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STORIA TORIA, ,<br />
ARTE, ARTE<br />
CULTURA ULTURA…<br />
NUMERO 6<br />
LUGLIO <strong>20</strong>08<br />
SUPPL. MENS.<br />
DE “LA CITTÀ” N.13<br />
DEL 9 LUGLIO <strong>20</strong>08<br />
ISCR. TRIBUNALE<br />
DI VITERBO<br />
DEL 19.02.1992 N. 381
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it<br />
Diffusione COMPLETAMENTE gratuita on line e per e-mail<br />
Tutto il materiale presente su “Storia, Arte, Cultura…” è protetto dalle leggi che in tutto il mondo tutelano<br />
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Le collaborazioni alla testata sono gratuite.<br />
“Storia, Arte, Cultura…”<br />
Supplemento del n.13 del 9 Luglio <strong>20</strong>08 de<br />
“LA CITTÀ”<br />
(Aut. Trib. Viterbo con Decreto n.381<br />
del 19 Febbraio 1992)<br />
Mensile d’informazione <strong>cultura</strong>le<br />
© copyright “Storia, Arte, Cultura...”,<br />
riproduzione vietata<br />
Direttore Responsabile:<br />
Mauro Galeotti<br />
Redazione:<br />
Via Postierla 12/14<br />
ORVIETO (TR)<br />
E-mail: mariolaurini@virgilio.it<br />
Comitato di Redazione:<br />
Anna Maria Barbaglia, Paolo Giannini, Mario Laurini, Ombretta Laurini, Romualdo Luzi.<br />
Sommario:<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
“In ricordo di Giosuè Alessandro Michele Carducci” Anna Maria Barbaglia<br />
“Curtatone e Montanara” Mario Laurini<br />
“Condottieri nella <strong>storia</strong>: Raimondo di Cardona” Anna Maria Barbaglia<br />
“Il Regno di Morea e l’ultima guerra cristiana contro i Turchi” Mario Laurini<br />
“Artigiano della parola storica” Carlo Forin<br />
“Passeggiando qua e là per l’Italia: Erice” Anna Maria Barbaglia<br />
“L’Etna: il fascino di un vulcano” (III) Ombretta Laurini<br />
“Palombara, una <strong>storia</strong> d’amore”<br />
“Riceviamo e pubblichiamo”<br />
“Incontro con l’Arte” La Redazione<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 2, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
Questo mese ci occupiamo di un altro grande rappresentante<br />
della nostra letteratura italiana per ricordare<br />
l’anniversario della sua nascita. Giosuè Carducci<br />
nacque a Valdicastello, frazione di Pietrasanta, in<br />
provincia di Lucca il 27 <strong>luglio</strong> 1835, trascorse la sua<br />
fanciullezza nelle campagne maremmane e precisamente<br />
tra Castagneto e Bolgheri dove il padre svolgeva<br />
la professione di medico condotto. Le sue esperienze<br />
infantili, a contatto con la natura selvaggia,<br />
costituirono una fonte di ispirazione<br />
per la futura poesia. Sin<br />
dall’infanzia i genitori iniziarono<br />
il giovane Giosuè alla lettura<br />
degli scrittori classici. Nel 1849<br />
la famiglia Carducci si trasferì a<br />
Firenze dopo che il Padre perse<br />
il posto in quanto sospettato di<br />
essere un patriota sovversivo<br />
così che Giosuè continuò gli<br />
studi presso le scuole dei Padri<br />
Scolopi. Pur non avendone pienamente<br />
i requisiti, nel novembre<br />
del 1853, Carducci si presentò<br />
agli esami per l’ammissione<br />
alla Scuola Normale Superiore<br />
di Pisa, svolse il tema “Dante<br />
e il suo secolo” e vinse brillantemente<br />
il concorso. Si laureò in<br />
filosofia e in filologia nel 1856<br />
con il massimo dei voti ed iniziò<br />
la sua carriera di insegnante in<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
IN RICORDO DI GIOSUÈ ALESSANDRO MICHELE CARDUCCI<br />
retorica nel ginnasio di San Miniato (Pisa). In questo<br />
periodo con alcuni amici fondò il gruppo degli<br />
“Amici Pedanti”. Il Carducci, infatti, fu uno dei primi<br />
a rifiutare il romanticismo ed il tardo romanticismo<br />
in quanto, a suo parere, negli scrittori romantici<br />
erano presenti un vuoto sentimentalismo ed una debolezza<br />
interiore, cose queste che non facevano certo<br />
p<strong>arte</strong> della tradizione letteraria italiana. Durante la<br />
sua giovinezza non si mosse dalla Toscana, regione<br />
molto legata alla tradizione dove difficilmente entravano<br />
grosse rivoluzioni <strong>cultura</strong>li ed anche le scuole<br />
da lui frequentate, poco si facevano influenzare dalle<br />
nuove correnti letterarie che avevano in Milano il<br />
loro centro propulsore. Egli sottolineò che esisteva la<br />
necessità di una italianità forte e virile, contro la<br />
sdolcinatura della poesia romantica che, certo, non<br />
educa un popolo. Accusò i romantici anche del linguaggio<br />
adoperato ritenendolo troppo popolare, insomma,<br />
si erse a difensore degli autori classici che il<br />
romanticismo considerava ormai superati. Questo<br />
pensiero lo porta ad opporsi ai manzoniani, agli scapigliati<br />
ed al nascente decadentismo. Si può affermare<br />
che il Carducci rappresenti uno degli ultimi alfieri<br />
di una poesia mirata a dare forma agli ideali, alla<br />
poesia come “guida” per l’uomo e che si faccia interprete<br />
dei sentimenti che nascono dalla p<strong>arte</strong>cipazione<br />
attiva alla vita collettiva. Nel 1857 avvenne l’esordio<br />
poetico di Carducci con l’opera “Rime di San<br />
Miniato” che, però, non ebbe successo. Alla fine<br />
dello stesso anno morì suo fratello, mentre l’anno<br />
successivo, suo padre. Dovette,<br />
per questo, farsi carico della<br />
famiglia, lavorò per un editore<br />
fiorentino. Nel 1859 sposò la<br />
cugina Elvira Menicucci dalla<br />
quale ebbe quattro figli. A causa<br />
di questi impegni familiari,<br />
nello stesso anno, non poté p<strong>arte</strong>cipare,<br />
con suo grande rammarico,<br />
alla seconda guerra per<br />
l’indipendenza italiana e nemmeno<br />
alla spedizione dei Mille<br />
e, nel 1860, gli avvenimenti<br />
della guerra portarono all’Unità<br />
d’Italia: egli traspose questo<br />
suo desiderio di battersi con gli<br />
Austriaci nelle sue liriche patriottiche.<br />
Il primo ministro italiano<br />
della Pubblica Istruzione<br />
Terenzio Mamiani gli affidò la<br />
cattedra di eloquenza (che poi<br />
sarà di letteratura italiana) della<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 3, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
prestigiosa università di Bologna<br />
e Carducci si trasferì in<br />
questa città. Nell’ambiente<br />
bolognese, stimolante e colto,<br />
iniziò la sua splendida e lunga<br />
carriera di insegnante. In questo<br />
periodo si dedicò ad una<br />
fervida ed appassionata attività<br />
filologica e critica. Fu questo<br />
anche il periodo (anni ’60)<br />
in cui il suo pensiero fu in netto<br />
contrasto con il governo da<br />
lui definito debole e ciò lo<br />
condusse verso un atteggiamento<br />
filo-repubblicano ed<br />
anticlericale e la sua produzione<br />
poetica di quel periodo si<br />
caratterizzò per le tematiche<br />
sociali e politiche. Nel 1868, a<br />
causa delle sue idee quasi giacobine,<br />
fu sospeso dall’insegnamento<br />
e dallo stipendio per<br />
circa tre mesi. Il 1870 fu per il<br />
Carducci un tragico anno segnato<br />
soprattutto dalla morte del figlio Dante al quale,<br />
successivamente, dedicò una delle sue poesie più<br />
belle Pianto Antico. Nel 1871 pubblicò una raccolta<br />
di poesie divisa in tre parti: Decennalia, Juvenilia e<br />
Levia Gravia. La sua opera, questa volta, fu ben accolta<br />
dai critici letterari. Nel 1873 uscirono le Nuove<br />
Poesie dove si vede rappresentata la vera poesia carducciana,<br />
infatti, nei versi di questa opera traspare<br />
quella maturità che in precedenza non era presente.<br />
Carducci era diventato uomo maturo, è questo anche<br />
il periodo in cui il Poeta passò da un atteggiamento<br />
polemico, rivoluzionario, repubblicano ed anticlericale<br />
ad un tranquillo rapporto con il governo italiano.<br />
Si avvicinò decisamente alla monarchia sabauda<br />
tanto da considerarla come la miglior garanzia dello<br />
spirito laico del risorgimento e del progresso sociale.<br />
Tomba di Giosuè Carducci<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
Il cambiamento avvenuto si<br />
intravede nelle sue opere. Nel<br />
1877 uscì la raccolta Odi Barbare<br />
nella quale è evidente la<br />
sua formazione classica e il<br />
suo amore per la <strong>storia</strong>. Infatti,<br />
in questa opera determinati<br />
momenti storici riguardanti la<br />
latinità e il periodo comunale<br />
sono riportati come modelli<br />
etici da cui trarre insegnamento<br />
e soprattutto incitamento<br />
per la ricostruzione dell’Italia<br />
ricostituitasi attraverso il risorgimento,<br />
ricostruzione da<br />
mettere in atto intorno agli<br />
ideali di Roma, poiché, secondo<br />
il Nostro, la Città Eterna è,<br />
ancora una volta, capace di<br />
spronare e portare il popolo<br />
italico alla continuazione dell’antica<br />
grandezza. Questi sono<br />
anche gli anni in cui la figura<br />
di Carducci, come poetavate<br />
della monarchia italiana e della patria, si rafforza<br />
sempre più. Infatti, si avvicinò decisamente alla<br />
monarchia soprattutto dopo la visita di S.M. il Re<br />
Umberto I e della Regina Margherita a Bologna tanto<br />
da scrivere un’ode dal titolo Alla Regina Margherita.<br />
Fu candidato nelle liste monarchiche a Pisa ed a<br />
Lucca, ma non fu eletto. Nel 1882 il Carducci pubblicò<br />
la versione definitiva di Giambi ed Epodi e le<br />
Nuove Odi Barbare. Nel 1885 fu colpito da una prima<br />
paralisi al braccio destro, si riprese e nel 1889<br />
pubblicò le Terze Odi Barbare. La sua fede nella<br />
monarchia raggiunse l’apice quando fu nominato,<br />
nel 1890, Senatore del Regno.<br />
Nel 1899 pubblicò la sua ultima raccolta Rime e Ritmi<br />
e nel 1904 fu costretto, per motivi di salute, a lasciare<br />
l’insegnamento. Fu egli stesso, presso Zanichelli,<br />
a curare l’edizione delle sue opere in venti<br />
volumi negli anni 1889-1905. Nel 1906 gli fu conferito<br />
il Premio Nobel per la letteratura che però, a<br />
causa delle sue condizioni di salute, gli fu recapitato<br />
nella sua casa di Bologna non potendo presenziare la<br />
cerimonia personalmente a Stoccolma. Morì a Bologna<br />
il 16 febbraio 1907 e fu sepolto all’interno del<br />
cimitero monumentale della Certosa. La sua casa<br />
natale è stata dichiarata monumento nazionale ed è<br />
oggi sede di Museo. Nel giardino antistante spicca<br />
un busto marmoreo dedicato allo scrittore.<br />
Parlando della sua produzione letteraria, non si può<br />
non riconoscere al Carducci il suo alto magistero, la<br />
sua sincerità e nobiltà di sentimenti che egli mise in<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 4, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
atto con un amore sofferto e, al contempo, tenace<br />
verso l’Italia “risorta” come Nazione. Fu definito da<br />
molti il “Vate della Terza Italia” per la concezione<br />
eroica della poesia e per il prestigio nazionale ed internazionale<br />
che gli fu riconosciuto dopo l’unità d’Italia.<br />
Negli ultimi anni del 1800, Carducci fu considerato<br />
il Poeta ufficiale della Patria, colui che, al<br />
meglio, poteva rappresentare gli ideali della ricostituita<br />
nazione e colui che, attraverso la sua voce to-<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
nante, attraverso la sua forza ed il suo pensiero da<br />
lottatore avrebbe potuto risvegliare le coscienze di<br />
tanti italiani che, dopo l’unità, sembravano essersi<br />
addormentate. E fu il solo poeta che riuscì, in quegli<br />
anni così difficili, a trasfondere negli Italiani l’ideale<br />
di una superiore coscienza civile. Il Carducci in questo<br />
frangente fu Maestro.<br />
Anna Maria Barbaglia<br />
Discorso tenuto da Giosuè Carducci il 7 gennaio 1897 a Reggio Emilia per celebrare il<br />
1° centenario della nascita del Tricolore.<br />
Popolo di Reggio, Cittadini d'Italia!<br />
Ciò che noi facciamo ora, ciò che da cotesta lapide si commemora, è più che una festa, è più che un fatto.<br />
Noi celebriamo, o fratelli, il natale della Patria.<br />
Se la patria fosse anche a noi quello che era ai magnanimi antichi, cioè la suprema religione del cuore, dell'intelletto,<br />
della volontà, qui, come nella solennità di Atene e di Olimpia, qui, come nelle ferie laziali, starebbe,<br />
vampeggiante di purissimo fuoco, l'altare della patria; e un Pindaro nuovo vi condurrebbe intorno i<br />
candidi cori dei giovani e delle fanciulle cantanti le origini, e davanti sorgerebbe un altro Erodoto leggendo<br />
al popolo ragunato le istorie, e il feciale chiamerebbe a gran voce i nomi delle città sorelle e giurate. Chiamerebbe<br />
te, o umbra ed etrusca Bologna, madre del diritto; e te Modena romana, madre della <strong>storia</strong>; e te<br />
epica Ferrara, ultima nata di connubii veneti e celti e longobardi su la mitica riviera del Po. E alle venienti<br />
aprirebbe le braccia Reggio animosa e leggiadra, questa figlia del console M. Emilio Lepido e madre a Ludovico<br />
Ariosto, tutta lieta della sua lode moderna; che "città animatrice d'Italia" la salutò Ugo Foscolo, e<br />
dal seno di lei cantava il poeta della Mascheroniana - La favilla scoppiò donne primiero Di nostra libertà<br />
corse il baleno. Ma i tempi sono oggimai sconsolati di bellezza e d'idealità; direbbesi che manchi nelle generazioni<br />
crescenti la coscienza, da poi che troppo i reggitori hanno mostrato di non curare la nazionale educazione.<br />
I volghi affollantisi intorno ai baccani e agli scandali, dirò così, officiali, dimenticano, anzi ignorano,<br />
i giorni delle glorie; nomi e fatti dimenticano della grande i<strong>storia</strong> recente, mercé dei quali essi divennero,<br />
o dovevano divenire, un popolo; ignora il popolo e trascura, e solo se ne ricordano per loro interesse<br />
i partiti. Tanto più siano grazie a te, o nobile Reggio, che nell'oblio d'Italia commemori come nella<br />
sala di questo palazzo di città, or son cent'anni, il 7 gennaio del 1797, fu decretato nazionale lo stendardo<br />
dei tre colori. Risuonano ancora nell'austerità della <strong>storia</strong> a vostro onore, o cittadini, le parole che di poi<br />
due giorni il Congresso Cispadano mandava da queste mura al popolo di Reggio: "Il vostro zelo per la causa<br />
della libertà fu eguale al vostro amore per il buon ordine. Sapranno i popoli di Modena di Ferrara di Bologna<br />
qual sia il popolo di Reggio, giusto, energico, generoso; e si animeranno ad emularvi nella carriera<br />
della gloria e della virtù. L'epoca della nostra Repubblica ebbe il principio fra queste mura; e quest'epoca<br />
luminosa sarà uno de'più bei momenti della città di Reggio".<br />
Il presidente del Congresso Cispadano dicea vero. L'assemblea costituente delle quattro città segnò il primo<br />
passo da un confuso vagheggiamento di confederazioni al proposito dell'unità statuale, che fu il nocciolo<br />
dell'unità nazionale. Quelle città che fin allora s'erano riscontrate solo su' campi di battaglia con la spada<br />
calante a ferire, con l'ira scoppiante a maledire; che fino in una dissonanza d'accento tra' fraterni dialetti<br />
cercavano la barriera immortale della divisione e dell'odio; che fino inventarono un modo nuovo di poesia<br />
per oltraggiarsi; quelle città si erano pur una volta trovate a gittarsi l'una nelle braccia dell'altra, acclamando<br />
la repubblica una e indivisibile quale spirito di Dio scese dunque in cotesta sala a illuminare le menti, a<br />
rivelare tutta insieme la visione del passato e dell'avvenire, Roma che fu la grande, Italia che sarà la buona?<br />
Certo l'antico ed eterno spirito di nostra gente, che dalla fusione confluito delle varie italiche stirpi fu accolto<br />
e dato in custodia della Vesta romana dal cuore di Gracco e dal genio di Cesare, ora commosso dall'aura<br />
de' tempi nuovi scendeva in fiamme d'amore su i capi dei deputati cispadani, e di essi usciti di recente dalle<br />
anticamere e dalle segreterie de' legati e dei duchi faceva uomini pratici del reggimento libero, cittadini osservanti<br />
del giusto e dell'equo, legislatori prudenti per il presente, divinatori dell'avvenire.<br />
E già a Roma, a Roma, si come a termine fisso del movimento iniziato , era volata nei discorsi e nei canti la<br />
fantasia patriottica; ma il senno ed il cuore mirò da presso il nemico eterno nel falso impero romano germa-<br />
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STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
nico, instrumento d'informe dispotismo alle mani di casa d'Austria; sicché prima a quei giorni risuonò in<br />
Reggio la non mai fin allora cantata in Italia reminiscenza della lega lombarda e di Legnano; sicché impaziente<br />
ormai d'opere la gioventù affrettò in Montechiarugolo le prove d'una vendetta di Gavinana. Per ciò<br />
tutto, Reggio fu degna che da queste mura si elevasse e prima sventolasse in questa piazza, segnacolo dell'unico<br />
stato e dell'innovata libertà, la bella la pura la santa bandiera dei tre colori.<br />
Sii benedetta! benedetta nell'immacolata origine, benedetta nelle via di prove e di sventure per cui immacolata<br />
ancora procedesti, benedetta nella battaglia e nella vittoria, ora e sempre, nei secoli! Non rampare di<br />
aquile e leoni, non sormontare di belve rapaci, nel santo vessillo; ma i colori della nostra primavera e del<br />
nosttro paese, dal Cenisio all'Etna; le nevi delle alpi, l'aprile delle valli, le fiamme dei vulcani. E subito<br />
quei colori parlarono alle anime generose e gentili, con le ispirazioni e gli effetti delle virtù onde la patria<br />
sta e sì augusta; il bianco, la fede serena alle idee che fanno divina l'anima nella costanza dei savi; il verde,<br />
la perpetua rifioritura della speranza a frutto di bene nella gioventù de' poeti; il rosso, la passione ed il sangue<br />
dei martiri e degli eroi. e subito il popolo cantò alla sua bandiera ch'ella era la più bella di tutte e che<br />
sempre voleva lei e con lei la libertà; ond'è che ella, come la dice la scritta, Piena di fati mosse alla gloria<br />
del Campidoglio.<br />
Noi che l'adorammo ascendente in Campidoglio, noi negli anni della fanciullezza avevamo imparato ad<br />
amarla ed aspettarla dai grandi cuori degli avi e dei padri che ci narravano le cose oscure ed alte preparate,<br />
tentate, patite, su le quali tu splendevi in idea, più che speranza, più che promessa, come un'aureola di cielo<br />
a' morienti e a' morituri, o santo tricolore. E quando tu in effetto ricomparisti a balenare su la tempesta del<br />
portentoso Quarantotto i nostri cuori alla tua vista balzarono di vita novella; ti riconoscemmo, eri l'iride<br />
mandata da Dio a segnare la sua pace co'l popolo che discendeva da Roma, a segnare la fine del lungo obbrobrio<br />
e del triste servaggio d'Italia. Ora la generazione che sta per isparire dal combattuto e trionfato<br />
campo del Risorgimento, la generazione che fece l'Unità, te, o sacro segno di gloria, o bandiera di Mazzini<br />
di Garibaldi di Vittorio Emanuele, te commette alla generazione che l'unità deve compiere, che deve coronare<br />
d'idee e di forza la patria risorta.<br />
O giovani, contemplaste mai con la visione dell'anima questa bandiera, quando ella dal Campidoglio riguarda<br />
i colli e il piano fatale onde Roma discese e lanciossi alla vittoria e all'incivilimento del mondo? o<br />
quando dalle antenne di San Marco spazia su'l mare che fu nostro e par che spii nell'oriente i regni della<br />
commerciante e guerreggiante Venezia? o quando dal Palazzo de' Priori saluta i clivi a cui Dante saliva poetando,<br />
da cui Michelangelo scendeva creando, su cui Galileo sancì la conquista dei cieli? Se una favilla vi<br />
resti ancora nel sangue dei vostri padri del Quarantotto e del Sessanta, non vi pare che su i monumenti della<br />
gloria vetusta questo vessillo della patria esulti più bello e diffonda più lieto i colori della sua gioventù? Si<br />
direbbe che gli spiriti antichi raccoltigli intorno lo empiano ed inanimino dei loro sospiri, rallegrando ne'<br />
suoi colori e ritemperando in nuovi sensi di vita e di speranza l'austerità della morte e la maestà delle memorie.<br />
O giovani, l'Italia non può e non vuole essere l'impero di Roma, se bene l'età della violenza non è<br />
finita pe' validi; oh quale orgoglio umano oserebbe mirare tant'alto? Ma né anche ha da essere la nazione<br />
cortigiana del rinascimento, alla mercé di tutti; quale viltà comporterebbe di dar sollazzo delle nostre ciance<br />
agli stranieri per ricambio di battiture e di stragi? Se l'Italia avesse a durar tuttavia come un museo o un<br />
conservatorio di musica o una villeggiatura per l'Europa oziosa, o al più aspirasse a divenire un mercato<br />
dove i fortunati vendessero dieci ciò che hanno arraffato per tre; oh per Dio non importava far le cinque<br />
giornate e ripigliare a baionetta in canna sette volte la vetta di San Martino, e meglio era non turbare la sacra<br />
quiete delle ruine di Roma con la tromba di Garibaldi sul Gianicolo o con la cannonata del re a Porta<br />
Pia. L' Italia è risorta nel mondo per sé e per il mondo, ella, per vivere, deve avere idee e forze sue, deve<br />
esplicare un officio suo civile ed umano, un'espansione morale e politica. Tornate, o giovani, alla scienza e<br />
alla coscienza de' padri, e riponetevi in cuore quello che fu il sentimento il voto il proposito di quei vecchi<br />
grandi che han fatto la patria; l'Italia avanti tutto! L'Italia sopra tutto!<br />
7 gennaio 1897<br />
www.risorgimentoitalianoricerche.it<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 6, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
A poca distanza da Mantova, città fortificata, fra i<br />
paesi di Curtatone e Monanara, il 29 maggio del 18-<br />
48 gli Italiani e, più specificatamente, gli studenti<br />
universitari Toscani, scrissero una delle più belle e<br />
commoventi pagine d’oro del nostro risorgimento. Il<br />
corpo di spedizione austriaco, al comando del Maresciallo<br />
Johann Joseph Radetzky, forte di circa 3-<br />
5.000 uomini e 40 cannoni, usciti dalle loro basi al<br />
fine di aggirare da Sud le truppe sardo-piemontesi, si<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
CURTATONE E MONTANARA Mario Laurini<br />
Curtatone: monumento dedicato ai Volontari del<br />
Battaglione Universitario caduti dal 1848 in poi<br />
trovò davanti le truppe tosco-napoletane che si frapponevano<br />
fra essi e l’esercito di Re Carlo Alberto. I<br />
Volontari erano un piccolo esercito di circa 4.800<br />
uomini e, tra essi, vi erano anche soldati regolari e<br />
civili. Forse non è sufficientemente noto che, fin dall’anno<br />
prima, era stato concesso ai cittadini toscani<br />
di poter costituire la Guardia Civica, mentre agli studenti<br />
universitari era stato permesso di potersi organizzare<br />
in corpi armati. Grande era stato il concorso<br />
dei Volontari nelle piazze per ricevere quelle necessarie<br />
istruzioni che furono loro impartite per lo più<br />
da vecchi soldati napoleonici. Fra i volontari vi fu<br />
anche un assiduo frequentatore con i Macchiaioli del<br />
caffé Michelangelo, Carlo Lorenzini, alias Collodi,<br />
l’autore di Pinocchio. Dalle cattedre delle università<br />
toscane i professori arringavano i propri studenti con<br />
Bandiera Granducato Costituzionale (1848-1849)<br />
parole di fuoco relativamente al problema della nazionalità,<br />
della libertà e dell’unità. Fra questi docenti<br />
brillavano i nomi del Montanelli, del Pilla e del Morotti.<br />
Ancora si ricordano una serie di lezioni impartite<br />
dal chiarissimo professor Silvestro Centofanti,<br />
titolare della cattedra di <strong>storia</strong> della filosofia, e celeberrima<br />
fu l’orazione del 15 marzo 1848 tutta incentrata<br />
sul Risorgimento Italiano. Non possiamo neanche<br />
dimenticare le lezioni che il professore di architettura<br />
Guglielmo Martolini impartiva ai suoi studenti<br />
e che fu anche il primo a mettersi in lista per correre<br />
a combattere in Lombardia. Quando l’insurrezione<br />
europea esplose a Vienna, l’intera penisola si alzò<br />
in piedi e corse alle armi: la Lombardia, il Veneto, i<br />
Ducati minori, il Regno delle Due Sicilie. Il giorno<br />
18 giunse a Pisa la notizia dell’insurrezione di Milano<br />
e gli Universitari corsero in massa ad arruolarsi<br />
nei diversi Battaglioni Volontari e, quando Ricasoli,<br />
ottenuto il permesso di Leopoldo II, diede il via sotto<br />
le pressioni della piazza il 22 marzo a mezzodì, il<br />
Battaglione Universitario era già in marcia dalla Sa-<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 7, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
pienza sul Lungarno per Via d Borgo<br />
Stretto, 389 uomini con in testa i propri<br />
professori si diressero alla stazione per<br />
raggiungere in treno Lucca gridando<br />
“Viva l’Italia” ed inneggiando a Pio IX. Il<br />
giorno successivo, Carlo Alberto dichiarò<br />
guerra all’Austria e si mise in marcia per<br />
passare il Ticino. Il 3 aprile gli studenti<br />
pisani si incontrano con i 74 dell’Università<br />
senese e, tutti insieme, inquadrati in 6<br />
Compagnie al comando di Fabrizio Masotti,<br />
professore di Meccanica Celeste, al<br />
canto di “Addio, mia bella, addio”, marciano<br />
su Reggio Emilia. Quel canto fu<br />
l’indimenticabile colonna sonora di quelle<br />
facce, spesso imberbi, ma dal cuore<br />
gonfio di amor di patria. Suo autore era<br />
Carlo Alberto Bosi che lo aveva composto<br />
in casa di Caterina Castinelli che lo accompagnò<br />
al piano e questo canto fu il canto più sentito ed ascoltato<br />
dalla Toscana ai campi di Lombardia. Accompagnò<br />
le alterne vicende di quei valorosi che,<br />
più di una volta, ebbero l’ordine di marciare verso il<br />
fronte o di arrestarsi. Passato il Po, vista l’impossibilità<br />
di far rientrare in patria gli studenti, si cercò almeno<br />
di tenerli in riserva, ma questo atteggiamento<br />
fu preso male da coloro che a tutti i costi volevano<br />
entrare in combattimento tanto che molti pensarono<br />
perfino alla diserzione in massa e diversi scapparono<br />
per arruolarsi nelle fila piemontesi. Alla fine, come<br />
Dio volle, il battaglione arrivò fra Curtatone e Montanara,<br />
in pratica, in una zona difesa da regolari Toscani<br />
e civili oltre ai Napoletani del X di linea. Il<br />
giorno 26, il generale toscano Ferrari fu richiamato a<br />
Firenze e fu sostituito al comando dall’anziano generale<br />
napoleonico conte Cesare De Lauger de Bellecour.<br />
Questi, reduce delle campagne di Spagna e di<br />
Russia, aveva un passato militare che ricordava un<br />
libro di uno scrittore d’avventure e fu proprio lui<br />
che, tre giorni dopo, condusse al fuoco i suoi ragazzi.<br />
Quei ragazzi, più abituati a maneggiar la penna<br />
che non la baionetta o la spada, quando fu dato l’ordine,<br />
o meglio alle prime schioppettate, si gettarono<br />
di corsa contro gli Austriaci, mentre i loro miseri 6<br />
cannoni si impegnarono in un duello ineguale contro<br />
la potenza di 130 cannoni austriaci. Fra i moltissimi<br />
casi di coraggio estremo che potremo ricordare, ne<br />
citiamo soltanto alcuni. L’artigliere Elbano Gasperi<br />
che, ferito in modo orribile, ma ancora capace di<br />
camminare, seminudo, corre da un pezzo all’altro<br />
caricandoli e facendo fuoco; il professor Pilla, con<br />
un braccio ed un fianco distrutti, si lamenta non per<br />
il dolore, ma per aver potuto far poco per la patria e<br />
poi, tutti quei ragazzi urlanti di patrio furore che si<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
lanciano, incuranti della morte che certa li<br />
attende, con i propri petti contro il piombo<br />
nemico tanto che gli Austriaci pensarono<br />
di aver contro chissà quale reparto dell’esercito<br />
piemontese. Il De Lauger aveva<br />
chiesto al Generale Bava, piemontese, aiuto,<br />
pronto aiuto, ma questi non era stato in<br />
grado di fornirlo e, vista l’impossibilità da<br />
p<strong>arte</strong> del comando tosco-napoletano di<br />
proseguire nella resistenza ed anche in<br />
considerazione dell’aiuto che ormai non<br />
sarebbe più potuto giungere, fu dato l’ordine<br />
della ritirata che, però, avvenne sotto<br />
la protezione dei bersaglieri toscani i quali,<br />
comandati dal Melechini, trattennero i<br />
Croati, i Boemi ed i Tirolesi permettendo<br />
ai superstiti di mettersi quasi tutti in salvo.<br />
Il riconoscimento del valore di chi combatté<br />
in quell’epica giornata, giunse proprio dal nemico<br />
che ammise l’ammirazione per quei ragazzi più<br />
usi a star chini sui libri che non a sostenere il peso<br />
dello zaino e del moschetto. Si racconta che il Radeztky<br />
un anno dopo, giunto a Firenze per una visita<br />
di Stato, così si rivolse al De Lauger, divenuto nel<br />
frattempo, Ministro della Guerra: “Eccovi, finalmente!<br />
È dal 29 maggio che desideravo conoscervi. Ma<br />
bravo! Anzi bravi! Mi avete tenuto testa per sette ore<br />
Johann Joseph Radetzky<br />
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ed eravate solamente un pugno di ragazzi! E pensare<br />
che siete riusciti a farmi credere di essere il meglio<br />
dell’esercito piemontese! Bravi!”. Peccato che oggi<br />
quei ragazzi che tutto di quanto più caro avessero<br />
lasciarono in nome di una patria che doveva ancora<br />
venire, ma che era già profondamente radicata nei<br />
loro cuori, quei ragazzi che senza iattanza costituirono<br />
le italiane Termopili, oggi sono quasi misconosciuti<br />
e relegati in poche righe dei libri di <strong>storia</strong>. Essi,<br />
nonostante il loro sacrificio, furono sì sconfitti,<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
ma resero possibile all’esercito piemontese la più<br />
importante e successiva battaglia di Goito e, fino a<br />
notte inoltrata, impedirono agli Ungheresi ed alla<br />
loro cavalleria di dilagare, ubriachi di rabbia, oltre le<br />
rive dell’Osone.<br />
A voi povere madri toscane che non ritrovaste tra i<br />
reduci i figli, a voi sovrastava ben altra amarezza.<br />
Coraggio povere madri, questa notte dell’anima passerà.<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 9, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 10, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
Epico Vate, interroga<br />
Il quarant'otto, e scrivi:<br />
Della tua cetra il sonito<br />
Scuota d'Ausonia i vivi,<br />
E la gloriosa i<strong>storia</strong><br />
Ai figli nostri impara:<br />
De profundis pei morti a Montanara.<br />
Erano lieti e floridi<br />
Nella più balda etade<br />
Quei mille che lasciarono<br />
Le tosche lor contrade,<br />
E volontari corsero<br />
All'immortal tenzone.<br />
De profundis pei morti a Curtatone.<br />
E l'Appennin varcarono<br />
Pieni d'Italia il core,<br />
Sciogliendo ardito cantico<br />
Bello di patrio amore,<br />
Con quel desio magnanimo<br />
Che a forte oprar prepara.<br />
De profundis pei morti a Montanara.<br />
Sostâr tra il Mincio e l'Oglio. —<br />
Volgea fulgido il raggio<br />
Del Sol, presso al meriggio,<br />
Nel ventinove maggio,<br />
Quando s'udì per l'etere<br />
Il tuono del cannone.<br />
De profundis pei morti a Curtatone.<br />
"Toscani, le Termopili<br />
Là sono, o vita o morte"<br />
Grida il nuovo Leonida:<br />
Cadrà in sua trista sorte<br />
La maledetta Gerico<br />
A libertade avara.<br />
De profundis pei morti a Montanara.<br />
Viva Italia! rispondono<br />
I giovani guerrieri;<br />
Italia alto ripetesi<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
I MARTIRI DI CURTATONE E MONTANARA DI G. A. ROCCA<br />
Pe' campi e pe' sentieri;<br />
E, viva Italia, Italia!<br />
Di guerra è la canzone.<br />
De profundis pei morti a Curtatone.<br />
All'armonia terribile<br />
Accesa è la battaglia...<br />
S'agita dubbio il Teutono...<br />
L'un sull'altro si scaglia....<br />
E i nostri il sangue versano<br />
Per questa Terra cara.<br />
De profundis pei morti a Montanara.<br />
Scoppiavano, scrosciavano<br />
Bombe, mitraglia e palle;<br />
Assalti, urti alternavansi<br />
Sulla trincea, nel calle...<br />
—Ed il figliuol d'Etruria<br />
Fu indomito leone. —<br />
De profundis pei morti a Curtatone.<br />
Sorge un' incendio: — e prossima<br />
Spera vittoria l'oste.<br />
Mancan le miccie... e miccie<br />
Dal petto e dalle coste<br />
Son le ardenti, che strappano,<br />
Vesti i feriti a gara.(1)<br />
De profundis pei morti a Montanara.<br />
Io narro gloria. — In numero<br />
Maggior ben cinque volte,<br />
Chiuse nell'armi, intrepide<br />
Eran le schiere accolte<br />
Che ai ludi si slanciarono<br />
Di sanguinoso agòne.<br />
De profundis pei morti a Curtatone.<br />
Sguerniti i nostri, e poveri<br />
Di bellici strumenti,<br />
Pel Dritto e per la Patria<br />
Pugnavano.... furenti.<br />
— E s'ingoiò l'estraneo<br />
La gran menzogna amara. —<br />
De profundis pei morti a Montanara.<br />
Ma gli uni già s'arretrano...<br />
Di fronte, a tergo, a lato<br />
Preme il nemico. Sfidano<br />
Gli altri più fermi il fato....<br />
— E il Sol dolente, celere<br />
S'ascose entro il burrone.<br />
De profundis pei morti a Curtatone.<br />
Riedi a Verona, o Teutono,<br />
Perduta è la giornata!<br />
D'Eroi breve manipolo<br />
Ti sgominò l'armata.<br />
Riedi: — sarà poi vindice<br />
Lo scherno di Novara..!<br />
De profundis pei morti a Montanara.<br />
Rinacque il giorno. Caddero<br />
Le mura di Peschiera:(2)<br />
E all'aure insieme ondeggiano<br />
La Croce e la Bandiera<br />
Che nel Benàco specchiansi<br />
Dall'alto del torrione.<br />
De profundis pei morti a Curtatone.<br />
Là sui cruenti Tumuli<br />
Splende una luce bella:<br />
A propiziare il secolo<br />
Veglia di Dio la stella.<br />
[Raggio di fede ai popoli.](3)<br />
De profundis sull'Ara<br />
Dei morti a Curtatone e a Montanara.<br />
Cinte del peplo italico,<br />
Vergini sacre e donne,<br />
Pietose al Ciel volgendovi,<br />
Ai colli di Sionne,<br />
Date melòdi e cantici.<br />
De profundis, corone,<br />
Ai morti a Montanara e a Curtatone.(4)<br />
Note: (1) Mi limiterò a far cenno del bravo cannoniere Elbano Gasperi, nativo di Porto-Ferraio, che si ridusse pressoché nudo, e<br />
stava fermo e risoluto a continuare il fuoco del suo cannone, altro fra i quattro che tenevano i Toscani, mentre delle munizioni incendiate<br />
aveano ucciso diversi artiglieri.<br />
(2) È noto che il combattimento del 29 maggio 1848, sostenuto così mirabilmente da tanto fiore di gioventù toscana (e giustizia<br />
vuole non si dimentichino i Napoletani che vi presero p<strong>arte</strong> e gareggiarono in prodezza) diretto a Curtatone dal colonnello piemontese<br />
Campia e a Montanara dal tenente colonnello Giovannetti, lucchese, nobile avanzo dei dragoni di Napoleone I, ambidue intrepidi<br />
condottieri, ritardò ai Tedeschi la marcia per battere l'esercito sardo e liberare Peschiera dall'assedio, col quale più gagliardamente<br />
si stringeva nel dì 28, iniziato dopo la battaglia di Santa Lucia e felicemente operato mercé la saggezza del valoroso ed invitto<br />
Espugnatore, il compianto Duca di Genova. Nel giorno seguente Carlo Alberto, ben disposto a battaglia, potè respingere vittoriosamente<br />
il nemico, e dalle alture di Somenzari inseguirlo, di maggiori perdite danneggiandolo; sicchè il Rath, comandante della<br />
fortezza, e il più prode fra i difensori della medesima, maggiore Ettinghausen, alle ore 4 pomeridiane dovettero, loro malgrado,<br />
venire ai patti della resa. In quest'altra splendida pugna, il magnanimo Re, sempre presente, ed intrepido tra il fuoco de' moschetti e<br />
delle artiglierie, fu colpito ad un orecchio da una scheggia di bomba, e RE VITTORIO EMANUELE, allora Duca di Savoja, che<br />
colla voce e coll'esempio animava i soldati slanciandosi nei luoghi di maggiore pericolo, rimaneva ferito da una palla in una coscia.<br />
E la Storia imparziale lo segnava nell'eterno volume, aggiungendo ai gloriosi fasti d'Italia la presa di Peschiera e la vittoria di Goito.<br />
(3) Questo verso in parentesi quadra è inserito con correzione a penna nell'edizione di riferimento, ma palesemente mancherebbe se<br />
non inserito. Anche nella nota successiva le parole inserite in parentesi quadra sono correzioni a penna, probabilmente dell'autore.<br />
Nota per l'edizione elettronica Manuzio.<br />
(4) Mi è caro chiudere queste umili pagine col far parola del [benemerito] Comitato di 17 rispettabili cittadini e compagni d'arme<br />
dei caduti, che fino dal 1867 fu eletto in Firenze, per raccogliere i mezzi necessarii all'erezione d'un Monumento commemorativo<br />
[che s'inaugura in quest'anno] sui campi di Curtatone e Montanara. Il disegno è del valente Architetto Sig. Giuseppe Poggi, che fu<br />
pure tra i combattenti. Oltre i privati, molti Municipj di questa bella p<strong>arte</strong> d'Italia concorsero all'opera santa e pietosa, tra i quali,<br />
con deliberazione del 9 aprile scorso, il Municipio di Lucca, cui specialmente raccomando la mesta elegia che m'inspirava chi per<br />
tanta carità di patria fu spento, e che nel nome d'Italia ho compiuta.<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 11, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
Di questo condottiero si sa che è morto intorno al<br />
1335 e che nei primi anni della sua carriera, era al<br />
servizio del Re d’Aragona contro i Francesi di Filippo<br />
II, detto l’ardito, a Gerona e che nel mese di settembre<br />
del 1286 si trasferisce in Italia e, più precisamente,<br />
in Piemonte dove si congiunge con i fuoriusciti<br />
guelfi di Alessandria devastandone il territorio<br />
dove è fatto prigioniero per essere liberato dopo tre<br />
anni. Nel 1319 passa al servizio di Roberto d’Angiò<br />
e si reca a difendere Genova che, in quel periodo, era<br />
assediata da Marco Visconti. Nel 13<strong>20</strong> gli Angioini<br />
lo nominano ammiraglio e, con questo titolo, va ad<br />
occuparsi della loro flotta in Provenza da dove p<strong>arte</strong><br />
con 55 galee al suo comando per ricongiungersi con<br />
le <strong>20</strong> galee genovesi e poter contrastare la flotta di<br />
Federico d’Aragona davanti alle coste campane comandata<br />
da Corrado Doria. Alla notizia del suo arrivo<br />
i nemici arretrano, ma Raimondo li insegue e li<br />
intercetta nella zona di Ischia, ma riescono ancora a<br />
sfuggirgli disperdendosi. Nel 1321 passa al servizio<br />
della Chiesa ed il Papa Giovanni XXII lo nomina<br />
suo siniscalco e suo Vicario in Lombardia. Da Valenza<br />
dichiara guerra ai Visconti, mette a sacco<br />
Montecastello e cattura molti prigionieri che sono<br />
condotti ad Alessandria. Nell’estate dello stesso a<br />
Valenza occupa Pontecurone e, per lasciare liberi i<br />
cavalli tedeschi, ottiene una taglia di 60.000 fiorini,<br />
entra a Quargnento, fa prigionieri altri tedeschi e per<br />
la loro liberazione ottiene altri 60.000 fiorini. Attraverso<br />
accordi, ottiene Occimiano, ma entra a Sezzadio<br />
distruggendo i territori circostanti ed uccidendo<br />
circa 150 persone. Non riesce, però, ad entrare a<br />
Vercelli e Tortona e, verso la fine dell’anno, è sconfitto<br />
dai ghibellini a Bardi. Nel 1322 notifica a Mat-<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
CONDOTTIERI NELLA STORIA: RAIMONDO DI CARDONA A. M. Barbaglia<br />
Castello di Bardi (PR) dove fu sconfitto Raimondo di Cardona<br />
teo Visconti, che si trova a Bergoglio, l’accusa di<br />
eresia. Nella primavera dello stesso anno conquista<br />
la bastia di Mongerano ed ottiene il castello di Vazolo<br />
vicino Voghera. Esce da Valenza con 1500 cavalli<br />
e moltissimi fanti e si unisce a lui Enrico d’Asburgo<br />
che, però, si fa corrompere dai Visconti. Il Cardona<br />
rientra in Piemonte dove distrugge castelli, brucia<br />
abitazioni, case e campi coltivati. Nell’estate dello<br />
stesso anno, insieme a Bernardo di Monolito, assedia<br />
la rocca di Bassignana sul Po e ne blocca gli ingressi<br />
onde impedire l’arrivo di viveri da Pavia e Piacenza.<br />
È attaccato da un esercito di 2<strong>20</strong>0 cavalli e da numerosi<br />
fanti al soldo di Marco Visconti ed, in un primo<br />
momento, riesce a respingerli, ma poi la superiorità<br />
numerica del Visconti si fa sentire ed è catturato.<br />
Nella notte riesce a fuggire, si reca a Valenza e, con<br />
il Cardinale Bertrando, studia nuovi piani per tentare<br />
un nuovo attacco. Riceve aiuti, si porta ad Asti e, nei<br />
primi mesi del 1323, entra a forza a Bassignana, entra<br />
con un accordo anche a Tortona unendosi ai fuoriusciti<br />
guelfi di quella città. Si impossessa della sua<br />
rocca e di alcuni castelli del Pavese. Nell’aprile dello<br />
stesso anno, entra ad Alessandria dove è raggiunto<br />
da Enrico di Fiandra. Il mese successivo si reca a<br />
Piacenza per cacciare dalla città Vergusio dei Landi<br />
e penetra a Monza da dove, nel mese di giugno, p<strong>arte</strong><br />
per Milano al comando di 8000 cavalli e 30.000<br />
fanti forniti dal papa, dagli Angioini, da Firenze, da<br />
Bologna, da Parma, da Reggio Emilia a cui si uniscono<br />
anche i fuoriusciti di Milano. A Sesto San<br />
Giovanni gli si fanno incontro Galeazzo e Marco<br />
Visconti che, visto il gran numero dei nemici, si ritirano.<br />
Raimondo riesce a conquistare i borghi di Porta<br />
Nuova e di Porta Renza per darli alle fiamme, si<br />
impadronisce anche del borgo di<br />
Porta Comacina dove si accampa e<br />
da dove inizia l’assedio. Blocca il<br />
flusso delle acque del Ticinello<br />
verso Milano ed accerchia, con tutto<br />
l’esercito, la cinta muraria rafforzando<br />
il monastero di Santo<br />
Spirito, Porta Vercellina e Porta<br />
Romana. I Fiorentini fanno correre<br />
un palio di disprezzo nei confronti<br />
dei difensori e, per tutto rispetto, il<br />
Cardona avvicina le macchine da<br />
guerra alle mura e respinge Galeazzo<br />
Visconti. Nel mese di <strong>luglio</strong><br />
una epidemia di peste in pochi<br />
giorni miete numerose vittime tra i<br />
suoi e decide di ripiegare su Mon-<br />
za dove, nel corso del mese succes-<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 12, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
sivo, è assediato, ma riesce lo stesso a disperdere<br />
una colonna di ghibellini che erano venuti in aiuto<br />
dei Viscontei da Bergamo. Approfittando della peste<br />
che imperversava in tutta la zona, fa uscire da Monza<br />
i fanti e i balestrieri genovesi mentre i Viscontei<br />
retrocedono ancora lasciando tutto quanto possedevano<br />
nelle mani dei pontifici. Marco Visconti, verso<br />
la fine dell’anno, riesce a recuperare la rocca di Cassano<br />
d’Adda. Raimondo cerca di impossessarsi di<br />
Lodi, ma viene respinto. Lascia, nel febbraio del 13-<br />
24, Monza con Enrico di Fiandra e Simone della<br />
Torre per andare ad occupare il castello di Vaprio<br />
d’Adda e si trova, ancora una volta, contro Galeazzo<br />
e Marco Visconti che lo sconfiggono facendolo anche<br />
prigioniero. Nel mese di novembre Galeazzo lo<br />
rilascia sulla promessa che Raimondo avrebbe assunto<br />
le funzioni di mediatore con i pontifici e sul<br />
giuramento che non avrebbe più mosso guerra contro<br />
i ghibellini milanesi.<br />
Raggiunge Monza dove viene rieletto Capitano Generale<br />
ottenendo dal Papa lo svincolo da ogni giuramento.<br />
Nei primi mesi del 1325 si trova in Provenza<br />
e, nel mese di marzo, sbarca a Talamone e da qui si<br />
reca a Firenze per combattere, al soldo di questa città,<br />
contro Castruccio Castracani, signore di Lucca e<br />
lo batte costringendolo alla ritirata. Nell’estate entra<br />
a Prato con 2100 cavalli e 15000 fanti per assediate<br />
Tizzano, supera questa località e conquista Cappiano.<br />
Anche Montefalcone finisce nelle sue mani e<br />
distrugge i territori circostanti, i contadi di Agliana e<br />
di Piuvica incendiando anche la fortezza di San Mato,<br />
si impossessa dell’abbazia di Pacchiana, la fa demolire<br />
e dà fuoco alle rovine. Assale i castelli di<br />
Carmignano e di Artimino e si prepara ad assalire il<br />
territorio di Lucca, mentre il Castracani lascia Pistoia.<br />
Nel mese di Agosto assedia Altopascio, vince<br />
a Carmignano e si impossessa del castello. Gli abitanti<br />
di Fucecchio, per le sue numerose vittorie, gli<br />
intitolano una porta (Porta Raimonda), ma le sue<br />
truppe vengono colpite dalla malaria. Il numero degli<br />
uomini a suo servizio diminuisce considerevolmente,<br />
ma è anche mal consigliato da alcuni personaggi<br />
fiorentini e decide, comunque, di attaccare i<br />
Lucchesi. Pone il suo accampamento all’abbazia di<br />
Pozzevero, ma si accorge di trovarsi in una situazione<br />
poco florida e decide di inviare Bornio di Borgogna<br />
ed Urlimbacca Tedesco tra Montechiaro e Porcari<br />
per spianargli la strada e, presso Altopascio, ha<br />
inizio il primo combattimento. Il Castracani scende<br />
dall’alto delle colline con il grosso del suo esercito,<br />
invece il Cardona non fa intervenire rinforzi ed Urlimbacca<br />
Tedesco è catturato. Dopo lo scontro si<br />
cerca di scendere a patti ma, nel frattempo, il Castracani<br />
riceve rinforzi da Azzone Visconti e da Passeri-<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
no Bonacolsi ed il Cardona sfida di nuovo a battaglia,<br />
ma Bornio di Borgogna ed i suoi si danno alla<br />
fuga ed ecco la disfatta dei fiorentini e lo stesso Raimondo<br />
si consegna nelle mani del Visconti. Il Castracani<br />
entra trionfante in Lucca, mentre il Cardona<br />
è chiuso in prigione. Dopo la morte del Castracani,<br />
Raimondo è liberato dall’Imperatore Ludovico il Bavaro<br />
e con un riscatto di 4000 fiorini.<br />
È pagato dall’Imperatore per andare a Pisa a riscuotere<br />
una taglia sulla città di 1.000.000 di ducati. Nel<br />
1331 diviene castellano di Miranda e vicario di Otricoli,<br />
ma nel 1333 lo vediamo al servizio del Re Alfonso<br />
d’Aragona che lo nomina vicario di Sardegna<br />
e Corsica e si scaglia contro i genovesi saccheggiando<br />
numerose località della riviera. Passa poi di nuovo<br />
al servizio della Chiesa che lo invia a Perugia per<br />
controllare Pier Simone Tarlati e quasi sicuramente<br />
muore nello stesso anno in Umbria.<br />
Di lui si disse che era un uomo forte, potente, eccellente<br />
condottiero, esperto nell’<strong>arte</strong> della guerra e dotato<br />
di notevole audacia.<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 13, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
Il nome di Morea è la trasposizione di Romea denominazione<br />
della Grecia quando i Greci erano considerati<br />
romani. E’ da prendere in considerazione anche<br />
il termine veneto “Rumi” con il quale si indicava<br />
il moderno Peloponneso. Quest’ultimo fu ceduto dai<br />
veneziani ai turchi coll’infelice pace di Passarowitz<br />
nel 1718. La guerra di Morea (1684-1689) rappresenta<br />
l’ultimo atto di orgoglio della Serenissima Repubblica<br />
di Venezia per la riconquista dei vecchi<br />
possedimenti in Dalmazia ed in Grecia e fa p<strong>arte</strong> del<br />
contrattacco della Sacra Lega che nacque per la liberazione<br />
di Vienna dall’assedio dei Turchi e per far sì<br />
che le forze cristiane in campo potessero attuare una<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
IL REGNO DI MOREA E L’ULTIMA GUERRA CRISTIANA CONTRO I<br />
TURCHI Mario Laurini<br />
Gagliardetto Giuliano-Dalmata con la Capretta Istriana, l'Aquila Fiumana ed<br />
i 3 Pardi di Dalmazia raccordati dal<br />
Leone di San Marco e la coccorda tricolore<br />
guerra di conquista nei territori<br />
ancora soggetti all’ormai declinante<br />
Impero Ottomano. Le guerre del<br />
Peloponneso e le vittorie crearono<br />
un clima di vera esaltazione in Venezia<br />
e l’apoteosi per la gloria e la<br />
morte del Doge Francesco Morosini.<br />
Insomma, per farla breve,<br />
dobbiamo dire che la fine del XVI<br />
secolo coincide con gli ultimi momenti<br />
di gloria militare di Venezia.<br />
Per Candia, la Repubblica Veneta<br />
aveva vuotato le sue casse,<br />
ma aveva anche mostrato quanta<br />
forza essa ancora possedeva e di<br />
quale eroismo essa era ancora capace.<br />
Si era alla fine compreso che<br />
il valore non è sufficiente per battere<br />
il nemico, ma quanto sia necessario<br />
essere previdenti per affrontare<br />
a tempo un’aggressione.<br />
Ratificata la pace con i turchi nel<br />
1670, Venezia, cominciò a restaurare<br />
le sue fortezze, migliorando<br />
l’esercito,vigilando in quanto convinta<br />
che, prima o poi, i Turchi<br />
sarebbero tornati. I Turchi, infatti,<br />
tornarono e si volsero prima contro<br />
la Polonia nel 1673, ma furono<br />
battuti prima dal Re eletto Giovanni<br />
Sobieski poi, nel 1683, marciarono<br />
contro l’Ungheria e l’Austria<br />
giungendo sotto le mura viennesi<br />
al comando di Kara Mustafà.<br />
L’imperatore Leopoldo, impaurito,<br />
fuggì a Liz ed il generale Stakemberg<br />
resistette finché giunse l’alleato<br />
Sobieski che sconfisse gli Ottomani<br />
i quali, comunque, restarono padroni di alcune<br />
fortezze in Ungheria. Al fine di risolvere il problema<br />
Ottomano, la Lega appena conclusa tra l’Imperatore<br />
d’Austria, la Polonia ed il Pontefice Innocenzo<br />
XI, sollecitò la p<strong>arte</strong>cipazione alla Lega della<br />
Serenissima che, questa volta differentemente da<br />
come aveva rifiutato anni prima, non seppe resistere<br />
alla tentazione di poter riconquistare Candia, Cipro e<br />
Negroponte risollevando così le proprie fortune ed<br />
aderì formalmente ad essa nel 1684. In questo modo<br />
Venezia, dopo 14 anni ricominciò, a guerreggiare<br />
con i Turchi, nominò Francesco Morosini Capitano<br />
Generale, il conte di Strassoldo Comandante delle<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 14, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
truppe da sbarco ed Antonio Zeno Provveditore della<br />
Dalmazia e dell’Albania. Tutto si svolse, fin dalle<br />
prime battute, a favore dei Veneziani, e, mentre Zeno<br />
arrivava a Castelnuovo, il Morosini, al comando<br />
delle flotte riunite pontificia, toscana e maltese costringeva<br />
alla resa, dopo 16 giorni di lotta nel <strong>luglio</strong><br />
del 1684, l’isola di Santa Maura. Da questa località<br />
lo Strassoldo sbarcava in terraferma ed occupava<br />
Provosa causando così la rivolta dell’Epiro, della<br />
Morlacchia e dell’Albania che erano stanchi della<br />
occupazione ottomana. Per provvedere alle spese di<br />
guerra, Venezia, come aveva altre volte fatto, mise<br />
in vendita le cariche dello Stato e conferì titoli nobiliari<br />
dietro il pagamento di centomila ducati. Ciò<br />
diede un maggior impulso alla guerra e furono strappate<br />
al nemico diverse terre fra le quali Matolico e<br />
Missolungi. Il Morosini, nonostante le vittorie ottenute,<br />
oppresso dalla fatica e dagli anni, chiese di essere<br />
sostituito al comando, ma il Senato che aveva<br />
grande fiducia in lui, respinse la domanda. Egli, allora,<br />
volse le sue forze contro le fortezze di Modrone e<br />
Navarino che dovevano aprire la strada alla conquista<br />
della Morea. Nel 1687 furono registrate nuove<br />
vittorie e nuove conquiste e furono espugnate Patrasso,<br />
Corinto e Lepanto. La notizia della vittoria fu<br />
celebrata con una messa solenne in San Marco e fu<br />
collocato nella sala del Consiglio dei Dieci, un busto<br />
in bronzo del Morosini con questa epigrafe:<br />
“Francisco Mauroceno Peloponnesiaco adhuc viventi<br />
senatus”. Il Morosini, intanto, conquistata la Morea,<br />
occupava Sparta, Misistra e si rivolgeva contro<br />
Atene che cadde nelle sue mani, ma il P<strong>arte</strong>none che<br />
i Turchi avevano trasformato in polveriera, colpito<br />
da una bomba, restò fortemente danneggiato. Dopo<br />
questa vittoria pensò di strappare ai Turchi il Negroponte,<br />
mentre Girolamo Cornaro vinceva in Dalmazia<br />
ed in Albania. Gli eserciti imperiali, comandati<br />
da Eugenio di Savoia e dal Duca di Lorena, liberarono<br />
la Transilvania e la Bosnia. Nell’aprile del 1688,<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
morto il Doge Marcantonio Giustiniani, il Morosini<br />
fu chiamato alla sua successione e, per la prima volta,<br />
il tentativo di conquista del Negroponte fallì a<br />
causa di malattie fra la truppa, l’azione non concorde<br />
dei mercenari oltre all’ostinata resistenza del nemico.<br />
I Turchi cercarono, in qualche modo, di concludere<br />
la pace, ma le eccessive richieste della Serenissima,<br />
li obbligarono a continuare la guerra. Nel 1689<br />
il Morosini avrebbe voluto ritentare l’impresa del<br />
Negroponte, ma, a causa dell’opposizione di altri<br />
capitani, non gli fu possibile realizzare quanto da lui<br />
sognato. Si rivolse, allora, contro la Malvasia, ma,<br />
dopo poco, Morosini si ammalò, fu costretto a rientrare<br />
in patria lasciando il comando a Girolamo Cornaro<br />
il quale costrinse la Regione alla resa e, verso la<br />
fine dell’agosto 1690, sbaragliò la flotta turca a Mitilene<br />
poi, di sorpresa, conquistò Valona. Quando il<br />
Cornaro morì, gli succedette nel comando Domenico<br />
Moncenigo che, spinto dalla Repubblica, tentò, dapprima<br />
di riconquistare Candia per dare modo all’armata<br />
veneta di far vela verso la Canea e sembrò che<br />
la città fosse sul punto di cedere, poi voci non veritiere<br />
a cui il Cornaro credette, lo indussero a correre<br />
verso la Morea che sembrava che i Turchi volessero<br />
assalire. Di fatto egli lasciò l’assedio perdendo l’occasione<br />
di riconquistare Candia, ma, per questo, fu<br />
destituito e punito. Morosini, pur se ormai vecchio,<br />
fu nuovamente nominato Capitano Generale, ma<br />
questi, nuovamente si ammalò e morì a 75 anni nel<br />
1694. Fu così riportato a Venezia otto mesi dopo che<br />
ne era partito e fu sostituito da Antonio Zeno che<br />
riconquistò l’isola di Scio, ma non osò affrontare la<br />
flotta turca che incrociava in quelle acque. Nel 1695<br />
i Veneziani furono costretti, sempre nelle vicinanze<br />
di Scio, a combattere con la flotta turca e furono<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 15, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
Eugenio di Savoia-Soissons<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
sconfitti tanto che lo Zeno abbandonò l’isola che ricadde<br />
in mano turca. Quest’ultimo, per questa sconfitta,<br />
fu incarcerato e morì nel 1699. Nel 1697 Antonio<br />
Molin respinse i Turchi sulle coste di Morea e,<br />
l’anno successivo, Girolamo Dolfin inseguì i Turchi<br />
sconfiggendoli fin dentro i Dardanelli, vi fu applicato<br />
il blocco per cui Venezia si assicurò la quasi assoluta<br />
padronanza del Mediterraneo ed il dominio del<br />
Peloponneso. I Turchi erano ormai sfiancati dai colpi<br />
di Venezia e dell’esercito imperiale comandato da<br />
Eugenio di Savoia. Nella battaglia di Zenta dell’11<br />
settembre 1697 risultarono uccisi il Gran Visir, 17<br />
Pascià e 30.000 Turchi.<br />
wwwstudirisorgimentali.org<br />
SONO UN ARTIGIANO DELLA PAROLA STORICA, PRESENTAZIONE<br />
Sono Carlo Forin, sessantanni fatti il 1° giugno.<br />
Chiamatemi -artigiano della parola storica-.<br />
Con -artigiano della parola- intendo d’identità di uno scrittore, capace di definirsi: cultore della parola in<br />
uso, capace di osservarla, armeggiarla e provarla in tutte le sue combinazioni.<br />
Con -artigiano della parola storica- intendo più in particolare: studio il significato della parola nel tempo,<br />
curioso di come cambi e di come si mantenga fin dalla notte dei tempi.<br />
Con ciò, <strong>storia</strong> ed archeologia si fondono e ‘parola storica’ prende un significato che va al di là della Storia.<br />
Usando l’archeologia del linguaggio scavo nelle parole per riportare alla luce i loro significati impolverati e<br />
seppelliti dal tempo.<br />
Il compimento recente dei sessantanni è venuto a coincidere con la scoperta del lustro, cioè dei sessanta<br />
mesi entro i quali il calendario annuale lunare, più corto di 11 giorni di quello del sole, viene a coincidere<br />
col calendario solare.<br />
Celebro le conseguenze strepitose di questa informazione, ricevuta dall’archeoastronomo dell’osservatorio<br />
di Brera Adriano Gaspani, su<br />
http://www.agoramagazine.it/agora/spip.php?article3291<br />
La mia desultoria scientia, una scienza che va per salti, per dirla con Apuleio, vi propone di saltare di link<br />
in link ed approfondire il lustro su<br />
http://www.siagrio.it/index.php?module=nsubjects&func=viewpage&pageid=61<br />
E’ la misura del tempo provenuta dall’Oriente, che ci consente di leggere<br />
la parola Antares, che indicava l’odierno Monte Altare di Vittorio Veneto col monte al confine delle podesterie<br />
di Serravalle e Ceneda nel 1435.<br />
Sono arrivato al nono anno di studio di questa parola.<br />
Ho chiesto ed ottenuto di poter dialogare con voi per mostrarvi le bellezze osservate sulla ‘parola storica’<br />
sperando che voi mi darete il confronto.<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 16, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
Questo mese la nostra voglia di<br />
viaggiare ci fa approdare ad Erice,<br />
stupenda cittadina in provincia di<br />
Trapani arroccata a 750 metri sul<br />
livello del mare su di un colle che<br />
porta il suo stesso nome e su un<br />
altopiano che sembra quasi sospeso<br />
tra cielo e mare come tra <strong>storia</strong><br />
e mitologia.<br />
Sembrerebbe che, dopo la caduta<br />
di Troia, alcuni profughi fossero<br />
arrivati dal mare sulle coste della<br />
Sicilia ed alcuni di essi ed avessero<br />
trovato rifugio vicino ai Sicani<br />
e, da questi, fossero chiamati Elimi.<br />
Con il passare del tempo questi<br />
profughi fondarono due città:<br />
Segesta ed, appunto, la nostra Erice.<br />
Furono Tucidite e Virgilio i<br />
primi a descrivere la città, ma poi<br />
non poterono fare a meno di descrivere<br />
la sua bellezza Omero,<br />
Teocrito, Polibio, Orazio ed altri<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
PASSEGGIANDO QUA E LÀ PER L’ITALIA: ERICE Anna Maria Barbaglia<br />
ancora. Il monte era dedicato alla<br />
dea dell’amore e della fertilità e<br />
rappresentava un forte punto di<br />
riferimento per i naviganti di quel<br />
periodo. La dea Ast<strong>arte</strong> per i Cartaginesi,<br />
Afrodite per i Greci, Venere<br />
Ericina per i Romani furono<br />
venerate in tempi diversi. Sembra<br />
esistesse sulla sommità del colle<br />
un tempio dedicato alla dea ed anche<br />
su questo la leggenda. Sembra<br />
fosse stato voluto da Enea o da<br />
Dedalo o anche dal re del luogo<br />
Eryx, figlio della stessa Afrodite,<br />
ma di questo tempio non v’è traccia.<br />
Tutti i popoli che si succedettero<br />
continuarono tale culto: i Fenici,<br />
i Cartaginesi, i Siracusani, gli<br />
Ellenici poi di nuovo i Cartaginesi<br />
che, a lungo, contrastarono anche i<br />
Romani e tutti potenziarono il mito<br />
del luogo fortificandolo con una<br />
cinta muraria ad Ovest che, a trat-<br />
ti, possiamo ancora oggi ammirare.<br />
Nel periodo greco-cartaginese<br />
Erice era così ricca che nel 415<br />
a.C. Segesta volle in prestito le<br />
coppe d’oro e d’argento per fare<br />
bella figura con i suoi ospiti Ateniesi<br />
cui stava chiedendo un’alleanza<br />
contro i Siracusani. Quando<br />
il Romano Lutezio Catulo nel 248<br />
a.C. la conquistò, era poco più che<br />
un ammasso di rovine in quanto<br />
distrutta dai Cartaginesi durante la<br />
prima guerra punica. I Romani la<br />
ricostruirono e, con essa, il tempio<br />
a Venere Ericina a spese del popolo<br />
romano ed alla dea furono resi<br />
grandi onori. Successivamente però<br />
per la cittadina cominciò una<br />
vera decadenza in quanto i Romani<br />
cominciarono ad abbandonarla<br />
e poco si curarono di quello che<br />
era un vero e proprio gioiello anche<br />
se continuarono a venerare la<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 17, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
dea. Lo storico Edrisi la descrive<br />
come una enorme montagna con<br />
alla sommità un territorio pianeggiante<br />
e con abbondante acqua.<br />
Parla di una fortezza abbandonata.<br />
Dobbiamo arrivare al periodo normanno<br />
per vederla risorgere.<br />
I Normanni, infatti, rinnovarono e<br />
restaurarono la rocca, restaurarono<br />
le antiche porte e ne aprirono altre<br />
tre: Porta Trapani, Porta Carmine<br />
e Porta Spada. Costruirono anche<br />
un castello sul luogo dove sorgeva<br />
l’antico luogo di culto, altri edifici<br />
e santuari e la cittadina rinacque a<br />
nuova vita. Nei secoli successivi<br />
nuovi ordini religiosi di stampo<br />
conservatore si insediarono in quel<br />
luogo e poco si sviluppò. Per trovare<br />
molti interventi urbanistici<br />
dobbiamo arrivare al 1800: furono<br />
edificati nuovi palazzi sia civili,<br />
sia privati e fu ristrutturata la piazza<br />
centrale, ma, nonostante i successivi<br />
interventi più moderni, la<br />
cittadina conserva gelosamente<br />
quell’aspetto e quel gusto medioevale.<br />
Dal 1936 è sede del “Centro Cultura<br />
Scientifica Ettore Majorana”<br />
istituito per volere dello scienziato<br />
Zichichi che richiama numerosi<br />
studiosi ed esperti tra i più qualificati<br />
del mondo per la trattazione di<br />
argomenti a carattere scientifico<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
che vanno dalla filologia alla chimica,<br />
alla <strong>storia</strong>, all’astronomia, al<br />
diritto, alla medicina e per questo<br />
motivo Erice è soprannominata<br />
“Città delle Scienze”<br />
Il Castello<br />
Sorge, come detto, sul luogo del<br />
più antico tempio e fu ritenuto<br />
sempre di notevole importanza<br />
strategica vista la sua posizione<br />
sulla sommità del colle tanto che<br />
Don Garzia Toledo, Viceré di Sicilia,<br />
nel 1561 e Don Carlo d’Aragona<br />
poi, ritennero, quella di Erice,<br />
una delle piazze più importanti.<br />
Fu “Piazza Reale” fino al XVI<br />
secolo e mantenne la sua importanza<br />
nel tempo. Nei primi anni<br />
del 1800, con la riforma operata<br />
dal Regno delle Due Sicilie, divenne<br />
di proprietà comunale. Le<br />
Torri del Balio di origine medioevale,<br />
precedono il castello vero e<br />
proprio e racchiudevano un abisso<br />
che separava la rocca dal castello<br />
che erano collegati solamente con<br />
un ponte levatoio. Nel XVII secolo<br />
l’abisso fu riempito e fu costruita<br />
la cordonata a gradini. Intorno<br />
alla seconda metà del 1800 la cortina<br />
merlata fu spostata indietro<br />
per isolare le torri che furono cedute<br />
al Conte Agostino Pepoli. La<br />
facciata del castello, esposta ad<br />
occidente, è sovrastata da merli<br />
ghibellini, mentre il muro di cinta<br />
segue l’orografia del territorio. Sul<br />
portale d’ingresso si vede una lapide<br />
incassata con lo stemma degli<br />
Asburgo di Spagna sovrastata da<br />
una bifora trecentesca.<br />
Nel vano d’ingresso si aprono i<br />
locali del “carcere sottano” dove,<br />
in qualche cella, è ancora possibile<br />
vedere le catene che tenevano i<br />
prigionieri, mentre al piano superiore<br />
è possibile vedere il “carcere<br />
soprano” con celle più grandi perché<br />
destinate ai nobili.<br />
L’abitazione del castellano che le<br />
cronache del tempo descrivono<br />
come molto sontuosa, è stata completamente<br />
distrutta, insieme ad<br />
altri edifici dagli scavi finalizzati<br />
alla ricerca del più antico centro di<br />
culto ed oggi possiamo osservarne<br />
la pianta ben disegnata e ben descritta<br />
solo in un manoscritto risalente<br />
al 1700 opera di Vito Carvini.<br />
Nella p<strong>arte</strong> meridionale della<br />
spianata possiamo osservare l’inizio<br />
(o la fine) di una galleria sotterranea<br />
segreta che, dall’interno<br />
del castello, portava in aperta campagna.<br />
Sul lato meridionale sono<br />
presenti diverse caditoie ed un posto<br />
di guardia dal quale era possibile<br />
dominare l’orizzonte. È possibile<br />
vedere anche i resti di un piccolo<br />
ambiente termale, quasi sicuramente<br />
di epoca romana. A Nord<br />
nel precipizio, sulla scoscesa parete<br />
rocciosa si eleva il muraglione<br />
attribuito a Dedalo composto da<br />
12 filari orizzontali e sovrapposti<br />
di pietra squadrata. Per le varie<br />
opere di rifacimento del castello<br />
furono adoperati anche i materiali<br />
del vecchio tempietto e si vedono<br />
nei resti di pochi rocchi di colonne<br />
e nei frammenti di fregio calcareo<br />
decorato con perline ed anelli, del<br />
tempio esiste una immagine in una<br />
moneta di Considio Noniano del<br />
60 a.C.<br />
Dalla zona della fortezza provengono<br />
la maggior p<strong>arte</strong> degli oggetti<br />
ritrovati ad Erice iscrizioni, mo-<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 18, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
nete, statuette, frammenti in ceramica<br />
o in bronzo ed ancora oggi se<br />
ne ritrovano in grande quantità:<br />
rappresentano la testimonianza di<br />
un tempo che fu.<br />
Visitare Erice significa immergersi<br />
in un mondo molto particolare:<br />
si sente il profumo del mare, ma<br />
anche il profumo di mistero, di<br />
antico. Attraversare le strette vie<br />
dalle case accostaste le une alle<br />
altre è attraversare un tempo che<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
non c’è più, è ricongiungersi ad un<br />
tempo mitico, ad un tempo fuori<br />
dalla realtà. La tranquillità che si<br />
percepisce a pelle, la salubrità del<br />
clima, la bellezza del panorama la<br />
rendono una delle mète privilegiate<br />
della bella Sicilia che di luoghi<br />
da visitare ne ha molti ed anche<br />
molto belli.<br />
Se poi si ha l’opportunità di affacciarsi<br />
dalle feritoie del castello in<br />
una limpida giornata priva di fo-<br />
schia, il fiato ti arriva in gola e<br />
l’occhio ti si riempie di luce spaziando<br />
tra le bellezze che puoi osservare:<br />
la catena montuosa che<br />
circonda Trapani, la lingua di Capo<br />
San Vito, il promontorio di Cofano,<br />
la costa con il porticciolo di<br />
Bonagia, la stessa Trapani, e poi<br />
ancora Marsala, Mazara del Vallo,<br />
le isole Egadi, l’isola di Ustica a<br />
Nord-Est, e quella di Pantelleria a<br />
Sud.<br />
L’ETNA: IL FASCINO DI UN VULCANO (III) Ombretta Laurini<br />
Ombretta Laurini<br />
Dopo aver girato in lungo e largo<br />
la colata ed aver scattato decine di<br />
fotografie agli stupendi panorami,<br />
decidiamo di ridiscendere al Rifugio<br />
S. Maria, recuperare gli zaini e<br />
dirigerci verso il rifugio Saletti,<br />
dove ceneremo e pernotteremo.<br />
27 aprile <strong>20</strong>08<br />
La sveglia suona alle 6 del matti-<br />
no, dobbiamo fare colazione, recuperare<br />
tutta la nostra attrezzatura e<br />
metterci velocemente in cammino.<br />
Il programma prevede di ritornare<br />
alla sbarra di Case Pirao, recuperare<br />
la macchina e trasferirci sul lato<br />
sud est del vulcano, per risalire dal<br />
Rifugio Sapienza fino alla Schiena<br />
dell’Asino e godere dello stupendo<br />
panorama della Valle del Bove!!<br />
Giungiamo al Rifugio Sapienza<br />
che il tempo non è dei migliori, il<br />
cielo è coperto ed inizia a tirare un<br />
fastidiosissimo vento da ovest.<br />
Lasciamo gli zaini da campeggio,<br />
e li sostituiamo con zaini più leggeri<br />
per portare con noi solo acqua,<br />
il pranzo e le mantelle da<br />
pioggia.<br />
Su questo lato dell’Etna il paesaggio<br />
è completamente diverso, il<br />
terreno è sabbioso e i bassi boschi<br />
di conifere lasciano posto a una<br />
vegetazione cespugliosa costituita<br />
prevalentemente da spino santo e<br />
saponaria, colonizzate da bellissime<br />
violette (Viola aetnensis) di<br />
diversi colori.<br />
Anche questo paesaggio è mozzafiato.<br />
Alla nostra destra, intervallata<br />
da svariati conetti vulcanici si<br />
vede la piana di Catania e il mare;<br />
sopra di noi un ripida montagna da<br />
risalire percorrendo un dislivello<br />
di più di 400 mt, in un solo chilometro<br />
e mezzo. Ci facciamo coraggio<br />
e, tagliando fuori sentiero<br />
quando ci è possibile, alternando<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 19, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
ipidi tratti a qualche minuto di<br />
riposo, riusciamo ad arrivare alla<br />
Schiena dell’Asino. Si apre sotto<br />
di noi la Valle del Bove, una immensa<br />
depressione costituita da<br />
lava nera apparentemente uniforme,<br />
ma in realtà costituita da più<br />
strati di colate laviche successive.<br />
Più avanti si può ammirare il golfo<br />
di Taormina e…..la Calabria. Il<br />
panorama è bellissimo, se pure<br />
l’aria carica di umidità non ci permette<br />
di averne una visione nitida,<br />
sopra di noi si tagliano due dei<br />
crateri principali.<br />
La Signora si fa sentire, brontolii<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
e cupi boati ci ricordano che ci<br />
troviamo sopra qualcosa di vivo<br />
ed attivo, pronto in ogni momento<br />
a darci dimostrazione della forza,<br />
della potenza e dell’immensa energia<br />
di cui è dotata. Raggiungiamo<br />
la lapide a Franco Malerba. Siamo<br />
sul crinale della montagna, la<br />
vista mozzafiato fa da cornice al<br />
nostro pranzo, che decidiamo di<br />
consumare velocemente a causa<br />
del forte vento gelido da ovest che<br />
rende del tutto inutilizzabili le nostre<br />
estremità. Infreddolite ma con<br />
i sensi appagati da tale bellezza<br />
ricominciamo la discesa, sceglien-<br />
PALOMBARA: UNA STORIA D’AMORE<br />
Una contadina di Palombara e il più grande scultore<br />
francese dell'Ottocento. Una <strong>storia</strong> bella e romantica<br />
da non sembrar vera, dol-ce come la stagione<br />
in cui ebbe inizio, triste come la stagione in cui<br />
ebbe termine.<br />
Seconda metà dell'Ottocento: uno scultore francese<br />
giungeva a Roma. Era Jean Baptiste Carpeaux, artista<br />
testardo ed impulsivo e neppur bello. Entrava<br />
come "pensionato" all’Accademia di Francia a Trinità<br />
dei Monti per aver vinto il "Premio Roma 1854".<br />
Jean Baptiste aveva trascorso l’infanzia in miseria. Il<br />
padre, perduto assai presto, era un muratore di<br />
Valenciennes ed il talento del ragazzo nel modellare<br />
figure nella creta gli aveva fatto intravedere un futuro<br />
intagliatore di pietra. Ma altra cosa è tagliare la<br />
pietra, ed altra farla vivere. Carpeaux voleva farla<br />
vivere e quando la povera famiglia si trasferì a Parigi<br />
egli entrò nella Scuola d’Arte. Questa era la sua strada.Concorse<br />
per tre anni di seguito al Premio Roma.<br />
Finalmente con la statua di « Ettore », la meno felice<br />
delle sue creazioni, ecco dischiudersi l’avvenire. A<br />
spese dello Stato francese, cinque anni a Roma ove<br />
avrebbe potuto studiare Michelangiolo a suo piacimento.Roma<br />
aveva un suo incanto ed una sua luce.<br />
Sì, i giorni nelle Gallerie Vaticane erano in-tensi, ma<br />
fuori c’erano i personaggi della vita reale, gli uomini<br />
do di tagliare il fianco della montagna<br />
fuori sentiero e risparmiare<br />
un po’ di tempo e di strada.<br />
La nostra avventura finisce a Fondachello,<br />
sulla ciottolosa spiaggia<br />
assolata, con il mare azzurro e trasparente<br />
di fronte e il gigante dormiente<br />
alle spalle.<br />
arguti, i vecchi al sole sulla porta di casa, le belle<br />
donne di Trastevere. Qui era l’ispirazione, non l’Accademia,<br />
i suoi pre-cetti, i colti compagni.<br />
Fu in Trastevere ch’ebbe inizio la dolce <strong>storia</strong>. Era<br />
maggio, un tardo pomeriggio che i tim-pani di Santa<br />
Maria diventavano rossi della luce del tramonto. C’erano<br />
sulla piazza ragazze a gettar briciole di pane ai<br />
colombi. Venivano alcune da Palombara, un paese a<br />
qualche decina di miglia da Roma, per "scacchiare"<br />
le vigne negli orti di Trastevere.<br />
Jean Baptiste era lì e guardava una di loro, bella, esile<br />
e vivace. Le chiese se voleva posare per lui. Ella<br />
accettò, quasi aggressiva, poi rise con le compagne<br />
all’idea di posare per uno scultore.<br />
Giunse allo studio dell’artista con un cesto di frutta.<br />
"Come ti chiami?", "Barbara Pasquarelli", "Ti chiamerò<br />
Palombella!".<br />
I giorni trascorrevano lietissimi nello studio romano<br />
aperto su una Roma piena di cielo. Barbara era ogni<br />
giorno la più soave delle donne e Jean Baptiste ne<br />
era pazzamente innamo-rato. I suoi sedici anni, il<br />
suo spirito, le soste pensose dinanzi ai rossi tramonti<br />
ispiravano l’artista. Mandò il busto della fanciulla a<br />
Parigi come saggio della sua attività di pensionato e<br />
trionfò al "Salon". Furono davvero i giorni più felici.<br />
Un giorno l’avrebbe sposata. Forse il primo giorno<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. <strong>20</strong>, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
do-po i cinque anni di Accademia. Ma Barbara aveva<br />
purtroppo una madre che si faceva i conti sulle<br />
dita. A Palombara affittava i giacigli agli aquilani<br />
che scendevano dall’Abruzzo a far le-gna, ed a Palombara<br />
c’era chi avrebbe sposato la figlia subito, un<br />
"casarecciotto" un po’ an-ziano, ma con gli scudi.<br />
"Ah sì, i signori dell’Accademia non possono sposare?<br />
Debbono passare cinque anni eh! Tu sei matta!".<br />
E con la vecchia non c’era niente da fare. Carpeaux,<br />
d’altra p<strong>arte</strong>, stava attraversando un periodo critico.<br />
Il colto pittore Souny, com-pagno d’Accademia, gli<br />
aveva messo in testa un gruppo plastico d’ispirazione<br />
dantesca. Per realizzare "II conte Ugolino", Carpeaux<br />
aveva preso in affitto uno studio lontano da<br />
Villa Medici, per essere completamente solo. Vi si<br />
era dunque buttato a capofitto, sempre sconten-to,<br />
tormentandosi, soffrendone. E ne soffriva anche per<br />
Barbara. Il gruppo, la gloria o la Pa-lombella. Continuare<br />
l’Ugolino o lasciare l’Accademia e sposare la<br />
Palombella. Vinse la febbre dell’<strong>arte</strong>. A capofitto nel<br />
lavoro, rabbiosamente, anche se l’idea non andava a<br />
genio a Victor Schnetz direttore dell’Accademia di<br />
Francia. Tanto che per ottenere il permesso Io scultore<br />
dovette correre a Parigi. Barbara gli era stata<br />
accanto e lo incoraggiava nei momenti di sconforto e<br />
prendeva le sue parti nei confronti degli avversari.<br />
La madre intanto aveva già pronte le nozze con Ber-<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
nardino Palmieri, il "casarecciotto" con gli scudi.<br />
Quando Carpeaux tornò dalla Francia si era alla vigilia<br />
del matrimonio. La vecchia aveva percosso e minacciato<br />
la fanciulla, eppure Palombella era lì, nascosta<br />
nel padiglione di Villa Medici ad attenderlo.<br />
Jean Baptiste era giunto trionfante. Aveva smosso<br />
perfino il ministro ed aveva il permesso in mano.<br />
Barbara comprese che in quel momento era più importante<br />
il gruppo dell’Ugolino. Si avviò alle nozze<br />
pallida e muta. Anche Bernardino era trionfante<br />
quando scese le sca-le di San Biagio con al braccio<br />
la più bella sposa di Palombara. Trionfante era la<br />
madre per il buon affare concluso, euforici i convitati<br />
fra boccali di vino. Cominciarono così i tristi giorni<br />
nella casa di via dei Portici. Carpeaux lavorava sul<br />
marmo. Barbara soffriva percossa dal marito geloso.<br />
Jean Baptiste esponeva con grande successo di pubblico,<br />
Barbara era minata dalla tisi e stava per morire.<br />
Era il dicembre del 1861 e faceva freddo. Un pastore<br />
suonò a Vil-la Medici. Un biglietto per Carpeaux:<br />
"Io sto per morire. Vieni domani. La gente va<br />
alla fie-ra. In casa resta soltanto chi è malata come<br />
me".<br />
Lo scultore corse a Palombara dove è la piccola porta<br />
sotto il sonarello. Gli occhi spenti di Palombella si<br />
illuminarono: "Hai sacrificato il nostro amore alla<br />
statua. Non ne sono ge-losa. Il bambino è nato pochi<br />
giorni fa. Abbine cura Gian Battista". Egli piangeva<br />
e baciava le labbra di lei brucianti. Aveva 19 anni<br />
Barbara quando fu sepolta nel piccolo cimitero di<br />
Santa Maria del Gonfa-lone, il 18 dicembre 1861. Lo<br />
scultore ebbe gli onori della corte di Napoleone III, i<br />
trionfi e la gloria, ma Palombella non scomparve<br />
mai dai suoi ricordi. Anche morta restò la sua ispiratrice.<br />
È suo il volto nell’"Estate" nel Museo di<br />
Valenciennes, è suo il volto della "Francia Imperiale<br />
che illumina il mondo" alle Tuileries. Il 14 dicembre<br />
1862 Carpeaux scriveva alla nonna della fanciulla:<br />
"...È ormai quasi un anno che piango la più dolce<br />
delle donne. Da quel tempo io son sempre triste ed il<br />
bene che io le volevo su questa terra è rivolto al cielo<br />
ove si trova la mia Palombella. Come oggi saremmo<br />
felici s’ella mi avesse atteso. Il matrimonio non<br />
era per me, e sono stato ben disgraziato di non essere<br />
libero quando l’ho conosciuta. Dovevo fare il<br />
gruppo dell’Ugolino. Ora che co-me artista ho una<br />
magnifica posizione, Barbara non è più e la felicità<br />
è lontana da me... Ho sempre Monte Gennaro dinanzi<br />
agli occhi e credo sempre di rivedere la mia Palombella<br />
col suo sorriso. Ah come ella mi era cara..."<br />
e Jean Baptiste allegava dieci scudi perché la<br />
nonna non facesse mancare i fiori sulla tomba della<br />
fanciulla.<br />
La sua ultima lettera è del 27 marzo 1874. L’artista è<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 21, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
prossimo alla morte, in preda a cri-si che rasentano<br />
la pazzia, ma Palombella è ancora nel suo cuore, sino<br />
a quando non si incon-treranno di nuovo, nel cielo,<br />
in una luce serena come quel pomeriggio di maggio<br />
dinanzi a Santa Maria in Trastevere.<br />
Le ultime lettere di Carpeaux<br />
In punto di morte la Palombella fece promettere allo<br />
scultore Jean Baptiste Carpeaux che avrebbe aiutato<br />
economicamente sua madre, Maria Giovanna Pasquarelli.<br />
La promessa fu mantenuta. Lo scultore<br />
inviò diverse lettere al padre dell’avvocato Domenico<br />
Margottini perché le leggesse alla madre della<br />
Palombella che era analfabeta. Non conosciamo le<br />
risposte. Ogni missiva conteneva denaro oppure una<br />
lettera di credito per riscuotere la somma spedita da<br />
Parigi. Sono lettere – affermava nel 1933 Boyer D’-<br />
Agen nel libro “La Palombella de Carpeaux”- inviate<br />
tra il 1862 e il 1872 e scritte in un italiano molto<br />
semplice, senza retorica, che toccano il cuore e meritano<br />
di essere conosciute non soltanto per l’appassionata<br />
quanto triste <strong>storia</strong> di amore, ma anche per le<br />
notizie riguardanti la vita e i lavori del grande scultore.<br />
Non sono firmate Giovanni Battista Carpeaux<br />
bensì Giulio Carpeaux, nome con il quale era stato<br />
battezzato nella chiesa di Notre-Dame di<br />
Valenciennes.<br />
- PRIMA LETTERA del 14/12/1862<br />
Carissima Maria Giovanna,<br />
È quasi un anno che piango la più dolce delle donne.<br />
Da allora sono sempre triste e il bene che le ho<br />
voluto in terra si dirige ora verso il cielo dove si trova<br />
la mia Palombella. Ella è sempre presente nei<br />
miei pensieri. Mi ricordo sempre la sua grazia, il<br />
suo bel sorriso quando venivo a Palombara o quando<br />
ella veniva all’ Accademia di Francia. La sua<br />
allegria era così dolce che mi riempiva il cuore. Ora,<br />
madre, sono infelice e non vedo il momento di<br />
ritornare a Roma. In attesa di quel giorno, ti invio<br />
dieci scudi che tu potrai ritirare all’ufficio postale di<br />
Palombara dietro presentazione del foglio che troverai<br />
in questa lettera.<br />
Ti prego di portare una corona e un bouquet di fiori<br />
sulla tomba della mia cara Palombella. Tu pregherai<br />
la sua bella anima di aiutarmi per avere un giorno<br />
il piacere di soddisfare le tue richieste. Ecco, mia<br />
cara madre, i miei pensieri. Ah! Se ella mi avesse<br />
atteso ora saremmo felici! Ma il matrimonio non mi<br />
si confaceva e sono molto infelice di non essermi<br />
liberato da ogni vincolo quando l’ho conosciuta.<br />
Dovevo scolpire il gruppo dell’Ugolino. Ora che ho<br />
raggiunto un’ottima posizione come artista, Barbara<br />
non c’è più e per questo ho perso la felicità.<br />
Fammi la cortesia di rispondermi e di dirmi se hai<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
ricevuto i dieci scudi che ti ho inviato.<br />
Post-scriptum. Ho sempre davanti agli occhi monte<br />
Gennaro e credo di vedere sempre la mia Palombella<br />
con il suo sorriso. Ah! Come mi è cara e come le<br />
ho voluto bene…<br />
- SECONDA LETTERA senza data<br />
Carissima Maria Giovanna Pasquarelli,<br />
Barbara! Mia cara Barbara!... Sono tre anni (la precisazione<br />
smentisce le leggende, tra le quali anche<br />
quella, ripresa da Lapauze nella sua <strong>storia</strong> su Villa<br />
Medici, che vorrebbe la Palombella essersi recata a<br />
Parigi nel 1858 insieme con Carpeaux) che l’ho incontrata<br />
vicino a San Michele (senza dubbio San<br />
Michelino, piccola chiesa vicino al Vaticano) il giorno<br />
dedicato a questo Santo (il 25 settembre).<br />
Da quel momento, questo angelo ha conquistato il<br />
mio cuore e ti posso dire, carissima madre, che il<br />
mio amore mi porta sempre verso la sua bella anima;<br />
come verso il suo cuore quando ancora era in<br />
questo mondo.<br />
Con questa lettera ti mando dieci scudi riscuotibili a<br />
Roma dal banchiere Cesari.<br />
Mia madre è arrivata a Parigi e non vedo l’ora di<br />
portarla a Roma e dopo a Palombara per f<strong>arte</strong>la<br />
conoscere. Ah! Come sarei contento se tua figlia fosse<br />
stata mia moglie. È il dolore della mia vita. Prego<br />
la sua anima di darmi la gioia di poterti aiutare<br />
sempre e di trovare in te il dolce ricordo della Palombella.<br />
Lavoro molto. La mia professione mi consentirà un<br />
giorno di vivere meglio e sarò felice di dimostrarti<br />
quanto ho voluto bene alla tua cara Barbara. Io sono<br />
il tuo figlio più affettuoso e sarò sempre il tuo<br />
“Giulio” per tutta la vita. Credo di poter venire quest’anno<br />
a Roma, ma l’Imperatore mi ha affidato tanti<br />
lavori che non posso rifiutare. Spero di essere libero<br />
in primavera.<br />
- TERZA LETTERA del <strong>20</strong>/12/1863<br />
Cara madre,<br />
Non posso dimenticare la mia cara Barbara. Sono<br />
due anni che Dio me l’ha tolta, era troppo buona<br />
per questo mondo. Ti prego, cara madre, di fare un<br />
piccolo pasto con i cinque scudi che ti mando con<br />
questa lettera, in memoria della tua cara figlia.<br />
Fammi anche la cortesia di portare a mio nome<br />
qualche fiore sulla tomba e di pregare Dio di concedermi<br />
la grazia di poter venire il prossimo anno a<br />
Palombara per rivedere i luoghi dove la mia cara<br />
Palombella mi considerava come se fossi un fratello.<br />
Sono triste in questi giorni e le feste di Natale saranno<br />
sempre colmate dal ricordo del 1861.<br />
- QUARTA LETTERA del 13/11/1864. Carpeaux<br />
la scrisse dal Palazzo di Compiègne.<br />
Cara Maria Giovanna,<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 22, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
Mi trovo nel Palazzo dell’Imperatore con tutta la<br />
Corte, e non posso dimenticare la mia cara Barbara.<br />
Ciò perché non ho più alcun piacere dalla vita; il<br />
mio cuore è arido e non gusta la felicità di questo<br />
mondo e i miei pensieri sono rivolti al cielo dove si<br />
trova la più bella delle creature che abitarono questa<br />
terra. Se sarò fortunato di guadagnare molto sarò<br />
molto contento d’aiutare te e Domenico (fratello<br />
della Palombella). Per questo lavoro, cara madre, e<br />
ti prego di raccomandarmi a tua figlia, alla tua figlia<br />
che ho sempre amato più della mia anima.<br />
Mi trovo qui con il nostro Imperatore, con l’Imperatrice,<br />
con tutti i nobile del paese; è una grande gentilezza<br />
che mi è stata concessa per la mia stimata<br />
attività di artista. Spero di scolpire in marmo il busto<br />
dell’Imperatrice; ma questa cara signora non ha<br />
tempo (L’Imperatrice posò per il suo busto nel 186-<br />
6). Peccato perché sono sicura che avrei fatto un<br />
capolavoro. Ricevi, cara madre, la mia amicizia più<br />
sincera.<br />
P. S. Porta qualche fiore sulla tomba della mia cara<br />
Palombella.<br />
- QUINTA LETTERA del 01/01/1865<br />
Carissima mamma,<br />
ti auguro un felice anno. Quanto a me, prego Dio di<br />
concedermi la grazia di rivedere Palombara e anche<br />
la tua famiglia. Non sono stato felice durante il soggiorno<br />
a Compiègne. Non farò più il ritratto dell’Imperatore<br />
e dell’Imperatrice. La fortuna gira e non<br />
voglio forzare il destino. I miei nemici saranno contenti.<br />
Perciò voglio lavorare intensamente. Comincio<br />
quest’anno con questa lettera e ti prego d’inviarmi<br />
la tua benedizione e anche quella della mia cara<br />
Barbara. Le invio mille baci in ricordo del suo amore<br />
che sostiene il mio povero cuore. Il mio sentimento<br />
è così puro, così celeste che mi fa alzare sempre<br />
gli occhi al cielo credendo di vederla ancora.<br />
Ti mando con questa lettera dieci scudi francesi.<br />
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO<br />
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
Vorrei aiutarti inviandoti una somma più alta. Ma,<br />
nella speranza di un futuro migliore, ti prego, cara<br />
mamma, di accettare questo piccolo ricordo per far<br />
piacere al tuo “Giulio”.<br />
Fai dire una messa per la mia cara Barbara e porta<br />
qualche fiore alla sua tomba per tuo figlio.<br />
Sono, cara mamma, il tuo figlio più devoto per tutta<br />
la vita.<br />
CITTÀ DI MONCALIERI<br />
Settore Istruzione Cultura-Sociale - Biblioteca civica “A. Arduino”-<br />
Comunicato Stampa<br />
A BREATH OF LIGHT<br />
Stampare con il Sole. Artisti per la Natura<br />
Opere di<br />
A. Angelini, D. Hoptman, R. Moro, D. Olsen, O. Rovera, D. Welden<br />
Biblioteca civica A. Arduino – Via Cavour 31 – Moncalieri (To)<br />
Dal <strong>20</strong> giugno al 29 agosto <strong>20</strong>08<br />
Inaugurazione giovedì 19 giugno ore 18<br />
Dal 19 giugno con inaugurazione alle ore 18, al 29 agosto, la sala esposizioni temporanee della Biblioteca<br />
civica ‘A. Arduino’ di via Cavour 31 a Moncalieri (To) ospita una mostra a carattere internazionale che<br />
riunisce sei artisti (tre statuntensi, una svizzera e due italiane), i cui linguaggi sperimentali trovano collega-<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 23, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
mento nell’utilizzo della tecnica di stampa d’<strong>arte</strong> Solarplate. Un metodo che si caratterizza per la possibilità<br />
di eseguire processi di stampa senza l’utilizzo di acidi ma esclusivamente con la luce del Sole. Promossa<br />
e organizzata dall’Assessorato alla Cultura della Città di Moncalieri e dalla Biblioteca civica ‘A. Arduino’<br />
la mostra, curata da Alessandra Angelini con la presentazione critica di Silvana Nota, rientra in un articolato<br />
progetto mirato a mettere in dialogo l’<strong>arte</strong> con il libro, attraverso esposizioni legate alla ricerca intesa a<br />
stimolare una fruizione <strong>cultura</strong>le su stratificati piani di lettura.<br />
Mutuata dall’industria, l’applicazione del Solarplate al mondo dell’<strong>arte</strong> è stata molto praticata dall’artista<br />
americano Dan Welden, il quale ne ha studiato le possibilità fin dagli Anni Settanta avviando una sperimentazione<br />
che oggi rappresenta un aspetto estramente interessante nel campo della grafica d’<strong>arte</strong>.<br />
“A creare intorno a Dan Welden quello che sembra annunciarsi come un movimento degno di rilevante<br />
attenzione – scrive Silvana Nota in Catalogo - è l’italiana Alessandra Angelini, artista, docente all’Accademia<br />
di Belle Arti di Brera a Milano, nonché curatrice degli eventi e p<strong>arte</strong>cipante del gruppo stesso,<br />
che annovera, accanto a Dan Welden, altri quattro artisti: Alessandra Angelini, David Hoptman, Ruth<br />
Moro, Dennis Olsen, Ornella Rovera, Dan Welden. Assieme, portano avanti un percorso stimolante già<br />
presentato nel <strong>20</strong>07 alla Kastellaani Galleri a Tallinn in Estonia in occasione della 5° Conferenza Internazionale<br />
sulla Stampa d’Arte “Impact-Kontact5-Slice of Time”, tenutasi nella stessa città. Con l’esposizione<br />
moncalierese, gli artisti si presentano per la prima volta in Italia inaugurando una serie di appuntamenti<br />
programmati in giro per il mondo”.<br />
Il percorso espositivo propone una serie di opere che nell’insieme ben rappresentano le diversificate possibilità<br />
interpretative del Solarplate che permette all’artista di ideare, eseguire e stampare la propria opera<br />
secondo l’espressione che gli è consona. Rispetto dell’ambiente e della persona caratterizzano il metodo<br />
Solarplate, così illustrato in Catalogo la curatrice Alessandra Angelini: “….un vero e proprio linguaggio,<br />
attraverso il quale ogni artista può liberamente comunicare “l’unicità” della propria visione creativa.<br />
Lavorare con la luce significa, infatti, trasmettere con estrema velocità , nell’arco di pochi secondi o al<br />
massimo pochi minuti, un’idea, un pensiero estetico alla matrice.<br />
Più o meno quello che succede quando accendiamo una lampadina in una stanza buia.<br />
I metodi per creare l’immagine, possono essere altrettanto veloci oppure molto lenti e ragionati: dipingere o<br />
disegnare direttamente sulla matrice, trasportare disegni o immagini fotografiche, attentamente rielaborate;<br />
giocare con le impronte di oggetti, forme, ombre… e molto altro ancora.<br />
Lavorare con le mani, con gli inchiostri, con la macchina fotografica o con il computer, talvolta associando<br />
questi passaggi tra loro: in una parola “sperimentare”.<br />
Gli artisti<br />
Alessandra Angelini nata a Parma, Italia.<br />
E’ docente presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. L’utilizzo di diversi linguaggi espressivi (oltre alla<br />
pittura, la stampa, la s<strong>cultura</strong>, la fotografia) approfonditi anche grazie all’esperienza di aggiornamento e di<br />
collaborazione con istituzioni di respiro internazionale, si accompagna ad una attenta indagine sulle potenzialità<br />
dei materiali. Protagonista di numerosi eventi espositivi in Italia e all’estero, e’ membro di Vis<strong>arte</strong>.sav<br />
(società svizzera di artisti visuali).Vive e lavora tra Milano e Pavia.<br />
Ruth Moro nata a Svitto, Svizzera. Artista nell’ambito della carta a mano e della Paper Art. Svolge una<br />
ricerca personale delle strutture dei vegetali e il loro uso nella realizzazione della carta a mano e nell’<strong>arte</strong>.<br />
Membro Vis<strong>arte</strong>.sav (società artisti visuali). Soggiorni di studio in Svizzera, Francia, Germania, Olanda,<br />
Danimarca e Giappone. Vive e lavora a Casigliano, Svizzera.<br />
Ornella Rovera nata a Torino , città in cui vive. E' docente di Tecniche della S<strong>cultura</strong> presso l'Accademia<br />
di Belle arti di Brera, a Milano. Il dialogo fra i diversi linguaggi artistici, in particolare tra la fotografia e la<br />
s<strong>cultura</strong>, e la sperimentazione dei materiali come strumenti evocativi, sono fra gli aspetti che caratterizzano<br />
la sua ricerca. Dell'attività espositiva, iniziata nel 1986, si rammenta la p<strong>arte</strong>cipazione alle mostre Fotoidea<br />
e Fotoalchimie a cura di Mirella Bentivoglio.<br />
Dan Welden nato a New York, USA. Artista con forti esperienze in ambito internazionale e innovatore di<br />
processi di stampa con matrici polimeriche, è coautore del libro e del DVD “Stampare con la luce del<br />
Sole“. E’ stato protagonista di oltre 60 mostre personali negli Stati Uniti e all’estero e conduce workshop in<br />
diversi paesi del mondo (Cina – Giappone – Perù – Italia – Germania ecc.)<br />
David Hoptman nato a Detroit, Michigan, USA. Artista, insegnante e fotografo professionista lavora associando<br />
diversi linguaggi grafici. Le sue opere sono state pubblicate da importanti riviste internazionali. Ha<br />
compiuto studi approfonditi sulle qualità tonali offerte dalla tecnica SOLARPLATE rispetto alle tecniche<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 24, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
di fotoriproduzione tradizionali.<br />
Dennis Olsen nato a Springfiled, Illinois, USA. Docente presso l’Università di San Antonio in Texas e<br />
presidente della Scuola Internazionale d’Arte di Santa Reparata a Firenze. Nel suo lavoro di grafico e ceramista,<br />
associa tecniche digitali con interventi manuali e tecniche di stampa MONOPRINT, su supporti<br />
cartacei e in porcellana.<br />
La mostra resterà aperta fino al 29 agosto <strong>20</strong>08. Ingresso libero.<br />
Orari: dal lunedì al venerdì 14.00 - 19.00 /sabato 9.30-13.30, dal 30 giugno al 29 agosto <strong>20</strong>08 lunedì, m<strong>arte</strong>dì<br />
e giovedì 14.00/19.00, mercoledì e venerdì 9-13<br />
Per informazioni: Biblioteca civica A. Arduino. Segreteria e ufficio stampa: A. Papalia<br />
tel 011.6401611- fax 011644423<br />
biblioteca@comune.moncalieri.to.it-www.comune.moncalieri.to.it/biblio<br />
INCONTRO CON L’ARTE<br />
Siena, Complesso museale Santa Maria della Scala: “Le forme in movimento” - L’<strong>arte</strong> di Mario Ceroli<br />
incontra il Palio di Siena. Non solo attraverso la realizzazione del<br />
drappellone che andrà alla contrada vincitrice della Carriera di agosto,<br />
ma anche con una importante mostra monografica a cura di Achille<br />
Bonito Oliva e Omar Calabrese - promossa da Comune di Siena,<br />
Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Soprintendenza per Beni<br />
Architettonici e del Paesaggio di Siena e Grosseto e Soprintendenza<br />
per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Siena e Grosseto<br />
- dal titolo “Mario Ceroli. Forme in movimento” in programma<br />
nella città toscana, dal prossimo 24 giugno al 7 settembre. Una selezione<br />
di opere di grande impatto, straordinarie per dimensioni e forza<br />
espressiva, installate presso il Complesso museale Santa Maria<br />
della Scala e in alcuni luoghi “franchi” del centro storico di Siena,<br />
spazi con un significato preciso nella geografia contradaiola sebbene più defilati rispetto alle sedi istituzionali<br />
di alcune Contrade. Piazza del Duomo, la Loggia della Mercanzia, Rocca Salimbeni, le Logge del Papa,<br />
il cortile di Palazzo Chigi, piazza di San Domenico faranno da culla ad alcune delle opere più significative<br />
dello scultore romano che, in comune con il Palio, hanno i tratti essenziali della passione, del movimento<br />
e dell’azione. Mario Ceroli, si cimenta ancora una volta con l’idea stessa del movimento, cercando<br />
di risolvere il paradosso teorico che vuole la s<strong>cultura</strong> “fissa” e “immobile” ma sempre tesa a scoprire come<br />
far evincere la mobilità insita nelle sue figure e, lo fa da una prospettiva nuova, quella offerta dalla festa<br />
senese. Il tema equestre è affrontato nella celebre Battaglia, un insieme di sagome di legno rappresentanti<br />
un gruppo di cavalli in atto di attaccare sovrastati da lance colorate che ricorda le celebri composizioni rinascimentali<br />
di Paolo Uccello. L’opera che per la forza che esprime rimanda ad uno dei momenti fondamentali<br />
della corsa: la mossa, sarà collocata all’interno delle Logge del Papa, a due passi da Piazza del<br />
Campo. A distanza di qualche metro, protagoniste ancora alcune figure di cavalli, all’interno della suggestiva<br />
Loggia della Mercanzia e nella piazza di San Domenico. Nel cortile di Palazzo Chigi Saracini, sede della<br />
prestigiosa Accademia musicale Chigiana sarà collocata Maestrale (1992) un’onda realizzata interamente<br />
in schegge di vetro. Altre opere di forte impatto sono il Sole posizionata all’interno della limonaia di<br />
Rocca Salimbeni storica sede della Banca Monte dei Paschi di Siena e all’interno del Complesso museale<br />
Santa Maria della Scala Discorsi platonici sulla Geometria con i suoi 8 personaggi e La Cina (1966) ove<br />
coesistono sagome di figure umane ritagliate nel legno grezzo, ripetute in modo ossessivo. Estremamente<br />
suggestiva infine in Piazza del Duomo, la celebre Scala, esempio vivo di come l’artista si muova agevolmente<br />
tra simbolo e realtà, scegliendo di lavorare su materiali naturali, primo fra tutti il legno (ma anche la<br />
terra, il vetro, il ghiaccio) per porre l’accento sull’elemento primario, sul senso emergente delle cose reali,<br />
sul valore simbolico dell’opera, sul gesto fondante dell’artista. Con gesto dissacrante, Ceroli destituisce del<br />
suo valore il materiale aulico e "nobile" della s<strong>cultura</strong>, investendo di una nuova e forte capacità di rappresentazione<br />
il materiale naturale e povero. Con l’occasione, si potrà inoltre visitare su prenotazione l’opera<br />
Sfera armillare collocata nel giardino di Villa Brandi a Vignano, s<strong>cultura</strong> che faceva p<strong>arte</strong> della scenografia<br />
realizzata dall’artista per il Riccardo III di Shakespeare nel 1968. Il catalogo a cura di Achille Bonito<br />
Oliva e Omar Calabrese, edito da Protagon Editori Toscani, conterrà anche scritti di Maurizio Bettini,<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 25, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08
STORIA, ARTE, CULTURA...<br />
Tommaso Trini, Mariano Apa, Massimo Bignardi, Guido Rebecchini, Stefano Jacoviello e Bernardina Sani.<br />
Promosso da: promossa da Comune di Siena, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Soprintendenza<br />
per Beni Architettonici e del Paesaggio di Siena e Grosseto e Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed<br />
Etnoantropologici di Siena Data Fine: 07/09/<strong>20</strong>08 Orario: tutti i giorni compresi i festivi dalle 10.30 alle<br />
18.30. Telefono: 0577/224811.<br />
Caserta, Appartamenti storici del Palazzo Reale: “Il Segno e il Sogno” - L’allestimento si sviluppa attraverso<br />
una trentina opere, di grandi (circa 8 m x 2 m, il lavoro dal<br />
titolo “Caleidoscopio”) e medie dimensioni, che rappresentano la<br />
più recente produzione dell’artista. Un inedito percorso, in cinque<br />
delle otto sale che costituiscono la Pinacoteca del Palazzo Reale, tra<br />
le suggestioni barocche degli Appartamenti del Settecento e le dirompenti<br />
opere “metallo su metallo” realizzate da Vincenzo Lo Sasso.<br />
Celebre fotografo di moda, Lo Sasso ha girato il mondo raccontando<br />
con le immagini l’haute couture e la bellezza femminile. Negli Stati<br />
Uniti ha lavorato per grandi testate e aziende di moda. Rapito dalle<br />
possibilità che il metallo offre come elemento pittorico, l’artista negli<br />
ultimi anni ha inaugurato una tecnica nuovissima. I lavori in mostra<br />
nascono dall’uso di una formula assolutamente originale: un’ardita<br />
ricerca che prevede le solidificazioni di colori metallici sulla<br />
base di alluminio. Ne derivano immagini accompagnate da cromatismi<br />
informali. Autore di una fotografia manipolata “pittoricamente”<br />
Lo Sasso sperimenta inoltre, su supporti e nuovi media per basicolore,<br />
una particolare formula nata dall’ambiguità visiva di due tecniche<br />
utilizzate contemporaneamente: il segno e la messa a fuoco<br />
fotografica di inquadrature in bianco e nero e colore che conducono<br />
al dialogo uomo/ donna. Scrive il critico Luciano Caprile: “Per l’esposizione<br />
alla Reggia di Caserta Vincenzo Lo Sasso ha realizzato<br />
alcune grandi opere su lamiera rivisitando il personale passato di<br />
raffinato fotografo. Nella circostanza i possenti nudi maschili e le<br />
evanescenti figure femminili si alternano e in qualche misura si confrontano<br />
su queste basi elaborate dal punto di vista tecnico e pittorico<br />
per ottenere effetti cromatici e timbrici di particolare valenza seduttiva”.<br />
Nota biografica Lo Sasso nasce a Taranto nel 1954. Dopo aver frequentato<br />
la facoltà di Architettura inizia il percorso artistico giovanissimo<br />
con un’intensa attività pittorica utilizzando medium e supporti<br />
tradizionali. A ventitre anni scopre la fotografia, ed inizia una<br />
lunga e fruttuosa collaborazione con testate come Vogue Italia, Vogue Bellezza, Uomo Mare, Vogue travel,<br />
Linea Italiana. L’attività professionale si allarga al Teatro lavorando per il Balletto d’<strong>arte</strong> contemporanea<br />
di SanPietroburgo e per il Teatro Stabile Ancona. Prosegue anche nel mondo dello spettacolo dove lavora<br />
per Eros Ramazzotti, Gianni Morandi, Anna Oxa, Spagna. La sua carriera prosegue e si concretizza<br />
anche in campo pubblicitario. Realizza lavori professionali per Oreal, Wella, Schwarzkopf e note aziende<br />
di moda, spostandosi prevalentemente tra New York e Milano. Nel Febbraio <strong>20</strong>07 p<strong>arte</strong>cipa alla Fiera Luxory<br />
and Yachts di Verona nella sezione allestimenti gallerie con un opera di 8 m x 3m x 3m. Nell’aprile<br />
<strong>20</strong>07 inaugura, con il patrocinio del Comune di Genova e dell’Ordine degli Architetti di Genova, una personale<br />
dal titolo “Ghiaccio Bollente”, presso il Chiostro di S. Matteo di Genova (catalogo curato dal critico<br />
d’<strong>arte</strong> Maurizio Sciaccaluga. Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private.<br />
Promosso da: Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per il Patrimonio Storico Artistico<br />
ed Etnoantropologico delle Province di Caserta e Benevento e da Arethusa, Data Inizio: 11/07/<strong>20</strong>08,<br />
Data Fine: 10/08/<strong>20</strong>08, Costo del biglietto: 6,<strong>20</strong> euro, Prenotazione: Facoltativa, Indirizzo: Via Douhet,<br />
2/a, Orario: Inaugurazione: venerdì 11 <strong>luglio</strong> ore 18,30, Orari dal 12 <strong>luglio</strong> al 10 agosto <strong>20</strong>08: 8.30/19.30<br />
ultimo ingresso h. 19.00 (chiusura m<strong>arte</strong>dì), Telefono: 0823.448084<br />
www.<strong>storia</strong><strong>arte</strong><strong>cultura</strong>.it Pag. 26, n. 6 Luglio <strong>20</strong>08