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Mancini sa di avere davanti agli occhi Mara, Cinzia, Eva<br />
e Stefania. O almeno una parte di loro.<br />
Lì, mescolati tra loro, inchiodati alle assi di legno della<br />
parete sud, danno mostra di sé i pezzi dei corpi ormai senza<br />
nome. L’assurdo coacervo di arti trova senso nella perfetta<br />
riproduzione della folle opera d’arte che Mancini ha appena<br />
scoperto. Da una botte di legno in fondo alla stanza<br />
emergono gli scarti, le parti inutilizzate per la statua cadavere.<br />
L’ultima era scomparsa sotto il naso del nonno che l’aveva<br />
accompagnata a pallavolo e la aspettava su una panchina fuori dalla<br />
palestra. Non si erano più rivisti. La fedina scintillante era stata<br />
ritrovata al centro di una zolla in aperta campagna, all’ombra di un<br />
platano. Attaccata al piccolo anulare.<br />
Le cinque ragazze hanno tutte tra i nove e i dodici anni, ma secondo<br />
Mancini all’assassino interessa l’età apparente: le vittime devono essere<br />
d’aspetto assimilabile a quello della sorella quando è morta, quando il<br />
mondo ha smesso di girare, quando la madre ha finito di amarlo per<br />
dedicarsi alla memoria della figlia scomparsa. È di lei che si è vendicato<br />
Livio Gatti.<br />
Mancini sa che le ha stordite con un reagente tossico, ha<br />
amputato l’anulare e le ha uccise. Ma ora lo vede, lo<br />
immagina, mentre opera e dispone quei corpi su quella<br />
specie di croce. Adesso sa cosa fa con le sue bambole di<br />
carne.<br />
Sussulta quando il cellulare che tiene nella tasca del jeans<br />
vibra una volta sola. È un messaggio. Ora non può. E se<br />
fosse Marisa? Pesca l’aggeggio e pigia il tasto al centro. È un<br />
SMS dell’ispettore Comello.<br />
GATTI NON È MAI SALITO SU QUELL’AEREO.<br />
Cristo!<br />
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