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pieni di fiori di cui il dio Bacco portava una ghirlanda in capo come tutti i commensali
e i “vasi ancora onde bevevano”, entrambi come segni di “letizia e spensieratezza”.
Dopo una estemporanea precisazione che non trova riscontri nell’arte moderna,
che vuole Bacco guida delle Muse come Apollo (e da esse stesse allevato 23 ),
Cartari ci fornisce più pertinente notizia, sulla scorta di Ateneo, circa l’uso di tagliare
il vino con l’acqua, come appreso dal dio stesso da Anfizione, re di Atene. Il “grandissimo
giovamento ai mortali” che derivò dal “vino temperato” 24 condusse tale re
a dedicare a Bacco un altare nel tempio delle Ore che “sono le stagioni dell’anno…[
e che] fanno che la vite cresce e produce frutto” (specificatamente in autunno,
quando Bacco è vecchio!) e un altro alle Ninfe, dee delle “acque de i fonti e de
i fiumi”.
Fig. 2 Caravaggio, Bacco, 1596-97,
Firenze, Galleria degli Uffizi *
Ma il vero pedagogo per antonomasia di Dioniso/Bacco fu, anche per Cartari,
Sileno, in ciò ratificando quanto prevalentemente e quasi costantemente asserito
dalle fonti antiche. L’aio del dio (cat. 60-62), che godeva di pari dignità al punto
di vedersi consacrati templi autonomi rispetto all’olimpico allievo, lo accompagnava
sempre “portato da un asino sì per la età, perché era molto vecchio, sì perché
era anco ubriaco per lo più”, anzi l’emblema stesso dell’“Ubbriachezza che [in
personificazione] gli dava da bere appresso gli Elei” come amarono rappresentare
con soverchia abbondanza gli artisti che si confrontarono con temi dionisiaci, anche
sulla scorta del medesimo Cartari, che completa il ‘ritratto’ del “gran consigliere”,
citando Plauto e “il prologo delle sue Bacchide”. Lo recita Sileno stesso
Fig. 3 Caravaggio, Bacco malato,
1593-94, Roma , Galleria Borghese*
proprio “a cavallo di un asino”, dicendo di essere “sempre amendui di un medesimo
volere”. Citazione ancor più gustosa, anche se generica, è da Virgilio, che lo
fa “anco dio della natura, de i principi della quale […] lo fa cantare sforzato da due
satiretti e da una bella ninfa“ i quali, avendolo trovato ebbro e addormentato in
una caverna “con un gran vaso da bere a canto” (particolare letteralmente saccheggiato
dagli artisti!), gli legarono i piedi con le sue stesse ghirlande di fiori, mentre
la ninfa stessa “gli tinse la faccia, che aveva le vene tutte gonfie di vino, con sanguigne
more, di che egli rise e mostrò di avere piacere poscia che fu svegliato”. Ma
il passo seguente è ben più cruciale per due ragguagli: il primo tira in ballo Mida,
re della Frigia, grande protagonista della pittura, anche se relativamente ad altro
episodio che trova tuttavia premessa proprio nella conoscenza con Sileno 25 ; il secondo
è relativo ai “duo satiretti” (fig. 1b), definiti “bestie”, che “pareva non volessero
dire quello che sapevano, se non forzatamente”. Il re diede loro una lunga
caccia finché catturò “uno di questi Sileni” con l’odore del vino, sparso “in un certo
fonte”, ancora superstite ai tempi di Pausania, sapendo da costui, o da Sileno
stesso, come riferisce Plutarco, “che meglio assai era all’uomo morire presto che
vivere lungamente”.
Il prologo enunciativo che enuclea in qualche modo gli argomenti a seguire
si conclude con una informazione, all’apparenza marginale, che tuttavia esercitò influenza
massima sull’iconografia pittorica, come ad esempio sui dipinti veneziani
tra Sei e Settecento, in base alla quale, sulla scorta di Plinio, nell’isola di Paro “donde
veniva quel bellissimo marmo bianco”, in una cava fu rinvenuto “in un gran pezzo”
una statua già bell’e modellata raffigurante Sileno. Il passo spiega così la presenza
frequentissima, quasi ineludibile, di erme di questo comprimario dionisiaco
che ricevono omaggi floreali dal corteggio bacchico 26 come a un miracoloso evento
che segnala la presenza ab aeterno degli dei olimpici nella natura e nella vita
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