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Ground Zero e oltre - Arch-Metron

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1. INTRODUZIONE<br />

La prima infanzia dell’architettura moderna, l’epoca eroica dei maestri, quella<br />

che mira ad una nuova organizzazione spaziale attraverso la funzione (Virilio),<br />

si infrange contro le distruzioni della seconda guerra mondiale e la barbarie dei<br />

totalitarismi, e finisce nel binario morto di una sterile, precoce senilità. La seconda<br />

infanzia, quella che punta a soddisfare i nuovi modi vita della “affluent<br />

society”, si isterilisce nel freddo e distaccato International Style. La terza, che<br />

ha come atto di nascita la mostra del MoMA nel 1988 sul decostruttivismo, è<br />

dirompente, straripante e impone l’architettura all’attenzione del grosso pubblico<br />

e dei media. Un successo carico però di insidie e pericoli, che fatica a superare<br />

quegli ostracismi che avevano segnato il destino dei maestri. Allora le difficoltà<br />

erano dovute a carenze comunicative, oggi sono invece dovute, paradossalmente,<br />

ad un eccesso di comunicazione. Se a questo aggiungiamo gli effetti<br />

deleteri del rapido consumo delle forme e delle mode, i risultati non sembrano<br />

confermare le premesse. L’edificio firmato diventa, alla stregua di una<br />

cravatta, un pezzo da esibire e ostentare, l’architetto di grido è oggetto di attenzioni<br />

reverenziali, la tecnologia digitale assurge ai livelli di culto, il formalismo<br />

dilaga incontrastato. In questo contesto la disciplina si fa prendere la<br />

mano, da un lato, dalla crescente spettacolarizzazione fine a sè stessa, da un<br />

marcato disimpegno sociale, dalla cinica gestione affaristica e, dall’altro, da un<br />

intellettualismo esasperato. Prevale su tutto un atteggiamento da re Mida che<br />

trasforma in oro quello che tocca inebriando il pubblico plaudente e i media,<br />

sempre alla ricerca del sensazionale.<br />

L’architettura sembra smarrire i propri valori etici, sociali e artistici che ne avevano<br />

segnato il destino, nel bene e nel male, per tutto il XX secolo. Una caduta<br />

di tensione che offre terreno fertile al variegato mondo allergico alla modernità<br />

che così può dare sfogo alla propria rabbia qualunquista.<br />

Ma l’11 settembre 2001 il re si ritrova, improvvisamente, nudo. Con le Twin<br />

Towers crolla quel mondo effimero dell’apparenza che molti, troppi architetti<br />

scambiavano con quello reale. Un uragano piomba nel contesto architettonico<br />

urbanistico contemporaneo, scombinandolo e scuotendolo con forza e violenza,<br />

come nessun altro avvenimento recente è stato in grado di fare, facendo venire<br />

al pettine nodi non sciolti, debellando certezze acquisite, alimentando incomprensioni,<br />

accendendo furibonde polemiche. Un salutare scossone alle inerzie<br />

e agli appisolamenti intellettuali.<br />

<strong>Ground</strong> zero è un azzeramento radicale, brutale con cui la moderna cultura architettonica<br />

si trova a dover fare i conti. La pianificazione, l’urbanistica, l’architettura<br />

con le loro glorie e miserie vengono scaraventate sulle prime pagine dei<br />

quotidiani e sottoposte al giudizio, talvolta impietoso, dei cittadini. Una riflessione<br />

collettiva che si esprime nei modi più imprevisti e sorprendenti: nascono<br />

gruppi professionali di studio, vengono organizzate esibizioni di proposte progettuali,<br />

scuole di architettura impegnano gli studenti in esercitazioni accademiche,<br />

quotidiani e critici chiamano a raccolta teams per esprimersi sull’argomento,<br />

semplici cittadini fanno sentire, nei modi più disparati, la propria voce.<br />

Mai particella urbana fu più indagata, studiata, scavata, rivoltata. Chi, non solo

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