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curva minore - Regione Siciliana

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manifestazioni ed eventi volti a illustrare e accogliere le forme dei nuovi linguaggi<br />

sonori, i percorsi storici da cui sono stati determinati e i loro presupposti<br />

teorici, artistici ed estetici. C’è, forse, in quegli anni, un vuoto a<br />

Palermo che attende di essere colmato e che concerne la nuova musica non<br />

commerciale, quella musica che talvolta confina e sconfina nelle nuove, o<br />

meglio nuovissime, forme del jazz ovvero nelle sperimentazioni accademiche<br />

di compositori di scuola ovvero nelle sintassi figlie della world music ovvero<br />

nella musica concreta e nella musica elettronica ovvero nelle ostinazioni<br />

minimaliste ovvero nella musica funzionale ovvero nelle evoluzioni più dotte<br />

del rock sublimato ovvero nelle carezzevoli brezze new age ovvero nelle pratiche<br />

di improvvisazione radicale ovvero nella musica ambientale (e si<br />

potrebbe continuare) e che, in realtà, non è, quasi certamente, una musica<br />

che si possa dire pienamente dentro anche solo una di queste categorie,<br />

attraversandole diagonalmente. Il vuoto si avverte considerando quanto<br />

Palermo, in anni ormai lontani e retoricamente celebrati con un usurato riferimento<br />

alle celeberrime Settimane degli anni Sessanta, sia stata luogo topico<br />

della Nuova Musica, laboratorio di esperienze e di pensiero, di rischi e di<br />

provocazioni, di innovazioni e di ribellioni non spente (cfr. Tessitore 2003),<br />

in parte ereditate, in parte accantonate, tutte comunque sempre nell’orizzonte<br />

delle tentazioni nostalgiche di molti intellettuali e perfino di amministratori<br />

cittadini se è vero che Palermo è stata sede di un Festival sul<br />

Novecento, di Cantieri culturali, di nuove Settimane Nuova Musica (queste<br />

sovente nelle intenzioni, anche pubblicamente annunciate, poi pateticamente<br />

abortite), di un Festival Webern, di un Archivio per la musica contemporanea<br />

e così via, per non parlare di innumerevoli contenitori di eventi stagionali<br />

con spazi dedicati al contemporaneo (cfr. Violante 2009). Tutto all’insegna<br />

del discontinuo, forse per desiderio di impregnare le iniziative di uno<br />

stile improvvisativo a carattere creativo, forse, più verosimilmente, perché è<br />

avanzata negli ultimi due decenni quella visione dei fatti culturali che orienta<br />

a soppesare e considerare gli stessi più per l’effetto annuncio, per la spinta<br />

mediatica, che per i loro contenuti. E gli annunci, per avere efficacia, si<br />

devono ripetere insistentemente, secondo il convincimento che a forza di<br />

ripetere una cosa, quella cosa diventa vera, almeno nell’immaginario collettivo.<br />

Quindi, non sarebbe servito dare continuità agli eventi, alle iniziative<br />

create con un tema logico (ma anche storico, stilistico, filosofico) da perseguire<br />

e sviluppare negli anni, dare luoghi, spazi e dimora alle idee; sarebbe<br />

piuttosto servito crearne sempre di nuove (almeno apparentemente) per<br />

poterle conclamare in una conferenza stampa.<br />

Il senso di vuoto, in questo contesto operativo, si avvertiva e si estendeva<br />

quale sensazione di disorientamento, se non di smarrimento, in un<br />

bosco fitto di frenetiche, dinamiche e incompiute sembianze effimere, al<br />

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