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In questo numero<br />
l’ircocervo - la rivista delle libertà - Trimestrale di cultura politica edito da Bietti Media Srl<br />
Sede legale: Corso Magenta, 25 - 25121 Brescia<br />
Anno 2, numero 1, Primavera/Estate 2008<br />
Registrazione presso <strong>il</strong> Tribunale di Brescia n. 7/2007 del 15 marzo 2007<br />
Direzione, Redazione e Amministrazione: Bietti Media Srl, Corso Magenta, 25 - 25121 Brescia<br />
www.bietti.it - tel. 030 295751 - fax 030 290445- e-ma<strong>il</strong>: monica@bietti.it<br />
Direttore: Fabrizio Cicchitto<br />
Vice Direttori: Sabatino Aracu - Pierluigi Borghini<br />
Direttore responsab<strong>il</strong>e: Gianfranco Pol<strong>il</strong>lo<br />
Direttore editoriale: Francesco Gironda<br />
Segreteria di Redazione: Monica Gironda, Giovanna Moresco, Ludovica Paolucci<br />
Stampa: Plus Group srl, Roma<br />
1<br />
l a r i v i s t a d e l l e<br />
l i b e r t à<br />
Politica<br />
Il risultato elettorale, <strong>il</strong> governo Berlusconi, di Fabrizio Cicchitto 3<br />
le prospettive e i problemi<br />
del partito del Popolo della Libertà<br />
La «rivoluzione» del 13 e 14 apr<strong>il</strong>e di Gaetano Quagliariello 18<br />
Le incognite del nuovo ciclo politico di Peppino Caldarola 23<br />
Il cataclisma elettorale di Gianfranco Pol<strong>il</strong>lo 28<br />
Economia<br />
L’eredità di Prodi e la «falsa coscienza» di Bersani di Gianfranco Pol<strong>il</strong>lo 35<br />
Le riforme contrattuali prossime venture di Giuliano Cazzola 44<br />
La politica industriale tra delocalizzazione<br />
ed immigrazione di Pierluigi Borghini 50<br />
Il nucleare di IV generazione di Luigi De Vecchis 55<br />
Enel: una multinazionale italiana dell’energia di Alessandro Luciano 60<br />
Storia<br />
Tibet: anello centrale della «grande Cina» di Marco Giaconi 65<br />
La sfida del terrorismo di Andrea Pannocchia 71<br />
Il complesso rapporto tra Mazzini e Garibaldi di Giuliana Limiti 81<br />
Note su «La Repubblica romana del 1849» di Italo Pasqui 91<br />
In libreria<br />
Libri interessanti, libri contestab<strong>il</strong>i, libri che... di Francesco Gironda 92
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politica<br />
Il risultato delle elezioni del 13-14 apr<strong>il</strong>e è stato<br />
così descritto dall’Istituto Cattaneo di Bologna:<br />
«La coalizione berlusconiana ha conosciuto<br />
un forte avanzamento in termini non solo<br />
percentuali ma anche di voti assoluti. Rispetto<br />
al 2006 la coalizione è cresciuta di oltre<br />
1,5 m<strong>il</strong>ioni di voti (+10,1%) sull’ammontare dei<br />
voti attenuti nel 2006. L’aumento, per giunta, si<br />
verifica in quasi tutte le regioni (con le uniche<br />
eccezioni del Nord Est, nel Friuli Venezia Giulia,<br />
e nel Trentino Alto Adige, dove <strong>il</strong> risultato è<br />
sostanzialmente stab<strong>il</strong>e: nel Nord Est, come<br />
nel Nord Ovest è stato “molto r<strong>il</strong>evante” <strong>il</strong> successo<br />
della Lega). L’area di centro-sinistra ha<br />
sostanzialmente tenuto rispetto al 2006. La<br />
presenza di canditati radicali, ma non socialisti<br />
nella coalizione di Walter Veltroni rende diffic<strong>il</strong>e<br />
fare raffronti fra i risultati 2006-2008 (...). Si<br />
assiste ad un leggero aumento dei voti (nella<br />
misura dell’1,3% pari a circa 185m<strong>il</strong>a voti). Il risultato<br />
dell’area di centro-sinistra è riuscito a<br />
“fare <strong>il</strong> pieno“ dei suoi voti nel 2006 allora non<br />
è riuscito ad attirare verso di sé flussi significativi<br />
da quei due elettorati o, se vi è riuscito, non<br />
ha fatto <strong>il</strong> pieno dell’elettorato ulivista (...) Il calo<br />
più consistente ha interessato i partiti dell’estrema<br />
sinistra (la Sinistra Arcobaleno) che<br />
hanno subito un’emorragia di quasi di 2,4 m<strong>il</strong>ioni<br />
di voti rispetto al 2006, con una contrazione<br />
del 61,5% (...) Piuttosto marcato anche l’abbassamento<br />
dei consensi per l’Udc, che ha<br />
perso quasi 530 m<strong>il</strong>a voti, corrispondente ad<br />
oltre <strong>il</strong> 20% del suo elettorato di due anni fa (...)<br />
Le perdite sono molto accentuate in Liguria,<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Il risultato elettorale, <strong>il</strong> governo<br />
Berlusconi, le prospettive e i problemi<br />
del partito del Popolo della Libertà<br />
di Fabrizio Cicchitto<br />
3<br />
Lazio, Toscana e Umbria (oltre <strong>il</strong> 33% del voti<br />
del 2006) oltre la metà delle perdite sono attribuib<strong>il</strong>i<br />
alla Lombardia (-155 m<strong>il</strong>a), al Lazio (-87<br />
m<strong>il</strong>a) e al Veneto (-17%) verosim<strong>il</strong>mente grazie<br />
alla candidatura di Ciriaco de Mita. I partiti di<br />
estrema destra, pur non ottenendo alcuna rappresentanza<br />
parlamentare, hanno visto raddoppiare<br />
i consensi conquistando oltre mezzo<br />
m<strong>il</strong>ione di voti in più rispetto al 2006» (1).<br />
Sul terreno dei flussi elettorali gli studiosi, nelle<br />
loro prime analisi, hanno r<strong>il</strong>evato i seguenti<br />
movimenti: per ciò che riguarda l’Udc essa ha<br />
perso una quota r<strong>il</strong>evante di voti a favore di<br />
Forza Italia all’interno del Popolo della Libertà<br />
e ha invece recuperato voti dall’elettorato cattolico-moderato<br />
della Margherita che non si è<br />
riconosciuto nella formazione del Partito Democratico<br />
guidato da Veltroni e largamente<br />
egemonizzato dalla struttura politico-partitica
dei Ds così come ha r<strong>il</strong>evato la rivista cattolica<br />
<strong>il</strong> Regno che ha affermato: ormai <strong>il</strong> Partito Democratico<br />
è fondato sull’intelaiatura costituita<br />
dai Ds a cui si è aggiunta la leadership di Veltroni.<br />
Anche secondo <strong>il</strong> Regno i post-democristiani<br />
di Marini, di Fioroni e di Soro sono sostanzialmente<br />
degli ospiti di lusso ben remunerati<br />
individualmente, in un partito fondamentalmente<br />
nelle mani dei post-comunisti diessini.<br />
La conferma di tutto ciò è offerta da un’altra<br />
analisi elettorale che ha r<strong>il</strong>evato che solo <strong>il</strong><br />
42% dei cattolici, che avevano votato Unione,<br />
hanno poi ridato <strong>il</strong> loro consenso al Partito democratico.<br />
Per ciò che riguarda l’elettorato perso dalla sinistra<br />
di Arcobaleno esso si è frantumato in<br />
molteplici direzioni: verso due liste dell’estrema<br />
sinistra (una promossa da Ferrando, l’altra da<br />
Turigliatto, Sinistra critica), verso l’astensione,<br />
verso <strong>il</strong> «voto ut<strong>il</strong>e» per <strong>il</strong> Partito democratico,<br />
in diverse zone operaie addirittura verso la Lega.<br />
Chi passa dall’11,3 al 3% va incontro ad<br />
un’autentica catastrofe politica. Per completezza<br />
di informazione ricordiamo che sono state<br />
realizzate altre analisi dei flussi elettorali, tutte<br />
nel complesso convergenti sui dati di fondo sopra<br />
riportati.<br />
Secondo un articolo di Fabio Carlucci, che riporta<br />
un’analisi di Paolo Natale, «al Nord la Sinistra<br />
Arcobaleno ha regalato <strong>il</strong> 10% alla Lega<br />
Nord, su scala nazionale 283 m<strong>il</strong>a persone, nel<br />
complesso l’8% di Ppc, Verdi, PdC, sono passati<br />
alla Lega»; sempre al Nord «<strong>il</strong> 23% di elet-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />
4<br />
tori di Forza Italia è passato alla Lega». Un ulteriore<br />
5% di voti Udc è andato alla Lega. Sempre<br />
secondo <strong>il</strong> prof. Natale <strong>il</strong> voto Ppc Pdci,<br />
Verdi, si è così ridislocato: <strong>il</strong> 30% verso <strong>il</strong> Partito<br />
Democratico , <strong>il</strong> 4% verso Di Pietro, <strong>il</strong> 6%<br />
verso la Lega, <strong>il</strong> 38% verso l’astensionismo e le<br />
liste minori di estrema sinistra: quelle di Ferrando<br />
e di Turigliatto. A sua volta <strong>il</strong> Partito Democratico<br />
ha preso l’81% dall’Ulivo perdendo <strong>il</strong><br />
20% (2). In un articolo sull’Unità si dà conto sia<br />
dell’analisi del Prof. Natale sia di un’altra, non<br />
divergente, del prof. Buttaroni: «Un m<strong>il</strong>ione e<br />
mezzo di persone che nel 2006 avevano scelto<br />
Rifondazione, Pdci, Verdi, per i Verdi addirittura<br />
<strong>il</strong> 59% (500 m<strong>il</strong>a) passa a Veltroni e solo<br />
l’8% sceglie Bertinotti. E ancora <strong>il</strong> 47% dei comunisti<br />
italiani sceglie <strong>il</strong> Partito democratico,<br />
solo l’8,5 % l’Arcobaleno» (3).<br />
È evidente che queste cifre derivano da una<br />
scelta politica precisa: <strong>il</strong> voto ut<strong>il</strong>e contro Berlusconi<br />
a favore del Partito Democratico e/o <strong>il</strong><br />
disincanto nei confronti di Bertinotti, imbalsamatosi<br />
nella Presidenza della Camera e imborghesito<br />
sul terreno dell’immagine dalla sua<br />
assidua frequentazione nei salotti romani.<br />
Sempre nell’articolo sull’Unità si riporta una<br />
valutazione del prof. Natale che quantifica nel<br />
20% gli elettori del Prc, Verdi e Pdci che non<br />
hanno votato. Questi dati mettono anche in<br />
evidenza i termini della sconfitta politico-elettorale<br />
del partito democratico, sottolineata recentemente<br />
anche da Rosy Bindi (4). Di qui la<br />
domanda: perché <strong>il</strong> Partito democratico, visto<br />
questo apporto dell’estrema sinistra, non ha<br />
«sfondato» e ha guadagnato solo 100 m<strong>il</strong>a voti<br />
dal 2006 rimanendo, con l’Idv, di circa trem<strong>il</strong>ioni<br />
e mezzo di voti sotto <strong>il</strong> centro-destra: cioè<br />
sotto la somma del Partito della Libertà e della<br />
Lega-Nord?<br />
Secondo <strong>il</strong> prof. Buttaroni la causa è l’astensionismo:<br />
«ben 2,5 m<strong>il</strong>ioni di elettori che nel<br />
2006 avevano scelto l’Ulivo alla Camera (erano<br />
11,9 m<strong>il</strong>ioni) non sono tornati a votare». Un<br />
numero enorme e <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> Pd alla fine abbia<br />
tenuto con circa 100 m<strong>il</strong>a voti in più rispetto<br />
al 2006, è dovuto al fatto che «1,5 m<strong>il</strong>ioni di
politica<br />
astensionisti di due anni fa sono tornati alle urne<br />
e hanno scelto Veltroni...». Altro dato interessante<br />
280 m<strong>il</strong>a ulivisti di due anni fa hanno<br />
scelto Casini (è chiaro che si tratta di voti provenienti<br />
dalla Margherita n.d.r.).... Circa 300<br />
m<strong>il</strong>a voti della ex Rosa nel Pugno sono passati<br />
al Pd, con tutta probab<strong>il</strong>ità voti radicali, mentre,<br />
una quota non irr<strong>il</strong>evante di ex ulivisti, circa<br />
<strong>il</strong> 4-5%, ha scelto l’alleato Antonio Di Pietro. Risultato:<br />
«la base elettorale del Partito Democratico,<br />
ald<strong>il</strong>à delle intenzioni e anche del messaggio<br />
dei leader, si è notevolmente spostata a<br />
sinistra» dice Buttaroni.<br />
Chi sono questi 2,5 m<strong>il</strong>ioni di astensionisti che<br />
hanno regalato <strong>il</strong> governo a Berlusconi? Secondo<br />
Buttaroni non si tratta solo di ex Margherita,<br />
ma anche di ex Ds in pari misura «Ortodossi<br />
dei due ex partiti che non si sono riconosciuti<br />
in quello nuovo» (5). Non si tratta di<br />
una cifra da poco: per le contraddizioni, le ambiguità,<br />
le opacità che caratterizzano <strong>il</strong> Partito<br />
democratico, c’è stata la reazione di rigetto di<br />
una quota non indifferente di votanti della sinistra<br />
diessina. Sempre sull’Unità ci sono i risultati<br />
delle analisi dei prof. Buttaroni-Natale: «Il<br />
PdL conferma la base elettorale di Forza Italia<br />
e An. Berlusconi si è tenuto più di 8 elettori su<br />
10, <strong>il</strong> resto l’ha ceduto a Bossi. I flussi maggiori<br />
nella destra sono quelli da Forza Italia alla<br />
Lega (circa 500 m<strong>il</strong>a persone) e da An alla destra<br />
(tra <strong>il</strong> 5% e <strong>il</strong> 7% dell’elettorato di Fini, un<br />
dato quest’ultimo inferiore alle aspettative (...)<br />
circa 650m<strong>il</strong>a elettori di An sono passati alla<br />
Lega. E l’Udc paga anch’esso un prezzo molto<br />
alto all’astensionismo (oltre <strong>il</strong> 25% dei suoi<br />
elettori per Buttaroni) e ha un saldo negativo<br />
con <strong>il</strong> Pdl: gli cede circa 550 m<strong>il</strong>a voti, e in cambio<br />
riceve solo 370 m<strong>il</strong>a da F.I. (6).<br />
In effetti l’Udc si «salva» perché, pur perdendo<br />
voti dal 2006, tuttavia ha recuperato circa 280<br />
m<strong>il</strong>a voti dalla Margherita e altri voti dall’Udeur.<br />
Invece <strong>il</strong> PdL fa <strong>il</strong> pieno di voti al Centro-Sud,<br />
migliora in Umbria, Marche, Lazio e poi «esplode»<br />
in Abruzzo, in Campania, Puglia, Calabria,<br />
Sic<strong>il</strong>ia, Sardegna. Grazie a questi risultati, <strong>il</strong><br />
PdL passa dal 37,04 al 41,58 in Abruzzo, per-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
5<br />
Per le contraddizioni, le<br />
ambiguità, le opacità che<br />
caratterizzano <strong>il</strong> Partito<br />
democratico, c’è stata la<br />
reazione di rigetto di una<br />
quota non indifferente di<br />
votanti della sinistra<br />
diessina.<br />
de in Molise per l’exploit di Di Pietro (PdL 37,77<br />
nel 2006, al 36,47 nel 2008), passa dal 40,47<br />
del 2006 al 45,62 del 2008, esplode dal 39,07<br />
al 49,08 in Campania, dal 40,47 al 45,62 in Puglia,<br />
dal 35,44 al 42,44 in Sardegna, dal 31,74<br />
al 41,23 in Calabria, dal 40,1 al 46,83 in Sic<strong>il</strong>ia.<br />
Per di più, stando ad un’analisi fatta dal Corriere<br />
della Sera, nel Mezzogiorno per <strong>il</strong> PdL si sono<br />
avuti «più voti in periferia che al centro, più<br />
in provincia che in città. Ceto medio, pancia del<br />
paese, strati popolari: chiamatelo come volete,<br />
ma è qui che <strong>il</strong> PdL ha stravinto nel Mezzogiorno,<br />
senza nemmeno l’aiuto della Lega al Nord.<br />
Non sono imprenditori e liberi professionisti ma<br />
impiegati, operai, insegnanti che magari stavano<br />
a sinistra. Attirati dal taglio dell’ICI, visto che<br />
anche al Sud l’80% delle famiglie è proprietario<br />
di casa. Invogliati dal ritorno del bonus bebè,<br />
perché qui i figli si fanno ancora. E convinti dal<br />
cambiamento promesso da Berlusconi in una<br />
terra dove tutto sembra immob<strong>il</strong>e (7).<br />
Da questi dati emerge l’entità della disfatta a<br />
cui sono andati incontro i partiti della Sinistra<br />
Arcobaleno e la secca sconfitta politica di Veltroni<br />
e del partito democratico. Si era votato<br />
due anni fa nel 2006, non cinque. Si è rivotato<br />
nel 2008 perché non è caduto semplicemente<br />
un governo, quello di Prodi, ma è imploso tutto<br />
uno schieramento politico-elettorale che era<br />
stato costruito e guidato con convinzione da<br />
Prodi e dagli esponenti dei Ds e della Margherita<br />
e che andava da Rifondazione Comunista
fino ai moderati come Mastella, Dini, De Mita:<br />
tutti consenzienti nel formare quella coalizione,<br />
come testimonia la famosa foto del 2006 con i<br />
dodici leaders che avevano in mano <strong>il</strong> libro di<br />
280 pagine dello «pseudo» programma.<br />
Dopo due anni di governo l’alleanza è implosa<br />
clamorosamente da entrambi i lati, da quello<br />
dell’estrema sinistra e da quello del centro-moderato<br />
sul terreno della gestione del governo,<br />
del programma, dei rapporti politici e sociali.<br />
Questo fallimento è stato contrassegnato da<br />
una serie di episodi clamorosi, che qui è inut<strong>il</strong>e<br />
ricordare. Ma esso ha coinvolto in pieno <strong>il</strong> gruppo<br />
dirigente dei Ds, Veltroni compreso, che in<br />
quell’alleanza aveva creduto e che aveva contribuito<br />
a costruire, ritenendola la formula che<br />
avrebbe consentito di guidare <strong>il</strong> paese per tutta<br />
la legislatura contro Berlusconi: <strong>il</strong> nemico da<br />
sconfiggere prima e da distruggere dopo. Infatti<br />
malgrado <strong>il</strong> sostanziale pareggio del 2006, i<br />
Ds e la Margherita erano così convinti dell’operazione<br />
fatta, che respinsero l’invito del leader<br />
di Forza Italia di realizzare una grande coalizione<br />
e anzi si «blindarono» al punto da acquisire<br />
tutte le massime cariche istituzionali:<br />
l’obiettivo evidente, comune a Casini, era quello<br />
della distruzione di Berlusconi anche sulla<br />
base della valutazione che ormai era iniziata la<br />
sua decadenza.<br />
Esistono pochi dubbi sul fatto che a destab<strong>il</strong>izzare<br />
<strong>il</strong> governo Prodi sul piano sociale sia stata<br />
la sua politica fiscale: una politica fiscale che<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />
6<br />
ha duramente colpito tutti gli strati sociali e ha<br />
inferto un colpo durissimo non solo al lavoro<br />
autonomo e agli imprenditori, ma specialmente<br />
al reddito dei ceti medi e dei lavoratori indipendenti<br />
(8). Di conseguenza quando, nel 2008,<br />
Veltroni ha proclamato che alle elezioni <strong>il</strong> Partito<br />
Democratico si sarebbe presentato da solo,<br />
in effetti faceva buon viso a cattivo gioco di<br />
fronte al fallimento politico dei due anni precedenti.<br />
Veltroni è quindi stato l’esecutore testamentario<br />
del fallimento di un’alleanza da lui<br />
stesso condivisa e del resto praticata al comune<br />
di Roma. I fallimenti non si sono fermati al<br />
centro-sinistra originario. Anche <strong>il</strong> centro-sinistra<br />
è andato incontro ad una sconfitta secca.<br />
Nella sua ispirazione originaria, quella pensata<br />
da Michele Salvati, <strong>il</strong> Partito Democratico era<br />
nato con l’obiettivo di operare una ridislocazione<br />
verso <strong>il</strong> centro dell’asse politico dei Ds e della<br />
Margherita. L’obiettivo era quello di fare concorrenza<br />
proprio a Forza Italia, cercando di<br />
«sfondare» nel consenso dei moderati e dei riformisti<br />
collocati nel centro del centro-destra.<br />
Analoga analisi avevano fatto Casini e <strong>il</strong> suo<br />
ideologo Ferdinando Adornato: entrambi avevano<br />
ritenuto che «la forza propulsiva» di Berlusconi<br />
era esaurita. Adornato, poi, scambiando<br />
a tal punto la sua fantasia per la realtà, era<br />
stato l’unico a credere ad un exit poll delle<br />
15,15 del giorno degli scrutini e, aveva, di conseguenza,<br />
proclamato la sconfitta di Berlusconi,<br />
la vittoria di Veltroni e l’intenzione di telefonare<br />
a quest’ultimo per congratularsi della sua<br />
vittoria: singolare infortunio quello di cambiare<br />
casacca per correre al soccorso del vincitore<br />
sbagliato.<br />
Sta <strong>il</strong> fatto che nulla di quanto avevano previsto<br />
Veltroni-D’Alema-Fassino e Casini si è verificato<br />
nelle elezioni del 13-14 apr<strong>il</strong>e del 2008. Anzi<br />
è accaduto esattamente <strong>il</strong> contrario: da un lato<br />
Berlusconi ha trionfato, dall’altro <strong>il</strong> Partito Democratico<br />
non ha sfondato né sul piano politico<br />
verso l’area di centro; né sul piano sociale ed<br />
elettorale al Nord. Invece, a parte Pierferdinando<br />
Casini, contro la volontà e <strong>il</strong> disegno politico<br />
del gruppo dirigente del Partito democratico,<br />
come hanno r<strong>il</strong>evato le analisi dei professori
politica<br />
Natale e Bocconetti: «la base elettorale del Pd,<br />
ald<strong>il</strong>à delle intenzioni e anche dei messaggi dei<br />
leader, si è notevolmente spostata a sinistra».<br />
Così è avvenuto che, per una carenza di cultura<br />
politica, di programmi, di analisi e di rapporti<br />
intessuti con la società civ<strong>il</strong>e, proprio Veltroni,<br />
e con lui <strong>il</strong> gruppo dirigente del Partito democratico,<br />
hanno combinato una lunga serie di<br />
disastri politici. Essi hanno contribuito a provocare<br />
la crisi anticipata del governo Prodi, verificatasi<br />
molto prima di quanto non volesse lo<br />
stesso Veltroni, e hanno di fatto dato un contributo<br />
decisivo alla scomparsa in Parlamento<br />
della sinistra radicale e dei socialisti. Tutto ciò<br />
senza riuscire neanche lontanamente a scalfire<br />
l’area di centro di Forza Italia e a «ritornare»<br />
politicamente e socialmente nel Nord.<br />
Le elezioni del 13-14 apr<strong>il</strong>e, con <strong>il</strong> loro risultato<br />
per molti aspetti straordinario, consentono,<br />
pertanto, di trarre alcune considerazioni conclusive<br />
sul percorso tortuoso seguito dai comunisti<br />
italiani e dai loro eredi diessini. La prima e<br />
in un certo senso più immediata e superficiale<br />
analisi riguarda la sottovalutazione dell’avversario<br />
che ha caratterizzato larga parte della sinistra<br />
italiana. Sottovalutazione addirittura mista<br />
a disprezzo ha caratterizzato l’analisi del<br />
suo più significativo «maître à penser»: vale a<br />
dire Eugenio Scalfari ben noto per non aver imbroccato<br />
una previsione elettorale in vita sua.<br />
Infatti dopo <strong>il</strong> crollo del comunismo e la crisi<br />
della cultura gramsciana e togliattiana, Eugenio<br />
Scalfari e tutto <strong>il</strong> gruppo editoriale Repubblica-Espresso<br />
hanno realizzato, dagli anni ’70<br />
in poi, una singolare operazione egemonica<br />
nei confronti del Pci e dei post-comunisti. Grazie<br />
ad essa, un’ambigua cultura liberal, talora<br />
liberista, talora bancario-dirigista, ha conquistato<br />
<strong>il</strong> «cervello» del gruppo dirigente, dei<br />
quadri intermedi, in parte della stessa base,<br />
dell’area post-comunista: Pds poi Ds nel vuoto<br />
di un’autonoma elaborazione culturale dopo <strong>il</strong><br />
forzato superamento del togliattismo.<br />
In tutti questi anni Scalfari ha così profondamente<br />
sottovalutato e disprezzato <strong>il</strong> suo avversario,<br />
anzi <strong>il</strong> suo nemico Berlusconi - dal 1994<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
7<br />
presentato come l’incrocio fra un rozzo pubblicitario,<br />
un folcloristico pagliaccio e un agente<br />
della mafia - che <strong>il</strong> 13 apr<strong>il</strong>e, dimostrando doti<br />
straordinarie di previsione e di lettura della società<br />
italiana, scriveva su Repubblica: «con avversari<br />
di questo livello non si può perdere. Gli<br />
elettori cominciano a capirlo. Io sono pronto a<br />
scommetterci». È la tesi dell’inferiorità antropologica,<br />
politica, culturale, sociale del centro-destra<br />
rispetto ad una sinistra colta, liberal, <strong>il</strong>luminata;<br />
una tesi che Repubblica ha portato avanti<br />
da sempre, prima contro la Dc, con l’eccezione<br />
di De Mita e della sinistra di base, poi contro<br />
<strong>il</strong> centro-destra di Berlusconi, Bossi, Fini.<br />
Una tesi che è andata incontro ad un fallimento<br />
«totale» malgrado l’influenza esercitata sui<br />
mezzi di comunicazione di massa.<br />
A livello televisivo questa «cultura» snobistica<br />
si esprime attraverso la «rozzezza» di Santoro.<br />
Il segno, però, che questo f<strong>il</strong>one di pensiero e<br />
di azione rappresenta qualcosa di più profondo<br />
nell’assetto fondamentale del «nuovo» Partito<br />
democratico, promosso da Veltroni, sta nella<br />
scelta delle alleanze elettorali. Il Partito Democratico<br />
si è alleato con la quintessenza del giustizialismo<br />
forcaiolo e della rozzezza dell’antipolitica<br />
rappresentata da Di Pietro e dal suo<br />
partito: formazione politica che, grazie all’alleanza<br />
preferenziale con <strong>il</strong> Partito democratico,<br />
ha raddoppiato i propri voti, dopo aver dato agli<br />
elettori la certezza che essi non andavano persi.<br />
Immediatamente dopo le elezioni Di Pietro è<br />
venuto meno ai patti fatti con Veltroni e, una
volta «incassati» una quarantina di deputati e<br />
una quindicina di senatori, ha comunicato l’intenzione<br />
di non sciogliersi nel magma confuso<br />
del Partito democratico, ma di voler fare un<br />
gruppo autonomo. Oggi Di Pietro sta svolgendo<br />
un ruolo politico importante perché contesta<br />
qualunque intesa fra <strong>il</strong> Partito Democratico e <strong>il</strong><br />
Popolo della Libertà e scavalca da «sinistra» <strong>il</strong><br />
Partito democratico. Per di più <strong>il</strong> Partito Democratico<br />
scegliendo l’alleanza con Di Pietro e<br />
scartando quella con la Sdi di Boselli ha dimostrato<br />
di mantenere una linea di continuità con<br />
<strong>il</strong> Pds del ’92-’94 che giocò tutte le sue carte<br />
sulla distruzione del Psi.<br />
Ma per tornare alle tesi «razzista» dei maîtres<br />
à penser di Repubblica - l’Espresso, bisogna<br />
innanzitutto ricordare che dal 1994 ad oggi<br />
Berlusconi ha vinto ben tre volte le lezioni: <strong>il</strong><br />
1994, <strong>il</strong> 2001, e adesso nel 2008. Berlusconi<br />
ha perso le altre due: nel 1996 e nel 2006.<br />
Quindi Berlusconi non ha «coperto» un ciclo<br />
politico omogeneo, ma ha dato una incredib<strong>il</strong>e<br />
prova di tenuta lungo una vicenda politica assai<br />
tortuosa. Se, poi, <strong>il</strong> giudizio di fondo dato da<br />
Eugenio Scalfari, Furio Colombo, Santoro e<br />
Marco Travaglio fosse fondato, quale sarebbe,<br />
allora, <strong>il</strong> livello politico di una sinistra «<strong>il</strong>luminata»<br />
e colta che si è fatta sconfiggere ben tre<br />
volte da un avversario siffatto? L’arroganza e la<br />
presunzione intellettuale sono, come spesso<br />
capita, delle cattive consigliere. Lo sono perché<br />
partono da un retroterra sbagliato: quello<br />
di una posizione elitaria ed aristocratica fondata<br />
sulla convinzione che la cultura, l’etica, «i<br />
migliori» stanno a sinistra, mentre la rozzezza<br />
e l’incultura stanno a destra. A proposito di<br />
questo e altro Luca Ricolfi ha scritto un libro dal<br />
significativo titolo Perché siamo antipatici (9).<br />
Libro che spiega come sia avvenuta una singolare<br />
«mutazione» genetica nel corpo e nel<br />
cervello delle forze politiche di centro-sinistra.<br />
Ed i risultati si sono visti.<br />
Una piena egemonia culturale e anche politica<br />
(spesso perfino nella scelta delle leadership:<br />
come hanno dimostrato i casi Rutelli, Ciampi e<br />
Veltroni, tutti sponsorizzati da Carlo De Bene-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />
8<br />
detti) sul centro-sinistra è stata esercitata dallo<br />
«scalfarismo» e dal «debenedettismo». Ciò ha<br />
comportato un’autentica mutazione genetica,<br />
che si è riflessa sul terreno elettorale. I referenti<br />
sociali del centro-sinistra, nelle ultime elezioni,<br />
sono stati da un lato i dipendenti pubblici<br />
e i pensionati e dall’altro i ceti alti, specie delle<br />
grandi città (Roma e M<strong>il</strong>ano in primo luogo). Il<br />
consenso è venuto dal mondo del cinema, del<br />
teatro, della musica, dagli architetti, dai banchieri<br />
e fra i circoli snob della capitale. Non a<br />
caso nelle recenti elezioni amministrative Alemanno<br />
ha vinto grazie al voto delle borgate<br />
mentre ha perso ai Parioli.<br />
Partendo dalla riproposizione aggiornata della<br />
concezione verticistico-paternalistica che sottendeva<br />
nell’antica Roma <strong>il</strong> motto «panem et<br />
circenses», Veltroni ha cercato a Roma di recuperare<br />
consenso grazie alle «notti bianche»<br />
e ai festival del cinema; esibendo, in campagna<br />
elettorale, <strong>il</strong> suo rapporto con Francesco<br />
Totti, facendosi ritrarre con George Clooney<br />
comparendo, addirittura, all’ultimo comizio<br />
elettorale sottobraccio al cantante Jovanotti.<br />
Siamo nel mondo dell’effimero, della ricchezza<br />
esibita, dello snobismo patinato. La quintessenza<br />
di «questa sinistra» è rappresentata da<br />
Giovanna Melandri. L’elettorato popolare non<br />
ha gradito tutto ciò. E si è regolato di conseguenza.<br />
Questa scelta si è tradotta in una prassi singolare,<br />
che ha contagiato tutta la sinistra, anche<br />
una parte di quella estrema: Bertinotti in testa.
politica<br />
L’assidua frequentazione della Roma dei salotti,<br />
voleva perseguire una sua piena legittimazione.<br />
Invece la sfacciata visib<strong>il</strong>ità della omogeneizzazione<br />
di una sinistra light con l’establishment<br />
amministrativo, finanziario, istituzionale<br />
ha avuto effetti devastanti. Specie se si<br />
considera <strong>il</strong> tipo di politica, nel frattempo, portata<br />
avanti dal Governo Prodi. Grazie alle scelte<br />
di politica fiscale, i lavoratori dipendenti hanno<br />
visto che le loro buste paga perdevano potere<br />
d’acquisto, proprio durante <strong>il</strong> governo di<br />
centro-sinistra: più tasse e più inflazione hanno<br />
avuto effetti perversi sugli stipendi e sui salari,<br />
terremotando i consensi a favore del governo<br />
Prodi. Contraddizioni che non potevano essere,<br />
certo, b<strong>il</strong>anciati dalla frequentazione di Veltroni<br />
con Totti, Jovanotti, Clooney, Monicelli e<br />
Muccino, né con la presenza di Bertinotti al salotto<br />
di Sandra Verusio.<br />
Tranne in alcune zone, inoltre, si è verificato<br />
un netto distacco fra <strong>il</strong> neonato Partito Demo-<br />
Con la concertazione <strong>il</strong><br />
sindacato ha concentrato<br />
nella politica tout court,<br />
talora anche nella<br />
politica macroeconomica,<br />
tutto <strong>il</strong> suo potere e anche<br />
la sua iniziativa politica.<br />
cratico e vasti strati della società italiana: <strong>il</strong><br />
giovan<strong>il</strong>ismo veltroniano, tradottosi nella collocazione<br />
come capolista di ragazze incolte e<br />
inesperte della politica, ha determinato un ulteriore<br />
distacco dalla società reale e dallo<br />
stesso mondo giovan<strong>il</strong>e autentico.<br />
Questo distacco è stato espresso da un partito<br />
che, ald<strong>il</strong>à delle apparenze, è l’assemblag-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
9<br />
gio di una parte (quella più gradita a Veltroni,<br />
a Bettini e a Marini-Franceschini) delle nomenclature<br />
e dell’organizzazione del potere<br />
dei Ds e della Margherita, ma che è sempre<br />
più lontano dalla società civ<strong>il</strong>e reale, composta<br />
da piccoli imprenditori, da lavoratori autonomi<br />
e dipendenti, dalla stessa classe operaia, dagli<br />
abitanti dei quartieri periferici: tutti strati sociali<br />
più a contatto con la criminalità endemica<br />
delle favelas di cui molti immigrati clandestini<br />
sono portatori.<br />
Questo elitismo, in parte snobistico in parte di<br />
potere, è stato accentuato dalla crisi del sindacato,<br />
sul quale Pietro Ichino e Stefano Livadiotti<br />
hanno condotto analisi devastanti (10).<br />
Infatti per molti aspetti la «concertazione» ha<br />
ucciso <strong>il</strong> sindacato anche perché si è trattato di<br />
una «concertazione rispettosa», da parte del<br />
sindacato, nei confronti del governo e delle<br />
grandi imprese. Con la concertazione <strong>il</strong> sindacato<br />
ha concentrato nella politica tout court, talora<br />
anche nella politica macroeconomica, tutto<br />
<strong>il</strong> suo potere e anche la sua iniziativa politica.<br />
Forte di un tesseramento automatico, che è<br />
assolutamente scandaloso, forte di un radicamento<br />
nel pubblico impiego e fra i pensionati, <strong>il</strong><br />
sindacato in questi anni, non ha tutelato due<br />
aspetti fondamentali della condizione operaia:<br />
la tenuta del potere d’acquisto dei salari e la<br />
salute-sicurezza nei luoghi di lavoro. In sostanza<br />
è venuto meno <strong>il</strong> sindacato in fabbrica. L’unico<br />
sindacato che ha mostrato una qualche<br />
consapevolezza del problema è stata la Cisl<br />
che non a caso, contrastata dalla Cg<strong>il</strong>, ha sostenuto<br />
<strong>il</strong> ritorno ai due livelli di contrattazione:<br />
quella nazionale e quella aziendale, quest’ultima<br />
anche in funzione di un aumento della produttività.<br />
Ma queste esiziali chiusure autoreferenziali<br />
(del gruppo dirigente dei partiti della sinistra e<br />
di quello del sindacato) si sono nutrite, fino alle<br />
elezioni del 13-14 apr<strong>il</strong>e, del mito di una presunta<br />
superiorità culturale ed etica. I prototipi<br />
relativi, sia pure con opposti comportamenti,<br />
sono stati proprio quelli di Veltroni e D’Alema,<br />
con al rimorchio l’esangue Epifani. Quella pre-
sunzione si è intrecciata alle analisi sbagliate<br />
su aspetti fondamentali della società italiana riguardanti<br />
sia <strong>il</strong> Nord, che <strong>il</strong> Sud, nonché di alcune<br />
tendenze di fondo della geopolitica e della<br />
globalizzazione. Per di più la sinistra diessina<br />
e oggi <strong>il</strong> Partito Democratico in quanto tale<br />
hanno ritenuto di avere acquisito una posizione<br />
egemone rispetto al populismo berlusconiano<br />
incolto, rozzo e inconsapevole, essendosi collocati<br />
lungo l’asse dell’alleanza preferenziale<br />
con <strong>il</strong> potere economico-finanziario fondamentale<br />
che governa la società italiana, quello delle<br />
banche e del Corriere della Sera.<br />
Questa operazione, si sono fondati, storicamente,<br />
su quello che è stato chiamato <strong>il</strong> «patto<br />
dei produttori» e adesso la «concertazione». Il<br />
punto di riferimento dei post-comunisti e della<br />
Cg<strong>il</strong>, in tutti questi anni, è stato finora <strong>il</strong> seguente:<br />
l’alleanza preferenziale con le poche<br />
grandi industrie di stampo fordista rimaste in<br />
campo, con le grandi banche collegate a Banca<br />
Intesa, con i pochi grandi giornali espressi<br />
da quelle catene di interessi, con alcune procure<br />
(in primo luogo quella di M<strong>il</strong>ano). E poiché<br />
a questo monoblocco di potere Berlusconi e <strong>il</strong><br />
centro-destra non hanno mai partecipato, <strong>il</strong><br />
centro-sinistra, da Prodi a Veltroni-Fassino-<br />
D’Alema, ha sempre ritenuto di aver comunque<br />
vinto perché collocatosi nel cuore del sistema<br />
di potere. Senonché, nel corso di questi ultimi<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />
10<br />
anni, quel «meccanismo» ha funzionato in modo<br />
sempre meno efficace. Le elezioni del 13-<br />
14 apr<strong>il</strong>e, inoltre, hanno dimostrato che esso è<br />
giunto ad un punto di usura e di totale perdita<br />
di credib<strong>il</strong>ità. Avendo perso <strong>il</strong> contatto con la<br />
parte più dinamica della società italiana.<br />
Ciò che è cambiato è tutta la «fase» storica.<br />
Nel corso di essa è nata un’«altra società», che<br />
sul piano politico si è in parte riflessa al Nord<br />
con <strong>il</strong> voto alla Lega e nel Mezzogiorno con <strong>il</strong><br />
voto al partito del Popolo della Libertà, ma che<br />
ha come presupposto qualcosa di più significativo<br />
che attiene ai rapporti produttivi e a quelli<br />
sociali. In modo compiuto, i termini di questa<br />
nuova realtà sono stati descritti, ben prima delle<br />
elezioni del 13-14 apr<strong>il</strong>e, nel libro di Marco<br />
Alfieri: «Nord, terra ost<strong>il</strong>e. Perché la sinistra<br />
non vince (11).» In questi territori è sorto un<br />
nuovo tipo di struttura produttiva e mentre oramai<br />
le grandi fabbriche fordiste si contano sulle<br />
dita di una mano, si è consolidato un reticolo<br />
di medie e di piccole imprese, nelle quali non<br />
è più determinante lo scontro fra imprenditori e<br />
operai, che hanno ormai acquisito notevoli capacità<br />
competitive, grazie ad una gestione flessib<strong>il</strong>e<br />
di tutte le risorse, compreso <strong>il</strong> lavoro.<br />
La loro essenza è insieme <strong>il</strong> radicamento in un<br />
territorio e la globalizzazione. La formula organizzativa<br />
prevalente è quella dei distretti-rete,<br />
che oggi chiedono alla politica in modo prepotente<br />
alcune cose elementari: meno pressione<br />
fiscale, meno burocrazia regionale e statale,<br />
più credito fac<strong>il</strong>itato e trasparente, un salto di<br />
qualità nelle infrastrutture, più nella sicurezza.<br />
Queste reti produttive sono intrecciate anche<br />
con <strong>il</strong> mondo creditizio. In sostanza tutto ciò<br />
vuol dire che rispetto quel f<strong>il</strong>one di cultura politica,<br />
di gruppi dirigenti, di storia, di radicamento<br />
sociale che si è dipanato dal Pci, fino all’attuale<br />
Partito democratico, è entrato in rotta di<br />
collisione con la parte più dinamica della società<br />
italiana.<br />
Veltroni pensava di essere all’avanguardia,<br />
pensava di vincere o comunque di pareggiare,<br />
avendo colto al volo l’effimero della società italiana,<br />
ma non si è accorto di non averne affatto<br />
capito l’anima e le strutture più profonde.
politica<br />
Dietro quell’effimero c’è un hard che non aveva<br />
più un grande spazio nella società italiana.<br />
Veltroni è andato incontro ad una sconfitta<br />
strategica, non tattica, e le ragioni di questa<br />
sconfitta affondano le loro radici paradossalmente<br />
prima nella società che nella politica.<br />
Per parte sua Berlusconi ha colto al volo le<br />
contraddizioni e le arretratezze della sinistra.<br />
Ha rappresentato i pezzi fondamentali della<br />
società italiana. Ha sublimato e moltiplicato,<br />
con <strong>il</strong> suo carisma, <strong>il</strong> suo rapporto con <strong>il</strong> «popolo»,<br />
lavorando su qualcosa di più profondo.<br />
Non ha solo bucato <strong>il</strong> castello mediatico di<br />
Walter Veltroni.<br />
Il libro di Mario Alfieri ci consente proprio di andare<br />
al fondo di alcuni processi reali, evitando<br />
di leggere tutto quello che è successo solo attraverso<br />
analisi troppo politicista. Il saggio è<br />
stato scritto prima delle elezioni politiche, ma<br />
dopo le ultime elezioni amministrative del<br />
2007, che già lasciavano intravedere le tendenze<br />
di fondo. Per molti aspetti si tratta di un<br />
libro profetico. Scrive Alfieri: «La questione settentrionale<br />
non esiste...» ma in un senso improprio.<br />
Oramai in Italia un’analisi che non si<br />
fondi su vicende di breve periodo, ma sulle<br />
questioni di fondo, viene considerata o archeologica<br />
o profetica. «Quel che esiste è la lunga<br />
coazione a ripetere di un centro-sinistra ridotto<br />
al Nord a formazione “materasso”, ad alleanza<br />
politico/sociale condannata irrimediab<strong>il</strong>mente a<br />
perdere, in un f<strong>il</strong>otto terrib<strong>il</strong>e, tutte le elezioni<br />
politiche».<br />
Quindi <strong>il</strong> nodo della politica economica del governo<br />
Prodi: «le cui (di Prodi) scelte controverse<br />
hanno prodotto uno scollamento con l’opinione<br />
pubblica assai più accentuato che altrove.<br />
L’aumento della pressione fiscale, decisivo<br />
per <strong>il</strong> risanamento dei conti pubblici, è stato visto<br />
dal popolo dei microimprenditori - egemone<br />
della morfologia socioeconomica padana - come<br />
un atto di prepotenza calato dall’alto e non<br />
concertato. Le contropartite di questo inasprimento,<br />
assai impopolare, sono apparse deboli<br />
o poco visib<strong>il</strong>i, sia sul lato della redistribuzione<br />
sociale (l’aumento dell’addizionale Irpef, in oltre<br />
metà dei comuni, ha vanificato gli sgravi fi-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
11<br />
scali per i redditi dipendenti medio-bassi) che<br />
su quelli della modernizzazione del sistema<br />
paese (Brebemi, Pedemontana e Tav sono ancora<br />
di là da venire). Risultato? Aperta ost<strong>il</strong>ità<br />
dei “capitalisti molecolari” e delusione strisciante<br />
del “popolo di centro-sinistra”. Cornuti<br />
e mazziati. Una tenaglia micidiale per le sorti<br />
elettorali del centro-sinistra. Il trinomio immigrazione<br />
- sicurezza - indulto ha poi fatto <strong>il</strong> resto<br />
(...) La rotta elettorale non è solo imputab<strong>il</strong>e<br />
a quel corpaccione di lavoratori autonomi,<br />
piccoli imprenditori, partite Iva, e padroncini<br />
che votano naturaliter a destra. La pesante<br />
astensione che ha portato a scarti abissali va<br />
imputata anche all’astensionismo che ha colpito<br />
molto elettorato ulivista» (12).<br />
Alfieri, per chiarire ulteriormente le cose, cita<br />
Michele Salvati: «Il nord se la cava benone.<br />
C’è capitalismo e libertà sociale e d’impresa.<br />
Siamo noi, la sinistra, che abbiamo una questione<br />
settentrionale, nel senso che non siamo<br />
in grado di interpretare né di rappresentare<br />
questo territorio» (13). L’autore si riferisce al<br />
voto del 10 apr<strong>il</strong>e 2006. «Il paese esce penalizzato<br />
fortemente per classi professionali (autonomi,<br />
artigiani, commercianti e imprenditori a<br />
destra; ceti impiegatizi pubblici e dipendenti a<br />
sinistra (...) al Nord la destra vince anche tra gli<br />
operai di un paio di punti» (14). Si domanda,<br />
Veltroni è andato incontro<br />
ad una sconfitta<br />
strategica, non tattica, e<br />
le ragioni di questa<br />
sconfitta affondano le<br />
loro radici<br />
paradossalmente prima<br />
nella società che nella<br />
politica.
quindi, polemicamente: «avete per caso sentito<br />
un mea culpa dell’Unione dopo <strong>il</strong> voto? Una<br />
disamine franca? Un’ammissione di responsab<strong>il</strong>ità?<br />
Una riflessione? Macché!» (15). Ma è <strong>il</strong><br />
livello di reddito al quale Prodi e Visco hanno<br />
dato <strong>il</strong> loro colpo che ha messo contro <strong>il</strong> governo<br />
gran parte del paese: «Può dirsi ricco uno<br />
che porta a casa 2.500 euro rotti al mese? Non<br />
pochi operai specializzati, tra stipendi e straordinari<br />
quei soldi lì se li mette in busta. Siamo<br />
cioè al ceto medio bello e buono» (16).<br />
Alfieri ha anche r<strong>il</strong>evato che, nella costruzione<br />
del Partito democratico, malgrado le teorizzazioni<br />
su un Pd del nord realmente federativo e<br />
incardinato intorno alla leadership di Sergio<br />
Chiamparino, di F<strong>il</strong>ippo Penati, di Riccardo Illy,<br />
e di Massimo Cacciari, non si è fatto nulla tranne<br />
qualche bel documento a circolazione interna.<br />
E, quando è stata lanciata la candidatura di<br />
Walter Veltroni non viene, contestualmente,<br />
lanciata un’altra posizione di tipo nordista. Anzi<br />
«uno dopo l’altro, gli ulivisti del Nord si mettono<br />
in coda, da bravi funzionari dell’impero, davanti<br />
allo studio del fidatissimo Goffredo Bettini. La<br />
tanto vagheggiata candidatura nordista da contrapporre<br />
a Veltroni si riduce sulla carta ad una<br />
lista di territorio a sostegno di Uòlter»(17).<br />
Sul piano economico-sociale, comunque, «non<br />
è finita. Il 23 luglio <strong>il</strong> Governo vara <strong>il</strong> protocollo<br />
sul welfare (...): nel pacchetto pensioni la copertura<br />
per abbattere lo scalone passa non solo<br />
da un inasprimento del contributo dei parasubordinati,<br />
ma anche da una ministangata su<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />
12<br />
quello degli autonomi, cioè di quella vasta platea<br />
di ceto produttivo che vive l’inasprimento<br />
come un ulteriore balzello fiscale dopo l’ultima<br />
finanziaria salasso» (18). A tutta questa gente,<br />
Visco e Padoa Schioppa hanno dedicato solo<br />
le loro battute a sfondo sadico, ma con effetti<br />
masochisti. Visco: «Il Veneto? Posso dire con<br />
una battuta che qui l’antistatalismo è consustanziale,<br />
della medesima essenza, con la cultura<br />
media dei cittadini della regione e Tommaso<br />
Padoa Schioppa, non contento di aver sfottuto<br />
i giovani costretti nella casa dei genitori<br />
per la mancanza di un impiego come dei<br />
«bamboccioni», poi si è lasciato andare, in un<br />
impeto di gioia e di allegria, a «Le tasse, ma<br />
sono bellissime» (19).<br />
Alfieri registra, infine, <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> Partito Democratico<br />
è «totalmente privo di antenne capaci<br />
di sintonizzarsi con la testa, <strong>il</strong> cuore, e anche<br />
le viscere di coloro che vivono e lavorano in<br />
questo pezzo complesso ma decisivo d’Italia. E<br />
perché continua ad arroccarsi in una cultura<br />
centralistica, stancamente impregnata in schemi<br />
ideologici del tutto irreversib<strong>il</strong>i. Lasciando<br />
prateria intere al centro-destra, che certamente<br />
possiede una prossimità semantica, di linguaggio,<br />
di affinità di blocco sociale, con questi territori».<br />
Alfieri ha auspicato che <strong>il</strong> Partito Democratico<br />
si sforzi di «intercettare davvero la variegata<br />
società molecolare, la società dei lavori,<br />
più che del lavoro; la società dell’impresa, diffusa<br />
più che dal ‘padroncino’; la società del consumatore<br />
più che di una pubblica amministrazione<br />
autoreferenziale; la società dei meriti da<br />
promuovere e non solo dei bisogni da tutelare»<br />
(20). Sempre secondo l’autore, Walter Veltroni<br />
dovrebbe impegnarsi «in un nuovo dialogo con<br />
<strong>il</strong> mondo dell’impresa, del lavoro autonomo, ma<br />
anche con la dimensione del lavoro operaio colpevolmente<br />
espulsa dall’immaginario collettivo<br />
di una sinistra riformista che per coda di paglia,<br />
zelo del neofita, o cattiva coscienza, ha scambiato<br />
la modernità solo con le banche, la grande<br />
finanza, e <strong>il</strong> capitalismo rampante. Il terziario<br />
immateriale al posto del manifatturiero. Il consumatore<br />
invece che <strong>il</strong> produttore. Per essere à<br />
la page, ha smesso di pensare <strong>il</strong> lavoro e i luo-
politica<br />
ghi di produzione, paradossale» (21).<br />
Il nodo di fondo - continua impietosamente Alfieri<br />
- è però costituito dalle profonde trasformazioni<br />
che sono intervenute nel cuore della<br />
società e che non sono state colte: «Come sostiene<br />
Carlo Trig<strong>il</strong>ia esiste un nesso strettissimo<br />
tra l’organizzazione produttiva postfordista<br />
in cui siamo immersi e la dimensione locale<br />
dello sv<strong>il</strong>uppo (...) La globalizzazione crea opportunità<br />
soprattutto per lo sv<strong>il</strong>uppo locale, che<br />
è sempre più lo spazio dove si organizzano a<br />
rete le forze imprenditoriali e i nuovi soggetti<br />
funzionali per reggere la competizione globale<br />
(banche, camere di commercio, fondazioni, fiere,<br />
multiut<strong>il</strong>ity) superando <strong>il</strong> vincolo della dimensione<br />
urbana classica, della città industriale,<br />
che abbiano conosciuto nel Novecento. Il<br />
nord Italia, in tal senso, è un perfetto caso di<br />
scuola, grazie al suo straordinario dinamismo<br />
molecolare» (22).<br />
Analisi diffic<strong>il</strong>mente confutab<strong>il</strong>e, densa di implicazioni<br />
politiche: «ragionare rispettivamente di<br />
nordovest e di nordest all’interno della macroregione<br />
padana con M<strong>il</strong>ano baricentro perfetto,<br />
- continua l’autore - gateway di una macroregione<br />
da Torino a Trieste grande piattaforma di<br />
reti logistiche energetiche, informatiche, culturali,<br />
industriali e finanziarie che interagisce ormai<br />
direttamente col mondo globale non più attraverso<br />
la b<strong>il</strong>ateralizzazione dei rapporti ma<br />
attraverso una funzionalità-rete, in fondo è solo<br />
un altro modo di leggere e interpretare <strong>il</strong> male<br />
del nord che da un ventennio buono affligge<br />
la sinistra italiana». Tutta questa nuova tematica<br />
socio-economica ha r<strong>il</strong>evanti ricadute politiche:<br />
«La sfida di Veltroni e del Pd non avrà alcuna<br />
possib<strong>il</strong>ità di successo se non terrà in<br />
conto questo scenario geoeconomico dentro<br />
cui si svolge anche la competizione politica. Si<br />
ridurrebbe al solito tentativo di annettersi qualche<br />
spezzore di elite chiusa nei propri salotti e<br />
patti di sindacato. Il Nord inteso come sommatoria<br />
di big player che si puntellano a vicenda:<br />
da Generali a Mediobanca, da Telecom a Rcs.<br />
Bastava scorrere <strong>il</strong> parterre allo sbarco della<br />
dalemian-amatiana Fondazione Italiani/Europei<br />
a M<strong>il</strong>ano dicembre 2006 per capire la mio-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
13<br />
pia, la coazione a ripetere dei nostri riformisti:<br />
solo finanza, borsa, banchieri e grandi amministratori<br />
delegati. Di imprenditori dinamici, di<br />
quella straordinaria passione del fare, di sapienza<br />
industriale che fa ricco <strong>il</strong> nord, nemmeno<br />
l’ombra. Incredib<strong>il</strong>e. Meglio perseverare nel<br />
vecchio errore gauchista di credere che basti<br />
parlare alle élites per tirarsi dietro <strong>il</strong> mitico ceto<br />
medio produttivo. Il quale, invece, fregandosene<br />
beatamente dell’ulivismo di molti grandi<br />
banchieri, da queste parti continua a votare<br />
Berlusconi» (23).<br />
Il nocciolo di tutto questo gigantesco cambiamento<br />
è <strong>il</strong> «Quarto Capitalismo formato esportazione»<br />
nel quale si realizza «una sorta di intreccio,<br />
di contaminazione fra industria e servizi<br />
sull’onda della riorganizzazione aziendale<br />
stimolate dalla nuova competizione internazionale.<br />
Anche i mitici distretti industriali (occhialeria,<br />
tess<strong>il</strong>e, calzaturiero, agroalimentare, mob<strong>il</strong>e)<br />
si stanno ridefinendo. Si selettivizzano e si<br />
fanno f<strong>il</strong>iera industriale: non sono più una comunità<br />
economica chiusa, ma allargandosi diventano<br />
piattaforme territoriali, che competono<br />
nel mondo. Oggi la mitica del piccolo è bello<br />
non vale più neanche in Veneto. In uno stesso<br />
distretto possiamo trovarci dentro aziende che<br />
tirano e, altre che arrancano. E i casi di successo<br />
sono quelli di piccole imprese che si agganciano<br />
alle f<strong>il</strong>iere distributive e alle tecnologie<br />
di rete delle medie esportatrici» (24).<br />
In questo contesto, Forza Italia e ancor più la<br />
Lega Nord hanno nuotato come pesci nell’ac-
Se non si riesce a dare<br />
efficienza, trasparenza,<br />
produttività al sistema<br />
politico-istituzionale, <strong>il</strong><br />
rischio che corrono<br />
entrambi gli schieramenti<br />
oggi in campo rispetto<br />
all’antipolitica è<br />
altissimo.<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
qua. Secondo Alfieri: «La Lega è una sorta di<br />
imprenditore politico, che si alimenta della crisi<br />
del sistema, del rapporto tra partiti di massa<br />
tradizioni culturali e società civ<strong>il</strong>e, così come<br />
viene vissuto nel Settentrione. La Lega sottolinea<br />
le trasformazioni che hanno investito questa<br />
area: la crisi dei poli metropolitani e della<br />
grande industria, la crescita economica delle<br />
zone a industrializzazione diffusa, la loro concomitante<br />
modernizzazione e instab<strong>il</strong>ità socioculturale»<br />
(25). Al contrario, in tutti questi anni<br />
la sinistra è stata capace solo di inventarsi una<br />
«società civ<strong>il</strong>e, non reale, ma del tutto sublimata<br />
e ideologizzata, costituita dai campioni del<br />
moralismo e del giustizialismo e costituita da<br />
raffinati intellettuali dalla puzza al naso, da architetti,<br />
editori, maîtres à penser di varie ispirazione,<br />
grandi avvocati d’affari, qualche banchiere<br />
molto sofisticato, ma tutta roba m<strong>il</strong>le miglia<br />
lontane dalla società reale. Al fondo la questione<br />
è la seguente: c’è «un nordismo che rimane<br />
plasticamente unificato in un punto distintivo<br />
e peculiare: la grande fabbrica e la<br />
pubblica amministrazione, cioè quei comparti<br />
in cui la sinistra è stata e resta tradizionalmente<br />
più forte, da quel momento in poi occuperanno<br />
una parte minoritaria, quasi residuale. In<br />
ciascun microcosmo padano» (26).<br />
Sulla base di queste analisi è fac<strong>il</strong>e concludere.<br />
Il risultato elettorale del 13-14 apr<strong>il</strong>e ha<br />
14<br />
politica<br />
espresso qualcosa di profondo e non di superficiale.<br />
Quella di Berlusconi sarà stata anche<br />
una vittoria mediatica, ma, comunque, è l’espressione<br />
di qualcosa di molto più profondo:<br />
una grande leadership innestata su una vasta<br />
e articolata realtà economico-sociale. C’è stata<br />
anche una sorta di reazione di rigetto interclassista<br />
da parte di quasi tutte le forze sociali nei<br />
confronti di Prodi, Visco e Padoa Schioppa.<br />
Quindi Berlusconi è riuscito a parlare ad un<br />
«popolo profondo» non raggiunto dalle catene<br />
editoriali e televisive. In più, però, c’è stato un<br />
legame di Forza Italia e della Lega con i pezzi<br />
di nuove aggregazioni nella società e nell’economia.<br />
Sul piano politico, poi, Berlusconi ha<br />
giocato e vinto un azzardo: la sua decisione di<br />
realizzare, nello spazio di un mattino, un nuovo<br />
soggetto politico fra Forza Italia e An alleati con<br />
la Lega, si è intrecciata con una scommessa<br />
politica assai rischiosa: la duplice rottura con<br />
l’estrema destra (Storace) e con centro estremo<br />
(Casini). L’operazione è perfettamente riuscita,<br />
ma non era certo scontata in partenza,<br />
ed è riuscita perché grandi pezzi della società<br />
si sono riconosciuti in essa.<br />
Tutto questo travagliato percorso ha portato al<br />
governo Berlusconi, al suo programma, ai suoi<br />
primi passi. Mentre scriviamo <strong>il</strong> Governo gode<br />
di una luna di miele con i cittadini, ma in parte<br />
anche con i media e perfino ha un rapporto positivo<br />
con una parte dell’opposizione. Non sappiamo<br />
affatto quanto durerà tutto ciò. Sia la sinistra<br />
radicale sia <strong>il</strong> Partito Democratico sono<br />
come «gelati» dalla sconfitta. Giustamente<br />
Berlusconi non vuole svegliare <strong>il</strong> cane che dorme.<br />
Sta seguendo, invece, una linea ultra-buonista.<br />
Non sappiamo quanto durerà l’incantesimo,<br />
anche perché nell’area di centro sinistra<br />
esistono forze che vogliono interromperlo (in<br />
primo luogo Di Pietro, ma anche D’Alema, la sinistra<br />
radicale e parte della Cg<strong>il</strong>).<br />
Non c’è dubbio che, di fronte alla crisi di credib<strong>il</strong>ità<br />
di tutto <strong>il</strong> sistema politico, e alla insofferenza<br />
dell’opinione pubblica nei confronti della<br />
ripetizione di risse, di demonizzazioni, di scontri<br />
personali e politici, sarebbe importante met-
politica<br />
tere in atto riforme costituzionali, elettorali, federative,<br />
condivise, fondate su un «rapporto<br />
serio» fra le forze politiche, nella ricerca di punti<br />
di intesa sul terreno della riconquista della<br />
piena operatività del sistema politico e istituzionale<br />
italiano, in modo da renderlo pienamente<br />
competitivo mentre esso attualmente è bloccato.<br />
Se non si riesce a dare efficienza, trasparenza,<br />
produttività al sistema politico-istituzionale,<br />
<strong>il</strong> rischio che corrono entrambi gli schieramenti<br />
oggi in campo rispetto all’antipolitica è<br />
altissimo. Tutto ciò giustifica «<strong>il</strong> buonismo» oggi<br />
in campo: se esso ci porta a realizzare una<br />
serie incisiva di riforme (nuovi poteri del premier,<br />
superamento del bipartitismo, federalismo,<br />
nuovi leggi elettorali, europee e nazionali,<br />
che consolidino <strong>il</strong> bipolarismo, un nuovo regolamento<br />
di Camere e Senato che esalti l’operatività<br />
del governo e dell’opposizione e non<br />
la facoltà di blocco) è benvenuto.<br />
Per <strong>il</strong> centro-destra, però, <strong>il</strong> «buonismo» non<br />
deve convertirsi in altro. In primo luogo in una<br />
sorta di complesso di inferiorità culturale da<br />
parte dei gruppi dirigenti del centro-destra, dei<br />
nuovi ministri nei confronti dei tecnici del centro<br />
sinistra. Da anni l’egemonia culturale della<br />
sinistra è venuta meno, mai come oggi i gruppi<br />
dirigenti della sinistra, con alcune evidenti eccezioni,<br />
sono così mediocre. In secondo luogo<br />
<strong>il</strong> buonismo non può tradursi nel continuismo al<br />
livello del personale amministrativo e del ma-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
15<br />
nagement. Francamente, su questo terreno,<br />
stiamo assistendo a riciclaggi sconcertanti che<br />
fanno venire i brividi nella schiena, specie se si<br />
tiene presente che una delle categorie storiche<br />
costanti della vita politica italiana è stata, appunto,<br />
<strong>il</strong> trasformismo. Per di più nel corso di<br />
questi anni, <strong>il</strong> centro-destra ha acquisito una<br />
classe dirigente adeguata sul piano culturale<br />
ed amministrativo che non può essere lasciata<br />
in panchina.<br />
In terzo luogo, su alcuni nodi (sicurezza, garantismo,<br />
taglio della spesa pubblica corrente,<br />
nuove infrastrutture, nuova politica del lavoro,<br />
riduzione della pressione fiscale, federalismo<br />
fiscale, riforme costituzionali) bisogna discutere<br />
con spirito aperto con l’opposizione, ma poi<br />
bisogna decidere sulla base della piattaforma<br />
con la quale si sono vinte le elezioni.<br />
In sostanza, guai a noi, se <strong>il</strong> centro-destra dà la<br />
sensazione di stare in soggezione nei confronti<br />
di un centro-sinistra, che per i suoi errori e i<br />
suoi limiti, ha perso così clamorosamente le<br />
elezioni e che è al punto massimo della sua crisi:<br />
i cittadini non perdonerebbero mai questo<br />
complesso di inferiorità. Infine, dato alla Lega<br />
quello che è della Lega (e cioè una grande capacità<br />
della sua nuova classe dirigente sul territorio<br />
di innestarsi sul capitalismo molecolare)<br />
non bisogna mai dimenticare che <strong>il</strong> Popolo della<br />
Libertà ha stravinto al Sud e di ciò bisogna<br />
tener conto nella definizione della politica economica<br />
e sociale.<br />
Per terminare: alcuni problemi politici e ideali.<br />
Non è vera la leggenda metropolitana, messa in<br />
giro da Famiglia Cristiana, che i cattolici sono<br />
fuori da questo governo. Berlusconi non perde<br />
mai d’occhio <strong>il</strong> pluralismo politico-culturale di<br />
Forza Italia: al governo ha messo in campo una<br />
nuova generazione di dirigenti quasi tutti cattolici<br />
(Angelino Alfano, Maria Stella Gelmini, Raffaele<br />
Fitto) che hanno l’unico torto di non aver<br />
m<strong>il</strong>itato nelle correnti morotee e dorotee degli<br />
anni ’70-’80, se non altro per impossib<strong>il</strong>ità anagrafica.<br />
Nel contempo vi sono esponenti dell’area laicosocialista<br />
di grande spessore culturale, politico e
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
tecnico (Frattini, Tremonti, Brunetta, Sacconi)<br />
scelti non per la loro originaria tessera di partito,<br />
ma per le loro competenze. In questo modo Berlusconi<br />
ha realizzato una grande operazione,<br />
una sintesi dinamica e non statica.<br />
Quindi la costruzione del nuovo partito, frutto<br />
dell’incontro fra Forza Italia, An, le altre forze<br />
politiche, dovrà combinare insieme la logica<br />
dell’esistente e quella dell’apertura alla società.<br />
Dovrà comunque essere un partito capace di<br />
coprire sia uno spazio riformista, sia una vasta<br />
area di centro, sia quella della destra democratica.<br />
Un’operazione non fac<strong>il</strong>e anche perché finora<br />
le operazioni di unificazione partitica sono<br />
state a somma algebrica negativa. Guai a risolvere<br />
<strong>il</strong> tutto in una mediocre operazione di assemblaggio<br />
degli apparati oppure nello scontro<br />
fra opposte egemonie partitiche o ideologiche.<br />
In Forza Italia c’è sempre stato un grande equ<strong>il</strong>ibrio,<br />
soprattutto sulle questioni più delicate, a<br />
partire dalla bioetica, e un grande rispetto fra<br />
laici e cattolici. Questo e altro dovrà avvenire<br />
anche nel nuovo partito.<br />
A mio avviso per evitare <strong>il</strong> ritorno a meccanismi<br />
partitici del passato (<strong>il</strong> tesseramento gonfiato<br />
come elemento fondamentale di una pseudodemocrazia<br />
fondata sull’asse ministri-leaders di<br />
correnti) al suo decollo la democrazia e la dialettica<br />
del nuovo partito dovrà fondarsi sugli<br />
eletti ad ogni livello. Ma sulla forma-partito del<br />
Popolo della libertà è evidente che la discussione<br />
è appena iniziata.<br />
Note<br />
1. Istituto Cattaneo sito web: www.cattaneo.org<br />
Chi vince, chi perde e dove.<br />
2. F. Carlucci: «Alla Lega <strong>il</strong> 10% dei voti di Bertinotti<br />
e Verdi». Il Venerdì di Repubblica 18<br />
Apr<strong>il</strong>e 2008.<br />
3. «Il tradimento degli ex Ulivisti, 2,5 m<strong>il</strong>ioni<br />
non hanno votato». Unità 17 apr<strong>il</strong>e 2008.<br />
4. R. Bindi: «Con le vecchie logiche balcaniz-<br />
16<br />
politica<br />
ziamo <strong>il</strong> partito». Unità 9 giugno 2008.<br />
5. «Il tradimento degli ex Ulivisti: 2,5 m<strong>il</strong>ioni<br />
non hanno votato». Unità 17 apr<strong>il</strong>e 2008.<br />
6. Idem.<br />
7. Corriere della Sera. «Sud, le periferie votano<br />
PdL, più consensi nei quartieri popolari e in<br />
provincia. Ici e bonus bebè hanno convinto<br />
operai e insegnati». Venerdì 18 apr<strong>il</strong>e 2008.<br />
8. Il Foglio: «Le cause di una batosta. Venerdì<br />
18 apr<strong>il</strong>e 2008.<br />
9. L. Ricolfi: Perché siamo antipatici. Ed. Longanesi<br />
M<strong>il</strong>ano 2005.<br />
10. P. Ichino: A che cosa serve <strong>il</strong> sindacato.<br />
Mondadori. M<strong>il</strong>ano 2005 - Stefano Livadiotti:<br />
L’altra casta. L’inchiesta sul sindacato. Bompiani.<br />
M<strong>il</strong>ano 2008.<br />
11. Marco Alfieri: Nord, terra ost<strong>il</strong>e. Perché la<br />
sinistra non vince. Mars<strong>il</strong>io 2008.<br />
12. Marco Alfieri: Nord terra ost<strong>il</strong>e. I Gr<strong>il</strong>li Mars<strong>il</strong>io<br />
2008.<br />
13. Idem pag. 17.<br />
14. Idem pag. 18.<br />
15. Idem pag. 18.<br />
16. Idem pag. 20.<br />
17. Idem pag. 24.<br />
18. Idem pag. 25.<br />
19. Idem pag. 27.<br />
20. Idem pag. 29.<br />
21. Idem pag. 33.<br />
22. Idem pag. 37.<br />
23. Idem pag. 35.<br />
24. Idem pag. 48.<br />
25. Idem pag. 73.<br />
26. Idem pag. 110.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
La «rivoluzione» del 13 e 14 apr<strong>il</strong>e<br />
di Gaetano Quagliariello<br />
Il 13 e 14 apr<strong>il</strong>e in Italia <strong>il</strong> Muro è definitivamente<br />
caduto. La rivoluzione del 1994 è arrivata<br />
a compimento. È maturata sul campo, attraverso<br />
alterne fortune e non poche difficoltà.<br />
È maturata nella coscienza dei cittadini italiani,<br />
che mai come questa volta hanno avuto la possib<strong>il</strong>ità,<br />
attraverso <strong>il</strong> voto, di rendersi artefici del<br />
proprio destino politico, scegliendo consapevolmente<br />
chi dovesse governarli e in base a<br />
quale programma, allontanando la prospettiva<br />
di coalizioni rissose ed eterogenee che rendessero<br />
quello stesso programma poco più di<br />
un catalogo di buone intenzioni.<br />
La lunga traversata che ci ha condotto a questo<br />
risultato - un primo fondamentale passo<br />
verso la modernizzazione delle istituzioni - è<br />
iniziata quasi quindici anni fa: <strong>il</strong> crollo del comunismo<br />
e le sue ripercussioni sul sistema politico<br />
italiano determinarono la situazione emergenziale<br />
nella quale S<strong>il</strong>vio Berlusconi discese<br />
Se la rivoluzione politica<br />
del 13 e 14 apr<strong>il</strong>e è potuta<br />
giungere a compimento, in<br />
qualche modo dobbiamo<br />
ringraziare anche Prodi,<br />
<strong>il</strong> suo dossettismo, <strong>il</strong> suo<br />
testardo tentativo di<br />
governare contro la<br />
realità di un Paese<br />
spaccato a metà.<br />
18<br />
politica<br />
in campo, mettendo insieme quello che insieme<br />
non immaginava nemmeno di poter stare:<br />
la Lega al nord e l’Msi al sud. Non a caso, i suoi<br />
stessi alleati di oggi.<br />
Si trattò di una improvvisazione fantasiosa e<br />
salvifica ma non indolore. Non c’era allora una<br />
classe dirigente all’altezza della sfida, e di<br />
questa carenza si pagò <strong>il</strong> fio in termini politici.<br />
In termini istituzionali, mancava invece un contesto<br />
che potesse sostenere l’uscita dal proporzionalismo.<br />
Tale situazione si è trascinata per anni: la<br />
transizione pareva non dovesse mai avere fine.<br />
Ma come spesso accade, <strong>il</strong> colpo di grazia<br />
si è abbattuto sull’ancien régime proprio grazie<br />
alla tetragona resistenza di quanti - a dispetto<br />
di ogni evidenza - non hanno voluto prendere<br />
atto del cambiamento. Se la rivoluzione politica<br />
del 13 e 14 apr<strong>il</strong>e è potuta giungere a compimento,<br />
dunque, in qualche modo dobbiamo<br />
ringraziare anche Romano Prodi, <strong>il</strong> suo dossettismo,<br />
<strong>il</strong> suo testardo tentativo di governare<br />
contro la realità di un Paese spaccato a metà:<br />
i due anni di straordinaria follia in cui l’Unione<br />
ha cercato di guidare l’Italia hanno fatto sì che<br />
si ponesse in termini di urgenza e di necessità<br />
<strong>il</strong> problema di dover scegliere tra un ritorno al<br />
passato pre-1994, quando a contare erano soprattutto<br />
i partiti, e una sfida rivolta al futuro,<br />
con l’obiettivo di superare i limiti di coalizioni<br />
rissose all’interno delle quali i partiti cercavano<br />
disperatamente di riguadagnare la forza che <strong>il</strong><br />
‘94 aveva loro sottratto.<br />
La terza fase della Repubblica ha avuto inizio<br />
da qui: dalla scelta obbligata di Veltroni di lanciarsi<br />
in una corsa (quasi) solitaria, e dal conseguente<br />
coraggio di Berlusconi di «tagliare»<br />
ambedue le ali, al centro e a destra, per presentarsi<br />
come partito a vocazione maggioritaria,<br />
rappresentativo di tutto <strong>il</strong> centrodestra. Con<br />
una differenza: se per Veltroni era improponibi-
politica<br />
le ripresentarsi fianco a fianco con gli alleati<br />
con i quali aveva litigato per due anni, per<br />
quanto riguarda Berlusconi si è trattato piuttosto<br />
di una scelta dettata più dall’esigenza di un<br />
rinnovamento del sistema che da una questione<br />
di compatib<strong>il</strong>ità di idee e programmi.<br />
La fotografia che le urne ci hanno restituito non<br />
lascia spazio a dubbi: oltre che per <strong>il</strong> Popolo<br />
della Libertà e per S<strong>il</strong>vio Berlusconi, gli italiani<br />
hanno scelto per la semplificazione del sistema<br />
politico, hanno optato chiaramente per un bipartitismo<br />
tendenziale che veda in campo due<br />
forze - una di centrodestra, l’altra di centrosinistra<br />
- pronte a contendersi l’elettorato di centro,<br />
quello meno pregiudizialmente schierato che di<br />
volta in volta esprime la sua preferenza sulla<br />
base della validità dei programmi e della credib<strong>il</strong>ità<br />
delle leadership.<br />
Ora si tratta di adeguare l’architettura istituzionale<br />
all’assetto che gli elettori hanno decretato<br />
nelle urne. È <strong>il</strong> momento della grande occasione.<br />
C’è da condurre in porto la riforma dello<br />
Stato, cosa che non si è riusciti a fare nel secondo<br />
tempo della Repubblica, dal 1994 ad oggi.<br />
C’è da oliare, attraverso la modifica dei regolamenti<br />
parlamentari, gli ingranaggi di una<br />
democrazia davvero decidente, nella quale <strong>il</strong><br />
governo sia messo nelle condizioni di portare a<br />
compimento <strong>il</strong> programma con <strong>il</strong> quale si è presentato<br />
agli elettori, e l’opposizione possa costruire<br />
proposte alternative mediante le quali<br />
candidarsi alla successione. C’è da regolamentare<br />
per legge alcuni aspetti della vita interna<br />
di nuovi partiti a vocazione maggioritaria<br />
che devono pretendere garanzie ed essere in<br />
grado di fornirne. Infine, e contemporaneamente,<br />
nell’ambito della riforma delle istituzioni<br />
bisogna finire di scrivere quelle tre pagine che<br />
<strong>il</strong> Costituente nel 1947 lasciò incompiute: forma<br />
di Stato, forma di governo, bicameralismo.<br />
Cambiamento di sistema o «parentesi»?<br />
Altra questione che non può restare inevasa è<br />
quella che riguarda la legge elettorale per le<br />
europee. È vero, infatti, che le elezioni per <strong>il</strong><br />
Parlamento di Strasburgo non determinano<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
19<br />
conseguenze che incidono sulla governab<strong>il</strong>ità<br />
come avviene per le consultazioni nazionali, e<br />
di questo si deve temer conto. Non a caso,<br />
d’altro canto, una direttiva europea impone l’adozione<br />
della rappresentanza proporzionale,<br />
lasciando che siano i singoli Paesi a determinare<br />
in sede nazionale quanto correggerla attraverso<br />
la fissazione di soglie di sbarramento.<br />
Ma è altrettanto vero, però, che le europee seguiranno<br />
di un solo anno le elezioni interne che<br />
così radicalmente hanno rivoluzionato <strong>il</strong> quadro<br />
politico del nostro Paese. L’Italia si trova ad un<br />
bivio di portata storica: si può consolidare e istituzionalizzare<br />
l’assetto tendenzialmente bipartitico,<br />
lasciandosi definitvamente alle spalle la<br />
stagione delle coalizioni di partiti per approda-<br />
re all’era dei partiti-coalizione; oppure si può<br />
determinare un regresso che chiuda in una parentesi<br />
quanto accaduto <strong>il</strong> 13 e 14 apr<strong>il</strong>e e che<br />
consenta a quella nefasta frammentazione che<br />
così clamorosamente gli italiani hanno cacciato<br />
dalla porta di rientrare dalla finestra.<br />
Fino ad oggi la questione si è presentata come<br />
una contrattazione da mercato: quanto alto dovrà<br />
essere lo sbarramento per accedere alla ripartizione<br />
dei seggi a Strasburgo? Il 2, <strong>il</strong> 3 o <strong>il</strong> 5<br />
per cento? Così posto <strong>il</strong> problema sembra quello<br />
di determinare se e di quanto si debbano avvantaggiare<br />
i grandi a spese dei «nanetti». E invece<br />
la faccenda, come abbiamo appena osservato,<br />
è più complessa. Se prevarrà la tentazione<br />
di ingranare la marcia indietro, si farà ritorno<br />
agli antichi particolarismi e si tornerà a sostenere<br />
che, per qualche misteriosa ragione an
tropologica, <strong>il</strong> bipartitismo tendenziale non si<br />
addice all’Italia.<br />
Il problema si pone innanzitutto a sinistra, dove<br />
nel Partito Democratico c’è chi, in modo addirittura<br />
sfacciato, sta attendendo Veltroni al guado.<br />
Per questo, ad esempio, D’Alema si sta interessando<br />
tanto a ciò che accade in casa di<br />
Rifondazione. Dopo la sconfitta di Roma, se alle<br />
europee <strong>il</strong> Pd non riuscisse a riproporre <strong>il</strong> potenziale<br />
d’aggregazione elettorale che ha saputo<br />
sv<strong>il</strong>uppare in occasione delle elezioni politiche,<br />
Veltroni verrebbe assai probab<strong>il</strong>mente<br />
esautorato e assieme a lui, anche <strong>il</strong> tentativo di<br />
fare del Pd un partito a vocazione maggioritaria,<br />
all’interno di un sistema tendenzialmente<br />
bipolare e centripeto.<br />
Se questa è la posta in gioco, non si comprende<br />
bene per quale ragione <strong>il</strong> rispetto delle peculiarità<br />
istituzionali dovrebbe automaticamente<br />
tradursi nel concedere a forze da prefisso telefonico<br />
la possib<strong>il</strong>ità di accedere alla rappresentanza,<br />
vanificando in tal modo l’occasione<br />
che abbiamo di fronte.<br />
Una transizione, in fondo, post-comunista<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Si pone, in questo stesso solco, <strong>il</strong> problema di<br />
quale rapporto sv<strong>il</strong>uppare con <strong>il</strong> principale partito<br />
dell’opposizione nell’ambito di una legislatura<br />
che si vorrebbe costruttiva e, soprattutto,<br />
«costituente». All’indomani della vittoria capitolina,<br />
infatti, quando è stato chiaro che <strong>il</strong> PdL<br />
non aveva vinto ma stravinto, di fronte allo<br />
schieramento maggioritario nel Paese si è<br />
aperto un bivio: sfruttare fino in fondo la vittoria<br />
conseguita, per dotarsi attraverso nomine e or-<br />
20<br />
politica<br />
ganigrammi di tutta la forza funzionale ad un’azione<br />
di governo tanto incisiva da configurarsi<br />
come un’autentica rivoluzione; oppure affrontare<br />
i cinque anni di lavoro che ci aspettano con<br />
l’intento di cambiare davvero <strong>il</strong> volto dell’Italia,<br />
ponendo mano ad una efficace riforma dello<br />
Stato, ma anche - e soprattutto - instaurando<br />
nel Paese un clima differente.<br />
In quest’ottica, è bene non dimenticare che le<br />
transizioni post-comuniste riuscite sono quelle<br />
nelle quali si è stati in grado di coinvolgere<br />
nella nuova stagione anche una parte delle<br />
vecchie classi dirigenti. Ciò non vuol dire cedere<br />
all’inciucio, e tanto meno avere tentennamenti<br />
o sudditanze psicologiche nello scoperchiare<br />
gli ultimi sepolcri imbiancati del<br />
vecchio regime. Significa, piuttosto, che accanto<br />
a un’azione di rottura è necessario al<br />
contempo svolgerne un’altra di tessitura e di<br />
tenuta nell’interesse del Paese. E, dunque,<br />
saper coinvolgere, sulla base del merito e<br />
della competenza, anche energie che non<br />
appartengono alla propria parte. Bisogna che<br />
si prenda atto insomma, che in Italia la classe<br />
dirigente è un bene scarso e che se si riuscirà<br />
a fissare un quadro di principi condivisi<br />
sono possib<strong>il</strong>i collaborazioni leali, senza<br />
concedere nulla all’opportunismo e tanto meno<br />
al trasformismo.<br />
Allo stesso modo, è necessario che <strong>il</strong> centrodestra<br />
rivendichi come proprie vittorie le svolte<br />
culturali che <strong>il</strong> Pd ha maturato nel suo ultimo<br />
programma elettorale (si pensi alle prese di posizione<br />
su fisco e pubblica amministrazione), e<br />
sfidi l’opposizione a tener fede alle promesse,<br />
votando insieme alla maggioranza laddove<br />
questo sia consentito dai rispettivi programmi.<br />
Infine, e solo infine, verranno le riforme istituzionali<br />
condivise. Se questo percorso troverà<br />
compimento, esse deriveranno come conseguenza<br />
obbligata. È questa la vera scommessa.<br />
Se la si vincerà, anche l’Italia potrà essere<br />
annoverata tra le transizioni riuscite, assieme a<br />
quelle altre transizioni post-comuniste che s’inaugurarono<br />
in date non distanti da quel fatidico<br />
1994 e che proprio in questi anni stanno ultimando<br />
<strong>il</strong> loro corso.
TOGLIATTI IL KOMINTERN<br />
E IL GATTO SELVATICO<br />
di Massimo Caprara<br />
Pagine: 224<br />
Prezzo: euro 15,50<br />
Collana: Documenti Bietti Storia<br />
Questa è la storia, o meglio una parte della storia di<br />
Palmiro Togliatti – di per sé tanto straordinaria quanto<br />
poco conosciuta – che fu uno dei più prestigiosi<br />
capi del Komintern, ovvero l’organizzazione mondiale<br />
comunista che aveva la sua sede deliberante a<br />
Mosca e che inflluenzò fino all’inizio degli anni Quaranta<br />
tutta l’attività politica dei partiti comunisti del<br />
mondo. Unico fra i capi comunisti, Togliatti, valutò<br />
concretamente <strong>il</strong> peso politico della Chiesa e dei<br />
movimenti che alla sua dottrina facevano riferimento<br />
nella sfida, allora in atto, per la conquista delle coscienze.<br />
Sullo sfondo di questo incredib<strong>il</strong>e racconto,<br />
come fosse un grande affresco ma con l’evidenza<br />
della tragedia, emerge la persecuzione degli antifascisti<br />
italiani che avevano raggiunto l’Unione Sovietica<br />
e subìto le efferatezze del regime staliniano.<br />
IL VERO RAPPORTO<br />
TRA IL CAPO DEI COMUNISTI E I CATTOLICI<br />
Massimo Caprara importante saggista e scrittore<br />
politico, dal 1944 è stato per circa vent’anni segretario<br />
di Palmiro Togliatti. Ha vissuto dall’interno gli<br />
avvenimenti fondamentali della storia del PCI dagli<br />
anni del dopoguerra fino alla sua partecipazione alla<br />
fondazione del Manifesto. Deputato per quattro legislature<br />
dal 1953.<br />
BIETTI<br />
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politica<br />
Sopravvissuta alla fine della Prima Repubblica,<br />
la Sinistra declina e in parte sparisce con l’avvio<br />
della Terza. Inspiegab<strong>il</strong>e sia l’uno sia l’altro<br />
scenario. In astratto si sarebbe dovuto immaginare<br />
che tutta quella sinistra che traeva origine<br />
dal comunismo non sarebbe dovuta sopravvivere<br />
alla caduta del Muro di Berlino. In astratto<br />
era legittimo pensare che la definitiva trasformazione<br />
degli ultimi nipoti del comunismo in<br />
Sinistra Arcobaleno e dei figli di Berlinguer in<br />
Democrats avrebbe dovuto garantire <strong>il</strong> successo<br />
pieno in questo 2008. È andata diversamente.<br />
Sulle ragioni del corso positivo per la sinistra<br />
di opposizione dopo la fine della Prima<br />
Repubblica, molto si è scritto. È diffic<strong>il</strong>e discostarsi<br />
dall’interpretazione che vede nei successi<br />
parziali della sinistra in questo quindicennio<br />
l’influenza di un doppio vantaggio. Da un lato la<br />
rendita di posizione successiva alla stagione di<br />
Mani Pulite, dall’altro la straordinaria capacità<br />
di manovra politica di alcuni esponenti della sinistra,<br />
in particolare di Massimo D’Alema, che<br />
staccando la Lega dall’ancora inesperto Berlusconi<br />
scompaginò a metà percorso un fronte<br />
che negli anni successivi si rivelerà vincente.<br />
Fu una dote da Prima Repubblica - la forza degli<br />
apparati giudiziari e la manovra politica - a<br />
decretare l’incertezza attorno al vincitore politico<br />
dei primi anni Duem<strong>il</strong>a.<br />
Qualche spiegazione si può trovare anche per<br />
cercare di capire <strong>il</strong> secondo risultato analizzato,<br />
cioè perchè quella sinistra di cui abbiamo<br />
scritto non regge l’alba della Terza Repubblica.<br />
Prima di formulare qualche ipotesi e di delineare<br />
gli scenari che si aprono, cerchiamo di<br />
valutare <strong>il</strong> peso politico del risultato elettorale.<br />
La vittoria del Popolo delle Libertà e di Berlu-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Le incognite<br />
del nuovo ciclo politico<br />
di Peppino Caldarola<br />
23<br />
sconi è stata, a giudizio unanime, schiacciante.<br />
A renderla imponente non ci sono solo i numeri<br />
elettorali, i seggi parlamentari ma soprattutto<br />
<strong>il</strong> carattere nazionale del risultato combinato<br />
con l’egemonia indiscussa in zone fondamentali<br />
del Nord. È stata al tempo stesso una vittoria<br />
politico-elettorale ma anche (è <strong>il</strong> caso di<br />
usare gli avversativi veltroniani) politico-culturale.<br />
La maggioranza degli italiani si è identificata<br />
con <strong>il</strong> progetto di Berlusconi, ha creduto alla<br />
sua leadership, ha fiducia che saprà dare una<br />
svolta alla situazione italiana. È la prima smentita<br />
robusta alla profezia di Montanelli alla quale<br />
ci eravamo abbarbicati noi avversari di Berlusconi<br />
di matrice non giustizialista. Al Montanelli<br />
che scriveva, grosso modo, che bisognava<br />
far governare Berlusconi perché gli italiani<br />
se ne distaccassero, è accaduto di essere contraddetto<br />
dalla realtà post-mortem.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Il successo dello «schieramento avverso» a<br />
Veltroni non è l’unico dato politico negativo per<br />
la Sinistra. La sconfitta si accompagna ad altri<br />
dati. Il primo è la scomparsa dal Parlamento<br />
della Repubblica di tutte, proprio tutte, le famiglie<br />
radical, sia quelle nostalgiche del comunismo<br />
(d<strong>il</strong>ibertiani), sia quelle in via di allontanamento<br />
(bertinottiani), sia i movimentisti di Mussi,<br />
sia i Verdi-antagonisti di Pecoraro Scanio e<br />
Paolo Cento. Fra cinque anni ci sarà una verifica,<br />
ma cinque anni sono politicamente un’eternità<br />
e alcune di queste esperienze sono destinate<br />
a morire definitivamente.<br />
Il Pd presidia pressoché da solo l’intera area<br />
della sinistra con una aggregazione non ancora<br />
consolidata, una leadership messa in discussione,<br />
una cultura politica indefinib<strong>il</strong>e e indefinita.<br />
Il partito che ha sulle spalle l’opposizione<br />
a Berlusconi deve rivelarsi la più concreta<br />
formazione riformista in grado di sottrarre<br />
consenso al leader vincitore mostrando una<br />
maggiore capacità programmatica, ma al tempo<br />
stesso deve aver la forza di rappresentare <strong>il</strong><br />
magnete identitario di tutto ciò che si muove e<br />
sopravvive nell’area del centro-sinistra. È un’opera<br />
titanica che richiede leadership forti numericamente<br />
ma soprattutto culturalmente e<br />
un rapporto di massa non effimero.<br />
Accanto al Pd c’è, per scelta del Pd veltroniano,<br />
un solo partito, l’Italia dei Valori di Di Pietro<br />
La Grande Sinistra è tutta<br />
dentro la speranza che <strong>il</strong><br />
progetto Democrat si<br />
consolidi, attragga forze<br />
dalla propria sinistra e non<br />
si faccia culturalmente<br />
insidiare dal populismo del<br />
partito-azienda di Di<br />
Pietro-Travaglio-Gr<strong>il</strong>lo.<br />
24<br />
politica<br />
che rappresenta una singolare formazione destra-sinistra<br />
impastata di giustizialismo e di populismo<br />
demagogico. Sarà questo partito a rosicchiare<br />
consensi al Pd e a contenderne la<br />
leadership dell’opposizione, più fuori dal Parlamento<br />
che nel Parlamento. La Grande Sinistra<br />
è tutta qui. È tutta dentro la speranza che <strong>il</strong> progetto<br />
Democrat si consolidi, attragga forze dalla<br />
propria sinistra e non si faccia culturalmente<br />
insidiare dal populismo del partito-azienda di<br />
Di Pietro-Travaglio-Gr<strong>il</strong>lo.<br />
Era inevitab<strong>il</strong>e questo destino della sinistra? Intendiamoci,<br />
alcuni ritengono che questo scenario<br />
non sia per nulla negativo. C’è una singolare<br />
interpretazione del risultato elettorale -<br />
espressa dal segretario Veltroni e dal suo staff<br />
- secondo cui le elezioni hanno dato la vittoria<br />
al Cavaliere ma hanno anche segnalato l’esistenza<br />
di una forza riformista del 34% in grado<br />
di reggere la sfida. Questa interpretazione si<br />
fonda su un’altra tesi (molto dalemiana) secondo<br />
la quale l’Italia è un paese di destra, lo è<br />
sempre stato, lo è stato soprattutto nel quindicennio<br />
berlusconiano per cui <strong>il</strong> voto di apr<strong>il</strong>e<br />
2008 è servito solo a rendere manifesto ciò che<br />
la vittoria del ‘96 e quella, ora proclamata finta,<br />
del 2006 avevano occultato. Anche con queste<br />
tesi non si risponde al quesito di fondo: perché<br />
ha vinto Berlusconi? Ovvero, detto calcisticamente,<br />
perché su cinque partite Berlusconi ne<br />
vince tre, ne pareggia una e perde solo la seconda<br />
grazie al mettersi fuori gioco della Lega?<br />
Lavoriamo su due questioni. La prima riguarda<br />
<strong>il</strong> leader, la seconda investe la realtà su cui<br />
interviene. Non sarebbero separab<strong>il</strong>i, ma per<br />
analizzare meglio <strong>il</strong> fenomeno è bene separarli.<br />
Berlusconi è indubbiamente, dopo De Gasperi<br />
e Togliatti, dopo Moro e Berlinguer, la più forte<br />
personalità politica repubblicana. Per tanti<br />
aspetti assomiglia più a primi due che alla seconda<br />
coppia perché <strong>il</strong> quadro su cui interviene<br />
è di rifondazione della politica e non di gestione<br />
di una sua fase finale. Berlusconi intuisce<br />
che la fine della Prima Repubblica libera<br />
forze enormi addensate nei grandi partiti di governo,<br />
che queste forze non sono elettorato
politica<br />
brado ma sedimento di culture, passioni e paure.<br />
Berlusconi coglie, anche perché come imprenditore<br />
ha contribuito a determinare l’evento,<br />
una mutazione della soggettività pubblica<br />
ormai definitivamente rivolta verso <strong>il</strong> modello<br />
occidentale tout court che verso quelle formulazioni<br />
ambigue presenti nella cultura della Dc<br />
e ovviamente del Pci (assai meno nel nuovismo<br />
craxiano). Berlusconi capisce che la formula<br />
partitica che può avere successo deve<br />
essere al tempo stesso giacobina (cento uomini<br />
di ferro) ma anche la più fluida possib<strong>il</strong>e.<br />
I suoi avversari hanno favorito questa ascesa<br />
con le teorie del partito di plastica e del partitotv<br />
che non hanno colto <strong>il</strong> massiccio spostamento<br />
di popolo. Berlusconi ha modificato la<br />
concezione del governare come servizio e<br />
quindi come sacrificio con quella del piacere di<br />
governare, costruendo l’immagine, molto occidentale,<br />
del leader non separato dalla gente,<br />
che vive come la gente, anzi talmente meglio<br />
della gente da farsi obiettivo dei loro sogni. I difetti<br />
di Berlusconi hanno riempito librerie e non<br />
li riassumo. Ormai molti racconti sui limiti di<br />
Berlusconi fanno sorridere e molti autori hanno<br />
cambiato idea. Il dramma della sinistra, dal<br />
punto di vista della cultura politica, è questo<br />
osc<strong>il</strong>lare fra la sottovalutazione dell’avversario<br />
o la sua mostrificazione. O pagliaccio o fascista.<br />
Si è perso <strong>il</strong> gusto intellettuale dell’analisi<br />
approfondita e questo spiega molti insuccessi<br />
e soprattutto l’incomprensione verso lo spostamento<br />
di consensi, stab<strong>il</strong>izzato nel quindicen-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
25<br />
nio e in crescita ulteriore, verso <strong>il</strong> Cavaliere e la<br />
sua proposta politica.<br />
Ho sottolineato le caratteristiche positive che<br />
sono all’origine del successo perché le vittorie<br />
hanno spiegazioni e tante vittorie sono la costruzione<br />
di un progetto non <strong>il</strong> frutto di un caso.<br />
La leadership berlusconiana si afferma in un<br />
paese che è pronto a riceverla. L’Italia che accoglie<br />
e celebra Berlusconi come leader è l’Italia<br />
robusta e al tempo stesso malandata uscita<br />
dalla crisi della Prima Repubblica. Il dato psicologico<br />
più r<strong>il</strong>evante lo aveva colto negli anni<br />
precedenti solo Bettino Craxi quando, scontrandosi<br />
con <strong>il</strong> pessimismo berlingueriano e<br />
quello moroteo, colse nello spirito pubblico degli<br />
italiani la volontà di scrollarsi di dosso ogni<br />
residuo post-bellico e post-post-bellico.<br />
L’Italia che vede spazzare la propria classe dirigente<br />
da Mani Pulite, che ha sopportato e<br />
sconfitto <strong>il</strong> terrorismo, che ha retto all’assalto<br />
dello stragismo mafioso è un paese complicato<br />
ma che si sente interamente proiettato nella<br />
storia dell’Occidente, ha le stesse ambizioni, i<br />
medesimi difetti, lo stesso stato d’animo di altri<br />
paesi europei e non solo europei. È un paese<br />
ottimista, che in parte si è fatto da sè (al Nord<br />
Est è andata così), che conosce <strong>il</strong> mondo in cui<br />
viaggia o per affari o per piacere, che non sente<br />
più i vincoli culturali del passato se non quelli<br />
etnico-territoriali, che non si fida dello stato e<br />
della politica, che nella politica mette i propri<br />
amici e non delega più, se non in parte, a fiduciari.<br />
È stato poco valutato <strong>il</strong> mutamento anche<br />
sociologico delle rappresentanze con l’ingresso,<br />
quasi esclusivamente nello schieramento di<br />
centro-destra, di tanti esponenti della cosiddetta<br />
società civ<strong>il</strong>e. Mentre nel centro-sinistra infuriava<br />
la battaglia di una «società civ<strong>il</strong>e» rappresentata<br />
fondamentalmente da giornalisti,<br />
conduttori tv, attori e insegnanti, dall’altra parte<br />
avvocati, commercialisti, imprenditori prendevano<br />
posto in parlamento o nei consigli comunali<br />
e regionali al posto di antichi esponenti di<br />
partiti.<br />
Questo mondo non può incontrare la sinistra<br />
che c’è. Non può incontrare la sinistra statalista,<br />
mondialista, politicamente corretta, gestita<br />
da professionisti che cercano solo deleghe. La
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
crisi della sinistra è così diventata drammatica<br />
al Nord, sta cominciando ad affacciarsi al Sud.<br />
Torniamo a Berlusconi. L’incontro fra questo paese<br />
e questo leader non avviene senza mediazioni.<br />
Il principale mediatore è senza dubbio la Lega<br />
di Bossi. La Lega è stata sempre interpretata<br />
come la versione italiana del lepenismo o dei<br />
movimenti xenofobi del Centro-Europa. La Lega<br />
è un’altra cosa. La Lega è la combinazione di<br />
una rivolta territoriale con una rivolta fiscale e anti-statale.<br />
Il suo gruppo dirigente ha inaugurato la<br />
più lunga marcia nelle istituzioni che sia mai stata<br />
concepita in Occidente partendo da un «paesello».<br />
Il fenomeno Lega, essendo un fiume carsico<br />
ormai emerso, porta con sé minerali buoni e<br />
cose non buone, comunque porta consensi<br />
grandi alla leadership berlusconiana.<br />
Sembra un po’ più di rendita la posizione degli<br />
eredi del Msi che si avvalgono della grande capacità<br />
manovriera del loro leader, Fini, e del<br />
lento trasferimento di un popolo emarginato<br />
dentro i fasti della nuova destra. Fini gode di<br />
una rendita di posizione che nasce dall’aver<br />
dato al proprio popolo, grazie a Berlusconi,<br />
l’accesso alla grande politica negato per oltre<br />
mezzo secolo. È un prezzo assai alto che la<br />
destra ha pagato e che la sinistra non ha dovuto<br />
pagare essendo forza costituente del paese.<br />
Questo consegna a Fini una gratitudine del<br />
proprio mondo maggiore dei risultati raggiunti.<br />
L’intuizione fondamentale che lo ha portato a<br />
scelte opposte a quelle di Casini è stata quella<br />
di non permettere mai la separazione del proprio<br />
mondo da quello di Berlusconi. In questo<br />
rapporto ha intuito che si sedimentava la voca-<br />
26<br />
politica<br />
zione di governo e <strong>il</strong> rifuggire da sirene oppositive<br />
che lo avrebbero riconsegnato al passato.<br />
Fini scegliendo <strong>il</strong> governo ha sdoganato la destra<br />
radical e l’ha resa moderata.<br />
Il voto di apr<strong>il</strong>e sancisce la conclusione di tutti<br />
questi processi. Inizia una nuova storia. La domanda<br />
è questa: la nuova storia sarà ancora<br />
nel segno di Berlusconi o segnerà <strong>il</strong> suo declino?<br />
Dico subito che non risponderò al quesito,<br />
mi limiterò ad analizzare ciò che c’è in cantiere<br />
in modo che <strong>il</strong> lettore risolva da sé <strong>il</strong> d<strong>il</strong>emma.<br />
È del tutto evidente che per capire se siamo all’inizio<br />
di un ciclo o all’ apoteosi che precede <strong>il</strong><br />
declino ci manca <strong>il</strong> dato più importante, pressoché<br />
risolutivo. Se Berlusconi, i cui primi passi<br />
di governo sembrano accompagnati dal favore<br />
popolare, riuscirà nell’impresa di dare una<br />
scossa al Paese saremo all’inizio di un ciclo<br />
che proseguirà con Berlusconi e i suoi eredi.<br />
Se Berlusconi non ce la farà (ipotesi infausta<br />
anche per chi non l’ha votato, perché significherebbe<br />
un declino non di una leadership ma<br />
del paese), <strong>il</strong> puzzle italiano si confonderà in<br />
modo ancora più complicato.<br />
Tuttavia i risultati di governo dovranno combinarsi<br />
con altri risultati direttamente prodotti dalla<br />
politica. Il principale è quello che deriva dall’affermarsi<br />
di un sistema politico se non interamente<br />
bipartitico tuttavia forte di due grandi<br />
componenti centrali. L’obiezione è fac<strong>il</strong>e. Anche<br />
nel quindicennio precedente c’erano due componenti<br />
principali, si sono chiamati nel centro-sinistra<br />
Ulivo e Unione e nel centro-destra Polo e<br />
Casa della Libertà. Ora però <strong>il</strong> cambiamento<br />
proposto agli italiani è più forte. Sono stati proposti<br />
agli italiani un Partito Democratico sul versante<br />
sinistro e un partito chiamato Popolo delle<br />
Libertà sull’altro campo. Non due alleanze,<br />
ma due formazioni politiche di massa, con leadership<br />
certe che devono tendere, pur nel pluralismo<br />
interno, a formare una comune pubblica<br />
opinione organizzata sui due lati del sistema politico.<br />
Più sul modello anglo-sassone che su<br />
quello europeo. È <strong>il</strong> contrario di ciò a cui aspiravano<br />
in tanti (compreso chi scrive) ed è la definitiva<br />
sepoltura della componente autonoma del<br />
socialismo che oggi deve portare le sue bandiere<br />
e la sua cultura là dove vede più riformismo.
politica<br />
I risultati di governo<br />
dovranno combinarsi con<br />
altri risultati<br />
direttamente prodotti<br />
dalla politica. Il<br />
principale è quello che<br />
deriva dall’affermarsi di<br />
un sistema politico se non<br />
interamente bipartitico<br />
tuttavia forte di due<br />
grandi componenti<br />
centrali.<br />
La necessità di questa svolta verso <strong>il</strong> consolidarsi<br />
del nuovo sistema politico è dettata anche<br />
dalla necessità di costruire fra le istituzioni<br />
e <strong>il</strong> paese un ponte robusto, non super-dimensionato<br />
come i partiti della Prima Repubblica,<br />
ma capace come quelli di organizzare volontà<br />
politiche, partecipazione e perché no proteste.<br />
Questa è la seconda parte del lavoro ricostruttivo<br />
che si deve avviare dopo <strong>il</strong> voto di apr<strong>il</strong>e. È<br />
probab<strong>il</strong>e che <strong>il</strong> centro-destra sia più in grado di<br />
rispondere positivamente a questa sfida sull’onda<br />
del successo del governo e su un comune<br />
sentire che è più forte da questa parte. Può darsi<br />
che questa ricostruzione politica riesca meglio<br />
al centro-sinistra che così potrebbe candidarsi<br />
a ereditare i risultati del lavoro di Berlusconi.<br />
Al momento è diffic<strong>il</strong>e fare previsioni. Il<br />
centro-destra rischia di non cogliere la specificità<br />
di questo problema facendosi assorbire solo<br />
dall’attività di governo, considerando questa la<br />
vera leva per sollevare <strong>il</strong> mondo (è diffic<strong>il</strong>e dare<br />
torto). Il centro-sinistra può farsi sconquassare<br />
dallo scontro interno e dall’eterno conflitto con<br />
l’ala giustizialista che costituisce <strong>il</strong> vero fronte<br />
interno. Comunque, come era scritto in un classico<br />
libro su cui si sono formate generazioni di<br />
rivoluzionari: Hic Rhodus, hic salta.<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
27<br />
LA REPUBBLICA ARMATA<br />
Nascita, organizzazione e operazioni<br />
delle forze armate della R.S.I.<br />
Autore: Em<strong>il</strong>io Cavaterra<br />
Pagine: 276<br />
Prima Edizione: Inverno 2007-2008<br />
Prezzo: 20 euro<br />
I documenti inediti, custoditi per oltre mezzo secolo<br />
nell'Archivio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito<br />
italiano consentono una nuova e più attendib<strong>il</strong>e<br />
ricostruzione della nascita e dell'organizzazione<br />
delle FF.AA. della Repubblica Sociale. Questo<br />
libro aiuta a collocare, in una prospettiva più<br />
oggettiva, <strong>il</strong> tormentato e controverso periodo della<br />
storia d'Italia dal settembre del 1943 all'apr<strong>il</strong>e del<br />
1945. Un libro per gli appassionati della Storia, in<br />
particolare della seconda guerra mondiale e della<br />
guerra civ<strong>il</strong>e italiana successiva alla nascita della<br />
RSI.<br />
Em<strong>il</strong>io Cavaterra. Giornalista e scrittore. Minorenne,<br />
si è arruolato volontario nei reparti delle Forze<br />
Armate della Repubblica Sociale Italiana. Dopo la<br />
fine della guerra, terminati gli studi, ha intrapreso la<br />
professione di giornalista. E’ stato direttore di<br />
agenzie di stampa, opinionista e inviato speciale,<br />
redattore capo di quotidiani e periodici. Ha collaborato<br />
con la RAI e con Radio Montecarlo. Autore<br />
di oltre 25 libri pubblicati tra gli altri da Mursia, Borla,<br />
Pan e Nistri Lischi e Bietti. Accademico tiberino<br />
ha ricevuto nel 1996 <strong>il</strong> premio cultura della Presidenza<br />
del Consiglio e nel 1999 la Penna d’oro per<br />
<strong>il</strong> settore “scienza”.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Il cataclisma elettorale<br />
di Gianfranco Pol<strong>il</strong>lo<br />
Elezioni 2008. Il cataclisma che hanno determinato<br />
va attentamente analizzato. Si scopriranno<br />
allora i mutamenti che hanno determinato.<br />
E che non riguarderanno solo questa legislatura,<br />
ma avranno effetti duraturi suglie equ<strong>il</strong>ibri<br />
della politica italiana. Cominciamo dai desparacitos:<br />
quegli elettori, cioè, che non hanno<br />
voluto votare. O, che votando, sono stati vittima<br />
della mannaia imposta dalla legge elettorale.<br />
Tra queste due classi esiste una differenza<br />
profonda: nich<strong>il</strong>ismo e protesta estrema da un<br />
lato; grande senso di appartenenza dall’altro.<br />
Piuttosto che votare per un partito diverso,<br />
hanno preferito <strong>il</strong> rischio, come in un campo di<br />
calcio, dell’espulsione che impedisce di giocare<br />
la partita. Le schede nulle, bianche e contestate,<br />
questa volta, sono state superiori, almeno<br />
rispetto al 2006. Quasi 1 m<strong>il</strong>ione e 600 m<strong>il</strong>a<br />
elettori alla Camera e 900 m<strong>il</strong>a al Senato hanno<br />
optato per <strong>il</strong> disimpegno. Nel 2006 erano<br />
stati circa 500 m<strong>il</strong>a in meno.<br />
La falcidia maggiore si avuta, invece, con <strong>il</strong> co-<br />
28<br />
siddetto «voto ut<strong>il</strong>e»: cavallo di battaglia dei<br />
partiti maggiori. La decimazione, alla Camera,<br />
è stata per circa 3 m<strong>il</strong>ioni e mezzo di elettori. Al<br />
Senato circa 4 m<strong>il</strong>ioni ed 800 m<strong>il</strong>a. Conseguenza?<br />
Un Parlamento che rappresenta solo<br />
una parte dell’elettorato: poco più dell’87 per<br />
cento alla Camera ed addirittura l’82 per cento<br />
al Senato.<br />
È un vulnus per la democrazia? Dipende dai<br />
punti di vista. Il presidente degli Stati Uniti, in<br />
genere, è eletto da una percentuale di votanti<br />
ancora più bassa. Le tradizioni europee sono<br />
diverse, ma in Germania <strong>il</strong> taglio delle ali è stata,<br />
da sempre, una costante. Avallata da norme<br />
di carattere costituzionale che impedivano la<br />
presentazione di liste comuniste o neo-naziste.<br />
Sotto questo prof<strong>il</strong>o, quindi, l’Italia è divenuta<br />
un po’ più occidentale. Anche se i problemi non<br />
mancheranno.<br />
Il passaggio da un sistema iper proporzionale,<br />
come quello che è alle nostre spalle, in uno in<br />
cui la rappresentanza si concentra nelle mani<br />
Fig.1 - Camera voti complessivi Fig. 2 - Senato risultati complessivi<br />
politica
politica<br />
di solo 6 formazioni politiche è stato brusco. Ne<br />
hanno fatto le spese le «estreme», ma anche i<br />
moderati. La sinistra arcobaleno è uscita di<br />
scena, la destra di Storace non c’è mai entrata.<br />
Un m<strong>il</strong>ione e mezzo di voti persi, alla Camera<br />
da un lato; un m<strong>il</strong>ione dall’altro. Bertinotti<br />
come Vecchietti, <strong>il</strong> vecchio leader del PSIUP<br />
che, nella prima repubblica, lasciò sul tavolo<br />
verde della politica più o meno altrettanto, d<strong>il</strong>apidando<br />
un patrimonio. Allora ll convento si<br />
chiuse, ma i frati emigrarono nel PCI. Chissà<br />
se succederà anche questa volta la stessa cosa?<br />
Anche i socialisti ed i liberali escono di scena.<br />
Boselli, <strong>il</strong> tattico che in tutti questi anni era<br />
riuscito a navigare tra Prodi e Fassino, contro<br />
Veltroni non ce l’ha fatta. Dovrà chiudere la cooperativa,<br />
come dicono ancora oggi i suoi detrattori.<br />
Discorso diverso per i liberali. Da anni lontani<br />
dalla politica, vi erano rientrati con un piccolo<br />
stratagemma ed uno strascico di polemiche.<br />
Oltre 100 m<strong>il</strong>a voti, che potevano essere diversamente<br />
ut<strong>il</strong>izzati, sono andati al macero. Con<br />
la loro ostinazione, nel volersi presentare a tutti<br />
i costi, non contavano prima e contano ancor<br />
meno adesso. È <strong>il</strong> dramma delle grandi tradizioni<br />
culturali. Sono troppo forti ed estese per<br />
essere compresse in piccole formazioni politiche.<br />
Quando questo avviene, <strong>il</strong> corto circuito<br />
diventa inevitab<strong>il</strong>e.<br />
Nel dibattito sul dopo voto gli accenti più preoccupanti<br />
sono posti, comunque, sulla scomparsa<br />
della sinistra - sinistra. Dai 140 parlamentari<br />
e passa che avevano nella precedente legislatura,<br />
si passa a zero. Come è stato possib<strong>il</strong>e?<br />
Per sdrammatizzare si deve dire che quei<br />
magnifici 140 erano stati soprattutto <strong>il</strong> frutto di<br />
una grande ab<strong>il</strong>ità negoziatrice. Bertinotti, da<br />
esperto sindacalista qual era, aveva ottenuto<br />
più del dovuto. Pochi, allora, erano stati in grado<br />
di valutare l’esatta consistenza di quella<br />
compagine ed i seggi erano piovuti in forma alluvionale.<br />
C’era poi <strong>il</strong> vecchio pregiudizio: pas<br />
d’ennemi a gauche. Romano Prodi aveva coltivato<br />
con amore questa pianticella, nella speranza<br />
di rompere l’assedio del Ds.<br />
Vi era, infine, <strong>il</strong> peso di una tradizione. La fun-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
29<br />
zione storica del PCI era stata la costituzionalizzazione<br />
del dissenso. Se non vi fosse stata,<br />
le conseguenze della guerra fredda, come avvenne<br />
in altri paesi occidentali, sarebbero state<br />
disastrose. Fu <strong>il</strong> realismo di Togliatti a prevalere.<br />
La sua doppiezza consentì a quella forza<br />
di vivere e di sv<strong>il</strong>upparsi: tra suggestioni rivoluzionarie<br />
ed accordi sotterranei, per non<br />
disfare la sott<strong>il</strong>e tela della civ<strong>il</strong>e convivenza.<br />
Non senza strappi e contraddizioni, naturalmente.<br />
Ora quel disegno non ha più lo stesso<br />
valore. Veltroni guarda ad una democrazia<br />
compiuta, dove lo scontro politico si manifesta<br />
e si risolve nella conquista del centro dello<br />
schieramento politico. Il taglio delle ali è funzionale<br />
a questo disegno. Anche se non sarà<br />
fac<strong>il</strong>e per lui mantenere ferma la barra del timone.<br />
Bisogna dire che le diverse componenti questo<br />
mondo variegato non hanno compreso, in<br />
tempo, i rischi cui si esponevano. Se fossero<br />
rimasti uniti, invece di dividersi tra arcobaleni,<br />
comunisti duri e puri e sinistra critica,<br />
avrebbero raggiunto la soglia del 4 per cento.<br />
Oggi siederebbero in Parlamento in grado di<br />
esercitare quella funzione residua che era nel<br />
DNA del grande PCI. Venuta meno quella<br />
prospettiva, <strong>il</strong> quadro si complica. Rischio effettivo<br />
non solo per la dimensione degli<br />
esclusi, ma la loro forza organizzativa ed i<br />
punti di contatti con le frange del movimento<br />
sindacale, che a questa comune cultura ancora<br />
fanno riferimento.<br />
Ma è un problema politico o di semplice ordine<br />
pubblico? L’uno e l’altro. Del primo dovrà far<br />
carico soprattutto <strong>il</strong> Pd, se vorrà mantenere<br />
una vocazione maggioritaria. Il secondo andrà<br />
affrontato in modo bipartisan. Discussione<br />
quanta se ne vuole, ma rigurgiti da G8 a Genova<br />
nemmeno a parlarne. Del resto la debolezza<br />
del gruppo è soprattutto politica. Spetta<br />
loro un aggiornamento culturale, ancor prima<br />
che programmatico, che eventuali episodi di<br />
violenza potrebbero solo ritardare. Per questo<br />
occorre presidiare <strong>il</strong> terreno e scongiurare dolorose<br />
fughe in avanti.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Per <strong>il</strong> resto, invece, i risultati elettorali disegnano<br />
un prof<strong>il</strong>o che non trova rispondenza<br />
nel passato. Si è parlato a lungo di un bipolarismo<br />
che tende al bipartitismo. La tesi è forse<br />
prematura. Dove sono i partiti che dovrebbero<br />
dare sostanza a questa ipotesi? Il confronto<br />
internazionale mostra pienamente una<br />
vistosa anomalia. Negli USA <strong>il</strong> presidenzialismo<br />
assegna ai due partiti funzioni diverse.<br />
La centralizzazione del comando è compatib<strong>il</strong>e<br />
con <strong>il</strong> localismo dei singoli rappresentanti<br />
politici. Lo scambio continuo è tra <strong>il</strong> consenso<br />
alle grandi scelte nazionali, specie in politica<br />
estera, e i benefit di volta in volta accordati ai<br />
diversi territori. In Ingh<strong>il</strong>terra i partiti somigliano<br />
a formazioni m<strong>il</strong>itari. Il deputato risponde al<br />
leader, che ha poteri di vita e di morte. Se<br />
sbaglia è immediatamente liquidato. In Ger-<br />
Fig. 3 - Camera: voto ai partiti<br />
30<br />
mania, invece, la tradizione è quella classica.<br />
Forti organizzazioni politiche che esprimo interessi,<br />
ma anche culture da tempo sedimentate.<br />
La Francia è più sim<strong>il</strong>e all’Italia. Ma <strong>il</strong> suo<br />
semi-presidenzialismo consente un accumulo<br />
di potere che non ha eguali nel sistema politico<br />
italiano.<br />
Nel nostro paese esistono delle formazioni politiche,<br />
più che dei partiti. Entrambe le coalizioni<br />
hanno avviato un faticoso processo di rifondazione.<br />
Ne potremmo vedere gli esiti, solo tra<br />
qualche tempo. Esistono inoltre differenze relative<br />
che i risultati elettorali hanno messo bene<br />
in evidenza. A voler essere sintetici, <strong>il</strong> panorama<br />
è frastagliato: due piccoli partiti a vocazione<br />
nazionale, due formazioni decisamente regionali,<br />
un prof<strong>il</strong>o più incerto per le due forze<br />
maggiori: PdL e Pd.<br />
L’Italia dei valori, benché abbia raccolto suffragi<br />
limitati, è distribuita su tutto <strong>il</strong> territorio nazionale.<br />
Alla Camera si va da un minimo del<br />
4,6 per cento, al centro; ad un massimo del<br />
5,1 per cento nelle regioni meridionali. Per <strong>il</strong><br />
Senato è più o meno la stessa cosa. Il centro<br />
pesa di più, ma solo perché nel Molise è scattato<br />
un voto plebiscitario (26,9 per cento) per <strong>il</strong><br />
compaesano Di Pietro. A questa distribuzione<br />
geografica equ<strong>il</strong>ibrata non corrisponde, tuttavia,<br />
una cultura politica uniforme. Nel partito<br />
sono confluiti personaggi diversi: uniti solo dal<br />
sacro furore giustizialista. Vedremo se tutto<br />
Fig. 4 - Senato: voti per macro aree Fig. 5 - Camera: Pd PdL elezioni 2008<br />
politica
politica<br />
questo sarà sufficiente a costruire qualcosa di<br />
più duraturo.<br />
L’Udc di Casini è anch’essa distribuita in modo<br />
uniforme, con una prevalenza nel mezzogiorno.<br />
Alla Camera lo scarto è tra <strong>il</strong> 5 e l’8,1<br />
per cento. Al Senato, invece, la legge elettorale<br />
l’ha fortemente penalizzata. Il quorum è<br />
stato conquistato solo in Sic<strong>il</strong>ia. Nelle altre regioni<br />
i voti (più di 1 m<strong>il</strong>ione e 600 m<strong>il</strong>a) sono<br />
andati dispersi. Resta <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> partito ha<br />
una sua configurazione. Molto dipenderà,<br />
quindi, dalle sue scelte future e da quelle dei<br />
principali partiti. Se la tendenza al bipolarismo<br />
si consoliderà, <strong>il</strong> partito dovrà scegliere dove<br />
collocarsi. E non v’è dubbio che la scelta più<br />
probab<strong>il</strong>e non potrà che essere lo schieramento<br />
di centro destra. Su questo versante<br />
possono sussistere divergenze di carattere<br />
politico. Ma sul fronte avverso, le contraddizioni<br />
sono di natura culturali: uno steccato<br />
ben più diffic<strong>il</strong>e da superare.<br />
Due partiti regionali danno, invece, voce ai territori:<br />
la Lega Nord da un lato MPA dall’altro. Le<br />
formazioni sono simmetriche, ma <strong>il</strong> peso relativo<br />
non è commensurab<strong>il</strong>e. Sia alla Camera<br />
che al Senato, la Lega è 10 volte tanto, in termini<br />
percentuali. Conseguenza inevitab<strong>il</strong>e di<br />
una diversa storia politica. Umberto Bossi è da<br />
oltre venti anni sulla scena parlamentare. Raffaele<br />
Lombardo solo da pochi mesi. Il primo,<br />
inoltre, vuole rappresentare <strong>il</strong> Nord d<strong>il</strong>atandone<br />
i confini fino all’Em<strong>il</strong>ia. Il secondo è ancora<br />
troppo sic<strong>il</strong>iano. Vedremo se la sua proiezione<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
31<br />
meridionale rimarrà solo un tentativo o sarà<br />
capace di innescare un fenomeno imitativo.<br />
Il cuore dello schieramento politico è rappresentato<br />
ovviamente dal PdL e dal Pd. Partiti<br />
nazionali o formazioni regionali? La risposta è<br />
meno ovvia di quanto, a prima vista, possa<br />
apparire.<br />
Alla Camera, <strong>il</strong> PdL ha conquistato <strong>il</strong> 35,5 per<br />
cento dei consensi al Nord, ma nel Sud questa<br />
percentuale arriva al 50,4 per cento. Con una<br />
differenza di quasi 15 punti. Al Senato, si hanno,<br />
più o meno le stesse proporzioni: 33,2 per<br />
cento, contro <strong>il</strong> 43,9 ed una differenza di oltre<br />
10 punti. La forza del partito, che ha consentito<br />
a S<strong>il</strong>vio Berlusconi di vincere le elezioni, è<br />
quindi nel Sud. La Lega fornisce, naturalmente,<br />
un valore aggiunto. Grazie ad essa <strong>il</strong> peso<br />
dell’intera coalizione al Nord raggiunge <strong>il</strong> 56,5<br />
per cento alla Camera ed <strong>il</strong> 48,5 per cento al<br />
Senato. Ma le differenze con <strong>il</strong> sud non superano<br />
i 2 punti percentuali. Bastano per caratterizzare<br />
- come teme <strong>il</strong> Pd - la coalizione in senso<br />
nordista?<br />
Strutturalmente, <strong>il</strong> Pd è speculare al PdL, con<br />
una più forte accentuazione ragionalista: sostanzialmente<br />
un partito dell’Italia centrale, che<br />
si proietta nella restante parte del territorio nazionale.<br />
Al senato sono, infatti, 6 i punti di differenza,<br />
in termini di voto, tra <strong>il</strong> centro, nord e<br />
sud. Che arrivano a 16 se si considerano i risultati<br />
della Camera. La forza elettorale del Pd<br />
è essenzialmente concentrata in 4 regioni:<br />
Fig. 6- Senato: % voti coalizioni Fig. 7 - Camera: Pd elezioni 2008
Em<strong>il</strong>ia - Romagna, Toscana, Umbria e Marche.<br />
Dove è <strong>il</strong> primo partito, con una percentuale di<br />
voti che supera di oltre 10 punti le medie nazionali.<br />
Supera <strong>il</strong> PdL solo nel Piemonte 1,<br />
mentre in Liguria le differenze sono minime<br />
(meno di 1 punto percentuale). Per <strong>il</strong> resto del<br />
territorio le differenze con <strong>il</strong> PdL sono schiaccianti.<br />
Stesse conclusioni, se si esamina <strong>il</strong> peso relativo<br />
delle due principali coalizioni. Walter Veltroni<br />
è stato votato, alla Camera dal 53,5 per<br />
cento degli elettori, nell’Italia centrale; ma solo<br />
dal 37 - 38 per cento dal resto del Paese. Il voto<br />
del Senato replica questo prof<strong>il</strong>o, anche se<br />
le differenze (circa 10 punti) sono meno marcate.<br />
S<strong>il</strong>vio Berlusconi è invece più forte al<br />
Nord ed al Sud. Per la Camera le differenze sono:<br />
15 punti a favore Nord e 13 a favore del<br />
Sud. Per <strong>il</strong> Senato queste differenze si riducono<br />
a 9 e 7 punti, rispettivamente, a favore del<br />
Nord e del Sud. L’immagine che risulta da questi<br />
dati è quindi quella di un partito - quello democratico<br />
- sostanzialmente accerchiato che fa<br />
fatica a rimanere un partito nazionale. Il PdL,<br />
invece, è più diffuso territorialmente, con un<br />
punto di forza nel mezzogiorno e la copertura,<br />
nel Nord, assicurata dalla Lega.<br />
Che conseguenze trarre da questa nuova geografia?<br />
Innanzitutto, la dimostrazione che esistono<br />
tre Italie. Il Nord che vota massicciamente<br />
per sé stesso. Il centro che si arrocca nelle<br />
sue antiche tradizioni politiche. Il Sud che è al-<br />
Fig. 8 - Camera: Lega Nord PdL elezioni 2008<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />
32<br />
la ricerca di una vocazione. Nelle passate elezioni<br />
votò per la sinistra. Oggi, deluso, ha cambiato<br />
bandiera dando a S<strong>il</strong>vio Berlusconi la palma<br />
della vittoria. Si tratta solo di un risultato politico<br />
- elettorale o questi dati nascondono fratture<br />
più profonde?<br />
La forza della Lega nord è concentrata in parte<br />
del Lombardo - Veneto. Con una differenza<br />
di voti che supera di 10 punti percentuali le altre<br />
circoscrizioni elettorali. Suo punto di forza è<br />
<strong>il</strong> nord - est: <strong>il</strong> Veneto dove compete testa a testa<br />
con <strong>il</strong> Pd Quindi quasi tutta la Lombardia,<br />
con la sola esclusione della provincia di M<strong>il</strong>ano.<br />
C’è, in altri termini, una continuità territoriale<br />
che va da Venezia fino alla capitale morale<br />
d’Italia. In quest’area la maggioranza dell’elettorato<br />
si divide, quasi in parte uguale, tra la Lega,<br />
appunto, ed <strong>il</strong> PdL. Nel nord -ovest, invece,<br />
non c’è partita. Gli elettori preferiscono decisamente<br />
PdL e Pd, mentre la Lega resta una forza<br />
minoritaria.<br />
Come spiegare queste diversità di comportamento?<br />
I nuovi insediamenti produttivi - la miriade<br />
di piccole aziende che guardano al centro<br />
Europa - hanno votato per Umberto Bossi.<br />
Quelli più antichi, che risentono della più vecchia<br />
impostazione fordista e della cultura che<br />
l’ha accompagnata, seppure traslata nel Popolo<br />
delle libertà, per Berlusconi e Veltroni. Nelle<br />
regioni centrali, invece, <strong>il</strong> peso determinante è<br />
dato da un sistema di medie industrie che si<br />
sono stratificate nel tempo. La loro forza consiste<br />
in un reticolo di relazioni sociali - si pensi<br />
solo alle cooperative - in un rapporto stretto<br />
con <strong>il</strong> tradizionale mondo della politica, fert<strong>il</strong>izzata<br />
da attenzioni - i ceti produttivi di Togliatti -<br />
che risalgono nel tempo. Una grande banca,<br />
come MPS, è rimasta soprattutto una banca<br />
senese, come hanno dimostrato le vicende legate<br />
ad Unipol nel tentativo abortito di conquistare<br />
BNL. Questo intreccio ha trasformato le<br />
«regioni rosse» in un enclave potente localmente,<br />
ma debole sul piano nazionale. Comunque<br />
incapace di esercitare una leadership<br />
adeguata.
politica<br />
Il Sud è invece una realtà variegata. Da tempo<br />
allo sbando, dopo <strong>il</strong> fallimento di tutti i tentativi<br />
legati alla politica meridionalista, cerca<br />
una via di fuga da un sottosv<strong>il</strong>uppo atavico. La<br />
sua struttura economica è frag<strong>il</strong>e. Il peso della<br />
criminalità una risposta alla lontananza dello<br />
Stato. Una realtà volub<strong>il</strong>e e cangiante che<br />
rimarrà tale fin quando non nascerà un protagonismo<br />
autoctono, capace di recidere i perversi<br />
legami della dipendenza. Solo allora riuscirà<br />
a trasformare la sua forza elettorale in<br />
una politica capace di incidere sui grandi<br />
equ<strong>il</strong>ibri nazionali.<br />
Che conclusioni trarre di fronte a questo mosaico?<br />
La prima è sconfortante. Cento e passa<br />
anni di storia non sono riusciti ad unificare<br />
<strong>il</strong> Paese a dargli una prospettiva autenticamente<br />
nazionale. È una dichiarazione di resa<br />
dello Stato centrale. Troppo grande per produrre<br />
politica. Troppo esteso per poter resistere<br />
al potere di una burocrazia incapace di progetto<br />
e di visione. La sua struttura è ancora<br />
funzionale ad equ<strong>il</strong>ibri economici e sociali del<br />
passato: quelli che avevano nel nord ovest e<br />
nel centro <strong>il</strong> vero baricentro. I fattori del dinamismo<br />
economico sono ormai del tutto al di<br />
fuori del suo perimetro effettivo. La Lega nord<br />
ha saputo dar corpo al senso di estraneità della<br />
sua gente. Nel Sud questo processo è ancora<br />
informe.<br />
Queste elezioni hanno dimostrato che nei vecchi<br />
territori dell’abbandono è nata una coscienza<br />
nuova, che mira a farsi Stato. Nel Sud si<br />
esprime ancora sotto forma di protesta e solo <strong>il</strong><br />
tempo ne scandirà <strong>il</strong> passaggio verso la proposta.<br />
Quello che conta, oggi, è l’avvio di un processo<br />
che avrà riflessi politici immediati sulla<br />
vita del Paese e di cui non si potrà non tenerne<br />
conto. Le occasioni non mancheranno: a<br />
partire dal federalismo. Idea necessaria per rifondare<br />
lo Stato. Ma anche sfida diffic<strong>il</strong>e, dove<br />
dovrà prevalere <strong>il</strong> senso di una solidarietà nuova,<br />
non più fondata sulle vecchie regole spartitorie.<br />
Ma sulla necessità di chiudere definitivamente<br />
una vecchia pagina di storia. Ed aprirne<br />
una nuova.<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
33<br />
DA MARX A MATRIX<br />
I media nella crisi della postmodernità<br />
Autore: Gianstefano e Angelo Frigerio<br />
Pagine: 396<br />
Prima Edizione: Estate 2007<br />
Prezzo: 20 euro<br />
Gianstefano Frigerio è stato più volte membro del<br />
Parlamento Italiano ed è attualmente Responsab<strong>il</strong>e<br />
Nazionale dei Dipartimenti di Forza Italia. Ha vissuto<br />
in posizione non marginale le grandi svolte<br />
della Prima Repubblica, dal '68 alla terrib<strong>il</strong>e fase<br />
del terrorismo, dalla crisi del centrosinistra al crollo<br />
del "socialismo reale", fino a "tangentopoli". Ha<br />
pubblicato tra l'altro II catasto racconta (Le grandi<br />
riforme di Maria Teresa in Lombardia); Vento dell'Est;<br />
(L'Europa di Yalta dopo la caduta del muro di<br />
Berlino); Punti di luce nel deserto; ( Dalla implosione<br />
dell'Impero Romano d'Occidente alla nascita<br />
del Sacro Romano Impero); Noi, popolari europei,<br />
( Il ruolo del PPE nel futuro dell'Europa); Il Mediterraneo,<br />
crocevia del nostro futuro, (La centralità del<br />
Mediterraneo negli attuali scenari geopolitici); Per<br />
le Edizioni Bietti ha scritto: Nei labirinti del futuro e<br />
Il cuore di tenebra del XIX secolo.<br />
Angelo Frigerio, laureato in lettere moderne all'Università<br />
Cattolica di M<strong>il</strong>ano, con una tesi di ricerca<br />
empirica sui cambiamenti valoriali provocati dalla<br />
rivoluzione post-moderna E’ direttore di un periodico<br />
diffuso nel m<strong>il</strong>anese e autore di articoli e saggi<br />
sulle tendenze dei nuovi media. Con <strong>il</strong> padre<br />
Gianstefano ha già scritto Nei labirinti del futuro.
e c o n o m i a<br />
Forse Pier Luigi Bersani e Walter Veltroni non<br />
si erano parlati - almeno così vogliamo sperare<br />
- prima di intervenire nel dibattito sulla fiducia<br />
al Governo Berlusconi. Se fosse andata<br />
così tutto sarebbe, oggi, più chiaro e la diversità<br />
di toni usati troverebbe una spiegazione<br />
razionale. Duro e puntiglioso l’intervento del<br />
primo, conc<strong>il</strong>iante e sobrio <strong>il</strong> secondo. Quasi<br />
due linee se non proprio contrapposte, almeno<br />
dissonanti. Come spiegarle? Bersani è stato<br />
un ministro importante del Governo Prodi. È<br />
quindi plausib<strong>il</strong>e che, nel suo intervento, cercasse,<br />
in qualche modo, di difendere almeno<br />
parte della sua precedente esperienza. Veltroni<br />
aveva le mani libere. Anche lui ha elogiato<br />
l’ex premier, ma in modo più distaccato: quasi<br />
un atto dovuto.<br />
Basta questo a svelare <strong>il</strong> mistero? Probab<strong>il</strong>mente<br />
c’è dell’altro che attiene agli arcani dei<br />
rapporti interni al Pd ed alle diverse scuole di<br />
pensiero che si agitano nel fondo più limaccioso.<br />
Sta però <strong>il</strong> fatto che forse Bersani è andato<br />
oltre <strong>il</strong> limite della decenza. Trascinato dalla<br />
sua foga oratoria, ha espresso tesi e concetti<br />
che non trovano riscontro nei dati della realtà.<br />
Il tema è stato quello dell’eredità. Il lascito del<br />
Governo Berlusconi - questa la tesi sostenuta -<br />
era disastroso. Un’economia in crisi, uno squ<strong>il</strong>ibrio<br />
di b<strong>il</strong>ancio senza precedenti, la spada di<br />
Damocle di una procedura d’infrazione, avviata<br />
in sede comunitaria. Oggi - sono sempre i<br />
concetti espressi da Bersani - <strong>il</strong> nuovo governo<br />
ha «margini di intervento più ampi». Il deficit è<br />
stato domato, l’avanzo primario ricostituito, si è<br />
chiusa la procedura di infrazione. E le prospettive<br />
a breve dell’economia italiana? S<strong>il</strong>enzio<br />
assordante.<br />
Non è la prima volta che la sinistra ricorre al<br />
tentativo di dipingere una realtà di comodo. A<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
L’eredità di Prodi<br />
e la «falsa coscienza» di Bersani<br />
di Gianfranco Pol<strong>il</strong>lo<br />
35<br />
distanza di oltre un quinquennio, tanto per risvegliare<br />
la memoria, si nega ancora quello<br />
che accadde nel 2001. Quando Giulio Tremonti,<br />
appena giunto a via XX settembre, fu costretto<br />
a prendere atto di uno squ<strong>il</strong>ibrio finanziario<br />
senza precedenti. Allora <strong>il</strong> DPEF, firmato<br />
da Giuliano Amato come Presidente del Consiglio<br />
e da Vincenzo Visco, come ministro del tesoro,<br />
indicava un deficit per l’anno in corso pari<br />
allo 0,8 per cento. Recava, altresì, un commento<br />
elogiativo dell’attività di governo svolta<br />
fino ad allora. Secondo quel documento <strong>il</strong> risanamento<br />
finanziario era ormai strutturale. E chi<br />
osava dubitare - noi tra questi - di questa profezia<br />
trattato come un untore al tempo della<br />
peste di M<strong>il</strong>ano.<br />
Qualche tempo dopo sarà l’ISTAT a certificare<br />
lo stato effettivo dei conti pubblici, indicando un<br />
deficit - altro che risanamento strutturale - del<br />
3,1 per cento. Che poneva l’Italia, per la prima<br />
volta dalla nascita dell’euro, fuori dai parametri<br />
di Maastricht. Al tempo stesso si prevedeva<br />
una crescita media - nel quadriennio - del 3 per<br />
cento in termini reali. Altro dato surreale, la cui
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
inconsistenza sarebbe emersa fin dal primo<br />
anno. Ci si aspettava, pertanto, che a distanza<br />
di tempo si fosse almeno riconosciuto questo<br />
errore marchiano di previsione. Ed invece no.<br />
Guido Alborghetti, autorevole esponente del<br />
Ds, ancora nel 2005, scrisse un lungo saggio -<br />
Il libro nero del Governo Berlusconi - per dimostrare<br />
<strong>il</strong> contrario. Berlusconi aveva ereditato <strong>il</strong><br />
paradiso, per trasformarlo in un inferno. La cosa<br />
che sfuggì fu proprio <strong>il</strong> dato del 3,1 per cento<br />
che - ironia della sorte - l’autore mise sulla<br />
copertina del suo libro, senza indagare sulla<br />
precedente previsione.<br />
Oggi la storia si ripete, trasformando in farsa<br />
quella piccola tragedia. La tesi di Bersani, come<br />
si legge dai resoconti parlamentari, è che <strong>il</strong><br />
lascito di Giulio Tremonti sia stato un deficit del<br />
4,2 per cento. Non sappiamo da dove nasca<br />
questa cifra. Il 1 marzo del 2007, l’ISTAT, l’unica<br />
titolata a calcolare <strong>il</strong> valore dell’indebitamento,<br />
certificò che «l’indebitamento netto delle<br />
Amministrazioni pubbliche in rapporto al<br />
PIL» era «pari al 4,4 per cento». Al peggioramento<br />
rispetto all’anno precedente - aggiungeva<br />
subito dopo <strong>il</strong> comunicato - avevano contribuito<br />
«uscite per oneri straordinari pari a<br />
29.666 m<strong>il</strong>ioni di euro».<br />
Essi erano così costituiti:<br />
- rimborsi IVA sulle auto aziendali per un ammontare<br />
pari a 15.982 m<strong>il</strong>ioni, dovuti a seguito<br />
della sentenza della Corte di giustizia europea<br />
del 14 settembre 2006;<br />
36<br />
e c o n o m i a<br />
- cancellazione dei crediti dello Stato nei confronti<br />
della società TAV, con accollo diretto dei<br />
debiti contratti dalla società ISPA a vantaggio<br />
della prima, per un importo pari a 12.950 m<strong>il</strong>ioni<br />
di euro<br />
- retrocessione alla società di cartolarizzazione<br />
dei crediti di contributi sociali dovuti dai lavoratori<br />
agricoli per 734 m<strong>il</strong>ioni di euro.<br />
«Al netto di questi oneri straordinari - concludeva<br />
l’Ufficio di statistica - l’indebitamento netto<br />
in rapporto al PIL sarebbe risultato pari al 2,4<br />
per cento». Ben al disotto quindi di quanto richiesto<br />
dal Trattato di Maastricht ed in grado di<br />
attivare la procedura che avrebbe consentito,<br />
l’anno successivo, di archiviare la procedura di<br />
infrazione. Le tesi postume di un presunto disastro,<br />
quale lascito del governo Berlusconi,<br />
non trovano quindi fondamento nei documenti<br />
ufficiali. L’accollo dei debiti dell’ISPA era stato<br />
infatti una libera scelta del Governo Prodi, per<br />
un valore pari a circa 0,8 punti di PIL. Nulla da<br />
eccepire circa quella decisione, salvo r<strong>il</strong>evare<br />
la scorrettezza di chi vorrebbe imputarla al precedente<br />
Governo.<br />
Tralasciamo pure l’accollo dei crediti derivanti<br />
dai contributi sociali dovuti dai lavoratori agricoli,<br />
per <strong>il</strong> loro limitato importo. Occupiamoci invece<br />
della vicenda IVA sulle auto aziendali. Qui<br />
si raggiunge <strong>il</strong> massimo del paradosso. La stima<br />
della Ragioneria dello Stato era eccessiva<br />
fin dall’inizio e per la verità fummo in molti a denunciare<br />
<strong>il</strong> moral hazard. Non tanto perché le<br />
cifre indicate erano del tutto irrealistiche, ma<br />
perché la loro inesatta contab<strong>il</strong>izzazione avrebbe<br />
comportato rischi molto seri per la finanza<br />
pubblica italiana. Avrebbe fornito una falsa indicazione<br />
ai mercati finanziari con <strong>il</strong> rischio di<br />
determinare l’immediato abbassamento del rating<br />
e, quindi, <strong>il</strong> pericolo di un aumento dei tassi<br />
di interesse sui titoli da rinnovare.<br />
C’è voluto più di un anno, affinché questa ragionevole<br />
regola di prudenza fosse accettata<br />
dal Governo. Ecco cosa si legge nell’ultima relazione<br />
di cassa, firmata da Tommaso Padoa<br />
Schioppa. «La metodologia seguita inizialmente<br />
per l’imputazione della sentenza IVA sugli<br />
autoveicoli era stata quella di considerare come<br />
momento di registrazione la data della sen
e c o n o m i a<br />
tenza e di procedere ad una stima indiretta del<br />
potenziale numero dei contribuenti e del potenziale<br />
importo da rimborsare, nel presupposto<br />
che tutti gli aventi diritto presentassero istanza».<br />
Questa valutazione, tuttavia, contraddiceva<br />
alle disposizioni di legge emanate contestualmente<br />
e che riducevano drasticamente le<br />
possib<strong>il</strong>ità di un rimborso.<br />
Conseguenza? Con un anno di ritardo si cambiava<br />
indirizzo: adottando «una metodologia<br />
statistica diretta» già «ut<strong>il</strong>izzata per altri tipi di<br />
rimborso, in base alla quale <strong>il</strong> debito per la Stato<br />
viene registrato» solo «nel momento della<br />
validazione delle istanze di rimborso in seguito<br />
allo spoglio dell’amministrazione finanziaria».<br />
Non più un debito ipotetico, com’era nella previsione<br />
iniziale; ma un dato certo contab<strong>il</strong>izzato<br />
sulla base degli rimborsi effettivi. Ed ecco <strong>il</strong><br />
miracolo. «Di conseguenza - è scritto sempre<br />
nella Relazione di cassa - si è proceduto a eliminare<br />
l’onere straordinario per lo Stato per effetto<br />
della sentenza IVA sulle auto aziendali registrato<br />
nel 2006 e stimato pari a circa 16 m<strong>il</strong>iardi»<br />
sostituendolo con un «importo pari a<br />
847 m<strong>il</strong>ioni». Appena un ventesimo della valutazione<br />
iniziale.<br />
Pier Luigi Bersani non ha tenuto conto di questi<br />
elementi. Ed è strano che uno dei principali<br />
artefici della politica economica del Governo<br />
Prodi non abbia avuto <strong>il</strong> tempo di leggere uno<br />
dei più importanti documenti finanziari del suo<br />
stesso Governo. Poteva, almeno seguire, i bollettini<br />
dell’ISTAT. Avrebbe così avuto contezza<br />
del fatto che, in data 29 febbraio 2008, riclassificando<br />
gli oneri relativi alla sentenza sull’IVA<br />
contab<strong>il</strong>izzava un miglioramento dei conti pubblici,<br />
a fine 2006, pari a 15,9 m<strong>il</strong>iardi. Che unito<br />
alla «revisione del PIL hanno determinato un<br />
rapporto indebitamento / PIL pari al 3,4%, più<br />
basso di un punto percentuale rispetto al 4,4%<br />
stimato lo scorso anno.» Se da questo sottraiamo<br />
l’onere straordinario delle scelte operate<br />
(debiti ISPA e contributi degli agricoltori) si<br />
torna al valore effettivo del 2,4 per cento. Che<br />
rappresenta <strong>il</strong> lascito reale del Governo Berlusconi.<br />
Ma perché tanta voglia di far male al Paese?<br />
Questo resta l’interrogativo di fondo che ha ca-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
37<br />
ratterizzato la parabola del Governo di Romano<br />
Prodi. Non si dimentichi gli antefatti: la denuncia<br />
di uno stato di dissesto, poi dimostratosi<br />
inesistente; <strong>il</strong> riferimento alla crisi del 1992<br />
contenuto nel primo DPEF del nuovo Governo;<br />
i numeri alterati della due d<strong>il</strong>igence compiuta<br />
all’atto dell’insediamento. Insomma: <strong>il</strong> prevalere<br />
di una visione cupa e catastrofica. Mentre i<br />
dati reali dell’economia indicavano l’esatto contrario.<br />
Il fabbisogno dello Stato migliorava rapidamente,<br />
le entrate erariali - quei «tesoretti»<br />
che avrebbero costituito <strong>il</strong> tormentone di tutta<br />
la legislatura - si sarebbero dimostrate ben più<br />
consistenti.<br />
Gli obiettivi di questa strategia comunicativa<br />
erano evidenti. Da una lato dimostrare lo sfa-<br />
scio del precedente Governo. Dall’altro precostituire<br />
una linea di difesa contro le richieste<br />
della sinistra massimalista ed <strong>il</strong> suo obiettivo di<br />
«redistribuzione sociale». Infine: un pizzico di<br />
narcisismo. Vincenzo Visco voleva dimostrare<br />
ch’era in grado, da solo, di sconfiggere l’evasione<br />
e l’elusione fiscale. Elementi tutti distinti<br />
ma convergenti verso un unico obiettivo. Che<br />
poteva essere perseguito solo alterando - poco<br />
importa se ad arte o per semplice errore - i dati<br />
della realtà.<br />
Si prenda, a solo titolo d’esempio, i dati sulle<br />
entrate fiscali. In un grafico pubblicato dal Ministero<br />
dell’economia, sotto la guida di Padoa<br />
Schioppa e di Visco, risulta evidente che <strong>il</strong><br />
massimo incremento delle entrate si è verifica
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
to nel periodo gennaio-giugno del 2006. Quando<br />
ancora S<strong>il</strong>vio Berlusconi era Presidente del<br />
consiglio e Vincenzo Visco un deputato, seppure<br />
influente, dell’opposizione. In quel periodo<br />
<strong>il</strong> tasso di crescita delle entrate cumulate raggiunse<br />
l’apice del 12 per cento. Subito dopo,<br />
con <strong>il</strong> nuovo Governo, un lento e progressivo<br />
declino. Se lotta all’evasione vi fu, essa fu quindi<br />
regressiva. Stando almeno all’evidenza statistica.<br />
Cosa che ha lasciato indifferente Vincenzo<br />
Visco che ha continuato a parlare di oltre<br />
20 m<strong>il</strong>iardi di maggiori entrate, quale risultato<br />
della sua azione di contrasto nei confronti<br />
degli evasori.<br />
L’aver travisato i dati della realtà non è stato<br />
senza conseguenza per l’economia italiana.<br />
L’eredità di Giulio Tremonti era tale da garantire<br />
una gestione sobria della politica finanziaria.<br />
Si trattava solo di seguire la linea tracciata e<br />
conteggiare i risultati conseguiti, compresi gli<br />
effetti indiretti dei precedenti condoni fiscali.<br />
Che avevano premiato gli evasori più incalliti,<br />
ma li avevano anche costretti ad emergere e<br />
quindi a denunciare redditi che non potevano<br />
essere poi di nuovo mascherati. Invece è prevalsa<br />
nuovamente una furia iconoclastica, che<br />
ha avuto due distinti obiettivi: annullare quanto<br />
aveva fatto <strong>il</strong> precedente Governo (si pensi solo<br />
alla reintroduzione dell’imposta sulle successioni);<br />
spremere ulteriormente <strong>il</strong> contribuente<br />
per dar vita a quella politica del «tassa e spendi»<br />
che è stata la vera rovina politica del Governo<br />
Prodi.<br />
Nel 2006 la pressione fiscale è balzata, di colpo,<br />
dal 40,5 al 42,1 per cento del PIL, con un<br />
incremento di 1,6 punti. Nel 2007 l’incremento<br />
è stato solo leggermente più contenuto: 1,2<br />
punti di PIL fino ad un tetto del 43,3 per cento.<br />
Per <strong>il</strong> 2008 vedremo. La Relazione di cassa indica<br />
un leggero contenimento al 43,1 per cento<br />
del PIL. Ma le previsioni non sono attendib<strong>il</strong>i.<br />
I tecnici di via XX settembre hanno sottovalutato<br />
sia la dinamica delle entrate che le spese<br />
da effettuare. Il saldo di fine esercizio (2,4<br />
per cento del PIL) potrebbe pertanto, più o meno<br />
coincidere, con quello indicato. Ma <strong>il</strong> volume<br />
delle entrate sarebbe di gran lunga superiore<br />
e, con esso, la pressione fiscale effettiva.<br />
38<br />
e c o n o m i a<br />
Al di là di queste previsioni, le cifre a consuntivo<br />
dimostrano l’entità dello shock subito dall’economia<br />
italiana. La crescita della pressione fiscale<br />
ha inciso negativamente sulla propensione<br />
al consumo. Nel 2006, infatti, <strong>il</strong> PIL è cresciuto<br />
dell’1,8 per cento. Ma questo risultato, indubbiamente<br />
positivo, è più <strong>il</strong> frutto di un’<strong>il</strong>lusione<br />
ottica, che non della realtà. Se si depura l’effetto<br />
di trascinamento - vale a dire <strong>il</strong> migliore<br />
andamento degli ultimi due trimestri del 2005<br />
che si contab<strong>il</strong>izzano nel 2006 - la crescita sarebbe<br />
stata solo dello 0,8 per cento. Molto meno<br />
che non nell’anno precedente. Dato che,<br />
In un grafico pubblicato<br />
dal Ministero<br />
dell’economia, sotto la<br />
guida di Padoa Schioppa e<br />
di Visco, risulta evidente<br />
che <strong>il</strong> massimo incremento<br />
delle entrate si è<br />
verificato nel periodo<br />
gennaio-giugno del 2006.<br />
Quando ancora S<strong>il</strong>vio<br />
Berlusconi era Presidente<br />
del consiglio.<br />
purtroppo trova conferma nei dati più recenti.<br />
L’andamento del PIL trimestrale lo conferma. Il<br />
massimo di crescita si è avuta nei primi due trimestri<br />
del 2006, quando al timone era ancora<br />
S<strong>il</strong>vio Berlusconi. Allora la crescita fu dello 0,8<br />
e dello 0,6 per cento. Con la fine dell’estate ed<br />
<strong>il</strong> varo del decreto legge Bersani - Visco vi fu un<br />
primo stop, con un calo dell’indice allo 0,3 per<br />
cento. Quindi un rimbalzo di fine anno, con un<br />
aumento dell’1,1 per cento. Ed infine <strong>il</strong> lento<br />
declino che porterà <strong>il</strong> 2007 a chiudere con una<br />
crescita dell’1,5 per cento, sempre in termini
e c o n o m i a<br />
reali, per poi discendere rapidamente.<br />
A marzo di quest’anno, Tommaso Padoa<br />
Schioppa ha stimato un tasso di sv<strong>il</strong>uppo pari<br />
allo 0,6 per cento, come indicato dall’ultima relazione<br />
di cassa. Una valutazione che pecca di<br />
eccessivo ottimismo. La Commissione europea,<br />
ha limato questa cifra allo 0,5, dopo aver<br />
ridotto di circa 1 punto - <strong>il</strong> calo è significativo -<br />
le precedenti previsioni dello scorso autunno.<br />
Gli altri centri internazionali sono stati ben più<br />
drastici. Confindustria e FMI ritengono che l’economia<br />
italiana, nel 2008, non crescerà più<br />
dello 0,3 per cento. Crescita zero, quindi con riflessi<br />
immediati sugli stessi equ<strong>il</strong>ibri finanziari<br />
del Paese.<br />
Purtroppo i dati più recenti non inducono all’ottimismo.<br />
Il primo trimestre del 2008 si è chiuso<br />
con una crescita tendenziale dello 0,2 per cento.<br />
Contro <strong>il</strong> 2,6 per cento della Germania, <strong>il</strong> 2,5<br />
per cento degli Stati Uniti e del Regno Unito,<br />
nonché <strong>il</strong> 2,2 per cento della Francia. Quindi<br />
«maglia nera» per l’economia italiana. Un triste<br />
primato che non accenna a passare. L’analisi<br />
di medio periodo mostra che l’economia ha<br />
cessato di crescere a partire dall’ultimo trimestre<br />
del 2006, quando <strong>il</strong> suo incremento tendenziale<br />
fu del 2,5 per cento. Poi vi fu la prima<br />
«finanziaria» del Governo Prodi e quindi l’avvio<br />
di una fase discendente che non sembra essersi<br />
conclusa.<br />
Non tragga in inganno <strong>il</strong> dato di una crescita<br />
congiunturale dello 0,4 per cento per <strong>il</strong> primo<br />
trimestre del 2008. È un semplice rimbalzo, dopo<br />
l’analoga caduta del trimestre precedente.<br />
Se si tiene conto di quest’elemento <strong>il</strong> risultato<br />
è, appunto come si diceva in precedenza, una<br />
«crescita zero» nell’ultimo semestre, anche da<br />
un punto di vista congiunturale. Dal varo dell’ultima<br />
finanziaria, le diverse componenti <strong>il</strong><br />
reddito nazionale hanno subito un andamento<br />
declinante. Sono diminuiti consumi ed investimenti.<br />
L’estero (export - import) ha svolto un<br />
ruolo negativo, salvo la crescita del penultimo<br />
trimestre del 2006. Il fiscalismo di Visco e Tommaso<br />
Padoa Schioppa, insomma, in una congiuntura<br />
internazionale che virava verso <strong>il</strong> peggio,<br />
ha determinato uno shock deflativo, che ha<br />
bruciato la debole ripresa del 2006.<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
39<br />
Vedremo, quindi, cosa accadrà nei prossimi<br />
mesi. Molto dipenderà dalla crescita tedesca. I<br />
dati del primo trimestre sono stati sorprendentemente<br />
positivi, al punto da spingere l’OCSE a<br />
rivedere al rialzo le stime per l’intera Europa.<br />
L’export ancora tiene, ma fino a quando le nostre<br />
esportazioni potranno garantire <strong>il</strong> finanziamento<br />
delle importazioni? Con i prezzi del petrolio,<br />
delle materie prime e dei prodotti alimentari<br />
che corrono al rialzo? Gli indici della<br />
produzione industriale, del fatturato e degli ordinativi<br />
sono in calo. Negli ultimi 8 mesi, terminati<br />
a marzo, <strong>il</strong> fatturato delle imprese che producono<br />
beni durevoli è diminuito del 9 per cento.<br />
Quello delle aziende che producono energia,<br />
invece, è aumentato del 37 per cento. La<br />
doppia faccia di una crisi che colpisce quei beni,<br />
<strong>il</strong> cui consumo può essere differito; mentre<br />
salassa <strong>il</strong> consumatore su quelli indispensab<strong>il</strong>i,<br />
come appunto l’energia.<br />
È diffic<strong>il</strong>e dire come evolverà la crisi. Molto dipenderà<br />
dalla tenuta dell’economia americana.<br />
Se le cose andranno meglio vi sarà un maggior<br />
respiro per l’Europa, che garantirà <strong>il</strong> trend attuale.<br />
Un drappello nutrito di aziende - circa <strong>il</strong><br />
25 per cento del totale - continuerà a fare affari<br />
all’estero. Ma <strong>il</strong> volano risulterà insufficiente<br />
per contagiare <strong>il</strong> resto dell’Italia. Con una frattura<br />
geografica profonda, <strong>il</strong> cui confine si è spostato<br />
verso Nord. Lambisce l’Em<strong>il</strong>ia, ma taglia<br />
<strong>il</strong> resto del Paese, compresa la Capitale. Dove<br />
<strong>il</strong> cosiddetto «modello Roma» mostra ormai<br />
tutti i suoi limiti. Se invece la recessione americana<br />
dovesse accentuarsi c’è da temere <strong>il</strong> peg
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
gio. La caduta intervenuta nei consumi interni<br />
espone infatti <strong>il</strong> Paese ai capricci ed ai venti<br />
della situazione internazionale. Venuto meno <strong>il</strong><br />
suo basamento strutturale, l’Italia è come quei<br />
pupazzi di gomma che si regalano ai bambini.<br />
Basta una leggera spinta per rovesciarli.<br />
Quale sarà <strong>il</strong> riflesso di questi avvenimenti sugli<br />
equ<strong>il</strong>ibri finanziari complessivi? Uno dei temi<br />
di polemica dell’intervento di Pier Luigi Bersani<br />
è stato l’andamento dell’avanzo primario.<br />
«Un conto - ha detto tra gli applausi dell’emiciclo<br />
- è partire da un avanzo primario pari a zero,<br />
un conto è partire con l’avanzo primario al<br />
3, col debito che cala invece di crescere». Rivendicazione<br />
orgogliosa, ma anche giustificata?<br />
Solo in parte. Nel 2005 l’avanzo primario<br />
era pari solo allo 0,3 per cento del PIL. Nel<br />
2007 è stato invece del 3,1 per cento. Nei due<br />
anni del Governo Prodi si è passati prima<br />
all’1,2, quindi alla cifra ricordata. Nel 2006 quel<br />
risultato è stato conseguito aumentando le entrate<br />
dell’1,7 e le spese dello 0,8. Nel periodo<br />
successivo, invece, le entrate sono aumentate<br />
dell’1,3 per cento del PIL, le spese sono diminuite<br />
dello 0,6 per cento. L’effetto cumulato di<br />
questi diversi andamenti ha prodotto le conseguenze<br />
positive che abbiamo registrato. Ma<br />
quel taglio della spesa è stato effettivo o non si<br />
è trattato di un semplice rinvio?<br />
Le previsioni per <strong>il</strong> 2008, anno in cui l’avanzo<br />
primario è previsto diminuire di 0,6 punti sembrerebbe<br />
confermare quest’ultima ipotesi. Avvalorata,<br />
del resto, da polemiche recenti. Il primo<br />
segnale d’allarme era stato lanciato da Il<br />
sole 24 ore. «Buco da 7 m<strong>il</strong>iardi nei conti del<br />
2008»: aveva titolato nell’edizione del 10 febbraio<br />
2008. Ne erano seguite vivaci polemiche<br />
che avevano costretto a scendere in campo lo<br />
stesso direttore, in un corsivo del 12 febbraio.<br />
«Che ci siano i sette m<strong>il</strong>iardi di spese inattese<br />
- aveva scritto - per contratti pubblici, investimenti<br />
Fs, emergenza rifiuti e costi per le elezioni<br />
...è fuor di dubbio. Si chiamino buco o meno<br />
può essere un dettaglio: i danari vanno trovati».<br />
Seguiva una smentita da parte di Tommaso<br />
Padoa Schioppa, che, invece, non<br />
smentiva.<br />
Le nuove spese ancora «non iscritte a b<strong>il</strong>an-<br />
40<br />
e c o n o m i a<br />
cio», come precisava un comunicato di Via XX<br />
Settembre, riguardavano appunto le FFSS (2<br />
m<strong>il</strong>iardi), quelle rinviate l’anno precedente (1,8<br />
m<strong>il</strong>iardi), i contratti pubblici (tra i 2 ed i 6 m<strong>il</strong>iardi),<br />
<strong>il</strong> problema rifiuti della Campania (0,6 m<strong>il</strong>iardi)<br />
<strong>il</strong> costo delle elezioni (tra i 300 ed i 600<br />
m<strong>il</strong>ioni). Tirando le somme si giungeva alla cifra<br />
indicata. Dunque una piccola catastrofe?<br />
Forse meno grave di quanto a prima vista potesse<br />
apparire.<br />
Per svelare <strong>il</strong> mistero occorre interrogarsi sulle<br />
tendenze effettive della legislazione vigente e<br />
sull’andamento del gettito erariale.<br />
Nell’ultima relazione di cassa, predisposta da<br />
Tommaso Padoa Schioppa, era previsto un aumento<br />
delle entrate erariali, su base annua, del<br />
2,4 per cento e dei contributi sociali del 4,6 per<br />
cento. Grazie a questi limitati incrementi, la<br />
pressione fiscale, sempre secondo quelle previsioni<br />
sarebbe scesa dal 43,3 per cento al<br />
43,1. Una buona notizia per <strong>il</strong> Governo. Nell’imminente<br />
campagna elettorale avrebbe potuto<br />
sostenere che dopo una «finanziaria» lacrime<br />
e sangue si sarebbe venuto incontro, seppure<br />
con <strong>il</strong> gradualismo indispensab<strong>il</strong>e, alle<br />
esigenze del contribuente. Si tornava a dare,<br />
seppure in misura limitata, quanto si era preso<br />
in precedenza.
e c o n o m i a<br />
Erano credib<strong>il</strong>i quelle proiezioni? Tutt’altro. Nel<br />
2005 e nel 2006 l’elasticità delle entrate rispetto<br />
al PIL era stata rispettivamente pari a 2,04 e<br />
1,69. Con questo indicatore si intende <strong>il</strong> rapporto<br />
che intercorre tra crescita delle entrate<br />
ed aumento del PIL. Nelle proiezioni per <strong>il</strong><br />
2008, questo rapporto scendeva invece a 0,86:<br />
un’evidente sottovalutazione del gettito futuro.<br />
Sottovalutazione voluta: forse proprio per giustificare<br />
quelle maggiori uscite non iscritte a b<strong>il</strong>ancio.<br />
Fondi occultati - un ulteriore «tesoretto»?<br />
- ma già impegnati per sostenere le maggiori<br />
ed ulteriori spese. Se tutto fosse stato correttamente<br />
contab<strong>il</strong>izzato, la pressione fiscale<br />
sarebbe non scesa, ma ulteriormente aumentata.<br />
E lo stesso si sarebbe verificato per la<br />
spesa. Un’ulteriore dimostrazione di quella politica<br />
del «tassa e spendi» che ha caratterizzato<br />
l’intera precedente legislatura.<br />
È giusta questa analisi? Nei primi 3 mesi del<br />
2008 le entrate erariali sono aumentate del 5,3<br />
per cento, stando almeno ai dati contenuti nel<br />
bollettino edito dall’Agenzia delle entrate, contro<br />
una previsione del 2,4 per cento. Il maggior<br />
incremento si è registrato nell’IRE (10,5 per<br />
cento) e nell’IRES, l’imposta sulle imprese (47<br />
per cento). Le imposte indirette, soprattutto a<br />
causa del rallentamento intervenuto nella dinamica<br />
del PIL, mostrano, invece, una leggera<br />
flessione (- 0,4 per cento). Se le tendenze in atto<br />
dovessero proseguire, a fine anno, <strong>il</strong> «tesoretto»<br />
dovrebbe ammontare a circa 13 m<strong>il</strong>iardi.<br />
Sarebbe, quindi, sufficiente a coprire le maggiori<br />
spese, precedentemente indicate con un<br />
surplus di circa 6 m<strong>il</strong>iardi. Ma sarà così?<br />
Un pizzico di maggior ottimismo nasce dai<br />
cambiamenti interventi nella situazione politica.<br />
Nella Relazione di cassa, più volte citata, Tommaso<br />
Padoa Schioppa indicava leva spese<br />
non contab<strong>il</strong>izzate. Si trattava principalmente<br />
dei «contratti di servizio e di programma del<br />
gruppo FS. Anche se la quantificazione al momento<br />
- precisa <strong>il</strong> documento - è oggetto di<br />
confronto con le società interessate, le risorse<br />
aggiuntive potrebbero ammontare a un massimo<br />
di 1,5 m<strong>il</strong>iardi di euro». Restava, quindi <strong>il</strong><br />
nodo dei contratti dei pubblici dipendenti. «La<br />
legge finanziaria per <strong>il</strong> 2008 - precisa sempre <strong>il</strong><br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
41<br />
documento - non ha appostato ex ante le risorse<br />
necessarie per la chiusura dei contratti. La<br />
scelta è motivata sia dalla volontà di avere una<br />
trattativa con la controparte sindacale che affronti<br />
congiuntamente la questione delle risorse<br />
finanziarie e delle regole per la loro distribuzione».<br />
Vista anche l’ipotesi della cosiddetta<br />
«triennalizzazione» del contratto stesso. Esistono,<br />
quindi, dei margini per <strong>il</strong> nuovo Governo<br />
per gestire le nuove spese in modo più rigoroso.<br />
Non cedendo alla pressione della sinistra<br />
massimalista e del «partito della spesa».<br />
Su questa previsioni pesano, tuttavia, due incognite.<br />
I dati di apr<strong>il</strong>e, disponib<strong>il</strong>i solo per cassa,<br />
mostrano un forte raffreddamento delle entrate.<br />
Preoccupa, in particolare, l’andamento<br />
dell’IVA che ha registrato una brusca flessione<br />
(-6 per cento) rispetto al corrispondente periodo<br />
dell’anno precedente. Occorrerà, pertanto,<br />
seguire con grande attenzione l’evoluzione dei<br />
mesi a venire. Anche se l’andamento del «fabbisogno<br />
dello Stato», per <strong>il</strong> mese di maggio lascia<br />
più tranqu<strong>il</strong>li. Nonostante la perdita di gettito<br />
dell’IVA, nei primi 5 mesi dell’anno assistiamo<br />
ad un miglioramento di circa 6 m<strong>il</strong>iardi.<br />
Sempre a maggio, <strong>il</strong> miglioramento, rispetto al<br />
corrispondente mese dell’anno precedente, è<br />
stato di circa 3,2 m<strong>il</strong>iardi. Insomma, stando a<br />
questi dati, <strong>il</strong> gettito continua a crescere. Si<br />
tratterà di vedere se sarà confermato a giugno:<br />
mese in cui dovranno essere effettuati pagamenti<br />
di competenza del mese precedente.<br />
Il secondo elemento di preoccupazione è l’effettivo<br />
andamento del PIL. Finora la crescita<br />
acquisita, calcolata cioè ipotizzando una crescita<br />
pari a zero nei tre successivi trimestri, è
VASSILIS VASSILIKOS<br />
Z L’orgia del potere<br />
Pagine: 410<br />
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Collana: Biblioteca Bietti<br />
Il 22 maggio del 1963 <strong>il</strong> deputato della sinistra greca<br />
Lambrakis fu ucciso al centro di Salonicco da un estremista<br />
di destra in un attentato effettuato con la complicità e<br />
la copertura dalla polizia e di settori oltranzisti delle forze<br />
armate greche. Con Z, lettera iniziale della parola greca<br />
che significa “vive”, è fissata nel racconto la figura dell’ucciso.<br />
“Vangos” è invece <strong>il</strong> nome che copre <strong>il</strong> suo assassino,<br />
mentre un intero “Jurassik Park” di nomi di animali<br />
preistorici vela l’identità dei potenti complici occulti del delitto<br />
che l’indagine di un ostinato giudice istruttore farà<br />
emergere come colpevoli mandanti. Il giudice dopo la caduta<br />
del regime dei colonnelli diventerà, negli anni 80, presidente<br />
della Repubblica greca. Questa nuova edizione<br />
italiana del capolavoro di Vass<strong>il</strong>ikos fa emergere, anche<br />
per effetto della traduzione diretta dall’originale greco, la<br />
straordinaria incisività di linguaggio con cui l’autore scandisce<br />
la cadenza narrativa di quello che è ormai considerato<br />
un capolavoro della letteratura e che ha la forza di<br />
una tragedia classica i cui personaggi sono ormai assunti<br />
a moderni archetipi dell’eterna lotta tra <strong>il</strong> bene e <strong>il</strong> male,<br />
tra la tirannide e la libertà.<br />
IL PIÙ IMPORTANTE ROMANZO<br />
POLITICO DELLA SECONDA METÀ<br />
DEL NOVECENTO<br />
Vass<strong>il</strong>is Vass<strong>il</strong>ikos, scrittore greco nato nel 1934.<br />
Sorpreso all’estero dal colpo di stato dei colonnelli greci,<br />
non rientra nel suo paese che dopo la caduta del regime<br />
da loro instaurato. Vive gli anni dell’es<strong>il</strong>io in Italia e in<br />
Francia. Autore di oltre novanta libri, raggiunge <strong>il</strong><br />
massimo della fama col romanzo «Z», da cui <strong>il</strong> regista<br />
Costa Gavras trasse uno straordinario f<strong>il</strong>m.<br />
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l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
42<br />
e c o n o m i a<br />
pari allo 0,2 per cento. Quando la relazione di<br />
cassa prevedeva una crescita più sostenuta:<br />
0,6 per cento. Se la congiuntura non dovesse<br />
migliorare, rispetto alle attuali tendenze,<br />
avremmo una crescita delle entrate molto più<br />
contenute. Le ultime previsioni sugli andamenti<br />
del PIL sono state fornite dall’OCSE. Esse<br />
prevedono, per <strong>il</strong> 2008, una crescita dello 0,5<br />
per cento e per <strong>il</strong> 2009 dello 0,9.<br />
La stampa italiana ha accolto queste notizie<br />
con grande preoccupazione. Sono giustificate?<br />
In parte. Paradossalmente, preoccupa più <strong>il</strong><br />
2009 che non <strong>il</strong> 2008. Per l’anno in corso, le<br />
previsioni di altri centri internazionali - ad<br />
esempio <strong>il</strong> FMI - erano state più pessimistiche.<br />
E lo stesso era avvenuto per Confindustria.<br />
L’OCSE conferma invece la previsione contenuta<br />
nella Relazione di cassa (0,6 per cento<br />
per <strong>il</strong> 2008) mentre la riduce: 0,9 contro l’1,2<br />
per <strong>il</strong> 2009. Ma quell’anno è ancora lontano, almeno<br />
da un punto di vista macro - economico.<br />
Vi sarà quindi <strong>il</strong> tempo per intervenire. Del resto<br />
<strong>il</strong> Ministro Tremonti, consapevole di questi<br />
problemi, sta predisponendo una «legge finanziaria»<br />
triennale per agire strategicamente sulle<br />
diverse variab<strong>il</strong>i del quadro finanziario e<br />
quindi giungere all’appuntamento del 2011 - b<strong>il</strong>ancio<br />
a pareggio - preparato.<br />
È un quadro complesso e variegato quello che<br />
abbiamo cercato di descrivere. Dove gli elementi<br />
di incertezza sono maggiori, rispetto a<br />
quanto è possib<strong>il</strong>e, oggi, prevedere. Minor dubbi,<br />
invece, sul lascito del Governo Prodi. Con<br />
un pizzico di fortuna, potremmo chiudere <strong>il</strong><br />
2008 con un deficit di b<strong>il</strong>ancio compreso tra <strong>il</strong><br />
2,4 ed <strong>il</strong> 2,7 per cento del PIL ed una crescita<br />
economica tra lo 0,2 e lo 0,5. Valori decisamente<br />
peggiori, rispetto al lascito del Governo<br />
Berlusconi, a favore di Romano Prodi. Allora <strong>il</strong><br />
deficit accertato, depurato come abbiamo vista<br />
dalle operazioni di carattere straordinario, fu<br />
del 2,4 per cento. Ma con un tasso di crescita<br />
dell’economia pari all’1,8 per cento. Numeri<br />
che dovrebbero mitigare <strong>il</strong> rimpianto di Pier Luigi<br />
Bersani. Purtroppo <strong>il</strong> lascito del Governo<br />
Prodi è ben peggiore del presunto disastro che<br />
<strong>il</strong> Governo Berlusconi avrebbe lasciato in eredità<br />
al suo successore.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Le riforme contrattuali<br />
prossime venture<br />
di Giuliano Cazzola<br />
Vice Presidente della Commissione Lavoro della Camera<br />
Prima di partire per Napoli (dove sono state assunte<br />
le prime importanti decisioni in tema di<br />
lavoro), <strong>il</strong> Governo ha incontrato le parti sociali<br />
alle quali ha sottoposto le misure da adottare<br />
per la detassazione del lavoro straordinario e<br />
dei premi incentivanti. L’incontro – se mai ce ne<br />
fosse stato bisogno – ha messo subito in evidenza<br />
l’inadeguatezza della prassi della concertazione.<br />
Intorno al tavolo di Palazzo Chigi<br />
avevano trovato posto alcune decine di organizzazioni,<br />
tanto che si era reso necessario<br />
contingentare <strong>il</strong> tempo degli interventi. In sostanza,<br />
i Governi di centro sinistra hanno teorizzato<br />
e praticato la concertazione per un<br />
semplice motivo: i soli interlocutori a cui dare<br />
ascolto erano i sindacati; gli altri o facevano<br />
tappezzeria o restavano fuori della porta.<br />
Con <strong>il</strong> nuovo esecutivo i sindacati hanno tenuto,<br />
fino ad ora, una linea di condotta prudente,<br />
espressione di un reale imbarazzo: quello di<br />
I Governi di centro<br />
sinistra hanno teorizzato<br />
e praticato la<br />
concertazione per un<br />
semplice motivo: i soli<br />
interlocutori a cui dare<br />
ascolto erano i sindacati;<br />
gli altri o facevano<br />
tappezzeria o restavano<br />
fuori della porta.<br />
44<br />
e c o n o m i a<br />
gruppi dirigenti che avvertono di non potere opporsi<br />
a provvedimenti (che non piacciano) solo<br />
perché, altrimenti, rischierebbero di essere<br />
scavalcati dai lavoratori i quali, invece, guardano<br />
con favore alle proposte annunciate. L’incontro,<br />
ancorché affrettato ed interlocutorio, è<br />
stato, tuttavia, molto ut<strong>il</strong>e per valutare le reazioni<br />
delle diverse confederazioni, per ora riunite<br />
intorno a posizioni comuni.<br />
Cisl e U<strong>il</strong> hanno lasciato chiaramente intendere<br />
di non essere disposte a scendere in campo<br />
contro un Governo forte e dotato di un consenso<br />
tanto ampio. La Cg<strong>il</strong>, dal canto suo, non ha<br />
ancora scelto un indirizzo preciso. Avverte su<br />
di sé <strong>il</strong> peso di un’opposizione politica ripetutamente<br />
sconfitta e intenta a leccarsi le ferite e<br />
non si sente di portare avanti in perfetta solitudine<br />
(essendosi autoaffondata anche la sinistra<br />
radicale) una guerra aperta al nuovo esecutivo<br />
(a meno che esso non gliene dia <strong>il</strong> destro).<br />
Ad Epifani è bastato prendere le distanze, mettere<br />
sul tavolo tutti i possib<strong>il</strong>i «distinguo». Intanto<br />
la crisi del rapporto con la Fiom si è fatta più<br />
acuta e preoccupante. La potente federazione<br />
dei metalmeccanici si è apertamente schierata<br />
contro <strong>il</strong> progetto formulato da Cg<strong>il</strong>, Cisl e U<strong>il</strong><br />
sulla riforma delle regole della contrattazione.<br />
Questa presa di posizione è molto più gravida<br />
di conseguenze negative di quella assunta nell’autunno<br />
scorso nei confronti del protocollo del<br />
luglio precedente. E non solo perché inciderà<br />
sulla consultazione dei lavoratori. Questa volta<br />
non potranno essere i pensionati a salvare le<br />
segreterie confederali. Se una delle più importanti<br />
categorie dell’industria (ormai caduta nelle<br />
mani di un gruppo dirigente estremista) rifiuta i<br />
nuovi assetti, in nome della difesa ad oltranza
e c o n o m i a<br />
della contrattazione nazionale, ciò significa che<br />
al momento della messa in pratica dei nuovi criteri<br />
non ci sarà modo di trovare intese ragionevoli<br />
con le controparti.<br />
Potrebbe mai la Confindustria prendere sul serio<br />
un negoziato ed un accordo, già sconfessati<br />
anticipatamente nel settore metalmeccanico?<br />
È chiaro, dunque, che la «trattativa del secolo»<br />
non partirà neppure questa volta. O, se anche<br />
dovesse iniziare per motivi di prestigio, uno dei<br />
principali interlocutori, la Cg<strong>il</strong>, sarà talmente<br />
condizionata dai propri problemi interni da somigliare<br />
di più ad un classico “convitato di pietra”<br />
che ad un soggetto pronto a cogliere le<br />
sfumature e le opportunità offerte dal negoziato.<br />
Che cosa faranno a quel punto la Cisl e la<br />
U<strong>il</strong>? E quale sarà l’atteggiamento della nuova<br />
leadership di viale dell’Astronomia? Sembra<br />
diffic<strong>il</strong>e ipotizzare una svolta radicale nel campo<br />
delle relazioni industriali in cui venga messa<br />
in conto anche la scelta di accordi «con chi ci<br />
sta». Ma non sarebbe neppure opportuno darla<br />
vinta ai «professionisti del veto». Spetterebbe,<br />
allora, al fronte padronale di drammatizzare<br />
una situazione ormai non solo insostenib<strong>il</strong>e,<br />
ma sul punto di marcire.<br />
Le maggiori organizzazioni imprenditoriali dovrebbero<br />
– con l’appoggio del governo – decidere<br />
la disdetta del protocollo del 1993, proclamando<br />
nel contempo la propria intenzione di<br />
cercare direttamente accordi con i lavoratori. A<br />
quel punto qualcosa si metterà pur in moto.<br />
Certo, si aprirebbe un periodo di conflittualità<br />
«a macchia di leopardo», limitato alle realtà in<br />
cui la Cg<strong>il</strong> avrebbe la forza di «fare da sola».<br />
Ma prima o poi si arriverebbe ad un auspicato<br />
chiarimento. Anche mettendo in conto la ridefinizione<br />
di un diverso pluralismo sindacale che<br />
presupponga una scissione nella Cg<strong>il</strong> e la costruzione,<br />
alla sua sinistra, di un polo più radicale,<br />
capace di ricomprendere le organizzazioni<br />
del sindacalismo corporativo ed estremista.<br />
Tornando a noi, avrà, dunque, un futuro l’intesa<br />
raggiunta da Cg<strong>il</strong>, Cisl e U<strong>il</strong> sulle «Linee di<br />
riforma della struttura della contrattazione»?<br />
Rispondere a questo interrogativo è diffic<strong>il</strong>e.<br />
Ma la domanda vera è un’altra. Sarebbe conveniente<br />
e all’altezza della situazione un esito<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
45<br />
del negoziato come quello tratteggiato nell’intesa<br />
sindacale? In verità è assai discutib<strong>il</strong>e che<br />
si tratti di un progetto innovativo, aderente alle<br />
esigenze del sistema delle imprese e dei lavoratori.<br />
In verità, ad essere rafforzato e potenziato<br />
è <strong>il</strong> livello nazionale che svolge addirittura<br />
la funzione di «centro regolatore» per la definizione<br />
delle competenze da affidare al secondo<br />
livello, fino a prevedere persino che «la<br />
contrattazione salariale ...si sv<strong>il</strong>uppi a partire<br />
da una quota fissata dagli stessi CCNL».<br />
Sono previsti, poi, alcuni vincoli che possono<br />
entrare in conflitto con le più recenti tendenze<br />
dell’organizzazione della produzione e del lavoro<br />
come gli appalti, gli outsourcing, le cessioni<br />
di azienda. Per queste forme vanno definiti<br />
– suggerisce l’intesa – accordi e norme<br />
quadro per garantire condizioni normative, salariali<br />
e di sicurezza in grado di arginare <strong>il</strong> fenomeno<br />
del dumping contrattuale «in particolare<br />
con la piena ut<strong>il</strong>izzazione della “clausola sociale”».<br />
Al contratto nazionale resta affidato <strong>il</strong><br />
compito di adeguare periodicamente <strong>il</strong> salario<br />
al costo della vita. Desta però qualche interrogativo<br />
l’adozione del criterio della «inflazione<br />
realisticamente prevedib<strong>il</strong>e», (unitamente al<br />
superamento del c.d. biennio economico).<br />
Si rinuncia, così, ad uno dei capisaldi del protocollo<br />
del 1993, laddove <strong>il</strong> riferimento all’inflazione<br />
programmata (salvo eventuale conguaglio<br />
successivo) era finalizzato a contenere l’incremento,<br />
giocando d’anticipo. Il suddetto indicatore,<br />
peraltro, non costituiva una camicia di<br />
forza per le retribuzioni dei lavoratori, ma un
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
tentativo – non sempre riuscito – di difendere <strong>il</strong><br />
loro potere d’acquisto. Il nuovo concetto di «inflazione<br />
realisticamente prevedib<strong>il</strong>e», rischia,<br />
invece, di trasformarsi in una «scala mob<strong>il</strong>e»,<br />
travestita e priva di ambizioni rispetto alla politica<br />
economica del Paese.<br />
Ciò detto per <strong>il</strong> livello nazionale (va incoraggiato<br />
<strong>il</strong> proposito di accorpare i contratti, ora in numero<br />
di oltre 400), alle modifiche proposte per<br />
la contrattazione decentrata non è attribuib<strong>il</strong>e<br />
un percorso di rafforzamento. In tema di regole<br />
della rappresentanza è prevista una sorta di<br />
certificazione da parte del Cnel. I nuovi compiti<br />
affidati al Consiglio di V<strong>il</strong>la Lubin rischiano di<br />
prefigurare un percorso diverso dai criteri previsti<br />
dall’articolo 39 Cost.: una norma inapplicata<br />
e desueta, ma tuttora in vigore.<br />
Nel paese, poi, è aperto un altro problema ben<br />
più significativo di quello attinente all’actio finium<br />
regundorum tra la contrattazione centrale e<br />
quella decentrata. La questione è stata individuata<br />
– autorevolmente – da Il Sole 24 Ore, <strong>il</strong><br />
quale ha calcolato - come e in che misura - una<br />
contrattazione uniforme a livello nazionale favorisca<br />
<strong>il</strong> Sud, grazie al differenziale del costo della<br />
vita (rispetto a quello più elevato delle regioni<br />
settentrionali). Per uscire da questo cul de sac,<br />
che genera solo lavoro sommerso, occorre mettere<br />
in discussione <strong>il</strong> principio della inderogab<strong>il</strong>ità<br />
(<strong>il</strong> suo superamento è all’ordine del giorno in<br />
tutta Europa) delle norme contrattuali in forza<br />
del quale due livelli di negoziazione continuano<br />
ad essere contemplati, da noi, in una prospetti-<br />
46<br />
e c o n o m i a<br />
va aggiuntiva (l’intesa intersindacale usa l’aggettivo<br />
‘accrescitiva’) e di progressivo miglioramento<br />
dei salari e delle condizioni di lavoro.<br />
In Germania, ad esempio, questa ricerca si è<br />
concretizzata nella introduzione delle “clausole<br />
di apertura” (applicate nel 35 per cento delle<br />
aziende e nel 22 per cento degli uffici) che consentono<br />
di scendere al di sotto degli standard<br />
previsti dai contratti collettivi (è frequente la<br />
prassi delle retribuzioni agganciate agli ut<strong>il</strong>i).<br />
Anche in Italia, nel 1997, la Commissione presieduta<br />
da Gino Giugni studiò – per incarico del<br />
primo Governo Prodi – <strong>il</strong> problema della riforma<br />
della contrattazione (ne facevano parte sia<br />
Massimo D’Antona che Marco Biagi) e arrivò a<br />
prefigurare un’ipotesi derogatoria incentrata<br />
sulle “clausole d’uscita” rispetto a quanto definito<br />
dalla contrattazione nazionale. Si tratta di<br />
un’esigenza tuttora valida (già recepita nella<br />
contrattazione del settore chimico) e divenuta<br />
più pressante in un ordinamento federalista e a<br />
fronte dei problemi di sv<strong>il</strong>uppo del Mezzogiorno,<br />
le cui realtà produttive non sono in grado di<br />
«sostenere» una regolazione del lavoro sostanzialmente<br />
e forzatamente uniforme.<br />
Per esprimere una valutazione compiuta dei<br />
provvedimenti di carattere economico e fiscale<br />
che <strong>il</strong> Governo ha varato a Napoli è bene partire<br />
dalle critiche che sono state rivolte fin dalle<br />
prime anticipazioni. Sarà opportuno leggere<br />
con cura i testi per ora solo anticipati nelle loro<br />
linee generali. Cominciamo dalle osservazioni<br />
di metodo. È stato sostenuto dall’opposizione<br />
che le misure adottate sono onerose e non costituiscono<br />
una priorità. Questa considerazioni<br />
è stata avanzata, in modo prevalente, con riferimento<br />
all’abolizione totale dell’Ici sulla prima<br />
casa. Si sono tirate in ballo le minori entrate<br />
degli enti locali, come se analogo problema<br />
(magari in dimensioni più ridotte) non si fosse<br />
posto nel momento in cui era stato l’Esecutivo<br />
Prodi a decidere una riduzione parziale dell’imposta<br />
sulla casa, agendo come se questa non<br />
fosse anche la principale preoccupazione del<br />
Governo, <strong>il</strong> quale è orientato a provvedere in<br />
via transitoria alla copertura del mancato gettito<br />
in sede locale, nella prospettiva dell’avvio<br />
del federalismo fiscale che affronterà (speria
e c o n o m i a<br />
mo risolverà) l’annosa questione della ripartizione<br />
delle risorse fiscali tra centro e periferia.<br />
Altri r<strong>il</strong>ievi sono stati rivolti alle misure di detassazione<br />
del lavoro straordinario e dei premi incentivanti.<br />
Prima di entrare nel merito, sarà bene<br />
ricordare un aspetto cruciale del pacchetto<br />
«Napoli-lavoro». I temi dell’Ici e della detassazione<br />
hanno dominato quasi sempre la campagna<br />
elettorale, nel senso che – a torto o a ragione<br />
a seconda dei punti di vista – <strong>il</strong> PdL ne<br />
ha continuamente parlato, senza infingimenti di<br />
alcun tipo. Poiché nei due anni che abbiamo alle<br />
spalle gran parte del dibattito interno all’Unione<br />
si svolgeva sull’esegesi e l’attuazione del<br />
programma di 285 pagine forgiato nel loft di<br />
Prodi nel 2006, non sembra possa destare meraviglia<br />
che la nuova coalizione di governo pretenda<br />
di dare attuazione alle priorità proposte<br />
come tali agli elettori (quelle stesse indicazioni<br />
programmatiche che presumib<strong>il</strong>mente hanno<br />
pure contribuito alla netta vittoria dell’alleanza<br />
PdL-Lega del 13-14 apr<strong>il</strong>e). La maggioranza è<br />
convinta di aver varato delle proposte ut<strong>il</strong>i al<br />
Paese, in sintonia con tante famiglie di cittadini.<br />
Verrà presto <strong>il</strong> momento della verifica.<br />
Passando a parlare del merito le critiche si sono<br />
appuntate soprattutto su due aspetti: la mancata<br />
inclusione dei pubblici dipendenti, da un lato,<br />
l’inopportunità di detassare lo straordinario,<br />
dall’altro. Nel primo caso autorevolissimi parlamentari<br />
hanno scomodato persino la Costituzione.<br />
La legge fondamentale dello Stato sarebbe<br />
stata insultata e violata a causa della<br />
«discriminazione» perpetrata ai danni del pubblico<br />
impiego. L’esclusione di un pezzo importante<br />
del lavoro dipendente è dovuto non già ad<br />
un pregiudizio nei confronti degli impiegati pubblici,<br />
ma ad un’esigenza di selezionare l’impiego<br />
di importanti ma limitate risorse a disposizione,<br />
chiamate altresì a finanziare altri interventi<br />
che <strong>il</strong> Governo considera prioritari. Inoltre, trattandosi<br />
di una misura di carattere sperimentale<br />
ci sarà sicuramente <strong>il</strong> modo di rimediare alla<br />
disparità di trattamento in sede di legge finanziaria<br />
per <strong>il</strong> 2009, nel caso in cui saranno valutate<br />
l’ut<strong>il</strong>ità e la convenienza a proseguire nella<br />
detassazione. Opportunamente, poi, <strong>il</strong> ministro<br />
Brunetta ha compiuto ogni possib<strong>il</strong>e tentativo –<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
47<br />
questo è un preciso segnale politico che non va<br />
lasciato cadere durante l’iter legislativo – per includere<br />
i settori più delicati delle Forze dell’ordine<br />
e dei Vig<strong>il</strong>i del fuoco, che si prodigano senza<br />
risparmio al servizio della collettività.<br />
Ma c’è un’altra ragione d’ordine politico in<br />
quanto chiama in causa proprio gli obiettivi che<br />
l’esecutivo intende perseguire. Le misure, infatti,<br />
sono finalizzate a dare un impulso alla ripresa<br />
dei settori produttivi, realizzando nel<br />
contempo un miglioramento delle retribuzioni<br />
I temi dell’Ici e della<br />
detassazione hanno<br />
dominato quasi sempre la<br />
campagna elettorale, nel<br />
senso che – a torto o a<br />
ragione a seconda dei<br />
punti di vista – <strong>il</strong> PdL ne<br />
ha continuamente parlato,<br />
senza infingimenti di<br />
alcun tipo.<br />
come corrispettivo di un maggior impegno lavorativo.<br />
Nelle aziende private esistono le condizioni<br />
strutturali perché lo scambio tra lavoro e<br />
retribuzione avvenga con riferimento a dati<br />
reali. In altre parole, è la regola principale del<br />
mercato a far sì che i datori di lavoro eroghino<br />
aumenti (provenienti dai b<strong>il</strong>anci delle loro<br />
aziende) soltanto a fronte di una migliore prestazione<br />
(quali-quantitativa) dei loro dipendenti.<br />
Nella pubblica amministrazione, purtroppo,<br />
la realtà è diversa. Il ministro Renato Brunetta<br />
ha affermato che le misure di detassazione<br />
verranno estese anche ai dipendenti pubblici<br />
nella misura in cui <strong>il</strong> loro trattamento complessivo<br />
sarà sim<strong>il</strong>e a quello dei lavoratori privati.<br />
Brunetta sa benissimo che da almeno 15 anni<br />
lo stato giuridico del pubblico impiego è regolato<br />
dal diritto comune, mentre le controversie<br />
sono affidate alla giurisdizione ordinaria. Quel
ATTRAVERSANDO<br />
IL VENTESIMO SECOLO<br />
... con un poco di garbo e di educata spavalderia<br />
Autore: Franzi Mosetti<br />
Pagine: 357<br />
Prima Edizione: Autunno 2007<br />
Prezzo: 20 euro<br />
Franzi Mosetti è nato, insieme al gemello W<strong>il</strong>ly nel 1914,<br />
all’inizio della Grande Guerra, a Trieste. La famiglia passò<br />
gli anni successivi in Carinzia rientrando a Trieste solo nel<br />
1919. Franzi Mosetti qui visse e studiò fino al 1932, poi<br />
prese la maturità a Vienna dopo essersi perfezionato in<br />
tedesco. Alle dipendenze del Lloyd, lavorò per vari anni<br />
in Egitto, rientrando poi, nel 1940, per arruolarsi, e trovandosi<br />
così a partecipare al grande conflitto mondiale.<br />
Fatto prigioniero fu fortunosamente rimpatriato dopo un<br />
anno e mezzo. In Italia riprese <strong>il</strong> suo posto al Loyd Triestino,<br />
poi dopo ulteriori drammatiche vicende, alla fine<br />
della guerra riuscì a riabbracciare i suoi fratelli, tutti ufficiali<br />
ma sotto diverse e contrapposte bandiere e a terminare<br />
gli studi per laurearsi in Scienze Politiche. Fu farmer in Kenia<br />
per nove anni, dove sposò Sonia, la sua coraggiosa<br />
fidanzata da cui ebbe <strong>il</strong> figlio Carlo. Abbandonarono l’Africa,<br />
all’indipendenza del Kenia, dopo che anni di guerriglia<br />
Mau Mau avevano reso ingovernab<strong>il</strong>e quel paese.<br />
Rientrato in patria fu prima alla direzione della Bosch, poi<br />
Direttore degli Affari Generali della Ciga, e infine imprenditore<br />
di successo nel settore delle attrezzature magnetiche.<br />
Oggi che si dichiara a riposo, dopo aver attraversato<br />
fortunosamente i pericoli del ventesimo secolo, con un<br />
poco di garbo e di educata spavalderia, come si legge in<br />
questo straordinario libro di memorie; ritrae fiori ad acquarello<br />
e coltiva, con allegra attenzione, i rapporti con i<br />
suoi moltissimi amici in Italia e nel mondo… ed un piccolo<br />
giardino in Franciacorta, vicino a Brescia.<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
48<br />
e c o n o m i a<br />
lo del ministro, dunque, è un ragionamento che<br />
va oltre <strong>il</strong> formalismo giuridico; pone invece un<br />
problema di sostanza, innanzi tutto politica.<br />
Non sarebbe credib<strong>il</strong>e, infatti, un ministro che<br />
un minuto dopo <strong>il</strong> giuramento nelle mani del<br />
Capo dello Stato esprime pubblicamente giudizi<br />
severissimi sulla situazione della pubblica<br />
amministrazione e si impegna a realizzare radicali<br />
cambiamenti in breve tempo, ma che la<br />
prima volta in cui è chiamato a dar prova di voler<br />
cambiare linea di condotta si trasforma in un<br />
avvocato dei dipendenti pubblici, come facevano<br />
i vecchi ministri democristiani della funzione<br />
pubblica (e magari anche qualcuno della seconda<br />
Repubblica). Ma poi chi ha detto che<br />
quanto è corrisposto ai dipendenti privati debba<br />
esserlo anche a quelli pubblici (soprattutto<br />
se si è ancora nell’ambito della sperimentalità)?<br />
Ad andarli a cercare con cura e pazienza<br />
troveremmo diversi casi in cui <strong>il</strong> meccanismo di<br />
adesso ha escluso i travet, senza sollevare<br />
una presa di posizione contraria della Corte, la<br />
quale assume come «luce e guida» delle proprie<br />
sentenze <strong>il</strong> criterio della ragionevolezza.<br />
Cominciamo dal super bonus ovvero dall’incentivo<br />
a rinviare <strong>il</strong> pensionamento: dal bendiddio<br />
che è derivato agli optanti era totalmente<br />
escluso <strong>il</strong> pubblico impiego per diversi motivi,<br />
non ultimo quello dell’ammontare delle risorse<br />
disponib<strong>il</strong>i. A tale «limitazione» va aggiunta<br />
la pratica impossib<strong>il</strong>ità – di cui soffrono i<br />
funzionari pubblici – di conferimento volontario<br />
del trattamento di fine servizio a finalità di previdenza<br />
complementare. Da ultima viene quello<br />
che l’opposizione definisce un atto contro le<br />
donne che lavorano. In sostanza, dal momento<br />
che le lavoratrici non effettuano lavoro<br />
straordinario - prese come sono dalle loro responsab<strong>il</strong>ità<br />
fam<strong>il</strong>iari - si sostiene che esse non<br />
avranno alcun vantaggio dalle nuove norme.<br />
Premesso che insieme allo straordinario sono<br />
coinvolti dalla detassazione anche i premi<br />
aziendali, basterebbe confutare la critica di genere<br />
sottolineando che – portando alle estreme<br />
conseguenze <strong>il</strong> ragionamento – ogni miglioramento<br />
retributivo favorirebbe gli uomini essendo<br />
loro – purtroppo – la componente assolutamente<br />
maggioritaria del mercato del lavoro.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à e c o n o m i a<br />
La politica industriale<br />
tra delocalizzazione ed immigrazione<br />
di Pierluigi Borghini<br />
Il governo dovrà permettere al Paese di contare<br />
su una politica industriale seria e convincente.<br />
Non si può più temporeggiare: la classe<br />
imprenditoriale lo richiede a gran voce e<br />
tutta la società italiana ne ha fortemente bisogno.<br />
Approntare una politica industriale efficace<br />
non è però operazione fac<strong>il</strong>e. Un ottimo<br />
punto di partenza sarà comprendere l’importanza<br />
di due questioni fondamentali: la delocalizzazione<br />
delle imprese e l’importazione<br />
regolamentata di manodopera qualificata, individuando<br />
aree di influenza strategica sulle<br />
quali intervenire. Sono questi due aspetti r<strong>il</strong>evanti<br />
e strettamente interconnessi, che aiuterebbero<br />
le imprese italiane a guadagnare in<br />
termini di competitività in uno scenario internazionale<br />
sempre più complesso e concorrenziale.<br />
Come se ciò non bastasse, delocalizzare<br />
e importare manodopera qualificata<br />
sono due operazioni che avrebbero ricadute<br />
positive anche su altri aspetti della vita sociale<br />
dei cittadini. In primo luogo sulla gestione<br />
dell’immigrazione clandestina, che diventerebbe<br />
più fac<strong>il</strong>e e più rispondente alle effettive<br />
esigenze delle nostre aziende in termini di posti<br />
di lavoro vacanti.<br />
L’internazionazione produttiva ha da sempre<br />
costituito un’importante modalità attraverso<br />
cui le imprese si sono rapportate allo scenario<br />
internazionale. Alla luce della globalizzazione<br />
dei mercati e della spietata concorrenza,<br />
delocalizzare è ormai diventato addirittura<br />
imprescindib<strong>il</strong>e: è spesso un’esigenza vitale<br />
per la sopravvivenza dell’impresa stessa<br />
in uno scenario sempre più competitivo.<br />
Questo è vero anche perché, tramite gli investimenti<br />
diretti all’estero, è possib<strong>il</strong>e per<br />
un’impresa aumentare la propria competitivi-<br />
50<br />
tà con un più efficiente ut<strong>il</strong>izzo delle risorse e<br />
una maggiore prossimità con i mercati finali.<br />
In particolare è necessario favorire la delocalizzazione<br />
di tutte quelle attività che hanno<br />
nei costi energetici e ambientali, oltre che<br />
nella manodopera non qualificata, gli oneri<br />
essenziali del proprio lavoro. Questo significa<br />
ut<strong>il</strong>izzare risorse naturali, umane e ambientali,<br />
nei paesi che possono essere considerati<br />
- mi si passi <strong>il</strong> termine forte - «le colonie<br />
di questo nuovo impero».<br />
I numeri spiegano meglio di ogni altro discorso<br />
i vantaggi portati dalla delocalizzazione. È ut<strong>il</strong>e<br />
in proposito analizzare i dati del Rapporto Annuale<br />
Ice-Istat 2006-2007. Le imprese che investono<br />
all’estero hanno un tasso di crescita<br />
del fatturato in Italia di quasi <strong>il</strong> 10% maggiore di<br />
quello che avrebbero non investendo, e un aumento<br />
della produttività superiore al 5%. Questi<br />
effetti benefici, oltretutto, non si traducono in<br />
una perdita di occupazione in Italia. Se analizziamo<br />
gli ultimi dieci anni, notiamo come le imprese<br />
italiane abbiano già progressivamente<br />
aumentato la loro apertura internazionale: <strong>il</strong>
e c o n o m i a<br />
flusso di investimenti esteri in uscita dal nostro<br />
paese si è attestato a quota 42 m<strong>il</strong>iardi di dollari<br />
nel 2006, un valore stab<strong>il</strong>e rispetto all’anno<br />
precedente, ma quasi raddoppiato rispetto al<br />
2004. Tuttavia <strong>il</strong> peso dell’internazionalizzazione<br />
produttiva nell’economia italiana rimane ancora<br />
contenuto se confrontato con quello degli<br />
altri paesi europei, Francia e Germania in primis.<br />
Sono ad esempio solo tre le multinazionali<br />
italiane non finanziarie tra le prime 100 per investimenti<br />
all’estero: Eni (29°), Telecom (31°) e<br />
Fiat (33°).<br />
Un’altra caratteristica penalizzante per <strong>il</strong> nostro<br />
paese è la frattura che si registra fra Nord e<br />
Sud: mentre al Settentrione e al Centro ha delocalizzato<br />
<strong>il</strong> 4,8% delle imprese manufatturiere,<br />
al Meridione e nelle Isole questa percentuale<br />
crolla all’1,6%. Le aree di maggiore insediamento<br />
delle imprese italiane sono quelle<br />
dell’Unione europea, dell’Europa balcanica e<br />
dell’Asia orientale. Tra i principali settori di attività<br />
delle imprese che hanno delocalizzato si<br />
trovano ancora quelli tipici del made in Italy:<br />
cuoio e pelli (8,5%), apparecchiature elettriche<br />
(7,6%), tess<strong>il</strong>e e abbigliamento (6,6%), apparecchi<br />
meccanici (6,2%) e mezzi di trasporto<br />
(5%).<br />
Negli ultimi mesi si sono notati incoraggianti<br />
segnali di apertura da parte del nostro paese<br />
verso investimenti stranieri. La compagnia<br />
elettrica Enel - ad esempio - costruirà in Albania<br />
una centrale termoelettrica alimentata a<br />
carbone da 1.300 megawatt; la centrale, oltre<br />
a soddisfare la domanda interna, servirà <strong>il</strong><br />
mercato italiano quando saranno realizzate le<br />
nuove linee di interconnessione tra i due paesi.<br />
L’Italia costruirà inoltre un nuovo sistema<br />
energetico in Libia, Tunisia e Algeria, e comparteciperà<br />
in Russia e Romania in centrali<br />
energetiche tradizionali e nucleari. Questi sono<br />
indicatori importanti, ma non bastano, soprattutto<br />
se continuano ad essere casi isolati e<br />
non inquadrati in una logica complessiva più<br />
ampia. Tutti questi sforzi devono poi consentire<br />
alle imprese italiane di ut<strong>il</strong>izzare parte di<br />
questa energia, a bassi costi, per far sì che <strong>il</strong><br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
51<br />
nostro sistema industriale possa essere competitivo<br />
nel mondo.<br />
Sarà inoltre fondamentale dare nuovo mandato<br />
alla Società Italiana per le Imprese all’Estero,<br />
per far sì che torni ad investire nelle aree<br />
dove è stata tagliata questa possib<strong>il</strong>ità. Va comunque<br />
sottolineato che si registra la necessità<br />
di alcuni interventi di rinnovamento della SI-<br />
MEST, sia sul fronte dei prodotti-servizi, sia su<br />
quello dell’organizzazione interna. I prodottiservizi,<br />
ad esempio, andranno rivisitati semplificando<br />
alcune procedure troppo burocratiche<br />
per le piccole e medie imprese; per quanto riguarda<br />
l’organizzazione interna, è auspicab<strong>il</strong>e<br />
una diversa struttura organizzativa che «deverticizzi»<br />
la concentrazione dei processi decisionali,<br />
valorizzando le competenze manageriali a<br />
vantaggio di una migliore reattività e flessib<strong>il</strong>ità<br />
dell’azione dell’Ente.<br />
Un’altra caratteristica<br />
penalizzante per <strong>il</strong> nostro<br />
paese è la frattura che si<br />
registra fra Nord e Sud:<br />
mentre al Settentrione e<br />
al Centro ha delocalizzato<br />
<strong>il</strong> 4,8% delle imprese<br />
manufatturiere, al<br />
Meridione e nelle Isole<br />
questa percentuale crolla<br />
all’1,6%.<br />
Delocalizzare non basta quindi per avere<br />
una politica industriale convincente per <strong>il</strong><br />
paese, ma è un primo passo indispensab<strong>il</strong>e.<br />
È necessaria una strategia chiara e definita<br />
sul versante energetico, delle comunicazioni<br />
e del trasporto aereo, e accompagnare a<br />
questo disegno una delocalizzazione p<strong>il</strong>otata
e un’importazione di risorse umane allo stesso<br />
modo gestita e non subita. E qui arriviamo<br />
al secondo punto fondamentale che dovrà<br />
caratterizzare la nuova politica industriale:<br />
individuare un’area di influenza sulla quale<br />
intervenire per poi poter importare manodopera<br />
qualificata. Potrebbero essere interessati<br />
ad un’operazione del genere i paesi<br />
nordafricani e quelli dell’Est europeo. Con<br />
queste nazioni sarà necessario studiare dei<br />
meccanismi di collaborazione imprenditoriale<br />
e formativa che ci consentano di vedere<br />
all’insieme dell’apparato non come la sommatoria<br />
di realtà diverse tra loro, ma come<br />
fosse un unico grande sistema industriale,<br />
ovvero quel «nuovo impero» al quale facevo<br />
riferimento in precedenza.<br />
Tutto ciò deve essere fatto avvalendoci delle<br />
potenzialità proprie di questi paesi, che potrebbero<br />
compensare i limiti del nostro, principalmente<br />
in 3 direzioni: grandi risorse naturali, situazioni<br />
non degradate per quanto riguarda<br />
l’impatto ambientale e costi di manodopera più<br />
bassi. Tutto ciò che in Italia manca o è diffic<strong>il</strong>mente<br />
reperib<strong>il</strong>e, noi lo possiamo trovare in<br />
questi altri paesi, con i quali inizieremo un percorso<br />
di partnership. Per fare tutto questo è però<br />
imprescindib<strong>il</strong>e organizzare, all’interno di<br />
queste nazioni, una formazione civica, umana<br />
e professionale, che consenta di importare manodopera<br />
e allo stesso tempo di regolamenta-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à e c o n o m i a<br />
52<br />
re l’immigrazione. I due aspetti sono strettamente<br />
interconnessi: le delocalizzazioni sono<br />
l’unica vera risposta per dare lavoro nei paesi<br />
di origine a quei lavoratori che, avendo le capacità<br />
ed essendo competitivi nel costo della<br />
produttività, vengono in Italia perché <strong>il</strong> nostro<br />
paese non è stato capace di strutturare e incrementare<br />
la sua capacità di dare lavoro all’estero.<br />
In questa direzione sarà fondamentale una politica<br />
di formazione e realizzazione di posti di<br />
lavoro all’estero, specialmente nei paesi come<br />
la Romania, la Bulgaria, l’Ucraina e negli Stati<br />
nordafricani, che sono naturali partner di questo<br />
tipo di approccio. A suo tempo la Regione<br />
Lazio provò ad andare in questa direzione, ma<br />
si trattava di una politica regionale, quindi come<br />
tale poco credib<strong>il</strong>e e di piccole dimensioni<br />
rispetto al fenomeno. È necessario, se vogliamo<br />
ripristinare un corretto rapporto con quei<br />
paesi, far investire i nostri imprenditori in quelle<br />
aree, delocalizzando essenzialmente attività<br />
produttive manifatturiere.<br />
In questo modo sarà possib<strong>il</strong>e ristab<strong>il</strong>ire quell’equ<strong>il</strong>ibrio<br />
dei flussi migratori che negli ultimi<br />
anni è completamente saltato e che è alla base<br />
anche della convivenza civ<strong>il</strong>e fra i popoli.<br />
Oggi in Italia, ad esempio, viviamo <strong>il</strong> problema<br />
dell’immigrazione clandestina, ma allo stesso<br />
tempo si registrano le difficoltà degli immigrati<br />
regolari che hanno bisogno di case e scuole<br />
per i loro figli. Allo stesso tempo, nei paesi di<br />
origine degli immigrati c’è <strong>il</strong> problema opposto:<br />
non si trova più manodopera. I nostri imprenditori<br />
in questi paesi sono spesso costretti ad importare<br />
lavoratori dal Bangladesh, e questo è<br />
paradossale.<br />
Il fenomeno dell’immigrazione va gestito in modo<br />
diverso da come finora si è fatto. Per troppi<br />
anni si è pensato solo al riempimento di una<br />
sorta di «sacca» terza e distaccata dal mondo<br />
civ<strong>il</strong>e. È necessario al contrario prevedere dei<br />
percorsi di ingresso nel tessuto sociale, che<br />
devono essere gestiti non solo dalle forze dell’ordine,<br />
ma inquadrati in un piano di accompa-
e c o n o m i a<br />
gnamento che non può che essere gestito dalle<br />
organizzazioni cattoliche e di volontariato,<br />
che permettano di individuare e seguire nel loro<br />
percorso di integrazione i singoli cittadini<br />
stranieri. È necessario creare nel nostro paese<br />
un consiglio nazionale per l’immigrazione, che<br />
abbia <strong>il</strong> compito di gestire l’opera del volontariato<br />
e i rapporti con le forze dell’ordine per<br />
quanto riguarda i cittadini stranieri.<br />
Bisogna porre l’attenzione alla formazione degli<br />
individui già nella fase di pre-partenza dai<br />
loro Paesi, aiutandoli già prima di sbarcare sul<br />
nostro suolo a diventare dei potenziali cittadini<br />
italiani. Insegnamento della lingua, delle leggi,<br />
e formazione professionale in loco sono condizioni<br />
necessarie per aiutare l’immigrato nell’integrazione<br />
una volta che raggiungerà <strong>il</strong> suolo<br />
italiano: questo può essere fatto anche attraverso<br />
lo strumento della cooperazione internazionale,<br />
fermo restando <strong>il</strong> ruolo imprescindib<strong>il</strong>e<br />
delle organizzazioni di volontariato nel momento<br />
in cui queste persone sbarcano sul suolo italiano.<br />
Nel nostro paese deve poi esistere un’anagrafe<br />
dell’immigrato, <strong>il</strong> quale deve accettare di frequentare<br />
corsi e fasi di inserimento p<strong>il</strong>otate. Se<br />
si sottrae a tutto questo, deve essere rimpatriato.<br />
I tutor che seguiranno <strong>il</strong> singolo individuo<br />
in questo percorso devono essere formati e<br />
forniti dalle associazioni di volontariato. Il flusso,<br />
a livello numerico, deve essere regolato in<br />
funzione delle necessità, valutate in proiezione<br />
annuale. Provvedimenti come quello che programma<br />
di far entrare solo chi ha già un posto<br />
di lavoro, mediante l’ufficio del lavoro, è diffic<strong>il</strong>e<br />
da far rispettare: è chiaro che questo flusso<br />
viene evaso nelle sue dimensioni. Cosa si fa se<br />
<strong>il</strong> mercato richiede un numero maggiore di cittadini<br />
stranieri?<br />
L’Italia non può più essere un paese privo<br />
una politica industriale seria, chiara e convincente.<br />
Per cinquant’anni nel nostro paese<br />
si è fatta politica industriale solo attraverso le<br />
società pubbliche, e questo non solo non è<br />
più accettab<strong>il</strong>e, ma è anacronistico rispetto<br />
ad uno scenario mondiale che negli ultimi<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
53<br />
anni si è profondamente modificato. La politica<br />
industriale seria e al passo con i tempi di<br />
cui <strong>il</strong> paese ha bisogno si basa sulla competizione<br />
internazionale, sulla partnership con<br />
altri paesi e sull’individuazione di aree strategiche<br />
di influenza. Solo in questo modo le<br />
imprese italiane potranno delocalizzare le attività<br />
più onerose traendone enorme vantaggio,<br />
e allo stesso tempo avvalersi di una manodopera<br />
che viene sì dall’estero, ma tramite<br />
un flusso regolato e preceduto da un grande<br />
lavoro a monte nei paesi di provenienza<br />
dei lavoratori.<br />
Nel nostro paese deve<br />
esistere un’anagrafe<br />
dell’immigrato, <strong>il</strong> quale<br />
deve accettare di<br />
frequentare corsi e fasi di<br />
inserimento p<strong>il</strong>otate.<br />
L’auspicio è che la politica industriale venga<br />
delineata con chiarezza, e che siano coinvolte<br />
in maniera importante anche società come<br />
Enel, Eni, Telecom e Alitalia. È per questi motivi<br />
che è importante che la nostra compagnia di<br />
bandiera, <strong>il</strong> cui destino è ancora poco chiaro,<br />
mantenga una quota italiana forte; ed è per le<br />
stesse ragioni che è vitale la presenza, all’interno<br />
del principale gestore telefonico del nostro<br />
paese, adesso delle banche e successivamente<br />
di gruppi finanziari italiani. Approntare<br />
una politica industriale capace di risollevare le<br />
sorti dell’Italia è impresa ardua. L’auspicio è<br />
che <strong>il</strong> governo, che può contare su una maggioranza<br />
parlamentare tale da assumere decisioni<br />
importanti, compia dei passi decisi in questa<br />
direzione consegnando al paese gli strumenti<br />
necessari per realizzarla.
e c o n o m i a<br />
La prevedib<strong>il</strong>e impennata della richiesta di produzione<br />
d’energia rivolta al nucleare di fissione<br />
vede l’Italia in ottima posizione sul piano<br />
dell’ingegneria di progettazione. La coordinazione<br />
per lo sv<strong>il</strong>uppo di una delle sei f<strong>il</strong>iere selezionate<br />
dal Forum «Generation IV» (quella<br />
raffreddata a piombo) è affidata al nostro Paese,<br />
che ha saputo assumere un ruolo di leadership,<br />
grazie ai brevetti della Del Fungo Giera<br />
Energia SpA. Le ricadute tecnologiche e<br />
progettuali di quest’attività possono influenzare<br />
anche l’evoluzione, ancora in corso, dei<br />
reattori sottocritici. Le soluzioni proposte in<br />
quest’ambito sono, per di più, applicab<strong>il</strong>i anche<br />
in altri campi della produzione energetica.<br />
Da anni, in Italia, s’è anche sv<strong>il</strong>uppata la progettazione<br />
di piccoli impianti pressurizzati, oggi<br />
all’attenzione da parte dell’iniziativa «Global<br />
Nuclear Energy Partnership» (alla quale l’Italia<br />
partecipa); una via aperta sulla quale è opportuno<br />
e proficuo continuare. In queste importanti<br />
realtà si possono trovare le soluzioni alla<br />
dipendenza energetica del nostro Paese e la<br />
possib<strong>il</strong>ità di giocare un ruolo importante nello<br />
scenario futuro del nucleare di fissione eco sostenib<strong>il</strong>e.<br />
Fruendo di quanto è sopravvissuto, è<br />
anche possib<strong>il</strong>e pensare ad un r<strong>il</strong>ancio dell’industria<br />
nucleare italiana, con tutte le importanti<br />
ricadute occupazionali che ne deriverebbero.<br />
L’ipotesi strategica per un «piano di rinascita»<br />
fondata su queste realtà, concrete e<br />
disponib<strong>il</strong>i, può essere così riassunta.<br />
Note ragioni hanno provocato la perdita della<br />
competitività tecnologica dell’industria italiana<br />
per gli attuali prodotti del mercato nucleare. È<br />
tuttavia possib<strong>il</strong>e disegnare un efficace piano<br />
di rientro, approfittando del fatto che l’industria<br />
internazionale tende ad offrire sistemi certa-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Il Nucleare di IV generazione<br />
di Luigi De Vecchis<br />
55<br />
mente ben verificati ma con scarso grado d’innovazione.<br />
È necessario, per questo, impegnarsi<br />
nello sv<strong>il</strong>uppo di soluzioni innovative.<br />
Per non perdere altro tempo e cogliere l’opportunità<br />
offerta dalla crescente richiesta di<br />
nucleare nel mondo e r<strong>il</strong>anciare l’industria nucleare<br />
italiana, si devono concentrare le risorse<br />
nello sv<strong>il</strong>uppo delle nuove tecnologie.<br />
La comunità internazionale ha attivato da tempo<br />
un processo di selezione per individuare le<br />
linee di progetto più promettenti per <strong>il</strong> nuovo<br />
nucleare di fissione che soddisfano tutte le<br />
esigenze di sicurezza, compatib<strong>il</strong>ità ambientale<br />
e sostenib<strong>il</strong>ità tecnologica ormai ben stab<strong>il</strong>ite<br />
negli ultimi quarant’anni d’esercizio delle<br />
grandi centrali di produzione d’energia. S’è a<br />
tal fine costituito, nel 2001, un forum («Generation<br />
IV»-The Generation IV International Forum<br />
- GIF) che ha selezionato, tra oltre cento<br />
proposte, sei «f<strong>il</strong>iere», definite appunto «di<br />
quarta generazione», oggetto, in tutto <strong>il</strong> mondo,<br />
d’attività di Ricerca e Sv<strong>il</strong>uppo. L’Italia<br />
compartecipa a quest’iniziativa come membro<br />
Euratom. Un quadro di sintesi dello stato di<br />
questa iniziativa è descritto nell’Allegato 1.<br />
In ambito GIF, <strong>il</strong> ruolo italiano è d’eccellenza<br />
nello sv<strong>il</strong>uppo del reattore raffreddato a piombo<br />
(identificato come ELSY - European Leadcooled<br />
SYstem) che promette per <strong>il</strong> sistema<br />
Italia una posizione di assoluto r<strong>il</strong>ievo. Le innovative<br />
soluzioni tecniche individuate per <strong>il</strong><br />
progetto ELSY si stanno dimostrando molto interessanti<br />
anche per altri progetti sul nucleare<br />
di fissione, quali ESFR (appartenente a GIF),<br />
IP-EUROTRANS (progetto europeo per la trasmutazione).<br />
Il contributo della parte italiana in Euratom (1),
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
nell’ambito di Generation IV è massimamente<br />
concentrato sul progetto di un reattore europeo<br />
raffreddato a piombo: lo European Leadcooled<br />
SYstem (ELSY).<br />
Le caratteristiche di base del progetto ELSY<br />
sono (2):<br />
1. L’ut<strong>il</strong>izzo del Piombo fuso come liquido di<br />
raffreddamento: un fluido che, al contrario del<br />
Sodio, non reagisce con l’acqua né con l’aria.<br />
Ciò costituisce un notevole passo avanti in<br />
Legenda per gli acronimi più ut<strong>il</strong>izzati<br />
ANL Argonne National Laboratory – USA<br />
APAT Agenzia per la Protezione dell'Ambiente<br />
e per i Servizi Tecnici<br />
CP-ESFR Collaborative Project of European<br />
Sodium Fast Reactor<br />
CIRTEN Consorzio Interuniversitario per la<br />
Ricerca TEcnologica Nucleare<br />
DOE Department Of Energy – USA<br />
ELSY European Lead-cooled System<br />
ENEA Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e<br />
l'Ambiente<br />
FA Framework Agreement<br />
GEVACO GEneratore di VApore Compatto<br />
GFR Gas-Cooled Fast Reactor System<br />
GIF Generation IV International Forum<br />
GNEP Global Nuclear Energy Partnership<br />
IRIS International Reactor Innovative and<br />
Secure<br />
IP-EUROTRANS Integrated Project - EUROpean<br />
Research Programme for the<br />
TRANSmutation of High Level Nuclear<br />
Waste in an Accelerator Driven System<br />
LLNL Lawrence Livermore National Laboratori<br />
LFR Lead-Cooled Fast Reactor System<br />
JRC Joint Research Centre – Euratom<br />
MSR Molten Salt Reactor System<br />
NRC Nuclear Regolatory Commission – USA<br />
SA System Arrangement .<br />
SCWR SuperCritical Water-Cooled Reactor<br />
System<br />
SFR Sodium-Cooled Fast Reactor System<br />
SSTAR Small Secure Transportable Autonomous<br />
Reactor<br />
SUNRISE Southeast UNiversities Reactors Institute<br />
for Science and Education<br />
VHTR Very-High-Temperature Reactor System<br />
TPP Technology P<strong>il</strong>ot Plant<br />
56<br />
e c o n o m i a<br />
termini di sicurezza e quindi anche un’enorme<br />
semplificazione dal punto di vista impiantistico.<br />
2. Una soluzione originale per i circuiti per lo<br />
scambio di calore, che consente, a parità di<br />
potenza, una sostanziale riduzione dei volumi.<br />
3. Un disegno di grande semplicità e modularità<br />
del reattore e, quindi, una riduzione dei<br />
costi costruttivi e gestionali.<br />
4. Un reattore capace di riciclare e bruciare la<br />
maggior parte delle scorie responsab<strong>il</strong>i della<br />
radioattività nel lungo termine.<br />
Il risultato tecnico sin qui ottenuto (3) è stato<br />
tale da assicurare non solo <strong>il</strong> sostegno in ambito<br />
comunitario, ma, di recente, anche l’impegno<br />
da parte del DOE (Department Of Energy<br />
- USA) a sottoscrivere (con Euratom) un accordo<br />
di sv<strong>il</strong>uppo della tecnologia per i reattori<br />
raffreddati a piombo (4) e la Russia.<br />
Il generatore di vapore proposto per ELSY può<br />
essere applicato con profitto anche ad altri<br />
contesti, ed in particolare al solare termodinamico,<br />
offrendo così l’opportunità per un interessante<br />
spin-of della nuova tecnologia. La soluzione<br />
proposta si verifica essere molto conveniente<br />
(5); dato l’elevato livello d’innovazione<br />
è anche opportuno effettuare un’estensiva<br />
campagna sperimentale di conferma, come<br />
già indicato nell’idea progettuale «GEVACO»<br />
proposta per « Industria 2015».<br />
La presenza italiana in Euratom ha consentito<br />
un’intensa partecipazione di quanto di «nucleare»<br />
è sopravvissuto nel nostro Paese alle<br />
attività di «Generation IV»: la frontiera più<br />
avanzata per <strong>il</strong> nucleare ecologicamente compatib<strong>il</strong>e;<br />
inevitab<strong>il</strong>e soluzione nei prossimi scenari<br />
per l’approvvigionamento energetico. Il<br />
successo di tale partecipazione è stato davvero<br />
eclatante. Il progetto più innovativo e promettente<br />
(che sta influenzando le strategie di<br />
numerosi Paesi, quali Stati Uniti, Giappone,<br />
Russia e Svizzera) è di matrice italiana: ELSY.<br />
Le soluzioni tecniche individuate si dimostra-
e c o n o m i a<br />
no di grande interesse anche in altre applicazioni,<br />
sia nel nucleare (IRIS, IP-EURO-<br />
TRANS, ESFR) che nel solare termico (GE-<br />
VACO). È dunque evidente l’opportunità di focalizzare<br />
gli interessi e le risorse disponib<strong>il</strong>i<br />
per <strong>il</strong> rientro dell’Italia nelle prossime attività di<br />
produzione energetica pulita sullo schema già<br />
così apprezzato ed attivo in sede internazionale:<br />
ELSY. Tenendo anche in conto tutti gli<br />
importanti «effetti collaterali» derivati da tale<br />
progetto.<br />
Si pone in evidenza una nuova linea produttiva:<br />
* Per un programma di breve - medio termine<br />
<strong>il</strong> reattore ELSY. Raffreddato a piombo<br />
fuso, esso può essere pronto per <strong>il</strong> mercato<br />
entro circa 6 anni. Può essere considerato<br />
la soluzione a grande diffusione (per semplicità<br />
costruttiva, per taglia e per sicurezza<br />
intrinseca) nei prossimi cinquant’anni.<br />
* Per un programma di lungo termine l’aumento<br />
della potenza<br />
Nell’Allegato 2 è indicato per grandi linee un<br />
possib<strong>il</strong>e programma d’attività da sv<strong>il</strong>uppare<br />
nell’ambito delle collaborazioni internazionali<br />
già in essere. Altre collaborazioni, invece, dovranno<br />
essere attivate, con i seguenti obiettivi:<br />
* Progetto e costruzione del primo impianto<br />
di 300 MWE raffreddato a piombo e poi<br />
passare a 600 MWE<br />
* L’attivazione, nel 2008, da modo di certificare<br />
la costruzione del primo impianto industriale<br />
e la successiva produzione industriale<br />
in serie d’impianti, a partire dal 2014. È<br />
già stato costruito un primo reattore p<strong>il</strong>ota<br />
che alla data attuale, 28 maggio 2008, già<br />
lavora da più di 6000 ore<br />
* Sv<strong>il</strong>uppo e progetto di un circuito termoidraulico<br />
dedicato al solare termico.<br />
Si vuole osservare che in Italia esistono ancora<br />
(nonostante l’effetto devastante prodotto<br />
dallo stop al nucleare) varie organizzazioni<br />
(Allegato 2) che hanno esperienza in questi<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
57<br />
settori di alta tecnologia e che, se opportunamente<br />
potenziate, possono garantire la rinascita<br />
del sistema Italia nel nucleare.<br />
Allegato 1<br />
Stato degli accordi internazionali Generation<br />
IV<br />
Sette paesi hanno già firmato <strong>il</strong> Framework<br />
Agreement (FA) di Generation IV International<br />
Forum (GIF) e sono tuttora attivi:<br />
1. Euratom; 2. USA; 3. Francia; 4. Giappone;<br />
5. Republic of Korea; 6. Canada; 7. Svizzera.<br />
A questi, recentemente, si è aggiunta la Cina.<br />
In un prossimo futuro è attesa la firma del Framework<br />
Agreement anche da parte della Russia.<br />
Nella Tabella 1 sono riportati i sei sistemi nucleari<br />
selezionati:<br />
I Paesi impegnati nello sv<strong>il</strong>uppo di uno di questi<br />
sistemi hanno firmato un System Arrangement<br />
(SA).<br />
Generation IV Systems Acronimo<br />
Gas-Cooled Fast Reactor System GFR<br />
Lead-Cooled Fast Reactor System LFR<br />
Molten Salt Reactor System MSR<br />
Sodium-Cooled Fast Reactor System SFR<br />
Supercritical Water-Cooled Reactor System SCWR<br />
Very-High-Temperature Reactor System VHTR<br />
GFR SFR SCWR VHTR<br />
Euratom x x x x<br />
USA x x<br />
Francia x x x<br />
Giappone x x x x<br />
Canada x x<br />
Svizzera x x<br />
Rep. Di Korea x x<br />
Tabella 1<br />
Tabella 2
Fino ad oggi sono stati firmati quattro SA, relativi<br />
ai progetti: GFR, SFR, SCWR, SCWR.<br />
La Tabella 2 riporta quali SA sono stati sottoscritti<br />
dai diversi partecipanti a GIF.<br />
Da notare che:<br />
* Tutti i Paesi sono interessati al progetto<br />
VHTR, poiché tale reattore (nelle versioni a<br />
più bassa temperatura) è già stato costruito<br />
in varie unità e perchè è <strong>il</strong> più adatto per la<br />
produzione d’idrogeno (6).<br />
* Euratom sostiene tutti i sistemi, perché deve<br />
rappresentare i molteplici interessi nazionali<br />
europei.<br />
* Gli USA sostengono solo i progetti VHTR e<br />
SFR, e considerano quest’ultimo come<br />
«impianto strategico» per <strong>il</strong> futuro. Tuttavia,<br />
dopo gli ultimi sv<strong>il</strong>uppi del progetto ELSY,<br />
essi hanno manifestato l’interesse a sottoscrivere<br />
<strong>il</strong> System Arrangement di LFR.<br />
Con loro, anche Giappone e (probab<strong>il</strong>mente)<br />
Svizzera (7).<br />
* L’impegno italiano nello sv<strong>il</strong>uppo del progetto<br />
ELSY è determinante (8).<br />
Allegato 2<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Nonostante la devastazione provocata dallo<br />
stop al nucleare sul tessuto produttivo italiano,<br />
alcune realtà sopravvivono e, se ben finalizzate,<br />
possono costituire un’ottima base di r<strong>il</strong>ancio<br />
per <strong>il</strong> futuro.<br />
Forse non è inut<strong>il</strong>e ricordarne alcune.<br />
Principali organizzazioni italiane tuttora attive<br />
nel nucleare<br />
* Ansaldo Nucleare S.p.A. attiva nella progettazione<br />
e forniture per centrali nucleari e<br />
nel decommissioning & waste management.<br />
Ha recentemente ricevuto una commessa<br />
da Toshiba-Westinghouse per forniture<br />
nell’ambito della realizzazione del primo<br />
AP1000 (Gen III) in Cina.<br />
58<br />
e c o n o m i a<br />
* Ansaldo Camozzi è attiva nella realizzazione<br />
di grossi componenti per centrali nucleari<br />
e, in particolare, ha fornito i generatori<br />
di vapore della Centrale di Palo Verde, i<br />
più grandi mai costruiti.<br />
* CIRTEN è un consorzio universitario costituito<br />
da Politecnico di M<strong>il</strong>ano, Politecnico di<br />
Torino, Università di Padova, Palermo, Pisa<br />
and Roma «La Sapienza». Le Università Italiane<br />
sono ancora in grado di formare ingegneri<br />
nucleari di alto livello che in gran numero<br />
si trasferiscono a lavorare all’estero.<br />
* Del Fungo Giera Energia S.pA è una Società<br />
di recente costituzione attiva nel nuovo<br />
nucleare innovativo con ritmo di presentazioni<br />
di domande di brevetto di circa una<br />
ogni tre mesi.<br />
* ENEL è particolarmente attiva all’estero<br />
con acquisizione di importanti partecipazioni<br />
nucleari in Repubblica Slovacca, Spagna,<br />
Francia.<br />
* ENEA è attiva nella R&S sui reattori innovative<br />
ed i cicli del combustib<strong>il</strong>e avanzati.<br />
Svolge l’attività anche attraverso le società<br />
partecipate (SIET, Cesi Ricerca, Nucleco).<br />
Le istallazioni di prova SIET costituiscono<br />
un centro di eccellenza internazionale per<br />
prove in appoggio ai reattori raffreddati ad<br />
acqua.<br />
I laboratori di ENEA del Brasimone costituiscono<br />
un centro di eccellenza internazionale<br />
per prove in appoggio ai reattori raffreddati<br />
a piombo.<br />
* SOGIN è incaricata delle attività di decommissioning<br />
degli impianti nucleari italiani e<br />
del waste management.<br />
* SRS ha capacità, in campo nucleare, sia a<br />
livello progettuale che a livello di sv<strong>il</strong>uppo di<br />
sistemi e componenti innovativi.
e c o n o m i a<br />
Note<br />
(1) Le organizzazioni italiane che partecipano<br />
ad ELSY sono: Ansaldo Nucleare S.pA,<br />
CESI RICERCA, CIRTEN, Del Fungo Giera<br />
Energia S.p.A ed ENEA. La Del Fungo<br />
Giera Energia S.p.A. è <strong>il</strong> coordinatore tecnico<br />
(2) L. Cinotti - «Progress Reports of the LFR<br />
Euratom Co-ordination meeting on GEN<br />
IV»; Bruxelles: 6 December 2007.<br />
(3) EUROPEAN COMMISSION: Euratom Coordination<br />
meeting on GEN IV; P. FRIGO-<br />
LA - DG Joint Research Centre (JRC) -<br />
Bruxelles December 6th, 2007.<br />
(4) I brevetti della Del Fungo Giera Energia<br />
costituiscono l’asse portante del progetto<br />
ELSY. La DFGE si trova ad essere l’industria<br />
leader in una delle poche tecnologie<br />
promosse in ambito Generation IV. I brevetti<br />
permettono anche importanti spin off,<br />
sia su altre f<strong>il</strong>iere nel campo nucleare, che<br />
nel solare termodinamico.<br />
(5) Un recente confronto fatto per l’impianto<br />
solare di Priolo tra la soluzione classica<br />
prevista da ENEL e la soluzione innovativa<br />
proposta da Del Fungo Giera Energia<br />
S.p.A. indica la possib<strong>il</strong>ità di ridurre la<br />
quantità di acciaio da 40 tonnellate a 4 tonnellate.<br />
(6) L’interesse per <strong>il</strong> VHTR è tuttavia discutib<strong>il</strong>e,<br />
perché <strong>il</strong> sistema è molto costoso e non<br />
risolve <strong>il</strong> problema delle scorie.<br />
(7) Record of the 22nd Meeting of the Policy<br />
Group of the Generation IV International<br />
Forum; Gyeongju, Republic of Korea, 29-<br />
30 November 2007.<br />
(8) I brevetti della Del Fungo Giera Energia<br />
sono l’asse portante del progetto ELSY. Tali<br />
brevetti coprono le parti più importanti<br />
dell’impianto, in particolare i progetti: a)<br />
dell’elemento combustib<strong>il</strong>e: b) del sistema<br />
primario: c) dei generatori di vapore: d) dei<br />
sistemi di movimentazione del combustib<strong>il</strong>e<br />
fresco e di quello esaurito: e) dei sistemi<br />
di evacuazione del calore dal primario e<br />
dall’elemento combustib<strong>il</strong>e durante la movimentazione.<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
59<br />
AVANTI MARCH!<br />
Cronache fam<strong>il</strong>iari dal Ventennio<br />
Autore: Mario Scaffidi Abbate<br />
Pagine: 332<br />
Prima Edizione: Primavera 2007<br />
Prezzo: 20 euro<br />
“C’è chi dice che <strong>il</strong> passato va ricordato solo per costruire<br />
<strong>il</strong> futuro, non per una resa dei conti, che comporterebbe<br />
nuovi odi e nuove lacrime, dividendo ancora di più gl’Italiani,<br />
altri invece osservano che se non si fanno una<br />
buona volta i conti è diffic<strong>il</strong>e che le cose possano cambiare,<br />
che è meglio che tutte le verità e tutte le obiezioni<br />
vengano allo scoperto, non per avv<strong>il</strong>ire grandi tragedie<br />
del passato, innestandole nella politica odierna, ma per<br />
ricordarle senza reticenze ipocrite”.<br />
Mario Scaffidi Abbate è nato a Brescia nel 1926. Docente<br />
di letteratura italiana e accademico tiberino, ha collaborato<br />
a diversi programmi della RAI in particolare con<br />
sceneggiati di carattere storico e linguistico di grande<br />
successo. Ha ricevuto in Campidoglio <strong>il</strong> Premio Nazionale<br />
Excelsior e <strong>il</strong> Premio Nazionale Roma Alma Mater e nel<br />
1994 è stato chiamato a far parte del “Comitato Ministeriale<br />
per la salvaguardia della lingua italiana”. Attualmente<br />
dirige <strong>il</strong> periodico CULTURA organo ufficiale dell’Istituto<br />
Europeo per le Politiche Culturali e Ambientali, di cui è Vicepresidente.<br />
Accanto a molte opere originali - fra cui La<br />
Virtù, Caos, La scuola di Babele, Il mitico numero 7, Il<br />
mondo dello yoga, L’Italia dei Caffè (di cui recentemente<br />
è andato in onda un suo breve sceneggiato su Rai 1) -<br />
ha pubblicato, con la Newton Compton, numerose e apprezzate<br />
traduzioni di testi latini e greci - fra cui Tutte le<br />
opere di Orazio, l’Eneide, Le commedie di Terenzio i Dialoghi<br />
di Seneca, alcune delle Vite parallele di Plutarco, oltre<br />
ai Consigli per i politici e L’arte di saper ascoltare.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Concluso l’adempimento degli obblighi previsti<br />
dalla legge italiana con la cessione delle Gen-<br />
Co (società di produzione cedute in ottemperanza<br />
al Decreto 79/99) e di Terna (società che<br />
gestisce la rete di trasmissione nazionale), e<br />
forte di una posizione finanziaria particolarmente<br />
solida, anche a seguito della focalizzazione<br />
sul core business e la conseguente cessione<br />
di Wind, negli ultimi anni Enel si è concentrata<br />
sulla strategia di internazionalizzazione<br />
attraverso numerose acquisizioni all’estero,<br />
in particolare Est Europa, Russia e Spagna.<br />
Nel febbraio 2005 Enel ha acquistato <strong>il</strong> 66%<br />
della società elettrica Slovenské Elektrárne<br />
(SE), <strong>il</strong> maggior produttore di energia elettrica<br />
della Slovacchia ed <strong>il</strong> secondo dell’Europa<br />
Centro-orientale, con una capacità di 7.000<br />
megawatt. Ad apr<strong>il</strong>e dello stesso anno sono<br />
state acquisite anche le società di distribuzione<br />
Electrica Banat ed Electrica Dobrogea che insieme<br />
rappresentano quasi <strong>il</strong> 20% del mercato<br />
elettrico della Romania con oltre 1 m<strong>il</strong>ione e<br />
400 m<strong>il</strong>a clienti.<br />
Nel 2006, Enel si è aggiudicata la gara per la<br />
rete elettrica di Bucharest, confermandosi come<br />
operatore leader in Romania ed ha rafforzato<br />
anche la propria presenza in Bulgaria,<br />
consolidando <strong>il</strong> controllo di una importante centrale<br />
a lignite.<br />
Nel 2007, Enel è entrata nell’upstream del gas<br />
naturale in Russia attraverso una joint venture<br />
con Eni per lo sv<strong>il</strong>uppo e l’estrazione di gas in<br />
Siberia.<br />
Nello stesso anno, ha acquisito una partecipazione<br />
r<strong>il</strong>evante in OGK-5, prima società di generazione<br />
russa ad essere privatizzata, che<br />
dispone di circa 8.700 MW b<strong>il</strong>anciati tra gas e<br />
carbone.<br />
Sempre nel 2007, Enel, dopo aver bloccato <strong>il</strong><br />
60<br />
e c o n o m i a<br />
Enel:<br />
una multinazionale italiana dell’energia<br />
di Alessandro Luciano<br />
tentativo di scalata da parte di E.On su Endesa,<br />
lancia, insieme al socio spagnolo Acciona,<br />
un’OPA sulla prima società iberica, conclusasi<br />
con <strong>il</strong> raggiungimento del controllo congiunto di<br />
Endesa. Oltre a r<strong>il</strong>evanti asset in Spagna nella<br />
generazione, distribuzione e vendita di energia<br />
elettrica (14.000 MW e 8 m<strong>il</strong>ioni di clienti), Endesa<br />
vanta una presenza importante in America<br />
Latina con circa 8 m<strong>il</strong>ioni di clienti e 10.000<br />
MW.<br />
Nel 2008, infine, a valle dell’OPA residuale su<br />
OGK-5, Enel si è assicurata <strong>il</strong> controllo della<br />
società ed è <strong>il</strong> primo investitore straniero verticalmente<br />
integrato in Russia nel settore<br />
energia.<br />
Con questa importante serie di acquisizioni<br />
Enel ha consolidato <strong>il</strong> suo posizionamento nel<br />
panorama europeo come secondo operatore<br />
integrato in paesi caratterizzati da un’elevata<br />
crescita economica, con particolare r<strong>il</strong>evanza<br />
in Est Europa ed, in prospettiva, nel Mediterraneo.<br />
In tale bacino Enel punta a stab<strong>il</strong>ire delle im
e c o n o m i a<br />
portanti relazioni industriali contando sulla vocazione<br />
dell’Italia ad essere, per sua stessa<br />
conformazione geografica, un «ponte» verso<br />
l’Europa.<br />
La politica industriale di Enel mira a costituire<br />
delle partnership solide e durature con i Paesi<br />
del Mediterraneo, che con la crescita dei grandi<br />
colossi asiatici ha ritrovato una grande centralità<br />
come crocevia degli scambi commerciali<br />
con l’Oriente.<br />
Enel, che da azienda a forte caratterizzazione<br />
nazionale è mutata in vera e propria multinazionale<br />
dell’energia, punta ora ad accedere direttamente<br />
alle fonti energetiche primarie, i<br />
combustib<strong>il</strong>i per le proprie centrali, e ad integrarsi<br />
verticalmente per poter competere su<br />
scala globale.<br />
In tale ottica, l’Est Europa ed <strong>il</strong> Mediterraneo rivestono<br />
un ruolo strategico. Basti pensare che<br />
la quasi totalità delle importazioni di gas naturale<br />
dell’Italia provengono dalla Russia, attraversando<br />
molti paesi dell’ex-blocco sovietico e<br />
dei Balcani, e dall’Algeria, attraverso <strong>il</strong> gasdotto<br />
sottomarino Transmed.<br />
In questi paesi Enel ha già stretto relazioni industriali<br />
con i giganti dell’energia Gazprom e<br />
Sonatrach. Oltre al già citato ingresso nell’upstream<br />
del gas in Russia attraverso la partecipazione,<br />
in joint venture con Eni, all’asta per gli<br />
asset dell’ex-gigante russo degli idrocarburi<br />
Yukos, Enel sta sv<strong>il</strong>uppando in partnership con<br />
Sonatrach e con altri investitori italiani ed esteri<br />
<strong>il</strong> progetto Galsi (acronimo di Gasdotto Algeria<br />
Sardegna Italia): la realizzazione di una pipeline<br />
lunga 900 ch<strong>il</strong>ometri che collegherà l’Italia<br />
con l’Algeria attraversando la Sardegna,<br />
con un investimento previsto dell’ordine di 2<br />
m<strong>il</strong>iardi di euro. Questo progetto fornisce un<br />
importante contributo ad aumentare la sicurezza<br />
e la flessib<strong>il</strong>ità del sistema di approvvigionamento<br />
di gas naturale dell’Italia che registra un<br />
forte aumento della domanda ed una esposizione<br />
sempre più sb<strong>il</strong>anciata verso l’Est Europa.<br />
L’intesa raggiunta costituisce un ulteriore<br />
passo nella strategia di Enel volta a crescere<br />
nell’intera f<strong>il</strong>iera del gas e consolida la partnership<br />
con <strong>il</strong> colosso algerino Sonatrach.<br />
Le partnership industriali con Paesi tipicamen-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
61<br />
te produttori di combustib<strong>il</strong>i foss<strong>il</strong>i (gas, petrolio)<br />
sono un fattore chiave per diversificare <strong>il</strong> rischio<br />
geopolitico di approvvigionamento delle<br />
fonti di energia primaria quali gas e petrolio e<br />
per poter realizzare congiuntamente le infrastrutture<br />
energetiche locali e di interconnessione<br />
con <strong>il</strong> continente europeo.<br />
Particolare attenzione, inoltre, viene data da<br />
Enel al trasferimento di tecnologie innovative e<br />
sostenib<strong>il</strong>i in paesi caratterizzati da elevatissimi<br />
tassi di crescita.<br />
La politica industriale di<br />
Enel mira a costituire<br />
delle partnership solide e<br />
durature con i Paesi del<br />
Mediterraneo, che con la<br />
crescita dei grandi colossi<br />
asiatici ha ritrovato una<br />
grande centralità come<br />
crocevia degli scambi<br />
commerciali con l’Oriente.<br />
Oltre che impegnarsi sul fronte della lotta al<br />
cambiamento climatico nei paesi in cui è già<br />
presente, Enel mira a estendere e rendere disponib<strong>il</strong>i<br />
le sue migliori tecnologie amiche dell’ambiente<br />
per limitare l’impatto che <strong>il</strong> repentino<br />
sv<strong>il</strong>uppo dei paesi dell’area Mediterranea e del<br />
Medio Oriente potrebbe avere a livello globale<br />
in un’ottica di contenimento complessivo dei<br />
gas serra.<br />
Tra le principali aree di azione: le rinnovab<strong>il</strong>i, in<br />
particolare <strong>il</strong> solare termodinamico con <strong>il</strong> progetto<br />
«Archimede», fonte di estremo interesse<br />
per i paesi del Nord Africa; l’eolico, <strong>il</strong> carbone<br />
pulito e le strategie di cattura e sequestro della<br />
CO2; <strong>il</strong> contatore elettronico telegestito e teleletto,<br />
come tecnologia d’avanguardia per la gestione<br />
efficiente del carico delle reti elettriche di<br />
trasporto e distribuzione.<br />
Su questi ed altri temi, Enel ha siglato un Me
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
morandum of Undestanding con l’agenzia governativa<br />
Saudi Arabian General Investment Authority<br />
(Sagia) con l’obiettivo di sv<strong>il</strong>uppare <strong>il</strong> programma<br />
denominato «Economic cities». Un piano<br />
che prevede la costruzione di sei nuove città<br />
in aree periferiche con l’obiettivo di riequ<strong>il</strong>ibrare<br />
lo sv<strong>il</strong>uppo economico del Regno Saudita. Al<br />
tempo stesso, è una delle più grandi iniziative<br />
mai tentate di crescita urbanistica, sociale ed<br />
economica strategicamente pianificata con l’adozione<br />
delle soluzioni più avanzate e competitive<br />
in ogni campo: dall’ed<strong>il</strong>izia, ai trasporti, all’energia.<br />
Le sei nuove città «sostenib<strong>il</strong>i» saranno<br />
dotate delle più moderne tecnologie «verdi» e di<br />
reti e servizi energetici all’avanguardia.<br />
Enel è stata individuata come partner di eccellenza<br />
per questo ambizioso progetto, grazie al<br />
suo riconosciuto know how e alla sua capacità<br />
di innovazione nel settore dell’energia elettrica.<br />
L’accordo raggiunto costituisce per Enel e per<br />
l’Italia una importante occasione per rafforzare<br />
la collaborazione con uno dei Paesi chiave per<br />
<strong>il</strong> futuro energetico del pianeta.<br />
Una terza linea di azione di Enel per i Paesi<br />
dell’Est Europa e del Mediterraneo è rappresentata<br />
dall’investimento diretto in queste aree<br />
per poter superare alcune barriere del «non fare»<br />
in Italia trainando le imprese italiane sue<br />
fornitrici e non verso l’estero. Sempre più investitori<br />
internazionali guardano con interesse<br />
i paesi del bacino come interessanti opportunità<br />
di investimento per la realizzazione di<br />
quelle infrastrutture che, per impatti ambientali<br />
reali o presunti o per complicazioni autorizzative<br />
e burocratiche, diventano sempre più<br />
una «corsa ad ostacoli» nei rispettivi paesi di<br />
appartenenza.<br />
La realizzazione diretta di siti produttivi in aree<br />
limitrofe e l’importazione di quota parte della<br />
produzione attraverso infrastrutture di interconnessione<br />
è un’alternativa interessante che offre<br />
maggiori certezze nella realizzazione degli<br />
impianti di generazione elettrica. Il costo delle<br />
infrastrutture di interconnessione non rappresenta,<br />
nella maggior parte dei casi, un aggravio<br />
aggiuntivo rispetto ai costi dei ritardi nella<br />
realizzazione degli impianti.<br />
In tale direzione, Enel è stata selezionata in<br />
62<br />
e c o n o m i a<br />
Grecia come miglior offerente per la realizzazione<br />
di una centrale a ciclo combinato ad alta<br />
efficienza ed ha acquisito anche 200 MW di<br />
impianti eolici.<br />
In Albania, Enel ha siglato un Memorandum of<br />
Understanding con <strong>il</strong> Ministero dell’Economia<br />
locale per lo sv<strong>il</strong>uppo di una centrale a carbone<br />
pulito da 800 MW, dotata delle migliori tecnologie<br />
ambientali, e la realizzazione di una interconnessione<br />
che consentirà di importare<br />
una quota r<strong>il</strong>evante della produzione in Italia. In<br />
Romania è stato avviato lo sv<strong>il</strong>uppo di nuova<br />
capacità di produzione, per la realizzazione di<br />
nuove centrali a carbone pulito.<br />
Infine, Enel punta a «fare sistema» con le imprese<br />
nazionali per supportare la loro internazionalizzazione<br />
nel settore dell’energia.<br />
Il tessuto industriale italiano, caratterizzato<br />
principalmente da Piccole e Medie Imprese<br />
può beneficiare dell’espansione estera dei<br />
grandi gruppi nazionali stab<strong>il</strong>endo accordi per <strong>il</strong><br />
supporto e la collaborazione nelle aree di presenza<br />
estera.<br />
In tal senso, Enel ed ANIE, l’associazione dei costruttori<br />
elettrici aderente a Confindustria, hanno<br />
sv<strong>il</strong>uppato progetti per la reciproca promozione<br />
nei mercati esteri, lo scambio di informazioni e<br />
dati finalizzati ad una migliore conoscenza dei<br />
mercati di comune interesse e la ricerca ed identificazione<br />
di soluzioni che garantiscano l’ottimizzazione<br />
delle infrastrutture elettriche.<br />
Infine, un supporto essenziale, soprattutto in<br />
settori con alto valore strategico, come quello<br />
dell’energia, dovrà venire dalla politica e dalle<br />
Istituzioni nazionali al fine di stab<strong>il</strong>ire relazioni<br />
di lungo periodo con i Paesi dell’Est Europa e<br />
del bacino del Mediterraneo e per preparare <strong>il</strong><br />
campo per l’azione delle imprese nazionali.
storia<br />
Nel 1949, la Cina di Mao Zedong ritiene come<br />
suoi obiettivi primari per la sicurezza nazionale<br />
<strong>il</strong> controllo diretto della Mongolia, dello Xinjiang<br />
e del Tibet. Nel novembre del 1949, l’anno<br />
stesso in cui <strong>il</strong> Partito Comunista Cinese consolida<br />
la sua vittoria sul Kuomintang di Chiang<br />
Kaishek, le FF.AA, penetrano nel Tibet settentrionale.<br />
Una delegazione del Tibet, nel maggio<br />
1951 (1), si reca a Pechino per siglare un trattato<br />
di pace e di autonomia per <strong>il</strong> territorio tibetano,<br />
i «17 punti» che i cinesi non onorano.<br />
Con le dimostrazioni del 1959, che vengono represse<br />
dalle FF.AA. cinesi in un bagno di sangue,<br />
si arriva ad una accettazione di fatto, da<br />
parte delle amministrazioni USA, della sovranità<br />
cinese sul territorio tibetano con una correlata<br />
richiesta di maggiore attenzione ai diritti<br />
umani della maggioranza-minoranza tibetana<br />
da parte delle autorità di Pechino. Una quadratura<br />
del cerchio.<br />
Ma la logica della presenza cinese in Tibet riguarda<br />
<strong>il</strong> concetto strategico e geopolitica di<br />
«Grande Cina», che diviene un criterio comune<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Tibet:<br />
anello centrale della «grande Cina»<br />
di Marco Giaconi<br />
65<br />
nel dibattito tra i Decisori del PCC. Per «Grande<br />
Cina», come si evince in una carta geografica<br />
edita dagli USA nel 1944, si intende l’area<br />
tradizionale dell’»Impero di Mezzo» con l’aggiunta<br />
della Mongolia Esterna, della Manciuria,<br />
dello Xinjiang e del Tibet, appunto (2). Una nota<br />
del governo cinese nel maggio 1950 identifica<br />
i confini montuosi della «Grande Cina» con<br />
la catena dell’Himalaya, le montagne del<br />
Tianshan e la catena dei monti Shikote Akin.<br />
Dagli anni ‘70 in poi, la «Grande Cina» è un<br />
concetto che riguarda, per i Decisori cinesi,<br />
una stretta comunione di intenti, soprattutto<br />
economici, tra Hong Kong, Taiwan e la madrepatria.<br />
Ma, per la classe dirigente cinese, l’economia<br />
è l’antefatto della geopolitica.<br />
Per alcuni teorici cinesi contemporanei, la<br />
«Grande Cina» è <strong>il</strong> raggiungimento della massa<br />
critica territoriale che permette la massima<br />
elasticità e <strong>il</strong> migliore sv<strong>il</strong>uppo dell’economia di<br />
Pechino, e altri ritengono che la «Grande Cina»<br />
debba divenire, con l’entrata di Singapore<br />
in questo network, l’asse di un «mercato comune<br />
cinese» che elimina barriere tariffarie e<br />
permette la libera mob<strong>il</strong>ità della forza-lavoro e<br />
dei capitali all’interno di questo nuovo asse<br />
strategico e geoeconomico. E <strong>il</strong> Tibet è essenziale<br />
a questo processo, oltre ad essere <strong>il</strong> punto<br />
di snodo strategico del controllo da parte<br />
della Cina della penisola indiana e dell’area<br />
centroasiatica dello SCO, Shangai Cooperation<br />
Organization. D’altro canto, l’integrazione<br />
del Tibet e degli altri territori-cuscinetto nella<br />
«Grande Cina» permette una operazione culturale<br />
e identitaria della attuale dirigenza di Pechino:<br />
la costruzione di uno spazio «di comune<br />
civ<strong>il</strong>tà cinese» caratterizzato da una cultura<br />
«pan-cinese», un modello di soft power molto<br />
sim<strong>il</strong>e alle tentazioni panturaniche turche nell’Asia<br />
Centrale, fino appunto allo Xinkiang (3).
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Ma che cosa percepisce come minaccia, oggi,<br />
l’élite cinese? È questo quello che dobbiamo<br />
definire per capire cosa sta accadendo e soprattutto<br />
cosa accadrà in futuro in Tibet. Per alcuni<br />
dirigenti cinesi, la sicurezza strategica di<br />
Pechino riguarda «aree vicine al confine cinese,<br />
e non ci sono al momento pericoli credib<strong>il</strong>i di<br />
invasione del territorio nazionale, ma le altre<br />
potenze globali hanno situazioni ai confini maggiormente<br />
sicure, mentre Pechino analizza situazioni<br />
di instab<strong>il</strong>ità nel Kashmir, in Afghanistan,<br />
nella penisola coreana e nel Mar Cinese<br />
meridionale, oltre che negli Stretti di Taiwan, e<br />
tutte queste zone di instab<strong>il</strong>ità fortemente ifluiscono<br />
sulla percezione della sicurezza strategica<br />
del PCC» (4). Quindi <strong>il</strong> Tibet è essenziale per<br />
Pechino: da esso si controllano le evoluzioni (o<br />
le criticità) dell’Afghanistan e si gestisce la continuità<br />
di controllo strategico verso <strong>il</strong> Kashmir e<br />
l’area himalayana della «Grande Cina».<br />
L’India, per la Cina contemporanea, è un problema.<br />
Nel 1954 lo scambio commerciale tra i<br />
due paesi fu sospeso a causa delle tensioni<br />
confinarie, che anche allora riguardavano <strong>il</strong> Tibet.<br />
L’India, percepita dal PCC come «inferiore»<br />
nel processo di sv<strong>il</strong>uppo e globalizzazione<br />
successivo alla guerra fredda, potrebbe divenire<br />
<strong>il</strong> referente strategico del Tibet autonomo, ed<br />
è questo che turba i sonni dell’élite comunista<br />
di Pechino. Fra l’altro, negli anni più recenti l’India<br />
si è rivelata un forte competitore della Cina<br />
È nel Tibet che si<br />
incontrano, fin dalle<br />
prime fasi della Cina<br />
maoista, tutte le vie<br />
terrestri di controllo e<br />
gestione della proiezione<br />
cinese di potenza sulla<br />
massa eurasiatica<br />
maggiore.<br />
66<br />
storia<br />
per <strong>il</strong> petrolio e <strong>il</strong> gas naturale in Angola, in Sudan,<br />
in Ecuador, in Nigeria e nel Kazakhistan.<br />
Ma la collaborazione in questo settore ha portato,<br />
nel 2005, all’acquisizione dei campi petroliferi<br />
siriani detenuti da PetroCanada, ma l’aumento<br />
dei prezzi degli idrocarburi e la possib<strong>il</strong>ità<br />
per la CFina di essere messa fuori da alcuni<br />
mercati petroliferi da parte dell’India è un<br />
punto critico per la prosecuzione dello sv<strong>il</strong>uppo<br />
economico impetuoso di Pechino in questi anni.<br />
La competizione tra Cina e India perviene<br />
inoltre alla suddivisione attuale delle due aree<br />
di influenza: la Cina proietta la sua global strategy<br />
nell’Asia Meridionale, mentre l’India sta<br />
programmando una sua penetrazione stab<strong>il</strong>e<br />
nell’Asia Orientale (5).<br />
La strategia della «collana di perle» che la Cina<br />
intende sv<strong>il</strong>uppare intorno a sé, dall’isola di<br />
Hainan a Woody Island, da Chittagong a Sitwe,<br />
nel Myanmar, da Gwadar nel Pakistan agli<br />
stretti di Malacca, fino al Golfo Persico, la Cina<br />
sta costruendo la securizzazione delle sue linee<br />
di comunicazione m<strong>il</strong>itari-civ<strong>il</strong>i e commerciali.<br />
Che hanno assoluto bisogno di essere del<br />
tutto «coperte sul piano terrestre, e <strong>il</strong> Tibet è<br />
l’asse del passaggio di queste linee di securizzazione<br />
terrestre della «Grande Cina» (6).<br />
Ed è nel Tibet che si incontrano, fin dalle prime<br />
fasi della Cina maoista, tutte le vie terrestri di<br />
controllo e gestione della proiezione cinese di<br />
potenza sulla massa eurasiatica maggiore.<br />
Dalla firma del trattato sino-indiano del 1954,<br />
iniziarono i lavori che portarono alla costruzione<br />
(terminata nel 1975) (7) di due strade che<br />
collegavano Lhasa alla Cina interna: la Sechuan-Tibet,<br />
che va dalla capitale del Chinai<br />
Chengtu, passa in tutte le aree orientali del Tibet<br />
prima di arrivare a Lhasa. La seconda Strada<br />
M<strong>il</strong>itare cinese, che da Sining arriva anch’essa<br />
fino a Lhasa. è stata completata da<br />
tempo la strada Yunnan-Tibet, e a Shigatse, in<br />
connessione/contrasto strategico con la equivalente<br />
base aerea indiana nel Ladakh, opera<br />
un comando interarma dell’Armata Popolare<br />
Cinese che gestisce tutta la rete avanzata di<br />
basi e di sensori cinesi nel sud e nel sudest<br />
dell’Himalaya, controllando quindi i confini del<br />
Bhutan, del Sikkim, del Nepal e del ladakh (8).
storia<br />
Vi sono poi notizie, mai confermate pubblicamente,<br />
secondo le quali la Cina, fin dai tempi<br />
degli scontri sull’Ussuri con l’URSS nel 1969,<br />
avrebbe trasferito le sue strutture nucleari dal<br />
poligono di Lop Nor, considerato troppo vicino<br />
all’URSS, verso località segrete del Tibet, <strong>il</strong> che<br />
sarebbe peraltro giustificato nel quadro della<br />
suaccennata strategia della «collana di perle»<br />
(9). Vi sono comunque stazioni radar evolute<br />
cinesi a Chuang Teng Tze (Mongolia interna)<br />
Nangheng Tagyori e Phutak Zolling (in Tibet) e<br />
una stazione di identificazione dei miss<strong>il</strong>i avversari<br />
nel «Tibet occidentale» (10). Quindi,<br />
per parafrasare la vecchia formula della geopolitica<br />
di Mackinder, «chi controlla <strong>il</strong> Tibet domina<br />
<strong>il</strong> territorio alla base della catena dell’Himalaya,<br />
chi domina la costa dell’Himalaya minaccia<br />
<strong>il</strong> subcontinente indiano, e chi minaccia<br />
<strong>il</strong> subcontinente indiano può fac<strong>il</strong>mente avere<br />
sotto controllo tutta l’Asia meridionale, e quindi<br />
tutta l’Asia»(11).<br />
Le FF.AA. cinesi in Tibet hanno sostanzialmente<br />
due funzioni: difendere i confini della Madrepatria<br />
e sopprimere ogni fermento indipendentista<br />
tibetano, che potrebbe richiamare interventi<br />
esterni e rendere porosa la sicurezza terrestre<br />
della Cina, producendo così la debolezza<br />
strutturale della proiezione di potenza cinese<br />
verso i mari regionali orientali e, di converso,<br />
una debolezza strutturale di Pechino verso<br />
<strong>il</strong> Giappone rendere conseguentemente diffic<strong>il</strong>e<br />
la futura riunione di Taiwan alla madrepatria.<br />
E inoltre, la Cina intende competere, fin dai<br />
tempi di Mao ZXedong, con l’India per gestire<br />
relazioni preferenziali con gli stati himalayani.<br />
E, di conseguenza, la Cina ha sempre favorito<br />
regimi nazionalisti autonomi nella buffer zone<br />
tra Tibet e India: le rivolte nel Sikkim, nel Kashmir,<br />
nel Nagaland, e nel supporto di Pechino al<br />
nazionalismo antindiano negli stati himalayani.<br />
In una situazione del genere, in cui l’India attuale<br />
si proietta nei mari meridionali verso occidente<br />
e evita di ut<strong>il</strong>izzare come mezzo di propaganda<br />
<strong>il</strong> suo modello induista-pluralista, <strong>il</strong><br />
maggior obiettivo delle numerose forze armate<br />
cinesi di stanza in Tibet è quello di sostenere lo<br />
sforzo diplomatico di Pechino nella regione<br />
dell’Himalaya, per isolare l’India e allargare la<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
67<br />
sicurezza della «Grande Cina». Quindi, pensare<br />
che la Cina r<strong>il</strong>asci la presa in Tibet, è del tutto<br />
irragionevole. Certamente, <strong>il</strong> danno di immagine<br />
per Pechino della persistenza e della radicalità<br />
della rivolta nazionalista tibetana è r<strong>il</strong>evante,<br />
qualunque sia <strong>il</strong> periodo di durata della<br />
repressione violenta dei moti tibetani. Ma Pechino<br />
non mollerà tanto fac<strong>il</strong>mente, e le pressioni<br />
dell’Occidente scivoleranno via come un<br />
tè verde dello Yunnan.<br />
Gli scenari successivi alla «pacificazione» tacitiana<br />
della rivolta in Tibet potranno essere, per<br />
la Cina, i seguenti: 0a) una nuova riedizione<br />
della «strategia del sorriso», preceduta da una<br />
stretta nei rapporti commerciali b<strong>il</strong>aterali con i<br />
Paesi che maggiormente hanno sostenuto la<br />
rivolta tibetana, b) una nuova selezione, da<br />
parte di Pechino, degli «amici» e dei «nemici».<br />
Il che comunque avrà per epicentro <strong>il</strong> controllo<br />
delle reti commerciali indiane, che probab<strong>il</strong>mente<br />
saranno penetrate da un capitale cinese,<br />
«grigio» o «bianco» particolarmente aggressivo,<br />
e tale da creare un rallentamento della<br />
crescita economica del subcontinente indiano.<br />
Una guerra commerciale coperta tra India e<br />
Cina, senza esclusione di colpi e che avrà come<br />
obiettivo i mercati euroamericani nei quali<br />
India e Cina perseguono strategia di penetrazione<br />
sim<strong>il</strong>i. Una terza opzione c) riguarda la<br />
possib<strong>il</strong>ità da parte della élite cinese, dopo la<br />
crisi tibetana, di aprire un nuovo meccanismo<br />
di rapporto tra centro e periferia della «Grande<br />
Cina», seguendo l’esempio del processo di liberalizzazione<br />
economica e di crescita ecce
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
zionale del PIl che riuscì a riassorbire la rivolta<br />
di Tienanmen del 1989.<br />
Una alternativa ulteriore è invece quella di una<br />
forte «rieducazione» al nazionalismo da parte<br />
del PCC verso la sua opinione pubblica e un<br />
conseguente depopolamento forzato, con le<br />
buone o le cattive, del Tibet come di altre aree<br />
particolarmente riottose della campagne, quelle<br />
che secondo Lin Biao dovevano «accerchiare<br />
le città del mondo». In ogni caso, la situazione<br />
tibetana ha dimostrato che l’ingenua equazione<br />
crescita economica=maggiore democratizzazione<br />
è una sciocchezza. Tanto maggiore sarà<br />
la crescita economica cinese nei prossimi anni,<br />
invece, tanto maggiore sarà la propaganda nazionalista,<br />
identitaria, di orgogliosa forza m<strong>il</strong>itare<br />
che Pechino mostrerà in futuro.<br />
Il «supplemento d’anima» per l’impetuoso sv<strong>il</strong>uppo<br />
economico cinese non è la democrazia<br />
di massa, ma sarà certamente <strong>il</strong> ritorno dell’etica<br />
gerarchica e orgogliosamente han (e razzista)<br />
che ha caratterizzato <strong>il</strong> confucianesimo, e<br />
che infatti viene diffusa in forti dosi attraverso<br />
tutti i mass-media cinesi. E <strong>il</strong> correlato oggettivo<br />
del confucianesimo di Partito sarà <strong>il</strong> ritrovato<br />
orgoglio m<strong>il</strong>itare e nazionalistico. Se <strong>il</strong> Tibet<br />
sarà «risolto» da Pechino in tempo ut<strong>il</strong>e, certamente<br />
la durata di Taiwan come stato indipendente<br />
diminuisce.<br />
Soluzioni? Nessuna credib<strong>il</strong>e. Sia l’UE che gli<br />
USA sono legati a f<strong>il</strong>o doppio alla economia e<br />
alla finanza cinesi, e in una situazione come<br />
quella attuale, di recessione globale, nessuno<br />
si metterà contro Pechino. Per convincere la Cina,<br />
casomai, occorrerebbe una posizione avanzata<br />
NATO verso i confini terrestri di Pechino,<br />
con alleanze stab<strong>il</strong>i e affidab<strong>il</strong>i con i Paesi confinanti<br />
himalayani e non. Ma anche questa via è<br />
chiusa, la Shangai Cooperation Organization è<br />
ormai funzionante, dopo gli esercizi m<strong>il</strong>itari comuni<br />
dell’Estate 2007 (12), e gli stati interstiziali<br />
tra Cina e India sono diffic<strong>il</strong>mente gestib<strong>il</strong>i da<br />
un potere esterno a quel quadrante strategico,<br />
nel quale la Cina riattiverebbe in un attimo le attuali<br />
guerriglie «maoiste» come in Nepal o nel<br />
Kashmir. Ma <strong>il</strong> fallimento dell’umanitarismo democratico,<br />
che non salverà una sola vita tibetana,<br />
deve far pensare all’Europa e agli USA che,<br />
68<br />
come affermava Machiavelli, i profeti disarmati<br />
«ruinorno», mentre quelli armati «vinsono».<br />
Note<br />
storia<br />
1. Guangqiu Xu, The United States and the Tibet<br />
Issue, «Asian Survey», Vol. 37, n. 11, November<br />
1997<br />
2. U.S. Office for Strategic Service, Greater<br />
China, Washington D.C., da FOIA CIA<br />
3. David Yen-ho Wu, The construction of Chinese<br />
and Non-Chinese identities, in «Dedalus,<br />
vol. 120, n. 2, 1991<br />
4. Dong Fanxiao, Knowing and seeking change,<br />
in «Xiandai Guoji Guangxi» (Contemporary<br />
International Relations» n. 4, apr<strong>il</strong>e 2003<br />
5. Susan L. Craig, Chinese Perceptions of traditional<br />
and nontraditional security threats,<br />
Strategic Studies Institute, Carlisle Barracks,<br />
March 2007<br />
6. Intellibriefs, China’s «String of pearls» Strategy,<br />
1 Apr<strong>il</strong> 2007,<br />
www.intellibriefs/blogspot.com<br />
7. Radio Lhasa, 9 September 1975<br />
8. Dawa Norbu, Strategic development in Tibet,<br />
implications for its neighbours, «Asian Survey»,<br />
vol. 19, n. 3 Marzo 1979<br />
9. Le uniche voci sull’argomento furono raccolte<br />
dalla Tibetan Review, nel numero di Agosto-<br />
Settembre del 1969, pp.5-6.<br />
10. Per <strong>il</strong> report completo delle reti m<strong>il</strong>itari cinesi<br />
(dell’epoca) in Tibet, v. la Tibetan Review,<br />
Marzo 1974, pp-4-5.<br />
11. George Ginsborg e Michael Matho, Communist<br />
China and Tibet: The first dozen years,<br />
The hague, Nijoff, 1964.<br />
12. The Rising Dragon, SCO Peace Mission<br />
2007 Jamestown Foundation, Washington<br />
D.C., 19 October 2007.
storia<br />
In questi drammatici anni, le nazioni occidentali<br />
che si sono assunte <strong>il</strong> compito di affrontare<br />
una sfida terrorista di proporzioni inaudite e<br />
qualitativamente diversa dal tradizionale ricorso<br />
all’uso del terrore, si sono trovate di fronte a<br />
una duplice difficoltà.<br />
La prima era una difficoltà «prevista», quella<br />
legata al controllo dei territori nei quali si è sv<strong>il</strong>uppata<br />
e si sta sv<strong>il</strong>uppando quella che Norman<br />
Podhoretz, senza ipocrisie, ha definito la<br />
«quarta guerra mondiale», <strong>il</strong> conflitto asimmetrico<br />
condotto dai nemici dell’Occidente, di<br />
Israele e dei musulmani «apostati» - con la jihad<br />
e la disposizione al sacrificio personale degli<br />
shahid, i martiri; con attentati di tipo tradizionale;<br />
con l’espletamento della logica qaedista<br />
della rete transnazionale dei gruppi terroristici,<br />
liberi di agire «in franchising» nel nome di<br />
un leader carismatico - nei campi di battaglia<br />
strategici, dove la scelta è fra tentare un approccio<br />
democratico o finire sotto un sistema di<br />
controllo sim<strong>il</strong>e a quello esercitato dai talebani<br />
in Afghanistan fino al 2001.<br />
Come l’Iraq, dove David Petraeus, con <strong>il</strong> suo<br />
«surge», sembra aver ribaltato le sorti di una<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
La sfida del terrorismo<br />
di Andrea Pannocchia<br />
71<br />
situazione che rischiava, dopo <strong>il</strong> fac<strong>il</strong>e successo<br />
bellico che aveva detronizzato Saddam, di<br />
trasformarsi in una disfatta nella gestione della<br />
pace e della riedificazione di uno stato democratico<br />
dopo decenni di feroce dittatura e di<br />
scontri tribali e interreligiosi. Ed è importante<br />
notare come alla base del «surge» ci sia un<br />
controllo più cap<strong>il</strong>lare e più accorto del territorio<br />
da parte delle truppe americane, capaci finalmente,<br />
come fa capire Daniele Raineri nel<br />
libello pubblicato da «Il Foglio», Il caso Petraeus,<br />
di accedere a una visione dell’intelligence<br />
meno legata alle tecnologie del sigint e<br />
dell’elint e più orientata verso la humint, la human<br />
intelligence, la capacità (ald<strong>il</strong>à dell’ambito<br />
meramente spionistico) di leggere la realtà del<br />
luogo, con scaltrezza e sensib<strong>il</strong>ità.<br />
La seconda difficoltà era forse meno prevedib<strong>il</strong>e,<br />
ed è legata ad alcuni meccanismi e paradossi<br />
della comunicazione, soprattutto di quella<br />
dei paesi occidentali, i cui processi produttivi,<br />
le cui logiche editoriali e - last but not least -<br />
alcuni sistemi ideologici, pregiudiziali e ascientifici<br />
ma ancora vincenti nella loro fac<strong>il</strong>ità propositiva<br />
(su tutti l’antiamericanismo e la cultura<br />
del politically correct) hanno creato e continuano<br />
a creare notevoli difficoltà interpretative circa<br />
la natura della posta in gioco e la pericolosità<br />
di un neoterrorismo più incontrollab<strong>il</strong>e (perché<br />
non legato unicamente a interessi geostrategici<br />
di alcuni Stati), più diffic<strong>il</strong>e da contrastare<br />
(perché affidato alla volontà di martirio di un<br />
lumpenproletariat musulmano conquistato nei<br />
decenni scorsi, fra le sottovalutazioni di tutto<br />
l’occidente, alla predicazione dei Fratelli musulmani<br />
e poi del nascente qaedismo, nato nel<br />
1998 ma in realtà battezzato nei campi di battaglia<br />
dell’Afghanistan del 1979, quando a<br />
combattere contro i sovietici stavano assieme<br />
sauditi, marocchini, algerini in una sorta di in-
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
ternazionale di Allah) e più feroce (perché abolisce<br />
la distinzione tra m<strong>il</strong>itari e civ<strong>il</strong>i, ritenendo<br />
che poiché Israele e Stati Uniti sono democrazie,<br />
i cittadini che col voto mandano al potere<br />
Sharon e Bush sono nemici dei musulmani<br />
quanto i loro governanti) del passato.<br />
In questo articolo proviamo ad esaminare due<br />
di queste difficoltà.<br />
Prima cosa che non capiamo:<br />
ideologia arcaica e tecnologie moderne<br />
Scoprire qualcosa del m<strong>il</strong>itante qaedista, archetipo<br />
del terrorista contemporaneo, significa<br />
imbattersi in un apparente paradosso.<br />
Abituati come siamo a declinare <strong>il</strong> concetto di<br />
modernità su base meramente quantitativa e<br />
progressiva, in riferimento soprattutto alle tecnologie<br />
della comunicazione (i telefoni cellulari,<br />
Internet ecc) ci siamo dimenticati che la modernità,<br />
vista come Kultur secondo una vecchia<br />
ma efficace definizione di Luciano Pellicani,<br />
è <strong>il</strong> portato storico, certo non privo di contraddizioni,<br />
di una serie di processi che in Occidente<br />
prima e più che altrove hanno visto <strong>il</strong><br />
loro compimento: l’azione elettiva, <strong>il</strong> primato<br />
della legge, l’universalizzazione dei diritti di cit-<br />
72<br />
storia<br />
tadinanza, l’istituzionalizzazione del mutamento,<br />
la secolarizzazione culturale, l’autonomia<br />
dei sottosistemi, la razionalizzazione.<br />
E gli sv<strong>il</strong>uppi della comunicazione di massa<br />
(dal telegrafo ad Internet) sono stati al tempo<br />
stesso motore e frutto dei cambiamenti nelle<br />
configurazioni dei rapporti umani.<br />
Convinti, dopo <strong>il</strong> crollo del Muro, che davvero -<br />
come disse un grande sociologo ma non altrettanto<br />
br<strong>il</strong>lane politologo - la storia si sarebbe<br />
placidamente evoluta verso una sorta di liberalismo<br />
universale, celebrando <strong>il</strong> trionfo delle<br />
conquiste del mercato e della democrazia, abbiamo<br />
perso di vista <strong>il</strong> senso morale, potremmo<br />
dire la missione modernizzatrice dell’Occidente,<br />
risvegliandoci una mattina di settembre del<br />
2001 colpiti al cuore commerciale e simbolico<br />
della nostra modernità da delle persone che ci<br />
odiano a tal punto da essersi impossessati delle<br />
nostre tecnologie per distruggerci. E non solo<br />
quelle necessarie a p<strong>il</strong>otare un aereo, ma<br />
anche e soprattutto quelle comunicative.<br />
Tre distinti documenti ci fanno vedere <strong>il</strong> nesso,<br />
tanto inestricab<strong>il</strong>e quanto per noi occidentali<br />
diffic<strong>il</strong>mente comprensib<strong>il</strong>e, tra un tipo di educazione<br />
e di religiosità arcaica e un uso sapiente<br />
della comunicazione, intesa sia come<br />
tecnica, sia come agire quotidiano, anche e soprattutto<br />
in territorio nemico, secondo modalità<br />
di conoscenza del terreno (qui intesa nel senso<br />
di inf<strong>il</strong>trazione nella modernità) che possiamo<br />
far risalire fino a Sun-Tzu.<br />
A segnalarcele sono Ferdinando Imposimato,<br />
che riporta estratti di un manuale del guerrigliero<br />
(rinvenuto a Manchester, nel rifugio di un<br />
dirigente di Al Qaida alcuni anni fa; Manchester,<br />
non Il Cairo!!) in 180 pagine, 18 capitoli,<br />
con istruzioni su come uccidere o vivere all’estero<br />
in clandestinità, come comportarsi in famiglia<br />
e altri aspetti di vita quotidiana; Guido<br />
Olimpio, che riporta, sul Corriere della Sera, alcuni<br />
f<strong>il</strong>e scaricati da Osman Rabei, alias Mohammedi<br />
l’egiziano, arrestato in Italia e estradato<br />
in Spagna dove è ritenuto una delle presunte<br />
menti della strage di Madrid (11 marzo<br />
2004); e Antonio Roversi, nel suo viaggio su<br />
L’odio in rete, la cui sezione dedicata alla jihad<br />
elettronica ci ricorda <strong>il</strong> legame, solo apparente
storia<br />
mente paradossale, fra ideologie arcaiche e<br />
mezzi di comunicazione moderni.<br />
Cominciamo col manuale del perfetto qaedista:<br />
Le armi: l’arma preferita da Al Qaida è l’esplosivo<br />
ad alto potenziale: incute al nemico panico<br />
e terrore ed è sicuro poiché permette ai mujaheddin<br />
di fuggire dopo averlo piazzato. Altre<br />
armi sono i veleni o le armi bianche, quelle<br />
usate sugli aerei; pugnali, cavetti di na<strong>il</strong>on per<br />
strangolare, sostanze tossiche. Viene autorizzata<br />
ogni tipo di violenza e di tortura.<br />
L’inchiesta: prima di entrare in azione, <strong>il</strong> k<strong>il</strong>ler<br />
deve studiare a fondo <strong>il</strong> bersaglio: nome, età,<br />
residenza, lavoro, strade seguite per andare al<br />
lavoro, tempo libero, negozi usati, medico di fiducia.<br />
I requisiti: l’agente di Allah deve avere undici<br />
requisiti.<br />
Occorre un uomo astuto ed intelligente, calmo,<br />
capace di resistere all’arresto ed alla prigione,<br />
di affrontare <strong>il</strong> trauma dell’omicidio e delle stragi.<br />
«Quando si è impegnati in una azione di<br />
spionaggio è proibito avere rapporti sessuali e<br />
bere. Non c’è nulla che possa permettere queste<br />
due cose». «Ma se si opera sotto copertura<br />
in occidente - ipotesi prevalente - si possono<br />
dimenticare le tradizioni e i precetti musulmani.<br />
In questo modo sarà più fac<strong>il</strong>e ingannare<br />
<strong>il</strong> nemico». (1)<br />
Codice: i m<strong>il</strong>itanti usano codici cifrati, messaggi<br />
coperti via Internet ed usano eccezionalmente<br />
<strong>il</strong> telefonino. Nelle conversazioni normali<br />
le armi sono chiamate strumenti, le granate<br />
«patate», <strong>il</strong> tritolo «sapone».<br />
Processo: se arrestato, <strong>il</strong> m<strong>il</strong>itante deve denunciare<br />
maltrattamenti e percosse, quindi deve<br />
sfruttare le visite in prigione per comunicare<br />
con i fratelli all’esterno.<br />
(Imposimato 2002, pp.26-37)<br />
Rabei invece adopera <strong>il</strong> computer per mantenere<br />
<strong>il</strong> suo pensiero radicale, comunicare e<br />
perfezionare la propria formazione jihadista,<br />
vale a dire scaricare audio di Osama, video di<br />
ostaggi decapitati, poesie che incitano al martirio<br />
e alla guerra santa.<br />
Riportiamo solo alcuni stralci:<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
73<br />
12 febbraio 2004<br />
Ore 22,34: video con un m<strong>il</strong>itante in divisa.<br />
3 marzo 2004<br />
Ore 7,55: qualcuno salva un comunicato dell’ufficio<br />
del mullah Omar (<strong>il</strong> capo dei talebani)<br />
sulla strategia in Afghanistan.<br />
29 marzo 2004<br />
ore 8,01 e 9,11: f<strong>il</strong>e audio di argomentazioni sui<br />
contrasti all’interno del mondo arabo sulla<br />
guerra a Israele. Ringraziamento ad Allah perché<br />
vi sono giovani che difendono l’islam e che<br />
rifiutano di seguire le leggi di coloro che guidano<br />
i Paesi arabi.<br />
Ore 17,58: lezione religiosa dello sceicco egiziano<br />
Kishk che invita gli arabi alla guerra ed<br />
esorta a combattere i miscredenti.Ore 18,03:<br />
audio con una lezione sulla comunità islamica<br />
aggredita dai nemici di Dio e miscredenti.<br />
(...)<br />
1° maggio 2004<br />
Ore 18,24: visita a sito religioso.<br />
Ore 18,29: visita a sito religioso con l’intestazione:<br />
«Allah ha detto che ogni persona ha assaggiato<br />
la morte». Nella medesima pagina<br />
web vi sono altre finestre chiamate: meditazione;<br />
la morte è fac<strong>il</strong>e; questo nostro appuntamento;<br />
storie a effetto; la tomba; cosa hai fatto<br />
amico mio?»<br />
Ore 18,30: visita al sito delle Brigate salafite jihadiste.<br />
8 maggio 2004<br />
Collegamenti tra le ore 0,26 e le 15,39: testo<br />
dedicato alla «vita del martire Youssef Alairi».
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
È un m<strong>il</strong>itante qaedista ucciso nel 2003.<br />
- due audio, uno dedicato alla jihad, l’altro è un<br />
proclama di Bin Laden che recita «Noi siamo in<br />
preghiera e in guerra santa, porto la testimonianza<br />
del profeta Maometto. La resistenza di<br />
un’ora in guerra santa vale come sessant’anni<br />
di vita»<br />
audio di una persona che prega Allah affinché<br />
gli doni <strong>il</strong> martirio (...)<br />
Guido Olimpio, Il manuale del perfeto jihadista,<br />
in «Corriere della Sera», 10.03.05<br />
Vediamo infine la descrizione di due video tratti<br />
rispettivamente da due dei più frequentati siti jihadisti,<br />
Supporters of Shareeah e e-jihad-net:<br />
Il primo (...) Si intitola «Vieni nella jihad» e nella<br />
prima parte mostra, con una serie di zoomate<br />
dentro le case, degli atti di violenza commessi<br />
dai soldati occidentali nei confronti di<br />
una popolazione inerme composta da donne,<br />
vecchi e bambini. Nella seconda parte vengono<br />
invece mostrate, quasi in trasparenza, sullo<br />
sfondo di un v<strong>il</strong>laggio diroccato, diverse fotografie<br />
di m<strong>il</strong>itanti armati che sf<strong>il</strong>ano con bandiere<br />
inneggianti alla jihad. Il secondo è un video<br />
intitolato «Canzone per i bambini palestinesi»<br />
(...). Dice un brano della canzone :<br />
74<br />
storia<br />
«Avanti musulmani, impugnate le vostre spade.<br />
I bambini plaestinesi vi chiamano. Non abbiate<br />
paura della morte. Non indugiate. Allah vi<br />
ha promesso la vittoria. Avanti musulmani, impegnate<br />
le vostre spade. I bambini palstinesi vi<br />
chiamano». E mentre la camzone viene intonata<br />
da un coro di voci, sullo fondo scorrono le<br />
immagini dei combattenti islamici che impugnano<br />
fuc<strong>il</strong>i e mitragliatrici, usano lanciarazzi e<br />
bombe molotov, bruciano bandiere americane.<br />
Un messaggio che non lascia spazio ad alcuna<br />
ambiguità.<br />
(Roversi 2006, p.152)<br />
E un magistrato che ha a lungo indagato sul<br />
terrorismo internazionale, condensando le sue<br />
riflessioni nel bel libro M<strong>il</strong>ano-Baghdad, Stefano<br />
Dambruoso, ricorda che dopo l’11 settembre<br />
<strong>il</strong> ricorso a Internet si è accentuato, perché<br />
è uno strumento veloce e universale di comunicazione<br />
e perché ha permesso di colmare le<br />
lacune operative emerse dopo l’arrivo delle<br />
truppe alleate a Kabul con l’offensiva Enduring<br />
Freedom. E aggiunge:<br />
Internet è diventata un formidab<strong>il</strong>e centro di<br />
propaganda, proselitismo e perfino d’addestramento.<br />
Sul web fai passare di tutto. Informazioni<br />
su come costruire una bomba, tecniche<br />
per tendere un agguato, formule per miscele<br />
chimiche. Dati scritti e decine di video. Una volta<br />
i mujaheddin affidavano i loro testamenti ed<br />
esperienze a volantini che dovevano essere<br />
stampati e portati a mano. Oggi registrano un<br />
cd e quasi in tempo reale finisce sulla rete. È<br />
sufficiente un clic sul mouse ed entri in un mondo<br />
che ruota attorno al «martire»......<br />
(Dambruoso 2004 , pp. 102-103)<br />
Come dire, mentre noi non sappiamo l’arabo,<br />
loro sanno l’inglese, sanno quando scrivere<br />
nella loro lingua e quando in quella dell’Union<br />
Jack, sanno cosa dire al loro uditorio e cosa dire<br />
agli occidentali (un maestro in questa doppiezza<br />
era Yasser Arafat). E ci siamo anche dimenticati<br />
delle conseguenza possib<strong>il</strong>i dell’uso<br />
di Internet, quali quelle individuate dal sociologo<br />
dei media Poster che, nel 1999, notava co
storia<br />
me l’essenza di Internet fosse la sua indeterminatezza,<br />
non solo per l’incertezza circa <strong>il</strong> futuro,<br />
ma anche per la sua qualità tipicamente<br />
postmoderna derivante da due caratteristiche.<br />
In primo luogo, rispetto al sistema radiotelevisivo<br />
e alla stampa, Internet incorpora radio, cinema<br />
e televisione e ne permette la distribuzione.<br />
In secondo luogo Internet supera i limiti<br />
dei modelli della stampa e del sistema radiotelevisivo<br />
in quanto permette la conversazione<br />
da molti a molti; rende simultaneamente possib<strong>il</strong>e<br />
la ricezione, l’elaborazione e la redistribuzione<br />
di oggetti culturali; comporta la dislocazione<br />
comunicativa rispetto ai confini nazionali<br />
e alle relazioni spaziali territorializzate tipiche<br />
della modernità; fornisce un contatto globale<br />
istantaneo e, infine, immette <strong>il</strong> soggetto moderno/tardo<br />
moderno in una rete interconnessa<br />
(Poster, 1999).<br />
Seconda cosa che non capiamo:<br />
terroristi si diventa (e non per reazione)<br />
Secondo <strong>il</strong> dizionario curato da Tullio De Mauro,<br />
per «terrorismo» si intende «metodo di lotta<br />
politica ut<strong>il</strong>izzato da gruppi rivoluzionari o sovversivi<br />
che, considerando impossib<strong>il</strong>e conseguire<br />
con mezzi legali i propri fini, tentano di<br />
destab<strong>il</strong>izzare o rovesciare l’assetto politicosociale<br />
esistente con atti di violenza organizzata».<br />
Questa definizione mette in luce la natura organizzata<br />
e pianificata del fenomeno terroristico,<br />
e deve dunque essere contrapposta alle<br />
letture «giustificazioniste» o «romantiche» che,<br />
soprattutto a proposito del terrorismo palestinese,<br />
vengono spesso adoperate nel linguaggio<br />
comune e anche in alcune rappresentazioni<br />
mediali. Fra le più comuni citiamo le seguenti:<br />
i terroristi sbagliano ma non hanno altri<br />
mezzi per difendersi da uno Stato m<strong>il</strong>itarmente<br />
potente e organizzato come Israele; i terroristi<br />
sbagliano ma reagiscono ad altrui ingiustizie<br />
(come l’occupazione israeliana dei territori palestinesi<br />
dopo <strong>il</strong> 1967); anche i patrioti italiani o<br />
di altre Nazioni che hanno conquistato faticosamente<br />
la propria indipendenza dal dominio<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
75<br />
straniero hanno fatto uso del terrorismo e dunque<br />
i palestinesi potrebbero, dal loro punto di<br />
vista, essere chiamati non «terroristi» ma<br />
«combattenti per la libertà; <strong>il</strong> terrorismo è una<br />
cosa che non riguarda chi si comporta bene<br />
con gli altri (come quelle nazioni che non parteciparono<br />
alla coalition of w<strong>il</strong>lings in Iraq),<br />
ecc.. Per non parlare delle disquisizioni, anche<br />
giuridiche, sulla differenza tra terrorista e guerrigliero,<br />
su cui si è esercitata, fra gli altri, anche<br />
l’ineffab<strong>il</strong>e Clementina Forleo (peraltro incuneandosi<br />
in alcune oggettive lacune legislative,<br />
almeno per quanto riguarda l’Italia).<br />
È opportuno allora fare un po’ di chiarezza.<br />
Il terrorismo: cos’è<br />
Torniamo alla definizione iniziale e cerchiamo<br />
di ampliarla studiando le caratteristiche di alcuni<br />
dei gruppi terroristi moderni. Il terrorismo<br />
può configurarsi anche come un modo di comunicare<br />
(si pensi al successo propagandistico<br />
del blitz compiuto in occasione delle Olimpiadi<br />
di Monaco del 1972 o alla gestione dell’attentato<br />
alle Twin Towers dell’11 settembre,<br />
con l’abbattimento della prima torre usato in<br />
senso convocativo verso i media di tutto <strong>il</strong><br />
mondo, costretti a riprendere in diretta l’abbattimento<br />
della seconda torre); è una violenza<br />
<strong>il</strong>lecita, in atto o minacciata, di cui sono<br />
spesso responsab<strong>il</strong>i gruppi transnazionali, anche<br />
se spesso con l’appoggio di alcuni Stati,<br />
come l’Iran o la Siria; non si sente condizio
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
nato da condizionamenti morali o giuridici;<br />
considera le sue vittime dirette come uno strumento<br />
per terrorizzare tutti gli altri e le attacca<br />
per <strong>il</strong> loro obiettivo simbolico, ma al contempo<br />
può colpire impianti e persone civ<strong>il</strong>i secondo<br />
una logica, tipica del neofondamentalismo islamico,<br />
di assim<strong>il</strong>azione di governanti e governati<br />
nelle colpe delle miserie dei popoli<br />
musulmani oppressi.<br />
Esistono, a livello internazionale, risoluzioni di<br />
organizzazioni internazionali o convenzioni che<br />
trattano l’argomento. In particolare la Convenzione<br />
internazionale per l’eliminazione dei finanziamenti<br />
al terrorismo, votata dall’Assemblea<br />
Generale delle Nazioni unite <strong>il</strong> 9 dicembre<br />
1999, definisce come terrorismo le attività non<br />
compiute da Stati o da governi che, secondo<br />
l’articolo 2 comma 1: intendono causare la<br />
morte o un grave danno fisico a un civ<strong>il</strong>e o comunque<br />
a chi non prenda parte attiva alle ost<strong>il</strong>ità<br />
in una situazione di conflitto armato quando<br />
lo scopo di queste attività - ricavato dalla natura<br />
o dal contesto - è quello di intimidire la popolazione,<br />
o di costringere un governo o un ente<br />
internazionale a porre in essere ovvero a<br />
non porre in essere un determinato comportamento.<br />
In primo luogo, sin dalla<br />
costituzione dello Stato di<br />
Israele del 1948, c’è stato<br />
un sistematico rifiuto da<br />
parte di tutto <strong>il</strong> mondo<br />
arabo di riconoscerne <strong>il</strong><br />
diritto all’esistenza.<br />
Dal punto di vista del diritto internazionale,<br />
non è terrorismo un bombardamento anche<br />
volto contro la popolazione civ<strong>il</strong>e da parte di<br />
76<br />
un governo (atto che può configurarsi come<br />
crimine di guerra, soggetto ad altre convenzioni<br />
internazionali), poiché <strong>il</strong> terrorismo è un atto<br />
proprio di organizzazioni private. Non rientra<br />
fra gli atti di terrorismo l’attacco a una caserma<br />
di m<strong>il</strong>itari impegnati in una guerra, perché non<br />
si tratta di civ<strong>il</strong>i non combattenti; vi rientra<br />
un’attività di organizzazioni private che prende<br />
di mira civ<strong>il</strong>i o anche soldati che in quel momento<br />
non stanno prendendo parte attiva a un<br />
conflitto armato.<br />
Quest’ultima precisazione la riteniamo importante<br />
anche perché, scientificamente, dimostra<br />
l’assurdità della definizione di alcune azioni m<strong>il</strong>itari<br />
delle truppe israeliane come di «azioni terroristiche».<br />
Il terrorismo: come viene rappresentato<br />
storia<br />
Le visioni giustificazioniste evidenziate all’inizio<br />
della presente trattazione sono in primo luogo<br />
errate, come già accennato, perché danno<br />
un’immagine reattiva e spontanea ad una scelta,<br />
quella terroristica, che invece viene decisa<br />
lucidamente e che presenta tempi molto lunghi<br />
per la propria realizzazione.<br />
Come per diventare criminali comuni è necessario<br />
un lungo, complesso e non univoco processo<br />
di apprendimento delle tecniche e delle<br />
definizioni favorevoli alla violenza, come ci insegnano<br />
due sociologi della devianza quali Edwin<br />
Sutherland con <strong>il</strong> suo associazionismo differenziale<br />
e Lonnie Athens con la sua violentizzazione,<br />
anche per colui che sceglie di diventare<br />
terrorista è necessario non solo apprendere<br />
a usare le armi che <strong>il</strong> suo gruppo potrà<br />
adoperare negli attentati, ma anche - e soprattutto<br />
- essere costantemente aggiornati sul<br />
piano teorico-dottrinale e motivati circa la giustezza<br />
della missione da compiere, soprattutto<br />
se l’ispirazione del gruppo terrorista è prevalentemente<br />
o in toto religiosa (e lo abbiamo visto<br />
a proposito dell’uso della rete).<br />
La differenza fondamentale è che <strong>il</strong> terrorista<br />
deve ricordarsi che non agisce per se stesso o<br />
per soddisfare la propria volontà di gratificazione<br />
o quella che Athens chiama trepidazione
storia<br />
sociale, bensì in nome e per conto di un gruppo,<br />
a cui verosim<strong>il</strong>mente è approdato grazie al<br />
carisma del leader di riferimento (2).<br />
Alcuni esempi come quelli che abbiamo visto<br />
dimostrano, tra l’altro, quanto - nel jihadismo<br />
contemporaneo - un ruolo fondamentale lo giochi<br />
un culto del sacrificio personale, o del martirio<br />
completamente diverso dall’accezione<br />
classica di martirio che abbiamo conosciuto<br />
anche nella tradizione cristiana, un martirio che<br />
da supremo sacrificio personale che accetta<br />
chi intende testimoniare fino alla fine la propria<br />
adesione a una religione si trasforma nella<br />
morte inflitta agli infedeli attraverso <strong>il</strong> sacrificio<br />
personale (la logica delle Twin Towers, la logica<br />
di Londra 2005, la logica di chi si imbotte di<br />
tritolo facendo saltare in aria discoteche e ristoranti<br />
israeliani).<br />
Nella fattispecie palestinese, tali approcci non<br />
tengono poi conto di alcune questioni storicopolitiche<br />
che rendono altresì improponib<strong>il</strong>e <strong>il</strong><br />
confronto con analoghe esperienze di altre nazioni<br />
e di altri periodi storici.<br />
In primo luogo, sin dalla costituzione dello Stato<br />
di Israele del 1948, c’è stato un sistematico<br />
rifiuto da parte di tutto <strong>il</strong> mondo arabo di riconoscerne<br />
<strong>il</strong> diritto all’esistenza: un rifiuto che si<br />
è esplicitato nelle guerre mosse contro lo stato<br />
ebraico, che è ispirato da motivi teologici prima<br />
ancora che politici, che è tuttora sancito nello<br />
statuto di Hamas, che fa sì che, anche negli<br />
anni in cui nei Territori palestinesi governava<br />
l’Olp e poi l’Anp di Arafat e di Abu Mazen, nelle<br />
cartine geografiche dei libri di testo scolastici<br />
Israele fosse semplicemente cancellato.<br />
In secondo luogo, come è documentato da<br />
molti e qualificati studi internazionali, <strong>il</strong> terrorismo<br />
palestinese è più figlio di «aspirazione»<br />
che di «disperazione», e la scelta di diventare<br />
terroristi, o martiri, è una scelta che prende<br />
forma in molti bambini e bambine, sovente<br />
provenienti non dalle famiglie più povere o disagiate<br />
della società palestinese, indottrinati sin<br />
dalla più tenera età - a scuola, nei «campi profughi»<br />
dove viene modellata un’identità di<br />
gruppo basata sulla chiusura verso <strong>il</strong> mondo<br />
esterno e sull’unico obiettivo nel ritorno ai territori<br />
occupati, attraverso programmi televisivi<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
77<br />
che esaltano <strong>il</strong> valore del martirio - al culto della<br />
morte.<br />
Infine, la dirigenza palestinese (anche nelle occasioni<br />
in cui la pace sembrava, almeno gli occhi<br />
dei media internazionali, più vicina) non ha<br />
mai compiuto la scelta fatta da altri stati arabi,<br />
come l’Egitto o la Giordania, che dopo aver<br />
strenuamente combattuto contro Israele l’han-<br />
no infine riconosciuta, entrando nell’ottica negoziale<br />
tipica delle relazioni internazionali nella<br />
fase successiva alle guerra, quella dello scambio<br />
«pace contro terra». Di conseguenza diventa<br />
non adeguato <strong>il</strong> paragone con <strong>il</strong> comportamento<br />
di altri gruppi già terroristi guidati da<br />
persone che successivamente sono arrivate ai<br />
vertici dei loro Stati (come Nelson Mandela e la<br />
sua Anc in Sudafrica) o che ne hanno condiviso<br />
le responsab<strong>il</strong>ità verso una transizione pacifica<br />
(come Gerry Adams e l’Ira nell’Irlanda del<br />
Nord) perché, a differenza della leadership palestinese,<br />
costoro a un certo punto hanno capito<br />
che le cause che ritenevano di poter sostenere<br />
o far vincere solo con l’azione terroristica<br />
potevano, in un mutato scenario, essere sostenute<br />
attraverso la via del negoziato, dell’accordo,<br />
del confronto pacifico. E si sono trasformati<br />
da terroristi in statisti.<br />
Conclusioni<br />
Abbiamo visto due esempi diversi, ma per molti<br />
aspetti complementari, di cosa significa sottovalutare<br />
un fenomeno.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Ancora una post<strong>il</strong>la che riguarda <strong>il</strong> giornalismo.<br />
Da un lato i fatti veri, spontanei, verificatisi indipendentemente<br />
dall’esistenza dei media e<br />
non programmati in funzione di questi, che la<br />
stampa o la televisione devono analizzare e riferire<br />
come tali; da un altro lato i fatti-notizia,<br />
sempre più numerosi rispetto ai precedenti,<br />
che i media devono invece «interpretare», svelandone<br />
<strong>il</strong> «valore simbolico di qualcosa prodotto<br />
come atto di comunicazione fin dall’origine».<br />
Purtroppo, hanno speso prevalso, grazie<br />
anche all’esasperazione della logica del breaking<br />
news tipica delle reti allnews, quei modelli<br />
giornalistici che segnalano quasi esclusivamente<br />
<strong>il</strong> fatto-rottura.<br />
Questi modelli creano una nuova forma di parzialità<br />
e di non obiettività, perché non fanno<br />
emergere la continuità e <strong>il</strong> carattere costante<br />
dei fenomeni che soli possono esaurientemente<br />
spiegare, funzionando da contesto esplicativo,<br />
l’evento eccezionale di cui si parla.<br />
Sarebbe decisamente auspicab<strong>il</strong>e, in conclusione,<br />
un giornalismo capace di analizzare la<br />
realtà in maniera indipendente dalle esigenze<br />
dell’audience e della spettacolarizzazione della<br />
notizia, in contrapposizione al giornalismospettacolo;<br />
e che promuova, anche negli<br />
aspetti legati alla formazione e all’accesso professionale,<br />
una professionalità dotata di solide<br />
conoscenze storiche e sociologiche per operare<br />
quella necessaria opera di interpretazione e<br />
di contestualizzazione, fondamentali per comprendere<br />
la realtà.<br />
Altrimenti sarà sempre come fa notare Bernard<br />
Lewis: «un ponte distrutto fa più notizia della<br />
costruzione di dieci ponti» (Lewis 2005).<br />
Note<br />
1. Questo è ciò che hanno fatto Mohammed Atta<br />
e gli altri esecutori dell’attentato dell’11 settembre<br />
prima di partire per la missione contro<br />
le Twin Towers, facendosi vedere a cena mentre<br />
si davano all’alcool.<br />
2. Così recita uno dei testi più importanti pro-<br />
78<br />
storia<br />
dotto in ambito internazionale, I volume del<br />
Club di Madrid, fondato dopo la strage di Atocha<br />
del 2004 dalla collaborazione di Capi di<br />
Statoe di Governo, analisti, docenti universitari<br />
di tutto <strong>il</strong> Mondo.<br />
«A clear consensus exists that it is non individual<br />
psychology, but group, organizational and<br />
social psychology, that provides the greatest<br />
analytical power in under standing this complex<br />
phenomenon. Terrorists have subordinated<br />
their individual identity to the collective<br />
identity, so that what serves the group, organization<br />
or network is of primary importance.»<br />
(Volume I, p. 7)<br />
«Suicide terrorismi is a function of a culture of<br />
martyrdom, the organizational decision to<br />
employ this tactic, and a supply of recruits<br />
w<strong>il</strong>ling to give their lives in a «martyrdom operation».<br />
Social psychological forces are particularly<br />
important, leading some scholars -<br />
with particular reference to Palestinian suicide<br />
terrorism - to speak of the «suicide terrorist<br />
production line». The elements of this<br />
«production line» include the establishment<br />
of a social contract, the identification of the<br />
«living martyr» (which accrues great prestige<br />
within the community), and - in the culminating<br />
phase - the production of the final video.<br />
After one has passed trough these phases, to<br />
back away from the final act of martyrdom<br />
would bring unbearable shame and hum<strong>il</strong>iation.<br />
Sim<strong>il</strong>ar but fuzzier phases may occur for<br />
the other groups as well. Thus, as with terrorism<br />
psychology in general, suicide terrorism<br />
is very much a function of group and collective<br />
psychology, not individual psychopathology»<br />
(Volume I, p. 9)
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Il complesso rapporto<br />
tra Mazzini e Garibaldi<br />
di Giuliana Limiti<br />
Quando Giuseppe Mazzini muore a Pisa <strong>il</strong> 10<br />
marzo 1872, ospite della famiglia Rosselli, <strong>il</strong><br />
suo rapporto con Garibaldi è ormai definitivamente<br />
logorato. Ciononostante, un mese prima,<br />
ancora una volta si era rivolto al grande<br />
generale per invitarlo all’azione comune archiviando<br />
un contrasto personale che era motivo<br />
di soddisfazione per la parte moderata e subordinandolo<br />
al prevalente interesse della causa<br />
repubblicana.<br />
Dell’ennesima delusione mazziniana sarebbe<br />
stata immediata testimonianza la lettera vergata<br />
da Sara Nathan nelle ore immediatamente<br />
successive alla morte di Mazzini e a quanto pare<br />
mai recapitata al suo destinatario, Giuseppe<br />
Garibaldi, che di quella morte è dichiarato colpevole<br />
per <strong>il</strong> suo s<strong>il</strong>enzio ed <strong>il</strong> suo distacco non<br />
solo politico, ma anche umano.<br />
In quelle stesse settimane, Garibaldi aveva<br />
sprezzantemente scritto ai suoi seguaci romagnoli<br />
che la questione con Mazzini apparteneva<br />
senz’altro alla storia: «Essa giudicherà». Un<br />
fossato, dunque, che i giudizi ancor più severi<br />
affidati da lui alle pagine delle Memorie avrebbero<br />
se possib<strong>il</strong>e allargato. Per l’ultimo Garibaldi,<br />
destinato a sopravvivere per altri dieci<br />
anni al Genovese, Mazzini non sarebbe stato<br />
che un perenne ostacolo alla realizzazione dell’unità<br />
d’Italia, sia pure inconsapevolmente.<br />
Un sim<strong>il</strong>e ep<strong>il</strong>ogo ha consentito a molta storiografia<br />
di esercitarsi nella contrapposizione dei<br />
due personaggi, proiettando su tutta la loro vicenda<br />
biografica un cono d’ombra di ost<strong>il</strong>ità e<br />
di rivalità. In una tale opera, si è innanzitutto distinta<br />
la storiografia monarchica di intonazione<br />
sabauda che ha inteso riavvicinare Garibaldi a<br />
Vittorio Emanuele II e farne <strong>il</strong> protagonista del<br />
Risorgimento in chiave regia. Ogni motivo di<br />
ispirazione mazziniana andava pertanto<br />
80<br />
storia<br />
espunto per d<strong>il</strong>uire <strong>il</strong> repubblicanesimo che pure<br />
lo stesso Garibaldi aveva dichiarato essere<br />
<strong>il</strong> suo credo politico fino all’ultimo istante della<br />
sua vita.<br />
Esemplare di questa tendenza è <strong>il</strong> lavoro storico<br />
più ampio e documentato al riguardo, pubblicato<br />
da Giacomo Em<strong>il</strong>io Curatulo nel 1928 e<br />
da lui dedicato non casualmente a Benito Mussolini:<br />
«Il dissidio tra Mazzini e Garibaldi», dal<br />
sottotitolo volutamente provocatorio : «La storia<br />
senza veli».<br />
L’antitesi tra Mazzini e Garibaldi era però destinata<br />
ad essere perpetuata anche oltre la monarchia<br />
ed <strong>il</strong> fascismo, sia pure sulla base di<br />
motivazioni diverse, da parte di un’altra assai<br />
diffusa scuola storica, quella marxista. Essa ha<br />
inteso, infatti, strumentalizzare talune generiche<br />
espressioni di simpatia manifestate da Garibaldi<br />
per <strong>il</strong> socialismo, e soprattutto per la Comune<br />
di Parigi, al fine di accreditarne <strong>il</strong> ruolo di<br />
anticipatore del marxismo in Italia e di staccarlo<br />
da Mazzini di cui sono ben note le critiche a<br />
quel programma politico e sociale. Non a caso,<br />
nelle elezioni politiche del 1948, Garibaldi fu <strong>il</strong>
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
simbolo propagandistico adottato dal Fronte<br />
popolare, cioè dall’alleanza tra <strong>il</strong> partito comunista<br />
ed <strong>il</strong> partito socialista.<br />
In alternativa alla contrapposizione, la tradizione<br />
storica democratica e repubblicana, quella<br />
che più direttamente si ricollegava sia a Mazzini<br />
che a Garibaldi, si è invece mossa sulla via<br />
della conc<strong>il</strong>iazione, nel generoso tentativo di ricomporre<br />
la memoria postuma dei suoi due<br />
grandi maestri. È la linea tracciata già da Aurelio<br />
Saffi che chiama Mazzini <strong>il</strong> precursore e Garibaldi<br />
<strong>il</strong> fondatore del riscatto dell’Italia, così<br />
che tutte le società di mutuo soccorso potessero<br />
chiamare entrambi alla propria presidenza<br />
onoraria ed affiggerne i ritratti l’uno accanto all’altro.<br />
Evidentemente, sia la contrapposizione che la<br />
conc<strong>il</strong>iazione non possono soddisfare criticamente<br />
la conoscenza storica contemporanea<br />
che è chiamata ad una nuova riflessione su un<br />
rapporto che non è soltanto personale, ma resta<br />
uno snodo cruciale della storia del Risorgimento.<br />
In questa sede, si cercherà di ricostruirne<br />
i passaggi essenziali sul piano delle vicende<br />
storiche per poi concludere con una<br />
comparazione sul piano delle idee politiche.<br />
La tradizione ha sempre collocato a Marsiglia<br />
nel 1833 <strong>il</strong> primo incontro tra Mazzini e Garibaldi<br />
con <strong>il</strong> giuramento del secondo nelle mani<br />
del primo per l’adesione alla Giovine Italia. Il<br />
mazziniano Giambattista Cuneo aveva iniziato<br />
Garibaldi alle nuove idee unitarie e repubblicane<br />
sulle rive del Mar Nero ed avrebbe poi favorito<br />
questo incontro. È invero significativo<br />
che nessuno dei due, né Mazzini né Garibaldi,<br />
lo rievochi nelle rispettive opere memorialistiche.<br />
Ma ciò è da attribuire ai successivi sv<strong>il</strong>uppi<br />
biografici. Un preciso resoconto risulta infatti<br />
in un abbozzo di ricordi che lo stesso Garibaldi<br />
aveva composto prima del 1848 e dà<br />
quindi conferma alla scena che l’iconografia<br />
patriottica ha poi molto spesso riproposto senza<br />
mai ricevere alcuna smentita. Ma la prova<br />
più efficace sta nelle parole che lo stesso Garibaldi<br />
avrebbe pronunciato tanti anni dopo, nel<br />
1864, ospite della casa londinese dell’esule<br />
russo Alessandro Herzen, nel brindisi indirizzato<br />
a Mazzini: «Egli solo vegliava quando intor-<br />
82<br />
storia<br />
no tutto dormiva». In quell’occasione solenne,<br />
alla presenza di patrioti di tutta Europa, Garibaldi<br />
riconobbe di aver cercato in gioventù una<br />
guida così come un assetato cerca l’acqua e di<br />
averla trovata in Giuseppe Mazzini.<br />
L’ingenuo sentimento di italianità che Garibaldi<br />
coltivava sin da ragazzo viene dunque senza<br />
dubbio affinato ed educato alla scuola di Mazzini,<br />
così come in quel contesto si esplica la<br />
sua prima avventura politica ed insurrezionale:<br />
<strong>il</strong> moto genovese del 1834 a cui Garibaldi<br />
avrebbe dovuto attrarre elementi della marina<br />
sarda miseramente fallito per delazione. La<br />
successiva emigrazione in America Latina avviene<br />
pure sotto <strong>il</strong> segno mazziniano: non è infatti<br />
una scelta isolata - come spesso viene<br />
presentata nell’immagine retorica dell’eroe dei<br />
due mondi - ma rientra in un più ampio movimento<br />
volto da un lato a sperimentare altrove<br />
la tecnica rivoluzionaria, dall’altro a corrispondere<br />
all’universalità degli ideali di patria e di libertà.<br />
Nell’esperienza latino-americana, Garibaldi si<br />
richiama quindi direttamente ai circoli mazziniani<br />
che già vi operano, dedica a Mazzini <strong>il</strong><br />
suo naviglio di guerra e tempra <strong>il</strong> suo repubblicanesimo<br />
popolare nella lotta all’oppressione<br />
imperiale. I successi che gli arridono non sfuggono<br />
al Genovese, oramai esule a Londra, che<br />
li r<strong>il</strong>ancia sulla stampa sia inglese sia dell’emigrazione<br />
italiana. Il fallimento dei primi moti<br />
della Giovine Italia lo ha infatti indotto a riflette
storia<br />
re sull’importanza di avere un capo m<strong>il</strong>itare,<br />
nella consapevolezza, sempre peraltro avuta,<br />
di non potere personalmente adempiere ad un<br />
tale ruolo. La figura del condottiero rivoluzionario,<br />
indispensab<strong>il</strong>e sia per lo studio della strategia<br />
che per la promozione dell’entusiasmo, gli<br />
appare quindi tanto necessaria quanto era<br />
mancata alle precedenti spedizioni. E Garibaldi<br />
sembra <strong>il</strong> candidato ideale ad una sim<strong>il</strong>e posizione.<br />
La delusione non sarà però lontana. Quando<br />
entrambi saranno richiamati in patria nel 1848<br />
dalle Cinque Giornate di M<strong>il</strong>ano, Mazzini - peraltro<br />
nella non fac<strong>il</strong>e posizione di dover riaffermare<br />
l’opzione repubblicana, mentre l’iniziativa<br />
sembra assunta dalla monarchia sabauda,<br />
senza però minare <strong>il</strong> comune scopo nazionale<br />
- sarà negativamente colpito dal fatto che Garibaldi<br />
si sia innanzitutto recato al quartier generale<br />
di Carlo Alberto. Lo testimoniano alcuni<br />
sfoghi epistolari. Egli avrebbe preferito vederlo<br />
raggiungere Daniele Manin nella difesa di una<br />
repubblica, appunto, quella rinata a Venezia.<br />
Non muta <strong>il</strong> significato del gesto <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> re<br />
sabaudo rifiuti l’offerta drasticamente, non considerando<br />
in alcun modo possib<strong>il</strong>e che un guerrigliero<br />
sudamericano potesse contaminare <strong>il</strong><br />
suo aristocratico esercito.<br />
Si è forse sottovalutato questo evento che invece<br />
in un certo senso retrodata se non <strong>il</strong> distacco<br />
almeno l’allontanamento di Garibaldi dall’intransigenza<br />
mazziniana. È vero che lo stesso<br />
Mazzini era stato in contatto con Carlo Alberto<br />
e aveva fatto delle concessioni che<br />
avrebbero, se accolte, potuto riunificare <strong>il</strong> movimento<br />
patriottico. Ma per Garibaldi la motivazione<br />
era tutt’altra. Proprio la dura esperienza<br />
bellica latino-americana lo aveva fatto riflettere<br />
sulla superiorità di poter contare su un esercito<br />
regolare, meglio addestrato e più disciplinato,<br />
e quindi sull’opportunità di appartenervi.<br />
Ed è sempre sul piano della strategia m<strong>il</strong>itare<br />
che matura di lì a poco la prima vera rottura tra<br />
i due. Nel febbraio 1849, Garibaldi è a Roma,<br />
eletto all’Assemblea costituente, tra i primi a<br />
chiedere la proclamazione della repubblica, la<br />
cessazione del potere temporale, la chiamata<br />
di Mazzini e la sua elezione al governo. Con<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
83<br />
Mazzini triumviro, egli si sente in un certo senso<br />
sicuro di poter contare sulla fiducia del Genovese<br />
nelle sue capacità m<strong>il</strong>itari ed aspira<br />
quindi al comando supremo. Mazzini sembrerebbe<br />
pronto in un primo tempo a concederglielo,<br />
ma subisce poi la diffidenza di tutti gli altri<br />
ufficiali usciti dalle scuole di guerra, come lo<br />
stesso Pisacane, che non reputano di poter ubbidire<br />
ad un soldato che si è fatto da sé. A molti,<br />
poi, la strategia garibaldina dell’attacco preventivo<br />
appare un salto nel buio. Mazzini non è<br />
certo sensib<strong>il</strong>e allo snobismo di certe posizioni,<br />
ma al tempo stesso non se la sente di prendere<br />
una decisione impopolare almeno tra i vertici<br />
dell’esercito repubblicano.<br />
La verità è però un’altra. Egli sottovaluta l’aspetto<br />
m<strong>il</strong>itare della vicenda romana. Non crede<br />
alla possib<strong>il</strong>ità di un successo, se non effimero,<br />
contro <strong>il</strong> corpo di spedizione francese<br />
che anzi preferisce non irritare perché non si<br />
delinei uno scontro irreversib<strong>il</strong>e. Lui punta piuttosto<br />
sulla politica. Sa di avere dalla sua la sinistra<br />
francese di Ledru Rollin che ha un’ampia<br />
consistenza parlamentare. Confida nel principio<br />
del non intervento consacrato nell’articolo<br />
quinto della costituzione repubblicana francese.<br />
Forse, l’antica consuetudine dell’es<strong>il</strong>io non<br />
gli lascia giudicare adeguatamente Luigi Napoleone.<br />
Trova poi conferma della bontà delle<br />
sue valutazioni nelle trattative con <strong>il</strong> Lesseps.<br />
In ogni caso, sa bene che la Francia, ove insistesse<br />
sul piano m<strong>il</strong>itare, prima o poi trasporterebbe<br />
a Roma le forze necessarie per avere
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
ragione della neonata repubblica. Non presta,<br />
quindi, la debita attenzione all’iniziativa di Garibaldi<br />
perché la sua politica si muove su tutt’un<br />
altro piano. La smentita della sua impostazione,<br />
con la scommessa perduta sulla reazione<br />
della sinistra francese, apre così più fac<strong>il</strong>mente<br />
all’invasione straniera le porte di Roma e lascerà<br />
in Garibaldi la delusione dell’occasione<br />
mancata destinata poi a trasformarsi in rancore,<br />
quando sulla via della fuga da Roma verso<br />
Venezia perderà la moglie Anita.<br />
Cinque anni dopo, nel 1854, Mazzini e Garibaldi<br />
si reincontrarono a Londra, ancora una<br />
volta tutti e due esuli. Pur segnato dal fallimento<br />
della Repubblica romana e dalle polemiche<br />
successive, circa le responsab<strong>il</strong>ità dell’uno e<br />
dell’altro, <strong>il</strong> loro rapporto non è ancora definitivamente<br />
incrinato. Lungo tutto quello che fu,<br />
per <strong>il</strong> Cavour, <strong>il</strong> cosiddetto decennio di preparazione,<br />
Mazzini insegue la prospettiva della rivincita<br />
sempre nella logica insurrezionale, collezionando<br />
sanguinose sconfitte, da Belfiore a<br />
Sapri, che, ab<strong>il</strong>mente sfruttate dalla propaganda<br />
sabauda, gli alienarono numerose simpatie.<br />
Nello stesso tempo, gli si delinea, però, chiaramente<br />
la via del successo, e cioè la rivoluzione<br />
a partire dalla Sic<strong>il</strong>ia, affidata a Garibaldi.<br />
Nel colloquio londinese, Mazzini torna ad incitare<br />
l’eroe dei due mondi a capitanare la nuova<br />
impresa, così come gli aveva scritto tre anni<br />
prima, <strong>il</strong> 14 novembre 1851, in una lettera<br />
che è oggi conservata presso la Biblioteca della<br />
Camera dei Deputati: «<strong>il</strong> moto di Sic<strong>il</strong>ia è<br />
d’una importanza vitale per noi ... in Sic<strong>il</strong>ia vi<br />
chiedono». È significativo che Mazzini senta <strong>il</strong><br />
bisogno, nella stessa lettera, di riaffermare la<br />
bandiera della Repubblica italiana unitaria,<br />
mentre dichiara di «confidare» che questa sia<br />
sempre, anche per Garibaldi, l’aspirazione finale.<br />
Nella scelta di questo verbo, si insinua <strong>il</strong><br />
dubbio di una divergenza programmatica, se<br />
non ideologica, destinata a maturare.<br />
In quello stesso 1854, nell’indispettita ost<strong>il</strong>ità di<br />
Mazzini, Cavour miete <strong>il</strong> successo della partecipazione<br />
piemontese alla guerra di Crimea<br />
che frutterà al piccolo stato sardo quel riconoscimento<br />
europeo che gli consentirà di porre<br />
sul piano diplomatico la questione italiana in<br />
84<br />
storia<br />
chiave antiasburgica. La novità positiva non<br />
sfugge, invece, a Garibaldi, sempre più aperto<br />
a considerare pragmaticamente l’eventualità<br />
della collaborazione con i Savoia.<br />
In verità, quando tra <strong>il</strong> 1859 e <strong>il</strong> 1860 la prospettiva<br />
dell’unificazione italiana diventa realtà,<br />
anche Mazzini sarà disponib<strong>il</strong>e ad anteporre la<br />
liberazione dallo straniero e la conquista dell’indipendenza<br />
nazionale alla questione istituzionale.<br />
Ritornato in Italia, percepisce <strong>il</strong> rischio<br />
di essere escluso politicamente dalla conclusione<br />
di quel processo storico di cui è stato l’iniziatore.<br />
Accetta, quindi, la logica dell’espansionismo<br />
sabaudo, purchè una assemblea costituente<br />
sia poi convocata per decidere tra la<br />
monarchia e la repubblica.<br />
Galvanizzato dalla prova m<strong>il</strong>itare della seconda<br />
guerra di indipendenza in cui, a differenza del<br />
padre, Vittorio Emanuele II lo ha accolto con<br />
grande simpatia personale, Garibaldi è, tutta-<br />
via, deluso dall’armistizio di V<strong>il</strong>lafranca ed in un<br />
certo senso è disponib<strong>il</strong>e a farsi risucchiare<br />
nell’orbita mazziniana, anche perché lo separa<br />
profondamente dal Cavour la questione di Nizza,<br />
la sua citta natale ceduta alla Francia in<br />
cambio dell’aiuto ricevuto contro l’Austria.<br />
La spedizione dei M<strong>il</strong>le, che salpa da Quarto ai<br />
primi di maggio del 1860, non è altro che l’attuazione<br />
dell’antico progetto mazziniano della<br />
rivoluzione italiana che muove dal sud. Mazziniani<br />
sono i volontari che seguono Garibaldi,<br />
primo fra tutti quel Francesco Crispi che nella
storia<br />
riunione decisiva persuade l’ancora dubbioso<br />
generale garantendogli l’appoggio dei sic<strong>il</strong>iani.<br />
Sul piano internazionale, peraltro, la spedizione<br />
potè contare sul sostegno navale inglese<br />
che si rivelò decisivo per un sicuro approdo a<br />
Marsala. Se la Lombardia era stata liberata<br />
grazie all’alleanza di Cavour con Napoleone III,<br />
<strong>il</strong> Regno delle Due Sic<strong>il</strong>ie sarebbe crollato grazie<br />
all’Ingh<strong>il</strong>terra, la cui opinione pubblica era<br />
stata da Mazzini ispirata a favore dell’unificazione<br />
italiana.<br />
Mentre Garibaldi conquista la Sic<strong>il</strong>ia e risale la<br />
penisola, Mazzini tenta invano di organizzare<br />
una colonna insurrezionale che gli vada incontro<br />
dall’Italia centrale, la stessa operazione che<br />
fu, invece, compiuta con successo da Vittorio<br />
Emanuele II° attraverso le Marche e l’Umbria.<br />
Mazzini e Garibaldi si ritrovano, quindi, a Napoli<br />
nel settembre del 1860, insieme anche a<br />
Carlo Cattaneo. Tutto lo stato maggiore della<br />
democrazia italiana è riunito nell’ex capitale<br />
borbonica in quello che è senz’altro <strong>il</strong> tornante<br />
decisivo del Risorgimento nazionale. Mazzini<br />
vorrebbe che Garibaldi continuasse la spedizione<br />
per liberare Roma e Venezia. Cattaneo<br />
vorrebbe che Garibaldi convocasse una assemblea<br />
elettiva delle province meridionali per<br />
procedere in un’ottica federalista. Ad entrambi,<br />
Garibaldi opporrà l’impegno assunto nell’essersi<br />
proclamato dittatore nel nome di «Italia e<br />
Vittorio Emanuele» che manterrà poi a Teano<br />
consegnando al re sabaudo <strong>il</strong> mezzogiorno d’Italia.<br />
È, tuttavia, da sottolineare <strong>il</strong> fatto che Garibaldi<br />
non avallò le modalità dell’ammissione tramite <strong>il</strong><br />
plebiscito che sarebbero, poi, state attuate dal<br />
governo piemontese, ben lontano dal convocare<br />
l’assemblea costituente chiesa da Mazzini.<br />
Grava sulla conclusione del processo risorgimentale<br />
<strong>il</strong> giudizio storico di Antonio Gramsci<br />
per cui la parte democratica sarebbe stata<br />
sconfitta dalla parte moderata per la sua inconsistenza<br />
ideologica. Senza entrare nel merito<br />
della questione storiografica, è però da evidenziare<br />
che furono i democratici, e cioè i mazziniani<br />
e i garibaldini, a conseguire l’obiettivo<br />
unitario in virtù della spedizione dei M<strong>il</strong>le, dal<br />
momento che la strategia cavouriana si era di-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
85<br />
mostrata capace di realizzare soltanto un ampliamento<br />
dei confini sabaudi e di questo era<br />
parsa paga.<br />
Quando nel febbraio del 1861 <strong>il</strong> Parlamento<br />
nazionale proclama l’unità d’Italia, Mazzini e<br />
Garibaldi sono divisi, ma in realtà sono tutti e<br />
Quando la prospettiva<br />
dell’unificazione italiana<br />
diventa realtà, anche<br />
Mazzini sarà disponib<strong>il</strong>e<br />
ad anteporre la<br />
liberazione dallo<br />
straniero e la conquista<br />
dell’indipendenza<br />
nazionale alla questione<br />
istituzionale.<br />
due in es<strong>il</strong>io, l’uno a Londra, l’altro a Caprera.<br />
Per entrambi, l’unificazione non può dirsi compiuta<br />
se Roma non è ancora la capitale d’Italia.<br />
Forte in loro la tensione per <strong>il</strong> riscatto della Repubblica<br />
romana del 1849. Comune è, quindi,<br />
l’aspirazione a tener vivo <strong>il</strong> moto nazionale, a<br />
continuare a fare proseliti, a raccogliere armi e<br />
fondi, a proiettare l’irredentismo italiano nella<br />
lotta di liberazione dei popoli europei.<br />
Trionfalmente rieletto deputato, Garibaldi cerca<br />
l’appoggio di Mazzini per mantenere viva la<br />
speranza dell’unificazione puntando sui Balcani.<br />
Sa che solo <strong>il</strong> Genovese può imbastire le<br />
necessarie alleanze politiche, ma al tempo<br />
stesso pretende che al momento dell’azione l’iniziativa<br />
gli sia lasciata completamente libera,<br />
ribadendo anche in questa occasione l’ormai<br />
maturata insofferenza per ogni forma di tutela<br />
politica, anche da parte dello stesso Mazzini.<br />
Cerca, piuttosto, di fargli mutare giudizio sul<br />
conto del re, <strong>il</strong> quale, pur scontando la «fatale<br />
educazione dei principi, è buono» ed è stato la<br />
leva perché si realizzasse l’Italia di Dante e<br />
Machiavelli.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Deluso dai risultati elettorali assai favorevoli al<br />
Cavour, Garibaldi arriverà ad uno scontro durissimo<br />
con <strong>il</strong> primo ministro quando si recherà<br />
per la prima volta a Torino nella primavera del<br />
1861 per opporsi alla liquidazione dell’esercito<br />
meridionale, che avrebbe invece voluto pienamente<br />
inserito nelle forze armate regie. Ma,<br />
nonostante l’asperità verbale reciproca, egli<br />
cercherà anche in Cavour un appoggio per i<br />
suoi piani balcanici, pronto anche a rinnegare<br />
Mazzini, in una lettera privata in cui spera di<br />
trarre dalla sua parte <strong>il</strong> conte piemontese. Garibaldi<br />
si <strong>il</strong>ludeva, in tal modo, di avere un’altra<br />
occasione per promuovere <strong>il</strong> suo Esercito - Nazione,<br />
che avrebbe dovuto sostituire <strong>il</strong> tradizionale<br />
modello dell’esercito stanziale.<br />
La morte del Cavour e la conseguente crisi dei<br />
circoli a lui più vicini della Destra storica avrebbero<br />
riacceso in Garibaldi, grazie all’ascesa al<br />
potere del Rattazzi ed al segreto sostegno del<br />
re, l’aspettativa di liberare Roma con un colpo<br />
di mano. L’episodio di Aspromonte (agosto<br />
1862) lo riporta, in un certo senso, nelle braccia<br />
di Mazzini. La loro riconc<strong>il</strong>iazione fu allora<br />
da più parti auspicata, come ebbe a scrivere,<br />
fra gli altri, Giovanni Gr<strong>il</strong>lenzoni: «<strong>il</strong> giorno che<br />
cesserà ogni dubbio di qualsiasi divergenza, e<br />
che niuno ignorerà che i due più grandi uomini<br />
dell’epoca nostra avranno preso in una sola le<br />
anime loro, <strong>il</strong> partito veramente italiano diverrà<br />
irresistib<strong>il</strong>e potenza» (8 ottobre 1873).<br />
Di tale clima è prova <strong>il</strong> celebre brindisi che ebbe<br />
luogo a casa Herzen a Londra nel 1864, di cui si<br />
86<br />
storia<br />
è già detto all’inizio. A Mazzini, che lo aveva salutato<br />
come l’uomo che rappresentava l’incarnazione<br />
vivente degli ideali di libertà e di unione<br />
dei popoli, Garibaldi rispose affermando di dover<br />
compiere un dovere che da tempo sentiva<br />
suo, chiamandolo amico e maestro per sempre:<br />
«in lui non si è mai spenta la fiamma dell’amore<br />
della patria e della libertà». A conferma di tali<br />
sentimenti, del resto corrispondenti al clima politico<br />
di quegli anni in cui Garibaldi prendeva le<br />
distanze dal governo monarchico, si possono<br />
peraltro citare le innumerevoli lettere da lui dirette<br />
ai democratici sic<strong>il</strong>iani perché sostenessero,<br />
tra <strong>il</strong> 1865 e <strong>il</strong> 1867, la triplice elezione di Mazzini<br />
a deputato del collegio di Messina. L’elezione,<br />
come noto, fu prima, per due volte annullata, a<br />
causa della pendente condanna a morte e poi,<br />
da ultimo, rifiutata dallo stesso Mazzini per incompatib<strong>il</strong>ità<br />
istituzionale.<br />
Ma, come una delusione relativa a Roma<br />
aveva favorito un estremo riavvicinamento<br />
tra i due, fu proprio una analoga vicenda a<br />
provocare la definitiva rottura. Garibaldi, infatti,<br />
addossò a Mazzini la principale responsab<strong>il</strong>ità<br />
del fallimento dell’impresa di Mentana<br />
(1867) perché non gli avrebbe fatto affluire da<br />
Londra i fondi necessari alla spedizione. Da<br />
allora, si può dire che un muro di incomunicab<strong>il</strong>ità<br />
li separi per sempre. Ad avviso di Garibaldi<br />
Mazzini avrebbe preferito lasciare Roma<br />
al Papa piuttosto che vederla unita all’Italia<br />
monarchica.<br />
Eppure non si può fare a meno di pensare che,<br />
pur divisi ormai da un’incolmab<strong>il</strong>e frattura, essi<br />
abbiano provato lo stesso senso di impotenza<br />
quando, <strong>il</strong> 20 settembre 1870, Roma diventava<br />
sì la capitale d’Italia, ma senza <strong>il</strong> loro contributo,<br />
essendo Mazzini imprigionato a Gaeta e<br />
Garibaldi rintanato a Caprera.<br />
È tuttavia da dire che, mentre Mazzini cercò<br />
sempre di mantenere un dialogo aperto con<br />
Garibaldi, anche negli ultimi anni della sua vita,<br />
facendo tacere i personalismi in nome della<br />
causa comune, <strong>il</strong> Nizzardo non ebbe lo stesso<br />
atteggiamento e in più occasioni denigrò Mazzini<br />
con critiche ed accuse di carattere personale.<br />
Per molti aspetti, l’essergli sopravvissuto,<br />
fece sì che le sue memorie assumessero spes
storia<br />
so <strong>il</strong> tono di una resa dei conti postuma tale da<br />
dettare giudizi invero taglienti e ingenerosi.<br />
Solo uno storico superficiale oppure fazioso<br />
potrebbe dare credito a tali giudizi e considerarli<br />
chiavi interpretative quando non sono altro<br />
che sfoghi di natura personale, prima che politica.<br />
Prendere per buona l’affermazione che<br />
Mazzini sarebbe sempre stato <strong>il</strong> principale<br />
ostacolo dell’unità italiana significherebbe<br />
smentire non tanto una vita spesa per quell’obiettivo,<br />
quanto la stessa biografia garibaldina.<br />
Poiché la storia è fatta dagli uomini, l’incontro<br />
tra Mazzini e Garibaldi ha rappresentato un fattore<br />
decisivo per <strong>il</strong> processo risorgimentale,<br />
quali che siano state le alterne vicende del loro<br />
rapporto.<br />
Garibaldi ha tratto da Mazzini le linee guida di<br />
un pensiero politico e sociale che erano necessarie<br />
per incanalare le sue originarie aspirazioni<br />
alla libertà ed alla giustizia. È dalle parole<br />
di Mazzini che Garibaldi trae l’idea della<br />
nazione italiana, della fratellanza universale tra<br />
i popoli, dell’emancipazione dei lavoratori.<br />
Conquistato sin da giovanissimo dal mito di<br />
Roma educatrice dell’umanità, Garibaldi ne trovò<br />
lo sv<strong>il</strong>uppo ideale nella Terza Roma mazziniana,<br />
la Roma del Popolo che avrebbe preso<br />
<strong>il</strong> posto della Roma dei Cesari e dei Papi. Se in<br />
entrambi, al riguardo, è forte la polemica contro<br />
<strong>il</strong> potere temporale nella consapevolezza<br />
che <strong>il</strong> papato ha storicamente impedito la formazione<br />
della nazione italiana, tale atteggiamento<br />
si accentua in Garibaldi in un anticlericalismo<br />
a tratti violento e cocciuto, che invece<br />
è sconosciuto a Mazzini <strong>il</strong> quale, come noto,<br />
consentì <strong>il</strong> libero esercizio del culto cattolico<br />
sotto la Repubblica romana, garantendo salva<br />
la vita a tutti i preti.<br />
L’anticlericalismo è forse la ragione che avvicinò<br />
maggiormente Garibaldi alla massoneria,<br />
mentre Mazzini non ne fu mai membro. D’altra<br />
parte, se c’è un aspetto del pensiero mazziniano<br />
a cui Garibaldi fu sempre refrattario, fu quello<br />
religioso, che non comprendeva perché integralmente<br />
materialista, e cioè non credente in<br />
alcuna trascendenza.<br />
L’idea di Repubblica è certamente quella che<br />
più unisce i due personaggi anche se in Mazzi-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
87<br />
ni è più sv<strong>il</strong>uppata la concezione della democrazia,<br />
mentre a Garibaldi non è estranea una<br />
considerazione della leadership politico-m<strong>il</strong>itare<br />
di estrazione sudamericana. Pur venuto a<br />
patti con la monarchia, Garibaldi si disse sempre<br />
repubblicano, intendendo la Repubblica<br />
come «governo normale delle genti», nella certezza<br />
che l’istituto monarchico sarebbe, prima<br />
o poi, crollato per i propri vizi interni.<br />
Nella sua polemica con Mazzini, infatti, Garibaldi<br />
insisteva sull’immaturità del popolo italiano<br />
per la forma repubblicana, a causa del lungo<br />
dispotismo subito, rimproverando al Genovese<br />
di parlare sempre del popolo, ma di non<br />
conoscerlo realmente. Pur tuttavia, in tutto <strong>il</strong><br />
periodo postunitario, Garibaldi fu sempre fieramente<br />
avversario dell’indirizzo politico dei governi<br />
monarchici, crticando anche la Sinistra<br />
storica quando giunse al potere.<br />
Da Mazzini Garibaldi aveva, altresì, tratto la<br />
piena coscienza dell’indissolub<strong>il</strong>ità della questione<br />
istituzionale e della questione sociale: <strong>il</strong><br />
riscatto dei lavoratori avrebbe potuto essere<br />
conseguito soltanto in un regime repubblicano<br />
dal momento che quello monarchico era governato<br />
dal priv<strong>il</strong>egio. Non a caso, le prime organizzazioni<br />
sindacali dei lavoratori italiani si<br />
ispirarono ad entrambi, come confermerà <strong>il</strong><br />
Congresso di Roma del 1871. Quelle che sono<br />
sembrate le maggiori aperture di Garibaldi ver
LIBERTÀ E SECONDA REPUBBLICA<br />
La lunga sfida di Edgardo Sogno<br />
Pagine: 190<br />
Prezzo: euro 16,00<br />
Collana: Documenti e Ricerche<br />
Introduzione di Dario Fert<strong>il</strong>io<br />
Scritti di: Edgardo Sogno, Paolo Armaroli, S<strong>il</strong>vio<br />
Berlusconi, Francesco Forte, Marco Grandi,<br />
Francesco Perfetti, Sergio Romano, Gian Enrico<br />
Rusconi e Sergio Scalpelli<br />
Questo libro raccoglie <strong>il</strong> contributo di alcuni dei più significativi<br />
amici di Edgardo Sogno, uniti dalla stima per questo<br />
straordinario protagonista della storia italiana, che ne hanno<br />
voluto approfondire l’originale pensiero. Nel libro sono<br />
raccolti scritti di Edgardo Sogno in materia di riforma istituzionale,<br />
alcuni dei quali assolutamente inediti. La lotta<br />
per una nuova costituzione che superasse quella “compromissoria”<br />
che ancora regge <strong>il</strong> paese, è stato <strong>il</strong> tema dominante,<br />
dagli anni ’70 fino alla scomparsa di questo grande<br />
pensatore liberale, che seppe misurarsi dopo gli anni<br />
dell’azione nella resistenza, con la lotta all’egemonia cattocomunista<br />
sulla società italiana.<br />
BIETTI<br />
dal 1870<br />
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l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
88<br />
storia<br />
so <strong>il</strong> socialismo, verso l’Internazionale, verso la<br />
Comune di Parigi, verso Bakunin, non sono in<br />
realtà ascrivib<strong>il</strong>i ad una impostazione ideologica<br />
diversa da quella mazziniana, ma soltanto<br />
ad una più libera predisposizione a giocare a<br />
tutto campo, alla ricerca di una più larga platea<br />
rivoluzionaria. Del resto, tali posizioni garibaldine<br />
emergono proprio negli anni finali del maggiore<br />
dissenso personale con Mazzini e, probab<strong>il</strong>mente,<br />
non sono esenti da una volontà di<br />
differenziazione rispetto all’antico maestro.<br />
La concordia tra Mazzini e Garibaldi ritorna preponderante<br />
sul piano della solidarietà con gli altri<br />
popoli oppressi. Ispirato dall’insegnamento<br />
mazziniano, Garibaldi pose la sua spada al servizio<br />
delle aspirazioni nazionali dei popoli sudamericani<br />
e sostenne quelle dei popoli dell’Europa<br />
centrale ed orientale. A differenza di Mazzini,<br />
non serbò rancore alla Francia, né per l’occupazione<br />
di Roma, né per l’annessione di Nizza<br />
e nel 1870 condusse una colonna di volontari<br />
alla vittoria di Digione nella guerra francoprussiana.<br />
Ne seguì la sua elezione a deputato<br />
all’Assemblea nazionale francese di Bordeaux,<br />
che fu strenuamente difesa da Victor Hugo nel<br />
marzo 1871 contro i generali imperiali che avevano<br />
subito l’onta della sconfitta e non si rassegnavano<br />
al fatto che l’onore del loro Paese fosse<br />
stato salvato da uno straniero.<br />
Tutte le grandi cause umanitarie dell’epoca<br />
avevano visto Mazzini e Garibaldi uniti perché<br />
entrambi convinti del valore universale degli<br />
ideali di libertà e di giustizia, a prescindere dalla<br />
latitudine. Entrambi sostennero convintamene<br />
la campagna abolizionista del presidente<br />
Lincoln; ad entrambi si ispirò Benito Juarez per<br />
la liberazione del Messico.<br />
Il diverso modo di porsi dei due fu, però, anche<br />
in questo campo evidente in occasione del<br />
congresso per la pace mondiale che si tenne a<br />
Ginevra nel 1867. All’entusiastica adesione di<br />
Garibaldi, dettata dalla naturale ed immediata<br />
simpatia per tutte le nob<strong>il</strong>i cause, corrispose<br />
quella più tiepida di Mazzini che, pur dichiarando<br />
di condividere <strong>il</strong> principio generale del pacifismo,<br />
rivendicava <strong>il</strong> diritto, ed anzi <strong>il</strong> dovere, di<br />
combattere le guerre giuste ove, cioè, fossero<br />
in gioco le legittime aspirazioni dei popoli.
Il 30 apr<strong>il</strong>e 1849 <strong>il</strong> generale Oudinot in testa al<br />
corpo di spedizione giunge in visita della città,<br />
convinto che i repubblicani non potranno opporre<br />
altro se non una resistenza assai debole<br />
di fronte all’azione m<strong>il</strong>itare che invece saprà<br />
esprimere la truppa ai suoi ordini, supportata<br />
da una più che adeguata e sperimentata logistica,<br />
ma soprattutto esperta, essendo reduce<br />
dalla vittoriosa campagna d’Algeria, disciplinata<br />
e munita di un armamento omogeneo e moderno,<br />
con particolare riferimento alle artiglierie<br />
ed alle sue tecniche di applicazione di memoria<br />
napoleonica, e che non manca do ostentare<br />
spavalda sicurezza per l’appartenenza ad<br />
un esercito considerato fra i più agguerriti ed<br />
efficienti in Europa; ma la dis<strong>il</strong>lusione sarà tanta.<br />
Infatti, avvicinatisi alle mura su tre direttrici<br />
in formazioni a ranghi serrati e con gli uffic<strong>il</strong>ai in<br />
tenuta da parata, a Porta San Pancrazio i voltiguers<br />
(fanteria leggera) e gli chasseurs francesi<br />
sono accolti da micidial scariche di fuc<strong>il</strong>eria<br />
provenienti dagli spalti e da ogni dove che li<br />
costringe a fermarsi, nonostante quel fuoco incrociato<br />
venisse controbattuto immediatamente<br />
dagli artiglieri francesi, spezzando la sommità<br />
delle mura con proiett<strong>il</strong>i a mitraglia.<br />
Lo scontro si estende su tutto <strong>il</strong> fronte. A V<strong>il</strong>la<br />
Pamph<strong>il</strong>i, dopo una feroce mischia, vengono<br />
fatti prigionieri trecento francesi della seconda<br />
colonna con <strong>il</strong> loro comandante: <strong>il</strong> Colonnello<br />
Picard; la terza colonna, infine, nel tentativo di<br />
aggirare i giardini vaticani, viene fermata dai<br />
cannoni ivi appostati e dai carabinieri romani<br />
comandati dal Colonnello Angelo Calderara.<br />
Seguirono momenti di disorientamento nelle f<strong>il</strong>e<br />
degli assalitori, quel tanto che si erano auspicati<br />
i Volontari e i Garibaldini, i quali, usciti<br />
dalla cinta muraria sotto la guida di Garibaldi,<br />
di Manara e di altri Comandanti, si avventano<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à storia<br />
Note su<br />
«La Repubblica romana del 1849»<br />
di Italo Pasqui<br />
90<br />
alla baionetta sui fianchi delle ormai scompaginate<br />
formazioni nemiche, ingaggiandole in furiosi<br />
corpo a corpo e conseguendo una vittoria<br />
totale, a tal punto che lo stesso Triumvirato,<br />
nella speranza di aprire quanto prima i negoziati<br />
diplomatici con <strong>il</strong> governo francese, dovette<br />
intervenire d’autorità con l’ordine di interrompere<br />
l’inseguimento dei reparti in ritirata;<br />
ordine al quale i Patrioti, pur mordendo <strong>il</strong> freno,<br />
dovettero sottostare. Al calar della sera, centinaia<br />
di corpi rimasero inerti sul campo a testimoniare<br />
l’asprezza dello scontro, mentre vennero<br />
fatte varie centinaia di prigionieri, <strong>il</strong> cui<br />
scambio, avvenuto pochi giorni dopo, consentirà<br />
la liberazione dell’intera guarnigione di Civitavecchia,<br />
che andrà ad ingrossare la difesa<br />
delle mura. Anche un pezzo di artiglieria cadrà<br />
in mano ai difensori.<br />
L’inaspettata e strenua resistenza, oltre agli<br />
esiti di quella bruciante sconfitta, indurrà l?oudinot<br />
ad interrompere le operazioni m<strong>il</strong>itari e ad<br />
accettare un armistizio, mentre <strong>il</strong> governo<br />
transalpino si adopererà non certo per motivi<br />
umanitari o di solidarietà verso quei principi a<br />
suo tempo tanto orgogliosamente celebrati con<br />
la bandiera imperiale francese, quanto per<br />
temporeggiare ed inviare rinforzi, come puntualmente<br />
avverrà elevando la consistenza della<br />
spedizione, ora Armata del Mediterraneo, a<br />
35.000 uomini (oltre 40.000, a memoria di Garibaldi).
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Libri interessanti, libri contestab<strong>il</strong>i,<br />
libri che...<br />
di Francesco Gironda<br />
Marco Giaconi, Il costo della Politica, Franco Angeli,<br />
M<strong>il</strong>ano 2008, ISBN 978-88-464-9620-1, Euro 18,00<br />
Il costo della politica<br />
Questo lavoro parte dall’osservazione empirica<br />
e comparativa della presenza di distorsioni<br />
strutturali della rappresentanza politica.<br />
Per l’autore queste deformazioni non derivano<br />
da deviazioni temporanee e casuali della «volontà<br />
popolare», ma sono insite nei meccanismi<br />
rappresentativi.<br />
Il costo della politica, per l’autore, non è quindi<br />
solo <strong>il</strong> costo della corruzione, ma anche e soprattutto<br />
<strong>il</strong> costo della deformazione delle richieste<br />
e delle soluzioni politiche quando esse<br />
si inseriscano nel processo della rappresentanza.<br />
Non è ormai esaustiva una rappresentazione,come<br />
quella della «scelta razionale», che<br />
descrive l’elettore come ispirato da processi razionali<br />
nella scelta delle opzioni politiche più<br />
coerenti con i propri legittimi interessi. Giaconi<br />
infatti afferma che non è più possib<strong>il</strong>e concepire<br />
<strong>il</strong> processo politico come un semplice riflesso,<br />
se non addirittura come una trasposizione,<br />
92<br />
in libreria<br />
della volontà degli elettori. L’autore elabora<br />
molte delle tematiche del marketing politico e<br />
commerciale, ed alcuni dei modelli di psicologia<br />
politica, per analizzare come, sempre di<br />
più, oltre alla classica «pubblicità» politica, vi<br />
sia oggi una vera e propria commercializzazione<br />
delle opzioni politiche, che interferisce, alterandola,<br />
con la percezione dei problemi sia degli<br />
elettori che delle stesse classi dirigenti. Il<br />
saggio di Giaconi non trascura comunque l’analisi<br />
classica della politica: <strong>il</strong> risultato dello<br />
scambio tra elettori ed eletti, sia esso lecito o <strong>il</strong>lecito,<br />
i modelli di deformazione strutturale delle<br />
decisioni, le tecniche con le quali sia gli elettori<br />
che gli eletti selezionano, rielaborano, le<br />
varie opzioni che sono state oggetto di attenzione<br />
nel confronto politico ed elettorale, ma<br />
pone un’attenzione particolare a tutti gli aspetti<br />
che hanno segnato negli ultimi anni, in maniera<br />
eccentrica rispetto al passato, l’evolversi<br />
del rapporto tra i cittadini e <strong>il</strong> potere elettivo.<br />
Una lettura da consigliare in particolare a coloro<br />
che vogliono studiare le riforme del sistema<br />
elettorale italiano e la selezione delle classi dirigenti,<br />
Marco Giaconi è direttore di ricerca al Centro<br />
M<strong>il</strong>itare di Studi Strategici di Roma e collabora,<br />
con studi geopolitici e strategici, alla Presidenza<br />
del Consiglio dei Ministri. Tra le sue opere,<br />
«Le Organizzazioni criminali internazionali,<br />
aspetti geostrategici e economici», Collana Ce-<br />
MiSS, Franco Angeli 2001-»Spazio e potere,<br />
Modelli di geopolitica», Franco Angeli, 2003-<br />
»Maghreb al Aqsa, l,Estremo Occidente», Osservatorio<br />
strategico Cemiss, 2002, è membro<br />
dello IAI e dell’ISTRID. Collabora alla rivistq<br />
dell’AISI «GNOSIS» e ad «Affari Esteri».
in libreria<br />
Alice Oxman Sotto Berlusconi - Diario di una americana<br />
a Roma 2001-2006. Editori Riuniti 2007, Euro 16,00<br />
Spigolando tra i blog<br />
Spigolando tra i blog ho trovato una straordinaria<br />
e puntuale analisi di una recensione del<br />
libro di Alice Oxman Sotto Berlusconi - Diario di<br />
una americana a Roma pubblicato dall’Unità. Il<br />
libro, per altro, è un interessante esempio dei<br />
pensieri e delle riflessioni di una esponente di<br />
quella gauche-caviar internazionale, di alto livello<br />
sociale ed elegante scrivere, che pensa<br />
che far uscire l’Italia dal disastro in cui da decenni<br />
si trova sia compito delegab<strong>il</strong>e con successo<br />
proprio a quelle livorose anime belle della<br />
politica italiana che di quel disastro ormai decennale<br />
portano per intero la responsab<strong>il</strong>ità.<br />
valeforn@ così scrive sul suo blog:<br />
«È sabato mattina.<br />
Sto leggendo un articolo a dir poco suggestivo<br />
su l’Unità online (ognuno persegue le pratiche<br />
masochiste che preferisce). Sembra un giallo,<br />
una spy-story mentre invece è la triste realtà<br />
quotidiana di questa Italia al declino.<br />
L’articolo è scritto da Marco Travaglio attenta e<br />
solerte sentinella su ogni malcostume o nefandezza.<br />
L’articolo è una recensione al libro di Alice Oxman<br />
Sotto Berlusconi - Diario di un americana<br />
a Roma.<br />
Mi butto a capofitto nella lettura tanto da percepire<br />
subito che i j’accuse sono riferiti al ne-<br />
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
93<br />
mico pubblico numero uno che coi suoi miasmi<br />
sta infettando la nostra frag<strong>il</strong>e democrazia.<br />
Beh... intanto Travaglio ci fa sapere che Alice<br />
Oxman è americana, ma ama l’Italia come e<br />
forse più di molti italiani. Anzi, facciamo così...<br />
ne riporto alcuni stralci.<br />
Questo libro di Alice Oxman, una scrittrice<br />
americana che ama l’Italia piú di molti italiani, è<br />
un formidab<strong>il</strong>e antidoto contro l’amnesia furbetta<br />
e miope di chi non vuole fare i conti fino in<br />
fondo con quella stagione nera che ha riportato<br />
in superficie, dopo sessant’anni, i peggiori liquami<br />
di una certa Italia. Sotto Berlusconi è <strong>il</strong><br />
diario puntuale e certosino, dunque inevitab<strong>il</strong>mente<br />
indignato, di una donna che ogni giorno<br />
ha annotato in tempo reale le vergogne del<br />
quinquennio berlusconiano. ...<br />
Ne viene fuori una cronaca impietosa non solo<br />
della nascita e della crescita di un regime moderno,<br />
o postmoderno, ma anche della mitridatizzazione<br />
che giorno dopo giorno, complice <strong>il</strong><br />
monopolio dell’informazione, induce i piú ad<br />
abituarsi, ad assuefarsi, ad abbassare progressivamente<br />
le difese immunitarie, a lasciar<br />
passare i peggiori orrori sempre nella convinzione<br />
autoconsolatoria che “questa è l’ultima<br />
volta”. E invece è sempre la penultima. Con<br />
l’occhio sgombro dalle lenti deformate del fam<strong>il</strong>ismo<br />
amorale e dell’eterno fascismo italiota,<br />
l’autrice scandisce sempre piú angosciata, stupita<br />
e sconcertata i rintocchi di quelle giornate<br />
che sembravano non finire mai...<br />
Sullo sfondo, mentre cadono i foglietti del calendario,<br />
prende corpo l’Agenda Unica del regime<br />
e del suo ducetto, che fa sparire interi pezzi<br />
di realtà dalle sue tv (tutte) e dunque dalla<br />
mente dei cittadini. E impone i suoi interessi a<br />
un’intera nazione, finendo per convincerla che<br />
le vere emergenze nazionali sono i (suoi) processi,<br />
le (sue) aziende, le (sue) tasse. “Un regime<br />
–scrive l’autrice – nasce tra m<strong>il</strong>le distrazioni.<br />
Scrivo per non avere rimpianti”.<br />
Lo schifo monta in me proseguendo la lettura<br />
riga dopo riga.
l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />
Ma come ho potuto essere così cieco da non<br />
vedere la vera realtà che mi circonda? Come<br />
ho potuto non ascoltare l’allarme che la parte<br />
sana del Paese lanciava? Come ho potuto<br />
consegnare <strong>il</strong> mio destino e <strong>il</strong> destino degli italiani<br />
nelle mani di un personaggio sim<strong>il</strong>e?<br />
Perché doveva riuscirci una americana a farmi<br />
spalancare gli occhi sull’orrore di questo latente<br />
regime? Come ho potuto?<br />
Perché è capitato che ad aprirmi gli occhi fosse<br />
la Oxman, un’americana, la moglie di Furio<br />
Colombo?<br />
La moglie di Furio Colombooo??????!!!! La<br />
moglie di Furio Colombooo??????!!!!<br />
Eporcapaletta!<br />
È sabato mattina. Uno si mette lì a cercare della<br />
sana informazione. Si sforza di trovarla in un<br />
articolo di recensione di Travaglio che a volte<br />
sembra dare la leggera percezione di non essere<br />
proprio superpartes ma te lo sogni sempre<br />
come l’immacolato paladino del bene, del<br />
giusto, dell’equo.<br />
La prima reazione è quella di aver sprecato<br />
cinque minuti preziosi di tempo.<br />
Poi la convinzione che si fa largo è quella che<br />
non sia stato tempo buttato via.<br />
Ti rendi conto che anche la definizione di “conflitto<br />
d’interessi” assume sfumature differenti a<br />
seconda delle prospettive.<br />
Provi a pensare se, anche questa come quell’altra<br />
Alice vive in un mondo di conigli parlanti<br />
e gatti stregatti, o cosa faranno e scriveranno<br />
mai i Travagli quando <strong>il</strong> S<strong>il</strong>vio opterà per la pensione?<br />
Provi a pensare in quale piccolo mondo fogazzariano<br />
vivono e quanto violento sia <strong>il</strong> loro<br />
vivere, pensare ed agire quotidiano. Quanto<br />
disprezzo e derisione mostrino per la volontà<br />
popolare che quel ducetto ha voluto con<br />
espressione di voto, tanto da considerarlo alla<br />
stregua di un popolo bue che, per autoconvinzione<br />
vive volutamente beato e immerso<br />
94<br />
in libreria<br />
nell’ “eterno fascismo italiota” con la mente<br />
annientata dalle tv berlusconiane.<br />
Sorridi pensando ai lucrosi guadagni del farmacista<br />
di fiducia dei coniugi Colombo che a<br />
quintalate di Maalox venduto alla coppia si sarà<br />
fatto la v<strong>il</strong>letta in Costa Smeralda contigua a<br />
quella del “ducetto” e a tutti gli italiani che<br />
ascoltano impassib<strong>il</strong>i le urla belluine di questi livorosi<br />
e con regolarità impressionante li mandano<br />
a quel paese.<br />
Mandano a quel paese i Colombo e le Oxman<br />
così come i Travaglio e i Flores D’Arcais. Mandano<br />
a quel paese quelli che urlano per <strong>il</strong> Berlusconi<br />
che non soggiace alla giustizia e al volere<br />
della magistratura dimenticando che quando<br />
fu <strong>il</strong> loro turno si ribellarono al grido di “Io<br />
non ci sto”, o ad un Borrelli che dimostra quanto<br />
deve essere distante <strong>il</strong> potere giudiziario da<br />
quello politico lanciano <strong>il</strong> suo triplice “Resistere”,<br />
e pure i soloni della politica che vogliono risanare<br />
l’Italia partendo da un buco di b<strong>il</strong>ancio<br />
clamoroso come quello che hanno lasciato al<br />
Comune di Roma o quegli altri che ancora si<br />
domandano come abbiano fatto gli italiani a<br />
farli sparire dal Parlamento.<br />
Mai sottovalutare gli italiani e immaginarli come<br />
idioti in balia del televenditore o disposti ad<br />
annullare la propria capacità critica e di pensiero<br />
per ridursi al ruolo di “servi furbi”.<br />
Poi quelli si incazzano e con una ics a matita<br />
sul foglio giusto vi cacciano fuori dalla storia e<br />
dai coglioni».