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1
Kerényi 1992, p. 12.
2
Hillman 2014, pp. 259 e 258.
3
Edizione di riferimento a cura e con introduzione
di Pastore Stocchi 1996.
4
La prima edizione era uscita con solo testo nel
1556 ancora a Venezia per i tipi di F. Marcolini. V.
scheda bibliografica in Pastore Stocchi 1996, pp.
601- 603.
5
Edizione anastatica di riferimento con introduzione
e a cura di M. e M. Bussagli 1987.
6
Tra cui appunto l’appendice integrativa del Pigoria
all’edizione di Cartari del 1647 in cui le “imagini”
erano “ridotte da capo à piedi alle loro reali,
& per non più per l’addietro osseruate somiglianze:
Cavate da’ Marmi, Bronzi, Medaglie, Gioie,
& altre memorie antiche” come da enunciato del
Frontespizio.
7
Il testo uscì nei soli primi due volumi a Bologna
nel 1582.
8
Per un esaustivo profilo non firmato su “Dioniso
e il mondo dionisiaco” vedasi in rete
htpp://volta.valdelsa.net/saggi htm.
9
In questo tipo di note si indicheranno autore citato
e anno, seguiti dalla sigla s.v.i. (sub vocibus indicis).
10
Per la zōè come forza propulsiva universale, distinta
dalla bìos come vita individuale (e quindi anche
come morte) vedi Kerényi 1992, s.v.i.
11
“… onde volendo l’Alciato ne’ suoi Emblemi porre
la giovinezza dipinse Apollo e Bacco, […], onde
Tibullo disse ‘Che Bacco solo e Febo eternamente/Giovani
sono et hanno il capo ornato/Ambi di
bella chioma risplendente”, Cartari 1996, p. 48.
12
Sul miele e il suo impiego rituale Kerényi 1992,
s.v.i.
13
Hillman 2014, p. 257.
14
Per tutti Hillman 2014, soprattutto cap. I Dioniso
negli scritti di Jung, pp. 15-26 con riferimenti bibliografici
specifici agli altri autori qui citati.
15
Kerényi 1992, s.v.i. soprattutto pp. 213 sg., 223-
229 e 336 sgg.
16
Vedi qui la nota 9.
17
Sulle antinomie di Dioniso/ Bacco valga esemplificativamente
il passo da Schiesaro 2008, p. 31:
“Dioniso è il dio del vino e della festa, dell’eb-
si paragoni del materiale mitografico precedente, sia letterario sia artistico, il testo
di Cartari resta traccia privilegiata, se non proprio obbligata, per ogni iconografia
posteriore anche sul dio del vino, senza di necessità dover inibire ogni trasgressione
di committente o artista verso l’una o l’altra delle versioni originali delle numerosissime
fonti, cui attingere direttamente e rigenerativamente.
Piace chiudere questo excursus ricordando come Vincenzo stesso – anche relativamente
alla figura di Bacco, e non solo – abbia trasbordato oltre il capitolo a costui
dedicato con un’‘estensione’, del resto preannunciata nel testo e nell’indice,
in cui ricorda il grande Pausania e la sua notizia che in Delo le statue “di Mercurio
e di Bacco e di Apollo” 73 furono accompagnate dal gruppo delle Grazie, dee del
beneficio, della gratitudine e dell’allegrezza, diventate definitivamente tre in quell’occasione,
da due che erano in precedenza. E piace inferire che ciò sia avvenuto
in conseguenza della triplicazione delle citate divinità olimpiche per l’aggiunta di
Bacco stesso a Mercurio e ad Apollo, creando una ‘doppia forma’ la cui proiezione
visualizzava in “imagine” la parte migliore del “dare-ricevere-restituire” di queste
inedite trinità, all’ombra di un nume in cui sottosuolo, pianta e bevanda costituiscono
l’iter e il ciclo di una sublimazione che conduce alla finale, ‘gratuita’ potenza
rigenerativa e liberatoria del vino.
brezza e dell’oblio, della fertilità e dell’ispirazione;
ma anche un dio temibile e vendicativo, che si immagina
sempre ‘altro’. È straniero […] perché sempre
incute timore e terrore […] che unisce con la
sua persona il presente visibile a un altrove arcano”.
Per cui da Euripide a Otto egli è “un dio assai
terribile per gli uomini e anche assai mite” (Baccanti,
854-856, 861), “una complementarietà di opposti
[…] un dio che arriva […] la follia creatrice, il
fondamento irrazionale del mondo” (Otto
1933/1965, pp. 110-113). Kerényi 1992, p. 13 nota
come, da Nietzsche a Otto, resti tuttavia “precluso
il tratto fondamentale erotico di tutto ciò che è
dionisiaco”.
18
In cap. II, “Apollo, Febo, il Sole”, p. 48.
19
Ibidem, p. 42.
20
Interessantissima l’assenza della tavola nell’edizione
del 1647. Essa infatti era in qualche modo
stata anticipata proprio al capitolo su Saturno, a p.
23 dove l’affermazione relativa alla costante giovinezza
di Bacco, per non venir contraddetta, subisce
una forzatura, nel registro inferiore della composizione.
Superiormente infatti le stagioni sono
impersonate da quattro putti, come germogli persistenti
di vita (la zōè di Kerényi), “con gli animali
a loro sacrati”. Primavera con canestra di fiori e orso
che esce dal letargo; estate con falcetto e Ariete,
autunno con corona della pienezza regale in
mano, grappolo d’uva e Leone; inverno ammantato
con cacciagione e pescato, siglato dallo Scorpione,
segno del mese pluviale dell’inizio della
brutta stagione. Al di sotto tre figure muliebri (il risvolto
della bìos specifica), da Vesta assisa per l’inverno,
a Venere dea del primaverile amore con pomo
del Giudizio e fiori in mano, a Cerere con ardente
facella e canestra di frutti; per finire con un
autunnale Bacco, infante a oltranza nonostante la
stagione della “vecchiaia”, con corona d’edera in
testa, grappolo d’uva in mano e pantera acquattata
ai piedi.
21
Quasi mai vengono dati la ‘collocazione’ e il riferimento
bibliografico dei passi citati dagli autori
convocati, solo talvolta anche con il titolo dell’opera
di riferimento. L’individuazione e il loro reperimento
esula dall’assunto di questo intervento.
Si è preferito perciò evitare – se non in casi di
nomi notissimi e quindi particolarmente ‘autorevoli’
– di riportarli qui, rimandando alla lettura del
testo originale completo di Cartari.
22
Rispettivamente agli Uffizi e alla Galleria Borghese.
23
Non è del tutto esatto che, non tanto le Muse,
quanto le nutrici di Dioniso (cui Kerényi dedica approfondito
spazio) siano assenti dalla pittura, ad
esempio. Va citata una versione tardosecentesca
di Ignoto, ascritta al Vaccaro, raffigurante raffigura
Medea su un carro trascinato da dragoni che ringiovanisce
proprio le Nutrici di Bacco su richiesta
del nume. Il soggetto è ispirato da alcuni fugaci
versi delle Metamorfosi ovidiane (VII, 294-296).
24
C’è chi ha messo in relazione la primordiale adozione
bacchica del termine phallos (in greco ‘eretto’)
non tanto con l’attributo connotativo e apotropaico
cui Cartari dedicherà alcune pagine a fine
trattazione, quanto proprio con il fatto che il vino,
allungato con l’acqua, consente agli adepti più
prudenti e temperanti del dio di stare in piedi, cioè
in posizione eretta. In http://volta.valdelsa.net.
25
È noto che fu Dioniso stesso a conferire a Mida
l’esiziale privilegio di trasformare in oro tutto quello
che il re toccava; ciò in riconoscenza di aver salvato
e accolto Sileno, trovato, in sperdute contrade,
ovviamente ebbro all’ultimo stadio.
26
Vedi Rigon 2008, con elenco delle opere di tale
soggetto nella pittura di Sebastiano Ricci.
27
Per Cartari sono originari dei “monti” dell’India
(Cartari 1996), p. 125.
28
Descrizione e poteri di Pan e dei suoi adepti in
Cartari 1996, pp. 125-126.
29
Uno dei Sileni, con prevalenti connotati umani,
è invece Marsia, come sanno tutti quegli artisti che
lo rappresentano correttamente allo scuoiamento
a opera di Apollo con gambe non caprine. Anche
nella citata opera di Carpioni (fig.12) permane l'ambiguità
relativamente alla figura di Sileno, rappresentato
in simulacro marmoreo. I suoi lombi sono
infatti pelosi e caprini, ma un inserto di vegetazione
cela la terminazione degli arti inferiori, quasi a
non voler prendere posizione.
30
E tale è nella citata tavola dell’edizione di Cartari
del 1647 di cui alla nota 20.
31
Si ricorda qui che tendenzialmente gli antichi
non nominavano la notte e l’inverno, assimilati al
silenzio e alla morte.
32
Era in realtà un biennio che si concludeva con
l’uccisione del dio per cui vedi Kerényi 1992, s.v.i.;
“anno trieterico”.
33
Kerényi fornisce due versioni sull’origine della
vite: nella prima la pianta sarebbe stata partorita
da Maira, cagna di Sirio, stella della costellazione
di Orione (essa stessa talvolta chiamata “cane”,
donde il periodo di ‘canicola’) che sorge il 17 luglio
dando inizio a un nuovo anno con l’esordio
dell’estate e all’inizio della maturazione dell’uva;
vedi Kerényi 1992, p. 154. In una seconda versione
dello stesso autore (1976, II, pp. 120-121) è Oresteo,
l’“uomo dei monti” a possedere una cagna
che partorisce un bastone da lui seppellito. “Si
comprende subito che questo sarebbe diventato
la prima vite. Così anche la cagna non poteva essere
che il cane del cielo, Sirio, che fa appunto maturare
la vite. Il figlio di Oresteo si chiamava Fitio,
‘il piantatore’, e il nipote fu Oineo”, re che nel nome
include l’appellativo stesso di ‘vino’.
34
Per un’esegesi parallela in ambito biblico, con
esiti paralleli in Hillman 2014, “Mosè, l’alchimia,
l’autorità”, pp. 263-269.
35
Per Dioniso/toro sempre Kerényi 1992, s.v.i.
36
Sulla seduzione di Persefone/Proserpina a opera
del padre ancora Kerényi 1992, pp. 118 sg. e 121
sg.
37
Questo, in estrema sintesi, il racconto che trova
diverse lezioni, con molteplici sfumature, in tutta
la letteratura greco-latina, di cui è impossibile qui
citare i troppo numerosi autori. Non infrequenti
anche esempi nella nella pittura vascolare greca
sia a figure nere che a figure rosse.
38
Rigon 1997, p. 85.
39
“Senza vergogna sparge i lunghi crini/ […] Né si
vergogna andar con lento passo/ E trarsi dietro
l’ampia e lunga veste/ Ornata tutta di barbarico
oro”. Cartari come d’abitudine non fornisce gli
estremi della citazione in originale, né della traduzione
in volgare. Cartari 1996, p. 373.
40
Si ricorda l’interpretazione che vuole l’espressione
corrente “piantare in asso” come contrazione
di “in Nasso”.
41
Sulle sue implicazioni simboliche e sulla sua origine
storica da evidenze archeologiche vedi ancora
Kerényi, con reperimento dei numerosissimi
passi sempre tramite indice, che confermano in
ogni caso l’incisività anticipatrice da questa angolazione
del testo di Cartari.
42
Senza coltello dilaniavano la carne, come si faceva
con il grappolo d’uva, in una specie di trasposizione
memoriale o parallela. Sono le Menadi,
figure centrali del mito dionisiaco assimilate
tout court da Cartari alle Baccanti, sempre rappresentate
nell’antichità forsennatamente danzanti
e con membra squarciate delle vittime di turno.
Per la loro figura vedi ancora Kerényi 1992, s.v.i.
‘coltello’, pp. 230 sgg., 248, 250 sgg.
43
Vedi il dipinto di Ricci (fig. 13). In questa tela la
testa mozzata di vitello diventa ariete.
44
Nel Bacco e Arianna di Tiziano ora a Londra il
personaggio maschile ignudo e anziano avvolto
da rettili potrebbe anche assumere la funzione di
rappresentare la costellazione del Serpentario, che
precede quella della Corona d’Arianna, magistralmente
dipinta in cielo sulla sinistra di chi guarda
(fig. 8). Il satiretto al centro tira una testa mozzata
di vitello, in perfetta aderenza alle fonti letterarie.
45
Verso fondamentale che valorizza la centralità
del problema dei misteri dionisiaci su cui si impernia
la ricerca di Kerényi 1992, s.v.i. ‘misteri’ il
quale non manca di far notare come le fonti antiche
sull’argomento siano scarse proprio perché
non veniva violato il mistero in quanto tale.
46
E invece l’avvenimento ha costituito banco di
prova per le ricerche sul “fenomeno” del trionfo
nell’antichità, come da saggio esemplare di Schiesaro
2008, con ampia ricognizione delle fonti letterarie
e archeologiche, quest’ultime soprattutto
relative ai sarcofagi con trionfi bacchici.
47
Le versioni mitiche non sono tutte concordi su
questa origine. Alcune la vogliono dono di Venere
e delle Ore. Igino, ad esempio, nella sua Mitologia
astrale, II, 5, 1-4 riporta oltre a questa, almeno
altre quattro lezioni differenti (fig. 7). Per l’originale
interpretazione mitografica di Tintoretto
qui evocata vedi Rigon 2012.
48
Jacopo Zucchi nelle lunette del soffitto della galleria
romana di Palazzo Ruspoli offre due versioni
dell’episodio, posto alla base dell’origine sia della
costellazione della corona boreale che di quella
australe (Rigon 2011).
49
Illuminanti la ricognizione sul ventilabro,altro nodo
della simbologia e della misteriografia dionisiache,
per il cui vero significato, cui Cartari non
può giungere, vedi ancora Kerényi 1992, s.v.i. lìknon
e Dioniso/Liknìtēs. La 'memoria' del ventilabro
e della sua forma affiora nel grande cembalo,
spesso tenuto in mano da qualche Menade, come
in alcune opere qui citate e illustrate.
50
Il celebre capolavoro di Tiziano dipinge Marsia
con gambe caprine sulla scorta di Igino (Miti 165
e 191) che lo definisce Satiro e convoca a giudice
della contesa con Apollo re Mida. Gli altri mitografi
invece distinguono nettamente tra la contesa
di Apollo con Marsia e quella con Pan, il primo
Sileno, il secondo capo dei Satiri con gambe caprine.
Solo alla seconda contesa, pienamente
olimpica in quanto Pan è un dio immortale, assistette
Mida.
51
Esaustivi elenco e analisi delle fonti in Agnoli
2014.
52
È l’extasis di chi, etimologicamente, esce ‘fuori
di sé’, raggiungendo lo stato di enthousiasmós,
che a sua volta significa ‘essere pieno del dio” (fig.
13).
53
Vedansi i vari saggi del catalogo della mostra
Trionfi romani, Roma 2008.
54
Per le “proprietà” dell’elefante nei bestiari medievali
Rigon 2014, pp. 44-46.
55
Particolarmente pp. 125-127.
56
Sugli uccelli loquaci, portati ai trionfi, in primis
lo psittacus o pappagallo, vedi da ultimo Rigon
2014, pp. 69-88.
57
L’edera sarebbe comparsa subito dopo la nascita
di Dioniso, per riparare l’infante dalle fiamme
del fulmine paterno, attutendone il calore bruciante.
L’edera in testa agli ubriachi ne raffreddava
parimenti gli ardori. In http// volta.valdelsa.net
cit. a nota 1 ai & I e VI.
58
“La vite e l’edera sono sorelle, che pur essendo
sviluppate in direzioni opposte non possono celare
la loro parentela […]. La crescita dell’edera
mostra un dualismo che ricorda la doppia natura
di Dioniso. La si potrebbe definire, al pari suo, la
‘nata due volte’. Il suo fiorire e il suo ricoprirsi di
frutti stanno in singolare rapporto di corrispondenza
e di opposizione rispetto alla vite. L’edera
fiorisce infatti in autunno, quando per la vite è tempo
di vendemmia, e produce frutti in primavera.
Tra i suoi fiori e i suoi frutti sta il tempo dell’epifania
dionisiaca nei mesi invernali. Essa è un ornamento
dell’inverno. Mentre la vite dionisiaca necessita
il più possibile della luce e del calore solare,
l’edera dionisiaca ha un bisogno sorprendentemente
limitato di luce e di calore, e fa germogliare
la sua freschissima verzura anche all’ombra
e al freddo […]. La si è paragonata al serpente […]
nella natura fredda attribuita ad entrambi e nel
movimento di chi striscia nel terreno e si avviticchia
agli alberi” come i serpenti che le Baccanti
portavano con sé, avvolti alle braccia. Da W.F. Otto
1933, p.143 in Kerényi 1992, pp. 78-79.
59
Kerényi 1992, p. 78.
60
Kerényi 1992, per Diònysos Kissòs, p. 189. Per il
kissòs come pianta http://volta.valdelsa.it cap. VI
(“Dall’edera prendeva nome anche una fonte presso
Tebe”, città natale di Dioniso, nato da Semele,
figlia del re Cadmo, “detta appunto Kissousa, dove
le Ninfe avrebbero celebrato la rituale abluzione
del neonato dio, allevato poi sul monte Elikòn,
il cui nome deriva da èlix, che significa propriamente
spirale, ma è anche altro nome dell’edera”.
61
Sul fico come albero dell’Eden e della colpa al
posto del melo, vedi Rigon 2014, pp. 15, 18.
62
Vedi qui nota 32.
63
Celeberrima la kylix di Dioniso su nave con i delfini,
opera di Exechias. Figure nere, 540-530 a.C.,
da Vulci. Staatliche Antikensammlung, Monaco di
Baviera. Interessante ed eccezionale riferimento:
“Vedasi a’ tempi nostri ancora quasi la medesima
nave fatta a bellissime figure di mosaico nella chiesa
di Santa Agnese (fuori le mura, in Roma) che fu
già tempio di Bacco”, in Cartari 1996, p. 384.
64
Si riporta qui la credibile ipotesi filologica che la
parola ‘Carnevale’ derivi da una crasi di carrum
nauale, come origine di festosi cortei, dapprima
mitologici e trionfali, evoluti poi in processioni religiose
e quindi in convogli mascherati.
65
Per il maculato leopardo (figg. 1a e 1c, cat. 62),
simbolo dell’inganno e figlio adulterino della leonessa
e del pardo, animale debole e lussurioso Rigon
2014, pp. 46-50.
66
Nonno (Dionisiache 9.190) segnala il valore simbolico
delle pantere maculate del traino trionfale,
scelte come tiro “per glorificarne l’immagine del
dominio paterno”: le chiazze del pelo ricordano
infatti l’aspetto della volta celeste, regno di Giove,
mentre lo sguardo del dio verso l’alto ne rammemora
la preziosa funzione di tramite tra la realtà
terrena e il mondo uranico. Sulla pantera come
simbolo di ferocità bacchica vedasi anche Otto
1933/1965, p. 111.
67
Vedi nota 42.
68
Al capro Cartari aveva già dedicato ampio spazio
nei paragrafi su Pan alle pp. 126-127, dove tra
l’altri si legge: “In Grecia era fatto onore alla capra…
[poiché] all’apparire della Capra celeste, che
sono alcune stelle le quali […] cominciano a mostrarsi
a calende di maggio [è la costellazione dei
Capretti] era solito di venire sempre gran male addosso
alle vigne”. Nel cap. VI dedicato a “La Gran
Madre” si ribadisce che il capro veniva sacrificato
a Bacco “come animale grandemente nocevole
alle viti”, p. 203 (fig. 1b).
69
Nel termine stesso ‘tragedia’ è incluso quello di
capro (tràgos in greco, unito a canto). Sintesi interpretative
aggiornate sulle origini anche per la
commedia nelle sue componenti dionisiache, sempre
in Kerényi 1992, s.v.i. Orchestra include nel nome
il concetto di danza: la stessa che accompagnava
le falloforie.
70
Non va trascurato il passaggio ‘astrologico’ in
cui si ricorda come “fra le stelle […] due nel segno
del Granchio furono dette Asinelli, un asino insuperbito
già per la favella umana datagli da Bacco
in premio di averlo portato oltre a certo fiume venne
a contesa con Priapo della grandezza del membro
naturale e lo vinse, ma con suo gravissimo danno
perché Priapo sdegnato di ciò l’uccise” seguito
nell’esempio dagli antichi che a lui cominciarono
a sacrificare gli asini.
71
Nell’affresco veronesiano il dio è accompagnato
dal sonno e da Tersicore, dea della danza, personificazioni
dei più immediati effetti del vino.
72
Nell'incisione con il trionfo di Bacco o dell’Autunno
sullo sfondo compare il Genio con due infanti
in braccio che viene incoronato da due Baccanti;
in Rigon 2006, fig. 202c.
73
Cap. XV Le Grazie, p. 491.
36
37