#3DRACCONTI © Ph. Michele di Lillo 124 #3D MAGAZINE
di Salvio Esposito prima puntata Il delirio amoroso di Sigismondo Fine agosto 1906. Caffè Landtmann in Universitat strass 4, a Vienna. Defilati, a un tavolino a tre gambe, accanto a una parete a specchi, confusi con l’ambiente, due uomini parlano fitto. Sono il fisico Boltzmann e il Dott. Freud. Nessun orecchio indiscreto. Nessun testimone vivente di quel dialogo segreto che la storia non ha potuto incontrare. Ai rari clienti che si erano avventurati in quell’anfratto defilato, apparivano due signori, uno grasso e scarmigliato, l’altro magro, curato nella barba e nella capigliatura, occhiali tondi che guardavano il vuoto. Il primo discorre concitato, l’altro si contorce su una sedia di legno, che a ogni suo movimento risponde con un sinistro scricchiolio. Sono due sedie viennesi, scomode e pericolose. Il dottor Bolzmann colava gocce di acre sudore dal suo doppio mento fino al collo della stretta camicia. Lasciava trasparire una concitazione che il dott. Freud inizialmente definì come “psicopatologica”. Non era facile inserire Boltzman nelle categorie diagnostiche che il dottor Freud si era sforzato di creare. In più quel grassoccio emanava un fascino che non consentiva al dottor Freud il necessario distacco per ragionare in termini clinici. «Vede mio caro Sigmund, se lei fosse italiano sarebbe chiamato Sigismondo ma non sarebbe la stessa cosa. Lei non si riconoscerebbe al richiamo. Sarebbe confuso se le cambiassero nome, connotati, abitudini, modi di comportarsi, di parlare con gli altri. Sarebbe confuso mio caro Sigmund. Confuso. Confuso e infelice». «Non si preoccupi Ludwig» ribattè Freud parzialmente coperto da uno scricchiolio della sedia, «mi dica tutto quello che le viene in mente, cercando di non porre freni a ciò che ha il desiderio di dirmi». «Ecco mio caro Sigmund, questo tè, questo verde liquido che è davanti a noi in questa tazza, in realtà per me rappresenta una guerra. Capisce, qui dentro si agitano molecole che cozzano le une contro le altre, senza che io riesca a dare un ordine a questo movimento. Senza che io, per quanti sforzi faccia, riesca a stabilire una frequenza, una prevedibilità, un significato qualsiasi a questo incessante e instancabile passaggio delle piccole particelle da un luogo all’altro della tazza, dello spazio, sempre ammesso che esista uno spazio. E non saprei neppure se ciò che le sto raccontando stia accadendo o sia accaduto o debba ancora accadere. Vede, noi siamo abituati a pensare che questo causa quello, che un bambino viene prima dell’adulto. Però, caro dottore, io non sono certo che un effetto sia generato da una causa. Può darsi, per quanto io abbia capacità di dedurre, che causa e effetto siano contemporanee, consustanziali, sovrapponibili, al punto tale che la presenza dell’una è assolutamente contemporanea all’esistenza dell’altra. Credo, talvolta, che il mondo, che l’universo non esista al di là della nostra esistenza. Che non esista uno spazio nel quale ci muoviamo e un tempo nel quale diveniamo. Può darsi, per quanto io sia capace di dedurre, che tutto quanto possa essere riassunto in un istante, un punto che racchiude il tutto, un punto che può essere due o tre o infinito, o un infinito di moltitudini o anche, viceversa, che l’istante si estenda in un tempo senza tempo dove infinito presente, infinito passato e infinito futuro si espandano senza direzione, senza dimensione. Vede, per quanto mi riguarda e per ciò che sono capace di dedurre, potrebbe essere che io in realtà non stia qui a dirle quello che le sto dicendo ma piuttosto che io esista solamente perché lei mi sta ascoltando e che se mi ascoltasse mia moglie o la sua, io allora potrei essere di altra forma, pasta, essenza, sembianza, esistenza o materia. Io non lo so egregio dottore. Io non so se le particelle in questa tazza si muovano in questo modo, però lo posso dedurre. E non so neanche se le particelle smettano di esistere nel momento in cui io smetto di osservarle o di immaginarle. Non so se si comportino in maniera diversa se è lei ad osservarle al posto mio, o mia moglie che non smette di chiamarmi adorabile ciccione, o uno di quei suoi strampalati pazienti. Certo è vero, come è vero che il bar in cui siamo è a Vienna, se fossimo a Varsavia cambierebbe tutto. Vede dottor Freud, tutto il mondo, l’universo, procede da una bassa entropia a un’alta entropia Questo tè in un recente passato era pensato come acqua fredda, ora è acqua calda. Ciò significa semplicemente che tutte le molecole prima erano quiete poi, col riscaldamento, si sono agitate, agitate dottore, agitate». «Provi a rilassarsi dottor Boltzmann. Si rilassi» – provò a ribattere il dottor Freud. Ma le sue parole si continuarono a confondere con lo squittire della sedia viennese sulla quale egli non riusciva più a stare comodo, ammesso che per Freud, con quella postura da contorsionista, fosse mai stato possibile in vita sua stare comodo #3D MAGAZINE 125
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