilatera<strong>le</strong> tra l'Italia e la Santa Sede<br />

obbliga il governo italiano a considerare il matrimonio tra cattolici come un<br />

sacramento <strong>in</strong>dissolubi<strong>le</strong>. Di conseguenza, se il governo italiano vo<strong>le</strong>sse <strong>in</strong>trodurre il<br />

divorzio, dovrebbe concederlo soltanto a quei cittad<strong>in</strong>i il cui matrimonio non sia stato<br />

ce<strong>le</strong>brato davanti al parroco. Per concedere il divorzio <strong>in</strong>discrim<strong>in</strong>atamente a tutti gli<br />

italiani, il Parlamento dovrebbe prima denunciare il Concordato.<br />

Che cosa ottenne Mussol<strong>in</strong>i <strong>in</strong> cambio di tante concessioni? Prima di tutto la macch<strong>in</strong>a<br />

di propaganda <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong> <strong>del</strong> c<strong>le</strong>ro cattolico fu messa al servizio di Mussol<strong>in</strong>i.


Card<strong>in</strong>ali, arcivescovi, vescovi, preti, frati, suore e giornalisti di tutto il mondo furono<br />

entusiasti di Mussol<strong>in</strong>i. Inoltre, l'articolo 24 <strong>del</strong> Trattato di Conciliazione creava una<br />

nuova situazione giuridica, la cui importanza e gravità doveva apparire negli anni<br />

seguenti. Dice l'articolo:<br />

«La Santa Sede, <strong>in</strong> relazione alla sovranità che <strong>le</strong> compete anche nel campo<br />

<strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong>, dichiara che essa vuo<strong>le</strong> rimanere e rimarrà estranea al<strong>le</strong> competizioni<br />

temporali fra gli altri Stati ed ai Congressi <strong>in</strong>ternazionali <strong>in</strong>detti per ta<strong>le</strong> oggetto, a<br />

meno che <strong>le</strong> parti contendenti facciano concorde appello alla sua missione di pace,<br />

riservandosi <strong>in</strong> ogni caso di far va<strong>le</strong>re la sua potestà mora<strong>le</strong> e spiritua<strong>le</strong>. In<br />

conseguenza di ciò la Città <strong>del</strong> Vaticano sarà sempre ed <strong>in</strong> ogni caso considerata<br />

territorio neutra<strong>le</strong> ed <strong>in</strong>violabi<strong>le</strong>.»<br />

La Piana ha sottol<strong>in</strong>eato (8) che con questo articolo la Santa Sede prometteva di non<br />

immischiarsi nel<strong>le</strong> competizioni temporali tra gli stati, se non vi fosse stata <strong>in</strong>vitata,<br />

ottenendo <strong>in</strong> cambio garanzia di neutralità e <strong>in</strong>violabilità <strong>del</strong>la Città <strong>del</strong> Vaticano. Ciò<br />

significa che la Santa Sede non è più libera di rimanere o non rimanere neutra<strong>le</strong> nel<strong>le</strong><br />

controversie <strong>in</strong>ternazionali. Essa si è impegnata di fronte al governo italiano a<br />

rimanere neutra<strong>le</strong>, cioè, essa non può def<strong>le</strong>ttere dalla sua politica di neutralità senza il<br />

consenso <strong>del</strong> governo italiano, cioè senza che il governo italiano decida che la Santa<br />

Sede, <strong>in</strong>tervenendo <strong>in</strong> una controversia <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong>, sostenga gli <strong>in</strong>teressi italiani.<br />

Osserva La Piana:<br />

«Mussol<strong>in</strong>i si serve <strong>del</strong>l'articolo 24 solo per impedire alla Santa Sede di esprimere<br />

qualsiasi op<strong>in</strong>ione sfavorevo<strong>le</strong> al suo regime. Ogni volta, tuttavia, che egli vuo<strong>le</strong><br />

l'appoggio mora<strong>le</strong> <strong>del</strong> Vaticano e <strong>del</strong>la op<strong>in</strong>ione pubblica cattolica, egli non solo<br />

dimentica l'articolo 24, ma <strong>in</strong>vita la Santa Sede a violarlo prendendo posizione <strong>in</strong> una<br />

controversia <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong>.»<br />

Così, nel 1936, dopo che la campagna di Etiopia si era conclusa con una vittoria<br />

italiana, Pio Undicesimo il 16 maggio concedeva la sua benedizione a 'la <strong>le</strong>tizia<br />

trionfa<strong>le</strong> di tutto un grande e buon popolo,' cioè a dire il popolo italiano, il cui esercito<br />

e i cui gas asfissianti avevano piegato gli abiss<strong>in</strong>i. Durante la guerra civi<strong>le</strong> <strong>in</strong> Spagna,<br />

il papa elogiò i 'volontari' italiani (<strong>org</strong>anizzati ed equipaggiati dall'esercito regolare<br />

italiano) che vi partecipavano. Al tempo <strong>in</strong> cui il papa lamentava di essere 'prigioniero'<br />

nel Vaticano, egli poteva non soltanto criticare liberamente il governo italiano, ma<br />

anche <strong>in</strong>vocarne la caduta. Se facesse altrettanto oggi, il governo italiano avrebbe il<br />

diritto di dichiarare nullo il Trattato di Conciliazione e violare l'<strong>in</strong>dipendenza <strong>del</strong>la Città<br />

<strong>del</strong> Vaticano.<br />

Nel 1929, il Concordato sol<strong>le</strong>vò anche tra i fascisti un profondo scontento. Ta<strong>le</strong><br />

<strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>e si accrebbe per la poca riservatezza di cui il c<strong>le</strong>ro fece mostra non<br />

appena venne a conoscenza <strong>del</strong>la sua vittoria.<br />

Nel marzo <strong>del</strong> 1929, venne aperta a Bologna una pisc<strong>in</strong>a per gli alunni <strong>del</strong><strong>le</strong> scuo<strong>le</strong><br />

comunali. L'arcivescovo di Bologna si sentì <strong>in</strong> dovere 'di richiamare l'attenzione dei<br />

pastori spirituali' sul pericolo mora<strong>le</strong> che poteva celarsi <strong>in</strong> questa pisc<strong>in</strong>a, e risvegliava<br />

i genitori dei ragazzi 'perché non permettessero che si corresse il rischio di perdere la<br />

più cara qualità dei giovani, la modestia' (9). La matt<strong>in</strong>a dopo i bolognesi trovarono<br />

che durante la notte mani di ignoti avevano rivestito il corpo nudo di Nettuno, che<br />

adorna la piazza pr<strong>in</strong>cipa<strong>le</strong> <strong>del</strong>la città, con un paio di brache. Per <strong>le</strong> strade di Genova,<br />

nel maggio <strong>del</strong> 1929, giovani zelanti si appostarono armati di carbone per segnare<br />

sul<strong>le</strong> gambe <strong>del</strong><strong>le</strong> donne il punto <strong>in</strong> cui avrebbero dovuto arrivare <strong>le</strong> loro sottane.<br />

Nell'agosto <strong>del</strong> 1929, <strong>in</strong> un paes<strong>in</strong>o vic<strong>in</strong>o a Bologna, il parroco, armato di un nodoso<br />

bastone, si recò al teatro, affollato di gente, saltò sul palcoscenico e ord<strong>in</strong>ò agli attori


di cessare la rappresentazione. Dovette <strong>in</strong>tervenire la polizia a portar via il prete<br />

prima che lo spettacolo potesse cont<strong>in</strong>uare.<br />

Per calmare lo scontento dei suoi seguaci, Mussol<strong>in</strong>i fu costretto ad assumere verso la<br />

Chiesa un atteggiamento aggressivo, che certo non era nel<strong>le</strong> sue prime <strong>in</strong>tenzioni. Nel<br />

suo discorso <strong>del</strong> 13 maggio 1929, egli affermò che erano stati sequestrati più giornali<br />

cattolici negli ultimi tre mesi, che non nei sette anni precedenti. E spiegò: 'Era questo<br />

forse l'unico modo per ricondurli all'<strong>in</strong>tonazione giusta!' Nell'applicazione di quel<strong>le</strong><br />

clauso<strong>le</strong> <strong>del</strong> Concordato il cui testo impreciso permetteva una <strong>in</strong>terpretazione tanto<br />

estensiva quanto restrittiva <strong>del</strong><strong>le</strong> richieste <strong>del</strong>la Santa Sede, il governo fascista adottò<br />

la politica di conformarsi soltanto alla <strong>in</strong>terpretazione più restrittiva. I discorsi degli<br />

uom<strong>in</strong>i politici fascisti, gli scritti dei giornalisti e dei pubblicisti al servizio <strong>del</strong> regime<br />

fascista erano tutti ispirati al concetto di ridurre al m<strong>in</strong>imo l'importanza <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

concessioni fatte da Mussol<strong>in</strong>i al papa, e di cavillare anche su quel<strong>le</strong> parti <strong>del</strong><br />

Concordato che erano <strong>le</strong> meno soggette a controversie, allo scopo di dimostrare che<br />

<strong>in</strong> realtà il papa non aveva ottenuto niente.<br />

Il papa reagì con m<strong>in</strong>acce, <strong>in</strong>crim<strong>in</strong>azioni e proteste. Ma per quella volta la<br />

controversia fu appianata. Nel 1931 scoppiò un altro grave conflitto, e anche questo<br />

venne superato. Ma non cessò mai uno stato di scontento sotto la superficie.<br />

Secondo i Patti lateranensi, il Concordato è 'il necessario comp<strong>le</strong>mento' <strong>del</strong> Trattato di<br />

Conciliazione. Pio Undicesimo dette la <strong>in</strong>terpretazione autentica di questa formula,<br />

affermando che 'Trattato e Concordato devono andare <strong>in</strong>sieme e decadere <strong>in</strong>sieme'<br />

(10). Ciò significa che se un qualche governo italiano cessasse di applicare il<br />

Concordato secondo la <strong>in</strong>terpretazione data ad esso dalla Santa Sede, questa avrebbe<br />

il diritto di dichiarare che anche il Trattato di Conciliazione è stato annullato, e<br />

cesserebbe di riconoscere la <strong>le</strong>gittimità <strong>del</strong>lo stato italiano. Nel 1929, il papa consentì<br />

a r<strong>in</strong>unciare alla sua sovranità sopra i suoi antichi territori <strong>del</strong>l'Italia centra<strong>le</strong>, a<br />

condizione che tutta l'Italia si assoggettasse alla sua autorità spiritua<strong>le</strong>. Il giorno che<br />

l'Italia getti al<strong>le</strong> ortiche il Concordato, il Vaticano reclamerà di nuovo la sua sovranità<br />

sopra il perduto territorio, e metterà di nuovo <strong>in</strong> moto contro l'Italia la sua macch<strong>in</strong>a<br />

<strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong> di propaganda.<br />

Alla sua morte, nel 1903, Papa Leone Tredicesimo lasciò un testamento politico per il<br />

Col<strong>le</strong>gio dei card<strong>in</strong>ali e i suoi successori. In questo documento egli <strong>in</strong>siste affermando<br />

che una sola via rimane aperta alla Santa Sede per conservare la sua <strong>in</strong>dipendenza<br />

nei confronti <strong>del</strong>lo stato italiano: essa non deve mai venire a patti con il governo<br />

italiano. Il giorno che la Santa Sede abbandonerà il suo atteggiamento di<br />

<strong>in</strong>transigenza, essa cadrà irrimediabilmente sotto l'<strong>in</strong>fluenza <strong>del</strong> governo italiano,<br />

rendendosi ossequiente agli <strong>in</strong>teressi <strong>del</strong>l'Italia. Ciò sarebbe un pericolo per l'unità<br />

cattolica. I Patti lateranensi <strong>del</strong> 1929 non fecero niente per dissipare quel sospetto e<br />

quel pericolo. Mediante gli accordi <strong>del</strong> 1929, Pio Undicesimo poneva se stesso e i suoi<br />

successori <strong>in</strong> quella luce di sospetto. Prima <strong>del</strong> 1929 nessuno sospettava una possibi<strong>le</strong><br />

<strong>in</strong>sidia nel fatto che la maggioranza dei card<strong>in</strong>ali e dei funzionari <strong>del</strong> Vaticano fossero<br />

italiani. Adesso i cattolici fuori d'Italia si lamentano <strong>del</strong>la eccessiva preponderanza<br />

italiana tra i card<strong>in</strong>ali e <strong>in</strong> Vaticano, e alcuni domandano perf<strong>in</strong>o che si rompa la<br />

tradizione secondo la qua<strong>le</strong>, s<strong>in</strong> dal sedicesimo secolo, il papa è sempre stato un<br />

italiano. Molti cattolici fuori d'Italia non riescono più a capire perché la Santa Sede li<br />

ha tenuti <strong>in</strong> ansia per oltre mezzo secolo per la questione romana, per poi far loro<br />

sapere, un bel giorno, che ta<strong>le</strong> questione poteva semplicemente esser risolta firmando<br />

un pezzo di carta col qua<strong>le</strong> veniva riconosciuta la sovranità <strong>del</strong> papa sopra pochi ettari<br />

di terra. Non appena i fe<strong>del</strong>i appresero che il papa non era più né povero né<br />

prigioniero, l'obolo di San Pietro dim<strong>in</strong>uì <strong>in</strong> tutti i paesi. I cattolici belgi <strong>in</strong>viarono al<br />

papa nel 1929 solo 300000 franchi, mentre nel 1928 ne avevano <strong>in</strong>viati 600000.<br />

Quando gli italiani riotterranno il diritto di fare ancora uso <strong>del</strong> loro buon senso,<br />

agiranno saggiamente se non contesteranno al papa la sua sovranità sopra il


Vaticano. Fu un errore politico non riconoscere esplicitamente ta<strong>le</strong> sovranità nel 1871.<br />

Ta<strong>le</strong> errore fu corretto nel 1929. Sarebbe un errore rimettere <strong>in</strong> discussione la cosa.<br />

Ma tutte <strong>le</strong> altre concessioni contenute nei Patti lateranensi dureranno solo f<strong>in</strong>tanto<br />

che dura il regime fascista. Il primo atto di coloro che succederanno alla dittatura<br />

fascista sarà quello di dichiarare nullo il Concordato e tutte <strong>le</strong> altre clauso<strong>le</strong> <strong>del</strong><br />

Trattato di Conciliazione che non sono la conseguenza necessaria <strong>del</strong>la sovranità<br />

pontificia sopra la Città <strong>del</strong> Vaticano.


NOTE<br />

NOTE AL CAPITOLO PRIMO.<br />

N. 1. R. FUCINI, "Napoli a occhio nudo", Firenze, Le Monnier, 1878, pag<strong>in</strong>e 98-101.<br />

N. 2. E. PANI ROSSI, "La Basilicata", Verona, Civelli, 1868, pag<strong>in</strong>e 252-55.<br />

N. 3. L'anno f<strong>in</strong>anziario italiano com<strong>in</strong>cia il 1 luglio e f<strong>in</strong>isce il 30 giugno <strong>del</strong>l'anno<br />

successivo.<br />

N. 4. B. STRINGHER, "Sur la balance des paiements entre l'Italie et l'étranger", <strong>in</strong><br />

'Bul<strong>le</strong>t<strong>in</strong> de l'Institut International de Statistique,' vol. diciannovesimo; P.<br />

JANNACCONE, "La bilancia <strong>del</strong> dare e <strong>del</strong>l'avere ìnternaziona<strong>le</strong> con particolare<br />

riguardo all'Italia", Milano, Treves, 1927, pag<strong>in</strong>e 90 seguenti, pag<strong>in</strong>e 100-104.<br />

N. 5. Annuario Statistico Italiano: 1931, pag. 79.<br />

N. 6. G. VOLPE, "L'Italia <strong>in</strong> camm<strong>in</strong>o. L'ultimo c<strong>in</strong>quantennio", Milano, Treves, 1927,<br />

pag. 59; questo libro è da <strong>le</strong>ggersi <strong>in</strong>sieme a B. CROCE, "Storia d'Italia dal 1871 al<br />

1915", Bari, Laterza, 1928, che dà la versione libera<strong>le</strong>.<br />

Un buon sommario <strong>del</strong>la materia è quello <strong>del</strong> 1918 di uno storico americano, che<br />

aveva una larga conoscenza <strong>del</strong>l'ambiente italiano: W. R. THAYER, "Thirty years of<br />

Italian progress", <strong>in</strong> "Italica: Studies <strong>in</strong> Italian Life and Letters", Boston & New York,<br />

Houghton, Miffl<strong>in</strong> and Co., 1908. Per un resoconto più preciso <strong>del</strong><strong>le</strong> diverse fasi <strong>del</strong>la<br />

storia italiana dal 1871 al 1910, si veda l'opera <strong>in</strong> tre volumi "C<strong>in</strong>quant'anni di storia<br />

italiana", pubblicata dall'Accademia dei L<strong>in</strong>cei nel 1911 presso l'editore Hoepli di<br />

Milano. Una serie eccel<strong>le</strong>nte di annuari è quella pubblicata da R. BACHI, "L'Italia<br />

economica", Tor<strong>in</strong>o, Roux e Viarengo, poi Città di Castello, S. Lapi, per gli anni dal<br />

1910 al 1922. Uno strumento di prim'ord<strong>in</strong>e per la storia economica <strong>del</strong>l'Italia a<br />

partire dal 1871, si deve a E. CORBINO, "Annali <strong>del</strong>l'economia italiana", Città di<br />

Castello, Tip. Leonardo da V<strong>in</strong>ci, 1911 e seguenti, 5 voll. Un sommario più breve ma<br />

altrettanto eccel<strong>le</strong>nte è quello di V. PORRI, "L'evoluzione economica italiana<br />

nell'ultimo c<strong>in</strong>quantennio", Roma, Stab. tip. Colombo, 1926.<br />

N. 7. Mussol<strong>in</strong>i ebbe a dire: 'Da noi il socialismo era, <strong>in</strong> contrasto con altri paesi, un<br />

e<strong>le</strong>mento unificatore. Tutti gli storici italiani lo riconoscono: esso era per un'idea, per<br />

una nazione.' E. LUDWIG, "Colloqui Con Mussol<strong>in</strong>i", Milano, Mondadori, 1932, pag. 86.<br />

N. 8. G. MORTARA, "Lezioni di statistica economica e demografica", Roma,<br />

Athenaeum, 1920, pag<strong>in</strong>e 261-262.<br />

NOTE: OSSERVAZIONI AL CAPITOLO PRIMO<br />

N. 1. Camera dei Deputati. Sessione 1913-15. Doc. XXXIV, 20 luglio 1915, "Terza<br />

relazione sul<strong>le</strong> bonifiche", pag<strong>in</strong>e 22-69, 101-116; V. PEGLION, "Le bonifiche <strong>in</strong><br />

Italia", Bologna, Zanichelli, 1924, pag. 8.<br />

N. 2. "Il bilancio <strong>del</strong>lo Stato dal 1913-14 al 1929-30", Roma, Istituto Poligrafico <strong>del</strong>lo<br />

Stato, 1931, pag. 370.<br />

N. 3. V. PEGLION, "Le bonifiche <strong>in</strong> Italia", cit., pag. 5.<br />

N. 4. V. PEGLION, "Le bonifiche <strong>in</strong> Italia", cit., pag<strong>in</strong>e 6-7: S. TRENTIN, "Per un nuovo<br />

orientamento <strong>del</strong>la <strong>le</strong>gislazione <strong>in</strong> materia di bonifiche", Venezia, Tip. <strong>del</strong>la<br />

Cooperativa 'Casa <strong>del</strong> Popolo,' 1919, pag. 13.<br />

N. 5. A. DE STEFANI, "L'azione <strong>del</strong>lo Stato italiano per <strong>le</strong> opere pubbliche (1862-<br />

1924)", Roma, Libreria <strong>del</strong>lo Stato, 1925, pag., 131. Per <strong>le</strong> bonifiche di Ca L<strong>in</strong>o, tra<br />

l'Adige e il Brenta, degli orti di Chioggia, <strong>del</strong><strong>le</strong> dune di Cavazuccher<strong>in</strong>a e <strong>del</strong><strong>le</strong> paludi <strong>in</strong><br />

prov<strong>in</strong>cia di Brescia - tutte opere term<strong>in</strong>ate nel 1922 - e per <strong>le</strong> opere com<strong>in</strong>ciate nel<strong>le</strong><br />

cosiddette 'crete' senesi, e nei cosiddetti 'calanchi' emiliani, vedi PEGLION, "Le<br />

bonifiche <strong>in</strong> Italia", cit., pag<strong>in</strong>e 18, 19, 34, 38, 90, 91.


N. 6. H. HENDERSON and H. C. Z. CARPENTER, "Report on the commerciai <strong>in</strong>dustrial<br />

and economic situation <strong>in</strong> Italy, December 1922", Department of Overseas Trade,<br />

1923, pag. 54.<br />

N. 7. F. VIRGILII, "L'Italia agricola odierna", Milano, Hoepli, 1930, pag. 200.<br />

N. 8. "Annuario Statistico Italiano: 1919", e anni seguenti.<br />

N. 9. M. BERGER et P. ALLARD, "Les secrets de la censure pendant la guerre", Paris,<br />

Editions de Portiques, 1932, pag. 181, n. 1.<br />

N. 10. L. CADORNA, "La guerra alla fronte italiana", Milano, Treves, 1921, 11, pag.<br />

97.<br />

N. 11. Confer N. PAPAFAVA, "Badoglio a Caporetto", Tor<strong>in</strong>o, Gobetti, 1923; G.<br />

VOLPE, "Ottobre 1917: dall'Isonzo al Piave", Milano, Libreria d'Italia, 1930; E.<br />

CAVIGLIA, "La dodicesima battaglia: Caporetto", Verona, Mondadori, 1934; R.<br />

BENCIVENGA, "La sorpresa strategica di Caporetto", Roma, Tip. <strong>del</strong>la Madre di Dio,<br />

1932; P. PIERI, "La crisi <strong>del</strong>l'ottobre-novembre 1917", <strong>in</strong> 'Nuova Rivista Storica,'<br />

marzo-giugno 1935, pag<strong>in</strong>e 224-254.<br />

NOTE AL CAPITOLO SECONDO.<br />

N.1. La storia economica d'Italia durante il periodo <strong>del</strong>la guerra e <strong>del</strong> dopoguerra,<br />

1914-1922, può essere ricavata dal<strong>le</strong> preziose relazioni <strong>in</strong>viate <strong>in</strong> quegli anni dagli<br />

"attachés" commerciali <strong>del</strong>l'Ambasciata americana <strong>in</strong> Roma, e pubblicati dal Bureau of<br />

Foreign and Domestic Commerce of the Department of Commerce U.S.A.; e da R.<br />

BACHI, "L'Italia economica", cit., 1915-1922; G. MORTARA, "Prospettive economiche:<br />

1921, 1912, 1923", Città di Castello, Soc. Tip. 'Leonardo da V<strong>in</strong>ci'; L. EINAUDI,<br />

articolo alla voce "Italy" nella "Encyclopaedia Britannica", 1926, pag<strong>in</strong>e 573 seguenti,<br />

e "La condotta economica e gli effetti sociali <strong>del</strong>la guerra italiana", Bari, Laterza,<br />

1933, specialmente i capitoli quarto e qu<strong>in</strong>to.<br />

N. 2. BANCA COMMERCIALE ITALIANA, "Movimento economico <strong>del</strong>l'Italia: Quadri<br />

statistici per gli anni 1921-1925", Milano, 1927, vol. XV, pag<strong>in</strong>e 91 seguenti; "Il<br />

bilancio <strong>del</strong>lo Stato dal 1913-14 al 1919-30 e la f<strong>in</strong>anza fascista a tutto l'anno VIII",<br />

Roma, Istituto Poligrafico <strong>del</strong>lo Stato, 1931, pag<strong>in</strong>e 228-230.<br />

N. 3. G. MORTARA, "Prospettive economiche 1922", cit., pag. 374.<br />

N. 4. Un onesto resoconto <strong>del</strong><strong>le</strong> cause <strong>del</strong>la genera<strong>le</strong> <strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>e si trova <strong>in</strong> G.<br />

MORTARA, "Prospettive economiche 1923", cit., pag<strong>in</strong>e 421-422. Si veda anche E. A.<br />

MOWRER, "Immortal Italy", New York, D. App<strong>le</strong>ton & Co., 1922, pag<strong>in</strong>e 317-329; il<br />

libro di questo <strong>in</strong>telligente ed onesto testimone americano costituisce una <strong>del</strong><strong>le</strong> più<br />

valide fonti di <strong>in</strong>formazione.<br />

N. 5. G. A. BORGESE , "Golia. Marcia <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>", trad. ital., Milano, Mondadori,<br />

1946, pag. 168.<br />

NOTE AL CAPITOLO TERZO.<br />

N. 1. Annuario Statistico Italiano: 1919-1921, pag. 507.<br />

N. 2. M. PANTALEONI, "Bolscevismo italiano", Bari, Laterza, 1922, pag. XVII.<br />

N. 3. BANCA COMMERCIALE ITALIANA, "Movimento economico <strong>del</strong>l'Italia: Quadri<br />

statistici per gli anni 1921-1925", Milano, 1927, vol. XV, pag<strong>in</strong>e 9495, 130-131.<br />

N. 4. 'La stabilità <strong>del</strong> corso <strong>del</strong> dollaro dal secondo semestre <strong>del</strong> 1920 <strong>in</strong> poi sembra<br />

confermare questo decisivo miglioramento dei nostri scambi <strong>in</strong>ternazionali.' G.<br />

MORTARA, "Prospettive economiche" 1923, cit., pag. XVIII.<br />

N. 5. G. MORTARA, "Prospettive economiche 1924", Città di Castello, 1924, pag<strong>in</strong>e<br />

407-408.<br />

N. 6. "Il Bilancio <strong>del</strong>lo Stato dal 1913-14 al 1929-30", cit., pag. 225.<br />

N. 7. G. M0RTARA, "Prospettive economiche" 1922, cit., pag. XX.<br />

N. 8. 16 ottobre 1919.<br />

N. 9. 14 agosto e 10 ottobre 1919.


N. 10. 22 agosto 1919.<br />

N. 11. 22 luglio 1920.<br />

N. 12. 22 ottobre 1920.<br />

N. 13. 20 febbraio 1920.<br />

N. 14. 27 apri<strong>le</strong> 1920.<br />

N. 15. 30 luglio 1920.<br />

N. 16. 10 febbraio 1921.<br />

N. 17. A. SERPIERI, "La guerra e <strong>le</strong> classi rurali italiane", Bari, Laterza, 1930, pag<strong>in</strong>e<br />

235-239.<br />

N. 18. R. BACHI, "L'Italia economica nell'anno 1919", Città di Castello, 1920, pag. XII.<br />

N. 19. G. MORTARA, "Prospettive economiche 1922", cit., pag<strong>in</strong>e XV-XX.<br />

N. 20. R. BACHI, "L'Italia economica nell'anno 1921", Città di Castello, 1922, pag<strong>in</strong>e<br />

221-305.<br />

N. 21. G. MORTARA, "Prospettive economiche 1923", cit., pag<strong>in</strong>e XVI-XVIII.<br />

N. 22. R. BACHI, "L'Italia economica nell'anno 1921", cit., pag<strong>in</strong>e VI-VII.<br />

N. 23. L. EINAUDI, "La guerra e il sistema tributario italiano", Bari, Laterza, 1927,<br />

pag<strong>in</strong>e 148 seguenti.<br />

N. 24. 'Le rimesse dei nostri emigrati e <strong>le</strong> spese dei forestieri sono quasi certamente<br />

bastate a compensare, nel bilancio degli scambi fra l'Italia e l'estero: il disavanzo<br />

degli scambi commerciali. Da due anni, ormai, l'economia italiana si è emancipata dal<br />

sussidio <strong>del</strong> credito estero, che era stato ancora necessario a sostenerla nel 1919 e<br />

nel 1920.' G. MORTARA, "Prospettive economiche 1923", cit., pag<strong>in</strong>e XVII-XVIIL 'La<br />

bilancia dei pagamenti si mostrò (...) <strong>in</strong> grave squilibrio f<strong>in</strong>o al 1919: ma già nel<br />

1921-22 ta<strong>le</strong> bilancia contrastava con la situazione degli anni 1919 e 1920 e<br />

rispecchiava qualche miglioramento nell'economia naziona<strong>le</strong> ed il suo gradua<strong>le</strong><br />

ritorno, dallo svolgimento <strong>del</strong> periodo bellico e <strong>del</strong>l'immediato dopoguerra, alla ripresa<br />

<strong>del</strong> lavoro e dei traffici <strong>in</strong>ternazionali.' Così scriveva il conte Volpi, m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong> Tesoro<br />

nel gab<strong>in</strong>etto Mussol<strong>in</strong>i, <strong>in</strong> 'Rassegna Italiana,' dicembre 1925, pag. 786.<br />

N. 25. A. DE STEFANI, "Documenti sulla condizione f<strong>in</strong>anziaria ed economica<br />

<strong>del</strong>l'Italia, dicembre 1923," pag. 337. "Il Bilancio <strong>del</strong>lo Stato dal 1913-14 al 1929-30",<br />

cit., pag<strong>in</strong>e 606, 611.<br />

N. 26. CREDITO ITALIANO, "L'Italie économique: son évolution progressive au cours<br />

des v<strong>in</strong>gtc<strong>in</strong>q dernières années et sa situation actuel<strong>le</strong>, 1895-1920", Milano, 1920,<br />

pag<strong>in</strong>e 104, 108.<br />

N. 27. L. EINAUDI, voce "Italy", <strong>in</strong> "Encyclopaedia Britannica", 1926, pag. 574.<br />

N. 28. G. MORTARA, "Prospettive economiche 1923", cit., pag. 278.<br />

N. 29. G. MORTARA, "Prospettive economiche 1922", cit., pag<strong>in</strong>e 163, 165; e confer<br />

L. EINAUDI, voce "Italy", <strong>in</strong> "Encyclopaedia Britannica", cit., pag. 574: 'Le operazioni<br />

di lavatura e di pett<strong>in</strong>atura non si fanno più eseguire <strong>del</strong> tutto all'estero, "grazie ai<br />

miglioramenti degli impianti e dei macch<strong>in</strong>ari che si sono avuti a partire dal 1915",<br />

specialmente <strong>in</strong> Piemonte e nel Vicent<strong>in</strong>o.'<br />

N. 30. G. MORTARA, "Prospettive economiche 1922", cit., pag<strong>in</strong>e 163, 165; e confer<br />

L. EINAUDI, voce "Italy", <strong>in</strong> "Encyclopaedia Britannica", cit., pag. 575: 'Le perdite<br />

causate dai sommergibili e dal<strong>le</strong> m<strong>in</strong>e sono più che coperte dal naviglio preso a<br />

Trieste e <strong>in</strong> Istria, e nell'<strong>in</strong>sieme i piroscafi sono più veloci e più moderni che non<br />

prima <strong>del</strong>la guerra.'<br />

NOTE: OSSERVAZIONI AL CAPITOLO TERZO.<br />

N. 1. F. A. REPACI, "La f<strong>in</strong>anza italiana nel ventennio 1913-1932", Tor<strong>in</strong>o, E<strong>in</strong>audi,<br />

1934, pag. 68.<br />

N. 2. A. DE STEFANI, "Documenti sulla condizione f<strong>in</strong>anziaria ed economica<br />

<strong>del</strong>l'Italia", Roma, Libreria <strong>del</strong>lo Stato, maggio 1923, pag<strong>in</strong>e 169-171. Anche il<br />

deputato fascista Olivetti nel 1925 ammise che se si detraggono dai bilanci <strong>del</strong> 1921 e


1922 <strong>le</strong> spese per gli <strong>in</strong>dennizzi di guerra e il costo di quel<strong>le</strong> <strong>in</strong>iziative <strong>in</strong>dustriali<br />

<strong>in</strong>traprese durante la guerra per i rifornimenti alimentari, i trasporti eccetera, e che <strong>in</strong><br />

quei due anni erano ferite aperte, il deficit per il 1921 sarebbe 'notevolmente<br />

<strong>in</strong>feriore,' e quello per il 1922 'anch'esso assai dim<strong>in</strong>uito.' "Relazione <strong>del</strong>la Giunta <strong>del</strong><br />

Bilancio per gli esercizi dal 1912-13 al 1923-24", Roma, 1925, pag. 23. Anch'egli si<br />

guardò bene dal fornire i dati effettivi. Anche il conte Volpi, nel suo discorso <strong>del</strong> 9<br />

dicembre 1926, parlando <strong>del</strong>la dim<strong>in</strong>uzione <strong>del</strong><strong>le</strong> spese di guerra, non citò i dati<br />

precisi. Confer G. MATTEOTTI, "Reliquie", Milano, Corbaccio, 1924, pag<strong>in</strong>e 120, 142,<br />

174, 196, 205.<br />

N. 3. Questi dati non corrispondono né con quelli forniti da G. PARATORE, "Alcune<br />

note di politica monetaria", Roma, Modernissima, 1925, e "La situazione economica e<br />

f<strong>in</strong>anziaria italiana", <strong>in</strong> 'Rassegna <strong>in</strong>ternaziona<strong>le</strong>,' serie II, 1925, fasc. 4, 5, 6; né coi<br />

dati forniti da BANCA COMMERCIALE ITALIANA, "Movimento economico <strong>del</strong>l'Italia",<br />

cit., pag. 160; né con quelli dati dal "Rendiconto genera<strong>le</strong> per l'esercizio 1925-26,<br />

nota prelim<strong>in</strong>are", pag<strong>in</strong>e CIV, CVII, CXII. I dati da me esposti sono ricavati dalla<br />

pubblicazione ufficia<strong>le</strong> fascista "Il bilancio <strong>del</strong>lo Stato dal 1913-14 al 1929-30", cit., e<br />

da F. A. REPACI, "La f<strong>in</strong>anza italiana nel ventennio 1913-1932", cit. Comunque tutti i<br />

dati, <strong>in</strong>dipendentemente dalla loro fonte, conducono alla stessa conclusione.<br />

N. 4. "L'opera f<strong>in</strong>anziaria <strong>del</strong> Governo Fascista, discorso tenuto nel teatro <strong>del</strong>la Scala<br />

<strong>in</strong> Milano il 13 maggio 1923", Roma, 1923, pag. 17.<br />

N. 5. Pag. 103.<br />

N. 6. Pag. 85.<br />

N. 7. 'Survey Graphic,' New York, March 1927, pag. 724.<br />

N. 8. 'Trade Bul<strong>le</strong>t<strong>in</strong> of the Italy-America Society,' April 1925, pag<strong>in</strong>e 1-2.<br />

N. 9. 'Survey Graphic,' New York, March 1927, pag<strong>in</strong>e 723-724.<br />

N. 10. "The economic life of fascist Italy", <strong>in</strong> 'Dubl<strong>in</strong> Review,' Oct. 1927, pag<strong>in</strong>e 279-<br />

81.<br />

N. 11. B. MUSSOLINI, "My autobiography", New York, Char<strong>le</strong>s Scribner's Sons, 1928.<br />

Questo libro fu messo <strong>in</strong> vendita <strong>in</strong> Inghilterra e <strong>in</strong> America con una copert<strong>in</strong>a<br />

riproducente un facsimi<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'autobiografia di Mussol<strong>in</strong>i, e dove si affermava che essa<br />

era la sua unica autobiografia autentica. Pochi anni dopo lo stesso Mussol<strong>in</strong>i<br />

affermava che questa autobiografia autentica era una frode, messa <strong>in</strong>sieme col suo<br />

consenso da suo fratello Arnaldo e dall'ex-ambasciatore americano Child (MUSSOLINI,<br />

"Vita di Arnaldo", Roma, 1933, pag<strong>in</strong>e 124-125). Il fratello <strong>del</strong> Duce era responsabi<strong>le</strong><br />

per <strong>le</strong> bugie, e l'ex-ambasciatore per <strong>le</strong> stupidagg<strong>in</strong>i. Da ora <strong>in</strong> avanti il libro sarà<br />

citato come MUSSOLINI, "Pseudo-Autobiography".<br />

N. 12. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 23 dicembre 1927.<br />

N. 13. In 'Rassegna Italiana politica <strong>le</strong>tteraria e artistica,' dicembre 1925, pag<strong>in</strong>e 786-<br />

87.<br />

N. 14. "Italy's International Economic Position", New York, MacMillan,1926, pag. 187.<br />

N. 14 bis. Ibidem, pag. 39, 303-305.<br />

N. 15. 'World's Work,' August 1929.<br />

N. 16. "Look<strong>in</strong>g Forward; what will the American peop<strong>le</strong> do about it? Essays and<br />

addresses on matters national and <strong>in</strong>ternational," New York, London, C. Scribner's<br />

Sons, 1932.<br />

N. 17. "The Adventures of the Black Girl <strong>in</strong> her Search of God", London, Constab<strong>le</strong>,<br />

1932.<br />

NOTE AL CAPITOLO QUARTO.<br />

N. 1. G. FERRERO, "La democrazia italiana", Milano, Edizioni <strong>del</strong>la 'Rassegna<br />

Internaziona<strong>le</strong>,' 1925, pag<strong>in</strong>e 12-13, 16.<br />

N. 2. "Tory M. P.", London, Gollancz, 1939.<br />

N. 3. H. E. DALE, "The Higher Civil Service of Great Brita<strong>in</strong>", Oxford, University Press.


N. 4. F. LUNDBERG, "America's Sixty Families", New York, The Vanguard Press, 1937,<br />

pag. 3.<br />

N. 5. H. AGAR and A. TATE, "Who Owns America?", Boston-New York, Houghton<br />

Miffl<strong>in</strong> Co., 1936; e A. ROCHESTER, "Ru<strong>le</strong>rs of America", New York, International<br />

Publishers, 1936.<br />

N. 6. "Address" <strong>del</strong> 30 dicembre 1937.<br />

N. 7. G. FERRERO, "La democrazia <strong>in</strong> Italia", cit., pag<strong>in</strong>e 17, 21-22.<br />

N. 8. B. KING and T. OKEY, "Italy To-Day", London, J. Nishet & Co., 1901, H. FINER,<br />

"Mussol<strong>in</strong>i's Italy", London, Gollancz, 1935, pag<strong>in</strong>e 65-66; M. HENTZE, "Pre-Fascist<br />

Italy", London, Al<strong>le</strong>n & Unw<strong>in</strong> Ldt., 1939, pag<strong>in</strong>e 40-41.<br />

N. 9. Il signor Bruno Roselli, parlando il 22 gennaio 1927 alla New York Foreign Policy<br />

Association ("Italy under Fascism", pag. 10), disse: 'Il sessanta per cento degli<br />

e<strong>le</strong>ttori iscritti non ebbe mai il desiderio di disporre <strong>del</strong> privi<strong>le</strong>gio che era loro<br />

concesso.' Egli attribuiva il sessanta per cento non per <strong>in</strong>dicare coloro che si recavano<br />

al<strong>le</strong> urne, ma per <strong>in</strong>dicare coloro che non vi si recavano.<br />

N. 10. Cit. trad.<br />

N. 11. 'The New Republic,' 15 marzo 1933.<br />

N. 12. G. M. TREVELYAN, "The Historical Causes of the Present State of Affairs <strong>in</strong><br />

Italy", Sidney Ball memorial <strong>le</strong>cture <strong>del</strong>ivered before the University of Oxford, 31<br />

October 1923, London, H. Milford, 1923, pag<strong>in</strong>e 7-9.<br />

NOTE AL CAPITOLO QUINTO.<br />

N. 1. 'Lotta di classe,' 13 luglio 1912.<br />

N. 2. Cit. trad.<br />

N. 3. I. BONOMI, "Dieci anni di politica italiana", Milano, Soc. Ed. Unitas, 1924, pag<strong>in</strong>e<br />

17-18.<br />

N. 4. G. GUY-GRAND, "La philosophie syndacaliste", Paris, Grasset, 1911; L. L.<br />

LORWIN, voce "Syndacalism", <strong>in</strong> "Encyclopedia ot the Social Sciences", XIV, pag<strong>in</strong>e<br />

496-499.<br />

N. 5. Confer cap. IV, pag. 65.<br />

NOTE: OSSERVAZIONI AL CAPITOLO QUINTO.<br />

N. 1. G. GIOLITTI, "Memorie <strong>del</strong>la mia vita", Milano, Treves, 1922, 2 voll.<br />

N. 2. G. GIOLITTI, op. cit., I, 68.<br />

N. 3. G. GIOLITTI, op. cit., I, 122-123.<br />

N. 4. S. CILIBRIZZI, "Storia parlamentare politica e diplomatica d'Italia", Milano, Soc.<br />

Ed. Dante Alighieri, 1923-1940, 5 voll.<br />

N. 5. S. CILIBRIZZI, op. cit., II, 458-459, 492.<br />

N. 6. S. CILIBRIZZI, op. cit., III, 369.<br />

N. 7. S. CILIBRIZZI, op. cit., IV, 292.<br />

N. 8. "Il m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la mala vita", Firenze, La Voce, 1919; "La e<strong>le</strong>zione di Molfetta",<br />

Firenze, a cura de 'L'unità,' 1914; "La e<strong>le</strong>zione di Molfetta: i documenti pans<strong>in</strong>iani",<br />

Firenze, a cura de 'L'unità,' 1914; "La e<strong>le</strong>zione di Bitonto", Firenze, 'L'unità,' 1914.<br />

Sul<strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni <strong>del</strong> 1914 fu raccolto un altro gruppo di testimonianze <strong>in</strong> un libretto<br />

<strong>in</strong>titolato anch'esso "La e<strong>le</strong>zione di Bitonto", Firenze, 'L'unità,' 1914.<br />

N. 8 bis. "Italy To-Day", cit., pag<strong>in</strong>e 16, 122.<br />

N. 9. H. FINER, "Mussol<strong>in</strong>i's Italy", cit., pag. 80.<br />

N. 10. "Mussol<strong>in</strong>i <strong>in</strong> the Mak<strong>in</strong>g", Boston, Houghton Miffl<strong>in</strong> Co., 1938 (trad. ital.<br />

"Mussol<strong>in</strong>i dal mito alla realtà", Milano, Istituto Editoria<strong>le</strong> Italiano, 1947. Da ora <strong>in</strong><br />

avanti sarà citata questa edizione [N.d.C.]).<br />

N. 11. C. SFORZA, "I Costruttori <strong>del</strong>l'Europa Moderna", Paris, Editions<br />

Contempora<strong>in</strong>es, 1932, pag<strong>in</strong>e 289-97 e passim; G. A. BORGESE, "Golia: marcia <strong>del</strong><br />

<strong>fascismo</strong>", trad. ital., Milano, Mondadori, 1946, pag<strong>in</strong>e 187-253.


N. 12. M. SARFATTI, "Dux", Milano, Mondadori, 1926; B. MUSSOLINI, "My<br />

Autobiography", cit.; I. DE BEGNAC, "Vita di Benito Mussol<strong>in</strong>i dal<strong>le</strong> <strong>orig<strong>in</strong>i</strong> al 24<br />

maggio 1915", Milano, Mondadori, 1936-1940, 3 voll.<br />

N. 13. G. MEGARO, op. cit., pag<strong>in</strong>e 102-103.<br />

N. 14. G. MEGARO, op. cit., pag. 192.<br />

N. 15. G. MEGARO, op. cit., pag<strong>in</strong>e 233, 235.<br />

N. 15 bis. M. SARFATTI, op. cit., pag. 42.<br />

N. 16. M. SARFATTI, op. cit., pag. 64.<br />

N. 17. M. SARFATTI, op. cit., pag. 108.<br />

N. 18. Cit. trad. Questa citazione è alla pag. 161 <strong>del</strong>la edizione americana ("The Life<br />

of Benito Mussol<strong>in</strong>i", New York, Stokes Co., 1925), ma non figura nella edizione<br />

italiana, dalla qua<strong>le</strong> l'edizione americana si differenzia <strong>in</strong> parte, come avverte anche<br />

una nota <strong>del</strong> traduttore. [N.d.C.]<br />

N. 19. G. MEGARO, op. cit., pag. 91.<br />

N. 19 bis. Cit. trad.<br />

N. 20. G. MEGARO, op. cit., pag. 28.<br />

N. 21. G. MEGARO, op. cit., pag<strong>in</strong>e 21-22.<br />

N. 22. G. MEGARO, op. cit., pag. 283.<br />

N. 23. Ibidem, pag. 285.<br />

N. 24. Ibidem, pag. 288.<br />

N. 25. Ibidem, pag. 290.<br />

N. 26 Ibidem, pag. 296.<br />

N. 27. Ibidem, pag. 300.<br />

N. 28. M. SARFATTI, op. cit., pag<strong>in</strong>e 133-35.<br />

N. 29. G. MEGARO, op. cit., pag<strong>in</strong>e 288-98.<br />

N. 30. "Pseudo-Autobiography", cit., pag. 13.<br />

N. 31. Ibidem, pag. 14.<br />

N. 32. Ibidem, pag. 18.<br />

N. 33. "Vita di Benito Mussol<strong>in</strong>i...", cit., pag<strong>in</strong>e 168-171.<br />

N. 34. G. MEGARO, op. cit., pag<strong>in</strong>e 46-48.<br />

N. 35. Il ritratto, a pag. 49 <strong>del</strong>l'edizione americana, non è <strong>in</strong>cluso nell'edizione<br />

italiana, ma è lo stesso riprodotto <strong>in</strong> DE BEGNAC, op. cit., I, 192. [N.d.C.]<br />

NOTE AL CAPITOLO SESTO.<br />

N. 1. Tutti i testi dei trattati, dal primo <strong>del</strong> 1882 all'ultimo <strong>del</strong> 1912, si trovano <strong>in</strong> A. F.<br />

PRIBRAM, "The Secret Treaties of Austria-Hungary: 1879-1914", Cambridge<br />

University Press, 1920, II, 64-73, 104-114, 150-162, 220-235, 244-259. Il trattato<br />

non fu mai concepito come un v<strong>in</strong>colo assoluto che <strong>le</strong>gasse <strong>le</strong> potenze al<strong>le</strong>ate di fronte<br />

a qualsiasi guerra potesse scoppiare. Esso costituì sempre un sistema di obbligazioni<br />

nei confronti di alcune ipotesi rigidamente def<strong>in</strong>ite. Nel caso <strong>del</strong>lo scoppio di una<br />

guerra ad <strong>in</strong>iziativa <strong>del</strong>la Germania o <strong>del</strong>l'Austria e senza che queste fossero<br />

attaccate, il governo italiano non era tenuto ad <strong>in</strong>tervenire. Ta<strong>le</strong> aspetto particolare<br />

<strong>del</strong>l'al<strong>le</strong>anza è sfuggito a tutti quegli storici che parlano di una 'Italia <strong>in</strong>fede<strong>le</strong>,' tra i<br />

quali, strano a dirsi, si trova lo stesso Pribram, che per primo pubblicò i testi di tutti i<br />

trattati.<br />

Il 4 giugno 1902, il governo italiano dichiarò al governo francese che il trattato <strong>del</strong>la<br />

Triplice Al<strong>le</strong>anza non conteneva nessun impegno secondo il qua<strong>le</strong> l'Italia fosse<br />

obbligata ad unirsi <strong>in</strong> una guerra di aggressione contro la Francia, e perciò nel trattato<br />

non c'era niente che potesse m<strong>in</strong>acciare la sicurezza o la tranquillità <strong>del</strong>la Francia.<br />

Mediante questa dichiarazione, il governo italiano si impegnava a dare alla Triplice<br />

Al<strong>le</strong>anza una sola <strong>in</strong>terpretazione: di un trattato che nei confronti <strong>del</strong>la Francia era<br />

strettamente difensivo e pacifico. Il m<strong>in</strong>istro degli Esteri Delcassé, il 3 luglio 1902,<br />

rese pubblico il contenuto di questa dichiarazione. Frattanto, il 28 giugno, era stato


firmato, tra i governi tedesco, italiano e austriaco, il nuovo trattato di al<strong>le</strong>anza. Un<br />

trattato, anche quando sia stato firmato, non diventa effettivo s<strong>in</strong>o alla ratifica. I<br />

documenti di ratifica vennero scambiati l'8 luglio, cioè c<strong>in</strong>que giorni dopo che Delcassé<br />

aveva reso pubblico l'impegno italiano. Dato che i documenti di ratifica vennero<br />

scambiati dopo il pubblico annuncio di Delcassé, e dato che né il governo tedesco né<br />

quello austriaco sol<strong>le</strong>varono nessuna protesta o riserva prima <strong>del</strong>lo scambio <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

ratifiche, e meno che mai rifiutarono di scambiar<strong>le</strong>, è evidente che essi riconobbero<br />

l'<strong>in</strong>tesa <strong>del</strong>l'Italia con la Francia come <strong>in</strong> perfetto accordo con la Triplice Al<strong>le</strong>anza.<br />

Ta<strong>le</strong> impegno era <strong>in</strong>condizionato, cioè aveva valore anche nel caso di una guerra, <strong>in</strong><br />

cui l'Italia non fosse impegnata a partecipare a fianco <strong>del</strong><strong>le</strong> potenze centrali.<br />

N. 4. G. GENTILE, "L'essenza <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>", nel volume "La civiltà fascista", Tor<strong>in</strong>o.<br />

U.T.E.T., 1928, pag. 98.<br />

N. 5. '"Avanti!",' 5 agosto 1914.<br />

N. 5 bis. '"Avanti!",' (cit. <strong>in</strong> A. De AMBRIS, "Mussol<strong>in</strong>i. La <strong>le</strong>ggenda e l'uomo",<br />

Marseil<strong>le</strong>, E.S.I.L., 'Pag<strong>in</strong>e <strong>del</strong>l'Italia Libera,'' n. 7-8, maggio-luglio 1930, pag. 21<br />

[N.d.C.]).<br />

N. 6. '"Avanti!"'<br />

N. 7. '"Avanti!"'<br />

N. 8. '"Avanti!"'<br />

N. 9. Pseudonimo <strong>le</strong>tterario di Libero Tancredi.<br />

N. 10. Vedi A. BORGHI, "Mussol<strong>in</strong>i Red and Black", New York, Freie Arbeiter Stimme,<br />

1938, pag<strong>in</strong>e 66-69. Il libro di B<strong>org</strong>hi contiene molte <strong>in</strong>formazioni ricavate da fonti di<br />

prima mano. Merita di essere <strong>le</strong>tto, malgrado la sua amarezza, che getta un'ombra di<br />

<strong>in</strong>giusto sospetto sul<strong>le</strong> affermazioni <strong>del</strong>l'autore, vio<strong>le</strong>nto ma onesto.<br />

N. 11. '"Avanti!"'<br />

N. 12. '"Avanti!",' 15 ottobre 1914.<br />

N. 13. 'Popolo d'Italia,' 20 novembre 1914.<br />

N. 14. 'Popolo d'Italia,' 23 novembre 1914.<br />

N. 15. Intervista al 'Giorna<strong>le</strong> d'Italia,' 20 novembre 1914.<br />

N. 16 'Popolo d'Italia,' 20 novembre 1914.<br />

N. 17. 'Popolo d'Italia,' 27 novembre 1914.<br />

N. 18. Ibidem.<br />

N. 19. La <strong>le</strong>ttera di questo corrispondente, Emilio Kerbs, comparve nel numero <strong>del</strong> 1<br />

dicembre 1914 <strong>del</strong> 'Popolo d'Italia,' <strong>in</strong>sieme alla risposta di Mussol<strong>in</strong>i.<br />

N. 20. 'Popolo d'Italia,' 1 dicembre 1914.<br />

N. 21. 'Popolo d'Italia,' 24 gennaio 1915.<br />

NOTE: OSSERVAZIONI AL CAPITOLO SESTO.<br />

N. 1. Confer G. SALVEMINI, "Mussol<strong>in</strong>i diplomatico", Bari, Laterza, 1952, Appendice A,<br />

"Mussol<strong>in</strong>i e l'oro francese", pag<strong>in</strong>e 419-431, dove appaiono buona parte <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

osservazioni seguenti rielaborate <strong>in</strong> seguito a più recenti testimonianze, che peraltro<br />

non ne mutano <strong>le</strong> conclusioni. [N.d.C.]<br />

N. 2. D. VARE', "Laugh<strong>in</strong>g Diplomat", London, John Murray, 1938, pag<strong>in</strong>e 213-214.<br />

(Nell'edizione italiana, "Il diplomatico sorridente", Milano, Mondadori, 1941, il brano è<br />

omesso). [N.d.C.]<br />

N. 6. I. DE BEGNAC, "Vita di Benito Mussol<strong>in</strong>i...", cit., III,- 583.<br />

N. 7. A. DE AMBRIS, "Mussol<strong>in</strong>i: la <strong>le</strong>ggenda e l'uomo", cit., pag. 26 (cit. trad.).<br />

N. 8. "Quartetto. Le Roi, Mussol<strong>in</strong>i, <strong>le</strong> Pape, D'Annunzio", Salon, Imprimerie nouvel<strong>le</strong>,<br />

pag. 15.<br />

N. 8 bis. Cit. trad.<br />

N. 9. M. SARFATTI, op. cit, pag. 163.<br />

N. 10. Il testo <strong>del</strong>la Relazione <strong>del</strong>la Commissione d'<strong>in</strong>chiesta à <strong>in</strong> DE BEGNAC, op. Cit.,<br />

III, 603-609.


N. 11. Op. cit, III, 395.<br />

N. 12. "The Awaken<strong>in</strong>g of Italy", cit., pag. 19.<br />

N. 13. C. BATTISTI, "Scritti politici", Firenze, Le Monnier, 1923, pag. 189.<br />

N. 14. C. BATTISTI, op. cit., pag. 192.<br />

N. 14 bis. C. BATTISTI, op. cit., pag. 189.<br />

N. 15. I. DE BEGNAC, op. Cit., III, 367.<br />

N. 16. February 1926, pag. 107.<br />

NOTE AL CAPITOLO SETTIMO.<br />

N. 1. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 21 novembre 1918.<br />

N. 2. "Atti parlamentari", Camera. Discussioni, Legisl. XXIV, 1a sessione, pag. 17,<br />

244.<br />

N. 3. 'Politica,' I, 15 dicembre 1918, pag. 17.<br />

N. 4. L. BISSOLATI, "La politica estera <strong>del</strong>l'Italia dal 1897 al 1920: scritti e discorsi",<br />

Milano, Treves, 1923, pag<strong>in</strong>e 396-398.<br />

N. 5. "Il Diario di Guerra (1915-1917)", ripubblicato <strong>in</strong> "Scritti e Discorsi", I, Milano,<br />

Hoepli, 1934.<br />

N. 6. "Scritti e Discorsi", cit., I, 184.<br />

N. 7. In un articolo sul 'Popolo d'Italia' <strong>del</strong> 28 gennaio 1915, Mussol<strong>in</strong>i affermava:<br />

'L'irredentismo verso tutti i conf<strong>in</strong>i, quando non sia giustificato da ragioni di giustizia e<br />

di libertà, si risolve nel nazionalismo: non è il nostro!' A proposito <strong>del</strong>la Dalmazia, l'8<br />

apri<strong>le</strong> 1915, si diceva che l'Italia avrebbe dovuto contentarsi di proteggere i propri<br />

connazionali là residenti. Vedi anche H. MASSOUL, "Les étapes de la révolution<br />

fasciste", 'Mercure de France,' nov. 1932, pag<strong>in</strong>e 513-541.<br />

N. 8. G. A. BORGESE, "Golia. Marcia <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>", trad. ital., cit., pag. 161.<br />

N. 9. C. AVARNA DI GUALTIERI, "Il Fascismo", Tor<strong>in</strong>o, Gobetti, 1925, pag. 17.<br />

N. 10. Cit. trad.<br />

N. 11. B. MUSSOLINI, "La dottr<strong>in</strong>a <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>", Roma, Istituto <strong>del</strong>la Enciclopedia<br />

Italiana, pag<strong>in</strong>e 9-10. Nel<strong>le</strong> "Note" sono raccolti alcuni estratti da vari scritti e discorsi<br />

di Mussol<strong>in</strong>i, dai quali si cerca di fare apparire che il pensiero di Mussol<strong>in</strong>i si sia<br />

sviluppato coerentemente, da una prima trama appena tracciata, nel 1919, a ciò che<br />

era diventato nel 1928 come dottr<strong>in</strong>a def<strong>in</strong>itiva. Con lo stesso sistema, cioè<br />

sopprimendo tutto quando si voglia ignorare negli scritti e discorsi di Mussol<strong>in</strong>i, si può<br />

darne un ritratto anarchico o conservatore, <strong>in</strong>ternazionalista o nazionalista, di un ateo<br />

o di un Padre <strong>del</strong>la Chiesa, di un sostenitore <strong>del</strong> controllo sul<strong>le</strong> nascite o di un m<strong>in</strong>istro<br />

di una <strong>del</strong><strong>le</strong> religioni esaltanti la prolificità, di un amico come di un nemico di ogni<br />

paese, e così via all'<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito. Il compilatore <strong>del</strong>la 'edizione f<strong>in</strong>a<strong>le</strong>' (si riferisce alla<br />

edizione Hoepli [N.d.C.]) degli "Scritti e Discorsi" di Mussol<strong>in</strong>i non si è contentato di<br />

ignorare tutti quegli scritti e discorsi che mettevano troppo <strong>in</strong> luce tutte <strong>le</strong><br />

contraddizioni e <strong>le</strong> <strong>in</strong>consistenze <strong>del</strong> suo eroe; ha anche falsificato alcuni dei testi<br />

<strong>in</strong>clusi nella raccolta. Di questo fatto ha dato dimostrazione G. MEGARO, <strong>in</strong> 'Political<br />

Science Quarterly,' June 1936, e <strong>in</strong> 'The Journal of Modern History,' September 1936.<br />

N. 12. L. SALVATORELLI, "Nazional<strong>fascismo</strong>", Tor<strong>in</strong>o, Gobetti, 1923, pag. 14.<br />

N. 13. La guerra 'sp<strong>in</strong>se <strong>in</strong> alto, sulla scala dei valori militari, gente <strong>del</strong> popolo e <strong>del</strong>la<br />

piccola b<strong>org</strong>hesia, che poi, riluttante e <strong>in</strong>capace di tornare nei vecchi ranghi (il corsivo<br />

è nostro), opererà come energico fermento rivoluzionario nella società italiana, ancora<br />

così mobi<strong>le</strong>.' G. VOLPE, "Storia dei movimento fascista", Milano, I.S.P.I., 1939, pag.<br />

16.<br />

N. 14. 'Popolo d'Italia,' Il novembre 1918.<br />

N. 15. 'Il Pro<strong>le</strong>tario,' New York, 2 giugno 1911; la col<strong>le</strong>zione di questo giorna<strong>le</strong> si<br />

trova presso la New York Public Library.


N. 16. L. R. FRANCK, "L'Economie Corporative Fasciste en doctr<strong>in</strong>e et en fait", Paris,<br />

1934, pag<strong>in</strong>e 12-14, 25-28. E' questo a tutt'oggi lo studio migliore per quanto<br />

riguarda i rapporti tra capita<strong>le</strong> e lavoro sotto la dittatura fascista.<br />

N. 17. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 21 marzo 1919.<br />

N. 18. 'Popolo d'Italia,' 1 apri<strong>le</strong> 1919.<br />

N. 19. Nel marzo <strong>del</strong> 1925, uno dei capi fascisti disse: 'Gli <strong>in</strong>dustriali si sbagliano di<br />

grosso, se pensano che avendo accettato i loro aiuti nel 1919, '20 e '21, il <strong>fascismo</strong><br />

abbia r<strong>in</strong>unciato a proteggere i lavoratori.' Citato da L. HAUTECOEUR, "Le Fascisme",<br />

<strong>in</strong> 'L'année politique française et étrangère,' Oct-déc. 1925, pag. 145.<br />

NOTE. OSSERVAZIONI AL CAPITOLO SETTIMO.<br />

N. 1. "Dux", cit., pag. 185.<br />

N. 2. Il resoconto riporta una corrispondenza <strong>in</strong>viata da R. Gar<strong>in</strong>ei al 'Secolo,' <strong>in</strong> data<br />

7 marzo 1917. B. MUSSOLINI, "Scritti e Discorsi", 1, cit., pag. 250.<br />

N. 3. M. SARFATTI, "Dux", cit., pag<strong>in</strong>e 182, 183.<br />

N. 4. B. MUSSOLINI, "Il Diario di Guerra", <strong>in</strong> "Scritti e Discorsi", I, cit., pag<strong>in</strong>e 236-<br />

237.<br />

N. 5. Cit. trad. Questo periodo, alla pag. 231 <strong>del</strong>la edizione americana ("The Life of<br />

Benito Mussol<strong>in</strong>i", New York, F. A. Stokes Co., 1925), non figura nella edizione<br />

italiana. [N.d.C.]<br />

N. 6. 'La Gazzetta <strong>del</strong> Popolo,' 25 febbraio 1932.<br />

N. 7. 'Popolo d'Italia,' 8 novembre 1921.<br />

N. 8. "La Nuova Politica <strong>del</strong>l'Italia", Milano, Alpes, 1926, pag. 17.<br />

NOTE AL CAPITOLO OTTAVO.<br />

N. 1. E. VERCESI, "Il movimento cattolico <strong>in</strong> Italia", Firenze, La Voce, 1913, pag. 253.<br />

N. 2. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 1 apri<strong>le</strong> 1919.<br />

N. 3. E. VERCESI, "Il movimento cattolico <strong>in</strong> Italia", cit., pag. 252.<br />

N. 4. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 15 marzo 1919.<br />

N. 5. 'Bol<strong>le</strong>tt<strong>in</strong>o <strong>del</strong>l'Ufficio <strong>del</strong> Lavoro,' XXXIV, 1, 523.<br />

N. 6. G. DE ROSSI, "Il primo anno di vita <strong>del</strong> Partito Popolare Italiano", Ferrari, 1920,<br />

pag<strong>in</strong>e 72, 79.<br />

N. 7. 'Grandi speranze aveva suscitato al suo nascere il nuovo partito popolare. Non<br />

pochi liberali contavano di avere <strong>in</strong> esso un al<strong>le</strong>ato contro il socialismo. Io ero tra<br />

quelli. (...) Io non avevo più fede nell'avvenire <strong>del</strong> partito libera<strong>le</strong> che a parer mio<br />

aveva smarrito la diritta via. (...) Se il partito popolare avesse dato al paese<br />

affidamento di redimerlo dall'asservimento ai partiti sovversivi, avrebbe dom<strong>in</strong>ato la<br />

situazione e si sarebbe imposto a tutti gli altri partiti; ciò esso era <strong>in</strong> grado di fare,<br />

poiché era il solo che avesse gli e<strong>le</strong>menti per contendere al socialismo il dom<strong>in</strong>io <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

masse, e avverandosi ciò io mi sarei ufficialmente iscritto al partito popolare.' T.<br />

TITTONI, "Nuovi scritti di politica <strong>in</strong>terna ed estera", Milano, Treves, 1930, pag<strong>in</strong>e<br />

281-282. Tittoni era stato m<strong>in</strong>istro degli Esteri con Giolitti e ambasciatore a Parigi.<br />

Diventò più tardi una figura em<strong>in</strong>ente <strong>del</strong> regime fascista. Tittoni aveva vaste<br />

proprietà terriere <strong>in</strong> prov<strong>in</strong>cia di Roma, dove la popolazione contad<strong>in</strong>a era tra <strong>le</strong> più<br />

povere d'Italia. Per il significato <strong>del</strong>la parola 'libera<strong>le</strong>,' si veda il cap. qu<strong>in</strong>to, [pag<strong>in</strong>e<br />

80-81 <strong>del</strong> libro cartaceo].<br />

N. 8. Ecco come cont<strong>in</strong>uano <strong>le</strong> paro<strong>le</strong> di Tittoni: 'Ma ahimè, al primo Congresso che il<br />

partito tenne a Bologna, apparve subito che la maggioranza dei convenuti non aveva<br />

alcuna idea <strong>del</strong>la situazione che il partito avrebbe potuto e dovuto conquistare, dando<br />

al paese ciò che questo attendeva ed i partiti liberali non potevano dargli.' Op. cit.,<br />

pag. 282.<br />

N. 9. Il cattolico O. M. PREMOLI ("Storia ecc<strong>le</strong>siastica contemporanea 1900-1925",<br />

Tor<strong>in</strong>o, 1925, pag. 110) scrive: 'Ciò che era più doloroso, il c<strong>le</strong>ro <strong>del</strong><strong>le</strong> campagne e


<strong>del</strong><strong>le</strong> picco<strong>le</strong> città, venuto ord<strong>in</strong>ariamente da famiglie campagno<strong>le</strong> ed operaie,<br />

facilmente applaudiva a questo socialismo cristiano e rendeva posizione contro la<br />

classe b<strong>org</strong>hese, con grave iattura <strong>del</strong>la religione.' Echi <strong>del</strong><strong>le</strong> ire dei cattolici<br />

conservatori contro il partito popolare si trovano nel libro <strong>del</strong> barone EUGÈNE BEYENS<br />

("Quatre ans à Rome", Paris, Plon, 1934, pag<strong>in</strong>e 26, 130), che fu ambasciatore <strong>del</strong><br />

Belgio a Roma dal 1921 al 1925.<br />

N. 10. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 5 agosto 1919.<br />

N. 11. Per <strong>le</strong> espressioni 'rivoluzionarie' di Salandra e di Orlando si veda il cap.<br />

settimo, [pag<strong>in</strong>e 123-24 <strong>del</strong> libro cartaceo]. Tanto per rimanere <strong>in</strong> campo cattolico,<br />

sarà bene rammentare che nel 1920 i vescovi degli Stati Uniti d'America annunciarono<br />

prossima 'l'abolizione <strong>del</strong> salariato.' Il card<strong>in</strong>a<strong>le</strong> Bourne scrisse: 'Tutti ammettono che<br />

un nuovo ord<strong>in</strong>e, nuove condizioni sociali, nuove relazioni tra <strong>le</strong> diverse categorie<br />

sociali s<strong>org</strong>eranno prodotte dalla distruzione <strong>del</strong>l'antico ord<strong>in</strong>e di cose.' E monsignor<br />

Deploige, presidente <strong>del</strong>l'Istituto superiore di filosofia <strong>del</strong>l'Università di Louva<strong>in</strong>,<br />

scrisse: 'Un ord<strong>in</strong>e nuovo va elaborandosi e il mondo di domani sarà altra cosa dal<br />

mondo di ieri.' E. VERCESI, "Il movimento cattolico <strong>in</strong> Italia", cit., pag<strong>in</strong>e 263-264. In<br />

Italia, lo slogan 'la terra ai contad<strong>in</strong>i,' fu lanciato per la prima volta nel 1918 da un<br />

'socialista riformista,' Aurelio Drago, che più tardi diventò fascista; e venne raccolto e<br />

lanciato dall'ultraconservatore marchese Tanari, il qua<strong>le</strong> anche, più tardi, divenne<br />

fascista.<br />

N. 12. L. STURZO, "Popolarismo e <strong>fascismo</strong>", Tor<strong>in</strong>o, Gobetti, 1924, pag<strong>in</strong>e 2328,<br />

107, 122-23, 168.<br />

N. 13. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 28 luglio 1928. Cit. trad.<br />

N. 14. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 12 maggio 1919.<br />

N. 15. Monsignor B. Cerretti (più tardi card<strong>in</strong>a<strong>le</strong>), e il presidente <strong>del</strong> Consiglio<br />

Orlando, <strong>in</strong>iziatori dei negoziati, hanno pubblicato i documenti dei loro scambi di<br />

op<strong>in</strong>ione. Il diario di CERRETTI venne pubblicato nella rivista cattolica 'Vita e<br />

pensiero,' giugno-luglio 1929, pag<strong>in</strong>e 411 seguenti; e la versione di Orlando <strong>in</strong> V. E.<br />

ORLANDO, "Su alcuni miei rapporti di governo con la Santa Sede", Napoli, Casa<br />

Editrice Sab<strong>in</strong>a, 1930, pag<strong>in</strong>e 71 seguenti.<br />

N. 16. GEMELLI e OLGIATI, "Il programma <strong>del</strong> P.P.I. come non è e come dovrebbe<br />

essere", Milano, 'Vita e pensiero,' 1919, pag<strong>in</strong>e 59-60.<br />

N. 17. 'Osservatore Romano,' 17 giugno 1919.<br />

N. 18. G. MICHON, "Les documents pontificaux sur la democratie et la société<br />

moderne", Paris, Rieder, 1929. Vi si trovano raccolte <strong>le</strong> più caratteristiche condanne<br />

pronunciate dai papi durante il secolo diciannovesimo contro tutte <strong>le</strong> libertà che sono<br />

essenziali a un regime democratico.<br />

N. 19. Si veda specialmente la enciclica di Leone Tredicesimo, "Libertas", <strong>del</strong> 20<br />

giugno 1888. Le dichiarazioni <strong>in</strong> favore di tutte <strong>le</strong> libertà fatte dal Governatore Smith<br />

nel 1927 durante la sua discussione con Mister C. C. Marshall ('Atlantic Monthly,' April<br />

and May 1927), furono 'tol<strong>le</strong>rate,' ma mai 'approvate' esplicitamente dal<strong>le</strong> autorità<br />

ecc<strong>le</strong>siastiche americane, e perché fatte <strong>in</strong> un paese dove la costituzione garantisce <strong>in</strong><br />

ugual misura tanto 'il bene,' cioè la religione cattolica, quanto 'il ma<strong>le</strong>,' cioè tutte <strong>le</strong><br />

altre religioni. Il giorno <strong>in</strong> cui <strong>le</strong> autorità <strong>del</strong>la Chiesa cattolica credessero possibi<strong>le</strong><br />

<strong>in</strong>staurare negli Stati Uniti un monopolio <strong>del</strong> 'bene' e sopprimere la libertà <strong>del</strong> 'ma<strong>le</strong>,'<br />

allora <strong>le</strong> dichiarazioni <strong>del</strong> Governatore Smith <strong>in</strong> favore <strong>del</strong>la libertà per tutti, non<br />

sarebbero più 'tol<strong>le</strong>rate,' ma verrebbero 'condannate.'<br />

N. 20. E. VERCESI, "Il movimento cattolico <strong>in</strong> Italia", cit., pag<strong>in</strong>e 183, 185, 290-91.<br />

NOTE: OSSERVAZIONI AL CAPITOLO OTTAVO.<br />

N. 1. "Atti Parlamentari", Camera, Discussioni, Legislatura XXI, 2a sessione, pag<strong>in</strong>e<br />

13-134, 13-135.


N. 2. A. COMANDINI, "L'Italia nei cent'anni <strong>del</strong> secolo diciannovesimo", Vallardi,<br />

Milano, IV, pag<strong>in</strong>e 108, 135-38.<br />

NOTE AL CAPITOLO NONO.<br />

N. 1. R. RIGOLA e L. D'ARAGONA, "La Confederazione genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> lavoro nel<br />

sessennio 1914-1920", Milano, La Tipografica, 1921, pag<strong>in</strong>e 120-122.<br />

N. 2. G. LAZZERI, "Filippo Turati", Milano, 1921, pag. 198. Dall'articolo di Turati,<br />

"Socialismo e Massimalismo al Congresso socialista di Bologna", <strong>in</strong> 'Critica Socia<strong>le</strong>,'<br />

XXX, 17, pag<strong>in</strong>e 264 seguenti.<br />

N. 2 bis. A. TASCA, "Nascita e avvento <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>", Firenze, La Nuova Italia, 1950,<br />

pag. 143.<br />

N. 3 La stessa Angelica Balabanoff raccontò più tardi il fatto a chi scrive. (Di questo<br />

colloquio con Len<strong>in</strong>, la Balabanoff dà notizia nel suo libro di memorie "My Life as a<br />

Rebel", New York and London, Harper & Brothers Publishers, 1938, pag<strong>in</strong>e 284-285.<br />

Esso avvenne il 20 settembre 1920, dopo<br />

che erano arrivate <strong>in</strong> Russia <strong>le</strong> notizie dall'Italia <strong>del</strong>l'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche.<br />

[N.d.C.])<br />

N. 3 bis. EPIFANE, "Fattori economici <strong>del</strong> successo <strong>del</strong>la rivoluzione socia<strong>le</strong>", Milano,<br />

Libreria <strong>del</strong>la Società Editrice 'Umanità Nova,' 1920, pag. 32.<br />

N. 4. LENIN, "Sul movimento operaio italiano", trad. ital. di F. Platone, Roma,<br />

R<strong>in</strong>ascita, 1949, pag. 157.<br />

N. 5. Ibidem.<br />

N. 6. Ibidem.<br />

N. 7. E. LUSSU, "Teoria <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>surrezione. Saggio critico", Roma, 1950, pag<strong>in</strong>e 22.23.<br />

N. 8. Dall'articolo di F. TURATI, "Socialismo e Massimalismo al Congresso socialista di<br />

Bologna", <strong>in</strong> 'Critica Socia<strong>le</strong>,' cit., riportato da G. LAZZERI, "Filippo Turati", cit., pag.<br />

198.<br />

N. 9. Cit. trad.<br />

N. 10. Citato <strong>in</strong> "Sempre!", Almanacco n. 2 (1923) di 'Guerra di classe,' Berl<strong>in</strong>o, 1923,<br />

pag. 47; confer anche 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 11 settembre 1922 e "Avanti!",' 12<br />

settembre 1922. [N.d.C.]<br />

N. 11. LENIN, "L'estremismo, malattia <strong>in</strong>fanti<strong>le</strong> <strong>del</strong> comunismo", <strong>in</strong> "Sul movimento<br />

operaio italiano", cit., pag<strong>in</strong>e 133-34.<br />

NOTE: OSSERVAZIONI AL CAPITOLO NONO.<br />

N. 1. "The Awaken<strong>in</strong>g of Italy", cit., pag. 79.<br />

N. 2. Ibidem, pag<strong>in</strong>e 51, 74, 116.<br />

N. 3. Ibidem, pag. 105.<br />

N. 4. Ibidem, pag. 79.<br />

N. 5. R. P. DUTT, "Fascism and Social Revolution", New York, International Publishers,<br />

1934, pag<strong>in</strong>e 95 seguenti.<br />

NOTE AL CAPITOLO DECIMO.<br />

N. 1. Citazione parzialmente tradotta. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 19 febbraio 1919. [N.d.C.]<br />

N. 2. Mozione <strong>del</strong> Consiglio naziona<strong>le</strong> <strong>del</strong>la Confederazione <strong>del</strong> lavoro, '"Avanti!",' 3<br />

febbraio 1919.<br />

N. 3. 'I prob<strong>le</strong>mi <strong>del</strong> Lavoro,' 1-16 marzo 1919, pag. 83.<br />

N. 4. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 3 apri<strong>le</strong> 1919.<br />

N. 5. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 11 apri<strong>le</strong> 1919.<br />

N. 6. Ibidem.<br />

N. 7. Tutte <strong>le</strong> notizie sono tratte dai numeri <strong>del</strong> 10 e 11 apri<strong>le</strong> di due quotidiani<br />

milanesi: il conservatore 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' e il democratico 'Secolo.'<br />

N. 8. 'Secolo,' 14 apri<strong>le</strong> 1919.


N. 9. 'Secolo,' 15 apri<strong>le</strong> 1919.<br />

N. 10. F. T. MARINEITI, "Futurismo e <strong>fascismo</strong>", Foligno, 1924, pag. 169.<br />

N. 11. 'Secolo,' 18 apri<strong>le</strong> 1919.<br />

N. 12. F. T. MARINETTI, "Futurismo e <strong>fascismo</strong>", cit., pag. 170.<br />

N. 13. 'Secolo,' 18 apri<strong>le</strong> 1919.<br />

N. 14. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 17 apri<strong>le</strong> 1919.<br />

N. 15. 'L'Unità,' 26 apri<strong>le</strong> 1919.<br />

N. 16. Si allude alla sottoscrizione per la nuova sede <strong>del</strong>l'"Avanti!".<br />

N. 17. 'Popolo d'Italia,' 16 apri<strong>le</strong> 1920.<br />

N. 18. Dalla prefazione a A. Rossi, "The Rise of Italian Fascism: 1918-1922", London,<br />

Methuen and Co., 1938, pag. X.<br />

N. 19. F. T. MARINETTI, "Futurismo e <strong>fascismo</strong>", cit., pag. 170.<br />

N. 20. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 19 apri<strong>le</strong> 1919.<br />

N. 21. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 21 gennaio 1919.<br />

N. 22. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 25 gennaio 1919.<br />

N. 23. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 27 gennaio 1919.<br />

N. 24. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 9 marzo 1919.<br />

N. 25. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 2 apri<strong>le</strong> 1919.<br />

N. 26 "Avanti!", 29 apri<strong>le</strong> 1919.<br />

NOTE AL CAPITOLO UNDICESIMO.<br />

N. 1. Cit. trad.<br />

N. 2. F. TURATI, "Discorsi Parlamentari", vol. III, Roma, 1950, pag. 1612.<br />

N. 3. Discorso di Turati alla Camera, <strong>del</strong> 29 apri<strong>le</strong> 1919, "Discorsi Parlamentari", cit.,<br />

pag<strong>in</strong>e 1614-1615.<br />

N. 4. Cit. trad.<br />

N. 5. "Annuario statistico italiano: 1919-1921", pag<strong>in</strong>e 395, 398. Fu stimato che <strong>in</strong><br />

media <strong>le</strong> tariffe <strong>del</strong><strong>le</strong> mercedi dei lavoratori agrari crebbero <strong>in</strong> comp<strong>le</strong>sso dal 1914 alla<br />

prima parte <strong>del</strong> 1919 <strong>del</strong> 220 per cento, ma la spesa settimana<strong>le</strong> di una famiglia<br />

operaia tipica composta di c<strong>in</strong>que persone, crebbe da lire 41,20 nel primo semestre<br />

<strong>del</strong> 1914 a lire 120,05 nel giugno <strong>del</strong> 1919 (R. BACHI, "L'Italia economica nel 1919",<br />

cit., pag. 162); <strong>in</strong> altre paro<strong>le</strong>, il costo <strong>del</strong>la vita, 292 per cento, fu superiore<br />

all'aumento dei salari. Villari ("The Awaken<strong>in</strong>g of Italy", cit., pag. 50) scrive: 'Durante<br />

la guerra i salari erano assai cresciuti, mentre i prezzi erano aumentati solo<br />

<strong>le</strong>ggermente (sic: "slightly"): fu dopo l'armistizio che i prezzi com<strong>in</strong>ciarono a salire<br />

rapidamente, e "sebbene essi non abbiano mai raggiunto gli aumenti dei salari", i<br />

lavoratori si sentivano truffati perché non godevano più <strong>del</strong> benessere <strong>in</strong> cui erano<br />

vissuti durante gli anni di guerra.'<br />

N. 6. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 13 giugno 1919.<br />

N. 7. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 14 giugno 1919.<br />

N. 8. 'Secolo,' 14 giugno 1919.<br />

N. 9. Cit. trad.<br />

N. 10. Il corsivo è nostro.<br />

N. 10 bis. Citazione parzialmente tradotta.<br />

N. 11. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 26 giugno 1919.<br />

N. 12. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 20 giugno 1919.<br />

N. 13. Cit. trad.<br />

N. 14. 'Idea Naziona<strong>le</strong>,' 17 giugno 1910.<br />

N. 15. Discorso <strong>del</strong>l'on. So<strong>le</strong>ri, "Atti Parlamentari". Camera. Discussioni, Legislatura<br />

XXIV, I sessione, pag<strong>in</strong>e 18446-18447.<br />

N. 16. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 12 giugno 1919.<br />

N. 17 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 12 giugno 1919.<br />

N. 18. Cit. trad.


N. 19. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 14 giugno 1919.<br />

N. 20. 'Idea Naziona<strong>le</strong>,' 18 maggio, 31 maggio 1919.<br />

NOTE: OSSERVAZIONI AL CAPITOLO UNDICESIMO.<br />

N. 1. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 3 agosto 1919.<br />

N. 2. Milano, Mondadori, 1924, pag. 50.<br />

NOTE AL CAPITOLO DODICESIMO.<br />

N. 1. 21 giugno 1919.<br />

N. 2. 'Popolo d'Italia', 15 settembre 1919 (cit. trad.).<br />

N. 3. C. PELLIZZI, "Prob<strong>le</strong>mi e realtà <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>", Firenze, 1924, pag. 163.<br />

N. 4. Elogi a Nitti furono pubblicati nei numeri de 'L'Idea Naziona<strong>le</strong>' <strong>del</strong> 20 dicembre<br />

1917, 31 gennaio, 8 marzo, 27 apri<strong>le</strong>, 27 maggio, 20 luglio 1918, 15 giugno 1919.<br />

N. 5. Vio<strong>le</strong>nti articoli contro Nitti apparvero nell''Idea Naziona<strong>le</strong>' e 10 marzo 1919.<br />

N. 6. 'Idea Naziona<strong>le</strong>,' 26 maggio 1919; riporta il testo <strong>del</strong> discorso che D'Annunzio<br />

doveva tenere a Roma per l'anniversario <strong>del</strong>la dichiarazione di guerra, e che fu<br />

proibito.<br />

N. 7. 'Idea Naziona<strong>le</strong>,' 30' giugno 1919.<br />

N. 8. Ibidem, discorso di Eugenio Coselschi.<br />

N. 9. Ibidem, paro<strong>le</strong> <strong>del</strong> capitano degli Arditi, Venturi.<br />

N. 10. Vi aveva sede il m<strong>in</strong>istero degli Interni e la presidenza <strong>del</strong> Consiglio.<br />

N. 11. Il Nitti abitava a Piazza Barber<strong>in</strong>i.<br />

N. 12. 'Idea Naziona<strong>le</strong>,' 30 giugno 1919.<br />

N. 13. 'Idea Naziona<strong>le</strong>,' 1 luglio 1919.<br />

N. 14. 'Idea Naziona<strong>le</strong>,' 3 luglio 1919.<br />

N. 15. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 5 luglio 1919.<br />

N. 16. Vedi cap. undicesimo, [pag<strong>in</strong>e 192-93 <strong>del</strong> libro cartaceo].<br />

NOTE AL CAPITOLO TREDICESIMO.<br />

N. 1. 'L'Unità,' 10 luglio 1919.<br />

N. 2. 'La Nazione,» 4 luglio 1919.<br />

N. 3. Ibidem.<br />

N. 4. 'La Difesa,' 4 luglio 1919.<br />

N. 5. 'La Nazione,' 4 luglio 1919.<br />

N. 6. Ibidem.<br />

N. 7. 'La Nazione,' 6 luglio 1919.<br />

N. 8. 'La Difesa,' 5 luglio 1919.<br />

N. 9. 'La Nazione,' 5 luglio 1919.<br />

N. 10. L'Al<strong>le</strong>anza di difesa cittad<strong>in</strong>a; vedi 'La Nazione,' 9 luglio.<br />

N. 11. "Per la bandiera dei volontari di guerra".<br />

N. 12. 'Idea Naziona<strong>le</strong>,' 19 settembre 1919.<br />

N. 13. 'Idea Naziona<strong>le</strong>,' 5 luglio 1919.<br />

N. 14. "Giustizia di popolo", di Alceste De Ambris.<br />

N. 15. 'secolo,' 10 luglio 1919.<br />

N. 16. Cit. trad.<br />

N. 17. 'L'Unità,' 10 luglio 1919.<br />

N. 18. Ibidem.<br />

N. 19. 'Avanti!,' 5 luglio 1919.<br />

N. 20. 'Avanti!,' 7 luglio 1919.<br />

N. 21. 'Avanti!,' 13 luglio 1919.<br />

N. 22. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 15 luglio 1919.<br />

N. 23. 'Avanti!,' 17 luglio 1919.<br />

N. 24. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 22 luglio 1919.


N. 25. Il resoconto si trova ne 'L'Unità,' 11 settembre 1919.<br />

N. 26. G. LAZZERI, "Filippo Turati", Milano, 1921, pag. 206; dall'articolo di Turati<br />

"Socialismo e Massimalismo al Congresso socialista di Bologna", <strong>in</strong> 'Critica Socia<strong>le</strong>,'<br />

XXX, 17, pag<strong>in</strong>e 264 seguenti.<br />

NOTE: OSSERVAZIONI AL CAPITOLO TREDICESIMO.<br />

N. 1. L. VILLARI, "The Awaken<strong>in</strong>g of Italy", cit., pag<strong>in</strong>e 58-59.<br />

NOTE AL CAPITOLO QUATTORDICESIMO.<br />

N. 1. Vedi cap. dodicesimo, [pag<strong>in</strong>e 208, 211 <strong>del</strong> libro cartaceo].<br />

N. 2. R. BACHI, "L'Italia economica nei 1919", cit., pag<strong>in</strong>e 397-398.<br />

N. 3. F. RUFFINI, "Guerra e riforme costituzionali", Tor<strong>in</strong>o, Paravia, 1920, pag. 76, n.<br />

23, e pag. 84, n. 106.<br />

N. 4. 'Idea Naziona<strong>le</strong>,' 20 marzo 1919.<br />

N. 5. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 15 giugno 1919.<br />

N. 6. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 20 giugno 1919.<br />

N. 7. 'Secolo,' 8 giugno 1919, e vedi V. NITTI, "L'opera di Nitti", Tor<strong>in</strong>o, Gobetti,<br />

1924, pag<strong>in</strong>e 111-120.<br />

N. 8. Vedi cap. settimo, [pag. 123 <strong>del</strong> libro cartaceo].<br />

N. 9. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 12 e 22 agosto 1919.<br />

N. 10. R. BACHI, "L'Italia economica nel 1919", cit., pag<strong>in</strong>e 274, 418; "L'Italia<br />

economica nel 1920", cit., pag. 296.<br />

N. 11. 'Secolo,' 29 settembre 1919.<br />

N. 12. 'Secolo,' 10 e 13 ottobre 1919.<br />

N. 12 bis. Intervista <strong>del</strong> m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>l'Agricoltura, Micheli, al quotidiano romano 'La<br />

Tribuna,' 22 ottobre 1920. Confer L. VILLARI "The Awaken<strong>in</strong>g of Italy", cit., pag. 101:<br />

'In Sicilia, molte proprietà terriere furono occupate, ma i conflitti furono generalmente<br />

promossi da associazioni di ex-combattenti e <strong>org</strong>anizzazioni operaie, che vo<strong>le</strong>vano<br />

veramente terra da coltivare: qualche volta si giunse ad una composizione mediante<br />

accordi con i proprietari.'<br />

N. 13. G. VOLPE, "L'Italia <strong>in</strong> camm<strong>in</strong>o", cit., pag. 60.<br />

N. 14. N. PAPAFAVA, "Appunti militari. 1919-1921", Ferrara, S.T.E.T., 1921, pag<strong>in</strong>e<br />

152-53.<br />

N. 15. G. FERRERO, "Da Fiume a Roma", Milano, Athena, 1945, pag. 9.<br />

N. 16. Nei tempi antichi <strong>del</strong> periodo classico, erano gli schiavi che salutavano i loro<br />

padroni alzando la mano destra. Gli uom<strong>in</strong>i liberi si salutavano str<strong>in</strong>gendosi la mano.<br />

N. 17. Il fatto venne reso noto a una commissione di giornalisti milanesi da due<br />

redattori <strong>del</strong> 'Popolo d'Italia,' che erano <strong>in</strong> contrasto con Mussol<strong>in</strong>i; vedi 'Avanti!,' 12<br />

febbraio 1920, e 'Secolo,' 14 febbraio 1920. La 'Civiltà Cattolica' (6 marzo 1920,<br />

pag<strong>in</strong>e 472-474) commentò la notizia nei seguenti term<strong>in</strong>i: 'Un po' di luce. E' poca;<br />

ma questo barlume ci basta per poter dire: qua<strong>le</strong> pozzanghera!... Ecco <strong>in</strong> mano di<br />

quali genti stanno la bandiera <strong>del</strong> patriottismo e <strong>del</strong>l'onore naziona<strong>le</strong>.'<br />

N. 18. Il capo di stato maggiore di D'Annunzio, maggiore Re<strong>in</strong>a, si trovò presente ad<br />

uno scoppio di col<strong>le</strong>ra di D'Annunzio, che def<strong>in</strong>ì Mussol<strong>in</strong>i 'un ladro.' Chi scrive apprese<br />

ta<strong>le</strong> <strong>in</strong>cidente dallo stesso maggiore Re<strong>in</strong>a, e <strong>in</strong> qualità di deputato denunciò il fatto<br />

alla Camera (7 agosto 1920). Mussol<strong>in</strong>i cercò di ridurlo al si<strong>le</strong>nzio sfidandolo a duello.<br />

I suoi secondi chiesero che venisse compiuta una <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e per accertare se il fatto era<br />

vero o no; solo qualora il fatto non fosse stato vero ci sarebbe stato il duello. I<br />

secondi di Mussol<strong>in</strong>i rifiutarono qualsiasi <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e. Qu<strong>in</strong>di nessuno dovette versare<br />

una goccia di sangue. I documenti di questa buffa vertenza furono pubblicati da<br />

'L'Unità,' 19 agosto 1920.<br />

N. 19. U. GIUSTI, "Le correnti politiche italiane attraverso due riforme e<strong>le</strong>ttorali dal<br />

1909 al 1921", Firenze, Alfani e Venturi, 1922, pag<strong>in</strong>e 22, 29. Alcune lievi discordanze


tra il numero dei seggi dei nostri dati e quelli forniti da Giusti dipendono dal fatto che i<br />

nostri dati si riferiscono al novembre 1919, mentre quelli <strong>del</strong> Giusti si riferiscono<br />

all'agosto 1920, quando alcuni deputati erano morti.<br />

N. 20. Se si prende, ad esempio, la prov<strong>in</strong>cia di Firenze, troviamo che col sistema<br />

un<strong>in</strong>om<strong>in</strong>a<strong>le</strong> si sarebbero avuti dodici deputati socialisti, e soltanto due deputati non<br />

socialisti, mentre con la proporziona<strong>le</strong> si ebbero otto socialisti, tre popolari e tre<br />

'liberali' (U. GIUSTI, op. cit., pag<strong>in</strong>e 39-41). Certamente, col sistema un<strong>in</strong>om<strong>in</strong>a<strong>le</strong>, gli<br />

e<strong>le</strong>ttori, costretti a scegliere tra non più di due candidati, si sarebbero comportati <strong>in</strong><br />

modo diverso che non con la proporziona<strong>le</strong>. Ma dato il sentimento di ostilità che la<br />

massa <strong>del</strong> partito popolare nutriva verso tutti i vecchi <strong>le</strong>aders politici, compresi<br />

Salandra e Giolitti, si può affermare senza pericolo di errore che ta<strong>le</strong> massa, se non<br />

avesse potuto votare per i candidati popolari, avrebbe votato per i socialisti piuttosto<br />

che per i vecchi uom<strong>in</strong>i politici.<br />

N. 21. I. BONOMI, "Dal socialismo al <strong>fascismo</strong>", Roma, Formigg<strong>in</strong>i, 1924, pag<strong>in</strong>e 83-<br />

84.<br />

N. 22. 17 novembre 1919.<br />

N. 23. G. CIPRIANI-AVOLIO, "Una volontà: Benito Mussol<strong>in</strong>i", Roma, Stab. Poligr. per<br />

l'Amm<strong>in</strong>. <strong>del</strong>la Guerra, 1932, pag. 114.<br />

NOTE AL CAPITOLO QUINDICESIMO.<br />

N. 1. G. A. BORGESE, "Golia. Marcia <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>", trad. ital. cit., pag<strong>in</strong>e 261-264.<br />

N. 2. 'Avanti!,' 4 dicembre 1919.<br />

N. 3. 'Avanti!,' 4 dicembre 1919.<br />

N. 4. Lettera di Len<strong>in</strong> a Serrati, direttore <strong>del</strong>l''Avanti!'» e a Lazzari, segretario<br />

genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> P.S.I., <strong>in</strong> data 19 agosto 1919, pubblicata nell''Avanti!' <strong>del</strong> 2 settembre<br />

1919 (ripubblicata <strong>in</strong> LENIN, "Sul movimento operaio italiano", cit., pag. 110 [N.d.C]).<br />

N. 5. Vedi cap. qu<strong>in</strong>dicesimo , [pag. 237 <strong>del</strong> libro cartaceo].<br />

N. 6. La <strong>le</strong>ttera fu pubblicata, nel suo testo <strong>in</strong>tegra<strong>le</strong>, nella prima edizione<br />

<strong>del</strong>l''Avanti!' <strong>del</strong> 6 dicembre 1919. Stupidamente il censore, nel<strong>le</strong> edizioni successive,<br />

soppresse l'ultima parte di essa (dal<strong>le</strong> paro<strong>le</strong>: 'Può darsi,' eccetera). Ma altri giornali,<br />

ad esempio il quotidiano popolare 'Corriere d'Italia,' 8 dicembre 1919, riprodussero il<br />

testo comp<strong>le</strong>to dalla prima edizione <strong>del</strong>l''Avanti!' L'edizione russa <strong>del</strong><strong>le</strong> opere di LENIN<br />

(XXIV, 504) dà il testo <strong>in</strong>comp<strong>le</strong>to <strong>del</strong>la seconda edizione <strong>del</strong>l''Avanti!' Non siamo <strong>in</strong><br />

grado di dire se ciò dipenda dal fatto che l'editore non si è presa la pena di ritrovare il<br />

testo comp<strong>le</strong>to, o se piuttosto non sia stato giudicato più prudente coprire con un<br />

modesto velo il fatto che Len<strong>in</strong>, nell'ottobre 1919, consigliava i compagni italiani a<br />

non lasciarsi tradire da tentativi rivoluzionari prematuri, e ad attendere un 'momento<br />

favorevo<strong>le</strong>' che non fu mai dest<strong>in</strong>ato ad arrivare. (La <strong>le</strong>ttera è riprodotta, priva <strong>del</strong>la<br />

sua parte f<strong>in</strong>a<strong>le</strong>, anche <strong>in</strong> LENIN, "Sul movimento operaio italiano", cit., pag. 112. Si<br />

dà però <strong>in</strong> nota una traduzione dal francese <strong>del</strong>la parte, soppressa dalla censura, che<br />

fu riprodotta nel 'Populaire' <strong>del</strong> 20 gennaio 1920. Ma non è vero che quella <strong>del</strong><br />

'Populaire' fosse la prima pubblicazione <strong>in</strong>tegra<strong>le</strong>. [N.d.C])<br />

N. 7. 'Idea Naziona<strong>le</strong>,' 7 dicembre 1919.<br />

N. 8. Vedi cap. ottavo, [pag<strong>in</strong>e 148 seguenti <strong>del</strong> libro cartaceo].<br />

N. 9. Discorso <strong>del</strong>l'on. Salvem<strong>in</strong>i, "Atti Parlamentari". Camera. Discussioni, Legislatura<br />

XXV, I sessione, vol. I, pag<strong>in</strong>e 502-504.<br />

N. 10. N. PAPAFAVA, "Appunti militari", cit., pag. 154.<br />

N. 11. Vedi cap. terzo.<br />

N. 12. Dal 1895 al 1913, il numero dei regi decreti variò da un m<strong>in</strong>imo di uno ad un<br />

massimo di ventiquattro all'anno. La guerra aumentò il numero di questi<br />

provvedimenti eccezionali. Infatti se ne ebbero 100 nel 1914; 221 nel 1915; 173 nel<br />

1916; 337 nel 1917; 348 nel 1918; 1029 nel 1919; 545 nel 1920 (Discussione al


Senato, il 12 dicembre 1925, "Atti Parlamentari", Senato <strong>del</strong> Regno, Legislatura<br />

XXVII, I sessione, vol. IV, pag. 3964).<br />

N. 13 Guy Fawkes fu il pr<strong>in</strong>cipa<strong>le</strong> e il più famoso dei cospiratori <strong>del</strong>la 'congiura <strong>del</strong><strong>le</strong><br />

polveri,' promossa dai cattolici, e che mirava a far saltare il Parlamento <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se nel<br />

giorno <strong>del</strong>la sua apertura, il 5 novembre 1605. [N.d.C.]<br />

N. 14. "La crisi m<strong>in</strong>isteria<strong>le</strong> e la Costituzione", <strong>in</strong> 'La Rivoluzione Libera<strong>le</strong>,' 19 febbraio<br />

1922.<br />

N. 15. E. FLORES, "Eredità di guerra", Napoli, Ceccoli, 1925, pag<strong>in</strong>e 129 seguenti.<br />

N. 16. R. BACHI, "L'Italia economica nel 1911", cit., pag<strong>in</strong>e 258 seguenti.<br />

N. 17. V. NITTI, "L'opera di Nitti", cit., pag. 165.<br />

NOTE AL CAPITOLO SEDICESIMO.<br />

N. 1. "Annuario Statistico Italiano: 1919-1921", pag<strong>in</strong>e 385, 398.<br />

N. 2. M. NETTLAU, "Errico Malatesta", New York, Casa editrice Il Martello, 1921,<br />

pag<strong>in</strong>e 300-301.<br />

N. 3. Una spiegazione analoga a quella data da Nettlau si trova <strong>in</strong> A. BORGHI, "Errico<br />

Malatesta <strong>in</strong> 60 anni di lotte anarchiche", New York, Edizioni sociali, 1933, pag<strong>in</strong>e<br />

184-189.<br />

N. 4. Chi scrive ebbe notizia di tali manovre da uno dei partecipanti alla riunione.<br />

Venne avvic<strong>in</strong>ato anche Malatesta (A. BORGHI, "L'Italia tra due Crispi", Paris, Libreria<br />

Internaziona<strong>le</strong>, 1924, pag. 103).<br />

N. 5. 'Umanità Nuova,' 1 luglio 1920; citato da A. BORGHI, "L'Italia tra due Crispi",<br />

cit., pag. 234, n. 1.<br />

N. 6. Ebbi l'<strong>in</strong>formazione da Camillo Berneri, l'anarchico che venne assass<strong>in</strong>ato dai<br />

comunisti a Barcellona nel 1938, e che nel 1920 era studente all'Università di Firenze.<br />

N. 7. 'Popolo d'Italia,' 13 settembre 1919.<br />

N. 8. 'Popolo d'Italia,' 14 settembre 1919.<br />

N. 9. 'Popolo d'Italia,' 25 settembre 1919.<br />

N. 10. 'Popolo d'Italia,' 11 e 14 novembre 1919.<br />

N. 11. 'Popolo d'Italia,' 27 dicembre 1919.<br />

N. 12. 'Popolo d'Italia.'<br />

N. 13. 'Popolo d'Italia,' 1 gennaio 1920.<br />

N. 14. 'Popolo d'Italia,' 6 apri<strong>le</strong> 1920.<br />

N. 15. 'Popolo d'Italia,' 25 maggio 1920. Questo articolo, come i due articoli citati<br />

sopra, <strong>del</strong> 12 dicembre 1919 e <strong>del</strong> 6 apri<strong>le</strong> 1920, sono stati soppressi nella raccolta<br />

ufficia<strong>le</strong> degli "Scritti e Discorsi" di Mussol<strong>in</strong>i (Milano, Hoepli, 1934-1940).<br />

N. 16. Tali cifre furono date al congresso naziona<strong>le</strong> dei Fasci, di Firenze, e al<br />

congresso <strong>del</strong>l'Unione italiana <strong>del</strong> lavoro, che si tenne a Forlì.<br />

N. 17. 'Popolo d'Italia,' 8 novembre 1921.<br />

N. 18. Discorso al teatro Costanzi <strong>in</strong> Roma, nel qu<strong>in</strong>to anniversario <strong>del</strong>l'adunata di<br />

Piazza S. Sepolcro (MUSSOLINI, "Scritti e Discorsi", IV, 64).<br />

N. 19. Un resoconto onesto <strong>del</strong><strong>le</strong> cause <strong>del</strong>la <strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>e genera<strong>le</strong> è dato da G.<br />

MORTARA, "Prospettive economiche 1923", Città di Castello, 1923, pag<strong>in</strong>e 421-422;<br />

vedi anche E. A. MOWRER, "Immortal Italy", New York and London, App<strong>le</strong>ton & Co.,<br />

1922, pag<strong>in</strong>e 317-29. Il libro di questo testimone americano, <strong>in</strong>telligente ed onesto,<br />

fu scritto prima che venisse elaborata la <strong>le</strong>ggenda fascista; esso è perciò una<br />

apprezzabi<strong>le</strong> ed attendibi<strong>le</strong> fonte di <strong>in</strong>formazioni.<br />

N. 20. M. PANTALEONI, "Bolscevismo italiano", Bari, Laterza, 1922.<br />

NOTE AL CAPITOLO DICIASSETTESIMO.<br />

N. 1. Il fatto fu reso noto nell'ottobre 1920 ('Civiltà Cattolica,' 20 novembre 1920,<br />

pag. 374). Né i massimalisti né gli estremisti lo smentirono.


N. 2. A proposito di questo <strong>le</strong>nto sviluppo di una mentalità l'antibolscevica' tra i<br />

diversi ceti prima <strong>del</strong>l'autunno 1920, si vedano <strong>le</strong> osservazioni di G. FERRERO, "Da<br />

Fiume a Roma", cit., pag<strong>in</strong>e 91-93. Si vedano anche, nella col<strong>le</strong>zione 'Il <strong>fascismo</strong> e i<br />

partiti politici italiani,' L. FABBRI, "La controrivoluzione preventiva", pag<strong>in</strong>e 21<br />

seguenti.; M. MISSIROLI, "Il <strong>fascismo</strong> e la crisi italiana", pag<strong>in</strong>e 14 seguenti.; G.<br />

ZIBORDI, "Critica socialista <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>", pag<strong>in</strong>e 16-42. Gli studi pubblicati <strong>in</strong> questa<br />

col<strong>le</strong>zione sono opera di uom<strong>in</strong>i <strong>le</strong> cui op<strong>in</strong>ioni politiche si differenziano largamente.<br />

Essi furono scritti tra la seconda metà <strong>del</strong> 1921 e la prima metà <strong>del</strong> 1922.<br />

Nell'<strong>in</strong>sieme, qu<strong>in</strong>di, costituiscono una fonte di prim'ord<strong>in</strong>e per <strong>le</strong> <strong>orig<strong>in</strong>i</strong> <strong>del</strong><br />

movimento fascista.<br />

N. 3. 'Ord<strong>in</strong>e nuovo,' 2 ottobre 1921; citato da A. TASCA, "Nascita e avvento <strong>del</strong><br />

<strong>fascismo</strong>", Firenze, La Nuova Italia, 1950, pag<strong>in</strong>e 153-54.<br />

N. 4. vedi cap. decimo, [pag. 182 <strong>del</strong> libro cartaceo].<br />

N. 5. A. LABRIOLA, "Le due politiche: <strong>fascismo</strong> e riformismo", Napoli, A. Morano,<br />

1924, pag. 164.<br />

N. 6. "Le Parti Socialiste Italien et l'Internationa<strong>le</strong> Communiste", Éditions de<br />

l'Internationa<strong>le</strong> Communiste, Pétrograd, 1921, pag<strong>in</strong>e 25, 87; A. TASCA, "Nascita e<br />

avvento <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>", cit., pag<strong>in</strong>e 121-122. Tasca era il rappresentante comunista di<br />

Tor<strong>in</strong>o presente alla riunione, ed è qu<strong>in</strong>di un testimone di prima mano. Egli scrive:<br />

'L'<strong>in</strong>surrezione armata è impossibi<strong>le</strong>, perché non vi è niente di pronto. Le masse si<br />

sentono sicure dietro i muri <strong>del</strong>l'offic<strong>in</strong>a, non tanto per il loro armamento, spesso<br />

primordia<strong>le</strong> ed <strong>in</strong>sufficiente, Quanto perché esse considerano <strong>le</strong> offic<strong>in</strong>e come pegni<br />

che il governo esiterà a distruggere a colpi di cannone per sloggiarne gli occupanti. Da<br />

questo atteggiamento 'difensivo' alla lotta aperta <strong>del</strong>la strada, la differenza è grande,<br />

e gli operai lo sentono, più o meno confusamente. A Tor<strong>in</strong>o stessa, dove pure vi è<br />

un'avanguardia audace e meglio armata che altrove, i capi comunisti si astengono da<br />

ogni <strong>in</strong>iziativa <strong>in</strong> questo senso e frenano i gruppi che hanno preparato, alla Fiat, dei<br />

camion per una sortita' (pag. 121).<br />

N. 7. 'L'Italia ha corso rischio di crepare <strong>in</strong> quei giorni: la rivoluzione non si è fatta,<br />

non perché ci fosse chi <strong>le</strong> contrastava il passo, ma perché la Confederazione <strong>del</strong><br />

lavoro non l'ha voluta.' 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 28 settembre 1920.<br />

N. 8. H. C. McLEAN, "Labor, Wages and Unemployment <strong>in</strong> Italy", United States<br />

Department of Commerce, Wash<strong>in</strong>gton, 1925, pag. 3.<br />

N. 9. A. DAUZAT, "La crise socia<strong>le</strong> en Italie", <strong>in</strong> 'Revue Mondia<strong>le</strong>,' 15 decembre 1920.<br />

N. 10. Sulla crisi che viene def<strong>in</strong>ita 'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche' abbiamo il resoconto<br />

<strong>del</strong> m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong> Lavoro, Labriola, al Senato, il 20 dicembre 1920 (A. LABRIOLA, "Le<br />

due politiche"..., cit., pag<strong>in</strong>e 297-311), e due narrazioni particolareggiate: una<br />

pubblicata negli 'Studies and Reports' <strong>del</strong>'International Labor Office (Series A, number<br />

11, Nov. 5, 1920); l'altra ad opera di una <strong>del</strong><strong>le</strong> più <strong>in</strong>telligenti autorità nel campo <strong>del</strong>la<br />

vita socia<strong>le</strong> ed economica italiana, RICCARDO BACHI ("L'Italia economica nel 1920",<br />

cit., pag. 347). Altri buoni resoconti <strong>in</strong>: E. VERCESI, "Il movimento cattolico <strong>in</strong> Italia",<br />

cit., pag<strong>in</strong>e 254 seguenti.; A. BORGHI, "L'Italia tra due Crispi", cit., pag<strong>in</strong>e 248-296;<br />

E. A. MOWRER, "Immortal Italy", cit., pag<strong>in</strong>e 329-34; O. POR, "Fascism", London,<br />

Labour Publish<strong>in</strong>g Co., 1923, pag<strong>in</strong>e 66 seguenti.; C. BEALS, "Rome or Death: The<br />

Story of Fascism", London, John Long, 1923, pag<strong>in</strong>e 35-38; P. H. BOX, "Three<br />

Masters Builders", London, Jarrolds, 1925, pag<strong>in</strong>e 135-37.<br />

N. 11. A. LABRIOLA, "Le due politiche", cit., pag<strong>in</strong>e 304-305.<br />

N. 12. Per questi <strong>del</strong>itti, nel marzo <strong>del</strong> 1922, undici persone furono condannate a<br />

pene varianti da uno a trent'anni di detenzione.<br />

N. 13. 'Survey Graphic,' New York, March 1927.<br />

N. 14. 'Popolo d'Italia,' 2 settembre 1920.<br />

N. 15. La notizia fu pubblicata dalla 'Giustizia,' quotidiano dei socialisti unitari, il 13<br />

dicembre 1922. Fu riprodotta testualmente dal 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 11 maggio 1923,


nel corso di una po<strong>le</strong>mica col 'Popolo d'Italia.' Mussol<strong>in</strong>i non smentì. Nella primavera<br />

1926, a Londra, Buozzi parlando con lo scrivente ne confermava la veridicità. Non è<br />

chiaro ciò che <strong>in</strong>tendesse Mussol<strong>in</strong>i m<strong>in</strong>acciando di opporsi al governo bolscevico,<br />

dopo aver detto che poco gli importava che <strong>le</strong> fabbriche appartenessero ai datori di<br />

lavoro o agli operai. Probabilmente vo<strong>le</strong>va tenere un piede <strong>in</strong> tutte e due <strong>le</strong> staffe. Se<br />

<strong>le</strong> cose andavano bene per gli operai, si sarebbe richiamato alla prima parte <strong>del</strong> suo<br />

discorso per dimostrare che lui era stato favorevo<strong>le</strong> agli operai; se <strong>le</strong> cose con questi<br />

andavano ma<strong>le</strong> - come di fatto avvenne - poteva rivendicare il merito di essersi<br />

opposto al pericolo bolscevico.<br />

N. 16. 'Popolo d'Italia,' 28 settembre 1920.<br />

N. 17. Ibidem.<br />

N. 18. 'Popolo d'Italia,' 28 settembre 1920.<br />

N. 19. 'Il fallimento <strong>del</strong>l'esperimento ha avuto una notevolissima importanza storica;<br />

la classe operaia ha molto imparato lungo quel<strong>le</strong> settimane.' R. BACHI, "L'Italia<br />

economica nel 1920", cit., pag. 348.<br />

N. 20. A. TASCA, "Nascita e avvento <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>", cit., pag<strong>in</strong>e 122-23.<br />

N. 21. Il fatto fu rivelato nel 1921 da G. DE FALCO, "Il <strong>fascismo</strong> milizia di classe"<br />

(nella col<strong>le</strong>zione 'Il <strong>fascismo</strong> e i partiti politici italiani'), Bologna, Cappelli, 1921, pag.<br />

26. Bonomi, che era m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Guerra nel 1920 nel gab<strong>in</strong>etto Giolitti, così spiegò il<br />

fatto: 'Nell'ottobre 1920 uno dei tanti uffici <strong>del</strong>lo Stato Maggiore, senza <strong>in</strong>terrogare né<br />

il capo <strong>del</strong>lo Stato Maggiore né il m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Guerra, chiedeva <strong>in</strong>formazioni sui<br />

primi fasci di combattimento, con una dizione che poteva <strong>in</strong>generare qualche equivoco<br />

circa l'apprezzamento di quei primi fasci, allora più dannunziani che mussol<strong>in</strong>iani. Un<br />

comandante <strong>del</strong>l'Italia Centra<strong>le</strong> - o meglio, come si assodò <strong>in</strong> seguito, un suo<br />

subalterno - <strong>in</strong>terpretò quella richiesta di <strong>in</strong>formazioni come un'adesione, e stilò e<br />

divulgò una circolare laudativa dei fasci, dirigendola ai comandi militari dipendenti e ai<br />

tre prefetti <strong>del</strong>la regione. Il gab<strong>in</strong>etto <strong>del</strong>l'Interno, a cui la circolare pervenne, ne<br />

diede doverosa notizia al sottoscritto, allora m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Guerra, ed io concordai<br />

subito con il capo <strong>del</strong>lo Stato Maggiore, genera<strong>le</strong> Badoglio, e a sua firma, una esplicita<br />

circolare a tutti i comandi militari d'Italia per ri<strong>le</strong>vare il grave errore <strong>in</strong> cui taluno era<br />

caduto e per riaffermare che l'esercito era e rimaneva estraneo al<strong>le</strong> competizioni di<br />

parte.' ('L'Azione, rassegna di cultura politica, socia<strong>le</strong>, <strong>le</strong>tteraria,' Roma, 9 marzo<br />

1924.) Gobetti replicava ('La Rivoluzione Libera<strong>le</strong>,' 18 marco 1924): 'Bonomi pretende<br />

da noi una scempiagg<strong>in</strong>e esagerata.' Già nel 1919 esisteva tra <strong>le</strong> autorità militari un<br />

piano per <strong>org</strong>anizzare una 'guardia bianca' contro i 'bolscevichi.' Nel dicembre 1919,<br />

due uom<strong>in</strong>i che erano ritornati dalla guerra, un <strong>in</strong>segnante di Genova, e un dirigente<br />

<strong>del</strong><strong>le</strong> ferrovie di Firenze, furono avvic<strong>in</strong>ati dai loro ex-comandanti militari, che gli<br />

chiesero di raccogliere <strong>in</strong>torno a sé gruppi di 'guardie bianche,' al<strong>le</strong> quali <strong>le</strong> autorità<br />

militari avrebbero fornito armi e denari. Tutti e due rifiutarono. e' più che probabi<strong>le</strong><br />

che nel 1919 e 1920 un certo numero di gruppi fascisti siano stati <strong>org</strong>anizzati <strong>in</strong><br />

questo modo. Ma <strong>in</strong> questo periodo era presidente <strong>del</strong> Consiglio Nitti, gli ufficiali non<br />

ricevevano ord<strong>in</strong>i <strong>del</strong> genere dal m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Guerra, e qu<strong>in</strong>di non furono molti gli<br />

ufficiali che agirono di loro <strong>in</strong>iziativa. Solo quando a Nitti successe Giolitti, e dopo<br />

l'occupazione <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche, <strong>le</strong> alte autorità militari ebbero via libera per mettere <strong>in</strong><br />

esecuzione il piano che avevano già pronto da un anno.<br />

NOTE: OSSERVAZIONI AL CAPITOLO DICIASSETTESIMO.<br />

N. 1. "The Red Dragon and the Black Shirts, How Italy Found Her Soul: the True (sic)<br />

Story of the Fascist Movement", London, Carmelite House, 1923, pag. 13.<br />

N. 2. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 2, 3, 4 marzo 1922.<br />

N. 3. "The Awaken<strong>in</strong>g of Italy", cit., pag<strong>in</strong>e 94-97.<br />

N. 4. Federazione italiana operai metallurgici.<br />

N. 5. R. BACHI, "L'Italia economica nel 1920", cit., pag. 347.


N. 6. R. BACHI, "L'Italia economica", 1919, pag. 106; 1920, pag. 119; 1921, pag.<br />

100.<br />

NOTE AL CAPITOLO DICIOTTESIMO.<br />

N. 1. A. BALABANOFF, "My Life as a Rebel", cit., pag. 262.<br />

N. 2. Vedi Cap. qu<strong>in</strong>dicesimo, [pag. 247 <strong>del</strong> libro cartaceo].<br />

N. 3. LENIN, "La maladie <strong>in</strong>fanti<strong>le</strong> du Communisme", Paris, Bibliotheque Communiste,<br />

1920, pag<strong>in</strong>e 78, 131 seguenti.<br />

N. 4. I documenti <strong>del</strong>la controversia tra Serrati, da una parte, e Z<strong>in</strong>oviev e Len<strong>in</strong>,<br />

dall'altra, si trovano raccolti nel volume "Le Parti Socialiste Italien et l'Internationa<strong>le</strong><br />

Communiste", cit.<br />

N. 5. A. BALABANOFF, "My Life as a Rebel", cit., pag<strong>in</strong>e 265-266.<br />

N. 6. "Le Parti Socialiste Italien et l'Internationa<strong>le</strong> Communiste", cit., pag<strong>in</strong>e 14, 24,<br />

28, 87.<br />

N. 7. U. GIUSTI, "Le correnti politiche italiane attraverso due riforme e<strong>le</strong>ttorali", cit.,<br />

pag<strong>in</strong>e 32-33.<br />

N. 8. "Avanti!",' 16 ottobre 1920.<br />

N. 9. Abbiamo avuto ta<strong>le</strong> notizia da Guglielmo Ferrero, il qua<strong>le</strong> la seppe da Ol<strong>in</strong>do<br />

Malagodi, direttore <strong>del</strong> quotidiano romano 'La Tribuna,' e <strong>in</strong>timo di Giolitti.<br />

N. 10. Essi furono pubblicati per esteso dalla stampa <strong>del</strong> tempo. Noi ci siamo serviti<br />

dei resoconti <strong>del</strong> 'Corriere <strong>del</strong>la Sera.'<br />

N. 11. Vedi Cap. terzo, [pag<strong>in</strong>e 49-50 <strong>del</strong> libro cartaceo].<br />

N. 12. 'Pers<strong>in</strong>o l'<strong>org</strong>ano <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>, dopo avere agitato per due anni con la massima<br />

vio<strong>le</strong>nza la questione dalmatica, si piegò su se stesso, s'ammosciò, r<strong>in</strong>negò la sua<br />

tesi, predicò la rassegnazione, abbandonò D'Annunzio.' A. TAMARO, "Il Trattato di<br />

Rapallo", <strong>in</strong> 'Politica,' VI, 246, novembre 1920.<br />

N. 13. 'Popolo d'Italia.'<br />

N. 14. Cit. trad.<br />

N. 15. 'Si arruolarono nei Fasci non solo perché non avevano educazione politica, ma<br />

anche perché vo<strong>le</strong>vano avere una parte <strong>in</strong> quello che stava accadendo, e non<br />

vedevano nessuna possibilità di realizzazione nel<strong>le</strong> loro speranze comuniste.' O. POR,<br />

"Fascism", cit., pag. 107.<br />

N. 16. L. FABBRI, "La controrivoluzione preventiva", cit., pag. 37.<br />

N. 17. U. BANCHELLI, "Le memorie di un fascista", Firenze, Sassaiola Fiorent<strong>in</strong>a,<br />

1922. Questo libro è un documento tipico a mostrare la <strong>in</strong>credibi<strong>le</strong> confusione mora<strong>le</strong><br />

e menta<strong>le</strong> creata <strong>in</strong> molti giovani generosi e <strong>in</strong>telligenti dalla propaganda caotica di<br />

uom<strong>in</strong>i come D'Annunzio e Mussol<strong>in</strong>i.<br />

N. 18. U. BANCHELLI, op. Cit., pag<strong>in</strong>e 12, 15, 35. Luigi Villari così ebbe a scrivere<br />

('Manchester Guardian,' 27 marzo 1926): "E neppure 'molti' dei capitalisti<br />

simpatizzarono con il <strong>fascismo</strong>; e <strong>in</strong> ogni modo essi non furono certo gli <strong>org</strong>anizzatori<br />

<strong>del</strong> movimento." L'equivoco consiste precisamente nell'uso che si fa <strong>del</strong>la parola<br />

"molti". E' assolutamente vero che non tutti i capitalisti, senza eccezioni, sussidiarono<br />

il <strong>fascismo</strong>. Quanto agli '<strong>org</strong>anizzatori <strong>del</strong> movimento,' vedremo nel<strong>le</strong> prossime pag<strong>in</strong>e<br />

chi erano.<br />

NOTE AL CAPITOLO DICIANNOVESIMO.<br />

N. 1. O. POR, "Fascism", cit., pag. 106.<br />

N. 2. C. MALAPARTE, "Tecnica <strong>del</strong> colpo di stato", Milano, Bompiani, 1947, pag. 165.<br />

N. 3. L. FABBRI, "La controrivoluzione preventiva", cit., pag. 55; E. A. MOWRER,<br />

"Immortal Italy", cit., pag<strong>in</strong>e 357-360.<br />

N. 4. "Se la vio<strong>le</strong>nza socialista rasentò spesso il <strong>del</strong>itto e, qualche volta, lo sorpassò<br />

nel<strong>le</strong> barbarie <strong>in</strong>audite <strong>del</strong><strong>le</strong> rappresaglie, la nostra coscienza civi<strong>le</strong> si rifugiava nel<br />

pensiero che <strong>le</strong> masse potevano, <strong>le</strong>ntamente, essere educate, sol<strong>le</strong>vate dalla cieca


cru<strong>del</strong>tà <strong>del</strong>l'ist<strong>in</strong>to e <strong>del</strong>l'egoismo ottuso. Ma nessuna scusa, nessuna consolazione ci<br />

soccorre quando pensiamo alla vio<strong>le</strong>nza, premeditata ed armata, dei b<strong>org</strong>hesi senza<br />

cuore, cui la superiorità illimitata <strong>del</strong>l'educazione, <strong>del</strong>l'istruzione, <strong>del</strong> censo, <strong>del</strong><br />

costume, <strong>del</strong>la vita, non impedì di uccidere, e, peggio ancora, di percuotere. (...) Se<br />

l'agguato dei <strong>le</strong>ghisti è sempre <strong>in</strong>fame, la spedizione punitiva, capitanata da giovani<br />

studenti o laureati, da giovani che hanno studiato nel<strong>le</strong> nostre università, che hanno<br />

<strong>le</strong>tto Carducci e recitato, chissà quante volte, il 'Canto <strong>del</strong>l'amore', non è pensabi<strong>le</strong><br />

senza che una 'solitud<strong>in</strong>e fredda si dilati nell'anima nostra." M. MISSIROLI, "Il<br />

<strong>fascismo</strong> e la crisi italiana", Bologna, Cappelli, 1921, pag. 36 (nella col<strong>le</strong>zione 'Il<br />

<strong>fascismo</strong> e i partiti politici italiani'). Più tardi Missiroli divenne un seguace di Mussol<strong>in</strong>i.<br />

N. 5. L. FABBRI, "La controrivoluzione preventiva", cit., pag<strong>in</strong>e 59-61.<br />

N. 6. E. A. MOWRER, "Immortal Italy", cit., pag. 369.<br />

N. 7. L. VILLARI, "The Awaken<strong>in</strong>g of Italy", cit.<br />

N. 8. Discorso al congresso dei s<strong>in</strong>dacati fascisti, "Scritti e Discorsi", VI, 162.<br />

N. 9. B. GIULIANO, "L'esperienza politica <strong>del</strong>l'Italia", Firenze, Val<strong>le</strong>cchi, 1924, pag<strong>in</strong>e<br />

185-186. Secondo <strong>le</strong> paro<strong>le</strong> di Rocco: 'Il <strong>fascismo</strong> à semplicemente <strong>del</strong> nazionalismo<br />

<strong>in</strong>conscio. Noi abbiamo una dottr<strong>in</strong>a <strong>org</strong>anica, e una concezione <strong>del</strong>lo Stato comp<strong>le</strong>ta.<br />

I fascisti hanno cuore e sentimenti patriottici. (...) Non si deve dare troppa<br />

importanza agli eccessi verbali <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>.' 'Idea Naziona<strong>le</strong>,' 27 maggio 1921 (cit.<br />

trad.).<br />

N. 10. P. PHILLIPS, "The Red Dragon and the Black Shirts", cit., pag<strong>in</strong>e 11-13.<br />

N. 11. L. FABBRI, "La controrivoluzione preventiva", cit., pag<strong>in</strong>e 96-97.<br />

N. 12. Nella prefazione alla edizione americana dei discorsi di A. Rocco, "The Political<br />

Dottr<strong>in</strong>e of Fascism", New York, Carnegie Endowment, 1926. Una descrizione<br />

piuttosto condensata ma oggettiva <strong>del</strong>la vita italiana durante gli anni 1921-22, e che<br />

contiene molti particolari importanti, à <strong>in</strong> C. BEALS, "Rome or Death", cit., pag<strong>in</strong>e 45-<br />

60, 105-108, 131-141.<br />

N. 13. Deposizione di Galliano Gervasi durante il processo ad Arezzo, 'Corriere <strong>del</strong>la<br />

Sera,' 17 ottobre 1924.<br />

N. 14. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 13 dicembre 1924.<br />

N. 15. Nella narrazione dei fatti, abbiamo seguito la versione data dal 'Corriere <strong>del</strong>la<br />

Sera,' 13, 19 e 20 apri<strong>le</strong> 1921. Non ci siamo serviti di giornali antifascisti, perché si<br />

sarebbero potuti sospettare di esagerazione, dati gli atroci particolari <strong>in</strong> essi riportati.<br />

N. 16. A prova di questo fatto, essenzia<strong>le</strong> per comprendere <strong>le</strong> <strong>orig<strong>in</strong>i</strong> <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>, si<br />

potrebbero raccogliere molte testimonianze. Tra quel<strong>le</strong> più immediate, pubblicate nel<br />

1921 e 1922, basti ricordare E. A. MOWRER, "Immortal Italy", cit., pag<strong>in</strong>e 343-347;<br />

M. MISSIROLI, "Il <strong>fascismo</strong> e la crisi italiana", cit., pag. 14: L. FABBRI, "La<br />

controrivoluzione preventiva", cit., pag. 21; C. DEGLI OCCHI, "Che cosa ho pensato<br />

<strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> quand'ero popolare", Bologna, Cappelli, 1923, pag. 21. Tra i testimoni<br />

che scrissero dopo la marcia su Roma, ne ricorderemo soltanto tre: 1) I padri gesuiti<br />

<strong>del</strong>la 'Civiltà Cattolica' scrissero (24 gennaio 1924): 'Quando il pericolo fu maggiore,<br />

cioè nei due anni dopo l'armistizio, i fascisti erano appena nati (...) e quando<br />

f<strong>in</strong>almente i fascisti furono <strong>in</strong> grado di scendere <strong>in</strong> campo, il che avvenne (...)<br />

coll'anno 1921 e più propriamente con <strong>le</strong> e<strong>le</strong>zioni politiche <strong>del</strong> maggio, il pericolo si<br />

poteva dire superato, per più ragioni. (...) Dopo di che (...) l'arrogarsi che i fascisti<br />

fanno di essere i salvatori d'Italia è quanto farsi belli <strong>del</strong><strong>le</strong> penne altrui. Ciò che essi<br />

pretendono d'aver salvato, era già salvo!' 2) In modo più conciso, e penetrando più a<br />

fondo nel significato di quegli eventi, G. PREZZOLINI, ora professore alla Columbia<br />

University e collaboratore volontario <strong>del</strong>la politica fascista <strong>in</strong> America, affermava nel<br />

1925 ("Le fascisme", Paris, Bossard, 1925, pag. 236): 'Il <strong>fascismo</strong> fu piuttosto<br />

l'effetto che non la causa <strong>del</strong> dissolvimento <strong>del</strong> comunismo <strong>in</strong> Italia.' 3) Il senatore G.<br />

FORTUNATO, uomo superiore ad ogni sospetto di parzialità per nobiltà d'<strong>in</strong>tel<strong>le</strong>tto e di<br />

carattere, nel 1926 scrisse un "pamph<strong>le</strong>t", "Nel Regime Fascista", di cui i fascisti


proibirono la pubblicazione, ma di cui furono <strong>in</strong> circolazione copie clandest<strong>in</strong>e: 'Già il<br />

pericolo di una rivolta dalla s<strong>in</strong>istra era stato superato, quando si sviluppò,<br />

rapidamente e <strong>in</strong>aspettatamente, l'attacco dalla destra, favorito dalla plutocrazia e dal<br />

militarismo' (cit. trad.). Anche lo scrittore <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se P. H. BOX, a cui si deve uno dei più<br />

penetranti studi sul<strong>le</strong> <strong>orig<strong>in</strong>i</strong> <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>, dice chiaramente che 'il comunismo<br />

rivoluzionario era già sconfitto dal buon senso <strong>del</strong> popolo italiano, prima che i fascisti<br />

trionfanti piombassero sul<strong>le</strong> sue forze scompag<strong>in</strong>ate.' "(Three Masters Builders", cit.,<br />

prefazione e pag<strong>in</strong>e 18-19.)<br />

N. 17. Abbiamo ricostruito quei fatti con l'aiuto <strong>del</strong> 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 28 febbraio,<br />

1, 2, 3, 4, 5 marzo 1921. Nel 1921, il 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' era filofascista, deplorando<br />

soltanto gli eccessi più scandalosi, e richiamando il governo perché si svegliasse dalla<br />

sua <strong>in</strong>erzia e ristabilisse la pace pubblica. Il corrispondente fiorent<strong>in</strong>o era apertamente<br />

<strong>in</strong> favore dei fascisti, e coloriva <strong>le</strong> sue corrispondenze sulla guerra civi<strong>le</strong> <strong>in</strong> modo da<br />

mettere sempre gli antifascisti <strong>in</strong> una luce sfavorevo<strong>le</strong>. Possiamo qu<strong>in</strong>di essere sicuri,<br />

che basando la nostra narrazione sul<strong>le</strong> corrispondenze <strong>del</strong> 'Corriere' non si darà un<br />

peso eccessivo al<strong>le</strong> accuse contro i fascisti.<br />

N. 18. Il corrispondente <strong>del</strong> 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 28 febbraio 1921, parlando di questo<br />

'stato di grande eccitazione' <strong>del</strong> carab<strong>in</strong>iere, aggiunge che l'uomo che non si era<br />

<strong>le</strong>vato il cappello avrebbe detto: 'E' morto un carab<strong>in</strong>iere? Ce n'è uno di meno!,' e che<br />

il carab<strong>in</strong>iere sparò all'udire queste paro<strong>le</strong>. Siamo <strong>in</strong> grado di smentire questo<br />

particolare, basandoci sulla versione di un <strong>in</strong>segnante, amico di chi scrive, che si<br />

trovava accanto all'uomo che venne ucciso. Ta<strong>le</strong> <strong>in</strong>segnante, sebbene a quel tempo<br />

vedesse assai di buon occhio il movimento fascista, da uomo di onore, più tardi nello<br />

stesso giorno riferì all'autore che il ferroviere non pronunciò mai quel<strong>le</strong> paro<strong>le</strong>. Si può,<br />

tuttavia, capire e pers<strong>in</strong>o scusare il carab<strong>in</strong>iere, per aver perduto il proprio controllo<br />

alla morte <strong>del</strong> compagno e al pensiero che, se uno non si <strong>le</strong>vava il cappello, ciò<br />

significava disprezzo.<br />

N. 19. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 1 marzo 1921.<br />

N. 20. Tali particolari vennero alla luce durante il processo al<strong>le</strong> Assise di Firenze<br />

nell'autunno 1922.<br />

N. 21. Tali particolari vennero alla luce durante il processo al<strong>le</strong> Assise di Firenze.<br />

N. 22. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 1 luglio 1922.<br />

N. 23. A. BORGHI, "Errico Malatesta", cit., pag. 241.<br />

N. 23 bis. Dei tre uom<strong>in</strong>i ritenuti responsabili per ta<strong>le</strong> <strong>del</strong>itto, due vennero condannati<br />

all'ergastolo, uno a trent'anni; tre altre persone vennero condannate a dodici anni;<br />

molti altri a pene m<strong>in</strong>ori.<br />

N. 24. A. BORGHI, "Errico Malatesta", 2 ed., Milano, Istituto editoria<strong>le</strong> italiano, 1947,<br />

pag. 228. E' <strong>in</strong>teressante quanto scrive B<strong>org</strong>hi, a proposito di Malatesta, di se stesso<br />

e degli altri prigionieri, <strong>in</strong> attesa <strong>in</strong> carcere, mentre cont<strong>in</strong>uava trionfante l'attacco<br />

fascista. 'Ad Errico sembrava <strong>in</strong>credibi<strong>le</strong> quello che ci riusciva di <strong>le</strong>ggere di straforo o<br />

che apprendevamo ai colloqui. Gli <strong>in</strong>cendi di Bologna, <strong>le</strong> uccisioni di Firenze, i<br />

massacri un po' dappertutto, confrontati con lo sviluppo di forza che aveva dimostrato<br />

il pro<strong>le</strong>tariato solo pochi mesi <strong>in</strong>nanzi, gli sembravano brutti scherzi <strong>del</strong>la fantasia.<br />

Pensavamo che da un giorno all'altro avremmo avuto la lieta notizia <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>surrezione<br />

genera<strong>le</strong>' (pag<strong>in</strong>e 221-222). La fonte di questa <strong>in</strong>fondata speranza era sempre la<br />

stessa: quella di tutti i rivoluzionari <strong>in</strong> Italia e altrove, ieri, oggi e, ho paura, sempre:<br />

l'illusione che il pro<strong>le</strong>tariato sia una classe rivoluzionaria.<br />

N. 25. Al processo, che si ce<strong>le</strong>brò nel luglio 1921, tutti gli imputati vennero assolti.<br />

NOTE AL CAPITOLO VENTESIMO.<br />

N. 1. E. A. MOWRER, "Immortal Italy", cit., pag. 364.<br />

N. 2. 'Popolo d'Italia.'


N. 3. Oltre a Mussol<strong>in</strong>i, si possono contare molti testimoni. Ricorderemo R. BACHI,<br />

"L'Italia economica nel 1921", pag<strong>in</strong>e 225, 330, 339; I. BONOMI, "Dal socialismo al<br />

<strong>fascismo</strong>", Roma, Formigg<strong>in</strong>i, 1924, pag. 39. W<strong>in</strong>ston Churchill, parlando a Dundee il<br />

26 settembre 1921, annunciò al suo auditorio che l'Italia non era più m<strong>in</strong>acciata dal<br />

'bolscevismo.' Il 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' e molti altri giornali <strong>del</strong> 27 settembre,<br />

riprodussero il giudizio di Churchill senza metterne <strong>in</strong> dubbio l'esattezza. Nel maggio<br />

1922, il nazionalista B. GIULIANO, scrisse: 'Di fronte alla m<strong>in</strong>accia <strong>del</strong>la rivoluzione,<br />

era natura<strong>le</strong> che la sua gesta controrivoluzionaria (<strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>) s<strong>in</strong>tetizzasse gli<br />

<strong>in</strong>teressi di tutta la nazione. Ma è anche natura<strong>le</strong> che non sia più così oggi, quando si<br />

è allontanata la m<strong>in</strong>accia' ("L'esperienza politica <strong>del</strong>l'Italia", cit., pag. 191). Nel 'New<br />

York Times Book Reviews,' 6 febbraio 1927, Simon Strunsky faceva <strong>le</strong> seguenti<br />

affermazioni: 'Se l'Italia non avesse accettato il <strong>fascismo</strong> nell'ottobre 1922, essa<br />

sarebbe caduta <strong>in</strong> preda al bolscevismo. Questa è una affermazione comune, ma non<br />

è una affermazione comp<strong>le</strong>ta. Il pubblico americano ha mostrato <strong>in</strong> modo<br />

sorprendente di essersi dimenticato di un fatto di estrema importanza: che il<br />

bolscevismo <strong>in</strong> Italia ha costituito una m<strong>in</strong>accia, che è stata sventata due anni prima<br />

che Mussol<strong>in</strong>i andasse al governo. Può essere che nel 1922 si stesse preparando<br />

un'altra m<strong>in</strong>accia bolscevica, ma <strong>le</strong> cronache quotidiane <strong>del</strong> tempo non lo <strong>in</strong>dicano, e<br />

lo straord<strong>in</strong>ario episodio <strong>del</strong>l'occupazione e <strong>del</strong>la resa <strong>del</strong><strong>le</strong> fabbriche, nel settembre<br />

1920, è un argomento a prima vista contro ta<strong>le</strong> tesi. Che il popolo italiano si sia<br />

gettato nel<strong>le</strong> braccia <strong>del</strong> bolscevismo due anni prima e sia stato salvato dal suicidio<br />

per l'<strong>in</strong>tervento fascista, è una congettura che si basa sulla fede più che su prove<br />

evidenti.'<br />

N. 4. U. BANCHELLI, "Le memorie di un fascista", cit., pag. 218; G. A. CHIURLO,<br />

"Storia <strong>del</strong>la Rivoluzione Fascista", Firenze, Val<strong>le</strong>cchi, 1929, voll. 5, III, 459-466.<br />

N. 5. Non tutti i capi militari ebbero parte nella congiura. Badoglio, come capo di stato<br />

maggiore, aveva avuto all'<strong>in</strong>izio la sua parte nell'armare i fascisti, perché Giolitti e<br />

Bonomi avevano autorizzato la cosa. Nel febbraio 1921, si dimise. Egli non vo<strong>le</strong>va<br />

mescolarsi con la politica. Il suo posto fu preso dal genera<strong>le</strong> Vaccari, uno dei protetti<br />

<strong>del</strong> Duca d'Aosta. Altri generali si rifiutarono di avere una qualche parte <strong>in</strong><br />

quell'imbroglio, ma non avendo istruzioni dal<strong>le</strong> autorità superiori, se ne rimasero<br />

spettatori passivi di quegli eventi. La maggioranza prese, più o meno apertamente,<br />

parte attiva nella sedizione.<br />

N.6. Citato da Gobetti, <strong>in</strong> 'La Rivoluzione Libera<strong>le</strong>,' 18 marzo 1924.<br />

N. 7. La <strong>le</strong>ttera venne riprodotta nell''Avanti!,' 26 luglio 1924; confer anche A. TASCA,<br />

"Nascita e avvento <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>", cit., pag. 160.<br />

N. 8. E. A. MOWRER, "Immortal Italy", cit., pag. 367.<br />

N. 9. Lo stesso Bald<strong>in</strong>i raccontò a chi scrive <strong>del</strong>la promessa fattagli da Bonomi.<br />

N. 10. Secondo il "Regolamento per il servizio territoria<strong>le</strong>", 8 luglio 1883 (Art. 30, par.<br />

218), <strong>le</strong> autorità militari non possono prendere nessuna <strong>in</strong>iziativa nella repressione di<br />

disord<strong>in</strong>i, se non siano state prima richieste dalla polizia. Ma l'appendice al<br />

regolamento, pubblicata nel 1899, e ancora <strong>in</strong> vigore nel 1922 (vedi l'edizione <strong>del</strong><br />

1922), stabiliva che era dovere <strong>del</strong><strong>le</strong> autorità militari prendere <strong>le</strong> misure necessarie<br />

per la repressione, <strong>in</strong> caso di gravi disord<strong>in</strong>i, anche se non ci sia stata nessuna<br />

precedente richiesta da parte <strong>del</strong>la polizia.<br />

N. 11. Il 'Resto <strong>del</strong> Carl<strong>in</strong>o,' 11 settembre 1921.<br />

N. 12. Ibidem.<br />

N. 13. 'Resto <strong>del</strong> Carl<strong>in</strong>o,' 13 settembre 1921.<br />

N. 14. Va tenuto presente che il 'Giorna<strong>le</strong> d'Italia' era favorevo<strong>le</strong> ai fascisti, e protestò<br />

contro i 'resoconti esagerati' che furono messi <strong>in</strong> circolazione sugli <strong>in</strong>cidenti di<br />

Ravenna. (Citazione parzialmente tradotta.)<br />

N. 15. Questa parte <strong>del</strong> racconto si deve <strong>in</strong>tendere "cum grano salis". Nel<strong>le</strong> cronache<br />

di queste spedizioni che danno i giornali fascisti o filofascisti, gli scontri hanno sempre


<strong>in</strong>izio per uno sparo o una provocazione dei comunisti. In questo caso, è possibi<strong>le</strong> che<br />

due comunisti siano scomparsi dopo avere sparato due volte contro i fascisti e senza<br />

ferire nessuno? Luigi Fabbri ("La controrivoluzione preventiva", cit., pag<strong>in</strong>e 66-67)<br />

descrive i fatti come segue: 'Nella loro marcia militare i fascisti devastano,<br />

nell'andata, i circoli di Godo e San Miche<strong>le</strong> Fornace. A Ravenna com<strong>in</strong>ciano subito con<br />

<strong>le</strong> imposizioni di scoprirsi al passaggio dei gagliardetti; e bastonate ai recalcitranti!<br />

Fra i bastonati c'è anche qualche straniero venuto per l'occasione. La matt<strong>in</strong>a <strong>del</strong> 12<br />

settembre i fascisti irrompono <strong>in</strong> un'osteria e vogliono i documenti personali dei<br />

presenti. Uno, certo Colombo, scoperto con la tessera <strong>del</strong>la Camera <strong>del</strong> lavoro, è<br />

<strong>in</strong>vestito con furore; fugge ed è <strong>in</strong>seguito coi bastoni <strong>le</strong>vati. S'ode f<strong>in</strong>almente un colpo<br />

di rivoltella... Il pretesto è creato; e nel pomeriggio <strong>in</strong>com<strong>in</strong>ciano <strong>le</strong> spedizioni<br />

punitive.' Tra la versione fascista e quella antifascista, è possibi<strong>le</strong> arrivare alla esatta<br />

verità.<br />

N. 16. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 27 settembre 1921.<br />

N. 17. 'Popolo d'Italia,' 24 apri<strong>le</strong> 1923.<br />

N. 18. Verdetto <strong>del</strong>la Commissione arbitra<strong>le</strong> <strong>del</strong>la associazione giornalisti lombardi,<br />

febbraio 1920, nel 'Secolo,' 14 febbraio 1920.<br />

N. 19. 'Popolo d'Italia.'<br />

N. 20. 'Popolo d'Italia,' 18 novembre 1921.<br />

N. 21. B. MUSSOLINI, "La nuova politica <strong>del</strong>l'Italia", Milano, Alpes, 1925, pag. 18.<br />

N. 22. 'Popolo d'Italia,' 23 marzo 1929.<br />

N. 23. M. PANTALEONI, "Bolscevismo italiano", cit., pag. XXXI; G. A. CHIURCO,<br />

"Storia <strong>del</strong>la Rivoluzione Fascista", cit., IV, 33.<br />

N. 24. G. ALESSIO, professore all'Università di Padova nella facoltà di <strong>le</strong>gge e m<strong>in</strong>istro<br />

<strong>del</strong>la Giustizia dal giugno 1920 al giugno 1921, affermò pubblicamente nel 1925,<br />

senza che nessuno lo abbia mai smentito: 'Generali, malcontenti d'un assegno troppo<br />

poco rispondente al<strong>le</strong> loro reali benemerenze, <strong>in</strong>quadrarono <strong>le</strong> forze <strong>in</strong>composte' ("Per<br />

una nuova democrazia, Relazioni e discorsi al primo Congresso <strong>del</strong>l'Unione naziona<strong>le</strong>",<br />

Roma, 1925, Società Italiana di Edizioni, pag. 89).<br />

NOTE AL CAPITOLO VENTUNESIMO.<br />

N. 1. Cit. trad.<br />

N. 2. Lettera di Grandi a Missiroli, pubblicata con facsimi<strong>le</strong> ne 'Il Carroccio,' New York,<br />

gennaio 1928, pag. 12. Confer Cap. XVIII, pag. 538. Il 'Carroccio' era una rivista<br />

fascista.<br />

N. 3. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 1 ottobre 1921.<br />

N. 4. A. MOWRER, "Immortal Italy", cit., pag. 367.<br />

N. 5. Salvem<strong>in</strong>i <strong>in</strong>troduce a questo punto la seguente frase: 'Nessuno può giurare che<br />

la causa d'Italia sia necessariamente <strong>le</strong>gata alla sorte <strong>del</strong>la monarchia, come<br />

pretendono i nazionalisti, o al<strong>le</strong> istituzioni <strong>del</strong>la repubblica, come credono i<br />

repubblicani.' Ma essa fa parte di un articolo di Mussol<strong>in</strong>i <strong>del</strong> giorno seguente ('Popolo<br />

d'Italia,' 26 maggio 1921). [N.d.C.]<br />

N. 6. 'Popolo d'Italia,' 25 maggio 1921.<br />

N. 7. Si veda l'articolo <strong>del</strong> luglio 1921 di M. PANTALEONI, dove si denuncia la<br />

degenerazione 'bolscevica' <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> ("Bolscevismo italiano", cit., pag<strong>in</strong>e 214<br />

seguenti).<br />

N. 8. 'Popolo d'Italia.'<br />

N. 9. 'Popolo d'Italia,' 24 luglio 1921.<br />

N. 10. C. BEALS, "Rome or Death", cit., pag. 64.<br />

N. 11. 'Popolo d'Italia.'<br />

N. 12. 'Popolo d'Italia.'<br />

N. 13 'Popolo d'Italia.'<br />

N. 14 'Idea Naziona<strong>le</strong>,' 27 novembre 1921.


N. 14 bis. G. VOLPE, "Lo sviluppo storico <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>", <strong>in</strong> "La Civiltà Fascista",<br />

Tor<strong>in</strong>o, U.T.E.T., 1928, pag<strong>in</strong>e 12-14.<br />

N. 15. C. PELLIZZI, "Prob<strong>le</strong>mi e realtà <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>", cit., pag. 101.<br />

N. 16. C. YARROW, nella sua sfortunatamente ancora <strong>in</strong>edita Ph. D. dissertation,<br />

"Ideological Orig<strong>in</strong>s of Italian Fascism", Ya<strong>le</strong> University, 1934, pag. 184.<br />

N. 17. B. GIULIANO, "L'esperienza politica <strong>del</strong>l'Italia", cit., pag. 307.<br />

N. 18. 'Popolo d'Italia,' 22 novembre 1921.<br />

N. 19. 'Il merito <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> è stato quello di affermare con una mirabi<strong>le</strong> chiarezza<br />

teorica, l'esigenza <strong>del</strong>la controrivoluzione naziona<strong>le</strong> (...) ed il merito <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> è<br />

stato quello di avere operato una ta<strong>le</strong> rivoluzione salvatrice' (B. GIULIANO,<br />

"L'esperienza politica <strong>del</strong>l'Italia", cit., pag. 306). Nel 1932, nei suoi colloqui con<br />

Ludwig, Mussol<strong>in</strong>i disse: 'Quella parola (rivoluzione permanente) fa un'impressione<br />

mistica sulla massa. Anche sugli spiriti superiori ha un effetto stimolante. Costituisce<br />

una eccezione nel tempo e dà all'uomo comune l'impressione di prender parte ad un<br />

movimento ecceziona<strong>le</strong>' (E. LUDWIG, "Colloqui con Mussol<strong>in</strong>i", Milano, Mondadori,<br />

1932, pag<strong>in</strong>e 106-107).<br />

N. 20. Cit. trad.<br />

N. 21. G. K. CHESTERTON, "The Resurrection of Rome", New York, Dodd, Mead & C.,<br />

1930, pag<strong>in</strong>e 219 seguenti (Michael Coll<strong>in</strong>s, 1890-1922, fu uno dei <strong>le</strong>aders <strong>del</strong><br />

nazionalismo irlandese. [N.d.C.I).<br />

N. 22. J. S. BARNES, "The Universal Aspects of Fascism", London, Williams and<br />

N<strong>org</strong>ate, Ltd., 1928, pag<strong>in</strong>e 1415.<br />

NOTE AL CAPITOLO VENTIDUESIMO.<br />

N. 1. P. BOGGIANI, "I due anni <strong>del</strong>l'episcopato genovese <strong>del</strong> Card. Pio Boggiani: Atti<br />

pastorali", Acquapendente, Stabilimento Tip. Lemurio, 1922, pag. 137; confer<br />

'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 8 agosto 1920.<br />

N. 2. 'La Tribuna,' 26 settembre 1920.<br />

N. 3. 'La Tribuna,' 28 settembre 1920.<br />

N. 4. Dal n. 17 <strong>del</strong>la 'Settimana Socia<strong>le</strong>,' qua<strong>le</strong> lo riporta 'L'Osservatore Romano,' 27-<br />

28 settembre 1920.<br />

N. 5. Intervista di Don Sturzo al 'Giorna<strong>le</strong> d'Italia,' 3 novembre 1920; E. VERCESI, "Il<br />

movimento cattolico <strong>in</strong> Italia", cit., pag. 167.<br />

N. 6. M. VAUSSARD, "la crise du parti populaire italien", <strong>in</strong> 'Revue B<strong>le</strong>ue,' 18 giugno<br />

1921, pag<strong>in</strong>e 382-383; E. VERCESI, "Il movimento cattolico <strong>in</strong> Italia", cit., pag<strong>in</strong>e<br />

167-183.<br />

N. 7. 'Quei gruppi che si potrebbero chiamare di vecchi cattolici, entrati o non entrati<br />

nel partito popolare (...) seguirono con simpatica attesa, o anche con schietto<br />

compiacimento, l'azione fascista.' U. QUESTA, "Mussol<strong>in</strong>i e la Chiesa", Roma, Casa<br />

Edit. P<strong>in</strong>ciana, 1936, pag<strong>in</strong>e 63-64; l'autore era iscritto al partito fascista.<br />

N. 8. Giunta rispose alla <strong>le</strong>ttera di Benedetto Qu<strong>in</strong>dicesimo, accusando che 'i preti<br />

slavi sono i più accaniti propagandisti contro l'Italia.' 'Nella stessa Trieste, e<br />

precisamente nella chiesa di S. Antonio dove si permette la predica <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua slava,<br />

più di una volta i fascisti hanno dovuto <strong>in</strong>tervenire perché si <strong>in</strong>sultava l'Italia. In certe<br />

località i comunisti stanno al<strong>le</strong> dipendenze <strong>del</strong> prete, perché essendo slavi si trovano<br />

perfettamente d'accordo nel sabotare l'Italia. I fascisti <strong>del</strong>la Venezia Giulia sono <strong>in</strong><br />

rapporti di larga simpatia coi preti italiani, e <strong>in</strong> buona armonia con lo stesso partito<br />

popolare. Dirò anzi di più che il partito popolare di Trieste votò la lista naziona<strong>le</strong> cioè<br />

fascista mentre per l'Istria i fascisti chiesero la collaborazione dei popolari, che fu<br />

pienamente approvata anzi ord<strong>in</strong>ata da Don Sturzo e non effettuata per errati punti di<br />

vista dai dirigenti <strong>del</strong> partito popolare istriano. Durante la lotta e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong>, i fascisti, è<br />

logico, si batterono con tutti i mezzi. All'<strong>in</strong>sidia dei propagandisti slavi hanno opposto<br />

talvolta la vio<strong>le</strong>nza, ma si trattava di salvare la patria di Nazario Sauro dalla vergogna


di vedersi rappresentata dagli strangolatori <strong>del</strong> martire. Nel nome di Sauro i fascisti<br />

hanno lottato per l'Italia contro gli slavi, come nel nome di Cristo i crociati lottarono<br />

per la Pa<strong>le</strong>st<strong>in</strong>a contro gli <strong>in</strong>fe<strong>del</strong>i.' ('Popolo d'Italia,' 26 agosto 1921.)<br />

N. 9. 14 settembre 1921.<br />

N. 10. E. VERCESI, "Il movimento cattolico <strong>in</strong> Italia", pag. 210.<br />

N. 11. Cit. trad.<br />

N. 12. Cit. trad.<br />

N. 13. Dobbiamo questa notizia ad una fonte fidata, cioè a persona che aveva una<br />

posizione importante nel Banco di Roma, i cui direttori consigliarono la Santa Sede a<br />

compiere l'operazione.<br />

N. 14. C. LOISEAU, "Politique roma<strong>in</strong>e et sentiment français", pag<strong>in</strong>e 38-39.<br />

N. 15. L. EINAUDI, "La guerra e il sistema tributario", Bari, Laterza, 1927, pag. 368;<br />

G. E. CURATOLO, "La questione romana da Cavour a Mussol<strong>in</strong>i", Roma, Libreria <strong>del</strong><br />

Littorio, 1928, pag. 176.<br />

N. 16. Il ben noto giornalista francese PERTINAX (pseud. di André Géraud), nel 1929,<br />

sentì dire a Roma che il fratello di Pio Undicesimo era uno degli <strong>in</strong>dustriali che <strong>in</strong><br />

Lombardia avevano foraggiato il <strong>fascismo</strong> prima <strong>del</strong>la marcia su Roma ("Why the Pope<br />

chose to sign the Concordat". 'New York Times,' 31 marzo 1929). Ta<strong>le</strong> notizia non<br />

appare nel suo libro "Le partage de Rome" (Paris, Grasset, 1929). Non sappiamo se<br />

ta<strong>le</strong> omissione si debba al fatto che Pert<strong>in</strong>ax si sia conv<strong>in</strong>to che la voce era <strong>in</strong>fondata,<br />

o se sia stato consigliato di non gettare una luce <strong>in</strong>discreta su di un precedente assai<br />

significativo.<br />

N. 17. Lettera <strong>del</strong> marchese Cornaggia al 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 13 giugno 1922, e<br />

<strong>in</strong>tervista al 'Popolo d'Italia,' 27 giugno 1922.<br />

N. 18. G. SALVEMINI, "Il partito popolare e la questione romana", Firenze, La Voce,<br />

1922, pag<strong>in</strong>e 45-48.<br />

N. 19. Nel volume di "Atti pastorali", cit.<br />

N. 20. Cit. trad.<br />

NOTE AL CAPITOLO VENTITREESIMO.<br />

N. 1. E' questa l'op<strong>in</strong>ione di Don Luigi Sturzo ("Italy and Fascism", London, Faber and<br />

Gwyer, 1926, pag. 107). Come segretario genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> partito popolare, Don Sturzo<br />

era <strong>in</strong> grado di ottenere <strong>in</strong>formazioni attendibili.<br />

La sua op<strong>in</strong>ione trova una convalida nel fatto che, quattro settimane prima che lo<br />

sciopero venisse proclamato, chi scrive fu avvic<strong>in</strong>ato da un suo amico, che era<br />

nell'esecutivo centra<strong>le</strong> <strong>del</strong> S<strong>in</strong>dacato ferrovieri, il qua<strong>le</strong> gli chiese consiglio sul come<br />

votare <strong>in</strong> merito al proposto sciopero. Egli aveva notato che i più zelanti sostenitori<br />

<strong>del</strong>lo sciopero erano uom<strong>in</strong>i sospetti di essere spie <strong>del</strong>la direzione <strong>del</strong><strong>le</strong> ferrovie. Pensò<br />

che la direzione vo<strong>le</strong>sse lo sciopero per attirare i s<strong>in</strong>dacalisti <strong>in</strong> una battaglia<br />

disastrosa, e qu<strong>in</strong>di licenziare i capi più attivi tra i ferrovieri. Consigliato di votare<br />

contro lo sciopero, così fece. Quando venne proclamato lo sciopero, obbedì all'ord<strong>in</strong>e.<br />

Fu licenziato, mentre molti di quelli che appoggiarono lo sciopero rimasero <strong>in</strong> servizio.<br />

N. 2. La nostra fonte è il 'Corriere <strong>del</strong>la Sera.' Si deve rammentare che i<br />

corrispondenti <strong>del</strong> giorna<strong>le</strong> erano favorevoli al <strong>fascismo</strong>, e tendevano a gettare sui<br />

suoi avversari la responsabilità per il primo atto provocatorio. Non possiamo<br />

rispondere né <strong>del</strong>l'accuratezza né <strong>del</strong>la comp<strong>le</strong>tezza dei particolari. Cerchiamo<br />

semplicemente di dare una certa idea dei fatti, quali essi apparvero non agli<br />

antifascisti, ma a coloro che favorivano il <strong>fascismo</strong>, anche se non approvavano i suoi<br />

eccessi.<br />

N. 3. BALBO, "Diario" 1922, Milano, Mondadori, 1922, pag. 103.<br />

N. 4. Ibidem.<br />

N. 5. Ibidem, pag<strong>in</strong>e 109-110.


N. 6. Villari ("The Awaken<strong>in</strong>g of Italy", cit., pag. 153) fa apparire questo sciopero nato<br />

<strong>in</strong> una notte come un fungo, e poi dice: 'Dei tanti scioperi che avevano avuto luogo<br />

negli ultimi tre anni, nessuno era più assolutamente <strong>in</strong>giustificato di questo.'<br />

N. 7. 'Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 1 agosto 1922. (Cit. trad.)<br />

N. 8. Comunicato <strong>del</strong>la direzione <strong>del</strong> P.N.F., il 31 luglio 1922, 'Popolo d'Italia,' 1<br />

agosto 1922.<br />

N. 9. AMMINISTRAZIONE DELLE FERROVIE DELLO STATO, 'Relazione per l'anno 1922-<br />

23', Roma, pag. 124.<br />

N. 10. Questo sciopero genera<strong>le</strong> <strong>del</strong> 1-3 agosto 1922 è <strong>in</strong>vocato di cont<strong>in</strong>uo dalla<br />

propaganda fascista come una prova che l'Italia era m<strong>in</strong>acciata dal bolscevismo anche<br />

alla vigilia <strong>del</strong>la marcia su Roma. Ad esempio, scrive L. VILLARI <strong>in</strong> 'The Times,' 27<br />

agosto 1927: 'E' <strong>del</strong> tutto <strong>in</strong>esatta l'affermazione che il bolscevismo fosse f<strong>in</strong>ito un<br />

anno prima <strong>del</strong>la Marcia su Roma. Il 1 agosto 1922, lo sciopero genera<strong>le</strong> politico<br />

proclamato dai diversi partiti sovversivi al<strong>le</strong>ati (!), se non fosse stato per la reazione<br />

fascista (?), avrebbe paralizzato la vita di tutto il paese, come tentarono di fare gli<br />

autori <strong>del</strong>lo sciopero genera<strong>le</strong> <strong>in</strong> Gran Bretagna, nel maggio 1926.' Lo sciopero<br />

genera<strong>le</strong> <strong>in</strong>g<strong>le</strong>se <strong>del</strong> maggio 1926 <strong>in</strong>teressò c<strong>in</strong>que milioni di operai e durò nove<br />

giorni. Ciò che è '<strong>del</strong> tutto <strong>in</strong>esatto' è di porre i due scioperi sullo stesso piano.<br />

N. 11. I. BALBO, 'Diario' 1922, cit., pag<strong>in</strong>e 140 seguenti. Il piano venne reso pubblico<br />

dal giorna<strong>le</strong> di Mussol<strong>in</strong>i il 15 ottobre 1922.<br />

N. 12. 'Corriere d'Italia,' 20 settembre 1922.<br />

N. 13. Questi tre gruppi capitalistici, furono tra i primissimi a essere ricompensati dal<br />

nuovo governo fascista. Il nuovo gab<strong>in</strong>etto era stato appena creato, che il 31 ottobre<br />

la Confederazione genera<strong>le</strong> <strong>del</strong>l'<strong>in</strong>dustria dichiarò che la classe <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong> avrebbe<br />

appoggiato gli sforzi <strong>del</strong> governo per rafforzare 'il diritto di proprietà,' 'il dovere per<br />

tutti <strong>del</strong> lavoro,' 'la necessità <strong>del</strong>la discipl<strong>in</strong>a, la valorizzazione <strong>del</strong><strong>le</strong> energie<br />

<strong>in</strong>dividuali, il sentimento <strong>del</strong>la nazione, <strong>in</strong> cui si riconoscono l'importanza e l'<strong>in</strong>fluenza<br />

- al di sopra <strong>del</strong><strong>le</strong> correnti parlamentari - <strong>del</strong><strong>le</strong> classi che (. ..) preparano la r<strong>in</strong>ascita<br />

economica <strong>del</strong>l'Italia' ('Corriere <strong>del</strong>la Sera,' 31 ottobre 1922). Nella seduta alla<br />

Camera <strong>del</strong> 17 novembre 1922, il <strong>le</strong>ader dei socialisti di destra, Turati, osservò:<br />

'Nessuno potrebbe essere così analfabeta da non aver veduto lo strano paral<strong>le</strong>lismo<br />

che esiste fra <strong>le</strong> <strong>del</strong>iberazioni <strong>del</strong>l'ultimo congresso <strong>del</strong><strong>le</strong> <strong>org</strong>anizzazioni <strong>in</strong>dustriali e <strong>le</strong><br />

<strong>del</strong>iberazioni successive dei vari vostri consigli dei m<strong>in</strong>istri.' - Un <strong>in</strong>dustria<strong>le</strong> deputato,<br />

Tofani: 'Non può essere che così.' - Turati: 'Questa è una ben autorevo<strong>le</strong> conferma.'<br />

('Atti Parlamentari'. Camera. Discussioni, Legislatura XXVI, 1a sessione, vol. IX, pag.<br />

8432.)<br />

N. 14. 'Popolo d'Italia,' 5 ottobre 1922.<br />

N. 15. 'Popolo d'Italia,' 6 ottobre 1922.<br />

N. 16. 'Popolo d'Italia,' 8 ottobre 1922. Scrive BALDO ('Diario 1922', pag<strong>in</strong>e 163-<br />

164): 'Ricevo una <strong>le</strong>ttera <strong>in</strong>fiammata di De Bono e di De Vecchi che mi chiedono<br />

perché non li ho preavvisati degli avvenimenti <strong>del</strong>l'Alto Adige. Neppure io sapevo<br />

nulla. Ho appreso la notizia dai giornali. (...) Proprio questo manda <strong>in</strong> bestia De Bono.<br />

'Così non si fa la guerra,' mi scrive, 'e neppure la rivoluzione.''<br />

N. 17. 'The Awaken<strong>in</strong>g of Italy', cit., pag<strong>in</strong>e 150-168.<br />

N. 18. G. VOLPE, 'Storia <strong>del</strong> movimento fascista, cit., pag<strong>in</strong>e 73-75.<br />

N. 19. 'Diario 1922', cit., pag. 177.<br />

N. 20. Ibidem, pag. 178.<br />

N. 21. 'Diario 1922', cit., pag. 179.<br />

N. 22. Ibidem, pag. 185.<br />

N. 23. 'Giorna<strong>le</strong> d'Italia,' 20 ottobre 1922; la circolare è <strong>in</strong> data 2 ottobre, ma venne<br />

pubblicata solo il giorno 20.<br />

N. 24. 'Pio XI e l'azione cattolica', 332-333 (cit. trad.).


NOTE AL CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO.<br />

N. 1. La notizia fu data dal segretario particolare di Mussol<strong>in</strong>i, <strong>in</strong> una <strong>in</strong>tervista al<br />

'Popolo d'Italia,' 27 ottobre 1923.<br />

N. 2. 'Popolo d'Italia,' 31 ottobre 1923.<br />

N. 3. R. W. CHILD, 'A Diplomat Looks at Europe', New York, Duffield and Co., 1925,<br />

pag. 171.<br />

N. 4. I. BALBO, 'Diario 1922', cit., pag. 175.<br />

N. 5. Ibidem.<br />

N. 6. Ibidem, pag<strong>in</strong>e 175-76.<br />

N. 7. Ibidem, pag. 176.<br />

N. 8. I. BALBO, 'Diario 1922', cit., pag. 196.<br />

N. 9. Ibidem, pag. 198.<br />

N. 10. Ibidem, pag<strong>in</strong>e 199-200. So<strong>le</strong>ri, m<strong>in</strong>istro <strong>del</strong>la Guerra, non era popolare tra i<br />

berretti gallonati per il suo discorso alla Camera <strong>del</strong> 4 marzo 1919; vedi Cap.<br />

undicesimo, [pag. 198 <strong>del</strong> libro cartaceo].<br />

N. 11. E. LUSSU, 'The Road to Exi<strong>le</strong>', New York, Covici, Friede, 1936, pag. 51.<br />

N. 12. A. TASCA, 'Nascita e avvento <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>', cit., pag<strong>in</strong>e 411 seguenti.<br />

N. 13. I. BALBO, 'Diario 1922', cit., pag<strong>in</strong>e 154-55.<br />

N, 14. Parlando con Ludwig, alla domanda: 'Che cosa ne pensa Ella, che dei generali,<br />

come i quattro che parteciparono alla Marcia su Roma, siano venuti meno al loro<br />

giuramento e abbiano fatto la rivoluzione, per aderire ad una nuova impresa?,'<br />

Mussol<strong>in</strong>i risponde: 'In certe crisi storiche ciò può accadere.' (E. LUDWIG, 'Colloqui<br />

con Mussol<strong>in</strong>i', trad. ital. cit., pag. 95.)<br />

N. 15. Su questo fatto, A. TASCA ('Nascita e avvento <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>', cit., pag<strong>in</strong>e 440-<br />

444) ha raccolto prove lampanti da molte città.<br />

N. 16. C. MALAPARTE, 'Tecnica <strong>del</strong> colpo di stato', Milano, Bompiani, 1948, P. 161.<br />

N. 17. Ta<strong>le</strong> racconto è stato fatto a chi scrive da un testimone oculare.<br />

N. 18. P.N.F., 'Pag<strong>in</strong>e eroiche <strong>del</strong>la rivoluzione fascista', Milano, Casa edit. Imperia <strong>del</strong><br />

P.N.F., 1925, pag. 319<br />

N. 19. L. PIERARD, 'Le Fascisme', Bruxel<strong>le</strong>s, L'Eglant<strong>in</strong>e, 1923, pag. 7; C. BEALS,<br />

'Rome or Death', cit., pag. 290; racconti analoghi fece il giornalista spagnolo Rafael<br />

Sanchez Mazas, cit. <strong>in</strong> L. VICENTINI, 'Il governo fascista giudicato fuori d'Italia',<br />

Milano, Barion, 1924, pag. 43; e A. TASCA, 'Nascita e avvento <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>', cit., pag.<br />

508, n. 288.<br />

N. 20. 'Non per niente il genera<strong>le</strong> Diaz - e questo nome troppo ci richiama la politica<br />

messicana - nella notte <strong>del</strong> 27 era a Firenze.' (C BEALS, 'Rome or Death', cit., pag.<br />

286).<br />

N. 21. C. SFORZA, 'I costruttori <strong>del</strong>l'Europa moderna', Paris, Editions Contempora<strong>in</strong>es,<br />

1932, pag<strong>in</strong>e 287-88.<br />

N. 22. Dobbiamo <strong>le</strong> <strong>in</strong>formazioni sul comportamento <strong>del</strong> Re e di Facta a Giovanni<br />

Amendola, che nell'ottobre <strong>del</strong> 1922 era m<strong>in</strong>istro degli Interni; e ad Alberto Cianca,<br />

che era a Roma il direttore responsabi<strong>le</strong> <strong>del</strong> quotidiano 'Il Mondo,' ed era <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>uo<br />

contatto con Amendola. La versione di Don Sturzo ('Italy and Fascism', cit., pag. 119)<br />

e quella di Sforza concordano con quella data dal<strong>le</strong> nostre fonti. A quel tempo Don<br />

Sturzo era a Roma, e veniva immediatamente a conoscenza di quanto succedeva.<br />

Sforza era a Parigi, ma discusse più tardi la cosa con Giolitti, che a sua volta era<br />

senza dubbio <strong>in</strong>formato dagli amici fidati che aveva a Roma.<br />

N. 23. Cit. trad.<br />

N. 24. 'Cose viste', vol. I, Milano, Treves, 1973, pag. 265.<br />

N. 25. A. TASCA, 'Nascita e avvento <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>', cit., pag<strong>in</strong>e 394, 433.<br />

NOTE: OSSERVAZIONI AL CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO.<br />

N. 1. Riprodotto dal 'Popolo d'Italia,' 1 novembre 1922.


N. 2. 'The Red Dragon and Black Shirts', cit., pag<strong>in</strong>e 14, 15, 54-57.<br />

N. 3. Ibidem, pag<strong>in</strong>e 14, 54-55.<br />

N. 4. L. VILLARI, 'The Awaken<strong>in</strong>g of Italy', cit., pag. 74.<br />

N. 5. 'Star,' 6 apri<strong>le</strong> 1926.<br />

N. 6. A. TASCA, 'Nascita e avvento <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>', cit., pag<strong>in</strong>e 455 seguenti.<br />

NOTE AL CAPITOLO VENTICINQUESIMO.<br />

N. 1. G. MATTEOTTI, 'Un anno di dom<strong>in</strong>azione fascista', Roma, 1924.<br />

N. 2. Intervista di Brandimarte al 'Secolo,' 20 dicembre 1922. (Cit. trad.).<br />

N. 3. Mussol<strong>in</strong>i il 12-13 gennaio nella seconda riunione <strong>del</strong> Gran Consiglio.<br />

N. 4. Cit. trad.<br />

N. 5. C. PELLIZZI, 'Prob<strong>le</strong>mi e realtà <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>', cit., pag. 121.<br />

N. 6. Prefazione a 'Il Gran Consiglio nei primi c<strong>in</strong>que anni <strong>del</strong>l'Era Fascista', Roma,<br />

Libreria <strong>del</strong> Littorio, 1927, pag. XI.<br />

N. 7. G. VoLPE, 'Lo sviluppo storico <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong>', cit., pag. 22.<br />

N. 8. 'Popolo d'Italia,' 11 febbraio 1923.<br />

N. 9. 'Scritti e Discorsi', cit., III, pag<strong>in</strong>e 81-82.<br />

N. 10. L. STURZO, 'Italy and Fascism,' cit., pag<strong>in</strong>e 137-38. L. VILLARI ('The<br />

Awaken<strong>in</strong>g of Italy', cit., pag. 247) pone un velo discreto a coprire i metodi coi quali<br />

la riforma e<strong>le</strong>ttora<strong>le</strong> venne fatta passare alla Camera. Alludendo ai popolari, scrive: 'Il<br />

partito non era più compatto come una volta, e il governo cont<strong>in</strong>uava a godere<br />

l'appoggio <strong>del</strong> Vaticano, che naturalmente era l'arma più efficace.'<br />

N. 11. 'Il Popolo,' 11-12 luglio 1923.<br />

N. 12. 'La Stampa,' 11-12 luglio 1923.<br />

N. 13. La notizia di un <strong>in</strong>contro tra Gasparri e Mussol<strong>in</strong>i fu resa nota da una <strong>le</strong>ttera al<br />

'Popolo di Roma,' 22-23 agosto 1929, scritta dal conte Santucci, che nel 1923 era il<br />

presidente <strong>del</strong> Banco di Roma. Secondo questa <strong>le</strong>ttera, Gasparri e Mussol<strong>in</strong>i si erano<br />

accordati soltanto sul fatto che era tempo che la questione romana venisse risolta. Ma<br />

nell'agosto 1929, Mussol<strong>in</strong>i e Pio Undicesimo si trovavano <strong>in</strong> grave disaccordo per<br />

l'<strong>in</strong>terpretazione dei Patti lateranensi, e Mussol<strong>in</strong>i dette ord<strong>in</strong>e ai giornali che<br />

pubblicavano la <strong>le</strong>ttera di Santucci di aggiungere una nota <strong>in</strong> cui si diceva: 'A<br />

proposito <strong>del</strong> colloquio <strong>del</strong> qua<strong>le</strong> dà notizia con questa sua <strong>le</strong>ttera il sen. Santucci,<br />

siamo <strong>in</strong> grado di affermare che nel corso <strong>del</strong> medesimo si parlò <strong>del</strong>la situazione <strong>del</strong><br />

Banco di Roma.' L'agenzia ufficia<strong>le</strong> Stefani comunicò il giorno dopo a tutti i giornali il<br />

testo <strong>del</strong>la <strong>le</strong>ttera di Santucci con aggiunta la nota. Poiché era noto che i comunicati<br />

<strong>del</strong>la Stefani venivano prima sottoposti all'approvazione <strong>del</strong> governo, era evidente che<br />

Mussol<strong>in</strong>i aveva pubblicato quella nota per ricordare a Pio Undicesimo quella loro<br />

trattativa. Il card<strong>in</strong>al Gasparri non osò pronunciare nessuna smentita.<br />

N. 14. R. Decreto-<strong>le</strong>gge 24 gennaio 1924, n. 64.<br />

N. 15. G. GENTILE, 'Che cosa è il <strong>fascismo</strong>. Discorsi e po<strong>le</strong>miche', Firenze, Val<strong>le</strong>cchi,<br />

1925, pag<strong>in</strong>e 50-51.<br />

N. 16. Articolo 3 <strong>del</strong>la <strong>le</strong>gge comuna<strong>le</strong> e prov<strong>in</strong>cia<strong>le</strong> 4 febbraio 1915, che si richiama<br />

alla <strong>le</strong>gge 31 marzo 1877, n. 3771.<br />

N. 17. A. ROCCO, "La trasformazione <strong>del</strong>lo Stato", nel volume "Lo Stato Mussol<strong>in</strong>iano<br />

e <strong>le</strong> realizzazioni <strong>del</strong> <strong>fascismo</strong> nella nazione" (è il vol. XXVI <strong>del</strong>la 'Rassegna italiana<br />

politica e <strong>le</strong>tteraria'), Roma, 1930, pag. 10.<br />

N. 18. Nella prefazione a "Il Gran Consiglio nei primi c<strong>in</strong>que anni <strong>del</strong>l'Era Fascista",<br />

cit.<br />

N. 19 Cit. trad.<br />

NOTE AL CAPITOLO VENTISEIESIMO.<br />

N. 1. Art. 9, <strong>le</strong>gge 24 dicembre 1925, n. 2263.<br />

N. 2. Art. 181, <strong>le</strong>gge di P.S., T.U. 18 giugno 1931, n. 773.


N. 3. L. R. FRANCK, "L'économie corporative fasciste en dottr<strong>in</strong>e et en fait", Paris,<br />

1934, pag<strong>in</strong>e 50-51.<br />

N. 4. Cit. trad.<br />

N. 5. "Scritti e Discorsi", cit., VIII, 270.<br />

NOTE AL CAPITOLO VENTISETTESIMO.<br />

N. 1. Lo stato italiano si obbligava a versare la somma di lire italiane 750 milioni, ed a<br />

consegnare tanto consolidato italiano al c<strong>in</strong>que per cento al portatore per il valore<br />

nom<strong>in</strong>a<strong>le</strong> di un miliardo. [N.d.C.]<br />

N. 2. "Religione e filosofia nel<strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> medie", 'La Civiltà Cattolica,' 1 giugno 1929,<br />

pag<strong>in</strong>e 414-427.<br />

N. 3. Articolo 34.<br />

N. 4. Trattato fra la Santa Sede e l'Italia, art. 23.<br />

N. 5. Articolo 1.<br />

N. 6. Concordato, art. 1.<br />

N. 7. Cit. trad.<br />

N. 8. G. LA PIANA, "The political heritage of Pius XII", <strong>in</strong> 'Foreign Affairs,' apri<strong>le</strong> 1940.<br />

N. 9. Cit. trad.<br />

N. 10. Cit. trad.

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