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<strong>In</strong> <strong>questo</strong> <strong>numero</strong><br />
l’ircocervo - la rivista delle libertà - Trimestrale di cultura politica edito da Bietti Media Srl<br />
Sede legale: Corso Magenta, 25 - 25121 Brescia<br />
Anno 1, <strong>numero</strong> 1, Primavera 2007<br />
Registrazione presso il Tribunale di Brescia n. 7/2007 del 15 marzo 2007<br />
Direzione, Redazione e Amministrazione: Bietti Media Srl, Corso Magenta, 25 - 25121 Brescia<br />
www.bietti.it - tel. 030 295751 - fax 030 290445- e-mail: info@bietti.it<br />
Direttore: Fabrizio Cicchitto<br />
Vice Direttori: Sabatino Aracu - Pierluigi Borghini<br />
Direttore editoriale: Francesco Gironda<br />
Direttore responsabile: Gianluigi Da Rold<br />
Coordinamento di redazione: Beatrice Gironda, Monica Gironda, Ludovica Paolucci<br />
Stampa: Plus Group srl, Roma<br />
1<br />
l a r i v i s t a d e l l e<br />
l i b e r t à<br />
Nota dell’Editore pag. 3<br />
Politica<br />
Evoluzione e involuzione del bipolarismo all’italiana di Fabrizio Cicchitto 7<br />
Ds senza memoria storica di Gianfranco Polillo 18<br />
Margherita: un puzzle da interpretare di Gianni Baget Bozzo 26<br />
Le ragioni di un programma riformista di Maurizio Sacconi 30<br />
Modernizzatori, innovatori, riformatori di Daniele Capezzone 37<br />
Geopolitica, democrazia, terrorismo di Gianstefano Frigerio 40<br />
Economia<br />
Berlusconi e Prodi: il costo della discontinuità di Renato Brunetta 49<br />
Il bluff delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni di Pierluigi Borghini 54<br />
La risibile ascesa di Giovanni Bazoli di Cicchitto e Polillo 61<br />
F2i: le proposte del manager di Vito Gamberale 68<br />
F2i: il parere dell’economista di Francesco Forte 72<br />
Le telecomunicazioni per lo sviluppo del paese di Luigi De Vecchis 74<br />
Energia: rischi e opportunità di Alessandro Clerici 78<br />
Conflitto di interessi e proprietà dei giornali di Francesco Forte 86<br />
Storia<br />
Soccorso bianco di Arturo Gismondi 91<br />
Il vaso di Pandora degli archivi sovietici di Giancarlo Lehner 100<br />
Rischi nelle Commissioni parlamentari di inchiesta di Salvatore Sechi 110<br />
Rubriche<br />
Mentre andiamo in stampa: congratulazioni Sarkozy S. Berlusconi, F. Cicchitto 124<br />
La nuova comunicazione<br />
Stampa on line, la rivoluzione del terzo millennio di Gianluigi Da Rold 125<br />
La battaglia su Wikipedia di Francesco Gironda 126<br />
Recensione<br />
Luciano Canfora strumentalizza di Pier Ernesto Irmici 127
la rivista delle libertà<br />
è integralmente leggibile<br />
e scaricabile da <strong>In</strong>ternet:<br />
www.ircocervo.it<br />
www.bietti.it<br />
www.mediaonlinedellelibertà.it
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Nel luglio del 2002, a prefazione del primo <strong>numero</strong> de “l’ircocervo”, nel dare vita ad una<br />
pubblicazione che è poi uscita episodicamente in tutti questi anni, per raccogliere i progetti,le<br />
idee e le speranze della cultura liberal democratica, socialista e cattolico riformista,<br />
che in Italia si era riconosciuta, in grande maggioranza, nel programma della Casa<br />
della Libertà, scrivevamo che:<br />
Essere europei è una cosa complessa: una storia più che millenaria, culture e popolazioni<br />
nel tempo sovrapposte, scontri sanguinosi, nascita e crollo di ideologie, grandezze<br />
e abissi incommensurabili, domìni imperiali e schiavitù, filosofie, religioni, ricordi e<br />
oblii, rovine e monumenti... <strong>questo</strong>, e di più, è l’Europa!<br />
E noi italiani di questa complessità siamo partecipi. Le semplificazioni che così bene<br />
funzionano in altre società dell’Occidente, se applicate da noi rischiano di distorcere la<br />
corretta percezione della realtà, impedendoci di trasformarla in qualcosa di diverso e più<br />
corrispondente ai bisogni della nostra epoca.<br />
Non ci si chieda quindi di essere semplici, univoci, come se fossimo nati ieri. L’Ircocervo<br />
– animale mitologico, fantastica sintesi di molte nature – ci somiglia. Nell’assumerlo<br />
come simbolo, abbiamo voluto sottolineare la necessità, per gli europei e per gli italiani,<br />
di aggregare nel nuovo tutto ciò che, del tempo e delle esperienze passate, è restato<br />
vitale pur nelle contraddizioni della storia, nel superamento delle differenze, e nel permanere<br />
di importanti specificità. Ircocervi siamo quindi noi: laici, liberali e socialisti, cattolici<br />
liberali, pragmatici o idealisti, efficientisti o sognatori, decisi a<br />
comporre le nostre differenti storie in un nuovo progetto culturale<br />
e politico e a dotarlo di una sua autonoma prospettiva e di un suo<br />
percorso futuro che, partendo dalle nostre antiche storie, le superi,<br />
per realizzare un programma che consenta all’Italia e all’Europa<br />
di vincere il confronto con le sfide che i tempi nuovi ci impongono<br />
di affrontare.<br />
Gli scenari mondiali – succeduti al crollo del muro di Berlino e alla<br />
sconfitta del comunismo come progetto politico credibile e<br />
modello economico alternativo alle pragmatiche regole delle<br />
civiltà occidentali – presentano infatti altri ma non meno minacciosi<br />
pericoli per la pace, la libertà, la convivenza fra i popoli.<br />
Al fanatismo politico, all’utopia salvifica del totalitarismo comunista,<br />
si sono sostituiti il fondamentalismo religioso, l’odio<br />
per l’altro e una perversa volontà di spingere le nazioni e i popoli<br />
a uno scontro totale tra modelli inconciliabili di civiltà.<br />
Oggi, di fronte all’epoca di incertezza, che si è aperta sul “che<br />
fare” e che investe il nostro come gli altri paesi occidentali, l’Ircocervo<br />
si offre come spazio e laboratorio di studi e riflessioni. Spazio<br />
di meditazione e confronto, per tutti coloro che sentono il bisogno di esplorare<br />
nuovi percorsi culturali e politici per sciogliere i nodi che impediscono alla<br />
3
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
società italiana ed europea di sviluppare appieno le potenzialità necessarie a ricoprire<br />
il ruolo che la storia ci assegna in questi anni difficili dell’inizio del terzo millennio.<br />
Editando in questa primavera di cinque anni dopo, questa rivista trimestrale, che abbiamo<br />
chiamato, non a caso, “l’ircocervo - rivista delle libertà”,ci riproponiamo, con una<br />
veste aggiornata, come una voce di quella che si è, in questi anni dimostrata come la<br />
più importante e innovativa, tra le aree culturali italiane, in termini di volontà riformatrice,<br />
e di coerenza con le radici democratiche e liberali europee ed occidentali.<br />
Ricordiamo che, proprio a queste radici, fa riferimento quel vastissimo mondo, rappresentato<br />
dagli italiani che non accettano di consegnare definitivamente le sorti del nostro<br />
paese ad una nomenclatura senza più ideologia, superstite di ideologie sconfitte dalla<br />
storia. Una nomenclatura, di fatto autoritaria e autoreferenziale, riemersa più arrogante<br />
di prima, quale braccio esecutivo di un patto di potere, che salda gli interessi, di chi basa<br />
i suoi progetti per il futuro su una rinunciataria richiesta di assistenzialismo fondato<br />
sul voto di scambio, con l’egemonia di chi fa, dell’economia assistita e monopolistica, il<br />
cardine dei suoi progetti di personale arricchimento negli affari e di dominio sulla società<br />
italiana.<br />
Con questi cittadini, uomini liberi e non sudditi, speriamo di costruire, con analisi non<br />
pregiudiziali e nel confronto, le proposte programmatiche vincenti della sfida che oppone,<br />
ancora una volta nel nostro paese, il mondo delle libertà a quello della rinuncia e<br />
della conservazione e offrendo con <strong>questo</strong> il nostro contributo alla costruzione di un<br />
progetto politico ed organizzativo, capace di ridare all’Italia prospettive stabili di giustizia,<br />
progresso e sicurezza.<br />
4<br />
L'Editore
p o l i t i c a<br />
Cicchitto Polillo BagetBozzo Sacconi Capezzone Frigerio
Evoluzione e involuzione del<br />
bipolarismo all’italiana<br />
di Fabrizio Cicchitto<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Quali sono, o possono essere, i riflessi<br />
sulla vita politica italiana della formazione,<br />
nel centro-sinistra, del partito democratico<br />
che, dopo i congressi dei Ds e<br />
della Margherita, può considerarsi irreversibile?<br />
L’operazione ha due aspetti. Il primo consiste<br />
in una relativa semplificazione del<br />
sistema politico. Diciamo relativa perché<br />
alla fusione fra Ds e Margherita si accompagna<br />
la scissione di Mussi e Angius. Può<br />
darsi che anche ciò spinga una parte rilevante<br />
della maggioranza e del governo a<br />
firmare il referendum. A nostro avviso il rimedio<br />
è peggiore del male. Non crediamo<br />
al bipartitismo coatto fatto per legge.<br />
Si è anche detto che sia i Ds che la Margherita<br />
hanno scelto la strada di raffreddare<br />
la durezza dello scontro politico,<br />
dismettendo la tendenza alla criminalizzazione<br />
dell’opposto schieramento: si è<br />
parlato di “bipolarismo mite”. <strong>In</strong> sé il fatto<br />
è certamente positivo. Noi però riteniamo<br />
che la legittimazione autentica della Casa<br />
delle Libertà non dipenda dalla sinistra<br />
ma dal voto di milioni di cittadini.<br />
Siamo anche molto scettici sulla genuinità<br />
di questa operazione. Una parte di<br />
centro-sinistra è così preoccupata dalla<br />
debolezza del governo Prodi e dai rapporti<br />
di forza al Senato che cerca in tutti i<br />
modi di ammorbidire l’opposizione. Poi<br />
7<br />
vediamo che il centro-sinistra alla Camera<br />
spinge come un forsennato verso una<br />
sollecita approvazione di una legge molto<br />
dura sul conflitto d’interesse. <strong>In</strong>oltre,<br />
siccome finora non c’è alcun segno di<br />
rottura sul terreno del governo fra la sinistra<br />
moderata e la sinistra radicale, a nostro<br />
avviso prima delle elezioni amministrative<br />
è bene che il centro-destra continui<br />
a contestare globalmente il governo<br />
Prodi e il centro-sinistra. Ciò è richiesto<br />
dal nostro elettorato e anche dalla catena<br />
di cose sbagliate che sta facendo<br />
<strong>questo</strong> governo. Proprio mentre scriviamo<br />
<strong>questo</strong> saggio, il governo ha deciso di<br />
smantellare la Bossi-Fini e di proporre<br />
una legge ultrapermissiva per ciò che riguarda<br />
l’immigrazione che per di più propone<br />
una modifica del corpo elettorale alle<br />
elezioni amministrative per gli immigrati<br />
che sono in Italia da cinque anni:<br />
un’operazione gravissima anche perché<br />
punta a decidere unilateralmente una cosa<br />
molto delicata.<br />
Comunque la formazione del “partito democratico”<br />
è nel suo complesso un’operazione<br />
assai discutibile. <strong>In</strong> primo luogo,<br />
esso si fonda sull’assiemaggio fra l’apparato<br />
e il sistema di potere dei post-comunisti<br />
e quello dei popolari senza alcuna<br />
sintesi culturale “superiore”. Il documento<br />
fondativo del partito è solo una foglia di fi-
co. Per di più nei due congressi, come<br />
premessa a un’operazione che dovrà avvenire<br />
di qui ai prossimi mesi, è stata fatta<br />
una minuziosa operazione di lottizzazione<br />
interna fra le varie correnti o tendenze<br />
che attraversano sia i Ds sia la<br />
Margherita. Esattamente il contrario di<br />
quello che ha “visto” Scalfari il quale ha<br />
lodato il “superamento delle oligarchie”.<br />
L’espressione mediatica di un complesso<br />
di contraddizioni molto più profonde esistenti<br />
nei due partiti è l’offerta dal <strong>numero</strong><br />
straordinario di probabili candidature alla<br />
leadership futura del Partito Democratico.<br />
Nell’immediato <strong>questo</strong> ruolo è svolto da<br />
Prodi e tutti gliene sono grati. Più o meno<br />
gli stessi che hanno organizzato correnti<br />
o gruppi all’interno dei partiti in corso di<br />
unificazione – e cioè Fassino, D’Alema,<br />
Veltroni, più Bersani, e Finocchiaro fra i<br />
Ds, e Rutelli, Franceschini, Letta, Fioroni<br />
nella Margherita – sono anche i possibili<br />
candidati leaders. Francamente la cosa ci<br />
appare grottesca anche se ha avuto<br />
un’ottima copertura mediatica.<br />
Aldilà di questa proliferazione di leader, di<br />
gruppi e sottogruppi, i due congressi non<br />
hanno risolto due problemi di fondo. <strong>In</strong><br />
primo luogo quello riguardante l’affiliazione<br />
internazionale. Non si tratta di un problema<br />
secondario che può essere esorcizzato<br />
con le vaghe formule adottate nel<br />
congresso dei Ds: in effetti l’affiliazione internazionale<br />
non è tanto importante per il<br />
ruolo delle centrali politiche internazionali,<br />
ma perché essa serve a definire, anzi<br />
ad autodefinire una forza politica. Orbene,<br />
finora il partito democratico in formazione<br />
sfugge a ogni precisa definizione<br />
mentre, però, su <strong>questo</strong> terreno i due partiti<br />
confluenti accentuano la loro caratterizzazione<br />
e quindi la loro differenza: i Ds<br />
ribadiscono il loro riferimento al Pse,<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
8<br />
mentre la Margherita, tutta la Margherita,<br />
conferma il suo rifiuto di aderire al Pse.<br />
L’altro aspetto singolare dei congressi di<br />
due partiti che sono larga parte dal governo<br />
Prodi è che essi non si sono affatto<br />
misurati con il principale problema che ha<br />
oggi il centro-sinistra e cioè la crescente<br />
impopolarità del governo Prodi per le politiche,<br />
a partire dalla finanziaria, che esso<br />
ha finora svolto. Delle politiche del governo<br />
Prodi i due congressi hanno evitato<br />
di parlare, forse perché avrebbe guastato<br />
la festa.<br />
I due congressi hanno avuto una ben diversa<br />
intensità e drammaticità. La Margherita<br />
aveva già da tempo metabolizzato<br />
la fine drammatica della Dc e aveva<br />
composto un partito pluriculturale anche<br />
se a prevalenza cattolica. L’operazione<br />
fusione, in effetti, è vissuta dai leader della<br />
Margherita come un’operazione di razionalizzazione<br />
dell’esistente e senza<br />
un’elevata ambizione politico-culturale<br />
ma con l’intenzione di gestire il potere in<br />
modo assai invasivo.<br />
Il fatto è che nel gruppo dirigente della<br />
Margherita è prevalente un iperpoliticismo<br />
che lo porta a credere che tutto – valori,<br />
cultura, affiliazione internazionale,<br />
programmi, cariche, posti – verrà contrattato<br />
con i Ds. L’obiettivo è quello di “democristianizzare”<br />
il nuovo partito.<br />
Il gruppo dirigente della Margherita, però,<br />
non si è misurato con tre motivi di sofferenza<br />
della sua base: il fatto di realizzare<br />
addirittura un partito con quei post-comunisti<br />
che oggi certamente non sono più tali,<br />
ma una parte dei quali sono diventati<br />
laicisti anticlericali sul piano della cultura<br />
politica in assenza di altro (non c’è più il<br />
comunismo e svapora anche la socialdemocrazia)<br />
e che sono dotati di una strut-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
tura organizzativa e di potere molto più<br />
forte di quella della Margherita; la presenza<br />
in un governo finora dominato dall’alleanza<br />
fra Prodi e la sinistra radicale, nel<br />
quale gli elementi di moderatismo e di riformismo<br />
sono molto scarsi; la spinta fortissima<br />
dei Ds per l’adesione al Pse.<br />
La nostra impressione è che nella Margherita<br />
possa avvenire un fenomeno inverso<br />
a quello dei Ds: mentre questi ultimi<br />
sono andati incontro ad una scissione<br />
costruita da esponenti del gruppo dirigente<br />
storico, nella Margherita, a fronte di<br />
una convergenza unitaria, Parisi a parte,<br />
nella gestione del patito attuale e di quello<br />
futuro di tutto il gruppo dirigente originario,<br />
la “scissione” può invece farla una<br />
parte più o meno vasta della base come<br />
reazione di rigetto per il fusionismo con i<br />
post-comunisti.<br />
Molto più complesso e drammatico di<br />
quello della Margherita è stato il congresso<br />
dei Ds. La drammaticità di fondo deriva<br />
dal fatto che a suo tempo il Pci si è trasformato<br />
in Pds e <strong>questo</strong> nei Ds, ma nella<br />
sostanza, pur fra queste vicissitudini, la<br />
forma-partito originaria, il vincolo associativo<br />
storico finora erano rimasti in piedi,<br />
per non parlare della continuità di fondo<br />
dei gruppi dirigenti nazionali e locali. Allora<br />
la scissione di Mussi e dei suoi compagni<br />
ha concorso ad accentuare un “lutto”<br />
che molti si portavano dentro, perché ha<br />
testimoniato l’esistenza di un dissenso fino<br />
alla rottura nei confronti di quella parte<br />
prevalente del gruppo dirigente che ha<br />
deciso di chiudere totalmente anche con<br />
il partito post-comunista perché intende<br />
fonderlo con un altro di derivazione democristiana.<br />
Non è stato elaborato per il<br />
nuovo partito un sistema di valori e di<br />
convinzioni etico-politiche altrettanto forti<br />
9<br />
di quelle del passato. A <strong>questo</strong> punto c’è<br />
una soluzione di continuità più forte di<br />
quella avvenuta dalla Bolognina in poi.<br />
Le cose non si fermano qui. L’ambiguità<br />
dei Ds è ancor più aggrovigliata perché riguarda<br />
anche le alleanze politiche e la<br />
qualità stessa del partito post-comunista.<br />
I Ds si sono mossi in modo assai diverso<br />
da un partito socialdemocratico autentico<br />
come la Spd di Schroeder. L’Spd<br />
ha rifiutato l’alleanza con il partito della<br />
sinistra radicale di Gys e di Lafontaine e<br />
per <strong>questo</strong> è arrivato a realizzare con la<br />
Cdu un governo di grande coalizione. I<br />
Ds procedono a zig zag: per un verso si<br />
alleano con la sinistra radicale, per altro<br />
verso fondono il loro partito con quello<br />
post-democristiano facendo venir meno<br />
anche l’esistenza di un partito socialdemocratico.<br />
Il nodo irrisolto dei Ds è anche quello<br />
ideologico-culturale. Su <strong>questo</strong> terreno si<br />
verifica una situazione paradossale: oggi<br />
i DS rimangono un partito ideologizzato –<br />
come tendenza metodologica dal suo<br />
gruppo dirigente – ma che però è senza<br />
ideologia; ciò vuol dire il massimo della<br />
contraddizione e della frustrazione.<br />
I Ds sono un partito post-comunista “rinato”<br />
e “rifondato” nel 1989-1990 attraverso<br />
una singolare operazione per cui<br />
esso è diventato il partito giustizialista<br />
per eccellenza (e in questa veste ha svolto<br />
un ruolo di killer in primo luogo nei<br />
confronti del Psi). Poi per un verso, proprio<br />
per marcare di aver “sostituito” integralmente<br />
il Psi, il Pds-Ds è entrato nell’<strong>In</strong>ternazionale<br />
Socialista, ma per un altro<br />
verso non si è mai trasformato per in<br />
un organico partito socialdemocratico.<br />
Già nel 1989 con Occhetto il Pds si è autodefinito<br />
come “democratico” ma era
molto netta, non solo nel titolo, la scelta<br />
di essere, appunto, “democratico di sinistra”.<br />
Dal congresso di Pesaro in poi i Ds<br />
hanno cominciato a lavorare per diventare,<br />
pur fra mille contraddizioni, finalmente<br />
un partito socialdemocratico.<br />
<strong>In</strong> tempi rapidissimi e nello spazio di circa<br />
un anno hanno dovuto fare un’altra<br />
conversione a U per arrivare a diventare<br />
“democratici” tout court, non più socialdemocratici<br />
e nemmeno “democratici di<br />
sinistra” ma, appunto, democratici e basta,<br />
il che vuol dire tutto e quindi niente.<br />
<strong>In</strong> sostanza nel corso di poco tempo i Ds<br />
hanno fatto il più veloce e integrale spogliarello<br />
ideologico che una forza politica<br />
abbia mai fatto. Essi avevano appena cominciato<br />
a fare i primi passi e a emettere<br />
i primi vagiti nella nuova veste di socialdemocratici<br />
e in un batter d’occhio adesso<br />
devono smontare la nuova impalcatura<br />
appena costruita per procedere ad<br />
una nuova ristrutturazione – ideologica,<br />
politica, organizzativa – nella chiave di<br />
un inedito partito democratico fatto insieme<br />
a democristiani che sono in servizio<br />
permanente effettivo come ha dimostrato<br />
il modo con cui hanno gestito il loro congresso.<br />
Questa scelta toglie ai diessini perfino il<br />
fiore all’occhiello del simbolo del partito<br />
socialista europeo mentre da qualcuno<br />
viene ipotizzata un’identità con l’omologo<br />
partito americano che è ben altra cosa<br />
dalla socialdemocrazia. Neanche Fregoli<br />
riuscirebbe agevolmente in un’operazione<br />
così veloce di travestimento politico,<br />
culturale, antropologico. Così si verifica<br />
l’ennesimo paradosso della vita politica<br />
italiana. Un partito ancora ideologico se<br />
non altro nella cultura e nelle esigenze<br />
dei suoi quadri, si ritrova totalmente senza<br />
ideologia: sarebbe stato possibile, ed<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
10<br />
è stato anche fatto, tracciare i termini<br />
ideali di un trapasso dal comunismo alla<br />
socialdemocrazia: invece il passaggio<br />
dalla socialdemocrazia alla democrazia<br />
“tout court” non ha motivazioni di fondo.<br />
La democrazia rimane nel vago e nel generico.<br />
L’unico che si muove a suo agio in questa<br />
melassa è Veltroni che se la cava, però,<br />
sul terreno dell’artificio retorico e quindi<br />
parla di Gandhi e di Martin Luther King,<br />
essendosi già a suo tempo identificato sia<br />
in Kennedy che in Berlinguer.<br />
Ora, negli Usa operazioni “teoriche” di<br />
<strong>questo</strong> tipo sono possibili e talora, se<br />
espressi con stilemi linguistici efficaci e<br />
penetranti, hanno anche successo mediatico,<br />
ma in Italia e con una formazione<br />
politica che ha nel suo retroterra Gramsci,<br />
Togliatti, Berlinguer e, sul piano culturale,<br />
personalità come Galvano della Volpe,<br />
Antonio Banfi, e per venire ai giorni nostri,<br />
pur con una minore statura, Beppe Vacca<br />
o Massimo Salvatori o Giacomo Marramao<br />
o Pietro Barcellona, <strong>questo</strong> esito non<br />
si fonda su un’operazione culturale “nuova”,<br />
ma è solo un exploit mediatico-politicista.<br />
Né basta Michele Salvati a riscattare tutto<br />
ciò, anche perché il congresso dei Ds,<br />
una volta sancita la fine totale delle ideologie,<br />
non è stato neanche chiaro sul terreno<br />
del riformismo pratico: nessuno sa<br />
qual è la posizione dei Ds sul piano della<br />
legge elettorale, della legge sulle convivenze<br />
di fatto, della riforma previdenziale,<br />
della destinazione del “tesoretto” ecc: non<br />
parliamo, poi, della politica estera e della<br />
confusa miscela multiculturale, antiamericana<br />
e antiisraeliana, finora cucinata da<br />
D’Alema.<br />
Allora, a fronte di tutte queste contraddi-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
zioni che permangono allo stato di bombe<br />
inesplose qual è il reale terreno d’incontro<br />
sul quale si sta coagulando il partito-democratico?<br />
Nella realtà il partito democratico ha il suo<br />
unico, reale fondamento nell’assiemaggio<br />
del potere nazionale e dalle molteplici forme<br />
del potere locale. Regioni, comuni,<br />
province prevalentemente controllate dal<br />
centro-sinistra hanno di fatto surrogato i<br />
partiti originari, per larga parte liquefatti, e<br />
sono esse la struttura portante del “superpartito”<br />
diessino-popolare che si esprime<br />
nella gestione onnivora degli enti locali<br />
fra cui, oltre alle scelte urbanistiche<br />
sul territorio, c’è anche il controllo del potere:<br />
un pieno di appalti, di consulenze, di<br />
cooperative, di consorzi d’impresa, di organizzazione<br />
della cultura che si estrinseca<br />
in una gestione del potere che a livello<br />
regionale e comunale se la gioca quasi<br />
alla pari con i meccanismi di tangentopoli<br />
ma gode della più totale impunità grazie<br />
alla copertura politica di una magistratura<br />
che mai farebbe all’odiato berlusconismo<br />
il favore di far sentire i rigori della giustizia<br />
agli intoccabili amministratori locali di<br />
centro-sinistra. Quindi il reale retroterra<br />
del partito democratico si fonda su <strong>questo</strong><br />
“pieno” di potere regionale e comunale e<br />
invece sul vuoto di un reale retroterra culturale<br />
e programmatico.<br />
Questo retroterra di potere politico-partitico<br />
locale però si fonda su una realtà di<br />
governo fortemente condizionata dalla sinistra<br />
radicale e che si è espressa in una<br />
legge finanziaria che ha rastrellato dalle<br />
tasche degli italiani circa quindici miliardi<br />
di troppo. Sono state bloccate alcune delle<br />
infrastrutture più significative e sono in<br />
atto delle controriforme per ciò che riguarda<br />
la riforma della scuola, la legge<br />
Biagi, la stessa riforma delle pensioni, la<br />
11<br />
Bossi-Fini. Non parliamo della politica<br />
estera, dove la politica chiaramente occidentale<br />
del governo Berlusconi viene rovesciata<br />
dalla linea antiisraeliana e antiamericana<br />
di D’Alema.<br />
Quindi, in <strong>questo</strong> quadro allo stato attuale<br />
le politiche di governo del centro-sinistra<br />
sono del tutto allo sbando. Ciò è destinato<br />
a complicare molto la vita alla formazione<br />
del partito democratico insieme<br />
alla definizione di una nuova legge elettorale.<br />
E veniamo al centro-destra, passato, presente,<br />
futuro.<br />
Ovviamente partiamo dal passato, cioè<br />
dal governo Berlusconi. Sul terreno della<br />
politica economica il centro-destra aveva<br />
fatto molto meglio di quanto esso stesso<br />
credesse: il rapporto deficit-Pil era intorno<br />
al 3,8 e, proprio attraverso i condoni, era<br />
stato messo in moto un meccanismo di<br />
recupero fiscale che ha regalato al centro-sinistra<br />
un incredibile aumento del<br />
gettito fiscale. <strong>In</strong> effetti – a parte i due gravi<br />
errori di non aver creduto nel Patto di<br />
Roma con Cisl e Uil, e alla sbagliata iniziativa<br />
sull’art. 18 che ha messo contro il<br />
governo Berlusconi tutte e tre le centrali<br />
sindacali, mentre invece con la Uil e la<br />
Cisl era possibile un rapporto positivo,<br />
tant’è che in quella fase contro Pezzotta e<br />
i suoi si scatenò un’ondata di violenza<br />
che andava messa in conto all’area della<br />
Cgil nel suo complesso – è tutta la cosiddetta<br />
“finanza creativa”, volendo usare la<br />
stessa frase usata per demonizzarla, di<br />
Giulio Tremonti che, al netto degli errori<br />
sopra indicati, va invece rivalutata.<br />
Va rivalutata facendo a Visco e a Bersani<br />
la seguente domanda: in una situazione<br />
recessiva, prima internazionale, poi europea<br />
e italiana, che altro si può fare se non
cartolarizzazioni, condoni di vario tipo e<br />
privatizzazioni se non si vuole tagliare lo<br />
stato sociale e/o aumentare la pressione<br />
fiscale? Il governo Berlusconi non ha fatto<br />
“macelleria sociale” (di <strong>questo</strong> termine,<br />
allora, insieme a quello di “declino” e di<br />
“povertà crescente” erano piene le gazzette<br />
e la televisione, in primo luogo quella<br />
Mediaset di Canale 5), ha leggermente<br />
diminuito la pressione fiscale (a partire<br />
dai redditi più bassi), ha incentivato l’aumento<br />
dell’occupazione con la legge Biagi,<br />
ha avviato una serie di grandi opere e<br />
alcune vere riforme (scuola, sanità, pensioni,<br />
federalismo, la Bossi-Fini), il tutto in<br />
piena recessione. Per di più l’ultima finanziaria<br />
del governo Berlusconi è stata molto<br />
rigorosa.<br />
Piuttosto l’errore di quel governo e del suo<br />
Presidente del Consiglio è stato paradossalmente<br />
quello di non aver comunicato<br />
quello che stava realizzando per circa<br />
quattro anni (Bruno Vespa, un signore che<br />
di queste cose si intende, recentemente<br />
su “Panorama” ha rinfacciato <strong>questo</strong> errore<br />
a Berlusconi) e quello di non aver modificato<br />
la gestione del potere reale.<br />
Quali furono i punti deboli di quella esperienza,<br />
visto che nella seconda metà della<br />
legislatura la popolarità del governo<br />
era in discesa?<br />
Il primo punto debole è stata appunto la<br />
comunicazione. Ci fu la valutazione sbagliata<br />
che “il fare” avrebbe comunque<br />
prevalso sul “parlare”. Quindi per quattro<br />
anni il gap comunicativo è stato pesante.<br />
Se si aggiunge che nella parte finale della<br />
campagna elettorale è scattata la par<br />
condicio è evidente che di fatto Berlusconi<br />
ha “comunicato” solo per un anno: a<br />
restringere ulteriormente i tempi c’è stata<br />
anche l’anticipazione della data delle ele-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
12<br />
zioni al 13 aprile perché, non si sa per<br />
quale ragione, il governo di centro-destra<br />
ha accettato il bizzarro criterio di evitare<br />
un cosiddetto “ingorgo istituzionale” inventato<br />
dai “dottor Stranamore” che stavano<br />
intorno a Ciampi per favorire il centro-sinistra.<br />
Con il ritmo assunto dalla rimonta<br />
berlusconiana, quindici giorni in<br />
più di campagna elettorale avrebbero<br />
consentito una vittoria piena al centrodestra.<br />
A <strong>questo</strong> aspetto comunicativo vanno aggiunte<br />
altri tre ordini di questioni: le crescenti<br />
contraddizioni all’interno della coalizione<br />
che hanno avuto varie fasi e caratteristiche;<br />
il comportamento di una<br />
parte dei ministri e sottosegretari; l’ostilità<br />
di tutto l’establishment presidenziale,<br />
amministrativo, finanziario; la mancata<br />
modifica del sistema di potere.<br />
Le contraddizioni all’interno della coalizione<br />
hanno avuto tre tappe. <strong>In</strong> primo luogo<br />
i “lunedì di Arcore” fra Berlusconi, Tremonti<br />
e la Lega hanno segnato una sorta<br />
di egemonia dell’asse del Nord che per i<br />
primi due anni è stato subito da An e dall’Udc.<br />
A un certo punto fra Fini e Casini si è realizzata<br />
un’alleanza che dapprima è stata<br />
motivata dall’insofferenza per l’asse del<br />
Nord e poi dalla convinzione del tutto sbagliata<br />
dell’ineluttabilità della sconfitta. Nel<br />
mirino prima fu Tremonti, che non a caso<br />
fu sostituito come Ministro del Tesoro, poi<br />
lo stesso Berlusconi. Per il Ministero del<br />
Tesoro il rimedio fu largamente peggiore<br />
del male presunto perché per un verso fu<br />
legittimata la del tutto erronea polemica<br />
del centro-sinistra contro la politica economica<br />
del governo; per altro verso la gestione<br />
di Siniscalco fu una mezza catastrofe.<br />
Comunque venne fuori l’immagine<br />
di una coalizione divisa, nella quale la
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
leadership di Berlusconi era esplicitamente<br />
contestata. Ma oltre a ciò, il governo<br />
era indebolito dal fatto che una parte dei<br />
ministri tecnici (l’eccezione fu la Moratti)<br />
da un lato non rispondeva affatto ai parlamentari<br />
della maggioranza, dall’altro non<br />
si occupava di mantenere i rapporti con il<br />
territorio specialmente per quello che riguardava<br />
il Sud. Ora la cosa può piacere<br />
o dispiacere, ma il Mezzogiorno è fatto<br />
così: richiede, anzi pretende che i ministri<br />
e i sottosegretari della maggioranza seguano<br />
le grandi, le medie e le piccole<br />
questioni del territorio. Paradossalmente<br />
a favore del Sud ci furono positive decisioni<br />
di grandi investimenti e anche un utilizzo<br />
assai più avveduto che nel passato<br />
dei fondi comunitari, ma mancò la gestione<br />
politica di tutto ciò sul terreno delle regioni<br />
e dei comuni. Così il Mezzogiorno,<br />
che nel 2001 era stato determinante per<br />
la vittoria del centro-destra, nel 2006 è<br />
stato determinante per il pareggio-sconfitta<br />
(vedi Calabria-Campania). Quel risultato<br />
fu preceduto dal risultato negativo delle<br />
regionali ove non si capisce come mai<br />
regioni tradizionalmente a indirizzo moderato<br />
quali l’Abruzzo, il Lazio, la Campania,<br />
la Puglia, la Calabria sono diventate<br />
di centro-sinistra (alle elezioni politiche,<br />
però, in Puglia il centro-destra ha realizzato<br />
un grande recupero): evidentemente<br />
ci sono stati rilevanti errori di direzione<br />
politica a tutti i livelli.<br />
Tutto ciò si collega anche con la cosiddetta<br />
gestione del potere. <strong>In</strong> Italia la situazione<br />
è da tempo paradossale sia dal<br />
punto sociale sia dal punto di vista del sistema<br />
del potere. Mentre negli altri paesi<br />
del mondo occidentale il blocco sociale<br />
conservatore è costituito dall’alleanza fra<br />
i grandi gruppi industriali-finanziari, l’altamedia<br />
borghesia e settori di destra del<br />
13<br />
sottoproletariato, e quello progressista-laburista<br />
è fondato sull’alleanza fra i “piccoli”<br />
operatori economici, i sindacati, i lavoratori<br />
dipendenti, in Italia la situazione è<br />
del tutto rovesciata. Il blocco sociale del<br />
centro-destra è di tipo interclassista, è<br />
fondato sui “piccoli” (piccoli imprenditori,<br />
artigiani, commercianti, professionisti) e<br />
su una larga quota di lavoratori dipendenti<br />
(al Nord la maggioranza della classe<br />
operaia ha votato nel 2006 per la Casa<br />
delle Libertà). <strong>In</strong>vece il centro-sinistra sul<br />
piano sociale si fonda sull’alleanza fra i<br />
grandi gruppi industriali-finanziari, le banche,<br />
la Cgil – e in parte la Cisl e la Uil come<br />
gruppi dirigenti, mentre circa una metà<br />
dei loro aderenti vota per Forza Italia o<br />
l’Udc – i dipendenti pubblici, i pensionati<br />
inquadrati nei sindacati, la maggioranza<br />
del voto giovanile.<br />
Sul piano del sistema di potere, l’establishment<br />
bancario, istituzionale (Csm,<br />
Cassazione, Corte Costituzionale, alcune<br />
autorithy), la Presidenza della Repubblica<br />
sotto Ciampi erano tutti nettamente schierati<br />
contro Berlusconi. <strong>In</strong> quegli anni si è<br />
creato un presidenzialismo atipico, dove<br />
l’interventismo del duo Ciampi-Gifuni ha<br />
travalicato i meccanismi costituzionali: su<br />
ogni legge, su ogni nomina significativa,<br />
contro molte esternazioni di Berlusconi<br />
c’è stato un pressing pressante, e francamente<br />
eccessivo, certamente non neutrale<br />
della Presidenza della Repubblica le<br />
cui “lance spezzate” “lavoravano” ogni<br />
giorno sui giornali, “Corriere della Sera” in<br />
testa, contro il governo. <strong>In</strong> sostanza c’è<br />
stato una sorta di presidenzialismo strisciante,<br />
di fatto, senza regole. <strong>In</strong>oltre non<br />
si è mai visto un governo gestire una situazione<br />
economica assai difficile avendo<br />
un ragioniere generale dello Stato – ci riferiamo<br />
al prof. Grilli – che in parte si
muoveva con difficoltà perché era un ottimo<br />
economista macroeconomico, ma<br />
non era un esperto di quel settore decisivo<br />
dell’amministrazione, e in parte perché<br />
ostile al centro-destra (la sua nomina fu<br />
salutata positivamente dall’On. Visco).<br />
A fronte di tutto ciò, molti sono stati i punti<br />
forti del governo di centro-destra. Della<br />
politica economico-sociale e delle riforme<br />
reali messe in campo abbiamo già detto.<br />
Va aggiunto l’organico piano di infrastrutture<br />
che puntava ad eliminare una serie di<br />
strozzature che strangolavano la crescita<br />
del paese.<br />
L’altro contributo fondamentale dato da<br />
Berlusconi ha riguardato la politica estera.<br />
Nessun altro leader politico italiano del<br />
passato ha avuto la profondità dei rapporti<br />
politici e personali che Berlusconi ha<br />
avuto con i “grandi” della terra, da Bush,<br />
a Putin, a Blair. Nel periodo 2001-2006 l’Italia<br />
ha avuto una politica estera di alto livello<br />
e per la prima volta assai coerente.<br />
Partendo da un’analisi fondata sul fatto<br />
che l’11 settembre del 2001 metteva in<br />
evidenza che, una volta crollato il comunismo,<br />
nel mondo era esplosa una nuova<br />
drammatica contraddizione, rappresentata<br />
dal fondamentalismo islamico e dal terrorismo<br />
da esso espresso, la scelta dell’Italia<br />
è stata quella di contrapporsi a sua<br />
volta alla tendenza (Chirac, Schroeder,<br />
poi Zapatero) di mettere l’Europa contro<br />
gli Usa, ma anzi di puntare tutto su una<br />
forte alleanza occidentale fra Europa,<br />
Usa, Israele, stati arabi moderati, Turchia.<br />
<strong>In</strong> <strong>questo</strong> contesto l’Italia è andata in Iraq<br />
dopo la guerra proprio perché Berlusconi<br />
non condivideva la linea di intervento armato<br />
scelta da Bush, ma poi ha ritenuto<br />
necessario esprimere una precisa scelta<br />
di solidarietà occidentale.<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
14<br />
Secondo la “dottrina” di politica “estera” di<br />
Berlusconi, per rispondere all’offensiva<br />
fondamentalista è indispensabile combinare<br />
insieme l’intervento armato con<br />
un’azione di politica economica-sociale<br />
che, però, non si deve fondare sui termini<br />
tradizionali della cooperazione internazionale<br />
perché si è visto che gli aiuti vengono<br />
spesso vanificati da classi dirigenti insieme<br />
corrotte e incapaci.<br />
Detto tutto <strong>questo</strong> il problema per Forza<br />
Italia e gli altri partiti del centro-destra è<br />
oggi quello di condurre una grande battaglia<br />
di opposizione al governo di centro-sinistra.<br />
Questo governo è caratterizzato da una<br />
catena di elementi negativi: l’impopolarità<br />
di Prodi; una legge finanziaria fondata su<br />
un’analisi economica del tutto sbagliata<br />
per cui si è tradotta in un indebito e inutile<br />
aumento della pressione fiscale che ha<br />
colpito tutte le classi sociali; una politica<br />
estera insieme astiosamente antiamericana<br />
e antisraeliana e per molti aspetti dilettantesca<br />
(la gestione del sequestro Mastrogiacomo<br />
da parte di Prodi-D’Alema è<br />
stata davvero una sequenza di errori che<br />
ci hanno messo ai margini della comunità<br />
internazionale e che hanno collocato il Sismi<br />
in una posizione imbarazzante a livelli<br />
internazionale); l’imprevedibile mancanza<br />
di professionalità di una parte cospicua<br />
del personale politico e di governo espresso<br />
dal centro-sinistra; l’infinita quantità di<br />
contraddizioni politiche che la nascita del<br />
partito democratico sta provocando nei Ds<br />
e nella Margherita e fuori da essi (vedi la<br />
costituente socialista organizzata da Boselli);<br />
il fortissimo condizionamento esercitato<br />
da una sinistra radicale che ha posizioni<br />
in politica economica e in politica<br />
estera così estremiste che spesso, anche<br />
aldilà degli orientamenti di Prodi e di D’A-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
lema, la politica estera dell’Italia appare<br />
del tutto allo sbando.<br />
Detto tutto <strong>questo</strong>, però, c’è anche il fatto<br />
che il centro-sinistra, compresa Rifondazione<br />
Comunista il cui gruppo dirigente<br />
appare del tutto integrato nel sistema di<br />
potere del centro-sinistra, vive in una condizione<br />
contraddittoria: la consapevolezza,<br />
all’interno dei Ds e della Margherita,<br />
che con <strong>questo</strong> tipo di miscela infernale<br />
fra dilettantismo, estremismo e intrinseci<br />
limiti di Prodi, il centro-sinistra rischia di<br />
andare “a sbattere” per il crollo dei consensi,<br />
e per altro verso, però, la convinzione<br />
che se si cambia qualcosa si corre<br />
il rischio di far franare tutta l’impalcatura<br />
faticosamente costruita nel 2006 andando<br />
ad elezioni anticipate e ad una sconfitta<br />
annunciata, aldilà degli stessi meriti o<br />
demeriti del centro-destra. Di conseguenza<br />
mentre scriviamo la situazione appare<br />
assai contraddittoria. Il governo è in coma<br />
ma, in assenza di alternative, può essere<br />
sottoposto ad un accanimento terapeutico<br />
che può prolungarne a tempi indeterminati<br />
l’agonia.<br />
Quindi allo stato attuale delle cose il centro-sinistra<br />
è sempre in crisi, ma tende appunto<br />
a sopravvivere proprio metabolizzando<br />
questa sua crisi come una condizione<br />
normale. A ciò bisogna aggiungere il<br />
fatto che siamo in una situazione del tutto<br />
anormale: l’attività della Camera e specialmente<br />
del Senato è stata ridotta ai minimi<br />
termini; l’esecutivo governa attraverso<br />
atti amministrativi senza leggi e decreti.<br />
Allo stato l’unica vera incognita è la legge<br />
elettorale nella quale si scaricano due<br />
tendenze contraddittorie: la richiesta dei<br />
“minori” di entrambi gli schieramenti di<br />
mantenere la propria identità politica, e la<br />
tendenza fortemente presente nella Mar-<br />
15<br />
gherita e nei Ds di liberarsi proprio del<br />
condizionamento eccessivo dei “minori” e<br />
come si dice di “razionalizzare” il sistema<br />
politico. Se questi due divergenti “interessi”<br />
non trovano una mediazione, la legge<br />
elettorale può anche essere una delle<br />
cause di quella possibilità di “implosione”<br />
di cui ha parlato recentemente Berlusconi.<br />
Questa continua esplosione di contraddizioni,<br />
il fatto evidente che l’ipoteca della<br />
sinistra radicale su Prodi e sulle stesse<br />
componenti più ragionevoli della coalizione<br />
è tale che rende impraticabile ogni riforma<br />
e che fa pesare un’ipoteca gravissima<br />
sulla politica estera del governo, tutto<br />
ciò, sommato insieme, potrebbe portare<br />
i gruppi dirigenti di Ds-Margherita a<br />
considerare fallito anche per loro e per il<br />
loro futuro l’esperienza dell’alleanza fra<br />
sinistra moderata e sinistra radicale e ritenere<br />
che l’unica via è quella seguita dall’Spd,<br />
cioè un governo di larga coalizione.<br />
Berlusconi l’ha proposto all’inizio della legislatura<br />
facendo i conti con i risultati elettorali.<br />
Allora Margherita e Ds hanno respinto<br />
quella proposta seguendo la linea<br />
opposta. Oggi il fallimento è di fronte a<br />
tutti, ma allo stato nei gruppi dirigenti dei<br />
Ds e della Margherita non emerge la volontà<br />
di cambiare linea politica. È molto<br />
forte il rischio che, in assenza di una iniziativa,<br />
il fallimento del centro-sinistra si<br />
traduca nel fallimento del sistema politico<br />
in quanto tale con la conseguenza di<br />
qualche altra operazione di “antipolitica”<br />
fatta da settori del mondo economico e<br />
mediatico. Di ciò, leggendo il “Corriere<br />
della Sera”, la “Stampa”, “Repubblica”,<br />
esistono molti segni.<br />
Detto <strong>questo</strong>, i problemi del centro-destra<br />
sono elementari anche se seri. Il problema<br />
principale è quello di condurre senza
sconti una forte battaglia di opposizione<br />
nel parlamento e nel paese. Come abbiamo<br />
visto, a nostro avviso è molto problematica<br />
la divisione fra sinistra moderata e<br />
sinistra radicale. Qualcuno, però, si fa<br />
delle illusioni se pensa che essa possa<br />
determinarsi se il centro-destra ammorbidisce<br />
la sua opposizione. Anzi è più probabile<br />
esattamente il contrario. Solo una<br />
dura opposizione può spingere settori<br />
della maggioranza a un ripensamento. A<br />
nostro avviso la formazione del partito democratico,<br />
di per sé, non sollecita molte<br />
riflessioni nel centro-destra per la semplice<br />
ragione che un’operazione analoga di<br />
molto maggiore spessore ed efficacia nel<br />
centro-destra è già avvenuta con molti<br />
anni di anticipo rispetto al centro-sinistra<br />
nel 1994 con la formazione di Forza Italia<br />
che non a caso ha aggregato insieme, sul<br />
versante di centro, cattolici, liberali, socialisti-riformisti.<br />
Per altro verso a nostro avviso<br />
il partito unico del centro-destra è impraticabile:<br />
ci troveremmo di fronte alle<br />
difficoltà del partito democratico moltiplicate<br />
per tre.<br />
È da perseguire invece l’ipotesi della federazione<br />
nel senso di definire alcune<br />
materie (ad esempio la legge elettorale,<br />
le riforme costituzionali, la politica estera)<br />
nelle quali la sovranità dei partiti in quanto<br />
tali è limitata e si vota secondo un quorum<br />
in un organismo direttivo formato sulla<br />
base di una ponderazione derivante dal<br />
risultato elettorale ottenuto da ogni singola<br />
forza politica.<br />
Detto <strong>questo</strong>, poi, esiste il problema di<br />
ognuna delle forze politiche che compongono<br />
la Casa delle Libertà. Per quello<br />
che riguarda Forza Italia noi riteniamo<br />
che la leadership di Berlusconi, che evidentemente<br />
è fuori discussione, ha bisogno<br />
di essere sostenuta da un forte par-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
16<br />
tito che si strutturi sul territorio. Ciò pone<br />
problemi ideali-politici e problemi politicoorganizzativi.<br />
Forza Italia è un grande partito di centro,<br />
anzi per certi aspetti di “centro-sinistra”<br />
nel senso originario del termine. La grande<br />
intuizione di Berlusconi è stata quella<br />
di dar vita ad una grande formazione pluriculturale<br />
e interclassista. Come abbiamo<br />
già visto, in Forza Italia, sulla base di<br />
alcuni valori comuni, convivono cattolici,<br />
laici, socialisti-riformisti.<br />
Ciò richiede una grande capacità di mediazione,<br />
l’intelligenza di capire che ognuno<br />
deve fare la sua parte e coprire un’area<br />
politico-culturale, che non si può ipotizzare<br />
che Forza Italia copra solo lo spazio<br />
cattolico-integralista perché ciò metterebbe<br />
in difficoltà non solo i laici esistenti<br />
al suo interno, ma un elettorato “medio”<br />
che molto spesso ha un orientamento<br />
“moderato” su ogni tema, compreso quello<br />
religioso: è cattolico, ma anche laicoautonomo.<br />
La formula giusta, a nostro avviso,<br />
è stata quella indicata da Berlusconi<br />
parlando al congresso dei repubblicani:<br />
Forza Italia riconosce alla Chiesa il diritto<br />
di pronunciarsi su ogni materia che essa<br />
scelga come campo del suo intervento.<br />
Poi sul piano politico la scelta a livello delle<br />
decisioni dei partiti e dei singoli parlamentari<br />
viene fatta in autonomia e sulla<br />
base della libertà di coscienza. Anche i<br />
laici non devoti come il sottoscritto reputano<br />
che oggi come nel XX secolo contro<br />
il nazismo e il comunismo, per misurarsi<br />
con la sfida eversiva lanciata dal fondamentalismo<br />
islamico, è indispensabile<br />
l’alleanza fra due correnti di pensiero,<br />
quella cattolico-liberale e sociale e quella<br />
liberalsocialista.<br />
Certo in Italia, come ha rilevato qualche
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
giorno fa Marcello Pera, c’è il rischio di<br />
qualche deriva neo-clericale, ma la risposta<br />
non può essere certo l’anticlericalismo<br />
estremista dello Sdi e di una parte<br />
dei Ds. <strong>In</strong> Italia, e anche in Europa, ha ragione<br />
Gennaro Acquaviva, la Chiesa<br />
svolge un ruolo di equilibrio e di tenuta<br />
socio-culturale. Poi su temi come il divorzio,<br />
l’aborto, la fecondazione assistita, la<br />
ricerca scientifica tramite le staminali, i<br />
laici, anche quelli di Forza Italia, hanno<br />
un “diverso parere”, ma sempre tenendo<br />
conto dell’equilibrio generale e che è preferibile<br />
l’alleanza con i cattolici alla convergenza<br />
con la sinistra radicale.<br />
Forza Italia deve condurre un’opposizione<br />
rigorosa e coerente nel parlamento e<br />
nel paese, sempre mantenendo le caratteristiche<br />
di un partito di governo, cioè indicando<br />
soluzioni e proposte dotate di interna<br />
coerenza e compatibilità. Ciò vuol<br />
dire che su ogni tema di fondo e rispetto<br />
alle molteplici forze che costituiscono il<br />
blocco sociale del centro-destra Forza<br />
Italia deve sviluppare un lavoro di elaborazione<br />
programmatica e di tutela nel lavoro<br />
parlamentare e nel paese.<br />
Il coordinamento nazionale di Forza Italia<br />
ha convocato per il periodo di giugno-ottobre<br />
i congressi comunali e provinciali<br />
proprio per costruire un partito radicato<br />
sul territorio che in parte, pur fra luci e<br />
ombre, già c’è. Il nodo della piena trasformazione<br />
di Forza Italia in un partito è però<br />
quello spesso indicato da Sandro Bondi:<br />
la nomina di una direzione che sia la<br />
sede di un confronto aperto, di idee e di<br />
proposte, il luogo dove si costruisce una<br />
unità reale del movimento anche sulla base<br />
di punti di partenza differenti. Forza<br />
Italia deve intrecciare il momento presidenziale<br />
(la nomina dei coordinatori regionali)<br />
con quello di base (elezioni diret-<br />
17<br />
te e indirette) dei coordinatori comunali e<br />
provinciali: in <strong>questo</strong> modo per un verso<br />
c’è un esercizio di democrazia dal basso<br />
e la garanzia che il partito non possa essere<br />
“scalato” a livello regionale attraverso<br />
l’incetta di tessere.<br />
A loro volta i coordinatori regionali, anche<br />
se di nomina presidenziale, devono essere<br />
dei primi inter pares, nel senso di<br />
una gestione collegiale attraverso un<br />
esecutivo rappresentativo di parlamentari,<br />
consiglieri regionali ecc. Quanto ai Circoli<br />
della Libertà, il loro ruolo è stato definito<br />
in un recente confronto tra i deputati<br />
di Forza Italia e la loro presidente, la<br />
dott.ssa Brambilla. I circoli devono rivolgersi<br />
a tutti coloro i quali sono all’opposizione<br />
di <strong>questo</strong> governo e di <strong>questo</strong> assetto<br />
di potere, ma che non vogliono<br />
iscriversi ad un partito politico e invece<br />
sono attratti da una struttura associativa<br />
che ha una dimensione tematica: seguendo<br />
questa linea è possibile un positivo<br />
lavoro politico comune.<br />
<strong>In</strong> sostanza bisogna attrezzarsi per fare,<br />
in buona compagnia, una nuova traversata<br />
nel deserto. La crisi nel rapporto tra sinistra-centro<br />
(partito democratico) e sinistra<br />
radicale può avvenire solo di fronte<br />
all’eventuale esplosione di contraddizioni<br />
sul merito di problemi decisivi e per una<br />
nostra durissima opposizione in parlamento<br />
e nel paese.
Verso il Partito Democratico<br />
Nomina sunt cosequentia rerum: diceva<br />
Giustiniano nelle Istitutiones. Dietro ogni<br />
nome vi è una cosa, vale a dire un oggetto<br />
del mondo reale, una storia, un’esperienza.<br />
Un susseguirsi di avvenimenti<br />
che, via via, si consolida. Diventa prassi<br />
e consuetudine e solo allora si trasforma<br />
in un nome. Che non è un’aggregazione<br />
casuale di lettere e di suoni. Ma un<br />
gate: una porta di comunicazione tra<br />
l’Essere e l’universo circostante. Di cui<br />
l’Essere è esso stesso parte. Un universo<br />
in continuo movimento. Che con il suo<br />
divenire costringe anche i nomi a cambiare<br />
nello spazio e nel tempo. Ecco perché<br />
risalire alla loro origine, studiandone<br />
l’etimologia, diventa importante. L’archeologia<br />
linguistica non è una scienza<br />
nominalistica, ma la ricerca di quel mondo<br />
perduto che il nome riassume. Una riscoperta<br />
che svela particolari inediti, intenzioni<br />
nascoste, una verità altrimenti<br />
impossibile da percepire. Che c’é dietro<br />
al Partito Democratico? Per il momento<br />
nulla di tutto <strong>questo</strong>. Forse vi sarà in seguito,<br />
se quell’esperienza andrà avanti.<br />
Se non deperirà rapidamente, come è<br />
successo al nome Pds o alla famosa “cosa”.<br />
Quell’aggregazione e quel progetto<br />
politico talmente indefinito da non poter<br />
nemmeno essere classificato con un nome<br />
transitorio e transeunte.<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Ds senza memoria storica<br />
di Gianfranco Polillo<br />
18<br />
E allora Forza Italia? si potrebbe dire.<br />
Non è la stessa cosa. Quel nome nacque,<br />
come si ricorderà, da una necessità<br />
improvvisa: impedire al partito di Occhetto<br />
di vincere una partita, senza avversari.<br />
Un nome figlio dell’emergenza,<br />
anche se indubbiamente legato alle<br />
scelte del leader. Capace comunque di<br />
evocare un progetto pur se abbozzato<br />
solo nelle linee di carattere generale. E<br />
in grado di raccordarsi con una storia<br />
sottostante. Quella di un intero Paese da<br />
sempre refrattario al comunismo e deciso<br />
a non subirlo, proprio nel momento in<br />
cui il comunismo usciva dalla storia e dagli<br />
orizzonti dei popoli. Il filo rosso che lega<br />
tanti “ex” a questa nuova esperienza<br />
è tutta racchiusa in questa forma di resistenza.<br />
Ma non è poco. Ha alle spalle<br />
una lunga storia nazionale: quel susseguirsi<br />
di esperienze che hanno trovato<br />
nella difesa intransigente del principio di<br />
libertà il proprio comune denominatore.<br />
La ragione prima dello stare insieme, pur<br />
nella differenza delle posizioni politiche<br />
e culturali.<br />
Si ritrova un barlume di questa vicenda<br />
nel partito democratico? Qual è la storia<br />
cui far riferimento? Vale a dire l’insieme<br />
delle esperienze di vita, i valori che ne sono<br />
presupposto e conseguenza. La giustificazione<br />
ultima di un progetto comune.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
È difficile rispondere a questa domanda.<br />
Quel nome non fa parte della tradizione e<br />
dell’orizzonte europeo. È traslato dall’esperienza<br />
americana: figlio, semmai, di<br />
avvenimenti lontani nel tempo e nello<br />
spazio. Il partito democratico, nelle forme<br />
attuali, si affermò definitivamente, negli<br />
Usa, solo negli anni Trenta, quando Roosevelt,<br />
nella corsa vittoriosa alla Casa<br />
Bianca, trasformò radicalmente il sistema<br />
politico di quel paese. Superando le divisioni<br />
tipiche di una comunità multietnica,<br />
ancora senz’anima e coscienza di sé. Di<br />
una multidudine che fino ad allora non<br />
aveva superato il retaggio delle culture<br />
politiche dei paesi di origine e le segmentazioni<br />
che ne erano conseguenza. Prima<br />
di Roosevelt esistevano i cattolici irlandesi,<br />
gli anarchici italiani, – ricordate Sacco<br />
e Vanzetti? – i protestanti inglesi, i socialisti<br />
di ogni rito e appartenenza. Questi residui<br />
furono spazzati via dal nuovo legame<br />
populista che il neo presidente aveva<br />
intessuto direttamente con il popolo.<br />
Lo aveva fatto dando vita, con la machine,<br />
ad un comitato elettorale potente ed<br />
autonomo dalla vecchia dirigenza politica<br />
frammentata e rissosa. Utilizzando per la<br />
prima volta la forza dei media – il viaggio<br />
in treno, le conversazioni radio di fronte<br />
al caminetto – per costituire un grande<br />
contenitore dove potesse nascere e fermentare<br />
una cultura nuova. Non più<br />
quella degli ex immigrati, giunti nella terra<br />
promessa; ma una coscienza nazionale<br />
indispensabile per garantire al più forte<br />
paese dell’Occidente quella leadership<br />
che la storia gli aveva assegnato.<br />
Il partito democratico fu la risultante di<br />
<strong>questo</strong> processo. Ed a quel nome corrisposero,<br />
immediatamente, nuovi contenuti<br />
politici. Il new deal ne fu la conseguenza.<br />
Non uno slogan, ma qualcosa<br />
che prima di allora le democrazie occi-<br />
19<br />
dentali non avevano conosciuto. La configurazione<br />
di un assetto costituzionale<br />
capace di coniugare l’interventismo pubblico<br />
con l’accresciuta libertà dei singoli.<br />
Non solo libertà politiche e di costume,<br />
ma la progressiva liberalizzazione dal bisogno<br />
in uno dei momenti più difficili della<br />
storia contemporanea. Quando gli effetti<br />
della grande crisi – quella del 1929 –<br />
non si erano ancora spenti. E gli avvenimenti<br />
sembravano dar ragione alla pretesa<br />
superiorità storica degli Stati totalitari<br />
– fossero essi di matrice comunista o fascista<br />
– che vedevano in essa i segni<br />
inequivocabili della crisi irreversibile del<br />
capitalismo liberale. Questo è stato il partito<br />
democratico in America.<br />
Che c’entra con la storia europea? E con<br />
quella italiana? Una storia talmente diversa<br />
da rendere questi mondi inconciliabili,<br />
pervasi da un antagonismo che, ancor<br />
prima di essere politico, è culturale.<br />
Come in Francia, da sempre protesa ad<br />
affermare un suo primato competitivo. O<br />
in Germania, nella contrapposizione tra<br />
“modello renano” e capitalismo di stampo<br />
anglosassone. Per non parlare dell’Italia<br />
e del suo residuo ideologico, difficile da<br />
eliminare. Si può essere, al tempo stesso,<br />
più o meno apertamente antiamericani<br />
e subire il fascino del partito americano?<br />
Si può essere amici di Fidel Castro e<br />
plaudire al Kennedy che tentò di rovesciare<br />
quel regime con l’avventura della<br />
Baia dei porci? L’esistenza di queste<br />
contraddizioni dimostra quanto sia difficile<br />
assumere quell’esperienza come modello<br />
da seguire, percorso da intraprendere,<br />
approdo da raggiungere.<br />
E allora perché “partito democratico”?<br />
L’analisi torna, inevitabilmente, alle vicende<br />
della nostra storia nazionale. Nel<br />
lessico comunista, democratici erano coloro<br />
che non si opponevano all’egemonia
del regime. Democratiche erano le repubbliche<br />
satelliti dell’Urss. Democratica<br />
quella sinistra indipendente dietro la quale<br />
il Pci si nascondeva per evocare l’immagine<br />
di un pluralismo interno, che mascherasse<br />
il nocciolo duro del centralismo<br />
democratico. Democratici erano i<br />
paesi non allineati. Ma non Tito, almeno<br />
nel periodo della sua dura contrapposizione<br />
alla Terza internazionale. Quando<br />
era solo un traditore revisionista. Lo divenne<br />
solo dopo, quando cambiò la politica<br />
estera sovietica, nel tentativo di utilizzare,<br />
in funzione antioccidentale, il movimento<br />
dei non allineati. Democratiche<br />
erano alcune componenti della Dc, ma<br />
non Saragat servo degli americani. Non<br />
Nenni dopo la fine del “Fronte popolare”.<br />
Mai quei socialisti che fecero dell’autonomia<br />
la loro bandiera. Questi ultimi erano<br />
solo una “terza forza”, come venivano<br />
definiti dai vertici del Pci: l’ostacolo che<br />
impediva l’incontro storico delle grandi<br />
masse popolari sotto la grande bandiera<br />
di un progressismo a senso unico.<br />
Qual è, quindi, il riferimento del costituendo<br />
partito democratico? Ma, soprattutto,<br />
qual è la sua piattaforma programmatica?<br />
La cartina al tornasole che svela<br />
il segno effettivo dell’operazione avviata.<br />
C’è continuità o discontinuità con il<br />
passato, come avvenne per il partito di<br />
Roosevelt? A leggere il suo atto costitutivo,<br />
c’è da dubitarne. Un continuismo<br />
culturale con le vicende più minute della<br />
storia minore del Paese segnato da<br />
grandi vuoti. Vuoti nel metodo di analisi,<br />
nella rappresentazione della realtà contemporanea,<br />
nella prospettazione dei<br />
grandi problemi irrisolti e delle sfide da<br />
affrontare. Dov’è finito quel lato forte della<br />
cultura del ’900 che, comunque, pur<br />
tra tragici errori e falsificazioni consapevoli<br />
– la “doppiezza” di Togliatti – ha ac-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
20<br />
compagnato l’Italia nel suo sviluppo economico<br />
e sociale? È stato completamente<br />
rimosso.<br />
Forse era inevitabile. Una rivisitazione di<br />
quel retroterra teorico avrebbe comportato<br />
lo sforzo di capire ciò che si poteva<br />
salvare, separandolo dalle scorie del<br />
tempo. E quanto invece si doveva buttare<br />
alle ortiche. Ma avrebbe comportato<br />
anche il riconoscimento sincero degli errori<br />
compiuti. Momento di forza, non di<br />
debolezza. Storicizzando una prospettiva,<br />
che si voleva millenarista, si sarebbero<br />
enucleati gli aspetti non caduchi. E<br />
quindi le chiavi interpretative con cui aggredire<br />
un presente difficile da dominare<br />
e interpretare. Si sarebbe così ritrovato<br />
quel nesso tra le “cose” e i “nomi”, riconciliandoli<br />
in una prospettiva diversa. Che<br />
avrebbe dato continuità alla vicenda storica<br />
italiana, invece di aprire e chiudere,<br />
come fece Croce a proposito del fascismo,<br />
una nuova parentesi.<br />
La mancanza di questa riflessione non<br />
poteva non avere conseguenze sulla<br />
qualità della piattaforma programmatica.<br />
Comprendiamo, quindi, lo stupore di Fabio<br />
Mussi di fronte a quella sorta di brodo<br />
primordiale, che è il manifesto del partito<br />
democratico, prodotto dai “saggi”. Nessuna<br />
riflessione sulle vicende passate.<br />
Nessuna idea forza, ma un insieme di<br />
elementi scontati. Dov’è finito il rigore<br />
scientifico, o ritenuto tale, di una tradizione<br />
che si fregiava di <strong>questo</strong> statuto per<br />
interpretare il moto della storia? Dov’è il<br />
conflitto, che non è un invenzione dei<br />
marxisti, ma il motore principale del processo<br />
evolutivo? Dove le contraddizioni,<br />
che la politica deve risolvere e dipanare?<br />
Nulla di tutto <strong>questo</strong>. All’analisi del presente<br />
si preferisce un lungo elenco di cose<br />
da fare. Un insieme di progetti, non<br />
accompagnati da alcuna indicazione sul-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
le risorse da impegnare. Come se tutto<br />
fosse risolvibile con un appello agli “uomini<br />
di buona volontà”.<br />
L’incipit è straordinario: “noi, i democratici,<br />
amiamo l’Italia”. Ricorda, ma è una<br />
semplice assonanza, il punto centrale<br />
della Costituzione americana: “We, the<br />
people”. Ma quale altra forza evocativa<br />
in queste parole. Che, da sole, delineano<br />
un intero orizzonte programmatico:<br />
quel populismo, divenuto la bestia nera<br />
del perbenismo di sinistra. Il resto è solo<br />
un’orazione. Un’omelia pasquale, dalla<br />
quale è stata espunta, tuttavia, la rappresentazione<br />
drammatica della morte,<br />
preludio della successiva resurrezione.<br />
Un modo simbolico per esprimere la<br />
contraddizione che caratterizza la realtà<br />
contemporanea. Cristo prima di sedere<br />
alla destra di Dio padre onnipotente deve<br />
morire. Pagare il prezzo più alto, per<br />
poi risorgere. Il dovere che si coniuga<br />
con il diritto.<br />
Ma nel manifesto del partito democratico<br />
i doveri non esistono. Sono citati solo di<br />
passaggio, quale semplice appendice di<br />
diritti, continuamente riaffermati. “Non ci<br />
piacciono – è detto – la cultura, la mentalità<br />
e le politiche che puntano solo al<br />
vantaggio egoistico e all’arricchimento individuale.<br />
I progetti dei singoli, nella società<br />
che vogliamo, sono progetti di persone<br />
aperte agli altri, che affermano diritti<br />
ma anche riconoscono doveri”. I doveri<br />
sono sempre verso gli altri. Verso i poveri.<br />
Verso chi non ha. Ma qual è il compito<br />
dei singoli, in quanto tali? Possono riscattare<br />
le proprie condizioni di vita, con<br />
un maggior impegno personale? Possono<br />
fare di più per ricevere altrettanto?<br />
Nessuno chiedeva gli estensori del manifesto<br />
di sposare il credo liberale, secondo<br />
il quale il prezzo del lavoro è misurato<br />
dalla sua produttività intrinseca. Il merca-<br />
21<br />
to dà. Il mercato toglie: quasi fosse un bilancino<br />
del farmacista capace di misurare<br />
il merito ed il bisogno. Ma l’etica della<br />
responsabilità è uno dei cardini della cultura<br />
europea. E allora va bene combattere<br />
il “vantaggio egoistico” e “l’arricchimento<br />
individuale”. Ma ancor meglio sollecitare<br />
l’impegno del singolo – aiutati<br />
che Dio ti aiuta – per migliorare le proprie<br />
condizioni di vita. Per non dipendere da<br />
uno “Stato compassionevole”, ma rivendicare<br />
il diritto a costruire la propria felicità<br />
– un altro cardine dell’odiato americanismo<br />
– contribuendo ad elevare la soglia<br />
di un benessere più generale e collettivo.<br />
Unico modo, che conosciamo, per<br />
celebrare quella “concorrenza dei mercati”<br />
indicata nel manifesto come “cura<br />
straordinaria” di cui l’Italia ha estremamente<br />
bisogno.<br />
Se non c’è <strong>questo</strong> si incorre in un salto<br />
logico, in un’asimmetria. Dove non vi sono<br />
diritti e doveri da declinare insieme,<br />
nel solco del tracciato dell’articolo 2 della<br />
nostra Costituzione: diritti inalienabili -<br />
doveri inderogabili. Ma solo diritti. Una<br />
pioggia di diritti. Un diluvio di diritti. L’elenco<br />
– contenuto nel Manifesto - è pressoché<br />
sterminato. Da chi rimane indietro<br />
nella competizione per la vita ai salariati<br />
(“questione aperta nel nostro paese”);<br />
dalle donne ai bambini; dalle famiglie agli<br />
immigrati; dai creativi agli insegnanti,<br />
passando per i giornalisti, il cinema e la<br />
cultura. Grandi rivendicazioni. Promesse<br />
di intervento. Richieste pressanti da soddisfare.<br />
E una piccola, insignificante dimenticanza.<br />
Le risorse da ridistribuire, da dove vengono?<br />
Chi le produce? Con quali strumenti<br />
e grazie a quali politiche? Particolari<br />
che sembrano irrilevanti in <strong>questo</strong><br />
scenario di panna montata, dove basta<br />
allungare una mano per risolvere definiti
vamente il problema della scarsità relativa.<br />
Il rovello su cui i grandi pensatori dei<br />
secoli passati – a partire da Carlo Marx –<br />
hanno consumato notti insonni e sprecato<br />
fiumi d’inchiostro.<br />
De Amicis, nel libro “Cuore”, aveva dato<br />
una rappresentazione più realistica del<br />
mondo a lui contemporaneo. Che non è<br />
cambiato molto – e semmai in peggio –<br />
nei suoi fondamentali. <strong>In</strong> quel libro c’erano<br />
i buoni sentimenti, la solidarietà, l’amicizia<br />
e quant’altro; ma anche la descrizione<br />
di una vita che non è mai “un pranzo<br />
di gala”. Che richiede impegno e sacrificio<br />
personale nonché una politica<br />
maschia, capace di dare un indirizzo. Armando<br />
il popolo perché reagisca di fronte<br />
alle difficoltà del presente. Che non sono<br />
diminuite. Ma che richiedono lucidità,<br />
determinazione nelle scelte, una guida<br />
sicura ed esperta, nonché un indirizzo<br />
pedagogico adeguato.<br />
Non viviamo in un Eden ritrovato. Nel<br />
mondo di oggi chi sbaglia, paga. E paga<br />
duramente. La Fiat che non indovina il<br />
modello di un’autovettura, la Telecom<br />
che non riesce ad abbassare il proprio indebitamento,<br />
l’Alitalia che non riduce un<br />
organico eccessivo, non hanno a disposizione<br />
una mossa di riserva. Lo Stato<br />
non è più in grado di essere il grande ammortizzatore<br />
sociale del passato. Non ha<br />
più le risorse necessarie. Le nuove regole<br />
comunitarie gli impediscono di essere<br />
il finanziatore in ultima istanza. La concorrenza<br />
internazionale ne martella i<br />
fianchi. Soprattutto sono gli altri che non<br />
ci stanno. Quei “dannati della Terra”, per<br />
riprendere il bel libro di Franz Fanon,<br />
che, grazie alla globalizzazione, hanno<br />
intravisto una possibilità di riscatto. E per<br />
<strong>questo</strong> si battono con una determinazione<br />
fino a ieri sconosciuta.<br />
Perché i neofiti del partito democratico<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
22<br />
non rileggono le cose dette da Enrico<br />
Berlinguer? Alla fine degli anni ’70, intuì<br />
un dato che i successivi avvenimenti storici<br />
avrebbero più che confermato. I rapporti<br />
di forza a livello internazionale stavano<br />
cambiando. Cresceva il peso dei<br />
paesi produttori di materie prime – specie<br />
di petrolio – che, con il loro comportamento,<br />
rompevano un tradizionale vincolo<br />
di dipendenza. Facendo venir meno<br />
quella rendita di posizione, su cui le<br />
grandi metropoli occidentali avevano costruito,<br />
negli anni del dopoguerra, le basi<br />
del loro benessere materiale. Occorreva<br />
pertanto che, a questa presa di posizione,<br />
corrispondesse un mutamento profondo<br />
nel modo di produrre e di consumare<br />
degli stessi paesi economicamente<br />
più avanzati.<br />
Com’è noto, il suggerimento fu quello<br />
dell’austerità. Risposta sbagliata a un<br />
problema reale. Sbagliata perché costruita,<br />
come si direbbe oggi, sul lato<br />
della domanda più che su quello dell’offerta.<br />
Vale a dire prospettando un contenimento<br />
del livello dei consumi, all’insegna<br />
di un pauperismo, che risentiva del<br />
condizionamento ideologico di una tradizione<br />
culturale. Quando invece l’accento<br />
doveva essere posto, fin da allora,<br />
sulla necessità di un impegno maggiore<br />
per lo sviluppo, possibile solo eliminando<br />
quei vincoli al mercato che ne<br />
impedivano o limitavano la potenza. Posizione<br />
difficilmente sostenibile per chi,<br />
allora, aveva nella testa il teorema di<br />
uno scambio politico: la moderazione<br />
sociale, gestita attraverso il sindacato,<br />
contro una partecipazione piena del Pci<br />
nel governo nazionale. Il “compromesso<br />
storico” appunto.<br />
Risposta debole, nei suoi elementi propositivi.<br />
Tant’è che non funzionò né quel<br />
“compromesso”, durato lo spazio di un
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
mattino; né l’ipotesi di frenare una domanda<br />
sociale incomprimibile. Come dimostreranno<br />
gli anni successivi, caratterizzati<br />
da una ricorsa salariale irrefrenabile,<br />
foriera di un’inflazione irriducibile, da<br />
un deficit di bilancio dilagante e dalla crescita<br />
di quel debito pubblico, che ancora<br />
oggi grava sulle spalle degli italiani. Ciò<br />
non toglie nulla, tuttavia, all’intuizione di<br />
fondo – strumentale o meno che fosse –<br />
che l’aveva sostenuta. Essa partiva da<br />
un dato di realtà: quel mutamento irreversibile<br />
dei rapporti di forza tra centro e<br />
periferia, che oggi ritroviamo nel volto<br />
nuovo dell’economia mondiale. Dove la<br />
spinta originaria, proveniente dai paesi<br />
Opec, si è amplificata fino ad abbracciare<br />
interi continenti. Dall’Asia guidata dalla<br />
Cina, all’<strong>In</strong>dia, al Brasile, destinati, nel<br />
volgere di pochi anni, a divenire il volano<br />
dello sviluppo mondiale e mettere all’angolo<br />
paesi di più antica civiltà: culla del<br />
benessere economico e baricentro della<br />
civiltà fin allora realizzati.<br />
Non a caso, proprio in questi giorni, Benedetto<br />
XVI, accennando al tema demografico,<br />
ha detto che l’Europa rischia di<br />
“congedarsi dalla storia”. Una riflessione<br />
che non può non colpire. <strong>In</strong>nanzitutto per<br />
il pulpito dal quale proviene. Ma soprattutto<br />
perché quell’analisi, pur nella sua<br />
drammaticità, è ancora parziale. Se lo<br />
sguardo si allarga ai rapporti economici o<br />
a quelli militari, la prospettiva diventa ancora<br />
più buia, evocando quei pericoli insiti<br />
in possibile “crollo dell’Occidente”,<br />
che tanta eco sta avendo nel dibattito<br />
contemporaneo.<br />
Ci si sarebbe, quindi, aspettati che nella<br />
piattaforma programmatica del partito<br />
democratico, queste tematiche avessero<br />
avuto un qualche diritto di cittadinanza.<br />
Che il tema dello “sviluppo delle forze<br />
23<br />
produttive” – evocato non da Adam Smith<br />
o David Ricardo, ma da Carlo Marx –<br />
quale “presupposto materiale per una società<br />
storicamente superiore” avesse<br />
mantenuto una qualche presenza. Ma<br />
così non è stato. Si è preferito, invece, un<br />
diverso approdo culturale: quello di un<br />
dossettismo di ritorno in una visione quasi<br />
apologetica del mondo contemporaneo,<br />
senza conflitti e contraddizioni. Un<br />
dossettismo fuori dal suo tempo storico –<br />
l’ambiente keynesiano – che, in passato,<br />
l’aveva in qualche modo legittimato. Offrendo<br />
strumenti di comprensione di<br />
quella realtà, pur nel lessico di un afflato<br />
religioso, attento ai bisogni degli esclusi<br />
e dei reietti. Che la potenza del neo-capitalismo<br />
era in grado di includere in una<br />
prospettiva di progresso.<br />
Ma perché questa rimozione? Questo è il<br />
grande interrogativo non risolto da quel<br />
documento. Perché i dirigenti post-comunisti<br />
hanno rinunciato, senza combattere,<br />
alla loro storia è quel che resta della loro<br />
identità culturale? Scelta incomprensibile<br />
non solo dal punto di vista culturale. La<br />
contraddizione principale è nelle prospettive<br />
politiche più immediate. Il presupposto<br />
sistemico del partito democratico è il<br />
consolidamento del sistema bipolare italiano.<br />
Ciò significa, pertanto, un obbligo<br />
di convivenza con chi ancora si dichiara<br />
“comunista”. Come conciliare il permanere<br />
di un’alleanza così stretta e necessitata<br />
con una rottura di carattere epistemologico?<br />
La storia più complessiva della<br />
sinistra italiana dimostra quanto sia difficile<br />
superare quelle fratture. Non sono<br />
bastati cento anni per sanare la scissione<br />
di Livorno. Quanto tempo ci vorrà per<br />
ritrovare una comune prospettiva, che<br />
faccia prevalere le ragioni dell’unità su<br />
quelle dell’appartenenza?<br />
<strong>In</strong>terrogativi legittimi, che non trovano ri
sposta. Se non esaminando, in controluce,<br />
il lato oscuro dell’esperienza storica<br />
del comunismo italiano. Il credere cioè<br />
che, al di là delle parole, dei programmi,<br />
delle enunciazioni ciò che conta effettivamente<br />
sono i rapporti di forza, il peso determinate<br />
dell’organizzazione, la capacità<br />
di mobilitazione. Anche a prescindere<br />
dalle parole d’ordine che possono essere<br />
cambiate con disinvoltura per piegarle al<br />
realismo della lotta politica immediata.<br />
Se questa è la vera essenza della politica,<br />
allora si può delegare ad altri il compito<br />
di scrivere manifesti.<br />
Per quello che valgono le enunciazioni<br />
programmatiche: sono parole al vento.<br />
La partita vera si gioca su un terreno diverso.<br />
Quanto pesa la Margherita, con le<br />
sue divisioni interne? Quanto vale Prodi,<br />
Marini o Parisi. Per non parlare di Rutelli<br />
già messo al margine nello scontro interno<br />
a quel partito. E quanto peseranno i<br />
Ds, sebbene decimati dalle scissioni e<br />
dagli abbandoni? Certamente di più. E<br />
sarà questa la forza che darà le stimmate<br />
al nuovo movimento. Ragionamento<br />
realistico addirittura brutale che ha dalla<br />
sua almeno parte dell’esperienza storica<br />
del passato: a partire dalla vicenda del<br />
“Fronte popolare” dell’immediato dopoguerra.<br />
Anche allora, con i socialisti di<br />
Nenni, non si andò troppo per il sottile<br />
nelle dispute programmatiche. Il confronto<br />
vero era dato dai rapporti di forza. Dal<br />
peso della struttura organizzativa e di<br />
massa. Dai contatti internazionali con le<br />
grandi centrali della sovversione, dalle<br />
quali ottenere le risorse necessarie – non<br />
solo di carattere finanziario – per tessere<br />
la propria tela. Funzionerà così, anche<br />
questa volta?<br />
Il dubbio è legittimo. Da allora il mondo è<br />
profondamente cambiato. Quei riferimenti<br />
internazionali non esistono più. La poli-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
24<br />
tica si è liberata del suo costoso armamentario<br />
organizzativo. Le idee e la comunicazione<br />
ne sono divenuti il lievito<br />
principale. Ed un nuovo movimento politico<br />
non può nascere senza quelle basi<br />
programmatiche che ne sono il presupposto<br />
indispensabile. Il gruppo dirigente<br />
diessino non ha avvertito quest’esigenza,<br />
delegandola ad altri.<br />
Non l’ha avvertita a causa di una formazione<br />
culturale che è, ancora, tutta interna<br />
ai paradigmi del comunismo italiano.<br />
D’Alema, Fassino e Violante sono i figli<br />
non ravveduti di quell’esperienza. Era<br />
quindi inevitabile che si muovessero nel<br />
solco di quella tradizione, riproducendola<br />
nella nuova confezione offerta loro dal<br />
partito democratico. Un modo come un<br />
altro per garantire il salvataggio collettivo<br />
di un gruppo dirigente che da oltre<br />
trent’anni cavalca le scene della politica<br />
italiana.<br />
Ma sono le idee che muovono il mondo,<br />
quando camminano con le gambe degli<br />
uomini. Se vengono meno, non c’è architettura<br />
organizzativa in grado di svolgere<br />
ruoli di supplenza. È già avvenuto<br />
negli altri paesi europei. È accaduto in<br />
Francia, in Spagna, in Grecia e in Portogallo,<br />
dove l’esperienza storica del comunismo<br />
è rimasta un piccolo residuo<br />
del passato. Per rivivere, nella parte migliore,<br />
nell’esperienza di un socialismo<br />
rinnovato. Capace di dare risposta, nei<br />
termini nuovi richiesti dal mutare dei<br />
tempi e delle situazioni, all’antico dilemma<br />
del merito e del bisogno. Quella forza<br />
– laica, riformista e liberale – che oggi<br />
manca in Italia. E che il partito democratico<br />
vorrebbe sostituire. Cosa non facile,<br />
se l’esperimento è condotto dopo<br />
aver disperso una grande patrimonio di<br />
esperienze, solo per salvare un vecchio<br />
gruppo dirigente.
Dopo i congressi<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Non abbiamo molto da aggiungere a quanto detto dopo lo svolgimento dei congressi dei Ds e<br />
della Margherita se non prendere atto che le critiche da noi avanzate al “Manifesto” si sono dimostrate<br />
più che fondate. Tant’è che quel documento non solo è stato ignorato, ma definitivamente<br />
riposto in un cassetto. Di impostazioni programmatiche se ne parlerà a babbo morto.<br />
Al termine di una fase costituente che non si sa quanto durerà. Nel frattempo si andrà avanti<br />
alla giornata, grazie a quel passepartout linguistico con cui è stato battezzato il nuovo partito<br />
e che Piero Fassino, nella sua replica, ha enfaticamente richiamato. Un riferimento né leggero,<br />
né banale, come ha detto, ma riflesso di una maturazione profonda. Che affonda le sue radici<br />
in uno degli elementi essenziali dell’epoca moderna. Ne siamo convinti da sempre. Del resto<br />
di democrazia si discute fin dai tempi di Aristotele. E non riusciamo a scorgere quali ulteriori<br />
elementi siano stati portati dal dibattito congressuale dei due partiti.<br />
Non sarà quindi un argomento leggero – ma chi ne ha mai dubitato? – ma forse per il Ds non<br />
tutto era così scontato. Se lo stesso Fassino ha dovuto ricordare che solo durante la segreteria<br />
di Enrico Berlinguer essa è stata assunta dal Pci – da tutto il Pci? – come “valore universale”.<br />
Siamo quindi lieti di questa conferma, che archivia finalmente una lunga storia di tentennamenti,<br />
di incertezze e di cedimenti alla “ragion di Stato”. E fa strame di una distinzione<br />
ch’era solo nella testa dei comunisti di ogni rito ed estrazione. Quella tra “democrazia formale”<br />
e “democrazia reale”, vista la seconda come superamento e quindi negazione della prima.<br />
Finalmente abbiamo la democrazia senza aggettivi. Termine che risarcisce solo in parte chi,<br />
per tutti quegli anni, aveva cercato di dimostrare l’ambiguità di quella distinzione e la doppiezza<br />
che ne era sottesa.<br />
Partito democratico perché partito della democrazia. Teorizzato in Italia, nel terzo millennio,<br />
<strong>questo</strong> elemento distintivo è senza significato. Quali sono le forze politiche che negano, ancora,<br />
il valore della democrazia? Gli stessi Bertinotti e Diliberto hanno dovuto fare i conti, da<br />
tempo, con <strong>questo</strong> requisito storico che appartiene all’orizzonte naturale della nostra epoca.<br />
Chi parla, ancora, di “dittatura del proletariato”? Ed allora perché “partito democratico”? Risposta<br />
non facile. Che si può articolare solo scavando nelle ambiguità del processo che sta<br />
portando alla sua costituzione. Nell’accezione “borghese” – si sarebbe detto una volta – la<br />
democrazia è soprattutto una procedura che può svilupparsi solo accettando il principio della<br />
libertà e dell’eguaglianza di fronte alla legge. E grazie alla quale si giunge a decisioni condivise.<br />
Lo diceva bene Norberto Bobbio, nel parlare di “universi procedurali”, ossia degli elementi<br />
caratteristici del concetto occidentale di democrazia, contrapposta agli stereotipi marxisti -leninisti.<br />
La democrazia è un insieme di regole che stabiliscono “come si debba arrivare alla decisione<br />
politica, non che cosa si debba decidere”.<br />
Ds e Margherita promettono, in definitiva, che le future decisioni del saranno prese democraticamente.<br />
Una testa un voto: com’è stato detto, facendo infuriare Emanuele Macaluso. Ma<br />
questa è solo un escamotage per nascondere la tregua armata tra le componenti dei due ex<br />
gruppi dirigenti. Non una proposta che si misura con il tema della rappresentanza e quindi con<br />
l’essenza stessa e la ragion d’essere del “moderno principe”, vale a dire il partito politico. I<br />
contenuti, assicurano comunque i protagonisti della vicenda, verranno dopo. Aspettiamo con<br />
ansia di sapere. La stessa ansia di Cofferrati che, da vecchio dirigente sindacale, ha più volte<br />
sollecitato i congressisti, troppo assorti nelle tattiche necessarie a conquistare una pole position,<br />
a pronunciarsi sul merito delle questioni. Che il riferimento esclusivo al metodo tende<br />
solo ad occultare (GP).<br />
25
Verso il Partito Democratico<br />
La Margherita è un fenomeno complesso<br />
che ha le sue origini nella permanenza<br />
di una forte influenza democristiana<br />
nelle regioni meridionali e soprattutto in<br />
Calabria, Campania, Sicilia e Basilicata.<br />
La crisi della Dc nel nord non ha avuto<br />
una eguale influenza nel sud, in cui la<br />
Democrazia cristiana non era tanto come<br />
nel nord dovuta alla organizzazione<br />
ecclesiastica, ma aveva radici nella<br />
clientela meridionale, cioè nel rapporto<br />
tra notabili ed elettori. Un’organizzazione<br />
fondata sul rapporto di fiducia personale.<br />
Tuttavia la crisi della Dc, avvenuta al<br />
nord, ebbe conseguenze in tutte le aree,<br />
sia quelle rosse dell’Italia centrale, sia a<br />
Roma, sia nel mezzogiorno. La Dc meridionale<br />
aveva una sua realtà di organizzazione<br />
e una sua cultura politica. Le figure<br />
più significative della Dc vennero<br />
dal sud, specie dopo la generazione che<br />
era stata nel partito di Sturzo. Ma tuttavia<br />
la crisi della Dc al nord travolse anche<br />
quella meridionale, rese impossibile<br />
la formazione del partito fondato sull’unità<br />
dei cattolici come era stata la Dc.<br />
Occorreva quindi determinare un’altra<br />
forma per conservare la struttura democristiana<br />
delle clientele meridionali. E<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Margherita, un puzzle da<br />
interpretare<br />
di Gianni Baget Bozzo<br />
26<br />
questa venne offerta proprio dal nord,<br />
ma da una zona singolare del nord, il<br />
Trentino, in cui, come nel sud, la Dc aveva<br />
radici quasi etniche. Era stata l’espressione<br />
del popolo trentino anche<br />
sotto regime austriaco. <strong>In</strong>oltre la facoltà<br />
di Sociologia realizzata a Trento era stata<br />
una delle matrici del ’68, uno dei luoghi<br />
preferiti dei cattolici del dissenso.<br />
L’idea di creare una alleanza composita<br />
di democristiani e di laici nacque con<br />
una lista alle elezioni provinciali del<br />
Trentino, denominata appunto la Margherita,<br />
per indicare la pluralità dei petali<br />
che vi convenivano. Ma il nome corrispondeva<br />
anche al desiderio di trovare<br />
un riferimento per il leader designato<br />
dall’alleanza di centrosinistra, Romano<br />
Prodi, che desiderava avere un insediamento<br />
nel mondo cattolico, ma senza radicarsi<br />
in un partito che fosse formalmente<br />
cattolico o composto prevalentemente<br />
da cattolici.<br />
La Margherita diviene perciò il punto di<br />
raccordo dei cattolici che pensavano a<br />
un rapporto organico con la sinistra postcomunista,<br />
ma fatto in modo di comprendervi<br />
non formalmente, la componente<br />
cattolica. Tuttavia la forza elettorale<br />
della Margherita era soprattutto nelle<br />
regioni del sud: e la Campania era la ter-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
ra in cui le clientele democristiane avevano<br />
posto più organicamente radici.<br />
Ma il personale politico democristiano<br />
era tutto troppo connotato nei suoi vertici<br />
perché gli uomini della Dc potessero<br />
comparire in primo piano. Tanto più che<br />
la figura fondamentale della Campania<br />
democristiana era Ciriaco De Mita, che<br />
rappresentava, con la sua stessa figura,<br />
la continuità con la Dc storica.<br />
La sinistra di De Mita aveva sempre conservato<br />
i rapporti con il Pci e preferiva<br />
l’alleanza con i postcomunisti piuttosto<br />
che quella con i socialisti, anche se doveva<br />
esprimerla in un modo improprio,<br />
mantenendo nel mutuo riconoscimento<br />
la differenza dell’alternativa. Non a caso,<br />
l’amnistia dell’89, sui finanziamenti ai<br />
partiti politici, che contribuì a rendere<br />
inagibili le azioni contro il finanziamento<br />
sovietico del Pci, servì anche a rendere<br />
inagibili le azioni della magistratura contro<br />
la segreteria De Mita, che appunto<br />
nel ’89 era venuta meno e non aveva<br />
avuto più parte nella gestione finanziaria<br />
del partito.<br />
La sinistra democristiana aveva, con la<br />
Segreteria Martinazzoli, gestito il cambiamento<br />
del nome da Democrazia cristiana<br />
a Partito popolare, aveva prodotto<br />
la legge elettorale maggioritaria con<br />
quota proporzionale ed aveva salvato<br />
nella quota proporzionale tutti gli esponenti<br />
della sinistra democristiana, rimasta<br />
ormai l’unico agonista politico di<br />
quella cultura. Bisognava dunque ricomporre<br />
le clientele democristiane del mezzogiorno<br />
con laici non comunisti per togliere<br />
alle clientele democristiane del<br />
sud la figura di partito cattolico e dargli<br />
27<br />
una linea anodina, fondamentalmente<br />
legata alla collaborazione con i Ds.<br />
Il rinato Partito popolare corrispondeva<br />
nel mondo democristiano al cambiamento<br />
avuto nel mondo comunista con il passaggio<br />
del Pci al Pds. La Margherita era<br />
un partito che non aveva definizioni<br />
ideologiche e i suoi deputati europei si<br />
iscrissero nel Parlamento europeo nei<br />
democratici liberali proprio per garantire<br />
il suo carattere culturalmente non democristiano.<br />
Leader della Margherita divenne un giovane<br />
della scuola di Marco Pannella e<br />
resosi da lui autonomo con la scelta ambientalista:<br />
Francesco Rutelli. La sua<br />
conversione religiosa divenne a un tempo<br />
il punto di riferimento implicito con i<br />
postdemocristiani senza alterare la sua<br />
storia radicale ed ambientalista. Le<br />
clientele democristiane meridionali si<br />
esprimevano con volti diversi da quelli<br />
classici democristiani. La Margherita non<br />
poteva caratterizzarsi che con la più<br />
marcata ostilità al movimento di Silvio<br />
Berlusconi, perché questa avversità era<br />
l’unica chiave possibile all’identità di forze<br />
politiche: quelle dei prodiani e quelle<br />
dei laici come Bianco e Bordon. Ma l’altro<br />
problema della Margherita era la<br />
componente prodiana. Con Arturo Parisi<br />
si prefigurava un risultato più ambizioso:<br />
quello di superare la forma partito in uno<br />
schieramento molteplice in cui fossero<br />
superate anche le identità democristiane<br />
e comuniste.<br />
Ma la forza della Margherita era la componente<br />
postdemocristiana. Diveniva<br />
per tanto necessario trovare un punto di<br />
identità con le nuove richieste poste dal<br />
mondo cattolico specie in materia di fa
miglia e il diritto alla vita. Anche la Chiesa<br />
cattolica era entrata in fase postdemocristiana<br />
e non accettava più di riconoscere<br />
il partito cristiano come cassa di<br />
mediazione delle sue richieste alla società<br />
civile. L’obbligo di mantenere la Dc<br />
aveva imposto alla gerarchia cattolica di<br />
accettare il divorzio e l’aborto, di non ottenere<br />
riconoscimenti alla famiglia sul<br />
piano fiscale e alla scuola privata sul<br />
piano finanziario. Che la Chiesa scendesse<br />
in campo su <strong>questo</strong> punto rendeva<br />
possibile ai democristiani di sinistra<br />
che costituivano la Margherita in quanto<br />
componenti del Partito popolare, di premere<br />
ulteriormente sia sulla componente<br />
laica che su quella prodiana. Essi così<br />
ottennero la possibilità di radicarsi, in<br />
quanto esponenti delle tesi cattoliche, all’interno<br />
della Margherita, ma al tempo<br />
stesso come mediatori dei rapporti con il<br />
mondo laico.<br />
Bisognava concepire l’alleanza con i<br />
postcomunisti in un modo che la garanzia<br />
verso il paese dei Ds fosse mediata<br />
dai postdemocristiani e dai prodiani. Nei<br />
Ds rimaneva l’esigenza di superare ancora<br />
più radicalmente la storia comunista<br />
e <strong>questo</strong> li conduceva ad accettare,<br />
dopo anni di resistenza, l’insistenza di<br />
Arturo Parisi per fondare un partito unico:<br />
il partito democratico. Usare l’insistenza<br />
della Chiesa sui temi della vita e<br />
della famiglia offriva ai democristiani della<br />
Margherita la possibilità di identità anche<br />
se al tempo stesso li poneva in difficoltà<br />
nel loro rapporto con la sinistra<br />
diessina e con gli altri partiti dell’Unione.<br />
Ma era anche la migliore occasione per<br />
spingere i diessini ad accettare la fusione<br />
del partito democratico che riconduceva<br />
ad avere avversari a sinistra, cosa<br />
che il Pci non aveva mai tollerato. Defi-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
28<br />
nire il partito democratico era il modo migliore<br />
per costringere i diessini a riconoscere<br />
la mediazione democristiana, ad<br />
accettare cioè che il nuovo partito fosse<br />
assai più simile alla Dc che non al Pci.<br />
Le diverse componenti culturali ricordano<br />
le antiche correnti democristiane, anch’esse<br />
fondate sulla legittimazione<br />
ideologica diversa una dall’altra ma poi<br />
convergenti nella vita del partito quando<br />
il suo destino era in gioco. Il Ds poteva<br />
situarsi nell’Unione a mezza strada tra<br />
Margherita e Rifondazione, cioè continuare<br />
a beneficiare dell’identità della sinistra.<br />
Proporre immediatamente il partito<br />
democratico significa per i popolari<br />
della Margherita obbligare i diessini a<br />
una svolta verso il centro.<br />
Il pd diviene simile alla Democrazia cristiana,<br />
non solo nella sua formula di politica<br />
ma anche nel suo contenuto. I postdemocristiani<br />
della Margherita spingono<br />
perciò verso il partito unico del centrosinistra<br />
perché ciò sposta al centro il baricentro<br />
dell’Unione e obbliga i diessini a<br />
scegliere di preferenza i popolari della<br />
Margherita piuttosto che i partiti di sinistra<br />
dell’Unione. Con ciò essi hanno ottenuto<br />
anche il fatto che il partito democratico<br />
nascesse dalla fusione dei partiti,<br />
come un rituale nettamente partitico. I<br />
due congressi paralleli di scioglimento<br />
hanno sciolto i partiti al modo dei partiti<br />
che hanno perciò dato luogo a un partito<br />
democratico che rappresenta una figura<br />
di partito come quella della prima Repubblica.<br />
Come la Democrazia cristiana, il partito<br />
democratico è disposto a scegliere alleanze<br />
alternative a destra o a sinistra.<br />
Franco Marini è il leader popolare che ha
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
presieduto alla composizione e alla ricomposizione<br />
dei due partiti nel partito<br />
democratico. Il punto fondamentale del<br />
suo intervento al congresso di Roma è<br />
stato quello di ricordare che sarà il partito<br />
democratico e non l’Unione, a scegliere<br />
le sue alleanze. E affermando esplicitamente<br />
che vi è una alternativa all’alleanza<br />
con la sinistra radicale. Assorbire<br />
il partito postcomunista in una forma democristiana<br />
è certo un capolavoro politico:<br />
la nascita del partito democratico,<br />
partito fatto dai due partiti storici della<br />
prima Repubblica, è un immagine fascinosa.<br />
D’altro lato la componente laica della<br />
Margherita e il personale cattolico legato<br />
ad Arturo Parisi sostengono la necessità<br />
di far nascere il partito come metodo delle<br />
primarie, cioè di raccogliere le adesioni<br />
nei gazebo aprendosi a un elettorato<br />
ignoto. Questa è del resto la figura culturale<br />
del partito democratico, pensato sul<br />
modello americano di un partito istituzione,<br />
a cui ci si iscrive come appartenenza<br />
dinanzi agli organi pubblici nel conferimento<br />
della cittadinanza.<br />
Questa idea è portata avanti da Arturo<br />
Parisi, che significativamente non ha<br />
partecipato al voto nel congresso della<br />
Margherita. A quanto si comprende ci<br />
saranno varie candidature innanzi al popolo<br />
dei gazebo. Aderendo al partito democratico,<br />
se ne sceglie nel gazebo, con<br />
il medesimo atto dell’adesione, il suo<br />
candidato leader. E si annunciano candidature<br />
plurime a questa carica. I popolari<br />
ex democristiani e i diessini postcomunisti<br />
terranno però le file della politica.<br />
Ed è ancora da comprendere con quali<br />
metodi il partito democratico sosterrà il<br />
potere dei due partiti che lo hanno co-<br />
29<br />
struito, non permettendo che esso venga<br />
travolto da un intervento esterno, magari<br />
anche organizzato da gruppi della<br />
società civile.<br />
Il modello di questa complessa operazione<br />
politica è la genesi di Forza Italia,<br />
cioè di un partito nato senza avere strutture<br />
di partito ma solo mediante il rapporto<br />
tra un popolo e un leader.<br />
Possiamo dire che l’ultimo esito del compromesso<br />
storico è stato una lunga marcia<br />
per trasformare il partito di Gramsci e<br />
di Togliatti in una Dc più laica, ma non<br />
laicista. <strong>In</strong> <strong>questo</strong> i postdemocristiani<br />
hanno lavorato bene mostrando di essere<br />
di gran lunga i più scaltriti politici della<br />
Repubblica. La Margherita ora esiste<br />
nel dominio dei popolari che hanno cambiato<br />
i termini dello statuto, esautorando<br />
il presidente, cioè Francesco Rutelli, e<br />
potenziando il coordinatore federale e<br />
l’assemblea federale dove essi sono in<br />
maggioranza.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Le ragioni di un programma<br />
riformista<br />
di Maurizio Sacconi<br />
L’Italia ha bisogno dei riformisti per almeno<br />
tre ragioni che si collegano al fatto<br />
che essi si sono formati soprattutto<br />
nei processi politici connessi alla continua<br />
evoluzione dei sistemi di protezione<br />
sociale, combattendo le resistenze della<br />
sinistra conservatrice e la miopia di coloro<br />
che trascurano le esigenze di coesione<br />
sociale.<br />
E invero in Italia oggi:<br />
1) è necessario promuovere una faticosa<br />
transizione verso l’economia della<br />
conoscenza attraverso l’investimento<br />
nel capitale sociale;<br />
2) è necessario invertire il processo di<br />
annichilimento della società italiana, stimolato<br />
da una sinistra decadente, attraverso<br />
la visione di una società attiva<br />
fondata sul binomio opportunità-responsabilità;<br />
3) è necessario sconfiggere la resistenza<br />
del sindacato conservatore attraverso<br />
l’offerta alle associazioni della rappresentanza<br />
disponibili alle riforme di un<br />
interlocutore determinato ad innovare<br />
ed insieme capace di dialogo sociale,<br />
secondo lo schema che ha condotto all’accordo<br />
di S. Valentino e al Patto per<br />
l’Italia.<br />
I riformisti praticano il metodo delle rifor-<br />
30<br />
me graduali e coerenti, ancorate a un sistema<br />
di valori immutabili, con lo scopo<br />
di renderli sempre effettivi nella realtà<br />
che cambia, favorendo lo sviluppo delle<br />
potenzialità di ciascuna persona.<br />
La nuova questione sociale consiste infatti<br />
nel garantire a tutti gli strumenti dell’autosufficienza<br />
rimuovendo gli ostacoli<br />
del vecchio modello sociale, paradossalmente<br />
difeso oggi da chi lo contestò<br />
negli anni della sua edificazione.<br />
Il vecchio modello è superato perché è<br />
stato costruito sulla necessità di risarcire<br />
le negatività dello sviluppo industriale.<br />
Il nuovo modello si deve rivolgere invece<br />
a sostenere le positività dell’economia<br />
della conoscenza. Dal concetto<br />
negativo di bisogno si passa così a<br />
quello positivo di autonomia della persona<br />
così come dal concetto di disoccupazione,<br />
nelle politiche del lavoro, si passa<br />
a quello di occupabilità.<br />
Si tratta di un ritorno alla centralità della<br />
persona e di una riscoperta del diritto<br />
naturale rispetto all’ideologismo che antepone<br />
il concetto di classe e che, ancor<br />
meno prosaicamente, spesso difende<br />
l’autoreferenzialità inefficiente dell’offerta<br />
rispetto alla domanda di buoni servizi<br />
di cura, di assistenza, di sanità, di educazione,<br />
di orientamento, di collocamento,<br />
di sicurezza sociale. <strong>In</strong> <strong>questo</strong><br />
senso – ovvero nella direzione della so-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
cietà attiva – si sono mosse le tre grandi<br />
"riforme per il futuro" del governo Berlusconi<br />
che oggi devono essere difese<br />
"con le unghie e con i denti" attraverso<br />
iniziative per la loro piena implementazione<br />
e proposte legislative per il loro<br />
completamento.<br />
Sono questi i principali contenuti della<br />
moderna sfida che ancora una volta i riformisti<br />
sono costretti a rivolgere alla sinistra<br />
nichilista e conservatrice sul terreno<br />
storico della questione sociale, dell’incremento<br />
del capitale umano e sociale<br />
del Paese.<br />
Tanto i neo-nichilisti:<br />
1) incoraggiano – con la campagna sulla<br />
precarizzazione – la perdita del senso<br />
del lavoro (e della vita) dei giovani che<br />
spostano in avanti le scelte di vita e<br />
scelgono i percorsi educativi più facili<br />
attraverso la facile promessa di tutele<br />
passive come un salario garantito o<br />
contributi figurativi;<br />
2) difendono l’autoreferenzialità corporativa<br />
dei docenti pigri e incolti nella logica<br />
del monopolio pubblico dell’educazione;<br />
3) mortificano i talenti nel processo educativo<br />
burocratico e i meriti nel rapporto<br />
di lavoro attraverso politiche salariali<br />
"piatte" e politiche fiscali esasperatamente<br />
ispirate alla progressività;<br />
4) incentivano l’accorciamento della vita<br />
lavorativa (che spesso inizia tardi) con i<br />
pre-pensionamenti utilizzati come protezione<br />
passiva della disoccupazione;<br />
5) stimolano flussi migratori dequalificati<br />
con le sanatorie continue e la rinuncia<br />
alla selezione nei Paesi di origine;<br />
31<br />
6) difendono l’attuale struttura della spesa<br />
corrente e anzi intendono riaprire la<br />
voragine della spesa previdenziale, con<br />
la conseguenza che la società che hanno<br />
in mente è fatta di pochi attivi e di<br />
molti inattivi e in essa l’equità è interpretata<br />
come circolo vizioso dell’equa ripartizione<br />
della diminuzione della ricchezza,<br />
la quale così si riduce ancor di<br />
più velocemente;<br />
7) attuano una politica fiscale e regolatoria<br />
che penalizza l’intrapresa, la sottopone<br />
ad un regime esasperato di controlli<br />
invasivi che muovono da un atteggiamento<br />
di sfiducia, produce una contrazione<br />
del volume complessivo degli<br />
affari e del <strong>numero</strong> di nuove imprese;<br />
8) promuovono iniziative legislative sui<br />
temi etici che ineriscono il ciclo di vita e<br />
la sua riproduzione diffondendo un pericoloso<br />
messaggio di annichilimento in<br />
una società già declinante dal punto di<br />
vista demografico;<br />
9) penalizzano la famiglia <strong>numero</strong>sa<br />
nella disciplina fiscale con l’abbandono<br />
delle deduzioni per le persone a carico e<br />
con il collegamento degli assegni familiari<br />
a più stretti criteri di progressività;<br />
10) praticano una politica estera ambigua,<br />
in quanto una parte significativa<br />
della sinistra si qualifica da sempre come<br />
anti occidentale e si oppone alle<br />
azioni di difesa delle nostre radici identitarie<br />
dall’aggressione del fondamentalismo<br />
islamico.<br />
Quanto i neo-riformisti, orientati a produrre<br />
una società attiva, ispirano tutta la<br />
loro azione politica a tre principi di riferimento<br />
così riassumibili:
1) la libertà prima dell’uguaglianza,<br />
2) la produzione della ricchezza prima<br />
della sua distribuzione,<br />
3) la responsabilità dei singoli e dei<br />
gruppi prima della regolazione pubblica.<br />
Essi operano infatti per una vera e propria<br />
rivoluzione della responsabilità che<br />
deve riguardare<br />
a) la sfera individuale, affinché ciascuno,<br />
opportunamente attrezzato in termini<br />
di conoscenza, assuma e mantenga il<br />
controllo sulla propria vita;<br />
b) la famiglia, affinché realizzi la sua<br />
funzione naturale di orientamento e accompagnamento<br />
del percorso educativo<br />
dei figli e quella di protezione domiciliare<br />
dei suoi componenti non autosufficienti;<br />
c) l’impresa, affinché persegua obiettivi<br />
di qualità totale in relazione a sé e a tutti<br />
gli interessi che coinvolge;<br />
d) le forme associative, affinché non si<br />
chiudano nella autoreferenzialità delle<br />
loro burocrazie interne ma, in sussidiarietà,<br />
concorrano ad ampliare le opportunità<br />
per le persone e per le imprese;<br />
e) le istituzioni, affinché riconoscano,<br />
ovunque possibile, il primato sussidiario<br />
degli attori sociali e operino secondo un<br />
equilibrio dei poteri di spesa e di entrata.<br />
I riformisti sono così, ancora una volta,<br />
portatori di vitalità e di responsabilità<br />
quanto i loro avversari di pigrizia e di abbandono.<br />
Essi vogliono muovere l’ascensore<br />
sociale quanto i neo-nichilisti<br />
lo tengono bloccato dagli infausti anni<br />
’70. Tocca quindi proprio ai riformisti,<br />
collocati nell’alveo naturale della Casa<br />
delle Libertà, fermare questa deriva perché<br />
più attrezzati dalla dimestichezza<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
32<br />
con le dinamiche sociali ed i corpi intermedi.<br />
Il Patto per l’Italia – sottoscritto da tutte<br />
le organizzazioni dei lavoratori e degli<br />
imprenditori tranne la Cgil – fu il risultato<br />
non casuale del paziente lavoro dei riformisti.<br />
È stato poi colpevole non averlo<br />
interamente attuato in quanto non tutti<br />
nel Governo ne capirono la portata di<br />
"blocco sociale" per il cambiamento.<br />
Diventa così particolarmente importante<br />
ora ricostruire quei rapporti intorno ad<br />
un pacchetto di proposte utili a disegnare<br />
il nuovo modello sociale auspicato<br />
dalla Casa delle Libertà.<br />
La Giovane Italia, associazione di riformisti<br />
fondata da Bettino Craxi nel momento<br />
dell’esilio, ha recentemente presentato<br />
nel corso di un grande convegno<br />
a Milano tre linee di riforma che si<br />
sono già tradotte in disegni di legge sui<br />
temi nodali dell’educazione, del lavoro e<br />
della previdenza secondo i termini che<br />
seguono.<br />
A. Oltre la legge Biagi: più tutele<br />
attive, più salari, più produttività<br />
1) Più salari, più produttività: le componenti<br />
variabili del salario, dagli straordinari<br />
ai premi, devono essere incentivate<br />
attraverso una tassazione separata e<br />
definitiva sulla base dell’aliquota media<br />
del precedente biennio ridotta del 50%<br />
in modo da sottrarle alla logica penalizzante<br />
della progressività; in <strong>questo</strong> modo<br />
si favoriscono relazioni industriali<br />
collaborative e non conflittuali, come gli<br />
accordi individuali o collettivi in sede<br />
aziendale con i quali si scambiano gli incrementi<br />
retributivi con la maggiore produttività<br />
derivante dalla flessibilità organizzativa<br />
e dall’impegno a conseguire risultati<br />
in tempi convenuti.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
2) Welfare to work: la protezione del lavoratore,<br />
più che del posto di lavoro, si<br />
realizza completando la Borsa del Lavoro,<br />
i servizi pubblici e privati ad essa collegati<br />
e i fondi per la formazione con i<br />
nuovi ammortizzatori sociali disegnati<br />
dal Patto per l’Italia; questi includono<br />
una indennità di disoccupazione al 60%<br />
dell’ultimo reddito – con progressiva riduzione<br />
ed esaurimento nei sei mesi –<br />
ed un secondo “pilastro” di integrazione<br />
del reddito del disoccupato, finanziato<br />
su base mutualistica e perciò gestito<br />
dalle parti sociali attraverso i loro enti bilaterali;<br />
si stabilisce uno stretto nesso di<br />
responsabilità tra fruizione del sussidio,<br />
dovere di partecipazione alle attività di<br />
formazione e ricerca del nuovo lavoro,<br />
accettazione di ogni proposta compatibile<br />
con la residenza e la professionalità.<br />
3) Dalla legge Biagi allo Statuto dei Lavori:<br />
a) rimodulazione delle tutele e delle<br />
relative sanzioni, comprese quelle riguardanti<br />
i licenziamenti non discriminatori<br />
prevedendo un più lungo periodo di<br />
prova, una fase nella quale la sanzione<br />
consiste in un congruo risarcimento ed il<br />
passaggio alla tutela della reintegrazione<br />
nel posto di lavoro sulla base della<br />
anzianità di servizio presso lo stesso<br />
datore di lavoro; b) estensione delle tutele<br />
fondamentali a tutti i lavori anche<br />
attraverso la diffusione della certificazione;<br />
c) previsione di un diritto alla formazione<br />
continua del lavoratore lungo l’intero<br />
arco della vita.<br />
4)Azionariato dei dipendenti: il coinvolgimento<br />
e la partecipazione dei lavoratori<br />
devono essere favoriti attraverso<br />
modi agevolati – incluso l’impiego del<br />
Tfr – per l’acquisto di titoli o quote della<br />
33<br />
società presso cui lavorano, potendo<br />
esprimere propri rappresentanti nel collegio<br />
sindacale.<br />
5)Riforma del processo del lavoro: prevenzione<br />
del contenzioso attraverso limiti<br />
certi all’intervento del giudice nell’autonomo<br />
potere di organizzazione del<br />
datore di lavoro, la certificazione dei<br />
contratti ed una più agevole conciliazione<br />
tra le parti; incentivazione dell’arbitrato<br />
secondo equità e non impugnabile<br />
se non per vizi del procedimento.<br />
B. Completamento e sviluppo della<br />
riforma Berlusconi del sistema<br />
pensionistico: più attivi, meno<br />
pensionati, più tutelati<br />
1) Età pensionabile: a) conferma del<br />
percorso previsto dalla riforma del 2004<br />
a partire dal 1° gennaio 2008; b) i nuovi<br />
requisiti anagrafici a regime nel 2014<br />
(62 anni per i dipendenti e 63 per gli autonomi)<br />
diventano il piede di partenza,<br />
nel sistema contributivo, di opzioni di<br />
pensionamento flessibile tra 62 e 67 anni<br />
a cui corrispondano nuovi coefficienti<br />
di trasformazione; c) il pensionamento è<br />
unificato come tipologia e genere, salvo<br />
verificare per le donne, alla fine della fase<br />
sperimentale nel 2013, il tasso di occupazione<br />
e quindi l’effettiva parità di<br />
opportunità nel mercato del lavoro.<br />
2) Totalizzazione: ampliamento delle<br />
possibilità di cumulare senza vincoli ed<br />
oneri periodi contributivi presso differenti<br />
enti e regimi come nel caso delle collaborazioni<br />
a progetto con il lavoro dipendente.<br />
3) Lavori usuranti: completamento della<br />
normativa sulla base delle disposizioni<br />
già vigenti e dei lavori già individuati dal
le apposite commissioni tecniche, riduzione<br />
dei requisiti di età attraverso il<br />
moltiplicatore 1,2 per ogni anno effettuato<br />
in attività ritenute usuranti, istituzione<br />
di un Fondo di solidarietà presso<br />
l’<strong>In</strong>ps finanziato pro quota da datori, lavoratori,<br />
Stato nell’ambito degli aumenti<br />
contributivi già disposti.<br />
4) Agevolazioni per le lavoratrici madri: i<br />
periodi di astensione dal lavoro per maternità<br />
valgono il doppio, ai fini dell’anzianità<br />
contributiva, fino ad un massimo<br />
cumulato di anni due.<br />
5) Pensione delle casalinghe: sviluppo<br />
degli accantonamenti attraverso l’emissione<br />
di "buoni" destinati ai soggetti dalla<br />
distribuzione commerciale quali incentivi<br />
ai consumatori.<br />
6) Reddito minimo garantito agli ultrasessantacinquenni:<br />
misura di solidarietà<br />
infragenerazionale che individua un minimo<br />
vitale di 800 euro per gli anziani indigenti,<br />
tenendo conto del reddito del<br />
coniuge e del nucleo familiare.<br />
7) Periodo legale del corso di laurea: riconoscimento<br />
dei relativi contributi figurativi<br />
in misura analoga al servizio militare<br />
obbligatorio.<br />
8) Cumulo pensione-reddito: superamento<br />
dei residui limiti a partire dal<br />
2008.<br />
9) Abolizione dell’obbligo (per le aziende<br />
con 50 e più dipendenti) di trasferire<br />
le quote inoptate del Tfr al Fondo di Tesoreria<br />
gestito dall’<strong>In</strong>ps.<br />
10) Libertà di provvedere al futuro: effettiva<br />
par condicio tra le diverse forme di<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
34<br />
previdenza complementare anche per<br />
quanto riguarda la corresponsione e la<br />
"portabilità" del contributo del datore di<br />
lavoro; ampliamento a settemila euro<br />
annui della quota di contribuzione - fiscalmente<br />
agevolata - ad una forma di<br />
previdenza complementare per i lavoratori<br />
autonomi e i collaboratori a progetto;<br />
riduzione al 6% dell’aliquota fiscale<br />
su rendimenti.<br />
C. Libertà di scelta delle famiglie e<br />
offerta plurale nel sistema<br />
educativo: attuazione delle riforme e<br />
nuovi elementi di “mercato” e di<br />
“sussidiarietà”<br />
1) Centralità della persona, autonomia<br />
scolastica e libertà di scelta:<br />
• la persona al centro del processo educativo<br />
e di transizione alla vita attiva, libera<br />
di scegliere i percorsi educativi attraverso<br />
una pluralità di offerte e di soggetti<br />
formativi; piani di studio personalizzati,<br />
flessibilità del tempo scuola e delle<br />
materie di apprendimento, orientamento<br />
continuo e interazione tra scuola e sistema<br />
produttivo;<br />
• il lavoro parte del processo educativo:<br />
organizzazione presso ogni istituzione<br />
educativa di secondo grado e universitaria<br />
degli uffici di placement disegnati<br />
dalla legge Biagi per offrire agli allievi<br />
servizi di orientamento e collocamento e<br />
garantire un canale di dialogo con il<br />
mercato del lavoro; diffusione delle buone<br />
pratiche di alternanza tra scuola e lavoro;<br />
promozione, a cura delle Regioni,<br />
dei nuovi contratti di apprendistato per<br />
garantire i 12 anni di apprendimento, favorire<br />
la transizione dalla scuola al lavoro,<br />
sviluppare le alte professionalità attraverso<br />
la collaborazione tra scuole o<br />
università ed aziende qualificate;<br />
• la famiglia libera di scegliere la scuola
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
che preferisce per i propri figli (statale,<br />
paritaria, regionale, etc.) in base ad un<br />
finanziamento pubblico con governance<br />
regionale e pienamente sussidiaria;<br />
• decentramento a livello regionale della<br />
gestione complessiva del sistema scolastico,<br />
risorse umane e finanziarie e<br />
abrogazione degli Uffici scolastici territoriali<br />
(Regionali e provinciali) del Ministero<br />
in attuazione del Titolo V della Costituzione<br />
e dell’art. 21 della legge<br />
59/97;<br />
• conferimento alle istituzioni scolastiche<br />
dell’autonomia finanziaria e di reperimento<br />
di risorse anche tramite la costituzione<br />
di consorzi ( tra pubblico e privato)<br />
e fondazioni;<br />
• attribuzione alle scuole della responsabilità<br />
del reclutamento dei docenti,<br />
garantiti da un nuovo stato giuridico, del<br />
personale amministrativo e degli esperti.<br />
2) Finanziamento e valutazione del sistema<br />
di istruzione:<br />
• attribuzione alle regioni delle risorse finanziarie<br />
statali corrispondenti, in attuazione<br />
del Titolo V della Costituzione e<br />
della giurisprudenza costituzionale;<br />
• finanziamento pubblico delle scuole<br />
statali e paritarie in base al <strong>numero</strong> degli<br />
iscritti e aumento della partecipazione<br />
privata al finanziamento del sistema<br />
universitario; finanziamento diretto alle<br />
scuole scelte dalle famiglie all’atto dell’iscrizione<br />
in base a quote capitarie calcolate<br />
sul costo medio per alunno, parametrato<br />
al contesto territoriale, alla tipologia<br />
e grado di scuola e all’indirizzo<br />
scelto; prestiti agevolati sull’onore agli<br />
studenti universitari, garantiti dallo Stato,<br />
in modo da consentire rette generalizzate<br />
più adeguate, la permanenza dei<br />
meno abbienti in sedi lontane dalla resi-<br />
35<br />
denza, il controllo degli utenti e il miglioramento<br />
della qualità; borse di studio e<br />
borse formative legate al merito e alle<br />
condizioni reddituali dei singoli che diano<br />
la possibilità ai giovani di arricchire il<br />
proprio piano di studi anche con la partecipazione<br />
a stage e moduli formativi in<br />
altre sedi, in Italia o all’estero;<br />
• sistemi di valutazione per promuovere<br />
competizione e scelte consapevoli: potenziamento<br />
dei Servizi nazionali di valutazione,<br />
indipendenti dai Ministeri, per<br />
valutare gli esiti (gli apprendimenti degli<br />
allievi) delle istituzioni scolastiche, formative<br />
e universitarie anche al fine di<br />
differenziare i finanziamenti erogati;<br />
• iniziative private di Fondazioni, Enti di<br />
ricerca, associazioni imprenditoriali ed<br />
altri soggetti per la produzione di punteggi<br />
e classificazioni delle istituzioni<br />
scolastiche e universitarie nell’ambito di<br />
Guide alle famiglie contenenti informazioni<br />
sulle sedi, sui percorsi di studio,<br />
sugli esiti degli allievi, incluso il monitoraggio<br />
sulla prosecuzione degli studi e<br />
sull’inserimento nel mondo del lavoro.<br />
L’attuazione di questi ed altri ambiziosi<br />
percorsi di riforma – come la costruzione<br />
delle necessarie alleanze sociali –<br />
impone il consolidamento di Forza Italia<br />
come partito organizzato, radicato nel<br />
territorio e capace di dialogo con la società<br />
e le sue rappresentanze di interessi.<br />
E Forza Italia si appresta invero ad assumere<br />
- attraversi congressi comunali<br />
e provinciali regolati in termini innovativi<br />
rispetto al passato – la forma organizzativa<br />
di un partito a larga base associativa,<br />
radicato nelle comunità locali e in<br />
tutti i ceti sociali, impegnato a realizzare<br />
canali di dialogo biunivoco tra gli eletti e<br />
la società ed una più efficace rappre
sentanza degli interessi e delle emozioni<br />
dei propri iscritti ed elettori.<br />
Questo salto organizzativo sarà possibile<br />
nella misura in cui si affermerà una<br />
più compiuta definizione della identità<br />
politica di Forza Italia sulla base delle<br />
esperienze nel governo delle istituzioni<br />
e nella società che consentono oggi una<br />
sintesi alta ed originale tra le storiche<br />
antinomie della politica italiana.<br />
Forza Italia può infatti definirsi partito<br />
laico e cristiano, conservatore e modernizzatore,<br />
liberale e solidale, popolare e<br />
riformista.<br />
È partito laico e cristiano perché assume<br />
una dimensione alta della laicità<br />
che incorpora – non relegandoli nel<br />
ghetto della soggettività individuale –<br />
quei fondamentali valori cristiani che<br />
possono essere condivisi da credenti e<br />
non credenti, secondo percorsi tanto<br />
della fede quanto della ragione, come<br />
la centralità della persona, in sé e nelle<br />
sue proiezioni relazionali, prima tra tutte<br />
la famiglia. Si tratta di un valore a<br />
lungo negato da coloro – non pochi –<br />
che hanno preferito la centralità dello<br />
Stato o quella del Partito o quella ancora<br />
della classe.<br />
È partito conservatore e modernizzatore<br />
perché impegnato a difendere i valori<br />
tradizionali dell’identità occidentale dai<br />
pericoli del relativismo culturale ed insieme<br />
animato dall’ansia di renderli<br />
sempre effettivi nella realtà che cambia<br />
attraverso gli strumenti della modernità.<br />
È partito liberale e solidale perché riconosce<br />
che la libertà precede l’uguaglianza<br />
e che la produzione della ricchezza<br />
precede la sua distribuzione, rifiuta<br />
il livellamento delle persone ma<br />
promuove la continua uguaglianza delle<br />
opportunità per tutti, stimolando in cia-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
36<br />
scuno la responsabilità di essere utile a<br />
sé e agli altri.<br />
È partito popolare e riformista perché<br />
aspira a rappresentare il grande cuore<br />
interclassista della società italiana sollecitando<br />
in esso le migliori pulsioni al<br />
continuo e graduale rinnovamento economico<br />
e sociale.<br />
Forza Italia si colloca così naturalmente<br />
nel centro della politica italiana non solo<br />
perché eredita larga parte degli elettori<br />
dei cinque partiti che hanno realizzato la<br />
ricostruzione e il grande sviluppo economico<br />
e sociale del Paese ancorandolo<br />
al suo naturale alveo occidentale, ma<br />
anche perché, grazie a questa sintesi<br />
dei grandi valori, è il partito che più è in<br />
grado di realizzare progresso, coesione<br />
nazionale, equilibrio e stabilità.<br />
<strong>In</strong> esso non possono non trovare il loro<br />
luogo naturale di impegno politico i moderni<br />
riformisti - laici e cattolici - che vogliono<br />
operare per una nuova dimensione<br />
sociale. Ad esso i "nuovi" riformisti<br />
apportano una cultura della politica sociale<br />
che costituisce il modo più efficace<br />
per svelare il carattere anti-storico dell’attuale<br />
sinistra italiana e per costruire<br />
un sistema di nuove sicurezze nella<br />
complessa transizione italiana.
Modernizzatori, innovatori,<br />
riformatori<br />
di Daniele Capezzone*<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
È, questa, una stagione difficile da interpretare<br />
per i modernizzatori, gli innovatori,<br />
i riformatori, ovunque siano<br />
collocati. Forse può essere utile ripartire<br />
da tre “sfide”, o – meglio – da tre<br />
“opportunità”.<br />
La prima è quella dell’arretramento<br />
dello spazio della legge, della normazione.<br />
Un intellettuale originale e coraggioso<br />
come Alain Finkielkraut non smette di<br />
ricordarci che una società libera non è<br />
un “accumulo di diritti” (diritto a <strong>questo</strong>,<br />
diritto a quello...).<br />
Già la Costituzione italiana è negativamente<br />
gravata da questa impostazione,<br />
sul piano economico-sociale (diritto<br />
alla casa, diritto al lavoro, ecc: tanto<br />
più solennemente proclamati, quanto<br />
più difficilmente realizzati, peraltro): e<br />
non sarebbe un buon affare per nessuno<br />
trasferire <strong>questo</strong> “metodo” anche in<br />
altri ambiti. E infatti, a mio avviso,<br />
un’impostazione coraggiosa (di destra<br />
liberale, di sinistra liberale, pragmatica,<br />
postideologica, volenterosa…) dovrebbe<br />
essere opposta.<br />
Un po’ su tutto, bisognerebbe chiedere<br />
non necessariamente una norma in<br />
più, ma – più spesso – una norma in<br />
meno. Non un diritto in più, ma una fa-<br />
37<br />
coltà in più. Non un intervento in più<br />
dello Stato, ma un intervento in meno.<br />
Il secolo appena trascorso è stato caratterizzato<br />
dall’impronunciabilità della<br />
parola “individuo”: ed era sempre<br />
un’entità collettiva (la Famiglia, il Sindacato,<br />
il Partito, la Chiesa, lo Stato:<br />
tutti rigorosamente maiuscoli) a dire<br />
l’ultima parola. Ora, è venuto il momento<br />
di immaginare un nuovo spartiacque<br />
politico rispetto a schemi e categorie<br />
più tradizionali: e la distinzione<br />
è tra chi (in economia come sul fronte<br />
delle scelte personali) vuole allargare<br />
e chi – invece – vuole restringere la<br />
sfera della decisione individuale e privata<br />
rispetto alla sfera delle decisioni<br />
pubbliche e collettive.<br />
La seconda sfida è quella del merito,<br />
della competizione, della concorrenza,<br />
contro le chiusure corporative, contro<br />
le protezioni a favore dei garantiti, contro<br />
le tutele degli “insider”.<br />
Qualcuno dice o teme che una società<br />
troppo dinamica, centrata sul merito,<br />
rischi di lasciare indietro tanti, troppi.<br />
Non nego che il rischio ci sia. Ma, poiché<br />
il “rischio zero” non esiste, noi<br />
dobbiamo scegliere tra due alternative:<br />
la “discriminazione” (chiamiamola<br />
così, tra virgolette) secondo merito, o
la discriminazione (stavolta scritta senza<br />
virgolette) secondo censo, secondo<br />
ricchezza.<br />
Oggi, in Italia, è questa seconda ipotesi<br />
che si realizza: il reddito dei genitori,<br />
della famiglia di provenienza, è non<br />
solo l’elemento decisivo, ma il più decisivo<br />
(più decisivo – dati alla mano –<br />
di quanto accada negli Stati Uniti e in<br />
quasi tutti gli altri paesi dell’Occidente<br />
avanzato) per le concrete opportunità<br />
di studio e di lavoro dei figli. È per <strong>questo</strong><br />
che occorre una svolta riformatrice.<br />
Ed è per <strong>questo</strong> che oggi siamo ad un<br />
crocevia emozionante, in cui una politica<br />
liberale e di modernizzazione è<br />
anche una politica “sociale”, mentre –<br />
all’opposto – proprio le politiche sostenute<br />
in gran parte dei decenni passati<br />
hanno la caratteristica di cristallizzare<br />
la situazione sociale esistente, o addirittura<br />
di peggiorarla in chiave regressiva,<br />
o comunque di fotografare una situazione<br />
in cui non si può ipotizzare –<br />
se non in casi molto limitati – lo schema<br />
del “self made man”, di chi “ce la<br />
fa” essendo di prima generazione.<br />
“Circolazione delle élites”, scriveva Vilfredo<br />
Pareto. “Sinistra reazionaria”,<br />
scriveva alcuni decenni dopo Ernesto<br />
Rossi.<br />
Siamo ancora lì.<br />
Le proposte dei volenterosi su pensioni<br />
e welfare sono un esempio nitido di<br />
quello che si potrebbe fare. Con altri<br />
colleghi, abbiamo proposto la sostituzione<br />
dei miseri ammortizzatori sociali<br />
esistenti, e l’introduzione – al loro posto<br />
– di un ammortizzatore unico di un<br />
anno (quindi, con una enorme estensione<br />
della rete di welfare); il tutto, fi-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
38<br />
nanziato con l’aumento dell’età pensionabile.<br />
Si potrebbe dire giustamente: “Chi è<br />
più di sinistra?” È meglio capace di tutelare<br />
i più deboli chi difende la pensione<br />
a 57 anni, o chi, alzando l’età,<br />
consente la creazione di un vero sistema<br />
di ammortizzatori sociali, come<br />
chiedeva tra l’altro lo stesso Libro<br />
Bianco di Marco Biagi?<br />
<strong>In</strong> un bello studio della Brookings <strong>In</strong>stitution<br />
(è il think tank che scrive programmi<br />
per i democratici americani, e<br />
che in buona parte d’Italia sarebbe<br />
considerato – temo – un pericoloso<br />
esempio di “destra selvaggiamente liberista”),<br />
studio che è stato chiamato<br />
“Hamilton project”, si trovano le parole<br />
giuste: abbiamo bisogno di una rete di<br />
welfare che non sia fatta di “amache”,<br />
ma di “trampolini”, di una rete elastica<br />
che consenta a chi ha avuto la disavventura<br />
di perdere il lavoro, di formarsi,<br />
di ri-formarsi, e di avere una chance<br />
per rientrare, mentre percepisce un<br />
sussidio (ovviamente, non così elevato<br />
da creare l’“effetto-amaca”). E <strong>questo</strong><br />
possiamo permettercelo operando sull’età<br />
pensionabile.<br />
La terza sfida è quella di capire la nuova<br />
realtà di impresa (e soprattutto di<br />
microimpresa), esposta al vento (e alle<br />
opportunità) della globalizzazione.<br />
Qualcuno, ad esempio, ha parlato di<br />
“vendetta” di un pezzo di centrosinistra<br />
nei confronti delle piccole imprese. Dal<br />
mio punto di vista, se possibile, la diagnosi<br />
è ancora più impietosa: siamo<br />
dinanzi ad un’inadeguatezza, ad un’incapacità<br />
profonda, ad una non-lettura<br />
di quello che accade nella nostra società<br />
e nel nostro tempo.<br />
Ancora si ragiona, da parte di tanti, in
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
termini di “blocchi sociali” (che, come<br />
tali, non esistono più), o comunque ci<br />
si “siede” sul vecchio schema della<br />
“triangolazione” con sindacato e grande<br />
impresa. Dimenticando che oggi<br />
gran parte dei lavoratori non sono rappresentati<br />
dal sindacato, così come<br />
gran parte degli imprenditori sono – di<br />
fatto – senza voce.<br />
Esemplifico: chi si occupa dei sei milioni<br />
di piccole e piccolissime imprese,<br />
che non vanno nei tg, ma rappresentano<br />
il cuore pulsante del paese?<br />
Gian Maria Fara, il Presidente dell’Eurispes<br />
parlò, nel 1999, di Gulliver, del<br />
gigante imbrigliato. Ora siamo alle prese<br />
con sei milioni di “piccoli Gulliver<br />
imbrigliati”, o, se preferite, con un “imbrigliamento”<br />
generale, sia di Gulliver<br />
che dei lillipuziani…<br />
Il centrodestra ha avuto un’opportunità<br />
straordinaria nella scorsa legislatura<br />
(con cento deputati di maggioranza alla<br />
Camera, e cinquanta al Senato), e –<br />
a mio avviso – non l’ha sfruttata appieno.<br />
Mentre da sinistra, a questa parte<br />
del paese, “arriva” nei giorni pari il ripristino<br />
della tassa di successione, nei<br />
giorni dispari l’abolizione del secondo<br />
modulo della riforma fiscale, e la domenica<br />
magari le norme sulla privacy<br />
(quelle per cui un imprenditore, anziché<br />
preoccuparsi – che so – del suo<br />
scoperto in banca di ventimila euro,<br />
deve perdere tempo per comunicare<br />
chi sia il “custode delle password” – è<br />
incredibile, ma <strong>questo</strong> è ciò che accade!):<br />
in queste condizioni, quello che si<br />
crea è un sentimento di paura e di diffidenza<br />
profonda, mista a sconcerto e<br />
distanza, e in qualche caso anche a<br />
disprezzo per lo Stato.<br />
39<br />
Vorrei che non si dimenticasse che, in<br />
tre mesi di campagna elettorale, l’Unione<br />
ha gettato al vento circa 7-8<br />
punti di vantaggio, e altri 8-9 punti sono<br />
stati persi nel primo anno di Governo:<br />
e l’incertezza sulle tasse (o, peggio,<br />
la certezza della vessazione) ha<br />
giocato un ruolo rilevantissimo. Ed è<br />
anche a causa di <strong>questo</strong>, cioè del “tremendismo<br />
fiscale”, che non solo non<br />
attraiamo capitali, ma assisteremo<br />
(<strong>questo</strong> è il fatto nuovo) anche alla delocalizzazione<br />
da parte delle stesse<br />
piccole imprese, non solo delle grandi.<br />
Del resto, diciamocelo: avendo dei soldi<br />
da investire, ciascuno di noi preferirebbe<br />
la Polonia (con tasse al 19%),<br />
l’Estonia (con tassa piatta al 24%), o<br />
l’Italia (con tasse fino al 60%)?<br />
Ci sarà spazio, nei prossimi mesi, per<br />
una discussione di merito lungo questi<br />
tre percorsi? Spetta ai modernizzatori,<br />
agli innovatori, ai riformatori la fatica di<br />
provare a conquistarlo.<br />
* Daniele Capezzone<br />
Presidente della Commissione attività<br />
produttive della Camera dei Deputati
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Geopolitica, democrazia,<br />
terrorismo<br />
di Gianstefano Frigerio<br />
L’alba del Terzo Millennio sale ormai nel<br />
cielo con il suo corteggio corrusco di nubi<br />
minacciose alternate a rasserenanti<br />
squarci di speranza.<br />
Il sogno di un’armonia globale, di un nuovo<br />
ordine di pace, si è spento in una acuta<br />
incertezza, in un sentimento di confusione,<br />
di mancanza di senso con lucido<br />
realismo è ora di prendere coscienza che<br />
l’Occidente è immerso nelle nebbie della<br />
crisi della postmodernità.<br />
La crisi si sta consumando sul crinale di<br />
due sentimenti profondamente contrastanti.<br />
Da un lato l’inquietudine ed il pessimismo<br />
per il perdurare, senza prospettive, di<br />
uno scontro di civiltà segnato dalla violenza<br />
del terrorismo fondamentalista,<br />
dallo stillicidio mortifero di attentati, dalla<br />
conseguente trasformazione dei nostri<br />
modelli di vita e delle nostre libertà, dai<br />
sussulti del processo di globalizzazione.<br />
Dall’altro lo stupore ottimistico per l’espansione<br />
economica, per le luminose<br />
conquiste della scienza (staminali, DNA,<br />
ecc.), per le applicazioni tecnologiche<br />
(nanotecnologie, robotica, tecnologie<br />
della comunicazione).<br />
E i tasselli delle due linee di tendenza si<br />
dispongono nella vita quotidiana di ognuno<br />
di noi secondo logiche di casualità, di<br />
irrazionalità, di frammentarietà, di istantaneità.<br />
Ne esce un puzzle che anela ad una li-<br />
40<br />
nea di ordine, ad una prospettiva ricca di<br />
senso.<br />
L’insostenibile leggerezza dell’ONU<br />
La solenne Assemblea di New York, nel<br />
60° anniversario della Carta di San Francisco,<br />
non ha corrisposto le vaste speranze<br />
di una grande riforma dell’ONU.<br />
Ma forse la complessità degli organismi<br />
e le profonde difficoltà della situazione<br />
del Pianeta possono realisticamente<br />
permettere solo piccoli avanzamenti,<br />
marginali aggiustamenti, una lenta coscientizzazione.<br />
Questa è l’epoca del riformismo realistico<br />
e gradualista.<br />
E, del resto, un grande conoscitore dei<br />
meccanismi internazionali come Holbrooke<br />
dice che il documento finale è comunque<br />
un buon risultato, perché c’è più<br />
attenzione ai Balcani, al Darfur, all’Africa;<br />
perché c’è un largo e deciso rifiuto del<br />
terrorismo; perché gli obiettivi del Millennium<br />
sono stati ridefiniti e riconfermati<br />
come strategia di Governo del Mondo.<br />
Ma le contraddizioni della globalizzazione,<br />
il faticoso definirsi di un nuovo ordine<br />
mondiale, l’incrocio delle culture tra Nord<br />
e Sud, il gap tra sviluppo economico ed<br />
evoluzione politica, i foschi scenari del<br />
terrorismo fondamentalista, ecco questi<br />
sono tutti elementi che caricano di speranza<br />
l’ansia di riforma permanente delle<br />
Nazioni Unite.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
E nel mondo della cultura e dell’impegno<br />
sociale si rafforzano e si espandono l’aspirazione<br />
universale della democrazia, il<br />
sogno kantiano di un diritto internazionale<br />
cosmopolita e la invocazione di Giovanni<br />
Paolo II ad assumere sempre l’uomo<br />
come fine e mai come mezzo.<br />
Ma è arduo lasciarsi alle spalle la civiltà<br />
ferrigna di Hobbes e raggiungere la<br />
“grande società” di Hayek che realizza<br />
“l’ordine esteso”.<br />
Ci vuole realismo, ci vuole consapevolezza<br />
profonda delle condizioni del mondo<br />
e della politica, ci vuole una speranza<br />
ferrea.<br />
Ed allora continuiamo questa strada senza<br />
fine delle riforme, partendo da un dato<br />
positivo, cioè che i conflitti nel mondo,<br />
anche grazie all’ONU, dal 1991 (ben 51)<br />
sono diminuiti a 20 nel 2004, nonostante<br />
la copertura mediatica svolga spesso un<br />
ruolo distorsivo:<br />
• l’allargamento del Consiglio di Sicurezza<br />
va adeguato alle nuove “regioni” del<br />
mondo e va aggirato l’anacronistico diritto<br />
di veto;<br />
• l’Assemblea Generale, intorno alle<br />
grandi sfide dell’umanità, deve coinvolgere<br />
le organizzazioni della società civile;<br />
• la priorità assoluta della sicurezza richiede<br />
prevenzione, coordinamento delle<br />
intelligence, forze di schieramento rapido,<br />
vigilanza sugli “Stati falliti”;<br />
• rafforzare le Agenzie contro le nuove<br />
sfide (Acqua, Ambiente, Aids e Pandemia,<br />
diritti umani, parità dei sessi, ecc.);<br />
• le risorse per le emergenze, come dice<br />
il vicesegretario generale Egeland “bisogna<br />
creare una dotazione permanente di<br />
500 milioni di dollari per azioni immediate<br />
in modo da non perdere tempo come<br />
purtroppo è accaduto in quasi tutte le<br />
emergenze registrate finora”;<br />
41<br />
• integrare i Caschi Blu con la Nato, le<br />
forze dell’OUA e dell’Aseam per potenziare<br />
le azioni di peacekeeping;<br />
• collegare in unico disegno (Millennium<br />
development goals) tutte le grandi istituzioni<br />
transnazionali: G8, Fmi, Wto, Banca<br />
Mondiale, Ocse, Nato, ecc..<br />
La globalizzazione ed i grandissimi rischi<br />
che sfidano l’umanità esigono una cultura<br />
universalistica ed una autorevole governance<br />
globale: sta proprio nei limiti<br />
concreti di queste esigenze, nella loro<br />
difficoltà a realizzarsi ed a funzionare, sta<br />
proprio in <strong>questo</strong> senso di impotenza e di<br />
incertezza, la fonte di molte nostre paure,<br />
angosce, preoccupazioni.<br />
Il crollo del Muro di Berlino e la dissoluzione<br />
dell’Urss nel dicembre del ’91 concludono<br />
la Guerra Fredda e pongono fine<br />
al bipolarismo mondiale e all’ordine di<br />
Yalta.<br />
Ma il vuoto lasciato dall’equilibrio di Yalta<br />
non viene riempito da un Nuovo Ordine<br />
Mondiale.<br />
È pur vero che Bush padre, all’Assemblea<br />
delle Nazioni Unite nel settembre<br />
del 1991, aveva delineato con chiarezza<br />
l’esigenza di costruire un nuovo ordine<br />
mondiale.<br />
È pur vero che nella cultura politologica<br />
dei primi anni novanta sono <strong>numero</strong>si gli<br />
studi che definiscono con lucida chiarezza<br />
la consapevolezza della fine di un’epoca,<br />
fino al famosissimo saggio di Fukuyama<br />
sulla “Fine della Storia”.<br />
Per 10 anni l’Occidente si ripiega soddisfatto<br />
sull’inattesa vittoria e non riesce a<br />
costruire un nuovo sistema di valori e di<br />
principi, un assetto istituzionale (Onu,<br />
G8, Wto), che si adatti alla situazione radicalmente<br />
mutata.<br />
Per assurdo, il Consiglio di Sicurezza<br />
dell’Onu è l’esempio più abnorme di questa<br />
incapacità a capire il presente.
Le facezie della Storia<br />
L’89 segna la fine degli equilibri di Yalta,<br />
addirittura segna la conclusione del ciclo<br />
storico nato dalla pace di Westfalia.<br />
La transizione viene immaginata, nel clima<br />
ottimistico dei primi anni ’90, come un<br />
radioso periodo di pace e di benessere.<br />
Ma come dice Musil, “Il cammino della<br />
Storia non è quello di una palla da biliardo,<br />
che una volta partita, segue una certa<br />
traiettoria. Esso somiglia al cammino<br />
di una nuvola o di chi va bighellonando<br />
per le strade; e qui è sviato da un’ombra,<br />
lì da un gruppo di persone o dallo spettacolo<br />
di una piazza barocca; e infine giunge<br />
in un luogo che non conosceva e dove<br />
non desiderava andare”.<br />
Ecco, la transizione dalla Guerra Fredda<br />
è un’epoca incerta, sanguinosa, segnata<br />
da forti spinte irrazionali e da una fragile<br />
capacità di Governo.<br />
L’ombra di Yalta, anzi, per certi aspetti, la<br />
cultura della Pace di Versailles, determina<br />
il comportamento e gli assetti degli organismi<br />
internazionali e delle singole potenze.<br />
Matura con fatica una consapevolezza<br />
diffusa e profonda di nuovi scenari; forse<br />
perché si consuma la fine di una concezione<br />
“hegeliano-progressiva” del divenire<br />
storico (sintetizzata nella sfida bipolare,<br />
in cui entrambi i poli sono figli del pensiero<br />
occidentale).<br />
Certo è che questa lunga fase di transizione,<br />
mentre nel suo svolgersi rispondeva<br />
all’onda lunga dei meccanismi e<br />
della cultura di Yalta, ora, riletta alla luce<br />
ferrigna e livida dell’11 settembre, appare<br />
segnata da alcune linee di tendenza<br />
premonitrici.<br />
<strong>In</strong> primo luogo la prospettiva della rottura<br />
del sistema politico internazionale e del<br />
suo farsi plurale: l’Occidente come un regime<br />
internazionale fondato sulla democrazia,<br />
sul mercato, su una alta istituzio-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
42<br />
nalizzazione; l’Asia come equilibrio tra<br />
potenze regionali; il Medio Oriente come<br />
“conglomerato prewestfaliano” segnato<br />
da guerre religiose e da stati fragili; l’Africa,<br />
uno scenario tragico di progressiva<br />
decomposizione legata anche alla decolonizzazione.<br />
Quindi il formarsi di una pluralità di regimi<br />
internazionali, con fragile comunicabilità,<br />
con poche regole in comune; e l’unica<br />
potenza globale, gli Usa, non riesce a<br />
costruire la legittimazione di un sistema<br />
imperiale.<br />
<strong>In</strong> secondo luogo un processo di globalizzazione<br />
economico – tecnologico –<br />
culturale, a cui però fa riscontro una<br />
avanzata disarticolazione della statualità<br />
e dei sistemi politici: e le forze del mercato<br />
non bastano né per costruire un governo<br />
del mondo né per definire regole<br />
che riducano i costi e l’impatto negativo<br />
del processo di globalizzazione, né per<br />
trovare un equilibrio positivo e fecondo<br />
tra multiculturalità ed identità.<br />
<strong>In</strong> terzo luogo, per troppo tempo dopo il<br />
crollo dell’Urss il sistema occidentale ha<br />
cercato di proseguire con le vecchie regole,<br />
sottovalutando l’espansione ed il radicamento<br />
del terrorismo fondamentalista.<br />
E l’Europa si è cullata nell’illusione della<br />
“fine della Storia”, nella mitologia della<br />
pace mondiale, non ponendosi in alcun<br />
modo il problema della sicurezza e dei<br />
suoi costi economici, sociali e culturali.<br />
Questo è il connotato più evidente della<br />
crisi dell’Europa e delle lacerazioni nell’Occidente.<br />
Una lunga fase di transizione<br />
Dal 1989 si apre una lunga fase di<br />
transizione, segnata dall’incertezza,<br />
dalla instabilità violenta, dalla debole<br />
progettualità verso un Nuovo Ordine<br />
Mondiale.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Nel quadro sopradefinito si colloca tutta<br />
una vasta gamma di tasselli, la cui evidenza<br />
drammatica esplode solo dopo<br />
l’11 settembre: il collasso del sistema sovietico<br />
alimenta un incontrollato e perciò<br />
pericolosissimo mercato di armi, di armi<br />
chimico-batteriologiche, di materiali nucleari,<br />
di cervelli, l’esplosione delle guerre<br />
etniche nei Balcani e nel Caucaso; la<br />
fragilità dell’Europa di fronte al nazionalstalinismo<br />
di Miloscevic; gli enormi costi<br />
delle cosiddette guerre dimenticate (Niger,<br />
Congo, Burundi, Somalia, Cecenia,<br />
Angola, Cashmir); le terribili violenze del<br />
fondamentalismo islamico (Sudan, Cashmir,<br />
Timor, Egitto, Filippine, Giacarta); le<br />
ambiguità Wahabite ed i petrodollari come<br />
fattori di crescita di Al Qaeda; l’incancrenirsi<br />
del conflitto Palestinese, l’emergenza<br />
umanitaria dell’Africa; la forza devastante<br />
delle migrazioni bibliche dal<br />
Sud del Mondo verso l’Occidente.<br />
Comunque, l’elemento saliente di questa<br />
fase di transizione resta il crescere ed il<br />
diffondersi del fondamentalismo islamico,<br />
a fronte di una sorta di inconsapevole<br />
acquiescenza dell’Occidente, che tende<br />
drammaticamente a perdurare nella<br />
cultura europea.<br />
La dimensione storica del fenomeno islamico<br />
è lucidamente descritta da un grande<br />
studioso occidentale; dice Bernard<br />
Lewis “sono molti gli arabi che considerano<br />
l’influenza della civiltà occidentale la<br />
più grande catastrofe che abbia colpito il<br />
Medio Oriente, ancora peggiore delle devastazioni<br />
causate dalle invasioni mongole<br />
del XIII sec.; e quindi vorrebbero invertire<br />
la rotta”.<br />
Il terrorismo fondamentalista,<br />
una sfida globale<br />
Chi crede che le sanguinose e devastanti<br />
ondate terroristiche che assediano<br />
43<br />
l’Occidente e molti Paesi musulmani,<br />
traggano origine e motivazioni dalla<br />
guerra in Iraq, finge di ignorare la lunga<br />
scia di lutti che si è snodata, con ritmi alterni,<br />
per tutta la seconda parte del XX<br />
secolo; anzi, in realtà, emblematizzando,<br />
l’Iraq rivela il ritorno di vecchi fantasmi<br />
antimperialisti ed antiamericani.<br />
<strong>In</strong> fondo ha ragione Bernard-Henry Lévy<br />
quando dice che “l’antiamericanismo della<br />
Sinistra Europea ci ha fatto sottovalutare<br />
i pericoli del terrorismo”.<br />
Una lunga scia di tragedie<br />
La lunga scia di sangue che attraversa la<br />
Storia degli ultimi 50 anni del XX sec. disegna<br />
uno scenario senza linee unificanti,<br />
almeno fino allo spartiacque dell’11<br />
settembre.<br />
Però alla luce di quell’emblematico evento<br />
epocale, ora, assumono collegamenti e<br />
razionalità i <strong>numero</strong>si, diversi, tragici<br />
eventi, che noi allora non riuscivamo né a<br />
collegare né a leggere.<br />
L’attacco alle Torri Gemelle appare quindi<br />
come una epifania possente di un movimento<br />
storico sotterraneo che nei decenni<br />
aveva lanciato segnali per così dire non<br />
capiti o sottovalutati per la miopia della<br />
“ubris” occidentale.<br />
Ad esempio le Olimpiadi di Monaco del<br />
’72, l’assassinio di Sadat, Lockerby, i ricorrenti<br />
attentati in Israele e Libano, la<br />
guerriglia in Afghanistan, il World Trade<br />
Center del ’93, Mogadiscio (’93), la Metropolitana<br />
di Tokio e il gas Saarin, gli attentati<br />
a Mosca ed in Cecenia, Luxor<br />
(’96), Nairobi e Dar es Salaam (’98), la<br />
portaerei Cole (2000), Ryiad e la Mecca,<br />
la metropolitana di Manila (2000). Certo<br />
è che ora si potrebbero rileggere, in questa<br />
nuova luce, <strong>numero</strong>si oscuri atti terroristici<br />
avvenuti in Italia ed in Europa,<br />
che allora trovarono spiegazioni legate
alla cosiddetta “strategia della tensione”<br />
e ad altre semplificazioni ideologiche tipiche<br />
del clima culturale della Guerra<br />
Fredda.<br />
Però <strong>questo</strong> lungo elenco di terribili<br />
eventi va illuminato ed approfondito con<br />
altre precisazioni ed analisi.<br />
<strong>In</strong> primo luogo nessuno deve ignorare le<br />
influenze occidentali sulle motivazioni<br />
culturali del terrorismo fondamentalista.<br />
Ad esempio Buruma e Margalit in “Occidentalism”<br />
dicono in modo provocatorio<br />
che Osama è figlio di Marx e di Heidegger.<br />
<strong>In</strong> realtà il peso del nichilismo europeo,<br />
dei Totalitarismi di Lenin e di Hitler, è tuttora<br />
evidente; soprattutto hanno influenzato<br />
la formazione delle élites arabe nei<br />
decenni tra le due guerre mondiali (nazionalismo<br />
nasseriano, il socialismo baathista,<br />
i Fratelli Musulmani e la lotta armata<br />
per liberare l’uomo già in questa<br />
terra).<br />
<strong>In</strong> fondo, anche il grande mito del “complotto<br />
sionista” proviene direttamente dal<br />
bagaglio propagandistico di Hitler e di<br />
Stalin.<br />
La seconda osservazione storico-metologica<br />
ci porta a collocare mezzo secolo di<br />
“eventi terroristici” dentro il quadro di riferimento<br />
della Guerra Fredda, con i suoi<br />
intrecci e le sue coperture, il gioco delle<br />
alleanze sugli scacchieri periferici del<br />
pianeta.<br />
Soprattutto siamo costretti a riflettere sui<br />
collegamenti tra le varie centrali terroristiche:<br />
ad esempio, per lungo tempo Praga<br />
è stata per così dire una “centrale formativa”<br />
per i Palestinesi, la Raf, le Br, l’Ira,<br />
l’Eta.<br />
<strong>In</strong> <strong>questo</strong> torbido quadro hanno giocato<br />
un ruolo oscuro, ma fondamentale i principali<br />
servizi di sicurezza.<br />
Il contenitore della Guerra Fredda, con la<br />
sua violenta contrapposizione ideologica,<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
44<br />
ha svolto un ruolo da incubazione per le<br />
“intellighenzie” europee e per i movimenti<br />
pacifisti.<br />
I miti, gli slogan, i fantasmi ideologici di<br />
quegli anni e di quel clima, sembrano<br />
non morire mai.<br />
Spesso, anche ora, dopo 15 anni dal<br />
crollo del Muro di Berlino, ci capita di registrare<br />
nelle manifestazioni di piazza,<br />
particolarmente in Italia, l’esplodere delle<br />
parole d’ordine antimperialiste ed antiamericane.<br />
Tipiche della propaganda veterocomunista.<br />
Il passato non muore mai ed i suoi fantasmi<br />
riemergono con rinnovato fascino<br />
per le masse manifestanti.<br />
La rivoluzione islamica<br />
di Khomeini<br />
Il 1979 è un anno cruciale per l’invasione<br />
sovietica in Afghanistan, contro cui prende<br />
forma l’alleanza inedita tra gli Usa ed<br />
Osama, sostenuto da un continuo flusso<br />
di danaro Saudita.<br />
Qui prende forma l’esercito talebano, qui<br />
fa le prime esperienze la cultura dei kamikaze.<br />
L’Afghanistan ed in particolare la valle di<br />
Peshawar è l’incubatrice del nuovo terrorismo<br />
islamico; certo, con il sostegno del<br />
rigoroso fanatismo di Khomeini e con<br />
l’appoggio massiccio del Pakistan.<br />
Nel 1979 esplode anche la rivoluzione<br />
Komeinista.<br />
Questa Jihad prende forma a Qom, negli<br />
slogan carichi d’odio dell’Ayatollah: la<br />
guerra Santa contro “il Grande Satana”,<br />
contro gli ebrei, contro i crociati, contro i<br />
regimi arabi corrotti ed apostati.<br />
L’odio è il collante, il fondamentalismo la<br />
materia prima.<br />
La predicazione di Khomeini fa perno<br />
sulla resistenza in Afghanistan ed infiamma<br />
il Medioriente: la guerra con l’Iraq non
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
rallenta né riesce a circoscrivere la funzione<br />
e la risonanza mondiale del khomeinismo.<br />
<strong>In</strong> questi anni molti Paesi arabi moderati<br />
utilizzano i proventi del petrolio per finanziare<br />
madrasse, università ed altri focolai<br />
di fanatismo antioccidentale, per<br />
scaricare all’esterno le tensioni provocate<br />
dalla mancanza di riforme, di democrazia,<br />
di giustizia sociale nei propri regimi<br />
satrapici.<br />
Negli anni l’Iran continua ad essere una<br />
polveriera di Ayatollah, dapprima protetta<br />
dall’Urss; dopo l’89 si intensificano i collegamenti<br />
con Pechino e si accelera il<br />
piano di nuclearizzazione.<br />
L’Occidente appare pericolosamente diviso<br />
sul nodo cruciale dei rapporti con l’Iran.<br />
Anche ora, da qui, partono sostegni per<br />
Hamas, per Hezbollah, e per la guerriglia<br />
in Iraq.<br />
Il Muro di Berlino<br />
Dopo la caduta dell’Impero Sovietico, il<br />
fondamentalismo islamico si ritrova con<br />
un unico nemico occidentale, che porta<br />
la guerra nel Golfo e lascia le sue truppe<br />
sul suolo dell’Arabia, sacro al Profeta.<br />
L’Occidente si crogiola nella beata illusione<br />
“della fine della storia” e non elabora<br />
alcuna preveggente strategia geopolitica<br />
per governare i processi di ristrutturazione<br />
autogena che si sprigionano nel Medio<br />
Oriente.<br />
Così crescono le cellule fondamentaliste<br />
in Bosnia ed Erzegovina e di qui in altre<br />
metropoli europee; così si rafforzano i Talebani<br />
in Afghanistan che diventa una vera<br />
e propria università della Jihad globale;<br />
così va in fiamme il corno d’Africa ed<br />
Al Turabi ospita Osama; così si incancrenisce<br />
la situazione palestinese.<br />
L’Onu, la Ue, la Nato sono impegnate<br />
45<br />
nei Balcani con la “missione umanitaria”<br />
dopo gli orrendi massacri di Srebrenica.<br />
Ed i diversi attentati che si succedono in<br />
questi dieci anni non vengono letti con<br />
seri approfondimenti.<br />
L’Occidente non riesce ad intuire che la<br />
Storia sta voltando pagina e che i sogni<br />
di una pace duratura stanno per infrangersi<br />
in un orrendo massacro.<br />
L’11 settembre<br />
Finisce l’era geopolitica apertasi nel<br />
1989 ed il terrorismo, da fenomeno locale,<br />
diventa una consapevole ed esibita<br />
sfida globale; una dichiarazione di guerra<br />
sofisticata ed efficacissima nella ricerca<br />
delle simbologie e degli impatti mediatici<br />
a catena.<br />
La esplicita dichiarazione di guerra riguarda<br />
il grande “Satana” superpotenza<br />
simboleggiante tutto l’Occidente cristiano<br />
e crociato, ma coinvolge anche molti<br />
Paesi musulmani conniventi con l’Occidente<br />
e comunque tiepidi in merito al disegno<br />
di Jihad.<br />
Le conseguenze di questa sfida globale<br />
investono profondamente la organizzazione<br />
economica, culturale, istituzionale<br />
dell’Occidente: l’età dell’incertezza, della<br />
instabilità, della paura, alla lunga modifica<br />
le nostre istituzioni, il nostro modo di<br />
vivere; riesce perfino a scalfire l’Unità<br />
dell’Occidente ed a logorare nell’Europa<br />
la consapevolezza identitaria.<br />
La nuova minaccia strategica del fondamentalismo<br />
radicale è asimmetrica perché<br />
manca di una minaccia militare globale<br />
di tipo tradizionale; è una ostentata ed<br />
arcaica volontà di morte ed una vocazione<br />
al suicidio-omicidio religiosamente motivato,<br />
che poggia storicamente sulle origine<br />
guerriere e militarmente espansionistiche<br />
della tradizione maomettana; porta in<br />
sé i pericoli concreti di una ecatombe nu
cleare; provoca lo scontro tra la guerra<br />
tecnologica, scelta dall’Occidente per la<br />
sua crescente incapacità alla fatica ed alla<br />
sofferenza e per la paura della morte; e<br />
l’Islam pervaso dalla sua fede militante e<br />
totalizzante, che ricerca la sofferenza e la<br />
morte quasi con pulsioni mistiche.<br />
Cruciale a <strong>questo</strong> punto risulta il confronto<br />
interno alla società occidentale. Cruciale<br />
risulta il confronto nella società islamica.<br />
L’America sta cercando di rendere convenzionale<br />
un conflitto intrinsecamente<br />
non convenzionale: cerca perciò di demonizzare<br />
e di personalizzare una tattica<br />
(Osama, poi Saddam, poi Al Zarkawi,<br />
ecc.).<br />
Tentando una sintesi storicistica si potrebbe<br />
dire che Al Qaeda è l’autentica<br />
faccia oscura della globalizzazione; un<br />
fondamentalismo medioevale ma globalizzato<br />
e tecnologicamente avanzato.<br />
Il terrorismo nichilista diventa un incrocio<br />
transnazionale di antichi e nuovi terrorismi;<br />
quasi l’orizzonte del nostro XXI sec.,<br />
transnazionale e transideologico, cultura<br />
di morte contro ansia di vivere.<br />
Il network di Osama<br />
Una rete per aiutare i «guerrieri della Jihad»<br />
nasce negli ultimi anni del secolo<br />
XX e non ha struttura piramidale: è invece<br />
una struttura orizzontale a rete che<br />
aspira ad investire la intera umma, cioè<br />
la comunità islamica mondiale. È quindi<br />
una organizzazione omogenea alla globalizzazione,<br />
perciò transazionale e senza<br />
regole: usa le tecnologie della comunicazione<br />
occidentale; agita la minaccia<br />
batteriologica e nucleare; esercita il ricatto<br />
petrolifero; si sostiene con società finanziarie<br />
transnazionali e multifunzionali<br />
(narcotraffico, riciclaggio, armi, petrolio,<br />
società caritative); le roccaforti dell’Arabia<br />
e i rifugi della valle di Pashawar; il<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
46<br />
ruolo capillare delle madrasse e delle<br />
università.<br />
Sotto il simbolo della rete ormai si collocano<br />
molte iniziative estremistiche locali;<br />
la ragnatela di cellule è planetaria.<br />
<strong>In</strong>ternet è il motore della “guerra santa”;<br />
infatti passano dai siti web le rivendicazioni<br />
e le istruzioni per diventare kamikaze:<br />
una sorta di holding del male che può<br />
contare su un network di finanziamenti e<br />
logistica.<br />
<strong>In</strong>torno alla mitologia del Califfato Universale<br />
c’è un corpo gelatinoso che si<br />
espande in tutte le direzioni e continua a<br />
crescere; i giovani emarginati delle grandi<br />
megalopoli del Medioriente e dell’Europa<br />
costituiscono una facile preda per i<br />
fondamentalisti; la difficile integrazione<br />
nelle città europee ha provocato la rivolta<br />
della seconda e terza generazione.<br />
Un passaggio storico importante è la costituzione<br />
da parte di Al Qaeda (la Rete) nel<br />
1998 del Jihad islamico mondiale, con il<br />
seguente programma politico: cacciare gli<br />
Usa dall’Arabia; cacciare i Saud e impadronirsi<br />
del petrolio; liberare i luoghi Santi<br />
palestinesi; costruire il Califfato universale.<br />
E questa espansione semina di tragedie<br />
terribili il Pianeta: Djerba in Tunisia<br />
(2002), Mombasa (2002), Filippine<br />
(2003), Riyad (2003), Istambul (2003),<br />
Casablanca (2003), Al Kobar in Arabia<br />
(2004), Beslam (2004), Madrid (2004),<br />
Taba in Egitto (2004), Londra (2005),<br />
Sharm, Kusadasi, le continue stragi in Afghanistan,<br />
e la guerra civile giornaliera in<br />
Iraq dove si intrecciano motivazioni diverse<br />
di massacri e di tragedie che non<br />
risparmiano neppure i bambini.<br />
L’Occidente è attanagliato da <strong>questo</strong> stato<br />
perdurante che alla lunga si rivelerà<br />
psicologicamente intollerabile.<br />
È la normalità che viene messa in forse; è<br />
l’Occidente che appare del tutto vulnerabile.
e c o n o m i a<br />
Brunetta Borghini Cicchitto Polillo Gamberale Forte<br />
DeVecchis Clerici
Berlusconi e Prodi:<br />
il costo della discontinuità<br />
di Renato Brunetta<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Il ruolo perverso dei messaggi contraddittori,<br />
scostanti, incoerenti; il ruolo della sindrome<br />
di Penelope, dell’approccio Gino<br />
Bartali, delle facce feroci; il ruolo della demonizzazione<br />
dei governi precedenti, dello<br />
smontaggio sistematico delle riforme altrui,<br />
delle docce fredde, delle docce calde, del<br />
cambiare le regole retroattivamente, di<br />
rompere per legge i contratti privati già sottoscritti;<br />
dell’attribuirsi meriti altrui, dell’accusare<br />
gli altri di colpe proprie e della fragilità<br />
ideologica di riconoscere i meriti altrui;<br />
in definitiva, il ruolo di tutti questi cattivi<br />
comportamenti sulla distruzione della<br />
credibilità della politica economica di un<br />
qualsiasi governo e, quindi, sulla distruzione<br />
di competitività istituzionale ed economica<br />
di ogni povero paese che tristemente<br />
si trova ad avere una siffatta cultura (cultura<br />
molto probabilmente prodotta da una<br />
perversa legge elettorale).<br />
<strong>In</strong> questi 12 mesi di governo Prodi abbiamo<br />
ascoltato dagli esponenti di governo e<br />
maggioranza dichiarazioni controverse,<br />
false e contraddittorie. Abbiamo visto il<br />
Parlamento approvare, ancorché a fronte<br />
di una forte opposizione, provvedimenti a<br />
danno degli italiani e dell’immagine dell’Italia<br />
all’estero. Sono stati votati decreti in<br />
barba alle regole comunitarie e tutto <strong>questo</strong><br />
è sempre stato accompagnato da una<br />
compiacente propaganda mediatica.<br />
Qui di seguito, solo alcuni degli esempi<br />
delle tante dichiarazioni e dei provvedimenti<br />
di controriforma di <strong>questo</strong> governo:<br />
49<br />
• A proposito della situazione della finanza<br />
pubblica: “siamo peggio che nel ’92” (Tommaso<br />
Padoa-Schioppa);<br />
• a proposito della situazione della finanza<br />
pubblica: “siamo peggio che nel ’96” (Romano<br />
Prodi);<br />
• il governo incarica dell’esercizio di due diligence<br />
la commissione guidata dal prof.<br />
Faini ne emerge che il rapporto deficit/Pil<br />
per il 2006 era previsto al 4,6% (il doppio di<br />
quello che effettivamente si è realizzato);<br />
• Visco pensa che: “gli italiani sono un popolo<br />
di evasori” (anche i ricchi piangano...);<br />
• viene bloccata la realizzazione del ponte<br />
sullo stretto di Messina;<br />
• vengono revocati per legge (decreto legge<br />
7/2007) tre importanti contratti per la<br />
realizzazione dell’alta velocità (riducendo<br />
l’attrattività degli investimenti);<br />
• durante la trattativa tra Autostrade e<br />
Abertis viene cambiato il quadro regolamentare<br />
delle concessioni autostradali (facendo<br />
scattare la procedura di infrazione<br />
dell’Unione europea);<br />
• viene, di fatto, bloccata la fusione Autostrade-Abertis<br />
(con una squallida intromissione<br />
da parte del governo);<br />
• viene bloccata con atto amministrativo la<br />
riforma della scuola (la ragione è semplice:<br />
cancellare l’impianto del ministro Moratti);<br />
• viene bloccata con atto amministrativo la<br />
riforma della giustizia (la ragione, ancora<br />
una volta, è solo quella di smontare la riforma<br />
varata dal governo Berlusconi);<br />
• vengono nuovamente modificate con la
legge Finanziaria per il 2007 le aliquote fiscali<br />
IRPEF (per una demagogica, sbagliata<br />
e inutile volontà di redistribuzione del<br />
reddito);<br />
• DDL delega su capital gain: viene prevista<br />
la modifica (aliquota al 20%) della normativa<br />
e successivamente (negli ultimi giorni)<br />
vengono cancellate le modifiche fatte;<br />
• viene bloccata con atto amministrativo la<br />
riforma del codice ambientale;<br />
• viene messo per legge un tetto al fatturato<br />
delle imprese (disegno di legge Gentiloni),<br />
anche se lo stesso governo riconosce,<br />
a parole, nella concorrenza tra imprese il<br />
propulsore della crescita del sistema economico;<br />
• Visco: “i risultati di finanza pubblica 2006<br />
sono merito del governo Prodi grazie alla<br />
tax compliance” (clamorosamente smentito<br />
dalla Banca d’Italia nel Bollettino economico<br />
di aprile 2007);<br />
• il buco non c’è più... c’è il tesoretto;<br />
• “diminuiremo le tasse”... ma non si sa<br />
quando e con quale entità;<br />
• rinnovo del contratto del Pubblico Impiego<br />
con un aumento medio per i ministeriali<br />
di 101 euro (3,7 miliardi di euro).<br />
Nelle moderne economie industrializzate e<br />
di mercato i governi non sono né onnipotenti<br />
né totalmente impotenti: conta, più dei<br />
governi, il mercato. Contano, più dei governi,<br />
le regole di lungo periodo, la continuità,<br />
la coerenza, il rispetto delle regole.<br />
Contano, più dei governi, gli agenti economici:<br />
famiglie, imprese, investitori. Contano,<br />
più dei governi, le istituzioni che governano<br />
l’economia, la loro autonomia, la loro<br />
stabilità.<br />
Nessun governo in un’economia di mercato<br />
industrializzata può, né nel breve né nel<br />
medio periodo, modificare i trend in atto.<br />
Può solo fare confusione, aumentando i<br />
costi delle transazioni, aumentando l’incer-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
50<br />
tezza. Prerogative dei governi, di tutti i governi<br />
nelle economie di mercato industrializzate,<br />
sono quelle di:<br />
• cambiare le regole e vederne gli effetti<br />
nel medio e lungo periodo;<br />
• accompagnare con misure di politica<br />
economica di breve, medio e lungo termine<br />
gli andamenti tendenziali;<br />
• controllare nel breve, medio e lungo termine<br />
gli andamenti della spesa pubblica;<br />
• individuare e determinare nel breve, medio<br />
e lungo periodo gli andamenti degli investimenti.<br />
Senza, però, pensare di poter mutare dall’oggi<br />
al domani, con le facce feroci, con<br />
meri editti e proclami, con provvedimenti di<br />
urgenza, le tendenze in atto. Ne deriva che<br />
gli andamenti congiunturali delle principali<br />
macro variabili economiche di un sistema<br />
sono figlie di variabili strutturali e regolative<br />
in gran parte esogene agli ambiti di controllo<br />
dei singoli governi nazionali e, quindi,<br />
in gran parte esulano dalle loro possibilità<br />
di modifica. Ne deriva, anche, che gli andamenti<br />
di finanza pubblica, occupazione,<br />
inflazione, consumi, investimenti sono tutti<br />
determinati dai comportamenti di politica<br />
economica degli anni precedenti, dagli andamenti<br />
congiunturali interni ed internazionali<br />
degli anni precedenti, dalle aspettative<br />
che si sono sedimentate nel tempo, dagli<br />
operatori economici: famiglie, imprese, investitori,<br />
ecc.<br />
Sono tutti valori determinati nel medio-lungo<br />
periodo, per cui è assolutamente folle,<br />
per qualsiasi governo, attribuirsi i meriti di<br />
un andamento congiunturale positivo a pochi<br />
mesi dal suo insediamento.<br />
1996-2001 e 2001-2006:<br />
due quinquenni a confronto<br />
Fuor di generalità, ci sono alcuni punti su<br />
cui occorre fare un po’ di chiarezza. Prendiamo<br />
i due quinquenni di governo 1996-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
2001 (metà ’96, metà 2001) e 2001-2006<br />
(seconda metà 2001, prima metà 2006),<br />
ossia i due periodi caratterizzati in Italia rispettivamente<br />
dai governi di centro-sinistra<br />
e dai governi di centro-destra. Alcuni<br />
dati in merito:<br />
1996 - 2001<br />
• il tasso di crescita medio dell’economia è<br />
stato di poco superiore al 2% nel quinquennio,<br />
in linea con la crescita europea,<br />
ma comunque con una tendenza alla minor<br />
crescita rispetto alla media UE di circa<br />
il 25-30%: il tasso di crescita medio europeo<br />
nello stesso periodo era, quindi, del<br />
25-30% superiore a quello dell’intero periodo<br />
in Italia;<br />
• il lascito di finanza pubblica del governo<br />
di centro-sinistra nel periodo considerato è<br />
stato del 3,1% in termini di deficit/Pil, e con<br />
un rapporto debito/Pil al 110,9%;<br />
• l’avanzo primario lasciato in eredità dal<br />
governo di centro-sinistra al governo di<br />
centro-destra è stato del 3,2%, dopo aver<br />
ricevuto in eredità un avanzo primario di oltre<br />
il 6% (del 6,6% nel 1997);<br />
• il tasso di inflazione medio nel periodo è<br />
stato superiore al 2,3%;<br />
• è stato creato 1.000.000 di nuovi posti di<br />
lavoro (su spinta del pacchetto Treu);<br />
• la pressione fiscale lasciata in eredità è<br />
stata del 41,3%.<br />
2001-2006<br />
• Tasso di crescita medio dello 0,7% (cioè<br />
un terzo del tasso di crescita medio del<br />
quinquennio precedente), dovuto anch’esso<br />
a ragioni esogene internazionali. Considerata<br />
la media UE, il differenziale è tra<br />
mezzo punto e due terzi di punto (in termini<br />
percentuali) e quindi accentuato rispetto<br />
al quinquennio di centro-sinistra, ma <strong>questo</strong><br />
non vale in termini assoluti;<br />
• il tasso di inflazione è stato leggermente<br />
51<br />
più basso rispetto al quinquennio precedente,<br />
cioè circa del 2%-2,2%;<br />
• il rapporto deficit/Pil nel 2006, al netto<br />
delle una tantum, sia peggiorative che migliorative,<br />
è stato del 2,4%;<br />
• l’avanzo primario che si è pressoché azzerato<br />
nel 2005 (0,2%), nel 2006 è salito<br />
all’1,5%, mentre le prime previsioni per il<br />
2007 vedono <strong>questo</strong> dato in controtendenza<br />
salire al 2,6%;<br />
• creazione di nuovi posti di lavoro circa<br />
2.000.000;<br />
• la pressione fiscale lasciata in eredità dal<br />
centro-destra nel 2005 è stata del 40,6%,<br />
ed è passata nel 2006 al 42,3 per effetto<br />
dell’allargamento della base impositiva pur<br />
senza ritoccare al rialzo le aliquote fiscali.<br />
Quali considerazioni trarre da questa semplice<br />
comparazione brutale, schematica e<br />
semplificatoria?<br />
Il centro-sinistra ha potuto usufruire di un<br />
tasso di crescita medio triplo (soprattutto<br />
per ragioni esogene) di quello del centrodestra.<br />
Nonostante <strong>questo</strong> tasso di crescita<br />
medio triplo, rispetto al periodo successivo,<br />
il centro-sinistra negli anni 1996-2001 si è<br />
mangiato almeno metà dell’avanzo primario<br />
lasciato in eredità dal governo precedente.<br />
La spesa corrente rispetto al Pil è rimasta<br />
sostanzialmente costante, mentre la finanza<br />
pubblica lasciata in eredità dal centrosinistra<br />
nel 2001 al governo susseguente<br />
(governo Berlusconi) era in leggero sfondamento<br />
rispetto ai parametri di Maastricht<br />
(3,1%). Per quanto riguarda l’abbassamento<br />
del rapporto debito/Pil (nel 2006 al<br />
106,8%), durante il quinquennio di centrosinistra<br />
non si erano fatti sostanziali progressi.<br />
Di contro, il governo di centro-destra ha<br />
dovuto scontare una crescita media del<br />
periodo molto più bassa del periodo precedente.<br />
Tuttavia, in <strong>questo</strong> stesso periodo<br />
il centro-destra ha diminuito la pressione fi
scale, per quattro anni, di circa 1 punto<br />
(salvo che la pressione fiscale nell’ultimo<br />
anno, vale a dire nel 2006, è cresciuta di<br />
circa un punto, soprattutto in ragione dell’effetto<br />
dell’abbassamento delle aliquote,<br />
della maggiore crescita economica e dell’allargamento<br />
della base impositiva);<br />
Il centro-destra, nello stesso periodo, ha<br />
proseguito nel trend di azzeramento della<br />
curva di discesa dell’avanzo primario,<br />
praticamente agli stessi ritmi del periodo<br />
precedente, tenendo conto, però, del fatto<br />
che il centro-destra doveva scontare,<br />
come già ribadito, una crescita di un terzo<br />
rispetto a quella del periodo precedente,<br />
ma è anche riuscito ad invertire<br />
questa tendenza chiudendo il 2006 con<br />
un avanzo primario al 1,5%.<br />
C’è anche da dire che, nel periodo del centro-destra,<br />
è aumentato il rapporto spesa<br />
corrente/Pil, e ciò è stato dovuto a un effetto<br />
molto semplice: essendo rimasta sostanzialmente<br />
invariata, in valori assoluti,<br />
per ragioni di ovvie isteresi e rigidità, la<br />
spesa corrente, ed essendo, nello stesso<br />
periodo, diminuito il tasso di crescita del<br />
Pil, ne consegue che il differenziale di crescita<br />
delle due variabili (costante l’incre-<br />
INDICATORI DI FINANZA PUBBLICA<br />
NUOVA SERIE ISTAT<br />
1994<br />
1995<br />
1996<br />
1997<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
INDEBITAMENTO AVANZO<br />
NETTO PRIMARIO<br />
-9,1<br />
-7,4<br />
-7,0<br />
-2,7<br />
-2,8<br />
-1,7<br />
-2,0<br />
-3,1<br />
-2,9<br />
-3,4<br />
-3,4<br />
-4,1<br />
-2,4<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Fonte: ISTAT<br />
2,3<br />
4,2<br />
4,6<br />
6,6<br />
5,1<br />
4,9<br />
4,3<br />
3,2<br />
2,7<br />
1,7<br />
1,3<br />
0,2<br />
1,5<br />
52<br />
mento della spesa corrente, praticamente<br />
zero la crescita del Pil) ha portato all’aumento<br />
del rapporto spesa corrente/Pil.<br />
Quindi, la critica che viene fatta al centrodestra,<br />
di aver aumentato la spesa corrente<br />
nel periodo considerato, è una critica vera<br />
dal punto di vista formale, ma del tutto<br />
ingiustificata dal punto di vista sostanziale<br />
(in termini percentuali è aumentata, ma<br />
non in termini assoluti).<br />
Nel periodo 2001-2006, il <strong>numero</strong> di posti<br />
di lavoro è aumentato di circa 2.000.000 di<br />
unità (tenendo conto anche di regolarizzazioni<br />
ed emersione del sommerso) facendo<br />
registrare il record storico degli occupati<br />
in Italia dal dopoguerra.<br />
Il centro-destra lascia, quindi, in eredità al<br />
nuovo quinquennio:<br />
• un rapporto deficit/Pil assolutamente virtuoso<br />
2,3-2,4%;<br />
• un mercato del lavoro assolutamente<br />
funzionante;<br />
• un allargamento della base impositiva;<br />
• un gettito record fiscale (+37,7 miliardi di<br />
euro);<br />
• una leggera diminuzione del rapporto debito/Pil<br />
conseguente ad un primo aumento<br />
dell’avanzo primario, cioè ad un’inversione<br />
dell’andamento dell’avanzo primario, che<br />
nel decennio precedente era, invece, costantemente<br />
diminuito;<br />
• un tasso di inflazione leggermente più<br />
basso (nel 2006 al 2,1%);<br />
• un’eredità generosa del 2006 rispetto al<br />
2007, che fa presagire tassi di crescita costanti<br />
nel 2007-2008, come dicono tutti i<br />
previsori, attorno al 2%.<br />
Considerazioni conclusive<br />
e riassuntive<br />
Sarebbe ora di smetterla di incolpare i governi<br />
precedenti di tutte le nefandezze e di<br />
attribuirsi tutte le virtù. Sarebbe ora di smetterla<br />
di cancellare, ad ogni cambio di go-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
verno, le politiche economiche dei governi<br />
precedenti. Sarebbe ora di smetterla di<br />
smontare le riforme precedenti, di smontare<br />
i loro impianti di lungo periodo (ad esempio:<br />
la legislazione sul mercato del lavoro,<br />
la legislazione pensionistica, la legislazione<br />
societaria, la legislazione fiscale sulle aliquote).<br />
Tutto <strong>questo</strong> non porta altro che a<br />
rallentamenti, cambiamenti di aspettative<br />
ed incertezza negli operatori economici.<br />
Sarebbe il caso che i governi si facessero<br />
carico di una virtuosa continuità rispetto alle<br />
migliori pratiche dei governi precedenti.<br />
Per cui, se la pressione fiscale è stata diminuita<br />
nel quinquennio precedente e ha<br />
dato origine ad un exploit di gettito considerevole,<br />
è chiaro che la strategia di medio<br />
periodo adottata si configura come virtuosa,<br />
quindi non ha senso smontare una<br />
strategia virtuosa che ha successo per iniziarne<br />
un’altra di controtendenza di aumento<br />
delle aliquote fiscali, ingenerando<br />
anche e soprattutto confusione nei contribuenti.<br />
Questo vale per il fisco, vale per il<br />
mercato del lavoro, vale per le pensioni.<br />
Per favore, non inventiamoci la tax compliance,<br />
non inventiamoci le facce feroci, i<br />
comportamenti virtuosi o meno virtuosi dei<br />
contribuenti, che, in tutte le parti del mondo,<br />
dipendono da regolazioni di lungo periodo<br />
dei sistemi, vale a dire dall’efficienza<br />
della macchina fiscale, dalla non invasività<br />
della macchina fiscale nei confronti dei<br />
contribuenti, dalla fiducia che gli operatori<br />
hanno nello Stato e nel governo; in definitiva,<br />
non solo dal rapporto fiduciario e dalla<br />
pressione fiscale considerata accettabile<br />
da parte del contribuente, che è un valore<br />
relativo alla qualità dei servizi offerti e<br />
ai livelli di pressione fiscale vigenti negli altri<br />
paesi concorrenti. Quindi, per favore,<br />
non cadiamo nel ridicolo attribuendo alla<br />
faccia feroce di Visco le performance di<br />
gettito 2006, perché facciamo solo ridere.<br />
53<br />
IL SISTEMA PENSIONISTICO ITALIANO:<br />
LE RIFORME DELLE PENSIONI<br />
Sarebbe anche qui il caso di fare un po’ di<br />
chiarezza. Dal 1992, vale a dire dal governo<br />
Amato, di riforme pesanti ne sono state fatte<br />
almeno 5:<br />
• Amato ’92: limitava alcuni eccessi della<br />
normativa precedente, ad esempio l’indicizzazione;<br />
• Dini ’95: la più importante. Con questa riforma<br />
è stata cambiata la struttura con il passaggio<br />
dai sistemi retributivi a quelli contributivi,<br />
pur sempre nel macro quadro a ripartizione.<br />
Quella di Dini è una capitalizzazione virtuale,<br />
con un periodo di implementazione di 40 anni<br />
(completamente in vigore nel 2035). Questa<br />
lentezza nel processo di implementazione è<br />
indubbiamente un difetto;<br />
• Prodi ’96-’97: ha parzialmente ovviato ad<br />
alcune inefficienze della riforma Dini, senza<br />
toccarne l’impianto;<br />
• Berlusconi 2003: altra accelerazione della<br />
riforma Dini l’ha fatta Berlusconi con la legge<br />
Maroni-Tremonti del 2003. Con questa riforma<br />
si è sostanzialmente velocizzato il periodo<br />
transitorio relativo ai pensionamenti anticipati<br />
di anzianità, il cosiddetto “scalone”. Attualmente<br />
(a normativa vigente), il sistema è<br />
in equilibrio, non presenta gobbe di incremento<br />
della spesa pensionistica sul Pil, che<br />
erano, invece, implicite nella riforma Dini del<br />
’95, per gli anni 2013-2018.<br />
Il sistema di riforme del quindicennio Amato-<br />
Dini-Prodi-Berlusconi porta il sistema pensionistico<br />
italiano, se non alla perfezione, sicuramente<br />
alla sostenibilità.<br />
Modificare le modifiche porterebbe nel caos il<br />
sistema e produrrebbe le relative gobbe di<br />
spesa. Un solo esempio: eliminare lo scalone,<br />
vale a dire l’incremento che parte tra 6<br />
mesi dell’età di pensionamento da 57 a 60<br />
anni, comporta un maggiore esborso di circa<br />
4 miliardi rispetto a quanto già internalizzato<br />
nell’attuale legislazione, che per circa 6-7 anni<br />
a regime risulta in mancati risparmi per circa<br />
30 miliardi di euro (cumulato), il che comporta<br />
una non sostenibilità e lo spostamento<br />
in avanti del punto di equilibrio.(RB)
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Il bluff delle liberalizzazioni<br />
e delle privatizzazioni<br />
di Pierluigi Borghini<br />
Ogni tanto la politica impone delle parole<br />
a cui viene attribuito un potere salvifico.<br />
E vengono evocate – quasi sempre a<br />
sproposito – come la risoluzione di ogni<br />
problema. Parole che diventano vere e<br />
proprie mode che, proprio come avviene<br />
per il mondo del fashion, sembra non se<br />
ne possa fare a meno. È toccato alla parola<br />
riformismo (guai a non definirsi tutti<br />
riformisti!), ora è la volta di “liberalizzazioni”<br />
e “privatizzazioni”. Nel mondo economico<br />
il loro significato è chiaro e non<br />
ammette equivoci. <strong>In</strong> quello della politica<br />
il significato è nebuloso al punto che se<br />
ne abusa tanto nelle aule parlamentari<br />
che nei salotti televisivi.<br />
“Liberalizzazioni” è la bacchetta magica<br />
che tanto piace ai “maghi-ministri” del<br />
governo Prodi. Sia che si parli delle licenze<br />
dei taxi, che dell’apertura dei barbieri<br />
il lunedì; della vendita dell’aspirina<br />
al supermercato che dei distributori di<br />
benzina.<br />
Forse è giunto il momento di fare chiarezza<br />
e capire fino in fondo di cosa parliamo<br />
anche in vista di importanti appuntamenti<br />
che l’Europa ci impone con la Direttiva<br />
Europea che dal 1 luglio imporrà<br />
la piena libertà di domanda e offerta nel<br />
campo dei servizi pubblici. Queste sì che<br />
sono liberalizzazioni! Ma il nostro Paese<br />
54<br />
sarà in grado di affrontarle? O ancora<br />
una volta, la confusione che sui temi economici<br />
contraddistingue il governo Prodi<br />
e i suoi ministri, vedrà l’Italia in affanno rispetto<br />
agli altri paesi europei?<br />
Liberalizzare significa modificare lo scenario<br />
nel quale operano le imprese e i<br />
consumatori, togliendo vincoli e rendendo<br />
quindi il mercato più aperto e più competitivo.<br />
Quindi, i provvedimenti messi in campo<br />
dal ministro Bersani prima con il decreto<br />
del luglio 2006, poi con quello del gennaio<br />
2007 e ora con il Ddl in discussione<br />
alla Camera, che dovrebbe vedere la luce<br />
a luglio 2007, parla sì di liberalizzazioni,<br />
ma che riguardano categorie specifiche<br />
e libertà marginali. Potremmo definirle<br />
– senza incorrere in arbitri – estensioni<br />
di libertà, ma che non vanno a incidere<br />
sulla struttura monopolistica con la<br />
quale vengono gestiti servizi di maggiore<br />
rilevanza nella vita del cittadino. Non<br />
stiamo, insomma, parlando della liberalizzazione<br />
dell’elettricità, del gas, o dei<br />
trasporti pubblici.<br />
Un esempio lampante è quello che sta<br />
avvenendo sul problema della benzina il<br />
cui costo, sicuramente alto per il consumatore<br />
italiano, dipende da più fattori: il<br />
prezzo del greggio, della raffinazione, del-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
la distribuzione e delle tasse. Il ministro<br />
Bersani vuole intervenire liberalizzando la<br />
distribuzione che, sul totale del costo, incide<br />
per una parte minimale, sotto al 5%.<br />
Tanta propaganda che non cambierà più<br />
di tanto la situazione e soprattutto non<br />
solleverà i conti delle famiglie italiane a fine<br />
mese. Perché questa “liberalizzazione”<br />
non intacca il monopolio dei produttori<br />
né quello delle grande compagnie petrolifere<br />
(che certo hanno anche in mano<br />
la distribuzione), né tanto meno libera il<br />
prezzo dalle tante accise governative (le<br />
tasse che gravano sul carburante). <strong>In</strong>somma,<br />
alla fin fine si vanno a colpire i<br />
gestori delle pompe di benzina, che certo<br />
non possiamo mettere sullo stesso piano<br />
delle compagnie petrolifere.<br />
Così come i barbieri o i farmacisti, non<br />
sono certo loro i monopolisti che fanno il<br />
bello e il cattivo tempo sul mercato dei<br />
prezzi.<br />
Sono, infatti, i monopoli ed i cartelli che<br />
detengono la possibilità di fissare a loro<br />
piacimento i prezzi e poco può la presenza<br />
delle varie Autority che in Italia non<br />
hanno né poteri né strumenti di intervento<br />
per poter espellere dal mercato un<br />
operatore che esercita in modo scorretto<br />
forte di un regime di monopolio. Le Autorità<br />
possono soltanto limitarsi a sanzionare<br />
i comportamenti come un arbitro però<br />
privo di fischietti e dei cartellini gialli o<br />
rossi di ammonimento o di espulsione.<br />
Il rischio quindi che il Paese arriverà a<br />
mani nudi alla scadenza Ue del primo luglio<br />
è concreto. Cosa accadrà quindi<br />
quando si dovrà applicare la piena libertà<br />
di domanda e offerta nel campo dei<br />
servizi pubblici?<br />
Il consumatore senz’altro è pronto ad andarsi<br />
a cercare la migliore offerta sul<br />
mercato, ma la domanda troverà un’offerta<br />
diversificata?<br />
55<br />
Oppure, l’offerta diversificata che va a<br />
cercare il consumatore in realtà viene<br />
strozzata dal fatto che la rete di distribuzione<br />
del gas, per esempio, è in mano ad<br />
un unico soggetto che è il proprietario,<br />
nel caso del gas, del tubo che arriva dentro<br />
casa?<br />
Per riuscire a realizzare, davvero, le liberalizzazioni<br />
occorre creare condizioni di<br />
mercato uguali per tutti i soggetti che vogliono<br />
operare.<br />
Come? Separando in modo netto la proprietà<br />
delle differenti rete di distribuzione,<br />
dalla loro gestione.<br />
E tenendo ben distinte le liberalizzazioni<br />
dalle privatizzazioni. Perché vendere le<br />
partecipazioni dello Stato a operatori privati,<br />
trasferendo un monopolio pubblico a<br />
uno privato, non è certo un’operazione di<br />
democrazia.<br />
Ciò che è accaduto negli anni scorsi è<br />
bene tenerlo presente, per evitare di<br />
commettere nel futuro gli stessi errori. E<br />
occorre cambiare in modo radicale la politica<br />
economica finora adottata dal nostro<br />
Paese.<br />
Telecom Italia, Autostrade, ma anche la<br />
privatizzazione della Centrale del Latte di<br />
Roma, sono gli esempi più eclatanti del<br />
flop delle liberalizzazioni e privatizzazioni<br />
targate made in Italy, che non a caso portano<br />
tutte la firma dei governi di centro-sinistra.<br />
Il governo D’Alema vendette sia la Telecom<br />
Italia, che Autostrade senza aver<br />
prima affrontato la liberalizzazione della<br />
rete telefonica o delle concessioni nel caso<br />
di Autostrade.<br />
<strong>In</strong> entrambi i casi chi ha comprato, Colaninno<br />
per la Telecom e i Benetton per<br />
Autostrade ha fatto un grande affare, acquistando<br />
ad un prezzo che non teneva<br />
conto dei futuri redditi, cioè a prezzi da<br />
saldo.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Privatizzazioni: l’Europa rallenta, il mondo, Cina in testa, corre<br />
L’assenza dell’Italia dalla classifica europea delle dismissioni di Stato emerge dal bilancio finale<br />
delle privatizzazioni del 2006 nei 27 Paesi della Ue contenuta nell’ultima newsletter semestrale<br />
del Privatization Barometer (Pb) curato dalla Fondazione Iri e dalla Fondazione Eni Enrico<br />
Mattei. Nella classifica per Paesi degli incassi da cessioni di asset ai privati l’Italia, che un<br />
tempo era nei primissimi posti dell’Europa e che negli ultimi vent’anni è stato il secondo Paese<br />
al mondo per privatizzazioni, è retrocessa l’anno scorso al dodicesimo posto, con un bilancio<br />
assolutamente modesto di 700 milioni di euro, composto dall’Ipo di Ansaldo Sts (400 milioni)<br />
e dalla vendita del patrimonio immobiliare di Fintecna (300 milioni).<br />
L’arretramento dell’Italia,dovuto in parte alle elezioni politiche generali di primavera ma soprattutto<br />
ai veti della sinistra radicale, è vistoso ma è in linea con una tendenza ribassista che ha<br />
investito l’intera Europa (62 operazioni in tutto per un controvalore di 41 miliardi di euro contro<br />
i 67 miliardi del 2005) malgrado lo stato di salute delle Borse. Tutto il contrario di quello che sta<br />
avvenendo nel resto del mondo dove le vendite di Stato sono in netto aumento e dove svetta<br />
la Cina con la più grande Ipo della storia, quella dell’<strong>In</strong>dustrial and Commercial Bank of China.<br />
Secondo gli analisti del Barometro la flessione europea ha principalmente due ragioni: 1) lo<br />
spostamento a sinistra dei governi, con il conseguente colpo di freno alle privatizzazioni; 2) il<br />
risorgere di forme di protezionismo in alcuni Paesi dell’Est europeo e in particolare in Polonia.<br />
Per l’Europa le previsioni non sono entusiasmanti nemmeno per il 2007 perché, secondo il Barometro,<br />
il controvalore finale si abbasserà a 40 miliardi di euro, anche per effetto dell’incertezza<br />
della Francia, che l’anno scorso è stata invece la regina delle privatizzazioni con un saldo<br />
attivo di quasi 9 miliardi di euro (8,968 per la precisione), davanti alla Germania (8,886), all’Olanda<br />
(5,055) e alla Gran Bretagna (4,997). Quest’anno è attesa la staffetta con la Germania<br />
che dovrebbe diventare la locomotiva d’Europa e che nel 2006 ha avuto due formidabili driver<br />
nella Kfw (l’omologa della nostra Cassa depositi e prestiti) e nei governi regionali. Ma l’interrogativo<br />
maggiore che pende sulla Ue dei 27 è capire se e quando ripartiranno le privatizzazioni<br />
nei settori strategici. Un’altra delle novità del 2006 è stata in effetti la rilevanza delle<br />
cessioni pubbliche in comparti concorrenziali come quello manifatturiero e quello finanziario<br />
(dove le operazioni bancarie sono state di spicco) e il rallentamento nelle industrie a rete e soprattutto<br />
nelle utilities, anche per effetto dell’assenza di una politica comune aperta al mercato<br />
nel settore dell’energia.<br />
Un’altra corposa novità del 2006 è stato il protagonismo dei fondi di private equity, che in passato<br />
venivano visti con diffidenza dai governi e che invece stanno assumendo un ruolo sempre<br />
più importante anche nelle privatizzazioni.Oltre il 67% dei proventi da privatizzazioni dell’anno<br />
scorso è stato raccolto con vendite dirette (e cioè fuori dal mercato) e tre delle cinque principali<br />
operazioni sono state concluse da fondi di private equity.<br />
Significativo è ancora una volta il caso tedesco, non solo per la rilevanza della recente acquisizione<br />
di Blackstone di una quota di Deutsche Telekom ma perché operazioni analoghe di intervento<br />
attivo nel capitale sono avvenute anche nelle imprese private ad opera degli hedge<br />
funds. L’ostracismo alle «locuste» sembra insomma lontano e ciò ha permesso anche alla Germania<br />
di fare la parte del leone.<br />
Il placement del 54% di Pages Jaunes, le pagine gialle francesi, effettuata da France Telecom<br />
al fondo americano di private equity Kkr è stata, nell’ultimo semestre del 2006, l’operazione di<br />
maggior peso per ammontare di incasso (3,3 miliardi di euro) e la seconda dell’anno in Europa<br />
dietro la vendita per 4,5 miliardi di euro di Westinghouse Electric Plc, la controllata americana<br />
di British Nuclear Fuel, ai giapponesi di Toshiba.<br />
Ungheria (1,892 miliardi di euro) e Lituania (1,389 miliardi di euro) hanno infine guidato il processo<br />
di privatizzazione nei Paesi dell’Europa dell’Est, che anche l’anno scorso ha raccolto circa<br />
il 10% degli incassi da dismissioni di tutta la Ue ma nella quale affiorano evidenti segnali di<br />
rallentamento.<br />
56
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Nello specifico caso di Telecom Italia,<br />
Colaninno ha rivenduto, in seconda battuta,<br />
dopo un anno e mezzo, a chi sapeva<br />
che da quella operazione di acquisto<br />
potevano svilupparsi i futuri redditi. Questa<br />
operazione ha permesso a Colaninno<br />
di realizzare mostruose plusvalenze.<br />
Un bell’affare per loro, una perdita per lo<br />
Stato e una beffa per i consumatori!<br />
<strong>In</strong>fatti, i vari gestori che si sono affacciati<br />
sul mercato della telefonia fissa, da Fastweb<br />
a Tele2, devono per forza passare,<br />
per entrare nelle nostre case, dalla rete<br />
Telecom. E il costo che il monopolista Telecom<br />
chiede loro, viene poi nuovamente<br />
scaricato sui consumatori-utenti.<br />
Quindi, anche se Telecom si vede disdetto<br />
l’abbonamento come gestore, guadagna<br />
ugualmente, affittando le sue linee<br />
ad altri operatori. Alla faccia del libero<br />
mercato!<br />
E proprio per <strong>questo</strong> altre nazioni, come<br />
Francia o Germania, campioni nelle privatizzazioni,<br />
si sono ben guardate dal<br />
vendere le loro rispettive Telecom.<br />
Diverso quello che è accaduto con la British<br />
Telecom, che ha separato in modo<br />
netto la proprietà della rete, dalla sua gestione.<br />
British Telecom, proprietaria della rete, la<br />
dà in uso a tutti gli altri operatori, e tra<br />
questi, partecipa come tutti gli altri alla<br />
gestione del servizio. Non come avviene<br />
per Telecom Italia, che è non solo proprietaria,<br />
ma gestore e operatore al tempo<br />
stesso, dettando, quindi, in regime di<br />
assoluto monopolio, le condizioni di mercato.<br />
Le liberalizzazioni hanno invece funzionato<br />
nel caso della telefonia mobile che,<br />
non avendo bisogno di rete, ha visto nascere<br />
più operatori: da Tim a Vodafone,<br />
da Wind a 3. La concorrenza è reale e<br />
avviene con le tariffe, dando così real-<br />
57<br />
mente al consumatore la possibilità di<br />
confrontare e di scegliere.<br />
Stessa cosa è avvenuta nel trasporto aereo.<br />
Lì non si è dovuto fare i conti con la<br />
proprietà della rete come nel caso delle<br />
ferrovie e negli anni abbiamo visto nascere<br />
e affermarsi più vettori: dagli antichi<br />
charter per turismo, alle linee low cost<br />
che ormai si sono imposte anche per i<br />
viaggi di lavoro, creando delle vere e proprie<br />
tratte di collegamento ormai indispensabili<br />
per aziende grandi e piccole.<br />
Una vera e propria rivoluzione che ha trasformato<br />
il traffico aereo, lo ha reso accessibile<br />
a tutti e a ogni tasca al punto<br />
che spesso è più costoso un taxi per l’aeroporto<br />
che volare in Europa.<br />
Ecco quindi che il vero problema da risolvere<br />
quando si parla di liberalizzazioni<br />
è nella proprietà della rete di gestione,<br />
sia che si parli di gas, di elettricità o di<br />
trasporto ferroviario.<br />
È chiaro che nessuno pensa di poter duplicare<br />
o triplicare la rete di distribuzione<br />
del gas o dell’elettricità: avrebbe costi folli<br />
e, soprattutto, l’Italia diventerebbe un<br />
enorme colabrodo in perenne transenna<br />
da “lavori in corso”.<br />
Quindi la Snam, che è la proprietaria della<br />
rete gas italiana, e opera in regime di<br />
monopolio, dovrà restare solo come titolare<br />
della rete e consentire a più gestori<br />
di utilizzarla, lasciando poi al cittadino la<br />
scelta fra le diverse offerte?<br />
Certo è che se si vuole seriamente liberalizzare,<br />
allora, chi ha la proprietà della<br />
rete di distribuzione, non può avere in<br />
mano anche la gestione. Così per il gas,<br />
ma la stessa cosa vale anche l’elettricità.<br />
E sicuramente vendere la Snam per il<br />
gas o l’Enel per l’elettricità, privatizzandole,<br />
non significa liberalizzare il mercato:<br />
anche in <strong>questo</strong> caso sarebbe solo un<br />
passaggio di potere da un monopolio
pubblico ad uno privato, addirittura con<br />
minori garanzie per i cittadini-utenti. Perché<br />
se oggi lo Stato porta ad esempio l’elettricità<br />
nel più sperduto luogo d’Italia<br />
con costi altissimi e sicuramente non remunerativi,<br />
altrettanto non farà il monopolista<br />
privato, salvo ricevere incentivi<br />
economici e alte compensazioni dal governo.<br />
E poi non è nemmeno così facile e semplice<br />
individuare fino in fondo chi è il proprietario<br />
unico della rete.<br />
Prendiamo, ad esempio, l’elettricità. Vero<br />
che l’Enel la porta nelle grandi città, ma<br />
sono poi le aziende municipalizzare locali<br />
a farla arrivare nelle case dei cittadini<br />
con la loro rete di distribuzione.<br />
Ed è proprio sulle municipalizzate, aziende<br />
controllate dagli enti locali che erogano<br />
allo stato attuale in regime di monopolio<br />
servizi pubblici fondamentali, che si<br />
dovrebbe giocare la vera partita delle liberalizzazioni.<br />
Ma il governo Prodi ancora una volta si è<br />
dimostrato incapace di mettere in campo<br />
proposte chiare e efficace, come dimostra<br />
il disegno di legge del ministro Lanzillotta<br />
sulle municipalizzate. Altro che efficienza<br />
e servizi di qualità per stare sul<br />
mercato! Il Ddl della Lanzillotta rischia di<br />
rafforzare il monopolio delle municipalizzate<br />
sia che eroghino servizi in modo ottimo<br />
che pessimo.<br />
Come potrà infatti l’amministrazione pubblica<br />
mettere in appalto un servizio sapendo<br />
che se la municipalizzata perde la<br />
gara, per migliaia di lavoratori ci sarà il<br />
baratro della cassa integrazione e poi del<br />
licenziamento?<br />
Oppure l’amministrazione pubblica scaricherà<br />
il doppio costo sui cittadini, chiamati<br />
a pagare non solo il servizio erogato,<br />
luce o pulizia, ma anche con le tasse<br />
gli ammortizzatori sociali per la municipa-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
58<br />
lizzata che ha perso la gara di appalto.<br />
Un bel capolavoro, non c’è che dire!<br />
Certo, forse non c’è molto da stupirsi visto<br />
che il ministro Lanzillotta quando era<br />
assessore al Comune di Roma fu protagonista<br />
della vendita della Centrale del<br />
Latte a Cragnotti. Come è finita lo sanno<br />
tutti, ma è bene ricordarlo: il Comune<br />
vendette la Centrale per la metà del suo<br />
valore. Obbligo per l’acquirente di non rivendere<br />
per cinque anni e di assumere<br />
280 dei 525 lavoratori della Centrale del<br />
Latte. I lavoratori in esubero, 245, dopo<br />
un anno vennero tutti assunti dal Comune<br />
di Roma e Cragnotti rivendette a Parmalat<br />
prima del tempo la Centrale pagando<br />
una multa risibile visti i guadagni<br />
ottenuti comprando a poco e rivendendo<br />
a tanto!<br />
Ecco, non vorremmo che con le gare per<br />
i servizi delle municipalizzate, la pubblica<br />
amministrazione si ritroverà costretta ad<br />
assumere migliaia di dipendenti con l’inevitabile<br />
lievitazione della spesa pubblica.<br />
Due sono le strade da percorrere se si<br />
vuole davvero rendere efficienti e competitive<br />
le aziende municipalizzare. La<br />
prima è quella di consorziarle non più a livello<br />
comunale ma regionale; la seconda<br />
è di aprirle sempre più alla partecipazione<br />
dei privati.<br />
Un esempio valido per tutte: la Regione<br />
Lombardia ha municipalizzate molto importanti:<br />
da quella di Brescia, a quella di<br />
Milano, per arrivare a quella di Varese.<br />
Regionalizzando e fondendo questi operatori<br />
tra loro si verrebbe a costituire una<br />
municipalizzata davvero forte e competitiva<br />
sul mercato, che potrebbe con un<br />
bando di gara, per meriti e competenze<br />
operare anche in altre aree geografiche.<br />
Questo significherebbe trasformare le<br />
municipalizzate esistenti in operatori<br />
reali del mercato, in grado di concorre-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Liberalizzazioni: obblighi Ue<br />
La direttiva 98/30 ha introdotto una serie di novità:<br />
• Accesso alla rete da parte di terzi: la direttiva propone due varianti a scelta, ossia l’accesso<br />
alla rete sulla base di un contratto oppure l’accesso alla rete regolamentato. La maggioranza<br />
degli Stati membri ha optato per l’accesso regolamentato alla rete e ha quindi accettato<br />
la presenza di un regolatore. Questa variante riconosce il diritto di accedere alla rete<br />
sulla scorta di tariffe rese pubbliche.<br />
• Liberalizzazione graduale del mercato: la direttiva prevede un’apertura dei mercati del gas<br />
naturale entro il 2008 articolata in tre tappe, ciò che dovrebbe consentire all’industria del gas<br />
naturale di adeguarsi al nuovo contesto in modo ordinato.<br />
• Unbundling: la direttiva impone inoltre alle aziende del gas integrate di tenere nella loro<br />
contabilità interna un conto separato per ciascuna delle attività svolte (trasporto, distribuzione<br />
e stoccaggio).<br />
<strong>In</strong> un rapporto sullo stato della liberalizzazione, già nel 1999 la Commissione europea era<br />
giunta alla conclusione che occorreva perfezionare l’obiettivo di un’apertura del 33% dell’intero<br />
mercato del gas naturale nell’UE ben prima del termine inizialmente fissato, ossia il<br />
2008.<br />
Per accelerare il processo di liberalizzazione, il 4 giugno 2003 il Parlamento europeo ha<br />
adottato diverse direttive che chiedevano agli Stati UE di aprire rapidamente i mercati dell’elettricità<br />
e del gas naturale. <strong>In</strong> pratica, dal 1° luglio 2007, tutti i clienti privati dell’elettricità<br />
e del gas nell’Unione europea dovranno poter scegliere liberamente il relativo fornitore; ai<br />
clienti commerciali questa facoltà doveva essere garantita già a partire dal 1° luglio 2004.<br />
<strong>In</strong> aggiunta alla tabella di marcia della liberalizzazione, le nuove direttive contemplano <strong>numero</strong>se<br />
normative per la protezione dei clienti finali attraverso tutta una serie di obblighi atti<br />
a garantire il servizio pubblico.<br />
Al 1° luglio 2004, gli Stati membri dovevano tra l’altro ottemperare alle seguenti prescrizioni:<br />
• Libera scelta del fornitore di gas e di elettricità per tutti i clienti commerciali. Dal 1° luglio<br />
2007 estensione a tutti i clienti privati.<br />
• Istituzione in tutti gli Stati membri di organismi di regolamentazione provvisti di un mansionario<br />
unificato a livello europeo incaricati di controllare e approvare i metodi di tariffazione<br />
per l’accesso alla rete prima della loro entrata in vigore, svolgere compiti di monitoraggio<br />
e fungere da ufficio di conciliazione in caso di reclami contro i gestori della rete.<br />
• Separazione (ai sensi del diritto societario) del settore “rete” dalle altre attività esercitate<br />
dalle aziende elettriche e del gas, per garantire una maggiore trasparenza e per controllare<br />
con efficacia le eventuali discriminazioni nei confronti di altri fornitori di gas e di elettricità.<br />
Per le aziende di distribuzione <strong>questo</strong> obbligo diventa effettivo il 1° luglio 2007 a condizione<br />
che assicurino l’approvvigionamento di oltre 100.000 clienti.<br />
Quanti consumatori si avvarranno del diritto di libera scelta del fornitore in un contesto di liberalizzazione<br />
totale del mercato rimane un’incognita. Tra i clienti che già beneficiano di<br />
questa opportunità, infatti, soltanto un <strong>numero</strong> esiguo ha optato per un cambio.<br />
La Commissione europea sta affrontando con crescente determinazione anche le problematiche<br />
legate alla sicurezza dell’approvvigionamento nel settore energetico e valuta i contratti<br />
di fornitura a lungo termine in termini sensibilmente più positivi di quanto non facesse<br />
all’inizio delle discussioni sulla liberalizzazione. Ecco perché auspica esplicitamente che,<br />
anche in futuro, tali contratti svolgano un ruolo importante nell’approvvigionamento di gas<br />
naturale.<br />
59
e tra loro. Creando così, di riflesso, i<br />
presupposti per una maggiore qualità<br />
ed efficienza nell’erogazione dei servizi<br />
pubblici, a vantaggio dei cittadiniutenti.<br />
Fin qui quando si parla di liberalizzazioni.<br />
Ben altra cosa sono le privatizzazioni. Se<br />
in passato abbiamo avuto la vicenda Telecom<br />
e Autostrade, oggi la partita privatizzazione<br />
si gioca sul futuro dell’Alitalia,<br />
con la vendita del 30% delle azioni oggi<br />
in mano del Tesoro.<br />
Ancora una volta il governo Prodi, pur<br />
avendo avuto la reale possibilità di procedere<br />
alla privatizzazione del vettore italiano,<br />
in presenza di tutte le condizioni, non<br />
ha avuto il coraggio di andare fino in fondo,<br />
come dimostrano le ultime vicende.<br />
Lo Stato mettendo in vendita una quota<br />
prima limitata, poi un po’ più alta, ma<br />
sempre inferiore al 51% e ponendo vincoli<br />
e paletti fortissimi per la vendita stessa,<br />
non fa altro che scoraggiare il mercato<br />
e i possibili acquirenti.<br />
L’attuale andamento della gara per privatizzare<br />
la compagnia di bandiera lo dimostra<br />
ampiamente. Le dichiarazioni di interesse<br />
sono state 11, le ammissioni alla<br />
fase successiva 5, ma l’interesse si è focalizzato<br />
per uno soltanto: Air One, che è<br />
allo stesso tempo possibile acquirente e<br />
concorrente di Alitalia.<br />
<strong>In</strong> entrambi i casi, infatti, l’Air One avrebbe<br />
tutto da guadagnare: sia nello smontare<br />
la compagnia, sia nel ricapitalizzarla.<br />
E al riguardo, bisognerà capire fino a che<br />
punto l’Air One avrà capacità di investimento<br />
per rinnovare il 60% della flotta in<br />
cinque anni. E nello stesso tempo fino a<br />
che punto avrà interesse a far decollare<br />
la compagnia rendendola forte e competitiva<br />
sul mercato?<br />
<strong>In</strong> entrambi i casi, è bene tenere presen-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
60<br />
te che non si tratterebbe di una operazione<br />
di privatizzazione, ma di una semplice<br />
vendita al concorrente.<br />
Non si può certo pretendere di privatizzare<br />
alle condizioni poste dal governo Prodi.<br />
Troppi limiti, troppi paletti, troppi sbarramenti:<br />
posti di lavoro da conservare,<br />
aeroporti minori che devono essere comunque<br />
serviti.<br />
Così non ci apre certo al mercato e in<br />
Italia, a parte i soliti pochi nomi ben noti,<br />
non ci sono grandi realtà economiche e<br />
grandi investitori in grado di risanare la<br />
compagnia. Sarebbe stato più opportuno<br />
aprirsi senza remore al mercato internazionale,<br />
ma l’attuale governo non ha<br />
avuto il coraggio di farlo. Si è limitato a<br />
guidare l’intera operazione proteggendo<br />
la compagnia dall’entrata di investitori<br />
stranieri.<br />
Ed proprio alla luce dell’attuale gestione<br />
dell’operazione Alitalia, che è lecito chiedersi<br />
cosa accadrà, in settori ancora più<br />
delicati, come l’elettricità e il gas.<br />
Anche il trasporto su ferro diventerà un<br />
bel rebus. I giornali ci hanno annunciato<br />
che gli imprenditori Montezemolo e Della<br />
Valle hanno formato una società che vuol<br />
far viaggiare i cittadini sui binari. Ma che<br />
rapporto c’è tra la Rete Ferrovie dello<br />
stato e Trenitalia? Chi deciderà quali<br />
convogli e con quali tariffe si passerà sui<br />
binari. È così strano pensare che chi possiede<br />
i binari ha tutte le possibilità di decidere<br />
di far passare solo i propri convogli?<br />
O imporrà agli altri tariffe tanto elevate<br />
da metterli fuori mercato perché non<br />
competitivi?<br />
<strong>In</strong>somma un gran pasticcio. Che difficilmente<br />
riuscirà ad essere compreso dall’opinione<br />
pubblica.<br />
Per il semplice motivo che chi deve gestirlo<br />
e spiegarlo – leggi il governo Prodi<br />
– ha le idee confuse. Molto.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
La risibile ascesa<br />
di Giovanni Bazoli<br />
di Fabrizio Cicchitto e Gianfranco Polillo<br />
Telecom come metafora e crocevia delle<br />
contraddizioni della società italiana. Dove il<br />
confine tra politica ed economia è sempre<br />
più labile. Al punto da nascondere il punto<br />
di congiunzione e rendere opaco il rapporto<br />
di primazia. È la politica che governa l’economia?<br />
O viceversa? Sono, cioè, alcuni<br />
soggetti, collocati fuori dal controllo democratico,<br />
che ne determinano l’agenda. Piena<br />
zeppa di appuntamenti minimalistici – si<br />
prenda il caso delle liberalizzazioni di Bersani<br />
– nei quali tuttavia singoli gruppi di<br />
pressione realizzano il loro immediato tornaconto.<br />
Fatto normale, si dirà. Questo è il<br />
modo di procedere dell’Occidente, il cui<br />
modello di relazioni (si pensi all’ibrido cinese<br />
con quel suo mix esasperato di comunismo<br />
e liberismo) ha contagiato l’intero<br />
Pianeta. E dove <strong>questo</strong> non è avvenuto,<br />
come in alcuni paesi del Medio Oriente, il<br />
fondamentalismo terroristico ne ha colmato<br />
i relativi vuoti.<br />
Risposta solo in parte convincente.<br />
Altrove l’intreccio tra politica ed economia<br />
è meno opaco. Soprattutto non deborda<br />
nel particolarismo, in barba ad interessi di<br />
carattere più generale. Che si misurano<br />
con parametri oggettivi. Il tasso di crescita<br />
del PIL, la forte presenza internazionale<br />
dei singoli campioni nazionali, una gestione<br />
ordinata delle finanze pubbliche, una<br />
coesione del Paese, che rimane forte. Dimostrando<br />
quando azzardate fossero<br />
quelle tesi che postulavano la fine degli<br />
Stati nazionali. Nessuno scempio di dino-<br />
61<br />
sauri. La globalizzazione in atto non ne ha<br />
distrutto le strutture in un abbraccio indistinto.<br />
Ne ha, al contrario, esaltato le potenzialità,<br />
quale strumento potente al servizio<br />
di strategie che richiedono la presenza<br />
attiva di un’intelligenza che non può essere<br />
sostituita dalla semplice organizzazione<br />
aziendale.<br />
Una prova, tra tante? Si guardi al processo<br />
di privatizzazione italiano. <strong>In</strong> quel grande<br />
business degli anni ’90, le acquisizioni<br />
estere di aziende italiane superarono di<br />
poco, con l’11 per cento, il valore degli assets<br />
collocati sul mercato. Il maggior interesse<br />
– 17 per cento – si riversò sull’acquisto<br />
inerente lo smobilizzo delle quote<br />
minoritarie possedute dal Tesoro e dagli altri<br />
Enti pubblici (IRI, ENI, EFIM ed Enti locali).<br />
Scarsamente considerate le imprese<br />
industriali: 7 per cento delle vendite. Ancor<br />
meno le banche, con una percentuale del<br />
4 per cento. Nel complesso, un atteggiamento<br />
scarsamente motivato. “Nel loro insieme”<br />
– ha notato uno studio di Mediobanca,<br />
predisposto per la Commissione<br />
Bilancio della Camera dei deputati – le<br />
operazioni di cessione hanno evidenziato<br />
valutazioni relativamente contenute rispetto<br />
a quelle desumibili dalle quotazioni di<br />
borsa”. Acquistare allora, in altri termini,<br />
era un affare. Che gli investitori esteri hanno<br />
disdegnato. “Gli acquirenti esteri – nota<br />
ancora lo studio – sono stati sempre imprenditori<br />
operanti nello specifico settore<br />
dell’azienda acquisita”. Sulla base di que-
sta logica, la società “Tubi Ghisa” fu ceduta<br />
a Pont-à-Mousson. L’Italgel alla Nestlè.<br />
La SIV alla Pilkington. La nuova Pignone<br />
alla General Electric. E così via.<br />
Guardiamo, invece, all’oggi. Su tavolo c’è<br />
Telecom, Alitalia, Generali. Solo qualche<br />
mese fa: ETI, ETINERA, BNL ed Antonveneta.<br />
Resta inoltre aperta la vicenda Capitalia,<br />
dove spagnoli ed olandesi si contendono<br />
ancora la partita. Come non vedere<br />
dietro questi episodi il delinearsi di uno<br />
scenario profondamente diverso. Che cosa<br />
ha fatto cambiare idea a tanti investitori<br />
internazionali: ieri distratti, oggi convinti di<br />
fare un buon affare anche dove hanno fallito,<br />
a partire da Cimoli, i manager italiani?<br />
Qualcosa di profondo sta quindi cambiando<br />
non solo in Italia, me negli equilibri internazionali.<br />
Ed è un cambiamento che va<br />
tutto a danno del nostro sistema produttivo.<br />
Naturalmente non tutto è negativo.<br />
ENEL ed Unicredit si espandano all’estero.<br />
Ma solo gli unici settori in cui l’Italia tenta di<br />
conservare posizioni acquisite da tempo.<br />
Non si dimentichi, infatti, che dallo smobilizzo<br />
delle quote di ENEL e di ENI, il Tesoro<br />
italiano ha ricevuto il 65 per cento dell’introito<br />
complessivo derivante dalle privatizzazioni.<br />
Erano due campioni nazionali e<br />
tali sono rimasti. Una savana, con due<br />
grandi alberi secolari ed una vegetazione<br />
arbustiva fatta da una miriade di piccole e<br />
medie aziende. Multinazionali tascabili?<br />
Forse. Ma fino a quando e come potranno<br />
supplire alla mancanza di global player in<br />
grado di fronteggiare i grandi concorrenti<br />
esteri?<br />
Il cambiamento a cui accennavamo sta soprattutto<br />
negli equilibri finanziari internazionali.<br />
Il grado di liquidità è ancora molto elevato,<br />
al punto che l’offerta di moneta supera<br />
di gran lunga la domanda, rappresentata<br />
degli investimenti. L’eccesso di liquidità<br />
dà adito a complesse architetture finanzia-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
62<br />
rie, in grado di sfruttare le zone grigie del<br />
mercato. Aziende patrimonialmente forti,<br />
ma deboli sul piano produttivo, possono<br />
essere facilmente comprate, smembrate e<br />
poi rivendute sul mercato, alimentando notevoli<br />
plusvalenze. Altre possono essere<br />
scalate e poi ristrutturate, con una nuova<br />
squadra di manager in grado di operare<br />
dove altri avevano fallito. È il caso della<br />
FIAT, dopo l’acquisto di una manager come<br />
Cesare Marchionne. Vicenda tutta domestica,<br />
nella sua variante italiana. Realizzata<br />
grazie alla presenza di un sistema<br />
bancario che, in quell’occasione, ha saputo<br />
rischiare portando a casa un risultato.<br />
Ma nel complesso l’Italia è fuori da <strong>questo</strong><br />
circuito: più vittima che protagonista.<br />
I nuovi artefici dello sviluppo finanziario sono<br />
soprattutto gli hedge fund ed i private<br />
equity. Si tratta di figure relativamente nuove<br />
nel panorama finanziario internazionale.<br />
Il loro teatro operativo non ha confini.<br />
Spaziano dagli USA alla Cina, dall’Europa<br />
al Medio Oriente e l’America Latina. Hanno<br />
pochi anni alle loro spalle. I private<br />
equity sono nati negli anni ’80. Da allora<br />
hanno accumulato un patrimonio valutabile<br />
intorno ai 1.300 miliardi di dollari. Il loro<br />
effetto leva, circa 40 volte gli asset di proprietà,<br />
è tale da poter garantire loro, qualora<br />
lo volessero, il controllo di tutte le aziende<br />
quotate nelle borse mondiali. Analogo è<br />
il volume di fuoco degli hedge fund. Nel<br />
1990 erano solo 690, con un capitale di<br />
690 miliardi. Oggi sono 6.900 ed il loro capitale<br />
supera i 1.350 miliardi di dollari. Concentrano<br />
quindi nelle loro mani un potere<br />
tale dominare qualsiasi mercato regionale.<br />
C’è solo un modo per evitare di farsi catturare.<br />
Essere competitivi. Evitare cioè che<br />
le plusvalenze possano derivare dalla<br />
semplice riconversione produttiva della<br />
propria attività. I Fondi, infatti, hanno una<br />
visione principalmente speculativa ed un
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
orizzonte di investimento di breve periodo.<br />
Non aggrediscono le singole realtà produttive<br />
per gestirle, secondo una logica industriale.<br />
Ma per eliminare quei malfunzionamenti<br />
che ne deprimono il valore di borsa<br />
ed ai quali è facile rimediare mutandone la<br />
goverance. L’antidoto alla loro alla loro ingombrante<br />
presenza è quindi un paese<br />
che funziona dal punto di vista economico.<br />
Che, assorbendo lo stimolo che proviene<br />
dai mercati internazionali, è in grado di<br />
presentare conti aziendali in ordine ed uno<br />
standard inattaccabile. Se sussistono queste<br />
condizione, quelle incursioni diventano<br />
inutili. E si vive più tranquilli, potendo contare<br />
sulla vitalità del proprio sistema produttivo.<br />
Ricorrono queste condizioni nell’Italia di<br />
oggi? Il marcato disinteresse mostrato dal<br />
capitale estero nei confronti degli investimenti<br />
italiani ha una diversa giustificazione.<br />
Il taglio delle imprese è troppo piccolo<br />
e gli unici global player che restano (Eni,<br />
Enel e Finmeccanica) sono garantiti dalla<br />
presenza pubblica. Restano le banche. Ma<br />
fino a qualche anno fa erano protette dalla<br />
vigilanza occhiuta di Antonio Fazio e dalla<br />
retorica della difesa dell’italianità. Finito<br />
quel periodo, i giochi, come abbiamo già<br />
detto, sono cambiati. Un forte processo di<br />
aggregazione è andato avanti, facendosi<br />
scudo, come nel caso delle popolari, di<br />
norme – una testa un voto – che ben poco<br />
hanno a che vedere con le regole di un<br />
moderno sistema finanziario. Era quindi invitabile<br />
che le Fondazioni – la fenice del<br />
vecchio potere democristiano – facessero<br />
la parte del leone. <strong>In</strong> termini di patrimonio<br />
e di lauta partecipazione nei consigli di amministrazione.<br />
Due grandi banche sono rimaste<br />
fuori dal gioco. MPS, che non riesce<br />
a svincolarsi da un ottica provinciale e<br />
sciogliere il cordone ombelicale che la lega<br />
ai Ds ed al sistema delle cooperative. E<br />
63<br />
Capitalia. Quest’ultima collegata al puzzle<br />
di Mediobanca e delle Generali.<br />
Sulle ceneri di un’antica frammentazione<br />
sono sorte due grandi potenze: Unicredit e<br />
San Paolo <strong>In</strong>tesa. Esse occupano i primi<br />
posti della classifica nazionale, ma si muovono<br />
con logiche e strategie profondamente<br />
diverse. Unicredit intende crescere soprattutto<br />
nella grande arena internazionale,<br />
disdegnando il cortile, ritenuto troppo<br />
angusto, dell’economia italiana. San Paolo<br />
<strong>In</strong>tesa ha, invece, ambizioni diverse. Il suo<br />
modello di riferimento è quello “renano”.<br />
Una grande banca generale che supporta<br />
lo sviluppo nazionale, fornendo i capitali<br />
necessari ad imprenditori capaci di competere.<br />
Alcune volte, come nel caso del<br />
prestito-ponte alla Fiat, Alessandro Profumo,<br />
l’a.d. di Unicredit, e Giovanni Bazoli,<br />
l’ispiratore di San Paolo <strong>In</strong>tesa hanno operato<br />
di concerto. Ma si è trattata di una rondine<br />
che non fa primavera. Nelle altre occasioni<br />
– da Generali a Telecom – i relativi<br />
interessi si sono dimostrati divergenti. Una<br />
sana competizione?<br />
Per rispondere bisogna distinguere. La<br />
concorrenza è proficua quando si inserisce<br />
in un sistema certo di regole che riproduce,<br />
ad un livello più alto rispetto agli interessi<br />
dei singoli attori, una condivisione degli<br />
obiettivi. Se <strong>questo</strong> non si verifica, come<br />
nel caso italiano, allora i risultati possono<br />
essere addirittura negativi. Specie se il<br />
confine tra politica ed economia non è delimitato,<br />
ma i debordamenti sono continui.<br />
È soprattutto il caso di Giovanni Bazoli. La<br />
sua biografia personale lo espone continuamente<br />
a tanti piccoli sospetti, che finiscono<br />
per creare, intorno alla sua persona,<br />
un’aureola di disincanto. Che porta ad interpretare<br />
la sua stessa strategia come<br />
qualcosa di posticcio. Semplice giustificazione<br />
teorica ed astratta contro una concretezza<br />
che invece si nutre di rapporti di
potere e di disegni al servizio di antiche<br />
frequentazioni.<br />
Ma chi è Giovanni Bazoli? È un fervente<br />
cattolico. La sua famiglia ha dato alla Chiesa<br />
un papa importante. Ma <strong>questo</strong> non basta<br />
a rievocare l’antico conflitto tra una finanza<br />
laica schierata contro la mano terrena<br />
del Signore. All’origine della sua resistibile<br />
ascesa sono, soprattutto, fatti e misfatti<br />
più antichi. Giovanni Bazoli divenne banchiere<br />
per grazia ricevuta. Con un incarico<br />
provvisorio che doveva durare sei mesi. E<br />
che invece si è trasformato in una carriera<br />
di lungo corso che non trova riscontro, salvo<br />
forse il caso di Cesare Geronzi, nell’Olimpo<br />
finanziario italiano. Il tempo della sua<br />
iniziazione avvenne quando Mino Martinazzoli<br />
era ancora segretario della Dc. Ma<br />
la trasformazione del giovane docente di<br />
diritto amministrativo all’Università Cattolica<br />
di Milano in banchiere fu opera di Beniamino<br />
Andreatta. Il Banco Ambrosiano di<br />
Roberto Calvi era naufragato sotto il peso<br />
di una delle pagine più oscure della storia<br />
italiana. Ci voleva un uomo che fosse in<br />
grado di estrarlo dalle ceneri, rilanciandone<br />
immagine e funzione.<br />
Giovanni Bazoli fece qualcosa di più. Avviò<br />
un processo di aggregazione, dal passo<br />
felpato, che trasformò nel tempo il vecchio<br />
istituto fino a farlo diventare la più forte<br />
banca italiana. <strong>In</strong>iziò dalla Cattolica del Veneto,<br />
dalla cui annessione nacque l’Ambrosiano<br />
Veneto. Quindi con la Cariplo per<br />
giungere infine all’incorporazione della Comit:<br />
quella ch’era una volta il tempio della<br />
finanza laica. La banca fondata da Giuseppe<br />
Toeplitz, nella cui cassaforte Raffaele<br />
Mattioli aveva conservato i quaderni<br />
del carcere di Antonio Gramsci. Istituto importante<br />
nella storia italiana. Traghettando<br />
nel Bel Paese l’esperienza tedesca, aveva,<br />
agli inizi del ’900, contribuito alla prima<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
64<br />
industrializzazione italiana, partecipando<br />
direttamente al capitale di molte industrie,<br />
allora nascenti. Tentazione destinata oggi<br />
a riaffiorare. Banca <strong>In</strong>tesa fu la risultante di<br />
<strong>questo</strong> processo. La scelta del nome: la<br />
sintesi di un progetto politico all’insegna di<br />
una procedura condivisa da tutti i protagonisti.<br />
Nessuna scalata ostile, quindi, ma<br />
continua ricerca del consenso. Un distillato<br />
della grande scuola democristiana dei<br />
suoi momenti migliori.<br />
San Paolo <strong>In</strong>tesa non fu altro che lo sviluppo<br />
ulteriore di questa stessa logica, all’origine<br />
della quale vi era la pazienza di<br />
una tessitura, ma anche il riflesso dei cambiamenti<br />
intervenuti negli equilibri economici<br />
del Paese. L’asse che si era, nel frattempo,<br />
formato nel triangolo tra Brescia,<br />
Milano e Torino. Brescia era anche la città<br />
dei “capitani coraggiosi”, dove si erano formati<br />
ed operavano uomini come Roberto<br />
Colaninno ed Emilio Gnutti. Non necessariamente<br />
amici. Figli comunque di una<br />
stessa epoca e dell’incubazione derivata<br />
dalla presenza di Olivetti, nel momento più<br />
bello della sua storia. Cercheranno, senza<br />
riuscirci, di dare nuova linfa ad un capitalismo<br />
italiano avviato sulla via del tramonto.<br />
Se questa è la storia di Giovanni Bazoli, riesce<br />
difficile pensare ad un suo rapporto<br />
subalterno con la politica. Esso è semmai<br />
paritario, se non addirittura rovesciato. Come<br />
avviene del resto per tutto l’establishment<br />
italiano. La leggenda di un Bazoli militante<br />
nasce dai suoi contrasti: prima con<br />
Enrico Cuccia, poi con Silvio Berlusconi.<br />
Ma la sua presenza sulla scena finanziaria<br />
italiana, come abbiamo, già detto è di più<br />
antica data. Uomo della Prima Repubblica,<br />
che la Seconda ha reso ancora più forte e<br />
potente: ponendolo al centro di un reticolo<br />
di rapporti, che lo rendono, indubbiamente,<br />
uno dei protagonisti della vita finanziaria<br />
italiana. E non solo.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Che farà ora Bazoli? Continuerà con pazienza<br />
a tessere la sua tela? Il suo archetipo,<br />
grazie anche alle antiche rimembranze<br />
della Comit, resta, come dicevamo, il<br />
“modello renano”. Una grande banca universale<br />
che assume partecipazioni industriali<br />
trasformandosi in una formidabile<br />
holding. Lo aiuta, in <strong>questo</strong> disegno, la<br />
grande liquidità dei mercati e l’unico vero<br />
punto di forza del capitalismo italiano. Una<br />
estesa ricchezza finanziaria – la più alta, in<br />
proporzione al PIL, di tutti i paesi del G8 –<br />
che finora è rimasta congelata. Depositata<br />
nelle banche e da queste, a volte, impiegata<br />
– i casi Cirio, Parmalat e i bond argentini<br />
– in operazioni avventate che hanno<br />
prodotto macerie e contribuito a distruggere<br />
antichi campioni nazionali, ch’erano<br />
in grado di competere sui mercati internazionali.<br />
Il problema è saggiare la consistenza sistemica<br />
di quel modello. <strong>In</strong>dividuando gli<br />
eventuali punti di debolezza. Essi, del resto,<br />
appaiono evidenti. Un modello è un<br />
modello. Richiede, cioè, un minimo di<br />
massa critica ed una strutturazione coerente.<br />
Non può essere, in altri termini, il<br />
vessillo solitario di un’unica banca, per<br />
quanto potente essa sia. Ma richiede ben<br />
altri ingredienti, in grado di supportarlo e<br />
renderlo sistemico. La prima condizione è<br />
che questa strategia sia condivisa dagli altri<br />
operatori finanziari. <strong>In</strong> Germania, almeno,<br />
funziona così. L’ottica industrialista non<br />
è appannaggio esclusivo di un solo istituto<br />
di credito. Ma il modo d’essere dell’intero<br />
sistema. E questa condivisione genera<br />
economie di scala. Forgia una cultura.<br />
Contribuisce alla creazione di quei servizi<br />
collaterali che sono il sale del sistema e<br />
l’antidoto contro fenomeni di possibile arrembaggio<br />
ai danni dell’ignaro risparmiatore.<br />
Presupposti che in Italia non si vedono:<br />
65<br />
almeno a giudicare dal comportamento<br />
degli altri operatori del sistema. Le cui strategie<br />
perseguono obiettivi diversi e concorrenti.<br />
Non tanto sulle scelte immediate – il<br />
che sarebbe logico e naturale – quanto nel<br />
rifiuto di questa impostazione.<br />
Occorrono poi ben altre condizioni che<br />
sfuggono dalle possibilità degli stessi banchieri.<br />
Per quanto forte sia <strong>questo</strong> potere.<br />
Lo ha detto bene Mario Monti, in un suo<br />
editoriale sul Corriere della sera. Ricordando<br />
le più antiche posizioni di Luigi Einaudi<br />
e dello stesso Beniamino Andreatta, se l’è<br />
presa con “i banchieri senza mandato”.<br />
Con coloro, cioè, che si sentono, nell’esercizio<br />
delle loro specifiche funzioni, al servizio<br />
di un interesse più generale. Compito<br />
che spetta, invece, “agli organi a ciò preposti,<br />
quali il Parlamento, il Governo, gli<br />
Enti territoriali”. <strong>In</strong> questa distinzione dei<br />
ruoli non c’è solo il distillato dell’esperienza<br />
di una democrazia liberale. Ma la consapevolezza<br />
delle difficoltà in cui si dibatte<br />
l’economia nazionale. “Procedere”, infatti,<br />
“oltre nel rendere moderno il sistema finanziario<br />
italiano, e con esso il sistema<br />
delle imprese: resta <strong>questo</strong> il miglior contributo<br />
che i banchieri possono dare, su un<br />
terreno proprio, all’interesse generale”.<br />
Evitando, comunque, “l’impressione di essere<br />
‘vicini’ o ‘amici’ di particolari forze politiche<br />
o personalità politiche”.<br />
Lezione di stile su cui meditare. Essa segna<br />
uno spartiacque ed una frattura con la<br />
storia economica più antica del Paese. Si<br />
pensi alla figura di Enrico Mattei o a quella<br />
meno nota al grande pubblico di Raffaele<br />
Mattioli. Entrambi caratterizzati da una<br />
grande passione civile. Ma con un diverso<br />
senso del limite, che impedì al secondo di<br />
varcare il confine dei rapporti diretti con la<br />
politica. Nel caso di Mattei, invece, la sua<br />
passione lo portò ad essere uno dei protagonisti<br />
non solo della vita economica italia
na, ma di quella politica. Con una caratteristica<br />
ed una coerenza, tuttavia, che non<br />
ritroviamo nel caso di Giovanni Bazoli.<br />
Obiettivo del presidente dell’ENI era la difesa<br />
dell’azienda, nel quadro di quell’economia<br />
mista, costituita dalla contemporanea<br />
presenza di aziende pubbliche e private,<br />
che segnò le caratteristiche di un’intera<br />
fase storica. Il suo rapporto con la politica<br />
fu solo strumentale alla realizzazione<br />
di quel disegno. <strong>In</strong>differente alle questioni<br />
ideologhe, Mattei ebbe rapporti con tutti i<br />
partiti politici italiani: dall’estrema sinistra<br />
all’estrema destra. Sostenne coloro che, di<br />
volta in volta, poteva dare maggiore robustezza<br />
al suo disegno strategico. Un atteggiamento<br />
che, oggi, si definirebbe bipartisan.<br />
Finalizzato all’obiettivo di mantenere<br />
integra e sviluppare un’attività industriale<br />
che, ancora oggi, costituisce un grande<br />
patrimonio collettivo.<br />
Ricorrono ancora quelle condizioni? È difficile<br />
sostenerlo. L’economia mista è tramontata<br />
per far posto a delle regole di<br />
mercato che hanno sempre più un contenuto<br />
universalistico. La specializzazione<br />
degli operatori economici è cresciuta di<br />
conseguenza. I modelli di riferimento possono<br />
essere diversi. Ma non la confusione<br />
delle regole. Il “modello renano” presuppone<br />
e vive in un’economia di mercato. Le<br />
banche partecipano all’attività industriale<br />
supportandone lo sviluppo. Ma non si sognano<br />
di invadere campi che non le competono.<br />
A guidarle, soprattutto, è la logica<br />
del rischio d’impresa e dell’efficienza. Non<br />
gli sponsor politici, cui far riferimento. Questa<br />
è la regola di base per chiunque voglia<br />
discutere di quel modello. Regola che vale<br />
per chi è impegnato nella politica. Ma soprattutto<br />
per un “banchiere senza mandato”,<br />
che deve naturalmente avere le sue<br />
idee politiche. Impedendo, tuttavia, a que-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
66<br />
st’ultime di prendere il sopravvento nell’esercizio<br />
della sua specifica funzione.<br />
Detto <strong>questo</strong>, resta naturalmente aperto il<br />
problema di un possibile confronto. Con<br />
Giovanni Bazoli vogliamo discutere non di<br />
come gestisce la sua banca. Ma di come<br />
modernizzare il Paese per reggere alle<br />
grandi sfide del momento. Siamo stati<br />
sempre a favore di un’economia sociale di<br />
mercato. Esiste pertanto un comune sentire<br />
su cui misurare, nel concreto, le politiche<br />
economiche da perseguire per realizzare<br />
un comune obiettivo. Ma è su <strong>questo</strong><br />
terreno che si manifestano, forse, le divergenze<br />
più significative. Non parliamo di<br />
teoria, ma di fatti concreti sulla base dei<br />
quali verificare le coerenze dei singoli<br />
comportamenti, in relazione ad un comune,<br />
seppure ipotetico, obiettivo.<br />
E cominciamo dal sindacato. La cui centralità<br />
nel “modello renano” è uno dei tratti<br />
significativi di quell’esperienza. Un sindacato<br />
non solo conflittuale, ma responsabile<br />
delle sorti più complessive del sistema<br />
economico. Pronto a fare la sua parte ogni<br />
qual volta sono in gioco interessi di natura<br />
superiore. Non è certo compito dei banchieri<br />
intervenire nella dinamica delle relazioni<br />
industriali. Tuttavia, in Germania, la<br />
cogestione ha prodotto istituti specifici,<br />
quali i comitati di sorveglianza, che mirano<br />
a preservare il clima di quelle relazioni. Il<br />
controllo strategico delle imprese spetta,<br />
appunto, alle forze sociali per finalizzare<br />
un impegno comune ed evitare che alla<br />
moderazione sindacale, possa corrispondere<br />
un ingiustificato aumento dei profitti,<br />
ad esclusivo vantaggio di una sola categoria<br />
sociale.<br />
<strong>In</strong> Italia, invece, quello stesso modello, caratterizzato<br />
dalla divisione dei compiti tra<br />
consiglio di amministrazione e comitato di<br />
sorveglianza, è stato, utilizzato, anche in<br />
San Paolo <strong>In</strong>tesa, per far quadrare i conti
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
di alleanze non solo economiche. Ma politiche.<br />
Come dimenticare la telefonata di<br />
Piero Fassino, quando si palesò il rischio<br />
dell’emarginazione di un suo manager di<br />
riferimento? Ecco un uso improprio ed<br />
obliquo del “modello renano”? Ed ancora.<br />
Dove sta la ragionevolezza sindacale nel<br />
caso dell’Alitalia? E perché si è continuato<br />
a finanziare un’attività ormai senza prospettive?<br />
La spiegazione è semplice. L’azienda era<br />
controllata dallo Stato. E, per definizione, lo<br />
Stato non fallisce. Ma questa considerazione<br />
vale solo per chi si limita a prestar denaro,<br />
essendo sicuro che il suo credito sarà,<br />
comunque, onorato. Chi teorizza invece<br />
una comune responsabilità, pur nella distinzione<br />
dei ruoli, non può poi essere complice<br />
di un disastro annunciato. Che forse<br />
non peserà sulle spalle della propria banca.<br />
Ma certo su quelle dell’intera collettività.<br />
È solo un caso? O non il riflesso di un’ambiguità<br />
di carattere più generale, che attiene<br />
all’insieme delle politiche economiche<br />
perseguite? Il dubbio è legittimo. Abbiamo<br />
già detto che il “modello renano” presuppone<br />
un’economia di mercato. Richiede<br />
pertanto politiche economiche coerenti<br />
con <strong>questo</strong> presupposto. Pensiamo solo<br />
alla fiscal policy. Al corrispettivo che deve<br />
unire prelievo fiscale e qualità dei servizi<br />
resi come contropartita. O all’organizzazione<br />
del mercato del lavoro, la cui flessibilità<br />
è condizione e presupposto del processo<br />
di riconversione produttiva indotto<br />
dalle mutate condizioni di carattere internazionale.<br />
Grazie al senso di responsabilità<br />
dimostrato da tutte le forze sociali, la<br />
Germania è riuscita a portare a termine un<br />
grande processo di ristrutturazione e delocalizzazione<br />
industriale, che le ha permesso<br />
di non cedere un palmo alla concorrenza<br />
internazionale. Per non parlare<br />
67<br />
poi degli assetti previdenziali: in cui l’allungamento<br />
della vita lavorativa è stato realizzato<br />
nella piena concordia nazionale. E<br />
se l’IVA è stata aumentata, <strong>questo</strong> è avvenuto<br />
soltanto perché la sua aliquota media<br />
era di gran lunga inferiore agli standard<br />
europea.<br />
Comunque la pressione fiscale era stata ridotta.<br />
Lo sarà ancora di più man mano che<br />
l’integrazione economica con i territori dell’est<br />
diventerà più stretta; riducendo il peso<br />
dei trasferimenti pubblici a loro favore.<br />
Che, dal momento dell’unificazione nazionale,<br />
hanno pesato fortemente sul bilancio<br />
federale. E poi la scuola. Una scuola che<br />
seleziona la futura classe dirigente. Che<br />
forma le nuove generazioni. Aperta al mercato<br />
ed alla competizione. Dove l’inglese è<br />
lingua parlata correntemente, per fornire a<br />
tutti gli strumenti di comunicazione in un<br />
mondo globalizzato. Questa è la Germania<br />
che ha partorito il “modello renano”.<br />
Siamo contenti che Giovanni Bazoli, nei<br />
suoi appassionati interventi, ogni tanto li ricordi.<br />
Lo stimolo di quelle parole va apprezzato<br />
e meditato. Però l’opera di convinzione<br />
dovrebbe essere orientata altrimenti.<br />
Ne parli più spesso con Di Pietro,<br />
Diliberto, Bertinotti, Pecoraro Scanio ed<br />
Epifani. È loro che deve convincere. Ci<br />
perda tutto il tempo che vuole. Ma non dimentichi<br />
quello che è successo, proprio, in<br />
Germania, con La Fontain e gli ex comunisti.<br />
La sopravvivenza di quel modello, che<br />
gli sta tanto a cuore, è stata legata all’estromissione<br />
di quelle forze da ogni prospettiva<br />
di governo. Riconoscendo loro solo<br />
un diritto di tribuna. Non spetta a noi dire<br />
se quella condizione era irrinunciabile.<br />
Ci basta osservare che dopo quella rottura<br />
un Paese in crisi – la maglia nera d’Europa<br />
– ha riacceso i motori, riconquistando<br />
rapidamente un primato, precedentemente,<br />
perduto.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
F2i: le proposte del manager<br />
di Vito Gamberale<br />
I Fondi rappresentano l’evoluzione genetica<br />
del capitalismo.<br />
Il capitalismo, infatti, ha conosciuto vari<br />
stadi: dal singolo imprenditore, alla<br />
società con più soci, alla holding con<br />
più aziende, alla corporate con articolazioni<br />
internazionali, ai fondi come<br />
mega-holding planetarie, in grado sia<br />
di aggregare rilevanti realtà, sia di<br />
esprimersi efficacemente in settori diversi.<br />
I Fondi, quindi, rappresentano i soggetti<br />
imprenditoriali moderni, capaci di aggregare<br />
risorse finanziarie importanti,<br />
per sviluppare politiche industriali adeguate<br />
ad una economia globalizzata.<br />
Per capire l’importanza e la dimensione<br />
dei fondi operanti nel Mondo, si può<br />
riflettere sui dati aggregati riportati in<br />
tabella.<br />
Fondi operanti nel mondo a fine 2006:<br />
Numero fondi: 2.700<br />
Raccolta globale di capitale: 500 mld $<br />
Dotazione media: 185 mln $<br />
Potere d’acquisto complessivo stimato:2.500 mld $<br />
Ranking fondi:<br />
Risorse per oltre 1 mld $: 115 fondi<br />
Risorse per oltre 2 mld $: 65 fondi<br />
Risorse per oltre 3 mld $: 45 fondi<br />
68<br />
Come si vede, con 500 Mld di dollari<br />
raccolti, l’aggregato dei fondi ha una<br />
capacità di spesa pari a c.a 2500 Mld<br />
di dollari ossia circa due volte il Pil della<br />
nostra nazione!<br />
Col tempo i Fondi hanno evidenziato<br />
anche una tendenza alla specializzazione:<br />
private equity puri, a rapido<br />
turn-over (4/5 anni); restracturing, per<br />
casi di ristrutturazioni; destressed<br />
compenies fund per gestire il turnaround<br />
di aziende dissestate; infrastructures<br />
fund, focalizzati sulle infrastrutture,<br />
con caratteristiche di stabilità<br />
e lunghi tempi, connessi ai sistemi<br />
concessionari sottostanti.<br />
<strong>In</strong> più, per i Fondi, si è aggiunta una<br />
tendenza alla delimitazione geografica<br />
dell’attività.
Il sistema infrastrutturale in Italia<br />
Con queste premesse di evoluzione<br />
del capitalismo si è ritenuto di dar vita<br />
ad un fondo infrastrutturale, focalizzato<br />
in Italia, anche per dare una risposta<br />
adeguata ad una delle emergenze nazionali.<br />
Il Paese ha accumulato un enorme<br />
gap nelle infrastrutture.<br />
Tutti gli indici comparativi ci vedono in<br />
posizione di retroguardia (Fonti: AN-<br />
CE, Ecoter-Confindustria, Ai park, Eurostat,<br />
Sycabel, European Media Association):<br />
- autostrade<br />
(Km/milioni di abitanti)<br />
Italia: 113 - Europa: 180<br />
- porti turistici<br />
(Km di costa serviti per porto)<br />
Italia: 73 - Europa: 6,5<br />
- parcheggi (posti auto nelle grandi<br />
città, rebased 100)<br />
Italia: 100 - Europa: 650<br />
- elettrodotti (rebased 100)<br />
Italia:100 - Europa:128<br />
- accesso banda larga<br />
(linee 1000 abitanti)<br />
Italia:136 - Europa:160<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Le proprietà di questi assets sono variegate:<br />
taluni sono stati privatizzati,<br />
talaltri sono di proprietà di Enti pubblici<br />
locali.<br />
<strong>In</strong> generale, tranne poche eccezioni,<br />
non traspare, da parte dei privati, una<br />
forte e reale focalizzazione strategica<br />
sulla gestione efficiente degli asset e<br />
sulla concreta volontà di impegnarsi<br />
nello sviluppo di nuove infrastrutture.<br />
69<br />
Taluni recenti casi hanno dimostrato<br />
che, quando c’è da investire, taluni privati<br />
si defilano.<br />
D’altra parte gli Enti pubblici locali non<br />
riescono ad impegnarsi in una gestione<br />
efficiente e ancor meno ad assicurare<br />
le risorse necessarie allo sviluppo.<br />
Il Governo peraltro non ha risorse da<br />
investire nelle infrastrutture; fa già fatica<br />
a reperire il fabbisogno per portare<br />
avanti i cantieri aperti.<br />
Da qui nacque – nel 2004 – la riflessione<br />
di promuovere, in Italia, un fondo,<br />
importante come capitali raccolti,<br />
da specializzare nelle infrastrutture.<br />
A quel tempo si pensava che potesse<br />
esserne promotore un importante<br />
gruppo infrastrutturale italiano.<br />
Non se ne fece nulla, perché prevalsero<br />
altre visioni.<br />
Ora quel progetto, quello stesso progetto,<br />
ha preso forma e si va realizzando,<br />
sulla base della convergente<br />
visione di manager esperti, di primari<br />
gruppi finanziari italiani, di due importanti<br />
banche internazionali.<br />
F2i: il Fondo Italiano<br />
per le <strong>In</strong>frastrutture<br />
Il Fondo Italiano per le <strong>In</strong>frastrutture<br />
(“F2i”) ha l’obiettivo di affermarsi, come<br />
campione di riferimento in Italia,<br />
nel settore degli investimenti infrastrutturali.<br />
La dotazione patrimoniale del Fondo<br />
sarà pari ad almeno 2 miliardi di euro;<br />
F2i sarà focalizzato su una prevalente<br />
pipeline domestica, concentrata nel<br />
brownfield, mantenendo comunque un<br />
orizzonte di riferimento Europeo. Il<br />
Fondo sarà aperto anche a progetti<br />
greenfield.<br />
Gli Sponsor di F2i sono, come detto,<br />
importanti istituzioni finanziarie italiane
ed estere: Cassa Depositi e Prestiti,<br />
UniCredit, Banca <strong>In</strong>tesa, le principali<br />
Fondazioni Bancarie, la Cassa Previdenziale<br />
dei Geometri, <strong>In</strong>arcassa e<br />
Lehman Brothers.<br />
È inoltre previsto l’ingresso, nel capitale<br />
della Società di Gestione e nel Fondo,<br />
di una seconda Banca internazionale.<br />
<strong>In</strong> definitiva, il basket dei Promotori è<br />
costituito da:<br />
* Sponsor bancari da tempo attivi nel<br />
finanziamento di infrastrutture<br />
* “Sistema Fondazioni”, principale investitore<br />
equity del sistema finanziario<br />
italiano e già investitore in asset infrastrutturali;<br />
* Casse Previdenziali, che, per la prima<br />
volta, avviano strategie d’investimento<br />
in linea con i mitici “fondi pensioni”.<br />
L’operatività di F2i sarà orientata al rispetto<br />
delle best-practices di mercato<br />
e la struttura di governance adottata<br />
garantirà trasparenza per tutti i sottoscrittori.<br />
Il Team demandato agli investiment<br />
apporta un’importante esperienza<br />
di gestione nel campo delle infrastrutture<br />
e delle concessioni. È la<br />
base per disporre di una concreta potenzialità<br />
di deal origination nel campo<br />
infrastrutturale.<br />
Il target di raccolta, non inferiore a 2<br />
Mld di Euro, rappresenta una massa<br />
critica adeguata per effettuare investimenti<br />
rilevanti (capacità di leva fino a<br />
4-5 volte).<br />
L’ottica di investimento sarà di mediolungo<br />
periodo, al fine di garantire stabilità<br />
all’assetto azionario delle società<br />
partecipate e cashflow impegnato per<br />
lo sviluppo delle infrastrutture.<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
70<br />
F2i sarà, per dimensione, tra i primi al<br />
mondo, come fondo focalizzato sulle<br />
infrastrutture.<br />
I principali settori di intervento sono<br />
così schematizzabili:<br />
Strategie di investimento di F2i<br />
Il Fondo opererà nel pieno rispetto delle<br />
regole del mercato, sia come<br />
costi/rendimento, che come governance.<br />
Anzi è sua ambizione proporsi tra<br />
le best-practices del comparto.<br />
<strong>In</strong>fatti i principali riferimenti operativi/<br />
organizzativi saranno i seguenti:<br />
- Management fee (ossia costi della<br />
gestione per l’investitore): 1,2% annuo,<br />
contro una media di 1,8-2%;<br />
- IRR Target (ossia rendimenti attesi):<br />
10-12%;<br />
- Hurdle rate (ossia rendimento minimo<br />
per la maturazione del carried interest):<br />
8%;<br />
- Durata: 15 anni, con l’eventuale aggiunta<br />
di 3 anni per i disinvestimenti;<br />
- <strong>In</strong>vestment period: 5 anni;<br />
- Valorizzazione:<br />
• IPO del Fondo (quotazione in borsa)<br />
dopo l’investment period;<br />
• IPO per i singoli assets;<br />
- Governance:<br />
• <strong>In</strong>vestment Committee per la selezione<br />
degli investimenti, basata sui top<br />
managers della SGR e su esperti indicati<br />
dai soci bancari;<br />
• Comitato conflitti (vera eccezione nei<br />
Fondi) per il monitoraggio dei conflitti<br />
d’interesse, costituito da indipendenti<br />
(e perciò non “pendenti”) scelti dai Limited<br />
Partners (cioè dagli investitori<br />
di mercato);<br />
• Advisory board per il supporto ed il<br />
monitoraggio delle strategie del Fondo,<br />
scelti dai Limited Partners.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Sulla base di <strong>questo</strong> profilo operativo/organizzativo,<br />
il Fondo, come più<br />
volte detto, si prefigge di raccogliere<br />
oltre 2 Mld di euro di cui:<br />
- 1050 Mil di euro provenienti dai 14<br />
sponsors<br />
- 1000 Mil di euro provenienti dai mercati<br />
internazionali, essenzialmente anglo-americani,<br />
la cui raccolta è affidata<br />
al Placement Agent Citigroup;<br />
- 100 Mil di euro impegnati dallo stesso<br />
Placement Agent;<br />
- x Mil di euro da UBM, scelto come<br />
Placement Agent per l’Italia, l’Austria e<br />
la Germania;<br />
- y Mil di euro da un marginale direct<br />
Placement, in Italia, di F2i.<br />
La compagine sociale della SGR, la<br />
società di gestione del Fondo, è la seguente:<br />
I soci non hanno sottoscritto alcun patto<br />
di sindacato. Nessun socio ha diritti<br />
particolari o golden share.<br />
Il CdA della SGR, costituito da 11<br />
membri, prende le decisioni a maggioranza<br />
dei presenti.<br />
Una riflessione sul profilo dei più naturali<br />
investitori in un Fondo per le infrastrutture.<br />
Essi sono, per lo più, soggetti finanziari<br />
interessati a redditività costante nel<br />
tempo, perché investitori di lungo periodo.<br />
Quindi:<br />
* Fondi pensione<br />
* Fondi che gestiscono patrimoni dello<br />
Stato (quali, State of New York, State<br />
of California, Borealis, Ontario Teachers,<br />
ecc.)<br />
<strong>In</strong> Europa, gli omologhi sono, oltre alle<br />
normali banche commerciali nella loro<br />
strategia di asset allocation: la Caisse<br />
71<br />
des Depots in Francia, Kfw in Germania,<br />
la Cassa Depositi e Prestiti in Italia,<br />
ICO in Spagna, ecc.<br />
Sembra pertanto naturale e scontata la<br />
partecipazione, in F2i, anche della<br />
Cassa Depositi e Prestiti, al pari di<br />
quanto fanno tutte le simili organizzazioni,<br />
in vari paesi del Mondo.<br />
Conclusioni<br />
F2i può rappresentare la più moderna<br />
ed ambiziosa iniziativa finanziaria sorta<br />
in Italia negli ultimi tempi, rigorosamente<br />
orientata al mercato ed alla trasparenza.<br />
Promotori ne sono talune tra le più importanti<br />
e moderne strutture finanziarie<br />
italiane e straniere, e un team manageriale,<br />
esperto e coeso.<br />
F2i può rappresentare, per le infrastrutture<br />
italiane,un azionista di stabilità,<br />
illuminato e moderno, impegnato e<br />
proiettato all’efficienza ed all’ammodernamento<br />
delle opere esistenti ed al<br />
loro sviluppo, per offrire e garantire un<br />
servizio scrupoloso agli utenti. F2i<br />
vuole essere una concreta risorsa per<br />
il Paese.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
F2i: il parere dell’economista<br />
di Francesco Forte<br />
Ci sono molte cose che non convincono,<br />
in questa esposizione di Vito Gamberale.<br />
La prima è che la Cassa Depositi e<br />
Prestiti partecipi, con una quota minoritaria,<br />
a un Fondo per infrastrutture<br />
che, a dispetto della sua denominazione,<br />
non ha finalità di preciso interesse<br />
pubblico. E che, ad esempio, potrebbe<br />
anche investire in case circondariali e<br />
di rieducazione, come spiega l’ingegner<br />
Gamberane nel prospetto del suo<br />
scritto.<br />
La Cassa, d’altro canto, con questa attività<br />
si porrebbe dei compiti alternativi<br />
e concorrenti con quelli istituzionali di<br />
finanziamento degli enti locali. Mi domando<br />
se ciò non comporti una grave<br />
deviazione della Cassa dai suoi compiti<br />
istituzionali. Non è un problema di<br />
Gamberale. Ma del governo italiano,<br />
nella persona del Ministro che sovrintende<br />
alla Cassa.<br />
La seconda cosa che lascia insoddisfatti<br />
riguarda la natura di <strong>questo</strong> Fondo.<br />
Sembrerebbe di capire che è un<br />
fondo chiuso. Ma non viene detto. Potrebbe<br />
darsi che sia vero il contrario e<br />
che le quote di partecipazione ad esso<br />
possano aumentare. Sarebbe utile che<br />
se ne chiarisse la natura giuridica anche<br />
perché vi partecipa lo stato, tramite<br />
la Cassa Depositi e Prestiti.<br />
72<br />
La terza osservazione concerne gli obbiettivi<br />
del Fondo , che parrebbe impegnato<br />
a investire in infrastrutture la<br />
estrema nebulosità della nozione di infrastrutture<br />
che risulta da <strong>questo</strong> prospetto.<br />
Essa si allarga alle attività più<br />
disparate. E non si riesce a comprendere<br />
quale sia la ragione di questa<br />
mancanza di specializzazione.<br />
C’era proprio bisogno di un nuovo fondo<br />
a prevalenza bancaria , con la palese<br />
sponsorizzazione dello stato e<br />
con una sua partecipazione al finanziamento<br />
mediante la Cassa Depositi<br />
e Prestiti , per gli investimenti in parcheggi<br />
e istituti di cura? Perché lo stato<br />
deve spendere per cose di competenza<br />
privata, associandosi , in minoranza,<br />
a privati, che, così, hanno un<br />
promotore pubblico dei propri affari? <strong>In</strong><br />
particolare, quando il Fondo investirà<br />
in sfere di competenza o interesse degli<br />
enti locali, non ci sarà un imbarazzante<br />
privilegio derivante dal fatto che<br />
per un comune è difficile dire di no alla<br />
Cassa Depositi e Prestiti da cui dipende<br />
per tanti propri investimenti?<br />
Il Fondo viene presentato come un<br />
operatore finanziario a larga base<br />
azionaria, in cui nessuno comanda.<br />
Ma un rapido calcolo fa capire che in<br />
esso vi è un gruppo di controllo costituito<br />
da Banca <strong>In</strong>tesa, da fondazioni
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
bancarie ad essa collegate e dalla<br />
Cassa Depositi e Prestiti di cui è amministratore<br />
delegato Alfonso Jozzo<br />
l’ex uomo di punta del San Paolo IMI,<br />
che ora fa parte del gruppo <strong>In</strong>tesa San<br />
Paolo.<br />
<strong>In</strong>fatti, assieme, <strong>In</strong>tesa e Cassa Depositi<br />
e Presti hanno il 28,6% del Fondo.<br />
Se a ciò si somma il 22,9 delle Fondazioni<br />
bancarie si raggiunge il 51,5. <strong>In</strong><br />
sostanza si tratta di una operazione<br />
governata da Banca <strong>In</strong>tesa. Gamberale<br />
ha ragiona a dire che in Italia vi è un<br />
ruolo per i Fondi di investimento. Ma in<br />
una corretta economia di mercato, di<br />
<strong>questo</strong> Fondo lo stato non si dovrebbe<br />
impicciare. Dopo di che le banche e le<br />
fondazioni bancarie possono investire<br />
i loro mezzi nelle iniziative che credono,<br />
in concorrenza con altri operatori.<br />
Ad esempio anche in Telecom Italia.<br />
Ma evidentemente proprio la natura<br />
ibrida di <strong>questo</strong> Fondo e le critiche che<br />
ciò ha sollevato hanno indotto <strong>In</strong>tesa a<br />
non adoperarlo per la cordata che sta<br />
cercando di mettere insieme per il controllo<br />
di Telecom Italia tramite Olimpia.<br />
Non mi pare che Gamberale, che ha<br />
una eccellente reputazione come manager<br />
ci guadagni in <strong>questo</strong> fritto misto<br />
fra nuova economia e vecchio intreccio<br />
di politica e affari.<br />
73<br />
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BIETTI<br />
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De Marchi anticipa alcuni tratti essenziali di una<br />
società autenticamente liberale e ipotizza il vero<br />
nuovo scontro «di classe» che è il fulcro della<br />
nuova «Rivoluzione Liberale» per il superamento<br />
della società assistenziale. Produttori<br />
contro burocrati, in una battaglia la cui posta è<br />
la scelta tra un futuro progresso civile e l’inevitabile<br />
decadenza. L’autore, che è anche consulente<br />
della Confindustria, con <strong>questo</strong> testo apre<br />
una polemica che influenzerà visibilmente il dibattito<br />
tra liberali e dirigisti nei prossimi anni.<br />
PER GLI EMERGENTI AMANTI<br />
DELLE SFIDE DEL FUTURO<br />
Luigi De Marchi, psicologo, politologo, saggista<br />
ed esponente delle battaglie per i diritti<br />
civili. Già iniziatore e presidente delle scuole<br />
psicologiche di Reich e Lowen in Italia. Attualmente<br />
dirige l’Istituto di Psicologia Umanistica<br />
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l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Le telecomunicazioni<br />
per lo sviluppo del paese<br />
di Luigi De Vecchis*<br />
L’innovazione tecnologica ed il suo impatto<br />
sulla modernizzazione delle industrie<br />
e sull’economia dei paesi, hanno<br />
generalmente come conseguenza<br />
la nascita di nuove imprese e di nuove<br />
inziative da cui scaturiscono successi<br />
e fallimenti, accumulo e perdita di<br />
grandi fortune, eccessi o recessi borsistici.<br />
Tali fatti sono portatori, comunque, di<br />
nuove forme di conoscenza, impongono<br />
velocità di decisione ed una forte<br />
attenzione ai segnali di oggi per potere<br />
tradurre in piani industriali efficaci le<br />
strategie di sviluppo delle aziende. Si<br />
forma una nuova classe dirigente.<br />
L’economia dei paesi e le società stesse<br />
saranno fortemente influenzate dall’innovazione<br />
tecnologica, da nuove<br />
forme di comunicazione, dalla velocità<br />
con la quale circolano le informazioni,<br />
dalla riduzione delle distanze in tutti i<br />
sensi. Logistica e stoccaggio hanno<br />
già cambiato il profilo delle nuove società;<br />
la capacità di gestione, di trasporto,<br />
di utilizzo delle risorse, di comunicazione<br />
ed i costi associati a tali<br />
servizi, saranno fondamentali per la<br />
competizione e lo sviluppo del sistema<br />
paese. La capacità di creare valore da<br />
parte di un’impresa, dipende da alcuni<br />
elementi caratteristici dell’ambiente in<br />
cui opera e dalle misure realizzate dal-<br />
74<br />
l’impresa per competere. È ovvio che<br />
la cultura della competitività si sviluppa<br />
solo in situazioni di mercato aperto.<br />
La “Governance” è uno degli strumenti<br />
impiegati dal vertice aziendale per predisporre<br />
la strategia competitiva dell’azienda,<br />
indicare le direzioni della crescita,<br />
affinare e precisare i contenuti<br />
dei programmi a supporto delle azioni<br />
di indirizzo e controllo della società.<br />
La tenacia e la forza per seguire le linee<br />
di sviluppo delineate e la comunicazione<br />
efficace sono le leve fondamentali<br />
per consentire all’azienda di<br />
attrarre risorse umane pregiate dal<br />
mercato, ma anche per ottenere la fiducia<br />
del mercato finanziario e degli<br />
investitori istituzionali ai progetti intrapresi.<br />
Il contributo delle telecomunicazioni<br />
allo sviluppo del paese<br />
La disponibilità della banda larga,<br />
quella attualmente utilizzabile, ma non<br />
ancora quella necessaria per poter<br />
pienamente usufruire di tutti i servizi di<br />
cui tanto si parla (Tv ad alta definizione,<br />
applicazioni informatiche centralizzate,<br />
scambio di grandi quantità di dati<br />
per operazioni sul territorio, il telelavoro,<br />
la teledidattica, ecc.), raggiunge<br />
circa la metà della popolazione quasi<br />
tutta concentrata nei grandi centri ur-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
bani. Appena si esce fuori da questi il<br />
concetto di banda larga diventa molto<br />
vago.<br />
Quel fino a 20 Mb di cui si parla si riduce<br />
a qualche Mb e addirittura alcune<br />
centinaia di Kb, per di piu fortemente<br />
asimmetrici, in molte aree. <strong>In</strong> aggiunta,<br />
se fossero veramente disponibili i 20<br />
mb simmetrici di cui tanto si parla, allora<br />
la rete di supporto dovrebbe essere<br />
rivisitata e, con molta probabilità, ridisegnata<br />
ed ampliata verso quella<br />
che oggi viene definita come la NGN<br />
(Next Generation Network).<br />
Nella attuale situazione in cui verte il<br />
nostro paese, se lo sviluppo della banda<br />
larga è affidato solamente agli operatori<br />
guidati da giuste logiche di mercato<br />
e profitto ed ai piani di investimenti<br />
a supporto delle strategie di sviluppo<br />
della rete,la conseguenza, per il<br />
10% della popolazione cui però corrisponde<br />
una porzione elevata (circa il<br />
40 %) dei Comuni e del territorio, è che<br />
la banda larga non arriverà mai, impedendo<br />
quindi di distribuire quel processo<br />
di democratizzazione che le tecnologie<br />
comportano ovvero la capacità di<br />
offrire a tutti gli stessi strumenti.<br />
Queste aree caratterizzate da collegamenti<br />
a bassa velocità ed identificate<br />
dal neologismo “Digital Devide”, sono<br />
aree distribuite in tutto il paese, spesso<br />
sono aree turistiche che ospitano turisti<br />
evoluti abituati all’uso spinto di internet,<br />
sono aree industriali dove le multinazionali<br />
investono, ma soprattutto sono<br />
aree dove esistono insediamenti<br />
pubblici e privati quali ospedali, banche,<br />
uffici postali, centri logistici e di<br />
produzione, snodi marittimi e ferroviari.<br />
La tecnologia per colmare il gap tecno-<br />
75<br />
logico ed indirizzare nell’immediato il<br />
problema della banda larga esiste, si<br />
chiama WiMax, ed i tempi per realizzare<br />
una rete di accesso con questa tecnolgia<br />
sono 1/4 rispetto alle tecnologie<br />
alternative ed i costi di realizzazione<br />
sono 1/10 dei costi previsti per la tecnologia<br />
tradizionale.<br />
È chiaro che la rete di accesso da sola<br />
non elimina il problema del Digital<br />
Device, ma nel caso in cui fosse disponibile<br />
una rete di accesso a larga banda<br />
ed equamente distribuita sul territorio<br />
del paese, una rete autonoma realizzata<br />
da un soggetto terzo privato o<br />
pubblico che sia che disponga di una<br />
licenza di network provider, una rete<br />
messa a fattor comune tra tutti gli operatori<br />
del servizio di telecomunicazioni,<br />
allora questi ultimi dovrebbero poter<br />
affrancarsi da investimenti indirizzati<br />
alla copertura del paese e concentrarsi<br />
sulla rete di trasporto e sui servizi da<br />
offrire al mercato.<br />
<strong>In</strong> altre parole gli operatori dovrebbero<br />
arrivare vicino ai potenziali Clienti con<br />
tecnologie, infrastrutture e servizi attraverso<br />
cui competere tra loro per offrire<br />
reali vantaggi agli utenti ed utilizzare<br />
la rete di accesso comune per arrivare<br />
in casa dei Clienti. Una sorta di<br />
gara dove gli operatori sono come i<br />
centometristi ai blocchi di partenza tutti<br />
sulla stessa linea.<br />
Le tecnologie, anche se quelle nuove<br />
vengono guardate spesso con diffidenza<br />
dagli operatori perché l’adeguamento<br />
agli standard è progressivo e<br />
impiega del tempo prima di stabilizzarsi,<br />
sono disponibili come accennavo<br />
prima e costituiscono un vero vantaggio<br />
competitivo che non può essere<br />
trascurato.
<strong>In</strong> una sua relazione tecnica il prof.<br />
Pontarollo, docente del politecnico di<br />
Milano, afferma che l’innovazione tecnologica<br />
vincente che irrompe nei cicli<br />
di sviluppo tradizionali, segue un suo<br />
percorso e si afferma in modo autonomo<br />
rispetto ai percorsi che si determinano<br />
sulla base degli interessi e dei<br />
comportamenti delle imprese e degli<br />
operatori. Il nostro paese ha bisogno<br />
di cambiare modelli di comportamento<br />
e di agire in modo nuovo con nuove<br />
idee. Questa è la via per essere “trend<br />
setter” e non follower quando è necessario<br />
accelerare per recuperare le distanze<br />
accumulate.<br />
Dopo due anni di inutili test della tecnologia<br />
e di difficili negoziazioni tra Ministero<br />
delle Comunicazioni e Ministero<br />
della Difesa, finalmente l’accordo è<br />
stato raggiunto per liberare le frequenze<br />
di lavoro della tecnologia WiMax.<br />
Ora è necessario definire le regole di<br />
utilizzo ed affrontare il tema dei costi<br />
delle licenze che, mi auguro, non siano<br />
quelli delle frequenze rilasciate per<br />
l’UMTS, la rete cellulare di terza generazione.<br />
È evidente che <strong>questo</strong> richiederà la definizione<br />
di un quadro normativo e di regole<br />
per lo sviluppo reale della concorrenza<br />
che si attendono da diverso tempo.<br />
Queste regole dovranno, a nostro<br />
giudizio, tenere anche conto delle attese<br />
di qualità e disponibilità del servizio<br />
che l’utente si aspetta dal fornitore.<br />
Come evidenziato in precedenza, gli<br />
investimenti per trasformare la rete sono<br />
rilevanti. Se non c’è una domanda<br />
adeguata, l’offerta tarda ad arrivare e,<br />
dal momento che l’impresa deve orientarsi<br />
al profitto, è evidente che le prio-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
76<br />
rità di investimento si rivolgono a quelle<br />
aree dove il ritorno calcolato dell’investimento<br />
da fare è maggiore.<br />
Alcuni anni or sono, negli Usa, l’amministrazione<br />
Clinton ha applicato una ricetta,<br />
ovvero una finanziaria, che ha<br />
permesso di realizzare il boom economico<br />
piu’ lungo della storia ed è la<br />
stessa ricetta che il Ministro del tesoro<br />
di Clinton (Rubin), sta rilanciando ora<br />
nel congresso dei democratici:<br />
• aumento delle tasse,<br />
• taglio alla spesa pubblica particolamente<br />
la spesa nelle Forze Armate,<br />
• grande incentivo agli investimenti attraverso<br />
un programma di focalizzazione<br />
e razionalizzazione della spesa<br />
pubblica. Spesa che esiste ed è enorme.<br />
Se ricordate ha favorito lo sviluppo<br />
delle autostrade dell’informazione con<br />
un progetto allora molto avveniristico.<br />
Non lo ha fatto con investimenti o sussidi<br />
particolari all’industria, ha semplicemente<br />
convogliato le necessità di<br />
acquisto della PA con un progetto lungimirante<br />
e globale verso le aziende<br />
ICT fornitrici delle tecnologie che hanno<br />
indirizzato le proprie energie per<br />
soddisfare le esigenze di una domanda<br />
particolarmente forte.<br />
Questo ha dimostrato che non è necessario<br />
individuare risorse straordinarie<br />
da destinare all’innovazione, basta<br />
semplicemente indirizzare in modo<br />
razionale e con una visione universale<br />
i bisogni della PA per migliorare la qualità<br />
dei servizi, semplificare i processi,<br />
ridurre i consumi a parità di efficacia.<br />
<strong>In</strong> altre parole agendo sulla domanda<br />
per sollecitare l’offerta e quindi l’innovazone<br />
e gli investimenti.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
È evidente che il modello di business<br />
deve essere ripensato alla luce delle<br />
esigenze che emergono dalle nuove<br />
tecnologie.<br />
Conseguenza della riduzione<br />
di investimenti<br />
Il settore delle Telecomunicazioni cui<br />
oggi si fa riferimento per misurare lo<br />
stato di salute del comparto, è quello<br />
degli operatori del servizio di telefonia<br />
(mobile e fissa) e quello emergente<br />
della convergenza tra telecomunicazioni<br />
e media (televisione su internet e<br />
su telefonino). Questo aspetto misura<br />
la quantità di traffico telefonico che<br />
transita attraverso le reti ed il <strong>numero</strong><br />
di utenti che utilizzano il telefono cellulare<br />
o il videofonino.<br />
È totalmente trascurata la voce investimenti<br />
per i servizi e le infrastrutture<br />
che alimentano l’industria produttiva e<br />
le multinazionali che, presenti in Italia,<br />
si avvalgono delle maestranze offerte<br />
dalla piccola media industria italiana.<br />
Questo settore è oramai da anni in<br />
continuo declino a causa della contrazione<br />
della spesa degli operatori. Le<br />
poche multinazionali presenti in Italia<br />
che ancora investono in innovazione e<br />
produzione degli apparati ovvero quella<br />
parte dell’industria che genera occupazione/disoccupazione<br />
ed esporta<br />
verso altri paesi prodotti che contribuiscono<br />
alla crescita o decrescita del<br />
PIL, sta gradualmente, ma inesorabilmente,<br />
concentrando le proprie attività<br />
produttive e di ricerca su paesi che offrono<br />
notevoli vantaggi di costo (Cina,<br />
<strong>In</strong>dia).<br />
Il risultato in Italia è evidente: chiusura<br />
o ridimensionamento di impianti produttivi,<br />
spostamento dei centri di Ri-<br />
77<br />
cerca e Sviluppo, disoccupazione crescente<br />
nel settore.<br />
Un rapporto della Comunità Europea<br />
sulla Banda Larga afferma che le reti<br />
di telecomunicazione ad alta velocità<br />
sono un bene prezioso come le reti<br />
elettriche ed idriche per i paesi in via di<br />
sviluppo. Queste reti contribuiranno allo<br />
sviluppo dei paesi in modo determinante<br />
ed il loro apporto economico al<br />
Prodotto <strong>In</strong>terno Lordo sarà decisivo<br />
per riposizionare i parametri economici<br />
entro i livelli di guardia soprattutto<br />
nei paesi dove debito e PIL sono molto<br />
vicini. I paesi in ritardo non riusciranno<br />
mai a colmare il GAP con i paesi<br />
più avanzati.<br />
Questa è la sfida per il nostro paese<br />
ed il comparto delle telecomunicazioni<br />
è cosi importante per lo sviluppo dell’Italia<br />
che non possiamo più permetterci<br />
il lusso di continuare a frammentare e<br />
privatizzare senza avere come riferimento<br />
un piano di sviluppo delle infrastrutture<br />
del nostro paese.<br />
*Luigi De Vecchis<br />
Presidente Gruppo Telecomunicazione<br />
ANIE - Confindustria
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Energia: rischi e opportunità<br />
di Alessandro Clerici*<br />
L’energia in generale e l’energia elettrica<br />
in particolare, stanno sempre più diventando<br />
i fattori fondamentali per lo sviluppo,<br />
la prosperità, la salute e la sicurezza<br />
dei cittadini.<br />
L’Italia con i suoi consumi energetici lordi<br />
pari a 195 MTEP, dipende per oltre l’85%<br />
dalle importazioni; tale percentuale è, e<br />
sarà, in continua crescita a causa della<br />
progressiva diminuzione del contributo<br />
da petrolio e gas nazionali, in parte collegata<br />
anche alle opposizioni ambientali<br />
per lo sfruttamento di nuovi giacimenti.<br />
Nel 2006, rispetto al 2005, la produzione<br />
nazionale di petrolio e gas è diminuita del<br />
6% e dell’8% rispettivamente.<br />
Considerando a livello mondiale la localizzazione<br />
disomogenea delle fonti primarie<br />
rispetto ai consumi e tenendo in<br />
conto i riflessi dell’energia sull’ambiente,<br />
occorre chiaramente inquadrare il “nostro<br />
problema energetico” nel contesto europeo<br />
e mondiale, evitando dannose “vulnerabilità”<br />
per l’Italia.<br />
Pur tenendo in conto il grande aumento<br />
percentuale che le “nuove fonti rinnovabili”<br />
hanno avuto e stanno avendo ogni<br />
anno nel mix energetico globale, considerando<br />
in termini assoluti sia il loro contributo<br />
attuale sia quello nel prossimo futuro,<br />
occorre avere un approccio non<br />
ideologico, ma pragmatico basato su fatti<br />
e dati.<br />
Una corretta politica energetica Italiana<br />
non può essere focalizzata solo sulle risorse<br />
rinnovabili, ma deve considerare<br />
78<br />
sia tutte le possibili fonti (con una corretta<br />
valutazione dei loro vantaggi e delle loro<br />
esternabilità), sia l’efficienza energetica<br />
e sia la competitività del paese.<br />
Negli ultimi dieci anni la popolazione<br />
mondiale è aumentata del 12% e l’Est ed<br />
il Sud Est Asiatico contano ora il 55% dei<br />
6,5 miliardi di esseri umani che vivono<br />
sul nostro pianeta; i consumi delle fonti<br />
primarie e di energia sono aumentati del<br />
20% e quelli di elettricità del 32%.<br />
Il tasso di penetrazione dell’elettricità è in<br />
continua crescita data la sua facile e pervasiva<br />
utilizzazione in tutti i settori: industriale,<br />
domestico e terziario.<br />
Il petrolio contribuisce ora ai consumi di<br />
energia primaria nel mondo con il 36%<br />
(Italia 43%), seguito dal carbone con il<br />
25% (Italia 9%) e dal gas con il 21% (Italia<br />
~ 36%); tutte le altre fonti non fossili<br />
(come importazione di energia elettrica,<br />
idroelettrico, nucleare, biomasse, “nuove<br />
rinnovabili” e geotermico) contano per il<br />
18% (Italia 12% non avendo nucleare).<br />
Al 2050, anche in ambito di una politica<br />
“non business as usual” ma con ampio<br />
sviluppo del risparmio energetico (lasciatemelo<br />
chiamare “efficienza energetica”)<br />
il consumo delle fonti primarie di energia,<br />
secondo la IEA (<strong>In</strong>ternational Energy<br />
Agency) è previsto raddoppiare e quello<br />
di elettricità triplicare.<br />
Per quanto riguarda le possibili riserve di<br />
combustibili fossili [1], il rapporto R/P tra
iserve ad oggi accertate (R) e produzione<br />
attuale (P) risulta praticamente:<br />
• 40 anni per il petrolio<br />
• 60 anni per il gas naturale<br />
• 200 anni per il carbone<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Vale la pena di ricordare che agli inizi degli<br />
anni ’60 si prevedeva una vita residua<br />
per il petrolio di soli 40 anni; l’ingegnosità<br />
umana e le tecnologie di esplorazione<br />
ed estrazione hanno permesso di trovare<br />
e sfruttare a livello economico nuovi giacimenti<br />
una volta impensabili. Vale la pena<br />
di ricordare che il petrolio a prezzi stabili<br />
superiori ai 50-55 €/barile rende già<br />
conveniente lo sfruttamento di scisti bituminosi<br />
ed olii extra pesanti; le riserve del<br />
Canada, Stati Uniti e Venezuela sono<br />
enormi e superano di 10 volte quelle del<br />
petrolio convenzionale.<br />
Chiaramente non esiste quindi una scarsità<br />
di risorse fossili, ma occorrerà implementare<br />
le tecnologie in fase di sviluppo<br />
per “bruciarle” praticamente ad emissioni<br />
nulle di CO2.<br />
La produzione di energia elettrica a livello<br />
mondiale vede ora come fonti primarie<br />
il carbone con il 39% seguito da gas<br />
17%, idroelettrico 16%, nucleare 16%,<br />
petrolio 7%, altro 5%.<br />
L’eolico contribuisce con lo 0,8% ed il fotovoltaico<br />
con lo 0,3 ‰.<br />
Occorre notare che il solare termico<br />
(pannelli per acqua calda) ha una produzione<br />
di energia circa 20 volte superiore<br />
a quella del fotovoltaico ed il 65%<br />
è in Cina.<br />
Per l’Italia nel 2006, a parte i circa<br />
45TWh elettrici di importazione, i ~315<br />
TWh di produzione lorda nazionale, sono<br />
così suddivisi per fonte: gas ~51%, carbone<br />
15%, idroelettrico ~13,5%, prodotti<br />
79<br />
petroliferi 12%, geotermico ~1,8%, eolico<br />
e fotovoltaico 1,1% (in grandissima parte<br />
eolico), altri combustibili ~5,6%.<br />
Se analizzassimo i programmi di Cina ed<br />
<strong>In</strong>dia che contano 2,4 miliardi di abitanti,<br />
vedremmo ad esempio che solo in Cina<br />
sono entrati in servizio nel 2006 oltre<br />
105.000 MW di nuove centrali (vicino alla<br />
totale potenza installata in Germania<br />
dagli albori dell’elettricità di fine ’800 ad<br />
ora!), delle quali oltre il 90% a carbone; si<br />
può ben comprendere come a livello<br />
mondiale anche continuando l’installazione<br />
di eolico e fotovoltaico con tassi di incremento<br />
notevolissimi e sviluppando<br />
anche l’utilizzo delle biomasse, nel 2030,<br />
pur perseguendo politiche di maggior efficienza<br />
energetica, è prevedibile (fonte<br />
IEA) che le fonti fossili domineranno ancora<br />
la scena con circa l’80% di contributo<br />
alla produzione di energia elettrica.<br />
Con i massicci investimenti in centrali a<br />
carbone nei paesi in via di sviluppo e in<br />
centrali a gas a ciclo combinato (vedi Italia)<br />
nei paesi caratterizzati da un libero<br />
mercato, la quota percentuale di produzione<br />
idroelettrica e nucleare subirà una<br />
forte diminuzione a breve-medio termine<br />
con una risalita per il nucleare verso il<br />
2020.<br />
La Commissione Europea con il suo<br />
“Green Paper” del 2006 “European Strategy<br />
for Sustainable, Competitive and<br />
Secure Energy” ha posto alla base di una<br />
politica energetica i tre pilastri di:<br />
• sostenibilità ambientale,<br />
• costi crescenti dell’energia (e loro effetto<br />
sulla competitività di tutta la Comunità),<br />
• sicurezza degli approvvigionamenti (rischio<br />
di rimanere al freddo o al buio).<br />
Chiaramente tali tre “pilastri” devono<br />
convivere in modo dialettico ma equili
ato evitando di creare, con eccessive<br />
penalizzazioni delle energie convenzionali,<br />
una perdita di competitività rispetto<br />
al resto del mondo (vedi Cina, USA, ecc.)<br />
ed una “rilocazione” delle industrie<br />
“energy intensive”; se questa rilocazione<br />
avvenisse (come sta avvenendo) in paesi<br />
come la Cina che hanno una efficienza<br />
energetica di gran lunga inferiore a quella<br />
Europea, si raggiungerebbe a livello<br />
globale un peggioramento delle emissioni<br />
di CO2. Occorre inoltre notare che una<br />
Unione Europea, anche estesa, contribuirà<br />
nel prossimo futuro per meno del<br />
10% alle totali emissioni di CO2, tenendo<br />
in conto, come sopra menzionato, lo sviluppo<br />
delle economie emergenti basate<br />
sul carbone.<br />
Vorrei sottolineare che nessuna “tecnologia”<br />
per la produzione di energia elettrica<br />
è priva di emissioni; <strong>questo</strong> considerando<br />
il suo ciclo di vita dall’estrazione delle<br />
materie prime, alla realizzazione dell’impianto<br />
ed al suo esercizio e smantellamento<br />
finale e considerando i suoi riflessi<br />
sul globale sistema elettrico di generazione/trasmissione/distribuzione.<br />
Le fonti rinnovabili che si basano su “sorgenti<br />
aleatorie e discontinue” (es. vento e<br />
solare) non possono ad esempio essere<br />
realizzate e “funzionare” senza drastici<br />
investimenti nel restante sistema elettrico<br />
e anche per loro devono essere quindi<br />
valutati i “costi addizionali” relativi al loro<br />
allacciamento alla rete ed agli ampliamenti<br />
delle reti stesse, ai costi della capacità<br />
di “riserva di generazione” da fonti<br />
convenzionali che deve essere tenuta a<br />
disposizione e del conseguente funzionamento<br />
di tali centrali con una efficienza<br />
ridotta e quindi con addizionali emissioni<br />
di CO2.<br />
Per i combustibili fossili devono chiara-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
80<br />
mente essere valorizzati tra l’altro i costi<br />
di emissione di CO2, SOx, NOx , polveri<br />
e per il nucleare lo smantellamento delle<br />
centrali ed il trattamento delle scorie.<br />
Occorre rilevare che l’elettricità non può<br />
essere ancora economicamente immagazzinata<br />
e perciò la “produzione” di elettricità<br />
deve seguire la “domanda” che ha<br />
un andamento ciclico durante la giornata<br />
(da circa 1 a 2), durante la settimana<br />
(giorni festivi) e secondo le stagioni.<br />
Dal punto di vista “produzione”, alcune<br />
tecnologie sono utilizzabili ed economiche<br />
come centrali di base e con funzionamento<br />
continuo al massimo carico (come<br />
ad esempio il nucleare), altre sono<br />
più economiche come centrali di punta<br />
(un migliaio di ore all’anno di funzionamento<br />
come i turbogas a ciclo semplice e<br />
le centrali di pompaggio), altre sono flessibili<br />
ed economiche come centrali “midmerit”<br />
con ore di utilizzo all’anno di alcune<br />
migliaia di ore, altre ancora sono operabili<br />
(acqua fluente, eolico, solare) solo<br />
quando è disponibile la “sorgente primaria”<br />
(acqua, vento, sole).<br />
Questo rafforza l’importanza di un adeguato<br />
mix di tipologie di centrali e di materie<br />
prime energetiche, per avere un sistema<br />
elettrico efficiente e sostenibile.<br />
Italia e politica energetica<br />
L’Italia, come sopra accennato, ha una<br />
dipendenza energetica dell’85% ed in<br />
continua crescita ma quello che è critico<br />
non è tanto la dipendenza energetica in<br />
se stessa ma la vulnerabilità del paese al<br />
problema energia.<br />
Definirei come vulnerabilità “l’impossibilità/incapacità<br />
per il paese di fare delle<br />
scelte liberamente consentite di politica<br />
energetica o di farle però ad un costo
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
economico e politico insopportabile per<br />
la collettività”.<br />
Vulnerabilità è diversa da dipendenza<br />
energetica; uno potrebbe essere dipendente<br />
ma non vulnerabile grazie ad<br />
un’importazione di materie prime energetiche<br />
a costi sopportabili e che garantisca<br />
la sicurezza degli approvvigionamenti<br />
con una buona diversificazione delle risorse<br />
per origine e tipologia (e <strong>questo</strong><br />
ahimé non è valido per l’Italia, sempre<br />
più dipendente dal gas proveniente da un<br />
<strong>numero</strong> ridotto di paesi e dove non si riesce<br />
a realizzare un rigassificatore!).<br />
Un paese che producesse la parte essenziale<br />
della sua richiesta energetica a<br />
costi proibitivi (e mi riferisco ad esempio<br />
a tecnologie non ancora mature e senza<br />
orizzonti certi per la loro convenienza)<br />
anche se indipendente, sarebbe vulnerabile.<br />
Occorre sottolineare che il settore energetico<br />
è un settore particolare caratterizzato<br />
da cicli di vita molto lunghi rispetto<br />
agli altri settori. Basti pensare nel campo<br />
elettrico al tempo necessario per la ricerca,<br />
lo sviluppo, la costruzione, la commercializzazione<br />
ed il funzionamento di<br />
una famiglia di impianti/prodotti (centrali<br />
convenzionali di produzione, trasformatori,<br />
interruttori, linee elettriche); è di alcune<br />
decadi.<br />
Nel campo petrolifero, del gas e del carbone,<br />
tempi ancora più lunghi sono necessari<br />
per ricerca e sviluppo di giacimenti<br />
e miniere e per creare ed utilizzare<br />
le infrastrutture di trasporto. Per le nuove<br />
centrali nucleari di terza generazione che<br />
sono progettate e costruite per 60 anni di<br />
funzionamento, anche trascurando il problema<br />
delle scorie, si arriva ad oltre un<br />
secolo dalla ricerca iniziale per un nuovo<br />
tipo di reattore, ai tempi per permessi,<br />
81<br />
costruzione ed esercizio e al decommissioning<br />
finale.<br />
Mi permetto di fare alcune osservazioni<br />
nel campo di una politica energetica che<br />
ritengo sia indispensabile per il nostro<br />
paese e che debba essere portata avanti<br />
dalla classe politica ed industriale con<br />
adeguato consenso per garantire quanto<br />
sopra esposto e cioè sicurezza degli approvvigionamenti,<br />
competitività del paese<br />
e rispetto dell’ambiente.<br />
• Una vera politica energetica ha orizzonti<br />
lunghi che si misurano in decenni e necessita<br />
quindi di un approccio bipartisan<br />
e di una corretta informazione e coinvolgimento<br />
della popolazione; tutte le fonti<br />
debbono essere tenute in debito conto,<br />
considerando l’innovazione tecnologica e<br />
l’evoluzione delle normative ambientali.<br />
Non bisogna idolatrare o demonizzare<br />
nessuna fonte (menziono a tale proposito<br />
carbone, nucleare e nuove fonti rinnovabili).<br />
• Oltre che sui pur importanti progetti a<br />
breve, occorre impostare quindi cosa si<br />
vuol fare per il medio e lungo periodo; se<br />
non si decide mai, saremo sempre al palo<br />
e fra dieci anni avremo gli stessi problemi<br />
di oggi, anzi ben peggiori.<br />
• Una vera politica energetica può essere<br />
uno strumento per creare posti di lavoro,<br />
sviluppare nuove tecnologie ed opportunità<br />
per l’esportazione con un’appropriata<br />
politica industriale (e qui menziono<br />
Germania per rinnovabili e Francia<br />
per nucleare).<br />
• Data la nostra dipendenza dall’estero,<br />
oltre ad una politica industriale, una politica<br />
energetica necessita tra l’altro di un
coinvolgimento della politica estera, della<br />
politica di scambi commerciali, di una<br />
politica ambientale e di una politica fiscale.<br />
• Occorre dare una concreta risposta alla<br />
domanda “politica energetica e liberalizzazione/privatizzazione<br />
sono compatibili<br />
come ora impostati?”. Tutti auspicano<br />
una politica energetica, ma all’atto pratico<br />
nessuno vuole “paletti” attorno al suo<br />
giardino.<br />
La domanda, esige una risposta non generica<br />
ma dettagliata; ”il diavolo giace nei<br />
dettagli” e bisogna definire concretamente<br />
quali indirizzi e vincoli occorra considerare<br />
e far rispettare per il libero mercato<br />
che è condizionato da un mondo finanziario<br />
che esige ritorni sempre più a<br />
breve. Questo se si vogliono salvaguardare,<br />
a breve e lungo termine, quelli che<br />
dovrebbero essere i reali beneficiari di<br />
una vera liberalizzazione e cioè i consumatori<br />
industriali e domestici.<br />
• Considerando gli elevati costi dell’energia<br />
da fonti rinnovabili e i costi crescenti<br />
di combustibili fossili e degli impatti ambientali,<br />
sarà opportuno verificare anche<br />
una possibile opzione nucleare che risulta<br />
già ora competitiva, ma da essa non ci<br />
si possono tuttavia aspettare a breve dei<br />
risultati. Occorre però impostare prioritariamente<br />
una efficace comunicazione e<br />
sensibilizzazione dell’opinione pubblica e<br />
rimando per <strong>questo</strong> a dopo.<br />
• Sarà importante quindi considerare in<br />
una efficace politica energetica sia tutte<br />
le fonti fossili e rinnovabili, sia il nucleare,<br />
sia l’efficienza energetica e sia la competitività<br />
Paese, ristrutturando in modo organico<br />
certificati verdi, certificati bianchi,<br />
penali per emissioni, incentivi a “produ-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
82<br />
zioni privilegiate” ed alla ricerca e innovazione.<br />
Occorre separare però chiaramente<br />
i possibili incentivi alla ricerca per<br />
nuove tecnologie dall’incentivazione all’uso<br />
di alcune forme di energia per un loro<br />
sviluppo economico, incentivazioni all’uso<br />
che vanno a gravare sulla bolletta<br />
degli utenti.<br />
Il nucleare<br />
Come evidenziato chiaramente dal recentissimo<br />
studio WEC “The future role<br />
of nuclear power in Europe” da me coordinato<br />
[2], tenendo in conto l’incremento<br />
dei consumi a livello mondiale (ed italiano),<br />
la sostituzione di vecchie centrali, i<br />
costi crescenti e la sicurezza di approvvigionamento<br />
dei combustibili fossili che<br />
hanno una domanda fortissima da parte<br />
dei paesi emergenti, considerando gli impegni<br />
ambientali, l’opzione nucleare che<br />
non emette CO2, SOx ed NOx non può<br />
non essere esaminata.<br />
<strong>In</strong> Italia negli ultimi due anni si è cominciato<br />
a “riparlare” di nucleare a livello<br />
principalmente di convegni e tavole rotonde,<br />
ma ahimé ben poco sistematicamente<br />
a livello politico.<br />
Nel nostro paese occorrerebbe chiaramente<br />
e celermente considerare almeno<br />
tre settori:<br />
• partecipare a progetti di ricerca, e mi riferisco<br />
fondamentalmente ai reattori della<br />
quarta generazione che saranno sul<br />
mercato tra circa 25 anni con efficienza<br />
di circa 100 volte gli attuali reattori (e<br />
quindi con problemi ridottissimi per le<br />
scorie e per l’utilizzo delle risorse di uranio<br />
disponibili);<br />
• intervenire con propri operatori in società<br />
che hanno e/o stanno realizzando cen-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
trali nucleari (e qui Enel è ormai una realtà<br />
consolidata);<br />
• esaminare un eventuale piano di centrali<br />
nucleari da installare nel paese.<br />
Per quanto riguarda i tempi di una possibile<br />
opzione con centrali nucleari in Italia,<br />
non si possono creare illusioni per il breve<br />
e ricordo che in un paese come la Finlandia<br />
che ha già centrali nucleari, il Parlamento<br />
ha deciso nel 1997 di avere una<br />
nuova centrale nucleare nell’ambito di<br />
una politica di riduzione della vulnerabilità,<br />
degli impatti ambientali e dei costi.<br />
Ebbene questa centrale nucleare che utilizzerà<br />
lo stesso sito di un’altra esistente<br />
entrerà in servizio commerciale nel 2010<br />
e cioè tredici anni dopo la decisione parlamentare.<br />
<strong>In</strong> questi giorni la Finlandia<br />
sta definendo la realizzazione di un’ulteriore<br />
centrale che sia in servizio per il<br />
2020.<br />
Come fatto dalla Finlandia, per ridurre i<br />
rischi economici in generale e quelli di<br />
mercato, occorre un chiaro intervento<br />
dello Stato per garantire i siti e il deposito<br />
finale delle scorie, ma occorre anche<br />
che le industrie “energy intensive” per<br />
avere bassi costi dell’elettricità si impegnino<br />
con contratti take or pay di lungo<br />
termine e che i produttori si consorzino<br />
per definire un <strong>numero</strong> di centrali consistente;<br />
l’effetto scala e serie nel nucleare<br />
È fortissimo (Francia docet) ed incide<br />
quindi sul costo finale del kWh [2].<br />
La Francia che produce e produrrà circa<br />
i 4/5 della propria energia elettrica con il<br />
nucleare non risentirà della sicurezza<br />
degli approvvigionamenti ed avrà costi<br />
praticamente fissi per l’energia elettrica,<br />
costi non legati alla fluttuazione dei<br />
prezzi di petrolio e gas. Il costo previsto<br />
è circa 40-45 €/MWh includendo il “de-<br />
83<br />
commissioning” e il trattamento delle<br />
scorie e loro deposito finale. Oggi in Italia<br />
con i cicli combinati ad alta efficienza<br />
ed il gas a circa 300 €/m3 il costo di<br />
produzione è di circa 70 €/MWh senza<br />
tenere in conto penalizzazioni per le<br />
emissioni di CO2; l’80% di questi 70<br />
€/MWh è il costo del gas!<br />
Con riferimento a nucleare ed opinione<br />
pubblica, vorrei ricordare che la Svezia,<br />
paese ben sensibile ai problemi ambientali,<br />
nel 1980 aveva deciso di chiudere<br />
tutte le proprie centrali nucleari (che producono<br />
circa il 50% dell’energia elettrica<br />
consumata nel paese).<br />
Nello studio [2] emerge chiaramente che<br />
dai recenti sondaggi oltre l’85% della popolazione<br />
non vuole chiudere le centrali<br />
nucleari, anzi ne vuole aumentare la potenza;<br />
la pratica totalità di <strong>questo</strong> 85% ritiene<br />
l’energia nucleare più sicura, più<br />
economica e più rispettosa dell’ambiente<br />
rispetto a quella da fonti fossili e da altre<br />
fonti.<br />
Ben due province sono in competizione<br />
per ottenere il deposito nazionale di scorie<br />
radioattive (tecnologia ed impatto locale);<br />
anche in Finlandia è in fase di realizzazione<br />
un “cimitero” in sito geologicamente<br />
stabile con il pieno supporto della<br />
popolazione.<br />
Per quanto riguarda il deposito delle scorie<br />
ad alta radioattività occorrerà una posizione<br />
europea che eviti soluzioni non<br />
ottimali di “cimiteri” in ogni nazione; pochissimi<br />
siti sarebbero più che sufficienti<br />
per tutti i paesi europei.<br />
Politica industriale<br />
Dobbiamo salvaguardare in Italia la nostra<br />
capacità manifatturiera in generale<br />
ed in particolare anche quella legata all’energia.
Ricordo che le aziende ANIE (Federazione<br />
Nazionale Imprese Elettrotecniche ed<br />
Elettroniche) del settore energetico hanno<br />
perso il 50% dei loro addetti dalla prima<br />
metà degli anni ’90 ad oggi.<br />
Non si chiede nessun protezionismo, ma<br />
non si vogliono nemmeno penalizzazioni<br />
rispetto alla concorrenza. Occorre che le<br />
istituzioni diano un adeguato supporto alla<br />
“terza gamba” del settore energetico e<br />
cioè all’industria manifatturiera locale che<br />
ha realizzato oltre il 90% del sistema italiano<br />
di generazione, trasmissione e distribuzione<br />
dell’energia elettrica. Servono<br />
chiari indirizzi e stabili nel tempo per<br />
orientare risorse per ricerca e sviluppo e<br />
per investimenti in siti produttivi.<br />
Occorre arrivare a specifiche e gare che<br />
valorizzino il life cycle cost di prodotti e<br />
sistemi (incluso service locale) e che<br />
escludano quei fornitori che non rispettano<br />
nei loro stabilimenti le regole di sicurezza<br />
e di salvaguardia dell’ambiente, regole<br />
che per le nostre imprese incidono e<br />
non poco sui loro costi. La scomparsa<br />
dal paese del settore termoelettromeccanico,<br />
creerebbe gravi problemi al sistema<br />
energetico nazionale.<br />
Come già sottolineato, la combinazione<br />
di una politica energetica ed industriale è<br />
creatrice di tecnologie ed occupazione,<br />
contribuendo alla soluzione dei problemi<br />
ambientali, allo sviluppo di nuove fonti<br />
rinnovabili, a diversificazioni e risparmi<br />
energetici [3].<br />
<strong>In</strong>frastrutture energetiche, efficienza<br />
energetica e comunicazione<br />
Sebbene informazione e comunicazione<br />
siano importanti per tutti i settori (ICT, trasporti,<br />
etc.) mi soffermo sulla realizzazione<br />
delle infrastrutture energetiche e sul<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
84<br />
grosso “serbatoio di energia” costituito<br />
dall’efficienza energetica.<br />
<strong>In</strong> <strong>questo</strong> Paese non si riescono a realizzare<br />
centrali, rigassificatori, linee e stazioni<br />
di trasmissione, ma neppure un tetto<br />
fotovoltaico o un generatore eolico<br />
hanno vita facile; non esiste, inoltre un’indispensabile<br />
e diffusa coscienza e consapevolezza<br />
per i risparmi energetici sia<br />
in ambito industriale che domestico.<br />
La Comunità Europea stima pari a circa il<br />
20% dei consumi i risparmi che si potrebbero<br />
conseguire realisticamente con<br />
programmi di efficienza energetica. Questo<br />
per l’Italia corrisponderebbe a circa<br />
30 MTEP pari agli incrementi dei consumi<br />
previsti da qui al 2030. Ricordo ad<br />
esempio che in Italia i consumi finali di<br />
elettricità vanno per il 50-55% in motori,<br />
per il 12-15% nell’illuminazione e per il<br />
12-15% negli elettrodomestici.<br />
Ebbene, per un motore elettrico, lungo<br />
una sua vita di dieci anni (in realtà ben<br />
più lunga), il prezzo di acquisto (sul quale<br />
si concentrano gli acquirenti) influisce<br />
per meno del 3%; ben oltre il 95% è il costo<br />
dell’energia elettrica che il motore<br />
consuma e tale costo aumenterà! Con<br />
l’utilizzo di motori ad alta efficienza e/o<br />
con l’applicazione, a monte del motore,<br />
di speciali dispositivi (inverters), si hanno<br />
dei risparmi sostanziali nei consumi (anche<br />
oltre il 50%) e ritorni dell’investimento<br />
da alcuni mesi a circa 1-2 anni; in Italia<br />
potrebbero essere risparmiati fino a<br />
20 TWh e 10 milioni di tonnellate di CO2<br />
all’anno! Ricordo che l’Italia vede una applicazione<br />
di motori ad alta efficienza ed<br />
inverter con percentuali bassissime pari<br />
ad 1/20 della media europea ed 1/40 di<br />
quella dei paesi nordici!<br />
A parte lo studio di appropriati incentivi e
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
delle loro modalità di erogazione alle popolazioni<br />
che “ospitano” infrastrutture<br />
energetiche, per superare il localismo imperante<br />
occorre una sensibilizzazione ed<br />
un’appropriata comunicazione verso il<br />
pubblico “consumatore”, che risulta anche<br />
il pubblico “oppositore”.<br />
Chi vogliamo intraprenda tale campagna,<br />
in Italia, con un serio e professionale approccio?<br />
Il mondo politico ed i ministeri<br />
con Istituzioni regionali, provinciali e comunali<br />
dovrebbero essere i paladini di tale<br />
iniziativa coinvolgendo Associazioni industriali<br />
e culturali, Università e scuola<br />
ed i mass media. I mass media hanno ed<br />
avranno in tale settore un’opportunità,<br />
ma anche una grande responsabilità.<br />
Conclusioni<br />
L’energia ha assunto con i suoi riflessi<br />
sull’ambiente, i suoi aspetti geopolitici ed<br />
il suo pervasivo uso in tutte le attività, un<br />
ruolo cruciale per lo sviluppo sostenibile<br />
del nostro pianeta; l’energia è e sarà<br />
sempre più un problema globale.<br />
Non esiste a livello mondiale una scarsità<br />
delle risorse energetiche, ma la differente<br />
localizzazione delle risorse stesse<br />
rispetto alle aree di consumo, la grande<br />
disparità dei consumi tra le varie economie<br />
e l’impressionante sviluppo dei consumi<br />
energetici concentrati in alcuni paesi<br />
(Cina, <strong>In</strong>dia) rendono lo scenario problematico<br />
e richiedono un coordinato e<br />
difficile approccio politico globale.<br />
Anche per l’Italia l’energia è un problema<br />
e forse più critico che per altri paesi data<br />
la nostra quasi totale dipendenza energetica<br />
dall’estero.<br />
Il settore energetico è caratterizzato da<br />
cicli di vita molto lunghi (vari decenni)<br />
che trascendono quelli di una legislatura<br />
e necessita di un approccio con stabilità<br />
85<br />
di regole e riferimenti specie nel contesto<br />
di liberalizzazioni e privatizzazioni che<br />
vedono un mondo finanziario sempre più<br />
orientato a ritorni a breve.<br />
L’energia potrebbe costituire il perno per<br />
un “nuovo rinascimento” italiano e trasformarsi<br />
in un’opportunità focalizzando<br />
su di essa l’attenzione e le risorse di politici,<br />
associazioni, università, mondo della<br />
cultura, industria, opinione pubblica,<br />
indirizzando ricerche ed investimenti su<br />
filoni dove possiamo ritrovare un’eccellenza<br />
tecnologica ed una competitività.<br />
La politica deve avere il coraggio di portare<br />
e discutere dati e fatti concreti e non<br />
essere un “follower” di impulsi ed ideologie<br />
che vengono seguiti per raccogliere a<br />
breve termine un effimero consenso.<br />
<strong>In</strong> tale visione tutte le forme di energia<br />
devono essere tenute in conto con i loro<br />
vantaggi e svantaggi in un mix dinamico<br />
che consenta al paese di rimanere competitivo<br />
in un ambiente sostenibile.<br />
Referenze<br />
[1] World Energy Council “2004 Survey<br />
of Energy Resources” pubblicato da Elsevier.<br />
[2] World Energy Council “The Future<br />
Role of Nuclear Power in Europe”.<br />
http://www.worldenergy.org/wecgeis/news_events/news/pressreleases/p<br />
r220107.asp.<br />
[3] Libro Bianco dell’energia elettrica in<br />
Italia. “Energia: l’<strong>In</strong>dustria elettromeccanica<br />
in Italia declino o rilancio?” ANIE e<br />
ANIMA 6 febbraio 2007.<br />
www.fast.mi.it/enermotive.htm<br />
*Alessandro Clerici,<br />
Presidente Onorario del Comitato italiano<br />
del World Energy Council (WEC)<br />
Delegato ANIE e Vice Presidente<br />
Commissione Energia di Confindustria
Il doppio caso delle fotografie compromettenti<br />
di Silvio Sircana che il settimanale<br />
Oggi del gruppo Rizzoli Corriere<br />
della Sera (RCS MediaGroup) ha<br />
comperato per 100.000 euro, tenendole<br />
nel cassetto, e di quelle riguardanti<br />
Silvio Berlusconi nella sua villa, che<br />
tiene per mano e forse accarezza alcune<br />
giovani donne, solleva una grossa<br />
questione sul rapporto fra <strong>questo</strong><br />
gruppo editoriale e le banche e imprese<br />
industriali che ne sono proprietarie.<br />
<strong>In</strong> un caso le foto sono state comperate<br />
da un servizio effettuato in modo legittimo,<br />
sebbene furtivo, in uno spazio<br />
pubblico. Nell’altro caso si tratta di foto<br />
che sono state comperate da un<br />
servizio effettuato abusivamente violando<br />
uno spazio privato.<br />
Nel primo caso non vi era alcuna ragione<br />
legale per non pubblicare, le foto<br />
ma la loro pubblicazione non ha<br />
avuto luogo. Nel secondo la loro pubblicazione<br />
era illegittima, ma è avvenuta,<br />
pur sapendo che ciò avrebbe comportato<br />
una querela di parte.<br />
<strong>In</strong> entrambi i casi le foto riguardano la<br />
vita privata di uomini pubblici. Nel primo<br />
caso l’assistente più stretto del<br />
presidente del consiglio, nel secondo<br />
l’ex presidente del consiglio.<br />
Nel primo caso per altro le foto riguardavano<br />
un’attività non commendevole,<br />
di ricerca di prostituti, per parlare con<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Conflitto di interesse e la proprietà<br />
dei giornali<br />
di Francesco Forte<br />
86<br />
loro o forse per altre ragioni. Nel secondo<br />
caso si tratta di una attività che<br />
non è commendevole per i sessuofobi.<br />
Per l’opinione pubblica il giudizio è,<br />
inevitabilmente diverso. Nel primo caso,<br />
però compromettono la credibilità<br />
dell’interessato. Nel secondo i giudizi<br />
sono molto controvertibili. Solo i sessuofobi<br />
possono pensare che una persona<br />
importante e in età che nella sua<br />
villa, in privato, si lasci andare un poco,<br />
con delle donne giovani, sia un<br />
anormale o faccia qualcosa che è contrario<br />
al suo ruolo pubblico.<br />
<strong>In</strong> entrambi i casi le foto possono infastidire<br />
le famiglie degli interessati. E in<br />
entrambi i casi possono giovare alle<br />
vendite di un settimanale a grande tiratura<br />
dedito sostanzialmente alla cronaca<br />
leggera.<br />
Il comportamento del direttore di Oggi<br />
che ha pubblicato le foto di Berlusconi<br />
rende incomprensibile o sospetto il<br />
comportamento dello stesso direttore<br />
che non ha pubblicato quelle di Sircana.<br />
Semmai vi erano ragioni per fare<br />
l’opposto, dal punto di vista puramente<br />
giornalistico, in cui vale il motto per cui<br />
un cane che morde un uomo senza<br />
fargli male non è una notizia mentre un<br />
uomo che morde un cane, senza fargli<br />
male, lo è. E quindi, posto ciò, occorre<br />
rifarsi alla proprietà dei giornali e ai
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
vincoli espliciti o impliciti che essa pone<br />
alla loro indipendenza<br />
Nel caso di Oggi del gruppo Rizzoli si<br />
tratta di alcune fra le maggiori banche<br />
e imprese italiane, un “salotto” con<br />
fiocchi e controfiocchi. <strong>In</strong>fatti, il patto di<br />
sindacato che controlla RCS col<br />
63,57% del capitale è composto da<br />
Mediobanca col 13,2%,da Fiat col<br />
10,91, da <strong>In</strong>tesa San Paolo col 4,76<br />
per cento, dal gruppo Pirelli (che controlla<br />
Telecom Italia) col 4,8 per cento<br />
e da altre società assicurative, e industriali.<br />
La quota del patto sindacale –<br />
63,57 – è elevatissima. Si spiega coi<br />
difficili equilibri di questa corazzata del<br />
potere.<br />
Si noterà che Mediobanca controllata<br />
da una galassia di grandi banche, assicurazioni,<br />
imprese industriali di varia<br />
grandezza, non è decisiva per la maggioranza<br />
del 50% più uno. C’è nella<br />
proprietà anche <strong>In</strong>tesa San Paolo,<br />
aspra rivale di Mediobanca, che aspira<br />
a detronizzarla e che è molto vicina al<br />
premier Prodi, mentre Mediobanca<br />
punta su altri cavalli, pur essendo in<br />
maggioranza schierata, in modo abbastanza<br />
esplicito, per il centrosinistra<br />
attuale.<br />
Si può supporre che il possesso di imprese<br />
editoriali da parte di banche e industrie<br />
sia motivato da obbiettivi di<br />
profitto.<br />
Ma quando si tratta di un gruppo così<br />
vasto ed eterogeneo di primari soci finanziari<br />
e manifatturieri, non si può fare<br />
a meno di pensare che ci possano<br />
essere anche altri obbiettivi. E ciò tanto<br />
più in quanto il direttore del Corriere<br />
della Sera ha apertamente dichiarato<br />
che il suo giornale, nelle elezioni politi-<br />
87<br />
che, appoggiava Prodi contro Berlusconi.<br />
E visto il piccolo scarto di voti<br />
fra i due, non si può dire che si trattasse<br />
di una uscita per legare il carro a<br />
quello del vincitore. Si è trattato di una<br />
uscita che ha fatto perdere copie vendute,<br />
quindi fatturato, al Corriere della<br />
Sera, in cambio di voti che hanno determinato<br />
la vittoria di Prodi che, certamente,<br />
i sondaggisti del Corriere, nei<br />
sondaggi veri, non quelli edulcorati<br />
pubblicati dalla stampa alleata del centro<br />
sinistra, davano per barcollante.<br />
Dunque, i giornali a questi gruppi bancari,<br />
all’occorrenza, servono per esercitare<br />
una pressione sul mondo politico,<br />
per modificare i rapporti di potere<br />
politico.<br />
L’amministratore delegato di RCS è,<br />
dal 12 settembre 2006, Antonello Perricone.<br />
Anche se si tratta di un noto<br />
tecnico del settore, è l’uomo che il premier<br />
Romano Prodi voleva diventasse<br />
direttore generale della Rai e che è<br />
stato bocciato dal consiglio di amministrazione,<br />
che gli ha preferito Claudio<br />
Cappon, considerato più vicino alla<br />
Margherita e meno al premier. Attualmente<br />
è in gioco una importante partita,<br />
nel campo della telefonia e delle linee<br />
aeree, delle grandi opere, in particolare<br />
la Tav e le autostrade.<br />
E fra le banche e industrie che fanno<br />
parte del patto di sindacato che controlla<br />
RCS è in corso una vertenza per<br />
l’acquisto di Olimpia, con cui Tronchetti<br />
Provera, capo di Pirelli, controlla Telecom.<br />
La compagnia nata dalla fusione<br />
di <strong>In</strong>tesa San Paolo si è articolata in<br />
branche di affari e uno di <strong>questo</strong> è costituito<br />
dalle grandi opere.<br />
<strong>In</strong> ciò il governo ha un potere come
proprietario, concessionario o regolatore<br />
legislativo. Basti pensare al Fondo<br />
F21, che dovrebbe gestire infrastrutture,<br />
in cui accanto a banche e fondazioni<br />
bancarie (fra cui primeggia <strong>In</strong>tesa<br />
con Cariplo) vi è la statale Cassa Depositi<br />
e prestiti.<br />
Ora non si può certo giustificare con fini<br />
di profitto il fatto che un settimanale<br />
di RCS abbia comprato in esclusiva<br />
per duecento milioni di vecchie lire un<br />
gruppo di foto fastidiose del portavoce<br />
unico, braccio destro, del presidente<br />
del consiglio, allo scopo di tenerle nel<br />
cassetto, dato che nel caso di Berlusconi<br />
il fine di profitto è stato utilizzato<br />
per giustificare la pubblicazione delle<br />
foto.<br />
La spiegazione secondo cui la ragione<br />
di tale oneroso acquisto sarebbe quella<br />
di sottrarre le foto ad un altro gruppo<br />
editoriale, per evitarne che la concorrenza<br />
facesse uno scoop non regge.<br />
<strong>In</strong>fatti, per battere la concorrenza,<br />
l’arma regina è quella di pubblicare le<br />
foto. Se non lo si è fatto, rinunciando<br />
alla scoop, è perché s’aveva timore di<br />
infastidire qualcuno oppure gli si voleva<br />
fare un favore.<br />
Il presidente del consiglio è un fervente<br />
cattolico ed è leader di un movimento<br />
politico della sinistra cattolica. Una<br />
foto pruriginosa, irrilevante politicamente<br />
se riguardasse altre persone,<br />
diventa, così, molto rilevante per le<br />
faccende e le lotte nei palazzi del potere<br />
politico. Un potere, dunque, che<br />
s’è intrecciato con quello economico.<br />
E a <strong>questo</strong> punto viene la domanda sul<br />
perché le foto non sono state distrutte,<br />
ma tenute in un cassetto.<br />
All’epoca in cui l’immobiliarista Ricuc-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
88<br />
ci, poi finito in carcere, acquistò il 15<br />
per cento delle azioni RCS, si fece del<br />
moralismo contro di lui. Ora le sue<br />
azioni, sotto sequestro, sono molto ricercate,<br />
nei salotti del potere. Per la<br />
verità non da tutte le banche o imprese.<br />
Unicredito ha preferito investire in<br />
banche estere anziché in azioni RCS.<br />
La concentrazione del potere editoriale<br />
fa parte dell’economia di mercato. E<br />
altrettanto la concentrazione bancaria<br />
e la grande impresa.<br />
Ma queste concentrazioni dovrebbero<br />
essere fra loro separate, affinché la<br />
gara economica sia leale e non ci siano<br />
contaminazioni colla politica.<br />
<strong>In</strong> un libro del 1988, dal titolo “Il controllo<br />
del potere economico”, sostenevo<br />
che il possesso di grandi gruppi editoriali<br />
da parte della grande industria e<br />
della grande banca, spesso, non è solo<br />
un fatto economico, è un fatto di potere.<br />
E il potere eccessivo o improprio<br />
corrompe. È quello che accade ora. E<br />
ciò accade soprattutto a favore dello<br />
schieramento di sinistra e del partito<br />
democratico, che palesemente corrisponde<br />
ai disegni del gruppo editoriale<br />
RCS.<br />
Qui sta il vero grande conflitto di interessi.<br />
Qui sta la vera questione morale,<br />
quella ipocritamente utilizzata per<br />
distruggere il PSI liberal socialista di<br />
Craxi, che costituiva un ostacolo a<br />
questi intrecci di potere.
s t o r i a<br />
Gismondi Lehner Sechi
Soccorso bianco<br />
di Arturo Gismondi<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Nel libro “La sinistra divina”, tradotto in<br />
Italia nel 1986 per Feltrinelli, e dedicato<br />
alla parabola ormai discendente del Pc<br />
francese, Jean Baudrillard inserì una valutazione<br />
che assai più realisticamente<br />
poteva far pensare alla sorte del Pc italiano,<br />
ben più vitale e più attrezzato del<br />
confratello ad affrontare il duro impegno<br />
della sopravvivenza dinanzi ai segni di<br />
crisi e di collasso che venivano dall’immenso<br />
impero sovietico. E ciò perché il<br />
Pci, fra i partiti post-comunisti, è apparso<br />
rispetto al partito fratello più manovriero<br />
e spregiudicato, soprattutto più presente<br />
nella realtà sociale e culturale. Ha contato,<br />
nell’esperienza del Pci arrivato alla<br />
resa dei conti del 1989, la lezione di Antonio<br />
Gramsci e la saggia utilizzazione<br />
che ne ha fatto Palmiro Togliatti, e ne<br />
hanno fatto i suoi successori. Tutto ciò<br />
ha contribuito a far apparire più credibile<br />
di altre sinistre quella “sinistra immaginaria”<br />
italiana che, tornando alla simulazione<br />
di Baudrillard, ha svolto il compito<br />
di salvare il potere della “destra reale”<br />
utilizzando la presenza della “sinistra immaginaria”.<br />
Dice Baudrillard: «occorre salvare il Pcf<br />
<strong>questo</strong> è l’imperativo categorico di tutta<br />
la classe politica, anzi di tutta la società<br />
francese. Unica struttura forte alla quale<br />
possa ancora aderire l’illusione del politico<br />
e del sociale, e con essa la possibi-<br />
91<br />
lità di far gravitare le masse attorno a<br />
questi due astri morti, il Pcf deve essere<br />
salvato, e anzi resuscitato a ogni costo.<br />
È da tempo che il Pcf non rappresenta<br />
più alcuna minaccia di presa del potere,<br />
o di sovversione dell’ordine costituito,<br />
ma tutti hanno bisogno di questa idea, di<br />
<strong>questo</strong> fantasma …altrimenti sarebbe<br />
tutto il potere politico a cadere in disaffezione,<br />
sarebbe l’ordine sociale, e non<br />
soltanto l’ordine sociale, ma il sociale<br />
tout court a crollare per dissimulazione<br />
brutale. Il Pcf è l’ultimo garante della posta<br />
in gioco, non importa se di simulazione...<br />
Il Pcf ha fatto un buon lavoro, ha<br />
bloccato il volano della Storia al punto<br />
più basso e arretrato di una opposizione<br />
politica impotente, anzi al punto più basso<br />
e arretrato di una opposizione nostalgica<br />
e velleitaria salvando così “l’immaginario”<br />
del potere di sinistra e “la realtà”<br />
di quello di destra».<br />
Sostituendo alla sigla Pcf quella di Pci,<br />
in effetti il discorso di Baudrillard, limpidissimo,<br />
fra i più chiari, sarebbe stato, e<br />
anzi sarebbe, assai più persuasivo. <strong>In</strong> un<br />
convegno tenuto a Roma nel mese di<br />
marzo 2007 su “L’influenza del comunismo<br />
nelIa Storia d’Italia” il senatore Quagliarello<br />
in una relazione su “Le fortune<br />
di Togliatti e le sfortune di Thorez” affronta<br />
il problema della diversa fortuna<br />
dei due più forti partiti occidentali (ad es-
si potremmo aggiungere la sorte del terzo<br />
partito latino, quello spagnolo).<br />
Quagliarello, pur non negando la qualità<br />
diversa della presenza del comunismo<br />
italiano nel quadro europeo, fa risalire la<br />
differenza nella storia di Pci e Pcf a un<br />
momento cruciale della vicenda del continente,<br />
alla vigilia della seconda guerra<br />
mondiale, il patto russo-tedesco del<br />
1939. E ha perfettamente ragione nel<br />
sostenere che gravi e rovinose furono le<br />
responsabilità del partito di Thorez per<br />
aver approvato la scelta fatta dall’Urss,<br />
in contraddizione con la politica antifascista<br />
approvata all’indomani del VI<br />
Congresso del Comintern. Il Pci fece, è<br />
vero, la stessa scelta, è nota la cacciata<br />
di Terracini e della Ravera dal collettivo<br />
comunista al confino di Ventotene. Il partito<br />
italiano, però, vivendo in clandestinità,<br />
pagò assai meno per un errore al<br />
quale poté riparare allorché l’aggressione<br />
di Hitler all’Urss del giugno 1941 mutò<br />
secondo i partiti comunisti la natura<br />
della guerra.<br />
Assai più grave apparve, agli occhi dei<br />
francesi, il tradimento del Pcf trattandosi<br />
questa volta di un partito legale e inserito<br />
a pieno titolo nella realtà politica francese.<br />
La caduta degli iscritti al Pcf fra il 1939 e<br />
il 1940, la sua riduzione a poche decine<br />
di migliaia in pochi mesi fu il risultato di<br />
una disfatta politica inevitabile. Il Pci, al<br />
contrario, poté inserirsi senza danni e<br />
con prestigio intatto nella Resistenza. Di<br />
qui, sostiene Quagliariello, il diverso prestigio<br />
democratico nel periodo successivo<br />
alla liberazione. Il Pcf rivendicò è vero<br />
la immagine del “partito dei fucilati” riferito<br />
alla partecipazione alla Resistenza.<br />
Restò tuttavia, in <strong>questo</strong> partito, una<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
92<br />
sorta di imbarazzo, di insincerità e di rigidità<br />
dottrinaria che ne appesantì i comportamenti<br />
per lungo tempo ancora.<br />
Di qui una maggiore disinvoltura e autorevolezza<br />
del Pci una volta inserito nella<br />
vita democratica, e nei decenni successivi.<br />
Il patto russo-tedesco fu un passaggio<br />
certo cruciale. Il “partito nuovo” di Togliatti<br />
poté però avvalersi di alcuni punti<br />
di forza che vanno a merito del suo leader.<br />
Il primo di questi fu l’affermazione<br />
della “ via nazionale al socialismo”, sostenuta<br />
con qualche disinvoltura nel<br />
quadro, tuttavia, di un sistema di alleanze<br />
sempre più esteso nel tempo, e fin<br />
dai primi anni del dopoguerra segnati<br />
dal patto di unità d’azione col Partito<br />
Socialista.<br />
Un altro punto di forza fu la politica culturale<br />
di Togliatti che si avvalse dell’uso<br />
degli scritti di Antonio Gramsci, che già a<br />
Mosca furono nel suo pieno possesso.<br />
La teoria della “egemonia della classe<br />
operaia” venne imposta in Italia, e altrove,<br />
come una novità assoluta rispetto alla<br />
dittatura del proletariato nell’Urss e<br />
l’intellighentsia di sinistra accettò l’affermazione<br />
come un dogma. Soltanto alla<br />
metà degli anni ’70 un saggio su “Mondo<br />
Operaio” di Massimo Salvadori obiettò<br />
che in realtà l’espressione “egemonia<br />
della classe operaia” era solo la traduzione,<br />
per l’Occidente, della leninista<br />
“dittatura del proletariato”. <strong>In</strong> ogni caso,<br />
l’egemonia culturale del Pci era ormai<br />
una realtà, e una realtà restò anche la<br />
“novità” della definizione gramsciana. La<br />
politica nei confronti del mondo cattolico<br />
avviata nel lontano 1947 con l’approvazione<br />
alla Costituente dell’articolo 7 della<br />
Costituzione fu un’altro caposaldo della<br />
strategia di Togliatti, sviluppata peral-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
tro dai successori, e con un convincimento<br />
partecipe da Enrico Berlinguer<br />
che la portò alle sue conseguenze e, vedremo,<br />
alla sua fine.<br />
La “solidarietà nazionale”<br />
e la sua parabola<br />
Senza la pretesa di ricostruire nei dettagli<br />
la storia del Pci nei decenni seguiti alla<br />
segreteria di Togliatti, basterà qui ricordare<br />
che con la prima metà degli anni<br />
‘70, con l’avvio della strategia del<br />
“compromesso storico” di Berlinguer e<br />
con la formazione, all’indomani delle elezioni<br />
del 20 giugno 1976, dei governi<br />
della Solidarietà Nazionale di Giulio Andreotti,<br />
il Pci raggiunse il suo più importante<br />
risultato politico, quello dell’ingresso<br />
nell’area di governo – sia pure con<br />
voto parlamentare esterno – dalla quale<br />
fino ad allora, soprattutto per ragioni internazionali,<br />
era stato tenuto lontano.<br />
<strong>In</strong> verità, nessuno nella Dc pensò a un<br />
ingresso dei comunisti nel governo, ma<br />
la presenza nella maggioranza assicurava<br />
al partito di Berlinguer una influenza<br />
decisiva, e ciò anche rispetto agli anni<br />
precedenti, all’era dell’arco costituzionale<br />
e del consociativismo.<br />
La parabola della permanenza del Pci<br />
nell’area di governo in verità durò poco,<br />
fu intensa e drammatica, costellata dalla<br />
rivolta della sinistra estrema, la mitica<br />
“generazione del 77”, e nella parte finale<br />
segnata drammaticamente dall’uccisione<br />
di Moro nella “prigione del Popolo”<br />
delle Br.<br />
Gli eventi di quegli anni furono raccontati<br />
in un libro che ne dette conto sulla base<br />
dei fatti allora noti (Arturo Gismondi:<br />
“Alle soglie del potere”, Sugarco 1985).<br />
Dell’abbandono clamoroso e quasi re-<br />
93<br />
pentino della “solidarietà nazionale”, sei<br />
mesi dopo la morte di Moro, si dettero diverse<br />
spiegazioni. E queste, anziché alternative,<br />
erano in realtà la sommatoria<br />
di difficoltà, che alla fine apparvero dinanzi<br />
a Berlinguer e al gruppo dirigente<br />
del Pci come insostenibili. <strong>In</strong> un’intervista<br />
concessa a chi scrive Gerardo Chiaromonte<br />
affermò che “non era più possibile<br />
resistere”. Le ragioni venivano individuate<br />
nella politica interna, capaci tuttavia<br />
di determinare il la ragione principale<br />
del ritorno «di là dal guado».<br />
Subito all’indomani della morte di Moro,<br />
Enrico Berlinguer avvertì la situazione<br />
diversa venutasi a creare nei rapporti<br />
con la Dc ove il presidente scomparso<br />
era stato un po’ il garante nei rapporti col<br />
Pci. Moro, in verità, non aveva mai assicurato<br />
ai comunisti un ingresso pieno<br />
nella compagine di governo, ma certamente<br />
la situazione non era migliorata<br />
dopo il trauma che aveva colpito fin nelle<br />
fibre la Dc, una parte della quale aveva<br />
subito la durezza con la quale il Pci si<br />
oppose a qualsiasi tentativo di salvare,<br />
con qualche forma di trattativa, la vita<br />
del leader democristiano.<br />
La morte di Moro accentuò le difficoltà,<br />
giacché il Pci si trovava da tempo, e fin<br />
da prima della tragedia che colpì la democrazia<br />
italiana, in crescenti difficoltà<br />
come sostenitore di un governo del quale,<br />
oltre a tutto, non faceva parte. E soprattutto<br />
per la sua base, che non capì<br />
certi sacrifici e la famosa “austerità” predicata<br />
da Enrico Berlinguer.<br />
Già nell’anno precedente, il 1977, il partito<br />
si era dovuto misurare con una base<br />
che sotto il profilo sociale, e sotto quello<br />
politico, manifestava insofferenze crescenti,<br />
fino a dar vita a ribellioni sociali
estese, specialmente nelle Università, e<br />
la comparsa all’orizzonte politico del terrorrorismo.<br />
<strong>In</strong> più, nei primi mesi del<br />
1978 vi furono risultati elettorali parzialissimi,<br />
ma che fornirono al gruppo dirigente<br />
comunista segnali preoccupanti. E<br />
vi furono alcuni referendum, fra i quali<br />
uno sul finanziamento pubblico dei partiti<br />
che, patrocinato pressoché dai soli radicali,<br />
ancorché respinto manifestò,<br />
sempre agli occhi delle Botteghe Oscure,<br />
segni di pericoloso sbandamento nel<br />
corpo elettorale.<br />
Si aggiunse, dopo la cacciata a seguito<br />
di una campagna mediatica che resta<br />
una della pagine più torbide di quei tempi,<br />
del Presidente della Repubblica Leone<br />
dal Quirinale seguita dall’elezione di<br />
un nuovo Capo dello Stato.<br />
Il candidato del Pci era, anche se si badò<br />
all’inizio a non rivelarlo, Ugo La Malfa,<br />
giudicato dal Pci il solo garante possibile<br />
dopo la morte di Moro. L’operazione,<br />
nonostante un assenso di massima<br />
da parte Dc, fallì per l’opposizione di<br />
Craxi, che rivendicò perentoriamente la<br />
regole della successione di un socialista<br />
a un democristiano. La Dc si limitò ad<br />
accettare un candidato del Psi diverso<br />
da quello di Craxi, che aveva indicato<br />
nell’ordine il giurista Giuliano Vassalli,<br />
poi quella di Antonio Giolitti.<br />
L’elezione di Pertini, in quel contesto,<br />
venne vissuta dal Pci come una sconfitta,<br />
anche perché la Dc non si sentì di<br />
contrastare Craxi, il quale apparve come<br />
il vincitore. Proprio Craxi che aveva contrastato<br />
duramente, durante i 55 giorni<br />
della prigionia di Moro, il “fronte della fermezza”<br />
qualificandosi, anche per l’occasione,<br />
come deciso oppositore del rapporto<br />
privilegiato con la Dc e ancor più<br />
del disegno che a quel rapporto sottin-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
94<br />
tendeva, il compromesso storico e coalizione<br />
della Solidarietà Nazionale.<br />
Il ritorno in campo<br />
della politica estera<br />
Ben altro, però, era in campo al di là dello<br />
stesso tema del governo Andreotti, e<br />
perfino della generale preoccupazione<br />
per un ordine pubblico dominato dallo<br />
spettro del terrorismo. La ragione ufficiale<br />
addotta dal Pci verso la fine di quel difficile<br />
anno 1978 per aprire la crisi di governo<br />
fu la decisione maturata nella<br />
Commissione europea di avviare la costruzione<br />
di un sistema monetario, lo<br />
Sme, nel quale le diverse monete nazionali<br />
erano legate per la prima volta da<br />
una banda di oscillazione, verso l’alto e<br />
verso il basso. Era il primo passo verso<br />
la moneta unica europea, che si realizzerà<br />
solo nella seconda metà degli anni<br />
Novanta con l’euro. Berlinguer non ritenne<br />
però di poter imporre al suo partito un<br />
impegno internazionale giudicato oneroso.<br />
Al punto da decidere all’inizio del<br />
1979 di votare contro lo Sme, avviando<br />
così sostanzialmente il ritorno all’opposizione.<br />
Apparve successivamente chiaro che a<br />
imporre un passo indietro tanto gravoso,<br />
e a renderlo definitivo, fu un altro argomento,<br />
e ben più pesante, di politica<br />
estera: la comparsa all’orizzonte europeo<br />
della “crisi dei missili”. Questa<br />
esplose all’indomani dell’installazione da<br />
parte dei sovietici dei missili a medio<br />
raggio rivolti contro i Paesi dell’Europa<br />
occidentale.<br />
Fu una mossa risultata, in seguito, alquanto<br />
disperata, ma che tendeva a separare<br />
gli interessi militari degli Stati Uniti,<br />
giunti a un accordo e a un equilibrio<br />
missilistico per le armi a lunga gittata, ri-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
spetto agli interessi dei Paesi europei<br />
della Nato.<br />
Il pericolo aveva avviato, da parte del<br />
cancelliere tedesco Schmidt, un’attività<br />
diplomatica volta a rispondere alla minaccia<br />
sovietica con l’installazione sul<br />
territorio tedesco e su quello italiano (la<br />
Francia si era sottratta col pretesto della<br />
sua autosufficienza nucleare) di rampe<br />
di missili americani a media gittata, i<br />
Pershing e i Cruise, destinati a pesare in<br />
modo più specifico sul teatro europeo.<br />
Alla realizzazione, cioè, sul territorio europeo<br />
e in particolare su quello italiano<br />
dei missili a media gittata destinati a<br />
contrapporsi alle rampe missilistiche dei<br />
sovietici nell’Europa orientale. A <strong>questo</strong><br />
scopo si adopererà in modo particolare<br />
Francesco Cossiga, che non durò molta<br />
fatica a tirare dalla sua parte Bettino<br />
Craxi, tornato all’alleanza con la Dc e gli<br />
altri partiti del centro laico e democratico<br />
dopo la fine della Solidarietà Nazionale.<br />
<strong>In</strong> definitiva, l’orizzonte internazionale si<br />
era fatto troppo impegnativo per un partito,<br />
come il Pci, al quale si chiedeva a<br />
quel punto di fornire un appoggio esterno<br />
pressoché gratuito e privo di prospettive<br />
nel senso di una partecipazione organica<br />
al governo, ormai tramontata.<br />
L’onerosità del prezzo da pagare venne<br />
giudicata dal vertice del Pci insopportabile.<br />
La decisione, fra l’altro, rivelò una<br />
realtà assai diversa dagli “strappi” rispetto<br />
alla politica sovietica dei quali si era<br />
parlato tanto, e con tanta longanimità,<br />
negli anni precedenti. Apparve chiaro in<br />
ogni caso che Berlinguer, precipitato in<br />
una crisi politica profonda per quel che<br />
riguardava le ambizioni di governo del<br />
suo partito, messo dinanzi a scelte difficili<br />
sul piano internazionale, aveva scel-<br />
95<br />
to di trovare rifugio nel pur difficile e sofferto<br />
rapporto con l’Urss. Questa decisione<br />
ebbe anche il risultato di rassicurare<br />
la base del partito che, chiamata a<br />
partecipare alle manifestazioni e ai cortei<br />
contro i missili, si ritrovò finalmente in<br />
un clima più naturale rispetto alla sua<br />
storia e ai suoi orientamenti di quanto<br />
non si fosse trovata negli ultimi anni.<br />
Alcuni degli “strappi” precedenti, dal<br />
1968 di Praga ai successivi, furono in<br />
realtà riassorbiti nel tempo, e nei rapporti<br />
fra il Pci e il Pcus. La stessa condanna,<br />
per la prima volta aperta almeno nel<br />
linguaggio, dell’invasione sovietica della<br />
Cecoslovacchia nell’agosto di dieci anni<br />
prima era stata pagata, in realtà, con alcuni<br />
cedimenti “riparatori”: la cacciata<br />
del gruppo del “Manifesto”, spintosi su<br />
posizioni eccessivamente critiche verso<br />
il regime sovietico, e la destituzione da<br />
responsabile dell’Ufficio Esteri del partito<br />
di Carlo Galluzzi, che nella vicenda aveva<br />
assunto una posizione di punta, o almeno<br />
individuata come tale da Mosca.<br />
Resta il fatto che, nella situazione nuova<br />
venutasi a creare, il Pci di Berlinguer si<br />
bloccò, e ciò è particolarmente indicativo,<br />
una volta posto dinanzi a una questione<br />
strategica come quella posta dalla<br />
installazione dei missili a media gittata<br />
SS20, e alla risposta occidentale. Si<br />
bloccò, in definitiva, dinanzi alla contrapposizione<br />
delle strategie militari in Europa<br />
Occidentale. Ed è a <strong>questo</strong> punto, in<br />
effetti, che Berlinguer decise di non por<br />
tempo in mezzo e di tornare “al di là del<br />
guado”.<br />
Il primo smacco elettorale<br />
di Berlinguer<br />
La questione dello Sme, infinitamente<br />
meno gravosa per i rapporti politici, ap
parve comunque un buon pretesto, o il<br />
migliore possibile da esibire, per ritirarsi<br />
all’opposizione, anche in vista delle elezioni<br />
politiche fissate per il il 3-4 giugno<br />
1979, seguite una settimana dopo da<br />
quelle europee.<br />
Il risultato delle elezioni politiche segnarono<br />
il primo sostanzioso passo indietro<br />
rispetto all’avanzata costante delle liste<br />
comuniste nell’intero dopoguerra repubblicano.<br />
Il Pci perdette 4 punti percentuali,<br />
passando alle “politiche” dal 34,4 al<br />
30,4%. L’impressione politica suscitata<br />
da un risultato elettorale che pure non risultava<br />
rovinoso, fu quella di un colpo<br />
d’arresto nei confronti di una strategia,<br />
quella del “compromesso storico” sulla<br />
quale il Pci di Berlinguer aveva impostato<br />
decisamente il decennio degli anni<br />
’70. Alle successive elezioni europee del<br />
10-11 giugno 1979 il Pci arretrò ancora,<br />
sia pure di poco, fermandosi al 29,9 per<br />
cento, un soffio sotto la soglia del 30.<br />
I voti ottenuti dal Pci, beninteso, non erano<br />
pochi ma apparvero, ancora più che<br />
negli anni e nei mesi precedenti, difficilmente<br />
spendibili in termini di governo.<br />
Nel frattempo era ripresa la collaborazione<br />
della Dc col Psici e con i partiti laici.<br />
La sconfitta era a <strong>questo</strong> punto chiara, e<br />
ad essa Berlinguer reagì con con l’arroccamento<br />
all’opposizione, motivato in seguito<br />
da pregiudiziali basate non più sulle<br />
affinità o diversità delle alleanze e dei<br />
programmi, ma sulla “diversità” rispetto<br />
alla questione morale fra le diverse forze<br />
politiche. <strong>In</strong>somma, Berlinguer, e con lui<br />
tutto il partito, preferirono scavare una<br />
barriera di difformità etiche, supponenti<br />
da parte comunista una superiorità intellettuale,<br />
antropologica, morale, che Pasolini<br />
aveva sintetizzato qualche anno<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
96<br />
prima, in uno dei suoi “scritti corsari” sul<br />
Corriere nella formula «un partito pulito<br />
in un Paese sporco, un paese sano in un<br />
Paese malato...».<br />
La “questione morale” fu la barriera, elevata<br />
dopo le sconfitte elettorali del 1979,<br />
e dopo l’uscita dalla maggioranza di governo,<br />
una barriera che assunse come<br />
pretesto le prime polemiche nate dopo il<br />
rovinoso terremoto in Campania e Basilicata<br />
del 1980, e a seguito delle polemiche<br />
scoppiate subito dopo a proposito<br />
delle azioni di soccorso alle popolazioni<br />
terremotate giudicato frettolosamente<br />
come insufficienti e anzi viziate dal malaffare.<br />
E fu proprio durante un viaggio nelle regioni<br />
colpite dal sisma che Enrico Berlinguer<br />
scatenò la sua offensiva. Il segretario<br />
del Pci illustrò anzi la politica dell’alternativa<br />
democratica consistente in un<br />
concreto distacco dalla precedente strategia<br />
del compromesso storico all’indomani<br />
del terremoto con un discorso a<br />
Salerno che dette vita alla retorica di una<br />
Salerno Due. Si faceva riferimento alla<br />
strategia dettata nel lontano 1944, e<br />
sempre nella città campana, da Togliatti,<br />
tornato appena dall’Urss. La relazione<br />
fra i due eventi, assai vaga, tutta politica<br />
quella di decenni prima, tutta diversa<br />
quella del presente, servì a conferire all’evento<br />
un significato storico tutt’altro<br />
che occasionale e passeggero.<br />
La politica suggerita dalla “questione<br />
morale “ e dalla diversità comunista avrà<br />
un esito disastroso nei confronti del rapporto<br />
col Psi di Craxi, contro il quale in<br />
primo luogo verrà agitata chiudendo la<br />
possibilità, aperta dal riconosciuto fallimento<br />
del compromesso storico, di perseguire<br />
l’alternativa di sinistra che pure<br />
poteva contare ancora, in Parlamento,
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
su una forza di partenza rispettabile fra il<br />
Pci e i partiti che si rifacevano al socialismo<br />
e alla sinistra. L’alternativa di sinistra<br />
postulava tuttavia, per essere proposta,<br />
sia pure per il futuro, una revisione<br />
da parte del Pci dopo le polemiche laceranti<br />
create attorno alla politica di Craxi<br />
all’indomani della sua assunzione della<br />
segreteria del partito nell’estate 1976.<br />
Sarebbe stato anche necessario un ripensamento<br />
sul socialismo europeo, in<br />
specie dinanzi agli evidenti scricchiolii<br />
dell’edificio comunista in Europa. Un<br />
percorso, quest’ultimo, reso impossibile<br />
dalla ripresa dei rapporti con Mosca per<br />
l’affare dei missili, oltreché dal rischio di<br />
regalare a Craxi, che del socialismo europeo<br />
si era fatto apostolo in Italia, un argomento<br />
decisivo a suo favore.<br />
<strong>In</strong> ogni caso, né la base galvanizzata<br />
dal riconoscimento di una sua superiorità<br />
etica e antropologica, né il gruppo<br />
dirigente, né l’apparato culturale erano<br />
in grado di proporsi una simile prospettiva<br />
che avrebbe comportato il rischio di<br />
un passaggio dell’egemonia politica<br />
della sinistra dal Pci al socialismo democratico.<br />
Le nuove posizioni di Berlinguer suscitarono<br />
soprattuto a sinistra e nel Psi polemiche,<br />
e fra l’altro ovvie obiezioni e accuse<br />
di impotenza politica, di immobilità.<br />
Esse rivelarono anche, però, l’esistenza<br />
di una strategia conservatrice della quale<br />
il Pci non tardò a giovarsi. Anche perché<br />
la scelta comunista fornì nell’immediato<br />
alla Dc delle opportunità delle quali<br />
un’area consistente di quel partito non<br />
tardò ad approfittare. Alla sinistra democristiana<br />
di De Mita, e non solo ad essa,<br />
si offrì una sponda amplissima per tenere<br />
a bada la politica riformista avviata<br />
energicamente dal Psi di Craxi. La Dc,<br />
97<br />
insomma, e le forze conservatrici si trovarono<br />
a disporre come risultato dell’ostilità<br />
verso il craxismo del Pci di una potenza<br />
di fuoco preziosa ai fini della conservazione<br />
degli equilibri politici. E tutto<br />
ciò mentre Berlinguer dal suo canto riconquistava<br />
una sorta di monopolio dell’opposizione<br />
di massa nel Paese.<br />
E, un po’ paradossalmente ma non tanto,<br />
la nuova strategia del Pci fruì dell’appoggio<br />
di vasta parte dell’establishment<br />
politico che si sentì minacciato dalla forza<br />
e dalla determinazione del Psi tornato<br />
a essere un protagonista dinamico<br />
nelle vicende nazionali.<br />
Il Pci restava disponibile nell’animo dei<br />
militanti e del grosso degli elettori a una<br />
rivoluzione immaginaria, che non farà<br />
mai, che non tenterà neppure di fare,<br />
conservando invece le sue forze, pur<br />
sempre poderose, per un futuro del tutto<br />
incerto, ma nel quale il partito di Berlinguer<br />
conservava posizioni importanti. <strong>In</strong><br />
effetti nelle elezioni politiche successive<br />
a quelle del 1979, celebrate nel giugno<br />
1983, dopo quattro anni di permanenza<br />
nel limbo della “diversità” il Pci riconquistò<br />
il 30% dei voti (29,9) mentre il Psi riuscì<br />
faticosamente a raggiungere l’11%,<br />
bloccato nella sua crescita dalla opposizione<br />
nel corpo sciale del Paese del coriaceo<br />
blocco di potere comunista, e al<br />
centro e sulla destra dall’opposizione,<br />
più sotto traccia ma persistente e tenace,<br />
della Dc nella versione della demitiana<br />
“sinistra di base”.<br />
Rileggiamo, con Baudrillard: «Il Pc è l’ultimo<br />
garante della posta in gioco, non<br />
importa se di simulazione. Ecco perché<br />
la sua esistenza, la sua legittimità sono<br />
tabù da un lato all’altro dello schieramento<br />
politico... Il Pci ha fatto un buon
lavoro... ha bloccato il volano della storia<br />
al punto arretrato di una opposizione impotente<br />
e nostalgica, salvando così l’“immaginario“<br />
del potere di sinistra e la realtà<br />
di quello di destra».<br />
Il “soccorso bianco” in aiuto del Pci<br />
La Dc non cessò mai di coltivare, nonostante<br />
tutto, la teoria dei “due forni”, così<br />
definita da Giulio Andreotti, consistente<br />
in una alleanza particolare e di governo<br />
con il Psi e gli altri partiti laici e democratici,<br />
e nella perpetuazione del “regime<br />
consociativo” destinato ad associare il<br />
Pci non più al governo, ma all’uso del<br />
potere reale, e non certo sotterraneo.<br />
Ma non fu solo dalla Dc, e da parte del<br />
mondo cattolico, che venne quello che<br />
Craxi e il Psi definirono il “soccorso bianco”<br />
al partito comunista in grave crisi di<br />
prospettive politiche, dopo l’abbandono<br />
dell’alleanza di governo con la Dc, e<br />
nonostante la sua conclamata “diversità”<br />
morale, culturale e antropologica teorizzata<br />
da Berlinguer e dai suoi successori.<br />
L’ostilità nei confronti del Psi craxiano<br />
era condivisa da settori consistenti dell’opinione<br />
e dell’apparato mediatico, da<br />
ambienti borghesi, editoriali soprattutto,<br />
nei quali il Pci trovò simpatie e appoggi<br />
che gli evitarono di cadere nell’isolamento<br />
al quale pure si era candidato.<br />
Fu però senza dubbio Eugenio Scalfari,<br />
editore e demiurgo politico, a muoversi<br />
con maggiore coerenza, determinazione<br />
e spregiudicatezza. Fu, la sua, una avventura<br />
contro la quale il Psi polemizzò<br />
vigorosamente denunciando le mene del<br />
“partito editoriale e irresponsabile” sceso<br />
in campo a contrastare gli unici equilibri<br />
politici possibili dopo il ritorno di Berlinguer<br />
all’opposizione. L’azione del “partito<br />
di Scalfari” contribuì senza dubbio,<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
98<br />
per tornare a Baudrillard, ad assicurare<br />
la sopravvivenza di una opposizione arretrata<br />
e velleitaria, immaginaria dunque,<br />
dinanzi a poteri reali e di fatto conservatori.<br />
Il compito propostosi e portato a termine<br />
dal fondatore di “Repubblica” e dal “partito<br />
giornalistico” da lui messo in campo<br />
raggiunse risultati indubbi nella sopravvivenza<br />
della forza organizzata comunista.<br />
Vi fu per tutti gli anni ’80 una sorta di<br />
osmosi fra l’opinione di sinistra, sempre<br />
più confusa man mano che avanzava la<br />
crisi mondiale del comunismo, e il collasso<br />
dell’Urss da una parte, e settori importanti,<br />
e influenti, della società e della<br />
cultura di origine e di ispirazione borghesi.<br />
Il risultato fu quello di tenere insieme,<br />
di salvare confinandola per allora in una<br />
sorta di riserva antropologica, motivi e<br />
suggestioni “di sinistra” con contenuti,<br />
quanto meno con orientamenti di diversa<br />
e di opposta natura.<br />
Il principale punto di convergenza fra<br />
Scalfari e Berlinguer, fra la corazzata<br />
“Repubblica” e il Pci, fu l’anti-socialismo,<br />
nella forma contingente dell’anticraxismo.<br />
Questo fu seminato dal Pci come<br />
alternativa, dinanzi alla prospettiva di<br />
una rovina del mondo comunista e contro<br />
la possibilità di una svolta socialista e<br />
democratica. Contro questa possibile<br />
evoluzione il blocco comunista e i suoi<br />
alleati riuscirono a cementare un fronte<br />
composito, ma compatto nella sua ispirazione<br />
principale, l’anticraxismo. <strong>In</strong><br />
<strong>questo</strong> blocco si potevano riconoscere<br />
motivi e suggestioni conservatori con<br />
motivi nei quali era visibile l’estremismo<br />
e il settarismo di una base fedele ai miti<br />
di un marxismo ridotto ormai a una sorta<br />
di sacello dogmatico.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
L’anticraxismo assunse aspetti viscerali<br />
poiché il nuovo Psi metteva in discussione,<br />
coi princìpi ormai indifendibili del “socialismo<br />
reale”, poteri concreti ed estesi:<br />
quelli delle nomenklature comuniste, diffuse<br />
in modo reticolare nel Paese. <strong>In</strong> più,<br />
con la battaglia seguita dal referendum<br />
sulla contingenza, il craxismo inflisse<br />
una sconfitta storica al massimalismo<br />
sindacale della Cgil e ciò non gli procurò<br />
certo simpatie nella più forte fra le organizzazioni<br />
di massa in Italia. La campagna<br />
contro i socialisti e contro Craxi, infine,<br />
e soprattutto la predicazione sulla<br />
“diversità” etica dei comunisti risultò efficace<br />
poiché in certo senso risarcì, avvalendosi<br />
dell’appoggio di tanta parte della<br />
cultura e dell’apparato mediatico, molte<br />
delle frustrazioni e delusioni del mondo<br />
comunista. La “diversità”, insomma, la<br />
superiorità etica, intellettuale e antropologica<br />
fungeva da gratificazione per le<br />
delusioni patite dal popolo comunista.<br />
E le delusioni certo non mancavano: sul<br />
piano interno, per la fine ingloriosa del<br />
“compromesso storico”, un disegno dal<br />
respiro grandioso dissoltosi nel giro di<br />
pochi anni, e sul piano internazionale dinanzi<br />
ai segni sempre più visibili di disfacimento<br />
che venivano dall’impero sovietico.<br />
L’influenza del mondo comunista,<br />
negli ultimi tempi, negli anni del consociativismo,<br />
della partecipazione del partito<br />
e delle sue ramificazioni al potere reale,<br />
esteso sul territorio, si era ampliato a<br />
strati diversi dalla mitica classe operaia,<br />
avevano trovato, nei settori della cultura,<br />
del pubblico impiego, della scuola, dell’Università,<br />
nel mondo mediatico, campi<br />
nei quali trovare consolazioni non prive<br />
di concretezza.<br />
<strong>In</strong> fondo Scalfari, acquisendo i valori della<br />
“diversità” proclamati da Berlinguer,<br />
99<br />
fece un’operazione spregiudicata ma<br />
proficua, convincendo e in certo senso<br />
legando al suo impero editoriale una opinione<br />
pubblica vastissima, e convincendola<br />
che sì, sul piano politico avrà pure<br />
sbagliato tutto, ma che nonostante gli errori<br />
e le abbacinazioni costituiva la parte<br />
migliore del Paese, la predestinata fra<br />
l’altro a portarlo a salvamento.<br />
L’antisocialismo che individuò in Craxi il<br />
nemico, il mostro, trovava a sua volta<br />
nella storia comunista, con le vicende di<br />
Trotzkj, di Tito, degli occasionali ingombri<br />
italiani (si pensi ai Cucchi e Magnani<br />
dei tardi anni ’40, ma soprattutto alla<br />
ostilità nei confronti dei Saragat, dei Silone)<br />
una fonte di pregiudizio mai estinto.<br />
E non sorprende neppure la relativa<br />
facilità, una volta scomparsa nella rovina<br />
l’Urss, e lo stesso Craxi, di trasferire il<br />
carico di ostilità, la fobia ossessiva coltivata<br />
nei confronti del leader socialista<br />
sulle spalle del nuovo nemico Silvio Berlusconi.<br />
L’una e l’altra fobia hanno funzionato per<br />
tutti questi anni da motivo unificante di<br />
quelle alleanze nelle quali prendeva via<br />
via corpo l’unità fra campagne e luoghi<br />
comuni “di destra” e atteggiamenti e stati<br />
d’animo “di sinistra”. E siamo sempre<br />
all’intuizione di Baudrillard.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Il vaso di Pandora<br />
degli archivi sovietici<br />
di Giancarlo Lehner<br />
Le date sono il sale della storiografia e<br />
in certi casi marcano la soglia tra la nebbia<br />
della disinformazione e il nitore della<br />
verità.<br />
Il 19 agosto 1991 è una giornata memorabile,<br />
dimostratasi decisiva per riempire<br />
le molte pagine bianche della storia comunista<br />
e per smascherare sbianchettamenti<br />
e dissimulazioni dei comunisti, non<br />
esclusi quelli italiani.<br />
Non è ancora l’alba e l’agenzia Tass annuncia<br />
la sostituzione di Gorbaciov con<br />
Ghennadi Ianaiev, per gravi motivi di salute.<br />
Che si tratti di un putsch e non di<br />
un’improvvisa patologia invalidante lo si<br />
evince dall’ultima riga del lancio, dove si<br />
parla di stato d’emergenza della durata di<br />
sei mesi.<br />
Alle ore 7 e 12 si apprendono i nomi dei<br />
veri capi: Valentin Pavlov (primo ministro),<br />
Vladimir Kriuchkov (Kgb), Boris Pugo<br />
(<strong>In</strong>terni), Dmitri Iazov (Difesa). Fa<br />
pensare la stranezza che siano non avversari,<br />
bensì stretti colllaboratori del<br />
presidente destituito, tutti personalmente<br />
nominati da Gorby.<br />
Il centro di Mosca è invaso dai tanks della<br />
divisione Tamanskaja, quando, intorno, alle<br />
ore 9 si viene a sapere che Gorbaciov è<br />
agli arresti domiciliari.<br />
Ebbene, proprio in tali accadimenti si cela<br />
l’origine di quell’evento epocale che fu<br />
l’apertura degli archivi sovietici, in particolare,<br />
dell’archivio del Comitato Centrale<br />
del Pcus situato in via Ilinka a Mosca.<br />
100<br />
Come spesso accade nelle cose umane<br />
la svolta è il prodotto di una beffarda eterogenesi<br />
dei fini.<br />
I neobolscevichi guidati da Pavlov (ma il<br />
“cervello” è Kriuchkov) tentano l’estrema<br />
carta, il colpo di Stato, per rimettere in<br />
piedi il regime ed il partito. È un golpe<br />
anomalo e denso di ambiguità – si dubita<br />
che lo stesso Gorbaciov abbia mandato<br />
avanti i golpisti –, tuttavia, l’azione di<br />
forza appare subito debole ed improbabile,<br />
certamente priva dell’appoggio convinto<br />
dell’Armata rossa, del Gru e soprattutto<br />
dei colonnelli del Kgb.<br />
Armata rossa e Lubjanka, certo, non potevano<br />
vedere di buon occhio un’operazione<br />
politica violenta che, fra gli altri obbiettivi,<br />
mirava a ripristinare la tradizionale<br />
egemonia del Pcus sugli apparati dello<br />
Stato, un antico tradizionale predominio,<br />
messo in discussione la prima volta<br />
da Berija che finì, per quel tentativo, ammazzato.<br />
Dopo il boia georgiano, altri osarono indebolire,<br />
se non colpire, il primato della<br />
“politica”, cioè del Pcus, rimanendo sistematicamente<br />
travolti.<br />
È solo con l’avvento di Andropov che tutto<br />
si ribalta: dal novembre 1982, è il Kgb<br />
a dominare, tant’è che il partito comunista<br />
è costretto ad operare sotto il controllo<br />
della Lubjanka.<br />
Fatto è che il Kgb ha selezionato un<br />
gruppo dirigente di gran lunga più preparato,<br />
aggiornato, informato dei “politici”
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
dediti all’alcool piuttosto che alla cultura<br />
di governo.<br />
Soltanto alla Lubjanka, del resto, si ha il<br />
quadro veritiero del disastro dell’Unione<br />
sovietica, dove, ad esempio, un terzo del<br />
petrolio – tradotto in dollari son cifre da<br />
capogiro – si perde perché dadi e bulloni<br />
non sono ben stretti. <strong>In</strong> Urss – il detto è<br />
sulla bocca di tutti – lo Stato finge di pagare<br />
ed i lavoratori fingono di lavorare,<br />
evitando di serrare i bulloni.<br />
Andropov ed i suoi “ragazzi” (Gorbaciov,<br />
Aliev, Shevardnaze, etc) hanno spezzato<br />
ogni resistenza dei “politici”, usando ogni<br />
mezzo, finanche una lunga serie di stupefacenti<br />
sciagure automobilistiche. Gli<br />
uomini migliori del Pcus, quelli che potevano<br />
ostacolare l’irresistibile ascesa di<br />
Andropov, cominciano a sbandare paurosamente<br />
in curva... sui rettilinei; oppure,<br />
a morire maciullati per l’impatto laterale<br />
di camion sbucati all’improvviso da strade<br />
laterali di autostrade... prive di incroci.<br />
Adesso, col golpe di agosto, Pavlov cerca<br />
di tornare all’antico: basta perestrojka,<br />
glasnost ed egemonia dei servizi, tutto il<br />
potere di nuovo al partito.<br />
Lo strano caso di Romano Prodi,<br />
il cane di Pavlov, anzi di George Soros<br />
Fuori dell’Urss è tutto un coro di proteste<br />
e di condanne. Lo stesso Pci è disorientato<br />
e sceglie di stare col “prigioniero”<br />
Gorby, che in verità sta prendendo<br />
i bagni nel mare di Crimea, giocando<br />
con la ciambella a forma di papera della<br />
nipotina.<br />
A parte Kim Il Sung, Fidel Castro e qualche<br />
alcolizzato dell’estremo Nord, l’unico<br />
che saluta il golpe come prodromo di una<br />
ripresa dell’economia sovietica e, comunque,<br />
come evento per nulla depreca-<br />
101<br />
bile, anzi normale e positivo, è Romano<br />
Prodi.<br />
Certo, è in affari con l’istituto Plekhanov,<br />
ma solo l’ignoranza totale delle cose sovietiche<br />
può spingerlo a rilasciare le seguente<br />
allucinata intervista al “Corsera” :<br />
«Conosco bene Pavlov... Direi che per<br />
certi versi quella che ha fatto in queste<br />
ore è una scelta coerente. Mi aspetto entro<br />
pochi giorni passi decisivi per quanto<br />
riguarda la gestione dell’economia».<br />
Dalle sue parole sembra che non sia accaduto<br />
nulla di importante, anzi Prodi ci<br />
tiene a precisare che in Urss la vita continua:<br />
«Il telex che abbiamo avuto stamattina<br />
dal nostro istituto parla chiaro.<br />
L’anno accademico, la cui inaugurazione<br />
era prevista proprio per oggi, è regolarmente<br />
iniziato».<br />
A testimonianza del grado di attendibilità<br />
delle informazioni raccolte dalla Nomisma<br />
di Mosca, Prodi aveva già preso una<br />
terribile cantonata pochi giorni prima, affermando<br />
che non c’era al mondo Paese<br />
più stabile dell’Urss.<br />
La Nomisma, insomma, gli forniva non<br />
dati oggettivi, ma la paccottiglia della<br />
propaganda comunista, facendo, così, di<br />
Prodi il cane di Pavlov.<br />
Adesso, davanti al golpe, la miopia del<br />
manager, interessato a conservare il rapporto<br />
di consulente anche con i golpisti,<br />
tocca livelli inauditi.<br />
Ecco le sue previsioni tutte orientate a<br />
dare per consolidato il putsch d’agosto:<br />
«Non mi pare il caso di aspettarsi una<br />
sollevazione popolare a favore di Gorbaciov...<br />
E secondo i nostri analisti nemmeno<br />
Boris Eltsin, che è assai più popolare<br />
dispone di una rete capace di promuovere<br />
una sollevazione [sic!]...».<br />
C’è, però, un’altra possibile interpretazione,<br />
che rende giustizia all’intelligenza lu
ciferina di Prodi. Non si trattò di ignoranza,<br />
bensì di una strategia dell’attenzione<br />
dettata dalle velleità di George Soros, il<br />
finanziere invasivo che ha sempre denotato<br />
la vocazione a cambiare i connotati<br />
alle monete (vedi la svalutazione della lira<br />
di oltre il 30% col primo governo Amato),<br />
alle economie nazionali ed alla geografia<br />
politica degli Stati.<br />
Soros aveva proposto al Cremlino un<br />
progetto per riformare l’economia sovietica,<br />
a partire dall’agricoltura e dalla distribuzione<br />
dei prodotti alimentari. Solo Pavlov<br />
pare gli avesse dato credito.<br />
Prodi, non va dimenticato, era, in quegli<br />
anni, uno stipendiato di Soros.<br />
Il retrogusto comico della tragedia<br />
Il giorno 20, inviato dall’“Avanti!”, arrivo a<br />
Mosca insieme all’indimenticabile, bravissimo<br />
Mauro Martini.<br />
Mauro, essendo più esperto di me, si mostra<br />
pessimista, mentre io, con l’ottimismo<br />
dell’ultimo arrivato in cremlinologia,<br />
non credo alla riuscita del golpe.<br />
È vero che un cingolato degli “Omon” ha<br />
orribilmente schiacciato quasi sotto i nostri<br />
occhi un povero ragazzo sulla via Arbat.<br />
È vero che le strade sono invase da<br />
un’interminabile fila di tanks e che anche<br />
la leggendaria Tverskaia – l’ex via Gorkij,<br />
quella del famigerato Hotel Lux – è ridotta<br />
ad accampamento di manipoli.<br />
È pur vero, però, che, appena si mette il<br />
naso fuori Mosca, la situazione appare<br />
ben diversa: il Kgb periferico finge di non<br />
saper niente dello stato d’emergenza,<br />
disapplicando in maniera conclamata gli<br />
ordini di Kriuchkov.<br />
Nella stessa Mosca, la gente circonda i<br />
carri, ci sale sopra e parlotta tranquillamente<br />
con i soldati, i quali fanno capire<br />
che non ci pensano proprio a sparare.<br />
E qualcuno di loro dalla torretta lo dice<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
102<br />
alto forte: “Non sparerò sul mio popolo”.<br />
Del resto, i golpisti non sono riusciti<br />
neanche a portare a termine le elementari<br />
operazioni preliminari: uccidere gli<br />
avversari col maggior sostegno popolare,<br />
come Anatoli A. Sobciak, il sindaco di<br />
San Pietroburgo, e, soprattutto, Eltsin,<br />
che viaggia sull’80 per cento dei consensi.<br />
Il fatto che Boris Nikolaevic’ stia lì in piedi<br />
sul carro armato a parlare ai moscoviti<br />
che verso i comunisti nutrono, più che<br />
mai, disprezzo conferma l’impressione a<br />
naso che gli ordini dei vertici non vengano<br />
affatto eseguiti.<br />
Gli agenti della forza Alfa, mandati ad arrestare<br />
— e certamente ad assassinare —<br />
Eltsin, non solo non obbediscono, ma lo<br />
aiutano a schivare altre possibili “visite” e,<br />
per giunta, prendono accordi per poterlo<br />
meglio preservare.<br />
A proteggere Eltsin, che accende la folla,<br />
chiamandola alla rivolta contro i golpisti,<br />
proprio accanto a lui, ci sono alcuni ufficiali<br />
del Kgb che avrebbero dovuto ammazzarlo.<br />
Altre personalità iscritte nella lista nera<br />
degli avversari da eliminare vengono sì<br />
arrestate, ma a scopo preventivo, cioè<br />
per garantir loro l’incolumità.<br />
Il presidente del Kgb, Kriuchkov, non<br />
controlla più niente. L’Armata rossa esegue<br />
sino ad un certo punto, rifiutando, a<br />
priori, il bagno di sangue. Lo stesso Gru,<br />
il servizio segreto militare, tentenna e<br />
prende tempo.<br />
Nell’arco di 72 ore, il golpe degli inetti finisce<br />
nel ridicolo con l’annuncio del forte<br />
raffreddore di Pavlov, il più inetto di tutti,<br />
che è scivolato dentro una bottiglia di<br />
vodka.<br />
L’occasione mancata<br />
Ringrazio la sorte d’avermi fatto trovare
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
lì, a Mosca, a vivere il momento in cui,<br />
grazie al contraccolpo del fallito golpe, il<br />
Pcus viene sciolto e posto fuori legge,<br />
mentre l’Urss stessa è già sulla strada<br />
d’essere derubricata a Csi.<br />
Potei essere, così, testimone oculare del<br />
botto epocale.<br />
Fu gioia grande ed anche l’inizio di un<br />
nuovo fondamentale percorso di ricerca.<br />
Non mi riferisco solo all’emozione d’aver<br />
personalmente partecipato, nella piazza<br />
della Lubjanka, all’abbattimento del monumento<br />
di quel pazzo assassino di Feliks<br />
Dzerzinski, il creatore della Ceka, la<br />
prima spietata polizia politica, una vera<br />
macchina di morte voluta da Lenin.<br />
L’essere stato più volte in Urss mi aveva<br />
consentito di conoscere personalità russe,<br />
come Mikhail Poltoranin, uomo di Eltsin,<br />
che si riveleranno preziose. Feci<br />
amicizia, fra gli altri, con Francesco Bigazzi,<br />
da anni a Mosca come corrispondente<br />
di agenzie e quotidiani.<br />
Ebbene, già nel settembre del 1991 sarei<br />
stato in grado di raccogliere una serie di<br />
documenti inconfutabili sui finanziamenti<br />
del Pcus al Pci, sulle società di comodo<br />
di import-export, sulle variegate illegalità<br />
commesse dai comunisti italiani, a cominciare<br />
dalle evasioni fiscali.<br />
Gli amici russi, che mi avrebbero aiutato<br />
nella ricerca, mi accennarono qualcosa<br />
sulla società “Maritalia” e sull’associazione<br />
per delinquere tra comunisti russi ed<br />
italiani nell’ambito delle frodi sia al fisco<br />
italiano che a quello sovietico.<br />
Tornato in Italia, avendo con me solo<br />
qualche carta sulle vittime italiane in<br />
Urss, anni Trenta e Quaranta, feci lo sbaglio<br />
di non chiedere un immediato contatto<br />
diretto con Craxi. Ne parlai con <strong>In</strong>tini,<br />
il quale, credo in perfetta buona fede,<br />
non avendo colto la portata politica di<br />
quanto gli prospettavo, si limitò a chiede-<br />
103<br />
re al nuovo direttore dell’“Avanti!”, Roberto<br />
Villetti, se poteva rimandarmi a Mosca<br />
per un paio di mesi.<br />
Villetti, anch’egli certamente in buona fede,<br />
rispose che gli servivo in redazione e,<br />
così, l’appuntamento con le carte-verità<br />
sul Pci fu rinviato di due anni.<br />
Un ritardo che si rivelò fatale.<br />
Quando, all’hotel Raphael, raccontai l’episodio<br />
a Craxi, il leader socialista fece<br />
un salto, sbiancò e pronunciò espressioni<br />
irripetibili.<br />
Quei documenti resi pubblici alla fine del<br />
1991 avrebbero probabilmente cambiato<br />
il corso degli eventi, rendendo impossibile<br />
Mani pulite, il circo mediatico-giudiziario<br />
e il surreale ruolo dell’ex Pci come<br />
partito della “questione morale” di contro<br />
ai “corrotti” della Prima Repubblica.<br />
Anzi, stando a Vladimir Bukovskij, quel ritardo<br />
fu addirittura causa della stagione<br />
dei Di Pietro.<br />
Bukovskij, infatti, ipotizzò che l’inchiesta<br />
di Mani pulite fosse stata avviata proprio<br />
per anticipare gli eventi e distrarre l’attenzione<br />
dal vero enorme scandalo dei<br />
mega-finanziamenti al Pci e dello spionaggio<br />
italico a favore dell’Urss.<br />
Secondo Bukovskij, in vista di una catastrofica<br />
valanga di documenti sulla storia<br />
di un alto tradimento da parte di italiani<br />
nei confronti della loro patria, fu preventivamente<br />
scatenato il “terrore giudiziario”.<br />
<strong>In</strong> tal modo, sarebbe stata scongiurata la<br />
temuta Norimberga comunista.<br />
Gli archivi di via Ilinka<br />
Quando il Psi e l’“Avanti!” sono ormai<br />
moribondi, contando sull’amicizia di alcuni<br />
colleghi delle “Izvestia”, di accademici<br />
russi e di Poltoranin, divenuto ministro<br />
dell’informazione, organizzo una disperata<br />
spedizione a Mosca, per recuperare i<br />
documenti di due anni prima.
Fra questi, a parte le carte sui finanziamenti<br />
del Pcus, che Bigazzi, prima di me,<br />
andava diligentemente raccogliendo, i<br />
più importanti riguardano la seconda<br />
“Gladio rossa” del Pci, quella del periodo<br />
1967-1981.<br />
Un giorno, verso l’ora di pranzo, uscendo<br />
dalla sede delle “Izvestia”, vengo aggredito<br />
da quattro figuri. Ivan, il mio accompagnatore,<br />
mi aiuta a metterli in fuga,<br />
non prima di averli marcati ben bene di<br />
calci e cazzotti.<br />
Alla fine, io zoppico un po’ per un calcio<br />
sulla coscia sinistra e l’angelo custode<br />
russo ha un occhio pesto.<br />
Nulla di che, tant’è che invece del pronto<br />
soccorso prendiamo la strada di un’osteria.<br />
Ivan, davanti a cento grammi di vodka<br />
ed a un piatto di fagioli, mi dice: «Russi?<br />
Ma no, quelli erano italiani».<br />
Secondo me, si sbagliava, per quanto<br />
uno strano articolo pubblicato dall’“Unità”<br />
gli desse ragione.<br />
Il primo documento che recupero è quello<br />
che prova l’azione diretta di Ugo Pecchioli<br />
nell’organizzazione della struttura<br />
illegale e paramilitare del Pci.<br />
La scoperta racchiude un paradosso:<br />
proprio nell’autunno del 1993, lo stesso<br />
Ugo Pecchioli, che aveva mandato, nel<br />
1976, dei comunisti italiani ad addestrarsi<br />
presso il Kgb, era stato nominato presidente<br />
della commissione di controllo<br />
sui servizi segreti italiani.<br />
<strong>In</strong>somma, un po’ come il conte Dracula<br />
eletto alla presidenza dell’Avis.<br />
La notizia è sconvolgente, solo che non<br />
so a chi farla giungere, visto che in quel<br />
momento, il Italia, la marea antisocialista<br />
sta salendo ai livelli massimi.<br />
L’“Avanti!” è in coma profondo e, comunque,<br />
non è il medium giusto per dare credibilità<br />
e risonanza allo scoop.<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
104<br />
Da giornalista senza giornale e da socialista<br />
senza Psi metto a punto un percorso<br />
anomalo, un faticoso gioco di sponda,<br />
per far giungere in buca il documento.<br />
Era appena uscito a Mosca il settimanale,<br />
“Stolitsa” (La Capitale).<br />
Io conoscevo un suo giovanissimo redattore,<br />
Voronov – oggi, è un autorevole<br />
giornalista –. Me l’aveva presentato Andrej<br />
Mironov, un uomo eccezionale che<br />
s’era fatto spaccare tutti i denti senza cedere<br />
di un millimetro ai torturatori del Kgb,<br />
grande indomabile dissidente, l’ultimo prigioniero<br />
politico liberato da Gorbaciov.<br />
A Voronov propongo uno scambio vantaggioso:<br />
ti cedo lo scoop in cambio di<br />
niente, a patto che tu dia la notizia alle<br />
agenzie di stampa e in particolare all’italiana<br />
“Ansa”.<br />
Considerando la deriva filocomunista dei<br />
nostri media, il giorno dell’uscita di “Stolitsa”,<br />
corro alla sede “Ansa” di Mosca<br />
per vigilare.<br />
Lì vi trovo Squillante – uno dei figli del<br />
giudice –, che ricordo sofferente, con un<br />
collarino forse per un colpo di frusta.<br />
Squillante fa il suo dovere di giornalista e<br />
il documento tratto dall’archivio del Cc<br />
del Pcus, datato 30 gennaio 1976 e firmato<br />
da Boris Ponomariov, giunge in<br />
tempo reale nelle redazioni italiane.<br />
<strong>In</strong> quel testo sta scritto:<br />
«Il compagno Ugo Pecchioli della direzione<br />
della segreteria del Pc... ha rivolto<br />
al Cc del Pcus la richiesta dell’assistenza<br />
al Pc per l’addestramento di istruttori, radiotelegrafisti,<br />
esperti di tecniche di partito,<br />
di realizzazione di rifugi segreti, di individuazione<br />
di microspie, ed ha rivolto richiesta<br />
di aiuto anche per la fabbricazione<br />
di documenti italiani in bianco, da utilizzare<br />
sia all’interno che all’estero....».<br />
<strong>In</strong> Italia, l’aria è bestiale al punto che il
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
sindaco di Roma, Rutelli, caccia via un<br />
suo stretto collaboratore, “colpevole”, essendo<br />
avvocato, d’aver assunto la difesa<br />
di Craxi.<br />
Eppure, grazie alla botta Pecchioli, all’inizio<br />
sembra che finalmente l’Italia imbarbarita,<br />
impazzita e a testa all’ingiù sia<br />
pronta a rimettersi nella posizione del<br />
giusto e della ragione.<br />
La Dc chiede, infatti, visti i trascorsi da<br />
gladiatore rosso, le dimissioni di Pecchioli<br />
come sarebbe normale in un paese<br />
dove l’idea di nazione ed il senso della<br />
patria non galleggiassero al di sotto del<br />
bagnasciuga della modica quantità.<br />
Anche il Psi chiede le dimissioni.<br />
Io prendo il primo volo disponibile. Arrivo<br />
a Roma, per godermi gli effetti e scrivere<br />
qualcosa sull’“Avanti!”.<br />
Ovviamente, ai colleghi di via Tomacelli<br />
non dico nulla.<br />
Solo Luca Josi e Bettino Craxi sono informati<br />
del mio piccolo capolavoro.<br />
Scalfaro e Pecchioli, in due<br />
sull’altalena<br />
All’improvviso, senza alcuna ragione<br />
apparente, il vice presidente dei senatori<br />
Dc Franco Mazzola, lo stesso che<br />
aveva suonato la carica sdegnata contro<br />
Pecchioli, se ne esce con una proposizione<br />
kafkiana: «Non mi sento di<br />
condividere una richiesta indiscriminata<br />
di dimissioni».<br />
Anche il Psi molla la presa e alle mie proteste,<br />
Boselli, davanti all’assemblea dei<br />
giornalisti dell’“Avanti!”, ribadisce la strategia<br />
della ritirata.<br />
Trascorrono poche ore e Antonio Maccanico,<br />
sottosegretario alla Presidenza<br />
del Consiglio – il premier è Ciampi – dichiara:<br />
«Alla Procura di Roma c’è un’istruttoria<br />
aperta contro ignoti [sic!] sulla<br />
presunta esistenza di una struttura clan-<br />
105<br />
destina del Pci e di corsi di addestramento<br />
e aiuti da parte dell’ex Unione Sovietica<br />
a movimenti [sic!] italiani. Dunque<br />
il governo non può che osservare il più<br />
scrupoloso silenzio....».<br />
Si trattò in realtà di un minuto di silenzio<br />
in memoria di tre defunti, l’amor patrio, la<br />
verità e la dignità, visto che il Governo<br />
non ritenne opportuno pronunciare mezza<br />
parola su un possibile alto tradimento<br />
e una comprovata connivenza con l’avversario<br />
che ci puntava addosso gli SS20<br />
a testata nucleare.<br />
Pecchioli resta al suo posto.<br />
Ciampi farà una luminosa carriera.<br />
Che diavolo era accaduto?<br />
Oscar Luigi Scalfaro, in piena apnea da<br />
fondi neri del Sisde e non solo, il 3 novembre<br />
1993, a reti unificate regala alla<br />
Nazione il suo: “Non ci sto!”. Può dirlo,<br />
perché sa di essere ormai salvo.<br />
Ebbene, la poltrona di Pecchioli salvata<br />
dalla Dc è speculare al salvataggio di<br />
Scalfaro.<br />
Il 4 novembre 1993, infatti, accade un evento<br />
memorabile: ai dirigenti del Sisde, i quali<br />
stanno parlando troppo di fondi neri e di altri<br />
impicci, la Procura di Roma contesta l’articolo<br />
289 c.p. cioè l’attentato agli organi costituzionali,<br />
una roba da dieci anni minimo di<br />
galera.<br />
Francesco Misiani, l’ex magistrato che<br />
visse dall’interno la singolare iniziativa,<br />
ha raccontato: «Contestare il 289 agli indagati<br />
significava porli in una condizione<br />
senza via di uscita. Ogni ulteriore chiamata<br />
in correità nei confronti di uomini<br />
politici in carica o, comunque, con responsabilità<br />
istituzionali li avrebbe precipitati<br />
nella condizione di indagati per un<br />
reato gravissimo da cui sarebbero usciti
con condanne pesantissime... ribadii che<br />
il 289 era un’assurdita e che come me la<br />
pensava la maggioranza di Md. Michele<br />
[Coiro, ndr] sbottò: “Qui si tratta di difendere<br />
un presidente della Repubblica galantuomo<br />
da una banda di masnadieri.<br />
La storia ci darà ragione...” ...».<br />
Gli 007, con le loro dichiarazioni, peraltro<br />
confermate da Amintore Fanfani, avrebbero,<br />
dunque, messo in pericolo le istituzioni,<br />
turbando il ministro degli interni Nicola<br />
Mancino e il presidente Scalfaro, da<br />
Documenti<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
106<br />
loro coinvolti in vario modo nell’affaire dei<br />
fondi riservati.<br />
Il ricorso all’articolo 289 riesce a tappare<br />
la bocca ai Malpica, ai Galati, ai Broccoletti,<br />
etc. Mancino e Scalfaro sono di nuovo<br />
tranquilli, proprio come Pecchioli.<br />
Dopo pochi mesi, anche l’inchiesta sui<br />
gladiatori del Pci viene archiviata.<br />
<strong>In</strong>somma, a mettere a rischio la Res Publica<br />
sono coloro che fanno rivelazioni<br />
sui fondi neri del Sisde, non la struttura<br />
clandestina paramilitare spionistica in<br />
stretto rapporto con uno Stato nemico.<br />
IL GIP ARCHIVIA<br />
Tribunale di Roma - Ufficio del giudice per le indagini preliminare<br />
decreto di archiviazione ex art. 409 c.c.p.<br />
Il giudice dottor Claudio D’Angelo<br />
- esaminati gli atti processuali relativi agli articoli pubblicati sul settimanale “L’EUROPEO”: “Di Gladio ne esisteva<br />
un’altra, quella Rossa”; “La struttura paramilitare? Esisteva, esisteva eccome”; nonché l’articolo, pubblicato sul<br />
quotidiano “IL GIORNALE”: “Il SISMI: Del Pennino patriota presunto; anche il P.C.I. ebbe la sua Gladio rossa”;<br />
- Ritenuto che il contenuto del copioso materiale documentario e delle informative acquisite agli atti non consentono<br />
di verificare compiutamente la concreta consistenza nonché la effettiva operatività e pericolosità dell’apparato<br />
di vigilanza del P.C.I. che, interessato all’addestramento teorico e pratico di militanti comunisti italiani, si adoperò<br />
e, per anni, operò alla realizzazione del suddetto obbiettivo in stretto collegamento con il P.C.U.S.;<br />
- Ritenuto che, a parte gli inquietanti molteplici e gravi riferimenti, nella documentazione acquisita, a corsi di addestramento<br />
al sabotaggio; all’uso di armi e di esplosivi; a tecniche di travisamento e di comunicazione radio in forma<br />
clandestina, presupponenti la creazione in Italia di strutture paramilitari e spionistiche, realizzate anche con la fattiva<br />
collaborazione del KGB e grazie a un notevole flusso di danaro proveniente dal P.C.U.S. e dalle facilitazioni commerciali<br />
a ditte import-export che, vicine al P.C.I. e/o da <strong>questo</strong> sponsorizzate, hanno per anni tranquillamente ed incisivamente<br />
operato, in epoca antecedente e susseguente all’invasione dell’Ungheria e Cecoslovacchia ad opera<br />
dell’URSS; non appare processualmente possibile dimostrare, a distanza di tanti, troppi anni, che l’interesse dell’URSS<br />
nei confronti di militanti comunisti italiani si sia tramutato - come sinteticamente ma esaudientemente osserva<br />
il P.M. - in una vera e propria corruzione del cittadino italiano per interessi contrari allo Stato italiano”, né che<br />
l’accertata predisposizione da parte del P.C.I. di meccanismi difensivi in vista del temuto cambiamento del clima politico<br />
in Italia abbia assunto - a parere di <strong>questo</strong> Giudice - dimensioni tali da costituire un serio concreto pericolo per<br />
lo Stato, per le sue democratiche istituzioni, per la collettività nazionale, per singoli suoi appartenenti;<br />
- Ritenuto, pertanto, che la richiesta del P.M. meriti accoglimento;<br />
P.Q.M.<br />
Visto l’art. 409 C.P.P.<br />
Dispone<br />
L’archiviazione del procedimento penale in oggetto e la restituzione degli atti al P.M. in sede per l’ulteriore trasmissione<br />
all’archivio.<br />
Roma, 6 luglio 1994<br />
Il GIUDICE<br />
Dott. Claudio D’Angelo
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
GLADIO ROSSA<br />
Il progetto della seconda “Gladio rossa” è documentato dal 7 agosto 1967, quando Luigi Longo si rivolge al Cc del<br />
Pcus chiedendo:<br />
«... di prestare assistenza per quanto riguarda l’insegnamento ad alcuni tecnici del Pci in Urss di tecniche radiofoniche,<br />
di metodi di cospirazione e di sistemi di documentazione speciale ».<br />
La richiesta è accolta il 15 agosto 1967.<br />
Da allora, attraversando tappe terribili, l’invasione di Praga, piazza Fontana, le stragi, le Br, la struttura illegale addestrata<br />
dagli esperti del Kgb cresce, si ramifica e si specializza, specie negli anni del “compromesso storico”, proprio<br />
quando – è un apparente paradosso – il Pci promette di “farsi Stato”. <strong>In</strong> effetti, si fa così “Stato”, che i nostri servizi segreti,<br />
come gattini ciechi, non vedranno mai niente.<br />
Coincidenza singolare è che negli stessi anni polizia, forze armate e magistratura vengano infiltrate da poliziotti democratici,<br />
sottufficiali democratici e da magistrati democratici, dove l’aggettivo “democratico” possiede una valenza semantica<br />
alternativa, significando semplicemente “comunista”.<br />
Sempre in quel periodo, Ugo Pecchioli è in costante contatto con i vertici delle FF.AA e dei nostri servizi segreti.<br />
A parte le trasmissioni radio verso la centrale di Sofia, non si sa come l’esercito illegale del Pci (e del Kgb) abbia operato<br />
e tale mistero rinvia anche ai cosiddetti misteri d’Italia favoriti non da servizi deviati, semmai da servizi distratti.<br />
Il 13 maggio 1981, il sicario Mehmet Ali Agca, spara due colpi di pistola in piazza San Pietro contro Giovanni Paolo II.<br />
Senza attendere rivelazioni e Commissioni parlamentari, l’indimenticabile Irina Alberti dice subito chiaro e tondo che<br />
il mandante è il Kgb di Andropov, col supporto dei servizi bulgari.<br />
Polizia e magistratura – ma sarà un fuoco di paglia -, sono allertate sui mandanti bulgari.<br />
I vertici del Pci entrano in fibrillazione, perché le ricetrasmittenti illegali sono collegate direttamente con Sofia e c’è il<br />
rischio che le indagini sulla “pista bulgara” possano condurre alle Botteghe Oscure.<br />
Per il Pci sarebbe la fine.<br />
Un uomo di Pecchioli, Franco Raparelli, s’affretta a comunicare al Cremlino che alcune postazioni-radio illegali del Pci<br />
più a rischio sono state smantellate. Raparelli, che probabilmente ha motivo di credere che son proprio i sovietici ad<br />
aver armato la mano di Agca, giustifica l’improvvisa dismissione con una botta di fantasia, cioè con operazioni della<br />
polizia italiana contro strutture neofasciste.<br />
<strong>In</strong>somma, il Pci chiude l’avventura gladiatoria non per un qualche ravvedimento liberaldemocratico, ma per il terrore<br />
d’esser mischiato con l’attentato a Wojtyla.<br />
Ecco qui, di seguito, la documentazione sulla “Gladio rossa” 1967-1981:<br />
***<br />
1) Segretissimo – Dossier speciale<br />
Al Cc del Pcus<br />
Oggetto: assistenza speciale al Partito comunista italiano<br />
26 aprile 1974<br />
Il membro dell’Ufficio politico del Partito comunista italiano compagno A. Cossutta, a nome della direzione del Pci<br />
(compagni Luigi Longo ed Enrico Berlinguer) si è rivolto al Cc del Pcus con la richiesta che venga prestata al Pci assistenza<br />
per questioni speciali. Nel corso delle consultazioni di lavoro svolte a Mosca il compagno Cossutta ha specificato<br />
che la direzione del Pci, per agevolare il lavoro del partito nelle condizioni di un forte inasprimento della situazione<br />
politica del paese, chiede di aiutare il Pci nell’addestramento di istruttori e di esperti di collegamenti radio, di cifrari,<br />
di tecniche di partito e di tecniche di travestimento e camouflage, nonché nell’elaborazione dei programmi dei<br />
collegamenti radio, dei documenti in cifra e nella preparazioni di documenti italiani e stranieri per l’uso esterno e interno.<br />
<strong>In</strong> conformità alle delibere del Cc del Pcus (nullaosta del 16 giugno 1970, delibere formali sg.60/53 vot. Del 20 ottobre<br />
1972 e V. 91/3 del 17 maggio 1973). Negli ultimi anni tre persone [del Pci, ndr] hanno seguito in Unione Sovietica<br />
un corso di collegamenti radio e di cifrari, mentre tre radiotrasmettitori e i cifrari sono stati consegnati ai compagni<br />
italiani nel 1973.<br />
Riterremmo opportuno accettare la richiesta della direzione del Pci e accogliere in Unione Sovietica, nel 1974, 19 comunisti<br />
italiani per un corso di preparazione speciale, di cui 6 persone per un corso sui collegamenti radio segreti, sull’utilizzo<br />
delle emittenti BR-3u e sull’uso dei cifrari (durata massima 3 mesi), 2 istruttori per la preparazione di radiotelegrafisti<br />
e di cifratori (durata massima 3 mesi), 9 persone per studiare le tecniche di partito (durata massima 2 mesi)<br />
e 2 persone per studiare le tecniche di travestimento e camouflage (durata massima 2 settimane); si dovrebbe inoltre<br />
autorizzare l’arrivo a Mosca di un esperto del Pci, per le consultazioni sull’avvio di tipi speciali di radiotrasmissione in<br />
ambienti chiusi.<br />
Sarebbe opportuno studiare programmi di telecomunicazione, e documenti in cifra per le trasmissioni radiofoniche unilaterali<br />
dei telegrammi cifrati circolari 13-16, destinate ai centri regionali del Pci, confezionare messaggi in cifra da recifrare<br />
nella rete dei collegamenti radio bilaterali, nonché preparare 500 documenti italiani in bianco tra passaporti per<br />
107
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
l’estero e carte d’identità a uso interno. Si potrebbe inoltre confezionare per il gruppo dei massimi dirigenti del partito<br />
50 passaporti e carte d’identità, 50 copie di riserva degli stessi documenti del tipo svizzero e francese, nonché parrucche<br />
e atri tipi di camouflage atti a cambiare le sembianze.<br />
L’accoglienza dei compagni italiani e i relativi servizi logistici potrebbero essere affidati alla Sezione internazionale del<br />
Cc del Pcus e alla direzione amministrativa del Cc del Pcus, mentre il loro addestramento e la selezione degli interpreti<br />
sarebbero di competenza del Kgb.<br />
Le spese di viaggio dall’Italia a Mosca, andata e ritorno, dei comunisti italiani e quelle per il loro soggiorno in Urss potrebbero<br />
essere addebitate al budget di spesa per l’accoglienza di funzionari di Partito esteri.<br />
La questione è stata concordata con il KGB (compagno Ju. V. Andropov).<br />
Si allega bozza di delibera del CC del PCUS<br />
B. Ponomariov<br />
***<br />
2) Segretissimo – Dossier speciale – V. 136/53<br />
5 maggio 1974<br />
Al comp. Andropov e Ponomariov: tutto; al comp. G. Pavlov: solo punto 2.<br />
Estratto del verbale n.136 della seduta del Politburo del CC del 5 maggio 1974<br />
Oggetto: assistenza speciale al Partito comunista italiano<br />
1. Soddisfare la richiesta della direzione del Pci e ospitare in URSS per un corso di preparazione speciale 19 comunisti<br />
italiani, di cui 6 per apprendere le tecniche della radiotrasmissione, l’uso delle emittenti BR-3u e l’uso dei cifrati<br />
(durata massima tre mesi); 2 istruttori per la preparazione di radiotelegrafisti e di cifratori (durata massima tre mesi);<br />
9 esperti di tecniche di partito (durata massima due mesi); 2 esperti di travestimento e camouflage delle sembianze<br />
(durata massima due settimane). Ospitare altresì per consultazioni un esperto di tipi speciali di radiotrasmissione in<br />
ambienti chiusi (durata massima una settimana).<br />
2. Affidare alla Sezione internazionale del Cc del Pcus e alla direzione amministrativa del Cc del Pcus le questioni logistiche<br />
relative al soggiorno, affidare al Comitato per la sicurezza di Stato presso il consiglio dei ministri l’addestramento<br />
relativo alla radiotrasmissione e al lavoro in cifra e la selezione dei traduttori per tutti i tipi di preparazione speciale,<br />
mentre l’insegnamento di tecniche di partito e dei mezzi per il travestimento e camouflage delle sembianze deve<br />
essere affidato alla Sezione internazionale del Cc del Pcus e al Comitato per la sicurezza di Stato presso il Consiglio<br />
dei ministri dell’Urss. Le spese del viaggio dall’Italia a Mosca, andata e ritorno, e quelle per il soggiorno in URSS<br />
sono da addebitare al budget di spesa per l’accoglienza di funzionari di partito esteri.<br />
3. <strong>In</strong>caricare il Comitato per la sicurezza di Stato presso il Consiglio dei ministri dell’URSS di studiare programmi di telecomunicazione<br />
e messaggi in cifra per le trasmissioni radiofoniche unilaterali dei telegrammi cifrati circolari 13-16 destinate<br />
ai centri regionali del Pci, nonché di messaggi in cifra da recifrare nella rete dei collegamenti radio bilaterali.<br />
4. Accogliere la richiesta della direzione del Pci e confezionare 500 documenti italiani in bianco e 50 nominali (per i dirigenti<br />
del Pci) tra passaporti per l’estero e carte d’identità, più 50 copie di riserva degli stessi documenti di tipo francese<br />
o svizzero, nonché parrucche e altri camuffamenti atti a cambiare le sembianze. La confezione dei documenti in<br />
bianco e la preparazione di travestimenti e camouflage è da affidarsi al Comitato per la sicurezza dello Stato presso<br />
il Consiglio dei ministri e alla Sezione internazionale del Cc del Pcus.<br />
5. Approvare il testo del telegramma da inviare al residente del KGB in Italia.<br />
Il Segretario del Cc del Pcus<br />
***<br />
3) Al residente, Roma<br />
<strong>In</strong>contri il compagno Armando Cossutta e gli comunichi che nel 1974 gli amici possono inviare in Urss per un corso di<br />
addestramento speciale 19 persone, di cui 6 persone per un corso sulla radiotrasmissione, sull’utilizzo di apparecchiature<br />
radio avanzate e sull’uso di cifrari (durata massima tre mesi), 2 istruttori per la preparazione di radiotelegrafisti<br />
e di cifratori (durata massima tre mesi), 9 persone per un corso sulle tecniche di Partito e 2 persone per un corso<br />
sulle tecniche di camouflage delle sembianze (durata massima due settimane).<br />
<strong>In</strong>oltre, potrebbe venire a Mosca un esperto [italiano,ndr] per le consultazioni circa l’avvio di tipi speciali di radiotrasmissioni<br />
(durata massima una settimana). Le prime 4 persone per le questioni relative ai collegamenti radio, ai lavori<br />
in cifra, e alle tecniche di Partito, nonché l’esperto per le consulenze potrebbero arrivare a Mosca separatamente, a<br />
partire da giugno, rispettando le dovute regole di segretezza. Le date dell’arrivo degli altri compagni saranno concordate<br />
in secondo tempo.<br />
Confermi per telegrafo ad esecuzione avvenuta.<br />
***<br />
108
4) Segretissimo<br />
30 gennaio 1976<br />
Al Cc del Pcus<br />
Oggetto: assistenza speciale al Partito comunista italiano<br />
Il membro della direzione e della segreteria del Partito comunista italiano, compagno U. Pecchioli, su incarico della<br />
direzione del Pci (compagno E. Berlinguer) si è rivolto al Cc del Pcus con la richiesta di assistenza al Pci per<br />
quanto riguarda l’addestramento di istruttori, radiotelegrafisti, esperti di tecniche di partito, di travestimento e camouflage,<br />
dell’organizzazione di nascondigli segreti, di individuazione di microfoni segreti nonché assistenza per<br />
quanto riguarda la realizzazione di documenti italiani in bianco per uso esterno e interno.<br />
Queste richieste della direzione del Pci sono motivate dal proposito di garantire al partito la sicurezza in caso di<br />
repentino aggravamento della situazione politica nel paese.<br />
Conformemente alle delibere del CC del PCUS (V. 91/3 del 17 maggio 1973 e V: 136/53 del 5 maggio 1974), negli<br />
ultimi anni è stato prestato ai compagni italiani un aiuto permanente nella preparazione di esperti di collegamenti<br />
radio e in altre questioni speciali, nel 1973 sono stati loro consegnati tre impianti ricetrasmittenti con i quali, in seguito,<br />
sono state effettuate ricezioni in collaudo in Italia.<br />
Riterremmo opportuno soddisfare la richiesta della direzione del Pci e accogliere in Urss, durante l’anno 1976, per<br />
un corso di preparazione speciale 7 comunisti italiani di cui 1 persona per un corso sui collegamenti radio in ambienti<br />
chiusi, sull’uso dell’apparecchiature avanzate (durata massima tre mesi), 1 istruttore per la preparazione di<br />
radiotelegrafisti e cifratori (durata massima tre mesi), 2 esperti di tecniche di partito (durata massima due mesi), 1<br />
esperto di tecniche di travestimento e camouflage (durata massima due settimane), 1 persona da addestrare nella<br />
realizzazione nella realizzazione di nascondigli segreti (durata massima due settimane) e 1 esperto specializzato<br />
nell’individuazione di microspie (durata massima due settimane).<br />
<strong>In</strong>oltre, sarebbe opportuno confezionare per il Pci 100 copie di documenti italiani in bianco tra passaporti per l’estero,<br />
carte d’identità, patenti di guida, ecc. secondo i modelli che verranno spediti dai compagni italiani.<br />
L’accoglienza e i relativi servizi agli allievi potrebbero essere affidati alla Sezione internazionale e alla direzione<br />
amministrativa del Cc del Pcus, mentre la loro preparazione e la sezione degli interpreti sarebbero di competenza<br />
del Comitato di stato per la sicurezza presso il Consiglio dei ministri dell’Urss.<br />
La spese di viaggio e quelle per il soggiorno in Urss dei comunisti italiani potrebbero essere addebitate sul budget<br />
di spesa per l’accoglienza dei funzionari di partito esteri. La questione è stata concordata con il KGB (compagno<br />
Ju. V. Andropov).<br />
Si allega bozza di delibera del CC del PCUS.<br />
B. Ponomariov<br />
[Seguono firme di Suslov, Kulakov, Pelshe, Kosygin, Andropov, Polianskij e Mazurov]<br />
***<br />
5) Segretissimo<br />
Copia Unica<br />
Al compagno B. N. Ponomariov, personale<br />
22 giugno 1981<br />
Il rappresentante del Partito comunista italiano, Raparelli, ha fatto sapere nel maggio scorso al nostro rappresentante<br />
che la direzione del Pci aveva deciso di smantellare e di distruggere per ragioni di sicurezza tre stazioni radio<br />
ricetrasmittenti fornite da noi nel 1973 (vedi delibera V. 91/3 del 17 maggio 1973). Questo perché la polizia, nel<br />
quadro delle operazioni per debellare gli estremisti di destra, stava compiendo rastrellamenti per localizzare emittenti<br />
clandestine.<br />
All’inizio di giugno Raparelli ha informato che le emittenti in questione erano state distrutte dagli amici. I tecnici degli<br />
amici che si trovano in altre zone del paese continuano a ricevere, con i ricevitori di cui dispongono, le nostre<br />
trasmissioni-prova. La situazione in queste zone è tranquilla.<br />
Raparelli ha pregato di riferirlo al CC del PCUS.<br />
V. Kriuchkov<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
109
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Rischi nelle Commissioni<br />
parlamentari di inchiesta<br />
di Salvatore Sechi<br />
Il pericolo che incombe sulla possibilità di<br />
ricostruire la storia politica dell’Italia repubblicana<br />
è di duplice natura.<br />
<strong>In</strong> primo piano metterei l’evanescenza<br />
dei documenti. Sia per malthusianesimo<br />
(ossia per l’irrigidimento delle norme che<br />
ne disciplinano l’accesso) sia per vera e<br />
propria distruzione.<br />
Ciò può avvenire per una scelta deliberata<br />
di apparati. Mi riferisco a quelli che<br />
hanno bruciato o ridotto a poltiglia le carte<br />
dei nostri Servizi segreti (Sifar) nell’agosto<br />
1974 e nell’estate 1990.<br />
Ma penso anche a quelli che nel Ministero<br />
dell’<strong>In</strong>terno hanno imboscato le carte<br />
dell’Ufficio Affari Riservati del dott. Umberto<br />
D’Amato, del Col. Russomanno<br />
ecc. o a quelli che i documenti, invece di<br />
versarli agli archivi dello Stato, preferiscono<br />
tenerli per sé e di volta in volta,<br />
quando vengono a mancare i protagonisti,<br />
eliminarli.<br />
È quanto, temo, imperturbabilmente da<br />
centinaia di anni, faccia l’Arma dei Carabinieri.<br />
Si è avuto tempo e modo, da parte<br />
di F. Frattini e S. Mattarella, di disciplinare<br />
l’uso, la conservazione e l’accesso<br />
delle carte dei Servizi segreti, ma non<br />
quelle, preziosissime, della Benemerita.<br />
La seconda arma letale è il friendly killing,<br />
cioè il fuoco amico. Chiamerei così<br />
l’ipertrofia della domanda democratica di<br />
110<br />
noi studiosi e ricercatori (e in generale<br />
utenti). Animati da un sacro fuoco di conoscenza<br />
finiamo per restare vittime del<br />
nostro incontenibile surplus di giacobinismo<br />
nel voler potere disporre di carte di<br />
ogni istituzione ed ente, pubblico o privato.<br />
Tutte e subito.<br />
L’esito è la progressiva chiusura a riccio<br />
della filiera istituzionale che custodisce la<br />
documentazione che a noi servirebbe<br />
per le nostre ricerche di storia contemporanea,<br />
politica, economica, militare ecc.<br />
Uno sguardo al modo contraddittorio (fatto<br />
di passi in avanti e di retromarcia), cioè<br />
travagliato, con cui è avvenuta la liberalizzazione<br />
degli archivi più riservati negli<br />
Stati Uniti (è il paese al quale si deve la<br />
più massiccia apertura, con circa un miliardo<br />
di carte, incluse quelle della Cia e<br />
dell’Fbi) invita ad essere tanto determinati<br />
quanto cauti e realistici.<br />
Temo che un grande aiuto non ci possa<br />
venire da una fonte che ogni anno si arricchisce<br />
di milioni di carte d’archivio,<br />
cioè le Commissioni parlamentari d’inchiesta.<br />
Occorre capire bene il loro funzionamento<br />
per poter misurare il livello di inattendibilità,<br />
non di rado, dei loro risultati.<br />
Di qui nasce la necessità di essere vigili,<br />
prendendo con beneficio di inventario<br />
quanto, alla fine dei lavori di questi orga-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
ni, si ammassa, con una lentezza impressionante,<br />
nell’Archivio storico del Senato<br />
della Repubblica. È il luogo dove,<br />
per quanto non sia attrezzato a far fronte<br />
a compiti di pubblicazione complessi ed<br />
enormi quali quelli imposti dalle Commissioni<br />
parlamentari d’inchiesta, sono destinate<br />
a concentrarsi le carte in parte ancora<br />
stivate a Roma, al terzo piano del<br />
palazzo San Macuto.<br />
L’Archivio non era in grado, a metà gennaio<br />
2007, di ipotizzare una data di completamento<br />
del lavoro di schedatura analitica<br />
informatizzata con digitalizzazione<br />
di tutto il patrimonio documentale della<br />
Commissione Stragi.<br />
Per la fine della legislatura, cioè nel<br />
2009, si prevedeva di rendere disponibile<br />
l’inventario e tutti i documenti di tutte le<br />
Commissioni d’inchiesta, dall’Archivio<br />
coordinate, in maniera da rendere uniformi,<br />
finalmente, i criteri di indicizzazione<br />
dei documenti e di digitilizzazione.<br />
Nessun accenno veniva fatto alla Commissione<br />
parlamentare d’inchiesta concernente<br />
il “dossier Mitrokhin” e l’attività<br />
dell’intelligence italiana (d’ora in avanti<br />
“la Mitrokhin”) .<br />
Se l’obiettivo non è la pubblicazione di<br />
queste carte, ma la consultabilità da parte<br />
del maggior <strong>numero</strong> possibile di studiosi,<br />
meglio, molto meglio, sarebbe se<br />
esse prendessero un’altra strada, ossia<br />
quella dell’Archivio Centrale dello Stato<br />
(d’ora in poi ACS). <strong>In</strong>fatti, malgrado i gravi<br />
limiti attuali di personale, di manutenzione,<br />
di servizio ecc. dovuti alla ristrettezza<br />
dei bilanci e all’incuria dei governi,<br />
è la struttura più spedita e funzionale,<br />
per assecondare la normale archiviazione<br />
in forme tali da consentire la consultazione<br />
e l’estrazione di copie ad uso degli<br />
studiosi.<br />
Bisognerebbe riformulare le delibere del-<br />
111<br />
le Commissioni parlamentari stabilendo il<br />
principio che i materiali acquisiti (per la<br />
verità non sempre di grande importanza)<br />
siano messi in consultazione presso<br />
l’ACS. Al Senato resterebbe il compito<br />
della pubblicazione, magari in seguito ad<br />
una severa selezione del materiale che i<br />
politici, non essendo degli storici, spesso<br />
non sono in grado di effettuare, giustapponendo<br />
ciò che è essenziale a quanto è<br />
secondario e ininfluente.<br />
Premetto che le osservazioni che seguono<br />
mi sono state dettate dalla esperienza:<br />
per due anni, dal 16 novembre 2003<br />
al 1 febbraio 2006 ho avuto il mandato di<br />
consulente presso “la Mitrokhin”.<br />
Nella lettera di “ingaggio” si parla genericamente<br />
di “ incarico…di supportare i<br />
componenti della Commissione nello<br />
svolgimento dell’inchiesta, coadiuvandoli<br />
in particolare, nell’attività di acquisizione<br />
conoscitiva” relativamente all’oggetto<br />
della inchiesta parlamentare. Specificamente<br />
mi sarei occupato di agenti del<br />
Cominform, spionaggio militare ed industriale<br />
dell’Urss e dei paesi dell’ex Patto<br />
di Varsavia a danno dell’Italia, agitazione<br />
e contestazione della Nato e delle basi<br />
militari Usa nel nostro territorio, l’organizzazione<br />
clandestina e armata del Pci (la<br />
cd “Gladio rossa”), i legami tra la rete Separat<br />
(del terrorista “Carlos”) e i servizi<br />
segreti di alcuni paesi dell’Europa orientale,<br />
e il ruolo da essi svolto nell’attentato<br />
al papa ecc.<br />
<strong>In</strong> Italia quella dell’accesso alla consultazione<br />
delle carte assomiglia ad una sorta<br />
di istruttoria segreta, quasi senza fase dibattimentale.<br />
<strong>In</strong> questa procedura, dunque, il consulente<br />
non è protagonista, ma un semplice<br />
destinatario delle ricerche, fatte da altri,<br />
mai o quasi mai da lui. <strong>In</strong>fatti, non ha accesso<br />
diretto, personale, agli archivi e
quindi viene spogliato della responsabilità<br />
di trovare la prova, raccogliere e valutare<br />
gli indizi.<br />
La prima diffidenza deve avere a bersaglio<br />
il concetto di consultazione, di uso<br />
delle fonti ed espressioni similari.<br />
<strong>In</strong> realtà, dietro questa terminologia pomposa<br />
c’è un’assai sobria realtà.<br />
Lo studioso – tramite il presidente della<br />
Commissione parlamentare (o di qualche<br />
funzionario che lo sostituisce nelle lunghe<br />
assenze, magari perché preferisce<br />
gli studi senatoriali più luminosi di piazza<br />
del Gesù) e della Giunta di Presidenza,<br />
che esaminano ed approvano preliminarmente<br />
le sue richieste – fa pervenire ai<br />
capi di Gabinetto dei Ministeri, dei Servizi<br />
di informazione e sicurezza, ai direttori<br />
delle fondazioni e degli archivi (pubblici e<br />
privati) ecc., una lista di nomi e/o di argomenti<br />
sui quali vorrebbe fare analisi, accertamenti<br />
ecc..<br />
La lista viene scrutinata dai collaboratori<br />
del ministro e poi trasferita agli archivisti,<br />
i quali a loro volta riversano sul tavolo del<br />
consulente, regolarmente autorizzato e<br />
convocato, faldoni o fascicoli di quanto<br />
hanno liberamente, autonomamente e<br />
quindi discrezionalmente selezionato.<br />
Anche se non è una bella consolazione,<br />
qualcosa del genere ha luogo negli Stati<br />
Uniti d’America.<br />
Il motivo di questa farraginosa procedura<br />
risiede nell’enorme mole di documenti<br />
da preservare. Sono miliardi di pagine<br />
e occupano molte decine di chilometri di<br />
spazio .<br />
Perciò, quella di delegare ai funzionari<br />
della CIA la selezione dei documenti da<br />
fornire agli studiosi si configura meno come<br />
una situazione eccezionale e più come<br />
un’abitudine, un costume consolidato,<br />
cioè una prassi. E, pare, esistano persino<br />
forme catalogabili come censura o<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
112<br />
come revisione da parte dell’agenzia del<br />
contro-spionaggio statunitense sugli elaborati<br />
redatti in base a quelle carte.<br />
Nel nostro Paese accade, invece, qualcosa<br />
di diverso…<br />
Con qualche eccezione, che riguardano<br />
alcune questure, non ho avuto la possibilità<br />
di perlustrare liberamente i luoghi in<br />
cui sono stivati i documenti, cioè gli scaffali<br />
o gli armadi, anche se mi è stato detto,<br />
in occasione del conferimento dell’incarico<br />
di consulente, che disponevo formalmente<br />
delle prerogative di un magistrato.<br />
A questi non si possono opporre<br />
segreti d’ufficio. Nel caso della Commissione<br />
Mitrokhin, per la quale ho lavorato,<br />
neanche segreti di Stato.<br />
<strong>In</strong> questa felice condizione ci siamo trovati<br />
in molti, una platea di circa 50 persone.<br />
Tanti, quasi un ministero, erano i docenti<br />
universitari, i ricercatori, i giornalisti,<br />
i funzionari dell’intelligence, i magistrati, i<br />
giovani laureati, i collaboratori dei parlamentari<br />
e quanti in un modo o nell’altro<br />
alleviano le loro fatiche e facilitano il lavoro<br />
politico ecc.<br />
Il presidente aveva il potere di sceglierli,<br />
esercitando un potere autonomo, ma ha<br />
preferito rifarsi alla tradizione, suddividendo<br />
i reclutati non per meriti scientifici<br />
e competenze, ma rigorosamente per coteo<br />
politico, come dicono i cileni.<br />
Bisogna, però, precisare che non si pretendeva<br />
da noi di essere presenti a Roma<br />
né a Palazzo San Macuto e neanche<br />
di infilarci negli archivi delle questure di<br />
mezza Italia.<br />
A fare atto di presenzialismo (che è sinonimo<br />
di diligenza, anzi di un’elementare<br />
prestazione obbligata), ho l’impressione<br />
siamo stati in pochi…<br />
Ci siamo resi conto che, anche per la ristrettezza<br />
degli spazi (a noi era stato riservato<br />
un bugigattolo con un tavolo e
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
due computer collegati a stampanti), girare<br />
tra gli uffici e rovistare frequentemente<br />
tra le carte protocollate e archiviate<br />
veniva considerata qualcosa di diverso<br />
da una elementare virtù, cioè da un atto<br />
doveroso.<br />
Lo si percepiva come qualcosa di simile<br />
ad un’invasione di campo, una sorta di<br />
incursione turbativa del riposante tran<br />
tran degli uffici parlamentari capitolini.<br />
Accettabile se durava poco ed era occasionale.<br />
Ripeto: a infliggere questa pena al personale<br />
siamo stati in circa, forse meno, di<br />
una decina…<br />
Ci incontravamo frequentemente negli<br />
archivi o nella saletta di San Macuto attigua<br />
a quella del Presidente o nell’aula<br />
dove erano accatastati inventari e carte<br />
d’archivio, sotto la vigilanza di due marescialli<br />
dei carabinieri<br />
.<br />
Non c’è mai stata un’occasione in cui i<br />
consulenti, da soli o insieme ai componenti<br />
l’Ufficio di Presidenza o la stessa<br />
Commissione (cioè i parlamentari), si<br />
siano riuniti per fare il punto sullo stato<br />
delle reciproche ricerche, illustrare (e<br />
confrontare) i risultati, programmare attività<br />
“mirate” di consultazione ecc..<br />
Voglio dire che non è stato mai un imperativo<br />
o neanche un’esigenza quello di<br />
soddisfare il principio della divisione del<br />
lavoro, della perlustrazione multilaterale<br />
e quindi della critica delle fonti.<br />
Senza questa trafila, com’è noto, non si<br />
fa ricerca storica, ma solo una raccolta<br />
di carte utile esclusivamente a fini di<br />
scoop giornalistico o di sensazionalismo<br />
politico.<br />
Come si vede, ho indicato un iter e un<br />
terreno neutro. Pertanto, i criteri metodologici<br />
(la completezza delle informazioni,<br />
la loro verifica, la divisione dei compiti,<br />
113<br />
l’uso coordinato delle competenze ecc.)<br />
non potevano entrare in cortocircuito con<br />
le opzioni politiche dei partiti e dei consulenti<br />
più strettamente legati alle loro impostazioni,<br />
se non proprio ai pregiudizi figli<br />
di insuperabili ormai incrostazioni<br />
ideologiche.<br />
L’evidentia in narratione deve essere<br />
propria dello storico. Non può essere<br />
confusa né degradata limitandosi a prendere<br />
per oro colato quanto proviene dai<br />
confidenti della polizia o da altri informatori<br />
come quelli del controspionaggio e<br />
altre pretese “fonti attendibili”.<br />
Sia chiaro: non sto negando la loro importanza,<br />
ma segnalando una preoccupazione<br />
elementare come quella di vagliarle<br />
attentamente, cercando di risalire<br />
all’attendibilità dell’informatore e ad un<br />
controllo incrociato di altre fonti.<br />
Non va sottovalutata una circostanza che<br />
non è prevalentemente italiana, ma si<br />
presenta come decisiva. Nel giudicare il<br />
valore di un’informazione sia i Servizi,<br />
ma anche la polizia, spesso non distinguono<br />
tra chi è un soggetto occasionale<br />
e un agente vero, tra un millantatore e un<br />
informatore inconscio, al limite, un ubriacone.<br />
Anche l’uso del condizionale, nei loro<br />
rapporti o informative, rivela incertezza o<br />
scarsa professionalità.<br />
Il riverbero sulla cultura italiana è assai<br />
spiacevole, dal momento che l’opinione<br />
pubblica, ma anche la stampa e gran<br />
parte del ceto politico non è in grado di<br />
distinguere bene tra polizia e intelligence,<br />
e ansima assai incespicando tra legittimità<br />
e legalità. <strong>In</strong> altre parole, “….Da<br />
noi non esiste la cultura dell’intelligence”,<br />
come ha precisato Francesco Cossiga.<br />
Lo stesso Presidente onorario della repubblica<br />
ha dichiarato che l’Italia è stato l’unico<br />
Paese per il quale vigeva il divieto as
soluto di reclutare informatori che appartenevano<br />
al Partito comunista italiano e credo<br />
che <strong>questo</strong> sia un elemento per molti<br />
aspetti confermato da molte ricerche.<br />
Per tutto il tempo in cui ho lavorato per la<br />
Commissione sul dossier Mitrokhin, il<br />
mio ruolo è stato malinconicamente quello<br />
di chi riceve, scorre, studia e, quando<br />
li ritiene importanti, versa all’archivio della<br />
Commissione i più significativi materiali<br />
che gli sono stati imbanditi da altri.<br />
Di questi oscuri e spesso solerti funzionari<br />
(del Gabinetto del ministro dell’<strong>In</strong>terno<br />
o delle Prefetture e delle Questure,<br />
della Presidenza del Consiglio dei ministri<br />
o del Ministero della Difesa) non conoscevamo<br />
i criteri, i metodi di scelta<br />
adottati nel selezionare le carte che ci venivano<br />
offerte. Ho provato, quindi, una<br />
doppia illusione sulla ricostruzione della<br />
realtà storica che mi era stata richiesta<br />
dal Parlamento.<br />
Non avendo mai potuto attingere, anche<br />
solo con un epidermico contatto, ai faldoni,<br />
agli scaffali o agli armadi, la nozione di<br />
prova, importante tanto per giudicare<br />
quanto per comprendere, mi è stata per<br />
così dire rapita.<br />
È forse uno degli ultimi esempi dell’impoverimento<br />
fino alla morte della fisionomia<br />
giudiziaria assunto dalla storiografia politica<br />
tra il XIX e il l’inizio del XX secolo.<br />
Probabilmente per questa consapevolezza<br />
le testimonianze, le prove, i documenti<br />
sono percepiti come un’arte per persuadere,<br />
una tecnica retorica, un’argomentazione<br />
valida per i tribunali.<br />
Si è progressivamente persa per strada o<br />
paurosamente appannata una virtù antica.<br />
Si chiamava dovere professionale<br />
per l’imparzialità, l’ambizione di essere<br />
“un giudice supremo e imperturbabile”, di<br />
ergersi al di sopra delle contese diventando<br />
”un tribunale riconosciuto”, secon-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
114<br />
do i savi e bellicosi propositi confessati<br />
nell’Ottocento da H. Taine e Lord Acton.<br />
Tutto ciò ha ceduto il passo alla banalizzazione<br />
dei documenti rispetto alla passione<br />
politica propria del Procuratore della<br />
Repubblica o alla requisitoria dell’avvocato<br />
difensore. La storiografia politica,<br />
intinta di positivismo di questa temperie<br />
storica, si misura con la corruzione e con<br />
la responsabilità che nel clima del processo<br />
alla Rivoluzione francese si incarnano<br />
in Danton e Robespierre.<br />
Sul controllo delle fonti<br />
<strong>In</strong> secondo luogo, non sempre il consulente<br />
ha potuto lavorare rispettando il<br />
principio scientifico del controllo delle<br />
fonti, che muove dalla necessità di una<br />
loro moltiplicazione e finale comparazione.<br />
Attraverso un esame incrociato<br />
occorre verificare se la stessa notizia o<br />
informazione sia stata rilevata, con procedure<br />
e personale autonomi, in luoghi<br />
diversi.<br />
La molteplicità dei sintomi, delle tracce, e<br />
la sintonia delle fonti, in altre parole il<br />
contesto, per lo storico costituiscono la<br />
misura della loro attendibilità, se non proprio<br />
della loro veridicità. Non dovendo,<br />
come fa il giudice, irrogare anni di pena o<br />
emettere un verdetto di innocenza, è<br />
sempre sembrato sufficiente.<br />
Un esempio consente di capire meglio<br />
quanto sto dicendo, e cercai di far capire<br />
alla volatile e inafferrabile Commissione<br />
sul dossier Mitrokhin.<br />
Spesso confidenti (occasionali o istituzionali)<br />
o agenti dei Servizi segreti segnalano<br />
a <strong>questo</strong>ri e prefetti l’esistenza di liste<br />
di persone appartenenti all’organizzazione<br />
militare clandestina costituita dal Pci<br />
dopo la guerra di liberazione.<br />
È la trama di uno o più complotti, di processi<br />
di manipolazione della democrazia
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
appena nata che sembra delinearsi. All’accusa<br />
di ordire manovre di destabilizzazione<br />
il Pci ha reagito, per quasi tutti gli<br />
anni della Repubblica, attribuendo la fabbricazione<br />
di colpi di mano, di piani di<br />
eversione ecc. allo Stato o a settori come<br />
l’intelligence, le forze dell’ordine, gli apparati<br />
militari oppure all’eversione di<br />
estrema destra, quando non, euforicamente,<br />
alle forze oscure della reazione (il<br />
noto FOIA).<br />
La massima concessione fatta è stata<br />
quella di attribuire al Pci la formazione di<br />
una struttura di vigilanza e di protezione<br />
dei propri dirigenti per sfuggire ad un colpo<br />
di Stato.<br />
La stessa storiografia comunista ha ignorato<br />
il problema o l’ha banalizzato come<br />
uno strascico ininfluente della guerra di<br />
liberazione oppure si è attestata sulla distinzione<br />
tra apparato para-militare e apparato<br />
di autodifesa.<br />
È la conferma del fatto che un complotto<br />
tira l’altro. Vero o immaginario che sia.<br />
La documentazione fornita da confidenti<br />
e spie viene verificata dagli uffici provinciali<br />
delle questure, che trasmettono l’esito<br />
alla Direzione generale della Pubblica<br />
sicurezza presso il Ministero dell’<strong>In</strong>terno.<br />
A seconda della rilevanza il capo della<br />
polizia lo trasmette al ministro dell’<strong>In</strong>terno,<br />
o lo informa per le vie brevi, cioè a<br />
voce.<br />
Poiché il lavoro della polizia si limita ad<br />
accertare l’identità, il recapito, la appartenenza<br />
politica, lo stato di famiglia, i costumi<br />
ecc., e in generale esprime un giudizio<br />
finale sulla pericolosità delle persone<br />
per l’ordine pubblico e la sicurezza<br />
democratica, facendole iscrivere, per<br />
sorveglianza, nello schedario del Casellario<br />
politico, non sapremo mai se quell’elenco<br />
di persone è da considerare un<br />
apparato militare.<br />
115<br />
Per poter parlare di Gladio “rossa” e addirittura<br />
di Gladio rossa del Pci non basta<br />
l’intenso piacere atteso dal committente<br />
politico.<br />
È invece indispensabile che da una segnalazione<br />
di polizia (certamente importante,<br />
soprattutto se ripetuta e verificata:<br />
a volte lo è stato, a volte no) si passi ad<br />
una prova più sicura, anche se non assoluta.<br />
<strong>In</strong> altre parole, mi pare ragionevole che<br />
si siano resi di pubblico dominio (nella<br />
speranza che anche il Pci si decida a<br />
mettere a disposizione i propri archivi, a<br />
cominciare da quelli della Commissione<br />
centrale di controllo) i documenti principali<br />
di questa organizzazione clandestina<br />
e armata quale emerge da alcuni archivi.<br />
Ma altrettanto ragionevole mi pare<br />
non assumerla come inconfutabilmente<br />
vera, senza altre ulteriori e più stringenti<br />
verifiche.<br />
Non per caso sia Gianni Donno sia io<br />
stesso abbiamo insisitito, e insistiamo, a<br />
chiedere la consultazione degli archivi sia<br />
della Nato sia dell’Arma dei Carabinieri.<br />
Per questi ultimi non vale, come per quelli<br />
di altre istituzioni dello Stato, l’obbligo di<br />
versare le proprie carte, dopo un certo<br />
periodo di tempo, agli archivi di Stato.<br />
Dunque, restano scandalosamente chiusi<br />
e inaccessibili, grazie all’inerzia, se<br />
non alla complicità, dei ministri dell’<strong>In</strong>terno<br />
e della Difesa nel consentire <strong>questo</strong><br />
ingiustificabile privilegio.<br />
Dobbiamo rassegnarci all’esistenza di archivi-caste<br />
in seno alle forze amate?<br />
Mi chiedo dove siano, almeno fino ad oggi,<br />
gli specifici elementi di prova (penso<br />
alle esercitazioni ovunque sia possibile<br />
appostarsi e sparare), i riscontri indiscutibili<br />
del funzionamento, cioè dell’operatività,<br />
del braccio armato messo su dai comunisti<br />
italiani.
Purtroppo sulla nozione di prova e della<br />
stessa verità si è scaricata una lava di<br />
fuoco (o una slavina?) che ne ha provocato<br />
un incessante svilimento come se il<br />
mestiere dello storico, che si affida al<br />
principio di realtà, possa prescinderne e<br />
avere un senso senza di essa.<br />
Delle fonti di polizia bisogna diffidare<br />
sempre perché sono quelle in cui è più<br />
frequente, e forse inevitabile, il controllo<br />
e il pericolo della manipolazione politica.<br />
Essa è massima nei sistemi politici bloccati,<br />
dove cioè non esiste, o è minima, la<br />
prassi dell’alternanza tra i governi. <strong>In</strong> tale<br />
contesto è fisiologico che la burocrazia<br />
tenda a far corpo con i partiti ministeriali,<br />
ai quali deve reclutamento e carriera.<br />
L’intero periodo della guerra fredda (il cosiddetto<br />
centrismo) in Italia è stato contrassegnato<br />
da una certa stabilità, anche<br />
se all’interno delle coalizioni c’è stato un<br />
certo turn over. Di qui la tendenza di apparati,<br />
di lobby, se non dei gruppi di potere<br />
più influenti e forti a cercare di impadronirsi<br />
di informazioni segrete, riservate,<br />
vere o false che fossero, per farne strumenti<br />
di competizioni o di guerra vera e<br />
propria.<br />
Dunque, la maggiore forza della politica<br />
(in termini di stabilità, di sicurezza nello<br />
scambio politico garantito da sé o dai<br />
propri alleati e amici) produce un minore<br />
rispetto delle regole, maggiore lassismo<br />
nei comportamenti del ceto burocratico.<br />
Quando la frammentazione del sistema<br />
politico, e la conseguente volatilità della<br />
composizione delle coalizioni governative<br />
(e al loro interno degli incarichi ministeriali)<br />
è stato maggiore, si è verificato<br />
un fenomeno che non chiamerei di ribellione,<br />
di resistenza, ma certamente di minore<br />
disponibilità della stessa burocrazia<br />
all’obbedienza supina: “Io oggi, con tutte<br />
le imperfezioni del sistema politico italia-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
116<br />
no, so di non potermi rivolgere a un funzionario<br />
per chiedergli di fare qualcosa di<br />
illegittimo, anche se volessi, perché quel<br />
funzionario mi direbbe: ‘No, mi dispiace,<br />
io non lo faccio perchè tu fra un mese te<br />
ne vai e ne viene un altro’. <strong>In</strong> un sistema<br />
politico in cui vi è una ragionevole persuasione<br />
che vi sia un’alternanza al governo<br />
del paese, i funzionari non deviano,<br />
non fanno favori sottobanco agli uomini<br />
di governo e quindi alle spalle di<br />
quelle deviazioni, anche delle deviazioni<br />
che non c’entravano con i grandi principi<br />
della guerra fredda, c’era, a mio avviso, il<br />
sistema politico bloccato che nasceva<br />
dalla guerra fredda”.<br />
Comunque, resta sempre un buon criterio<br />
quello segnalato da Lucien Febvre secondo<br />
il quale in assenza di domande<br />
appropriate i documenti restano imperturbabilmente<br />
muti.<br />
Non parlano da soli anche perché lo storico<br />
non vaga “a caso attraverso il passato,<br />
come uno straccivendolo a caccia<br />
di vecchiumi, ma parte con un disegno<br />
preciso in testa, con un problema da risolvere,<br />
con un’ipotesi di lavoro da verificare”.<br />
Non si può sottovalutare il fatto che ogni<br />
generazione rivolge ai documenti, cioè al<br />
passato, interrogativi, sollecitazioni, cioè<br />
domande diverse. Esse “gettano una luce<br />
nuova anche su fatti accertati (per<br />
esempio, la presa della Bastiglia) che<br />
nessuno si sogna di mettere in discussione”.<br />
Per fare un passo in avanti, e stabilire il<br />
livello di affidabilità, se non il fondamento,<br />
dell’informazione data da un collaboratore<br />
della polizia sarebbe necessario<br />
compiere una duplice operazione.<br />
<strong>In</strong> primo luogo, verificare chi è il confidente<br />
o la spia, e quale fiducia gli organi<br />
di polizia ripongono in loro.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Il <strong>numero</strong> di protocollo con cui viene registrata<br />
in un apposito schedario la posta<br />
in arrivo al Ministero dell’<strong>In</strong>terno consente<br />
questa operazione. Purtroppo raramente<br />
il consulente ne viene messo a conoscenza<br />
all’inizio della sua indagine archivistica.<br />
Confesso che io stesso l’ho<br />
scoperta, casualmente, alla fine del mio<br />
mandato di consulenza presso la Commissione,<br />
e quindi non me ne sono potuto<br />
avvalere.<br />
Questo elemento nuovo dovrebbe indurre<br />
quanti, al pari di me, hanno lavorato<br />
sulle carte di polizia, a verificarle ex novo,<br />
a partire dal giudizio sulle serietà del<br />
confidente o dell’informatore.<br />
Mi chiedo, un po’ sconcertato, come mai<br />
i parlamentari delle Commissioni di inchiesta<br />
non pretendano dai loro collaboratori<br />
e consulenti un tale controllo.<br />
Mi rendo conto che se venisse pubblicata<br />
o resa pubblica la lista dei “collaboratori<br />
della polizia”, lo Stato perderebbe<br />
ogni autorevolezza, mettendo a repentaglio<br />
la sicurezza dei propri cittadini. È la<br />
ragione per la quale Togliatti dovette interrompere<br />
la pubblicazione, baldanzosamente<br />
iniziata, sulla Gazzetta ufficiale<br />
dei nominativi delle spie dell’Ovra, la polizia<br />
politica fascista.<br />
Analogamente è eccezionale che al consulente<br />
venga dato in visione il catalogo<br />
o l’inventario degli archivi alla cui consultazione<br />
è stato ammesso. Si tratti di quelli<br />
delle questure, delle prefetture o del<br />
Gabinetto del ministro, degli affari riservati<br />
o del servizio segreto.<br />
Occorre tener conto di una situazione di<br />
fatto che anche chi insegue la lista dello<br />
organico dell’apparato militare del Pci<br />
dovrebbe prendere in seria considerazione.<br />
Spie e confidenti debbono mettere insieme<br />
il pranzo con la cena.<br />
117<br />
Quelli che ogni cinque per cinque dall’Emilia-Romagna<br />
ne scodellavano una<br />
versione allo ambasciatore degli Usa a<br />
Roma, James Dunn, si assottigliano appena<br />
il diplomatico di Washington fa sapere<br />
che non intende pagare con un assegno<br />
in dollari, a piè di lista, le loro ”rivelazioni”.<br />
Era gente costretta a ricavare un reddito,<br />
magari il più alto possibile, dall’inventare<br />
piste, comporre liste di sovversivi, escogitare<br />
piani e progetti di eversione. Tutto<br />
si giocava sulla capacità di convincere la<br />
polizia che esisteva un pericolo incombente<br />
da trattare con la massima concentrazione<br />
dei mezzi di repressione e di<br />
sorveglianza consentiti alle forze dell’ordine.<br />
<strong>In</strong> altre parole, piste, elenchi, circostanze<br />
sono (addirittura per due terzi, secondo<br />
un recente calcolo) un materiale e una<br />
mappa di falsità e manipolazioni. Ma su<br />
di esse vivono singles e intere famiglie.<br />
Né si può dare credibilità agli informatori<br />
esaltando oltre ogni misura la loro capacità<br />
di infiltrarsi in un movimento o in un<br />
partito. Se non si è bravissimi, capacissimi,<br />
si viene individuati, e il prezzo può essere<br />
l’eliminazione anche fisica.<br />
Ci si brucia facilmente a cercare di inserirsi<br />
in un gruppo soprattutto se è d’opposizione,<br />
semiclandestino ed è assai coeso<br />
al proprio interno.<br />
Se non si sta attenti, la difficoltà nel padroneggiare<br />
le carte di questi personaggi<br />
può trasformarle in una camicia di forza<br />
che soffoca il ricercatore.<br />
Non meno che in epoca fascista, anche<br />
nel Pci dopo la seconda guerra mondiale<br />
gli infiltrati furono a ranghi molto ridotti.<br />
La polizia dovette servirsi per lo più di militanti<br />
e dirigenti in crisi.<br />
<strong>In</strong> secondo luogo, occorre rivolgersi all’intelligence<br />
di altre strutture (la Marina,
la Guardia di Finanza, la Nato ecc.) e in<br />
particolare al Comando dell’Arma dei Carabinieri.<br />
Diversi sono i modi di lavorare, le tradizioni,<br />
il rispetto che ognuno di essi ha<br />
nell’opinione pubblica, e quindi l’attendibilità<br />
di cui godono.<br />
Poliziotti e Carabinieri<br />
I poliziotti si limitano a una registrazione<br />
notarile, proiettata nel tempo e nello spazio,<br />
delle persone e delle azioni. <strong>In</strong>formano<br />
anzitutto su chi siano i membri di<br />
un’organizzazione o di un gruppo, chi<br />
hanno visto, dove sono avvenuti gli incontri,<br />
su quali mezzi e a quali ore si siano<br />
effettuati i viaggi e gli spostamenti<br />
ecc..<br />
Anche se è vero che progressivamente,<br />
soprattutto con la costituzione della polizia<br />
politica del regime fascista (l’Ovra) e<br />
la maggiore razionalizzazione delle forze<br />
del controspionaggio e dell’intelligence, il<br />
corpo del Ministero dell’<strong>In</strong>terno addetto<br />
alla prevenzione ha affinato le proprie<br />
competenze e i campi di intervento, tradizionalmente<br />
sono stati i carabinieri a riferire<br />
sia sulla trama delle azioni portate a<br />
termine sia sulle intenzioni politiche da<br />
cui i comunisti (o gli anarchici ecc.) sarebbero<br />
stati animati.<br />
Questa suddivisione del campo di intervento<br />
è diventata assai labile dal momento<br />
che polizia e carabinieri assolvono<br />
entrambi a compiti di polizia giudiziaria.<br />
Alla fine ad entrambi spetta accertare se,<br />
e quando, tale organizzazione comunista<br />
o anarchica o terroristica in armi ha mai<br />
sparato, cioè abbia fatto esercitazioni o<br />
addestramenti in boschi, parchi, montagne,<br />
luoghi pubblici o privati.<br />
Pertanto, anche se è indubbia l’utilità delle<br />
fonti di polizia per ricostruire la cornice<br />
dei fatti, resta incerta la convenienza di<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
118<br />
ricorrere ad esse “per interpretare il quadro<br />
esistente entro tale cornice”.<br />
L’esistenza (e la stessa valutazione della<br />
pericolosità) di una banda armata si può<br />
rilevare, invece, almeno in parte, dalle relazioni<br />
dei comandanti delle tenenze dei<br />
Carabinieri e da quelle dei comandanti<br />
delle singole regioni e soprattutto, quando<br />
il pericolo è consistente, dallo Stato<br />
maggiore della Difesa.<br />
Si tratta di archivi che sino a <strong>questo</strong> momento<br />
hanno una caratteristica originale,<br />
forse unica. Risultano inaccessibili. Ovviamente<br />
anche a me, che ne ho fatto<br />
esplicita richiesta, quando alle testa di<br />
questi ministeri c’erano sia esponenti del<br />
centro-destra sia, successivamente, del<br />
centro-sinistra.<br />
Esiste non una norma, ma semplicemente<br />
una prassi che impedisce in maniera<br />
quasi assoluta la consultazione<br />
dell’archivio storico dell’Arma. È bene ripetere<br />
che ciò avviene in plateale contrasto<br />
con la legislazione vigente sul trattamento<br />
degli archivi di altri corpi e istituzioni<br />
statali.<br />
Sarebbe, pertanto, opportuno che il ministro<br />
della Difesa on. Arturo Parisi facesse<br />
un passo formale sul nuovo comandante,<br />
gen. Gianfranco Siazzu, perché<br />
si ponga fine a un andazzo fondato<br />
sulla pura discrezionalità da parte dei<br />
suoi predecessori.<br />
Questa semplice, ma indispensabile trafila<br />
esige un’analisi incrociata tra le informazioni<br />
raccolte dai <strong>questo</strong>ri, cioè il Ministero<br />
dell’<strong>In</strong>terno, il Ministero delle Finanze<br />
e il Ministero della Difesa. Da quest’ultimo<br />
dipende il corpo dei carabinieri e<br />
degli agenti dell’intelligence.<br />
Non meno che agli inquisitori dei tribunali<br />
periferici della Santa <strong>In</strong>quisizione sui<br />
processi di stregoneria celebrati in Europa<br />
tra Quattrocento e Seicento, ai consu-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
lenti delle Commissioni bicamerali di inchiesta<br />
si chiedono riscontri oggettivi,<br />
cioè fonti di prove il più possibile sicure<br />
per potere costruire un quadro probatorio<br />
e ricco di accertamenti oggettivi.<br />
Ebbene, la documentazione allegata alla<br />
Gladio rossa e al processo a Lotta continua<br />
(attraverso la metafora del processo<br />
al suo capo, Adriano Sofri) delinea una<br />
situazione che consente di misurare l’enorme<br />
distanza tra il giudice e lo storico.<br />
Ciò è vero indipendentemente dalla circostanza<br />
che le accuse a Lotta Continua<br />
siano state provate, come ha sostenuto il<br />
sostituto procuratore della Repubblica di<br />
Milano Armando Spataro, o non lo siano<br />
come, invece, ha argomentato Adriano<br />
Sofri.<br />
Decisivo è l’accertamento dei fatti.<br />
Riguarda non solo l’esistenza della struttura<br />
clandestina di Lotta Continua, ma<br />
anche lo sforzo volto a identificare la zona<br />
di montagna o di collina del Piemonte<br />
nella quale, secondo limputato-accusatore<br />
Leonardo Marino, furono trovate<br />
sagome di uomini disegnate sui muri, o<br />
rilevati i segni dei colpi di arma da fuoco<br />
su di esse, cioè le tracce di esercitazioni<br />
a fuoco.<br />
Il presupposto dell’investigazione giudiziaria<br />
è quello di cercare di documentare<br />
che la struttura clandestina di Lotta Continua<br />
esistesse per davvero, grazie all’ausilio<br />
di armi e documenti. Solo sulla<br />
base dell’operatività di questa organizzazione<br />
collettiva si può escludere che Leonardo<br />
Marino abbia agito di testa propria,<br />
e si può ammettere che si potesse eseguire<br />
in maniera organizzata e coordinata<br />
un omicidio politico come quello del<br />
commissario della questura di Milano<br />
Luigi Calabresi.<br />
Nel caso dell’apparato militare del Pci, la<br />
cd Gladio rossa, che sarebbe esistito al-<br />
119<br />
meno fino agli anni Sessanta, per il periodo<br />
successivo mi pare ci si sia accontentati<br />
di dichiarazioni di seconda e terza<br />
mano, desunte per lo più da relazioni o<br />
telegrammi di organi dello Stato per la difesa<br />
dell’ordine e della sicurezza.<br />
Si tratta di meri indizi senza alcun riscontro<br />
(o con riscontri occasionali e imprecisi)<br />
su addestramento, esercitazioni ecc.<br />
E soprattutto in assenza di elementi probatori<br />
che possono venire dai rapporti<br />
scritti di chi, come l’Arma dei Carabinieri<br />
e la stessa polizia o l’esercito, è deputato<br />
ad accertare movimenti e azioni collettive<br />
come campi di addestramento ed<br />
esercitazioni con armi da fuoco.<br />
Non mi risulta che le commissioni parlamentari<br />
sulle stragi e sul dossier Mitrokhin<br />
abbiano mai predisposto una sorta<br />
di perizia storiografica, a cominciare da<br />
una mappa degli archivi da esaminare.<br />
Tutto è stato affidato all’inventiva individuale<br />
e alla sapienza personale dei singoli<br />
consulenti.<br />
Il loro cilicio di solitudine evoca solo l’assenza<br />
di una direzione, di un orientamento,<br />
una regia, se non proprio una<br />
strategia di comando, da parte del summit<br />
politico (sempre bipartisan)<br />
È il caso di ricordare che raramente essi<br />
sono stati riuniti per fare il punto sui risultati<br />
delle loro missioni di studio. Né hanno<br />
fatto di più per programmarne il seguito,<br />
sulla base di una divisione del lavoro<br />
corrispondente ad un progetto di<br />
volta in volta stabilito e verificato dagli organi<br />
della Commissione.<br />
Spesso è lo stato deplorevole degli archivi,<br />
le plateali sottrazioni o l’indisponibilità<br />
di carte importanti a rendere difficile<br />
la ricostruzione di una vicenda o di un<br />
evento.<br />
Non penso si possa ovviare a tutto ciò<br />
con l’accorgimento (non so se partorito
dalla burocrazia parlamentare o dallo<br />
stesso Ufficio di Presidenza) che venne<br />
adottato in più occasioni dalla Mitrokhin,<br />
cioè di destinare allo spoglio dello stesso<br />
archivio (è il caso di alcune questure, in<br />
cui ho potuto verificare l’esistenza di <strong>questo</strong><br />
fenomeno di controllo partitocratico)<br />
due studiosi considerati di afferenza politica<br />
diversa.<br />
Un principio di ciellenismo applicato alla<br />
storiografia è un pizzico di umorismo,<br />
un rigurgito di comicità in una vicenda<br />
per suo conto poco seria per le nostre<br />
istituzioni.<br />
L’accesso alle fonti<br />
Non esiste solo un problema di quantità<br />
delle fonti da esaminare, ma di disponibilità<br />
a permettere l’accesso ad esse. Fortissima<br />
è la tendenza dei ministeri a conservare<br />
le proprie carte, senza che a<br />
<strong>questo</strong> spirito proprietario si accompagni<br />
una cura adeguata degli archivi detenuti.<br />
Quelli delle questure, come ho potuto<br />
constatare, si stanno rapidamente impoverendo<br />
a causa della distruzione sistematica<br />
conseguente alla mancata cura<br />
dei depositi, degli inventari, del personale<br />
ecc. Si tratta di materiale prezioso che<br />
invece di essere versato rapidamente<br />
agli archivi di stato, inesorabilmente va al<br />
macero in sottoscale, cantine, magazzini<br />
sottoposti a infiltrazioni di acqua e all’opera<br />
di addentatissimi sciami di roditori.<br />
<strong>In</strong>utilmente nel corso delle mie ricerche<br />
ho informato i ministri, compresi quelli in<br />
carica, della necessità di salvaguardare<br />
<strong>questo</strong> grande patrimonio, non solo liberalizzando<br />
la consultazione, ma disponendo<br />
il trasferimento del materiale che<br />
non serve più a fini operativi nelle strutture<br />
degli archivi statali. È un’esigenza che<br />
ho visto condivisa allo stesso personale<br />
delle questure che ho visitato. Ma finora<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
120<br />
non c’è stato niente da fare. Roma tace.<br />
Malgrado i poteri di cui le Commissioni<br />
dispongono, la liberalità e la gentilezza di<br />
capi-gabinetto e funzionari, i ministeri<br />
continuano ad avere una discrezionalità<br />
quasi assoluta.<br />
Anche in <strong>questo</strong> caso, credo basti qualche<br />
esempio.<br />
Su argomenti come lo spionaggio politico,<br />
militare, industriale ecc. sovietico in<br />
Italia, sulla cd rivolta antifascista di massa<br />
dell’estate 1960, sugli attentati ai treni,<br />
sull’addestramento di migliaia di comunisti<br />
in Cecoslovacchia, sui prelievi di<br />
tangenti da parte dei Pci sull’import-export<br />
con i paesi dell’Europa orientale,<br />
sul Cominform, sull’Urss ecc., ho ricevuto<br />
dal Ministero della Difesa del materiale<br />
incredibilmente scarso. È costituito<br />
prevalentemente dalle relazioni dei dirigenti<br />
del servizio segreto (Sifar) relativamente<br />
ad una manciata di anni, quando<br />
era diretto dai generali U. Broccoli ed<br />
E. Musco.<br />
Più ricco, grazie alla maggiore liberalità<br />
del ministro Giuseppe Pisanu, il bottino<br />
raccolto presso il Ministero dell’<strong>In</strong>terno.<br />
Pochissimo o nulla è filtrato dagli archivi<br />
praticamente impenetrabili, in violazione<br />
della legislazione esistente, dell’Arma dei<br />
Carabinieri. Eppure non esiste nessuna<br />
legge che la esenti dal versare le propri<br />
carte all’Archivio Centrale dello Stato o di<br />
ammettere gli studiosi alla loro utilizzazione<br />
nelle stesse sedi dell’Arma.<br />
L’ultima osservazione che intendo fare concerne<br />
la fine del materiale archivistico accumulato<br />
dalle Commissioni. La sua destinazione<br />
è, come dicevo all’inizio, l’Archivio<br />
storico del Senato. Avrei preferito, come gli<br />
altri colleghi storici della Sissco, quella dell’Archivio<br />
Centrale dello Stato dove esiste<br />
un nucleo di personale specializzato e spazi<br />
adeguati per accogliere studiosi e ricer-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
catori, anche se la tragica mancanza di<br />
fondi rende l’informatizzazione e la stessa<br />
a manutenzione e salvaguardia di queste<br />
carte non poco problematica.<br />
Di qui la necessità di dividere le funzioni<br />
con l’Archivio storico del Senato. Purtroppo<br />
anche per la tenuta degli archivi<br />
siamo il fanalino di coda dell’Europa.<br />
Il versamento delle carte acquisite dalle<br />
Commissioni parlamentari di inchiesta<br />
esige una procedura che può richiedere<br />
anche lunghissimi anni. Nelle more le<br />
carte diventano oggetto di una sorta di<br />
usucapione, se non di monopolio privato,<br />
dei responsabili degli uffici stralcio. Rude,<br />
pagana, burocratica, razza padrona.<br />
Ad essi e al personale delle relative segreterie<br />
si assicura una vita felice scandita<br />
dal non molto da fare nelle silenziosissime<br />
e deserte stanze del terzo piano di<br />
San Macuto.<br />
<strong>In</strong>vece per gli studiosi questi archivi restano<br />
a cortine abbassate o si trasformano<br />
in merce servita in maniera caritatevole.<br />
<strong>In</strong>somma, sono una pena crescente<br />
perchè diventano sempre più lontani, e<br />
semplicemente inaccessibili.<br />
Possibile che il Presidente del Senato<br />
Franco Marini e della Camera Fausto<br />
Bertinotti e in generale le stesse assemblee<br />
elettive non abbiano l’interesse, e la<br />
forza, per segnare una discontinuità con<br />
questa prassi? Si tratta di imporre agli uffici-stralcio,<br />
se proprio non li si vuole sopprimere<br />
(come sarebbe ragionevole e<br />
opportuno), di sottoporre ad un regime di<br />
apertura, cioè di consultabilità, i materiali<br />
acquisiti dalle Commissioni Oppure di<br />
separare la pubblicazione dei documenti<br />
dalla loro archiviazione e consultazione<br />
(magari presso l’ACS).<br />
Per di più essi subiscono anche un processo<br />
di depauperamento del loro valore<br />
per la seguente ragione.<br />
121<br />
Mi riferisco alla prassi scellerata che discende<br />
da un’interpretazione ottusa dei<br />
poteri del parlamento. <strong>In</strong>vece di poter imporre<br />
la propria sovranità lo si condanna<br />
ad andare a rimorchio di poteri di secondo<br />
grado quali sono le Commissioni parlamentari<br />
di inchiesta, nominate dai presidenti<br />
di Camera e Senato.<br />
Il Comitato nominato ai sensi dell’articolo<br />
22, comma 2, del Regolamento interno,<br />
per definire i criteri di pubblicità degli atti e<br />
dei documenti formati o acquisiti dalla Mitrokhin<br />
nel corso dell’inchiesta, si è riunito<br />
a palazzo San Macuto il 15 marzo 2006.<br />
La riunione è durata dalle 14,10 alle<br />
14,25 .Si è conclusa con una proposta di<br />
delibera che il Presidente e i membri della<br />
Commissione hanno accolto praticamente<br />
senza fiatare.<br />
<strong>In</strong> base ad essa si è escluso di rendere<br />
pubblici atti e documenti provenienti da<br />
privati (persone fisiche, persone giuridiche<br />
ed enti di fatto) che abbiano fatto richiesta<br />
di uso riservato; gli elaborati prodotti<br />
dai commissari e dai collaboratori<br />
della Commissione con esclusione delle<br />
parti che riproducano il contenuto di atti e<br />
documenti classificati, su richiesta degli<br />
enti erogatori.<br />
Perché il lettore si renda conto di quanto<br />
sia priva di senso, cioè meramente formalistica<br />
e di pugno burocratico, questa<br />
delibera, mi limito a ricordare qualche<br />
aspetto.<br />
Per quanto concerne la pubblicazione, la<br />
Commissione fa valere il vincolo di segretezza,<br />
per 20 anni, sulle schede del<br />
Sifar. Si tratta di quanto ho potuto ottenere,<br />
cioè mi è stato imbandito, dal Ministero<br />
della Difesa. Ovviamente, avevo chiesto<br />
più volte di poter consultare i verbali<br />
e le relazioni dello Stato Maggiore della<br />
Difesa, del Comando generale dei carabinieri,<br />
del Sismi, dei responsabili delle
Regioni militari, insieme alle carte delle<br />
Prefetture ecc.<br />
<strong>In</strong> realtà, mi sono state messe a disposizione<br />
soltanto delle informative di alcuni<br />
alti ufficiali gli ufficiali del Sifar. Riguardano<br />
per lo più pettegolezzi, notizie raccolte<br />
di terza o quarta mano sulla vita del<br />
Pci la cui importanza è semplicemente ridicola<br />
o nulla. Oppure sono segnalazioni<br />
relative a riunioni di sezioni o di segreterie<br />
di federazioni su armamenti, manifestazioni<br />
”sediziose”. Il loro fondamento<br />
viene smentito dallo stesso Sifar nel giro<br />
di qualche mese. Oppure si blindano i<br />
dossier (privi di ogni valore) su Massimo<br />
D’Alema e su vecchi dirigenti partigiani.<br />
Per non parlare delle <strong>numero</strong>se carte<br />
dell’intelligence sull’inchiesta relativa alla<br />
Gladio rossa condotta da Franco Ionta,<br />
che si trova allegata al relativo processo<br />
a Piazzale Clodio, a Roma, o alla strage<br />
di Bologna.<br />
<strong>In</strong> base all’infausta delibera, approvata all’unanimità,<br />
della Commissione sul dossier<br />
Mitrokhin le carte trasferite alle Commissioni<br />
parlamentari dai ministeri o da<br />
altri perdono l’eventuale classifica (cioè il<br />
vincolo di segretezza che ne vieta la consultazione)<br />
solo se l’ente erogatore (Ministero<br />
della Difesa, Presidenza del Consiglio,<br />
Sismi ecc.) accetta di rimuoverlo nell’arco<br />
di trenta giorni dal momento in cui<br />
viene informato che tali carte saranno trasferite<br />
all’Archivio storico del Senato.<br />
Fanno il resto la sindrome proprietaria<br />
esclusiva da cui sono dominati i ministeri<br />
e il fatto che nessuno, nei ministeri e in<br />
altri archivi statali, ha voglia e tempo di<br />
esaminare attentamente, fino a rimuoverlo,<br />
la natura del vincolo di segretezza apposto<br />
su migliaia di carte prelevate dai<br />
consulenti.<br />
Dunque, non si avvia alcuna procedura<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
122<br />
per la loro de-classificazione. Esse restano<br />
segrete, riservate, cioè inconsultabili<br />
anche quando approdano al Senato.<br />
Questa procedura sembra essere assai<br />
superbamente insensata. Non si vede<br />
perché le commissioni parlamentari, che<br />
sono espressione, e anzi veri e propri organi,<br />
fonti primarie della sovranità legislativa<br />
rappresentata da Camera e Senato<br />
debbano sottostare alla volontà di organi<br />
secondari, come i ministeri e, peggio, gli<br />
uffici stralcio.<br />
<strong>In</strong> altre parole, le Commissioni devono<br />
poter prescindere, a parte i problemi di<br />
etichetta, da autorizzazioni e decisioni<br />
esterne, de-classificando, se lo si ritiene<br />
necessario e opportuno, i documenti<br />
qualunque siano i vincoli con cui sono<br />
pervenuti dagli enti erogatori.<br />
Stabilire un principio diverso significa fare<br />
strame delle funzioni e dell’identità<br />
stessa del potere del parlamento.<br />
Come mai i presidenti delle Commissioni<br />
e i responsabili dei partiti che le compongono<br />
non hanno mai sentito l’esigenza di<br />
difenderla e preservarla, stabilendo il<br />
principio della consultabilità dei documenti<br />
e quindi della loro de-classificazione<br />
senza rimettersi al benestare degli enti<br />
che li hanno concessi?<br />
Ovviamente quanto non ha fatto il potere<br />
politico, cioè i parlamentari, non può essere<br />
delegato agli uffici delle segreterie,<br />
cioè alla burocrazia di San Macuto, che<br />
deve assecondare le condizioni poste<br />
dagli enti erogatori.<br />
Di qui l’urgenza di un intervento del parlamento.<br />
Ma non basterebbe un’iniziativa<br />
concordata dei presidenti della Camera e<br />
del Senato a finalmente liberalizzare gli<br />
accessi agli archivi, facendo quanto le<br />
Commissioni parlamentari avrebbero potuto<br />
decidere e non hanno fatto?
u b r i c h e<br />
DaRold Gironda Irmici
Mentre andiamo in stampa...<br />
Sarkozy ha vinto e noi con lui, Ségolène ha perso e con lei l’Ulivo mondiale,<br />
il Partito Democratico che non è fatto da liberal all’americana (e speriamo che<br />
lo diventi) e la sinistra antagonista sessantottina, filo-fondamentalista(islamica)....<br />
Consentiteci di felicitarci con il vincitore di cui in tempi “non sospetti” abbiamo<br />
auspicato la vittoria.<br />
Dalle agenzie<br />
FRANCIA:VOTO; BERLUSCONI, ESAURITA CAPACITA'GOVERNO SINISTRA<br />
(ANSA) - ROMA, 6 MAG - ''La netta affermazione di Nicolas Sarkozy dimostra la<br />
volonta' di cambiamento che sta attraversando tutta l'Europa e non solo la Francia.<br />
La sconfitta della Royal e' un'ulteriore prova del fatto che gli europei considerano<br />
ormai esaurita la capacita' di governare della sinistra''. Cosi' Silvio Berlusconi commenta<br />
le elezioni per l'Eliseo.<br />
“Sono legato a Nicolas Sarkozy - aggiunge Berlusconi - da antica stima ed amicizia<br />
sul piano personale. Sul piano politico Sarkozy condivide gli stessi valori e gli<br />
stessi principi che sono alla base del nostro impegno politico e il programma che<br />
egli ha presentato ai francesi coincide sostanzialmente con il nostro. A Nicolas Sarkozy<br />
vanno le mie piu' affettuose congratulazioni e gli auguri piu' cordiali per la sua<br />
presidenza''. (ANSA).<br />
FRANCIA: VOTO; CICCHITTO, SINISTRA IN DIFFICOLTA' IN EUROPA<br />
(ANSA) - ROMA, 6 MAG - ''Complessivamente, in Europa la sinistra e' in grande<br />
difficolta' ''. Lo afferma Fabrizio Cicchitto, vicecoordinatore di FI., commentando i risultati<br />
per l'Eliseo.<br />
''La vittoria di Sarkozy - sottolinea - e' assai netta. Essa dimostra che egli ha saputo<br />
coordinare l'innovazione con la tenuta della societa' francese rispetto a spinte<br />
disgreganti che pure esistono''.<br />
'La Royal ha dato una bella immagine mediatica - aggiunge - che pero' e' stata neutralizzata<br />
dal fatto che ha riproposto le opinioni piu' tradizionali ed invecchiate della<br />
sinistra. I dati numerici dimostrano che a Sarkozy e' riuscito il capolavoro politico di<br />
svuotare la destra di Le Pen e di guadagnare larga parte dei voti del centro''.<br />
''Come spesso gli capita - conclude - Michel Rocard aveva capito molte cose, ma<br />
per realizzarle sarebbe stata necessaria una tempestiva modernizzazione della sinistra<br />
francese, che non e' affatto avvenuta''. (ANSA).<br />
124
La nuova comunicazione<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Stampa on line, la rivoluzione<br />
del terzo millennio di Gianluigi Da Rold<br />
La tendenza è ormai radicata, si potrebbe definire<br />
inarrestabile. Ed è quella di un passaggio<br />
epocale alla comunicazione via internet, on line,<br />
da quella della stampa tradizionale. Possiamo<br />
cogliere uno degli ultimi segnali più clamorosi<br />
nella rivista “Life”, un mito che non si troverà<br />
più in edicola ma on line. Oppure nella “fuga”<br />
degli editorialisti americani più prestigiosi di<br />
“The New York Times” o di “The Washington<br />
Post” che interagiscono ormai, in tempo, con il<br />
pubblico in “The politico”. Oppure ancora nelle<br />
grandi manovre finanziarie del “re delle comunicazioni”,<br />
Rupert Murdoch che fa offerte da<br />
capogiro per “The Wall Street Journal” e probabilmente<br />
anche per “Reuters”.<br />
È la rivoluzione annunciata, il mondo del “Terzo<br />
millennio” che irrompe sulla scena della comunicazione<br />
in tempo reale e che sconvolgerà la<br />
vita sociale, economica, finanziaria e con tutta<br />
probabilità anche la vita politica. Da anni i grandi<br />
giornali americani perdevano milioni copie e<br />
si allargava la fascia di comunicatori via internet.<br />
La stessa pubblicità, uno dei motori della<br />
comunicazione e un fattore determinante di bilancio<br />
delle imprese editoriali, si trasferisce<br />
sempre di più su internet. <strong>In</strong> Europa si notava la<br />
stessa tendenza; in Italia, come al solito, si<br />
dormiva, pubblicando e vendendo lo stesso <strong>numero</strong><br />
di quotidiani come nel 1939, moltiplicando<br />
una serie di “magazines” di intrattenimento<br />
leggero e soprattutto senza pensare a quello<br />
che in breve tempo sarebbe capitato.<br />
Non passeranno molti anni neppure nel Belpaese<br />
quando, per la sinergia tra telefono e<br />
monitor, con una sofisticata tecnologia che<br />
sfrutta le onde radio, qualsiasi cittadino italiano<br />
potrà arrivare in qualsiasi parte del mondo, in<br />
qualsiasi luogo, aprire il suo computer e aprire<br />
una “finestra sul mondo”, attraverso immagini e<br />
parole, interagendo in pochi minuti, trasferendovi<br />
direttamente le sue telefonate in entrata e<br />
in uscita. La grande rivoluzione del Terzo mil-<br />
125<br />
lennio deve far ripensare tutto il mondo della<br />
comunicazione e in fondo, il dossier Telecom di<br />
queste settimane, non è che l’antipasto di un<br />
autentico terremoto nel mondo dell’informazione<br />
anche in Italia.<br />
Quasi tutti i quotidiani italiani hanno oggi un sito<br />
dove si può trovare un aggiornamento sintetico<br />
delle notizie. Ma è una “goccia nell’oceano”<br />
rispetto alle necessità di un uomo politico o di<br />
un uomo di affari, ma anche di un semplice cittadino.<br />
Sono nate anche nuove esperienze,<br />
con siti più o meno riusciti. Si pensi a “Dagospia”<br />
che rappresenta un “giornale” on line di<br />
aggiornamento tra i più completi di notizie e di<br />
gossip finanziari e politici. Il paradosso è tale<br />
che soltanto un anno fa, nel panorama di tutta<br />
l’editoria italiana, l’unico riconoscimento internazionale<br />
di valore giornalistico è arrivato proprio<br />
al direttore di “Dagospia”, Roberto D’Agostino.<br />
Ma “Dagospia”, in un futuro non tanto remoto,<br />
può rappresentare solo un battistrada in<br />
<strong>questo</strong> nuovo mondo della comunicazione. Chi<br />
scrive queste note, da tre anni collabora con “Il<br />
Velino”, un’agenzia che si è meritata il riconoscimento<br />
di “interesse nazionale”, ma che vuole<br />
essere il prototipo di un giornale on line, che<br />
cura particolarmente il mondo delle aziende italiane,<br />
il mercato finanziario internazionale, la<br />
grande diplomazia europea e la politica italiana.<br />
Siamo ancora su “numeri bassi”, tra lettori<br />
sistematici e i cosiddetti contatti. Ma la potenziale<br />
platea è enorme già adesso, destinata ad<br />
ampliarsi e a sconvolgere i tradizionali canali di<br />
informazione.<br />
Il problema vero è quello dell’interazione (il botta<br />
e risposta tra chi lancia una notizia a e chi<br />
desidera rispondere), che in Italia è ancora trascurato,<br />
e il sistematico aggiornamento che richiede<br />
una copertura giornalistica di 24 ore al<br />
giorno. Quindi il problema è quello di immaginare<br />
nuove imprese editoriali, con sinergie<br />
sempre più raffinate e magari con un terminale
sintetico e quotidiano di carta stampata del tipo<br />
“free press”, il riassunto della grande interazione<br />
che avviene via internet. Lo scenario è già in<br />
grande mutamento e riguarda non solo la carta<br />
stampata. Anche tutto il mondo della televisione,<br />
il notiziario classico, sembra dover essere<br />
travolto dall’integrazione tra telefono e monitor.<br />
Il classico telegiornale a ora fissa, la televisione<br />
generalista, sta già, da anni, per essere sostituita<br />
dalla televisione on demand e dai notiziari<br />
“update” che si rincorrono ogni mezz’ora.<br />
Lo stesso sviluppo tecnologico, con apparecchi<br />
Nuovi scenari vengono aperti dalle novità tecnologiche<br />
nel settore dei mezzi di informazione,<br />
con la diffusione su scala mondiale della rete di<br />
internet e dalle nuove possibilità di accesso e<br />
di trasmissione. La diffusione dei contenuti fa<br />
registrare l’esponenziale consultazione delle<br />
enciclopedie in rete, con l’abbandono di altri<br />
strumenti usati in precedenza, per cercare notizie,<br />
chiarimenti, informazioni scientifiche, resoconti<br />
storici, e quanto altro può servire per aggiornare<br />
le proprie conoscenze con rapidità.<br />
Questa preferenza per le ricerche sul web quale<br />
fonte preferenziale di informazioni, sta provocando<br />
conseguenze non facilmente intuibili<br />
per tutti coloro che, come in particolare gli over<br />
sessanta, non hanno una abitudine consolidata<br />
all’accesso sul web.<br />
Non vi è, di conseguenza, una precisa comprensione,<br />
anche tra gli uomini di cultura ed i<br />
politici, tra i quali vi sono molti over sessanta in<br />
posizioni di responsabilità, di quale scontro sia<br />
in corso nella rete per guadagnare l’egemonia<br />
sui contenuti della proposta informativa. Si sottovaluta,<br />
in particolare nel centro destra, quali<br />
conseguenze nel tempo, una informazione non<br />
obiettiva, unilaterale nella proposta, possa avere<br />
nel condizionare gli orientamenti di una opinione<br />
pubblica, influenzandone direttamente le<br />
scelte elettorali. E non si vede per <strong>questo</strong>, fino<br />
ad ora, nessuna iniziativa, per contrastare questa<br />
deriva.<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
126<br />
televisivi dotati di antenne paraboliche, ha già<br />
“colonizzato” alcuni Paesi da tempo: in Olanda,<br />
tanto per intenderci, si guarda la televisione inglese<br />
o comunque i bambini adottano l’olandese<br />
come seconda lingua tra le mura di casa. La<br />
questione che si pone ha anche aspetti culturali<br />
e di identità che dovranno essere affrontati.<br />
Al momento, secondo gli analisti americani,<br />
una notizia su un sito ha ancora un valore per<br />
la durata di 36 ore. Nel momento in cui, la rivoluzione<br />
on line entrerà nella fase finale, quelle<br />
36 ore saranno sostituite da un spazio di tempo<br />
molto più limitato.<br />
La battaglia su Wikipedia di Francesco Gironda<br />
Nel caso di Wikipedia, la più importante delle<br />
enciclopedie in rete, dove “non soltanto chiunque<br />
può pubblicare on-line il proprio sapere, ma<br />
ognuno può anche modificare, correggere ed<br />
aggiornare ciò che è stato immesso da altri”,<br />
siamo però di fronte ad un contenitore che ha in<br />
sé proprio la regola che stimola dialettica e pluralità<br />
delle fonti, (le linee guida dei cinque pilastri<br />
che ne definiscono le caratteristiche si trovano<br />
facilmente digitando http://it.wikipedia.org.<br />
Ma <strong>questo</strong>, almeno per la sezione in lingua italiana<br />
(292.218 voci già compilate), non è fino<br />
ad ora sempre stato sufficiente a garantire la<br />
correttezza e la completezza dell’informazione.<br />
Proprio le voci più consultate dai navigatori italiani<br />
per cercare informazioni sulla storia italiana<br />
del novecento ed in particolare su quella del<br />
periodo repubblicano (dal 1946 ai giorni nostri),<br />
sono compilate per lo più da estensori condizionati<br />
a priori dalla “vulgata di sinistra”, che<br />
fanno riferimento solo ad autori di testi che contrabbandano<br />
per verità storiche, nell’ambito di<br />
una visione dietrologica e complottista degli avvenimenti<br />
italiani in chiave antioccidentale, solo<br />
ipotesi che confermino questa loro preconcetta<br />
posizione. Sottacendo, e su casi eclatanti,<br />
anche sentenze definitive della magistratura<br />
quando esse non siano in linea con le loro tesi.<br />
Questo sta avvenendo perché in realtà, tranne
pochissime eccezioni, non si apre su queste<br />
voci un confronto, come le regole di Wikipedia<br />
invitano a fare, per mancanza di un intervento<br />
preciso e sostenuto nel tempo, da parte di chi,<br />
di orientamento liberale e democratico, avrebbe<br />
i migliori elementi, per ristabilire la verità o<br />
comunque offrire al navigatore un’informazione<br />
articolata.<br />
Sempre di più nel nostro paese si accetta senza<br />
reagire a sufficienza che la manipolazione<br />
delle coscienze – e tra queste, pericolosissima,<br />
quella delle nuove generazioni – avvenga attraverso<br />
la distorsione nell’uso di mezzi nati per<br />
contribuire alla crescita culturale e alla consapevolezza<br />
nell’uso degli strumenti della democrazia,<br />
che da errate informazioni ai cittadini<br />
viene di fatto distorto, depotenziato.<br />
Già una egemonia, costruita negli anni, sui contenuti<br />
e sugli apparati nel mondo dell’informazione<br />
e della cultura, dalla scuola alle università,<br />
dalle redazioni dei giornali al mondo del cinema<br />
e delle televisioni, ha di fatto rappresentato<br />
la barriera, al riparo della quale la sinistra<br />
italiana ha potuto evitare di sviluppare un processo<br />
di rigenerazione che la rendesse compatibile<br />
con l’appartenenza al mondo democratico<br />
Recensione<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
127<br />
occidentale. Complicità, svendite, ricatti, disattenzioni<br />
hanno creato un groviglio inestricabile<br />
che condiziona elaborando ed aggiornando da<br />
decenni una falsa storia del nostro paese a cui<br />
la larga maggioranza degli appartenenti ai sistemi<br />
informativi e formativi portano, quasi con<br />
automatismo, il loro specifico contributo. La battaglia<br />
per la libertà, la democrazia, il progresso<br />
si vincono in Italia solo se si batte <strong>questo</strong> blocco<br />
conservatore, sia per i contenuti che per i<br />
suoi privilegi.<br />
La una nuova frontiera è internet. <strong>In</strong> <strong>questo</strong><br />
nuovo territorio per lo scambio della conoscenza,<br />
i piccoli gruppi e persino i singoli possono<br />
contare moltissimo per impedire che anch’esso<br />
diventi territorio dominato da un “pensiero unico”.<br />
Mi auguro che gli amici che già su internet<br />
da tempo coordinano la loro presenza come<br />
quelli di Tocqueville, e di Ragion Politica, e tutti<br />
gli autori di siti e dei blog di cultura, informazione,<br />
controinformazione, non omologhi alla<br />
falsa storia che da decenni viene contrabbandata<br />
nelle coscienze degli italiani, si organizzino<br />
per combattere questa battaglia.<br />
(www.gironda.it) - (www.bietti.it)<br />
Luciano Canfora strumentalizza di Pier Ernesto Irmici<br />
Rosa Luxemburg nel pamphlet Junius usava l’espressione<br />
“socialismo o barbarie” per indicare<br />
come unico esito futuro possibile o l’instaurazione<br />
della società socialista o la degenerazione<br />
della comunità umana nel caos.<br />
Luciano Canfora nel suo pamphlet, di recente<br />
pubblicazione, Esportare la libertà. Il mito che ha<br />
fallito (Mondadori ed., Milano 2007, pp.104. Euro<br />
12), sembra sciogliere il dilemma posto dalla<br />
Luxemburg: “Un tempo si disse, e si scrisse, che<br />
l’alternativa al socialismo era ‘la barbarie’. Forse<br />
ci stiamo arrivando” (pag.78). Canfora, che è<br />
un intellettuale comunista orfano dell’Unione so-<br />
vietica, giunge a questa pessimistica conclusione<br />
perché vede ormai un mondo dove trionfa il<br />
capitalismo e il liberalismo e dove l’Occidente ha<br />
come unico antagonista il fondamentalismo islamico.<br />
A Canfora i conti non tornano perché nella sua visione<br />
del mondo avrebbe dovuto vincere il comunismo<br />
sul liberalismo, il blocco sovietico sul<br />
blocco atlantico. <strong>In</strong>vece è avvenuto esattamente<br />
il contrario, e ciò è motivo per Canfora di smarrimento<br />
e di pessimismo, mentre è motivo di ottimismo<br />
per chi oggi vede molti popoli e molti paesi<br />
sottratti al giogo comunista e tornati o quantomeno<br />
avviati alla libertà.
Senza entrare nel merito di alcuni errori, sorprendenti<br />
per uno studioso sempre ben documentato<br />
come Canfora – ad esempio trascura la<br />
battaglia navale di Navarino vinta congiuntamente<br />
da russi, inglesi e francesi contro gli ottomani<br />
per l’indipendenza greca (pag. 16); confonde nella<br />
situazione afgana alla fine degli anni ’70 la<br />
contrapposizione tribale tra i pashtum rurali del<br />
Khalq e pashtum urbani del Parcham con un contrasto<br />
tra diverse fazioni politiche, quando, invece<br />
erano gli uni e gli altri fiolosovietici (pag. 54) –<br />
il pamphlet ripercorre alcune vicende emblematiche<br />
che dovrebbero dimostrare “come il programma<br />
di ‘esportazione’ di idealità e modelli politici<br />
(‘liberta’, ‘democrazia’, ‘socialismo’ etc.) ‘copra’<br />
in realtà esigenze di ‘potenza’ ” (pag. 74).<br />
Atene è prima baluardo della libertà dell’Ellade<br />
contro i persiani, ma diventa successivamente<br />
“ferreo meccanismo di freno e di controllo, oltre<br />
che di repressione nei confronti dei greci già ‘liberati’<br />
” (pag. 9); la Rivoluzione francese sfocia<br />
nel potere personale di Napoleone e nell’Impero<br />
sicché “la guerra che ‘portava’ libertà’ e democrazia<br />
al resto dell’Europa si trasforma in guerra<br />
di conquista ammantata da un sempre meno credibile<br />
paravento ideologico” (pag. 23); quanto all’Urss,<br />
si sofferma sulla rivoluzione ungherese<br />
del 1956. <strong>In</strong> <strong>questo</strong> caso Canfora precisa che<br />
grazie alla normalizzazione non solo l’Ungheria<br />
“fu stabile ma rappresentò ben presto un nuovo<br />
modello”. Il fatto che sia stata repressa spietatamente<br />
nel sangue è del tutto secondario. <strong>In</strong>fatti,<br />
per Canfora l’intervento dell’Urss ebbe in quel<br />
frangente effetti positivi e si limita a sottolineare<br />
soltanto che “quello che ai protagonisti non fu<br />
chiaro, per lo meno non a tutti, fu che procedure<br />
di esportazione manu militari di un modello politico-sociale<br />
(considerato irrinunciabile e perciò<br />
meritevole persino di un disastroso crollo di immagine)<br />
non si possono ripetere due volte” (pag.<br />
45): per <strong>questo</strong> motivo, una decina di anni dopo,<br />
ebbe esito diverso l’invasione dei carri armati del<br />
Patto di Varsavia in Cecoslovacchia per impedire<br />
il rinnovamento politico tentato da Dubcek.<br />
Per nobilitare e giustificare l’invasione militare<br />
sovietica in Ungheria, Canfora, che pensa con<br />
nostalgia alla divisione del mondo stabilita a Yalta,<br />
propone un inaccettabile confronto con il Guatemala<br />
del 1954, quando gli americani nella loro<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
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area d’influenza erano intervenuti in quel Paese<br />
per tutelare gli interessi della “United Fruit Company”<br />
(pag. 41). Canfora per difendere l’indifendibile<br />
evita di dire che il colpo di stato contro il<br />
governo legittimo del Guatemala si ridusse al finanziamento<br />
da parte della Cia di pochi mercenari<br />
e all’invio di mezzi aerei del Nicaragua, cosa<br />
ben diversa dalla repressione della rivolta ungherese<br />
fatta con ingenti mezzi militari che provocarono<br />
la morte di moltissime persone.<br />
Canfora svolge tutto <strong>questo</strong> percorso per dare<br />
maggiore credibilità alla sua tesi e colpire con<br />
maggiore forza il suo vero bersaglio, il suo nemico<br />
di sempre, l’Occidente, il mondo liberale ed in<br />
primo luogo gli Usa. Gli Americani sostengono di<br />
esportare la libertà, dice Canfora, ma in realtà si<br />
tratta di una copertura retorica per giustificare il<br />
loro espansionismo. <strong>In</strong> questa chiave vede i fatti<br />
avvenuti dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre<br />
2001. Anche Benedetto XVI diventa funzionale<br />
a questa logica di potenza, infatti tra i<br />
suoi consulenti per la politica estera c’è Kissinger<br />
(pag 79), che fu tra i responsabili del golpe cileno<br />
del 1973 e dei crimini avvenuti per “esportare<br />
la libertà” in quel Paese (pag. 69).<br />
<strong>In</strong> <strong>questo</strong> pamphlet, che è interessante soprattutto<br />
per capire la crisi di un intellettuale organicamente<br />
comunista, Canfora non riesce a celare la<br />
sua nostalgia per l’Urss e per la divisione del<br />
mondo sulla base degli accordi di Yalta e di Potsdam:<br />
“La causa ‘anti-imperialista’ è nelle mani<br />
dissennate e pre-politiche del ‘partito di Dio’, o<br />
della casta sacerdotale iraniana o del suo braccio<br />
armato” (pag. 78). Da ciò la sua visione catastrofica<br />
di un mondo che va verso la barbarie,<br />
perché non sa riconoscere che nel Novecento<br />
pur attraverso immani tragedie, quella del nazismo<br />
prima e del comunismo poi, la libertà, anche<br />
grazie agli americani che l’hanno esportata, oggi<br />
è più estesa e si può guardare al futuro con ottimismo.<strong>In</strong>fatti,<br />
come ha spiegato Benedetto Croce,<br />
la libertà è “l’eterna formatrice della storia,<br />
soggetto stesso di ogni storia” e nella storia “quel<br />
che solo e sempre risorge e si volge e cresce è<br />
la libertà, la quale […] delle apparenti sue sconfitte<br />
si vale a stimolo della sua stessa vita”.<br />
<strong>In</strong> realtà con Esportare la libertà Canfora non<br />
convince e dimostra soltanto che lui, in un mondo<br />
senza Urss, è una “coscienza infelice”.