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In questo numero<br />

l’ircocervo - la rivista delle libertà - Trimestrale di cultura politica edito da Bietti Media Srl<br />

Sede legale: Corso Magenta, 25 - 25121 Brescia<br />

Anno 2, numero 1, Primavera/Estate 2008<br />

Registrazione presso <strong>il</strong> Tribunale di Brescia n. 7/2007 del 15 marzo 2007<br />

Direzione, Redazione e Amministrazione: Bietti Media Srl, Corso Magenta, 25 - 25121 Brescia<br />

www.bietti.it - tel. 030 295751 - fax 030 290445- e-ma<strong>il</strong>: monica@bietti.it<br />

Direttore: Fabrizio Cicchitto<br />

Vice Direttori: Sabatino Aracu - Pierluigi Borghini<br />

Direttore responsab<strong>il</strong>e: Gianfranco Pol<strong>il</strong>lo<br />

Direttore editoriale: Francesco Gironda<br />

Segreteria di Redazione: Monica Gironda, Giovanna Moresco, Ludovica Paolucci<br />

Stampa: Plus Group srl, Roma<br />

1<br />

l a r i v i s t a d e l l e<br />

l i b e r t à<br />

Politica<br />

Il risultato elettorale, <strong>il</strong> governo Berlusconi, di Fabrizio Cicchitto 3<br />

le prospettive e i problemi<br />

del partito del Popolo della Libertà<br />

La «rivoluzione» del 13 e 14 apr<strong>il</strong>e di Gaetano Quagliariello 18<br />

Le incognite del nuovo ciclo politico di Peppino Caldarola 23<br />

Il cataclisma elettorale di Gianfranco Pol<strong>il</strong>lo 28<br />

Economia<br />

L’eredità di Prodi e la «falsa coscienza» di Bersani di Gianfranco Pol<strong>il</strong>lo 35<br />

Le riforme contrattuali prossime venture di Giuliano Cazzola 44<br />

La politica industriale tra delocalizzazione<br />

ed immigrazione di Pierluigi Borghini 50<br />

Il nucleare di IV generazione di Luigi De Vecchis 55<br />

Enel: una multinazionale italiana dell’energia di Alessandro Luciano 60<br />

Storia<br />

Tibet: anello centrale della «grande Cina» di Marco Giaconi 65<br />

La sfida del terrorismo di Andrea Pannocchia 71<br />

Il complesso rapporto tra Mazzini e Garibaldi di Giuliana Limiti 81<br />

Note su «La Repubblica romana del 1849» di Italo Pasqui 91<br />

In libreria<br />

Libri interessanti, libri contestab<strong>il</strong>i, libri che... di Francesco Gironda 92


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politica<br />

Il risultato delle elezioni del 13-14 apr<strong>il</strong>e è stato<br />

così descritto dall’Istituto Cattaneo di Bologna:<br />

«La coalizione berlusconiana ha conosciuto<br />

un forte avanzamento in termini non solo<br />

percentuali ma anche di voti assoluti. Rispetto<br />

al 2006 la coalizione è cresciuta di oltre<br />

1,5 m<strong>il</strong>ioni di voti (+10,1%) sull’ammontare dei<br />

voti attenuti nel 2006. L’aumento, per giunta, si<br />

verifica in quasi tutte le regioni (con le uniche<br />

eccezioni del Nord Est, nel Friuli Venezia Giulia,<br />

e nel Trentino Alto Adige, dove <strong>il</strong> risultato è<br />

sostanzialmente stab<strong>il</strong>e: nel Nord Est, come<br />

nel Nord Ovest è stato “molto r<strong>il</strong>evante” <strong>il</strong> successo<br />

della Lega). L’area di centro-sinistra ha<br />

sostanzialmente tenuto rispetto al 2006. La<br />

presenza di canditati radicali, ma non socialisti<br />

nella coalizione di Walter Veltroni rende diffic<strong>il</strong>e<br />

fare raffronti fra i risultati 2006-2008 (...). Si<br />

assiste ad un leggero aumento dei voti (nella<br />

misura dell’1,3% pari a circa 185m<strong>il</strong>a voti). Il risultato<br />

dell’area di centro-sinistra è riuscito a<br />

“fare <strong>il</strong> pieno“ dei suoi voti nel 2006 allora non<br />

è riuscito ad attirare verso di sé flussi significativi<br />

da quei due elettorati o, se vi è riuscito, non<br />

ha fatto <strong>il</strong> pieno dell’elettorato ulivista (...) Il calo<br />

più consistente ha interessato i partiti dell’estrema<br />

sinistra (la Sinistra Arcobaleno) che<br />

hanno subito un’emorragia di quasi di 2,4 m<strong>il</strong>ioni<br />

di voti rispetto al 2006, con una contrazione<br />

del 61,5% (...) Piuttosto marcato anche l’abbassamento<br />

dei consensi per l’Udc, che ha<br />

perso quasi 530 m<strong>il</strong>a voti, corrispondente ad<br />

oltre <strong>il</strong> 20% del suo elettorato di due anni fa (...)<br />

Le perdite sono molto accentuate in Liguria,<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Il risultato elettorale, <strong>il</strong> governo<br />

Berlusconi, le prospettive e i problemi<br />

del partito del Popolo della Libertà<br />

di Fabrizio Cicchitto<br />

3<br />

Lazio, Toscana e Umbria (oltre <strong>il</strong> 33% del voti<br />

del 2006) oltre la metà delle perdite sono attribuib<strong>il</strong>i<br />

alla Lombardia (-155 m<strong>il</strong>a), al Lazio (-87<br />

m<strong>il</strong>a) e al Veneto (-17%) verosim<strong>il</strong>mente grazie<br />

alla candidatura di Ciriaco de Mita. I partiti di<br />

estrema destra, pur non ottenendo alcuna rappresentanza<br />

parlamentare, hanno visto raddoppiare<br />

i consensi conquistando oltre mezzo<br />

m<strong>il</strong>ione di voti in più rispetto al 2006» (1).<br />

Sul terreno dei flussi elettorali gli studiosi, nelle<br />

loro prime analisi, hanno r<strong>il</strong>evato i seguenti<br />

movimenti: per ciò che riguarda l’Udc essa ha<br />

perso una quota r<strong>il</strong>evante di voti a favore di<br />

Forza Italia all’interno del Popolo della Libertà<br />

e ha invece recuperato voti dall’elettorato cattolico-moderato<br />

della Margherita che non si è<br />

riconosciuto nella formazione del Partito Democratico<br />

guidato da Veltroni e largamente<br />

egemonizzato dalla struttura politico-partitica


dei Ds così come ha r<strong>il</strong>evato la rivista cattolica<br />

<strong>il</strong> Regno che ha affermato: ormai <strong>il</strong> Partito Democratico<br />

è fondato sull’intelaiatura costituita<br />

dai Ds a cui si è aggiunta la leadership di Veltroni.<br />

Anche secondo <strong>il</strong> Regno i post-democristiani<br />

di Marini, di Fioroni e di Soro sono sostanzialmente<br />

degli ospiti di lusso ben remunerati<br />

individualmente, in un partito fondamentalmente<br />

nelle mani dei post-comunisti diessini.<br />

La conferma di tutto ciò è offerta da un’altra<br />

analisi elettorale che ha r<strong>il</strong>evato che solo <strong>il</strong><br />

42% dei cattolici, che avevano votato Unione,<br />

hanno poi ridato <strong>il</strong> loro consenso al Partito democratico.<br />

Per ciò che riguarda l’elettorato perso dalla sinistra<br />

di Arcobaleno esso si è frantumato in<br />

molteplici direzioni: verso due liste dell’estrema<br />

sinistra (una promossa da Ferrando, l’altra da<br />

Turigliatto, Sinistra critica), verso l’astensione,<br />

verso <strong>il</strong> «voto ut<strong>il</strong>e» per <strong>il</strong> Partito democratico,<br />

in diverse zone operaie addirittura verso la Lega.<br />

Chi passa dall’11,3 al 3% va incontro ad<br />

un’autentica catastrofe politica. Per completezza<br />

di informazione ricordiamo che sono state<br />

realizzate altre analisi dei flussi elettorali, tutte<br />

nel complesso convergenti sui dati di fondo sopra<br />

riportati.<br />

Secondo un articolo di Fabio Carlucci, che riporta<br />

un’analisi di Paolo Natale, «al Nord la Sinistra<br />

Arcobaleno ha regalato <strong>il</strong> 10% alla Lega<br />

Nord, su scala nazionale 283 m<strong>il</strong>a persone, nel<br />

complesso l’8% di Ppc, Verdi, PdC, sono passati<br />

alla Lega»; sempre al Nord «<strong>il</strong> 23% di elet-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />

4<br />

tori di Forza Italia è passato alla Lega». Un ulteriore<br />

5% di voti Udc è andato alla Lega. Sempre<br />

secondo <strong>il</strong> prof. Natale <strong>il</strong> voto Ppc Pdci,<br />

Verdi, si è così ridislocato: <strong>il</strong> 30% verso <strong>il</strong> Partito<br />

Democratico , <strong>il</strong> 4% verso Di Pietro, <strong>il</strong> 6%<br />

verso la Lega, <strong>il</strong> 38% verso l’astensionismo e le<br />

liste minori di estrema sinistra: quelle di Ferrando<br />

e di Turigliatto. A sua volta <strong>il</strong> Partito Democratico<br />

ha preso l’81% dall’Ulivo perdendo <strong>il</strong><br />

20% (2). In un articolo sull’Unità si dà conto sia<br />

dell’analisi del Prof. Natale sia di un’altra, non<br />

divergente, del prof. Buttaroni: «Un m<strong>il</strong>ione e<br />

mezzo di persone che nel 2006 avevano scelto<br />

Rifondazione, Pdci, Verdi, per i Verdi addirittura<br />

<strong>il</strong> 59% (500 m<strong>il</strong>a) passa a Veltroni e solo<br />

l’8% sceglie Bertinotti. E ancora <strong>il</strong> 47% dei comunisti<br />

italiani sceglie <strong>il</strong> Partito democratico,<br />

solo l’8,5 % l’Arcobaleno» (3).<br />

È evidente che queste cifre derivano da una<br />

scelta politica precisa: <strong>il</strong> voto ut<strong>il</strong>e contro Berlusconi<br />

a favore del Partito Democratico e/o <strong>il</strong><br />

disincanto nei confronti di Bertinotti, imbalsamatosi<br />

nella Presidenza della Camera e imborghesito<br />

sul terreno dell’immagine dalla sua<br />

assidua frequentazione nei salotti romani.<br />

Sempre nell’articolo sull’Unità si riporta una<br />

valutazione del prof. Natale che quantifica nel<br />

20% gli elettori del Prc, Verdi e Pdci che non<br />

hanno votato. Questi dati mettono anche in<br />

evidenza i termini della sconfitta politico-elettorale<br />

del partito democratico, sottolineata recentemente<br />

anche da Rosy Bindi (4). Di qui la<br />

domanda: perché <strong>il</strong> Partito democratico, visto<br />

questo apporto dell’estrema sinistra, non ha<br />

«sfondato» e ha guadagnato solo 100 m<strong>il</strong>a voti<br />

dal 2006 rimanendo, con l’Idv, di circa trem<strong>il</strong>ioni<br />

e mezzo di voti sotto <strong>il</strong> centro-destra: cioè<br />

sotto la somma del Partito della Libertà e della<br />

Lega-Nord?<br />

Secondo <strong>il</strong> prof. Buttaroni la causa è l’astensionismo:<br />

«ben 2,5 m<strong>il</strong>ioni di elettori che nel<br />

2006 avevano scelto l’Ulivo alla Camera (erano<br />

11,9 m<strong>il</strong>ioni) non sono tornati a votare». Un<br />

numero enorme e <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> Pd alla fine abbia<br />

tenuto con circa 100 m<strong>il</strong>a voti in più rispetto<br />

al 2006, è dovuto al fatto che «1,5 m<strong>il</strong>ioni di


politica<br />

astensionisti di due anni fa sono tornati alle urne<br />

e hanno scelto Veltroni...». Altro dato interessante<br />

280 m<strong>il</strong>a ulivisti di due anni fa hanno<br />

scelto Casini (è chiaro che si tratta di voti provenienti<br />

dalla Margherita n.d.r.).... Circa 300<br />

m<strong>il</strong>a voti della ex Rosa nel Pugno sono passati<br />

al Pd, con tutta probab<strong>il</strong>ità voti radicali, mentre,<br />

una quota non irr<strong>il</strong>evante di ex ulivisti, circa<br />

<strong>il</strong> 4-5%, ha scelto l’alleato Antonio Di Pietro. Risultato:<br />

«la base elettorale del Partito Democratico,<br />

ald<strong>il</strong>à delle intenzioni e anche del messaggio<br />

dei leader, si è notevolmente spostata a<br />

sinistra» dice Buttaroni.<br />

Chi sono questi 2,5 m<strong>il</strong>ioni di astensionisti che<br />

hanno regalato <strong>il</strong> governo a Berlusconi? Secondo<br />

Buttaroni non si tratta solo di ex Margherita,<br />

ma anche di ex Ds in pari misura «Ortodossi<br />

dei due ex partiti che non si sono riconosciuti<br />

in quello nuovo» (5). Non si tratta di<br />

una cifra da poco: per le contraddizioni, le ambiguità,<br />

le opacità che caratterizzano <strong>il</strong> Partito<br />

democratico, c’è stata la reazione di rigetto di<br />

una quota non indifferente di votanti della sinistra<br />

diessina. Sempre sull’Unità ci sono i risultati<br />

delle analisi dei prof. Buttaroni-Natale: «Il<br />

PdL conferma la base elettorale di Forza Italia<br />

e An. Berlusconi si è tenuto più di 8 elettori su<br />

10, <strong>il</strong> resto l’ha ceduto a Bossi. I flussi maggiori<br />

nella destra sono quelli da Forza Italia alla<br />

Lega (circa 500 m<strong>il</strong>a persone) e da An alla destra<br />

(tra <strong>il</strong> 5% e <strong>il</strong> 7% dell’elettorato di Fini, un<br />

dato quest’ultimo inferiore alle aspettative (...)<br />

circa 650m<strong>il</strong>a elettori di An sono passati alla<br />

Lega. E l’Udc paga anch’esso un prezzo molto<br />

alto all’astensionismo (oltre <strong>il</strong> 25% dei suoi<br />

elettori per Buttaroni) e ha un saldo negativo<br />

con <strong>il</strong> Pdl: gli cede circa 550 m<strong>il</strong>a voti, e in cambio<br />

riceve solo 370 m<strong>il</strong>a da F.I. (6).<br />

In effetti l’Udc si «salva» perché, pur perdendo<br />

voti dal 2006, tuttavia ha recuperato circa 280<br />

m<strong>il</strong>a voti dalla Margherita e altri voti dall’Udeur.<br />

Invece <strong>il</strong> PdL fa <strong>il</strong> pieno di voti al Centro-Sud,<br />

migliora in Umbria, Marche, Lazio e poi «esplode»<br />

in Abruzzo, in Campania, Puglia, Calabria,<br />

Sic<strong>il</strong>ia, Sardegna. Grazie a questi risultati, <strong>il</strong><br />

PdL passa dal 37,04 al 41,58 in Abruzzo, per-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

5<br />

Per le contraddizioni, le<br />

ambiguità, le opacità che<br />

caratterizzano <strong>il</strong> Partito<br />

democratico, c’è stata la<br />

reazione di rigetto di una<br />

quota non indifferente di<br />

votanti della sinistra<br />

diessina.<br />

de in Molise per l’exploit di Di Pietro (PdL 37,77<br />

nel 2006, al 36,47 nel 2008), passa dal 40,47<br />

del 2006 al 45,62 del 2008, esplode dal 39,07<br />

al 49,08 in Campania, dal 40,47 al 45,62 in Puglia,<br />

dal 35,44 al 42,44 in Sardegna, dal 31,74<br />

al 41,23 in Calabria, dal 40,1 al 46,83 in Sic<strong>il</strong>ia.<br />

Per di più, stando ad un’analisi fatta dal Corriere<br />

della Sera, nel Mezzogiorno per <strong>il</strong> PdL si sono<br />

avuti «più voti in periferia che al centro, più<br />

in provincia che in città. Ceto medio, pancia del<br />

paese, strati popolari: chiamatelo come volete,<br />

ma è qui che <strong>il</strong> PdL ha stravinto nel Mezzogiorno,<br />

senza nemmeno l’aiuto della Lega al Nord.<br />

Non sono imprenditori e liberi professionisti ma<br />

impiegati, operai, insegnanti che magari stavano<br />

a sinistra. Attirati dal taglio dell’ICI, visto che<br />

anche al Sud l’80% delle famiglie è proprietario<br />

di casa. Invogliati dal ritorno del bonus bebè,<br />

perché qui i figli si fanno ancora. E convinti dal<br />

cambiamento promesso da Berlusconi in una<br />

terra dove tutto sembra immob<strong>il</strong>e (7).<br />

Da questi dati emerge l’entità della disfatta a<br />

cui sono andati incontro i partiti della Sinistra<br />

Arcobaleno e la secca sconfitta politica di Veltroni<br />

e del partito democratico. Si era votato<br />

due anni fa nel 2006, non cinque. Si è rivotato<br />

nel 2008 perché non è caduto semplicemente<br />

un governo, quello di Prodi, ma è imploso tutto<br />

uno schieramento politico-elettorale che era<br />

stato costruito e guidato con convinzione da<br />

Prodi e dagli esponenti dei Ds e della Margherita<br />

e che andava da Rifondazione Comunista


fino ai moderati come Mastella, Dini, De Mita:<br />

tutti consenzienti nel formare quella coalizione,<br />

come testimonia la famosa foto del 2006 con i<br />

dodici leaders che avevano in mano <strong>il</strong> libro di<br />

280 pagine dello «pseudo» programma.<br />

Dopo due anni di governo l’alleanza è implosa<br />

clamorosamente da entrambi i lati, da quello<br />

dell’estrema sinistra e da quello del centro-moderato<br />

sul terreno della gestione del governo,<br />

del programma, dei rapporti politici e sociali.<br />

Questo fallimento è stato contrassegnato da<br />

una serie di episodi clamorosi, che qui è inut<strong>il</strong>e<br />

ricordare. Ma esso ha coinvolto in pieno <strong>il</strong> gruppo<br />

dirigente dei Ds, Veltroni compreso, che in<br />

quell’alleanza aveva creduto e che aveva contribuito<br />

a costruire, ritenendola la formula che<br />

avrebbe consentito di guidare <strong>il</strong> paese per tutta<br />

la legislatura contro Berlusconi: <strong>il</strong> nemico da<br />

sconfiggere prima e da distruggere dopo. Infatti<br />

malgrado <strong>il</strong> sostanziale pareggio del 2006, i<br />

Ds e la Margherita erano così convinti dell’operazione<br />

fatta, che respinsero l’invito del leader<br />

di Forza Italia di realizzare una grande coalizione<br />

e anzi si «blindarono» al punto da acquisire<br />

tutte le massime cariche istituzionali:<br />

l’obiettivo evidente, comune a Casini, era quello<br />

della distruzione di Berlusconi anche sulla<br />

base della valutazione che ormai era iniziata la<br />

sua decadenza.<br />

Esistono pochi dubbi sul fatto che a destab<strong>il</strong>izzare<br />

<strong>il</strong> governo Prodi sul piano sociale sia stata<br />

la sua politica fiscale: una politica fiscale che<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />

6<br />

ha duramente colpito tutti gli strati sociali e ha<br />

inferto un colpo durissimo non solo al lavoro<br />

autonomo e agli imprenditori, ma specialmente<br />

al reddito dei ceti medi e dei lavoratori indipendenti<br />

(8). Di conseguenza quando, nel 2008,<br />

Veltroni ha proclamato che alle elezioni <strong>il</strong> Partito<br />

Democratico si sarebbe presentato da solo,<br />

in effetti faceva buon viso a cattivo gioco di<br />

fronte al fallimento politico dei due anni precedenti.<br />

Veltroni è quindi stato l’esecutore testamentario<br />

del fallimento di un’alleanza da lui<br />

stesso condivisa e del resto praticata al comune<br />

di Roma. I fallimenti non si sono fermati al<br />

centro-sinistra originario. Anche <strong>il</strong> centro-sinistra<br />

è andato incontro ad una sconfitta secca.<br />

Nella sua ispirazione originaria, quella pensata<br />

da Michele Salvati, <strong>il</strong> Partito Democratico era<br />

nato con l’obiettivo di operare una ridislocazione<br />

verso <strong>il</strong> centro dell’asse politico dei Ds e della<br />

Margherita. L’obiettivo era quello di fare concorrenza<br />

proprio a Forza Italia, cercando di<br />

«sfondare» nel consenso dei moderati e dei riformisti<br />

collocati nel centro del centro-destra.<br />

Analoga analisi avevano fatto Casini e <strong>il</strong> suo<br />

ideologo Ferdinando Adornato: entrambi avevano<br />

ritenuto che «la forza propulsiva» di Berlusconi<br />

era esaurita. Adornato, poi, scambiando<br />

a tal punto la sua fantasia per la realtà, era<br />

stato l’unico a credere ad un exit poll delle<br />

15,15 del giorno degli scrutini e, aveva, di conseguenza,<br />

proclamato la sconfitta di Berlusconi,<br />

la vittoria di Veltroni e l’intenzione di telefonare<br />

a quest’ultimo per congratularsi della sua<br />

vittoria: singolare infortunio quello di cambiare<br />

casacca per correre al soccorso del vincitore<br />

sbagliato.<br />

Sta <strong>il</strong> fatto che nulla di quanto avevano previsto<br />

Veltroni-D’Alema-Fassino e Casini si è verificato<br />

nelle elezioni del 13-14 apr<strong>il</strong>e del 2008. Anzi<br />

è accaduto esattamente <strong>il</strong> contrario: da un lato<br />

Berlusconi ha trionfato, dall’altro <strong>il</strong> Partito Democratico<br />

non ha sfondato né sul piano politico<br />

verso l’area di centro; né sul piano sociale ed<br />

elettorale al Nord. Invece, a parte Pierferdinando<br />

Casini, contro la volontà e <strong>il</strong> disegno politico<br />

del gruppo dirigente del Partito democratico,<br />

come hanno r<strong>il</strong>evato le analisi dei professori


politica<br />

Natale e Bocconetti: «la base elettorale del Pd,<br />

ald<strong>il</strong>à delle intenzioni e anche dei messaggi dei<br />

leader, si è notevolmente spostata a sinistra».<br />

Così è avvenuto che, per una carenza di cultura<br />

politica, di programmi, di analisi e di rapporti<br />

intessuti con la società civ<strong>il</strong>e, proprio Veltroni,<br />

e con lui <strong>il</strong> gruppo dirigente del Partito democratico,<br />

hanno combinato una lunga serie di<br />

disastri politici. Essi hanno contribuito a provocare<br />

la crisi anticipata del governo Prodi, verificatasi<br />

molto prima di quanto non volesse lo<br />

stesso Veltroni, e hanno di fatto dato un contributo<br />

decisivo alla scomparsa in Parlamento<br />

della sinistra radicale e dei socialisti. Tutto ciò<br />

senza riuscire neanche lontanamente a scalfire<br />

l’area di centro di Forza Italia e a «ritornare»<br />

politicamente e socialmente nel Nord.<br />

Le elezioni del 13-14 apr<strong>il</strong>e, con <strong>il</strong> loro risultato<br />

per molti aspetti straordinario, consentono,<br />

pertanto, di trarre alcune considerazioni conclusive<br />

sul percorso tortuoso seguito dai comunisti<br />

italiani e dai loro eredi diessini. La prima e<br />

in un certo senso più immediata e superficiale<br />

analisi riguarda la sottovalutazione dell’avversario<br />

che ha caratterizzato larga parte della sinistra<br />

italiana. Sottovalutazione addirittura mista<br />

a disprezzo ha caratterizzato l’analisi del<br />

suo più significativo «maître à penser»: vale a<br />

dire Eugenio Scalfari ben noto per non aver imbroccato<br />

una previsione elettorale in vita sua.<br />

Infatti dopo <strong>il</strong> crollo del comunismo e la crisi<br />

della cultura gramsciana e togliattiana, Eugenio<br />

Scalfari e tutto <strong>il</strong> gruppo editoriale Repubblica-Espresso<br />

hanno realizzato, dagli anni ’70<br />

in poi, una singolare operazione egemonica<br />

nei confronti del Pci e dei post-comunisti. Grazie<br />

ad essa, un’ambigua cultura liberal, talora<br />

liberista, talora bancario-dirigista, ha conquistato<br />

<strong>il</strong> «cervello» del gruppo dirigente, dei<br />

quadri intermedi, in parte della stessa base,<br />

dell’area post-comunista: Pds poi Ds nel vuoto<br />

di un’autonoma elaborazione culturale dopo <strong>il</strong><br />

forzato superamento del togliattismo.<br />

In tutti questi anni Scalfari ha così profondamente<br />

sottovalutato e disprezzato <strong>il</strong> suo avversario,<br />

anzi <strong>il</strong> suo nemico Berlusconi - dal 1994<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

7<br />

presentato come l’incrocio fra un rozzo pubblicitario,<br />

un folcloristico pagliaccio e un agente<br />

della mafia - che <strong>il</strong> 13 apr<strong>il</strong>e, dimostrando doti<br />

straordinarie di previsione e di lettura della società<br />

italiana, scriveva su Repubblica: «con avversari<br />

di questo livello non si può perdere. Gli<br />

elettori cominciano a capirlo. Io sono pronto a<br />

scommetterci». È la tesi dell’inferiorità antropologica,<br />

politica, culturale, sociale del centro-destra<br />

rispetto ad una sinistra colta, liberal, <strong>il</strong>luminata;<br />

una tesi che Repubblica ha portato avanti<br />

da sempre, prima contro la Dc, con l’eccezione<br />

di De Mita e della sinistra di base, poi contro<br />

<strong>il</strong> centro-destra di Berlusconi, Bossi, Fini.<br />

Una tesi che è andata incontro ad un fallimento<br />

«totale» malgrado l’influenza esercitata sui<br />

mezzi di comunicazione di massa.<br />

A livello televisivo questa «cultura» snobistica<br />

si esprime attraverso la «rozzezza» di Santoro.<br />

Il segno, però, che questo f<strong>il</strong>one di pensiero e<br />

di azione rappresenta qualcosa di più profondo<br />

nell’assetto fondamentale del «nuovo» Partito<br />

democratico, promosso da Veltroni, sta nella<br />

scelta delle alleanze elettorali. Il Partito Democratico<br />

si è alleato con la quintessenza del giustizialismo<br />

forcaiolo e della rozzezza dell’antipolitica<br />

rappresentata da Di Pietro e dal suo<br />

partito: formazione politica che, grazie all’alleanza<br />

preferenziale con <strong>il</strong> Partito democratico,<br />

ha raddoppiato i propri voti, dopo aver dato agli<br />

elettori la certezza che essi non andavano persi.<br />

Immediatamente dopo le elezioni Di Pietro è<br />

venuto meno ai patti fatti con Veltroni e, una


volta «incassati» una quarantina di deputati e<br />

una quindicina di senatori, ha comunicato l’intenzione<br />

di non sciogliersi nel magma confuso<br />

del Partito democratico, ma di voler fare un<br />

gruppo autonomo. Oggi Di Pietro sta svolgendo<br />

un ruolo politico importante perché contesta<br />

qualunque intesa fra <strong>il</strong> Partito Democratico e <strong>il</strong><br />

Popolo della Libertà e scavalca da «sinistra» <strong>il</strong><br />

Partito democratico. Per di più <strong>il</strong> Partito Democratico<br />

scegliendo l’alleanza con Di Pietro e<br />

scartando quella con la Sdi di Boselli ha dimostrato<br />

di mantenere una linea di continuità con<br />

<strong>il</strong> Pds del ’92-’94 che giocò tutte le sue carte<br />

sulla distruzione del Psi.<br />

Ma per tornare alle tesi «razzista» dei maîtres<br />

à penser di Repubblica - l’Espresso, bisogna<br />

innanzitutto ricordare che dal 1994 ad oggi<br />

Berlusconi ha vinto ben tre volte le lezioni: <strong>il</strong><br />

1994, <strong>il</strong> 2001, e adesso nel 2008. Berlusconi<br />

ha perso le altre due: nel 1996 e nel 2006.<br />

Quindi Berlusconi non ha «coperto» un ciclo<br />

politico omogeneo, ma ha dato una incredib<strong>il</strong>e<br />

prova di tenuta lungo una vicenda politica assai<br />

tortuosa. Se, poi, <strong>il</strong> giudizio di fondo dato da<br />

Eugenio Scalfari, Furio Colombo, Santoro e<br />

Marco Travaglio fosse fondato, quale sarebbe,<br />

allora, <strong>il</strong> livello politico di una sinistra «<strong>il</strong>luminata»<br />

e colta che si è fatta sconfiggere ben tre<br />

volte da un avversario siffatto? L’arroganza e la<br />

presunzione intellettuale sono, come spesso<br />

capita, delle cattive consigliere. Lo sono perché<br />

partono da un retroterra sbagliato: quello<br />

di una posizione elitaria ed aristocratica fondata<br />

sulla convinzione che la cultura, l’etica, «i<br />

migliori» stanno a sinistra, mentre la rozzezza<br />

e l’incultura stanno a destra. A proposito di<br />

questo e altro Luca Ricolfi ha scritto un libro dal<br />

significativo titolo Perché siamo antipatici (9).<br />

Libro che spiega come sia avvenuta una singolare<br />

«mutazione» genetica nel corpo e nel<br />

cervello delle forze politiche di centro-sinistra.<br />

Ed i risultati si sono visti.<br />

Una piena egemonia culturale e anche politica<br />

(spesso perfino nella scelta delle leadership:<br />

come hanno dimostrato i casi Rutelli, Ciampi e<br />

Veltroni, tutti sponsorizzati da Carlo De Bene-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />

8<br />

detti) sul centro-sinistra è stata esercitata dallo<br />

«scalfarismo» e dal «debenedettismo». Ciò ha<br />

comportato un’autentica mutazione genetica,<br />

che si è riflessa sul terreno elettorale. I referenti<br />

sociali del centro-sinistra, nelle ultime elezioni,<br />

sono stati da un lato i dipendenti pubblici<br />

e i pensionati e dall’altro i ceti alti, specie delle<br />

grandi città (Roma e M<strong>il</strong>ano in primo luogo). Il<br />

consenso è venuto dal mondo del cinema, del<br />

teatro, della musica, dagli architetti, dai banchieri<br />

e fra i circoli snob della capitale. Non a<br />

caso nelle recenti elezioni amministrative Alemanno<br />

ha vinto grazie al voto delle borgate<br />

mentre ha perso ai Parioli.<br />

Partendo dalla riproposizione aggiornata della<br />

concezione verticistico-paternalistica che sottendeva<br />

nell’antica Roma <strong>il</strong> motto «panem et<br />

circenses», Veltroni ha cercato a Roma di recuperare<br />

consenso grazie alle «notti bianche»<br />

e ai festival del cinema; esibendo, in campagna<br />

elettorale, <strong>il</strong> suo rapporto con Francesco<br />

Totti, facendosi ritrarre con George Clooney<br />

comparendo, addirittura, all’ultimo comizio<br />

elettorale sottobraccio al cantante Jovanotti.<br />

Siamo nel mondo dell’effimero, della ricchezza<br />

esibita, dello snobismo patinato. La quintessenza<br />

di «questa sinistra» è rappresentata da<br />

Giovanna Melandri. L’elettorato popolare non<br />

ha gradito tutto ciò. E si è regolato di conseguenza.<br />

Questa scelta si è tradotta in una prassi singolare,<br />

che ha contagiato tutta la sinistra, anche<br />

una parte di quella estrema: Bertinotti in testa.


politica<br />

L’assidua frequentazione della Roma dei salotti,<br />

voleva perseguire una sua piena legittimazione.<br />

Invece la sfacciata visib<strong>il</strong>ità della omogeneizzazione<br />

di una sinistra light con l’establishment<br />

amministrativo, finanziario, istituzionale<br />

ha avuto effetti devastanti. Specie se si<br />

considera <strong>il</strong> tipo di politica, nel frattempo, portata<br />

avanti dal Governo Prodi. Grazie alle scelte<br />

di politica fiscale, i lavoratori dipendenti hanno<br />

visto che le loro buste paga perdevano potere<br />

d’acquisto, proprio durante <strong>il</strong> governo di<br />

centro-sinistra: più tasse e più inflazione hanno<br />

avuto effetti perversi sugli stipendi e sui salari,<br />

terremotando i consensi a favore del governo<br />

Prodi. Contraddizioni che non potevano essere,<br />

certo, b<strong>il</strong>anciati dalla frequentazione di Veltroni<br />

con Totti, Jovanotti, Clooney, Monicelli e<br />

Muccino, né con la presenza di Bertinotti al salotto<br />

di Sandra Verusio.<br />

Tranne in alcune zone, inoltre, si è verificato<br />

un netto distacco fra <strong>il</strong> neonato Partito Demo-<br />

Con la concertazione <strong>il</strong><br />

sindacato ha concentrato<br />

nella politica tout court,<br />

talora anche nella<br />

politica macroeconomica,<br />

tutto <strong>il</strong> suo potere e anche<br />

la sua iniziativa politica.<br />

cratico e vasti strati della società italiana: <strong>il</strong><br />

giovan<strong>il</strong>ismo veltroniano, tradottosi nella collocazione<br />

come capolista di ragazze incolte e<br />

inesperte della politica, ha determinato un ulteriore<br />

distacco dalla società reale e dallo<br />

stesso mondo giovan<strong>il</strong>e autentico.<br />

Questo distacco è stato espresso da un partito<br />

che, ald<strong>il</strong>à delle apparenze, è l’assemblag-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

9<br />

gio di una parte (quella più gradita a Veltroni,<br />

a Bettini e a Marini-Franceschini) delle nomenclature<br />

e dell’organizzazione del potere<br />

dei Ds e della Margherita, ma che è sempre<br />

più lontano dalla società civ<strong>il</strong>e reale, composta<br />

da piccoli imprenditori, da lavoratori autonomi<br />

e dipendenti, dalla stessa classe operaia, dagli<br />

abitanti dei quartieri periferici: tutti strati sociali<br />

più a contatto con la criminalità endemica<br />

delle favelas di cui molti immigrati clandestini<br />

sono portatori.<br />

Questo elitismo, in parte snobistico in parte di<br />

potere, è stato accentuato dalla crisi del sindacato,<br />

sul quale Pietro Ichino e Stefano Livadiotti<br />

hanno condotto analisi devastanti (10).<br />

Infatti per molti aspetti la «concertazione» ha<br />

ucciso <strong>il</strong> sindacato anche perché si è trattato di<br />

una «concertazione rispettosa», da parte del<br />

sindacato, nei confronti del governo e delle<br />

grandi imprese. Con la concertazione <strong>il</strong> sindacato<br />

ha concentrato nella politica tout court, talora<br />

anche nella politica macroeconomica, tutto<br />

<strong>il</strong> suo potere e anche la sua iniziativa politica.<br />

Forte di un tesseramento automatico, che è<br />

assolutamente scandaloso, forte di un radicamento<br />

nel pubblico impiego e fra i pensionati, <strong>il</strong><br />

sindacato in questi anni, non ha tutelato due<br />

aspetti fondamentali della condizione operaia:<br />

la tenuta del potere d’acquisto dei salari e la<br />

salute-sicurezza nei luoghi di lavoro. In sostanza<br />

è venuto meno <strong>il</strong> sindacato in fabbrica. L’unico<br />

sindacato che ha mostrato una qualche<br />

consapevolezza del problema è stata la Cisl<br />

che non a caso, contrastata dalla Cg<strong>il</strong>, ha sostenuto<br />

<strong>il</strong> ritorno ai due livelli di contrattazione:<br />

quella nazionale e quella aziendale, quest’ultima<br />

anche in funzione di un aumento della produttività.<br />

Ma queste esiziali chiusure autoreferenziali<br />

(del gruppo dirigente dei partiti della sinistra e<br />

di quello del sindacato) si sono nutrite, fino alle<br />

elezioni del 13-14 apr<strong>il</strong>e, del mito di una presunta<br />

superiorità culturale ed etica. I prototipi<br />

relativi, sia pure con opposti comportamenti,<br />

sono stati proprio quelli di Veltroni e D’Alema,<br />

con al rimorchio l’esangue Epifani. Quella pre-


sunzione si è intrecciata alle analisi sbagliate<br />

su aspetti fondamentali della società italiana riguardanti<br />

sia <strong>il</strong> Nord, che <strong>il</strong> Sud, nonché di alcune<br />

tendenze di fondo della geopolitica e della<br />

globalizzazione. Per di più la sinistra diessina<br />

e oggi <strong>il</strong> Partito Democratico in quanto tale<br />

hanno ritenuto di avere acquisito una posizione<br />

egemone rispetto al populismo berlusconiano<br />

incolto, rozzo e inconsapevole, essendosi collocati<br />

lungo l’asse dell’alleanza preferenziale<br />

con <strong>il</strong> potere economico-finanziario fondamentale<br />

che governa la società italiana, quello delle<br />

banche e del Corriere della Sera.<br />

Questa operazione, si sono fondati, storicamente,<br />

su quello che è stato chiamato <strong>il</strong> «patto<br />

dei produttori» e adesso la «concertazione». Il<br />

punto di riferimento dei post-comunisti e della<br />

Cg<strong>il</strong>, in tutti questi anni, è stato finora <strong>il</strong> seguente:<br />

l’alleanza preferenziale con le poche<br />

grandi industrie di stampo fordista rimaste in<br />

campo, con le grandi banche collegate a Banca<br />

Intesa, con i pochi grandi giornali espressi<br />

da quelle catene di interessi, con alcune procure<br />

(in primo luogo quella di M<strong>il</strong>ano). E poiché<br />

a questo monoblocco di potere Berlusconi e <strong>il</strong><br />

centro-destra non hanno mai partecipato, <strong>il</strong><br />

centro-sinistra, da Prodi a Veltroni-Fassino-<br />

D’Alema, ha sempre ritenuto di aver comunque<br />

vinto perché collocatosi nel cuore del sistema<br />

di potere. Senonché, nel corso di questi ultimi<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />

10<br />

anni, quel «meccanismo» ha funzionato in modo<br />

sempre meno efficace. Le elezioni del 13-<br />

14 apr<strong>il</strong>e, inoltre, hanno dimostrato che esso è<br />

giunto ad un punto di usura e di totale perdita<br />

di credib<strong>il</strong>ità. Avendo perso <strong>il</strong> contatto con la<br />

parte più dinamica della società italiana.<br />

Ciò che è cambiato è tutta la «fase» storica.<br />

Nel corso di essa è nata un’«altra società», che<br />

sul piano politico si è in parte riflessa al Nord<br />

con <strong>il</strong> voto alla Lega e nel Mezzogiorno con <strong>il</strong><br />

voto al partito del Popolo della Libertà, ma che<br />

ha come presupposto qualcosa di più significativo<br />

che attiene ai rapporti produttivi e a quelli<br />

sociali. In modo compiuto, i termini di questa<br />

nuova realtà sono stati descritti, ben prima delle<br />

elezioni del 13-14 apr<strong>il</strong>e, nel libro di Marco<br />

Alfieri: «Nord, terra ost<strong>il</strong>e. Perché la sinistra<br />

non vince (11).» In questi territori è sorto un<br />

nuovo tipo di struttura produttiva e mentre oramai<br />

le grandi fabbriche fordiste si contano sulle<br />

dita di una mano, si è consolidato un reticolo<br />

di medie e di piccole imprese, nelle quali non<br />

è più determinante lo scontro fra imprenditori e<br />

operai, che hanno ormai acquisito notevoli capacità<br />

competitive, grazie ad una gestione flessib<strong>il</strong>e<br />

di tutte le risorse, compreso <strong>il</strong> lavoro.<br />

La loro essenza è insieme <strong>il</strong> radicamento in un<br />

territorio e la globalizzazione. La formula organizzativa<br />

prevalente è quella dei distretti-rete,<br />

che oggi chiedono alla politica in modo prepotente<br />

alcune cose elementari: meno pressione<br />

fiscale, meno burocrazia regionale e statale,<br />

più credito fac<strong>il</strong>itato e trasparente, un salto di<br />

qualità nelle infrastrutture, più nella sicurezza.<br />

Queste reti produttive sono intrecciate anche<br />

con <strong>il</strong> mondo creditizio. In sostanza tutto ciò<br />

vuol dire che rispetto quel f<strong>il</strong>one di cultura politica,<br />

di gruppi dirigenti, di storia, di radicamento<br />

sociale che si è dipanato dal Pci, fino all’attuale<br />

Partito democratico, è entrato in rotta di<br />

collisione con la parte più dinamica della società<br />

italiana.<br />

Veltroni pensava di essere all’avanguardia,<br />

pensava di vincere o comunque di pareggiare,<br />

avendo colto al volo l’effimero della società italiana,<br />

ma non si è accorto di non averne affatto<br />

capito l’anima e le strutture più profonde.


politica<br />

Dietro quell’effimero c’è un hard che non aveva<br />

più un grande spazio nella società italiana.<br />

Veltroni è andato incontro ad una sconfitta<br />

strategica, non tattica, e le ragioni di questa<br />

sconfitta affondano le loro radici paradossalmente<br />

prima nella società che nella politica.<br />

Per parte sua Berlusconi ha colto al volo le<br />

contraddizioni e le arretratezze della sinistra.<br />

Ha rappresentato i pezzi fondamentali della<br />

società italiana. Ha sublimato e moltiplicato,<br />

con <strong>il</strong> suo carisma, <strong>il</strong> suo rapporto con <strong>il</strong> «popolo»,<br />

lavorando su qualcosa di più profondo.<br />

Non ha solo bucato <strong>il</strong> castello mediatico di<br />

Walter Veltroni.<br />

Il libro di Mario Alfieri ci consente proprio di andare<br />

al fondo di alcuni processi reali, evitando<br />

di leggere tutto quello che è successo solo attraverso<br />

analisi troppo politicista. Il saggio è<br />

stato scritto prima delle elezioni politiche, ma<br />

dopo le ultime elezioni amministrative del<br />

2007, che già lasciavano intravedere le tendenze<br />

di fondo. Per molti aspetti si tratta di un<br />

libro profetico. Scrive Alfieri: «La questione settentrionale<br />

non esiste...» ma in un senso improprio.<br />

Oramai in Italia un’analisi che non si<br />

fondi su vicende di breve periodo, ma sulle<br />

questioni di fondo, viene considerata o archeologica<br />

o profetica. «Quel che esiste è la lunga<br />

coazione a ripetere di un centro-sinistra ridotto<br />

al Nord a formazione “materasso”, ad alleanza<br />

politico/sociale condannata irrimediab<strong>il</strong>mente a<br />

perdere, in un f<strong>il</strong>otto terrib<strong>il</strong>e, tutte le elezioni<br />

politiche».<br />

Quindi <strong>il</strong> nodo della politica economica del governo<br />

Prodi: «le cui (di Prodi) scelte controverse<br />

hanno prodotto uno scollamento con l’opinione<br />

pubblica assai più accentuato che altrove.<br />

L’aumento della pressione fiscale, decisivo<br />

per <strong>il</strong> risanamento dei conti pubblici, è stato visto<br />

dal popolo dei microimprenditori - egemone<br />

della morfologia socioeconomica padana - come<br />

un atto di prepotenza calato dall’alto e non<br />

concertato. Le contropartite di questo inasprimento,<br />

assai impopolare, sono apparse deboli<br />

o poco visib<strong>il</strong>i, sia sul lato della redistribuzione<br />

sociale (l’aumento dell’addizionale Irpef, in oltre<br />

metà dei comuni, ha vanificato gli sgravi fi-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

11<br />

scali per i redditi dipendenti medio-bassi) che<br />

su quelli della modernizzazione del sistema<br />

paese (Brebemi, Pedemontana e Tav sono ancora<br />

di là da venire). Risultato? Aperta ost<strong>il</strong>ità<br />

dei “capitalisti molecolari” e delusione strisciante<br />

del “popolo di centro-sinistra”. Cornuti<br />

e mazziati. Una tenaglia micidiale per le sorti<br />

elettorali del centro-sinistra. Il trinomio immigrazione<br />

- sicurezza - indulto ha poi fatto <strong>il</strong> resto<br />

(...) La rotta elettorale non è solo imputab<strong>il</strong>e<br />

a quel corpaccione di lavoratori autonomi,<br />

piccoli imprenditori, partite Iva, e padroncini<br />

che votano naturaliter a destra. La pesante<br />

astensione che ha portato a scarti abissali va<br />

imputata anche all’astensionismo che ha colpito<br />

molto elettorato ulivista» (12).<br />

Alfieri, per chiarire ulteriormente le cose, cita<br />

Michele Salvati: «Il nord se la cava benone.<br />

C’è capitalismo e libertà sociale e d’impresa.<br />

Siamo noi, la sinistra, che abbiamo una questione<br />

settentrionale, nel senso che non siamo<br />

in grado di interpretare né di rappresentare<br />

questo territorio» (13). L’autore si riferisce al<br />

voto del 10 apr<strong>il</strong>e 2006. «Il paese esce penalizzato<br />

fortemente per classi professionali (autonomi,<br />

artigiani, commercianti e imprenditori a<br />

destra; ceti impiegatizi pubblici e dipendenti a<br />

sinistra (...) al Nord la destra vince anche tra gli<br />

operai di un paio di punti» (14). Si domanda,<br />

Veltroni è andato incontro<br />

ad una sconfitta<br />

strategica, non tattica, e<br />

le ragioni di questa<br />

sconfitta affondano le<br />

loro radici<br />

paradossalmente prima<br />

nella società che nella<br />

politica.


quindi, polemicamente: «avete per caso sentito<br />

un mea culpa dell’Unione dopo <strong>il</strong> voto? Una<br />

disamine franca? Un’ammissione di responsab<strong>il</strong>ità?<br />

Una riflessione? Macché!» (15). Ma è <strong>il</strong><br />

livello di reddito al quale Prodi e Visco hanno<br />

dato <strong>il</strong> loro colpo che ha messo contro <strong>il</strong> governo<br />

gran parte del paese: «Può dirsi ricco uno<br />

che porta a casa 2.500 euro rotti al mese? Non<br />

pochi operai specializzati, tra stipendi e straordinari<br />

quei soldi lì se li mette in busta. Siamo<br />

cioè al ceto medio bello e buono» (16).<br />

Alfieri ha anche r<strong>il</strong>evato che, nella costruzione<br />

del Partito democratico, malgrado le teorizzazioni<br />

su un Pd del nord realmente federativo e<br />

incardinato intorno alla leadership di Sergio<br />

Chiamparino, di F<strong>il</strong>ippo Penati, di Riccardo Illy,<br />

e di Massimo Cacciari, non si è fatto nulla tranne<br />

qualche bel documento a circolazione interna.<br />

E, quando è stata lanciata la candidatura di<br />

Walter Veltroni non viene, contestualmente,<br />

lanciata un’altra posizione di tipo nordista. Anzi<br />

«uno dopo l’altro, gli ulivisti del Nord si mettono<br />

in coda, da bravi funzionari dell’impero, davanti<br />

allo studio del fidatissimo Goffredo Bettini. La<br />

tanto vagheggiata candidatura nordista da contrapporre<br />

a Veltroni si riduce sulla carta ad una<br />

lista di territorio a sostegno di Uòlter»(17).<br />

Sul piano economico-sociale, comunque, «non<br />

è finita. Il 23 luglio <strong>il</strong> Governo vara <strong>il</strong> protocollo<br />

sul welfare (...): nel pacchetto pensioni la copertura<br />

per abbattere lo scalone passa non solo<br />

da un inasprimento del contributo dei parasubordinati,<br />

ma anche da una ministangata su<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />

12<br />

quello degli autonomi, cioè di quella vasta platea<br />

di ceto produttivo che vive l’inasprimento<br />

come un ulteriore balzello fiscale dopo l’ultima<br />

finanziaria salasso» (18). A tutta questa gente,<br />

Visco e Padoa Schioppa hanno dedicato solo<br />

le loro battute a sfondo sadico, ma con effetti<br />

masochisti. Visco: «Il Veneto? Posso dire con<br />

una battuta che qui l’antistatalismo è consustanziale,<br />

della medesima essenza, con la cultura<br />

media dei cittadini della regione e Tommaso<br />

Padoa Schioppa, non contento di aver sfottuto<br />

i giovani costretti nella casa dei genitori<br />

per la mancanza di un impiego come dei<br />

«bamboccioni», poi si è lasciato andare, in un<br />

impeto di gioia e di allegria, a «Le tasse, ma<br />

sono bellissime» (19).<br />

Alfieri registra, infine, <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> Partito Democratico<br />

è «totalmente privo di antenne capaci<br />

di sintonizzarsi con la testa, <strong>il</strong> cuore, e anche<br />

le viscere di coloro che vivono e lavorano in<br />

questo pezzo complesso ma decisivo d’Italia. E<br />

perché continua ad arroccarsi in una cultura<br />

centralistica, stancamente impregnata in schemi<br />

ideologici del tutto irreversib<strong>il</strong>i. Lasciando<br />

prateria intere al centro-destra, che certamente<br />

possiede una prossimità semantica, di linguaggio,<br />

di affinità di blocco sociale, con questi territori».<br />

Alfieri ha auspicato che <strong>il</strong> Partito Democratico<br />

si sforzi di «intercettare davvero la variegata<br />

società molecolare, la società dei lavori,<br />

più che del lavoro; la società dell’impresa, diffusa<br />

più che dal ‘padroncino’; la società del consumatore<br />

più che di una pubblica amministrazione<br />

autoreferenziale; la società dei meriti da<br />

promuovere e non solo dei bisogni da tutelare»<br />

(20). Sempre secondo l’autore, Walter Veltroni<br />

dovrebbe impegnarsi «in un nuovo dialogo con<br />

<strong>il</strong> mondo dell’impresa, del lavoro autonomo, ma<br />

anche con la dimensione del lavoro operaio colpevolmente<br />

espulsa dall’immaginario collettivo<br />

di una sinistra riformista che per coda di paglia,<br />

zelo del neofita, o cattiva coscienza, ha scambiato<br />

la modernità solo con le banche, la grande<br />

finanza, e <strong>il</strong> capitalismo rampante. Il terziario<br />

immateriale al posto del manifatturiero. Il consumatore<br />

invece che <strong>il</strong> produttore. Per essere à<br />

la page, ha smesso di pensare <strong>il</strong> lavoro e i luo-


politica<br />

ghi di produzione, paradossale» (21).<br />

Il nodo di fondo - continua impietosamente Alfieri<br />

- è però costituito dalle profonde trasformazioni<br />

che sono intervenute nel cuore della<br />

società e che non sono state colte: «Come sostiene<br />

Carlo Trig<strong>il</strong>ia esiste un nesso strettissimo<br />

tra l’organizzazione produttiva postfordista<br />

in cui siamo immersi e la dimensione locale<br />

dello sv<strong>il</strong>uppo (...) La globalizzazione crea opportunità<br />

soprattutto per lo sv<strong>il</strong>uppo locale, che<br />

è sempre più lo spazio dove si organizzano a<br />

rete le forze imprenditoriali e i nuovi soggetti<br />

funzionali per reggere la competizione globale<br />

(banche, camere di commercio, fondazioni, fiere,<br />

multiut<strong>il</strong>ity) superando <strong>il</strong> vincolo della dimensione<br />

urbana classica, della città industriale,<br />

che abbiano conosciuto nel Novecento. Il<br />

nord Italia, in tal senso, è un perfetto caso di<br />

scuola, grazie al suo straordinario dinamismo<br />

molecolare» (22).<br />

Analisi diffic<strong>il</strong>mente confutab<strong>il</strong>e, densa di implicazioni<br />

politiche: «ragionare rispettivamente di<br />

nordovest e di nordest all’interno della macroregione<br />

padana con M<strong>il</strong>ano baricentro perfetto,<br />

- continua l’autore - gateway di una macroregione<br />

da Torino a Trieste grande piattaforma di<br />

reti logistiche energetiche, informatiche, culturali,<br />

industriali e finanziarie che interagisce ormai<br />

direttamente col mondo globale non più attraverso<br />

la b<strong>il</strong>ateralizzazione dei rapporti ma<br />

attraverso una funzionalità-rete, in fondo è solo<br />

un altro modo di leggere e interpretare <strong>il</strong> male<br />

del nord che da un ventennio buono affligge<br />

la sinistra italiana». Tutta questa nuova tematica<br />

socio-economica ha r<strong>il</strong>evanti ricadute politiche:<br />

«La sfida di Veltroni e del Pd non avrà alcuna<br />

possib<strong>il</strong>ità di successo se non terrà in<br />

conto questo scenario geoeconomico dentro<br />

cui si svolge anche la competizione politica. Si<br />

ridurrebbe al solito tentativo di annettersi qualche<br />

spezzore di elite chiusa nei propri salotti e<br />

patti di sindacato. Il Nord inteso come sommatoria<br />

di big player che si puntellano a vicenda:<br />

da Generali a Mediobanca, da Telecom a Rcs.<br />

Bastava scorrere <strong>il</strong> parterre allo sbarco della<br />

dalemian-amatiana Fondazione Italiani/Europei<br />

a M<strong>il</strong>ano dicembre 2006 per capire la mio-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

13<br />

pia, la coazione a ripetere dei nostri riformisti:<br />

solo finanza, borsa, banchieri e grandi amministratori<br />

delegati. Di imprenditori dinamici, di<br />

quella straordinaria passione del fare, di sapienza<br />

industriale che fa ricco <strong>il</strong> nord, nemmeno<br />

l’ombra. Incredib<strong>il</strong>e. Meglio perseverare nel<br />

vecchio errore gauchista di credere che basti<br />

parlare alle élites per tirarsi dietro <strong>il</strong> mitico ceto<br />

medio produttivo. Il quale, invece, fregandosene<br />

beatamente dell’ulivismo di molti grandi<br />

banchieri, da queste parti continua a votare<br />

Berlusconi» (23).<br />

Il nocciolo di tutto questo gigantesco cambiamento<br />

è <strong>il</strong> «Quarto Capitalismo formato esportazione»<br />

nel quale si realizza «una sorta di intreccio,<br />

di contaminazione fra industria e servizi<br />

sull’onda della riorganizzazione aziendale<br />

stimolate dalla nuova competizione internazionale.<br />

Anche i mitici distretti industriali (occhialeria,<br />

tess<strong>il</strong>e, calzaturiero, agroalimentare, mob<strong>il</strong>e)<br />

si stanno ridefinendo. Si selettivizzano e si<br />

fanno f<strong>il</strong>iera industriale: non sono più una comunità<br />

economica chiusa, ma allargandosi diventano<br />

piattaforme territoriali, che competono<br />

nel mondo. Oggi la mitica del piccolo è bello<br />

non vale più neanche in Veneto. In uno stesso<br />

distretto possiamo trovarci dentro aziende che<br />

tirano e, altre che arrancano. E i casi di successo<br />

sono quelli di piccole imprese che si agganciano<br />

alle f<strong>il</strong>iere distributive e alle tecnologie<br />

di rete delle medie esportatrici» (24).<br />

In questo contesto, Forza Italia e ancor più la<br />

Lega Nord hanno nuotato come pesci nell’ac-


Se non si riesce a dare<br />

efficienza, trasparenza,<br />

produttività al sistema<br />

politico-istituzionale, <strong>il</strong><br />

rischio che corrono<br />

entrambi gli schieramenti<br />

oggi in campo rispetto<br />

all’antipolitica è<br />

altissimo.<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

qua. Secondo Alfieri: «La Lega è una sorta di<br />

imprenditore politico, che si alimenta della crisi<br />

del sistema, del rapporto tra partiti di massa<br />

tradizioni culturali e società civ<strong>il</strong>e, così come<br />

viene vissuto nel Settentrione. La Lega sottolinea<br />

le trasformazioni che hanno investito questa<br />

area: la crisi dei poli metropolitani e della<br />

grande industria, la crescita economica delle<br />

zone a industrializzazione diffusa, la loro concomitante<br />

modernizzazione e instab<strong>il</strong>ità socioculturale»<br />

(25). Al contrario, in tutti questi anni<br />

la sinistra è stata capace solo di inventarsi una<br />

«società civ<strong>il</strong>e, non reale, ma del tutto sublimata<br />

e ideologizzata, costituita dai campioni del<br />

moralismo e del giustizialismo e costituita da<br />

raffinati intellettuali dalla puzza al naso, da architetti,<br />

editori, maîtres à penser di varie ispirazione,<br />

grandi avvocati d’affari, qualche banchiere<br />

molto sofisticato, ma tutta roba m<strong>il</strong>le miglia<br />

lontane dalla società reale. Al fondo la questione<br />

è la seguente: c’è «un nordismo che rimane<br />

plasticamente unificato in un punto distintivo<br />

e peculiare: la grande fabbrica e la<br />

pubblica amministrazione, cioè quei comparti<br />

in cui la sinistra è stata e resta tradizionalmente<br />

più forte, da quel momento in poi occuperanno<br />

una parte minoritaria, quasi residuale. In<br />

ciascun microcosmo padano» (26).<br />

Sulla base di queste analisi è fac<strong>il</strong>e concludere.<br />

Il risultato elettorale del 13-14 apr<strong>il</strong>e ha<br />

14<br />

politica<br />

espresso qualcosa di profondo e non di superficiale.<br />

Quella di Berlusconi sarà stata anche<br />

una vittoria mediatica, ma, comunque, è l’espressione<br />

di qualcosa di molto più profondo:<br />

una grande leadership innestata su una vasta<br />

e articolata realtà economico-sociale. C’è stata<br />

anche una sorta di reazione di rigetto interclassista<br />

da parte di quasi tutte le forze sociali nei<br />

confronti di Prodi, Visco e Padoa Schioppa.<br />

Quindi Berlusconi è riuscito a parlare ad un<br />

«popolo profondo» non raggiunto dalle catene<br />

editoriali e televisive. In più, però, c’è stato un<br />

legame di Forza Italia e della Lega con i pezzi<br />

di nuove aggregazioni nella società e nell’economia.<br />

Sul piano politico, poi, Berlusconi ha<br />

giocato e vinto un azzardo: la sua decisione di<br />

realizzare, nello spazio di un mattino, un nuovo<br />

soggetto politico fra Forza Italia e An alleati con<br />

la Lega, si è intrecciata con una scommessa<br />

politica assai rischiosa: la duplice rottura con<br />

l’estrema destra (Storace) e con centro estremo<br />

(Casini). L’operazione è perfettamente riuscita,<br />

ma non era certo scontata in partenza,<br />

ed è riuscita perché grandi pezzi della società<br />

si sono riconosciuti in essa.<br />

Tutto questo travagliato percorso ha portato al<br />

governo Berlusconi, al suo programma, ai suoi<br />

primi passi. Mentre scriviamo <strong>il</strong> Governo gode<br />

di una luna di miele con i cittadini, ma in parte<br />

anche con i media e perfino ha un rapporto positivo<br />

con una parte dell’opposizione. Non sappiamo<br />

affatto quanto durerà tutto ciò. Sia la sinistra<br />

radicale sia <strong>il</strong> Partito Democratico sono<br />

come «gelati» dalla sconfitta. Giustamente<br />

Berlusconi non vuole svegliare <strong>il</strong> cane che dorme.<br />

Sta seguendo, invece, una linea ultra-buonista.<br />

Non sappiamo quanto durerà l’incantesimo,<br />

anche perché nell’area di centro sinistra<br />

esistono forze che vogliono interromperlo (in<br />

primo luogo Di Pietro, ma anche D’Alema, la sinistra<br />

radicale e parte della Cg<strong>il</strong>).<br />

Non c’è dubbio che, di fronte alla crisi di credib<strong>il</strong>ità<br />

di tutto <strong>il</strong> sistema politico, e alla insofferenza<br />

dell’opinione pubblica nei confronti della<br />

ripetizione di risse, di demonizzazioni, di scontri<br />

personali e politici, sarebbe importante met-


politica<br />

tere in atto riforme costituzionali, elettorali, federative,<br />

condivise, fondate su un «rapporto<br />

serio» fra le forze politiche, nella ricerca di punti<br />

di intesa sul terreno della riconquista della<br />

piena operatività del sistema politico e istituzionale<br />

italiano, in modo da renderlo pienamente<br />

competitivo mentre esso attualmente è bloccato.<br />

Se non si riesce a dare efficienza, trasparenza,<br />

produttività al sistema politico-istituzionale,<br />

<strong>il</strong> rischio che corrono entrambi gli schieramenti<br />

oggi in campo rispetto all’antipolitica è<br />

altissimo. Tutto ciò giustifica «<strong>il</strong> buonismo» oggi<br />

in campo: se esso ci porta a realizzare una<br />

serie incisiva di riforme (nuovi poteri del premier,<br />

superamento del bipartitismo, federalismo,<br />

nuovi leggi elettorali, europee e nazionali,<br />

che consolidino <strong>il</strong> bipolarismo, un nuovo regolamento<br />

di Camere e Senato che esalti l’operatività<br />

del governo e dell’opposizione e non<br />

la facoltà di blocco) è benvenuto.<br />

Per <strong>il</strong> centro-destra, però, <strong>il</strong> «buonismo» non<br />

deve convertirsi in altro. In primo luogo in una<br />

sorta di complesso di inferiorità culturale da<br />

parte dei gruppi dirigenti del centro-destra, dei<br />

nuovi ministri nei confronti dei tecnici del centro<br />

sinistra. Da anni l’egemonia culturale della<br />

sinistra è venuta meno, mai come oggi i gruppi<br />

dirigenti della sinistra, con alcune evidenti eccezioni,<br />

sono così mediocre. In secondo luogo<br />

<strong>il</strong> buonismo non può tradursi nel continuismo al<br />

livello del personale amministrativo e del ma-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

15<br />

nagement. Francamente, su questo terreno,<br />

stiamo assistendo a riciclaggi sconcertanti che<br />

fanno venire i brividi nella schiena, specie se si<br />

tiene presente che una delle categorie storiche<br />

costanti della vita politica italiana è stata, appunto,<br />

<strong>il</strong> trasformismo. Per di più nel corso di<br />

questi anni, <strong>il</strong> centro-destra ha acquisito una<br />

classe dirigente adeguata sul piano culturale<br />

ed amministrativo che non può essere lasciata<br />

in panchina.<br />

In terzo luogo, su alcuni nodi (sicurezza, garantismo,<br />

taglio della spesa pubblica corrente,<br />

nuove infrastrutture, nuova politica del lavoro,<br />

riduzione della pressione fiscale, federalismo<br />

fiscale, riforme costituzionali) bisogna discutere<br />

con spirito aperto con l’opposizione, ma poi<br />

bisogna decidere sulla base della piattaforma<br />

con la quale si sono vinte le elezioni.<br />

In sostanza, guai a noi, se <strong>il</strong> centro-destra dà la<br />

sensazione di stare in soggezione nei confronti<br />

di un centro-sinistra, che per i suoi errori e i<br />

suoi limiti, ha perso così clamorosamente le<br />

elezioni e che è al punto massimo della sua crisi:<br />

i cittadini non perdonerebbero mai questo<br />

complesso di inferiorità. Infine, dato alla Lega<br />

quello che è della Lega (e cioè una grande capacità<br />

della sua nuova classe dirigente sul territorio<br />

di innestarsi sul capitalismo molecolare)<br />

non bisogna mai dimenticare che <strong>il</strong> Popolo della<br />

Libertà ha stravinto al Sud e di ciò bisogna<br />

tener conto nella definizione della politica economica<br />

e sociale.<br />

Per terminare: alcuni problemi politici e ideali.<br />

Non è vera la leggenda metropolitana, messa in<br />

giro da Famiglia Cristiana, che i cattolici sono<br />

fuori da questo governo. Berlusconi non perde<br />

mai d’occhio <strong>il</strong> pluralismo politico-culturale di<br />

Forza Italia: al governo ha messo in campo una<br />

nuova generazione di dirigenti quasi tutti cattolici<br />

(Angelino Alfano, Maria Stella Gelmini, Raffaele<br />

Fitto) che hanno l’unico torto di non aver<br />

m<strong>il</strong>itato nelle correnti morotee e dorotee degli<br />

anni ’70-’80, se non altro per impossib<strong>il</strong>ità anagrafica.<br />

Nel contempo vi sono esponenti dell’area laicosocialista<br />

di grande spessore culturale, politico e


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

tecnico (Frattini, Tremonti, Brunetta, Sacconi)<br />

scelti non per la loro originaria tessera di partito,<br />

ma per le loro competenze. In questo modo Berlusconi<br />

ha realizzato una grande operazione,<br />

una sintesi dinamica e non statica.<br />

Quindi la costruzione del nuovo partito, frutto<br />

dell’incontro fra Forza Italia, An, le altre forze<br />

politiche, dovrà combinare insieme la logica<br />

dell’esistente e quella dell’apertura alla società.<br />

Dovrà comunque essere un partito capace di<br />

coprire sia uno spazio riformista, sia una vasta<br />

area di centro, sia quella della destra democratica.<br />

Un’operazione non fac<strong>il</strong>e anche perché finora<br />

le operazioni di unificazione partitica sono<br />

state a somma algebrica negativa. Guai a risolvere<br />

<strong>il</strong> tutto in una mediocre operazione di assemblaggio<br />

degli apparati oppure nello scontro<br />

fra opposte egemonie partitiche o ideologiche.<br />

In Forza Italia c’è sempre stato un grande equ<strong>il</strong>ibrio,<br />

soprattutto sulle questioni più delicate, a<br />

partire dalla bioetica, e un grande rispetto fra<br />

laici e cattolici. Questo e altro dovrà avvenire<br />

anche nel nuovo partito.<br />

A mio avviso per evitare <strong>il</strong> ritorno a meccanismi<br />

partitici del passato (<strong>il</strong> tesseramento gonfiato<br />

come elemento fondamentale di una pseudodemocrazia<br />

fondata sull’asse ministri-leaders di<br />

correnti) al suo decollo la democrazia e la dialettica<br />

del nuovo partito dovrà fondarsi sugli<br />

eletti ad ogni livello. Ma sulla forma-partito del<br />

Popolo della libertà è evidente che la discussione<br />

è appena iniziata.<br />

Note<br />

1. Istituto Cattaneo sito web: www.cattaneo.org<br />

Chi vince, chi perde e dove.<br />

2. F. Carlucci: «Alla Lega <strong>il</strong> 10% dei voti di Bertinotti<br />

e Verdi». Il Venerdì di Repubblica 18<br />

Apr<strong>il</strong>e 2008.<br />

3. «Il tradimento degli ex Ulivisti, 2,5 m<strong>il</strong>ioni<br />

non hanno votato». Unità 17 apr<strong>il</strong>e 2008.<br />

4. R. Bindi: «Con le vecchie logiche balcaniz-<br />

16<br />

politica<br />

ziamo <strong>il</strong> partito». Unità 9 giugno 2008.<br />

5. «Il tradimento degli ex Ulivisti: 2,5 m<strong>il</strong>ioni<br />

non hanno votato». Unità 17 apr<strong>il</strong>e 2008.<br />

6. Idem.<br />

7. Corriere della Sera. «Sud, le periferie votano<br />

PdL, più consensi nei quartieri popolari e in<br />

provincia. Ici e bonus bebè hanno convinto<br />

operai e insegnati». Venerdì 18 apr<strong>il</strong>e 2008.<br />

8. Il Foglio: «Le cause di una batosta. Venerdì<br />

18 apr<strong>il</strong>e 2008.<br />

9. L. Ricolfi: Perché siamo antipatici. Ed. Longanesi<br />

M<strong>il</strong>ano 2005.<br />

10. P. Ichino: A che cosa serve <strong>il</strong> sindacato.<br />

Mondadori. M<strong>il</strong>ano 2005 - Stefano Livadiotti:<br />

L’altra casta. L’inchiesta sul sindacato. Bompiani.<br />

M<strong>il</strong>ano 2008.<br />

11. Marco Alfieri: Nord, terra ost<strong>il</strong>e. Perché la<br />

sinistra non vince. Mars<strong>il</strong>io 2008.<br />

12. Marco Alfieri: Nord terra ost<strong>il</strong>e. I Gr<strong>il</strong>li Mars<strong>il</strong>io<br />

2008.<br />

13. Idem pag. 17.<br />

14. Idem pag. 18.<br />

15. Idem pag. 18.<br />

16. Idem pag. 20.<br />

17. Idem pag. 24.<br />

18. Idem pag. 25.<br />

19. Idem pag. 27.<br />

20. Idem pag. 29.<br />

21. Idem pag. 33.<br />

22. Idem pag. 37.<br />

23. Idem pag. 35.<br />

24. Idem pag. 48.<br />

25. Idem pag. 73.<br />

26. Idem pag. 110.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

La «rivoluzione» del 13 e 14 apr<strong>il</strong>e<br />

di Gaetano Quagliariello<br />

Il 13 e 14 apr<strong>il</strong>e in Italia <strong>il</strong> Muro è definitivamente<br />

caduto. La rivoluzione del 1994 è arrivata<br />

a compimento. È maturata sul campo, attraverso<br />

alterne fortune e non poche difficoltà.<br />

È maturata nella coscienza dei cittadini italiani,<br />

che mai come questa volta hanno avuto la possib<strong>il</strong>ità,<br />

attraverso <strong>il</strong> voto, di rendersi artefici del<br />

proprio destino politico, scegliendo consapevolmente<br />

chi dovesse governarli e in base a<br />

quale programma, allontanando la prospettiva<br />

di coalizioni rissose ed eterogenee che rendessero<br />

quello stesso programma poco più di<br />

un catalogo di buone intenzioni.<br />

La lunga traversata che ci ha condotto a questo<br />

risultato - un primo fondamentale passo<br />

verso la modernizzazione delle istituzioni - è<br />

iniziata quasi quindici anni fa: <strong>il</strong> crollo del comunismo<br />

e le sue ripercussioni sul sistema politico<br />

italiano determinarono la situazione emergenziale<br />

nella quale S<strong>il</strong>vio Berlusconi discese<br />

Se la rivoluzione politica<br />

del 13 e 14 apr<strong>il</strong>e è potuta<br />

giungere a compimento, in<br />

qualche modo dobbiamo<br />

ringraziare anche Prodi,<br />

<strong>il</strong> suo dossettismo, <strong>il</strong> suo<br />

testardo tentativo di<br />

governare contro la<br />

realità di un Paese<br />

spaccato a metà.<br />

18<br />

politica<br />

in campo, mettendo insieme quello che insieme<br />

non immaginava nemmeno di poter stare:<br />

la Lega al nord e l’Msi al sud. Non a caso, i suoi<br />

stessi alleati di oggi.<br />

Si trattò di una improvvisazione fantasiosa e<br />

salvifica ma non indolore. Non c’era allora una<br />

classe dirigente all’altezza della sfida, e di<br />

questa carenza si pagò <strong>il</strong> fio in termini politici.<br />

In termini istituzionali, mancava invece un contesto<br />

che potesse sostenere l’uscita dal proporzionalismo.<br />

Tale situazione si è trascinata per anni: la<br />

transizione pareva non dovesse mai avere fine.<br />

Ma come spesso accade, <strong>il</strong> colpo di grazia<br />

si è abbattuto sull’ancien régime proprio grazie<br />

alla tetragona resistenza di quanti - a dispetto<br />

di ogni evidenza - non hanno voluto prendere<br />

atto del cambiamento. Se la rivoluzione politica<br />

del 13 e 14 apr<strong>il</strong>e è potuta giungere a compimento,<br />

dunque, in qualche modo dobbiamo<br />

ringraziare anche Romano Prodi, <strong>il</strong> suo dossettismo,<br />

<strong>il</strong> suo testardo tentativo di governare<br />

contro la realità di un Paese spaccato a metà:<br />

i due anni di straordinaria follia in cui l’Unione<br />

ha cercato di guidare l’Italia hanno fatto sì che<br />

si ponesse in termini di urgenza e di necessità<br />

<strong>il</strong> problema di dover scegliere tra un ritorno al<br />

passato pre-1994, quando a contare erano soprattutto<br />

i partiti, e una sfida rivolta al futuro,<br />

con l’obiettivo di superare i limiti di coalizioni<br />

rissose all’interno delle quali i partiti cercavano<br />

disperatamente di riguadagnare la forza che <strong>il</strong><br />

‘94 aveva loro sottratto.<br />

La terza fase della Repubblica ha avuto inizio<br />

da qui: dalla scelta obbligata di Veltroni di lanciarsi<br />

in una corsa (quasi) solitaria, e dal conseguente<br />

coraggio di Berlusconi di «tagliare»<br />

ambedue le ali, al centro e a destra, per presentarsi<br />

come partito a vocazione maggioritaria,<br />

rappresentativo di tutto <strong>il</strong> centrodestra. Con<br />

una differenza: se per Veltroni era improponibi-


politica<br />

le ripresentarsi fianco a fianco con gli alleati<br />

con i quali aveva litigato per due anni, per<br />

quanto riguarda Berlusconi si è trattato piuttosto<br />

di una scelta dettata più dall’esigenza di un<br />

rinnovamento del sistema che da una questione<br />

di compatib<strong>il</strong>ità di idee e programmi.<br />

La fotografia che le urne ci hanno restituito non<br />

lascia spazio a dubbi: oltre che per <strong>il</strong> Popolo<br />

della Libertà e per S<strong>il</strong>vio Berlusconi, gli italiani<br />

hanno scelto per la semplificazione del sistema<br />

politico, hanno optato chiaramente per un bipartitismo<br />

tendenziale che veda in campo due<br />

forze - una di centrodestra, l’altra di centrosinistra<br />

- pronte a contendersi l’elettorato di centro,<br />

quello meno pregiudizialmente schierato che di<br />

volta in volta esprime la sua preferenza sulla<br />

base della validità dei programmi e della credib<strong>il</strong>ità<br />

delle leadership.<br />

Ora si tratta di adeguare l’architettura istituzionale<br />

all’assetto che gli elettori hanno decretato<br />

nelle urne. È <strong>il</strong> momento della grande occasione.<br />

C’è da condurre in porto la riforma dello<br />

Stato, cosa che non si è riusciti a fare nel secondo<br />

tempo della Repubblica, dal 1994 ad oggi.<br />

C’è da oliare, attraverso la modifica dei regolamenti<br />

parlamentari, gli ingranaggi di una<br />

democrazia davvero decidente, nella quale <strong>il</strong><br />

governo sia messo nelle condizioni di portare a<br />

compimento <strong>il</strong> programma con <strong>il</strong> quale si è presentato<br />

agli elettori, e l’opposizione possa costruire<br />

proposte alternative mediante le quali<br />

candidarsi alla successione. C’è da regolamentare<br />

per legge alcuni aspetti della vita interna<br />

di nuovi partiti a vocazione maggioritaria<br />

che devono pretendere garanzie ed essere in<br />

grado di fornirne. Infine, e contemporaneamente,<br />

nell’ambito della riforma delle istituzioni<br />

bisogna finire di scrivere quelle tre pagine che<br />

<strong>il</strong> Costituente nel 1947 lasciò incompiute: forma<br />

di Stato, forma di governo, bicameralismo.<br />

Cambiamento di sistema o «parentesi»?<br />

Altra questione che non può restare inevasa è<br />

quella che riguarda la legge elettorale per le<br />

europee. È vero, infatti, che le elezioni per <strong>il</strong><br />

Parlamento di Strasburgo non determinano<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

19<br />

conseguenze che incidono sulla governab<strong>il</strong>ità<br />

come avviene per le consultazioni nazionali, e<br />

di questo si deve temer conto. Non a caso,<br />

d’altro canto, una direttiva europea impone l’adozione<br />

della rappresentanza proporzionale,<br />

lasciando che siano i singoli Paesi a determinare<br />

in sede nazionale quanto correggerla attraverso<br />

la fissazione di soglie di sbarramento.<br />

Ma è altrettanto vero, però, che le europee seguiranno<br />

di un solo anno le elezioni interne che<br />

così radicalmente hanno rivoluzionato <strong>il</strong> quadro<br />

politico del nostro Paese. L’Italia si trova ad un<br />

bivio di portata storica: si può consolidare e istituzionalizzare<br />

l’assetto tendenzialmente bipartitico,<br />

lasciandosi definitvamente alle spalle la<br />

stagione delle coalizioni di partiti per approda-<br />

re all’era dei partiti-coalizione; oppure si può<br />

determinare un regresso che chiuda in una parentesi<br />

quanto accaduto <strong>il</strong> 13 e 14 apr<strong>il</strong>e e che<br />

consenta a quella nefasta frammentazione che<br />

così clamorosamente gli italiani hanno cacciato<br />

dalla porta di rientrare dalla finestra.<br />

Fino ad oggi la questione si è presentata come<br />

una contrattazione da mercato: quanto alto dovrà<br />

essere lo sbarramento per accedere alla ripartizione<br />

dei seggi a Strasburgo? Il 2, <strong>il</strong> 3 o <strong>il</strong> 5<br />

per cento? Così posto <strong>il</strong> problema sembra quello<br />

di determinare se e di quanto si debbano avvantaggiare<br />

i grandi a spese dei «nanetti». E invece<br />

la faccenda, come abbiamo appena osservato,<br />

è più complessa. Se prevarrà la tentazione<br />

di ingranare la marcia indietro, si farà ritorno<br />

agli antichi particolarismi e si tornerà a sostenere<br />

che, per qualche misteriosa ragione an


tropologica, <strong>il</strong> bipartitismo tendenziale non si<br />

addice all’Italia.<br />

Il problema si pone innanzitutto a sinistra, dove<br />

nel Partito Democratico c’è chi, in modo addirittura<br />

sfacciato, sta attendendo Veltroni al guado.<br />

Per questo, ad esempio, D’Alema si sta interessando<br />

tanto a ciò che accade in casa di<br />

Rifondazione. Dopo la sconfitta di Roma, se alle<br />

europee <strong>il</strong> Pd non riuscisse a riproporre <strong>il</strong> potenziale<br />

d’aggregazione elettorale che ha saputo<br />

sv<strong>il</strong>uppare in occasione delle elezioni politiche,<br />

Veltroni verrebbe assai probab<strong>il</strong>mente<br />

esautorato e assieme a lui, anche <strong>il</strong> tentativo di<br />

fare del Pd un partito a vocazione maggioritaria,<br />

all’interno di un sistema tendenzialmente<br />

bipolare e centripeto.<br />

Se questa è la posta in gioco, non si comprende<br />

bene per quale ragione <strong>il</strong> rispetto delle peculiarità<br />

istituzionali dovrebbe automaticamente<br />

tradursi nel concedere a forze da prefisso telefonico<br />

la possib<strong>il</strong>ità di accedere alla rappresentanza,<br />

vanificando in tal modo l’occasione<br />

che abbiamo di fronte.<br />

Una transizione, in fondo, post-comunista<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Si pone, in questo stesso solco, <strong>il</strong> problema di<br />

quale rapporto sv<strong>il</strong>uppare con <strong>il</strong> principale partito<br />

dell’opposizione nell’ambito di una legislatura<br />

che si vorrebbe costruttiva e, soprattutto,<br />

«costituente». All’indomani della vittoria capitolina,<br />

infatti, quando è stato chiaro che <strong>il</strong> PdL<br />

non aveva vinto ma stravinto, di fronte allo<br />

schieramento maggioritario nel Paese si è<br />

aperto un bivio: sfruttare fino in fondo la vittoria<br />

conseguita, per dotarsi attraverso nomine e or-<br />

20<br />

politica<br />

ganigrammi di tutta la forza funzionale ad un’azione<br />

di governo tanto incisiva da configurarsi<br />

come un’autentica rivoluzione; oppure affrontare<br />

i cinque anni di lavoro che ci aspettano con<br />

l’intento di cambiare davvero <strong>il</strong> volto dell’Italia,<br />

ponendo mano ad una efficace riforma dello<br />

Stato, ma anche - e soprattutto - instaurando<br />

nel Paese un clima differente.<br />

In quest’ottica, è bene non dimenticare che le<br />

transizioni post-comuniste riuscite sono quelle<br />

nelle quali si è stati in grado di coinvolgere<br />

nella nuova stagione anche una parte delle<br />

vecchie classi dirigenti. Ciò non vuol dire cedere<br />

all’inciucio, e tanto meno avere tentennamenti<br />

o sudditanze psicologiche nello scoperchiare<br />

gli ultimi sepolcri imbiancati del<br />

vecchio regime. Significa, piuttosto, che accanto<br />

a un’azione di rottura è necessario al<br />

contempo svolgerne un’altra di tessitura e di<br />

tenuta nell’interesse del Paese. E, dunque,<br />

saper coinvolgere, sulla base del merito e<br />

della competenza, anche energie che non<br />

appartengono alla propria parte. Bisogna che<br />

si prenda atto insomma, che in Italia la classe<br />

dirigente è un bene scarso e che se si riuscirà<br />

a fissare un quadro di principi condivisi<br />

sono possib<strong>il</strong>i collaborazioni leali, senza<br />

concedere nulla all’opportunismo e tanto meno<br />

al trasformismo.<br />

Allo stesso modo, è necessario che <strong>il</strong> centrodestra<br />

rivendichi come proprie vittorie le svolte<br />

culturali che <strong>il</strong> Pd ha maturato nel suo ultimo<br />

programma elettorale (si pensi alle prese di posizione<br />

su fisco e pubblica amministrazione), e<br />

sfidi l’opposizione a tener fede alle promesse,<br />

votando insieme alla maggioranza laddove<br />

questo sia consentito dai rispettivi programmi.<br />

Infine, e solo infine, verranno le riforme istituzionali<br />

condivise. Se questo percorso troverà<br />

compimento, esse deriveranno come conseguenza<br />

obbligata. È questa la vera scommessa.<br />

Se la si vincerà, anche l’Italia potrà essere<br />

annoverata tra le transizioni riuscite, assieme a<br />

quelle altre transizioni post-comuniste che s’inaugurarono<br />

in date non distanti da quel fatidico<br />

1994 e che proprio in questi anni stanno ultimando<br />

<strong>il</strong> loro corso.


TOGLIATTI IL KOMINTERN<br />

E IL GATTO SELVATICO<br />

di Massimo Caprara<br />

Pagine: 224<br />

Prezzo: euro 15,50<br />

Collana: Documenti Bietti Storia<br />

Questa è la storia, o meglio una parte della storia di<br />

Palmiro Togliatti – di per sé tanto straordinaria quanto<br />

poco conosciuta – che fu uno dei più prestigiosi<br />

capi del Komintern, ovvero l’organizzazione mondiale<br />

comunista che aveva la sua sede deliberante a<br />

Mosca e che inflluenzò fino all’inizio degli anni Quaranta<br />

tutta l’attività politica dei partiti comunisti del<br />

mondo. Unico fra i capi comunisti, Togliatti, valutò<br />

concretamente <strong>il</strong> peso politico della Chiesa e dei<br />

movimenti che alla sua dottrina facevano riferimento<br />

nella sfida, allora in atto, per la conquista delle coscienze.<br />

Sullo sfondo di questo incredib<strong>il</strong>e racconto,<br />

come fosse un grande affresco ma con l’evidenza<br />

della tragedia, emerge la persecuzione degli antifascisti<br />

italiani che avevano raggiunto l’Unione Sovietica<br />

e subìto le efferatezze del regime staliniano.<br />

IL VERO RAPPORTO<br />

TRA IL CAPO DEI COMUNISTI E I CATTOLICI<br />

Massimo Caprara importante saggista e scrittore<br />

politico, dal 1944 è stato per circa vent’anni segretario<br />

di Palmiro Togliatti. Ha vissuto dall’interno gli<br />

avvenimenti fondamentali della storia del PCI dagli<br />

anni del dopoguerra fino alla sua partecipazione alla<br />

fondazione del Manifesto. Deputato per quattro legislature<br />

dal 1953.<br />

BIETTI<br />

dal 1870<br />

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politica<br />

Sopravvissuta alla fine della Prima Repubblica,<br />

la Sinistra declina e in parte sparisce con l’avvio<br />

della Terza. Inspiegab<strong>il</strong>e sia l’uno sia l’altro<br />

scenario. In astratto si sarebbe dovuto immaginare<br />

che tutta quella sinistra che traeva origine<br />

dal comunismo non sarebbe dovuta sopravvivere<br />

alla caduta del Muro di Berlino. In astratto<br />

era legittimo pensare che la definitiva trasformazione<br />

degli ultimi nipoti del comunismo in<br />

Sinistra Arcobaleno e dei figli di Berlinguer in<br />

Democrats avrebbe dovuto garantire <strong>il</strong> successo<br />

pieno in questo 2008. È andata diversamente.<br />

Sulle ragioni del corso positivo per la sinistra<br />

di opposizione dopo la fine della Prima<br />

Repubblica, molto si è scritto. È diffic<strong>il</strong>e discostarsi<br />

dall’interpretazione che vede nei successi<br />

parziali della sinistra in questo quindicennio<br />

l’influenza di un doppio vantaggio. Da un lato la<br />

rendita di posizione successiva alla stagione di<br />

Mani Pulite, dall’altro la straordinaria capacità<br />

di manovra politica di alcuni esponenti della sinistra,<br />

in particolare di Massimo D’Alema, che<br />

staccando la Lega dall’ancora inesperto Berlusconi<br />

scompaginò a metà percorso un fronte<br />

che negli anni successivi si rivelerà vincente.<br />

Fu una dote da Prima Repubblica - la forza degli<br />

apparati giudiziari e la manovra politica - a<br />

decretare l’incertezza attorno al vincitore politico<br />

dei primi anni Duem<strong>il</strong>a.<br />

Qualche spiegazione si può trovare anche per<br />

cercare di capire <strong>il</strong> secondo risultato analizzato,<br />

cioè perchè quella sinistra di cui abbiamo<br />

scritto non regge l’alba della Terza Repubblica.<br />

Prima di formulare qualche ipotesi e di delineare<br />

gli scenari che si aprono, cerchiamo di<br />

valutare <strong>il</strong> peso politico del risultato elettorale.<br />

La vittoria del Popolo delle Libertà e di Berlu-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Le incognite<br />

del nuovo ciclo politico<br />

di Peppino Caldarola<br />

23<br />

sconi è stata, a giudizio unanime, schiacciante.<br />

A renderla imponente non ci sono solo i numeri<br />

elettorali, i seggi parlamentari ma soprattutto<br />

<strong>il</strong> carattere nazionale del risultato combinato<br />

con l’egemonia indiscussa in zone fondamentali<br />

del Nord. È stata al tempo stesso una vittoria<br />

politico-elettorale ma anche (è <strong>il</strong> caso di<br />

usare gli avversativi veltroniani) politico-culturale.<br />

La maggioranza degli italiani si è identificata<br />

con <strong>il</strong> progetto di Berlusconi, ha creduto alla<br />

sua leadership, ha fiducia che saprà dare una<br />

svolta alla situazione italiana. È la prima smentita<br />

robusta alla profezia di Montanelli alla quale<br />

ci eravamo abbarbicati noi avversari di Berlusconi<br />

di matrice non giustizialista. Al Montanelli<br />

che scriveva, grosso modo, che bisognava<br />

far governare Berlusconi perché gli italiani<br />

se ne distaccassero, è accaduto di essere contraddetto<br />

dalla realtà post-mortem.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Il successo dello «schieramento avverso» a<br />

Veltroni non è l’unico dato politico negativo per<br />

la Sinistra. La sconfitta si accompagna ad altri<br />

dati. Il primo è la scomparsa dal Parlamento<br />

della Repubblica di tutte, proprio tutte, le famiglie<br />

radical, sia quelle nostalgiche del comunismo<br />

(d<strong>il</strong>ibertiani), sia quelle in via di allontanamento<br />

(bertinottiani), sia i movimentisti di Mussi,<br />

sia i Verdi-antagonisti di Pecoraro Scanio e<br />

Paolo Cento. Fra cinque anni ci sarà una verifica,<br />

ma cinque anni sono politicamente un’eternità<br />

e alcune di queste esperienze sono destinate<br />

a morire definitivamente.<br />

Il Pd presidia pressoché da solo l’intera area<br />

della sinistra con una aggregazione non ancora<br />

consolidata, una leadership messa in discussione,<br />

una cultura politica indefinib<strong>il</strong>e e indefinita.<br />

Il partito che ha sulle spalle l’opposizione<br />

a Berlusconi deve rivelarsi la più concreta<br />

formazione riformista in grado di sottrarre<br />

consenso al leader vincitore mostrando una<br />

maggiore capacità programmatica, ma al tempo<br />

stesso deve aver la forza di rappresentare <strong>il</strong><br />

magnete identitario di tutto ciò che si muove e<br />

sopravvive nell’area del centro-sinistra. È un’opera<br />

titanica che richiede leadership forti numericamente<br />

ma soprattutto culturalmente e<br />

un rapporto di massa non effimero.<br />

Accanto al Pd c’è, per scelta del Pd veltroniano,<br />

un solo partito, l’Italia dei Valori di Di Pietro<br />

La Grande Sinistra è tutta<br />

dentro la speranza che <strong>il</strong><br />

progetto Democrat si<br />

consolidi, attragga forze<br />

dalla propria sinistra e non<br />

si faccia culturalmente<br />

insidiare dal populismo del<br />

partito-azienda di Di<br />

Pietro-Travaglio-Gr<strong>il</strong>lo.<br />

24<br />

politica<br />

che rappresenta una singolare formazione destra-sinistra<br />

impastata di giustizialismo e di populismo<br />

demagogico. Sarà questo partito a rosicchiare<br />

consensi al Pd e a contenderne la<br />

leadership dell’opposizione, più fuori dal Parlamento<br />

che nel Parlamento. La Grande Sinistra<br />

è tutta qui. È tutta dentro la speranza che <strong>il</strong> progetto<br />

Democrat si consolidi, attragga forze dalla<br />

propria sinistra e non si faccia culturalmente<br />

insidiare dal populismo del partito-azienda di<br />

Di Pietro-Travaglio-Gr<strong>il</strong>lo.<br />

Era inevitab<strong>il</strong>e questo destino della sinistra? Intendiamoci,<br />

alcuni ritengono che questo scenario<br />

non sia per nulla negativo. C’è una singolare<br />

interpretazione del risultato elettorale -<br />

espressa dal segretario Veltroni e dal suo staff<br />

- secondo cui le elezioni hanno dato la vittoria<br />

al Cavaliere ma hanno anche segnalato l’esistenza<br />

di una forza riformista del 34% in grado<br />

di reggere la sfida. Questa interpretazione si<br />

fonda su un’altra tesi (molto dalemiana) secondo<br />

la quale l’Italia è un paese di destra, lo è<br />

sempre stato, lo è stato soprattutto nel quindicennio<br />

berlusconiano per cui <strong>il</strong> voto di apr<strong>il</strong>e<br />

2008 è servito solo a rendere manifesto ciò che<br />

la vittoria del ‘96 e quella, ora proclamata finta,<br />

del 2006 avevano occultato. Anche con queste<br />

tesi non si risponde al quesito di fondo: perché<br />

ha vinto Berlusconi? Ovvero, detto calcisticamente,<br />

perché su cinque partite Berlusconi ne<br />

vince tre, ne pareggia una e perde solo la seconda<br />

grazie al mettersi fuori gioco della Lega?<br />

Lavoriamo su due questioni. La prima riguarda<br />

<strong>il</strong> leader, la seconda investe la realtà su cui<br />

interviene. Non sarebbero separab<strong>il</strong>i, ma per<br />

analizzare meglio <strong>il</strong> fenomeno è bene separarli.<br />

Berlusconi è indubbiamente, dopo De Gasperi<br />

e Togliatti, dopo Moro e Berlinguer, la più forte<br />

personalità politica repubblicana. Per tanti<br />

aspetti assomiglia più a primi due che alla seconda<br />

coppia perché <strong>il</strong> quadro su cui interviene<br />

è di rifondazione della politica e non di gestione<br />

di una sua fase finale. Berlusconi intuisce<br />

che la fine della Prima Repubblica libera<br />

forze enormi addensate nei grandi partiti di governo,<br />

che queste forze non sono elettorato


politica<br />

brado ma sedimento di culture, passioni e paure.<br />

Berlusconi coglie, anche perché come imprenditore<br />

ha contribuito a determinare l’evento,<br />

una mutazione della soggettività pubblica<br />

ormai definitivamente rivolta verso <strong>il</strong> modello<br />

occidentale tout court che verso quelle formulazioni<br />

ambigue presenti nella cultura della Dc<br />

e ovviamente del Pci (assai meno nel nuovismo<br />

craxiano). Berlusconi capisce che la formula<br />

partitica che può avere successo deve<br />

essere al tempo stesso giacobina (cento uomini<br />

di ferro) ma anche la più fluida possib<strong>il</strong>e.<br />

I suoi avversari hanno favorito questa ascesa<br />

con le teorie del partito di plastica e del partitotv<br />

che non hanno colto <strong>il</strong> massiccio spostamento<br />

di popolo. Berlusconi ha modificato la<br />

concezione del governare come servizio e<br />

quindi come sacrificio con quella del piacere di<br />

governare, costruendo l’immagine, molto occidentale,<br />

del leader non separato dalla gente,<br />

che vive come la gente, anzi talmente meglio<br />

della gente da farsi obiettivo dei loro sogni. I difetti<br />

di Berlusconi hanno riempito librerie e non<br />

li riassumo. Ormai molti racconti sui limiti di<br />

Berlusconi fanno sorridere e molti autori hanno<br />

cambiato idea. Il dramma della sinistra, dal<br />

punto di vista della cultura politica, è questo<br />

osc<strong>il</strong>lare fra la sottovalutazione dell’avversario<br />

o la sua mostrificazione. O pagliaccio o fascista.<br />

Si è perso <strong>il</strong> gusto intellettuale dell’analisi<br />

approfondita e questo spiega molti insuccessi<br />

e soprattutto l’incomprensione verso lo spostamento<br />

di consensi, stab<strong>il</strong>izzato nel quindicen-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

25<br />

nio e in crescita ulteriore, verso <strong>il</strong> Cavaliere e la<br />

sua proposta politica.<br />

Ho sottolineato le caratteristiche positive che<br />

sono all’origine del successo perché le vittorie<br />

hanno spiegazioni e tante vittorie sono la costruzione<br />

di un progetto non <strong>il</strong> frutto di un caso.<br />

La leadership berlusconiana si afferma in un<br />

paese che è pronto a riceverla. L’Italia che accoglie<br />

e celebra Berlusconi come leader è l’Italia<br />

robusta e al tempo stesso malandata uscita<br />

dalla crisi della Prima Repubblica. Il dato psicologico<br />

più r<strong>il</strong>evante lo aveva colto negli anni<br />

precedenti solo Bettino Craxi quando, scontrandosi<br />

con <strong>il</strong> pessimismo berlingueriano e<br />

quello moroteo, colse nello spirito pubblico degli<br />

italiani la volontà di scrollarsi di dosso ogni<br />

residuo post-bellico e post-post-bellico.<br />

L’Italia che vede spazzare la propria classe dirigente<br />

da Mani Pulite, che ha sopportato e<br />

sconfitto <strong>il</strong> terrorismo, che ha retto all’assalto<br />

dello stragismo mafioso è un paese complicato<br />

ma che si sente interamente proiettato nella<br />

storia dell’Occidente, ha le stesse ambizioni, i<br />

medesimi difetti, lo stesso stato d’animo di altri<br />

paesi europei e non solo europei. È un paese<br />

ottimista, che in parte si è fatto da sè (al Nord<br />

Est è andata così), che conosce <strong>il</strong> mondo in cui<br />

viaggia o per affari o per piacere, che non sente<br />

più i vincoli culturali del passato se non quelli<br />

etnico-territoriali, che non si fida dello stato e<br />

della politica, che nella politica mette i propri<br />

amici e non delega più, se non in parte, a fiduciari.<br />

È stato poco valutato <strong>il</strong> mutamento anche<br />

sociologico delle rappresentanze con l’ingresso,<br />

quasi esclusivamente nello schieramento di<br />

centro-destra, di tanti esponenti della cosiddetta<br />

società civ<strong>il</strong>e. Mentre nel centro-sinistra infuriava<br />

la battaglia di una «società civ<strong>il</strong>e» rappresentata<br />

fondamentalmente da giornalisti,<br />

conduttori tv, attori e insegnanti, dall’altra parte<br />

avvocati, commercialisti, imprenditori prendevano<br />

posto in parlamento o nei consigli comunali<br />

e regionali al posto di antichi esponenti di<br />

partiti.<br />

Questo mondo non può incontrare la sinistra<br />

che c’è. Non può incontrare la sinistra statalista,<br />

mondialista, politicamente corretta, gestita<br />

da professionisti che cercano solo deleghe. La


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

crisi della sinistra è così diventata drammatica<br />

al Nord, sta cominciando ad affacciarsi al Sud.<br />

Torniamo a Berlusconi. L’incontro fra questo paese<br />

e questo leader non avviene senza mediazioni.<br />

Il principale mediatore è senza dubbio la Lega<br />

di Bossi. La Lega è stata sempre interpretata<br />

come la versione italiana del lepenismo o dei<br />

movimenti xenofobi del Centro-Europa. La Lega<br />

è un’altra cosa. La Lega è la combinazione di<br />

una rivolta territoriale con una rivolta fiscale e anti-statale.<br />

Il suo gruppo dirigente ha inaugurato la<br />

più lunga marcia nelle istituzioni che sia mai stata<br />

concepita in Occidente partendo da un «paesello».<br />

Il fenomeno Lega, essendo un fiume carsico<br />

ormai emerso, porta con sé minerali buoni e<br />

cose non buone, comunque porta consensi<br />

grandi alla leadership berlusconiana.<br />

Sembra un po’ più di rendita la posizione degli<br />

eredi del Msi che si avvalgono della grande capacità<br />

manovriera del loro leader, Fini, e del<br />

lento trasferimento di un popolo emarginato<br />

dentro i fasti della nuova destra. Fini gode di<br />

una rendita di posizione che nasce dall’aver<br />

dato al proprio popolo, grazie a Berlusconi,<br />

l’accesso alla grande politica negato per oltre<br />

mezzo secolo. È un prezzo assai alto che la<br />

destra ha pagato e che la sinistra non ha dovuto<br />

pagare essendo forza costituente del paese.<br />

Questo consegna a Fini una gratitudine del<br />

proprio mondo maggiore dei risultati raggiunti.<br />

L’intuizione fondamentale che lo ha portato a<br />

scelte opposte a quelle di Casini è stata quella<br />

di non permettere mai la separazione del proprio<br />

mondo da quello di Berlusconi. In questo<br />

rapporto ha intuito che si sedimentava la voca-<br />

26<br />

politica<br />

zione di governo e <strong>il</strong> rifuggire da sirene oppositive<br />

che lo avrebbero riconsegnato al passato.<br />

Fini scegliendo <strong>il</strong> governo ha sdoganato la destra<br />

radical e l’ha resa moderata.<br />

Il voto di apr<strong>il</strong>e sancisce la conclusione di tutti<br />

questi processi. Inizia una nuova storia. La domanda<br />

è questa: la nuova storia sarà ancora<br />

nel segno di Berlusconi o segnerà <strong>il</strong> suo declino?<br />

Dico subito che non risponderò al quesito,<br />

mi limiterò ad analizzare ciò che c’è in cantiere<br />

in modo che <strong>il</strong> lettore risolva da sé <strong>il</strong> d<strong>il</strong>emma.<br />

È del tutto evidente che per capire se siamo all’inizio<br />

di un ciclo o all’ apoteosi che precede <strong>il</strong><br />

declino ci manca <strong>il</strong> dato più importante, pressoché<br />

risolutivo. Se Berlusconi, i cui primi passi<br />

di governo sembrano accompagnati dal favore<br />

popolare, riuscirà nell’impresa di dare una<br />

scossa al Paese saremo all’inizio di un ciclo<br />

che proseguirà con Berlusconi e i suoi eredi.<br />

Se Berlusconi non ce la farà (ipotesi infausta<br />

anche per chi non l’ha votato, perché significherebbe<br />

un declino non di una leadership ma<br />

del paese), <strong>il</strong> puzzle italiano si confonderà in<br />

modo ancora più complicato.<br />

Tuttavia i risultati di governo dovranno combinarsi<br />

con altri risultati direttamente prodotti dalla<br />

politica. Il principale è quello che deriva dall’affermarsi<br />

di un sistema politico se non interamente<br />

bipartitico tuttavia forte di due grandi<br />

componenti centrali. L’obiezione è fac<strong>il</strong>e. Anche<br />

nel quindicennio precedente c’erano due componenti<br />

principali, si sono chiamati nel centro-sinistra<br />

Ulivo e Unione e nel centro-destra Polo e<br />

Casa della Libertà. Ora però <strong>il</strong> cambiamento<br />

proposto agli italiani è più forte. Sono stati proposti<br />

agli italiani un Partito Democratico sul versante<br />

sinistro e un partito chiamato Popolo delle<br />

Libertà sull’altro campo. Non due alleanze,<br />

ma due formazioni politiche di massa, con leadership<br />

certe che devono tendere, pur nel pluralismo<br />

interno, a formare una comune pubblica<br />

opinione organizzata sui due lati del sistema politico.<br />

Più sul modello anglo-sassone che su<br />

quello europeo. È <strong>il</strong> contrario di ciò a cui aspiravano<br />

in tanti (compreso chi scrive) ed è la definitiva<br />

sepoltura della componente autonoma del<br />

socialismo che oggi deve portare le sue bandiere<br />

e la sua cultura là dove vede più riformismo.


politica<br />

I risultati di governo<br />

dovranno combinarsi con<br />

altri risultati<br />

direttamente prodotti<br />

dalla politica. Il<br />

principale è quello che<br />

deriva dall’affermarsi di<br />

un sistema politico se non<br />

interamente bipartitico<br />

tuttavia forte di due<br />

grandi componenti<br />

centrali.<br />

La necessità di questa svolta verso <strong>il</strong> consolidarsi<br />

del nuovo sistema politico è dettata anche<br />

dalla necessità di costruire fra le istituzioni<br />

e <strong>il</strong> paese un ponte robusto, non super-dimensionato<br />

come i partiti della Prima Repubblica,<br />

ma capace come quelli di organizzare volontà<br />

politiche, partecipazione e perché no proteste.<br />

Questa è la seconda parte del lavoro ricostruttivo<br />

che si deve avviare dopo <strong>il</strong> voto di apr<strong>il</strong>e. È<br />

probab<strong>il</strong>e che <strong>il</strong> centro-destra sia più in grado di<br />

rispondere positivamente a questa sfida sull’onda<br />

del successo del governo e su un comune<br />

sentire che è più forte da questa parte. Può darsi<br />

che questa ricostruzione politica riesca meglio<br />

al centro-sinistra che così potrebbe candidarsi<br />

a ereditare i risultati del lavoro di Berlusconi.<br />

Al momento è diffic<strong>il</strong>e fare previsioni. Il<br />

centro-destra rischia di non cogliere la specificità<br />

di questo problema facendosi assorbire solo<br />

dall’attività di governo, considerando questa la<br />

vera leva per sollevare <strong>il</strong> mondo (è diffic<strong>il</strong>e dare<br />

torto). Il centro-sinistra può farsi sconquassare<br />

dallo scontro interno e dall’eterno conflitto con<br />

l’ala giustizialista che costituisce <strong>il</strong> vero fronte<br />

interno. Comunque, come era scritto in un classico<br />

libro su cui si sono formate generazioni di<br />

rivoluzionari: Hic Rhodus, hic salta.<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

27<br />

LA REPUBBLICA ARMATA<br />

Nascita, organizzazione e operazioni<br />

delle forze armate della R.S.I.<br />

Autore: Em<strong>il</strong>io Cavaterra<br />

Pagine: 276<br />

Prima Edizione: Inverno 2007-2008<br />

Prezzo: 20 euro<br />

I documenti inediti, custoditi per oltre mezzo secolo<br />

nell'Archivio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito<br />

italiano consentono una nuova e più attendib<strong>il</strong>e<br />

ricostruzione della nascita e dell'organizzazione<br />

delle FF.AA. della Repubblica Sociale. Questo<br />

libro aiuta a collocare, in una prospettiva più<br />

oggettiva, <strong>il</strong> tormentato e controverso periodo della<br />

storia d'Italia dal settembre del 1943 all'apr<strong>il</strong>e del<br />

1945. Un libro per gli appassionati della Storia, in<br />

particolare della seconda guerra mondiale e della<br />

guerra civ<strong>il</strong>e italiana successiva alla nascita della<br />

RSI.<br />

Em<strong>il</strong>io Cavaterra. Giornalista e scrittore. Minorenne,<br />

si è arruolato volontario nei reparti delle Forze<br />

Armate della Repubblica Sociale Italiana. Dopo la<br />

fine della guerra, terminati gli studi, ha intrapreso la<br />

professione di giornalista. E’ stato direttore di<br />

agenzie di stampa, opinionista e inviato speciale,<br />

redattore capo di quotidiani e periodici. Ha collaborato<br />

con la RAI e con Radio Montecarlo. Autore<br />

di oltre 25 libri pubblicati tra gli altri da Mursia, Borla,<br />

Pan e Nistri Lischi e Bietti. Accademico tiberino<br />

ha ricevuto nel 1996 <strong>il</strong> premio cultura della Presidenza<br />

del Consiglio e nel 1999 la Penna d’oro per<br />

<strong>il</strong> settore “scienza”.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Il cataclisma elettorale<br />

di Gianfranco Pol<strong>il</strong>lo<br />

Elezioni 2008. Il cataclisma che hanno determinato<br />

va attentamente analizzato. Si scopriranno<br />

allora i mutamenti che hanno determinato.<br />

E che non riguarderanno solo questa legislatura,<br />

ma avranno effetti duraturi suglie equ<strong>il</strong>ibri<br />

della politica italiana. Cominciamo dai desparacitos:<br />

quegli elettori, cioè, che non hanno<br />

voluto votare. O, che votando, sono stati vittima<br />

della mannaia imposta dalla legge elettorale.<br />

Tra queste due classi esiste una differenza<br />

profonda: nich<strong>il</strong>ismo e protesta estrema da un<br />

lato; grande senso di appartenenza dall’altro.<br />

Piuttosto che votare per un partito diverso,<br />

hanno preferito <strong>il</strong> rischio, come in un campo di<br />

calcio, dell’espulsione che impedisce di giocare<br />

la partita. Le schede nulle, bianche e contestate,<br />

questa volta, sono state superiori, almeno<br />

rispetto al 2006. Quasi 1 m<strong>il</strong>ione e 600 m<strong>il</strong>a<br />

elettori alla Camera e 900 m<strong>il</strong>a al Senato hanno<br />

optato per <strong>il</strong> disimpegno. Nel 2006 erano<br />

stati circa 500 m<strong>il</strong>a in meno.<br />

La falcidia maggiore si avuta, invece, con <strong>il</strong> co-<br />

28<br />

siddetto «voto ut<strong>il</strong>e»: cavallo di battaglia dei<br />

partiti maggiori. La decimazione, alla Camera,<br />

è stata per circa 3 m<strong>il</strong>ioni e mezzo di elettori. Al<br />

Senato circa 4 m<strong>il</strong>ioni ed 800 m<strong>il</strong>a. Conseguenza?<br />

Un Parlamento che rappresenta solo<br />

una parte dell’elettorato: poco più dell’87 per<br />

cento alla Camera ed addirittura l’82 per cento<br />

al Senato.<br />

È un vulnus per la democrazia? Dipende dai<br />

punti di vista. Il presidente degli Stati Uniti, in<br />

genere, è eletto da una percentuale di votanti<br />

ancora più bassa. Le tradizioni europee sono<br />

diverse, ma in Germania <strong>il</strong> taglio delle ali è stata,<br />

da sempre, una costante. Avallata da norme<br />

di carattere costituzionale che impedivano la<br />

presentazione di liste comuniste o neo-naziste.<br />

Sotto questo prof<strong>il</strong>o, quindi, l’Italia è divenuta<br />

un po’ più occidentale. Anche se i problemi non<br />

mancheranno.<br />

Il passaggio da un sistema iper proporzionale,<br />

come quello che è alle nostre spalle, in uno in<br />

cui la rappresentanza si concentra nelle mani<br />

Fig.1 - Camera voti complessivi Fig. 2 - Senato risultati complessivi<br />

politica


politica<br />

di solo 6 formazioni politiche è stato brusco. Ne<br />

hanno fatto le spese le «estreme», ma anche i<br />

moderati. La sinistra arcobaleno è uscita di<br />

scena, la destra di Storace non c’è mai entrata.<br />

Un m<strong>il</strong>ione e mezzo di voti persi, alla Camera<br />

da un lato; un m<strong>il</strong>ione dall’altro. Bertinotti<br />

come Vecchietti, <strong>il</strong> vecchio leader del PSIUP<br />

che, nella prima repubblica, lasciò sul tavolo<br />

verde della politica più o meno altrettanto, d<strong>il</strong>apidando<br />

un patrimonio. Allora ll convento si<br />

chiuse, ma i frati emigrarono nel PCI. Chissà<br />

se succederà anche questa volta la stessa cosa?<br />

Anche i socialisti ed i liberali escono di scena.<br />

Boselli, <strong>il</strong> tattico che in tutti questi anni era<br />

riuscito a navigare tra Prodi e Fassino, contro<br />

Veltroni non ce l’ha fatta. Dovrà chiudere la cooperativa,<br />

come dicono ancora oggi i suoi detrattori.<br />

Discorso diverso per i liberali. Da anni lontani<br />

dalla politica, vi erano rientrati con un piccolo<br />

stratagemma ed uno strascico di polemiche.<br />

Oltre 100 m<strong>il</strong>a voti, che potevano essere diversamente<br />

ut<strong>il</strong>izzati, sono andati al macero. Con<br />

la loro ostinazione, nel volersi presentare a tutti<br />

i costi, non contavano prima e contano ancor<br />

meno adesso. È <strong>il</strong> dramma delle grandi tradizioni<br />

culturali. Sono troppo forti ed estese per<br />

essere compresse in piccole formazioni politiche.<br />

Quando questo avviene, <strong>il</strong> corto circuito<br />

diventa inevitab<strong>il</strong>e.<br />

Nel dibattito sul dopo voto gli accenti più preoccupanti<br />

sono posti, comunque, sulla scomparsa<br />

della sinistra - sinistra. Dai 140 parlamentari<br />

e passa che avevano nella precedente legislatura,<br />

si passa a zero. Come è stato possib<strong>il</strong>e?<br />

Per sdrammatizzare si deve dire che quei<br />

magnifici 140 erano stati soprattutto <strong>il</strong> frutto di<br />

una grande ab<strong>il</strong>ità negoziatrice. Bertinotti, da<br />

esperto sindacalista qual era, aveva ottenuto<br />

più del dovuto. Pochi, allora, erano stati in grado<br />

di valutare l’esatta consistenza di quella<br />

compagine ed i seggi erano piovuti in forma alluvionale.<br />

C’era poi <strong>il</strong> vecchio pregiudizio: pas<br />

d’ennemi a gauche. Romano Prodi aveva coltivato<br />

con amore questa pianticella, nella speranza<br />

di rompere l’assedio del Ds.<br />

Vi era, infine, <strong>il</strong> peso di una tradizione. La fun-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

29<br />

zione storica del PCI era stata la costituzionalizzazione<br />

del dissenso. Se non vi fosse stata,<br />

le conseguenze della guerra fredda, come avvenne<br />

in altri paesi occidentali, sarebbero state<br />

disastrose. Fu <strong>il</strong> realismo di Togliatti a prevalere.<br />

La sua doppiezza consentì a quella forza<br />

di vivere e di sv<strong>il</strong>upparsi: tra suggestioni rivoluzionarie<br />

ed accordi sotterranei, per non<br />

disfare la sott<strong>il</strong>e tela della civ<strong>il</strong>e convivenza.<br />

Non senza strappi e contraddizioni, naturalmente.<br />

Ora quel disegno non ha più lo stesso<br />

valore. Veltroni guarda ad una democrazia<br />

compiuta, dove lo scontro politico si manifesta<br />

e si risolve nella conquista del centro dello<br />

schieramento politico. Il taglio delle ali è funzionale<br />

a questo disegno. Anche se non sarà<br />

fac<strong>il</strong>e per lui mantenere ferma la barra del timone.<br />

Bisogna dire che le diverse componenti questo<br />

mondo variegato non hanno compreso, in<br />

tempo, i rischi cui si esponevano. Se fossero<br />

rimasti uniti, invece di dividersi tra arcobaleni,<br />

comunisti duri e puri e sinistra critica,<br />

avrebbero raggiunto la soglia del 4 per cento.<br />

Oggi siederebbero in Parlamento in grado di<br />

esercitare quella funzione residua che era nel<br />

DNA del grande PCI. Venuta meno quella<br />

prospettiva, <strong>il</strong> quadro si complica. Rischio effettivo<br />

non solo per la dimensione degli<br />

esclusi, ma la loro forza organizzativa ed i<br />

punti di contatti con le frange del movimento<br />

sindacale, che a questa comune cultura ancora<br />

fanno riferimento.<br />

Ma è un problema politico o di semplice ordine<br />

pubblico? L’uno e l’altro. Del primo dovrà far<br />

carico soprattutto <strong>il</strong> Pd, se vorrà mantenere<br />

una vocazione maggioritaria. Il secondo andrà<br />

affrontato in modo bipartisan. Discussione<br />

quanta se ne vuole, ma rigurgiti da G8 a Genova<br />

nemmeno a parlarne. Del resto la debolezza<br />

del gruppo è soprattutto politica. Spetta<br />

loro un aggiornamento culturale, ancor prima<br />

che programmatico, che eventuali episodi di<br />

violenza potrebbero solo ritardare. Per questo<br />

occorre presidiare <strong>il</strong> terreno e scongiurare dolorose<br />

fughe in avanti.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Per <strong>il</strong> resto, invece, i risultati elettorali disegnano<br />

un prof<strong>il</strong>o che non trova rispondenza<br />

nel passato. Si è parlato a lungo di un bipolarismo<br />

che tende al bipartitismo. La tesi è forse<br />

prematura. Dove sono i partiti che dovrebbero<br />

dare sostanza a questa ipotesi? Il confronto<br />

internazionale mostra pienamente una<br />

vistosa anomalia. Negli USA <strong>il</strong> presidenzialismo<br />

assegna ai due partiti funzioni diverse.<br />

La centralizzazione del comando è compatib<strong>il</strong>e<br />

con <strong>il</strong> localismo dei singoli rappresentanti<br />

politici. Lo scambio continuo è tra <strong>il</strong> consenso<br />

alle grandi scelte nazionali, specie in politica<br />

estera, e i benefit di volta in volta accordati ai<br />

diversi territori. In Ingh<strong>il</strong>terra i partiti somigliano<br />

a formazioni m<strong>il</strong>itari. Il deputato risponde al<br />

leader, che ha poteri di vita e di morte. Se<br />

sbaglia è immediatamente liquidato. In Ger-<br />

Fig. 3 - Camera: voto ai partiti<br />

30<br />

mania, invece, la tradizione è quella classica.<br />

Forti organizzazioni politiche che esprimo interessi,<br />

ma anche culture da tempo sedimentate.<br />

La Francia è più sim<strong>il</strong>e all’Italia. Ma <strong>il</strong> suo<br />

semi-presidenzialismo consente un accumulo<br />

di potere che non ha eguali nel sistema politico<br />

italiano.<br />

Nel nostro paese esistono delle formazioni politiche,<br />

più che dei partiti. Entrambe le coalizioni<br />

hanno avviato un faticoso processo di rifondazione.<br />

Ne potremmo vedere gli esiti, solo tra<br />

qualche tempo. Esistono inoltre differenze relative<br />

che i risultati elettorali hanno messo bene<br />

in evidenza. A voler essere sintetici, <strong>il</strong> panorama<br />

è frastagliato: due piccoli partiti a vocazione<br />

nazionale, due formazioni decisamente regionali,<br />

un prof<strong>il</strong>o più incerto per le due forze<br />

maggiori: PdL e Pd.<br />

L’Italia dei valori, benché abbia raccolto suffragi<br />

limitati, è distribuita su tutto <strong>il</strong> territorio nazionale.<br />

Alla Camera si va da un minimo del<br />

4,6 per cento, al centro; ad un massimo del<br />

5,1 per cento nelle regioni meridionali. Per <strong>il</strong><br />

Senato è più o meno la stessa cosa. Il centro<br />

pesa di più, ma solo perché nel Molise è scattato<br />

un voto plebiscitario (26,9 per cento) per <strong>il</strong><br />

compaesano Di Pietro. A questa distribuzione<br />

geografica equ<strong>il</strong>ibrata non corrisponde, tuttavia,<br />

una cultura politica uniforme. Nel partito<br />

sono confluiti personaggi diversi: uniti solo dal<br />

sacro furore giustizialista. Vedremo se tutto<br />

Fig. 4 - Senato: voti per macro aree Fig. 5 - Camera: Pd PdL elezioni 2008<br />

politica


politica<br />

questo sarà sufficiente a costruire qualcosa di<br />

più duraturo.<br />

L’Udc di Casini è anch’essa distribuita in modo<br />

uniforme, con una prevalenza nel mezzogiorno.<br />

Alla Camera lo scarto è tra <strong>il</strong> 5 e l’8,1<br />

per cento. Al Senato, invece, la legge elettorale<br />

l’ha fortemente penalizzata. Il quorum è<br />

stato conquistato solo in Sic<strong>il</strong>ia. Nelle altre regioni<br />

i voti (più di 1 m<strong>il</strong>ione e 600 m<strong>il</strong>a) sono<br />

andati dispersi. Resta <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> partito ha<br />

una sua configurazione. Molto dipenderà,<br />

quindi, dalle sue scelte future e da quelle dei<br />

principali partiti. Se la tendenza al bipolarismo<br />

si consoliderà, <strong>il</strong> partito dovrà scegliere dove<br />

collocarsi. E non v’è dubbio che la scelta più<br />

probab<strong>il</strong>e non potrà che essere lo schieramento<br />

di centro destra. Su questo versante<br />

possono sussistere divergenze di carattere<br />

politico. Ma sul fronte avverso, le contraddizioni<br />

sono di natura culturali: uno steccato<br />

ben più diffic<strong>il</strong>e da superare.<br />

Due partiti regionali danno, invece, voce ai territori:<br />

la Lega Nord da un lato MPA dall’altro. Le<br />

formazioni sono simmetriche, ma <strong>il</strong> peso relativo<br />

non è commensurab<strong>il</strong>e. Sia alla Camera<br />

che al Senato, la Lega è 10 volte tanto, in termini<br />

percentuali. Conseguenza inevitab<strong>il</strong>e di<br />

una diversa storia politica. Umberto Bossi è da<br />

oltre venti anni sulla scena parlamentare. Raffaele<br />

Lombardo solo da pochi mesi. Il primo,<br />

inoltre, vuole rappresentare <strong>il</strong> Nord d<strong>il</strong>atandone<br />

i confini fino all’Em<strong>il</strong>ia. Il secondo è ancora<br />

troppo sic<strong>il</strong>iano. Vedremo se la sua proiezione<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

31<br />

meridionale rimarrà solo un tentativo o sarà<br />

capace di innescare un fenomeno imitativo.<br />

Il cuore dello schieramento politico è rappresentato<br />

ovviamente dal PdL e dal Pd. Partiti<br />

nazionali o formazioni regionali? La risposta è<br />

meno ovvia di quanto, a prima vista, possa<br />

apparire.<br />

Alla Camera, <strong>il</strong> PdL ha conquistato <strong>il</strong> 35,5 per<br />

cento dei consensi al Nord, ma nel Sud questa<br />

percentuale arriva al 50,4 per cento. Con una<br />

differenza di quasi 15 punti. Al Senato, si hanno,<br />

più o meno le stesse proporzioni: 33,2 per<br />

cento, contro <strong>il</strong> 43,9 ed una differenza di oltre<br />

10 punti. La forza del partito, che ha consentito<br />

a S<strong>il</strong>vio Berlusconi di vincere le elezioni, è<br />

quindi nel Sud. La Lega fornisce, naturalmente,<br />

un valore aggiunto. Grazie ad essa <strong>il</strong> peso<br />

dell’intera coalizione al Nord raggiunge <strong>il</strong> 56,5<br />

per cento alla Camera ed <strong>il</strong> 48,5 per cento al<br />

Senato. Ma le differenze con <strong>il</strong> sud non superano<br />

i 2 punti percentuali. Bastano per caratterizzare<br />

- come teme <strong>il</strong> Pd - la coalizione in senso<br />

nordista?<br />

Strutturalmente, <strong>il</strong> Pd è speculare al PdL, con<br />

una più forte accentuazione ragionalista: sostanzialmente<br />

un partito dell’Italia centrale, che<br />

si proietta nella restante parte del territorio nazionale.<br />

Al senato sono, infatti, 6 i punti di differenza,<br />

in termini di voto, tra <strong>il</strong> centro, nord e<br />

sud. Che arrivano a 16 se si considerano i risultati<br />

della Camera. La forza elettorale del Pd<br />

è essenzialmente concentrata in 4 regioni:<br />

Fig. 6- Senato: % voti coalizioni Fig. 7 - Camera: Pd elezioni 2008


Em<strong>il</strong>ia - Romagna, Toscana, Umbria e Marche.<br />

Dove è <strong>il</strong> primo partito, con una percentuale di<br />

voti che supera di oltre 10 punti le medie nazionali.<br />

Supera <strong>il</strong> PdL solo nel Piemonte 1,<br />

mentre in Liguria le differenze sono minime<br />

(meno di 1 punto percentuale). Per <strong>il</strong> resto del<br />

territorio le differenze con <strong>il</strong> PdL sono schiaccianti.<br />

Stesse conclusioni, se si esamina <strong>il</strong> peso relativo<br />

delle due principali coalizioni. Walter Veltroni<br />

è stato votato, alla Camera dal 53,5 per<br />

cento degli elettori, nell’Italia centrale; ma solo<br />

dal 37 - 38 per cento dal resto del Paese. Il voto<br />

del Senato replica questo prof<strong>il</strong>o, anche se<br />

le differenze (circa 10 punti) sono meno marcate.<br />

S<strong>il</strong>vio Berlusconi è invece più forte al<br />

Nord ed al Sud. Per la Camera le differenze sono:<br />

15 punti a favore Nord e 13 a favore del<br />

Sud. Per <strong>il</strong> Senato queste differenze si riducono<br />

a 9 e 7 punti, rispettivamente, a favore del<br />

Nord e del Sud. L’immagine che risulta da questi<br />

dati è quindi quella di un partito - quello democratico<br />

- sostanzialmente accerchiato che fa<br />

fatica a rimanere un partito nazionale. Il PdL,<br />

invece, è più diffuso territorialmente, con un<br />

punto di forza nel mezzogiorno e la copertura,<br />

nel Nord, assicurata dalla Lega.<br />

Che conseguenze trarre da questa nuova geografia?<br />

Innanzitutto, la dimostrazione che esistono<br />

tre Italie. Il Nord che vota massicciamente<br />

per sé stesso. Il centro che si arrocca nelle<br />

sue antiche tradizioni politiche. Il Sud che è al-<br />

Fig. 8 - Camera: Lega Nord PdL elezioni 2008<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à politica<br />

32<br />

la ricerca di una vocazione. Nelle passate elezioni<br />

votò per la sinistra. Oggi, deluso, ha cambiato<br />

bandiera dando a S<strong>il</strong>vio Berlusconi la palma<br />

della vittoria. Si tratta solo di un risultato politico<br />

- elettorale o questi dati nascondono fratture<br />

più profonde?<br />

La forza della Lega nord è concentrata in parte<br />

del Lombardo - Veneto. Con una differenza<br />

di voti che supera di 10 punti percentuali le altre<br />

circoscrizioni elettorali. Suo punto di forza è<br />

<strong>il</strong> nord - est: <strong>il</strong> Veneto dove compete testa a testa<br />

con <strong>il</strong> Pd Quindi quasi tutta la Lombardia,<br />

con la sola esclusione della provincia di M<strong>il</strong>ano.<br />

C’è, in altri termini, una continuità territoriale<br />

che va da Venezia fino alla capitale morale<br />

d’Italia. In quest’area la maggioranza dell’elettorato<br />

si divide, quasi in parte uguale, tra la Lega,<br />

appunto, ed <strong>il</strong> PdL. Nel nord -ovest, invece,<br />

non c’è partita. Gli elettori preferiscono decisamente<br />

PdL e Pd, mentre la Lega resta una forza<br />

minoritaria.<br />

Come spiegare queste diversità di comportamento?<br />

I nuovi insediamenti produttivi - la miriade<br />

di piccole aziende che guardano al centro<br />

Europa - hanno votato per Umberto Bossi.<br />

Quelli più antichi, che risentono della più vecchia<br />

impostazione fordista e della cultura che<br />

l’ha accompagnata, seppure traslata nel Popolo<br />

delle libertà, per Berlusconi e Veltroni. Nelle<br />

regioni centrali, invece, <strong>il</strong> peso determinante è<br />

dato da un sistema di medie industrie che si<br />

sono stratificate nel tempo. La loro forza consiste<br />

in un reticolo di relazioni sociali - si pensi<br />

solo alle cooperative - in un rapporto stretto<br />

con <strong>il</strong> tradizionale mondo della politica, fert<strong>il</strong>izzata<br />

da attenzioni - i ceti produttivi di Togliatti -<br />

che risalgono nel tempo. Una grande banca,<br />

come MPS, è rimasta soprattutto una banca<br />

senese, come hanno dimostrato le vicende legate<br />

ad Unipol nel tentativo abortito di conquistare<br />

BNL. Questo intreccio ha trasformato le<br />

«regioni rosse» in un enclave potente localmente,<br />

ma debole sul piano nazionale. Comunque<br />

incapace di esercitare una leadership<br />

adeguata.


politica<br />

Il Sud è invece una realtà variegata. Da tempo<br />

allo sbando, dopo <strong>il</strong> fallimento di tutti i tentativi<br />

legati alla politica meridionalista, cerca<br />

una via di fuga da un sottosv<strong>il</strong>uppo atavico. La<br />

sua struttura economica è frag<strong>il</strong>e. Il peso della<br />

criminalità una risposta alla lontananza dello<br />

Stato. Una realtà volub<strong>il</strong>e e cangiante che<br />

rimarrà tale fin quando non nascerà un protagonismo<br />

autoctono, capace di recidere i perversi<br />

legami della dipendenza. Solo allora riuscirà<br />

a trasformare la sua forza elettorale in<br />

una politica capace di incidere sui grandi<br />

equ<strong>il</strong>ibri nazionali.<br />

Che conclusioni trarre di fronte a questo mosaico?<br />

La prima è sconfortante. Cento e passa<br />

anni di storia non sono riusciti ad unificare<br />

<strong>il</strong> Paese a dargli una prospettiva autenticamente<br />

nazionale. È una dichiarazione di resa<br />

dello Stato centrale. Troppo grande per produrre<br />

politica. Troppo esteso per poter resistere<br />

al potere di una burocrazia incapace di progetto<br />

e di visione. La sua struttura è ancora<br />

funzionale ad equ<strong>il</strong>ibri economici e sociali del<br />

passato: quelli che avevano nel nord ovest e<br />

nel centro <strong>il</strong> vero baricentro. I fattori del dinamismo<br />

economico sono ormai del tutto al di<br />

fuori del suo perimetro effettivo. La Lega nord<br />

ha saputo dar corpo al senso di estraneità della<br />

sua gente. Nel Sud questo processo è ancora<br />

informe.<br />

Queste elezioni hanno dimostrato che nei vecchi<br />

territori dell’abbandono è nata una coscienza<br />

nuova, che mira a farsi Stato. Nel Sud si<br />

esprime ancora sotto forma di protesta e solo <strong>il</strong><br />

tempo ne scandirà <strong>il</strong> passaggio verso la proposta.<br />

Quello che conta, oggi, è l’avvio di un processo<br />

che avrà riflessi politici immediati sulla<br />

vita del Paese e di cui non si potrà non tenerne<br />

conto. Le occasioni non mancheranno: a<br />

partire dal federalismo. Idea necessaria per rifondare<br />

lo Stato. Ma anche sfida diffic<strong>il</strong>e, dove<br />

dovrà prevalere <strong>il</strong> senso di una solidarietà nuova,<br />

non più fondata sulle vecchie regole spartitorie.<br />

Ma sulla necessità di chiudere definitivamente<br />

una vecchia pagina di storia. Ed aprirne<br />

una nuova.<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

33<br />

DA MARX A MATRIX<br />

I media nella crisi della postmodernità<br />

Autore: Gianstefano e Angelo Frigerio<br />

Pagine: 396<br />

Prima Edizione: Estate 2007<br />

Prezzo: 20 euro<br />

Gianstefano Frigerio è stato più volte membro del<br />

Parlamento Italiano ed è attualmente Responsab<strong>il</strong>e<br />

Nazionale dei Dipartimenti di Forza Italia. Ha vissuto<br />

in posizione non marginale le grandi svolte<br />

della Prima Repubblica, dal '68 alla terrib<strong>il</strong>e fase<br />

del terrorismo, dalla crisi del centrosinistra al crollo<br />

del "socialismo reale", fino a "tangentopoli". Ha<br />

pubblicato tra l'altro II catasto racconta (Le grandi<br />

riforme di Maria Teresa in Lombardia); Vento dell'Est;<br />

(L'Europa di Yalta dopo la caduta del muro di<br />

Berlino); Punti di luce nel deserto; ( Dalla implosione<br />

dell'Impero Romano d'Occidente alla nascita<br />

del Sacro Romano Impero); Noi, popolari europei,<br />

( Il ruolo del PPE nel futuro dell'Europa); Il Mediterraneo,<br />

crocevia del nostro futuro, (La centralità del<br />

Mediterraneo negli attuali scenari geopolitici); Per<br />

le Edizioni Bietti ha scritto: Nei labirinti del futuro e<br />

Il cuore di tenebra del XIX secolo.<br />

Angelo Frigerio, laureato in lettere moderne all'Università<br />

Cattolica di M<strong>il</strong>ano, con una tesi di ricerca<br />

empirica sui cambiamenti valoriali provocati dalla<br />

rivoluzione post-moderna E’ direttore di un periodico<br />

diffuso nel m<strong>il</strong>anese e autore di articoli e saggi<br />

sulle tendenze dei nuovi media. Con <strong>il</strong> padre<br />

Gianstefano ha già scritto Nei labirinti del futuro.


e c o n o m i a<br />

Forse Pier Luigi Bersani e Walter Veltroni non<br />

si erano parlati - almeno così vogliamo sperare<br />

- prima di intervenire nel dibattito sulla fiducia<br />

al Governo Berlusconi. Se fosse andata<br />

così tutto sarebbe, oggi, più chiaro e la diversità<br />

di toni usati troverebbe una spiegazione<br />

razionale. Duro e puntiglioso l’intervento del<br />

primo, conc<strong>il</strong>iante e sobrio <strong>il</strong> secondo. Quasi<br />

due linee se non proprio contrapposte, almeno<br />

dissonanti. Come spiegarle? Bersani è stato<br />

un ministro importante del Governo Prodi. È<br />

quindi plausib<strong>il</strong>e che, nel suo intervento, cercasse,<br />

in qualche modo, di difendere almeno<br />

parte della sua precedente esperienza. Veltroni<br />

aveva le mani libere. Anche lui ha elogiato<br />

l’ex premier, ma in modo più distaccato: quasi<br />

un atto dovuto.<br />

Basta questo a svelare <strong>il</strong> mistero? Probab<strong>il</strong>mente<br />

c’è dell’altro che attiene agli arcani dei<br />

rapporti interni al Pd ed alle diverse scuole di<br />

pensiero che si agitano nel fondo più limaccioso.<br />

Sta però <strong>il</strong> fatto che forse Bersani è andato<br />

oltre <strong>il</strong> limite della decenza. Trascinato dalla<br />

sua foga oratoria, ha espresso tesi e concetti<br />

che non trovano riscontro nei dati della realtà.<br />

Il tema è stato quello dell’eredità. Il lascito del<br />

Governo Berlusconi - questa la tesi sostenuta -<br />

era disastroso. Un’economia in crisi, uno squ<strong>il</strong>ibrio<br />

di b<strong>il</strong>ancio senza precedenti, la spada di<br />

Damocle di una procedura d’infrazione, avviata<br />

in sede comunitaria. Oggi - sono sempre i<br />

concetti espressi da Bersani - <strong>il</strong> nuovo governo<br />

ha «margini di intervento più ampi». Il deficit è<br />

stato domato, l’avanzo primario ricostituito, si è<br />

chiusa la procedura di infrazione. E le prospettive<br />

a breve dell’economia italiana? S<strong>il</strong>enzio<br />

assordante.<br />

Non è la prima volta che la sinistra ricorre al<br />

tentativo di dipingere una realtà di comodo. A<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

L’eredità di Prodi<br />

e la «falsa coscienza» di Bersani<br />

di Gianfranco Pol<strong>il</strong>lo<br />

35<br />

distanza di oltre un quinquennio, tanto per risvegliare<br />

la memoria, si nega ancora quello<br />

che accadde nel 2001. Quando Giulio Tremonti,<br />

appena giunto a via XX settembre, fu costretto<br />

a prendere atto di uno squ<strong>il</strong>ibrio finanziario<br />

senza precedenti. Allora <strong>il</strong> DPEF, firmato<br />

da Giuliano Amato come Presidente del Consiglio<br />

e da Vincenzo Visco, come ministro del tesoro,<br />

indicava un deficit per l’anno in corso pari<br />

allo 0,8 per cento. Recava, altresì, un commento<br />

elogiativo dell’attività di governo svolta<br />

fino ad allora. Secondo quel documento <strong>il</strong> risanamento<br />

finanziario era ormai strutturale. E chi<br />

osava dubitare - noi tra questi - di questa profezia<br />

trattato come un untore al tempo della<br />

peste di M<strong>il</strong>ano.<br />

Qualche tempo dopo sarà l’ISTAT a certificare<br />

lo stato effettivo dei conti pubblici, indicando un<br />

deficit - altro che risanamento strutturale - del<br />

3,1 per cento. Che poneva l’Italia, per la prima<br />

volta dalla nascita dell’euro, fuori dai parametri<br />

di Maastricht. Al tempo stesso si prevedeva<br />

una crescita media - nel quadriennio - del 3 per<br />

cento in termini reali. Altro dato surreale, la cui


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

inconsistenza sarebbe emersa fin dal primo<br />

anno. Ci si aspettava, pertanto, che a distanza<br />

di tempo si fosse almeno riconosciuto questo<br />

errore marchiano di previsione. Ed invece no.<br />

Guido Alborghetti, autorevole esponente del<br />

Ds, ancora nel 2005, scrisse un lungo saggio -<br />

Il libro nero del Governo Berlusconi - per dimostrare<br />

<strong>il</strong> contrario. Berlusconi aveva ereditato <strong>il</strong><br />

paradiso, per trasformarlo in un inferno. La cosa<br />

che sfuggì fu proprio <strong>il</strong> dato del 3,1 per cento<br />

che - ironia della sorte - l’autore mise sulla<br />

copertina del suo libro, senza indagare sulla<br />

precedente previsione.<br />

Oggi la storia si ripete, trasformando in farsa<br />

quella piccola tragedia. La tesi di Bersani, come<br />

si legge dai resoconti parlamentari, è che <strong>il</strong><br />

lascito di Giulio Tremonti sia stato un deficit del<br />

4,2 per cento. Non sappiamo da dove nasca<br />

questa cifra. Il 1 marzo del 2007, l’ISTAT, l’unica<br />

titolata a calcolare <strong>il</strong> valore dell’indebitamento,<br />

certificò che «l’indebitamento netto delle<br />

Amministrazioni pubbliche in rapporto al<br />

PIL» era «pari al 4,4 per cento». Al peggioramento<br />

rispetto all’anno precedente - aggiungeva<br />

subito dopo <strong>il</strong> comunicato - avevano contribuito<br />

«uscite per oneri straordinari pari a<br />

29.666 m<strong>il</strong>ioni di euro».<br />

Essi erano così costituiti:<br />

- rimborsi IVA sulle auto aziendali per un ammontare<br />

pari a 15.982 m<strong>il</strong>ioni, dovuti a seguito<br />

della sentenza della Corte di giustizia europea<br />

del 14 settembre 2006;<br />

36<br />

e c o n o m i a<br />

- cancellazione dei crediti dello Stato nei confronti<br />

della società TAV, con accollo diretto dei<br />

debiti contratti dalla società ISPA a vantaggio<br />

della prima, per un importo pari a 12.950 m<strong>il</strong>ioni<br />

di euro<br />

- retrocessione alla società di cartolarizzazione<br />

dei crediti di contributi sociali dovuti dai lavoratori<br />

agricoli per 734 m<strong>il</strong>ioni di euro.<br />

«Al netto di questi oneri straordinari - concludeva<br />

l’Ufficio di statistica - l’indebitamento netto<br />

in rapporto al PIL sarebbe risultato pari al 2,4<br />

per cento». Ben al disotto quindi di quanto richiesto<br />

dal Trattato di Maastricht ed in grado di<br />

attivare la procedura che avrebbe consentito,<br />

l’anno successivo, di archiviare la procedura di<br />

infrazione. Le tesi postume di un presunto disastro,<br />

quale lascito del governo Berlusconi,<br />

non trovano quindi fondamento nei documenti<br />

ufficiali. L’accollo dei debiti dell’ISPA era stato<br />

infatti una libera scelta del Governo Prodi, per<br />

un valore pari a circa 0,8 punti di PIL. Nulla da<br />

eccepire circa quella decisione, salvo r<strong>il</strong>evare<br />

la scorrettezza di chi vorrebbe imputarla al precedente<br />

Governo.<br />

Tralasciamo pure l’accollo dei crediti derivanti<br />

dai contributi sociali dovuti dai lavoratori agricoli,<br />

per <strong>il</strong> loro limitato importo. Occupiamoci invece<br />

della vicenda IVA sulle auto aziendali. Qui<br />

si raggiunge <strong>il</strong> massimo del paradosso. La stima<br />

della Ragioneria dello Stato era eccessiva<br />

fin dall’inizio e per la verità fummo in molti a denunciare<br />

<strong>il</strong> moral hazard. Non tanto perché le<br />

cifre indicate erano del tutto irrealistiche, ma<br />

perché la loro inesatta contab<strong>il</strong>izzazione avrebbe<br />

comportato rischi molto seri per la finanza<br />

pubblica italiana. Avrebbe fornito una falsa indicazione<br />

ai mercati finanziari con <strong>il</strong> rischio di<br />

determinare l’immediato abbassamento del rating<br />

e, quindi, <strong>il</strong> pericolo di un aumento dei tassi<br />

di interesse sui titoli da rinnovare.<br />

C’è voluto più di un anno, affinché questa ragionevole<br />

regola di prudenza fosse accettata<br />

dal Governo. Ecco cosa si legge nell’ultima relazione<br />

di cassa, firmata da Tommaso Padoa<br />

Schioppa. «La metodologia seguita inizialmente<br />

per l’imputazione della sentenza IVA sugli<br />

autoveicoli era stata quella di considerare come<br />

momento di registrazione la data della sen


e c o n o m i a<br />

tenza e di procedere ad una stima indiretta del<br />

potenziale numero dei contribuenti e del potenziale<br />

importo da rimborsare, nel presupposto<br />

che tutti gli aventi diritto presentassero istanza».<br />

Questa valutazione, tuttavia, contraddiceva<br />

alle disposizioni di legge emanate contestualmente<br />

e che riducevano drasticamente le<br />

possib<strong>il</strong>ità di un rimborso.<br />

Conseguenza? Con un anno di ritardo si cambiava<br />

indirizzo: adottando «una metodologia<br />

statistica diretta» già «ut<strong>il</strong>izzata per altri tipi di<br />

rimborso, in base alla quale <strong>il</strong> debito per la Stato<br />

viene registrato» solo «nel momento della<br />

validazione delle istanze di rimborso in seguito<br />

allo spoglio dell’amministrazione finanziaria».<br />

Non più un debito ipotetico, com’era nella previsione<br />

iniziale; ma un dato certo contab<strong>il</strong>izzato<br />

sulla base degli rimborsi effettivi. Ed ecco <strong>il</strong><br />

miracolo. «Di conseguenza - è scritto sempre<br />

nella Relazione di cassa - si è proceduto a eliminare<br />

l’onere straordinario per lo Stato per effetto<br />

della sentenza IVA sulle auto aziendali registrato<br />

nel 2006 e stimato pari a circa 16 m<strong>il</strong>iardi»<br />

sostituendolo con un «importo pari a<br />

847 m<strong>il</strong>ioni». Appena un ventesimo della valutazione<br />

iniziale.<br />

Pier Luigi Bersani non ha tenuto conto di questi<br />

elementi. Ed è strano che uno dei principali<br />

artefici della politica economica del Governo<br />

Prodi non abbia avuto <strong>il</strong> tempo di leggere uno<br />

dei più importanti documenti finanziari del suo<br />

stesso Governo. Poteva, almeno seguire, i bollettini<br />

dell’ISTAT. Avrebbe così avuto contezza<br />

del fatto che, in data 29 febbraio 2008, riclassificando<br />

gli oneri relativi alla sentenza sull’IVA<br />

contab<strong>il</strong>izzava un miglioramento dei conti pubblici,<br />

a fine 2006, pari a 15,9 m<strong>il</strong>iardi. Che unito<br />

alla «revisione del PIL hanno determinato un<br />

rapporto indebitamento / PIL pari al 3,4%, più<br />

basso di un punto percentuale rispetto al 4,4%<br />

stimato lo scorso anno.» Se da questo sottraiamo<br />

l’onere straordinario delle scelte operate<br />

(debiti ISPA e contributi degli agricoltori) si<br />

torna al valore effettivo del 2,4 per cento. Che<br />

rappresenta <strong>il</strong> lascito reale del Governo Berlusconi.<br />

Ma perché tanta voglia di far male al Paese?<br />

Questo resta l’interrogativo di fondo che ha ca-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

37<br />

ratterizzato la parabola del Governo di Romano<br />

Prodi. Non si dimentichi gli antefatti: la denuncia<br />

di uno stato di dissesto, poi dimostratosi<br />

inesistente; <strong>il</strong> riferimento alla crisi del 1992<br />

contenuto nel primo DPEF del nuovo Governo;<br />

i numeri alterati della due d<strong>il</strong>igence compiuta<br />

all’atto dell’insediamento. Insomma: <strong>il</strong> prevalere<br />

di una visione cupa e catastrofica. Mentre i<br />

dati reali dell’economia indicavano l’esatto contrario.<br />

Il fabbisogno dello Stato migliorava rapidamente,<br />

le entrate erariali - quei «tesoretti»<br />

che avrebbero costituito <strong>il</strong> tormentone di tutta<br />

la legislatura - si sarebbero dimostrate ben più<br />

consistenti.<br />

Gli obiettivi di questa strategia comunicativa<br />

erano evidenti. Da una lato dimostrare lo sfa-<br />

scio del precedente Governo. Dall’altro precostituire<br />

una linea di difesa contro le richieste<br />

della sinistra massimalista ed <strong>il</strong> suo obiettivo di<br />

«redistribuzione sociale». Infine: un pizzico di<br />

narcisismo. Vincenzo Visco voleva dimostrare<br />

ch’era in grado, da solo, di sconfiggere l’evasione<br />

e l’elusione fiscale. Elementi tutti distinti<br />

ma convergenti verso un unico obiettivo. Che<br />

poteva essere perseguito solo alterando - poco<br />

importa se ad arte o per semplice errore - i dati<br />

della realtà.<br />

Si prenda, a solo titolo d’esempio, i dati sulle<br />

entrate fiscali. In un grafico pubblicato dal Ministero<br />

dell’economia, sotto la guida di Padoa<br />

Schioppa e di Visco, risulta evidente che <strong>il</strong><br />

massimo incremento delle entrate si è verifica


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

to nel periodo gennaio-giugno del 2006. Quando<br />

ancora S<strong>il</strong>vio Berlusconi era Presidente del<br />

consiglio e Vincenzo Visco un deputato, seppure<br />

influente, dell’opposizione. In quel periodo<br />

<strong>il</strong> tasso di crescita delle entrate cumulate raggiunse<br />

l’apice del 12 per cento. Subito dopo,<br />

con <strong>il</strong> nuovo Governo, un lento e progressivo<br />

declino. Se lotta all’evasione vi fu, essa fu quindi<br />

regressiva. Stando almeno all’evidenza statistica.<br />

Cosa che ha lasciato indifferente Vincenzo<br />

Visco che ha continuato a parlare di oltre<br />

20 m<strong>il</strong>iardi di maggiori entrate, quale risultato<br />

della sua azione di contrasto nei confronti<br />

degli evasori.<br />

L’aver travisato i dati della realtà non è stato<br />

senza conseguenza per l’economia italiana.<br />

L’eredità di Giulio Tremonti era tale da garantire<br />

una gestione sobria della politica finanziaria.<br />

Si trattava solo di seguire la linea tracciata e<br />

conteggiare i risultati conseguiti, compresi gli<br />

effetti indiretti dei precedenti condoni fiscali.<br />

Che avevano premiato gli evasori più incalliti,<br />

ma li avevano anche costretti ad emergere e<br />

quindi a denunciare redditi che non potevano<br />

essere poi di nuovo mascherati. Invece è prevalsa<br />

nuovamente una furia iconoclastica, che<br />

ha avuto due distinti obiettivi: annullare quanto<br />

aveva fatto <strong>il</strong> precedente Governo (si pensi solo<br />

alla reintroduzione dell’imposta sulle successioni);<br />

spremere ulteriormente <strong>il</strong> contribuente<br />

per dar vita a quella politica del «tassa e spendi»<br />

che è stata la vera rovina politica del Governo<br />

Prodi.<br />

Nel 2006 la pressione fiscale è balzata, di colpo,<br />

dal 40,5 al 42,1 per cento del PIL, con un<br />

incremento di 1,6 punti. Nel 2007 l’incremento<br />

è stato solo leggermente più contenuto: 1,2<br />

punti di PIL fino ad un tetto del 43,3 per cento.<br />

Per <strong>il</strong> 2008 vedremo. La Relazione di cassa indica<br />

un leggero contenimento al 43,1 per cento<br />

del PIL. Ma le previsioni non sono attendib<strong>il</strong>i.<br />

I tecnici di via XX settembre hanno sottovalutato<br />

sia la dinamica delle entrate che le spese<br />

da effettuare. Il saldo di fine esercizio (2,4<br />

per cento del PIL) potrebbe pertanto, più o meno<br />

coincidere, con quello indicato. Ma <strong>il</strong> volume<br />

delle entrate sarebbe di gran lunga superiore<br />

e, con esso, la pressione fiscale effettiva.<br />

38<br />

e c o n o m i a<br />

Al di là di queste previsioni, le cifre a consuntivo<br />

dimostrano l’entità dello shock subito dall’economia<br />

italiana. La crescita della pressione fiscale<br />

ha inciso negativamente sulla propensione<br />

al consumo. Nel 2006, infatti, <strong>il</strong> PIL è cresciuto<br />

dell’1,8 per cento. Ma questo risultato, indubbiamente<br />

positivo, è più <strong>il</strong> frutto di un’<strong>il</strong>lusione<br />

ottica, che non della realtà. Se si depura l’effetto<br />

di trascinamento - vale a dire <strong>il</strong> migliore<br />

andamento degli ultimi due trimestri del 2005<br />

che si contab<strong>il</strong>izzano nel 2006 - la crescita sarebbe<br />

stata solo dello 0,8 per cento. Molto meno<br />

che non nell’anno precedente. Dato che,<br />

In un grafico pubblicato<br />

dal Ministero<br />

dell’economia, sotto la<br />

guida di Padoa Schioppa e<br />

di Visco, risulta evidente<br />

che <strong>il</strong> massimo incremento<br />

delle entrate si è<br />

verificato nel periodo<br />

gennaio-giugno del 2006.<br />

Quando ancora S<strong>il</strong>vio<br />

Berlusconi era Presidente<br />

del consiglio.<br />

purtroppo trova conferma nei dati più recenti.<br />

L’andamento del PIL trimestrale lo conferma. Il<br />

massimo di crescita si è avuta nei primi due trimestri<br />

del 2006, quando al timone era ancora<br />

S<strong>il</strong>vio Berlusconi. Allora la crescita fu dello 0,8<br />

e dello 0,6 per cento. Con la fine dell’estate ed<br />

<strong>il</strong> varo del decreto legge Bersani - Visco vi fu un<br />

primo stop, con un calo dell’indice allo 0,3 per<br />

cento. Quindi un rimbalzo di fine anno, con un<br />

aumento dell’1,1 per cento. Ed infine <strong>il</strong> lento<br />

declino che porterà <strong>il</strong> 2007 a chiudere con una<br />

crescita dell’1,5 per cento, sempre in termini


e c o n o m i a<br />

reali, per poi discendere rapidamente.<br />

A marzo di quest’anno, Tommaso Padoa<br />

Schioppa ha stimato un tasso di sv<strong>il</strong>uppo pari<br />

allo 0,6 per cento, come indicato dall’ultima relazione<br />

di cassa. Una valutazione che pecca di<br />

eccessivo ottimismo. La Commissione europea,<br />

ha limato questa cifra allo 0,5, dopo aver<br />

ridotto di circa 1 punto - <strong>il</strong> calo è significativo -<br />

le precedenti previsioni dello scorso autunno.<br />

Gli altri centri internazionali sono stati ben più<br />

drastici. Confindustria e FMI ritengono che l’economia<br />

italiana, nel 2008, non crescerà più<br />

dello 0,3 per cento. Crescita zero, quindi con riflessi<br />

immediati sugli stessi equ<strong>il</strong>ibri finanziari<br />

del Paese.<br />

Purtroppo i dati più recenti non inducono all’ottimismo.<br />

Il primo trimestre del 2008 si è chiuso<br />

con una crescita tendenziale dello 0,2 per cento.<br />

Contro <strong>il</strong> 2,6 per cento della Germania, <strong>il</strong> 2,5<br />

per cento degli Stati Uniti e del Regno Unito,<br />

nonché <strong>il</strong> 2,2 per cento della Francia. Quindi<br />

«maglia nera» per l’economia italiana. Un triste<br />

primato che non accenna a passare. L’analisi<br />

di medio periodo mostra che l’economia ha<br />

cessato di crescere a partire dall’ultimo trimestre<br />

del 2006, quando <strong>il</strong> suo incremento tendenziale<br />

fu del 2,5 per cento. Poi vi fu la prima<br />

«finanziaria» del Governo Prodi e quindi l’avvio<br />

di una fase discendente che non sembra essersi<br />

conclusa.<br />

Non tragga in inganno <strong>il</strong> dato di una crescita<br />

congiunturale dello 0,4 per cento per <strong>il</strong> primo<br />

trimestre del 2008. È un semplice rimbalzo, dopo<br />

l’analoga caduta del trimestre precedente.<br />

Se si tiene conto di quest’elemento <strong>il</strong> risultato<br />

è, appunto come si diceva in precedenza, una<br />

«crescita zero» nell’ultimo semestre, anche da<br />

un punto di vista congiunturale. Dal varo dell’ultima<br />

finanziaria, le diverse componenti <strong>il</strong><br />

reddito nazionale hanno subito un andamento<br />

declinante. Sono diminuiti consumi ed investimenti.<br />

L’estero (export - import) ha svolto un<br />

ruolo negativo, salvo la crescita del penultimo<br />

trimestre del 2006. Il fiscalismo di Visco e Tommaso<br />

Padoa Schioppa, insomma, in una congiuntura<br />

internazionale che virava verso <strong>il</strong> peggio,<br />

ha determinato uno shock deflativo, che ha<br />

bruciato la debole ripresa del 2006.<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

39<br />

Vedremo, quindi, cosa accadrà nei prossimi<br />

mesi. Molto dipenderà dalla crescita tedesca. I<br />

dati del primo trimestre sono stati sorprendentemente<br />

positivi, al punto da spingere l’OCSE a<br />

rivedere al rialzo le stime per l’intera Europa.<br />

L’export ancora tiene, ma fino a quando le nostre<br />

esportazioni potranno garantire <strong>il</strong> finanziamento<br />

delle importazioni? Con i prezzi del petrolio,<br />

delle materie prime e dei prodotti alimentari<br />

che corrono al rialzo? Gli indici della<br />

produzione industriale, del fatturato e degli ordinativi<br />

sono in calo. Negli ultimi 8 mesi, terminati<br />

a marzo, <strong>il</strong> fatturato delle imprese che producono<br />

beni durevoli è diminuito del 9 per cento.<br />

Quello delle aziende che producono energia,<br />

invece, è aumentato del 37 per cento. La<br />

doppia faccia di una crisi che colpisce quei beni,<br />

<strong>il</strong> cui consumo può essere differito; mentre<br />

salassa <strong>il</strong> consumatore su quelli indispensab<strong>il</strong>i,<br />

come appunto l’energia.<br />

È diffic<strong>il</strong>e dire come evolverà la crisi. Molto dipenderà<br />

dalla tenuta dell’economia americana.<br />

Se le cose andranno meglio vi sarà un maggior<br />

respiro per l’Europa, che garantirà <strong>il</strong> trend attuale.<br />

Un drappello nutrito di aziende - circa <strong>il</strong><br />

25 per cento del totale - continuerà a fare affari<br />

all’estero. Ma <strong>il</strong> volano risulterà insufficiente<br />

per contagiare <strong>il</strong> resto dell’Italia. Con una frattura<br />

geografica profonda, <strong>il</strong> cui confine si è spostato<br />

verso Nord. Lambisce l’Em<strong>il</strong>ia, ma taglia<br />

<strong>il</strong> resto del Paese, compresa la Capitale. Dove<br />

<strong>il</strong> cosiddetto «modello Roma» mostra ormai<br />

tutti i suoi limiti. Se invece la recessione americana<br />

dovesse accentuarsi c’è da temere <strong>il</strong> peg


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

gio. La caduta intervenuta nei consumi interni<br />

espone infatti <strong>il</strong> Paese ai capricci ed ai venti<br />

della situazione internazionale. Venuto meno <strong>il</strong><br />

suo basamento strutturale, l’Italia è come quei<br />

pupazzi di gomma che si regalano ai bambini.<br />

Basta una leggera spinta per rovesciarli.<br />

Quale sarà <strong>il</strong> riflesso di questi avvenimenti sugli<br />

equ<strong>il</strong>ibri finanziari complessivi? Uno dei temi<br />

di polemica dell’intervento di Pier Luigi Bersani<br />

è stato l’andamento dell’avanzo primario.<br />

«Un conto - ha detto tra gli applausi dell’emiciclo<br />

- è partire da un avanzo primario pari a zero,<br />

un conto è partire con l’avanzo primario al<br />

3, col debito che cala invece di crescere». Rivendicazione<br />

orgogliosa, ma anche giustificata?<br />

Solo in parte. Nel 2005 l’avanzo primario<br />

era pari solo allo 0,3 per cento del PIL. Nel<br />

2007 è stato invece del 3,1 per cento. Nei due<br />

anni del Governo Prodi si è passati prima<br />

all’1,2, quindi alla cifra ricordata. Nel 2006 quel<br />

risultato è stato conseguito aumentando le entrate<br />

dell’1,7 e le spese dello 0,8. Nel periodo<br />

successivo, invece, le entrate sono aumentate<br />

dell’1,3 per cento del PIL, le spese sono diminuite<br />

dello 0,6 per cento. L’effetto cumulato di<br />

questi diversi andamenti ha prodotto le conseguenze<br />

positive che abbiamo registrato. Ma<br />

quel taglio della spesa è stato effettivo o non si<br />

è trattato di un semplice rinvio?<br />

Le previsioni per <strong>il</strong> 2008, anno in cui l’avanzo<br />

primario è previsto diminuire di 0,6 punti sembrerebbe<br />

confermare quest’ultima ipotesi. Avvalorata,<br />

del resto, da polemiche recenti. Il primo<br />

segnale d’allarme era stato lanciato da Il<br />

sole 24 ore. «Buco da 7 m<strong>il</strong>iardi nei conti del<br />

2008»: aveva titolato nell’edizione del 10 febbraio<br />

2008. Ne erano seguite vivaci polemiche<br />

che avevano costretto a scendere in campo lo<br />

stesso direttore, in un corsivo del 12 febbraio.<br />

«Che ci siano i sette m<strong>il</strong>iardi di spese inattese<br />

- aveva scritto - per contratti pubblici, investimenti<br />

Fs, emergenza rifiuti e costi per le elezioni<br />

...è fuor di dubbio. Si chiamino buco o meno<br />

può essere un dettaglio: i danari vanno trovati».<br />

Seguiva una smentita da parte di Tommaso<br />

Padoa Schioppa, che, invece, non<br />

smentiva.<br />

Le nuove spese ancora «non iscritte a b<strong>il</strong>an-<br />

40<br />

e c o n o m i a<br />

cio», come precisava un comunicato di Via XX<br />

Settembre, riguardavano appunto le FFSS (2<br />

m<strong>il</strong>iardi), quelle rinviate l’anno precedente (1,8<br />

m<strong>il</strong>iardi), i contratti pubblici (tra i 2 ed i 6 m<strong>il</strong>iardi),<br />

<strong>il</strong> problema rifiuti della Campania (0,6 m<strong>il</strong>iardi)<br />

<strong>il</strong> costo delle elezioni (tra i 300 ed i 600<br />

m<strong>il</strong>ioni). Tirando le somme si giungeva alla cifra<br />

indicata. Dunque una piccola catastrofe?<br />

Forse meno grave di quanto a prima vista potesse<br />

apparire.<br />

Per svelare <strong>il</strong> mistero occorre interrogarsi sulle<br />

tendenze effettive della legislazione vigente e<br />

sull’andamento del gettito erariale.<br />

Nell’ultima relazione di cassa, predisposta da<br />

Tommaso Padoa Schioppa, era previsto un aumento<br />

delle entrate erariali, su base annua, del<br />

2,4 per cento e dei contributi sociali del 4,6 per<br />

cento. Grazie a questi limitati incrementi, la<br />

pressione fiscale, sempre secondo quelle previsioni<br />

sarebbe scesa dal 43,3 per cento al<br />

43,1. Una buona notizia per <strong>il</strong> Governo. Nell’imminente<br />

campagna elettorale avrebbe potuto<br />

sostenere che dopo una «finanziaria» lacrime<br />

e sangue si sarebbe venuto incontro, seppure<br />

con <strong>il</strong> gradualismo indispensab<strong>il</strong>e, alle<br />

esigenze del contribuente. Si tornava a dare,<br />

seppure in misura limitata, quanto si era preso<br />

in precedenza.


e c o n o m i a<br />

Erano credib<strong>il</strong>i quelle proiezioni? Tutt’altro. Nel<br />

2005 e nel 2006 l’elasticità delle entrate rispetto<br />

al PIL era stata rispettivamente pari a 2,04 e<br />

1,69. Con questo indicatore si intende <strong>il</strong> rapporto<br />

che intercorre tra crescita delle entrate<br />

ed aumento del PIL. Nelle proiezioni per <strong>il</strong><br />

2008, questo rapporto scendeva invece a 0,86:<br />

un’evidente sottovalutazione del gettito futuro.<br />

Sottovalutazione voluta: forse proprio per giustificare<br />

quelle maggiori uscite non iscritte a b<strong>il</strong>ancio.<br />

Fondi occultati - un ulteriore «tesoretto»?<br />

- ma già impegnati per sostenere le maggiori<br />

ed ulteriori spese. Se tutto fosse stato correttamente<br />

contab<strong>il</strong>izzato, la pressione fiscale<br />

sarebbe non scesa, ma ulteriormente aumentata.<br />

E lo stesso si sarebbe verificato per la<br />

spesa. Un’ulteriore dimostrazione di quella politica<br />

del «tassa e spendi» che ha caratterizzato<br />

l’intera precedente legislatura.<br />

È giusta questa analisi? Nei primi 3 mesi del<br />

2008 le entrate erariali sono aumentate del 5,3<br />

per cento, stando almeno ai dati contenuti nel<br />

bollettino edito dall’Agenzia delle entrate, contro<br />

una previsione del 2,4 per cento. Il maggior<br />

incremento si è registrato nell’IRE (10,5 per<br />

cento) e nell’IRES, l’imposta sulle imprese (47<br />

per cento). Le imposte indirette, soprattutto a<br />

causa del rallentamento intervenuto nella dinamica<br />

del PIL, mostrano, invece, una leggera<br />

flessione (- 0,4 per cento). Se le tendenze in atto<br />

dovessero proseguire, a fine anno, <strong>il</strong> «tesoretto»<br />

dovrebbe ammontare a circa 13 m<strong>il</strong>iardi.<br />

Sarebbe, quindi, sufficiente a coprire le maggiori<br />

spese, precedentemente indicate con un<br />

surplus di circa 6 m<strong>il</strong>iardi. Ma sarà così?<br />

Un pizzico di maggior ottimismo nasce dai<br />

cambiamenti interventi nella situazione politica.<br />

Nella Relazione di cassa, più volte citata, Tommaso<br />

Padoa Schioppa indicava leva spese<br />

non contab<strong>il</strong>izzate. Si trattava principalmente<br />

dei «contratti di servizio e di programma del<br />

gruppo FS. Anche se la quantificazione al momento<br />

- precisa <strong>il</strong> documento - è oggetto di<br />

confronto con le società interessate, le risorse<br />

aggiuntive potrebbero ammontare a un massimo<br />

di 1,5 m<strong>il</strong>iardi di euro». Restava, quindi <strong>il</strong><br />

nodo dei contratti dei pubblici dipendenti. «La<br />

legge finanziaria per <strong>il</strong> 2008 - precisa sempre <strong>il</strong><br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

41<br />

documento - non ha appostato ex ante le risorse<br />

necessarie per la chiusura dei contratti. La<br />

scelta è motivata sia dalla volontà di avere una<br />

trattativa con la controparte sindacale che affronti<br />

congiuntamente la questione delle risorse<br />

finanziarie e delle regole per la loro distribuzione».<br />

Vista anche l’ipotesi della cosiddetta<br />

«triennalizzazione» del contratto stesso. Esistono,<br />

quindi, dei margini per <strong>il</strong> nuovo Governo<br />

per gestire le nuove spese in modo più rigoroso.<br />

Non cedendo alla pressione della sinistra<br />

massimalista e del «partito della spesa».<br />

Su questa previsioni pesano, tuttavia, due incognite.<br />

I dati di apr<strong>il</strong>e, disponib<strong>il</strong>i solo per cassa,<br />

mostrano un forte raffreddamento delle entrate.<br />

Preoccupa, in particolare, l’andamento<br />

dell’IVA che ha registrato una brusca flessione<br />

(-6 per cento) rispetto al corrispondente periodo<br />

dell’anno precedente. Occorrerà, pertanto,<br />

seguire con grande attenzione l’evoluzione dei<br />

mesi a venire. Anche se l’andamento del «fabbisogno<br />

dello Stato», per <strong>il</strong> mese di maggio lascia<br />

più tranqu<strong>il</strong>li. Nonostante la perdita di gettito<br />

dell’IVA, nei primi 5 mesi dell’anno assistiamo<br />

ad un miglioramento di circa 6 m<strong>il</strong>iardi.<br />

Sempre a maggio, <strong>il</strong> miglioramento, rispetto al<br />

corrispondente mese dell’anno precedente, è<br />

stato di circa 3,2 m<strong>il</strong>iardi. Insomma, stando a<br />

questi dati, <strong>il</strong> gettito continua a crescere. Si<br />

tratterà di vedere se sarà confermato a giugno:<br />

mese in cui dovranno essere effettuati pagamenti<br />

di competenza del mese precedente.<br />

Il secondo elemento di preoccupazione è l’effettivo<br />

andamento del PIL. Finora la crescita<br />

acquisita, calcolata cioè ipotizzando una crescita<br />

pari a zero nei tre successivi trimestri, è


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Z L’orgia del potere<br />

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Collana: Biblioteca Bietti<br />

Il 22 maggio del 1963 <strong>il</strong> deputato della sinistra greca<br />

Lambrakis fu ucciso al centro di Salonicco da un estremista<br />

di destra in un attentato effettuato con la complicità e<br />

la copertura dalla polizia e di settori oltranzisti delle forze<br />

armate greche. Con Z, lettera iniziale della parola greca<br />

che significa “vive”, è fissata nel racconto la figura dell’ucciso.<br />

“Vangos” è invece <strong>il</strong> nome che copre <strong>il</strong> suo assassino,<br />

mentre un intero “Jurassik Park” di nomi di animali<br />

preistorici vela l’identità dei potenti complici occulti del delitto<br />

che l’indagine di un ostinato giudice istruttore farà<br />

emergere come colpevoli mandanti. Il giudice dopo la caduta<br />

del regime dei colonnelli diventerà, negli anni 80, presidente<br />

della Repubblica greca. Questa nuova edizione<br />

italiana del capolavoro di Vass<strong>il</strong>ikos fa emergere, anche<br />

per effetto della traduzione diretta dall’originale greco, la<br />

straordinaria incisività di linguaggio con cui l’autore scandisce<br />

la cadenza narrativa di quello che è ormai considerato<br />

un capolavoro della letteratura e che ha la forza di<br />

una tragedia classica i cui personaggi sono ormai assunti<br />

a moderni archetipi dell’eterna lotta tra <strong>il</strong> bene e <strong>il</strong> male,<br />

tra la tirannide e la libertà.<br />

IL PIÙ IMPORTANTE ROMANZO<br />

POLITICO DELLA SECONDA METÀ<br />

DEL NOVECENTO<br />

Vass<strong>il</strong>is Vass<strong>il</strong>ikos, scrittore greco nato nel 1934.<br />

Sorpreso all’estero dal colpo di stato dei colonnelli greci,<br />

non rientra nel suo paese che dopo la caduta del regime<br />

da loro instaurato. Vive gli anni dell’es<strong>il</strong>io in Italia e in<br />

Francia. Autore di oltre novanta libri, raggiunge <strong>il</strong><br />

massimo della fama col romanzo «Z», da cui <strong>il</strong> regista<br />

Costa Gavras trasse uno straordinario f<strong>il</strong>m.<br />

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l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

42<br />

e c o n o m i a<br />

pari allo 0,2 per cento. Quando la relazione di<br />

cassa prevedeva una crescita più sostenuta:<br />

0,6 per cento. Se la congiuntura non dovesse<br />

migliorare, rispetto alle attuali tendenze,<br />

avremmo una crescita delle entrate molto più<br />

contenute. Le ultime previsioni sugli andamenti<br />

del PIL sono state fornite dall’OCSE. Esse<br />

prevedono, per <strong>il</strong> 2008, una crescita dello 0,5<br />

per cento e per <strong>il</strong> 2009 dello 0,9.<br />

La stampa italiana ha accolto queste notizie<br />

con grande preoccupazione. Sono giustificate?<br />

In parte. Paradossalmente, preoccupa più <strong>il</strong><br />

2009 che non <strong>il</strong> 2008. Per l’anno in corso, le<br />

previsioni di altri centri internazionali - ad<br />

esempio <strong>il</strong> FMI - erano state più pessimistiche.<br />

E lo stesso era avvenuto per Confindustria.<br />

L’OCSE conferma invece la previsione contenuta<br />

nella Relazione di cassa (0,6 per cento<br />

per <strong>il</strong> 2008) mentre la riduce: 0,9 contro l’1,2<br />

per <strong>il</strong> 2009. Ma quell’anno è ancora lontano, almeno<br />

da un punto di vista macro - economico.<br />

Vi sarà quindi <strong>il</strong> tempo per intervenire. Del resto<br />

<strong>il</strong> Ministro Tremonti, consapevole di questi<br />

problemi, sta predisponendo una «legge finanziaria»<br />

triennale per agire strategicamente sulle<br />

diverse variab<strong>il</strong>i del quadro finanziario e<br />

quindi giungere all’appuntamento del 2011 - b<strong>il</strong>ancio<br />

a pareggio - preparato.<br />

È un quadro complesso e variegato quello che<br />

abbiamo cercato di descrivere. Dove gli elementi<br />

di incertezza sono maggiori, rispetto a<br />

quanto è possib<strong>il</strong>e, oggi, prevedere. Minor dubbi,<br />

invece, sul lascito del Governo Prodi. Con<br />

un pizzico di fortuna, potremmo chiudere <strong>il</strong><br />

2008 con un deficit di b<strong>il</strong>ancio compreso tra <strong>il</strong><br />

2,4 ed <strong>il</strong> 2,7 per cento del PIL ed una crescita<br />

economica tra lo 0,2 e lo 0,5. Valori decisamente<br />

peggiori, rispetto al lascito del Governo<br />

Berlusconi, a favore di Romano Prodi. Allora <strong>il</strong><br />

deficit accertato, depurato come abbiamo vista<br />

dalle operazioni di carattere straordinario, fu<br />

del 2,4 per cento. Ma con un tasso di crescita<br />

dell’economia pari all’1,8 per cento. Numeri<br />

che dovrebbero mitigare <strong>il</strong> rimpianto di Pier Luigi<br />

Bersani. Purtroppo <strong>il</strong> lascito del Governo<br />

Prodi è ben peggiore del presunto disastro che<br />

<strong>il</strong> Governo Berlusconi avrebbe lasciato in eredità<br />

al suo successore.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Le riforme contrattuali<br />

prossime venture<br />

di Giuliano Cazzola<br />

Vice Presidente della Commissione Lavoro della Camera<br />

Prima di partire per Napoli (dove sono state assunte<br />

le prime importanti decisioni in tema di<br />

lavoro), <strong>il</strong> Governo ha incontrato le parti sociali<br />

alle quali ha sottoposto le misure da adottare<br />

per la detassazione del lavoro straordinario e<br />

dei premi incentivanti. L’incontro – se mai ce ne<br />

fosse stato bisogno – ha messo subito in evidenza<br />

l’inadeguatezza della prassi della concertazione.<br />

Intorno al tavolo di Palazzo Chigi<br />

avevano trovato posto alcune decine di organizzazioni,<br />

tanto che si era reso necessario<br />

contingentare <strong>il</strong> tempo degli interventi. In sostanza,<br />

i Governi di centro sinistra hanno teorizzato<br />

e praticato la concertazione per un<br />

semplice motivo: i soli interlocutori a cui dare<br />

ascolto erano i sindacati; gli altri o facevano<br />

tappezzeria o restavano fuori della porta.<br />

Con <strong>il</strong> nuovo esecutivo i sindacati hanno tenuto,<br />

fino ad ora, una linea di condotta prudente,<br />

espressione di un reale imbarazzo: quello di<br />

I Governi di centro<br />

sinistra hanno teorizzato<br />

e praticato la<br />

concertazione per un<br />

semplice motivo: i soli<br />

interlocutori a cui dare<br />

ascolto erano i sindacati;<br />

gli altri o facevano<br />

tappezzeria o restavano<br />

fuori della porta.<br />

44<br />

e c o n o m i a<br />

gruppi dirigenti che avvertono di non potere opporsi<br />

a provvedimenti (che non piacciano) solo<br />

perché, altrimenti, rischierebbero di essere<br />

scavalcati dai lavoratori i quali, invece, guardano<br />

con favore alle proposte annunciate. L’incontro,<br />

ancorché affrettato ed interlocutorio, è<br />

stato, tuttavia, molto ut<strong>il</strong>e per valutare le reazioni<br />

delle diverse confederazioni, per ora riunite<br />

intorno a posizioni comuni.<br />

Cisl e U<strong>il</strong> hanno lasciato chiaramente intendere<br />

di non essere disposte a scendere in campo<br />

contro un Governo forte e dotato di un consenso<br />

tanto ampio. La Cg<strong>il</strong>, dal canto suo, non ha<br />

ancora scelto un indirizzo preciso. Avverte su<br />

di sé <strong>il</strong> peso di un’opposizione politica ripetutamente<br />

sconfitta e intenta a leccarsi le ferite e<br />

non si sente di portare avanti in perfetta solitudine<br />

(essendosi autoaffondata anche la sinistra<br />

radicale) una guerra aperta al nuovo esecutivo<br />

(a meno che esso non gliene dia <strong>il</strong> destro).<br />

Ad Epifani è bastato prendere le distanze, mettere<br />

sul tavolo tutti i possib<strong>il</strong>i «distinguo». Intanto<br />

la crisi del rapporto con la Fiom si è fatta più<br />

acuta e preoccupante. La potente federazione<br />

dei metalmeccanici si è apertamente schierata<br />

contro <strong>il</strong> progetto formulato da Cg<strong>il</strong>, Cisl e U<strong>il</strong><br />

sulla riforma delle regole della contrattazione.<br />

Questa presa di posizione è molto più gravida<br />

di conseguenze negative di quella assunta nell’autunno<br />

scorso nei confronti del protocollo del<br />

luglio precedente. E non solo perché inciderà<br />

sulla consultazione dei lavoratori. Questa volta<br />

non potranno essere i pensionati a salvare le<br />

segreterie confederali. Se una delle più importanti<br />

categorie dell’industria (ormai caduta nelle<br />

mani di un gruppo dirigente estremista) rifiuta i<br />

nuovi assetti, in nome della difesa ad oltranza


e c o n o m i a<br />

della contrattazione nazionale, ciò significa che<br />

al momento della messa in pratica dei nuovi criteri<br />

non ci sarà modo di trovare intese ragionevoli<br />

con le controparti.<br />

Potrebbe mai la Confindustria prendere sul serio<br />

un negoziato ed un accordo, già sconfessati<br />

anticipatamente nel settore metalmeccanico?<br />

È chiaro, dunque, che la «trattativa del secolo»<br />

non partirà neppure questa volta. O, se anche<br />

dovesse iniziare per motivi di prestigio, uno dei<br />

principali interlocutori, la Cg<strong>il</strong>, sarà talmente<br />

condizionata dai propri problemi interni da somigliare<br />

di più ad un classico “convitato di pietra”<br />

che ad un soggetto pronto a cogliere le<br />

sfumature e le opportunità offerte dal negoziato.<br />

Che cosa faranno a quel punto la Cisl e la<br />

U<strong>il</strong>? E quale sarà l’atteggiamento della nuova<br />

leadership di viale dell’Astronomia? Sembra<br />

diffic<strong>il</strong>e ipotizzare una svolta radicale nel campo<br />

delle relazioni industriali in cui venga messa<br />

in conto anche la scelta di accordi «con chi ci<br />

sta». Ma non sarebbe neppure opportuno darla<br />

vinta ai «professionisti del veto». Spetterebbe,<br />

allora, al fronte padronale di drammatizzare<br />

una situazione ormai non solo insostenib<strong>il</strong>e,<br />

ma sul punto di marcire.<br />

Le maggiori organizzazioni imprenditoriali dovrebbero<br />

– con l’appoggio del governo – decidere<br />

la disdetta del protocollo del 1993, proclamando<br />

nel contempo la propria intenzione di<br />

cercare direttamente accordi con i lavoratori. A<br />

quel punto qualcosa si metterà pur in moto.<br />

Certo, si aprirebbe un periodo di conflittualità<br />

«a macchia di leopardo», limitato alle realtà in<br />

cui la Cg<strong>il</strong> avrebbe la forza di «fare da sola».<br />

Ma prima o poi si arriverebbe ad un auspicato<br />

chiarimento. Anche mettendo in conto la ridefinizione<br />

di un diverso pluralismo sindacale che<br />

presupponga una scissione nella Cg<strong>il</strong> e la costruzione,<br />

alla sua sinistra, di un polo più radicale,<br />

capace di ricomprendere le organizzazioni<br />

del sindacalismo corporativo ed estremista.<br />

Tornando a noi, avrà, dunque, un futuro l’intesa<br />

raggiunta da Cg<strong>il</strong>, Cisl e U<strong>il</strong> sulle «Linee di<br />

riforma della struttura della contrattazione»?<br />

Rispondere a questo interrogativo è diffic<strong>il</strong>e.<br />

Ma la domanda vera è un’altra. Sarebbe conveniente<br />

e all’altezza della situazione un esito<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

45<br />

del negoziato come quello tratteggiato nell’intesa<br />

sindacale? In verità è assai discutib<strong>il</strong>e che<br />

si tratti di un progetto innovativo, aderente alle<br />

esigenze del sistema delle imprese e dei lavoratori.<br />

In verità, ad essere rafforzato e potenziato<br />

è <strong>il</strong> livello nazionale che svolge addirittura<br />

la funzione di «centro regolatore» per la definizione<br />

delle competenze da affidare al secondo<br />

livello, fino a prevedere persino che «la<br />

contrattazione salariale ...si sv<strong>il</strong>uppi a partire<br />

da una quota fissata dagli stessi CCNL».<br />

Sono previsti, poi, alcuni vincoli che possono<br />

entrare in conflitto con le più recenti tendenze<br />

dell’organizzazione della produzione e del lavoro<br />

come gli appalti, gli outsourcing, le cessioni<br />

di azienda. Per queste forme vanno definiti<br />

– suggerisce l’intesa – accordi e norme<br />

quadro per garantire condizioni normative, salariali<br />

e di sicurezza in grado di arginare <strong>il</strong> fenomeno<br />

del dumping contrattuale «in particolare<br />

con la piena ut<strong>il</strong>izzazione della “clausola sociale”».<br />

Al contratto nazionale resta affidato <strong>il</strong><br />

compito di adeguare periodicamente <strong>il</strong> salario<br />

al costo della vita. Desta però qualche interrogativo<br />

l’adozione del criterio della «inflazione<br />

realisticamente prevedib<strong>il</strong>e», (unitamente al<br />

superamento del c.d. biennio economico).<br />

Si rinuncia, così, ad uno dei capisaldi del protocollo<br />

del 1993, laddove <strong>il</strong> riferimento all’inflazione<br />

programmata (salvo eventuale conguaglio<br />

successivo) era finalizzato a contenere l’incremento,<br />

giocando d’anticipo. Il suddetto indicatore,<br />

peraltro, non costituiva una camicia di<br />

forza per le retribuzioni dei lavoratori, ma un


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

tentativo – non sempre riuscito – di difendere <strong>il</strong><br />

loro potere d’acquisto. Il nuovo concetto di «inflazione<br />

realisticamente prevedib<strong>il</strong>e», rischia,<br />

invece, di trasformarsi in una «scala mob<strong>il</strong>e»,<br />

travestita e priva di ambizioni rispetto alla politica<br />

economica del Paese.<br />

Ciò detto per <strong>il</strong> livello nazionale (va incoraggiato<br />

<strong>il</strong> proposito di accorpare i contratti, ora in numero<br />

di oltre 400), alle modifiche proposte per<br />

la contrattazione decentrata non è attribuib<strong>il</strong>e<br />

un percorso di rafforzamento. In tema di regole<br />

della rappresentanza è prevista una sorta di<br />

certificazione da parte del Cnel. I nuovi compiti<br />

affidati al Consiglio di V<strong>il</strong>la Lubin rischiano di<br />

prefigurare un percorso diverso dai criteri previsti<br />

dall’articolo 39 Cost.: una norma inapplicata<br />

e desueta, ma tuttora in vigore.<br />

Nel paese, poi, è aperto un altro problema ben<br />

più significativo di quello attinente all’actio finium<br />

regundorum tra la contrattazione centrale e<br />

quella decentrata. La questione è stata individuata<br />

– autorevolmente – da Il Sole 24 Ore, <strong>il</strong><br />

quale ha calcolato - come e in che misura - una<br />

contrattazione uniforme a livello nazionale favorisca<br />

<strong>il</strong> Sud, grazie al differenziale del costo della<br />

vita (rispetto a quello più elevato delle regioni<br />

settentrionali). Per uscire da questo cul de sac,<br />

che genera solo lavoro sommerso, occorre mettere<br />

in discussione <strong>il</strong> principio della inderogab<strong>il</strong>ità<br />

(<strong>il</strong> suo superamento è all’ordine del giorno in<br />

tutta Europa) delle norme contrattuali in forza<br />

del quale due livelli di negoziazione continuano<br />

ad essere contemplati, da noi, in una prospetti-<br />

46<br />

e c o n o m i a<br />

va aggiuntiva (l’intesa intersindacale usa l’aggettivo<br />

‘accrescitiva’) e di progressivo miglioramento<br />

dei salari e delle condizioni di lavoro.<br />

In Germania, ad esempio, questa ricerca si è<br />

concretizzata nella introduzione delle “clausole<br />

di apertura” (applicate nel 35 per cento delle<br />

aziende e nel 22 per cento degli uffici) che consentono<br />

di scendere al di sotto degli standard<br />

previsti dai contratti collettivi (è frequente la<br />

prassi delle retribuzioni agganciate agli ut<strong>il</strong>i).<br />

Anche in Italia, nel 1997, la Commissione presieduta<br />

da Gino Giugni studiò – per incarico del<br />

primo Governo Prodi – <strong>il</strong> problema della riforma<br />

della contrattazione (ne facevano parte sia<br />

Massimo D’Antona che Marco Biagi) e arrivò a<br />

prefigurare un’ipotesi derogatoria incentrata<br />

sulle “clausole d’uscita” rispetto a quanto definito<br />

dalla contrattazione nazionale. Si tratta di<br />

un’esigenza tuttora valida (già recepita nella<br />

contrattazione del settore chimico) e divenuta<br />

più pressante in un ordinamento federalista e a<br />

fronte dei problemi di sv<strong>il</strong>uppo del Mezzogiorno,<br />

le cui realtà produttive non sono in grado di<br />

«sostenere» una regolazione del lavoro sostanzialmente<br />

e forzatamente uniforme.<br />

Per esprimere una valutazione compiuta dei<br />

provvedimenti di carattere economico e fiscale<br />

che <strong>il</strong> Governo ha varato a Napoli è bene partire<br />

dalle critiche che sono state rivolte fin dalle<br />

prime anticipazioni. Sarà opportuno leggere<br />

con cura i testi per ora solo anticipati nelle loro<br />

linee generali. Cominciamo dalle osservazioni<br />

di metodo. È stato sostenuto dall’opposizione<br />

che le misure adottate sono onerose e non costituiscono<br />

una priorità. Questa considerazioni<br />

è stata avanzata, in modo prevalente, con riferimento<br />

all’abolizione totale dell’Ici sulla prima<br />

casa. Si sono tirate in ballo le minori entrate<br />

degli enti locali, come se analogo problema<br />

(magari in dimensioni più ridotte) non si fosse<br />

posto nel momento in cui era stato l’Esecutivo<br />

Prodi a decidere una riduzione parziale dell’imposta<br />

sulla casa, agendo come se questa non<br />

fosse anche la principale preoccupazione del<br />

Governo, <strong>il</strong> quale è orientato a provvedere in<br />

via transitoria alla copertura del mancato gettito<br />

in sede locale, nella prospettiva dell’avvio<br />

del federalismo fiscale che affronterà (speria


e c o n o m i a<br />

mo risolverà) l’annosa questione della ripartizione<br />

delle risorse fiscali tra centro e periferia.<br />

Altri r<strong>il</strong>ievi sono stati rivolti alle misure di detassazione<br />

del lavoro straordinario e dei premi incentivanti.<br />

Prima di entrare nel merito, sarà bene<br />

ricordare un aspetto cruciale del pacchetto<br />

«Napoli-lavoro». I temi dell’Ici e della detassazione<br />

hanno dominato quasi sempre la campagna<br />

elettorale, nel senso che – a torto o a ragione<br />

a seconda dei punti di vista – <strong>il</strong> PdL ne<br />

ha continuamente parlato, senza infingimenti di<br />

alcun tipo. Poiché nei due anni che abbiamo alle<br />

spalle gran parte del dibattito interno all’Unione<br />

si svolgeva sull’esegesi e l’attuazione del<br />

programma di 285 pagine forgiato nel loft di<br />

Prodi nel 2006, non sembra possa destare meraviglia<br />

che la nuova coalizione di governo pretenda<br />

di dare attuazione alle priorità proposte<br />

come tali agli elettori (quelle stesse indicazioni<br />

programmatiche che presumib<strong>il</strong>mente hanno<br />

pure contribuito alla netta vittoria dell’alleanza<br />

PdL-Lega del 13-14 apr<strong>il</strong>e). La maggioranza è<br />

convinta di aver varato delle proposte ut<strong>il</strong>i al<br />

Paese, in sintonia con tante famiglie di cittadini.<br />

Verrà presto <strong>il</strong> momento della verifica.<br />

Passando a parlare del merito le critiche si sono<br />

appuntate soprattutto su due aspetti: la mancata<br />

inclusione dei pubblici dipendenti, da un lato,<br />

l’inopportunità di detassare lo straordinario,<br />

dall’altro. Nel primo caso autorevolissimi parlamentari<br />

hanno scomodato persino la Costituzione.<br />

La legge fondamentale dello Stato sarebbe<br />

stata insultata e violata a causa della<br />

«discriminazione» perpetrata ai danni del pubblico<br />

impiego. L’esclusione di un pezzo importante<br />

del lavoro dipendente è dovuto non già ad<br />

un pregiudizio nei confronti degli impiegati pubblici,<br />

ma ad un’esigenza di selezionare l’impiego<br />

di importanti ma limitate risorse a disposizione,<br />

chiamate altresì a finanziare altri interventi<br />

che <strong>il</strong> Governo considera prioritari. Inoltre, trattandosi<br />

di una misura di carattere sperimentale<br />

ci sarà sicuramente <strong>il</strong> modo di rimediare alla<br />

disparità di trattamento in sede di legge finanziaria<br />

per <strong>il</strong> 2009, nel caso in cui saranno valutate<br />

l’ut<strong>il</strong>ità e la convenienza a proseguire nella<br />

detassazione. Opportunamente, poi, <strong>il</strong> ministro<br />

Brunetta ha compiuto ogni possib<strong>il</strong>e tentativo –<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

47<br />

questo è un preciso segnale politico che non va<br />

lasciato cadere durante l’iter legislativo – per includere<br />

i settori più delicati delle Forze dell’ordine<br />

e dei Vig<strong>il</strong>i del fuoco, che si prodigano senza<br />

risparmio al servizio della collettività.<br />

Ma c’è un’altra ragione d’ordine politico in<br />

quanto chiama in causa proprio gli obiettivi che<br />

l’esecutivo intende perseguire. Le misure, infatti,<br />

sono finalizzate a dare un impulso alla ripresa<br />

dei settori produttivi, realizzando nel<br />

contempo un miglioramento delle retribuzioni<br />

I temi dell’Ici e della<br />

detassazione hanno<br />

dominato quasi sempre la<br />

campagna elettorale, nel<br />

senso che – a torto o a<br />

ragione a seconda dei<br />

punti di vista – <strong>il</strong> PdL ne<br />

ha continuamente parlato,<br />

senza infingimenti di<br />

alcun tipo.<br />

come corrispettivo di un maggior impegno lavorativo.<br />

Nelle aziende private esistono le condizioni<br />

strutturali perché lo scambio tra lavoro e<br />

retribuzione avvenga con riferimento a dati<br />

reali. In altre parole, è la regola principale del<br />

mercato a far sì che i datori di lavoro eroghino<br />

aumenti (provenienti dai b<strong>il</strong>anci delle loro<br />

aziende) soltanto a fronte di una migliore prestazione<br />

(quali-quantitativa) dei loro dipendenti.<br />

Nella pubblica amministrazione, purtroppo,<br />

la realtà è diversa. Il ministro Renato Brunetta<br />

ha affermato che le misure di detassazione<br />

verranno estese anche ai dipendenti pubblici<br />

nella misura in cui <strong>il</strong> loro trattamento complessivo<br />

sarà sim<strong>il</strong>e a quello dei lavoratori privati.<br />

Brunetta sa benissimo che da almeno 15 anni<br />

lo stato giuridico del pubblico impiego è regolato<br />

dal diritto comune, mentre le controversie<br />

sono affidate alla giurisdizione ordinaria. Quel


ATTRAVERSANDO<br />

IL VENTESIMO SECOLO<br />

... con un poco di garbo e di educata spavalderia<br />

Autore: Franzi Mosetti<br />

Pagine: 357<br />

Prima Edizione: Autunno 2007<br />

Prezzo: 20 euro<br />

Franzi Mosetti è nato, insieme al gemello W<strong>il</strong>ly nel 1914,<br />

all’inizio della Grande Guerra, a Trieste. La famiglia passò<br />

gli anni successivi in Carinzia rientrando a Trieste solo nel<br />

1919. Franzi Mosetti qui visse e studiò fino al 1932, poi<br />

prese la maturità a Vienna dopo essersi perfezionato in<br />

tedesco. Alle dipendenze del Lloyd, lavorò per vari anni<br />

in Egitto, rientrando poi, nel 1940, per arruolarsi, e trovandosi<br />

così a partecipare al grande conflitto mondiale.<br />

Fatto prigioniero fu fortunosamente rimpatriato dopo un<br />

anno e mezzo. In Italia riprese <strong>il</strong> suo posto al Loyd Triestino,<br />

poi dopo ulteriori drammatiche vicende, alla fine<br />

della guerra riuscì a riabbracciare i suoi fratelli, tutti ufficiali<br />

ma sotto diverse e contrapposte bandiere e a terminare<br />

gli studi per laurearsi in Scienze Politiche. Fu farmer in Kenia<br />

per nove anni, dove sposò Sonia, la sua coraggiosa<br />

fidanzata da cui ebbe <strong>il</strong> figlio Carlo. Abbandonarono l’Africa,<br />

all’indipendenza del Kenia, dopo che anni di guerriglia<br />

Mau Mau avevano reso ingovernab<strong>il</strong>e quel paese.<br />

Rientrato in patria fu prima alla direzione della Bosch, poi<br />

Direttore degli Affari Generali della Ciga, e infine imprenditore<br />

di successo nel settore delle attrezzature magnetiche.<br />

Oggi che si dichiara a riposo, dopo aver attraversato<br />

fortunosamente i pericoli del ventesimo secolo, con un<br />

poco di garbo e di educata spavalderia, come si legge in<br />

questo straordinario libro di memorie; ritrae fiori ad acquarello<br />

e coltiva, con allegra attenzione, i rapporti con i<br />

suoi moltissimi amici in Italia e nel mondo… ed un piccolo<br />

giardino in Franciacorta, vicino a Brescia.<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

48<br />

e c o n o m i a<br />

lo del ministro, dunque, è un ragionamento che<br />

va oltre <strong>il</strong> formalismo giuridico; pone invece un<br />

problema di sostanza, innanzi tutto politica.<br />

Non sarebbe credib<strong>il</strong>e, infatti, un ministro che<br />

un minuto dopo <strong>il</strong> giuramento nelle mani del<br />

Capo dello Stato esprime pubblicamente giudizi<br />

severissimi sulla situazione della pubblica<br />

amministrazione e si impegna a realizzare radicali<br />

cambiamenti in breve tempo, ma che la<br />

prima volta in cui è chiamato a dar prova di voler<br />

cambiare linea di condotta si trasforma in un<br />

avvocato dei dipendenti pubblici, come facevano<br />

i vecchi ministri democristiani della funzione<br />

pubblica (e magari anche qualcuno della seconda<br />

Repubblica). Ma poi chi ha detto che<br />

quanto è corrisposto ai dipendenti privati debba<br />

esserlo anche a quelli pubblici (soprattutto<br />

se si è ancora nell’ambito della sperimentalità)?<br />

Ad andarli a cercare con cura e pazienza<br />

troveremmo diversi casi in cui <strong>il</strong> meccanismo di<br />

adesso ha escluso i travet, senza sollevare<br />

una presa di posizione contraria della Corte, la<br />

quale assume come «luce e guida» delle proprie<br />

sentenze <strong>il</strong> criterio della ragionevolezza.<br />

Cominciamo dal super bonus ovvero dall’incentivo<br />

a rinviare <strong>il</strong> pensionamento: dal bendiddio<br />

che è derivato agli optanti era totalmente<br />

escluso <strong>il</strong> pubblico impiego per diversi motivi,<br />

non ultimo quello dell’ammontare delle risorse<br />

disponib<strong>il</strong>i. A tale «limitazione» va aggiunta<br />

la pratica impossib<strong>il</strong>ità – di cui soffrono i<br />

funzionari pubblici – di conferimento volontario<br />

del trattamento di fine servizio a finalità di previdenza<br />

complementare. Da ultima viene quello<br />

che l’opposizione definisce un atto contro le<br />

donne che lavorano. In sostanza, dal momento<br />

che le lavoratrici non effettuano lavoro<br />

straordinario - prese come sono dalle loro responsab<strong>il</strong>ità<br />

fam<strong>il</strong>iari - si sostiene che esse non<br />

avranno alcun vantaggio dalle nuove norme.<br />

Premesso che insieme allo straordinario sono<br />

coinvolti dalla detassazione anche i premi<br />

aziendali, basterebbe confutare la critica di genere<br />

sottolineando che – portando alle estreme<br />

conseguenze <strong>il</strong> ragionamento – ogni miglioramento<br />

retributivo favorirebbe gli uomini essendo<br />

loro – purtroppo – la componente assolutamente<br />

maggioritaria del mercato del lavoro.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à e c o n o m i a<br />

La politica industriale<br />

tra delocalizzazione ed immigrazione<br />

di Pierluigi Borghini<br />

Il governo dovrà permettere al Paese di contare<br />

su una politica industriale seria e convincente.<br />

Non si può più temporeggiare: la classe<br />

imprenditoriale lo richiede a gran voce e<br />

tutta la società italiana ne ha fortemente bisogno.<br />

Approntare una politica industriale efficace<br />

non è però operazione fac<strong>il</strong>e. Un ottimo<br />

punto di partenza sarà comprendere l’importanza<br />

di due questioni fondamentali: la delocalizzazione<br />

delle imprese e l’importazione<br />

regolamentata di manodopera qualificata, individuando<br />

aree di influenza strategica sulle<br />

quali intervenire. Sono questi due aspetti r<strong>il</strong>evanti<br />

e strettamente interconnessi, che aiuterebbero<br />

le imprese italiane a guadagnare in<br />

termini di competitività in uno scenario internazionale<br />

sempre più complesso e concorrenziale.<br />

Come se ciò non bastasse, delocalizzare<br />

e importare manodopera qualificata<br />

sono due operazioni che avrebbero ricadute<br />

positive anche su altri aspetti della vita sociale<br />

dei cittadini. In primo luogo sulla gestione<br />

dell’immigrazione clandestina, che diventerebbe<br />

più fac<strong>il</strong>e e più rispondente alle effettive<br />

esigenze delle nostre aziende in termini di posti<br />

di lavoro vacanti.<br />

L’internazionazione produttiva ha da sempre<br />

costituito un’importante modalità attraverso<br />

cui le imprese si sono rapportate allo scenario<br />

internazionale. Alla luce della globalizzazione<br />

dei mercati e della spietata concorrenza,<br />

delocalizzare è ormai diventato addirittura<br />

imprescindib<strong>il</strong>e: è spesso un’esigenza vitale<br />

per la sopravvivenza dell’impresa stessa<br />

in uno scenario sempre più competitivo.<br />

Questo è vero anche perché, tramite gli investimenti<br />

diretti all’estero, è possib<strong>il</strong>e per<br />

un’impresa aumentare la propria competitivi-<br />

50<br />

tà con un più efficiente ut<strong>il</strong>izzo delle risorse e<br />

una maggiore prossimità con i mercati finali.<br />

In particolare è necessario favorire la delocalizzazione<br />

di tutte quelle attività che hanno<br />

nei costi energetici e ambientali, oltre che<br />

nella manodopera non qualificata, gli oneri<br />

essenziali del proprio lavoro. Questo significa<br />

ut<strong>il</strong>izzare risorse naturali, umane e ambientali,<br />

nei paesi che possono essere considerati<br />

- mi si passi <strong>il</strong> termine forte - «le colonie<br />

di questo nuovo impero».<br />

I numeri spiegano meglio di ogni altro discorso<br />

i vantaggi portati dalla delocalizzazione. È ut<strong>il</strong>e<br />

in proposito analizzare i dati del Rapporto Annuale<br />

Ice-Istat 2006-2007. Le imprese che investono<br />

all’estero hanno un tasso di crescita<br />

del fatturato in Italia di quasi <strong>il</strong> 10% maggiore di<br />

quello che avrebbero non investendo, e un aumento<br />

della produttività superiore al 5%. Questi<br />

effetti benefici, oltretutto, non si traducono in<br />

una perdita di occupazione in Italia. Se analizziamo<br />

gli ultimi dieci anni, notiamo come le imprese<br />

italiane abbiano già progressivamente<br />

aumentato la loro apertura internazionale: <strong>il</strong>


e c o n o m i a<br />

flusso di investimenti esteri in uscita dal nostro<br />

paese si è attestato a quota 42 m<strong>il</strong>iardi di dollari<br />

nel 2006, un valore stab<strong>il</strong>e rispetto all’anno<br />

precedente, ma quasi raddoppiato rispetto al<br />

2004. Tuttavia <strong>il</strong> peso dell’internazionalizzazione<br />

produttiva nell’economia italiana rimane ancora<br />

contenuto se confrontato con quello degli<br />

altri paesi europei, Francia e Germania in primis.<br />

Sono ad esempio solo tre le multinazionali<br />

italiane non finanziarie tra le prime 100 per investimenti<br />

all’estero: Eni (29°), Telecom (31°) e<br />

Fiat (33°).<br />

Un’altra caratteristica penalizzante per <strong>il</strong> nostro<br />

paese è la frattura che si registra fra Nord e<br />

Sud: mentre al Settentrione e al Centro ha delocalizzato<br />

<strong>il</strong> 4,8% delle imprese manufatturiere,<br />

al Meridione e nelle Isole questa percentuale<br />

crolla all’1,6%. Le aree di maggiore insediamento<br />

delle imprese italiane sono quelle<br />

dell’Unione europea, dell’Europa balcanica e<br />

dell’Asia orientale. Tra i principali settori di attività<br />

delle imprese che hanno delocalizzato si<br />

trovano ancora quelli tipici del made in Italy:<br />

cuoio e pelli (8,5%), apparecchiature elettriche<br />

(7,6%), tess<strong>il</strong>e e abbigliamento (6,6%), apparecchi<br />

meccanici (6,2%) e mezzi di trasporto<br />

(5%).<br />

Negli ultimi mesi si sono notati incoraggianti<br />

segnali di apertura da parte del nostro paese<br />

verso investimenti stranieri. La compagnia<br />

elettrica Enel - ad esempio - costruirà in Albania<br />

una centrale termoelettrica alimentata a<br />

carbone da 1.300 megawatt; la centrale, oltre<br />

a soddisfare la domanda interna, servirà <strong>il</strong><br />

mercato italiano quando saranno realizzate le<br />

nuove linee di interconnessione tra i due paesi.<br />

L’Italia costruirà inoltre un nuovo sistema<br />

energetico in Libia, Tunisia e Algeria, e comparteciperà<br />

in Russia e Romania in centrali<br />

energetiche tradizionali e nucleari. Questi sono<br />

indicatori importanti, ma non bastano, soprattutto<br />

se continuano ad essere casi isolati e<br />

non inquadrati in una logica complessiva più<br />

ampia. Tutti questi sforzi devono poi consentire<br />

alle imprese italiane di ut<strong>il</strong>izzare parte di<br />

questa energia, a bassi costi, per far sì che <strong>il</strong><br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

51<br />

nostro sistema industriale possa essere competitivo<br />

nel mondo.<br />

Sarà inoltre fondamentale dare nuovo mandato<br />

alla Società Italiana per le Imprese all’Estero,<br />

per far sì che torni ad investire nelle aree<br />

dove è stata tagliata questa possib<strong>il</strong>ità. Va comunque<br />

sottolineato che si registra la necessità<br />

di alcuni interventi di rinnovamento della SI-<br />

MEST, sia sul fronte dei prodotti-servizi, sia su<br />

quello dell’organizzazione interna. I prodottiservizi,<br />

ad esempio, andranno rivisitati semplificando<br />

alcune procedure troppo burocratiche<br />

per le piccole e medie imprese; per quanto riguarda<br />

l’organizzazione interna, è auspicab<strong>il</strong>e<br />

una diversa struttura organizzativa che «deverticizzi»<br />

la concentrazione dei processi decisionali,<br />

valorizzando le competenze manageriali a<br />

vantaggio di una migliore reattività e flessib<strong>il</strong>ità<br />

dell’azione dell’Ente.<br />

Un’altra caratteristica<br />

penalizzante per <strong>il</strong> nostro<br />

paese è la frattura che si<br />

registra fra Nord e Sud:<br />

mentre al Settentrione e<br />

al Centro ha delocalizzato<br />

<strong>il</strong> 4,8% delle imprese<br />

manufatturiere, al<br />

Meridione e nelle Isole<br />

questa percentuale crolla<br />

all’1,6%.<br />

Delocalizzare non basta quindi per avere<br />

una politica industriale convincente per <strong>il</strong><br />

paese, ma è un primo passo indispensab<strong>il</strong>e.<br />

È necessaria una strategia chiara e definita<br />

sul versante energetico, delle comunicazioni<br />

e del trasporto aereo, e accompagnare a<br />

questo disegno una delocalizzazione p<strong>il</strong>otata


e un’importazione di risorse umane allo stesso<br />

modo gestita e non subita. E qui arriviamo<br />

al secondo punto fondamentale che dovrà<br />

caratterizzare la nuova politica industriale:<br />

individuare un’area di influenza sulla quale<br />

intervenire per poi poter importare manodopera<br />

qualificata. Potrebbero essere interessati<br />

ad un’operazione del genere i paesi<br />

nordafricani e quelli dell’Est europeo. Con<br />

queste nazioni sarà necessario studiare dei<br />

meccanismi di collaborazione imprenditoriale<br />

e formativa che ci consentano di vedere<br />

all’insieme dell’apparato non come la sommatoria<br />

di realtà diverse tra loro, ma come<br />

fosse un unico grande sistema industriale,<br />

ovvero quel «nuovo impero» al quale facevo<br />

riferimento in precedenza.<br />

Tutto ciò deve essere fatto avvalendoci delle<br />

potenzialità proprie di questi paesi, che potrebbero<br />

compensare i limiti del nostro, principalmente<br />

in 3 direzioni: grandi risorse naturali, situazioni<br />

non degradate per quanto riguarda<br />

l’impatto ambientale e costi di manodopera più<br />

bassi. Tutto ciò che in Italia manca o è diffic<strong>il</strong>mente<br />

reperib<strong>il</strong>e, noi lo possiamo trovare in<br />

questi altri paesi, con i quali inizieremo un percorso<br />

di partnership. Per fare tutto questo è però<br />

imprescindib<strong>il</strong>e organizzare, all’interno di<br />

queste nazioni, una formazione civica, umana<br />

e professionale, che consenta di importare manodopera<br />

e allo stesso tempo di regolamenta-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à e c o n o m i a<br />

52<br />

re l’immigrazione. I due aspetti sono strettamente<br />

interconnessi: le delocalizzazioni sono<br />

l’unica vera risposta per dare lavoro nei paesi<br />

di origine a quei lavoratori che, avendo le capacità<br />

ed essendo competitivi nel costo della<br />

produttività, vengono in Italia perché <strong>il</strong> nostro<br />

paese non è stato capace di strutturare e incrementare<br />

la sua capacità di dare lavoro all’estero.<br />

In questa direzione sarà fondamentale una politica<br />

di formazione e realizzazione di posti di<br />

lavoro all’estero, specialmente nei paesi come<br />

la Romania, la Bulgaria, l’Ucraina e negli Stati<br />

nordafricani, che sono naturali partner di questo<br />

tipo di approccio. A suo tempo la Regione<br />

Lazio provò ad andare in questa direzione, ma<br />

si trattava di una politica regionale, quindi come<br />

tale poco credib<strong>il</strong>e e di piccole dimensioni<br />

rispetto al fenomeno. È necessario, se vogliamo<br />

ripristinare un corretto rapporto con quei<br />

paesi, far investire i nostri imprenditori in quelle<br />

aree, delocalizzando essenzialmente attività<br />

produttive manifatturiere.<br />

In questo modo sarà possib<strong>il</strong>e ristab<strong>il</strong>ire quell’equ<strong>il</strong>ibrio<br />

dei flussi migratori che negli ultimi<br />

anni è completamente saltato e che è alla base<br />

anche della convivenza civ<strong>il</strong>e fra i popoli.<br />

Oggi in Italia, ad esempio, viviamo <strong>il</strong> problema<br />

dell’immigrazione clandestina, ma allo stesso<br />

tempo si registrano le difficoltà degli immigrati<br />

regolari che hanno bisogno di case e scuole<br />

per i loro figli. Allo stesso tempo, nei paesi di<br />

origine degli immigrati c’è <strong>il</strong> problema opposto:<br />

non si trova più manodopera. I nostri imprenditori<br />

in questi paesi sono spesso costretti ad importare<br />

lavoratori dal Bangladesh, e questo è<br />

paradossale.<br />

Il fenomeno dell’immigrazione va gestito in modo<br />

diverso da come finora si è fatto. Per troppi<br />

anni si è pensato solo al riempimento di una<br />

sorta di «sacca» terza e distaccata dal mondo<br />

civ<strong>il</strong>e. È necessario al contrario prevedere dei<br />

percorsi di ingresso nel tessuto sociale, che<br />

devono essere gestiti non solo dalle forze dell’ordine,<br />

ma inquadrati in un piano di accompa-


e c o n o m i a<br />

gnamento che non può che essere gestito dalle<br />

organizzazioni cattoliche e di volontariato,<br />

che permettano di individuare e seguire nel loro<br />

percorso di integrazione i singoli cittadini<br />

stranieri. È necessario creare nel nostro paese<br />

un consiglio nazionale per l’immigrazione, che<br />

abbia <strong>il</strong> compito di gestire l’opera del volontariato<br />

e i rapporti con le forze dell’ordine per<br />

quanto riguarda i cittadini stranieri.<br />

Bisogna porre l’attenzione alla formazione degli<br />

individui già nella fase di pre-partenza dai<br />

loro Paesi, aiutandoli già prima di sbarcare sul<br />

nostro suolo a diventare dei potenziali cittadini<br />

italiani. Insegnamento della lingua, delle leggi,<br />

e formazione professionale in loco sono condizioni<br />

necessarie per aiutare l’immigrato nell’integrazione<br />

una volta che raggiungerà <strong>il</strong> suolo<br />

italiano: questo può essere fatto anche attraverso<br />

lo strumento della cooperazione internazionale,<br />

fermo restando <strong>il</strong> ruolo imprescindib<strong>il</strong>e<br />

delle organizzazioni di volontariato nel momento<br />

in cui queste persone sbarcano sul suolo italiano.<br />

Nel nostro paese deve poi esistere un’anagrafe<br />

dell’immigrato, <strong>il</strong> quale deve accettare di frequentare<br />

corsi e fasi di inserimento p<strong>il</strong>otate. Se<br />

si sottrae a tutto questo, deve essere rimpatriato.<br />

I tutor che seguiranno <strong>il</strong> singolo individuo<br />

in questo percorso devono essere formati e<br />

forniti dalle associazioni di volontariato. Il flusso,<br />

a livello numerico, deve essere regolato in<br />

funzione delle necessità, valutate in proiezione<br />

annuale. Provvedimenti come quello che programma<br />

di far entrare solo chi ha già un posto<br />

di lavoro, mediante l’ufficio del lavoro, è diffic<strong>il</strong>e<br />

da far rispettare: è chiaro che questo flusso<br />

viene evaso nelle sue dimensioni. Cosa si fa se<br />

<strong>il</strong> mercato richiede un numero maggiore di cittadini<br />

stranieri?<br />

L’Italia non può più essere un paese privo<br />

una politica industriale seria, chiara e convincente.<br />

Per cinquant’anni nel nostro paese<br />

si è fatta politica industriale solo attraverso le<br />

società pubbliche, e questo non solo non è<br />

più accettab<strong>il</strong>e, ma è anacronistico rispetto<br />

ad uno scenario mondiale che negli ultimi<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

53<br />

anni si è profondamente modificato. La politica<br />

industriale seria e al passo con i tempi di<br />

cui <strong>il</strong> paese ha bisogno si basa sulla competizione<br />

internazionale, sulla partnership con<br />

altri paesi e sull’individuazione di aree strategiche<br />

di influenza. Solo in questo modo le<br />

imprese italiane potranno delocalizzare le attività<br />

più onerose traendone enorme vantaggio,<br />

e allo stesso tempo avvalersi di una manodopera<br />

che viene sì dall’estero, ma tramite<br />

un flusso regolato e preceduto da un grande<br />

lavoro a monte nei paesi di provenienza<br />

dei lavoratori.<br />

Nel nostro paese deve<br />

esistere un’anagrafe<br />

dell’immigrato, <strong>il</strong> quale<br />

deve accettare di<br />

frequentare corsi e fasi di<br />

inserimento p<strong>il</strong>otate.<br />

L’auspicio è che la politica industriale venga<br />

delineata con chiarezza, e che siano coinvolte<br />

in maniera importante anche società come<br />

Enel, Eni, Telecom e Alitalia. È per questi motivi<br />

che è importante che la nostra compagnia di<br />

bandiera, <strong>il</strong> cui destino è ancora poco chiaro,<br />

mantenga una quota italiana forte; ed è per le<br />

stesse ragioni che è vitale la presenza, all’interno<br />

del principale gestore telefonico del nostro<br />

paese, adesso delle banche e successivamente<br />

di gruppi finanziari italiani. Approntare<br />

una politica industriale capace di risollevare le<br />

sorti dell’Italia è impresa ardua. L’auspicio è<br />

che <strong>il</strong> governo, che può contare su una maggioranza<br />

parlamentare tale da assumere decisioni<br />

importanti, compia dei passi decisi in questa<br />

direzione consegnando al paese gli strumenti<br />

necessari per realizzarla.


e c o n o m i a<br />

La prevedib<strong>il</strong>e impennata della richiesta di produzione<br />

d’energia rivolta al nucleare di fissione<br />

vede l’Italia in ottima posizione sul piano<br />

dell’ingegneria di progettazione. La coordinazione<br />

per lo sv<strong>il</strong>uppo di una delle sei f<strong>il</strong>iere selezionate<br />

dal Forum «Generation IV» (quella<br />

raffreddata a piombo) è affidata al nostro Paese,<br />

che ha saputo assumere un ruolo di leadership,<br />

grazie ai brevetti della Del Fungo Giera<br />

Energia SpA. Le ricadute tecnologiche e<br />

progettuali di quest’attività possono influenzare<br />

anche l’evoluzione, ancora in corso, dei<br />

reattori sottocritici. Le soluzioni proposte in<br />

quest’ambito sono, per di più, applicab<strong>il</strong>i anche<br />

in altri campi della produzione energetica.<br />

Da anni, in Italia, s’è anche sv<strong>il</strong>uppata la progettazione<br />

di piccoli impianti pressurizzati, oggi<br />

all’attenzione da parte dell’iniziativa «Global<br />

Nuclear Energy Partnership» (alla quale l’Italia<br />

partecipa); una via aperta sulla quale è opportuno<br />

e proficuo continuare. In queste importanti<br />

realtà si possono trovare le soluzioni alla<br />

dipendenza energetica del nostro Paese e la<br />

possib<strong>il</strong>ità di giocare un ruolo importante nello<br />

scenario futuro del nucleare di fissione eco sostenib<strong>il</strong>e.<br />

Fruendo di quanto è sopravvissuto, è<br />

anche possib<strong>il</strong>e pensare ad un r<strong>il</strong>ancio dell’industria<br />

nucleare italiana, con tutte le importanti<br />

ricadute occupazionali che ne deriverebbero.<br />

L’ipotesi strategica per un «piano di rinascita»<br />

fondata su queste realtà, concrete e<br />

disponib<strong>il</strong>i, può essere così riassunta.<br />

Note ragioni hanno provocato la perdita della<br />

competitività tecnologica dell’industria italiana<br />

per gli attuali prodotti del mercato nucleare. È<br />

tuttavia possib<strong>il</strong>e disegnare un efficace piano<br />

di rientro, approfittando del fatto che l’industria<br />

internazionale tende ad offrire sistemi certa-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Il Nucleare di IV generazione<br />

di Luigi De Vecchis<br />

55<br />

mente ben verificati ma con scarso grado d’innovazione.<br />

È necessario, per questo, impegnarsi<br />

nello sv<strong>il</strong>uppo di soluzioni innovative.<br />

Per non perdere altro tempo e cogliere l’opportunità<br />

offerta dalla crescente richiesta di<br />

nucleare nel mondo e r<strong>il</strong>anciare l’industria nucleare<br />

italiana, si devono concentrare le risorse<br />

nello sv<strong>il</strong>uppo delle nuove tecnologie.<br />

La comunità internazionale ha attivato da tempo<br />

un processo di selezione per individuare le<br />

linee di progetto più promettenti per <strong>il</strong> nuovo<br />

nucleare di fissione che soddisfano tutte le<br />

esigenze di sicurezza, compatib<strong>il</strong>ità ambientale<br />

e sostenib<strong>il</strong>ità tecnologica ormai ben stab<strong>il</strong>ite<br />

negli ultimi quarant’anni d’esercizio delle<br />

grandi centrali di produzione d’energia. S’è a<br />

tal fine costituito, nel 2001, un forum («Generation<br />

IV»-The Generation IV International Forum<br />

- GIF) che ha selezionato, tra oltre cento<br />

proposte, sei «f<strong>il</strong>iere», definite appunto «di<br />

quarta generazione», oggetto, in tutto <strong>il</strong> mondo,<br />

d’attività di Ricerca e Sv<strong>il</strong>uppo. L’Italia<br />

compartecipa a quest’iniziativa come membro<br />

Euratom. Un quadro di sintesi dello stato di<br />

questa iniziativa è descritto nell’Allegato 1.<br />

In ambito GIF, <strong>il</strong> ruolo italiano è d’eccellenza<br />

nello sv<strong>il</strong>uppo del reattore raffreddato a piombo<br />

(identificato come ELSY - European Leadcooled<br />

SYstem) che promette per <strong>il</strong> sistema<br />

Italia una posizione di assoluto r<strong>il</strong>ievo. Le innovative<br />

soluzioni tecniche individuate per <strong>il</strong><br />

progetto ELSY si stanno dimostrando molto interessanti<br />

anche per altri progetti sul nucleare<br />

di fissione, quali ESFR (appartenente a GIF),<br />

IP-EUROTRANS (progetto europeo per la trasmutazione).<br />

Il contributo della parte italiana in Euratom (1),


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

nell’ambito di Generation IV è massimamente<br />

concentrato sul progetto di un reattore europeo<br />

raffreddato a piombo: lo European Leadcooled<br />

SYstem (ELSY).<br />

Le caratteristiche di base del progetto ELSY<br />

sono (2):<br />

1. L’ut<strong>il</strong>izzo del Piombo fuso come liquido di<br />

raffreddamento: un fluido che, al contrario del<br />

Sodio, non reagisce con l’acqua né con l’aria.<br />

Ciò costituisce un notevole passo avanti in<br />

Legenda per gli acronimi più ut<strong>il</strong>izzati<br />

ANL Argonne National Laboratory – USA<br />

APAT Agenzia per la Protezione dell'Ambiente<br />

e per i Servizi Tecnici<br />

CP-ESFR Collaborative Project of European<br />

Sodium Fast Reactor<br />

CIRTEN Consorzio Interuniversitario per la<br />

Ricerca TEcnologica Nucleare<br />

DOE Department Of Energy – USA<br />

ELSY European Lead-cooled System<br />

ENEA Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e<br />

l'Ambiente<br />

FA Framework Agreement<br />

GEVACO GEneratore di VApore Compatto<br />

GFR Gas-Cooled Fast Reactor System<br />

GIF Generation IV International Forum<br />

GNEP Global Nuclear Energy Partnership<br />

IRIS International Reactor Innovative and<br />

Secure<br />

IP-EUROTRANS Integrated Project - EUROpean<br />

Research Programme for the<br />

TRANSmutation of High Level Nuclear<br />

Waste in an Accelerator Driven System<br />

LLNL Lawrence Livermore National Laboratori<br />

LFR Lead-Cooled Fast Reactor System<br />

JRC Joint Research Centre – Euratom<br />

MSR Molten Salt Reactor System<br />

NRC Nuclear Regolatory Commission – USA<br />

SA System Arrangement .<br />

SCWR SuperCritical Water-Cooled Reactor<br />

System<br />

SFR Sodium-Cooled Fast Reactor System<br />

SSTAR Small Secure Transportable Autonomous<br />

Reactor<br />

SUNRISE Southeast UNiversities Reactors Institute<br />

for Science and Education<br />

VHTR Very-High-Temperature Reactor System<br />

TPP Technology P<strong>il</strong>ot Plant<br />

56<br />

e c o n o m i a<br />

termini di sicurezza e quindi anche un’enorme<br />

semplificazione dal punto di vista impiantistico.<br />

2. Una soluzione originale per i circuiti per lo<br />

scambio di calore, che consente, a parità di<br />

potenza, una sostanziale riduzione dei volumi.<br />

3. Un disegno di grande semplicità e modularità<br />

del reattore e, quindi, una riduzione dei<br />

costi costruttivi e gestionali.<br />

4. Un reattore capace di riciclare e bruciare la<br />

maggior parte delle scorie responsab<strong>il</strong>i della<br />

radioattività nel lungo termine.<br />

Il risultato tecnico sin qui ottenuto (3) è stato<br />

tale da assicurare non solo <strong>il</strong> sostegno in ambito<br />

comunitario, ma, di recente, anche l’impegno<br />

da parte del DOE (Department Of Energy<br />

- USA) a sottoscrivere (con Euratom) un accordo<br />

di sv<strong>il</strong>uppo della tecnologia per i reattori<br />

raffreddati a piombo (4) e la Russia.<br />

Il generatore di vapore proposto per ELSY può<br />

essere applicato con profitto anche ad altri<br />

contesti, ed in particolare al solare termodinamico,<br />

offrendo così l’opportunità per un interessante<br />

spin-of della nuova tecnologia. La soluzione<br />

proposta si verifica essere molto conveniente<br />

(5); dato l’elevato livello d’innovazione<br />

è anche opportuno effettuare un’estensiva<br />

campagna sperimentale di conferma, come<br />

già indicato nell’idea progettuale «GEVACO»<br />

proposta per « Industria 2015».<br />

La presenza italiana in Euratom ha consentito<br />

un’intensa partecipazione di quanto di «nucleare»<br />

è sopravvissuto nel nostro Paese alle<br />

attività di «Generation IV»: la frontiera più<br />

avanzata per <strong>il</strong> nucleare ecologicamente compatib<strong>il</strong>e;<br />

inevitab<strong>il</strong>e soluzione nei prossimi scenari<br />

per l’approvvigionamento energetico. Il<br />

successo di tale partecipazione è stato davvero<br />

eclatante. Il progetto più innovativo e promettente<br />

(che sta influenzando le strategie di<br />

numerosi Paesi, quali Stati Uniti, Giappone,<br />

Russia e Svizzera) è di matrice italiana: ELSY.<br />

Le soluzioni tecniche individuate si dimostra-


e c o n o m i a<br />

no di grande interesse anche in altre applicazioni,<br />

sia nel nucleare (IRIS, IP-EURO-<br />

TRANS, ESFR) che nel solare termico (GE-<br />

VACO). È dunque evidente l’opportunità di focalizzare<br />

gli interessi e le risorse disponib<strong>il</strong>i<br />

per <strong>il</strong> rientro dell’Italia nelle prossime attività di<br />

produzione energetica pulita sullo schema già<br />

così apprezzato ed attivo in sede internazionale:<br />

ELSY. Tenendo anche in conto tutti gli<br />

importanti «effetti collaterali» derivati da tale<br />

progetto.<br />

Si pone in evidenza una nuova linea produttiva:<br />

* Per un programma di breve - medio termine<br />

<strong>il</strong> reattore ELSY. Raffreddato a piombo<br />

fuso, esso può essere pronto per <strong>il</strong> mercato<br />

entro circa 6 anni. Può essere considerato<br />

la soluzione a grande diffusione (per semplicità<br />

costruttiva, per taglia e per sicurezza<br />

intrinseca) nei prossimi cinquant’anni.<br />

* Per un programma di lungo termine l’aumento<br />

della potenza<br />

Nell’Allegato 2 è indicato per grandi linee un<br />

possib<strong>il</strong>e programma d’attività da sv<strong>il</strong>uppare<br />

nell’ambito delle collaborazioni internazionali<br />

già in essere. Altre collaborazioni, invece, dovranno<br />

essere attivate, con i seguenti obiettivi:<br />

* Progetto e costruzione del primo impianto<br />

di 300 MWE raffreddato a piombo e poi<br />

passare a 600 MWE<br />

* L’attivazione, nel 2008, da modo di certificare<br />

la costruzione del primo impianto industriale<br />

e la successiva produzione industriale<br />

in serie d’impianti, a partire dal 2014. È<br />

già stato costruito un primo reattore p<strong>il</strong>ota<br />

che alla data attuale, 28 maggio 2008, già<br />

lavora da più di 6000 ore<br />

* Sv<strong>il</strong>uppo e progetto di un circuito termoidraulico<br />

dedicato al solare termico.<br />

Si vuole osservare che in Italia esistono ancora<br />

(nonostante l’effetto devastante prodotto<br />

dallo stop al nucleare) varie organizzazioni<br />

(Allegato 2) che hanno esperienza in questi<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

57<br />

settori di alta tecnologia e che, se opportunamente<br />

potenziate, possono garantire la rinascita<br />

del sistema Italia nel nucleare.<br />

Allegato 1<br />

Stato degli accordi internazionali Generation<br />

IV<br />

Sette paesi hanno già firmato <strong>il</strong> Framework<br />

Agreement (FA) di Generation IV International<br />

Forum (GIF) e sono tuttora attivi:<br />

1. Euratom; 2. USA; 3. Francia; 4. Giappone;<br />

5. Republic of Korea; 6. Canada; 7. Svizzera.<br />

A questi, recentemente, si è aggiunta la Cina.<br />

In un prossimo futuro è attesa la firma del Framework<br />

Agreement anche da parte della Russia.<br />

Nella Tabella 1 sono riportati i sei sistemi nucleari<br />

selezionati:<br />

I Paesi impegnati nello sv<strong>il</strong>uppo di uno di questi<br />

sistemi hanno firmato un System Arrangement<br />

(SA).<br />

Generation IV Systems Acronimo<br />

Gas-Cooled Fast Reactor System GFR<br />

Lead-Cooled Fast Reactor System LFR<br />

Molten Salt Reactor System MSR<br />

Sodium-Cooled Fast Reactor System SFR<br />

Supercritical Water-Cooled Reactor System SCWR<br />

Very-High-Temperature Reactor System VHTR<br />

GFR SFR SCWR VHTR<br />

Euratom x x x x<br />

USA x x<br />

Francia x x x<br />

Giappone x x x x<br />

Canada x x<br />

Svizzera x x<br />

Rep. Di Korea x x<br />

Tabella 1<br />

Tabella 2


Fino ad oggi sono stati firmati quattro SA, relativi<br />

ai progetti: GFR, SFR, SCWR, SCWR.<br />

La Tabella 2 riporta quali SA sono stati sottoscritti<br />

dai diversi partecipanti a GIF.<br />

Da notare che:<br />

* Tutti i Paesi sono interessati al progetto<br />

VHTR, poiché tale reattore (nelle versioni a<br />

più bassa temperatura) è già stato costruito<br />

in varie unità e perchè è <strong>il</strong> più adatto per la<br />

produzione d’idrogeno (6).<br />

* Euratom sostiene tutti i sistemi, perché deve<br />

rappresentare i molteplici interessi nazionali<br />

europei.<br />

* Gli USA sostengono solo i progetti VHTR e<br />

SFR, e considerano quest’ultimo come<br />

«impianto strategico» per <strong>il</strong> futuro. Tuttavia,<br />

dopo gli ultimi sv<strong>il</strong>uppi del progetto ELSY,<br />

essi hanno manifestato l’interesse a sottoscrivere<br />

<strong>il</strong> System Arrangement di LFR.<br />

Con loro, anche Giappone e (probab<strong>il</strong>mente)<br />

Svizzera (7).<br />

* L’impegno italiano nello sv<strong>il</strong>uppo del progetto<br />

ELSY è determinante (8).<br />

Allegato 2<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Nonostante la devastazione provocata dallo<br />

stop al nucleare sul tessuto produttivo italiano,<br />

alcune realtà sopravvivono e, se ben finalizzate,<br />

possono costituire un’ottima base di r<strong>il</strong>ancio<br />

per <strong>il</strong> futuro.<br />

Forse non è inut<strong>il</strong>e ricordarne alcune.<br />

Principali organizzazioni italiane tuttora attive<br />

nel nucleare<br />

* Ansaldo Nucleare S.p.A. attiva nella progettazione<br />

e forniture per centrali nucleari e<br />

nel decommissioning & waste management.<br />

Ha recentemente ricevuto una commessa<br />

da Toshiba-Westinghouse per forniture<br />

nell’ambito della realizzazione del primo<br />

AP1000 (Gen III) in Cina.<br />

58<br />

e c o n o m i a<br />

* Ansaldo Camozzi è attiva nella realizzazione<br />

di grossi componenti per centrali nucleari<br />

e, in particolare, ha fornito i generatori<br />

di vapore della Centrale di Palo Verde, i<br />

più grandi mai costruiti.<br />

* CIRTEN è un consorzio universitario costituito<br />

da Politecnico di M<strong>il</strong>ano, Politecnico di<br />

Torino, Università di Padova, Palermo, Pisa<br />

and Roma «La Sapienza». Le Università Italiane<br />

sono ancora in grado di formare ingegneri<br />

nucleari di alto livello che in gran numero<br />

si trasferiscono a lavorare all’estero.<br />

* Del Fungo Giera Energia S.pA è una Società<br />

di recente costituzione attiva nel nuovo<br />

nucleare innovativo con ritmo di presentazioni<br />

di domande di brevetto di circa una<br />

ogni tre mesi.<br />

* ENEL è particolarmente attiva all’estero<br />

con acquisizione di importanti partecipazioni<br />

nucleari in Repubblica Slovacca, Spagna,<br />

Francia.<br />

* ENEA è attiva nella R&S sui reattori innovative<br />

ed i cicli del combustib<strong>il</strong>e avanzati.<br />

Svolge l’attività anche attraverso le società<br />

partecipate (SIET, Cesi Ricerca, Nucleco).<br />

Le istallazioni di prova SIET costituiscono<br />

un centro di eccellenza internazionale per<br />

prove in appoggio ai reattori raffreddati ad<br />

acqua.<br />

I laboratori di ENEA del Brasimone costituiscono<br />

un centro di eccellenza internazionale<br />

per prove in appoggio ai reattori raffreddati<br />

a piombo.<br />

* SOGIN è incaricata delle attività di decommissioning<br />

degli impianti nucleari italiani e<br />

del waste management.<br />

* SRS ha capacità, in campo nucleare, sia a<br />

livello progettuale che a livello di sv<strong>il</strong>uppo di<br />

sistemi e componenti innovativi.


e c o n o m i a<br />

Note<br />

(1) Le organizzazioni italiane che partecipano<br />

ad ELSY sono: Ansaldo Nucleare S.pA,<br />

CESI RICERCA, CIRTEN, Del Fungo Giera<br />

Energia S.p.A ed ENEA. La Del Fungo<br />

Giera Energia S.p.A. è <strong>il</strong> coordinatore tecnico<br />

(2) L. Cinotti - «Progress Reports of the LFR<br />

Euratom Co-ordination meeting on GEN<br />

IV»; Bruxelles: 6 December 2007.<br />

(3) EUROPEAN COMMISSION: Euratom Coordination<br />

meeting on GEN IV; P. FRIGO-<br />

LA - DG Joint Research Centre (JRC) -<br />

Bruxelles December 6th, 2007.<br />

(4) I brevetti della Del Fungo Giera Energia<br />

costituiscono l’asse portante del progetto<br />

ELSY. La DFGE si trova ad essere l’industria<br />

leader in una delle poche tecnologie<br />

promosse in ambito Generation IV. I brevetti<br />

permettono anche importanti spin off,<br />

sia su altre f<strong>il</strong>iere nel campo nucleare, che<br />

nel solare termodinamico.<br />

(5) Un recente confronto fatto per l’impianto<br />

solare di Priolo tra la soluzione classica<br />

prevista da ENEL e la soluzione innovativa<br />

proposta da Del Fungo Giera Energia<br />

S.p.A. indica la possib<strong>il</strong>ità di ridurre la<br />

quantità di acciaio da 40 tonnellate a 4 tonnellate.<br />

(6) L’interesse per <strong>il</strong> VHTR è tuttavia discutib<strong>il</strong>e,<br />

perché <strong>il</strong> sistema è molto costoso e non<br />

risolve <strong>il</strong> problema delle scorie.<br />

(7) Record of the 22nd Meeting of the Policy<br />

Group of the Generation IV International<br />

Forum; Gyeongju, Republic of Korea, 29-<br />

30 November 2007.<br />

(8) I brevetti della Del Fungo Giera Energia<br />

sono l’asse portante del progetto ELSY. Tali<br />

brevetti coprono le parti più importanti<br />

dell’impianto, in particolare i progetti: a)<br />

dell’elemento combustib<strong>il</strong>e: b) del sistema<br />

primario: c) dei generatori di vapore: d) dei<br />

sistemi di movimentazione del combustib<strong>il</strong>e<br />

fresco e di quello esaurito: e) dei sistemi<br />

di evacuazione del calore dal primario e<br />

dall’elemento combustib<strong>il</strong>e durante la movimentazione.<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

59<br />

AVANTI MARCH!<br />

Cronache fam<strong>il</strong>iari dal Ventennio<br />

Autore: Mario Scaffidi Abbate<br />

Pagine: 332<br />

Prima Edizione: Primavera 2007<br />

Prezzo: 20 euro<br />

“C’è chi dice che <strong>il</strong> passato va ricordato solo per costruire<br />

<strong>il</strong> futuro, non per una resa dei conti, che comporterebbe<br />

nuovi odi e nuove lacrime, dividendo ancora di più gl’Italiani,<br />

altri invece osservano che se non si fanno una<br />

buona volta i conti è diffic<strong>il</strong>e che le cose possano cambiare,<br />

che è meglio che tutte le verità e tutte le obiezioni<br />

vengano allo scoperto, non per avv<strong>il</strong>ire grandi tragedie<br />

del passato, innestandole nella politica odierna, ma per<br />

ricordarle senza reticenze ipocrite”.<br />

Mario Scaffidi Abbate è nato a Brescia nel 1926. Docente<br />

di letteratura italiana e accademico tiberino, ha collaborato<br />

a diversi programmi della RAI in particolare con<br />

sceneggiati di carattere storico e linguistico di grande<br />

successo. Ha ricevuto in Campidoglio <strong>il</strong> Premio Nazionale<br />

Excelsior e <strong>il</strong> Premio Nazionale Roma Alma Mater e nel<br />

1994 è stato chiamato a far parte del “Comitato Ministeriale<br />

per la salvaguardia della lingua italiana”. Attualmente<br />

dirige <strong>il</strong> periodico CULTURA organo ufficiale dell’Istituto<br />

Europeo per le Politiche Culturali e Ambientali, di cui è Vicepresidente.<br />

Accanto a molte opere originali - fra cui La<br />

Virtù, Caos, La scuola di Babele, Il mitico numero 7, Il<br />

mondo dello yoga, L’Italia dei Caffè (di cui recentemente<br />

è andato in onda un suo breve sceneggiato su Rai 1) -<br />

ha pubblicato, con la Newton Compton, numerose e apprezzate<br />

traduzioni di testi latini e greci - fra cui Tutte le<br />

opere di Orazio, l’Eneide, Le commedie di Terenzio i Dialoghi<br />

di Seneca, alcune delle Vite parallele di Plutarco, oltre<br />

ai Consigli per i politici e L’arte di saper ascoltare.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Concluso l’adempimento degli obblighi previsti<br />

dalla legge italiana con la cessione delle Gen-<br />

Co (società di produzione cedute in ottemperanza<br />

al Decreto 79/99) e di Terna (società che<br />

gestisce la rete di trasmissione nazionale), e<br />

forte di una posizione finanziaria particolarmente<br />

solida, anche a seguito della focalizzazione<br />

sul core business e la conseguente cessione<br />

di Wind, negli ultimi anni Enel si è concentrata<br />

sulla strategia di internazionalizzazione<br />

attraverso numerose acquisizioni all’estero,<br />

in particolare Est Europa, Russia e Spagna.<br />

Nel febbraio 2005 Enel ha acquistato <strong>il</strong> 66%<br />

della società elettrica Slovenské Elektrárne<br />

(SE), <strong>il</strong> maggior produttore di energia elettrica<br />

della Slovacchia ed <strong>il</strong> secondo dell’Europa<br />

Centro-orientale, con una capacità di 7.000<br />

megawatt. Ad apr<strong>il</strong>e dello stesso anno sono<br />

state acquisite anche le società di distribuzione<br />

Electrica Banat ed Electrica Dobrogea che insieme<br />

rappresentano quasi <strong>il</strong> 20% del mercato<br />

elettrico della Romania con oltre 1 m<strong>il</strong>ione e<br />

400 m<strong>il</strong>a clienti.<br />

Nel 2006, Enel si è aggiudicata la gara per la<br />

rete elettrica di Bucharest, confermandosi come<br />

operatore leader in Romania ed ha rafforzato<br />

anche la propria presenza in Bulgaria,<br />

consolidando <strong>il</strong> controllo di una importante centrale<br />

a lignite.<br />

Nel 2007, Enel è entrata nell’upstream del gas<br />

naturale in Russia attraverso una joint venture<br />

con Eni per lo sv<strong>il</strong>uppo e l’estrazione di gas in<br />

Siberia.<br />

Nello stesso anno, ha acquisito una partecipazione<br />

r<strong>il</strong>evante in OGK-5, prima società di generazione<br />

russa ad essere privatizzata, che<br />

dispone di circa 8.700 MW b<strong>il</strong>anciati tra gas e<br />

carbone.<br />

Sempre nel 2007, Enel, dopo aver bloccato <strong>il</strong><br />

60<br />

e c o n o m i a<br />

Enel:<br />

una multinazionale italiana dell’energia<br />

di Alessandro Luciano<br />

tentativo di scalata da parte di E.On su Endesa,<br />

lancia, insieme al socio spagnolo Acciona,<br />

un’OPA sulla prima società iberica, conclusasi<br />

con <strong>il</strong> raggiungimento del controllo congiunto di<br />

Endesa. Oltre a r<strong>il</strong>evanti asset in Spagna nella<br />

generazione, distribuzione e vendita di energia<br />

elettrica (14.000 MW e 8 m<strong>il</strong>ioni di clienti), Endesa<br />

vanta una presenza importante in America<br />

Latina con circa 8 m<strong>il</strong>ioni di clienti e 10.000<br />

MW.<br />

Nel 2008, infine, a valle dell’OPA residuale su<br />

OGK-5, Enel si è assicurata <strong>il</strong> controllo della<br />

società ed è <strong>il</strong> primo investitore straniero verticalmente<br />

integrato in Russia nel settore<br />

energia.<br />

Con questa importante serie di acquisizioni<br />

Enel ha consolidato <strong>il</strong> suo posizionamento nel<br />

panorama europeo come secondo operatore<br />

integrato in paesi caratterizzati da un’elevata<br />

crescita economica, con particolare r<strong>il</strong>evanza<br />

in Est Europa ed, in prospettiva, nel Mediterraneo.<br />

In tale bacino Enel punta a stab<strong>il</strong>ire delle im


e c o n o m i a<br />

portanti relazioni industriali contando sulla vocazione<br />

dell’Italia ad essere, per sua stessa<br />

conformazione geografica, un «ponte» verso<br />

l’Europa.<br />

La politica industriale di Enel mira a costituire<br />

delle partnership solide e durature con i Paesi<br />

del Mediterraneo, che con la crescita dei grandi<br />

colossi asiatici ha ritrovato una grande centralità<br />

come crocevia degli scambi commerciali<br />

con l’Oriente.<br />

Enel, che da azienda a forte caratterizzazione<br />

nazionale è mutata in vera e propria multinazionale<br />

dell’energia, punta ora ad accedere direttamente<br />

alle fonti energetiche primarie, i<br />

combustib<strong>il</strong>i per le proprie centrali, e ad integrarsi<br />

verticalmente per poter competere su<br />

scala globale.<br />

In tale ottica, l’Est Europa ed <strong>il</strong> Mediterraneo rivestono<br />

un ruolo strategico. Basti pensare che<br />

la quasi totalità delle importazioni di gas naturale<br />

dell’Italia provengono dalla Russia, attraversando<br />

molti paesi dell’ex-blocco sovietico e<br />

dei Balcani, e dall’Algeria, attraverso <strong>il</strong> gasdotto<br />

sottomarino Transmed.<br />

In questi paesi Enel ha già stretto relazioni industriali<br />

con i giganti dell’energia Gazprom e<br />

Sonatrach. Oltre al già citato ingresso nell’upstream<br />

del gas in Russia attraverso la partecipazione,<br />

in joint venture con Eni, all’asta per gli<br />

asset dell’ex-gigante russo degli idrocarburi<br />

Yukos, Enel sta sv<strong>il</strong>uppando in partnership con<br />

Sonatrach e con altri investitori italiani ed esteri<br />

<strong>il</strong> progetto Galsi (acronimo di Gasdotto Algeria<br />

Sardegna Italia): la realizzazione di una pipeline<br />

lunga 900 ch<strong>il</strong>ometri che collegherà l’Italia<br />

con l’Algeria attraversando la Sardegna,<br />

con un investimento previsto dell’ordine di 2<br />

m<strong>il</strong>iardi di euro. Questo progetto fornisce un<br />

importante contributo ad aumentare la sicurezza<br />

e la flessib<strong>il</strong>ità del sistema di approvvigionamento<br />

di gas naturale dell’Italia che registra un<br />

forte aumento della domanda ed una esposizione<br />

sempre più sb<strong>il</strong>anciata verso l’Est Europa.<br />

L’intesa raggiunta costituisce un ulteriore<br />

passo nella strategia di Enel volta a crescere<br />

nell’intera f<strong>il</strong>iera del gas e consolida la partnership<br />

con <strong>il</strong> colosso algerino Sonatrach.<br />

Le partnership industriali con Paesi tipicamen-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

61<br />

te produttori di combustib<strong>il</strong>i foss<strong>il</strong>i (gas, petrolio)<br />

sono un fattore chiave per diversificare <strong>il</strong> rischio<br />

geopolitico di approvvigionamento delle<br />

fonti di energia primaria quali gas e petrolio e<br />

per poter realizzare congiuntamente le infrastrutture<br />

energetiche locali e di interconnessione<br />

con <strong>il</strong> continente europeo.<br />

Particolare attenzione, inoltre, viene data da<br />

Enel al trasferimento di tecnologie innovative e<br />

sostenib<strong>il</strong>i in paesi caratterizzati da elevatissimi<br />

tassi di crescita.<br />

La politica industriale di<br />

Enel mira a costituire<br />

delle partnership solide e<br />

durature con i Paesi del<br />

Mediterraneo, che con la<br />

crescita dei grandi colossi<br />

asiatici ha ritrovato una<br />

grande centralità come<br />

crocevia degli scambi<br />

commerciali con l’Oriente.<br />

Oltre che impegnarsi sul fronte della lotta al<br />

cambiamento climatico nei paesi in cui è già<br />

presente, Enel mira a estendere e rendere disponib<strong>il</strong>i<br />

le sue migliori tecnologie amiche dell’ambiente<br />

per limitare l’impatto che <strong>il</strong> repentino<br />

sv<strong>il</strong>uppo dei paesi dell’area Mediterranea e del<br />

Medio Oriente potrebbe avere a livello globale<br />

in un’ottica di contenimento complessivo dei<br />

gas serra.<br />

Tra le principali aree di azione: le rinnovab<strong>il</strong>i, in<br />

particolare <strong>il</strong> solare termodinamico con <strong>il</strong> progetto<br />

«Archimede», fonte di estremo interesse<br />

per i paesi del Nord Africa; l’eolico, <strong>il</strong> carbone<br />

pulito e le strategie di cattura e sequestro della<br />

CO2; <strong>il</strong> contatore elettronico telegestito e teleletto,<br />

come tecnologia d’avanguardia per la gestione<br />

efficiente del carico delle reti elettriche di<br />

trasporto e distribuzione.<br />

Su questi ed altri temi, Enel ha siglato un Me


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

morandum of Undestanding con l’agenzia governativa<br />

Saudi Arabian General Investment Authority<br />

(Sagia) con l’obiettivo di sv<strong>il</strong>uppare <strong>il</strong> programma<br />

denominato «Economic cities». Un piano<br />

che prevede la costruzione di sei nuove città<br />

in aree periferiche con l’obiettivo di riequ<strong>il</strong>ibrare<br />

lo sv<strong>il</strong>uppo economico del Regno Saudita. Al<br />

tempo stesso, è una delle più grandi iniziative<br />

mai tentate di crescita urbanistica, sociale ed<br />

economica strategicamente pianificata con l’adozione<br />

delle soluzioni più avanzate e competitive<br />

in ogni campo: dall’ed<strong>il</strong>izia, ai trasporti, all’energia.<br />

Le sei nuove città «sostenib<strong>il</strong>i» saranno<br />

dotate delle più moderne tecnologie «verdi» e di<br />

reti e servizi energetici all’avanguardia.<br />

Enel è stata individuata come partner di eccellenza<br />

per questo ambizioso progetto, grazie al<br />

suo riconosciuto know how e alla sua capacità<br />

di innovazione nel settore dell’energia elettrica.<br />

L’accordo raggiunto costituisce per Enel e per<br />

l’Italia una importante occasione per rafforzare<br />

la collaborazione con uno dei Paesi chiave per<br />

<strong>il</strong> futuro energetico del pianeta.<br />

Una terza linea di azione di Enel per i Paesi<br />

dell’Est Europa e del Mediterraneo è rappresentata<br />

dall’investimento diretto in queste aree<br />

per poter superare alcune barriere del «non fare»<br />

in Italia trainando le imprese italiane sue<br />

fornitrici e non verso l’estero. Sempre più investitori<br />

internazionali guardano con interesse<br />

i paesi del bacino come interessanti opportunità<br />

di investimento per la realizzazione di<br />

quelle infrastrutture che, per impatti ambientali<br />

reali o presunti o per complicazioni autorizzative<br />

e burocratiche, diventano sempre più<br />

una «corsa ad ostacoli» nei rispettivi paesi di<br />

appartenenza.<br />

La realizzazione diretta di siti produttivi in aree<br />

limitrofe e l’importazione di quota parte della<br />

produzione attraverso infrastrutture di interconnessione<br />

è un’alternativa interessante che offre<br />

maggiori certezze nella realizzazione degli<br />

impianti di generazione elettrica. Il costo delle<br />

infrastrutture di interconnessione non rappresenta,<br />

nella maggior parte dei casi, un aggravio<br />

aggiuntivo rispetto ai costi dei ritardi nella<br />

realizzazione degli impianti.<br />

In tale direzione, Enel è stata selezionata in<br />

62<br />

e c o n o m i a<br />

Grecia come miglior offerente per la realizzazione<br />

di una centrale a ciclo combinato ad alta<br />

efficienza ed ha acquisito anche 200 MW di<br />

impianti eolici.<br />

In Albania, Enel ha siglato un Memorandum of<br />

Understanding con <strong>il</strong> Ministero dell’Economia<br />

locale per lo sv<strong>il</strong>uppo di una centrale a carbone<br />

pulito da 800 MW, dotata delle migliori tecnologie<br />

ambientali, e la realizzazione di una interconnessione<br />

che consentirà di importare<br />

una quota r<strong>il</strong>evante della produzione in Italia. In<br />

Romania è stato avviato lo sv<strong>il</strong>uppo di nuova<br />

capacità di produzione, per la realizzazione di<br />

nuove centrali a carbone pulito.<br />

Infine, Enel punta a «fare sistema» con le imprese<br />

nazionali per supportare la loro internazionalizzazione<br />

nel settore dell’energia.<br />

Il tessuto industriale italiano, caratterizzato<br />

principalmente da Piccole e Medie Imprese<br />

può beneficiare dell’espansione estera dei<br />

grandi gruppi nazionali stab<strong>il</strong>endo accordi per <strong>il</strong><br />

supporto e la collaborazione nelle aree di presenza<br />

estera.<br />

In tal senso, Enel ed ANIE, l’associazione dei costruttori<br />

elettrici aderente a Confindustria, hanno<br />

sv<strong>il</strong>uppato progetti per la reciproca promozione<br />

nei mercati esteri, lo scambio di informazioni e<br />

dati finalizzati ad una migliore conoscenza dei<br />

mercati di comune interesse e la ricerca ed identificazione<br />

di soluzioni che garantiscano l’ottimizzazione<br />

delle infrastrutture elettriche.<br />

Infine, un supporto essenziale, soprattutto in<br />

settori con alto valore strategico, come quello<br />

dell’energia, dovrà venire dalla politica e dalle<br />

Istituzioni nazionali al fine di stab<strong>il</strong>ire relazioni<br />

di lungo periodo con i Paesi dell’Est Europa e<br />

del bacino del Mediterraneo e per preparare <strong>il</strong><br />

campo per l’azione delle imprese nazionali.


storia<br />

Nel 1949, la Cina di Mao Zedong ritiene come<br />

suoi obiettivi primari per la sicurezza nazionale<br />

<strong>il</strong> controllo diretto della Mongolia, dello Xinjiang<br />

e del Tibet. Nel novembre del 1949, l’anno<br />

stesso in cui <strong>il</strong> Partito Comunista Cinese consolida<br />

la sua vittoria sul Kuomintang di Chiang<br />

Kaishek, le FF.AA, penetrano nel Tibet settentrionale.<br />

Una delegazione del Tibet, nel maggio<br />

1951 (1), si reca a Pechino per siglare un trattato<br />

di pace e di autonomia per <strong>il</strong> territorio tibetano,<br />

i «17 punti» che i cinesi non onorano.<br />

Con le dimostrazioni del 1959, che vengono represse<br />

dalle FF.AA. cinesi in un bagno di sangue,<br />

si arriva ad una accettazione di fatto, da<br />

parte delle amministrazioni USA, della sovranità<br />

cinese sul territorio tibetano con una correlata<br />

richiesta di maggiore attenzione ai diritti<br />

umani della maggioranza-minoranza tibetana<br />

da parte delle autorità di Pechino. Una quadratura<br />

del cerchio.<br />

Ma la logica della presenza cinese in Tibet riguarda<br />

<strong>il</strong> concetto strategico e geopolitica di<br />

«Grande Cina», che diviene un criterio comune<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Tibet:<br />

anello centrale della «grande Cina»<br />

di Marco Giaconi<br />

65<br />

nel dibattito tra i Decisori del PCC. Per «Grande<br />

Cina», come si evince in una carta geografica<br />

edita dagli USA nel 1944, si intende l’area<br />

tradizionale dell’»Impero di Mezzo» con l’aggiunta<br />

della Mongolia Esterna, della Manciuria,<br />

dello Xinjiang e del Tibet, appunto (2). Una nota<br />

del governo cinese nel maggio 1950 identifica<br />

i confini montuosi della «Grande Cina» con<br />

la catena dell’Himalaya, le montagne del<br />

Tianshan e la catena dei monti Shikote Akin.<br />

Dagli anni ‘70 in poi, la «Grande Cina» è un<br />

concetto che riguarda, per i Decisori cinesi,<br />

una stretta comunione di intenti, soprattutto<br />

economici, tra Hong Kong, Taiwan e la madrepatria.<br />

Ma, per la classe dirigente cinese, l’economia<br />

è l’antefatto della geopolitica.<br />

Per alcuni teorici cinesi contemporanei, la<br />

«Grande Cina» è <strong>il</strong> raggiungimento della massa<br />

critica territoriale che permette la massima<br />

elasticità e <strong>il</strong> migliore sv<strong>il</strong>uppo dell’economia di<br />

Pechino, e altri ritengono che la «Grande Cina»<br />

debba divenire, con l’entrata di Singapore<br />

in questo network, l’asse di un «mercato comune<br />

cinese» che elimina barriere tariffarie e<br />

permette la libera mob<strong>il</strong>ità della forza-lavoro e<br />

dei capitali all’interno di questo nuovo asse<br />

strategico e geoeconomico. E <strong>il</strong> Tibet è essenziale<br />

a questo processo, oltre ad essere <strong>il</strong> punto<br />

di snodo strategico del controllo da parte<br />

della Cina della penisola indiana e dell’area<br />

centroasiatica dello SCO, Shangai Cooperation<br />

Organization. D’altro canto, l’integrazione<br />

del Tibet e degli altri territori-cuscinetto nella<br />

«Grande Cina» permette una operazione culturale<br />

e identitaria della attuale dirigenza di Pechino:<br />

la costruzione di uno spazio «di comune<br />

civ<strong>il</strong>tà cinese» caratterizzato da una cultura<br />

«pan-cinese», un modello di soft power molto<br />

sim<strong>il</strong>e alle tentazioni panturaniche turche nell’Asia<br />

Centrale, fino appunto allo Xinkiang (3).


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Ma che cosa percepisce come minaccia, oggi,<br />

l’élite cinese? È questo quello che dobbiamo<br />

definire per capire cosa sta accadendo e soprattutto<br />

cosa accadrà in futuro in Tibet. Per alcuni<br />

dirigenti cinesi, la sicurezza strategica di<br />

Pechino riguarda «aree vicine al confine cinese,<br />

e non ci sono al momento pericoli credib<strong>il</strong>i di<br />

invasione del territorio nazionale, ma le altre<br />

potenze globali hanno situazioni ai confini maggiormente<br />

sicure, mentre Pechino analizza situazioni<br />

di instab<strong>il</strong>ità nel Kashmir, in Afghanistan,<br />

nella penisola coreana e nel Mar Cinese<br />

meridionale, oltre che negli Stretti di Taiwan, e<br />

tutte queste zone di instab<strong>il</strong>ità fortemente ifluiscono<br />

sulla percezione della sicurezza strategica<br />

del PCC» (4). Quindi <strong>il</strong> Tibet è essenziale per<br />

Pechino: da esso si controllano le evoluzioni (o<br />

le criticità) dell’Afghanistan e si gestisce la continuità<br />

di controllo strategico verso <strong>il</strong> Kashmir e<br />

l’area himalayana della «Grande Cina».<br />

L’India, per la Cina contemporanea, è un problema.<br />

Nel 1954 lo scambio commerciale tra i<br />

due paesi fu sospeso a causa delle tensioni<br />

confinarie, che anche allora riguardavano <strong>il</strong> Tibet.<br />

L’India, percepita dal PCC come «inferiore»<br />

nel processo di sv<strong>il</strong>uppo e globalizzazione<br />

successivo alla guerra fredda, potrebbe divenire<br />

<strong>il</strong> referente strategico del Tibet autonomo, ed<br />

è questo che turba i sonni dell’élite comunista<br />

di Pechino. Fra l’altro, negli anni più recenti l’India<br />

si è rivelata un forte competitore della Cina<br />

È nel Tibet che si<br />

incontrano, fin dalle<br />

prime fasi della Cina<br />

maoista, tutte le vie<br />

terrestri di controllo e<br />

gestione della proiezione<br />

cinese di potenza sulla<br />

massa eurasiatica<br />

maggiore.<br />

66<br />

storia<br />

per <strong>il</strong> petrolio e <strong>il</strong> gas naturale in Angola, in Sudan,<br />

in Ecuador, in Nigeria e nel Kazakhistan.<br />

Ma la collaborazione in questo settore ha portato,<br />

nel 2005, all’acquisizione dei campi petroliferi<br />

siriani detenuti da PetroCanada, ma l’aumento<br />

dei prezzi degli idrocarburi e la possib<strong>il</strong>ità<br />

per la CFina di essere messa fuori da alcuni<br />

mercati petroliferi da parte dell’India è un<br />

punto critico per la prosecuzione dello sv<strong>il</strong>uppo<br />

economico impetuoso di Pechino in questi anni.<br />

La competizione tra Cina e India perviene<br />

inoltre alla suddivisione attuale delle due aree<br />

di influenza: la Cina proietta la sua global strategy<br />

nell’Asia Meridionale, mentre l’India sta<br />

programmando una sua penetrazione stab<strong>il</strong>e<br />

nell’Asia Orientale (5).<br />

La strategia della «collana di perle» che la Cina<br />

intende sv<strong>il</strong>uppare intorno a sé, dall’isola di<br />

Hainan a Woody Island, da Chittagong a Sitwe,<br />

nel Myanmar, da Gwadar nel Pakistan agli<br />

stretti di Malacca, fino al Golfo Persico, la Cina<br />

sta costruendo la securizzazione delle sue linee<br />

di comunicazione m<strong>il</strong>itari-civ<strong>il</strong>i e commerciali.<br />

Che hanno assoluto bisogno di essere del<br />

tutto «coperte sul piano terrestre, e <strong>il</strong> Tibet è<br />

l’asse del passaggio di queste linee di securizzazione<br />

terrestre della «Grande Cina» (6).<br />

Ed è nel Tibet che si incontrano, fin dalle prime<br />

fasi della Cina maoista, tutte le vie terrestri di<br />

controllo e gestione della proiezione cinese di<br />

potenza sulla massa eurasiatica maggiore.<br />

Dalla firma del trattato sino-indiano del 1954,<br />

iniziarono i lavori che portarono alla costruzione<br />

(terminata nel 1975) (7) di due strade che<br />

collegavano Lhasa alla Cina interna: la Sechuan-Tibet,<br />

che va dalla capitale del Chinai<br />

Chengtu, passa in tutte le aree orientali del Tibet<br />

prima di arrivare a Lhasa. La seconda Strada<br />

M<strong>il</strong>itare cinese, che da Sining arriva anch’essa<br />

fino a Lhasa. è stata completata da<br />

tempo la strada Yunnan-Tibet, e a Shigatse, in<br />

connessione/contrasto strategico con la equivalente<br />

base aerea indiana nel Ladakh, opera<br />

un comando interarma dell’Armata Popolare<br />

Cinese che gestisce tutta la rete avanzata di<br />

basi e di sensori cinesi nel sud e nel sudest<br />

dell’Himalaya, controllando quindi i confini del<br />

Bhutan, del Sikkim, del Nepal e del ladakh (8).


storia<br />

Vi sono poi notizie, mai confermate pubblicamente,<br />

secondo le quali la Cina, fin dai tempi<br />

degli scontri sull’Ussuri con l’URSS nel 1969,<br />

avrebbe trasferito le sue strutture nucleari dal<br />

poligono di Lop Nor, considerato troppo vicino<br />

all’URSS, verso località segrete del Tibet, <strong>il</strong> che<br />

sarebbe peraltro giustificato nel quadro della<br />

suaccennata strategia della «collana di perle»<br />

(9). Vi sono comunque stazioni radar evolute<br />

cinesi a Chuang Teng Tze (Mongolia interna)<br />

Nangheng Tagyori e Phutak Zolling (in Tibet) e<br />

una stazione di identificazione dei miss<strong>il</strong>i avversari<br />

nel «Tibet occidentale» (10). Quindi,<br />

per parafrasare la vecchia formula della geopolitica<br />

di Mackinder, «chi controlla <strong>il</strong> Tibet domina<br />

<strong>il</strong> territorio alla base della catena dell’Himalaya,<br />

chi domina la costa dell’Himalaya minaccia<br />

<strong>il</strong> subcontinente indiano, e chi minaccia<br />

<strong>il</strong> subcontinente indiano può fac<strong>il</strong>mente avere<br />

sotto controllo tutta l’Asia meridionale, e quindi<br />

tutta l’Asia»(11).<br />

Le FF.AA. cinesi in Tibet hanno sostanzialmente<br />

due funzioni: difendere i confini della Madrepatria<br />

e sopprimere ogni fermento indipendentista<br />

tibetano, che potrebbe richiamare interventi<br />

esterni e rendere porosa la sicurezza terrestre<br />

della Cina, producendo così la debolezza<br />

strutturale della proiezione di potenza cinese<br />

verso i mari regionali orientali e, di converso,<br />

una debolezza strutturale di Pechino verso<br />

<strong>il</strong> Giappone rendere conseguentemente diffic<strong>il</strong>e<br />

la futura riunione di Taiwan alla madrepatria.<br />

E inoltre, la Cina intende competere, fin dai<br />

tempi di Mao ZXedong, con l’India per gestire<br />

relazioni preferenziali con gli stati himalayani.<br />

E, di conseguenza, la Cina ha sempre favorito<br />

regimi nazionalisti autonomi nella buffer zone<br />

tra Tibet e India: le rivolte nel Sikkim, nel Kashmir,<br />

nel Nagaland, e nel supporto di Pechino al<br />

nazionalismo antindiano negli stati himalayani.<br />

In una situazione del genere, in cui l’India attuale<br />

si proietta nei mari meridionali verso occidente<br />

e evita di ut<strong>il</strong>izzare come mezzo di propaganda<br />

<strong>il</strong> suo modello induista-pluralista, <strong>il</strong><br />

maggior obiettivo delle numerose forze armate<br />

cinesi di stanza in Tibet è quello di sostenere lo<br />

sforzo diplomatico di Pechino nella regione<br />

dell’Himalaya, per isolare l’India e allargare la<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

67<br />

sicurezza della «Grande Cina». Quindi, pensare<br />

che la Cina r<strong>il</strong>asci la presa in Tibet, è del tutto<br />

irragionevole. Certamente, <strong>il</strong> danno di immagine<br />

per Pechino della persistenza e della radicalità<br />

della rivolta nazionalista tibetana è r<strong>il</strong>evante,<br />

qualunque sia <strong>il</strong> periodo di durata della<br />

repressione violenta dei moti tibetani. Ma Pechino<br />

non mollerà tanto fac<strong>il</strong>mente, e le pressioni<br />

dell’Occidente scivoleranno via come un<br />

tè verde dello Yunnan.<br />

Gli scenari successivi alla «pacificazione» tacitiana<br />

della rivolta in Tibet potranno essere, per<br />

la Cina, i seguenti: 0a) una nuova riedizione<br />

della «strategia del sorriso», preceduta da una<br />

stretta nei rapporti commerciali b<strong>il</strong>aterali con i<br />

Paesi che maggiormente hanno sostenuto la<br />

rivolta tibetana, b) una nuova selezione, da<br />

parte di Pechino, degli «amici» e dei «nemici».<br />

Il che comunque avrà per epicentro <strong>il</strong> controllo<br />

delle reti commerciali indiane, che probab<strong>il</strong>mente<br />

saranno penetrate da un capitale cinese,<br />

«grigio» o «bianco» particolarmente aggressivo,<br />

e tale da creare un rallentamento della<br />

crescita economica del subcontinente indiano.<br />

Una guerra commerciale coperta tra India e<br />

Cina, senza esclusione di colpi e che avrà come<br />

obiettivo i mercati euroamericani nei quali<br />

India e Cina perseguono strategia di penetrazione<br />

sim<strong>il</strong>i. Una terza opzione c) riguarda la<br />

possib<strong>il</strong>ità da parte della élite cinese, dopo la<br />

crisi tibetana, di aprire un nuovo meccanismo<br />

di rapporto tra centro e periferia della «Grande<br />

Cina», seguendo l’esempio del processo di liberalizzazione<br />

economica e di crescita ecce


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

zionale del PIl che riuscì a riassorbire la rivolta<br />

di Tienanmen del 1989.<br />

Una alternativa ulteriore è invece quella di una<br />

forte «rieducazione» al nazionalismo da parte<br />

del PCC verso la sua opinione pubblica e un<br />

conseguente depopolamento forzato, con le<br />

buone o le cattive, del Tibet come di altre aree<br />

particolarmente riottose della campagne, quelle<br />

che secondo Lin Biao dovevano «accerchiare<br />

le città del mondo». In ogni caso, la situazione<br />

tibetana ha dimostrato che l’ingenua equazione<br />

crescita economica=maggiore democratizzazione<br />

è una sciocchezza. Tanto maggiore sarà<br />

la crescita economica cinese nei prossimi anni,<br />

invece, tanto maggiore sarà la propaganda nazionalista,<br />

identitaria, di orgogliosa forza m<strong>il</strong>itare<br />

che Pechino mostrerà in futuro.<br />

Il «supplemento d’anima» per l’impetuoso sv<strong>il</strong>uppo<br />

economico cinese non è la democrazia<br />

di massa, ma sarà certamente <strong>il</strong> ritorno dell’etica<br />

gerarchica e orgogliosamente han (e razzista)<br />

che ha caratterizzato <strong>il</strong> confucianesimo, e<br />

che infatti viene diffusa in forti dosi attraverso<br />

tutti i mass-media cinesi. E <strong>il</strong> correlato oggettivo<br />

del confucianesimo di Partito sarà <strong>il</strong> ritrovato<br />

orgoglio m<strong>il</strong>itare e nazionalistico. Se <strong>il</strong> Tibet<br />

sarà «risolto» da Pechino in tempo ut<strong>il</strong>e, certamente<br />

la durata di Taiwan come stato indipendente<br />

diminuisce.<br />

Soluzioni? Nessuna credib<strong>il</strong>e. Sia l’UE che gli<br />

USA sono legati a f<strong>il</strong>o doppio alla economia e<br />

alla finanza cinesi, e in una situazione come<br />

quella attuale, di recessione globale, nessuno<br />

si metterà contro Pechino. Per convincere la Cina,<br />

casomai, occorrerebbe una posizione avanzata<br />

NATO verso i confini terrestri di Pechino,<br />

con alleanze stab<strong>il</strong>i e affidab<strong>il</strong>i con i Paesi confinanti<br />

himalayani e non. Ma anche questa via è<br />

chiusa, la Shangai Cooperation Organization è<br />

ormai funzionante, dopo gli esercizi m<strong>il</strong>itari comuni<br />

dell’Estate 2007 (12), e gli stati interstiziali<br />

tra Cina e India sono diffic<strong>il</strong>mente gestib<strong>il</strong>i da<br />

un potere esterno a quel quadrante strategico,<br />

nel quale la Cina riattiverebbe in un attimo le attuali<br />

guerriglie «maoiste» come in Nepal o nel<br />

Kashmir. Ma <strong>il</strong> fallimento dell’umanitarismo democratico,<br />

che non salverà una sola vita tibetana,<br />

deve far pensare all’Europa e agli USA che,<br />

68<br />

come affermava Machiavelli, i profeti disarmati<br />

«ruinorno», mentre quelli armati «vinsono».<br />

Note<br />

storia<br />

1. Guangqiu Xu, The United States and the Tibet<br />

Issue, «Asian Survey», Vol. 37, n. 11, November<br />

1997<br />

2. U.S. Office for Strategic Service, Greater<br />

China, Washington D.C., da FOIA CIA<br />

3. David Yen-ho Wu, The construction of Chinese<br />

and Non-Chinese identities, in «Dedalus,<br />

vol. 120, n. 2, 1991<br />

4. Dong Fanxiao, Knowing and seeking change,<br />

in «Xiandai Guoji Guangxi» (Contemporary<br />

International Relations» n. 4, apr<strong>il</strong>e 2003<br />

5. Susan L. Craig, Chinese Perceptions of traditional<br />

and nontraditional security threats,<br />

Strategic Studies Institute, Carlisle Barracks,<br />

March 2007<br />

6. Intellibriefs, China’s «String of pearls» Strategy,<br />

1 Apr<strong>il</strong> 2007,<br />

www.intellibriefs/blogspot.com<br />

7. Radio Lhasa, 9 September 1975<br />

8. Dawa Norbu, Strategic development in Tibet,<br />

implications for its neighbours, «Asian Survey»,<br />

vol. 19, n. 3 Marzo 1979<br />

9. Le uniche voci sull’argomento furono raccolte<br />

dalla Tibetan Review, nel numero di Agosto-<br />

Settembre del 1969, pp.5-6.<br />

10. Per <strong>il</strong> report completo delle reti m<strong>il</strong>itari cinesi<br />

(dell’epoca) in Tibet, v. la Tibetan Review,<br />

Marzo 1974, pp-4-5.<br />

11. George Ginsborg e Michael Matho, Communist<br />

China and Tibet: The first dozen years,<br />

The hague, Nijoff, 1964.<br />

12. The Rising Dragon, SCO Peace Mission<br />

2007 Jamestown Foundation, Washington<br />

D.C., 19 October 2007.


storia<br />

In questi drammatici anni, le nazioni occidentali<br />

che si sono assunte <strong>il</strong> compito di affrontare<br />

una sfida terrorista di proporzioni inaudite e<br />

qualitativamente diversa dal tradizionale ricorso<br />

all’uso del terrore, si sono trovate di fronte a<br />

una duplice difficoltà.<br />

La prima era una difficoltà «prevista», quella<br />

legata al controllo dei territori nei quali si è sv<strong>il</strong>uppata<br />

e si sta sv<strong>il</strong>uppando quella che Norman<br />

Podhoretz, senza ipocrisie, ha definito la<br />

«quarta guerra mondiale», <strong>il</strong> conflitto asimmetrico<br />

condotto dai nemici dell’Occidente, di<br />

Israele e dei musulmani «apostati» - con la jihad<br />

e la disposizione al sacrificio personale degli<br />

shahid, i martiri; con attentati di tipo tradizionale;<br />

con l’espletamento della logica qaedista<br />

della rete transnazionale dei gruppi terroristici,<br />

liberi di agire «in franchising» nel nome di<br />

un leader carismatico - nei campi di battaglia<br />

strategici, dove la scelta è fra tentare un approccio<br />

democratico o finire sotto un sistema di<br />

controllo sim<strong>il</strong>e a quello esercitato dai talebani<br />

in Afghanistan fino al 2001.<br />

Come l’Iraq, dove David Petraeus, con <strong>il</strong> suo<br />

«surge», sembra aver ribaltato le sorti di una<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

La sfida del terrorismo<br />

di Andrea Pannocchia<br />

71<br />

situazione che rischiava, dopo <strong>il</strong> fac<strong>il</strong>e successo<br />

bellico che aveva detronizzato Saddam, di<br />

trasformarsi in una disfatta nella gestione della<br />

pace e della riedificazione di uno stato democratico<br />

dopo decenni di feroce dittatura e di<br />

scontri tribali e interreligiosi. Ed è importante<br />

notare come alla base del «surge» ci sia un<br />

controllo più cap<strong>il</strong>lare e più accorto del territorio<br />

da parte delle truppe americane, capaci finalmente,<br />

come fa capire Daniele Raineri nel<br />

libello pubblicato da «Il Foglio», Il caso Petraeus,<br />

di accedere a una visione dell’intelligence<br />

meno legata alle tecnologie del sigint e<br />

dell’elint e più orientata verso la humint, la human<br />

intelligence, la capacità (ald<strong>il</strong>à dell’ambito<br />

meramente spionistico) di leggere la realtà del<br />

luogo, con scaltrezza e sensib<strong>il</strong>ità.<br />

La seconda difficoltà era forse meno prevedib<strong>il</strong>e,<br />

ed è legata ad alcuni meccanismi e paradossi<br />

della comunicazione, soprattutto di quella<br />

dei paesi occidentali, i cui processi produttivi,<br />

le cui logiche editoriali e - last but not least -<br />

alcuni sistemi ideologici, pregiudiziali e ascientifici<br />

ma ancora vincenti nella loro fac<strong>il</strong>ità propositiva<br />

(su tutti l’antiamericanismo e la cultura<br />

del politically correct) hanno creato e continuano<br />

a creare notevoli difficoltà interpretative circa<br />

la natura della posta in gioco e la pericolosità<br />

di un neoterrorismo più incontrollab<strong>il</strong>e (perché<br />

non legato unicamente a interessi geostrategici<br />

di alcuni Stati), più diffic<strong>il</strong>e da contrastare<br />

(perché affidato alla volontà di martirio di un<br />

lumpenproletariat musulmano conquistato nei<br />

decenni scorsi, fra le sottovalutazioni di tutto<br />

l’occidente, alla predicazione dei Fratelli musulmani<br />

e poi del nascente qaedismo, nato nel<br />

1998 ma in realtà battezzato nei campi di battaglia<br />

dell’Afghanistan del 1979, quando a<br />

combattere contro i sovietici stavano assieme<br />

sauditi, marocchini, algerini in una sorta di in-


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

ternazionale di Allah) e più feroce (perché abolisce<br />

la distinzione tra m<strong>il</strong>itari e civ<strong>il</strong>i, ritenendo<br />

che poiché Israele e Stati Uniti sono democrazie,<br />

i cittadini che col voto mandano al potere<br />

Sharon e Bush sono nemici dei musulmani<br />

quanto i loro governanti) del passato.<br />

In questo articolo proviamo ad esaminare due<br />

di queste difficoltà.<br />

Prima cosa che non capiamo:<br />

ideologia arcaica e tecnologie moderne<br />

Scoprire qualcosa del m<strong>il</strong>itante qaedista, archetipo<br />

del terrorista contemporaneo, significa<br />

imbattersi in un apparente paradosso.<br />

Abituati come siamo a declinare <strong>il</strong> concetto di<br />

modernità su base meramente quantitativa e<br />

progressiva, in riferimento soprattutto alle tecnologie<br />

della comunicazione (i telefoni cellulari,<br />

Internet ecc) ci siamo dimenticati che la modernità,<br />

vista come Kultur secondo una vecchia<br />

ma efficace definizione di Luciano Pellicani,<br />

è <strong>il</strong> portato storico, certo non privo di contraddizioni,<br />

di una serie di processi che in Occidente<br />

prima e più che altrove hanno visto <strong>il</strong><br />

loro compimento: l’azione elettiva, <strong>il</strong> primato<br />

della legge, l’universalizzazione dei diritti di cit-<br />

72<br />

storia<br />

tadinanza, l’istituzionalizzazione del mutamento,<br />

la secolarizzazione culturale, l’autonomia<br />

dei sottosistemi, la razionalizzazione.<br />

E gli sv<strong>il</strong>uppi della comunicazione di massa<br />

(dal telegrafo ad Internet) sono stati al tempo<br />

stesso motore e frutto dei cambiamenti nelle<br />

configurazioni dei rapporti umani.<br />

Convinti, dopo <strong>il</strong> crollo del Muro, che davvero -<br />

come disse un grande sociologo ma non altrettanto<br />

br<strong>il</strong>lane politologo - la storia si sarebbe<br />

placidamente evoluta verso una sorta di liberalismo<br />

universale, celebrando <strong>il</strong> trionfo delle<br />

conquiste del mercato e della democrazia, abbiamo<br />

perso di vista <strong>il</strong> senso morale, potremmo<br />

dire la missione modernizzatrice dell’Occidente,<br />

risvegliandoci una mattina di settembre del<br />

2001 colpiti al cuore commerciale e simbolico<br />

della nostra modernità da delle persone che ci<br />

odiano a tal punto da essersi impossessati delle<br />

nostre tecnologie per distruggerci. E non solo<br />

quelle necessarie a p<strong>il</strong>otare un aereo, ma<br />

anche e soprattutto quelle comunicative.<br />

Tre distinti documenti ci fanno vedere <strong>il</strong> nesso,<br />

tanto inestricab<strong>il</strong>e quanto per noi occidentali<br />

diffic<strong>il</strong>mente comprensib<strong>il</strong>e, tra un tipo di educazione<br />

e di religiosità arcaica e un uso sapiente<br />

della comunicazione, intesa sia come<br />

tecnica, sia come agire quotidiano, anche e soprattutto<br />

in territorio nemico, secondo modalità<br />

di conoscenza del terreno (qui intesa nel senso<br />

di inf<strong>il</strong>trazione nella modernità) che possiamo<br />

far risalire fino a Sun-Tzu.<br />

A segnalarcele sono Ferdinando Imposimato,<br />

che riporta estratti di un manuale del guerrigliero<br />

(rinvenuto a Manchester, nel rifugio di un<br />

dirigente di Al Qaida alcuni anni fa; Manchester,<br />

non Il Cairo!!) in 180 pagine, 18 capitoli,<br />

con istruzioni su come uccidere o vivere all’estero<br />

in clandestinità, come comportarsi in famiglia<br />

e altri aspetti di vita quotidiana; Guido<br />

Olimpio, che riporta, sul Corriere della Sera, alcuni<br />

f<strong>il</strong>e scaricati da Osman Rabei, alias Mohammedi<br />

l’egiziano, arrestato in Italia e estradato<br />

in Spagna dove è ritenuto una delle presunte<br />

menti della strage di Madrid (11 marzo<br />

2004); e Antonio Roversi, nel suo viaggio su<br />

L’odio in rete, la cui sezione dedicata alla jihad<br />

elettronica ci ricorda <strong>il</strong> legame, solo apparente


storia<br />

mente paradossale, fra ideologie arcaiche e<br />

mezzi di comunicazione moderni.<br />

Cominciamo col manuale del perfetto qaedista:<br />

Le armi: l’arma preferita da Al Qaida è l’esplosivo<br />

ad alto potenziale: incute al nemico panico<br />

e terrore ed è sicuro poiché permette ai mujaheddin<br />

di fuggire dopo averlo piazzato. Altre<br />

armi sono i veleni o le armi bianche, quelle<br />

usate sugli aerei; pugnali, cavetti di na<strong>il</strong>on per<br />

strangolare, sostanze tossiche. Viene autorizzata<br />

ogni tipo di violenza e di tortura.<br />

L’inchiesta: prima di entrare in azione, <strong>il</strong> k<strong>il</strong>ler<br />

deve studiare a fondo <strong>il</strong> bersaglio: nome, età,<br />

residenza, lavoro, strade seguite per andare al<br />

lavoro, tempo libero, negozi usati, medico di fiducia.<br />

I requisiti: l’agente di Allah deve avere undici<br />

requisiti.<br />

Occorre un uomo astuto ed intelligente, calmo,<br />

capace di resistere all’arresto ed alla prigione,<br />

di affrontare <strong>il</strong> trauma dell’omicidio e delle stragi.<br />

«Quando si è impegnati in una azione di<br />

spionaggio è proibito avere rapporti sessuali e<br />

bere. Non c’è nulla che possa permettere queste<br />

due cose». «Ma se si opera sotto copertura<br />

in occidente - ipotesi prevalente - si possono<br />

dimenticare le tradizioni e i precetti musulmani.<br />

In questo modo sarà più fac<strong>il</strong>e ingannare<br />

<strong>il</strong> nemico». (1)<br />

Codice: i m<strong>il</strong>itanti usano codici cifrati, messaggi<br />

coperti via Internet ed usano eccezionalmente<br />

<strong>il</strong> telefonino. Nelle conversazioni normali<br />

le armi sono chiamate strumenti, le granate<br />

«patate», <strong>il</strong> tritolo «sapone».<br />

Processo: se arrestato, <strong>il</strong> m<strong>il</strong>itante deve denunciare<br />

maltrattamenti e percosse, quindi deve<br />

sfruttare le visite in prigione per comunicare<br />

con i fratelli all’esterno.<br />

(Imposimato 2002, pp.26-37)<br />

Rabei invece adopera <strong>il</strong> computer per mantenere<br />

<strong>il</strong> suo pensiero radicale, comunicare e<br />

perfezionare la propria formazione jihadista,<br />

vale a dire scaricare audio di Osama, video di<br />

ostaggi decapitati, poesie che incitano al martirio<br />

e alla guerra santa.<br />

Riportiamo solo alcuni stralci:<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

73<br />

12 febbraio 2004<br />

Ore 22,34: video con un m<strong>il</strong>itante in divisa.<br />

3 marzo 2004<br />

Ore 7,55: qualcuno salva un comunicato dell’ufficio<br />

del mullah Omar (<strong>il</strong> capo dei talebani)<br />

sulla strategia in Afghanistan.<br />

29 marzo 2004<br />

ore 8,01 e 9,11: f<strong>il</strong>e audio di argomentazioni sui<br />

contrasti all’interno del mondo arabo sulla<br />

guerra a Israele. Ringraziamento ad Allah perché<br />

vi sono giovani che difendono l’islam e che<br />

rifiutano di seguire le leggi di coloro che guidano<br />

i Paesi arabi.<br />

Ore 17,58: lezione religiosa dello sceicco egiziano<br />

Kishk che invita gli arabi alla guerra ed<br />

esorta a combattere i miscredenti.Ore 18,03:<br />

audio con una lezione sulla comunità islamica<br />

aggredita dai nemici di Dio e miscredenti.<br />

(...)<br />

1° maggio 2004<br />

Ore 18,24: visita a sito religioso.<br />

Ore 18,29: visita a sito religioso con l’intestazione:<br />

«Allah ha detto che ogni persona ha assaggiato<br />

la morte». Nella medesima pagina<br />

web vi sono altre finestre chiamate: meditazione;<br />

la morte è fac<strong>il</strong>e; questo nostro appuntamento;<br />

storie a effetto; la tomba; cosa hai fatto<br />

amico mio?»<br />

Ore 18,30: visita al sito delle Brigate salafite jihadiste.<br />

8 maggio 2004<br />

Collegamenti tra le ore 0,26 e le 15,39: testo<br />

dedicato alla «vita del martire Youssef Alairi».


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

È un m<strong>il</strong>itante qaedista ucciso nel 2003.<br />

- due audio, uno dedicato alla jihad, l’altro è un<br />

proclama di Bin Laden che recita «Noi siamo in<br />

preghiera e in guerra santa, porto la testimonianza<br />

del profeta Maometto. La resistenza di<br />

un’ora in guerra santa vale come sessant’anni<br />

di vita»<br />

audio di una persona che prega Allah affinché<br />

gli doni <strong>il</strong> martirio (...)<br />

Guido Olimpio, Il manuale del perfeto jihadista,<br />

in «Corriere della Sera», 10.03.05<br />

Vediamo infine la descrizione di due video tratti<br />

rispettivamente da due dei più frequentati siti jihadisti,<br />

Supporters of Shareeah e e-jihad-net:<br />

Il primo (...) Si intitola «Vieni nella jihad» e nella<br />

prima parte mostra, con una serie di zoomate<br />

dentro le case, degli atti di violenza commessi<br />

dai soldati occidentali nei confronti di<br />

una popolazione inerme composta da donne,<br />

vecchi e bambini. Nella seconda parte vengono<br />

invece mostrate, quasi in trasparenza, sullo<br />

sfondo di un v<strong>il</strong>laggio diroccato, diverse fotografie<br />

di m<strong>il</strong>itanti armati che sf<strong>il</strong>ano con bandiere<br />

inneggianti alla jihad. Il secondo è un video<br />

intitolato «Canzone per i bambini palestinesi»<br />

(...). Dice un brano della canzone :<br />

74<br />

storia<br />

«Avanti musulmani, impugnate le vostre spade.<br />

I bambini plaestinesi vi chiamano. Non abbiate<br />

paura della morte. Non indugiate. Allah vi<br />

ha promesso la vittoria. Avanti musulmani, impegnate<br />

le vostre spade. I bambini palstinesi vi<br />

chiamano». E mentre la camzone viene intonata<br />

da un coro di voci, sullo fondo scorrono le<br />

immagini dei combattenti islamici che impugnano<br />

fuc<strong>il</strong>i e mitragliatrici, usano lanciarazzi e<br />

bombe molotov, bruciano bandiere americane.<br />

Un messaggio che non lascia spazio ad alcuna<br />

ambiguità.<br />

(Roversi 2006, p.152)<br />

E un magistrato che ha a lungo indagato sul<br />

terrorismo internazionale, condensando le sue<br />

riflessioni nel bel libro M<strong>il</strong>ano-Baghdad, Stefano<br />

Dambruoso, ricorda che dopo l’11 settembre<br />

<strong>il</strong> ricorso a Internet si è accentuato, perché<br />

è uno strumento veloce e universale di comunicazione<br />

e perché ha permesso di colmare le<br />

lacune operative emerse dopo l’arrivo delle<br />

truppe alleate a Kabul con l’offensiva Enduring<br />

Freedom. E aggiunge:<br />

Internet è diventata un formidab<strong>il</strong>e centro di<br />

propaganda, proselitismo e perfino d’addestramento.<br />

Sul web fai passare di tutto. Informazioni<br />

su come costruire una bomba, tecniche<br />

per tendere un agguato, formule per miscele<br />

chimiche. Dati scritti e decine di video. Una volta<br />

i mujaheddin affidavano i loro testamenti ed<br />

esperienze a volantini che dovevano essere<br />

stampati e portati a mano. Oggi registrano un<br />

cd e quasi in tempo reale finisce sulla rete. È<br />

sufficiente un clic sul mouse ed entri in un mondo<br />

che ruota attorno al «martire»......<br />

(Dambruoso 2004 , pp. 102-103)<br />

Come dire, mentre noi non sappiamo l’arabo,<br />

loro sanno l’inglese, sanno quando scrivere<br />

nella loro lingua e quando in quella dell’Union<br />

Jack, sanno cosa dire al loro uditorio e cosa dire<br />

agli occidentali (un maestro in questa doppiezza<br />

era Yasser Arafat). E ci siamo anche dimenticati<br />

delle conseguenza possib<strong>il</strong>i dell’uso<br />

di Internet, quali quelle individuate dal sociologo<br />

dei media Poster che, nel 1999, notava co


storia<br />

me l’essenza di Internet fosse la sua indeterminatezza,<br />

non solo per l’incertezza circa <strong>il</strong> futuro,<br />

ma anche per la sua qualità tipicamente<br />

postmoderna derivante da due caratteristiche.<br />

In primo luogo, rispetto al sistema radiotelevisivo<br />

e alla stampa, Internet incorpora radio, cinema<br />

e televisione e ne permette la distribuzione.<br />

In secondo luogo Internet supera i limiti<br />

dei modelli della stampa e del sistema radiotelevisivo<br />

in quanto permette la conversazione<br />

da molti a molti; rende simultaneamente possib<strong>il</strong>e<br />

la ricezione, l’elaborazione e la redistribuzione<br />

di oggetti culturali; comporta la dislocazione<br />

comunicativa rispetto ai confini nazionali<br />

e alle relazioni spaziali territorializzate tipiche<br />

della modernità; fornisce un contatto globale<br />

istantaneo e, infine, immette <strong>il</strong> soggetto moderno/tardo<br />

moderno in una rete interconnessa<br />

(Poster, 1999).<br />

Seconda cosa che non capiamo:<br />

terroristi si diventa (e non per reazione)<br />

Secondo <strong>il</strong> dizionario curato da Tullio De Mauro,<br />

per «terrorismo» si intende «metodo di lotta<br />

politica ut<strong>il</strong>izzato da gruppi rivoluzionari o sovversivi<br />

che, considerando impossib<strong>il</strong>e conseguire<br />

con mezzi legali i propri fini, tentano di<br />

destab<strong>il</strong>izzare o rovesciare l’assetto politicosociale<br />

esistente con atti di violenza organizzata».<br />

Questa definizione mette in luce la natura organizzata<br />

e pianificata del fenomeno terroristico,<br />

e deve dunque essere contrapposta alle<br />

letture «giustificazioniste» o «romantiche» che,<br />

soprattutto a proposito del terrorismo palestinese,<br />

vengono spesso adoperate nel linguaggio<br />

comune e anche in alcune rappresentazioni<br />

mediali. Fra le più comuni citiamo le seguenti:<br />

i terroristi sbagliano ma non hanno altri<br />

mezzi per difendersi da uno Stato m<strong>il</strong>itarmente<br />

potente e organizzato come Israele; i terroristi<br />

sbagliano ma reagiscono ad altrui ingiustizie<br />

(come l’occupazione israeliana dei territori palestinesi<br />

dopo <strong>il</strong> 1967); anche i patrioti italiani o<br />

di altre Nazioni che hanno conquistato faticosamente<br />

la propria indipendenza dal dominio<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

75<br />

straniero hanno fatto uso del terrorismo e dunque<br />

i palestinesi potrebbero, dal loro punto di<br />

vista, essere chiamati non «terroristi» ma<br />

«combattenti per la libertà; <strong>il</strong> terrorismo è una<br />

cosa che non riguarda chi si comporta bene<br />

con gli altri (come quelle nazioni che non parteciparono<br />

alla coalition of w<strong>il</strong>lings in Iraq),<br />

ecc.. Per non parlare delle disquisizioni, anche<br />

giuridiche, sulla differenza tra terrorista e guerrigliero,<br />

su cui si è esercitata, fra gli altri, anche<br />

l’ineffab<strong>il</strong>e Clementina Forleo (peraltro incuneandosi<br />

in alcune oggettive lacune legislative,<br />

almeno per quanto riguarda l’Italia).<br />

È opportuno allora fare un po’ di chiarezza.<br />

Il terrorismo: cos’è<br />

Torniamo alla definizione iniziale e cerchiamo<br />

di ampliarla studiando le caratteristiche di alcuni<br />

dei gruppi terroristi moderni. Il terrorismo<br />

può configurarsi anche come un modo di comunicare<br />

(si pensi al successo propagandistico<br />

del blitz compiuto in occasione delle Olimpiadi<br />

di Monaco del 1972 o alla gestione dell’attentato<br />

alle Twin Towers dell’11 settembre,<br />

con l’abbattimento della prima torre usato in<br />

senso convocativo verso i media di tutto <strong>il</strong><br />

mondo, costretti a riprendere in diretta l’abbattimento<br />

della seconda torre); è una violenza<br />

<strong>il</strong>lecita, in atto o minacciata, di cui sono<br />

spesso responsab<strong>il</strong>i gruppi transnazionali, anche<br />

se spesso con l’appoggio di alcuni Stati,<br />

come l’Iran o la Siria; non si sente condizio


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

nato da condizionamenti morali o giuridici;<br />

considera le sue vittime dirette come uno strumento<br />

per terrorizzare tutti gli altri e le attacca<br />

per <strong>il</strong> loro obiettivo simbolico, ma al contempo<br />

può colpire impianti e persone civ<strong>il</strong>i secondo<br />

una logica, tipica del neofondamentalismo islamico,<br />

di assim<strong>il</strong>azione di governanti e governati<br />

nelle colpe delle miserie dei popoli<br />

musulmani oppressi.<br />

Esistono, a livello internazionale, risoluzioni di<br />

organizzazioni internazionali o convenzioni che<br />

trattano l’argomento. In particolare la Convenzione<br />

internazionale per l’eliminazione dei finanziamenti<br />

al terrorismo, votata dall’Assemblea<br />

Generale delle Nazioni unite <strong>il</strong> 9 dicembre<br />

1999, definisce come terrorismo le attività non<br />

compiute da Stati o da governi che, secondo<br />

l’articolo 2 comma 1: intendono causare la<br />

morte o un grave danno fisico a un civ<strong>il</strong>e o comunque<br />

a chi non prenda parte attiva alle ost<strong>il</strong>ità<br />

in una situazione di conflitto armato quando<br />

lo scopo di queste attività - ricavato dalla natura<br />

o dal contesto - è quello di intimidire la popolazione,<br />

o di costringere un governo o un ente<br />

internazionale a porre in essere ovvero a<br />

non porre in essere un determinato comportamento.<br />

In primo luogo, sin dalla<br />

costituzione dello Stato di<br />

Israele del 1948, c’è stato<br />

un sistematico rifiuto da<br />

parte di tutto <strong>il</strong> mondo<br />

arabo di riconoscerne <strong>il</strong><br />

diritto all’esistenza.<br />

Dal punto di vista del diritto internazionale,<br />

non è terrorismo un bombardamento anche<br />

volto contro la popolazione civ<strong>il</strong>e da parte di<br />

76<br />

un governo (atto che può configurarsi come<br />

crimine di guerra, soggetto ad altre convenzioni<br />

internazionali), poiché <strong>il</strong> terrorismo è un atto<br />

proprio di organizzazioni private. Non rientra<br />

fra gli atti di terrorismo l’attacco a una caserma<br />

di m<strong>il</strong>itari impegnati in una guerra, perché non<br />

si tratta di civ<strong>il</strong>i non combattenti; vi rientra<br />

un’attività di organizzazioni private che prende<br />

di mira civ<strong>il</strong>i o anche soldati che in quel momento<br />

non stanno prendendo parte attiva a un<br />

conflitto armato.<br />

Quest’ultima precisazione la riteniamo importante<br />

anche perché, scientificamente, dimostra<br />

l’assurdità della definizione di alcune azioni m<strong>il</strong>itari<br />

delle truppe israeliane come di «azioni terroristiche».<br />

Il terrorismo: come viene rappresentato<br />

storia<br />

Le visioni giustificazioniste evidenziate all’inizio<br />

della presente trattazione sono in primo luogo<br />

errate, come già accennato, perché danno<br />

un’immagine reattiva e spontanea ad una scelta,<br />

quella terroristica, che invece viene decisa<br />

lucidamente e che presenta tempi molto lunghi<br />

per la propria realizzazione.<br />

Come per diventare criminali comuni è necessario<br />

un lungo, complesso e non univoco processo<br />

di apprendimento delle tecniche e delle<br />

definizioni favorevoli alla violenza, come ci insegnano<br />

due sociologi della devianza quali Edwin<br />

Sutherland con <strong>il</strong> suo associazionismo differenziale<br />

e Lonnie Athens con la sua violentizzazione,<br />

anche per colui che sceglie di diventare<br />

terrorista è necessario non solo apprendere<br />

a usare le armi che <strong>il</strong> suo gruppo potrà<br />

adoperare negli attentati, ma anche - e soprattutto<br />

- essere costantemente aggiornati sul<br />

piano teorico-dottrinale e motivati circa la giustezza<br />

della missione da compiere, soprattutto<br />

se l’ispirazione del gruppo terrorista è prevalentemente<br />

o in toto religiosa (e lo abbiamo visto<br />

a proposito dell’uso della rete).<br />

La differenza fondamentale è che <strong>il</strong> terrorista<br />

deve ricordarsi che non agisce per se stesso o<br />

per soddisfare la propria volontà di gratificazione<br />

o quella che Athens chiama trepidazione


storia<br />

sociale, bensì in nome e per conto di un gruppo,<br />

a cui verosim<strong>il</strong>mente è approdato grazie al<br />

carisma del leader di riferimento (2).<br />

Alcuni esempi come quelli che abbiamo visto<br />

dimostrano, tra l’altro, quanto - nel jihadismo<br />

contemporaneo - un ruolo fondamentale lo giochi<br />

un culto del sacrificio personale, o del martirio<br />

completamente diverso dall’accezione<br />

classica di martirio che abbiamo conosciuto<br />

anche nella tradizione cristiana, un martirio che<br />

da supremo sacrificio personale che accetta<br />

chi intende testimoniare fino alla fine la propria<br />

adesione a una religione si trasforma nella<br />

morte inflitta agli infedeli attraverso <strong>il</strong> sacrificio<br />

personale (la logica delle Twin Towers, la logica<br />

di Londra 2005, la logica di chi si imbotte di<br />

tritolo facendo saltare in aria discoteche e ristoranti<br />

israeliani).<br />

Nella fattispecie palestinese, tali approcci non<br />

tengono poi conto di alcune questioni storicopolitiche<br />

che rendono altresì improponib<strong>il</strong>e <strong>il</strong><br />

confronto con analoghe esperienze di altre nazioni<br />

e di altri periodi storici.<br />

In primo luogo, sin dalla costituzione dello Stato<br />

di Israele del 1948, c’è stato un sistematico<br />

rifiuto da parte di tutto <strong>il</strong> mondo arabo di riconoscerne<br />

<strong>il</strong> diritto all’esistenza: un rifiuto che si<br />

è esplicitato nelle guerre mosse contro lo stato<br />

ebraico, che è ispirato da motivi teologici prima<br />

ancora che politici, che è tuttora sancito nello<br />

statuto di Hamas, che fa sì che, anche negli<br />

anni in cui nei Territori palestinesi governava<br />

l’Olp e poi l’Anp di Arafat e di Abu Mazen, nelle<br />

cartine geografiche dei libri di testo scolastici<br />

Israele fosse semplicemente cancellato.<br />

In secondo luogo, come è documentato da<br />

molti e qualificati studi internazionali, <strong>il</strong> terrorismo<br />

palestinese è più figlio di «aspirazione»<br />

che di «disperazione», e la scelta di diventare<br />

terroristi, o martiri, è una scelta che prende<br />

forma in molti bambini e bambine, sovente<br />

provenienti non dalle famiglie più povere o disagiate<br />

della società palestinese, indottrinati sin<br />

dalla più tenera età - a scuola, nei «campi profughi»<br />

dove viene modellata un’identità di<br />

gruppo basata sulla chiusura verso <strong>il</strong> mondo<br />

esterno e sull’unico obiettivo nel ritorno ai territori<br />

occupati, attraverso programmi televisivi<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

77<br />

che esaltano <strong>il</strong> valore del martirio - al culto della<br />

morte.<br />

Infine, la dirigenza palestinese (anche nelle occasioni<br />

in cui la pace sembrava, almeno gli occhi<br />

dei media internazionali, più vicina) non ha<br />

mai compiuto la scelta fatta da altri stati arabi,<br />

come l’Egitto o la Giordania, che dopo aver<br />

strenuamente combattuto contro Israele l’han-<br />

no infine riconosciuta, entrando nell’ottica negoziale<br />

tipica delle relazioni internazionali nella<br />

fase successiva alle guerra, quella dello scambio<br />

«pace contro terra». Di conseguenza diventa<br />

non adeguato <strong>il</strong> paragone con <strong>il</strong> comportamento<br />

di altri gruppi già terroristi guidati da<br />

persone che successivamente sono arrivate ai<br />

vertici dei loro Stati (come Nelson Mandela e la<br />

sua Anc in Sudafrica) o che ne hanno condiviso<br />

le responsab<strong>il</strong>ità verso una transizione pacifica<br />

(come Gerry Adams e l’Ira nell’Irlanda del<br />

Nord) perché, a differenza della leadership palestinese,<br />

costoro a un certo punto hanno capito<br />

che le cause che ritenevano di poter sostenere<br />

o far vincere solo con l’azione terroristica<br />

potevano, in un mutato scenario, essere sostenute<br />

attraverso la via del negoziato, dell’accordo,<br />

del confronto pacifico. E si sono trasformati<br />

da terroristi in statisti.<br />

Conclusioni<br />

Abbiamo visto due esempi diversi, ma per molti<br />

aspetti complementari, di cosa significa sottovalutare<br />

un fenomeno.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Ancora una post<strong>il</strong>la che riguarda <strong>il</strong> giornalismo.<br />

Da un lato i fatti veri, spontanei, verificatisi indipendentemente<br />

dall’esistenza dei media e<br />

non programmati in funzione di questi, che la<br />

stampa o la televisione devono analizzare e riferire<br />

come tali; da un altro lato i fatti-notizia,<br />

sempre più numerosi rispetto ai precedenti,<br />

che i media devono invece «interpretare», svelandone<br />

<strong>il</strong> «valore simbolico di qualcosa prodotto<br />

come atto di comunicazione fin dall’origine».<br />

Purtroppo, hanno speso prevalso, grazie<br />

anche all’esasperazione della logica del breaking<br />

news tipica delle reti allnews, quei modelli<br />

giornalistici che segnalano quasi esclusivamente<br />

<strong>il</strong> fatto-rottura.<br />

Questi modelli creano una nuova forma di parzialità<br />

e di non obiettività, perché non fanno<br />

emergere la continuità e <strong>il</strong> carattere costante<br />

dei fenomeni che soli possono esaurientemente<br />

spiegare, funzionando da contesto esplicativo,<br />

l’evento eccezionale di cui si parla.<br />

Sarebbe decisamente auspicab<strong>il</strong>e, in conclusione,<br />

un giornalismo capace di analizzare la<br />

realtà in maniera indipendente dalle esigenze<br />

dell’audience e della spettacolarizzazione della<br />

notizia, in contrapposizione al giornalismospettacolo;<br />

e che promuova, anche negli<br />

aspetti legati alla formazione e all’accesso professionale,<br />

una professionalità dotata di solide<br />

conoscenze storiche e sociologiche per operare<br />

quella necessaria opera di interpretazione e<br />

di contestualizzazione, fondamentali per comprendere<br />

la realtà.<br />

Altrimenti sarà sempre come fa notare Bernard<br />

Lewis: «un ponte distrutto fa più notizia della<br />

costruzione di dieci ponti» (Lewis 2005).<br />

Note<br />

1. Questo è ciò che hanno fatto Mohammed Atta<br />

e gli altri esecutori dell’attentato dell’11 settembre<br />

prima di partire per la missione contro<br />

le Twin Towers, facendosi vedere a cena mentre<br />

si davano all’alcool.<br />

2. Così recita uno dei testi più importanti pro-<br />

78<br />

storia<br />

dotto in ambito internazionale, I volume del<br />

Club di Madrid, fondato dopo la strage di Atocha<br />

del 2004 dalla collaborazione di Capi di<br />

Statoe di Governo, analisti, docenti universitari<br />

di tutto <strong>il</strong> Mondo.<br />

«A clear consensus exists that it is non individual<br />

psychology, but group, organizational and<br />

social psychology, that provides the greatest<br />

analytical power in under standing this complex<br />

phenomenon. Terrorists have subordinated<br />

their individual identity to the collective<br />

identity, so that what serves the group, organization<br />

or network is of primary importance.»<br />

(Volume I, p. 7)<br />

«Suicide terrorismi is a function of a culture of<br />

martyrdom, the organizational decision to<br />

employ this tactic, and a supply of recruits<br />

w<strong>il</strong>ling to give their lives in a «martyrdom operation».<br />

Social psychological forces are particularly<br />

important, leading some scholars -<br />

with particular reference to Palestinian suicide<br />

terrorism - to speak of the «suicide terrorist<br />

production line». The elements of this<br />

«production line» include the establishment<br />

of a social contract, the identification of the<br />

«living martyr» (which accrues great prestige<br />

within the community), and - in the culminating<br />

phase - the production of the final video.<br />

After one has passed trough these phases, to<br />

back away from the final act of martyrdom<br />

would bring unbearable shame and hum<strong>il</strong>iation.<br />

Sim<strong>il</strong>ar but fuzzier phases may occur for<br />

the other groups as well. Thus, as with terrorism<br />

psychology in general, suicide terrorism<br />

is very much a function of group and collective<br />

psychology, not individual psychopathology»<br />

(Volume I, p. 9)


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Il complesso rapporto<br />

tra Mazzini e Garibaldi<br />

di Giuliana Limiti<br />

Quando Giuseppe Mazzini muore a Pisa <strong>il</strong> 10<br />

marzo 1872, ospite della famiglia Rosselli, <strong>il</strong><br />

suo rapporto con Garibaldi è ormai definitivamente<br />

logorato. Ciononostante, un mese prima,<br />

ancora una volta si era rivolto al grande<br />

generale per invitarlo all’azione comune archiviando<br />

un contrasto personale che era motivo<br />

di soddisfazione per la parte moderata e subordinandolo<br />

al prevalente interesse della causa<br />

repubblicana.<br />

Dell’ennesima delusione mazziniana sarebbe<br />

stata immediata testimonianza la lettera vergata<br />

da Sara Nathan nelle ore immediatamente<br />

successive alla morte di Mazzini e a quanto pare<br />

mai recapitata al suo destinatario, Giuseppe<br />

Garibaldi, che di quella morte è dichiarato colpevole<br />

per <strong>il</strong> suo s<strong>il</strong>enzio ed <strong>il</strong> suo distacco non<br />

solo politico, ma anche umano.<br />

In quelle stesse settimane, Garibaldi aveva<br />

sprezzantemente scritto ai suoi seguaci romagnoli<br />

che la questione con Mazzini apparteneva<br />

senz’altro alla storia: «Essa giudicherà». Un<br />

fossato, dunque, che i giudizi ancor più severi<br />

affidati da lui alle pagine delle Memorie avrebbero<br />

se possib<strong>il</strong>e allargato. Per l’ultimo Garibaldi,<br />

destinato a sopravvivere per altri dieci<br />

anni al Genovese, Mazzini non sarebbe stato<br />

che un perenne ostacolo alla realizzazione dell’unità<br />

d’Italia, sia pure inconsapevolmente.<br />

Un sim<strong>il</strong>e ep<strong>il</strong>ogo ha consentito a molta storiografia<br />

di esercitarsi nella contrapposizione dei<br />

due personaggi, proiettando su tutta la loro vicenda<br />

biografica un cono d’ombra di ost<strong>il</strong>ità e<br />

di rivalità. In una tale opera, si è innanzitutto distinta<br />

la storiografia monarchica di intonazione<br />

sabauda che ha inteso riavvicinare Garibaldi a<br />

Vittorio Emanuele II e farne <strong>il</strong> protagonista del<br />

Risorgimento in chiave regia. Ogni motivo di<br />

ispirazione mazziniana andava pertanto<br />

80<br />

storia<br />

espunto per d<strong>il</strong>uire <strong>il</strong> repubblicanesimo che pure<br />

lo stesso Garibaldi aveva dichiarato essere<br />

<strong>il</strong> suo credo politico fino all’ultimo istante della<br />

sua vita.<br />

Esemplare di questa tendenza è <strong>il</strong> lavoro storico<br />

più ampio e documentato al riguardo, pubblicato<br />

da Giacomo Em<strong>il</strong>io Curatulo nel 1928 e<br />

da lui dedicato non casualmente a Benito Mussolini:<br />

«Il dissidio tra Mazzini e Garibaldi», dal<br />

sottotitolo volutamente provocatorio : «La storia<br />

senza veli».<br />

L’antitesi tra Mazzini e Garibaldi era però destinata<br />

ad essere perpetuata anche oltre la monarchia<br />

ed <strong>il</strong> fascismo, sia pure sulla base di<br />

motivazioni diverse, da parte di un’altra assai<br />

diffusa scuola storica, quella marxista. Essa ha<br />

inteso, infatti, strumentalizzare talune generiche<br />

espressioni di simpatia manifestate da Garibaldi<br />

per <strong>il</strong> socialismo, e soprattutto per la Comune<br />

di Parigi, al fine di accreditarne <strong>il</strong> ruolo di<br />

anticipatore del marxismo in Italia e di staccarlo<br />

da Mazzini di cui sono ben note le critiche a<br />

quel programma politico e sociale. Non a caso,<br />

nelle elezioni politiche del 1948, Garibaldi fu <strong>il</strong>


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

simbolo propagandistico adottato dal Fronte<br />

popolare, cioè dall’alleanza tra <strong>il</strong> partito comunista<br />

ed <strong>il</strong> partito socialista.<br />

In alternativa alla contrapposizione, la tradizione<br />

storica democratica e repubblicana, quella<br />

che più direttamente si ricollegava sia a Mazzini<br />

che a Garibaldi, si è invece mossa sulla via<br />

della conc<strong>il</strong>iazione, nel generoso tentativo di ricomporre<br />

la memoria postuma dei suoi due<br />

grandi maestri. È la linea tracciata già da Aurelio<br />

Saffi che chiama Mazzini <strong>il</strong> precursore e Garibaldi<br />

<strong>il</strong> fondatore del riscatto dell’Italia, così<br />

che tutte le società di mutuo soccorso potessero<br />

chiamare entrambi alla propria presidenza<br />

onoraria ed affiggerne i ritratti l’uno accanto all’altro.<br />

Evidentemente, sia la contrapposizione che la<br />

conc<strong>il</strong>iazione non possono soddisfare criticamente<br />

la conoscenza storica contemporanea<br />

che è chiamata ad una nuova riflessione su un<br />

rapporto che non è soltanto personale, ma resta<br />

uno snodo cruciale della storia del Risorgimento.<br />

In questa sede, si cercherà di ricostruirne<br />

i passaggi essenziali sul piano delle vicende<br />

storiche per poi concludere con una<br />

comparazione sul piano delle idee politiche.<br />

La tradizione ha sempre collocato a Marsiglia<br />

nel 1833 <strong>il</strong> primo incontro tra Mazzini e Garibaldi<br />

con <strong>il</strong> giuramento del secondo nelle mani<br />

del primo per l’adesione alla Giovine Italia. Il<br />

mazziniano Giambattista Cuneo aveva iniziato<br />

Garibaldi alle nuove idee unitarie e repubblicane<br />

sulle rive del Mar Nero ed avrebbe poi favorito<br />

questo incontro. È invero significativo<br />

che nessuno dei due, né Mazzini né Garibaldi,<br />

lo rievochi nelle rispettive opere memorialistiche.<br />

Ma ciò è da attribuire ai successivi sv<strong>il</strong>uppi<br />

biografici. Un preciso resoconto risulta infatti<br />

in un abbozzo di ricordi che lo stesso Garibaldi<br />

aveva composto prima del 1848 e dà<br />

quindi conferma alla scena che l’iconografia<br />

patriottica ha poi molto spesso riproposto senza<br />

mai ricevere alcuna smentita. Ma la prova<br />

più efficace sta nelle parole che lo stesso Garibaldi<br />

avrebbe pronunciato tanti anni dopo, nel<br />

1864, ospite della casa londinese dell’esule<br />

russo Alessandro Herzen, nel brindisi indirizzato<br />

a Mazzini: «Egli solo vegliava quando intor-<br />

82<br />

storia<br />

no tutto dormiva». In quell’occasione solenne,<br />

alla presenza di patrioti di tutta Europa, Garibaldi<br />

riconobbe di aver cercato in gioventù una<br />

guida così come un assetato cerca l’acqua e di<br />

averla trovata in Giuseppe Mazzini.<br />

L’ingenuo sentimento di italianità che Garibaldi<br />

coltivava sin da ragazzo viene dunque senza<br />

dubbio affinato ed educato alla scuola di Mazzini,<br />

così come in quel contesto si esplica la<br />

sua prima avventura politica ed insurrezionale:<br />

<strong>il</strong> moto genovese del 1834 a cui Garibaldi<br />

avrebbe dovuto attrarre elementi della marina<br />

sarda miseramente fallito per delazione. La<br />

successiva emigrazione in America Latina avviene<br />

pure sotto <strong>il</strong> segno mazziniano: non è infatti<br />

una scelta isolata - come spesso viene<br />

presentata nell’immagine retorica dell’eroe dei<br />

due mondi - ma rientra in un più ampio movimento<br />

volto da un lato a sperimentare altrove<br />

la tecnica rivoluzionaria, dall’altro a corrispondere<br />

all’universalità degli ideali di patria e di libertà.<br />

Nell’esperienza latino-americana, Garibaldi si<br />

richiama quindi direttamente ai circoli mazziniani<br />

che già vi operano, dedica a Mazzini <strong>il</strong><br />

suo naviglio di guerra e tempra <strong>il</strong> suo repubblicanesimo<br />

popolare nella lotta all’oppressione<br />

imperiale. I successi che gli arridono non sfuggono<br />

al Genovese, oramai esule a Londra, che<br />

li r<strong>il</strong>ancia sulla stampa sia inglese sia dell’emigrazione<br />

italiana. Il fallimento dei primi moti<br />

della Giovine Italia lo ha infatti indotto a riflette


storia<br />

re sull’importanza di avere un capo m<strong>il</strong>itare,<br />

nella consapevolezza, sempre peraltro avuta,<br />

di non potere personalmente adempiere ad un<br />

tale ruolo. La figura del condottiero rivoluzionario,<br />

indispensab<strong>il</strong>e sia per lo studio della strategia<br />

che per la promozione dell’entusiasmo, gli<br />

appare quindi tanto necessaria quanto era<br />

mancata alle precedenti spedizioni. E Garibaldi<br />

sembra <strong>il</strong> candidato ideale ad una sim<strong>il</strong>e posizione.<br />

La delusione non sarà però lontana. Quando<br />

entrambi saranno richiamati in patria nel 1848<br />

dalle Cinque Giornate di M<strong>il</strong>ano, Mazzini - peraltro<br />

nella non fac<strong>il</strong>e posizione di dover riaffermare<br />

l’opzione repubblicana, mentre l’iniziativa<br />

sembra assunta dalla monarchia sabauda,<br />

senza però minare <strong>il</strong> comune scopo nazionale<br />

- sarà negativamente colpito dal fatto che Garibaldi<br />

si sia innanzitutto recato al quartier generale<br />

di Carlo Alberto. Lo testimoniano alcuni<br />

sfoghi epistolari. Egli avrebbe preferito vederlo<br />

raggiungere Daniele Manin nella difesa di una<br />

repubblica, appunto, quella rinata a Venezia.<br />

Non muta <strong>il</strong> significato del gesto <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> re<br />

sabaudo rifiuti l’offerta drasticamente, non considerando<br />

in alcun modo possib<strong>il</strong>e che un guerrigliero<br />

sudamericano potesse contaminare <strong>il</strong><br />

suo aristocratico esercito.<br />

Si è forse sottovalutato questo evento che invece<br />

in un certo senso retrodata se non <strong>il</strong> distacco<br />

almeno l’allontanamento di Garibaldi dall’intransigenza<br />

mazziniana. È vero che lo stesso<br />

Mazzini era stato in contatto con Carlo Alberto<br />

e aveva fatto delle concessioni che<br />

avrebbero, se accolte, potuto riunificare <strong>il</strong> movimento<br />

patriottico. Ma per Garibaldi la motivazione<br />

era tutt’altra. Proprio la dura esperienza<br />

bellica latino-americana lo aveva fatto riflettere<br />

sulla superiorità di poter contare su un esercito<br />

regolare, meglio addestrato e più disciplinato,<br />

e quindi sull’opportunità di appartenervi.<br />

Ed è sempre sul piano della strategia m<strong>il</strong>itare<br />

che matura di lì a poco la prima vera rottura tra<br />

i due. Nel febbraio 1849, Garibaldi è a Roma,<br />

eletto all’Assemblea costituente, tra i primi a<br />

chiedere la proclamazione della repubblica, la<br />

cessazione del potere temporale, la chiamata<br />

di Mazzini e la sua elezione al governo. Con<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

83<br />

Mazzini triumviro, egli si sente in un certo senso<br />

sicuro di poter contare sulla fiducia del Genovese<br />

nelle sue capacità m<strong>il</strong>itari ed aspira<br />

quindi al comando supremo. Mazzini sembrerebbe<br />

pronto in un primo tempo a concederglielo,<br />

ma subisce poi la diffidenza di tutti gli altri<br />

ufficiali usciti dalle scuole di guerra, come lo<br />

stesso Pisacane, che non reputano di poter ubbidire<br />

ad un soldato che si è fatto da sé. A molti,<br />

poi, la strategia garibaldina dell’attacco preventivo<br />

appare un salto nel buio. Mazzini non è<br />

certo sensib<strong>il</strong>e allo snobismo di certe posizioni,<br />

ma al tempo stesso non se la sente di prendere<br />

una decisione impopolare almeno tra i vertici<br />

dell’esercito repubblicano.<br />

La verità è però un’altra. Egli sottovaluta l’aspetto<br />

m<strong>il</strong>itare della vicenda romana. Non crede<br />

alla possib<strong>il</strong>ità di un successo, se non effimero,<br />

contro <strong>il</strong> corpo di spedizione francese<br />

che anzi preferisce non irritare perché non si<br />

delinei uno scontro irreversib<strong>il</strong>e. Lui punta piuttosto<br />

sulla politica. Sa di avere dalla sua la sinistra<br />

francese di Ledru Rollin che ha un’ampia<br />

consistenza parlamentare. Confida nel principio<br />

del non intervento consacrato nell’articolo<br />

quinto della costituzione repubblicana francese.<br />

Forse, l’antica consuetudine dell’es<strong>il</strong>io non<br />

gli lascia giudicare adeguatamente Luigi Napoleone.<br />

Trova poi conferma della bontà delle<br />

sue valutazioni nelle trattative con <strong>il</strong> Lesseps.<br />

In ogni caso, sa bene che la Francia, ove insistesse<br />

sul piano m<strong>il</strong>itare, prima o poi trasporterebbe<br />

a Roma le forze necessarie per avere


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

ragione della neonata repubblica. Non presta,<br />

quindi, la debita attenzione all’iniziativa di Garibaldi<br />

perché la sua politica si muove su tutt’un<br />

altro piano. La smentita della sua impostazione,<br />

con la scommessa perduta sulla reazione<br />

della sinistra francese, apre così più fac<strong>il</strong>mente<br />

all’invasione straniera le porte di Roma e lascerà<br />

in Garibaldi la delusione dell’occasione<br />

mancata destinata poi a trasformarsi in rancore,<br />

quando sulla via della fuga da Roma verso<br />

Venezia perderà la moglie Anita.<br />

Cinque anni dopo, nel 1854, Mazzini e Garibaldi<br />

si reincontrarono a Londra, ancora una<br />

volta tutti e due esuli. Pur segnato dal fallimento<br />

della Repubblica romana e dalle polemiche<br />

successive, circa le responsab<strong>il</strong>ità dell’uno e<br />

dell’altro, <strong>il</strong> loro rapporto non è ancora definitivamente<br />

incrinato. Lungo tutto quello che fu,<br />

per <strong>il</strong> Cavour, <strong>il</strong> cosiddetto decennio di preparazione,<br />

Mazzini insegue la prospettiva della rivincita<br />

sempre nella logica insurrezionale, collezionando<br />

sanguinose sconfitte, da Belfiore a<br />

Sapri, che, ab<strong>il</strong>mente sfruttate dalla propaganda<br />

sabauda, gli alienarono numerose simpatie.<br />

Nello stesso tempo, gli si delinea, però, chiaramente<br />

la via del successo, e cioè la rivoluzione<br />

a partire dalla Sic<strong>il</strong>ia, affidata a Garibaldi.<br />

Nel colloquio londinese, Mazzini torna ad incitare<br />

l’eroe dei due mondi a capitanare la nuova<br />

impresa, così come gli aveva scritto tre anni<br />

prima, <strong>il</strong> 14 novembre 1851, in una lettera<br />

che è oggi conservata presso la Biblioteca della<br />

Camera dei Deputati: «<strong>il</strong> moto di Sic<strong>il</strong>ia è<br />

d’una importanza vitale per noi ... in Sic<strong>il</strong>ia vi<br />

chiedono». È significativo che Mazzini senta <strong>il</strong><br />

bisogno, nella stessa lettera, di riaffermare la<br />

bandiera della Repubblica italiana unitaria,<br />

mentre dichiara di «confidare» che questa sia<br />

sempre, anche per Garibaldi, l’aspirazione finale.<br />

Nella scelta di questo verbo, si insinua <strong>il</strong><br />

dubbio di una divergenza programmatica, se<br />

non ideologica, destinata a maturare.<br />

In quello stesso 1854, nell’indispettita ost<strong>il</strong>ità di<br />

Mazzini, Cavour miete <strong>il</strong> successo della partecipazione<br />

piemontese alla guerra di Crimea<br />

che frutterà al piccolo stato sardo quel riconoscimento<br />

europeo che gli consentirà di porre<br />

sul piano diplomatico la questione italiana in<br />

84<br />

storia<br />

chiave antiasburgica. La novità positiva non<br />

sfugge, invece, a Garibaldi, sempre più aperto<br />

a considerare pragmaticamente l’eventualità<br />

della collaborazione con i Savoia.<br />

In verità, quando tra <strong>il</strong> 1859 e <strong>il</strong> 1860 la prospettiva<br />

dell’unificazione italiana diventa realtà,<br />

anche Mazzini sarà disponib<strong>il</strong>e ad anteporre la<br />

liberazione dallo straniero e la conquista dell’indipendenza<br />

nazionale alla questione istituzionale.<br />

Ritornato in Italia, percepisce <strong>il</strong> rischio<br />

di essere escluso politicamente dalla conclusione<br />

di quel processo storico di cui è stato l’iniziatore.<br />

Accetta, quindi, la logica dell’espansionismo<br />

sabaudo, purchè una assemblea costituente<br />

sia poi convocata per decidere tra la<br />

monarchia e la repubblica.<br />

Galvanizzato dalla prova m<strong>il</strong>itare della seconda<br />

guerra di indipendenza in cui, a differenza del<br />

padre, Vittorio Emanuele II lo ha accolto con<br />

grande simpatia personale, Garibaldi è, tutta-<br />

via, deluso dall’armistizio di V<strong>il</strong>lafranca ed in un<br />

certo senso è disponib<strong>il</strong>e a farsi risucchiare<br />

nell’orbita mazziniana, anche perché lo separa<br />

profondamente dal Cavour la questione di Nizza,<br />

la sua citta natale ceduta alla Francia in<br />

cambio dell’aiuto ricevuto contro l’Austria.<br />

La spedizione dei M<strong>il</strong>le, che salpa da Quarto ai<br />

primi di maggio del 1860, non è altro che l’attuazione<br />

dell’antico progetto mazziniano della<br />

rivoluzione italiana che muove dal sud. Mazziniani<br />

sono i volontari che seguono Garibaldi,<br />

primo fra tutti quel Francesco Crispi che nella


storia<br />

riunione decisiva persuade l’ancora dubbioso<br />

generale garantendogli l’appoggio dei sic<strong>il</strong>iani.<br />

Sul piano internazionale, peraltro, la spedizione<br />

potè contare sul sostegno navale inglese<br />

che si rivelò decisivo per un sicuro approdo a<br />

Marsala. Se la Lombardia era stata liberata<br />

grazie all’alleanza di Cavour con Napoleone III,<br />

<strong>il</strong> Regno delle Due Sic<strong>il</strong>ie sarebbe crollato grazie<br />

all’Ingh<strong>il</strong>terra, la cui opinione pubblica era<br />

stata da Mazzini ispirata a favore dell’unificazione<br />

italiana.<br />

Mentre Garibaldi conquista la Sic<strong>il</strong>ia e risale la<br />

penisola, Mazzini tenta invano di organizzare<br />

una colonna insurrezionale che gli vada incontro<br />

dall’Italia centrale, la stessa operazione che<br />

fu, invece, compiuta con successo da Vittorio<br />

Emanuele II° attraverso le Marche e l’Umbria.<br />

Mazzini e Garibaldi si ritrovano, quindi, a Napoli<br />

nel settembre del 1860, insieme anche a<br />

Carlo Cattaneo. Tutto lo stato maggiore della<br />

democrazia italiana è riunito nell’ex capitale<br />

borbonica in quello che è senz’altro <strong>il</strong> tornante<br />

decisivo del Risorgimento nazionale. Mazzini<br />

vorrebbe che Garibaldi continuasse la spedizione<br />

per liberare Roma e Venezia. Cattaneo<br />

vorrebbe che Garibaldi convocasse una assemblea<br />

elettiva delle province meridionali per<br />

procedere in un’ottica federalista. Ad entrambi,<br />

Garibaldi opporrà l’impegno assunto nell’essersi<br />

proclamato dittatore nel nome di «Italia e<br />

Vittorio Emanuele» che manterrà poi a Teano<br />

consegnando al re sabaudo <strong>il</strong> mezzogiorno d’Italia.<br />

È, tuttavia, da sottolineare <strong>il</strong> fatto che Garibaldi<br />

non avallò le modalità dell’ammissione tramite <strong>il</strong><br />

plebiscito che sarebbero, poi, state attuate dal<br />

governo piemontese, ben lontano dal convocare<br />

l’assemblea costituente chiesa da Mazzini.<br />

Grava sulla conclusione del processo risorgimentale<br />

<strong>il</strong> giudizio storico di Antonio Gramsci<br />

per cui la parte democratica sarebbe stata<br />

sconfitta dalla parte moderata per la sua inconsistenza<br />

ideologica. Senza entrare nel merito<br />

della questione storiografica, è però da evidenziare<br />

che furono i democratici, e cioè i mazziniani<br />

e i garibaldini, a conseguire l’obiettivo<br />

unitario in virtù della spedizione dei M<strong>il</strong>le, dal<br />

momento che la strategia cavouriana si era di-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

85<br />

mostrata capace di realizzare soltanto un ampliamento<br />

dei confini sabaudi e di questo era<br />

parsa paga.<br />

Quando nel febbraio del 1861 <strong>il</strong> Parlamento<br />

nazionale proclama l’unità d’Italia, Mazzini e<br />

Garibaldi sono divisi, ma in realtà sono tutti e<br />

Quando la prospettiva<br />

dell’unificazione italiana<br />

diventa realtà, anche<br />

Mazzini sarà disponib<strong>il</strong>e<br />

ad anteporre la<br />

liberazione dallo<br />

straniero e la conquista<br />

dell’indipendenza<br />

nazionale alla questione<br />

istituzionale.<br />

due in es<strong>il</strong>io, l’uno a Londra, l’altro a Caprera.<br />

Per entrambi, l’unificazione non può dirsi compiuta<br />

se Roma non è ancora la capitale d’Italia.<br />

Forte in loro la tensione per <strong>il</strong> riscatto della Repubblica<br />

romana del 1849. Comune è, quindi,<br />

l’aspirazione a tener vivo <strong>il</strong> moto nazionale, a<br />

continuare a fare proseliti, a raccogliere armi e<br />

fondi, a proiettare l’irredentismo italiano nella<br />

lotta di liberazione dei popoli europei.<br />

Trionfalmente rieletto deputato, Garibaldi cerca<br />

l’appoggio di Mazzini per mantenere viva la<br />

speranza dell’unificazione puntando sui Balcani.<br />

Sa che solo <strong>il</strong> Genovese può imbastire le<br />

necessarie alleanze politiche, ma al tempo<br />

stesso pretende che al momento dell’azione l’iniziativa<br />

gli sia lasciata completamente libera,<br />

ribadendo anche in questa occasione l’ormai<br />

maturata insofferenza per ogni forma di tutela<br />

politica, anche da parte dello stesso Mazzini.<br />

Cerca, piuttosto, di fargli mutare giudizio sul<br />

conto del re, <strong>il</strong> quale, pur scontando la «fatale<br />

educazione dei principi, è buono» ed è stato la<br />

leva perché si realizzasse l’Italia di Dante e<br />

Machiavelli.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Deluso dai risultati elettorali assai favorevoli al<br />

Cavour, Garibaldi arriverà ad uno scontro durissimo<br />

con <strong>il</strong> primo ministro quando si recherà<br />

per la prima volta a Torino nella primavera del<br />

1861 per opporsi alla liquidazione dell’esercito<br />

meridionale, che avrebbe invece voluto pienamente<br />

inserito nelle forze armate regie. Ma,<br />

nonostante l’asperità verbale reciproca, egli<br />

cercherà anche in Cavour un appoggio per i<br />

suoi piani balcanici, pronto anche a rinnegare<br />

Mazzini, in una lettera privata in cui spera di<br />

trarre dalla sua parte <strong>il</strong> conte piemontese. Garibaldi<br />

si <strong>il</strong>ludeva, in tal modo, di avere un’altra<br />

occasione per promuovere <strong>il</strong> suo Esercito - Nazione,<br />

che avrebbe dovuto sostituire <strong>il</strong> tradizionale<br />

modello dell’esercito stanziale.<br />

La morte del Cavour e la conseguente crisi dei<br />

circoli a lui più vicini della Destra storica avrebbero<br />

riacceso in Garibaldi, grazie all’ascesa al<br />

potere del Rattazzi ed al segreto sostegno del<br />

re, l’aspettativa di liberare Roma con un colpo<br />

di mano. L’episodio di Aspromonte (agosto<br />

1862) lo riporta, in un certo senso, nelle braccia<br />

di Mazzini. La loro riconc<strong>il</strong>iazione fu allora<br />

da più parti auspicata, come ebbe a scrivere,<br />

fra gli altri, Giovanni Gr<strong>il</strong>lenzoni: «<strong>il</strong> giorno che<br />

cesserà ogni dubbio di qualsiasi divergenza, e<br />

che niuno ignorerà che i due più grandi uomini<br />

dell’epoca nostra avranno preso in una sola le<br />

anime loro, <strong>il</strong> partito veramente italiano diverrà<br />

irresistib<strong>il</strong>e potenza» (8 ottobre 1873).<br />

Di tale clima è prova <strong>il</strong> celebre brindisi che ebbe<br />

luogo a casa Herzen a Londra nel 1864, di cui si<br />

86<br />

storia<br />

è già detto all’inizio. A Mazzini, che lo aveva salutato<br />

come l’uomo che rappresentava l’incarnazione<br />

vivente degli ideali di libertà e di unione<br />

dei popoli, Garibaldi rispose affermando di dover<br />

compiere un dovere che da tempo sentiva<br />

suo, chiamandolo amico e maestro per sempre:<br />

«in lui non si è mai spenta la fiamma dell’amore<br />

della patria e della libertà». A conferma di tali<br />

sentimenti, del resto corrispondenti al clima politico<br />

di quegli anni in cui Garibaldi prendeva le<br />

distanze dal governo monarchico, si possono<br />

peraltro citare le innumerevoli lettere da lui dirette<br />

ai democratici sic<strong>il</strong>iani perché sostenessero,<br />

tra <strong>il</strong> 1865 e <strong>il</strong> 1867, la triplice elezione di Mazzini<br />

a deputato del collegio di Messina. L’elezione,<br />

come noto, fu prima, per due volte annullata, a<br />

causa della pendente condanna a morte e poi,<br />

da ultimo, rifiutata dallo stesso Mazzini per incompatib<strong>il</strong>ità<br />

istituzionale.<br />

Ma, come una delusione relativa a Roma<br />

aveva favorito un estremo riavvicinamento<br />

tra i due, fu proprio una analoga vicenda a<br />

provocare la definitiva rottura. Garibaldi, infatti,<br />

addossò a Mazzini la principale responsab<strong>il</strong>ità<br />

del fallimento dell’impresa di Mentana<br />

(1867) perché non gli avrebbe fatto affluire da<br />

Londra i fondi necessari alla spedizione. Da<br />

allora, si può dire che un muro di incomunicab<strong>il</strong>ità<br />

li separi per sempre. Ad avviso di Garibaldi<br />

Mazzini avrebbe preferito lasciare Roma<br />

al Papa piuttosto che vederla unita all’Italia<br />

monarchica.<br />

Eppure non si può fare a meno di pensare che,<br />

pur divisi ormai da un’incolmab<strong>il</strong>e frattura, essi<br />

abbiano provato lo stesso senso di impotenza<br />

quando, <strong>il</strong> 20 settembre 1870, Roma diventava<br />

sì la capitale d’Italia, ma senza <strong>il</strong> loro contributo,<br />

essendo Mazzini imprigionato a Gaeta e<br />

Garibaldi rintanato a Caprera.<br />

È tuttavia da dire che, mentre Mazzini cercò<br />

sempre di mantenere un dialogo aperto con<br />

Garibaldi, anche negli ultimi anni della sua vita,<br />

facendo tacere i personalismi in nome della<br />

causa comune, <strong>il</strong> Nizzardo non ebbe lo stesso<br />

atteggiamento e in più occasioni denigrò Mazzini<br />

con critiche ed accuse di carattere personale.<br />

Per molti aspetti, l’essergli sopravvissuto,<br />

fece sì che le sue memorie assumessero spes


storia<br />

so <strong>il</strong> tono di una resa dei conti postuma tale da<br />

dettare giudizi invero taglienti e ingenerosi.<br />

Solo uno storico superficiale oppure fazioso<br />

potrebbe dare credito a tali giudizi e considerarli<br />

chiavi interpretative quando non sono altro<br />

che sfoghi di natura personale, prima che politica.<br />

Prendere per buona l’affermazione che<br />

Mazzini sarebbe sempre stato <strong>il</strong> principale<br />

ostacolo dell’unità italiana significherebbe<br />

smentire non tanto una vita spesa per quell’obiettivo,<br />

quanto la stessa biografia garibaldina.<br />

Poiché la storia è fatta dagli uomini, l’incontro<br />

tra Mazzini e Garibaldi ha rappresentato un fattore<br />

decisivo per <strong>il</strong> processo risorgimentale,<br />

quali che siano state le alterne vicende del loro<br />

rapporto.<br />

Garibaldi ha tratto da Mazzini le linee guida di<br />

un pensiero politico e sociale che erano necessarie<br />

per incanalare le sue originarie aspirazioni<br />

alla libertà ed alla giustizia. È dalle parole<br />

di Mazzini che Garibaldi trae l’idea della<br />

nazione italiana, della fratellanza universale tra<br />

i popoli, dell’emancipazione dei lavoratori.<br />

Conquistato sin da giovanissimo dal mito di<br />

Roma educatrice dell’umanità, Garibaldi ne trovò<br />

lo sv<strong>il</strong>uppo ideale nella Terza Roma mazziniana,<br />

la Roma del Popolo che avrebbe preso<br />

<strong>il</strong> posto della Roma dei Cesari e dei Papi. Se in<br />

entrambi, al riguardo, è forte la polemica contro<br />

<strong>il</strong> potere temporale nella consapevolezza<br />

che <strong>il</strong> papato ha storicamente impedito la formazione<br />

della nazione italiana, tale atteggiamento<br />

si accentua in Garibaldi in un anticlericalismo<br />

a tratti violento e cocciuto, che invece<br />

è sconosciuto a Mazzini <strong>il</strong> quale, come noto,<br />

consentì <strong>il</strong> libero esercizio del culto cattolico<br />

sotto la Repubblica romana, garantendo salva<br />

la vita a tutti i preti.<br />

L’anticlericalismo è forse la ragione che avvicinò<br />

maggiormente Garibaldi alla massoneria,<br />

mentre Mazzini non ne fu mai membro. D’altra<br />

parte, se c’è un aspetto del pensiero mazziniano<br />

a cui Garibaldi fu sempre refrattario, fu quello<br />

religioso, che non comprendeva perché integralmente<br />

materialista, e cioè non credente in<br />

alcuna trascendenza.<br />

L’idea di Repubblica è certamente quella che<br />

più unisce i due personaggi anche se in Mazzi-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

87<br />

ni è più sv<strong>il</strong>uppata la concezione della democrazia,<br />

mentre a Garibaldi non è estranea una<br />

considerazione della leadership politico-m<strong>il</strong>itare<br />

di estrazione sudamericana. Pur venuto a<br />

patti con la monarchia, Garibaldi si disse sempre<br />

repubblicano, intendendo la Repubblica<br />

come «governo normale delle genti», nella certezza<br />

che l’istituto monarchico sarebbe, prima<br />

o poi, crollato per i propri vizi interni.<br />

Nella sua polemica con Mazzini, infatti, Garibaldi<br />

insisteva sull’immaturità del popolo italiano<br />

per la forma repubblicana, a causa del lungo<br />

dispotismo subito, rimproverando al Genovese<br />

di parlare sempre del popolo, ma di non<br />

conoscerlo realmente. Pur tuttavia, in tutto <strong>il</strong><br />

periodo postunitario, Garibaldi fu sempre fieramente<br />

avversario dell’indirizzo politico dei governi<br />

monarchici, crticando anche la Sinistra<br />

storica quando giunse al potere.<br />

Da Mazzini Garibaldi aveva, altresì, tratto la<br />

piena coscienza dell’indissolub<strong>il</strong>ità della questione<br />

istituzionale e della questione sociale: <strong>il</strong><br />

riscatto dei lavoratori avrebbe potuto essere<br />

conseguito soltanto in un regime repubblicano<br />

dal momento che quello monarchico era governato<br />

dal priv<strong>il</strong>egio. Non a caso, le prime organizzazioni<br />

sindacali dei lavoratori italiani si<br />

ispirarono ad entrambi, come confermerà <strong>il</strong><br />

Congresso di Roma del 1871. Quelle che sono<br />

sembrate le maggiori aperture di Garibaldi ver


LIBERTÀ E SECONDA REPUBBLICA<br />

La lunga sfida di Edgardo Sogno<br />

Pagine: 190<br />

Prezzo: euro 16,00<br />

Collana: Documenti e Ricerche<br />

Introduzione di Dario Fert<strong>il</strong>io<br />

Scritti di: Edgardo Sogno, Paolo Armaroli, S<strong>il</strong>vio<br />

Berlusconi, Francesco Forte, Marco Grandi,<br />

Francesco Perfetti, Sergio Romano, Gian Enrico<br />

Rusconi e Sergio Scalpelli<br />

Questo libro raccoglie <strong>il</strong> contributo di alcuni dei più significativi<br />

amici di Edgardo Sogno, uniti dalla stima per questo<br />

straordinario protagonista della storia italiana, che ne hanno<br />

voluto approfondire l’originale pensiero. Nel libro sono<br />

raccolti scritti di Edgardo Sogno in materia di riforma istituzionale,<br />

alcuni dei quali assolutamente inediti. La lotta<br />

per una nuova costituzione che superasse quella “compromissoria”<br />

che ancora regge <strong>il</strong> paese, è stato <strong>il</strong> tema dominante,<br />

dagli anni ’70 fino alla scomparsa di questo grande<br />

pensatore liberale, che seppe misurarsi dopo gli anni<br />

dell’azione nella resistenza, con la lotta all’egemonia cattocomunista<br />

sulla società italiana.<br />

BIETTI<br />

dal 1870<br />

CATALOGO ON LINE: www.edizionibietti.it<br />

PER ACQUISTI ON LINE: www.ragioncritica.it<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

88<br />

storia<br />

so <strong>il</strong> socialismo, verso l’Internazionale, verso la<br />

Comune di Parigi, verso Bakunin, non sono in<br />

realtà ascrivib<strong>il</strong>i ad una impostazione ideologica<br />

diversa da quella mazziniana, ma soltanto<br />

ad una più libera predisposizione a giocare a<br />

tutto campo, alla ricerca di una più larga platea<br />

rivoluzionaria. Del resto, tali posizioni garibaldine<br />

emergono proprio negli anni finali del maggiore<br />

dissenso personale con Mazzini e, probab<strong>il</strong>mente,<br />

non sono esenti da una volontà di<br />

differenziazione rispetto all’antico maestro.<br />

La concordia tra Mazzini e Garibaldi ritorna preponderante<br />

sul piano della solidarietà con gli altri<br />

popoli oppressi. Ispirato dall’insegnamento<br />

mazziniano, Garibaldi pose la sua spada al servizio<br />

delle aspirazioni nazionali dei popoli sudamericani<br />

e sostenne quelle dei popoli dell’Europa<br />

centrale ed orientale. A differenza di Mazzini,<br />

non serbò rancore alla Francia, né per l’occupazione<br />

di Roma, né per l’annessione di Nizza<br />

e nel 1870 condusse una colonna di volontari<br />

alla vittoria di Digione nella guerra francoprussiana.<br />

Ne seguì la sua elezione a deputato<br />

all’Assemblea nazionale francese di Bordeaux,<br />

che fu strenuamente difesa da Victor Hugo nel<br />

marzo 1871 contro i generali imperiali che avevano<br />

subito l’onta della sconfitta e non si rassegnavano<br />

al fatto che l’onore del loro Paese fosse<br />

stato salvato da uno straniero.<br />

Tutte le grandi cause umanitarie dell’epoca<br />

avevano visto Mazzini e Garibaldi uniti perché<br />

entrambi convinti del valore universale degli<br />

ideali di libertà e di giustizia, a prescindere dalla<br />

latitudine. Entrambi sostennero convintamene<br />

la campagna abolizionista del presidente<br />

Lincoln; ad entrambi si ispirò Benito Juarez per<br />

la liberazione del Messico.<br />

Il diverso modo di porsi dei due fu, però, anche<br />

in questo campo evidente in occasione del<br />

congresso per la pace mondiale che si tenne a<br />

Ginevra nel 1867. All’entusiastica adesione di<br />

Garibaldi, dettata dalla naturale ed immediata<br />

simpatia per tutte le nob<strong>il</strong>i cause, corrispose<br />

quella più tiepida di Mazzini che, pur dichiarando<br />

di condividere <strong>il</strong> principio generale del pacifismo,<br />

rivendicava <strong>il</strong> diritto, ed anzi <strong>il</strong> dovere, di<br />

combattere le guerre giuste ove, cioè, fossero<br />

in gioco le legittime aspirazioni dei popoli.


Il 30 apr<strong>il</strong>e 1849 <strong>il</strong> generale Oudinot in testa al<br />

corpo di spedizione giunge in visita della città,<br />

convinto che i repubblicani non potranno opporre<br />

altro se non una resistenza assai debole<br />

di fronte all’azione m<strong>il</strong>itare che invece saprà<br />

esprimere la truppa ai suoi ordini, supportata<br />

da una più che adeguata e sperimentata logistica,<br />

ma soprattutto esperta, essendo reduce<br />

dalla vittoriosa campagna d’Algeria, disciplinata<br />

e munita di un armamento omogeneo e moderno,<br />

con particolare riferimento alle artiglierie<br />

ed alle sue tecniche di applicazione di memoria<br />

napoleonica, e che non manca do ostentare<br />

spavalda sicurezza per l’appartenenza ad<br />

un esercito considerato fra i più agguerriti ed<br />

efficienti in Europa; ma la dis<strong>il</strong>lusione sarà tanta.<br />

Infatti, avvicinatisi alle mura su tre direttrici<br />

in formazioni a ranghi serrati e con gli uffic<strong>il</strong>ai in<br />

tenuta da parata, a Porta San Pancrazio i voltiguers<br />

(fanteria leggera) e gli chasseurs francesi<br />

sono accolti da micidial scariche di fuc<strong>il</strong>eria<br />

provenienti dagli spalti e da ogni dove che li<br />

costringe a fermarsi, nonostante quel fuoco incrociato<br />

venisse controbattuto immediatamente<br />

dagli artiglieri francesi, spezzando la sommità<br />

delle mura con proiett<strong>il</strong>i a mitraglia.<br />

Lo scontro si estende su tutto <strong>il</strong> fronte. A V<strong>il</strong>la<br />

Pamph<strong>il</strong>i, dopo una feroce mischia, vengono<br />

fatti prigionieri trecento francesi della seconda<br />

colonna con <strong>il</strong> loro comandante: <strong>il</strong> Colonnello<br />

Picard; la terza colonna, infine, nel tentativo di<br />

aggirare i giardini vaticani, viene fermata dai<br />

cannoni ivi appostati e dai carabinieri romani<br />

comandati dal Colonnello Angelo Calderara.<br />

Seguirono momenti di disorientamento nelle f<strong>il</strong>e<br />

degli assalitori, quel tanto che si erano auspicati<br />

i Volontari e i Garibaldini, i quali, usciti<br />

dalla cinta muraria sotto la guida di Garibaldi,<br />

di Manara e di altri Comandanti, si avventano<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à storia<br />

Note su<br />

«La Repubblica romana del 1849»<br />

di Italo Pasqui<br />

90<br />

alla baionetta sui fianchi delle ormai scompaginate<br />

formazioni nemiche, ingaggiandole in furiosi<br />

corpo a corpo e conseguendo una vittoria<br />

totale, a tal punto che lo stesso Triumvirato,<br />

nella speranza di aprire quanto prima i negoziati<br />

diplomatici con <strong>il</strong> governo francese, dovette<br />

intervenire d’autorità con l’ordine di interrompere<br />

l’inseguimento dei reparti in ritirata;<br />

ordine al quale i Patrioti, pur mordendo <strong>il</strong> freno,<br />

dovettero sottostare. Al calar della sera, centinaia<br />

di corpi rimasero inerti sul campo a testimoniare<br />

l’asprezza dello scontro, mentre vennero<br />

fatte varie centinaia di prigionieri, <strong>il</strong> cui<br />

scambio, avvenuto pochi giorni dopo, consentirà<br />

la liberazione dell’intera guarnigione di Civitavecchia,<br />

che andrà ad ingrossare la difesa<br />

delle mura. Anche un pezzo di artiglieria cadrà<br />

in mano ai difensori.<br />

L’inaspettata e strenua resistenza, oltre agli<br />

esiti di quella bruciante sconfitta, indurrà l?oudinot<br />

ad interrompere le operazioni m<strong>il</strong>itari e ad<br />

accettare un armistizio, mentre <strong>il</strong> governo<br />

transalpino si adopererà non certo per motivi<br />

umanitari o di solidarietà verso quei principi a<br />

suo tempo tanto orgogliosamente celebrati con<br />

la bandiera imperiale francese, quanto per<br />

temporeggiare ed inviare rinforzi, come puntualmente<br />

avverrà elevando la consistenza della<br />

spedizione, ora Armata del Mediterraneo, a<br />

35.000 uomini (oltre 40.000, a memoria di Garibaldi).


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Libri interessanti, libri contestab<strong>il</strong>i,<br />

libri che...<br />

di Francesco Gironda<br />

Marco Giaconi, Il costo della Politica, Franco Angeli,<br />

M<strong>il</strong>ano 2008, ISBN 978-88-464-9620-1, Euro 18,00<br />

Il costo della politica<br />

Questo lavoro parte dall’osservazione empirica<br />

e comparativa della presenza di distorsioni<br />

strutturali della rappresentanza politica.<br />

Per l’autore queste deformazioni non derivano<br />

da deviazioni temporanee e casuali della «volontà<br />

popolare», ma sono insite nei meccanismi<br />

rappresentativi.<br />

Il costo della politica, per l’autore, non è quindi<br />

solo <strong>il</strong> costo della corruzione, ma anche e soprattutto<br />

<strong>il</strong> costo della deformazione delle richieste<br />

e delle soluzioni politiche quando esse<br />

si inseriscano nel processo della rappresentanza.<br />

Non è ormai esaustiva una rappresentazione,come<br />

quella della «scelta razionale», che<br />

descrive l’elettore come ispirato da processi razionali<br />

nella scelta delle opzioni politiche più<br />

coerenti con i propri legittimi interessi. Giaconi<br />

infatti afferma che non è più possib<strong>il</strong>e concepire<br />

<strong>il</strong> processo politico come un semplice riflesso,<br />

se non addirittura come una trasposizione,<br />

92<br />

in libreria<br />

della volontà degli elettori. L’autore elabora<br />

molte delle tematiche del marketing politico e<br />

commerciale, ed alcuni dei modelli di psicologia<br />

politica, per analizzare come, sempre di<br />

più, oltre alla classica «pubblicità» politica, vi<br />

sia oggi una vera e propria commercializzazione<br />

delle opzioni politiche, che interferisce, alterandola,<br />

con la percezione dei problemi sia degli<br />

elettori che delle stesse classi dirigenti. Il<br />

saggio di Giaconi non trascura comunque l’analisi<br />

classica della politica: <strong>il</strong> risultato dello<br />

scambio tra elettori ed eletti, sia esso lecito o <strong>il</strong>lecito,<br />

i modelli di deformazione strutturale delle<br />

decisioni, le tecniche con le quali sia gli elettori<br />

che gli eletti selezionano, rielaborano, le<br />

varie opzioni che sono state oggetto di attenzione<br />

nel confronto politico ed elettorale, ma<br />

pone un’attenzione particolare a tutti gli aspetti<br />

che hanno segnato negli ultimi anni, in maniera<br />

eccentrica rispetto al passato, l’evolversi<br />

del rapporto tra i cittadini e <strong>il</strong> potere elettivo.<br />

Una lettura da consigliare in particolare a coloro<br />

che vogliono studiare le riforme del sistema<br />

elettorale italiano e la selezione delle classi dirigenti,<br />

Marco Giaconi è direttore di ricerca al Centro<br />

M<strong>il</strong>itare di Studi Strategici di Roma e collabora,<br />

con studi geopolitici e strategici, alla Presidenza<br />

del Consiglio dei Ministri. Tra le sue opere,<br />

«Le Organizzazioni criminali internazionali,<br />

aspetti geostrategici e economici», Collana Ce-<br />

MiSS, Franco Angeli 2001-»Spazio e potere,<br />

Modelli di geopolitica», Franco Angeli, 2003-<br />

»Maghreb al Aqsa, l,Estremo Occidente», Osservatorio<br />

strategico Cemiss, 2002, è membro<br />

dello IAI e dell’ISTRID. Collabora alla rivistq<br />

dell’AISI «GNOSIS» e ad «Affari Esteri».


in libreria<br />

Alice Oxman Sotto Berlusconi - Diario di una americana<br />

a Roma 2001-2006. Editori Riuniti 2007, Euro 16,00<br />

Spigolando tra i blog<br />

Spigolando tra i blog ho trovato una straordinaria<br />

e puntuale analisi di una recensione del<br />

libro di Alice Oxman Sotto Berlusconi - Diario di<br />

una americana a Roma pubblicato dall’Unità. Il<br />

libro, per altro, è un interessante esempio dei<br />

pensieri e delle riflessioni di una esponente di<br />

quella gauche-caviar internazionale, di alto livello<br />

sociale ed elegante scrivere, che pensa<br />

che far uscire l’Italia dal disastro in cui da decenni<br />

si trova sia compito delegab<strong>il</strong>e con successo<br />

proprio a quelle livorose anime belle della<br />

politica italiana che di quel disastro ormai decennale<br />

portano per intero la responsab<strong>il</strong>ità.<br />

valeforn@ così scrive sul suo blog:<br />

«È sabato mattina.<br />

Sto leggendo un articolo a dir poco suggestivo<br />

su l’Unità online (ognuno persegue le pratiche<br />

masochiste che preferisce). Sembra un giallo,<br />

una spy-story mentre invece è la triste realtà<br />

quotidiana di questa Italia al declino.<br />

L’articolo è scritto da Marco Travaglio attenta e<br />

solerte sentinella su ogni malcostume o nefandezza.<br />

L’articolo è una recensione al libro di Alice Oxman<br />

Sotto Berlusconi - Diario di un americana<br />

a Roma.<br />

Mi butto a capofitto nella lettura tanto da percepire<br />

subito che i j’accuse sono riferiti al ne-<br />

l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

93<br />

mico pubblico numero uno che coi suoi miasmi<br />

sta infettando la nostra frag<strong>il</strong>e democrazia.<br />

Beh... intanto Travaglio ci fa sapere che Alice<br />

Oxman è americana, ma ama l’Italia come e<br />

forse più di molti italiani. Anzi, facciamo così...<br />

ne riporto alcuni stralci.<br />

Questo libro di Alice Oxman, una scrittrice<br />

americana che ama l’Italia piú di molti italiani, è<br />

un formidab<strong>il</strong>e antidoto contro l’amnesia furbetta<br />

e miope di chi non vuole fare i conti fino in<br />

fondo con quella stagione nera che ha riportato<br />

in superficie, dopo sessant’anni, i peggiori liquami<br />

di una certa Italia. Sotto Berlusconi è <strong>il</strong><br />

diario puntuale e certosino, dunque inevitab<strong>il</strong>mente<br />

indignato, di una donna che ogni giorno<br />

ha annotato in tempo reale le vergogne del<br />

quinquennio berlusconiano. ...<br />

Ne viene fuori una cronaca impietosa non solo<br />

della nascita e della crescita di un regime moderno,<br />

o postmoderno, ma anche della mitridatizzazione<br />

che giorno dopo giorno, complice <strong>il</strong><br />

monopolio dell’informazione, induce i piú ad<br />

abituarsi, ad assuefarsi, ad abbassare progressivamente<br />

le difese immunitarie, a lasciar<br />

passare i peggiori orrori sempre nella convinzione<br />

autoconsolatoria che “questa è l’ultima<br />

volta”. E invece è sempre la penultima. Con<br />

l’occhio sgombro dalle lenti deformate del fam<strong>il</strong>ismo<br />

amorale e dell’eterno fascismo italiota,<br />

l’autrice scandisce sempre piú angosciata, stupita<br />

e sconcertata i rintocchi di quelle giornate<br />

che sembravano non finire mai...<br />

Sullo sfondo, mentre cadono i foglietti del calendario,<br />

prende corpo l’Agenda Unica del regime<br />

e del suo ducetto, che fa sparire interi pezzi<br />

di realtà dalle sue tv (tutte) e dunque dalla<br />

mente dei cittadini. E impone i suoi interessi a<br />

un’intera nazione, finendo per convincerla che<br />

le vere emergenze nazionali sono i (suoi) processi,<br />

le (sue) aziende, le (sue) tasse. “Un regime<br />

–scrive l’autrice – nasce tra m<strong>il</strong>le distrazioni.<br />

Scrivo per non avere rimpianti”.<br />

Lo schifo monta in me proseguendo la lettura<br />

riga dopo riga.


l a r i v i s t a d e l l e l i b e r t à<br />

Ma come ho potuto essere così cieco da non<br />

vedere la vera realtà che mi circonda? Come<br />

ho potuto non ascoltare l’allarme che la parte<br />

sana del Paese lanciava? Come ho potuto<br />

consegnare <strong>il</strong> mio destino e <strong>il</strong> destino degli italiani<br />

nelle mani di un personaggio sim<strong>il</strong>e?<br />

Perché doveva riuscirci una americana a farmi<br />

spalancare gli occhi sull’orrore di questo latente<br />

regime? Come ho potuto?<br />

Perché è capitato che ad aprirmi gli occhi fosse<br />

la Oxman, un’americana, la moglie di Furio<br />

Colombo?<br />

La moglie di Furio Colombooo??????!!!! La<br />

moglie di Furio Colombooo??????!!!!<br />

Eporcapaletta!<br />

È sabato mattina. Uno si mette lì a cercare della<br />

sana informazione. Si sforza di trovarla in un<br />

articolo di recensione di Travaglio che a volte<br />

sembra dare la leggera percezione di non essere<br />

proprio superpartes ma te lo sogni sempre<br />

come l’immacolato paladino del bene, del<br />

giusto, dell’equo.<br />

La prima reazione è quella di aver sprecato<br />

cinque minuti preziosi di tempo.<br />

Poi la convinzione che si fa largo è quella che<br />

non sia stato tempo buttato via.<br />

Ti rendi conto che anche la definizione di “conflitto<br />

d’interessi” assume sfumature differenti a<br />

seconda delle prospettive.<br />

Provi a pensare se, anche questa come quell’altra<br />

Alice vive in un mondo di conigli parlanti<br />

e gatti stregatti, o cosa faranno e scriveranno<br />

mai i Travagli quando <strong>il</strong> S<strong>il</strong>vio opterà per la pensione?<br />

Provi a pensare in quale piccolo mondo fogazzariano<br />

vivono e quanto violento sia <strong>il</strong> loro<br />

vivere, pensare ed agire quotidiano. Quanto<br />

disprezzo e derisione mostrino per la volontà<br />

popolare che quel ducetto ha voluto con<br />

espressione di voto, tanto da considerarlo alla<br />

stregua di un popolo bue che, per autoconvinzione<br />

vive volutamente beato e immerso<br />

94<br />

in libreria<br />

nell’ “eterno fascismo italiota” con la mente<br />

annientata dalle tv berlusconiane.<br />

Sorridi pensando ai lucrosi guadagni del farmacista<br />

di fiducia dei coniugi Colombo che a<br />

quintalate di Maalox venduto alla coppia si sarà<br />

fatto la v<strong>il</strong>letta in Costa Smeralda contigua a<br />

quella del “ducetto” e a tutti gli italiani che<br />

ascoltano impassib<strong>il</strong>i le urla belluine di questi livorosi<br />

e con regolarità impressionante li mandano<br />

a quel paese.<br />

Mandano a quel paese i Colombo e le Oxman<br />

così come i Travaglio e i Flores D’Arcais. Mandano<br />

a quel paese quelli che urlano per <strong>il</strong> Berlusconi<br />

che non soggiace alla giustizia e al volere<br />

della magistratura dimenticando che quando<br />

fu <strong>il</strong> loro turno si ribellarono al grido di “Io<br />

non ci sto”, o ad un Borrelli che dimostra quanto<br />

deve essere distante <strong>il</strong> potere giudiziario da<br />

quello politico lanciano <strong>il</strong> suo triplice “Resistere”,<br />

e pure i soloni della politica che vogliono risanare<br />

l’Italia partendo da un buco di b<strong>il</strong>ancio<br />

clamoroso come quello che hanno lasciato al<br />

Comune di Roma o quegli altri che ancora si<br />

domandano come abbiano fatto gli italiani a<br />

farli sparire dal Parlamento.<br />

Mai sottovalutare gli italiani e immaginarli come<br />

idioti in balia del televenditore o disposti ad<br />

annullare la propria capacità critica e di pensiero<br />

per ridursi al ruolo di “servi furbi”.<br />

Poi quelli si incazzano e con una ics a matita<br />

sul foglio giusto vi cacciano fuori dalla storia e<br />

dai coglioni».

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