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SUZUKI RT 66 44/99

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La moto della Casa di<br />

Hamamatsu<br />

ha rappresentato<br />

un esempio<br />

di longevità vincendo<br />

il mondiale<br />

quattro anni dopo<br />

il suo debutto<br />

di Hans van Loozenoord<br />

traduzione di Franco Daudo<br />

foto di Henk Keulemans<br />

Un modello in primo piano<br />

<strong>SUZUKI</strong> <strong>RT</strong> <strong>66</strong><br />

Nonostante la Suzuki abbia ottenuto<br />

molti successi negli anni<br />

’60 con le sue 125 cm 3 da Gran<br />

Premio, poche delle sue famose motociclette<br />

sono rimaste intatte per i posteri.<br />

L’importatore olandese della marca<br />

di Hamamatsu, la BV NIMAG è il fortunato<br />

proprietario di una delle macchine<br />

ufficiali che concluse la sua carriera<br />

agonistica nel 1970. Spesso il codice<br />

identificativo delle motociclette è<br />

difficile da comprendere, così come le<br />

complesse spiegazioni che a volte forniscono<br />

gli stessi tecnici giapponesi. La<br />

Suzuki della serie TR, rappresentano,<br />

in questo senso, una eccezione: la sigla<br />

significa semplicemente “Racer Twin<br />

cylinder” e cioè motocicletta da corsa<br />

bicilindrica, la stessa sigla rimasta invariata<br />

dalla presentazione della prima<br />

125 cm 3 bicilindrica, avvenuta nel 1960.<br />

Antesignana di tutta questa serie di motociclette<br />

fu la <strong>RT</strong> 60, disegnata dal professor<br />

Takehanu Okano, e portata al debutto<br />

al TT dell’Isola di Man nel 1960<br />

dai piloti giapponesi Toshio Matsumoto<br />

e Michio Ichino nonché dall’inglese Ray<br />

Fay, che prese il posto di Fumio<br />

Itoh, reduce da una caduta in<br />

prova. Già nel 1961 la distribuzione<br />

in terza luce fu sostituita<br />

da quella a disco rotante con un<br />

incremento della potenza da 13 a<br />

15 CV a 10000 giri/min e una velocità<br />

massima prossima ai 150 km/h.<br />

Come raccontato sul numero scorso,<br />

dopo l’arrivo del tedesco orientale Ernst<br />

Degner, lo sviluppo motoristico di queste<br />

motociclette ebbe un notevole impulso,<br />

tanto che nel 1963 la squadra<br />

formata oltre che da Degner da Hugh<br />

Anderson, Frank Perris e Bertie Schneider<br />

dominò il campionato alla guida<br />

delle <strong>RT</strong> 63, il cui motore sviluppava<br />

25.5 CV a 12000 giri/min. Il neozelandese<br />

Anderson vinse infatti il titolo,<br />

ottenendo sei vittorie.<br />

Arrivò anche il titolo di<br />

marca grazie alle vittorie<br />

(una per ciascuno)<br />

di Degner, Perris<br />

e Schneider. La


In alto, la carenatura della <strong>RT</strong> <strong>66</strong> presenta i<br />

tipici rigonfiamenti per fare posto ai carburatori,<br />

montati lateralmente. Le espansioni,<br />

uscenti dalla parte posteriore dei cilindri<br />

hanno due grandi protezioni in lamiera di<br />

alluminio per evitare scottature alle gambe<br />

del pilota.<br />

In basso, il telaio a doppia culla aperta,<br />

verniciato in blu metallizzato, è integrato<br />

dal motore, che ne è parte strutturale. Notare<br />

il lungo serbatoio e le proporzioni generali.<br />

La moto è piccola e adatta a corridori<br />

di ridotta statura.<br />

successiva <strong>RT</strong> 64 (30 CV a 13000<br />

giri/min) fu surclassata, nel l964, dalle<br />

Honda quattro cilindri di Taveri e Redman,<br />

ma l’anno successivo, con la ulteriormente<br />

migliorata <strong>RT</strong> 65 il titolo<br />

tornò in casa Suzuki, grazie ancora a<br />

Hugh Anderson. Quell’anno, in un bagnato<br />

Gran Premio d’Italia a Monza,<br />

Anderson ottenne una vittoria tanto<br />

netta che, dopo soli 13 dei 18 giri della<br />

corsa, doppiò tutti gli avversari. La sua<br />

media generale fu poi tale che gli avrebbe<br />

permesso di arrivare secondo nella<br />

classe 250 (vinta da Tarquinio Provini<br />

con la Benelli quattro cilindri) e addirittura<br />

terzo nella 500 dietro Hailwood<br />

e Agostini !<br />

La <strong>RT</strong> <strong>66</strong>, oggetto del servizio, ebbe invece<br />

la sfortuna di trovarsi di fronte le<br />

Honda cinque cilindri di Taveri e Ralph<br />

Bryans e le Yamaha bicilindriche di<br />

Read e Ivy, e per questo mancò il successo<br />

assoluto. Anderson e Perris poi, si<br />

ritirarono alla fine di quella stagione e<br />

il loro posto fu preso da Stuart Graham<br />

(figlio del leggendario Leslie), dal tedesco<br />

Hans Georg Anscheidt e dal giapponese<br />

Yoshimi Katayama.<br />

La <strong>RT</strong> <strong>66</strong> aveva la pompa dell’acqua e<br />

un radiatore più piccolo al posto del sistema<br />

a termosifone dei modelli precedenti,<br />

mentre il cambio divenne a nove<br />

rapporti. Quest’ultimo passò a dieci<br />

marce l’anno successivo e, per questa<br />

versione ulteriormente evoluta, la potenza<br />

raggiunse il valore di 35 CV a<br />

14000 giri/min con una velocità massima<br />

di 208 km/h.<br />

Era ormai ovvio che l’ulteriore sviluppo<br />

del motore bicilindrico fosse giunto al<br />

termine e che l’avvento della Yamaha<br />

quattro cilindri a V ponesse i tecnici<br />

della Suzuki di fronte alla necessità di<br />

creare qualcosa di totalmente nuovo.<br />

La nuova macchina, una quattro cilindri<br />

siglata RS 67 (vedi Moto storiche &<br />

d’Epoca n. 41) fece il debutto a sorpresa<br />

al Gran Premio del Giappone del 1967.<br />

Nel 1968, dopo il ritiro della Honda, anche<br />

la Suzuki non presentò una squadra<br />

ufficiale e con questa decisione<br />

fermò anche lo sviluppo della RS 67.<br />

La <strong>RT</strong> <strong>66</strong> scese però ancora in pista nelle<br />

mani di Anscheidt e Graham, cui furono<br />

affidate un paio di macchine ciascuno<br />

e una buona scorta di ricambi.<br />

Dopo le note limitazioni nel numero di<br />

cilindri e di rapporti del cambio, una<br />

<strong>RT</strong> <strong>66</strong>, nelle mani del corpulento (per la<br />

classe 125) pilota tedesco Dieter Braun<br />

riuscì a vincere un titolo mondiale nel<br />

1970, davanti a una Derbi, una Maico,<br />

una Kawasaki e una MZ, in rappresentanza<br />

di una nutrita e eterogenea schiera<br />

di avversari.<br />

L’anno successivo, Barry Sheene, con la<br />

<strong>RT</strong> <strong>66</strong> acquistata dal connazionale<br />

Stuart Graham giunse secondo nel<br />

mondiale alle spalle di Angel Nieto con<br />

la Derbi ufficiale. Va ricordato che quell’anno,<br />

la moto di Barry aveva compiuto<br />

5 anni dalla prima uscita in pista !<br />

La Suzuki, come molte altre Case, aveva<br />

l’abitudine di distruggere le proprie<br />

macchine alla fine della stagione. Questo<br />

“rito” veniva consumato presso la<br />

In alto, il cavalletto di sostegno è senza<br />

dubbio sovradimensionato per una moto di<br />

soli 89 kg di peso !<br />

In basso, la fotografia mostra uno dei dischi<br />

rotanti di ammissione. Vi si accede<br />

smontando il coperchio laterale che funge<br />

anche da supporto per il carburatore e fissato<br />

al carter motore con una serie di viti.<br />

Il principale vantaggio di questo tipo di<br />

ammissione, rispetto a quella tradizionale<br />

comandata dal pistone, è quello di consentire<br />

una fasatura asimmetrica, con miglioramento<br />

del riempimento e del travaso.<br />

Anche il regime termico del pistone è più<br />

omogeneo, non essendoci più contatto diretto<br />

con la carica fresca.<br />

fabbrica, nelle vicinanze del reparto<br />

corse di Hamamatsu (questa usanza potrà<br />

oggi sembrare barbara, ma all’epoca<br />

era in uso per mantenere tali i segreti<br />

tecnici e precluderli alla concorrenza).<br />

Alcune delle <strong>RT</strong> trovarono invece la loro<br />

destinazione finale in Olanda, e questo<br />

ebbe evidentemente a che fare con il<br />

fatto che il quartier generale della squadra<br />

corse Suzuki in Europa negli anni<br />

’60, era ubicato nel piccolo villaggio di<br />

Badhoervedorp. Le motociclette, i furgoni<br />

di trasporto, i meccanici e spesso<br />

anche i piloti erano ospitati in un hotel<br />

e in una serie di garage nelle vicinanze<br />

di Schipol (l’aeroporto di Amsterdam).<br />

Il che rendeva i contatti con il Giappone<br />

e in particolare l’invio dei ricambi, assai<br />

semplice e veloce.


In alto, il piccolo radiatore dell’acqua trova<br />

posto dietro i tubi discendenti anteriori del<br />

telaio. La circolazione dell’acqua avviene<br />

per termoconvezione naturale. Molto razionale<br />

lo scarico posteriore, reso possibile<br />

dalla aspirazione nel carter comandata da<br />

dischi rotanti tipo Zimmermann.<br />

In basso, il carter motore ha dimensioni<br />

generose ed è formato da due gusci uniti<br />

secondo un piano orizzontale. Dietro al<br />

carburatore Mikuni VM29 il magnete di<br />

accensione Kokusan.<br />

C’erano poi anche le ottime relazioni<br />

con l’importatore olandese BV NIMAG<br />

(che fornì poi le motociclette a piloti del<br />

calibro di Rob Bron, Marcel Ankonè,<br />

Wil Hartog, Boet Van Dulmen e Jack<br />

Middelburg). Fu proprio il direttore della<br />

BV NIMAG, il signor Evert Louwman,<br />

che ottenne una <strong>RT</strong> <strong>66</strong> da mettere in<br />

mostra nel suo National Motor Museum.<br />

Dalla prima occhiata la <strong>RT</strong> del nostro<br />

servizio appare subito come un purosangue<br />

da corsa, con il bel telaio dipinto<br />

in blu metallizzato che circonda il motore<br />

con i cilindri inclinati.<br />

Guardandola da dietro si nota subito<br />

l’ingombro del panciuto motore, principalmente<br />

a causa dei carburatori Miku-<br />

ni VM da 29 mm di diametro, che respirano<br />

sui fianchi del motore, affacciati ai<br />

dischi rotanti di ammissione. Questi obbligano<br />

la carenatura argento e celeste<br />

alla forma tipica delle moto a due tempi<br />

da corsa di trenta anni fa.<br />

La Suzuki <strong>RT</strong> “olandese” è un miscuglio<br />

di parti datate dal 1964 al 1967, come<br />

d’altronde erano assemblate anche le al-<br />

tre moto di questa serie. Il carter appartiene<br />

a un motore <strong>RT</strong> 67. Il telaio in duralluminio<br />

è un doppia culla aperta con<br />

il motore che ne è parte integrante: esso<br />

fu costruito, probabilmente tra il<br />

19<strong>66</strong> e il 1967. I cilindri lasciarono la<br />

fabbrica nel 1965. Tra i gambali della<br />

forcella anteriore a molle scoperte vi è<br />

probabilmente la parte più vecchia della<br />

moto: il freno anteriore a quattro ganasce<br />

e singola camma di azionamento,<br />

datato, come anche il posteriore, 1964.<br />

Il cambio è a 10 rapporti mentre il sistema<br />

di raffreddamento è del tipo a<br />

termosifone con un grosso radiatore.<br />

Sul lato destro del carter motore è visibile<br />

la zona dove era già stato previsto il<br />

montaggio della pompa meccanica di<br />

circolazione del liquido refrigerante.<br />

Quando questa Suzuki fu prelevata dal<br />

Museo, in occasione del Centennial TT<br />

di Assen dell’anno scorso, non era sicuramente<br />

pronta per essere utilizzata in<br />

pista. I vecchi pistoni dovettero essere<br />

sostituiti, mentre mancava l’ingranaggio<br />

di comando del magnete di accensione,<br />

probabilmente tolto per evitare<br />

che il motore potesse in ogni caso essere<br />

avviato. Con il poco tempo a disposizione<br />

il piccolo ingranaggio fu replicato<br />

usando come materiale del nylon, ma<br />

purtroppo questo elemento si ruppe subito,<br />

relegando il bicilindrico a fare solamente<br />

mostra statica.<br />

Questa <strong>RT</strong> 67 è una motocicletta specia-<br />

le, non solo per il fatto che ne esistono<br />

soltanto pochissimi esemplari al mondo,<br />

ma per il fatto che fu la protagonista<br />

di una svolta nella storia del motociclismo<br />

per una serie di strane circostanze.<br />

In alto a sinistra, la vista frontale è dominata<br />

dall’ingombro dei carburatori e delle<br />

protezioni alle camere di espansione.<br />

In alto a destra, il freno anteriore è a quattro<br />

ganasce con una singola camma di<br />

azionamento per piatto portaceppi.<br />

In basso, il freno posteriore a tamburo ha il<br />

comando a cavo. E’ anch’esso a camma<br />

singola.<br />

Uno degli uomini più intimamente<br />

coinvolti nella storia di questa moto fu<br />

Aalt Toersen, ex pilota ufficiale della<br />

Van-Veen Kreidler e della Jamathi nella<br />

classe 50 cm 3 e l’ultimo a guidare una<br />

<strong>RT</strong> 125 in un Gran Premio. Guidò infatti<br />

la macchina che gli cedette Cees Van<br />

Dongen, il pilota olandese che vinse il<br />

GP di Spagna della classe 125 cm 3 disputato<br />

nel 1969 sul circuito di Jarama<br />

con un altra Suzuki <strong>RT</strong> <strong>66</strong> appartenuta<br />

ad Anscheidt, e acquistata in Germania<br />

dallo sponsor olandese Henk Viscaal.<br />

L’altra <strong>RT</strong> di Anscheidt fu quella venduta<br />

a Dieter Braun.<br />

Tornando al 1969, Aalt Toersen era in


testa al campionato della 50 cm 3 dopo<br />

aver vinto i primi tre Gran Premi della<br />

stagione in sella alla Van-Veen Kreidler.<br />

In quel periodo la Suzuki fu rubata dal<br />

Museo di Evert Louwman ! Questo causò<br />

molto baccano in Olanda e la successiva<br />

messa in palio di un premio di<br />

2500 fiorini (una bella somma di denaro<br />

per quell’epoca) fece aguzzare la vista e<br />

rizzare le orecchie a tutti i frequentatori<br />

delle corse, tanto più che una moto<br />

così rara era alquanto facile da riconoscere.<br />

Di sicuro il ladro era qualcuno<br />

che voleva vedere “dentro” quel motore<br />

In alto a sinistra, ancora una vista del motore in cui è evidente il<br />

volume del carter. Esso doveva contenere tutta l’ingranaggeria del<br />

cambio a dieci rapporti, necessari per far rimanere sempre in coppia<br />

il motore.<br />

In alto a destra, in questa foto è testimoniato l’incendio occorso alla<br />

moto di Ernst Degner, dopo la sua caduta. Il luogo è la pista<br />

giapponese di Suzuka nell’anno 1963. Vinse quella corsa un’altra<br />

Suzuki, quella di Frank Perris.<br />

In basso, una foto di Hugh Anderson sulla sua <strong>RT</strong> <strong>66</strong> al Gran Premio<br />

di Germania Est del 19<strong>66</strong>.<br />

per carpire i segreti più nascosti della<br />

tecnologia Suzuki (diagramma della distribuzione,<br />

valvole di ammissione, misure<br />

delle camere di espansione ecc.).<br />

Toersen, che ora ha 53 anni, ricorda<br />

molto bene quello che accadde: “Lavoravo<br />

al reparto corse della Van-Veen ad<br />

Amsterdam quando qualcuno ci chiese<br />

se eravamo interessati a conoscere segretamente<br />

delle informazioni relative<br />

alla preparazione di un motore due<br />

tempi speciale da corsa. Naturalmente<br />

eravamo interessati e fu così che vidi<br />

per la prima volta i pezzi del motore<br />

Suzuki, tutti sparsi nel retro di un furgone.<br />

L’uomo che rubò quella Suzuki ci<br />

disse poi di avere appena passato un delizioso<br />

week end a Barcellona. Telefonammo<br />

subito al proprietario della Suzuki<br />

e, nel frattempo che lo tenevamo<br />

impegnato con la nostra conversazione,<br />

In alto, una foto della moto di Sheene senza<br />

motore. E’ visibile la struttura del telaio,<br />

molto robusto nella zona del cannotto.<br />

In basso a sinistra, la stretta piastra della<br />

forcella e sul semimanubrio destro il bottone<br />

di massa e il manettino dell’arricchitore.<br />

Le leve sono molto distanti dalle manopole.<br />

In basso a destra, i due semicarter erano<br />

uniti secondo un piano orizzontale. Gli otto<br />

prigionieri fissavano i due gruppi termici<br />

indipendenti.<br />

vennero per arrestarlo.”<br />

“Presto venne a galla lo scopo di quel<br />

suo week end a Barcellona: aveva passato<br />

quelle informazioni tecniche anche<br />

alla Derbi. In effetti questo mi costò il<br />

titolo iridato della classe 50 cm 3 , poiché<br />

poche settimane dopo quell’incontro, la<br />

Derbi si presentò con una nuova espansione<br />

che correva sotto la sella e subito<br />

fu molto più veloce. Ad Assen mi superò<br />

agevolmente sul rettilineo e così


Quattro immagini del motore <strong>RT</strong> <strong>66</strong> scattate<br />

all’epoca in fase di montaggio. Gran<br />

parte degli organi meccanici sono in evidenza.<br />

In alto a sinistra, il motore chiuso con i pistoni<br />

montati. Visibile sul mantello di un pistone<br />

il foro in corrispondenza del terzo<br />

travaso ricavato con la classica “unghiata”<br />

sul cilindro. Le dimensioni caratteristiche di<br />

questo motore erano 43 x 42,5 mm.<br />

In alto al centro, il semicarter inferiore (il<br />

motore era tagliato orizzontalmente) con<br />

l’ingranaggeria in posizione. Notare i lunghi<br />

alberi primario e secondario del cambio<br />

previsti per dieci rapporti solo parzialmente<br />

“pieni” poichè erano solo sei le<br />

marce consentite dai nuovi regolamenti entrati<br />

in vigore nel 1970. Due gli alberi ausiliari:<br />

nel primo si vede l’ingranaggio centrale<br />

su cui si accoppiano due alberi motore,<br />

a sinistra l’ingranaggio che comanda il<br />

magnete e a destra quello della trasmissione<br />

primaria. Questo albero è reso necessario<br />

dal fatto che le estremità dei due alberi<br />

motore sono impegnati dal calettamento<br />

dei dischi rotanti.<br />

In alto a destra, il carter superiore visto<br />

dall’interno. La soluzione dei carter tagliati<br />

orizzontalmente era già stata utilizzata da<br />

Vassena nel progetto del bicilindrico Rumi<br />

alla fine degli anni ’40.<br />

Al centro a destra, gli alberi motore montati<br />

nel loro alloggiamento: notare la cura<br />

con cui si è ridotto al minimo il volume del<br />

carter pompa, con i volantini discoidali che<br />

lo riempiono al massimo.<br />

fui battuto al Dutch TT e in altre gare,<br />

tanto che alla fine del Campionato<br />

giunsi secondo ad un solo punto da Angel<br />

Nieto.” Il ladro - un corridore locale<br />

della classe 50 cm 3 conosciuto anche<br />

dai migliori piloti internazionali - fu<br />

quindi fermato dalla Polizia mentre la<br />

Suzuki, ridotta a a pezzi, tornò al proprietario<br />

che chiese alla Van-Veen di<br />

riassemblarla. Poca gente era in grado<br />

di fare quel lavoro e a noi, alla Van-Veen<br />

non fu poi molto istruttivo poiché a<br />

quell’epoca seguivamo più che altro le<br />

orme della Yamaha”. “Più tardi capimmo<br />

che tali informazioni furono offerte<br />

anche alla MZ; ma non fu proprio da lì<br />

che un giorno arrivarono le informazio-<br />

ni ai giapponesi per sviluppare i propri<br />

motori ? Fu una sorta di spionaggio industriale<br />

fatto in una maniera più modesta,<br />

che fece il giro d’Europa alla fine<br />

degli anni ’60.<br />

Questo spiega in parte l’atteggiamento<br />

assai riservato di molte case, che proibivano<br />

a chiunque di avvicinarsi alle proprie<br />

macchine ufficiali.<br />

L’anno dopo Aalt Toersen passò alla Jamathi<br />

con la quale vinse altri 3 Gran<br />

Premi, ma guidò anche la Suzuki di<br />

Van Dongen. “Avevamo un sacco di ricambi<br />

e utilizzammo sia il telaio in alluminio<br />

che quello in acciaio, ma non<br />

avevamo abbastanza ricambi per i carter<br />

motore. Prima del Dutch TT chie-<br />

demmo all’importatore della Suzuki di<br />

poter utilizzare il motore della moto<br />

del Museo ed egli fu felice di renderci in<br />

questo modo il favore che gli avevamo<br />

fatto l’anno prima. Naturalmente dovemmo<br />

fare delle modifiche poiché in<br />

base ai nuovi regolamenti era permesso<br />

utilizzare un cambio con soli sei rapporti.<br />

Ebbi il piacere di provare il cambio<br />

a dieci rapporti solo su un tratto di<br />

autostrada deserta, finchè non arrivò la<br />

Polizia !” racconta Toersen con un sorriso.<br />

“La Suzuki era una macchina deliziosa<br />

da guidare nonostante la posizione<br />

del pilota apparisse più alta di quello<br />

che in effetti fosse. A causa della mia altezza<br />

(162 cm) dovemmo muovere<br />

avanti la sella, il che mi faceva sentire a<br />

mio agio. La maneggevolezza era buona<br />

ma non altrettanto la stabilità. Volevo<br />

qualcosa di meglio e per questo preferii<br />

il telaio in acciaio, più pesante ma anche<br />

più rigido di quello in alluminio.<br />

Fu anche necessario un ammortizzatore<br />

di sterzo poiché nelle curve veloci il<br />

retrotreno aveva la tendenza a scuotersi<br />

violentemente. La sequenza della marce<br />

era con la prima in alto e l’azionamento<br />

del cambio era molto dolce; non<br />

era necessario l’uso della frizione salendo<br />

con le marce: soltanto una leggera<br />

pressione sulla leva accompagnata da<br />

una pelata al gas. Mi piaceva molto guidare<br />

quella Suzuki. Arrivai quarto al<br />

Dutch TT e una settimana dopo a Francorchamps<br />

stetti in testa alla corsa, insieme<br />

a Dieter Braun, fino a quando ebbi<br />

un guasto meccanico”.<br />

Braun conquistò il titolo mondiale nel<br />

1970 sulla sua <strong>RT</strong> e Toersen finì al settimo<br />

posto. Dopo l’ottavo posto ottenuto<br />

all’ultimo Gran Premio della stagione,<br />

corso in Spagna sul circuito del<br />

Montjuich, la Suzuki <strong>RT</strong> <strong>66</strong> tornò al<br />

museo per essere mostrata per sempre<br />

all’attenzione dei visitatori.<br />

Nel 1971 la storia della Suzuki <strong>RT</strong> continuò<br />

per merito di Barry Sheene, che<br />

con quella moto fece il suo debutto nel<br />

Campionato del Mondo, mettendosi subito<br />

in evidenza con la conquista del secondo<br />

posto nella classifica finale della<br />

125 alle spalle dello spagnolo Angel<br />

Nieto.<br />

La moto, una di quelle affidate a Stuart<br />

Graham, fu da quest’ultimo messa in<br />

vendita dopo la decisione di ritirarsi<br />

dalle corse, avvenuta dopo il TT del<br />

In alto a sinistra, la sottile valvola rotante,<br />

in acciaio, quasi una membrana, striscia<br />

nella sua rotazione su una superficie in<br />

bronzo riportata e fissata al coperchio con<br />

una serie di viti (visibili nella foto). La durata<br />

della fase di aspirazione, come si vede,<br />

è prossima ai 180°.<br />

In alto a destra, i due alberi motore con il<br />

relativo ingranaggio di accoppiamento. Dimensioni<br />

compatte e supporti surdimensionati<br />

assicuravano una grande longevità tenendo<br />

conto degli alti regimi di rotazione<br />

di questo motore.<br />

Sotto, Barry Sheene in lotta con Angel Nieto.<br />

La Derbi dello spagnolo era una macchina<br />

ufficiale mentre la Suzuki di Sheene<br />

era vecchia di 5 anni. Aveva inoltre il cambio<br />

con soli 6 rapporti (anziché 10 come<br />

l’originale) per sottostare ai nuovi regolamenti<br />

FIM.<br />

1970. La moto non aveva disputato<br />

molte gare nelle due stagioni precedenti.<br />

La richiesta era di 2000 sterline, una<br />

somma non indifferente per quel periodo<br />

(una Triumph Bonneville costava<br />

circa 500 sterline) ma Sheene decise<br />

che quella macchina, di cui conosceva<br />

le prestazioni e sapeva quale era la potenzialità,<br />

sarebbe stata quello che ci<br />

voleva per il lancio della sua carriera.<br />

Per acquistarla diede fondo a tutte le<br />

proprie risorse finanziarie e anche in<br />

padre Franco, convinto sostenitore del<br />

figlio, mise nell’impresa tutti i risparmi<br />

che aveva accantonato per la vecchiaia.<br />

Fu per lui sicuramente un miglior investimento<br />

che non tenerli in banca !<br />

Con l’aiuto del meccanico Don Mackay,<br />

iniziò l’avventura nel mondiale dopo<br />

aver vinto una gara internazionale ad<br />

inizio stagione in Spagna, proprio davanti<br />

al grande Nieto, favorito nella lotta<br />

al campionato. Per rientrare nel regolamento<br />

fu utilizzato un cambio a sei<br />

marce costruito in Olanda, probabil-


In alto a destra, Stuart Graham lanciato in<br />

sella alla Suzuki <strong>RT</strong><strong>66</strong> che sarebbe poi stata<br />

acquistata da Barry Sheene.<br />

In basso, Hugh Anderson ripreso a Suzuka<br />

nel 1963, attorniato dai meccanici della<br />

Suzuki. Quell’anno era finalmente arrivata<br />

l’affidabilità dei motori (ancora raffreddati<br />

ad aria) e con essa il dominio nel Campionato<br />

del Mondo. Anderson vinse poi il titolo<br />

davanti alle Honda di Taveri e Redman.<br />

Fu il primo titolo mondiale vinto da una<br />

motocicletta con motore a due tempi nella<br />

classe 125.<br />

mente dello stesso tipo utilizzato da<br />

Van Dongen e Toersen. La prima vittoria<br />

di un GP per Sheene avvenne in<br />

Belgio a Spa con una cavalcata solitaria<br />

coronata anche dal record sul giro e<br />

sulla distanza (il primo a quasi 180<br />

km/h di media). Si ripeterà in Svezia e<br />

Finlandia arrivando a giocarsi il titolo<br />

all’ultima prova, in Spagna.<br />

Vittoria finale di Nieto e della Derbi,<br />

ma fine carriera esaltante per la vecchia<br />

Suzuki, quasi a fare da contraltare<br />

all’inizio della carriera del popolare<br />

campione inglese, due volte campione<br />

del mondo, nel 1976 e 1977, in sella alla<br />

Suzuki 500.<br />

Scheda Tecnica<br />

Suzuki <strong>RT</strong> <strong>66</strong><br />

Motore: bicilindrico a due tempi con<br />

aspirazione a disco rotante e raffreddamento<br />

a liquido (sistema termosifone<br />

per la <strong>RT</strong> <strong>66</strong> e con pompa di circolazione<br />

per la <strong>RT</strong> 67)<br />

Alesaggio e corsa: 43 mm x 42.6 mm<br />

Cilindrata: 123.7 cm 3<br />

Carburatori: due Mikuni VM29 SC<br />

Potenza massima:<br />

32 CV a 13800 giri/min (<strong>RT</strong> <strong>66</strong>)<br />

35 CV a 14000 giri/min (<strong>RT</strong> 67)<br />

Velocità massima: 197 Km/h (<strong>RT</strong> <strong>66</strong>)<br />

208 Km/h (<strong>RT</strong> 67)<br />

Accensione: a magnete Kokusan<br />

Peso a secco: 89 kg<br />

Telaio: a doppia culla aperta in tubi di<br />

duralluminio o acciaio<br />

Frizione: a dischi multipli a secco<br />

Cambio: a nove rapporti sempre in<br />

presa (<strong>RT</strong> <strong>66</strong>)<br />

a dieci rapporti sempre in presa (<strong>RT</strong><br />

67)<br />

Freno anteriore: a quattro ganasce<br />

Freno posteriore: a due ganasce

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