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SUZUKI RT 66 44/99

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In alto, la carenatura della <strong>RT</strong> <strong>66</strong> presenta i<br />

tipici rigonfiamenti per fare posto ai carburatori,<br />

montati lateralmente. Le espansioni,<br />

uscenti dalla parte posteriore dei cilindri<br />

hanno due grandi protezioni in lamiera di<br />

alluminio per evitare scottature alle gambe<br />

del pilota.<br />

In basso, il telaio a doppia culla aperta,<br />

verniciato in blu metallizzato, è integrato<br />

dal motore, che ne è parte strutturale. Notare<br />

il lungo serbatoio e le proporzioni generali.<br />

La moto è piccola e adatta a corridori<br />

di ridotta statura.<br />

successiva <strong>RT</strong> 64 (30 CV a 13000<br />

giri/min) fu surclassata, nel l964, dalle<br />

Honda quattro cilindri di Taveri e Redman,<br />

ma l’anno successivo, con la ulteriormente<br />

migliorata <strong>RT</strong> 65 il titolo<br />

tornò in casa Suzuki, grazie ancora a<br />

Hugh Anderson. Quell’anno, in un bagnato<br />

Gran Premio d’Italia a Monza,<br />

Anderson ottenne una vittoria tanto<br />

netta che, dopo soli 13 dei 18 giri della<br />

corsa, doppiò tutti gli avversari. La sua<br />

media generale fu poi tale che gli avrebbe<br />

permesso di arrivare secondo nella<br />

classe 250 (vinta da Tarquinio Provini<br />

con la Benelli quattro cilindri) e addirittura<br />

terzo nella 500 dietro Hailwood<br />

e Agostini !<br />

La <strong>RT</strong> <strong>66</strong>, oggetto del servizio, ebbe invece<br />

la sfortuna di trovarsi di fronte le<br />

Honda cinque cilindri di Taveri e Ralph<br />

Bryans e le Yamaha bicilindriche di<br />

Read e Ivy, e per questo mancò il successo<br />

assoluto. Anderson e Perris poi, si<br />

ritirarono alla fine di quella stagione e<br />

il loro posto fu preso da Stuart Graham<br />

(figlio del leggendario Leslie), dal tedesco<br />

Hans Georg Anscheidt e dal giapponese<br />

Yoshimi Katayama.<br />

La <strong>RT</strong> <strong>66</strong> aveva la pompa dell’acqua e<br />

un radiatore più piccolo al posto del sistema<br />

a termosifone dei modelli precedenti,<br />

mentre il cambio divenne a nove<br />

rapporti. Quest’ultimo passò a dieci<br />

marce l’anno successivo e, per questa<br />

versione ulteriormente evoluta, la potenza<br />

raggiunse il valore di 35 CV a<br />

14000 giri/min con una velocità massima<br />

di 208 km/h.<br />

Era ormai ovvio che l’ulteriore sviluppo<br />

del motore bicilindrico fosse giunto al<br />

termine e che l’avvento della Yamaha<br />

quattro cilindri a V ponesse i tecnici<br />

della Suzuki di fronte alla necessità di<br />

creare qualcosa di totalmente nuovo.<br />

La nuova macchina, una quattro cilindri<br />

siglata RS 67 (vedi Moto storiche &<br />

d’Epoca n. 41) fece il debutto a sorpresa<br />

al Gran Premio del Giappone del 1967.<br />

Nel 1968, dopo il ritiro della Honda, anche<br />

la Suzuki non presentò una squadra<br />

ufficiale e con questa decisione<br />

fermò anche lo sviluppo della RS 67.<br />

La <strong>RT</strong> <strong>66</strong> scese però ancora in pista nelle<br />

mani di Anscheidt e Graham, cui furono<br />

affidate un paio di macchine ciascuno<br />

e una buona scorta di ricambi.<br />

Dopo le note limitazioni nel numero di<br />

cilindri e di rapporti del cambio, una<br />

<strong>RT</strong> <strong>66</strong>, nelle mani del corpulento (per la<br />

classe 125) pilota tedesco Dieter Braun<br />

riuscì a vincere un titolo mondiale nel<br />

1970, davanti a una Derbi, una Maico,<br />

una Kawasaki e una MZ, in rappresentanza<br />

di una nutrita e eterogenea schiera<br />

di avversari.<br />

L’anno successivo, Barry Sheene, con la<br />

<strong>RT</strong> <strong>66</strong> acquistata dal connazionale<br />

Stuart Graham giunse secondo nel<br />

mondiale alle spalle di Angel Nieto con<br />

la Derbi ufficiale. Va ricordato che quell’anno,<br />

la moto di Barry aveva compiuto<br />

5 anni dalla prima uscita in pista !<br />

La Suzuki, come molte altre Case, aveva<br />

l’abitudine di distruggere le proprie<br />

macchine alla fine della stagione. Questo<br />

“rito” veniva consumato presso la<br />

In alto, il cavalletto di sostegno è senza<br />

dubbio sovradimensionato per una moto di<br />

soli 89 kg di peso !<br />

In basso, la fotografia mostra uno dei dischi<br />

rotanti di ammissione. Vi si accede<br />

smontando il coperchio laterale che funge<br />

anche da supporto per il carburatore e fissato<br />

al carter motore con una serie di viti.<br />

Il principale vantaggio di questo tipo di<br />

ammissione, rispetto a quella tradizionale<br />

comandata dal pistone, è quello di consentire<br />

una fasatura asimmetrica, con miglioramento<br />

del riempimento e del travaso.<br />

Anche il regime termico del pistone è più<br />

omogeneo, non essendoci più contatto diretto<br />

con la carica fresca.<br />

fabbrica, nelle vicinanze del reparto<br />

corse di Hamamatsu (questa usanza potrà<br />

oggi sembrare barbara, ma all’epoca<br />

era in uso per mantenere tali i segreti<br />

tecnici e precluderli alla concorrenza).<br />

Alcune delle <strong>RT</strong> trovarono invece la loro<br />

destinazione finale in Olanda, e questo<br />

ebbe evidentemente a che fare con il<br />

fatto che il quartier generale della squadra<br />

corse Suzuki in Europa negli anni<br />

’60, era ubicato nel piccolo villaggio di<br />

Badhoervedorp. Le motociclette, i furgoni<br />

di trasporto, i meccanici e spesso<br />

anche i piloti erano ospitati in un hotel<br />

e in una serie di garage nelle vicinanze<br />

di Schipol (l’aeroporto di Amsterdam).<br />

Il che rendeva i contatti con il Giappone<br />

e in particolare l’invio dei ricambi, assai<br />

semplice e veloce.

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