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LA 194, LAICA E CIVILE LA PALESTINA PACIFISTA

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eportage 7<br />

Giovedì 10 Gennaio 2008<br />

SEGUE DAL<strong>LA</strong> PRIMA<br />

L a<br />

Città santa, il cui fascino<br />

rapisce anche l’ateo più<br />

convinto, è stata scelta come<br />

base per un viaggio esplorativo<br />

nella Palestina, alla scoperta<br />

della sua società civile che resiste<br />

all’occupazione scegliendo la<br />

strada della non violenza.<br />

Non è facile abbracciare la<br />

resistenza non violenta da queste<br />

parti. Come ci dicono in<br />

molti durante i nostri incontri,<br />

i bambini palestinesi non hanno<br />

bisogno di nessuno che insegni<br />

loro a odiare Israele: è un<br />

compito che l’occupazione militare<br />

svolge fin troppo bene. Le<br />

pesanti restrizioni alla mobilità<br />

delle persone e delle merci, le<br />

aggressioni dei coloni israeliani<br />

sotto lo sguardo “distratto” del<br />

loro esercito, un muro che separa<br />

i contadini dalle loro terre,<br />

le continue incursioni dell’Idf<br />

(Israeli defence force) nelle città<br />

della Cisgiordania per creare<br />

nuovi prigionieri politici, che si<br />

aggiungono ai tanti, oltre 11mila,<br />

spesso arrestati e detenuti<br />

senza formali accuse né processi:<br />

è questa la realtà quotidiana<br />

in cui associazioni e movimenti<br />

pacifisti riescono, grazie alla loro<br />

tenacia, a strappare giovani al<br />

fanatismo.<br />

Ad Anata, un villaggio a sud<br />

di Gerusalemme, 80 mila persone<br />

vivono imprigionate dal muro.<br />

Lì incontriamo i Combattents<br />

for peace, un’associazione<br />

in cui ex-combattenti palestinesi<br />

che hanno rinunciato alla lotta<br />

armata sono impegnati al fianco<br />

di ex-militari israeliani che dopo<br />

i tre anni di leva obbligatoria<br />

hanno rifiutato di continuare a<br />

prestare il servizio da riservisti<br />

(un mese all’anno fino all’età di<br />

45 anni). Bassam Aramin, uno<br />

dei fondatori palestinesi dell’associazione,<br />

ha visto sua figlia di<br />

10 anni morire sotto i proiettili<br />

israeliani: «Dopo soli tre giorni<br />

di inchiesta – spiega – le autorità<br />

di Israele hanno deciso che era<br />

impossibile stabilire il colpevole<br />

e persino le cause della morte.<br />

I Combattents for peace sono<br />

nati per dimostrare che non è<br />

vendetta quello che cerchiamo,<br />

la violenza non ci appartiene».<br />

Itamar Shapir, coordinatore<br />

israeliano dell’associazione, spiega<br />

quanto sia difficile emergere<br />

per organizzazioni come la loro,<br />

soprattutto in Israele dove «le<br />

persone fanno molto poco per<br />

la pace, perché non hanno una<br />

informazione corretta e perché i<br />

movimenti pacifisti non godono<br />

della luce dei riflettori».<br />

Anche in Cisgiordania la diffusione<br />

e la crescita di movimenti<br />

non violenti presenta alcune difficoltà,<br />

ma attualmente gode di<br />

un certo sostegno da parte delle<br />

istituzioni. La presenza del primo<br />

ministro palestinese, Salam<br />

Fayad, alla conferenza contro il<br />

muro organizzata dalla Al Quds<br />

open University (il 29 dicembre<br />

a Tulkarem), con il mondo accademico<br />

e quello associativo riuniti<br />

in una sala gremita, ne è una<br />

prova; e un’altra prova è la visita<br />

dello stesso Fayad a Mohammed<br />

Khatib, un esponente del Comitato<br />

popolare di Bil’in ricoverato<br />

nel centro traumatologico di<br />

Ramallah dopo un’aggressione<br />

da parte di coloni israeliani, i<br />

quali sono stati riconosciuti e<br />

denunciati, ma non perseguiti<br />

dalle autorità israeliane che non<br />

hanno competenze giurisdizionali<br />

in Cisgiordania… se non<br />

per arrestare palestinesi.<br />

Nonostante Fayad dimostri<br />

il proprio impegno a sostenere<br />

le iniziative di pace provenienti<br />

TERRITORI<br />

NON VIOLENTI<br />

Palestina: viaggio<br />

nel pacifismo<br />

La resistenza non<br />

armata sotto<br />

un’occupazione<br />

che insegna<br />

odio e rabbia<br />

dalla società civile palestinese,<br />

l’isolamento imposto dal muro<br />

non colpisce soltanto le persone<br />

ma anche le idee e il dialogo: ne<br />

sono una dimostrazione gli stessi<br />

Combattents for peace, che solo<br />

a tre anni dalla loro fondazione<br />

sono riusciti ad arrivare anche a<br />

Nablus, nel nord della Cisgior-<br />

In alto,<br />

da sinistra:<br />

un murales<br />

a Betlemme;<br />

bambini<br />

a Nablus;<br />

per le strade<br />

di Hebron<br />

dania, per presentare la loro proposta<br />

di resistenza non violenta<br />

all’occupazione.<br />

Nablus è una roccaforte storica<br />

della resistenza palestinese.<br />

Arrivando, per strada si vedono<br />

appese ai lampioni numerose<br />

bandiere rosse del Fronte popolare<br />

per la liberazione della<br />

Palestina. Per entrare in città<br />

bisogna superare l’immancabile<br />

check point. Non possiamo farlo<br />

a bordo del nostro autobus con<br />

targa israeliana. Siamo costretti<br />

a scendere. Come i tanti palestinesi<br />

che vanno in direzione<br />

opposta e devono abbandonare<br />

le loro auto per prendere un taxi<br />

una volta passato il controllo,<br />

anche noi facciamo un cambio.<br />

Il “nuovo” autobus ha almeno<br />

35 anni e un finestrino rotto: è<br />

il primo segno della povertà che<br />

incontriamo per strada. Raggiungiamo<br />

il municipio dove ci<br />

accoglie il vice sindaco Hafez<br />

Shaheen, il quale ci spiega che<br />

purtroppo il sindaco non può riceverci<br />

perché è… “impegnato”:<br />

«E’ stato arrestato dagli israeliani<br />

insieme con tre consiglieri<br />

comunali». Shaheen ci ringrazia<br />

della nostra visita perché «è importante<br />

riuscire a far conoscere<br />

i nostri problemi in Europa e in<br />

Italia, le cui istituzioni ci aiutano<br />

con progetti di cooperazione che<br />

fanno molto per la nostra gente».<br />

Questa gratitudine è stata un po’<br />

una costante dell’intero viaggio.<br />

E del resto non deve stupire in<br />

un paese la cui l’economia dipende<br />

per circa l’80% dagli aiuti<br />

e dalle attività internazionali.<br />

Anche Hebron, nel sud della<br />

West Bank, mostra quanto sia<br />

gravoso il fardello dell’occupazione<br />

israeliana. Lì, 1.500 soldati<br />

dell’Idf hanno militarizzato e diviso<br />

la città per difendere 400 coloni.<br />

Le vie del centro, un tempo<br />

affollate e popolate da numerosi<br />

negozi, oggi appaiono desolate.<br />

In alcune zone sono state le autorità<br />

militari israeliane a imporre<br />

la chiusura delle attività commerciali;<br />

in altre, gli stessi proprietari<br />

dei negozi hanno dovuto<br />

calare le saracinesche per colpa<br />

dello scarso volume di affari. Ci<br />

sono strade sbarrate dal cemento<br />

o dal filo spinato. Su altre è semplicemente<br />

vietato il transito ai<br />

palestinesi. Quando vediamo le<br />

inferriate alle finestre, presenti<br />

anche al terzo piano delle case,<br />

immaginiamo che i ladri debbano<br />

essere molto atletici da quelle<br />

parti. Al contrario, le nostre<br />

guide che lavorano al centro per<br />

l’infanzia di Hebron ci spiegano<br />

che le reti metalliche servono a<br />

proteggere le finestre dalle sassaiole<br />

dei coloni israeliani.<br />

Ma una città così brutalmente<br />

stuprata è anche in grado<br />

di mostrare infiniti modi in cui<br />

un popolo può resistere a decenni<br />

di sofferenze imposte da una<br />

potenza occupante. Al Ataa’ è<br />

un centro di carità alla periferia<br />

di Hebron, che offre assistenza<br />

medica gratuita a donne e bambini,<br />

accudisce i piccoli mentre<br />

le madri lavorano, e insegna alle<br />

donne come riscattare la propria<br />

dignità da mariti o fratelli<br />

dispotici. Servizi sociali svolti<br />

grazie al contributo di donatori<br />

e all’impegno di volontari che<br />

dedicano gratuitamente il loro<br />

tempo al centro.<br />

Alla fine del viaggio, rimane<br />

il rammarico per non aver<br />

potuto visitare Gaza. Dove se<br />

l’occupazione svolge un ruolo<br />

di formazione all’odio, l’assedio<br />

diventa un master universitario.<br />

E’ ora che questi docenti si ritirino.<br />

DOMENICO GIOVINAZZO

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