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CINQUE MOSCHE D’ORO BIANCO

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vicino a Casteggio. Appena sceso dalla macchina, davanti alla<br />

struttura di legno, mattoni e lamiere, Mancini lo ha sentito, Livio<br />

Gatti. Anzi, lo ha immaginato, come gli capita spesso. Lo ha visto<br />

muoversi, trascinare i corpi delle giovani. È lì che le ha operate. È<br />

proprio lì dentro che ha amputato i cinque anulari. Quello è stato il<br />

suo nascondiglio chissà per quanto tempo. E lì Mancini spera di trovare<br />

almeno qualche indizio prezioso, se non addirittura i corpi.<br />

Fra i banchi da lavoro, i tirafili e laminatoi, Mancini<br />

registra una quantità di pinze, trapani e bruciatori che solo<br />

la fucina di un orafo può ospitare. Dall’odore che aleggia<br />

nell’ambiente dietro il laboratorio sa anche che stavolta<br />

quegli strumenti hanno distrutto piuttosto che creare.<br />

Hanno smembrato, invece che plasmare. Lo sguardo scivola<br />

sulla scia scarlatta che sale dal pavimento lungo il banco da<br />

lavoro e si arrampica fino a un binario da cui pendono<br />

cinque ganci d’acciaio.<br />

Mancini viene accolto da un’esibizione di carni degne di<br />

un mattatoio domestico. Sull’ennesimo ripiano la furia della<br />

muffa ha lavorato senza sosta. Le inflorescenze delle sue<br />

spore nascondono tentacoli e filamenti che s’insinuano<br />

sotto la superficie rugosa del pancreas. Sul fegato, riposto lì<br />

accanto, palpitano le larve della sarcophaga carnaria. A<br />

miriadi, le uova si schiudono nel loro biancore lattescente.<br />

Migliaia di uncini popolano quelle bocche, inesausti motori<br />

della fame. Incessanti macchine divoratrici. Serpeggiano,<br />

brucano, lacerano, svuotano, le teste immerse nella carne<br />

stremata. È l’officina del diavolo. Un crogiolo di carni e<br />

metalli.<br />

Lo trova lì, esposto. Vivo e morto, l’argento che scava la<br />

polpa.<br />

L’opera del mostro è quasi compiuta.<br />

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