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L'intervista completa a Maria Belli - Spi-Cgil Emilia-Romagna

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<strong>Maria</strong> <strong>Belli</strong>: una concreta idealista<br />

Intervista realizzata da Rosalba Navarra, vice presidente dell'Anpi di Forlì<br />

Il mio incontro con <strong>Maria</strong> <strong>Belli</strong>, dagli occhi buoni, vivaci e intelligenti si rivela una<br />

chiacchierata poco formale con una signora, che mette a proprio agio gli altri, spontanea e<br />

aperta, consapevole di aver fatto tante cose di cui è orgogliosa, ma che non ostenta per<br />

naturale modestia. Al mio invito a raccontarsi volentieri comincia:<br />

piccola.<br />

“ Sono nata a Cesena il 20 febbraio 1934 in una famiglia antifascista. Io ero la più<br />

A 10 anni incontrai la guerra di liberazione perché, avendo due fratelli partigiani ed<br />

essendo nascosti, portavo loro da mangiare; facevo la staffetta come poteva fare una<br />

bambina di 10 anni. I fascisti erano sempre intorno alla mia casa; io difendevo la mia<br />

mamma. Casa mia era il ritrovo dei ragazzi che dovevano andare su in montagna a fare i<br />

partigiani. La mia mamma mi mandava a letto, ma io li guardavo dal buco della serratura.<br />

Conobbi così, sempre all’età di 10 anni, Luciano Lama di cui ho un ricordo bellissimo:<br />

portava una giacca color kaki. In seguito lo conobbi bene.<br />

Le condizioni economiche dell’epoca erano quelle che erano, però i miei genitori,<br />

dato che ero brava a scuola, con sacrifici mi permisero studiare e prendere il diploma di<br />

computista commerciale. Poi, andai a lavorare in una cooperativa (attualmente Apofruit),<br />

come impiegata in ufficio. All’epoca ero diventata a Cesena la segretaria delle ragazze<br />

della FGCI. Su proposta del partito e della cooperativa fui distaccata alla FGCI di Forlì per<br />

due mesi (i due mesi divennero tutta la vita). In seguito fui nominata responsabile<br />

provinciale delle ragazze della FGCI.<br />

A 19 anni ottenni l’incarico di segretaria generale della federazione giovanile di Forlì<br />

(molto significativo per la causa femminile); ero l’unica donna in Italia segretario nazionale<br />

della FGCI. In quegli anni il segretario nazionale del PCI era Enrico Berlinguer. Mi<br />

proposero di andare a lavorare a Roma; ma non accettai. Mi ricordo che, successivamente,<br />

venni eletta membro del comitato centrale della FGCI, poi della direzione.<br />

Andavo alle riunioni a Roma provocando lo stupore nei colleghi a cui sembrava un<br />

caso straordinario che il segretario generale della FGCI fosse una ragazza, per di più così<br />

giovane ”.<br />

1


D - La <strong>Romagna</strong> è stata all’avanguardia in questo campo, innovativa. Era un fatto<br />

normale per i tempi affidare ad una ragazza diciannovenne un incarico così importante?<br />

R - “ Per me era un fatto normale”, ribadisce <strong>Maria</strong>, riprendendo il suo racconto:<br />

“Mi sposai nel ’58. Negli anni ’60 cominciai ad essere eletta nelle istituzioni. Nel ’61<br />

divenni mamma per la prima volta.<br />

A Forlì, per un periodo nelle istituzioni non ci fu la maggioranza né di sinistra né di<br />

destra e si finiva con il commissariamento del comune, per cui per 4 / 5 anni ci fu il<br />

commissario.<br />

Nel ’65, in provincia fu eletta una giunta di sinistra che durò in carica 6 / 8 mesi circa;<br />

lì feci la mia prima esperienza come amministratore provinciale. Bella esperienza!<br />

Ci proponemmo, infatti, di portare a Forlì o perlomeno nel territorio tutti quei bambini<br />

istituzionalizzati perché poveri o diversamente abili, che generalmente venivano ospitati a<br />

Imola, a Torino (Cottolengo) o in altri istituti. All’epoca andare a Torino non era facile.<br />

Istituimmo così a San Piero in Bagno “Acqua Partita”, in un ex sanatorio che<br />

adattammo a istituto psicopedagogico. Per noi una grande cosa!<br />

Ponemmo anche il problema di chiudere i brefotrofi dove i bambini stavano fino a 6<br />

anni. Quando andavo a far visita in questi posti, tutti i bambini mi chiamavano mamma.”<br />

<strong>Maria</strong> tiene a puntualizzare: ”La chiusura dei brefotrofi fu merito delle donne che si<br />

occuparono della tematica femminile della maternità. Venne chiuso anche il brefotrofio di<br />

via Salinatore a Forlì, di proprietà della provincia.<br />

Nel ’70 poi, un’esperienza nuova… fui eletta consigliera comunale e<br />

contemporaneamente assessore, funzione che ricoprii per 16 anni dal ’70 al 1985 e<br />

quella….è stata la mia università! Andavo in comune col pancione”- aggiunge con un tono<br />

dolce… poi, immergendosi ancora nei ricordi riprende:<br />

“Precedentemente ero stata presidente dell’UDI e, negli anni ’68-’69, andavo in<br />

delegazione in comune a sollecitare una legge per l’apertura di asili e di scuole<br />

materne(per la quale avevo contribuito a raccogliere50 mila firme), per favorire l’accesso<br />

nel mondo del lavoro delle donne che, prima degli anni ’60, erano quasi tutte di famiglia<br />

contadina, lavoravano nelle campagne e si portavano i bambini con loro; dopo, entrando<br />

in massa a lavorare nelle fabbriche, non poterono più occuparsi dei figli ed ebbero il<br />

problema a chi affidarli. Negli anni ’62- ‘63, l’occupazione femminile a Forlì ebbe un<br />

incremento notevole; c’erano tante fabbriche e calzaturifici: Bondi, Becchi, Maiani,<br />

Mangelli, Battistini. Per questo motivo, con le donne mi impegnai nella battaglia degli asili:<br />

2


organizzavamo pullman per andare a Roma per convincere i parlamentari ad accelerare<br />

l’approvazione della legge. Mi ricordo che nel 1971, la mattina stessa in cui divenne legge<br />

dello Stato, fu decisiva la spedizione di 4 pullman con 200 donne forlivesi, la cui<br />

delegazione di cui facevo parte, forte di un tale appoggio, perorò talmente bene la causa<br />

da indurre i parlamentari a votarla”.<br />

D - Quanto la tua concretezza, la tua capacità di coinvolgere, ma anche di<br />

sperimentare sono state determinanti nelle conquiste successive del tuo impegno politico?<br />

R - “Tanto! Esclama e riprende “Appena insediata l’amministrazione comunale, fui<br />

incaricata dell’assessorato all’infanzia e subito approvammo un piano regolatore per gli<br />

asili nido. In 5 anni realizzammo 8 asili nido e 12 scuole dell’infanzia, un vero boom!<br />

Nel piano regolatore avevamo previsto dei parametri: dovevano essere edificati nei<br />

quartieri più densamente popolati; per costruire un asilo nido di tre sezioni (locali più<br />

giardino) occorreva un terreno di 3000 mq, il doppio per quelli di 6 sezioni. Realizzammo<br />

quasi tutti gli asili che ci sono tuttora. Il progetto fu supportato da idee innovative fra cui<br />

quella di convenzionarci subito con la facoltà di pedagogia dell’università di Bologna dove<br />

operavano gli esperti Canevaro, Fraboni e Faedi (di cui ottenemmo la consulenza). In<br />

seguito fu attivata una convenzione con il prof. Malaguzzi, responsabile di Reggio <strong>Emilia</strong>, il<br />

meglio del meglio!”<br />

D - Anche le amministrazioni comunali del sindaco Satanassi prima e di Zanniboni<br />

dopo hanno scommesso su di te. Come facevi ad avere tanta esperienza in questo<br />

settore ?<br />

R - “ Ascoltavo i problemi della gente, mi facevo carico dei loro bisogni, ci ragionavo<br />

sopra, mi documentavo e poi, insieme alle persone competenti, cercavo di trovare<br />

soluzioni. Per questo motivo prendemmo i contatti con i massimi esperti di pedagogia per<br />

l’impostazione pedagogica e culturale.<br />

Il maestro Santarini era l’operatore locale responsabile del progetto-asili. Io lo<br />

conoscevo, sapevo delle sue qualità e per questo chiesi al provveditore agli studi di<br />

distaccarlo a Forlì per seguire da vicino, quotidianamente, l’esperienza. Rimase sempre<br />

con noi come qualificato referente nel territorio, avendo l’università come punto di<br />

riferimento.<br />

L’esperienza dei nostri asili nido e delle scuole dell’infanzia fu stimolo e modello per<br />

tutta l’Italia, soprattutto del nord. Mi ricordo che invitai a Forlì Gianni Rodari, che<br />

conoscevo personalmente. Tenne un corso di formazione di 3 giorni nel salone comunale,<br />

3


con la massima affluenza di partecipanti; molti di loro venivano da Ravenna, Rimini e altri<br />

luoghi della <strong>Romagna</strong>.<br />

Dopo pochi mesi, purtroppo, Rodari morì e l’esperienza con lui non si poté ripetere.<br />

Formammo anche i Comitati Scuola-Città ai quali aderirono anche cittadini non<br />

interessati personalmente come genitori. In ogni scuola e asilo-nido coinvolgemmo in corsi<br />

di formazione i genitori, in modo particolare gli uomini, per condividere le esperienze con<br />

entrambe le figure parentali. Insieme a loro facevamo assemblee mensili per discutere<br />

della qualità dei servizi. Si resero disponibili per i lavori pratici come imbiancare, sistemare<br />

il giardino e altre incombenze necessarie; in questo modo, oltre a renderli partecipi,<br />

risparmiavamo i soldi.<br />

Attorno a questi servizi avevamo messo in movimento una democrazia partecipata di<br />

grande spessore…e questo ci fu di notevole aiuto. Ecco perché definisco tale esperienza la<br />

mia università.<br />

Per realizzare concretamente tutti questi servizi, effettuammo anche i concorsi per<br />

assumere personale educativo, ausiliario e vario.<br />

D - Ti è stato d’aiuto nel tuo lavoro il fatto di essere mamma?<br />

R - “Molto, anche nell’affrontare la necessità della creazione dei centri estivi sostitutivi<br />

delle colonie dove i bambini venivano mandati in estate.<br />

Avevo avuto un’esperienza deludente con Paola, la più grande delle mie figlie, che nel<br />

periodo estivo avevo mandato in colonia, con una cooperativa molto qualificata di<br />

Bologna, quanto di meglio ci fosse sul mercato; nonostante ciò aveva sofferto molto.<br />

Memore della esperienza di mia figlia, data la vicinanza di Forlì al mare, pensammo di<br />

organizzare i centri estivi per i bambini le cui mamme lavoravano.<br />

Utilizzavamo pullman per arrivare a Cesenatico, dove avevamo comprato una colonia<br />

che serviva come punto d’appoggio per il pranzo a mezzogiorno e per il riposino<br />

successivo. Si partiva alle 7.30 dal piazzale Kennedy, si tornava alle 18.30 e i bambini<br />

rientravano in famiglia fino alla mattina successiva; costava di meno e i bambini non<br />

soffrivano il distacco dalle famiglie. Facemmo centri estivi anche alla Rocca delle Caminate.<br />

Cesenatico fu l’inizio della pratica dei centri estivi, che attualmente il Comune, non<br />

potendoli gestire, affida alle cooperative”.<br />

D - Oltre alla conoscenza dei problemi con cui quotidianamente ti confrontavi per la<br />

condizione di mamma e il tuo proverbiale senso pratico, è stata la solidarietà di genere che<br />

4


ti ha dato una grossa spinta ad appianare ostacoli e rendere più gestibile per le donne<br />

l’impegno dei figli?<br />

R - “Quando sei mamma e vivi quotidianamente questa realtà, senti il bisogno di fare e<br />

di organizzare anche per le altre e non solo per te. Nel ’70 c’erano dei bambini che non<br />

avevano mai visto il mare.<br />

Insieme alla delega dei problemi dell’infanzia, avevo anche la quella per gli anziani.<br />

Questa fu un’altra palestra di cultura.<br />

All’epoca gli anziani non superavano il numero dei giovani come avviene adesso;<br />

avevano, però, bisogno di assistenza. L’idea dei pasti per gli anziani l’avemmo noi, per<br />

primi, anzi io.<br />

Fu così: casualmente incontrai un ex partigiano di Barisano, che conoscevo; si mise a<br />

piangere perché gli era morta la moglie e lui, che non sapeva prepararsi neanche un uovo,<br />

si sentiva costretto ad andare nella casa di riposo. Io lo incoraggiai a non abbandonare la<br />

sua casa”.<br />

D - Eri ancora assessore al comune?<br />

R - “Si, ci rimasi fino al 1986, attualmente non sarebbe più possibile per legge. Parlai<br />

con i responsabili della casa di riposo, ci mettemmo d’accordo per preparare 4 pasti in più<br />

e partimmo. Avevamo trovato quattro anziani che accettarono di provare. Facevamo<br />

pagare il costo reale del pasto con esclusione del rimborso-macchina che davamo ai loro<br />

vicini di casa, i quali si prendevano l’incarico di portar loro i pasti a domicilio. Adesso<br />

vengono preparati 500 coperti al giorno.<br />

L’idea era valida, fummo i primi in Italia; l’esperimento fu imitato da molte altre città”.<br />

D - Un’ idea senza dubbio rivoluzionaria, come quella delle vacanze anziani.<br />

R - “ La nostra amministrazione fu la prima ad avere anche questa idea.<br />

Facevamo pagare 5 mila lire ciascuno perché sostenni che se noi li avessimo mandati<br />

gratis, loro non avrebbero avuto alcun diritto di protesta, dato che a caval donato…; se<br />

avessimo, invece, fatto pagare un piccolo contributo, avrebbero avuto una loro dignità.<br />

Cinque mila lire per un periodo di 12 giorni era una sciocchezza, un segno. E da lì<br />

partirono le vacanze anziani, ormai una conquista.<br />

Allo stesso modo e nello stesso periodo, fine anni ’70, per questa fascia di età partì<br />

l’assistenza domiciliare. Mi rivolsi a due persone, che conoscevo bene e che lavoravano per<br />

il comune come bambinaie negli asili. Chiesi loro se fossero disposte a svolgere un lavoro<br />

di assistenza a domicilio agli anziani (fare loro il bagno, rassettare la casa,ecc…) invece di<br />

5


fare le bambinaie. Accettarono, lo fecero più per me, dato che le conoscevo benissimo.<br />

Partimmo con queste due persone”.<br />

D - Tu spendevi la stima che avevano per te le persone per concretizzare in breve<br />

tempo i servizi che richiedevano un iter più lungo. Anche l’ esperienza assistenza anziani è<br />

stata positiva.<br />

R - “Adesso l’azienda Usl gestisce questo servizio al posto del Comune.<br />

L’esperienza ci portò a concludere che le case di riposo erano necessarie quando<br />

l’anziano era nella fase finale della vita, non più autosufficiente e non più gestibile in casa,<br />

in contrasto con l’opinione corrente per cui, l’anziano quando restava solo e non sapeva<br />

farsi da mangiare, doveva andare nella casa di riposo, dove ci stava male e per di più<br />

costava troppo”.<br />

D - Un servizio attivato sempre dalla giunta?… di cui facevi parte?<br />

R - “Sì! Cominciammo a fare anche i primi centri sociali come momento di<br />

aggregazione per anziani, perché capimmo che la solitudine portava depressione”.<br />

D - Anche in questo siete stati dei pionieri?<br />

R - “Infatti non c’erano esperienze precedenti a cui ispirarsi e noi inventammo questo<br />

grande momento di aggregazione e condivisione con la città. Andavamo a fare assemblee<br />

ero la figlia delle assemblee ne facevamo 4 / 5 alla settimana e lì discutevamo dei progetti.<br />

Sono una di quelle che hanno contribuito a far chiudere i manicomi. Incontrai, però,<br />

molte difficoltà. Negli anni ’80, a seguito della legge Basaglia, dovevamo portare a casa gli<br />

ammalati di Imola. Istituimmo due centri, di cui uno in corso Garibaldi.<br />

C’erano tante persone contrarie alla attivazione di un centro di quel tipo. Io spiegai che<br />

c’erano tutte le garanzie del caso, che avevamo gli operatori. La persona che mi deluse di<br />

più fu la madre di un partigiano, morto durante la lotta di liberazione, la quale portò la<br />

foto del figlio, la buttò sul tavolo e mi disse: signora <strong>Belli</strong> mio figlio è morto invano,<br />

perché lei tradisce i suoi ideali. Queste parole mi addolorarono moltissimo; la notte piansi”.<br />

legge?<br />

D - Chi doveva dare una mano, ancora non era culturalmente pronto per una tale<br />

R - “Era un progetto all’avanguardia! La malattia di mente era ancora un tabù per<br />

molti. Io conoscevo un’infermiera, da poco in pensione, le chiesi se per un periodo di<br />

tempo poteva andare a passare la notte gratis nell’appartamento di corso Garibaldi, dove<br />

erano ospitate sei persone malate mentali, per garantire una maggiore sicurezza con<br />

6


un’ulteriore sorveglianza nei primi tempi di avvio di tale esperienza. Lei accettò per tre<br />

mesi come volontaria.<br />

L’altro centro era in via Fabio Filzi, una zona signorile, una traversa vicino al cimitero,<br />

in una casetta di proprietà del comune. Tanta gente venne a lamentarsi in modo esplicito<br />

dicendo: Li porti a casa sua! Un dottore mi urlò: Mi sono fatto una villa e lei mi porta i<br />

matti come dirimpettai!”<br />

D - Malgrado i contrasti sei sempre andata avanti?<br />

R - “Con tanta determinazione andai oltre e pensai anche per i drogati. Un signore, che<br />

non aveva figli ed era presidente del quartiere, lasciò in eredità la sua casa al comune. Io<br />

la utilizzai per ospitare e assistere i drogati”.<br />

D - Hai lavorato in un periodo storico particolare in cui c’era voglia di socializzare e di<br />

partecipare.<br />

R - “Gli anni ’70 furono un periodo molto fertile di idee creative, molto seguite poi in<br />

altre città italiane e anche all’estero. Venivano perfino delegazioni dalla Norvegia, dalla<br />

Francia e altre nazioni soprattutto per la novità degli asili nido, dove i bambini venivano<br />

divisi per fasce d’età. Mi preme sottolineare che la caratteristica particolare di questi<br />

progetti era che venivano sottoposti all’opinione pubblica attraverso i comitati di quartiere,<br />

che programmavano delle assemblee, di solito molto affollate; la gente, aveva una gran<br />

voglia di partecipare ed esprimere la propria idea. Così dietro l’assessore c’erano tanti<br />

cittadini che arricchivano con le loro idee il progetto. Mi ricordo le feste di Natale e di fine<br />

anno scolastico per citarne alcune. La sanità, gli anziani, l’infanzia questo fu il mio<br />

assessorato!”.<br />

D - In quegli anni è stato necessario imporre, come adesso accade, le quote rosa?<br />

R - “Promuovemmo tante donne nei comitati Scuola-città, a dirigere i servizi, che<br />

richiedevano persone capaci per la loro gestione. Le donne si proponevano e si<br />

dichiaravano pronte a programmarli e a gestirli. Grande risultato!<br />

Nel 1986, dopo 16 anni, mi dimisi dal mio incarico perché accettai la proposta di fare il<br />

vicepresidente nel consiglio di amministrazione dell’Icap (Istituto autonomo case popolari),<br />

carica incompatibile con quella di consigliere comunale. Feci delle belle esperienze e capii<br />

tante cose.<br />

Facevo assemblee con gli inquilini e mi resi conto ciò che non andava: soprattutto il<br />

concentrare tante case in poco terreno. Io abitavo già nell’appartamento attuale, nella<br />

zona pep; viveva a casa con noi mia zia, che mi dava una mano anche se tenevo a seguire<br />

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personalmente le mie figlie e ad aiutarle nella crescita. Fra le tante cose ero<br />

rappresentante di classe di tutte e tre, le accompagnavo alle gite scolastiche, rispettavo il<br />

mio ruolo di mamma.<br />

Mi ricordo che in una riunione volevano bocciare una bambina, che abitava in zona e<br />

che aveva una famiglia in difficoltà. Io presi le sue parti e riuscii a farla promuovere. La<br />

cosa che mi colpì più di tutto e mi fece più male fu che riferendosi a lei, come aggravante<br />

mi dissero: Sa signora <strong>Belli</strong>, la bambina abita nei palazzoni. Di questo mi ricordai durante<br />

la mia attività di vicepresidente alle case popolari. Le prime decisioni furono quelle che non<br />

si potevano costruire più di 12 appartamenti in 2 scale; 6 in ciascuna per evitare di<br />

concentrare nello stesso posto molte famiglie con storie e situazioni complesse. Tant’è che<br />

feci togliere la targa con la sigla dell’ente per evitare etichette negative per chi vi abitava.<br />

Decidemmo anche di fare le salette condominiali. Spesso all’ingegnere capo che si vantava<br />

di avere alla fine dei lavori un avanzo di 50 milioni nel bilancio annuale, io dicevo di essere<br />

dispiaciuta di preferire, piuttosto, il pareggio di bilancio a dimostrare che non eravamo in<br />

debito ma neanche creditori di tante case nei confronti di chi non ne aveva. Queste le<br />

grandi scelte con l’amministrazione attraverso l’istituto Case Popolari.<br />

Ricordo un signore che venne ad abitare in corso della Repubblica in un alloggio INCIS;<br />

per andare in casa doveva affrontare 88 gradini. Usciva si e no una volta al mese.<br />

Io riunii architetti, ingegneri e venimmo alla soluzione di installare ascensori esterni.<br />

Dopo furono installati anche in corso Garibaldi”.<br />

D - Sei stata anticipatrice in tutti i settori di cui ti sei occupata!<br />

R - “ Sono stata concreta e vicina alla gente, attenta ai loro bisogni”.<br />

D - Adesso è questo che manca: avere il polso della situazione, consapevolezza dei<br />

bisogni?.<br />

R - “In molti casi sì. Attualmente, penso che per quanto riguarda il centro storico di<br />

Forlì, non si attui una vera politica di integrazione; infatti, il centro è abitato<br />

prevalentemente da immigrati. Secondo me, se al centro non si ristrutturano e realizzano<br />

le case in modo razionale, a prezzi agevolati per spingere i giovani forlivesi ad andare ad<br />

abitare nel centro storico con dei vantaggi rispetto ad altri, noi non faremo mai<br />

integrazione. L’integrazione avviene, infatti, se l’immigrato abita vicino casa tua, se il tuo<br />

bambino gioca con il suo, se i bambini frequentano la stessa scuola.<br />

Bisogna favorire il discorso dell’abitazione. Io attribuirei a chi ha dei bambini piccoli fino<br />

a 10 anni un punto in più rispetto a chi ha figli da 10 a 20 anni, perché investirei nel<br />

8


ambino che, come minimo, per altri 10 abiterà vicino ad un altro della sua età; così si dà<br />

inizio ad una integrazione stabile. Per andare ad abitare nel centro storico occorre che le<br />

case siano sane e accoglienti, ubicate in vie in cui ci siano occasioni di incontro. Non sono<br />

problemi insormontabili! Per favorire i momenti di aggregazione basterebbe far diventare<br />

cortili piccola aree e viceversa, ma bisogna crederci veramente! Non si devono,<br />

soprattutto ghettizzare i bambini immigrati, ma agevolarne i rapporti con i bambini del<br />

luogo”.<br />

D - Sono d’accordo totalmente con te, anche perché i bambini sono meno prevenuti<br />

degli adulti.<br />

R - “Proprio così, i bambini in genere parlano con naturalezza dei loro compagni di<br />

classe stranieri”.<br />

D - E l’esperienza della tua battaglia contro le discoteche? Ricordo che ti chiamavano<br />

mamma rock.<br />

R - “La battaglia contro le discoteche fu una battaglia mia personale come mamma.<br />

Raccolse il consenso non solo delle altre mamme, ma anche dei babbi perché il problema<br />

non era solo mio. Il problema nacque quando le mie figlie frequentavano l’università, in un<br />

momento di rivendicazione di libertà e autonomia dalla famiglia.<br />

Io lavoravo dal lunedì al sabato; al sabato sera, invece di riposarmi e rilassarmi, stavo<br />

in ansia fino alle 3 / 4 di notte, perché le mie figlie, in macchina, andavano a ballare a<br />

Riccione, anche con la nebbia. L’aver fatto politica, mi rendeva consapevole che se noi ci<br />

organizzavamo potevamo cambiare alcune cose. Cominciai a protestare e a litigare. Ad un<br />

mio amico era morto il figlio finito in un fosso ad un km. da casa. Molto dispiaciuta, ma<br />

indignata presi una decisione improvvisa. Scrissi una petizione per una nuova<br />

regolamentazione degli orari di chiusura delle discoteche e la inviai al sindaco di Forlì, al<br />

prefetto, al questore. Feci delle fotocopie e le feci girare. In 3 / 4 giorni si raccolsero<br />

tremila firme. Decidemmo, io e una delegazione di mamme, di andare dal prefetto, che<br />

l’indomani trovandosi a Rimini riferì dell’incontro avuto con me e le mamme forlivesi. Il<br />

giorno dopo, con la mia foto, l’istanza delle mamme forlivesi venne riportata sul quotidiano<br />

locale. Nel giro di 20 / 25 giorni mi ritrovai con 90 mila firme raccolte e non solo a Forlì.<br />

Inizialmente il luogo delle riunioni era la mia sala da pranzo, perché volevo distinguere<br />

la mia funzione di mamma da quella pubblica; poi non ci stavamo più e chiesi il permesso<br />

di usare la sala della circoscrizione. In seguito andammo a Roma, dove al Parlamento c’era<br />

Nilde Iotti che conoscevo bene. La televisione cominciò a parlare del problema. Venivano<br />

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da tutta Italia (Piemonte, Campania, Sardegna) per aderire alla mia battaglia. Ero<br />

determinata, avevo costituito un comitato di circa venti persone, che di solito<br />

rappresentavo io.<br />

Quello di cui vado fiera è che all’epoca si aprì un dibattito nelle famiglie, che<br />

cominciarono ad affrontare il problema. Io avevo 50 anni, ero una mamma che aveva a<br />

cuore i propri figli e i giovani. I genitori stavano dalla mia parte, i figli erano con i gestori.<br />

Adesso i ruoli si sono ribaltati, mi capita di incontrare alcuni di quei ragazzi, diventati a loro<br />

volta genitori, che mi confessano di vivere la mia stessa ansia; altri accompagnano loro i<br />

figli a ballare. La cosa si ripete; non è stato ottenuto niente oltre ad un grande dibattito”.<br />

D - I tuoi impegni da pensionata?<br />

R - “Quando andai in pensione fui socia fondatrice e la prima presidente dell’Auser.<br />

Nel frattempo le mie figlie, diventate adulte, cominciarono a lavorare, però, tutte fuori<br />

Forlì. Nacquero le mie nipotine e scelsi di fare la nonna per dare concretamente una mano<br />

alle mie figlie impegnate nel loro lavoro. Faccio parte del consiglio di circolo del PD a Ca’<br />

ossi, dando un contributo al quartiere dove abito. Alla mia età, il mio obiettivo è quello di<br />

dare una mano a fare emergere i giovani, che rispetto a noi sanno usare bene le nuove<br />

tecnologie ”.<br />

R – Il racconto delle tue esperienze di donna, impegnata nel sociale, dimostra che sei<br />

stata spesso anticipatrice di cambiamenti e sempre in sintonia con i tempi in cui hai<br />

operato, da pari, in team di cui facevano parte anche uomini conquistando in campo,<br />

spesso, il ruolo di leader senza perdere la tua femminilità. Hai ottenuto tanti successi<br />

realizzando progetti ambiziosi coadiuvata da donne impegnate come te.<br />

Il tuo entusiasmo è rimasto intatto. Sembri proprio una ragazza! Tipi come te<br />

dovrebbero essercene tanti ed essere punto di riferimento soprattutto per i giovani. Sei<br />

una persona di grande coerenza, concretezza, onestà intellettuale; una donna coraggiosa<br />

in cui tutte le donne si identificano e che le rappresenti al meglio, attiva, piena di buon<br />

senso, per niente odorosa di naftalina.<br />

di Rosalba Navarra<br />

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